Sulla pubblicità dei lavori:
Migliore Gennaro , Presidente ... 3
Audizione del Prefetto Giovanni Pinto, direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno:
Migliore Gennaro , Presidente ... 3
Pinto Giovanni , Direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno ... 4
Migliore Gennaro , Presidente ... 12
Pinto Giovanni , Direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno ... 12
Migliore Gennaro , Presidente ... 12
Pinto Giovanni , Direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno ... 12
Migliore Gennaro , Presidente ... 13
Carnevali Elena (PD) ... 13
Pinto Giovanni , Direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno ... 13
Carnevali Elena (PD) ... 13
Gadda Maria Chiara (PD) ... 14
Pinto Giovanni , Direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno ... 15
Gadda Maria Chiara (PD) ... 15
Pinto Giovanni , Direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno ... 15
Gadda Maria Chiara (PD) ... 15
Pinto Giovanni , Direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno ... 15
Migliore Gennaro , Presidente ... 15
Pinto Giovanni , Direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno ... 15
Gadda Maria Chiara (PD) ... 15
Pinto Giovanni , Direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno ... 15
Migliore Gennaro , Presidente ... 15
Pinto Giovanni , Direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno ... 15
Gadda Maria Chiara (PD) ... 16
Pinto Giovanni , Direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno ... 16
Gadda Maria Chiara (PD) ... 17
Pinto Giovanni , Direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno ... 17
Migliore Gennaro , Presidente ... 19
Pinto Giovanni , Direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno ... 19
Migliore Gennaro , Presidente ... 20
Pinto Giovanni , Direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno ... 20
Migliore Gennaro , Presidente ... 20
Pinto Giovanni , Direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno ... 20
Migliore Gennaro , Presidente ... 20
Pinto Giovanni , Direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno ... 20
Migliore Gennaro , Presidente ... 20
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GENNARO MIGLIORE
La seduta comincia alle 14.10.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, ove necessario – anche su richiesta di un commissario ovvero dell'audito –, i lavori della Commissione potranno proseguire in seduta segreta.
Al riguardo, per assicurare la massima fluidità al dibattito pubblico, prego i colleghi di riservare eventuali quesiti da sviluppare in sede riservata alla parte finale della seduta.
Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla Web-tv della Camera dei deputati.
Non essendovi obiezioni, così rimane stabilito.
Dispongo pertanto l'attivazione dell'impianto.
Audizione del Prefetto Giovanni Pinto, direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Prefetto Giovanni Pinto, direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno.
Nel ringraziare il Prefetto Pinto per la sua disponibilità, ricordo che l'Ufficio di presidenza ha deliberato la sua audizione in funzione dell'esigenza di acquisire elementi di conoscenza su tematiche di particolare interesse che investono la competenza della struttura da lui diretta.
Mi riferisco, in primo luogo, alle questioni concernenti il fotosegnalamento, che sono state oggetto di attenzione anche da parte di organismi comunitari e delle Agenzie dell'Unione europea con cui l'Italia coopera. Sicuramente sul punto il prefetto potrà fornire al lavoro della Commissione un contributo prezioso nella sua veste di osservatore privilegiato, che discende dalla sua presenza nel management board di Frontex.
Ulteriore argomento di particolare interesse per la Commissione è rappresentato dalle più recenti iniziative assunte per assicurare l'attivazione e il funzionamento dei cosiddetti hotspot, per i quali, come sappiamo, vi è la massima attenzione da parte degli organismi comunitari.
Prego, inoltre, il prefetto di soffermarsi sulle procedure per l'acquisizione del modello C3 e delle relative tempistiche, su cui risulta esservi qualche criticità.
Infine, auspico vi sia sufficiente tempo per approfondire le attività relative al trattenimento e al rimpatrio di competenza della Direzione che opera sotto la sua responsabilità.
Nel rivolgere un saluto alla dottoressa Federica Bocci, Vicequestore aggiunto della Polizia di Stato, che partecipa ai nostri lavori, cedo la parola al Prefetto Giovanni Pinto.
GIOVANNI PINTO, Direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno. Buongiorno. Le tematiche sulle quali devo fornire con molto piacere specifiche informazioni, come avete visto, sono molto late, molto generali.
Tengo a precisare innanzitutto un aspetto: io sono il direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere nell'ambito del Dipartimento della pubblica sicurezza, che è entità distinta rispetto al Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, il quale ha come prevalente finalità l'accoglienza e la trattazione delle richieste di asilo, anche tramite la Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, nonché di tutte le procedure connesse all'applicazione del Regolamento «Dublino III» per quanto riguarda la riaccettazione degli stranieri. Tali soggetti, essendo stati fotosegnalati tramite inserimento in Eurodac dei relativi dati nel Paese di primo ingresso, nel caso di rintraccio successivo in altri Stati membri o Stati associati, devono formare oggetto di riaccettazione nello Stato di primo ingresso.
Ciò detto, parto dal «sale della minestra» per quanto riguarda l'attività mia e della mia Direzione centrale, che ha una competenza – come spiegavo prima al Presidente Migliore – estremamente lata, perché si occupa della frontiera, dell'analisi dei flussi migratori, dei rimpatri e di una serie di altre attività.
Quest'anno noi registriamo, fatto ormai noto e stranoto, una lieve – non tanto per entità numerica, che è dell'8 per cento circa in meno – diminuzione dei flussi migratori. Siamo a 139.000 rispetto al corrispondente periodo dell'anno scorso. Potrò poi fornire un dato più analitico, ma l'anno scorso in questo periodo, alla data attuale, gli arrivi erano 152.665 a fronte degli attuali 139.937. La diminuzione sarebbe significativa, se non per il fatto che il dato globale è rilevante e riguarda pur sempre 139.000 immigrati.
Questo dato comunque va letto, come ho avuto già modo di dire in altre circostanze: c’è una diminuzione sensibile fra le nazionalità degli immigrati giunti fra questi 139.000 e c’è la scomparsa pressoché totale dei siriani. I siriani, per quello che abbiamo raccolto, sono arrivati in 7.194 quest'anno e, in buona sostanza, sono arrivati nella prima parte dell'anno, ovvero ancor prima che si aprisse la rotta balcanica, che ha assorbito la quasi totalità degli stranieri di questa nazionalità. Tenete presente che l'anno scorso in questo stesso periodo i siriani giunti erano stati 42.000.
Che cosa significa questo ? Significa che la diminuzione del dato globale è stata assorbita in quota parte da stranieri di altra provenienza, prevalentemente dell'Africa subsahariana, dell'Africa occidentale e dell'Africa orientale. Tra questi spiccano, in particolare, i nigeriani, che sono circa 19.000, seguiti, a loro volta, dai somali, 12.000, dai sudanesi, 8.000, dai gambiani, 6.700. È cambiata in buona parte la geografia delle provenienze di queste persone.
Per venire al fotosegnalamento, mi ricollego subito a una delle questioni prevalenti: il dato – fornito, non nell'ambito della mia Direzione, ma dalla polizia scientifica, con la quale abbiamo un rapporto strettissimo di collaborazione – rappresenta che oltre 100.000 stranieri (esattamente 100.982) sono stati al momento fotosegnalati. C’è un gap evidente.
Innanzitutto è chiaro che, quando io parlo di queste grandezze, non è mai possibile ancorarle in maniera fissa al periodo 1o gennaio-29 ottobre, c’è sempre un'oscillazione di dati precedenti che possono incidere su questa realtà. Si tratta di dati, però, assolutamente «epurati»: essi riportano il numero degli stranieri fotosegnalati per richiesta di asilo politico e poi passano in rassegna coloro che sono stati sottoposti a rilievi fotosegnaletici per ingresso illegale. Il Regolamento Eurodac prevede in tre distinti articoli la possibilità di fotosegnalamento: o per ingresso illegale o per richiedenti asilo (articoli 4 e 8) o perché si tratta di soggetti rintracciati successivamente nel territorio nazionale in occasione di pattugliamenti di controllo del territorio. Quest'ultimo dato viene assunto Pag. 5non per un sistematico asilo, ma semplicemente per un eventuale raffronto in caso di rintraccio successivo.
In merito al gap esistente e alla richiesta delle ragioni del gap esistente fra stranieri entrati e stranieri fotosegnalati, c’è stata una risposta fornita alla Commissione alla fine di luglio. Risulta evidente che mancano all'appello approssimativamente – non abbiamo un'analisi specifica – i cittadini eritrei e siriani. Poi dirò quello che il Dipartimento sta facendo e che sta proponendo di fare per cercare di migliorare l'assunzione delle impronte digitali.
