Illustrazione ed esame della proposta di relazione sullo stato dell'informazione e sulla condizione dei giornalisti minacciati dalle mafie (relatore: on.Fava).
Bindi Rosy , Presidente ... 3
Fava Claudio (Misto-PSI-PLI) ... 3
Bindi Rosy , Presidente ... 7
D'Uva Francesco (M5S) ... 8
Mattiello Davide (PD) ... 8
Bruno Bossio Vincenza (PD) ... 9
Bindi Rosy , Presidente ... 9
Capacchione Rosaria ... 9
Lumia Giuseppe ... 9
Di Lello Marco (Misto-PSI-PLI) ... 10
Bruno Bossio Vincenza (PD) ... 11
Di Lello Marco (Misto-PSI-PLI) ... 11
Falanga Ciro ... 11 12
Buemi Enrico ... 13
Bindi Rosy , Presidente ... 13
Buemi Enrico ... 13
Bindi Rosy , Presidente ... 14
Buemi Enrico ... 14
Bindi Rosy , Presidente ... 14
Buemi Enrico ... 14
Capacchione Rosaria ... 14
Torrisi Salvatore ... 14
Gaetti Luigi ... 16
Vecchio Andrea (SCpI) ... 16
Ricchiuti Lucrezia ... 16
Bindi Rosy , Presidente ... 17
Ricchiuti Lucrezia ... 17
De Cristofaro Peppe ... 17
Bindi Rosy , Presidente ... 18
Torrisi Salvatore ... 20
Bindi Rosy , Presidente ... 20
Fava Claudio (Misto-PSI-PLI) ... 20
Bruno Bossio Vincenza (PD) ... 21
Bindi Rosy , Presidente ... 21
Fava Claudio (Misto-PSI-PLI) ... 21
Torrisi Salvatore ... 22
Fava Claudio (Misto-PSI-PLI) ... 22
Torrisi Salvatore ... 22
Fava Claudio (Misto-PSI-PLI) ... 22
Bindi Rosy , Presidente ... 22
Fava Claudio (Misto-PSI-PLI) ... 22
Bindi Rosy , Presidente ... 22
Fava Claudio (Misto-PSI-PLI) ... 22
Bindi Rosy , Presidente ... 23
PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE ROSY BINDI
La seduta comincia alle 20.25.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente)
Illustrazione ed esame della proposta di relazione sullo stato dell'informazione e sulla condizione dei giornalisti minacciati dalle mafie (relatore: on. Fava).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno della seconda seduta odierna reca illustrazione ed esame della proposta di relazione sullo stato dell'informazione e sulla condizione dei giornalisti minacciati dalle mafie (relatore: on. Fava).
Il testo che è stato trasmesso a tutti i commissari è stato lavorato in seno all'VIII Comitato Mafia, giornalisti e mondo dell'informazione, coordinato dallo stesso onorevole Fava. Avete ricevuto tutti il testo in via riservata.
Do la parola al collega Fava per illustrare la sua relazione.
CLAUDIO FAVA. La ringrazio, presidente. Io vorrei provare a riassumere il senso del lavoro fatto, il modo in cui ci siamo mossi, le conclusioni, naturalmente per sintesi, a cui siamo arrivati e anche alcune note di lettura, se così si possono chiamare.
Abbiamo lavorato un anno, con 32 audizioni, 90 ore di verbali e 4 mila pagine di atti giudiziari che sono state acquisite. Ne abbiamo utilizzato soltanto una parte minima.
L'indagine si muoveva su tre tiranti. Si trattava innanzitutto di censire, anche attraverso la testimonianza raccolta dalla viva voce dei molti dei diretti interessati, le minacce che hanno attraversato e che continuano ad attraversare il mondo dell'informazione in Italia e che, purtroppo, sono in costante incremento. L'ultimo dato di cui la relazione dà notizia parla di 2.060 minacce, attentati e violenze attraverso diverse forme. Tutte le forme sono state raccolte e raccontate in questa relazione.
C’è molta fantasia, c’è molta esuberanza nel momento in cui bisogna provare a mettere a tacere un giornalista. Una volta si pensava soltanto alle pallottole per posta. Adesso c’è un uso disinibito di strumenti di offesa diretta, ma a volte anche il ricorso strumentale ad artifici del diritto. Sono 2.060 i giornalisti minacciati dal 2006 al 2014.
L'ultimo dato che abbiamo riguarda i primi dieci mesi del 2014. Ci sono stati 421 atti di violenza e di intimidazione, quasi uno ogni tre giorni e molti – più di trenta – sono i giornalisti sottoposti a misure di tutela.
La relazione ha acquisito un'altra realtà abbastanza preoccupante, un altro dato di fatto, ossia che non esistono zone franche. Lo scorso anno soltanto la Valle d'Aosta e il Molise non hanno registrato aggressioni o intimidazioni contro l'informazione.
Peraltro, stiamo parlando, come suggerisce anche la relazione di Ossigeno per l'informazione che abbiamo acquisito agli atti della nostra inchiesta, solo della punta dell’iceberg. Non sono moltissimi i giornalisti che, pur essendo stati intimiditi o minacciati, decidono di denunciare gli episodi, Pag. 4anche perché molto raramente tali episodi hanno poi un esito risolutivo sul piano giudiziario.
Il Comitato ha provato a mettere insieme e ad analizzare il repertorio degli avvertimenti. Dicevamo che si tratta non soltanto di avvertimenti diretti e di impianto più tradizionale, ma anche di abusi del diritto, con centinaia di querele e di azioni legali di risarcimento, spesso pretestuose esercitate, o semplicemente minacciate e agitate, con l'intenzione di intimidire e di indurre al silenzio.
Abbiamo avuto alcune audizioni particolarmente significative per l'esperienza che ci hanno portato. Cito fra tutte quella della giornalista Gabanelli, la quale ci ha spiegato di avere di fronte a sé un monte di 257 milioni di euro richiesti attraverso varie azioni civili, con picchi che arrivano a 125 milioni da parte di una multinazionale delle telecomunicazioni. A fronte di tutto questo ha un'unica condanna per 30 mila euro.
Basta mettere insieme questi due elementi, che sono piuttosto poco in sincronia tra loro – una condanna per 30 mila euro e richieste per 257 milioni di euro – per far emergere abbastanza chiaramente un uso che spesso ha una vocazione, una funzione, soltanto intimidatoria.
Naturalmente, la Gabanelli ci ha portato un'esperienza fortemente garantita, dal suo punto di vista, dall'editore, che è la RAI, che è in condizione di poter accantonare le somme necessarie a fare fronte a queste cause. Ciò che abbiamo raccolto – non sto adesso a tediarvi su note notizie e testimonianze che avete già letto – riguarda, però, un pulviscolo di giornalisti, di cronisti e di corrispondenti di provincia per i quali un'azione giudiziaria, anche con pretese miti, pretende uno sforzo economico per essere presenti nel procedimento, anche se poi questo si concluderà, come quasi sempre accade, con un'assoluzione.
L'altro tirante sul quale noi ci siamo concentrati, l'altro aspetto del problema, è un'informazione che ha subìto gli effetti di queste intimidazioni e che l'ha trasformata anche in una necessaria opacità del proprio lavoro. Si tratta di un'informazione reticente, a volte anche con spazi di contiguità che sono stati considerati tali anche con sentenze passate in giudicato. Naturalmente, un giornalista minacciato, costretto o indotto a tacere, o che sceglie di tacere, rappresenta in ogni caso un danno immediato e rilevante per la qualità dell'informazione e per l'intera comunità civile.
Ci sembrava importante, accanto al racconto e al censimento puntuale di tutto ciò che hanno subìto giornali e giornalisti, raccontare anche quest'altro aspetto, che è altrettanto preoccupante e grave, ossia il modo in cui questa violenza, questa minaccia o la necessità di creare rapporti di reciproca compiacenza abbia finito poi per condizionare, anche se si tratta di episodi, una parte dell'informazione italiana.
Il terzo tirante che abbiamo sviluppato, grazie soprattutto all'apporto dei nostri consulenti, riguarda una fotografia abbastanza minuziosa di ciò che esiste oggi nella normativa dalla Carta costituzionale in giù e quali possono essere gli interventi. Poiché ci siamo mossi sovrapponendoci al percorso di discussione e approvazione della legge sulla diffamazione, abbiamo evitato di entrare nel merito delle singole soluzioni, provando a delineare alcuni scenari e alcune necessità che questa o altre leggi dovrebbero provare ad assumere.
Fornisco alcune note di lettura per una relazione che è piuttosto complessa. Consta di più di ottanta pagine. Chi cercasse in queste pagine un instant book resterà deluso. Questo non è un libro di Saviano, né di Fava, né di un altro parlamentare. Non è una drammatizzazione o una sceneggiatura di ciò che accade nel mondo dell'informazione in rapporto con la mafia, ma è una fotografia e non è dedicata ai giornalisti che la leggeranno affinché possano costruirvi un titolo. Io mi rendo conto che forse questa relazione non proporrà immediatamente titoli in apertura ai giornalisti quando la vedranno, ma non era questo il nostro obiettivo.
La nostra relazione è indirizzata al Parlamento e, come ogni fotografia, ha bisogno di essere il più possibile puntuale Pag. 5e, allo stesso tempo, distaccata rispetto agli eventi che narra, ai fatti che ha raccolto e alle testimonianze. Noi abbiamo raccolto anche testimonianze imbarazzanti nella loro gravità, ma anche nel dolore che ci raccontavano.
Abbiamo notizia, naturalmente, dei casi più eclatanti. Qui abbiamo conosciuto un'umanità minore di giornalisti, di corrispondenti e di freelance, che è una categoria maledetta, secondo le considerazioni del nostro ordine e del nostro contratto nazionale, che sono venuti a portarci storie complesse. Cito per tutte la storia di una giornalista milanese di 25 anni che, con un lavoro molto giudizioso e molto puntuale, ha costretto alla fine l'istituzione a mettersi in moto in un lavoro di attenzione sul comune di Sedriano. Quest'attività giornalistica e quelle che ne sono conseguite hanno portato allo scioglimento di questo comune. Questa giornalista oggi lavora in un fast food per riuscire a mettere insieme il soldo che le permetta di sopravvivere.
