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XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate

Resoconto stenografico



Seduta n. 56 di Giovedì 14 luglio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Gelli Federico , Presidente ... 3 

Audizione di rappresentanti dell'Istituto Nazionale salute, Migrazioni e Povertà (INMP): Concetta Mirisola, Direttore generale, Antonio Fortino, Direttore sanitario, e Gianfranco Costanzo, Direttore dell'Unità Operativa Complessa Rapporti internazionali, con le regioni e gestione del ciclo di progetto:
Gelli Federico , Presidente ... 3 ,
Mirisola Concetta , Direttore generale dell'Istituto Nazionale salute, Migrazioni e Povertà ... 4 ,
Gelli Federico , Presidente ... 14 ,
Colonnese Vega (M5S)  ... 15 ,
Gadda Maria Chiara (PD)  ... 15 ,
Moretto Sara (PD)  ... 15 ,
Patriarca Edoardo (PD)  ... 15 ,
Carnevali Elena (PD)  ... 16 ,
Gelli Federico , Presidente ... 16 ,
Mirisola Concetta , Direttore generale dell'Istituto Nazionale salute, Migrazioni e Povertà ... 16 ,
Moretto Sara (PD)  ... 17 ,
Mirisola Concetta , Direttore generale dell'Istituto Nazionale salute, Migrazioni e Povertà ... 17 ,
Patriarca Edoardo (PD)  ... 17 ,
Gadda Maria Chiara (PD)  ... 17 ,
Mirisola Concetta , Direttore generale dell'Istituto Nazionale salute, Migrazioni e Povertà ... 18 ,
Fortino Antonio , Direttore sanitario dell'Istituto Nazionale salute, Migrazioni e Povertà ... 18 ,
Costanzo Gianfranco , Direttore dell'Unità Operativa Complessa Rapporti internazionali dell'INMP ... 18 ,
Gelli Federico , Presidente ... 19

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
FEDERICO GELLI

  La seduta comincia alle 8.40.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'Istituto Nazionale salute, Migrazioni e Povertà (INMP): Concetta Mirisola, Direttore generale, Antonio Fortino, Direttore sanitario, e Gianfranco Costanzo, Direttore dell'Unità Operativa Complessa Rapporti internazionali, con le regioni e gestione del ciclo di progetto.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dei rappresentanti dell'Istituto nazionale salute, migrazioni e povertà (INMP). Sono presenti Concetta Mirisola, direttore generale; Antonio Fortino, direttore sanitario; Gianfranco Costanzo, direttore dell'Unità operativa complessa rapporti internazionali con la regione e gestione del ciclo di progetto.
  Avverto che della presente audizione sarà redatto resoconto stenografico e, ove necessario, anche su richiesta di un commissario ovvero dei soggetti auditi, i lavori della Commissione potranno proseguire in seduta segreta. A riguardo, per assicurare la massima fluidità al dibattito pubblico prego i colleghi di riservare eventuali quesiti da sviluppare in sede riservata alla parte finale della seduta.
  Ringrazio i nostri ospiti per la disponibilità a contribuire ai nostri lavori, orientati ad acquisire elementi istruttori sulle pratiche adottate in tema di profilassi e assistenza sanitaria a tutela della salute dei migranti e della popolazione residente. Tale argomento costituisce, infatti, uno degli oggetti dell'indagine esplicitati nelle delibere parlamentari che hanno istituito la Commissione e che ne hanno definito gli ambiti di competenza.
  Con la mia presidenza abbiamo organizzato il nostro lavoro, tradotto con una delibera dell'Aula, in sette filoni di attività, di cui uno è proprio quello legato alla profilassi e all'assistenza sanitaria dei migranti. È, quindi, intenzione della Commissione produrre una specifica relazione su questo tema da sottoporre l'attenzione dell'Aula parlamentare.
  In questo filone d'inchiesta sarà sicuramente preziosa la rappresentazione dell'esperienza maturata da un centro che ha tra i suoi principali obiettivi quello di assicurare e organizzare, all'interno del servizio sanitario nazionale, l'assistenza sociosanitaria alle popolazioni migranti e alle fasce sociali più fragili e vulnerabili.
