Sulla pubblicità dei lavori:
Migliore Gennaro , Presidente ... 3
Audizione del Prefetto Alessandro Pansa, Capo della Polizia:
Migliore Gennaro , Presidente ... 3
Pansa Alessandro , Capo della Polizia ... 4
Migliore Gennaro , Presidente ... 6
Fontana Gregorio (FI-PdL) ... 6
Palazzotto Erasmo (SI-SEL) ... 7
Pansa Alessandro , Capo della Polizia ... 7
Palazzotto Erasmo (SI-SEL) ... 7
Pansa Alessandro , Capo della Polizia ... 8
Palazzotto Erasmo (SI-SEL) ... 8
Patriarca Edoardo (PD) ... 8
Brescia Giuseppe (M5S) ... 9
Dambruoso Stefano (SCpI) ... 9
Beni Paolo (PD) ... 10
Migliore Gennaro , Presidente ... 11
Pansa Alessandro , Capo della Polizia ... 12
Migliore Gennaro , Presidente ... 17
Brescia Giuseppe (M5S) ... 17
Fontana Gregorio (FI-PdL) ... 17
Pansa Alessandro , Capo della Polizia ... 17
Fontana Gregorio (FI-PdL) ... 18
Pansa Alessandro , Capo della Polizia ... 18
Fontana Gregorio (FI-PdL) ... 18
Migliore Gennaro , Presidente ... 18
Fontana Gregorio (FI-PdL) ... 18
Pansa Alessandro , Capo della Polizia ... 18
Migliore Gennaro , Presidente ... 18
Palazzotto Erasmo (SI-SEL) ... 18
Pansa Alessandro , Capo della Polizia ... 19
Palazzotto Erasmo (SI-SEL) ... 19
Migliore Gennaro , Presidente ... 19
Palazzotto Erasmo (SI-SEL) ... 19
Pansa Alessandro , Capo della Polizia ... 19
Palazzotto Erasmo (SI-SEL) ... 19
Pansa Alessandro , Capo della Polizia ... 19
Palazzotto Erasmo (SI-SEL) ... 19
Pansa Alessandro , Capo della Polizia ... 19
Migliore Gennaro , Presidente ... 19
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GENNARO MIGLIORE
La seduta comincia alle 14.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, ove necessario – anche su richiesta di un commissario ovvero dell'audito –, i lavori della Commissione potranno proseguire in seduta segreta.
Al riguardo, per assicurare la massima fluidità al dibattito pubblico, prego i colleghi di riservare eventuali quesiti da sviluppare in sede riservata alla parte finale della seduta.
Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla Web-tv della Camera dei deputati.
Non essendovi obiezioni, così rimane stabilito. Dispongo pertanto l'attivazione dell'impianto.
Audizione del Prefetto Alessandro Pansa, Capo della Polizia.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del prefetto Alessandro Pansa, Capo della Polizia, che ringrazio per la sua disponibilità a partecipare ai lavori della Commissione.
L'audizione odierna rappresenta l'occasione per una riflessione complessiva su alcune tematiche che hanno costituito oggetto di particolare attenzione da parte dell'organo parlamentare. Prima di entrare nel merito, vorrei, però, ringraziare anche coloro che accompagnano il Capo della Polizia, ovvero la dottoressa Raffaella Renzi dell'Ufficio Affari generali e giuridici della Direzione centrale dell'immigrazione e della Polizia delle frontiere del Dipartimento della pubblica sicurezza e il vicequestore Fabio Perilli, che assiste all'audizione.
Inoltre, mi permetto di rivolgere un sentito ringraziamento a tutto il Dipartimento, attraverso lei, che è il Capo della polizia, per la grande collaborazione con le forze di polizia nelle attività operative sul territorio e per l'eccellente contributo dei collaboratori provenienti dal suo Dipartimento, che, al pari degli altri consulenti, stanno partecipando in maniera significativa ai lavori dalla nostra Commissione.
Per quanto riguarda il merito di questa audizione, vorrei riferirmi innanzitutto al tema dell'identificazione e del fotosegnalamento dei migranti. Infatti a questa problematica si connettono, come sappiamo, numerose criticità legate all'accoglienza, soprattutto con riferimento all'esigenza di attuare l'obbligo di identificare coloro che sbarcano sulle nostre coste.
Ricordo che in alcune audizioni è stata anche avanzata la possibilità di adottare misure coercitive per il suo adempimento. Come è noto, peraltro, sul fotosegnalamento si incardina il principio sancito dal Trattato di Dublino sulla competenza a esaminare le domande di protezione internazionale e si innesta il meccanismo della relocation, sulla cui effettiva applicazione non sembrano, tuttavia, essere stati raggiunti risultati soddisfacenti (anzi, direi del tutto insufficienti).Pag. 4
Aggiungo che oggi dai mezzi di informazione viene riportata la notizia di una prossima riforma radicale del Trattato di Dublino. È opinione largamente condivisa da questa Commissione, si tratta di una buona notizia, che potrebbe mutare radicalmente la prospettiva attuale. Su questi aspetti auspico, pertanto, che vi possa essere il prezioso contributo dell'audito.
Ancora, è oggetto di nostro interesse la delicata questione delle procedure seguite per la distinzione tra rifugiati e cosiddetti «migranti economici», anche per quanto concerne l'esigenza di assicurare misure di garanzia in sede di discrimine tra coloro che possono accedere alla procedura di riconoscimento e chi ne è escluso.
In particolare, su questo punto ci interesserebbe molto sapere qual è, allo stato dei fatti, la situazione negli hotspot, anche perché è notizia recentissima l'apertura formale di Pozzallo come hotspot, e se sono garantite tutte le misure necessarie affinché il procedimento con il foglio d'informazione sia compilato con la presenza di un interprete o comunque di una persona che possa assicurare l'accesso alle informazioni per la richiesta d'asilo, ovvero che non si preveda quello della nazionalità come criterio principale in questa sede.
Sul punto sarà di grande interesse, quindi, avere elementi di conoscenza relativamente all'istituzione dei nuovi hotspot e alle iniziative volte a snellire i tempi e le modalità di accesso alle procedure di protezione internazionale.
Infine, richiamo in questa sede l'esigenza di riflettere sulle politiche dei rimpatri e di presidio delle frontiere che sono state segnalante in varie audizioni.
Le notizie di questi giorni secondo cui alcuni Paesi europei hanno assunto misure restrittive alla libera circolazione nell'area Schengen impongono, evidentemente, maggiore attenzione verso azioni preventive che il nostro Paese deve effettuare, in particolare – questa è una considerazione più di carattere politico – sul rischio che l'effetto a catena della sospensione di Schengen possa riguardare molti Paesi e quindi, di fatto, tagliare fuori l'Italia. Queste, difatti, sono materie la cui importanza e delicatezza trova conferma nel rilievo assunto nel dibattito politico interno e nel confronto dialettico con le istituzioni comunitarie, talvolta non privo di asprezze e polemiche.
Nel ringraziare nuovamente il dottor Pansa per la sua disponibilità, gli cedo la parola.
ALESSANDRO PANSA, Capo della Polizia. Buongiorno a tutti. La ringrazio, Presidente, delle sue parole nei confronti del Dipartimento e delle forze dell'ordine. Mi sembra che il tema si incentri su due domande: le procedure di identificazione e l'accesso alla domanda di asilo.
Per quanto riguarda l'identificazione, nel 2015 sono sbarcati in Italia 153.842 stranieri, di cui 57.985 fotosegnalati per ingresso illegale e 71.016 per richiesta di protezione internazionale, per un totale di 129.000 persone fotosegnalate, pari all'83,9 per cento di tutti gli sbarcati.
Il dato che abbiamo raggiunto, cioè la media annua dell'83,9, è frutto di un progressivo miglioramento della capacità di gestione del flusso di migranti, ma è legato anche alla diminuzione delle poche migliaia di soggetti che non volevano chiedere asilo in Italia – essenzialmente siriani ed eritrei – che si opponevano al fotosegnalamento, rientrando, appunto, nei non fotosegnalati.
Adesso, però, ci sono sempre meno siriani, che anzi sono quasi interamente spariti; anche gli eritrei sono pochissimi, quindi la gran parte delle persone arrivate si fanno sottoporre al fotosegnalamento senza problemi perché vogliono fare la domanda di asilo in Italia.