Questa è una fotografia in cui l'estensore ha cercato di mantenersi molto defilato, un po’ perché si tratta di materie che conosco anche dal punto di vista emotivo, un po’ perché faccio questo mestiere, un po’ perché credo che il compito dell'estensore fosse quello di non esprimere giudizi di merito, ma di mettere la Commissione e il Parlamento di fronte all'oggettività di alcuni fatti, di alcune vicende e di alcune testimonianze. Sono questi fatti che vengono sottoposti alla valutazione che ne farà il Parlamento. Parlano gli auditi. Abbiamo svolto, infatti, 32 audizioni. Dirò poi una cosa in particolare sul metodo che si è voluto seguire per alcune di queste audizioni.
Parlano anche gli atti giudiziari raccolti. Abbiamo raccolto, come dicevo, 4 mila pagine di atti giudiziari. Naturalmente, questa relazione racconta soltanto di alcune decine di essi, sia per ragioni di sintesi, sia perché abbiamo deciso di utilizzare soltanto gli atti giudiziari che raccontano, raccolgono e recensiscono fatti che hanno una loro refluenza immediata sull'autonomia della stampa e sul condizionamento che può subire l'informazione. Tutte le vicende correlate le abbiamo tenute fuori da questa relazione.
Le audizioni, per eccesso di scrupolo, soprattutto quando si prestavano a essere piuttosto intense nella discussione con il Comitato, si è pensato di proporle integralmente, nel senso di proporre il verbale dell'audizione, in modo da non essere costretti a operare sintesi che potessero sembrare arbitrarie. Sto parlando delle audizioni di impianto più polemico rispetto al lavoro che sta facendo questo Comitato. Parlo di una per tutte, ossia dell'audizione di Sansonetti. Chi è stato presente ha visto come Sansonetti durante l'audizione, ma soprattutto il giorno dopo, abbia tacciato la Commissione antimafia nel suo complesso di essere una sorta di tribunale di Norimberga perché si permetteva di porre domande al direttore di un giornale su alcune cose accadute in Calabria, sul trattamento che era stato riservato alle notizie che riguardavano due testimoni di giustizia e sull'epilogo che queste vicende hanno avuto.
Poiché si è trattato di una discussione civile ma abbastanza intensa, abbiamo pensato, per esempio, che l'audizione di Sansonetti non dovesse essere riferita de relato, ma con le domande e le risposte riportate in modo integrale, affinché si riconosca l'audito e poi ne venga beneficio al lavoro di tutta la Commissione.
La stessa cosa è stata fatta anche con il direttore del Giornale di Sicilia Pepi. Non ci sono state particolari difficoltà nella conduzione di quell'audizione, ma, per la delicatezza di alcuni argomenti trattati e per il fatto che alcuni di questi argomenti riguardassero direttamente il giornale di cui Pepi è condirettore responsabile, il suo editore Ardizzone e la persona di Giovambattista Pepi, anche in questo caso abbiamo ritenuto che l'audizione dovesse essere riportata in queste parti in modo integrale.
Questa relazione non è né una requisitoria, né un'arringa in difesa. Anche per questo motivo abbiamo pensato di ascoltare i direttori dei giornali alla fine. Abbiamo raccolto le testimonianze, attraverso Pag. 6decine di audizioni, di molti giornalisti e abbiamo voluto condividere e discutere con i direttori dei giornali tutte le vicende che chiamavano in causa quei giornali affinché fossero in condizione – sia Pepi, sia Sansonetti, ma anche gli altri direttori degli altri grandi giornali del Sud – di poter discutere con cognizione di causa di tutto ciò che era stato riportato in questa Commissione per quanto riguarda sia le audizioni fatte, sia gli atti giudiziari che avevamo nel frattempo acquisito.
L'unica eccezione è, come sapete, quella di Mario Ciancio, che ha ritenuto di sottrarsi all'audizione perché era chiamato a rispondere su episodi che riteneva sarebbero stati oggetto di quest'audizione. Pertanto, il suo avvocato ci ha scritto dicendo che il suo cliente si avvaleva della facoltà di non rispondere.
Gli atti giudiziari, ripeto, sono stati acquisiti soltanto in minima parte e soltanto quelli che hanno un riferimento immediato a possibili condizionamenti, o che tali sono stati ritenuti dagli organi giudiziari, sulla qualità dell'informazione. Dico anche questo come chiave di lettura. Naturalmente, quelle parti che sono non centrali, ma nemmeno marginali, che sono una parte non preponderante di questa relazione, la quale ha dovuto raccontare le vicende che riguardano alcuni giornali siciliani, rappresentano tutto fuorché un atto di accusa nei confronti del giornalismo siciliano o di alcuni giornali.
Questo è stato posto con chiarezza anche in alcuni passaggi che sono stati aggiunti all'integrazione alla relazione. Ringrazio anche il senatore Torrisi dei suggerimenti che ci ha dato affinché fossimo chiari: noi non abbiamo voluto fare la storia giornalismo siciliano, ma abbiamo voluto raccontare fatti che riguardavano editori e direttori, con una clausola di assoluta salvaguardia, che è stata posta in modo chiaro nella relazione, nei confronti dei redattori di quei giornali, che non devono rispondere di vicende giudiziarie passate, presenti o future che riguardano i loro editori o i loro direttori.
Questa non è la storia del giornalismo, naturalmente. Se avessimo fatto la storia del giornalismo, non avremmo avuto bisogno forse di 32 audizioni e di 4 mila pagine di atti giudiziari, ma non era compito nostro elencare virtù e meriti.
Peraltro, ci sembra persino irrituale in una relazione sul giornalismo in Italia, che ha un focus particolare sul giornalismo in Sicilia, dover spendere particolari parole in difesa di un giornalismo che ha consegnato alla storia di questa nazione otto giornalisti ammazzati. Io penso che questo saldo piuttosto dolente dia ampia dimostrazione di quali siano stati nella storia del giornalismo siciliano, e non soltanto siciliano, le virtù e i meriti che questa relazione ha voluto dare per acquisiti, intanto nella storia degli otto giornalisti uccisi.
Per quanto riguarda, invece – vado a concludere – l'acquisizione di alcuni atti giudiziari, noi abbiamo acquisito atti giudiziari in varie circostanze quando abbiamo ritenuto che ciò fosse necessario al compimento di questo percorso, ma soprattutto nel caso di Ardizzone e, in maniera più preponderante, nel caso di Mario Ciancio, anche per le vicende di cronaca che lo riguardano.
Voglio soltanto puntualizzare che su Ardizzone gli atti giudiziari che sono stati ricordati, evocati e acquisiti nella relazione sono tutti atti giudiziari contenuti in una sentenza passata in giudicato riguardo all'omicidio del giornalista Mario Francese.
Quanto a Mario Ciancio, il giudizio più netto contenuto nella relazione che lo riguarda non è contenuto nella richiesta di rinvio a giudizio, ma in una sentenza di primo grado che riguarda la condanna a sei anni e otto mesi di Raffaele Lombardo. La sentenza è stata emessa il 19 febbraio 2014. Già in questa sentenza viene detto in modo abbastanza puntuale che l'editore, attraverso contatti con cosa nostra di Palermo, avrebbe apportato «un contributo concreto, effettivo e duraturo alla famiglia catanese». Naturalmente, l'inchiesta proseguita dalla procura ha sviluppato questo concetto con un'attività istruttoria che è andata avanti per molti anni e ha portato a questa richiesta di rinvio a giudizio.Pag. 7
L'altra vicenda che riguarda Mario Ciancio, che è stata evocata da molte audizioni e per la quale abbiamo, a sua volta, ritenuto di dover utilizzare materiali raccolti nella richiesta di rinvio a giudizio è una vicenda che è stata già ampiamente acquisita in una sentenza passata in giudicato, la sentenza del processo Orsa Maggiore. Riguarda l'incontro fra Mario Ciancio e il boss mafioso Giuseppe Ercolano alla presenza di alcuni giornalisti, in particolare alla presenza del giornalista colpevole di avere scritto un articolo in cui questo capomafia veniva citato per gli atti giudiziari che lo riguardavano.
Si tratta di una vicenda che all'epoca fece molto scalpore e che è finita, anche attraverso le testimonianze di Mario Ciancio e del giornalista di cui parliamo e di cui diamo conto nella relazione, in un processo con sentenza passata in giudicato. Oggi viene utilizzata anche nella richiesta di rinvio a giudizio.
Infine, per i passaggi che possono non essere contenuti in sentenze passate in giudicato – sono molto pochi, penso che l'unico riguardi soltanto la rogatoria che è stata richiesta – io vorrei ricordare che è una prassi di questa Commissione antimafia, qualora sia necessario per contestualizzare l'analisi e l'indagine che si fanno, citare anche vicende giudiziarie che non si sono ancora concluse con un rinvio a giudizio. Vorrei ricordare due episodi, due relazioni, in particolare quella di minoranza di Pio La Torre, che abbiamo più volte in questi mesi evocato.
Il capitolo che riguarda Palermo in questa relazione si intitola Cassina e il sistema di potere mafioso a Palermo. Ve ne leggo le prime righe: «Un altro pilastro del sistema di potere mafioso a Palermo è rappresentato dall'impresario Arturo Cassina, che ha gestito interrottamente per trentasei anni il servizio di manutenzione delle strade e delle fogne del comune di Palermo». Tutto questo veniva fatto in assenza, com’è logico nel 1976-77, di qualsiasi attività giudiziaria che riguardasse Cassina, che poi verrà, invece, giudicato e condannato.
Più recentemente, la Commissione Violante, in qualche stralcio del lungo rapporto finale, parla del deputato Maira. In questo caso ho voluto citare soltanto episodi di parlamentari e non anche di altri amministratori. Il deputato Maira era accusato di aver versato, in occasione delle elezioni regionali siciliane, la somma di 25 milioni per ottenere il controllo e la protezione dell'ufficio elettorale da parte di una famiglia mafiosa. Il deputato Maira per questa vicenda è stato successivamente rinviato a giudizio.
La stessa cosa riguarda il deputato Occhipinti, accusato di aver fatto parte di un comitato d'affari politico mafioso che alterava le gare d'appalto per favorire cosa nostra, e il deputato Culicchia, a cui era stato contestato di essere al servizio della famiglia mafiosa degli Accardo.