  In occasione delle numerose missioni svolte, le delegazioni della Commissione hanno sempre avuto colloqui e contatti diretti con gli operatori sanitari di prima linea (potremmo dire di prima accoglienza) impegnati nei centri o addirittura nei luoghi di sbarco, rilevandone l'impegno e la competenza, ma anche le criticità di un sistema organizzativo che richiede di essere messo a regime in tempi rapidi.
  Peraltro, vi informo che la prossima settimana la missione della Commissione Pag. 4avrà come destinazione proprio Lampedusa, centro presso il quale l'INMP è stato presente per circa un semestre lo scorso anno, con un’équipe di altissima specializzazione (due medici, uno psicologo, un antropologo e un mediatore transculturale esperto in ambito sanitario).
  È interesse della Commissione acquisire il punto di vista di un Ente che ha acquisito competenze sul campo, unendole a una prospettiva di più ampio respiro che auspico ci possa consentire di tracciare un quadro d'insieme avente a oggetto la salute dei migranti, le modalità di presa in carico dei suoi bisogni e le problematiche connesse.
  Inoltre, auspico che in questa sede si possano approfondire anche le attività dell'Istituto concernenti il tracciamento informatico del profilo clinico delle persone assistite e il continuo del loro percorso migratorio, utile alla qualità dell'assistenza erogata, così come le attività di prevenzione sanitaria.
  Sul medesimo tema voglio ricordarvi che la ministra Lorenzin ci ha illustrato il progetto «Care», in corso di sperimentazione, che prevede la distribuzione di una tessera sanitaria ai migranti che giungono sulle cose italiane nei centri di identificazione hotspot di Lampedusa e Trapani a partire dall'autunno prossimo.
  Mi sembra che stiano già lavorando, quindi il mio auspicio è che si faccia bene e presto. Speriamo di farcela entro quella data. A ogni modo, al di là di questo, il nostro interesse è fare un approfondimento su queste tematiche.
  Fra l'altro, a breve alimenteremo un gruppo di lavoro, che era già stato ipotizzato in passato, che si occuperà proprio di questo filone di attività. Chiederemo, quindi, ad altri esperti di affiancarci in questo lavoro di elaborazione e di redazione della relazione da fare alla Camera. A breve istituiremo in maniera formale questo gruppo, cercando di trovare la disponibilità di altri colleghi che se ne vorranno occupare.
  Del resto, abbiamo altri gruppi di lavoro già funzionanti. Uno di essi riguarda proprio il sistema di prima accoglienza, ovvero gli hotspot, su cui sta già lavorando per una relazione. Un altro si occupa di una relazione sul CARA di Mineo. Non abbiamo, invece, ancora formalizzato quello sull'attività di profilassi e assistenza sanitaria. C'è una definizione di un vecchio gruppo di lavoro che non si è mai riunito, dunque vorremmo attivarlo. La mia idea è chiedervi una disponibilità per affiancarci in questo lavoro insieme ad altri esperti che poi presenterò alla Commissione per poter elaborare un progetto finale.
  Ebbene, a questo punto cedo la parola dottoressa Concetta Mirisola, direttore generale dell'Istituto Nazionale Salute, Migrazione e Povertà.

  CONCETTA MIRISOLA, Direttore generale dell'Istituto Nazionale salute, Migrazioni e Povertà. Grazie, presidente e onorevoli deputati. Vorrei esprimere il più vivo apprezzamento per l'invito all'audizione odierna e per l'opportunità data a me, al dottor Fortino, che è direttore sanitario dell'INMP, e al dottor Gianfranco Costanzo, direttore della UOC Rapporti internazionali con le regioni e gestione del ciclo del progetto, di presentare la relazione che ci è stata affidata sulla salute dei migranti, e sulle modalità di presa in carico dei bisogni e delle problematiche connesse.
  In premessa vorrei dire che l'Istituto Nazionale Salute, Migrazione e Povertà, che dirigo, è pubblico, afferisce ed è vigilato dal Ministero della salute e si occupa di assistenza, ricerca e formazione rivolta alle fragilità, quindi agli immigrati e alle persone povere italiane; ha, dunque, una visione molto attuale delle problematiche ad esse connesse.