Gli altri, invece, più o meno esperti, sanno che l'essere fotosegnalati per ingresso illegale non impedisce loro, nel prosieguo, eventualmente, altre possibilità di restare. Pertanto, da una media annua che a giugno era di poco superiore al 60 per cento, siamo passati a fine anno all'83,9 per cento, il che significa che in questo momento fotosegnaliamo più o Pag. 5meno il 100 per cento dei soggetti, cosa non trascurabile soprattutto perché nei nostri confronti è stata avviata una procedura di infrazione proprio per il mancato fotosegnalamento.
Tuttavia, come abbiamo cercato di spiegare alla Commissione europea, per una questione di velocità e di riduzione delle attività nei confronti dei migranti appena sbarcati, procedevamo a una sola forma di fotosegnalamento, o per ingresso illegale o per asilo. Ora, dato che le regole del sistema Eurodac prevedono che tutti siano fotosegnalati per ingresso illegale e poi vengano distinti, e quindi nuovamente fotosegnalati, quelli che chiedono asilo, il nostro dato risultava molto scarso. In effetti, però, quello che ho citato è un dato che possiamo confrontare con la gran parte dei Paesi europei che si stanno misurando con questo problema. In sostanza, come dato statistico non siamo inferiori agli altri.
Per quanto riguarda, invece, il tema dell'accesso, accennerei rapidamente alla procedura. Nel momento in cui le persone che sbarcano in Sicilia o sulle coste italiane, la prima cosa che viene fatta è uno screening sanitario; poi viene compilato un «primo foglio notizie», dove vengono velocemente indicati dei dati.
In altri Paesi, come è successo e come avete visto fare, mettevano alle persone un numero sulla mano per poterle seguire ed individuare, sapendo, per esempio, che i primi dieci stavano in una sala, i secondi dieci in un'altra e così via. Tuttavia, dal momento che questo non è corretto, noi facciamo una fotografia che attacchiamo su un foglio notizie, dove mettiamo il nome dichiarato, la nazionalità, ove dichiarata, e quant'altro. Questo avviene sempre tramite i mediatori culturali. Non lo facciamo mai da soli, anche perché non abbiamo le competenze linguistiche. E comunque nei confronti di queste persone non bastano le semplici competenze linguistiche, ma occorrono anche delle metodologie diverse. I nostri sono formati ad hoc, ma il mediatore culturale ha una capacità professionale diversa.
Di conseguenza, questo procedimento avviene sempre alla loro presenza e con il loro aiuto. Infatti, il foglio notizie viene sottoscritto anche dal mediatore culturale, che, attraverso la sua esperienza e la sua capacità, può confermare o meno la nazionalità indicata da chi sbarca.
A seguito di questa operazione, le persone vengono «incanalate» in due percorsi. Quelle che hanno annunciato di voler chiedere asilo iniziano il percorso che porta al fotosegnalamento e alla compilazione del modello C3, attraverso il quale si raccoglie, appunto, la domanda di asilo per l'avvio del procedimento presso le competenti commissioni. Chi invece non chiede immediatamente asilo viene instradato verso un altro canale, che parte con un secondo foglio notizie, molto più approfondito e dettagliato, tramite il quale il soggetto può chiedere asilo – ovviamente, tutto questo avviene sempre con il contributo e la presenza di mediatori culturali – oppure viene avviato al fotosegnalamento, quindi vengono applicate le norme per il respingimento, quasi sempre con intimazione da parte del questore a lasciare il territorio nazionale.
Le fasi di cui abbiamo parlato, dal momento dello sbarco all'avvio della procedura di asilo o all'avvio della procedura di respingimento, avvengono alla presenza delle équipe di Frontex, ovvero gli esperti per la sicurezza delle frontiere, e dell'EASO (European Asylum Support Office), ovvero degli esperti per le procedure di asilo e accoglienza. Questo è il meccanismo.
In alcuni momenti, quando in un fine settimana sono sbarcate 10.000 persone, è impossibile negare che vi possa essere stata confusione o una velocizzazione della gestione delle procedure per potere smistare e togliere le persone dai piazzali dei porti, là dove erano in una condizione di permanenza molto precaria. Può essere accaduto, quindi, che a qualcuno non sia stato sufficientemente chiarito che poteva presentare domanda di asilo. Tuttavia, si ha – ripeto – sempre la possibilità di farlo successivamente. Mi dispiace che siano capitati questi casi, ma, se sono accaduti, Pag. 6ciò è avvenuto in circostanze di massima straordinarietà che hanno riguardato alcuni porti.
Con gli hotspot di cui stavamo parlando si dovrebbe garantire un assoluto perfezionamento del sistema. Infatti, abbiamo avviato la realizzazione di tutti gli hotspot; due già sono funzionanti e Pozzallo sta per entrare in funzione o è entrato in funzione in queste ore. Gli hotspot sono delle strutture presso le quali tutte le procedure possono essere fatte in maniera più organizzata e veloce e in cui sono garantite le presenze di tutti gli attori che devono dare informazioni alle persone che sbarcano in ordine ai loro diritti e alle loro prerogative per gestire in maniera corretta proprio le due fasi.
In primo luogo vi sono gli aspetti relativi alla sicurezza, perché nel momento in cui sbarca una persona che non chiede asilo, noi non abbiamo nessuna altra possibilità se non quella di allontanarla dal territorio nazionale. Non esiste nessun'altra possibilità: o chiede asilo o deve essere allontanata.
Abbiamo, dunque, spinto perché questi provvedimenti venissero fatti subito, in modo che con il fotosegnalamento potessimo garantire anche un aspetto di sicurezza. Del resto, essendo cresciuta la minaccia terroristica, il fotosegnalamento, ovvero l'identificazione dattiloscopica dei soggetti che arrivano, è fondamentale proprio ai fini della sicurezza.
Dall'altro lato, con una circolare del Dipartimento le libertà civili, si è sollecitata la massima attenzione affinché nel momento della separazione delle due strade – l'una verso l'asilo e l'altra verso il respingimento – venisse garantita a tutti la possibilità di una chiara comprensione delle condizioni verso le quali la persona si sta indirizzando, presentando o meno la richiesta di asilo.
In linea di massima queste sono le informazioni di cui dispongo. Sono, tuttavia, pronto a rispondere alle vostre domande.
PRESIDENTE. Ringrazio il prefetto e do la parola ad un rappresentante per gruppo, poi eventualmente ad altri colleghi dei gruppi composti da più di un componente.
GREGORIO FONTANA. Grazie, signor prefetto. Mi permetta di ringraziare per suo tramite anche tutti gli operatori delle forze di polizia che si trovano a fronteggiare questa emergenza sul territorio, spesso con le molte difficoltà che conosciamo. Rivolgo quindi un ringraziamento a tutti gli operatori.
Per quanto riguarda invece il merito delle questioni trattate, certamente quella del fotosegnalamento è cruciale anche ai fini della valutazione complessiva del fenomeno dell'immigrazione. Lei ci ha descritto una procedura che, stando alle cifre, è migliorata rispetto al passato. Infatti, a settembre abbiamo audito la direttrice generale dell'Ufficio della Polizia scientifica che ci aveva descritto una situazione che si stava fronteggiando, ma che evidenziava che un soggetto su tre, di fatto, sfuggiva al fotosegnalamento.
In questo contesto, sia in quell'occasione, sia nel corso dell'audizione dei funzionari di Frontex, che oggi sono direttamente sul campo anche negli hotspot, era stata evidenziata la difficoltà non solo e non tanto di usare la forza per il fotosegnalamento, ma a volte anche di spiegare bene a persone che arrivavano e non avevano contezza di quello che gli stava accadendo ciò che era opportuno fare e l'iter che ne sarebbe conseguito.
Pertanto, l'aspetto dei tempi della procedura che lei ci ha illustrato non è secondario. Vorrei avere un chiarimento rispetto alla tempistica nel momento in cui viene compilato il foglio notizie e quindi la persona che vuole richiedere asilo attraverso il C3 viene fotosegnalata. Mi riferisco, però, non solo a chi, in quanto richiedente asilo, ha un interesse a rimanere sul nostro Paese, ma anche a quelli che non chiedono asilo e che, però, è comunque importante gestire dal punto di vista della sicurezza.
Infatti, se è vero che la coercizione è una misura limite difficilmente utilizzabile, è però fondamentale poter trattenere Pag. 7le persone oltre quanto previsto dalla legge per consentire – come ci è stato descritto dal funzionario di Frontex – di spiegare loro che cosa stiamo facendo e quali sono le loro prospettive. In questo senso, per quel che riguarda la mia parte politica, sarebbe importante la valutazione dell'aumento delle ore di fermo di polizia per queste pratiche.