Anche qui stiamo parlando di vicende che la relazione Violante assumeva già come prime notizie di reato. Una per tutte, la più nota, riguarda l'ex Presidente del Consiglio, senatore Andreotti, che, spiegava la relazione, ha avuto contestato di aver «contribuito non occasionalmente alla tutela degli interessi e al raggiungimento degli scopi dell'associazione per delinquere denominata cosa nostra». Questo avveniva in una fase assai precedente non alle sentenze e al processo, ma persino alla richiesta di rinvio a giudizio.
Questi sono, per sintesi, il lavoro e anche alcuni spunti di interpretazione e di lettura che ho voluto fornire. Ancora una volta – l'ho già fatto in Ufficio di Presidenza – vorrei ringraziare non solo i colleghi del Comitato, ma anche i nostri consulenti e i nostri funzionari, senza i quali questo lavoro, soprattutto di trascrizione di novanta ore di audizione, non l'avremmo mai potuto fare.
PRESIDENTE. Grazie a lei, onorevole Fava. Credo che ci troviamo di fronte a un lavoro estremamente interessante, sicuramente frutto di un grande impegno da parte di chi ha coordinato il Comitato, ma anche da parte di chi vi ha partecipato. Anch'io colgo l'occasione per ringraziare i consulenti e i funzionari della Camera per Pag. 8il supporto fondamentale che è stato da loro fornito.
Su questa relazione, come anche il relatore sa bene, sono già stati manifestati, accanto ad apprezzamenti, anche alcuni interrogativi. Questa è la prima occasione nella quale è bene che emergano. Pertanto, aprirei la discussione.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
FRANCESCO D'UVA. Presidente, la lista è lunga, ragion per cui sarò molto breve. Del resto, volevo soltanto esprimere apprezzamento per la relazione. Io sono stato uno dei membri di questo Comitato. Inizialmente non ero convinto di potervi partecipare tanto e di poter garantire sempre la mia presenza e, di fatto, non ho potuto farlo proprio puntualmente ogni volta, ma devo dire che è bastato poco, è bastata l'audizione di Lirio Abbate e di Giovanni Tizian per capire immediatamente quanto fosse interessante l'oggetto di questo Comitato.
Voglio esprimere anche rammarico per il fatto che, purtroppo, questi Comitati non sempre sono molto frequentati, il che è davvero un peccato perché le audizioni più interessanti in questi due anni, devo dire, sono state proprio quelle nei Comitati piuttosto che quelle in plenaria. Questa considerazione vale per questo Comitato, come vale per tutti. Forse, più che portare io un contributo alla Commissione in queste occasioni, mi sto arricchendo da queste notizie e da queste informazioni.
Pertanto, prego sicuramente tutti i colleghi di leggere questa relazione e gli interventi che ci sono stati. Con riferimento agli interventi che ci saranno, in generale, mi auguro che successivamente si possa garantire maggiore presenza a tutti i Comitati e un lavoro il più possibile ampio e bipartisan. Forse è sbagliato questo termine, ma dovremmo cercare di essere tutti d'accordo su questi temi, che sono molto importanti.
Grazie.
DAVIDE MATTIELLO. Vorrei aggiungermi alle congratulazioni serie, perché credo che questa relazione aiuti tutti a riflettere su uno dei fattori determinanti nel contrasto alle mafie e alla cultura di mafia.
Nella mia personale esperienza voglio fare un passaggio molto breve, ma che ritengo doveroso. Il lavoro di Libera informazione, un lavoro iniziato e condotto nella prima fase da un giornalista che non c’è più, Roberto Morrione, che tengo a ricordare in questa sede questa sera, è stato un contributo grandissimo alla capacità di un'intera comunità in movimento di mettere a fuoco, di allarmarsi e di avvertire in tre dimensioni, non nelle semplici due dimensioni della parola scritta. Quando la parola scritta è scritta bene, dà il senso delle tre dimensioni e aiuta davvero la coscienza comune a formarsi e a determinarsi. In questo grazie ricomprendo, quindi, anche il lavoro di chi non c’è più, come Roberto Morrione.
Come secondo passaggio, voglio attirare la nostra attenzione su una delle storie che vengono ricapitolate dentro questa relazione, la storia di Pino Maniaci e di Telejato. Io ritengo che questa storia, così chiaramente richiamata per il suo valore antagonista dentro la relazione, ci debba interessare e ci debba interrogare, non solo per ciò che nella relazione viene richiamato in termini di esposizione al rischio, ma anche per l'oggetto di questo lavoro nella sua ultima fase.
Io credo che gli oggetti ci debbano preoccupare in quanto tali. Alludo alle ripetute denunce fatte recentemente da Telejato su alcune modalità di gestione dei beni sequestrati e confiscati alle mafie in Sicilia, un altro tema che interessa questa Commissione.
Per questo – e concludo – io auspico che la Commissione voglia acquisire, per verificarne la portata e la misura, gli atti processuali che si stanno sviluppando sul tribunale di Roma, perché, per quello che mi risulta, dopo le denunce che Telejato ha ripetutamente fatto in un certo senso, l'avvocato Cappellano Seminara è imputato per truffa aggravata presso il tribunale di Roma. Mi risulta anche che l'avvocato Pag. 9Cappellano Seminara abbia denunciato, non per diffamazione, ma per stalking, il giornalista Pino Maniaci.
Io credo che la Commissione si arricchirebbe se acquisisse questa documentazione, ripeto, intanto per verificare come stanno le cose e, se stanno in questo modo, per contribuire a una più ricca e profonda valutazione di queste storie e del contesto nel quale queste storie faticosamente si muovono.
Grazie ancora all'onorevole Fava e a chi l'ha coadiuvato in questo lavoro.
VINCENZA BRUNO BOSSIO. Io chiedo di segretare il mio intervento.
PRESIDENTE. Propongo di procedere in seduta segreta.
(Così rimane stabilito. I lavori della Commissione proseguono in seduta segreta, indi riprendono in seduta pubblica).
ROSARIA CAPACCHIONE. Io mi trovo in una situazione un po’ imbarazzante, perché sto parlando in non so quale delle mie innumerevoli vesti in cui compaio in questa relazione. Cerco di astrarmi da tutti i ruoli, tranne quello istituzionale.
Poiché io sono parte in causa, probabilmente ho una lettura parziale della relazione. Ne ho parlato anche con Claudio Fava. Al di là del valore delle testimonianze raccolte e delle proposte legislative che ci sono, con le critiche, che tra l'altro saranno utilissime quando il disegno di legge sulla diffamazione tornerà, a ore, in Senato – questo disegno di legge rappresenta, io credo, la pietra tombale su ogni possibilità presente e futura di pensare di fare informazione, perché quel poco che si era riuscito a inserire in Senato è stato brutalmente buttato nel cestino – ci sono delle cose che mi sarebbe piaciuto vedere. Probabilmente è la mia opinione. Penso a quello che riguarda l'altro sistema. Un sistema è fatto di vittime, di carnefici e di persone che fingono di essere vittime e che sono, a loro volta, carnefici.
In questa storia ci sono, per esempio – ne abbiamo anche parlato – piccoli giornali locali, per quello che mi risulta anche campani (che conosco), che hanno usufruito fino al 2012, quando ci sono stati finanziamenti massicci, di cospicui finanziamenti pubblici. Questi giornali, che sono spesso stati la voce di comitati d'affari o di clan mafiosi – uso il termine «mafioso» in senso generico – o di editori molto spregiudicati, non solo hanno aggirato le norme che riguardano il lavoro, i contratti e la sicurezza sul lavoro, ma hanno anche utilizzato per fare questo finanziamenti pubblici, facendo come minimo una concorrenza sleale a quelli che, invece, hanno cercato più o meno di dare un indirizzo legittimo e legale alla loro attività editoriale.
Manca anche, il che mi dispiace, tutta la parte del web e dell'uso mafioso che fanno taluni blog che non sono blog, che servono esclusivamente a fare ricatti ed estorsioni e che sono il megafono di organizzazioni mafiose, senza che nessuno riesca a inquadrarli bene, perché, vista l'estrema volatilità del web, spariscono così come nascono. Eppure sono strumenti precisi e molto offensivi dell'attività.
Secondo me saremmo ancora in tempo per fare questo approfondimento. In questo modo questo sarebbe un lavoro completo e strutturato anche in varie maniere.
Mi diceva il vicepresidente Fava, con cui ci siamo sentiti spesso su questo tema, che il finto giornalismo minacciato può far parte di un altro gruppo di lavoro. Tuttavia, io ho un'anticipazione l'avrei fatta. Su alcune cose che sono emerse anche nel corso delle audizioni, con riferimento a persone che palesemente non erano vittime di alcunché, un capitoletto dedicato io, francamente, l'avrei messo, così come avrei inserito un capitoletto dedicato ai soldi pubblici che sono andati per oltre dieci anni a giornali che sono anche citati in questa stessa relazione.
GIUSEPPE LUMIA. Questo è un lavoro che mancava nel lungo itinerario della Commissione parlamentare antimafia, un lavoro complesso e difficile, ma utilissimo, Pag. 10un lavoro che può aiutarci bene ad aprire uno squarcio su una realtà che è stata sempre tenuta in penombra, con il protagonismo di alcuni giornalisti che hanno portato un prezioso contributo a fare un'informazione realmente coraggiosa e libera in un territorio in cui dobbiamo pensare che dare nome e cognome a un boss e descrivere un appalto truccato e un sistema di collusione con la politica ben determinato diventa un'eresia che può far pagare col prezzo della vita una rottura che gli ambienti mafiosi e il contesto delle collusioni non hanno mai accettato.
Pertanto, questo è stato un lavoro prezioso che condivido e che penso possa diventare una pista di lavoro che può continuare a dare dei buoni frutti.
Accanto a questo lavoro, però, io avrei un po’ di più apprezzato l'evoluzione che c’è stata nell'informazione, sotto due profili. Si tratta di un'informazione comunque positiva, che è cresciuta e che ha fornito un contributo straordinario nella lotta alla mafia. Ci sono alcuni di questi protagonisti, ma mi sarebbe piaciuto dare conto anche di un'evoluzione, di un cammino che si è fatto. Di questo cammino mi sarebbe piaciuto lasciare traccia e dare anche il senso che non è detto che l'informazione debba solo subire, non è detto che l'informazione cammini solo con le gambe di azioni straordinarie e positive, ma può diventare anche una scelta e può anche far camminare e far evolvere alcune condizioni.