Noi siamo fiduciosi, da un certo punto di vista, fino a quando continua questo trend, perché abbiamo visto assottigliarsi progressivamente – con l'anno nuovo questo sarà ancora più palpabile ed evidente – la differenza fra stranieri arrivati e stranieri fotosegnalati. Questo avviene per un semplice fatto: spariscono dal novero degli stranieri che sbarcano coloro che in principio rifiutano. Ci sarà, conseguentemente, una maggiore acquisizione di impronte digitali, dal momento che i siriani vanno per altre strade e, quindi, non sono più tra coloro che si rifiutano, così come gli eritrei.
In virtù di un effetto positivo degli hotspot e della relocation – siamo ancora al «balbettamento» – abbiamo assistito a situazioni del tutto nuove. Per esempio, ci sono eritrei che si sono recati alla questura di Bologna chiedendo di essere fotosegnalati e di poter fruire delle relocation.
Tutti leggiamo i giornali e seguiamo le notizie. Nonostante il fatto che siano solamente 92, in effetti, se si dovessero rilocare tutti – si parla di 80; questo vale anche per il rimpatrio – si pone anche il problema che alcuni Paesi hanno notoriamente dichiarato una ridotta disponibilità ad accoglierli. Questo, però, è un altro tipo di discorso, che esula da una connotazione squisitamente tecnica e investe aspetti di carattere più marcatamente politico. Non sta a me giudicare, perché la mia veste non è politica, ma tecnica; io devo solamente fornirvi un quadro di apprezzamento il più fedele e onesto possibile sulla situazione.
Abbiamo, quindi, la percezione di una riduzione progressiva di questo gap e speriamo che continui il fotosegnalamento. Vi posso solamente dire che di questi stranieri sbarcati – che, come ho accennato, sono 139.000 – 47.468 sono stati fotosegnalati per ingresso illegale. Rintracciati all'atto dell'attraversamento delle frontiere in posizione illegale, non hanno chiesto asilo. Ciò non esclude che poi successivamente possano richiederlo e che ci sia – come si dice in chimica – un «viraggio» dell'elemento; ma questi sono i dati che fotografano l'ingresso in Italia.
Di questi migranti, 53.514 sono stati fotosegnalati per asilo, ragion per cui si arriva a un totale di 100.982, pari al 72,16 per cento. Se si fa un rapido calcolo di sottrazione dell'uno dall'altro, risultano 39.000, che rimangono lo «zoccolo duro», che già a luglio avevamo registrato. Erano appunto eritrei e siriani che non si erano fatti fotosegnalare.
Tra l'altro, questo dato – a dimostrazione dell'assunto da me citato prima – è ancora più positivo, perché negli ultimi trenta giorni il dato del 72,16 per cento è salito al 95,05 per cento. Al di là delle sterili ma importanti cifre, è rilevante verificare la tendenza di questa attività. Nel Piano Juncker, nella Relocation, nel Resettlement e in tutta questa politica si è insistito con particolare forza sulla necessità di procedere al fotosegnalamento. D'altra parte si è osservato che quest'azione di sostegno – chiamiamola così – all'Italia, alla Grecia, ma anche all'Ungheria, a fronte di questa ondata migratoria trova la sua scaturigine e la sua base normativa nell'articolo 78, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, che prevede che, in caso di massiccio afflusso, gli altri Stati debbano esprimere una solidarietà e in più sedi e reiteratamente si è detto anche che la solidarietà va a braccetto con la responsabilità. Tradotto: la responsabilità è il fotosegnalamento.Pag. 6
C’è stata una forte critica nei confronti dell'Italia in passato. Ricorderete, fra l'altro, la lettera del Commissario Malmström che diceva che l'operazione Mare Nostrum rappresentava un pull factor. In realtà, poi questo si è dimostrato del tutto infondato, perché si trattava di un'operazione di carattere squisitamente umanitario. Quando la situazione ha investito un'altra area geografica dei Balcani, infatti, le situazioni sono radicalmente mutate e gli atteggiamenti critici originari sono progressivamente rientrati.
Come ho detto poc'anzi, la mia veste è tecnica e non politica. Vi ricorderò che la cancelliera Merkel è stata più volte ripresa in televisione con una bambina che piangeva perché voleva restare in Germania e invece doveva ritornare al suo Paese. Dopo una settimana c’è stata una situazione completamente diversa, determinata dagli eventi e dalle situazioni di massiccio arrivo.
D'altra parte, i siriani fuori dalla Siria sono circa 7 milioni. Si tratta di un numero di persone che necessitano di asilo o di protezione in maniera piuttosto importante. Ritengo, anzi, che sia maturata una condizione di dettaglio, nel senso che questi soggetti hanno atteso inutilmente di poter rientrare nel proprio Paese, ma, vedendo che la situazione si prolunga e che le spese di esistenza al di fuori del proprio Stato diventano sempre più onerose, hanno maturato una decisione diversa.
Spero di aver chiaramente indicato il flusso migratorio, la composizione che riguarda l'Italia e la situazione che c’è nei Balcani. Io sono in possesso di dati Frontex che ho acquisito per la circostanza stamattina. Sono dati oggettivamente spaventosi, che adesso vi riferisco subito, perché è importante che anche queste cifre vengano conosciute per capire verso quali lidi stiamo navigando.
Dal 17 ottobre in Grecia sono arrivate circa 55.000 persone, di cui 30.000 siriani, 15.000 afgani e 6.500 iracheni. In Bulgaria c’è una diminuzione degli arrivi. Chiaramente questi dati possono confondersi, perché, come sapete, c’è stato il muro ungherese e molti di questi stranieri possono essere stati registrati due volte al confine con l'Ungheria o a quello con la Grecia. Il dato reale di partenza comunque è che circa 400.000 hanno raggiunto la Grecia.
Se noi consideriamo che la Grecia è il «collo di bottiglia» attraverso il quale arrivano i migranti, è facile che da questo ci sia stata una scomposizione derivante da diverse condizioni. Per esempio, la Slovenia, l'ultimo Paese membro a essere stato toccato da questo flusso migratorio, ha registrato nell'ultima settimana 70.000 ingressi, more or less. Per quanto riguarda le ultime due settimane – allarghiamo un po’ la forbice –, c’è un rapporto fatto dagli sloveni che parla di circa 9.500 persone arrivate in Slovenia.
La questione è andata assumendo connotazioni rilevanti dal punto di vista non tanto della gestione dell'asilo, dell'allontanamento o del rimpatrio – farò poi una considerazione sulle frontiere esterne, di cui tanto si parla – quanto soprattutto per il semplice fatto che ormai questo è diventato un problema di ordine pubblico, di massa. Poiché si consente a questi stranieri di raggiungere – non so peraltro fino a quando – i Paesi di destinazione voluti (mi riferisco a Svezia, Finlandia e Germania in particolare), si pone un problema di ordine pubblico.
Peraltro, il nostro Paese quest'anno è il terzo per domande d'asilo, con una ridotta presenza di minori e di donne. Questo è un altro indice che va letto. Fornirò eventualmente la mia chiave di interpretazione di questa ridotta presenza di minori e di donne fra i richiedenti asilo.
Diventa quindi un problema di ordine pubblico, perché bisogna canalizzare questa folla attraverso dei valichi, cercare di non compromettere la circolazione delle persone su altre strade e valutare volta per volta, attraverso un valico di frontiera predeterminato, le persone che arrivano per la trattazione successiva e per un'accoglienza che sia adeguata per loro. Quindi diventa un problema di ordine pubblico.Pag. 7
Insieme a questo, naturalmente, si annida l'attività di organizzazioni criminali che cercano di lucrare fino all'ultimo momento dal traffico di migranti, magari fornendo delle prestazioni. C’è una messe di dati che dimostra in maniera incontrovertibile che questo fenomeno è assolutamente in continua crescita (minima ma costante). La preoccupazione potrebbe essere quella di un improvviso blocco di accoglienza, che determinerebbe un tappo, con le conseguenze che tutti noi possiamo immaginare.
Veniamo alle frontiere. Uno degli obiettivi ribaditi in sede di Commissione europea, un leitmotiv che sempre viene pronunciato, è quello di migliorare il contrasto dell'immigrazione clandestina alle frontiere esterne. Indubbiamente è un concetto di base, ma qual è la situazione attuale ? Nessuno fa riferimento alla situazione attuale. La situazione attuale è che, per esempio, le operazioni Triton o Poseidon, che sono le operazioni di contrasto in mare dell'immigrazione clandestina «per definizione» – come direbbe Sandro Ciotti –, in realtà si sono trasformate in grandi operazioni di ricerca e soccorso.