  I pazienti afferiscono all'ambulatorio non soltanto presso il nostro Centro a Trastevere, ma anche attraverso l'attività che svolgiamo sul territorio, in particolare a Lampedusa e a Trapani. Siamo stati a Lampedusa fin dal 2080-2009, ma anche nel 2011 per lo sbarco, dopodiché siamo stati presenti nei centri di accoglienza prima e, oggi, negli hotspot di Lampedusa e Trapani.
  Riguardo alla situazione del fenomeno migratorio in Italia, la presenza degli immigrati in Italia si è stabilizzata negli ultimi anni intorno ai 5 milioni. Pag. 5
  Al 1°gennaio 2015 gli stranieri erano 5.421. 000, il 2 per cento in più rispetto al 2014, di cui 5.014.437 residenti, pari all'8,2 per cento della popolazione italiana, in prevalenza donne (53 per cento). I cittadini non comunitari rappresentano il 70 per cento del totale agli stranieri residenti. La quota di presenze irregolari si stima intorno a 400.000 unità.
  I principali indicatori demografici mostrano come le comunità straniere siano progressivamente più stabili e strutturalmente integrate, pur in presenza di un elevato grado di eterogeneità e dinamicità del fenomeno. Nel 2014, infatti, il 54 per cento dei residenti stranieri era costituito da soggiornanti di lungo periodo.
  Le nuove acquisizioni di cittadinanza italiana sono state 130.000, cioè il 29 per cento in più rispetto al 2013. Il numero di matrimoni misti si è attestato intorno a 18.000; i nati da coppie straniere sono stati 75.000, 15 per cento in più rispetto ai nati in Italia. Si tratta, quindi, di dati rilevanti soprattutto in considerazione dell'involuzione demografica in atto da lungo tempo nella popolazione italiana. Questo è, dunque, il fenomeno degli immigrati strutturali in Italia.
  Accanto a questa realtà stabile e strutturale, sta emergendo il fenomeno relativamente nuovo dei profughi e dei migranti in transito, contenuto nei numeri, ma rilevante in termini di impatto sull'opinione pubblica.
  Nel 2014, in un contesto internazionale segnato dall'acuirsi della crisi in Africa e nell'area mediorientale, sono sbarcate sulle coste italiana 170.000 persone, con una media mensile di 14.000 arrivi. Nello stesso anno sono state presentate 63.041 richieste di protezione internazionale, mentre circa 100.000 uomini, donne e minori (i cosiddetti «migranti invisibili») hanno attraversato il nostro Paese diretti altrove.
  Il fenomeno degli sbarchi è continuato nel 2015. Gli arrivi segnalati dal Ministero dell'interno sono stati 153.842, circa un 10 per cento in meno rispetto al 2014, con un significativo cambiamento di popolazione dovuto a una modifica della rotta di fuga da parte dei siriani direttamente alla Turchia in Grecia e poi attraverso la penisola balcanica presso il centro-nord Europa. Non a caso, nel 2015 l'Eritrea è risultato al primo posto tra i Paesi di provenienza, con un 27 per cento del totale, seguito dalla Nigeria, dalla Somalia, mentre la Siria, che era il primo Paese nel 2014, era presente solo con circa il 5 per cento delle persone.
  Il numero delle richieste di protezione internazionale è stato pari a 83.970, il 32 per cento in più rispetto all'anno precedente.
  Un aspetto specifico di questo complesso fenomeno è rappresentato dai minori non accompagnati. Secondo i dati del Dipartimento di pubblica sicurezza, nel 2014 sono stati 13.026, pari al 50 per cento di tutti i minori sbarcati, che erano in totale 26.122.
  Nel 2015 il numero complessivo dei minori si è ridotto a 16.478 presenze, circa 10.000 persone in meno rispetto all'anno precedente, per via della diminuzione della componente siriana, che era una migrazione tipicamente familiare, mentre è cresciuta proporzionalmente la quota di quelli non accompagnati, oltre il 70 per cento del totale dei minori che sono stati soccorsi.
  Passiamo, ora, al profilo di salute degli immigrati. Il quadro epidemiologico relativo alla popolazione immigrata appare fortemente condizionato da una serie di fattori che operano in stretta interazione tra di loro, chiamando in causa specifiche dinamiche di selezione, processi integrazione sociale e relazione con i servizi sanitari.