Poi c’è – e in questo mi rifaccio a quello che diceva Rosaria Capacchione poco fa – anche contemporaneamente un'evoluzione negativa. C’è una microinformazione locale che spesso è ancora sotto il giogo del condizionamento mafioso e c’è anche un'informazione – ma non tutta, attenzione: guai a fare una lettura semplicistica e banale – nel web che viene pilotata direttamente dalle organizzazioni mafiose su cui noi dobbiamo accendere il riflettore e cominciare ad aprire uno squarcio di inchiesta da parte della stessa Commissione.
Ecco perché, alla luce di questo lavoro, io penso che un approfondimento sull'evoluzione che c’è stata sarebbe opportuno. Faccio un esempio. Io ho molto apprezzato il piglio veritativo e d'inchiesta che è stato fatto sul Giornale di Sicilia, che conosco meglio, ma c’è stata anche lì un'evoluzione positiva, in questi ultimi anni, che andrebbe raccontata e che andrebbe meglio focalizzata, come meglio andrebbero focalizzati i rischi che ancora si corrono nelle microrealtà territoriali con quell'informazione ancora controllata che umilia.
Sto mettendo a fuoco, per esempio, l'informazione che fa un giornalista di Trapani, che forse Claudio Fava conosce bene, Rino Giacalone. Forse merita uno spaccato un po’ più puntuale perché ci dà conto di quanto ancora sia difficile in molti territori fare informazione. Pertanto, sarebbe opportuno dargli la giusta voce e la giusta rappresentanza accanto a quei casi che qui sono stati descritti e che io ho potuto conoscere e apprezzare. Avete fatto bene a metterli in piena evidenza, da Telejato a tutte le altre forme di informazione a cui prima si faceva riferimento.
È necessario, però, anche dare conto di questa evoluzione. Si può fare un lavoro un po’ più completo senza dilatarlo a lungo. Lo stesso vicepresidente Fava, la senatrice Rosaria Capacchione e gli altri che ci hanno lavorato hanno le conoscenze e le competenze per poterlo fare. Mi auguro, quindi, che, arricchendo questo lavoro, esso possa portare veramente quella svolta e anche quella novità positiva della Commissione parlamentare antimafia di questa legislatura proprio su questo tema di cui abbiamo veramente molto bisogno.
MARCO DI LELLO. Intervengo davvero brevemente, presidente. Io credo, senza infingimenti, che sia stato fatto davvero un lavoro importante, che qualifica questa Commissione.
Confesso anche un certo scetticismo iniziale. Questo mi sembrava un Comitato fatto apposta per il vicepresidente Fava. Lo dico in maniera provocatoria, come spesso amo fare. Invece, devo dire che c’è un prodotto davvero di alto livello. Penso, Pag. 11quindi, che noi dobbiamo essere sinceramente grati al vicepresidente Fava e al Comitato per il lavoro che è stato fatto.
Intanto mi dispiace che sia uscita sui giornali. Lei si era anche raccomandata l'ultima volta. È complicato, mi rendo conto, gestire la necessità, anzi il dovere, di consentire a ogni commissario di esprimersi con cognizione di causa e le esigenze di segretezza. Non so in che modo, ma è evidente che questo nodo in qualche maniera lo dovremo sciogliere.
Detto questo, però, la pubblicazione su un giornale locale non influisce, per quanto mi riguarda, su un giudizio assolutamente positivo. Mi preoccupa...
VINCENZA BRUNO BOSSIO. È quello di Pollichieni. Non è un giornale qualsiasi.
MARCO DI LELLO. È chiaro. Comunque, la pubblicazione ci pone un tema, ci pone un problema, ma non inficia il giudizio complessivo.
Io sono molto preoccupato, però, sul messaggio che noi rischiamo di dare all'esterno. Su questo vorrei esprimermi, presidente. Mi affido poi alla sua saggezza. Noi tutto possiamo fare, tranne che far apparire all'esterno, e magari anche sui giornali, che la Commissione antimafia si spacca su un tema, peraltro, così straordinariamente delicato. Occorre fare ogni sforzo perché si registri il massimo del consenso, sostanzialmente l'unanimità, senza svilire in alcun modo il lavoro, che ha il pregio di fare nome e cognome, come bisogna fare, perché noi siamo una Commissione d'inchiesta. Altrimenti ci diamo alle letture di romanzi.
Mi preoccupa anche se noi concludiamo con un rinvio. Io capisco le esigenze di approfondimento che sono state poste dai colleghi Lumia e Capacchione, ma penso che noi non possiamo dare in alcun modo, presidente, all'esterno il messaggio che questa relazione venga qui impantanata e bloccata. Io ho questo tipo di preoccupazione.
Come sapete, io sono abituato a parlare il linguaggio della franchezza. Cerchiamo di contemperare con la saggezza dovuta entrambe le esigenze, da un lato quella dell'approfondimento per avere il massimo del consenso e, dall'altro quella di evitare che in qualche modo possa apparire una divisione al nostro interno sulla valutazione di questo, che è, a detta di tutti, un lavoro di grande pregio e qualità.
Pertanto, presidente, io mi concentrerei, al di là del merito, nello sforzo di trovare una forma e una soluzione che ci consentano rapidamente di arrivare a un'adozione comune e a considerare questo lavoro un patrimonio comune.
CIRO FALANGA. Pur apprezzando indubbiamente il lavoro del Comitato e, in particolare, del suo coordinatore, il vicepresidente Fava, io vorrei fare una considerazione di fondo anche sulla base dell'intervento della collega calabrese, ma non soltanto. Dalla lettura della relazione io vedo un lavoro che sostanzialmente riporta le dichiarazioni dei soggetti auditi, ma che è carente sotto il profilo di una valutazione speculativa, di indagine, da parte di chi ha fatto le audizioni.
Vengo al caso un po’ più pratico e prendo a esempio tutta la parte sulle persuasioni legali, che sono sostanzialmente, a dire dell'audita giornalista Gabanelli, una sorta di intimidazione felpata. Attraverso l'azione giudiziaria, cioè, si intimidisce il giornalista.
Peraltro, ci sono sciocchezze che la Gabanelli riferisce anche sotto un profilo squisitamente scientifico. Per esempio, afferma che nel nostro Paese l'articolo 96 del codice di procedura civile viene raramente utilizzato dai giudici ai fini della soccombenza, quella parte che viene poi qualificata lite temeraria. Questo non è vero. Non è vero perché i giudici, quando la lite è temeraria, lo affermano e ne traggono le conclusioni.
Non è vero neanche quando si dice che, quando i giudici accertano che la lite è temeraria, liquidano 1.000 euro. Nella mia breve esperienza di avvocato io ho vinto in appello una causa in cui il giudice del tribunale di Roma aveva condannato un attore che aveva chiesto un risarcimento a L'Espresso di 100.000 euro. In appello io Pag. 12sono riuscito ad avere la modifica della sentenza, soltanto per questa parte, con la riduzione a 20.000 euro.
Quindi, quello che dice la Gabanelli non è esatto. Non è esatto sotto il profilo, come vi dicevo, scientifico, ma neanche sotto un altro profilo. Se lei dice che ha 100-500-1.000 cause, una ragione ci sarà. Un giornalismo così aggressivo è un giornalismo che si deve attendere anche una serie di azioni giudiziarie da parte dei soggetti che si ritengono aggrediti. Saranno poi i giudici a valutare se quell'aggressione lasci configurare l'ipotesi della diffamazione, della calunnia o di altro ed eventualmente a rigettare la domanda, se tale ipotesi non c’è. Mi pare questo lo strumento.
I suggerimenti che si permette, peraltro, di offrire, sulla base di un'indagine di diritto processuale comparato, sono follie. Si dice che in Francia c’è un filtro. Abbiamo anche noi immaginato il filtro, l'abbiamo introdotto nei giudizi innanzi alla Corte di legittimità. In Cassazione c’è il filtro per evitare la strumentalizzazione del ricorso in Cassazione, specialmente in penale, per fare in modo che decorra il termine della prescrizione di determinati reati. L'abbiamo utilizzato, ma certamente non è possibile immaginare una giustizia sommaria civile affidata a un giudizio sommario di filtro.
Alla fine di quest'audizione io mi sarei aspettato da una Commissione, o da un Comitato attento, che sta facendo un'indagine, che non è soltanto di natura giudiziaria, ma anche di carattere sociologico, di capire perché un soggetto riferisca determinate cose e perché rappresenti una realtà che forse non è quella esatta.
La collega mi diceva che è venuto Tizio, che si riportano le notizie che costui ha fornito e che si fanno proprie queste notizie, come se questo signore che è venuto fosse praticamente titolare del verbo e della verità. Il Comitato, la Commissione, deve svolgere un lavoro che va in una direzione completamente diversa, non quella di acquisizione di dati e di informazioni. Deve porre comparativamente la dichiarazione dell'uno con la dichiarazione dell'altro e trarre delle conclusioni di attendibilità dell'uno o di scarsa attendibilità dell'altro. Questo è un lavoro speculativo estremamente interessante, che attiene proprio alla natura di questo lavoro.
Per quanto riguarda, invece, un'altra considerazione che ha fatto la senatrice Capacchione, io la condivido perfettamente. Quando la senatrice Capacchione suggerisce eventualmente di andare a verificare quali sono stati i finanziamenti che negli anni sono stati erogati, questi sono dati che noi possiamo acquisire. Sappiamo bene, peraltro – questo lo sappiamo – che, per accedere ai fondi, è vero che ci sono le norme e tutto quanto, ma...
Io sono stato, in una mia esperienza professionale antica, liquidatore di una società della Democrazia Cristiana, di cui la nostra presidente era esponente di spicco. Lei era esponente di spicco della Democrazia Cristiana, mentre io venni nominato dal tribunale di Roma liquidatore del giornale La Discussione, che era andato poi in successione. Conoscevo, quindi, bene e appresi in quell'occasione professionale i meccanismi dei finanziamenti.
I meccanismi dei finanziamenti sono sempre accompagnati anche da sostegni, da accompagnamenti politici. Nell'attività giornalistica non si può trascurare di avere avuto questi compagni di avventura nell'acquisizione dei fondi.