Quello che faceva prima Mare Nostrum ora lo fanno le unità di Triton e Poseidon. Non hanno alternative, perché di fronte non ci sono Paesi in grado di fornire aiuto – la Libia, nel caso nostro –, anzi, c’è il rischio dell'incolumità personale di questi stranieri, qualora, per mera ipotesi, venissero ricondotti in Libia.
Per quanto riguarda le frontiere terrestri, quale addetto ai lavori, io pensavo con rammarico alle difficoltà derivanti dall'avere una frontiera marittima. Perché ? Perché di fronte al tamtam sul blocco dei migranti e via discorrendo ero consapevole del fatto che via mare essi si devono accogliere necessariamente. Di fronte a un Paese che non riceve, occorre salvare la vita umana. Oltretutto, l'ultimo dato dell'OIM e delle Nazioni Unite parla di oltre 3.000 morti ed è un dato in continuo divenire. Quindi, c’è l'aspetto, assolutamente prevalente, di salvaguardia della vita umana in mare. Possiamo fare di tutto, ma io credo che la salvezza delle persone sia un sentimento primordiale innegabile.
Io ritenevo le frontiere terrestri più facili da controllare, perché c’è una continuità con il Paese vicino, che ha una tradizione di collaborazione. In realtà mi sono accorto che abbiamo assistito a un fenomeno nuovo, di migliaia di persone che quotidianamente attraversano le frontiere, rompendo gli schemi, e che continuano la loro marcia a prescindere dal fatto che ci siano dei controlli alla frontiera o meno.
Si tratta di una situazione del tutto nuova. Come ha detto il Capo dello Stato, con un'affermazione ormai abbastanza consolidata, si tratta di un fatto epocale, che non ha precedenti. Credo sia stato detto che dalla fine della seconda guerra mondiale non abbiamo mai assistito a situazioni di questo genere, che richiedono approcci e strumenti nuovi. I policy makers devono riflettere sulla base degli elementi a nostra disposizione.
Per quanto riguarda le politiche di rimpatrio – dirò più avanti del C3 e degli hotspot, così cercherò di fare una «panoplia» di tutti gli argomenti che possono rivestire interesse –, come ha detto il Ministro Alfano più volte si tratta di un tema delicato, proprio alla luce di questa nuova distinzione dei flussi. Tali flussi sono prevalentemente da Paesi i cui migranti non avrebbero in principio – tranne per condizioni soggettive particolari – titolo a vedersi riconosciuto lo status di rifugiato. La Commissione parla di iracheni, siriani ed eritrei, in base al tasso di accoglienza del 75 per cento.
Anche lì bisognerebbe verificare se sia il caso di porre mano al Regolamento di Dublino, perché mi sembra oggettivamente uno strumento obsoleto. Credo che ormai siamo tutti d'accordo. Peraltro, è molto mitteleuropeo e poco mediterraneo e poco orientale. Le frontiere esterne siamo noi, infatti, e soprattutto siamo noi ad avere una posizione geografica particolare. Adesso si stanno accorgendo che anche i Paesi balcanici sono frontiere esterne che rivestono una certa delicatezza.Pag. 8
Il rimpatrio riguarda adesso migranti cittadini di Paesi completamente nuovi, che nella letteratura dell'identificazione, del rimpatrio e delle relazioni internazionali non avevano alcuna consistenza precedentemente. Sì, i nigeriani sono una vecchia presenza, ma i senegalesi, gli ivoriani, i gambiani non erano presenti in maniera così massiccia. Lo strumentario a disposizione del nostro Paese, come degli altri Paesi europei, è rappresentato dagli accordi di riammissione e dagli accordi che consentono l'identificazione rapida.
Vorrei attirare ora la vostra attenzione su un fatto: noi quest'anno abbiamo avuto 19.000 migranti solo nigeriani. Anche avendo uno strumento velocissimo, in ipotesi – noi rimpatriamo i nigeriani, perché secondo me non ci vuole abbiamo una buona collaborazione –, quanti voli dovremmo fare al giorno e con quante risorse umane di scorta ? Per 19.000 migranti, se voi fate un rapido calcolo e li dividete per 365 giorni, vedrete quanti voli vanno organizzati. Credo almeno uno al giorno con 50 nigeriani e 100 persone di scorta. Ripetendo questi voli per un certo periodo, immaginate quale sia lo sforzo.
Questo non significa che si debba abbassare la guardia di fronte a questo problema. Bisogna innanzitutto, io credo, agire per un ridimensionamento di questi flussi, perché, se continuano ad arrivare in questi numeri, è chiaro che c’è una difficoltà. Occorre un approccio europeo unico, che è già maturato. La consapevolezza di questo, piuttosto riluttante all'inizio, adesso si sta facendo strada in maniera molto accentuata, tant’è che io, per esempio, ho partecipato a una missione congiunta della Commissione a Dakar, in Senegal, in cui abbiamo proposto delle intese «light», io le definirei. Si tratta di intese di cooperazione in materia di identificazione e rimpatrio che non siano aggravate dagli orpelli degli accordi di ammissione con lacci e lacciuoli di vario genere.
Naturalmente, questi accordi devono essere accompagnati da politiche sapienti di aiuto a questi Paesi, non necessariamente solamente di mezzi o di informazioni, ma probabilmente anche attraverso una politica di quote di ingresso di selezione o di preparazione dei cittadini di questi Paesi affinché o in loco, nei propri Paesi di origine, o un domani in Europa, essi possano trovare un'utile collocazione lavorativa e cercare di migliorare la loro condizione.
Teniamo presente altresì – questo è un discorso che noi abbiamo riscontrato – che, come succedeva per l'Italia, una delle fonti di introito di bilancio di questi Paesi sono le rimesse dall'estero di questi stranieri. Anche su questo fronte la scena sta mutando. Noi abbiamo fatto un'analisi di riflesso, che poi si potrà approfondire: le rimesse, per esempio, degli egiziani sono calate vistosamente. In attesa di occupazione ci sono moltissimi stranieri, perché la crisi economica sta colpendo anche questo settore. Quindi, se c’è meno lavoro, ci sono meno rimesse. Invece, per alcuni Paesi che sono in una situazione economica difficile, anche la rimessa di 20 euro costituisce un cespite importante.
Anche su questo tema bisognerebbe considerare – ma qui la questione diventa politica – che, anche se il diritto dell'immigrazione non esiste, ci sono alcune valutazioni, per esempio per l'asilante economico. Se si va in questi Paesi, si vede che la maggior parte non ha una casa e possiede solo gli indumenti che indossa, con la polvere attaccata alla pelle. Tra l'altro, un aggravamento rilevante – non mi considerate cinico – è che le cure mediche sono sempre più disponibili in questi Paesi e hanno fatto aumentare l'aspettativa di vita in maniera decisiva, ragion per cui il tasso demografico è in forte crescita.
Per esempio, io sono stato in Niger. Si pensa che nei prossimi dieci anni la popolazione del Niger raddoppi, ma queste persone non hanno risorse. Questo significa incuneare il germe della migrazione, perché naturalmente, per necessità di vita, anche una carestia in un'area – una sécheresse, come dicono i francesi – determina dei movimenti epocali, di popoli alla ricerca di una migliore qualità di vita.Pag. 9
Per il rimpatrio, ripeto, abbiamo instaurato dei rapporti. Durante il mese di novembre abbiamo programmato incontri quasi ogni settimana con delegazioni della Costa d'Avorio e del Gambia, che ci hanno già rilasciato dei lasciapassare. Questo è già un successo. Naturalmente è un successo minimo; abbiamo aperto un foro, una porticina verso una collaborazione che comunque si presenta oltremodo problematica per i numeri che sono coinvolti, così come con il Senegal e col Ghana, che sono i Paesi di provenienza.
Parallelamente, questa politica in materia di accordi, per cercare di pervenire a un discorso proficuo per l'identificazione e il rimpatrio, è stata seguita d'intesa col Ministero degli affari esteri, le cui ambasciate e i cui uffici centrali hanno dato un forte aiuto per cercare di instaurare rapporti positivi. La Commissione europea parteciperà a queste negoziazioni per un motivo molto semplice, ossia perché questi accordi devono essere governati dal principio della condizionalità, more for more. Se uno collabora, i Paesi sono propensi ad aiutare ancora di più, a fare degli sforzi supplementari, a cercare di migliorare le condizioni di partenza.
In queste aree rimane però pur sempre una situazione, a mio avviso – è un'opinione del tutto personale –, devastata dal punto di vista economico e probabilmente una responsabilità ce l'hanno anche i Paesi che non hanno saputo prevedere queste forme di incontrollata crescita e povertà.