  Una prima considerazione è che molti immigrati al momento del loro arrivo in Italia presentano buone condizioni di salute. È il cosiddetto fenomeno di «migrante sano», che ancora oggi si dimostra un potente meccanismo di selezione naturale, che ha come controprova epidemiologica la bassa prevalenza di patologie infettive di importazione, i cui rischi di trasmissione alla popolazione ospite rimangono a tutt'oggi trascurabili, in assenza di vettori specifici o delle condizioni socioeconomiche favorenti la loro diffusione.
  Si è parlato sui media delle problematiche legate all'ebola, che chiaramente non può essere facilmente trasportata con i Pag. 6migranti che arrivano con le navi, o alla malaria, che non può essere trasmessa in mancanza del vettore.
  Vi sono, peraltro, evidenze che l'effetto «migrante sano» sia presente anche tra i profughi che sbarcano sulle coste italiane. I dati della sorveglianza sindromica effettuata dall'Istituto superiore della sanità su circa 5.000 ospiti dei centri di accoglienza tra maggio 2011 e giugno 2013 hanno evidenziato solo 20 allerte statistiche, di queste 8 infestazioni, 5 sindromi respiratorie febbrili, 6 gastroenteriti e un caso di sospetta tubercolosi polmonare.
  Analogamente, l'esperienza maturata all'INMP nel periodo maggio-novembre 2015 a Lampedusa ha per lo più evidenziato, su una casistica di circa 2.500 pazienti visitati, comuni affezioni respiratorie o dermatologiche facilmente curabili, quali scabbia, pediculosi, impetigine e dermatite da contatto. I casi di malaria sono stati 14, quelli di tubercolosi 3 e quelli di borrelliosi 5.
  Nell'anno 2016 nello stesso centro di Lampedusa e in quello di Trapani, dal mese di aprile a oggi, su 1.234 persone visitate dai nostri specialisti non si sono evidenziate gravi patologie infettive, se non un caso di sospetta malaria e uno di sospetta tubercolosi.
  Dal punto di vista psicologico, le condizioni degli ospiti dell'allora CPSA di Lampedusa erano principalmente caratterizzate da ansia, da attacchi di panico e disturbi postraumatici da stress. Si sottolinea, peraltro, come anche dopo le fasi di arrivo e di prima accoglienza, i processi di marginalizzazione sociale a cui migranti posso andare incontro aumentino significativamente il rischio di sviluppare stati di sofferenza psicologica.
  Durante il tragitto molti hanno subito violenze e torture o sono stati nelle carceri. I nostri psicologi sono stati molto vicini ai pazienti e alle donne. Insomma, è un vissuto veramente traumatico.
  Le rilevazioni epidemiologiche condotte nel 2014 e nel 2015 a Roma, nell'ambito di un piano di assistenza sanitaria messo in atto all'INMP e dalle ASL Roma A e Roma B in collaborazione con diverse organizzazioni del privato sociale, per i profughi in transito verso i Paesi nordeuropei confermano i dati appena descritti.
  Le équipe sanitarie hanno raggiunto circa 12.000 persone riscontrando in prevalenza patologie dermatologiche, soprattutto scabbia, foruncolosi e impetigine, nonché infezioni delle prime vie aeree e sindromi influenzali.
  Di fatto, i 100.000 migranti invisibili che transitavano sul territorio si fermavano per 3-4 giorni in particolari strutture (a Roma: Baobab, palazzo Selam), ma non si avvicinavano alle strutture sanitarie, per cui è stato organizzato un coordinamento dell'INMP, con una presenza come medicina di prossimità.
  Con i nostri ambulatori mobili abbiamo lavorato insieme alle ASL e al privato sociale, quindi siamo andati con i nostri medici e con i mediatori transculturali a fare medicina di prossimità e a curarli direttamente. La loro presenza era di 3-4 giorni perché l'obiettivo era raggiungere i parenti che erano nel nord Europa.
  Le evidenze epidemiologiche, pertanto, concorrono a delineare il profilo di una popolazione del tutto estranea agli esotismi sanitari. La sindrome di Salgari, ossia lo stereotipo del migrante untore e pericolosa fonte di malattia specie di tipo infettivo, non è supportata dalle evidenze epidemiologiche, che, invece, concorrono a delineare il quadro di una popolazione esposta alle insidie della marginalità. È il cosiddetto effetto «migrante esausto», che comporta il depauperamento più o meno rapido del patrimonio di salute in dotazione ai migranti, quale che sia al momento dell'arrivo, a seguito della continua esposizione a fattori di rischio della povertà.