L'osservazione della collega Capacchione è pertinente. In questa direzione, con un'indagine anche per questo verso, relativamente ai contributi di talune testate, in particolare di quelle più di carattere territoriale, poteva andare un lavoro tale che consentisse di capire bene e meglio il fenomeno e raggiungere delle conclusioni che fossero nostre e non delle conclusioni che ci suggerivano la Gabanelli, oppure il calabrese di turno.
CIRO FALANGA. Io questo voglio dire. Attenzione, però: questa mia nota apparentemente critica, ovviamente, sottende l'apprezzamento per i colleghi del Comitato. Sia chiaro, io non sarei stato in Pag. 13grado, né avrei avuto la pazienza di offrire l'impegno che è stato offerto dagli altri. Solo per questa ragione, quindi, io devo dire grazie a loro. Se poi le mie considerazioni possono essere condivise, si può fare un ulteriore ampliamento dell'indagine e andare anche in direzioni diverse da quelle da me modestamente suggerite, ma anche da quelle che eventualmente suggeriscono altri colleghi.
ENRICO BUEMI. Vorrei partire proprio da qui, da questo elemento che caratterizza non soltanto il nostro comportamento, ma anche il comportamento degli altri.
Intanto voglio dire, come premessa, che questo è un crinale molto difficile da tutti i punti di vista. In particolare, è difficile per coloro che vogliono andare nella direzione del non politicamente corretto, che in questa discussione, secondo me, ci sta benissimo. È troppo facile prendere il crinale che porta al consenso, che porta alla condivisione facile, che porta sostanzialmente a condividere questioni di rilevanza nazionale – la mafia è una questione di rilevanza nazionale – sulle quali, però, bisogna fare lo sforzo di distinguere.
Intanto io distinguerei – questo lo dico agli amici e ai colleghi che hanno fatto questo lavoro, sicuramente utile, anche perché ci porta almeno a una discussione franca – i fatti giudiziari dalle opinioni e dalle questioni riferite o interpretate. Guardate, il giornalismo è un compito forse più difficile anche rispetto a quello del politico e del legislatore. Il giornalismo ha una missione, quella di riportare la verità, che ovviamente non è unilaterale.
La verità che noi riportiamo è il nostro punto di vista, se non si basa su questioni definite. Le questioni definite non sono i procedimenti avviati, non sono le sentenze di primo grado e non sono neanche quelle di secondo grado. Sono quelle passate in giudicato, che devono essere riportate come tali. Se si vogliono riportare altre fasi, bisogna avere il coraggio e l'onestà intellettuale di riportarle nelle condizioni in cui sono oggettivamente.
Troppo spesso parliamo di procedimenti giudiziari avviati e non ne diciamo mai la conclusione, ovvero se sono stati conclusi e in quale maniera sono stati conclusi. Questo vale non per l'informazione relativa alla mafia, ma per tutta l'informazione.
Il giornalista, che fa ovviamente un notevole sforzo, spesso la fatica di riferire le cose esattamente come stanno non la fa, forse perché ciò non è utile e conveniente rispetto all'obiettivo che si vuole perseguire. In ogni articolo – non ce la raccontiamo – c’è un obiettivo, e non è quello di informare oggettivamente.
PRESIDENTE. Noi non stiamo facendo un'inchiesta...
ENRICO BUEMI. No, ma io parto da lì perché voglio affrontare anche la questione del rapporto tra mafia e strumenti di informazione nazionale. Non possiamo occuparci semplicemente dei giornali locali. È troppo comodo.
La prima questione è questa: noi dobbiamo distinguere. Le opinioni, le questioni riferite e le interpretazioni devono essere riportate come tali. Il buon giornalismo deve avere questa capacità, altrimenti diventa giornalismo militante per l'antimafia, per la sinistra, per la destra, per sopra e per sotto, per i gay, per gli anti-gay. C’è troppo nell'informazione italiana questa tendenza a perseguire obiettivi non dichiarati, ma espliciti nel contenuto.
L'altra questione riguarda le considerazioni che sarebbero necessarie, ma che sono omesse, o perlomeno che sono aggiunte quando magari non necessarie. Anche qui faccio un esempio molto semplice. Qualche decennio fa, quando c'era uno del Sud che picchiava la moglie, si diceva: «Un calabrese ha picchiato la moglie» o «ha ucciso la moglie». A Torino La Stampa da questo punto di vista era perfetta. Quando c'era un piemontese che picchiava la moglie, era uno che aveva picchiato la moglie.
Adesso siamo passati in una fase diversa. Quando c’è un rumeno che va a Pag. 14prendere il rame, ovviamente è un rumeno. Quando è un italiano...
PRESIDENTE. Collega Buemi, la prego, francamente, a una certa ora, dovremo anche finire. Io capisco tutto, ma adesso che cosa c'entra il romeno con questa questione ?
ENRICO BUEMI. Ah, non c'entra niente ? C'entra nella manipolazione dell'informazione.
PRESIDENTE. Arriviamo al dunque. Stiamo parlando di questa relazione, non di altro. Deve stare alla relazione.
ENRICO BUEMI. Io sto alla relazione e l'ho anche detto. Presidente, le riferisco questo passaggio. Ricordo che nel mio giornale io litigavo spesso con i miei superiori e con i miei capi redattori. Noi avevamo gente col terzo ergastolo, ma che nei titoli era ancora presunta colpevole. Il terzo ergastolo è definitivo o è ancora una fase da definire rispetto al giudicato ?
Quello era il modo in cui si diceva al boss che, se anche si dovevano raccontare il suo arresto e la sua incriminazione, il livello di rispetto veniva mantenuto. Questo livello di rispetto è un elemento negativo in un'informazione, oppure è un elemento necessario sempre ? Il rispetto della persona destinataria della nostra valutazione o della nostra informazione è una cosa che usiamo facoltativamente a seconda delle situazioni, oppure è una cosa che utilizziamo sempre ?
Questi elementi devono essere interpretati all'interno della relazione di una Commissione che io spero riesca a mantenere una sua visione super partes rispetto ai fatti, non perché non si schieri nella direzione della lotta contro la mafia, ma perché sia in grado di distinguere gli obiettivi chiari di qualsiasi attività, anche la nostra, o di alcuni di noi, in modo tale che sia chiaro che noi prendiamo a difesa non quello che ci conviene, ma quello che vale sempre, ossia il dovere di informare correttamente, sia nei giornali, sia nelle relazioni.
ROSARIA CAPACCHIONE. Intervengo solo un attimo per il verbale. Non so quali giornalisti abbia conosciuto Buemi nella sua vita ma, facendo parte di quella categoria, non ho mai fatto gli interessi di alcuno. Per la verità, non ho neanche ricevuto querele per diffamazione.
Difendo i miei colleghi che lavorano tanto e onestamente. Grazie.
SALVATORE TORRISI. Svolgerò pochissime considerazioni. Vorrei sgombrare il campo – è stato paventato anche stasera – dall'idea che chi formula rilievi rispetto a un lavoro importante che è stato fatto dal Comitato presieduto dal vicepresidente Fava abbia come unico intento quello di bloccare i lavori su questo tema e di non voler portare a un risultato.
Al contrario, per quanto mi riguarda, ma anche gli interventi di chi mi ha preceduto, dove sono emersi alcuni rilievi, vanno nella direzione di senso di responsabilità e di grande consapevolezza che questo, essendo un lavoro che non è mai stato fatto su questo tema dalla Commissione antimafia, è un lavoro di grande importanza e di grande impatto anche sull'opinione pubblica. La cautela, il contributo di tutti, la verifica anche di alcune posizioni che sono emerse nel corso delle audizioni servono a dare forza e valore al lavoro svolto dal Comitato.
Nel dare atto al vicepresidente Fava di aver raccolto in parte alcuni miei rilievi e preoccupazioni formulati in sede di Ufficio di Presidenza, sempre con questo spirito costruttivo e confidando nella grande onestà intellettuale del vicepresidente Fava, rilevo – alcune considerazioni sono state fatte anche da Buemi – che forse questa relazione dovrebbe avere un taglio più di dimensione nazionale.
È stato fatto un lavoro molto approfondito sui giornali regionali, soprattutto delle regioni a maggiore rischio, Sicilia, Calabria, Campania, ma non è stato sviluppato il tema di come la grande stampa, i principali giornali nazionali hanno affrontato questa materia nel corso degli ultimi trenta o quarant'anni, se lo hanno affrontato nel modo giusto, se hanno rappresentato Pag. 15una situazione, che poi oggi credo sia riconosciuta da tutti, per cui il fenomeno mafioso è un fenomeno non più legato soltanto alle sue radici, essendo partito dalle regioni che abbiamo indicato, ma è diventato un problema che riguarda l'intera Italia e anzi, nelle parti più sviluppate del Paese, oggi c’è una presenza molto forte, anche perché gli interessi economici della mafia lì si realizzano con più facilità.
Nel tempo non mi pare che la grande stampa abbia dedicato grande spazio a questi temi, quindi sarei curioso di capire perché la grande stampa non se n’è occupata. Suggerirei magari un approfondimento con i direttori dei maggiori quotidiani nazionali, che potrebbe servire a dare un racconto in una visione più ampia rispetto a quello che fa la relazione, che mi sembra molto di tipo regionalistico e localistico.
Io dissento, ma forse per una mia formazione professionale, dal mio amico – se me lo consente – Claudio Fava quando lui ritiene che gli atti di alcuni processi possano diventare una verità storica e addirittura una verità di atti parlamentari.
Alcuni riferimenti che egli fa ad atti processuali, per esempio, richiamano situazioni dove le parti citate non erano parti di quel processo. Credo che questo – non lo dico solo per questi casi, ma in generale – sia un fatto grave. Chi svolge l'attività forense sa che si ritrova spesso con valutazioni in atti giudiziari dove si dice che un tale fatto non è rilevante sul piano penale, però è moralmente grave. Io considero un'affermazione di questo tipo un'aberrazione sul piano giuridico, perché ritengo che l'autorità giudiziaria non debba mai entrare nella valutazione di ciò che è etico e di ciò che non lo è.