Comunque, questo è il dato di fatto. Noi abbiamo effettuato una serie di rimpatri, con circa 70 voli, di cui 9 congiuntamente a Frontex e gli altri su via bilaterale. I Paesi che, per nostra fortuna, o per un rapporto di correttezza, accettano i voli charter sono la Nigeria, l'Egitto e la Tunisia. Per altri Paesi la questione del rimpatrio forzato attraverso voli charter – ritorno a quello che dicevo prima – costituisce un challenge, un défi politico, perché, avendo una popolazione giovanile enorme e non riuscendo a soddisfare le esigenze di questa popolazione giovane, i Governi hanno una qualche difficoltà a dimostrare che li riprendono in maniera così massiccia.
Si tratta di un argomento sensibile, sul quale bisognerà agire con grande attenzione. Io spero che il vertice che si terrà a La Valletta nel prossimo mese di novembre, con il lancio di questo trust fund, di questo fondo fiduciario, che ha una dotazione finanziaria di 1 miliardo e 800 milioni di euro, in cui potranno confluire altri 200 milioni di euro attraverso linee finanziarie di altra natura, sia la chiave di volta per un miglioramento della situazione e perché vengano lanciate politiche di collaborazione e di assistenza a questi Paesi.
Per quanto riguarda il C3, altro tema evocato, per la procedura io mi devo rifare necessariamente agli hotspot. Il C3 funziona anche a prescindere dagli hotspot, ma attualizziamo con quello che in questo momento si sta determinando.
Il Dipartimento per le libertà civili ha elaborato una roadmap – d'intesa con noi peraltro, perché si lavora sullo stesso piano, con compiti diversi, ma con grande sinergia e utilità –, un documento richiesto dalla Commissione europea nell'ambito del Piano Juncker e dell'Agenda sulla migrazione. In questa roadmap sono stati individuati 6 hotspot.
Gli hotspot non costituiscono in principio un punto territoriale, ma, come dice la parola stessa, dei «punti caldi». In realtà, alla fine, sono state individuate delle località. La prima innanzitutto è Lampedusa, che è già in funzione. È l'unico hotspot in questo momento in funzione, anche per una coerente volontà politica, dal momento che si è parlato sui giornali di una certa titubanza di alcuni Paesi ad affrancarsi dalle proprie responsabilità. Questo mi sembra evidente, non scopro l'acqua calda. La Francia ha dato 20 posti. Non ricordo la geografia, ma su tutti i giornali è riportato un altro Paese che ne ha dati 50. Addirittura si cominciano a intravedere richieste di selezione tra i rilocabili, preferendo magari più i siriani e meno gli eritrei. È veramente un discorso che ha una sua complessità intrinseca, Pag. 10da cui non si può prescindere. Obiettivamente, c’è una situazione di difficoltà.
Gli hotspot sono calibrati e l'unico funzionante in questo momento a pieno regime è Lampedusa. Gli altri hotspot designati sono Trapani, Pozzallo, Augusta, Porto Empedocle e Taranto, ma Taranto e Augusta interverranno in un momento successivo. Questo ve lo dico per notizia, ma è il Dipartimento per le libertà civili che dovrebbe fornire un quadro, se non altro per competenza.
Mediamente, allo stato attuale, si tratta di hotspot con una capienza di 300 persone. C’è una flow chart dell'attività che viene condotta nell’hotspot: i migranti arrivano, sbarcano – ormai non arriva nessuno autonomamente; sono tutti accompagnati da navi che fanno Search and Rescue – e sono sottoposti a un primo controllo, a un primo screening di carattere sanitario, ovviamente, perché, prima che entrino in contatto col personale, bisogna vedere se ci sono patologie, feriti, donne in stato di gravidanza. Avviene poi l'assunzione di un'informazione generale, tramite un foglio notizie, che viene svolta da personale degli Uffici immigrazione che noi abbiamo inviato in queste strutture, insieme a personale della squadra mobile locale. Questo perché tra queste persone si potrebbe annidare qualcosa di interessante sotto il profilo investigativo.
Dopodiché, si procede alla fotografia del soggetto e, quindi, al fingerprinting. Naturalmente, in questa sede si fa uno screening tra coloro che manifestano immediatamente la volontà di richiedere asilo e coloro che, invece, questa volontà non la manifestano e che, come tali, sono destinati al rimpatrio.
Qui si dividono, quindi, le strade: il richiedente asilo va nell’hub. Nel caso di Lampedusa, funziona da hub per la successiva relocation il centro di Villa Sikania, che credo sia nell'agrigentino. Invece, per coloro che sono da rimpatriare, la destinazione sono i CIE.
Quanto a questo aspetto – è un dato oggettivo – non abbiamo sufficienti posti nei CIE, quindi si determina spesso la necessità di disporre l'espulsione mediante invito a lasciare il territorio, ipotesi che, naturalmente, non si realizza. Nessuno ritorna in Nigeria. Si tratta di una difficoltà oggettiva.
A mio avviso – questa è un'opinione tecnica, che però non può essere sempre asettica, ma implica necessariamente anche una valutazione di carattere personale – per molto tempo si è pensato che i CPT, ossia i Centri di permanenza temporanea e di assistenza... Essi sono venuti fuori con la legge Turco-Napolitano e sono stati poi sussunti nel decreto legislativo 25 luglio 1998 con varie modifiche. C’è stata la direttiva n. 2008/115/CE (cosiddetta «Direttiva rimpatri»), recepita nel nostro ordinamento con prolungamenti di permanenza fino a 18 mesi, che poi sono stati ridotti. Adesso sono di 90 giorni per gli ordinari e di 30 giorni per chi ha scontato una pena detentiva.
Anche 30 giorni, per esempio, per chi ha scontato una pena detentiva, secondo me, rappresentano un elemento di grave difficoltà, perché chi ha scontato una pena detentiva è uno che si è reso responsabile di reati gravi o di reati. In Italia per andare in galera per un periodo detentivo bisogna aver commesso un determinato tipo di reato. Se non si arriva a una collaborazione veloce con i Paesi di provenienza, 30 giorni costituiscono un problema.
Su questo fronte abbiamo ottenuto un forte progresso. Il Dipartimento di PS è arrivato ad un agreement, un accordo con il DAP, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. C’è uno scambio di informazioni sui detenuti in carcere con la possibilità, aprioristicamente e preventivamente, di pervenire all'accertamento dell'identità, in maniera che, quando questa persona esce dallo stato di detenzione, sia possibile procedere immediatamente al rimpatrio. Questa è una lacuna che è stata colmata. Manca ancora un monitoraggio accurato, perché siamo stati distratti da altri eventi, ma su questo tema è proprio di questi giorni la necessità di procedere a una verifica sul funzionamento.Pag. 11
Questo accordo è senza precedenti. Non c'era prima un accordo di questo genere. Non solo, ma quest'attività è molto importante perché gli Uffici di polizia e immigrazione possono accedere ai dati del SIDET, ossia del Sistema informativo detenuti. Nel sistema SIDET, che viene implementato dagli istituti di pena, ci sono elementi fondamentali per stabilire con buona approssimazione l'identità di un soggetto, perché ha ricevuto delle lettere dal Marocco, perché ha ricevuto dei parenti, perché ha ricevuto un pacco, perché è stato intervistato dal console marocchino. Tali dati servono a fornire un quadro di apprezzamento molto importante.
C’è un altro elemento che stiamo cercando di sviluppare. Naturalmente, voi sapete che esiste il sistema VIS, il Sistema informativo visti. Nel rilascio del visto Schengen uniforme o del visto nazionale si procede adesso all'assunzione delle impronte digitali. Che cosa può avvenire ? Può avvenire che questo visto venga rifiutato ad uno straniero che lo richiede perché non soddisfa le condizioni di permanenza o per altri validi motivi. È plausibile pertanto che questo straniero tenti di fare ingresso nel nostro Paese in maniera illegale. Non avendo ottenuto il visto, se non lo fanno entrare dalla porta, cerca di entrare dalla finestra. Se gli sono state prese le impronte digitali, una volta in Italia, esse possono essere «matchate» con le impronte digitali richieste quando ha richiesto il visto, perché anche i rifiuti vengono mantenuti. C’è uno storage delle impronte degli stranieri a cui è stato rifiutato il visto. I dati, quindi, si possono «matchare» per arrivare già allora ad un'identificazione certa. Quando il soggetto si è recato al consolato, infatti, aveva un passaporto, o una carta di identità ed erano stati raccolti tutti i dati. C’è dunque la possibilità di fare immediatamente questo tipo di verifiche. Si tratta di un'attività che richiede un fervente impegno.
Venendo al C3, la procedura di richiesta di asilo è semplice sotto certi profili (poi parlerò delle criticità). Il richiedente asilo formula un'istanza, vengono immediatamente assunte tutte le notizie nel famoso C3, che viene poi inviato alla Commissione territoriale competente per territorio. Il Dipartimento per le libertà civili ha fatto negli ultimi mesi uno sforzo enorme, ragion per cui le Commissioni territoriali sono diventate 20, con 20 sezioni. Abbiamo, quindi, 40 punti di valutazione delle domande di asilo.