  Tale effetto può determinarsi già durante il viaggio, come nel caso dei profughi, o nel Paese ospite, quando i processi di integrazione e le misure di tutela tardano ad attivarsi e la relazione con i servizi sanitari e sociali diviene particolarmente problematica.
  Per quanto riguarda i dati epidemiologici, le più recenti informazioni epidemiologiche disponibili sulle condizioni di salute degli immigrati in Italia e sul loro accesso ai servizi sanitari sono state frutto di una Pag. 7collaborazione tra INPA e Istat, che ha permesso di analizzare i dati derivati dall'indagine Istat sulla salute, mettendo a confronto 2005 e 2013, e sulle condizioni di integrazione sociale dei cittadini stranieri.
  Si tratta di uno studio focalizzato sulle persone che erano presenti in Italia in condizione di regolarità. Mediante il confronto di rilevazioni del 2005, 2012 e 2013 è stato possibile effettuare una valutazione della salute della popolazione immigrata prima e dopo l'inizio della grande crisi economica, che sembra aver colpito più gli stranieri che tra il 2008 e 2013 hanno subito una riduzione di occupazione del 9 per cento, rispetto al 2,5 per cento degli italiani.
  L'esposizione a condizioni di maggiore deprivazione socioeconomica da parte degli stranieri ha avuto effetti negativi soprattutto negli ambiti della prevenzione primaria (vaccinazioni promozione di stili di vita salubri) e secondaria, per quanto riguarda gli screening, con un quadro peggiore rispetto alla popolazione italiana.
  Un'altra conseguenza della crisi è stata l'accentuazione della competitività interna del mercato del lavoro, con rischi di discriminazione e diseguaglianze soprattutto per gli operatori stranieri, più spesso impegnati in lavori precari e informali, con tutele minori e reti di protezione sociale considerevolmente più deboli.
  È noto come la discriminazione possa determinare problemi di salute mentale, quali ansia e depressione, fino a situazioni di isolamento sociale. I dati analizzati mostrano che il 17 per cento del campione intervistato ha subito almeno un episodio di discriminazione sul luogo di lavoro, con una probabilità di peggiore salute mentale percepita di circa il 25 per cento più elevata rispetto a chi dichiara di non aver subito episodi discriminazione.
  Una valutazione a parte merita il profilo di salute della popolazione immigrata irregolare, che spesso sfugge alla rilevazione di sistemi informatici correnti a causa della natura del fenomeno, i cui dati sono, pertanto, frammentari e parziali. Tuttavia, le informazioni disponibili concorrono a delineare un quadro di maggiore vulnerabilità sia per la maggiore esposizione a fattori di rischio propri della povertà e dell'esclusione sociale, sia per la ritrosia e il timore di avvicinarsi ai servizi sanitari.
  Una fonte importante di dati sulla salute degli irregolari è rappresentata dalla casistica del nostro poliambulatorio, a Roma, a Trastevere. Dal 1 gennaio 2008 al 30 giugno 2016, su un totale di circa 90.000 pazienti, sono stati assistiti 23.025 stranieri STP (stranieri temporaneamente presenti), per un totale di 71.795 accessi.
  Tra le più frequenti diagnosi confermate risultano le malattie della pelle (13,3 per cento), i disturbi degli organi di senso, le malattie infettive parassitarie, le malattie dell'apparato digerente.
  Circa i disturbi e le malattie mentali, in 1.041 pazienti visitati nell'anno 2015, la condizione più frequente è stata il disturbo postraumatico da stress, seguito da depressione, sindromi da somatizzazione e disturbo di ansia generalizzato. Molto meno comuni sono le psicosi.
  All'interno del nostro Istituto opera anche un centro per i richiedenti asilo. Abbiamo anche dei servizi dedicati alle vittime di violenze e di torture, senza dimora e così via.