A mio giudizio, forse, occorrerebbe un maggior rispetto del principio del contraddittorio, nel senso di dare voce anche a chi può essere, vorrei dire, più obiettivo rispetto ad alcuni auditi. Alcuni auditi, infatti, per esempio con riferimento ai giornali siciliani, è notorio che hanno alcuni pregiudizi, avendo avuto delle cause con questi editori. Sentire dunque delle voci più neutre, più obiettive, anche autorevoli per i ruoli che hanno, credo che possa dare valore e rafforzare il lavoro di questa Commissione.
Condivido anche quello che diceva il senatore Lumia, nel senso che a mio giudizio – faccio riferimento alla Sicilia perché è quella che più conosco – questi giornali, ad esempio il Giornale di Sicilia, La Sicilia, al di là di alcuni episodi (citati da Fava) in cui probabilmente possono aver avuto comportamenti opachi, tuttavia secondo me hanno anche svolto un'importante funzione per l'affermazione – sembra un ossimoro, un paradosso – di princìpi di legalità. In quei giornali scrivono articoli sulla legalità importanti magistrati, importanti intellettuali di quella regione, importanti rappresentanti delle istituzioni nazionali, ai massimi livelli.
Allora, una rappresentazione a mio giudizio più completa, con ulteriori audizioni di alcune firme importanti (anche del passato) di questi giornali, secondo me può aiutare questa Commissione e questo Comitato ad avere una comprensione più completa di una realtà che probabilmente è complessa e difficile.
Auspico che il prosieguo di questi lavori possa essere integrato da ulteriori contributi. Per esempio, sulla vicenda Telecolor, audirne l'ex direttore – che è citato, tra l'altro – Nino Milazzo, che è stato vice direttore del Corriere della Sera, che è stato uno dei giornalisti collaboratori di Enzo Biagi, che viene considerato un giornalista estremamente importante e indipendente, credo che sia un fatto importante.
Inoltre, audire l'ultima direttrice di Telecolor, la dottoressa Michela Giuffrida, che oggi è un'europarlamentare del Partito Democratico, credo sarebbe opportuno. Rispetto a critiche molto forti che sono state fatte da un ex giornalista, che ha avuto un contenzioso con quella televisione, quindi col suo editore, mi pare che queste due audizioni, al fine di comprendere in maniera più completa cosa accadeva nella redazione di quella televisione, potrebbero dare un contributo di verità e Pag. 16di completezza, laddove invece in questo momento si rischia di essere parziali.
Se noi recepiamo soltanto le posizioni di alcuni auditi, secondo me non facciamo quel lavoro di completezza che invece dobbiamo fare e a cui siamo chiamati.
LUIGI GAETTI. Intervengo solo per una battuta che mi è venuta in mente nel prosieguo della discussione che è stata fatta. Innanzitutto vorrei sottolineare l'importanza dei Comitati. Personalmente in questo Comitato ho partecipato solamente a quattro audizioni e le ho apprezzate molto, ho partecipato anche ad altre del Comitato dell'onorevole Mattiello e a molte altre. Per uno studente come me, esse hanno rappresentato un momento di crescita importante.
Ho letto questo lavoro e mi è piaciuto molto perché, essendo io poco esperto, mi ha offerto un inquadramento generale di grande importanza.
Se consideriamo che tale lavoro potrebbe rappresentare il presupposto per sviluppare taluni temi in altri ambiti, come ha detto la collega Capacchione, allora ne aggiungerei uno, anche per un conflitto di interesse personale, cioè il ruolo degli ordini. L'ordine, secondo me, è estremamente importante in tutti quegli ambiti, come anche la mia professione, dove gli aspetti legislativi sconfinano in un ambito etico i cui confini è sempre molto complesso stabilire. Quindi, limitarsi a valutare i fatti in ambito legislativo non basta, ma secondo me dovrebbero essere valutati in ambito etico-professionale e in tale visione si potrebbe chiarire se l'ordine potrebbe avere un significato o meno.
Nel campo medico, per esempio, c’è una camera conciliatoria, come hanno nel mondo anglosassone, che è particolarmente utile e rappresenta un filtro per l'aspetto giudiziario.
Mi interesserebbe anche capire se questo ambito di ragionamento si possa esportare anche in altri ordini, per esempio il mio. Per il resto, credo che questa sia un'ottima relazione, quindi rivolgo un apprezzamento in primo luogo al vicepresidente Fava, che ne è stato il coordinatore, e a tutti coloro che hanno lavorato per raggiungere questo risultato.
ANDREA VECCHIO. Io ho partecipato abbastanza ai lavori di questo gruppo e notavo che molto spesso eravamo in due, Claudio Fava e io.
Credo che la mancanza di partecipazione da parte di tutti gli altri sia un elemento estremamente importante, perché tutte le critiche che stanno venendo a galla questa sera potevano essere portate avanti durante le audizioni e durante i lavori della Commissione. Quindi, se qualche lacuna c’è stata nel fare le audizioni o nel riferire o nel mettere in ordine le cose che sono state rilevate durante le stesse, poteva essere benissimo colmata se il Comitato fosse stato più partecipato.
In alcune occasioni non ho partecipato neanche io, quindi non so se il vicepresidente Fava è stato da solo – nel senso della scarsa partecipazione degli altri commissari – ad ascoltare. Dunque, la prima analisi critica dovremmo farla verso noi stessi che abbiamo latitato e che non abbiamo partecipato a sufficienza, in maniera da avere l'opportunità di rilevare allora alcune lacune che si stanno rilevando al momento della lettura.
Per il resto, il fatto che sia stata diffusa la relazione prima ancora che fosse resa nota a tutti noi mi pare un elemento di una gravità assoluta. Se non dobbiamo avere fiducia sia rispetto ai commissari, sia rispetto ai funzionari, sia rispetto a tutto il personale che è a conoscenza di questo documento, credo che ci sia una riflessione molto importante da fare. Non è corretto che si debba leggere sulla stampa notizie che sono segretate.
LUCREZIA RICCHIUTI. Io facevo parte di questo Comitato e credo che, tutto sommato, sia stato fatto un buon lavoro. Fra l'altro, non ho partecipato a tutte le audizioni, ma alla maggior parte delle audizioni che sono comprese nella relazione.
Rispetto al tema sollevato dalla collega Capacchione, credo che lo affrontiamo, anche se non in modo approfondito, nell'audizione Pag. 17di Antonio Polito, il quale parla della possibilità che ci siano giornali, web eccetera in qualche modo gestiti per esempio dalla camorra.
Tuttavia, nello stesso tempo, il direttore dell'ordine dei giornalisti Ottavio Lucarelli dice anche che bisogna stare attenti e bisogna provare (perché va provato) che possano esistere – non lo esclude, ma dice che va provato – giornali che sono in mano alla camorra. Poi cita l'esempio di un giornale campano e dice che, se è vero che il direttore è stato condannato per estorsione, lui può assicurare, perché li conosce uno per uno, che tutti i giornalisti di quel giornale sono bravissime persone.
Allora, non credo che sia compito della Commissione indagare e provare che ci siano giornali di questo tipo. È un tema che si potrà approfondire, ma vi ricordo che il titolo dell'indagine riguardava giornalisti che hanno ricevuto intimidazioni da parte delle mafie. Questo era il tema. Né era previsto che dovessimo verificare se erano stati licenziati in modo legittimo o illegittimo. Non era questo il nostro compito.
Inoltre, ho assistito all'audizione del giornalista Sansonetti e credo che...
PRESIDENTE. Dobbiamo segretare ?
LUCREZIA RICCHIUTI. No. Credo che Sansonetti si sia particolarmente innervosito alla domanda circa le ragioni per cui aveva licenziato un giornalista che aveva ricevuto una lettera anonima ed era stato oggetto di un'intimidazione.
Comunque, non facciamo tante discussioni, ma leggiamo che cosa dice Sansonetti: «L'unica cosa sulla quale posso invece pensare di aver fatto una stupidaggine è stata nel non oppormi frontalmente al licenziamento di Musolino, che pure era un elemento quasi ingestibile perché non seguiva le indicazioni» – non ho capito quali – «lavorava solo con dei verbali suoi, non faceva lavorare gli altri. Ciononostante penso di aver fatto un errore».
Quindi, io credo che lui si sia innervosito per le domande che gli abbiamo fatto... Di solito si fa il contrario; quando un giornalista riceve un'intimidazione la redazione fa quadrato intorno al giornalista e sicuramente non lo licenzia.
Quindi, lui si è innervosito, ma dobbiamo anche capirlo, Sansonetti, perché all'inizio dell'audizione dice anche: «Io sono sceso in Calabria nel 2010; era una regione che io non conoscevo», quindi possiamo anche capire che, poverino, è arrivato in una regione che non conosceva, non conosceva probabilmente certi meccanismi e alla fine ha licenziato il giornalista ma poi ha anche ammesso di aver sbagliato.
La cosa che mi ha impressionato di più, a parte le intimidazioni e le notizie di come vivono questi giornalisti e le loro famiglie, è il tema dei freelance, di questi giovani che lavorano quasi gratis, non sono tutelati da nessuno, subiscono queste querele e non hanno la possibilità di lavorare. Questo è un tema che noi dobbiamo affrontare, non dico solo come Commissione antimafia, ma come politici.
Guardate che in Italia, ormai, esiste la schiavitù: esiste in agricoltura, esiste in Puglia, esiste in Calabria, esiste nell'Agro Pontino, esiste nel mantovano, abbiamo scoperto che esiste in Piemonte. E come possiamo chiamare questi giornalisti ? È la stessa cosa, quindi è un tema che noi dobbiamo affrontare, siccome viviamo in un Paese – spero – civile.
Peraltro, il tema del giornalismo e della libertà di espressione è un tema fondamentale, che spero questo Parlamento affronti al più presto. Grazie.
PEPPE DE CRISTOFARO. Anche io, purtroppo, devo allontanarmi tra poco, quindi cercherò di essere molto rapido.
Certamente è stato fatto un lavoro molto significativo. Non faccio, per carità di patria, il confronto tra il lavoro prodotto da questo Comitato e qualche altro Comitato, come quello che presiedo io, che per una serie di difficoltà non ha ancora cominciato i suoi lavori.