Quella che ha descritto è, ad oggi, la situazione relativa agli sbarchi. Tuttavia, le decisioni assunte dall'Austria e la pressione che proviene da quella parte dei confini orientali ci portano ad avere una preoccupazione, per cui le chiedo qualche dato rispetto al controllo da parte delle nostre forze di polizia del confine orientale, perché potrebbe essere una zona estremamente delicata.
ERASMO PALAZZOTTO. Anch'io ringrazio il signor prefetto per essere qui. Vorrei farle delle domande sulle due questioni che sono state affrontate per avere alcune precisazioni.
Nello specifico, nella scorsa audizione del rappresentante di Frontex abbiamo visto che, nelle procedure operative standard previste per la pratica di identificazione, Frontex immagina – queste sono le linee guida che sta fornendo a tutti gli Stati – l'utilizzo della forza per la rilevazione delle impronte digitali.
A tal proposito, vorrei chiederle se queste procedure sono state mai applicate nel nostro Paese ed, eventualmente, come la richiesta di Frontex si coniuga con il nostro sistema normativo, che non prevede questa possibilità.
Chiedo questo perché diverse volte, non solo adesso con la vicenda degli hotspot, ma anche in passato, pur senza nessuna verifica, si sono rincorse voci o denunce da parte di alcune organizzazioni sull'utilizzo della forza. Le domando, dunque, se è in grado di escludere che questo sia mai accaduto nei nostri centri di identificazione e di accoglienza.
Invece, in merito all'accesso al diritto d'asilo, che è la parte più delicata che riguarda soprattutto le procedure dopo la nascita dei nuovi hotspot, abbiamo diverse testimonianze di una scarsa informazione fornita ai migranti al momento dello sbarco, cosa che ha prodotto più di un caso di potenziali richiedenti asilo che sono classificati come migranti economici, a cui è stato fatto dunque il respingimento in differita dai questori, soprattutto in Sicilia.
Non parliamo di singoli casi. Abbiamo, infatti, avuto un episodio specifico a Trapani che riguardava quasi 200 migranti, poi reinseriti nel sistema di accoglienza dal prefetto di Trapani, che li ha, appunto, reinseriti nell’hotspot, riconoscendo che evidentemente quei migranti non avevano avuto un'informativa sufficiente presso il porto di Palermo. Ci sono, inoltre, centinaia di casi che hanno ottenuto da parte dell'autorità giudiziaria il respingimento in differita, ma poi è stato accolto il ricorso, creando un ingolfamento. Oggi, soprattutto ad Agrigento, abbiamo una situazione...
ALESSANDRO PANSA, Capo della Polizia. Il ricorso contro il respingimento o contro il rigetto della domanda di asilo ?
ERASMO PALAZZOTTO. È stato accolto il ricorso contro il respingimento. Ci sono stati dei casi di ricorsi accolti dal Tribunale di Palermo, per cui adesso questi migranti faranno la richiesta d'asilo, così come previsto dal nostro ordinamento.
Si pone, però, un problema di ordine pubblico. Abbiamo registrato che finora Agrigento è uno dei punti nevralgici, perché dall’hotspot di Lampedusa venivano accompagnati ad Agrigento e abbandonati alla stazione, con un foglio di via. La Caritas di Agrigento non ha più posti disponibili per fare fronte a questa emergenza. Parliamo ormai di centinaia di persone, forse anche migliaia in questo momento. La stessa situazione si registra a Palermo, dove tutti i centri di accoglienza delle organizzazioni umanitarie sono al collasso.
Quasi tutti i respingimenti fatti dalle questure siciliane vengono rigettati dai tribunali. Si crea, però, un lasso di tempo che vede queste persone nel fuori dal Pag. 8sistema d'accoglienza, in questo limbo in cui, di fatto, sono clandestini nel nostro territorio in attesa del giudizio.
Alcuni richiedenti gambiani, classificati come migranti economici, a cui è stato dato il provvedimento di respingimento, hanno ottenuto dal tribunale l'accoglimento del ricorso, quindi hanno domandato di fare richiesta d'asilo, ma la questura ha detto che dovranno aspettare fino ad aprile per poter compilare il modulo C3.
Insomma, abbiamo una situazione paradossale in cui degli individui si trovano nel nostro Paese privi di uno status giuridico, perché non sono riusciti ad accedere al diritto d'asilo, non avendo la possibilità – in questo caso dal punto di vista della burocrazia – di fare la domanda e, dall'altra parte, non hanno più il respingimento, quindi non sono più neanche migranti economici irregolari.
ALESSANDRO PANSA, Capo della Polizia. Basta manifestare la volontà di presentare la domanda, indipendentemente dalla presentazione della domanda stessa, per entrare nel percorso di accoglienza.
ERASMO PALAZZOTTO. Le assicuro che in questo momento queste persone non sono nel percorso di accoglienza, quindi evidentemente, da questo punto di vista, c’è un problema.
Anche alla luce della circolare del prefetto Morcone, che lei richiamava, proprio sull'attenzione rispetto a queste procedure, siccome mi consta che sul territorio i casi sono molti e corriamo il rischio di un'emergenza sociale, oltre che di ordine pubblico e sicurezza, le chiedo quali sono le misure che intende assumere per evitare che ci sia un numero così elevato di respingimenti, dovuti per la maggior parte dei casi ad una mancata informazione sui diritti di cui godono i migranti allo sbarco.
Peraltro, la maggior parte di questi successivamente presenta la richiesta di asilo, quindi evidentemente non ha capito bene, al momento dello sbarco, che era una possibilità che poteva utilizzare. Probabilmente, nel foglio notizie che viene utilizzato ci sono domande che inducono in errore il migrante. Per esempio, come ho avuto modo di verificare, alla domanda se vuole lavorare in Italia, molti richiedenti asilo rispondono affermativamente, perché hanno come obiettivo anche quello di lavorare, non solo quello di fare la richiesta d'asilo. Tuttavia, molto spesso questa risposta è utilizzata come motivazione per indirizzarlo verso il percorso di migrante economico, che non è una categoria giuridicamente riconosciuta nel nostro ordinamento.
EDOARDO PATRIARCA. La ringrazio per la sua introduzione. Anche il dato che ci fornisce del 100 per cento di fotosegnalazioni, se i numeri verranno confermati contabilizzando anche l'ultimo periodo, ovvero novembre e dicembre, è un dato di grande rilievo, di cui do merito anche alla Polizia perché evita la procedura di infrazione e in qualche modo «svelena» il dibattito politico sulla questione. Credo sia, dunque, certamente un dato di grande importanza.
Le vorrei chiedere alcuni elementi di riflessione per comprendere bene il meccanismo della procedura che ci ha descritto. A un certo punto, lei ha detto che i migranti arrivano, dopodiché, come previsto dalla normativa, sono divisi in due percorsi diversi: i richiedenti d'asilo e quelli che, evidentemente, non hanno questo diritto e quindi sono sottoposti al respingimento e al rimpatrio.
Ora, sui richiedenti asilo, con tutte le fatiche e le difficoltà di gestione, mi pare che il percorso sia abbastanza delineato. Invece, per quanto riguarda l'altra categoria, cosa accade precisamente quando un migrante è sottoposto al respingimento ?
Chiedo questo perché, all'orizzonte, abbiamo il tema della detenzione e del rimpatrio. Insomma, è un momento molto delicato su cui abbiamo chiesto approfondimenti. Le domando, dunque, un chiarimento più puntuale su quello che accade e sugli elementi di difficoltà.
Il tema del rimpatrio – lo ribadisco anche ai colleghi della Commissione – mi Pag. 9pare che la questione riguardi l'Europa, quindi prioritariamente il tema degli accordi bilaterali, che è ben più complesso di quanto lo si voglia proporre nel dibattito.
Per concludere, siccome anche a me oggi sembra la via più complessa e forse meno controllata, le chiederei qualche informazione su quanto sta accadendo sulla rotta balcanica, ovvero su come la nostra Polizia sta procedendo al controllo. Le chiedo, in particolare, se le modalità che ha ribadito per quanto riguarda la Sicilia, quindi per gli sbarcati provenienti dal mare, sono attive anche sul confine orientale, ovvero sulla rotta balcanica.
GIUSEPPE BRESCIA. Non so se avete avuto la mia stessa impressione, ma mi pare che, purtroppo, la situazione vada sempre più peggiorando nel nostro Paese. Non mi riferisco strettamente a quanto ha detto, ma agli interventi che tutti hanno fatto.