Questa valutazione di asilo si completa con ipotesi differenti. Una è il riconoscimento dello status di rifugiato tout-court, per la quale nel frattempo allo straniero viene dato un permesso di soggiorno provvisorio valido sei mesi in attesa. Dopodiché, se riconosciuto asilante, gli viene rilasciato un permesso di soggiorno della validità di cinque anni. Un'altra ipotesi naturalmente è quella del rifiuto, cui segue l'immediata adozione di un provvedimento di allontanamento nei confronti dello straniero. Oppure ci può essere un esito diverso del C3, ovvero la protezione sussidiaria o la protezione umanitaria.
Per fornire un dato completo, dal 1o gennaio al 28 ottobre le istanze presentate sono state 68.725. Bisogna aggiungere a questo dato, per avere un ordine di grandezza più appropriato, 5.000 stranieri che sono in attesa di formalizzazione dell'istanza. Sono lì, ma non hanno ancora formalizzato.
Il tasso di riconoscimento è bassissimo: solamente 797 sono stati accolti come rifugiati. Non parlo né di protezione sussidiaria, né di protezione umanitaria. Il totale delle istanze per le quali è stata riconosciuta invece la protezione sussidiaria è di 1.438. Il questore, su invito della Commissione, procede poi – è solamente un aspetto formale – al rilascio dei permessi per protezione umanitaria.
La differenza sostanziale sta nel fatto che il rifugiato rientra in pieno nella definizione internazionale di rifugiato, cioè di colui che appartiene a una nazione, intesa etnicamente, perseguitata, secondo il dettato della Convenzione di Ginevra e del relativo protocollo applicativo di New York. Chi gode della protezione sussidiaria, invece, è colui che non è riferibile a Pag. 12una situazione generale di appartenenza, ma che ha una sua condizione personale che ne suggerisce la tutela.
La protezione umanitaria, infine, è quella che riguarda situazioni di altra natura, ossia soggetti in difficoltà, a rischio di essere assoggettati a sfruttamento o soggetti deboli che necessitano di tutela. In quanto tale, la Commissione territoriale formula una raccomandazione al questore indicando che il soggetto potrebbe essere, se non ci sono motivi ostativi, beneficiario di protezione umanitaria.
Nel caso dell’hotspot, poiché questo hotspot ha una sua definizione e dimensione comunitaria, esso fa parte del progetto di decisione della Relocation, che ha coinvolto alcune Agenzie europee, tra cui l'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo (EASO).
Pertanto, nell'ambito di Villa Sikania, nella fattispecie, oltre che a Lampedusa, ci sono degli esperti EASO che collaborano con il personale di polizia per la predisposizione di un modello C3 per la richiesta di asilo, che poi segue la via ordinaria, perché le richieste vanno alle Commissioni oppure i migranti vengono immediatamente rilocati. Questa è una procedura.
Per quanto riguarda il fotosegnalamento, ho dimenticato di dire prima che, in considerazione delle frequenti critiche rivolte all'Italia per un «difettoso» – chiamiamolo così – fotosegnalamento, noi abbiamo richiesto a Frontex di inviare 10 fotosegnalatori in tutti gli hotspot di altri Stati membri, per un'operazione di trasparenza, affinché possano realmente vedere quali sono le difficoltà che si incontrano per poter fotosegnalare.
Quando uno straniero, per esempio una donna, si pone in posizione fetale, procedere al fotosegnalamento non è una questione di poco conto. Noi abbiamo dei filmati che dimostrano come in circa quaranta minuti si sia riusciti a fare, con due o tre poliziotti, un fotosegnalamento. Poiché ce lo chiedono, noi stiamo valutando la possibilità di introdurre nell'ordinamento una norma che consenta l'uso dalla forza per coloro che si rifiutano.
Naturalmente, è un concetto che postula anche un periodo di trattenimento ai fini identificativi. Bisogna trovare una copertura giuridica per questa operazione. È una situazione complessa, ma, ripeto, sono proposte...
PRESIDENTE. Noi chi ?
GIOVANNI PINTO, Direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno. Il Governo, l'Ufficio legislativo.
PRESIDENTE. L'Ufficio legislativo del Ministero dell'interno ?
GIOVANNI PINTO, Direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno. Stiamo lavorando su questa ipotesi. I tentativi fatti finora hanno avuto sempre delle difficoltà oggettive, ma questa è in via di predisposizione. Si sta valutando questa possibilità. È un argomento, peraltro, molto delicato. Se, però, da parte europea si chiede un fotosegnalamento sistematico, bisogna che in qualche modo sia dimostrato o che questo fotosegnalamento si fa o che non è possibile farlo.
Peraltro, da quello che ci risulta, chi ha avuto atteggiamenti critici nei nostri confronti – come è emerso da articoli apparsi su Der Spiegel in Germania –, ha incontrato uguali difficoltà a fotosegnalare, perché si è determinata una situazione di country shopping del richiedente asilo.
Qui si evoca un altro scenario, ossia un sistema comune in materia di asilo. Un sistema comune in materia di asilo giuridicamente ha dei suoi fondamenti in alcuni Regolamenti, tra cui il Regolamento di Dublino – che come ho detto sarà forse il caso di rivedere –, il Regolamento Eurodac, le direttive sulle qualifiche e le direttive sui centri di accoglienza, direttive che formulano nell'intero una possibilità di garantire che ci sia un'assimilazione nei trattamenti riservati ai richiedenti asilo il più omogenea possibile, perché un trattamento particolarmente privilegiato potrebbe assumere una valenza problematica.Pag. 13
È quello che succede, per esempio con i richiedenti asilo che non vogliono neanche più stare in Germania, ma vogliono andare in Finlandia e in Svezia perché, oltre ad avere magari parenti in questi Stati, il che è un fattore importante, lì vengono assistiti in maniera più confortevole e remunerativa. Questa è una situazione che, secondo me, richiede uno sforzo aggiuntivo.
Si è parlato anche della lista dei Paesi sicuri, ma è un pannicello caldo, perché non risolverebbe il problema. Il problema va risolto con altri interventi, di carattere ben più strutturale. Innanzitutto questi migranti arrivano tutti senza documenti. Bisogna comunque intervistarli e verificare le loro condizioni, per capire se appartengono a un Paese che fa parte della lista dei Paesi sicuri. È un esperimento che da noi non è stato ancora fatto. Non c’è alcuna previsione.
Questo, in estrema sintesi, è tutto ciò che si può dire su questo argomento. I dati sono a disposizione. Si sta cercando di onorare gli impegni assunti, ma occorre che anche gli altri Paesi onorino i loro impegni, perché, in assenza di una corrispondenza di questo tipo, non credo che noi possiamo continuare in una situazione di questo genere. È quello che ha detto il Ministro Alfano in più circostanze.
PRESIDENTE. Ringrazio il prefetto.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
ELENA CARNEVALI. Innanzitutto ringrazio molto il prefetto, perché ha fatto una relazione più che esaustiva e direi anche molto libera e trasparente. Pongo solo alcune questioni.
La prima riguarda i dati. Ha ragione quando dice che di fatto noi siamo allineati con questo 8 per cento in meno rispetto allo scorso anno. È un dato statistico. Per quanto riguarda, invece, il rapporto tra quante persone sono entrate e i fotosegnalati, lei dice che, considerando che in particolare i siriani si dirigono verso il fronte dei Balcani, noi siamo nelle condizioni molto probabilmente di avere una buona performance – chiamiamola così – per quanto riguarda la questione dei fotosegnalamenti, che coincide e che permette di poter entrare nella via della legalità, perché queste sono le condizioni attuali. Si sta in questo Paese partendo da quel processo.
Detto questo, il fotosegnalamento è comunque uno strumento necessario anche prima della predisposizione del C3...
GIOVANNI PINTO, Direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno. È la base.
ELENA CARNEVALI. Sulla questione del C3 le devo dire che, per le poche informazioni su alcuni territori che sono in mio possesso, purtroppo, non avviene tutto in modo così lineare come ci è stato descritto. Problemi sono avvenuti soprattutto nelle situazioni in cui ci siamo trovati di fronte a grandi numeri, con grandi sbarchi, difficoltà più che giustificate, ci mancherebbe. Abbiamo avuto problemi per cui sono passati a volte settimane o anche mesi senza che il C3 sia stato di fatto compilato. La richiesta viene dalle questure di competenza del territorio in cui queste persone sono nei CAS già da un po’ di tempo.