Considero dunque molto importante il lavoro che è stato svolto, un esempio per il funzionamento della Commissione antimafia, quindi penso che debba essere Pag. 18valorizzato fino in fondo e che si debba fare un plauso a quelli che vi hanno lavorato, al presidente del Comitato e a chi ci ha messo nella condizione di avere una relazione che effettivamente è un pezzo di riflessione molto importante.
È vero, si tratta di materiale molto complesso che va gestito nella maniera più seria possibile, anche perché credo che non sia indifferente all'esterno da qui, anche per molti di quelli che sono stati auditi, che sono i giornalisti che poi sul territorio subiscono le minacce e sono stati peraltro oggetto in questi mesi anche di grande attenzione mediatica; molti di loro, infatti, sono personaggi pubblici e in qualche modo sono stati al centro di un dibattito serio. Penso, dunque, che sia fondamentale anche per loro che questa relazione possa essere approvata nella maniera più larga e più unitaria possibile. Tutto possiamo fare fuorché far vivere questa relazione come un elemento divisivo. Evidentemente non sarebbe solo controproducente, ma contraddirebbe il senso stesso di averla fatta e anche l'immissione di questo elemento di tutela, che invece secondo me va speso con forza.
Signor presidente, se c’è qualche aspetto da limare e qualche correttivo da apportare, e magari anche qualche integrazione, con qualche audizione ancora da fare, che ci può consentire di arrivare in breve tempo a una relazione condivisa unanimemente, penso che questo sforzo vada fatto, immaginando che questo si faccia non da qui a sette mesi, ma dandoci un termine perentorio, che può essere per esempio quello della pausa estiva, o ancora prima, se lo vogliamo fare, anche quindici giorni.
Formulo questa proposta perché considero del tutto fondamentale – su questo la penso come Di Lello – l'unanimità.
Infine, per quanto riguarda quello che si diceva prima sull'audizione di Sansonetti, non ero presente nel Comitato poiché non ne faccio parte e onestamente non ho nemmeno avuto modo di leggere l'articolo che ha scritto dopo. Non so bene cos’è accaduto e naturalmente rimango a quello che ho letto nella relazione.
È evidente che, laddove fosse stato condotto un certo tono nei confronti di Sansonetti semplicemente perché esprime alcune posizioni, ovviamente anch'io lo riterrei un fatto gravissimo. Io non potrei far parte di questa Commissione, se fosse così.
Per dirne una, sul 41-bis la penso molto più come Sansonetti che come moltissimi membri di questa Commissione, però sono anche certo, onestamente, per come immagino sia andata nel Comitato, che la serietà e la competenza innanzitutto del coordinatore ma anche degli altri membri sicuramente non abbiano posto elementi relativi alle opinioni di Sansonetti, che evidentemente sono insindacabili e sacrosante, ma rispetto a fatti specifici, che poi sono quelli che possiamo leggere nei virgolettati.
Senza bisogno di segretare, vorrei che questo rimanga a verbale.
PRESIDENTE. Se permettete, darò la parola al relatore dopo aver fatto alcune considerazioni. Prima che ve ne andiate, ricordo che domani, oltre all'ordine del giorno previsto, con l'audizione del generale Parente, dobbiamo procedere alla desecretazione di alcuni atti e decidere l'invio di alcune nostre audizioni all'autorità giudiziaria che ce le ha richieste.
Vi chiederei dunque l'integrazione dell'ordine del giorno.
Prima di dare la parola al relatore per la replica, vi pregherei di prendere in considerazione alcuni aspetti che vorrei sottolineare anch'io, partendo dal presupposto che noi abbiamo scelto di lavorare per Comitati, oltre che attraverso la plenaria, non solo perché questa è una prassi consolidata nella Commissione antimafia, ma anche perché, secondo me, questo ci consente di fare più lavoro, di sviluppare una quantità di lavoro che non saremmo riusciti a svolgere solo con la plenaria.
Certo non avremmo potuto fare tutte le audizioni che ha svolto il Comitato presieduto da Fava, così come quello presieduto da Mattiello o dalla Garavini, come quelli che stanno lavorando su altri temi.Pag. 19
Peraltro, questo è il modo con il quale le molte competenze che sono presenti in questa Commissione possono essere valorizzate. È stata una scelta anche da questo punto di vista.
Tuttavia, ricordo a tutti che il Comitato ha una funzione istruttoria e la deliberazione è della Commissione, quindi noi dobbiamo riuscire a tenere insieme questi due aspetti. Non c’è un'autonomia dei Comitati, né per quanto riguarda la comunicazione all'esterno né per quanto riguarda le conclusioni alle quali essi arrivano.
Il fatto che questa discussione questa sera sia stata così partecipata è un segnale importante, per quanto mi riguarda, che ci conferma che stiamo lavorando con il metodo giusto. I Comitati istruiscono il lavoro e lo portano in Commissione; la Commissione, che è da questo punto di vista sovrana, prende le sue determinazioni. Ciò tanto più quando i lavori sono delicati come quello che viene affrontato per la prima volta – lo ha detto prima il senatore Lumia, ma voglio sottolinearlo anch'io – in Commissione, che è un tema di grande importanza per la lotta alla mafia.
È un tema che sicuramente accenderà i riflettori sul nostro lavoro. Magari bisogna fare due comunicati perché ci si accorga che la Commissione ha varato una relazione sul semestre europeo e la lotta alla mafia, ma credo che sia un tema importante, come purtroppo già ha dimostrato la fuga di notizie, che io stigmatizzo per l'ennesima volta e per l'ennesima volta vi ricordo che tutte le volte che succedono queste cose noi perdiamo punti, anziché guadagnarne. Mettetevelo in testa. Peraltro, le persone che vengono qui sono sempre meno disposte a parlare con noi, se noi ci comportiamo così. Comunque, chi lo fa porta volutamente un danno al lavoro e alla Commissione.
Tuttavia, questo è un lavoro per il quale la nostra unanimità è ancora più importante, perché su di esso si accenderà una luce più che su altri. Tutti sanno – e chiedo scusa ai giornalisti presenti in questa Commissione – che la comunicazione parla di tutto, ma parla tanto volentieri di sé stessa, del sistema tolemaico che preesiste a tutto, in ciascuno di noi, e anche nel lavoro dei giornalisti e dell'informazione. Quindi, partiamo da questo presupposto.
Detto questo, ancora una volta io esprimo apprezzamento per il lavoro che è stato fatto, non solo perché era importante farlo, ma perché, per quanto mi riguarda, è anche fatto bene. Non è perfetto, e i vostri interventi lo hanno dimostrato, però credo che si possa – mi aggancio all'ultimo intervento – decidere insieme di apportare alcune integrazioni che sono state richieste dandoci un termine. Io penso che sarebbe cosa buona che prima della pausa estiva la Commissione varasse un'altra relazione.
Un'altra relazione significa questa relazione. Noi siamo pronti a concludere alcuni lavori, questo può essere concluso e, secondo me, è giusto che alle plenarie – oggi siamo alla centunesima audizione, oltre il lavoro dei Comitati e le missioni – arrivi il risultato dei nostri lavori.
Se posso permettermi, dividerei alcune osservazioni che sono state fatte, che possono essere secondo me recepite in questa relazione, da alcune richieste avanzate, che io condivido, che potrebbero far parte o di un'altra relazione sempre sul tema dell'informazione o di un'altra relazione in particolare – per quanto mi riguarda – sul tema dei finti minacciati. Questo è per me un capitolo dell'inchiesta sull'antimafia, perché i finti minacciati, secondo me, sono coloro che usano la lotta alla mafia come un diversivo in qualche modo mafioso. A me piacerebbe, in quell'inchiesta, un capitolo su questo tema, perché sarebbe un mosaico interessante.
Vi è poi la questione sollevata dal senatore Lumia circa l'evoluzione che c’è stata o l'atteggiamento che ha ed ha avuto la stampa nazionale in questi anni nei confronti della mafia e del fenomeno mafioso. Noi facciamo cose pregevoli che vengono puntualmente ignorate, ma se c’è uno screzio al processo della trattativa Pag. 20l'argomento occupa le prime pagine. A me sta bene, ma non è meno importante parlare di altre cose.
Credo che alcuni di questi temi possano essere annunciati in questa relazione. Come già l'onorevole Fava, recependo le indicazioni del senatore Torrisi, ha fatto lo sforzo di definire l'ambito di questa relazione, secondo me lo si può definire ancora meglio e rinviare il completamento di questo tema a un altro approfondimento. Il Comitato non chiude i suoi lavori, ma continua e raggiunge questa completezza.
Diverso è il discorso di alcuni aspetti più puntuali, di merito, che sono stati sottolineati. Uno è stato avanzato da Torrisi, che chiede una specie di contraddittorio, non dall'interessato, ma un'altra visione... Ha citato Milazzo ?
SALVATORE TORRISI. Milazzo e la Giuffrida.
PRESIDENTE. Milazzo e la Giuffrida, che secondo me possono offrire una completezza. Non ci allarghiamo tanto.
Invito a un'attenzione al metodo. Io non credo che, dicendo che fonte sono e a che punto siamo della fase processuale, non possiamo usare gli atti giudiziari. Non possiamo non farlo: citiamo dove ci troviamo, ma non possiamo non farlo.
Io apprezzo il metodo seguito da Fava, laddove dice che ha riportato le audizioni e volutamente non ha commentato né inserito dei pezzi perché voleva il massimo dell'obiettività.
È pur vero che, per esempio – mi riferisco ad alcuni aspetti richiamati dal senatore Falanga – alcune proposte avanzate dalla Gabanelli non sono contestate lì, ma poi facciamo una proposta diversa da quella che fa la Gabanelli nella fase propositiva. Magari lì si può dire «si rinvia a...».
Mi metto sulla linea della segretazione per l'ultimo punto sollevato dall'onorevole Bruno Bossio.
Propongo di procedere in seduta segreta.
(Così rimane stabilito. I lavori della Commissione proseguono in seduta segreta, indi riprendono in seduta pubblica)
CLAUDIO FAVA. Ringrazio il presidente e tutti coloro che sono intervenuti, le cui valutazioni e suggerimenti considero utilissimi.