Sebbene i dati che ci ha dato sulle procedure di identificazione siano migliorativi rispetto alla situazione precedente, quindi ci possono confortare anche rispetto alla questione della procedura d'infrazione, a me pare che questi dati siano migliorati o comunque le procedure siano migliorate solo perché, appunto, incombeva su di noi una procedura di infrazione, quindi si è modificato l'atteggiamento nei confronti di queste procedure.
Non molti mesi fa siamo stati a Lampedusa e ricordo che in uno dei centri più importanti, dove arriva il maggior numero di persone in Italia, ci dicevano che si riusciva ad identificare soltanto un terzo delle persone. Ora, se le percentuali sono cambiate in maniera così rilevante, ciò è avvenuto in pochissimo tempo.
Rispetto alla questione di Dublino, ci sono notizie recenti di grandi stravolgimenti, ma, di fatto, Dublino esiste, è vivo e vegeto e condiziona pesantemente tutte le procedure, dall'inizio alla fine.
Su Schengen, lei, Presidente, aveva fatto una richiesta di chiarimento, che collego alla mia domanda. A me pare che manchi una cabina di regia, mi pare cioè che al Ministero dell'interno non ci stiano capendo più di tanto, non abbiano la situazione sotto controllo e manchino, di conseguenza, le direttive che dovrebbero essere fornite a voi che siete sul campo e che dovete fare le cose.
Capisco benissimo la vostra difficoltà, per cui la domanda che le pongo è appunto quali direttive avete avuto soprattutto nella gestione di questa nuova entità che c’è sul nostro territorio, vale a dire gli hotspot, ma anche rispetto al resto, ovvero ai respingimenti.
Per esempio, una preoccupazione molto forte che ho – ma che credo sia condivisa dalla Commissione – riguarda alcune ipotesi di respingimenti di gruppo che ci sono state sul territorio. Anche per questo l'Italia è stata sanzionata in passato, per cui non vorrei mai che fosse sanzionata ancora in futuro.
Mentre questa Commissione era a Bari, si paventava una situazione di questo tipo, perché si diceva che a Taranto ci fosse stato un gruppo di nove nigeriani che forse sarebbero stati respinti a causa anche di queste procedure poco chiare di differenziazione tra richiedenti asilo e migranti economici. Come gli hotspot e tante altre cose, queste procedure non sono assolutamente definite dal punto di vista giuridico, quindi non si sa in base a cosa si utilizzino queste categorie.
Concludo dicendo che nella sua relazione ha confermato l'esigenza – sulla quale ormai conviene tutta la Commissione – di una revisione generale di tutta la materia in tema di immigrazione.
STEFANO DAMBRUOSO. Ringrazio il prefetto Pansa, capo della Polizia, per le informazioni che ci ha dato e per la conferma dell'impegno che la Polizia italiana sta continuando a prestare in questa delicatissima fase storica del continente europeo.
Ho colto con grande apprezzamento un dato molte volte dato per scontato proprio per la sua difficoltà di raggiungimento in termini di obiettivi. Mi riferisco al numero di riconoscimenti in percentuale. È apprezzabilissimo, infatti, che in un tempo che considero breve rispetto alle prime Pag. 10censure e lamentele da parte dell'Unione europea e degli organi di Bruxelles siano arrivate delle risposte che sono espressione della capacità di reazione immediata da parte del nostro Paese.
Vorrei rivolgerle una domanda molto sintetica. Le chiedo quanto gli atteggiamenti o comunque le scelte sostanzialmente «protettive» del proprio territorio, da parte di vari Paesi dell'Unione Europea, che hanno spesso reso più difficile – fino ad arrivare a vere e proprie chiusure dei propri confini – l'accesso nei propri territori di migranti che desideravano raggiungere determinati posti, abbiano condizionato o messo in crisi i fisiologici rapporti di cooperazione, fondamentali nel settore della gestione dell'immigrazione a livello europeo.
Mi riferisco, in particolare, alla cooperazione fra le polizie dei vari Paesi interessati alla gestione di questo fenomeno, non soltanto quelli che guardano verso l'area balcanica confinanti con l'Italia, ovvero con le polizie dell'Austria, della Slovenia, del Montenegro e della Serbia, ma anche i Paesi che si trovano sull'altro versante. Penso, per esempio, alla forte chiusura – resa evidente anche dalla visibilità mediatica – avvenuta sul confine francese, in Costa Azzurra.
Ecco, questo ha incrinato i rapporti fisiologici ? Quanto le scelte politiche di questi governi hanno condizionato i rapporti tradizionalmente funzionanti tra polizie, rapporti che in altri settori – mi riferisco alla cooperazione nella lotta alla criminalità organizzata – continuano a funzionare adeguatamente, mentre su questo tema specifico vengono, appunto, significativamente condizionati dalle scelte politiche di un determinato governo ?
PAOLO BENI. Ringrazio per le informazioni che ci sono state fornite. Integro soltanto in parte le domande dei colleghi. Le sottopongo, in particolare, un dubbio rispetto al quale non se può dare una valutazione.
Lo schema che ci ha proposto dei due percorsi in cui vengono selezionati e poi instradati i migranti in arrivo è chiaro. Resta il fatto – ovviamente si tratta di una opinione, un'interpretazione che al momento dell'arrivo e della compilazione delle prime informazioni – che sappiamo e abbiamo verificato direttamente essere abbastanza concitato – queste persone vengono, in pratica, già classificate come «richiedenti asilo» o come «migranti economici» – anche se sappiamo che non è una vera e propria categoria; per capirci, diciamo «non richiedenti» – sulla base del fatto che manifestino o meno esplicitamente questa volontà.
Tuttavia i non richiedenti, che hanno un percorso diverso, possono poi fare ricorso contro il provvedimento di respingimento. Peraltro, lei ci confermava che questo avviene. Allora, la domanda che le faccio è se non crede sia opportuno fare una verifica sull'efficacia del primo impatto di quel foglio notizie che potrebbe avere delle lacune che causano questo fenomeno di andata e ritorno rispetto a una non certa individuazione immediata della volontà del migrante che arriva.
Sulla questione dei rimpatri, che è stata già citata, mi chiedo se lei ci può fornire qualche chiarimento perché su questo noi abbiamo i dati forniti dal Ministero dell'interno, ma io personalmente non li ho ancora capiti fino in fondo. Sappiamo che i rimpatri possono essere decretati per vari motivi, non solo nel caso dei respingimenti, ma anche per le persone già presenti nel nostro territorio nazionale da tempo che hanno un provvedimento di espulsione. Le chiedo la proporzione fra quanti di questi provvedimenti vengono decretati, quanti vengono poi effettuati con l'accompagnamento alla frontiera e quanti vengono invece comunicati in differita perché questo è un dato che non abbiamo. Voglio dire che abbiamo dei dati che però non sono chiarissimi perché credo ci siano delle sovrapposizioni di gruppi non omogenei.
In ultimo, a proposito dei respingimenti, vorrei affrontare la questione dei centri di trattenimento. Le chiedo come si definisce, in questo schema dei due percorsi che lei ci ha proposto inizialmente, il ruolo dei Centri di identificazione ed Pag. 11espulsione, cioè dei centri di trattenimento. Glielo chiedo anche perché il responsabile operativo di Frontex, nella sua audizione qui in Commissione, sostanzialmente, a domanda ci ha risposto: «una volta che noi abbiamo individuato i richiedenti protezione internazionale che avranno il loro percorso eccetera, quelli che non hanno questo requisito e che non sono richiedenti per noi dovrebbero andare in altre strutture, al fine di essere rimpatriati, e inevitabilmente devono essere strutture di trattenimento chiuse».
Questo è quanto sostanzialmente ci ha detto Frontex. Ora, considerando i posti disponibili nei CIE e considerando anche il problema del tempo massimo di trattenimento che la legge italiana prevede per i CIE, mi chiedo come si possano conciliare tali aspetti. Grazie.
PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Beni. Vorrei fare anch'io alcune considerazioni.
La prima si riferisce ai CIE. Le chiedo un'opinione, anche sulla base della sua lunga esperienza su una serie di attività che riguardano la prevenzione di reati e di condotte che non sono regolari.