La domanda che le faccio è la seguente: al netto del fatto che stiamo pur sempre parlando di un fenomeno particolarmente complesso da affrontare, noi abbiamo anche tutto il tema – che non dipende da lei – delle Commissioni territoriali. Io mi auguro che di fatto ci sia un ampliamento. Noi ne abbiamo parlato a lungo, perché così di fatto non stanno funzionando particolarmente bene, il che significa intasare, imbottigliare. A un certo punto l'imbuto si stringe, perché le persone ritardando con i C3, tardano anche ad avere l'esito della condizione di status. Pertanto, è necessario che questa procedura funzioni con un po’ più di rodaggio. Quello che volevo segnalarle è che è abbastanza oggettivo il fatto che non sia proprio tutto così lineare.
Del resto, noi siamo una Commissione che valuta le condizioni dal punto di vista Pag. 14qualitativo dell'offerta che noi facciamo nei confronti delle popolazioni migranti. Inoltre, abbiamo ampliato l'orizzonte anche sulla base di quello che è avvenuto sul piano di natura giudiziaria.
L'aspetto dell'uso della forza mi ha particolarmente stupita, non glielo nascondo. Da un lato, mi è sembrato un po’ in contraddizione con la dichiarazione che lei faceva prima, cioè che erano in particolare i siriani e, se non ricordo male, gli eritrei – noi abbiamo avuto anche la possibilità di vederlo – che sono sempre stati un po’ ostici alla possibilità di acquisire il fotosegnalamento. Non so quanto questo diventi necessario. Penso che in una materia particolarmente delicata sia giusto che parliamo sempre di diritti umani e, quindi, anche di convenzioni a livello internazionale. Io credo che questo sia un nodo particolarmente critico.
Sul tema invece dei rimpatri, dal 2014 ad oggi che siamo nel 2015, quanti rimpatri siamo riusciti a portare a termine ? Io capisco che le condizioni sono che o si sta su questo territorio legalmente o che l'alternativa è non poterci stare e dover ritornare a casa propria, ma mi rendo conto che quel processo di cui ci ha parlato, di relazioni, soprattutto politiche con i Paesi di riaccoglienza, è fondamentale. Non possiamo passare se non attraverso quello.
Queste erano due domande o para-osservazioni per dettaglio su dati che lei ci ha già fornito.
MARIA CHIARA GADDA. La ringrazio per la sua presenza oggi e per l'esposizione molto puntuale e precisa, che ha fornito anche una chiave di lettura specifica su alcune tematiche. Io non ripeterò le domande che ha già effettuato la collega Carnevali, che condivido, e mi appresto a fare delle integrazioni, partendo dall'ultimo punto, quello legato all'uso della forza.
Sulla base della vostra esperienza e anche del dialogo che – immagino – avvenga con gli altri Paesi europei, avete fatto il punto della situazione sulle modalità e sulle normative specifiche dei diversi Paesi ? Avete svolto un confronto percentuale con gli altri Paesi ? Non in questa sede, ma nel Comitato Schengen, abbiamo avuto modo di audire l'ambasciatrice tedesca in Italia. Dai dati che ha evidenziato, io non ho notato una differenza in termini percentuali rispetto al nostro Paese, né in merito ai tempi di evasione delle richieste, né in merito ai tassi di identificazione e soprattutto di rimpatrio. Esistono narrazioni diverse, ma poi i numeri, soprattutto in termini percentuali, sono abbastanza simili.
In quella sede abbiamo posto la stessa domanda in merito all'eventuale possibilità di utilizzo della forza. In Germania risulta che le percentuali in termini di arrivi di eritrei e di siriani siano più elevate rispetto al nostro Paese. Anche in quella situazione il rifiuto di essere identificati è piuttosto alto, ma anche in quel Paese l'uso della forza non è stato assolutamente contemplato tra le modalità. È stato marginalizzato per una serie di motivazioni. Questa è la domanda, che riguarda il paragone con altre esperienze europee che hanno le medesime problematiche.
L'altra domanda riguarda il tema dei visti. Vorrei sapere se è possibile avere un'idea, sulla base dei dati a vostra disposizione, di quali sono le percentuali e le nazionalità che hanno avuto un diniego in termini di visto e che poi, invece, sono rientrate con altre modalità nel nostro Paese. Vorrei capire quali sono i Paesi in oggetto, se è possibile avere questo dato, anche per capirne le dinamiche.
L'ultima domanda riguarda la diversa provenienza. Noi abbiamo degli arrivi accompagnati, sulla base anche delle esperienze delle missioni internazionali in corso nel Mediterraneo via mare, e poi anche nel nostro Paese ci sono degli arrivi via terra. Chiaramente sono più marginali e legati a frontiere interne, ma ci sono. Vorrei sapere se la vostra esperienza evidenzia una differente gestione. Via mare il flusso è sostanzialmente determinato, accompagnato, perché le persone vengono salvate in mare e accompagnate nei porti di destinazione, mentre via terra il fenomeno Pag. 15è diverso, più frammentato, quasi singolo e dilazionato nel tempo e nelle ore del giorno.
Anche nel nostro Paese ci sono 200 chilometri di frontiera, per esempio con la Slovenia. Questo è un dato non irrilevante, considerato l'aumento dei flussi da quella rotta. Vorrei capire se l'incremento anche su quella rotta ha causato e causa delle problematiche o delle differenze di gestione anche in materia di fotosegnalamento. È più difficile, in quel caso, accorpare arrivi e flussi frazionati, talvolta singoli.
Grazie.
GIOVANNI PINTO, Direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno. Per quanto riguarda il ricorso alla forza, rappresento che una sentenza della Cassazione già lo consente. Lo consente senza avere la possibilità di un periodo di trattenimento per fare queste operazioni.
MARIA CHIARA GADDA(fuori microfono). Per «forza» che cosa intende ?
GIOVANNI PINTO, Direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno. La forza non è una forza in termini assoluti. È una forza commisurata alle esigenze.
MARIA CHIARA GADDA(fuori microfono). Può essere anche il trattenimento ?
GIOVANNI PINTO, Direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno. Può essere anche il trattenimento, la costrizione, il cercare di ottenere questo fotosegnalamento. Ripeto, adesso è possibile sulla base di una sentenza, ma noi l'abbiamo fatto in maniera quasi irrilevante, perché le condizioni dell'assunzione delle impronte sono assolutamente difficili. Parlavo prima di posizioni fetali e di quaranta minuti per arrivare al fotosegnalamento. Come ho detto prima, quaranta minuti per fare un fotosegnalamento sono già uno stato di costrizione, di forza, che deve essere commisurata. Non si possono spaccare le ossa, è evidente.
D'altra parte, come ho detto in più situazioni, la polizia non è lì per usare la forza gratuitamente. Il dato è evidente. Non si tratta di giustificarlo. Sono arrivati 170.000 migranti l'anno scorso e 139.000 quest'anno: mi sembra che di accadimenti drammatici non ve ne siano mai stati. Anzi, ci hanno tutti riconosciuto grande equilibrio e sensibilità nella gestione. Si tratta, come hanno fatto i tedeschi, di cercare di avere una base giuridica più netta e limpida, perché quella sentenza della Corte costituzionale presta il fianco a interpretazioni.
PRESIDENTE. Ci può fornire questa sentenza ? Anche solo gli estremi.
GIOVANNI PINTO, Direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno. È la sentenza della Corte costituzionale n. 30 del 1962.
MARIA CHIARA GADDA Può chiarire cosa intende ?
GIOVANNI PINTO, Direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno. «I rilievi fotodattiloscopici non importano menomazione della libertà personale, anche se possono talvolta richiedere una momentanea immobilizzazione della persona».
PRESIDENTE. È del 1962 ?
GIOVANNI PINTO, Direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno. È del 1962. Io faccio riferimento a testi e ipotesi che ce lo consentono. Probabilmente non ci sarà neanche bisogno di ricorrervi, per i motivi che ho detto prima, perché, se il numero si sta assottigliando progressivamente – siamo arrivati al 95,05 per cento – è chiaro che bisogna considerare in modo pragmatico queste situazioni. Pag. 16Io vi riferisco un problema che l'Europa ci ha posto e le possibili soluzioni.
In questi termini va inteso ciò, non certamente come violenza gratuita. Si tratta di cercare, almeno nei termini della possibilità del rispetto comunque della persona, di pervenire a questo fotosegnalamento, anche perché in molti casi c’è una disinformazione della persona. Il caso degli eritrei, che hanno rifiutato di essere sottoposti ad asilo e che poi si sono presentati alla questura di Bologna chiedendo di essere fotosegnalati, è emblematico.