Vorrei in premessa dire che questo Comitato svolge un lavoro collettivo, anche se materialmente l'estensore è stato il sottoscritto. Intendo dire che non la presenza fisica, ma la partecipazione alle audizioni con le domande e con le interlocuzioni è stata determinante perché questo Comitato assumesse una direzione di marcia. Dunque, vorrei ringraziare ancora una volta la senatrice Lucrezia Ricchiuti, l'onorevole Francesco D'Uva, l'onorevole Andrea Vecchio, la senatrice Rosaria Capacchione, poiché senza di loro – e non perché mancava il numero legale, ma perché mancava la questione del contendere – questo lavoro non sarebbe stato possibile.
Vorrei sottolineare che il tentativo quasi doloroso di rendere asettica il più possibile la funzione di questo coordinatore, che naturalmente ha avuto il compito di mettere insieme, di sintetizzare, di proporre una conclusione, si manifesta nel fatto che, per esempio, sono stato io a proporre alla presidente che alcune audizioni fossero fatte in plenaria, perché io volevo che fin da subito l'intera Commissione antimafia fosse coinvolta e che i passaggi più delicati – presidente dell'ordine, presidente dell'associazione, i direttori dei grandi quotidiani che abbiamo ascoltato – fossero materiale subito condiviso e potessero subito ricevere domande, sollecitazioni, richieste e approfondimenti non soltanto dal sottoscritto e da qualche collega ma da tutti i colleghi.
Sottolineo alcuni punti e poi vado alla proposta della presidente, che faccio mia. Circa l'intervento fatto da un collega – poiché è intervenuto in seduta segreta non cito il nome – devo dire che quello è l'unico punto che io non posso accogliere. Penso, infatti, che delle audizioni di Pollichieni, Sansonetti e Musarò – vorrei Pag. 21ricordare che abbiamo anche audito in plenaria il procuratore Musarò – e sui fatti su cui abbiamo discusso anzitutto con Sansonetti non c’è alcuna ricostruzione di parte, perché non c’è alcuna ricostruzione. Sono virgolettati sui quali sarei potuto intervenire in modo censorio, decidendo di omettere tale o talaltra parte di Pollichieni, di Sansonetti o di Musarò.
Ho ritenuto, invece, di dover riportare tutto, tant’è vero che Sansonetti quando interviene dice le cose che ricordava il collega e le dice senza che qualcuno su questo interloquisca chiedendogli di non metterle a verbale. Il giornalismo antimafia non è il giornalismo giustizialista e forcaiolo; la mafia si combatte con lo Stato di diritto, è una vecchia idea che lui sviluppa spiegando la ragione per cui ha avuto certi comportamenti. Ma è chiaro che se una Commissione assume tra le prime audizioni quella di un giornalista che è stato pesantemente minacciato, che ha ricevuto minacce di morte dirette a casa sua e che viene licenziato due settimane dopo, con una vicenda e una vertenza di cui ci si è occupati, su questo ho bisogno di capire dal direttore di quel giornale, nel momento in cui abbiamo assunto quella testimonianza e ci siamo posti il problema della protezione di quel giornalista, della sua solitudine, della solitudine di questi giornalisti che in Calabria al prezzo di tre euro per articolo da corrispondenti di giornali inesistenti rischiano la pelle.
E se noi assumiamo la testimonianza di un giornalista che rischia la pelle, al direttore che lo ha licenziato – che lo voglia o meno Pollichieni, non mi interessa – questo Comitato, se ha un senso la missione che si è dato, deve chiedere come sia potuto accadere.
Abbiamo rivolto delle domande, peraltro non ruvide. Chi vi parla fa il giornalista e se andate a vedere come faccio il giornalista troverete che io le domande le faccio così a chiunque, perché le domande vengono fatte non per proporre risposte ma per ottenere elementi di verità, elementi di chiarezza, elementi di conoscenza. È utile, anzi, che certe audizioni siano il più possibile articolate, non siano soltanto uno sbrodolamento con mezza domanda e un quarto d'ora di risposta.
Tuttavia, è importante che sia chiaro che non ci sono opinioni condivise. Non c’è una sola opinione che il relatore dica di condividere o una che dica di non condividere.
Sono d'accordo col collega sul fatto che c’è un punto sul quale è bene intervenire, ossia a proposito del virgolettato sul lavoro che viene fatto sulle procure. Laddove quel virgolettato viene ripreso nel corso del testo come se fosse acquisito come una verità definitiva, credo che quel passaggio debba essere un po’ più articolato.
Adesso farò una verifica sulle vicende dell’Ora della Calabria, che ricordo essere stata posta col massimo dell'evidenza.
VINCENZA BRUNO BOSSIO. Se vogliamo parlare del discorso Musolino-Sansonetti va bene quello che hai detto tu. Musolino...
PRESIDENTE. Propongo di procedere in seduta segreta.
(Così rimane stabilito. I lavori della Commissione proseguono in seduta segreta, indi riprendono in seduta pubblica).
CLAUDIO FAVA. Circa gli altri appunti che sono stati mossi, collega Falanga, sono d'accordo sul fatto che ci sono una serie di valutazioni del tutto personali da parte della signora Gabanelli. Vorrei ricordare che il tema delle persuasioni legali affidato a querele temerarie è stato affrontato in undici audizioni, non in una audizione, e con tutti i direttori dei giornali, con il presidente dell'Ordine, con il presidente dell'Associazione, e infine ha avuto un suo sviluppo, una sua declinazione nelle proposte che abbiamo fatto sul piano normativo e che naturalmente assumono un'idea che è quella di questo Comitato e della Commissione, e che possiamo anche ulteriormente specificare con un rimando.
Vorrei far notare che l'osservazione che qui è stata fatta a proposito della Gabanelli, che ha avuto una condanna per Pag. 2230.000 euro a fronte di 256 milioni chiesti, non è contenuta da parte del coordinatore nella relazione, proprio per far capire quale sia stata l'intenzione di non assumere alcuna valutazione di merito che non fosse l'oggettività dei fatti che sono stati riferiti. Su quello che dice il collega Torrisi, non so nemmeno io come i giornali nazionali hanno affrontato il tema. Credo che questo, come suggeriva la presidente, possa e debba essere oggetto di un approfondimento che noi possiamo anche anticipare, ma naturalmente questo ci porterebbe completamente fuori tema.
Non sono d'accordo, però, sull'obiezione che c’è una dimensione troppo localistica. Vorrei ricordare che, su nove giornalisti ammazzati, otto li hanno ammazzati in Sicilia. È nei fatti che quando parliamo del rapporto cruento tra informazione e mafia dobbiamo parlare anzitutto della Sicilia. Il 70 per cento dei giornalisti minacciati sono in tre regioni: Campania, Calabria e Sicilia. Abbiamo esteso la nostra indagine ascoltando giornalisti che risiedono lontanissimo da queste regioni, ma è chiaro che il centro di gravità, quando devi cominciare ad analizzare questo rapporto, naturalmente ricade anzitutto in quelle regioni.
SALVATORE TORRISI. Se ne avesse parlato la grande stampa, può darsi che non ci sarebbero stati...
CLAUDIO FAVA. Ma la grande stampa ne ha parlato, solo che la grande stampa ne parla dopo, quando le cose sono già accadute.
Detto questo, capisco che il punto, e lo riconosco, può essere anche legato al fatto che è mancato un contraddittorio sulla vicenda Ciancio. Sugli atti giudiziari la penso come la presidente: mi sembra che ci sia stata grande misura. Qui ho due cartelle che sono alcune tonnellate di faldoni che ci sono arrivate dalla procura della Repubblica...
SALVATORE TORRISI. Indagini preliminari...
CLAUDIO FAVA. Sì, ma sto parlando di decine e decine di collaboratori di giustizia. Non abbiamo parlato di questo. Abbiamo parlato soltanto delle cose che potevano essere direttamente afferenti alla nostra vicenda. Siccome è mancato un contraddittorio, non per colpa nostra, credo che quello che noi potremmo fare – in tempi rapidissimi, tenendo conto dell'età – sarebbe proporre l'audizione di Nino Milazzo, che è stato l'unico direttore della Sicilia diverso dal proprietario della Sicilia. Per un brevissimo periodo Nino Milazzo è stato il direttore responsabile della Sicilia. Dopo quella parentesi si è tornati alla vicenda pregressa, che è la vicenda attuale. È stato anche il direttore di Telecolor.
Non ascolterei l'ultima direttrice perché su quella vicenda specifica io credo che non abbiamo molto da aggiungere, dal momento che c’è una sentenza passata in giudicato in Cassazione due mesi fa che ordina la riassunzione. Siccome il punto specifico era il licenziamento che veniva contestato e che è stato annullato dalla sentenza di Cassazione, mi sembra inutile fare un ulteriore approfondimento con chi poi sarebbe costretto a polemizzare con quanto ha detto la Cassazione.
Mi sembra molto più interessante un'audizione con Milazzo, purché sia in tempi brevi, che ci permetta di verificare...
PRESIDENTE. Quando lei torna dall'OSCE...
CLAUDIO FAVA. Sì. Infine, circa i suggerimenti della presidente, naturalmente facciamo alcuni riferimenti agli approfondimenti che faremo anche sugli episodi di millantato credito o millantate minacce, che meritano uno sviluppo...
PRESIDENTE. L'evoluzione di cui parlava il senatore Lumia...
CLAUDIO FAVA. ...e sull'evoluzione che diceva Lumia, facciamo tutto quello che si può fare. Vorrei chiudere leggendo due righe delle conclusioni di questa relazione. Nelle due pagine di conclusioni di Pag. 23questa relazione nessun elemento della discussione di oggi è stato ripreso, ma è stata ripresa una cosa che ricordava Giuseppe Lumia: «Il dato positivo, che non era scontato all'inizio di questa indagine, è la determinazione con cui una nuova generazione di giornalisti ritiene che la funzione etica del loro mestiere non possa essere svilita da condizioni di lavoro a volte umilianti e che ha scelto di non piegare la schiena, pur sapendo che quella scelta li espone ai morsi del pericolo e alla precarietà».
Mi sembra che questo aspetto ci sia. Lo possiamo approfondire, ma l'attenzione e anche il compiacimento per il fatto che c’è una nuova generazione di giornalisti che è all'altezza della sfida che oggi riceve il giornalismo, non soltanto in Sicilia, ci sono.
PRESIDENTE. Poi c’è l'aspetto della rete che può andare nella seconda parte.
Dichiaro conclusa la seduta.
La seduta termina alle 22.20.