Le riporto un caso di specie: nei CIE ci sono persone che, nel momento in cui viene accertata la loro identità e magari sono destinatari di un provvedimento di espulsione, rimangono lì fino a decorrenza dei termini e poi vengono mandati nel territorio nazionale, perché ad esempio non c’è un accordo di riammissione. Dal momento in cui tali persone sono identificate, che ragione c’è di trattenerli all'interno del CIE, visto che è un provvedimento che comunque non avrà un effetto operativo, se non quello di rappresentare un costo ? Glielo chiedo perché è evidente che entrano in conflitto due esigenze, quella dell'eventuale espulsione del destinatario e quella di avere una riammissione effettiva.
Inoltre, sempre con riferimento ai CIE, noi abbiamo seguito il caso di alcune donne nigeriane che sono state trasferite direttamente dall’hotspot di Lampedusa al CIE di Ponte Galeria. In quel caso per alcune di loro c’è stata un'accelerazione; alcune sono state destinatarie anche di misure di protezione e altre sono state rimpatriate. Vorrei sapere, visto che quello è stato un caso che ha richiamato una certa attenzione da parte dei media e anche nella nostra istituzione parlamentare, quanti sono i trasferimenti diretti dagli hotspot ai CIE.
Capita anche che ci siano persone che, all'interno del CIE, presentano richiesta d'asilo. Le chiedo, collegandomi alle domande che hanno fatto un po’ tutti i colleghi, quali sono le procedure e i tempi del fotosegnalamento e quando si svolge effettivamente la compilazione del foglio notizie. Glielo chiedo perché, appena arrivate sulla banchina, magari in una condizione frastornata, mi sembra anche più difficile che le persone diano immediatamente tutta la loro disponibilità a una collaborazione.
Per esempio, noi sappiamo che per soggetti vulnerabili c’è stato un aumento considerevole della tratta, in particolare per le donne nigeriane, che normalmente non denunciano e non chiedono; almeno questo è quello che ci dicono le organizzazioni internazionali in prima istanza. Le chiedo quindi se non vi sia la necessità di una particolare attenzione nel filtro iniziale perché – forse sono un ottimista – vedo l’hotspot sia come un'azione di contenimento, quindi di identificazione grazie anche agli strumenti di polizia, sia come uno strumento attraverso il quale il migrante è più garantito nei suoi diritti che devono essere esercitati fino in fondo.
Per noi è importante sapere quanti sono quelli trasferiti direttamente dagli hotspot ai CIE e quanti di questi sono rimpatriati. Lei ha ragione quando dice che ci possono essere degli afflussi eccezionali ma è anche vero che noi abbiamo verificato che a Lampedusa ci sono stati recentemente dei casi di persone che sono rimaste lì per due mesi. Questa è la situazione.
Inoltre, la circolare cui lei stesso ha fatto riferimento e che ha emesso, con urgenza a vista, il Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, il Pag. 12Prefetto Morcone, ribadisce tutta una serie di cose che sono note perché sono norme di legge. Tuttavia, se c’è stata l'esigenza di farlo, probabilmente qualcosa doveva essere messo a registro. Questo è il motivo per il quale ci sono state, a mio giudizio, molte domande su questo punto.
Effettivamente le denunce da parte delle organizzazioni internazionali ci sono state. Io ho da poco partecipato a un tavolo di lavoro istituito presso il Ministero dell'interno dove l'UNHCR e l'OIM, che sono organizzazioni internazionali, oltre ad altre strutture, hanno segnalato questo tipo di problema, per cui la questione è quali sono gli elementi che in progress si stanno adottando per ottenere il massimo risultato possibile anche in questa direzione. Grazie.
Le cedo di nuovo la parola per la replica conclusiva.
ALESSANDRO PANSA, Capo della Polizia. Vorrei fare una precisazione. Le varie procedure che vengono messe una dietro l'altra per le diverse destinazioni offrono sempre la possibilità, anche attraverso l'informazione, di chiedere asilo appunto perché le singole fasi delle procedure non hanno una tempistica e una modalità standard.
Quando arrivano sul piazzale di un porto un migliaio di persone, il problema è togliere quelle persone dal piazzale del porto. È chiaro che, in quel momento, la prima cosa da fare è lo screening sanitario. Poi, bisogna dargli le informazioni sommarie, quindi avviarli al percorso. Vorrei precisare che, durante il percorso che seguono, hanno sempre la possibilità di chiedere asilo. Per questo motivo oggi si stanno realizzando gli hotspot che hanno appunto questo compito, cioè portare delle persone in strutture organizzate, presso le quali le procedure di avvio possono essere svolte con maggiore facilità, con maggiore semplicità e chiarezza e tutto il tempo necessario.
Il problema nostro esiste, sul piazzale di Augusta, del porto di Pozzallo, del porto di Palermo, di Catania, di Taranto, quando arrivano a migliaia. Parliamoci chiaro: non li possiamo tenere in quelle condizioni. Ma in quelle condizioni l'intervento è al 99 per cento di tipo umanitario, perché è una fase ulteriore del soccorso. Questo è il meccanismo.
Gli hotspot sono la soluzione, tant’è vero che è quella individuata dall'Unione europea. Il problema è che noi, dopo l’hotspot, entriamo in difficoltà per quel che riguarda i soggetti che non accedono alle procedure di asilo.
Considerate poi che anche l'altro percorso dà la possibilità di chiedere asilo. Certo, se ci sono delle disfunzioni, si possono verificare, ma il tema è questo. Il problema è che, dopo che una persona è stata avviata al percorso previsto per i richiedenti asilo, permane in quel percorso per un tempo abbastanza lungo. Va considerato che coloro ai quali viene respinta la richiesta di asilo e coloro cui viene rigettata la richiesta anche al termine dell'iter giudiziario, pretendono l'assistenza e noi abbiamo un meccanismo ampio di assistenza.
Quello che è accaduto a Trapani riguarda appunto soggetti respinti. In quel caso, il respingimento è stato accolto dall'autorità giudiziaria per carenza di motivazione, cioè non erano motivati bene i provvedimenti. Tuttavia, posso dire che anche quella condizione non impedisce al migrante di chiedere asilo perché, respinto o non respinto o in espulsione, se, mentre salendo sull'aereo per essere riportato nel suo Paese, dice di voler chiedere asilo, il suo trasferimento si blocca.
Certo, può esserci un problema di carenza di informazioni. Nell’hotspot tutto è più semplice. Considerate che, anche quando un soggetto viene portato nel CIE dopo un decreto di espulsione, è ulteriormente informato con documentazione e con l'intervento delle associazioni della sua possibilità di chiedere asilo.
Il trattenimento più o meno lungo dipende solo dal prelievo delle impronte, non dal rimpatrio. Tenete presente che nei CIE la permanenza media nel 2015 è stata di 25,5 giorni. Il non rimpatriarlo avviene nel momento in cui il Paese di origine, dopo che la persona è stata identificata, Pag. 13non ci dà il lasciapassare. Noi chiediamo il lasciapassare, insistiamo per ottenerlo, il lasciapassare non arriva finché scadono i 90 giorni e a quel punto il migrante deve essere mandato via. Quindi non è che l'abbiamo trattenuto dopo l'identificazione, ma l'abbiamo trattenuto in attesa del lasciapassare. Il problema è che noi comunque non possiamo rimpatriare una persona, sebbene identificata, se il consolato del Paese di origine non ci dà il lasciapassare per farlo rientrare. È in questo modo che finisce il meccanismo.
Noi – tanto per semplificare – rimpatriamo i nigeriani, gli egiziani, i tunisini e, anche se meno, i marocchini e gli algerini. Abbiamo appena fatto un accordo di polizia con il Gambia con cui stiamo avviando dei rimpatri, ma quando si tratta delle altre nazioni quasi mai rimpatriamo qualcuno, perché non ci sono accordi di riammissione, perché non vengono fatti con una pressione politica di tipo internazionale da parte dell'Unione europea. Non è pensabile che Paesi in difficoltà e in crisi per problematiche di vario genere possano stipulare accordi di riammissione con l'Italia, ma non con la Francia, o con l'Italia ma non con la Germania, perché non avrebbe senso per le politiche di questi Paesi.