C’è un'azione importante delle organizzazioni umanitarie, dei mediatori culturali e delle stesse organizzazioni impegnate nel mondo dell'accoglienza per cercare di informare i migranti di questa questione. Dovendo fornire uno strumentario normativo per poter legittimamente compiere questa operazione, si è pensato di presentare una nota. D'altra parte, gli altri Paesi membri le hanno uguali, ma è chiaro che l'applicazione va commisurata alle situazioni.
L'altra domanda riguardava la tempistica del C3. Io mi sono munito di un dato oggettivo che ho recuperato da Vestanet. Vestanet è il network che viene compilato con le richieste di protezione internazionale. Naturalmente qualcuno potrà dire che questi dati non sono corrispondenti al vero: no, sono quelli compilati.
I decreti da notificare sono 2.700. Il dato del periodo 1o gennaio 2015-28 ottobre 2015, che riguarda, ripeto, i verbali C3 registrati nel sistema delle questure, è di 68.725; con esito da giudicare 57.000; in attesa di convocazione per le audizioni – il che significa che i C3 sono stati fatti e che i richiedenti aspettano la comunicazione delle Commissioni – 33.000. Quindi non vorrei che il dato fornito mescolasse un po’ le carte: i provvedimenti eseguiti da notificare sono 2.700. Questo è un dato recuperabile da Vestanet, dalla rete degli inserimenti. È un dato oggettivo.
MARIA CHIARA GADDA(fuori microfono). Dall'inizio dell'anno ?
GIOVANNI PINTO, Direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno. Il dato Vestanet dall'inizio dell'anno è di 68.000. Poi ci sono alcuni C3 che sono ancora in attesa di essere inseriti. I C3 con esito ancora da giudicare sono 57.181, 33.971 sono in attesa della data di convocazione, 8.139 sono i C3 con convocazione notificata e 797 quelli che sono stati processati positivamente, con l'attribuzione dello status di rifugiato. Sono dati di Vestanet, che vi possiamo fornire. Adesso è inutile ripeterli pedissequamente.
Naturalmente ci stiamo interessando – per le ragioni che lei diceva, di questa ondata migratoria enorme – anche all'adeguamento delle strutture. C’è un'attenzione massima. Abbiamo mediatori linguistici un po’ dappertutto, in tutte le questure, per cercare appunto di facilitare la compilazione e l'acquisizione di questi elementi e così processare rapidamente le richieste.
L'altra domanda riguarda il numero dei rimpatri. Al 25 ottobre gli stranieri rintracciati in posizione irregolare sono 26.085. Tenete presente che qui non si parla dei 139.000 giunti via mare, questo è il rintraccio che avviene nel territorio. In alcuni casi si tratta di respinti alla frontiera. Chiaramente sono provvedimenti conseguenti alla non accettazione oppure soggetti respinti dai questori. Questi sono 11.944. Gli espulsi con accompagnamento alla frontiera – questo è il dato reale, di effettivo allontanamento – sono 2.048. Gli espulsi su conforme provvedimento dell'autorità giudiziaria sono 1.014.
Quanto agli stranieri riammessi, la riammissione non coincide con un formale provvedimento giuridico, ma funziona in base alle intese che sono state conseguite con alcuni Paesi, tra cui la Nigeria, la Svizzera, la Francia e la Slovenia, anche se devo dire che con questi Paesi abbiamo un pesante passivo, perché tutti i flussi migratori che giungono in Sicilia, nel Mediterraneo centrale e in altre regioni cercano evidentemente di guadagnare i Paesi dell'Europa Pag. 17centrale, come la Francia. Penso al caso di Calais o di Ventimiglia, che sono casi emblematici.
È stato necessario quindi – per una collaborazione credo oggettiva, che bisogna fornire agli altri Stati membri – organizzare dei servizi di retrovalico e di pattugliamento per intercettare coloro che cercano di raggiungere altri Paesi in maniera irregolare. C’è pur sempre una responsabilità del nostro Paese vis-à-vis con altri Stati membri. Non possiamo fregarcene.
La riammissione, quindi, viene effettuata sulla base di specifici accordi. Ci sono stati a tal fine – anche se, ripeto, noi paghiamo un onere pesante in termini di dare-avere – 726 soggetti. Gli stranieri rimpatriati, in buona sostanza, sono stati 11.944, a fronte di 14.341 non rimpatriati perché non hanno ottemperato e sono comunque rimasti.
Soprattutto devo sottolineare ancora una volta la penuria di posti nei Centri di identificazione ed espulsione. Questo è un dato oggettivo, non posso tralasciarlo. Chi vi parla è stato per lunghi anni, ben 23 ...
Quando nel 1998 si è dato il via a tutta un'attività di identificazione, di rimpatrio e di accordi – l'allora ministro era Giorgio Napolitano –, furono creati i primi CPT. Ricorderete che c’è stata una stagione di grande emergenza, con il capannone ASI di Agrigento, le scuole di Termini Imerese, la palestra di Pozzallo, perché bisognava far fronte ad un'emergenza senza precedenti.
In quel contesto partì una campagna di organizzazione di accordi. Per poter poi realizzare il materiale rimpatrio di queste persone è necessario, infatti, poterle trattenere in un luogo adeguato e allora non c'era nulla per effettuare i rimpatri, era tutto de iure condendo.
Ricordo il primo charter, che riguardò il rimpatrio a Islamabad di 148 pachistani che venivano dalla palestra di Pozzallo. Si trattò di una struttura improvvisata, che poi con provvedimento formale fu nominata «Centro di permanenza temporanea». Questo ha consentito i rimpatri. In assenza di tali strutture, ovviamente, il numero dei rimpatri si riduce drasticamente.
Ripeto, lo sforzo è stato prodotto non tanto per queste situazioni. Certo, anche per queste situazioni, perché, naturalmente, se non ci sono i posti nei CIE, non ci sono. Soprattutto, però, abbiamo fornito massima attenzione agli stranieri detenuti che hanno commesso dei reati e, quindi, hanno avuto una condotta negativa nei confronti di cittadini italiani o di altri stranieri, macchiandosi di reati talvolta anche odiosi. Noi cerchiamo, d'intesa con l'autorità giudiziaria e col sistema che abbiamo descritto, di rimpatriare questi soggetti sistematicamente.
Peraltro il CIE, il Centro di identificazione e di espulsione, non è un'istituzione deputata solamente al contrasto dei migranti via mare. I CIE servono anche per allontanare gli stranieri che hanno commesso dei delitti, dei reati, e che, come tali, sarebbe opportuno allontanare dal territorio. Questo fatto può essere discutibile, ma io credo che sia un'accezione abbastanza comune.
Un'altra domanda riguarda il sistema dei visti. Vorrei chiarire meglio, perché sicuramente nella mia esposizione sarò stato carente per velocità.
Io ho parlato del sistema VIS e delle impronte digitali come di un espediente pratico per cercare di pervenire all'identificazione. Noi abbiamo considerato, poiché ci sono sempre difficoltà per accertare la nazionalità di queste persone, che nel VIS ci sono gli stranieri che hanno richiesto il visto o a cui è stato rifiutato il visto, che hanno rilasciato le impronte digitali. Si tratta di uno storage, di una serie di dati che esiste.
MARIA CHIARA GADDA(fuori microfono). La curiosità era sulle provenienze.
GIOVANNI PINTO, Direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno. In genere a chi viene rifiutato il visto ? Viene rifiutato a cittadini stranieri che non hanno le necessarie risorse economiche Pag. 18o che si presentano con una situazione particolare. C’è una valutazione che va fatta secondo un'istruzione comune consolare che tutte le rappresentanze diplomatiche dei Paesi Schengen devono rispettare. Si tratta di verificare gli accrediti, se ci sono stati. Magari questi soggetti hanno già formato oggetto di espulsione precedentemente e quindi sono stati inseriti nel database degli inammissibili oppure sono risultati pericolosi. C’è tutta una gamma di soggetti che o per motivi economici o per precedentazione non hanno accesso.
Lei sa che nell'ambito della Convenzione complementare dell'accordo di Schengen è stato creato il sistema SIS, il Sistema informativo Schengen, ampliato poi successivamente, in cui ci sono cinque categorie di dati: ai sensi dell'articolo 95 gli arresti a fini estradizionali; ai sensi dell'articolo 96 le persone inammissibili, che sono proprio coloro che, essendo stati già espulsi per effetto del divieto di reingresso – prima il termine era di cinque anni, ma adesso rischio di non essere preciso – per cinque anni non possono fare rientro, a meno che non ne facciano richiesta.
Nel caso in cui si presentino a un consolato, non solo italiano, ma anche di un altro Paese Schengen, perché magari non c’è consolato italiano in quel Paese, nel momento in cui fanno la richiesta, viene immediatamente verificato il database del SIS. Lì risulta che, essendo il soggetto già stato espulso, non può rientrare.