Il problema è appunto riuscire a fare degli accordi internazionali da parte dell'Unione Europea e dare a noi la possibilità di rimpatriare. Lo dico perché diversamente il rimpatrio è quasi impossibile, sono soprattutto inutili perdite di tempo. Tant’è vero che poi si ricorre all'espulsione con intimazione ad allontanarsi dal territorio nazionale oppure al respingimento con diffida ad allontanarsi dal territorio nazionale entro sette giorni, creando una massa di persone che non va via. Ma non abbiamo uno strumento alternativo, altrimenti lo utilizzeremmo. L'unico strumento è il rimpatrio. Tuttavia, non li possiamo rimpatriare perché i Paesi di origine non li riammettono, quindi il meccanismo si ferma in questo punto. L'inefficienza del sistema è dovuta appunto al fatto che i Paesi di origine non li riammettono, per cui possiamo disegnare il meccanismo come vogliamo, ma non ci sono grandi possibilità.
Per quanto riguarda quello che ha detto il rappresentante di Frontex, cioè che la procedura alla fine prevede l'uso della forza, vorrei dire che in teoria noi lo possiamo pure fare, ma è inutile.
Nel caso dell'impronta digitale, come sapete, il dito va appoggiato, non va schiacciato troppo e va ruotato in un certo modo. Quest'operazione, se la vuoi fare con la forza, devi staccare il dito a quella persona, prendere l'impronta e poi riattaccare il dito. La forza non serve perché, se tu usi la forza, l'impronta viene male e il sistema non l'accetta, per cui l'utilizzo della forza, qualora fosse legittimo – e può anche essere legittimo –, è quasi del tutto inutile, visto che non c’è il risultato. Ora, non c’è nessun poliziotto disposto a rischiare di spezzare un dito a qualcuno per prendere un'impronta digitale. Questo ve lo posso assicurare.
Noi siamo riusciti ad aumentare tantissimo il numero dei fotosegnalamenti. Prima accadeva, infatti, che gran parte di coloro che arrivavano sul nostro territorio si rifiutavano e opponevano resistenza, magari chiudendo i pugni, per cui o avremmo dovuto spezzargli le dita o rinunciare a prendere le impronte; e noi le dita non le spezziamo. Oggi le persone che sbarcano generalmente si fanno fotosegnalare e i gruppi che rifiutano il fotosegnalamento – essenzialmente oggi solo gli eritrei – riusciamo a fotosegnalarli perché li dividiamo in piccoli gruppi o singolarmente e li distribuiamo sul territorio.
Come vi è stato detto a Lampedusa, questa resistenza accadeva una volta su tre, ma adesso è molto meno perché li dividiamo in gruppi da dieci o da cinque e li distribuiamo. Il fatto è che cento persone non si fanno fotosegnalare, ma, presi dieci per volta in questura, si fanno fotosegnalare perché non hanno più la forza del gruppo e hanno la possibilità anche di capire l'inutilità del loro atteggiamento, quindi alla fine vengono fotosegnalati.Pag. 14
Vorrei precisare che, quando arrivano in questura, non vengono torturati, perché sia in questura che nell’hotspot la forza, indipendentemente dalla valutazione morale e giuridica, è inutile. Lo dico perché, se tu usi la violenza, l'impronta non viene bene, quindi è una complicazione inutile da affrontare.
Il problema dell'accesso all'informazione credo che si superi appunto con gli hotspot perché quello è il luogo in cui tu trattieni delle persone in condizioni decenti e non su un piazzale. Spesso e volentieri, vediamo in televisione gente accoccolata per terra, più o meno sfamata e più o meno infreddolita, con la bottiglietta d'acqua in mano, che rimane lì per ore perché devi fare tutto quello che c’è da fare. Nell’hotspot, invece, queste persone possono essere gestite in maniera più consona.
È chiaro che il numero degli hotspot deve crescere, anche se l’hotspot è stato previsto nel piano comunitario all'interno di un meccanismo più ampio che prevedeva la relocation. Certo, non funzionando la relocation, qualche perplessità sull'applicare l'intero piano è venuta e, in effetti, ce ne stiamo occupando. Naturalmente ci vuole un minimo di tempo per realizzare un hotspot, non si tratta solo di un nome e un cognome o di un'entità giuridica.
Stiamo anche preparando una norma per una copertura giuridica. Abbiamo già una classificazione dei centri di trattenimento e dei Centri di identificazione ed espulsione, ma l’hotspot non è ancora classificato, quindi o lo traduciamo in una parola già esistente nel nostro ordinamento oppure dobbiamo classificare anch'esso. Certo, una volta classificato, materialmente questo hotspot si deve realizzare; non si tratta di un tendone che metto lì, altrimenti ritorniamo al discorso dei piazzali.
Ripeto, quando lo sbarco è di 50 persone, non è un problema, ma, quando lo sbarco è di quasi mille migranti, come l'ultimo di Palermo che lei citava, l'unica cosa che si può fare è dividerli e distribuirli rapidamente. A Trapani c'era un CIE e li abbiamo mandati a Trapani. Qui, una volta arrivati, siccome era opportuno che richiedessero asilo, è stato fatto chiedere asilo.
In quel momento, era preminente evitare di concentrare una massa di persone in condizioni non decenti e non onorevoli e che avremmo dovuto comunque gestire, anche perché poi si confondono i ruoli e i compiti. Una volta effettuata la fase del controllo, trasporto e accompagnamento di queste persone, per tutto quel che riguarda l'accoglienza e l'asilo la polizia non entra in merito, anzi, guai, se la polizia facesse una cosa che non rientra nel suo compito. L'asilante è persona che deve essere ben separata. Il modello C3 è l'unico atto formale cui la polizia partecipa per la procedura di asilo, perché poi tutto viene svolto da soggetti completamente diversi.
Per quanto riguarda i gambiani, sinceramente non so dirle molto, ma mi posso informare e le faccio sapere perché ci sono stati fino ad aprile. Certo, non conosco il fatto di cui ha parlato. Mi informerò e proverò a fornirle le informazioni in un secondo momento.
Per quanto riguarda i provvedimenti, mi è stato chiesto perché l'autorità giudiziaria li ha annullati con decreto di respingimento. Ripeto, noi abbiamo verificato se era il caso di opporsi o meno e abbiamo costatato che erano stati presentati effettivamente con una carenza di motivazione, per cui sono stati giustamente annullati.
Credo di aver anche risposto all'onorevole Patriarca il quale mi ha chiesto come avviene il rimpatrio. Il rimpatrio avviene essenzialmente nel momento analiticamente indicato, a seconda dei vari istituti giuridici.
Noi vi abbiamo mandato ogni quindici giorni i dati in forma generica. Ora, ci avete chiesto di inviarveli in forma disaggregata, per cui vi arriveranno in questa forma, se non sbaglio, da domani. L'unico dato che non siamo in grado di darvi in forma disaggregata è la divisione per tipologie di frontiere, cioè terrestre, marittima o aerea. Siamo, però, in grado di darvi i dati disaggregati sia per le espulsioni Pag. 15sia per i fotosegnalamenti. Se prendiamo in esame il 2015, i provvedimenti che sono stati emessi sono stati 34.107, di varia tipologia.
In particolare, quelli che sono stati effettivamente allontanati sono stati 15.979. Gli stranieri che non sono stati allontanati sono 18.128, mentre sono 8.736 quelli respinti alla frontiera cui non è stato permesso di entrare nel territorio nazionale e che sono stati rimandati indietro.
Quelli respinti dai questori con il provvedimento previsto dal nostro ordinamento sono stati 1.345, di cui 176 hanno ottemperato volontariamente all'ordine del questore o all'intimazione del questore e 296 al provvedimento di espulsione. Coloro che sono stati, con provvedimento di espulsione, presi e portati alla frontiera, quindi accompagnati nel Paese di origine, sono 2.529. Altri 1.159 sono stati espulsi effettivamente con accompagnamento, sulla base di un provvedimento emesso dall'autorità giudiziaria, e 1.738 sono stati quelli riammessi nelle procedure di confine. Questo è il rapporto analiticamente dettagliato.
In questo momento, nei Balcani siamo in una condizione di stallo perché c’è la neve, quindi il flusso che percorre l'area balcanica verso il nord Europa è abbastanza rallentato, anche se si tratta di una situazione contingente che può modificarsi da un momento all'altro.
Attualmente la risposta dei vari Paesi europei, come Norvegia, Svezia, Danimarca, Germania eccetera, dopo quella dei Paesi balcanici, ha determinato che i Paesi d'ingresso dell'area balcanica, a partire dalla Macedonia, non fanno entrare nel loro territorio coloro che potenzialmente non sono ammessi all'asilo, cioè fanno entrare soltanto siriani, iracheni e afgani e non fanno entrare le altre nazionalità. Tant’è vero che ai confini tra Grecia e Macedonia pare che ci siano degli assembramenti di parecchie centinaia di persone.
Questi soggetti che entrano nel territorio dei Paesi balcanici e che poi, diretti a nord, attraversano anche alcuni Paesi comunitari, allo stato passano perché – questo vale anche per i tedeschi – questi Paesi prendono solo quelli che hanno il diritto di asilo e che possono chiedere asilo, quindi il numero di coloro che, arrivati al confine con la Germania, non entra in Germania è abbastanza esiguo.
Noi, nell'intero 2015, abbiamo avuto un flusso di qualche migliaio di persone di ritorno, cioè che dalla Germania o dall'Austria arrivavano in Italia. Attualmente, il flusso di ritorno è di qualche decina di persone. Non è un flusso che dall'area balcanica, attraverso la Slovenia o l'Ungheria o la Croazia, arriva in Italia. Questi soggetti vanno verso nord, per esempio in Germania, dove alcuni non vengono accolti, e ritornano verso l'Italia. Questa è la nostra situazione, quindi non è grave.
Certo il problema può peggiorare, sia perché possono crescere i numeri e sia perché i Paesi del nord Europa possono ulteriormente cambiare posizione. In effetti, aver sospeso i controlli Schengen significa che quei Paesi riescono a fare più facilmente la selezione tra coloro che hanno diritto all'asilo e coloro che non ne hanno diritto, per cui non fanno entrare coloro che non hanno diritto all'asilo. In sostanza, se il flusso è fatto quasi totalmente di migranti che hanno diritto all'asilo, non abbiamo problemi; se invece bloccano anche questo flusso, ci può essere una ricaduta verso l'Italia.
Bisogna capire che tipo di ricaduta ci sarà. Il problema dei migranti è che non riescono a entrare più in Germania, per cui, se i tedeschi, gli svedesi e i norvegesi non li ammettono più, sono costretti a cambiare idea e accontentarsi dell'Italia, scegliendo l'Italia come Paese di destinazione. Se questi sono richiedenti asilo, li dobbiamo ammettere. Voglio dire che, se tutti i siriani che vanno prima in Germania decidono di chiedere asilo a noi, noi non abbiamo allo stato strumenti per dire che non li possiamo ammettere.
Qualora questo flusso di persone che normalmente non avrebbero diritto all'asilo, come quelli che in questo momento vengono bloccati al confine tra Macedonia e Grecia, fosse ampio, anche noi avremmo Pag. 16il problema di decidere in che modo gestirlo; in questo momento quindi non esiste un problema simile alla Sicilia.
Noi abbiamo comunque aumentato i controlli, il che significa che, oltre ai controlli a campione che vengono fatti ai confini Schengen, sono stati aumentati i cosiddetti «controlli di retrovalico», cioè su tutte le vie di accesso dagli altri Paesi verso il territorio italiano vengono fatti dei controlli più ampi. Tuttavia, come vi ho detto prima, si tratta di un numero abbastanza esiguo di cittadini stranieri che non sono stati accettati nei Paesi del nord Europa.
Per quanto riguarda i respingimenti di gruppo, posso dirvi che non esistono, noi non ne abbiamo mai fatti, quindi non so da dove provenga questa notizia. Noi eseguiamo dei rimpatri di gruppo, dopo che la posizione di ognuno è stata valutata, vagliata, e via dicendo, mettiamo più soggetti sullo stesso aereo per portarli via, ma non accade che un gruppo, in quanto tale, venga respinto. Al riguardo, onestamente non mi risulta nulla.
Abbiamo delle lamentele circa il fatto che non c’è una perfetta informazione al momento dello sbarco ma questo – ripeto – è dovuto essenzialmente alla concitazione del momento e alla volontà di voler gestire masse di persone in condizioni accettabili sotto l'aspetto della decenza e del decoro. Il punto è che, se durante l'estate i migranti rimangono due ore in più sul molo, non è grave. Ma durante l'inverno, quei migranti non possono stare per delle ore sul molo sdraiati per terra, dopo che hanno attraversato il mare o il deserto, per cui si deve cercare di portarli in un altro luogo.
Si opera una rapida separazione con l'obbligo, arrivati a destinazione, di appurare correttamente quello che è successo. Non si tratta di un meccanismo in cui ogni fase è slegata dall'altra, ma di un percorso che gestiamo sotto tutti i punti di vista. Ripeto, vi sono persone che attraversano tre diverse fasi per arrivare al luogo di destinazione dove vengono fotosegnalate, perché magari la prima volta non vogliono essere fotosegnalate, la seconda volta non vogliono essere fotosegnalate e così la terza, e la quarta volta, quando sono arrivati nel paesino di destinazione, vengono fotosegnalati. Ecco perché oggi abbiamo questi numeri più elevati.
Per quanto riguarda i CIE, ripeto, abbiamo una media di trattenimento di 25,5 giorni. I numeri che vi ho dato dei trattenimenti con espulsione effettivamente eseguita, cioè di persone che sono passate dai CIE, corrispondono a poche migliaia. Voglio dire che, in tutti i CIE che abbiamo, in un anno passeranno circa 5.000 persone, quindi non sono migliaia e migliaia le persone che passano per i CIE.
Non viene naturale portare nei CIE il cinese o il senegalese o il bengalese che sai già di non poter rimpatriare, quindi adotti direttamente il provvedimento di espulsione. Questo accade sia perché non ci sono i posti sufficienti nei CIE sia perché diventa una sorta di lavoro inutile, per cui lasciamo stare il trattenimento quando è inutile.
Noi ci stiamo già muovendo a livello diplomatico con i Paesi più interessati ad accordi di riammissione, quanto meno soltanto con l'Italia. Inoltre, ci stiamo muovendo anche con nostre iniziative. So che il Prefetto Pinto, l'altra volta che è venuto vi ha raccontato di queste nostre iniziative che stiamo portando avanti a livello di polizia, cioè di accordi di polizia.
Io spero che entro la fine di febbraio riusciremo a concludere accordi di polizia, come li abbiamo già con alcuni di questi Paesi (oltre che con il Gambia, anche con il Ghana, con la Costa d'Avorio e con il Senegal) con i quali stiamo trattando. In merito, ho avuto già i primi contatti con i miei corrispondenti di quei Paesi e posso dirvi che c’è una certa disponibilità.
Con i Paesi europei i rapporti di polizia non sono assolutamente cambiati e non abbiamo nessun problema, infatti con franchezza e chiarezza ci diciamo le cose come stanno e, laddove abbiamo dei contrasti, non sono sicuramente con gli organismi di polizia.
Per esempio, gli sloveni ci hanno chiesto aiuto, richiedendo i nostri uomini perché i loro non erano sufficienti, quindi Pag. 17vi è una forma di collaborazione. Fino a poco tempo fa eravamo noi che dovevamo riammettere dall'Austria molti migranti che erano sbarcati in Italia e che poi erano andati in Austria. Oggi, siamo nella condizione esattamente opposta, perché dall'Austria arrivano in Italia e noi li rimandiamo nel loro territorio, per cui gli austriaci ammettono che è cambiata la situazione dicendo: «prima eravamo noi in posizione favorevole, adesso ci siete voi, per cui li dobbiamo riammettere».
Le procedure e i rapporti sono comunque costruttivi e fattivi, non c’è nessuno tipo di decadimento dei rapporti.
Il diretto trasferimento dagli hotspot ai CIE dovrebbe essere la norma. Nel momento in cui nell’hotspot hai portato a termine le varie procedure, o il respingimento o l'espulsione dovrebbero essere conclusi e se il soggetto non ha documento e non può essere rimpatriato direttamente, dovrebbe andare in un CIE. È chiaro che anche questo non è fattibile perché i numeri sono sempre quelli che sono e le nazionalità sono sempre quelle che sono, quindi noi anche in quel caso poi avremmo il problema.
A Lampedusa il trattenimento è più lungo perché Lampedusa non è un CIE, ma un centro di accoglienza, che in definitiva funziona anche da CIE. Questo accade perché, quando i migranti escono da quel centro di accoglienza, rimangono a Lampedusa e si ritirano nel centro di accoglienza perché l'isola ha questa condizione di trattenimento ulteriore. Accade, quindi, che stanno 50 o 60 giorni, ma li passano in accoglienza, non nel CIE.