In queste banche dati ci sono sia le impronte digitali di chi ha ottenuto regolarmente il visto sia quelle di colui a cui è stato rifiutato il visto. Questa messe di dati noi riteniamo possa tornare utile perché, attraverso l'assunzione delle impronte dello straniero rintracciato che rifiuta di declinare le proprie esatte generalità, noi possiamo, attraverso un confronto di queste impronte digitali col database del visto, pervenire ad un'identificazione pressoché certa, in quanto costui si è presentato al consolato con tanto di passaporto e di nominativo.
Volevo chiarire che questa è una dimensione squisitamente deontologica e pratica. Io credo che utilizzare questi sistemi sia anche un fatto di utile sostegno per queste attività.
Quanto agli arrivi via terra, in relazione alla situazione slovena ci hanno chiesto una grossa collaborazione, che noi stiamo fornendo, in termini di risorse umane e di mezzi, perché la situazione dei flussi migratori attraverso i Balcani – da ultimo, ripeto, 70.000 persone sono arrivate in Slovenia negli ultimi cinque giorni – sta creando delle fortissime pressioni e difficoltà. Naturalmente, tutto questo avviene in una frontiera che non esiste più, perché è un confine comune, e con una previsione di abolizione anche dei presìdi di polizia e l'affidamento del tutto alle questure. Non essendoci più una frontiera, infatti, tutto rientra nell'attività di controllo del territorio. L'immigrazione illegale in una regione di frontiera costituisce un elemento di controllo del territorio.
Questo è avvenuto, per esempio, per Bolzano, dove i settori del Brennero, di San Candido e di Malles Venosta, che avevano allo stesso tempo il double hat – nel senso che erano frontiera e Commissioni territoriali – sono passati tutti nell'ambito della questura. La questura si impegna massimamente a fare questi cosiddetti «servizi di retrovalico».
Una delle situazioni che si determineranno, sia con gli hotspot sia con i flussi di immigrazione clandestina, riguarda i cosiddetti movimenti secondari, cioè di coloro che, trovandosi legittimamente o illegittimamente in un Paese cercano di andare in un altro. Questo crea un fenomeno parallelo all'immigrazione clandestina diretta attraverso le frontiere esterne.
Su questo tema c’è un grosso battage di collaborazione, per cui noi abbiamo delle pattuglie miste che svolgono la loro attività sugli assi viari, ma soprattutto sugli assi ferroviari, perché il treno è quello che si presta meglio ad un trasferimento rapido e sicuro da una regione del sud a una regione del nord e verso altri Paesi. Abbiamo Pag. 19delle pattuglie miste con gli austriaci, con i tedeschi, con i francesi.
Inoltre, a più riprese – anche adesso, credo, se non vado errato – abbiamo rilanciato un'operazione di controllo abbinata con gli austriaci e i tedeschi nei porti dell'Adriatico per controllare i traghetti, perché temiamo che una via alternativa a tutta questa situazione (stiamo massimamente attenti su questo) possa essere in futuro la rotta dall'Albania e dal Montenegro. Tale rotta potrebbe improvvisamente attivarsi, perché immaginiamo che, nel momento in cui si dovessero chiudere le porte dell'Austria e della Germania, avremo un tappo con cui rischiamo di doverci confrontare.
C’è una presenza pervasiva continua soprattutto di pachistani e di afgani, perché entrano alla spicciolata, come lei giustamente diceva. Attenzione, però, c’è un dato importante: molti si presentano alle questure – parlo di dati che ho raccolto di recente dalle questure di Udine, Gorizia e Trieste – richiedendo asilo. Molti di questi soggetti risultano già segnalati. Vengo così a quello che diceva lei: è un déja-vu. Sono stati fotosegnalati in Ungheria e in Croazia, ma sono andati via.
Hanno fatto richiesta di fotosegnalamento. Avrebbero un obbligo di riaccettazione, su nostra richiesta, ossia di riprenderseli. È quello che dicono a noi. Perché chiedono il fotosegnalamento ? Perché poi, se li trovano in Germania, li devono mandare da noi. La stessa cosa vale pure per noi. Siamo su un discorso di assoluta parità.
Il problema è un altro e investe – credo ci siano dei lavori parlamentari su questo, ossia sulla rivisitazione del Regolamento di Dublino – proprio la necessità di fornire uno strumento più agevole per queste riammissioni, perché sono talmente farraginose che solo una quota parte, una parte minima di queste riaccettazioni, che escludono altre possibilità, avviene.
Faccio un esempio pratico, perché così si comprende meglio. Se un pachistano, che è entrato in Ungheria, ha formato oggetto di fotosegnalamento e di inserimento in Eurodac come ingresso illegale e ha proseguito il suo viaggio, viene a chiedere asilo alla questura di Trieste – sono dati che noi abbiamo – questo soggetto non potrebbe richiedere e ottenere l'asilo in Italia, perché lo Stato competente per la trattazione della domanda d'asilo è l'Ungheria.
La situazione è saltata completamente e anche l'esperienza pregressa, a prescindere da questa ondata migratoria straordinaria, dimostra che il dato delle riaccettazioni ai sensi del Regolamento di Dublino è bassissimo. Quando pure c’è l'accettazione, in molti casi, l'accettazione della riammissione di questi stranieri non trova una pratica esecuzione. Su 100 persone che un Paese membro accetta di riprendere solo 50 poi effettivamente vi sono riammessi. C’è un décalage.
C’è, per esempio, l'impossibilità per alcuni Stati membri di trattenere le persone in attesa della risposta. È chiaro però che, non potendole trattenere – ritorno un po’ alla struttura dei centri –, queste persone poi si dileguano, vanno via e quindi non è più possibile portare a termine la procedura di riammissione.
Questi sono gli strumenti giuridici che sono a disposizione a livello europeo e a livello nazionale. Si cerca di attuarli con grande equilibrio. Credo che questo sia sotto gli occhi di tutti. C’è finalmente la consapevolezza che il problema non è più solo italiano: noi l'abbiamo detto da sempre che era un problema europeo. Come ha detto lei, giustamente, spetta però alla politica pervenire a una gestione più equilibrata del problema, che peraltro ha dimensioni imprevedibili e non sappiamo di quale durata.
PRESIDENTE. Grazie. Io avrei una sola domanda da farle. Il sistema Vestanet, se capisco bene, dipende dalla sua direzione.
GIOVANNI PINTO, Direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno. No, il sistema Vestanet è del Dipartimento per le libertà civili. Noi lo alimentiamo per la nostra parte attraverso l'acquisizione dei modelli C3.
Pag. 20 PRESIDENTE. C’è stato un caso che noi abbiamo segnalato al Ministro Alfano prima dell'estate, sul quale il ministro aveva detto che ci sarebbero state delle implementazioni al fine di risolvere questo problema.
Il caso è il seguente: ci sono persone che, per avere il rinnovo del permesso di soggiorno, devono tornare a chiederlo nella questura da cui era stato emesso per la prima volta. La nostra richiesta, come Commissione, è di poterlo fare anche altrove. A che punto è questa situazione ?
GIOVANNI PINTO, Direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno. Non ho una risposta immediata, perché non conosco la questione.
PRESIDENTE. Non è necessario. Può anche farci sapere in seguito.
GIOVANNI PINTO, Direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno. La risposta la potrò fornire sicuramente a posteriori, perché non ricordo effettivamente una circolare in tal senso.
Noi stiamo facendo una serie di evoluzioni. Per esempio, proprio per la questione del fotosegnalamento – apro solo questa digressione – accade che lo straniero venga fotosegnalato per ingresso irregolare e che successivamente questo straniero cambi opinione e decida di chiedere asilo. Ci sono molte richieste d'asilo strumentali. A questo punto, viene sottoposto nuovamente al fotosegnalamento.
Noi stiamo chiedendo che, anche se lo chiede in un posto diverso, si possa utilizzare la stessa base, per evitare la ripetizione dell'operazione. È un fatto tecnico, che poi è l’«uovo di Colombo», ma sul quale molte volte bisogna arrivare alla stregua delle enormi pressioni che si registrano. Questo sicuramente è un sistema abbordabile.
PRESIDENTE. Poiché il ministro aveva fatto esplicito riferimento, nella sua audizione in questa Commissione, al fatto che avrebbe affrontato e risolto il problema perché lo condivideva, a questo punto...
GIOVANNI PINTO, Direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno. Non ho una risposta immediata. Il problema potrebbe essere stato già risolto.
PRESIDENTE. Va benissimo. Possiamo avviarci alla conclusione.
Ringrazio il prefetto e anche la dottoressa che ha apportato un silenzioso contributo e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15.35.