Certo, adesso Lampedusa è un hotspot a tutti gli effetti e forse la sua collocazione lo rende il miglior hotspot, cioè puoi attendere tutto il tempo che vuoi per definire le singole procedure, fino al numero adeguato di posti, perché comunque da lì non se ne possono andare. Certo, se gli hotspot stanno in un'altra condizione, è evidente che il richiedente asilo non vuole restare e vuole andarsene e che chi rischia di essere rimpatriato prova a scappare. Tutto questo in un'isola come Lampedusa non succede. Ora, non è che dobbiamo far diventare Lampedusa l’hotspot nazionale. Quello di Lampedusa è uno degli hotspot che è stato realizzato, perché sta in una condizione dove i soccorsi in mare sono molto più agevoli.
Spero di aver risposto a tutte le domande.
PRESIDENTE. L'onorevole Brescia e l'onorevole Fontana vorrebbero intervenire.
GIUSEPPE BRESCIA. Vorrei solo alcuni chiarimenti sulle direttive che avete avuto dal Ministero dell'interno per la gestione degli hotspot. Vorrei sapere che tipo di direttive vi hanno dato e cosa vi hanno detto di fare.
GREGORIO FONTANA. Innanzitutto sarebbe importantissimo avere i dati dei fotosegnalamenti divisi per Paese di origine, perché noi abbiamo i dati dei richiedenti asilo e i dati dei dichiaranti allo sbarco, ma non quelli dei fotosegnalati.
Per quanto riguarda i dati sui confini orientali, non ne abbiamo. Abbiamo solo i dati degli sbarchi per porto, quindi sarebbe importante, se è possibile, avere anche questi dati, anche se, come ha detto, si tratta di numero esiguo.
Per quel che riguarda la prima domanda che ho fatto, avevo posto l'attenzione sulla scansione della procedura perché lei ha detto giustamente che non possiamo ricorrere alla forza per il fotosegnalamento, ma è importante sapere il tempo di dichiarazione del foglio notizie, perché, nei vari passaggi fino ad arrivare alla fotosegnalazione, si rischia di avere un «punto buio» nel momento in cui, se non è a Lampedusa, il migrante prende e se ne va.
Il dato su cui magari lei ci può aiutare a ragionare e che lei, non a caso, ha citato, riguarda il fatto che nel 2015 gli eritrei dichiarati allo sbarco sono stati 38.550, di cui i richiedenti asilo a livello nazionale sono stati 657, 37.893 è la differenza: vorrei capire dove sono andati a finire.
ALESSANDRO PANSA, Capo della Polizia. Si sono rifiutati...
Pag. 18GREGORIO FONTANA. Sono spariti ?
ALESSANDRO PANSA, Capo della Polizia. Sì. Sono andati nei Paesi del nord Europa perché questo è il loro scopo.
GREGORIO FONTANA. Però mi scusi, se lei dice che sono solo 25.000 quelli che non sono fotosegnalati, rispetto ai dati che ci dà, questo dato non collima. Lo dico perché, se gli eritrei non fotosegnalati sono circa 37.000, come facciamo a far quadrare i dati che ci ha dato ?
PRESIDENTE. Vi interrompo, se mi posso permettere, perché di questo abbiamo discusso. Ci sono degli eritrei che si sono fatti fotosegnalare, in particolare da settembre in poi, da quando c’è stato il programma di relocation. Quando avremo i dati dettagliati li analizzeremo, però, come ci era stato detto in una precedente audizione, questa dell'identificazione pari a zero degli eritrei non è proprio vera, perché ci sono degli eritrei che sono fatti fotosegnalare, come quelli che abbiamo incontrato a Castelnuovo di Porto.
GREGORIO FONTANA. Però sarebbe importante sapere...
ALESSANDRO PANSA, Capo della Polizia. Il Presidente ci ha fatto richiesta di avere i dati in maniera analitica e disaggregati, quindi ve li daremo. Intanto, ve li posso citare io velocemente. I richiedenti asilo eritrei che sono stati fotosegnalati nel 2015 sono 1.485. Quelli fotosegnalati per ingresso illegale sono stati 1.041.
Inoltre, tenga presente che per un numero che io non sono in grado in questo momento di specificare è stato verificato che non si trattava di eritrei. Il non farsi fotosegnalare dei siriani e degli eritrei era diventato il modello per tutti, per cui ci dicevano di essere eritrei e siriani e di non voler essere fotosegnalati perché dovevano andare in Germania. Erano decine di migliaia. Si trattava di persone che non potevano essere eritree per le caratteristiche fisiognomiche, ma che dichiaravano di esserlo.
Il problema nasce appunto tra la dichiarazione di nazionalità e l'accertamento della nazionalità. Tutto questo più o meno avviene nella fase iniziale, solo sulla dichiarazione che lascia il tempo che trova. Adesso, non essendoci più i siriani e gli eritrei, non c’è un modello comportamentale. Non accade più che, durante il viaggio o nell'attesa del viaggio, si scambino le informazioni tra di loro e decidano l'atteggiamento da avere. In effetti questo succedeva e costoro facevano scuola; ora, invece, il fenomeno si è ridotto al minimo.
Per quanto riguarda le direttive e le modalità di impiego degli hotspot, vorrei precisare che sono già fissate dal programma dell'Unione europea. Si tratta di una direttiva comunitaria, non di una direttiva politica che ci dà il ministro. L'unica cosa che abbiamo riscontrato è che, se il trattenimento all'interno dell’hotspot si prolunga per un tempo eccessivo, soprattutto per coloro che devono essere espulsi, abbiamo bisogno di collocare l’hotspot in una delle categorie dei centri che il nostro ordinamento ha disciplinato, cioè stabilire se è un CARA o un CIE o altro. Con ciò voglio dire che vi è un'esigenza di colmare una carenza normativa.
Al momento, rispettiamo la procedura prevista dalla normativa comunitaria, quindi lì dobbiamo svolgere queste operazioni, vengono individuati i richiedenti asilo... Addirittura lì andrebbero individuati anche quelli che aspirano alla relocation. Poi, ripeto, come Polizia di Stato perché l'immigrazione è un problema della Polizia di Stato per competenza specifica, dovunque, anche nell'hotspot, nel momento in cui c’è si avvia la procedura di asilo, noi ce ne laviamo le mani, non è più compito nostro e ci concentriamo sulle altre tematiche, quindi in qualche modo non è che l’hotspot rischia di ingolfarsi, rischia di ingolfarsi solo in ragione del numero degli sbarchi che ci saranno.
PRESIDENTE. L'onorevole Palazzotto vorrebbe intervenire per una precisazione.
ERASMO PALAZZOTTO. Visto che stiamo parlando di chiarimenti sui numeri, Pag. 19lei ha detto che i provvedimenti di rimpatrio emanati sono 34.107, di cui 15.979 sono stati realmente allontanati; e gli altri 18.128 che fine hanno fatto ?
ALESSANDRO PANSA, Capo della Polizia. Spero che la somma sia giusta.
ERASMO PALAZZOTTO. Lo spero anch'io...
PRESIDENTE. Si riferisce a quelli in differita ?
ERASMO PALAZZOTTO. No, perché quelli in differita sono 1.345.
ALESSANDRO PANSA, Capo della Polizia. Vuole sapere chi sono i 18.000 ?
ERASMO PALAZZOTTO. Esatto.
ALESSANDRO PANSA, Capo della Polizia. Sono coloro che non hanno ottemperato all'ordine di intimazione del questore o all'ordine del questore e che sono stati addirittura denunciati per non essersi allontanati.
ERASMO PALAZZOTTO. Quindi se 1.345 sono quelli che hanno ottemperato all'ordine di respingimento, 18.128 più i 1.345 sono pressappoco i respingimenti in differita e gli ordini di allontanamento.
ALESSANDRO PANSA, Capo della Polizia. Non sono solo i respingimenti in differita, sono i provvedimenti non eseguiti. Possono essere anche i provvedimenti di espulsione con intimazione entro quindici giorni ad allontanarsi dal territorio nazionale, per i quali, se il soggetto non ottempera, noi non abbiamo la possibilità di obbligarlo ad ottemperare, perché se, ripeto, è di un Paese con il quale non abbiamo accordi e rapporti, non lo possiamo rimpatriare comunque. Il numero di 34.107 riguarda quelli che sono stati sottoposti ad un provvedimento.
Spero di essere stato esauriente.
PRESIDENTE. Assolutamente. Prima di concludere questa audizione, voglio far partecipe la Commissione che il collega Rondini ha subìto un grave lutto, la perdita del padre, quindi a nome della Commissione gli rivolgo le più sentite condoglianze.
Ringrazio il Prefetto Pansa e suoi collaboratori.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15.30.