  Più in generale, presso il poliambulatorio di Roma l'INMP svolge un'importante opera di assistenza integrata, clinica, sociale e psicologica, con l'aiuto di mediatori culturali esperti nel campo della salute, rivolta alle fasce più svantaggiate della popolazione italiana e immigrata, a persone senza dimora, a poveri e nuovi poveri.
  Il modello INMP prevede un accesso facilitato ai servizi sociosanitari e un'attenzione particolare alla diversità di cultura, religione e lingua, affiancando mediatori culturali a operatori sanitari comunque formati alla medicina transculturale.
  Dal 1° gennaio 2008 al 30 giugno 2016 presso il poliambulatorio INMP sono state effettuate 332.962 visite, per un totale di 90.000 pazienti circa, con in media 3,7 accessi per paziente; tra gli stranieri abbiamo una media del 4,3, che aumenta nei richiedenti asilo e nelle vittime di violenza, il cui rapporto è anche di 7-8 volte. Tra i nostri pazienti il 33 per cento è rappresentato Pag. 8 dagli italiani delle diverse fasce sociali e il 67 per cento dagli immigrati di varie nazionalità.
  I principali problemi di salute hanno riguardato malattie della cute e degli organi di senso, malattie infettive e parassitarie, condizioni patologiche a carico dell'apparato digerente, in particolare cavo orale, nonché disturbi e malattie mentali.
  Rispetto al grave tema della violenza di genere, i dati Istat indicano che le donne straniere subiscono violenza nel corso della propria vita in misura simile alle donne italiane, ma rispetto a esse sono più soggette a stupri e tentati stupri (7,7 contro 5,1 per cento).
  Occorre, tuttavia, sottolineare che tra le donne migranti vi è una maggiore difficoltà, per diverse ragioni (culturali, linguistiche, economiche e familiari) a fare emergere la violenza, per cui i dati tendono a essere sottostimati.
  Forme di violenza sono comuni tra donne senza permesso di soggiorno che svolgono attività di lavoro in nero, tra le persone fuggite da guerre e persecuzioni o tra coloro che durante i viaggi hanno attraversato Paesi e vissuto situazioni in cui la pratica della violenza è estremamente diffusa e spesso istituzionalizzata (per esempio, nei centri di detenzione) e, infine, tra le donne vittime di tratta.
  Aggiungo un piccolo cenno sull'impatto economico. In considerazione del fatto che gli immigrati sono una popolazione giovane e selezionata in partenza per avere buone condizioni di salute, essi pur contribuendo attivamente al mantenimento del sistema pubblico del welfare, vi ricorrono tendenzialmente meno rispetto alla componente italiana.
  Un'analisi elaborata dalla Fondazione «Leone Moressa» sui dati del Ministero dell'economia indica che le entrate fiscali e i contributi previdenziali ricollegabili agli immigrati sono stati, nel 2013, pari a 16,6 miliardi (parliamo sempre di migranti regolari, che lavorano e che contribuiscono), mentre il totale delle uscite sostenute per sanità, scuola, servizi sociali, case e giustizia è stato di 13,5 miliardi, quindi hanno lasciato un saldo positivo di 3,1 miliardi di euro. Peraltro, nel 2013 il contributo PIL nazionale assicurato dai lavoratori stranieri è stato di 123,72 milioni di euro, pari all'8,8 per cento del totale.
  Per quanto riguarda specificamente i costi della sanità, nel 2013, su una spesa complessiva di 109 miliardi di euro, la quota sostenuta per gli stranieri è stimata intorno a 3,9 miliardi, decisamente inferiore rispetto all'impatto demografico.
  Limitatamente all'impatto sui servizi ospedalieri, i dati desunti dalle schede di dimissione ospedaliera (SDO) indicano un numero medio annuo di ricoveri di circa 30-32.000 a carico degli stranieri irregolari (STP). Sul totale del fondo utilizzato per l'ospedalizzazione a livello nazionale, che è di oltre 45 miliardi di euro, la spesa sostenuta per gli irregolari equivale allo 0,3 per cento, quindi è molto bassa. Peraltro, in tale quota sono ricompresi, oltre alle persone extracomunitarie (STP), gli europei non iscritti. Per i regolari la spesa ammonta al 3,3 per cento.
  Una ricerca promossa dall'Istituto superiore di sanità sulla spesa farmaceutica nel 2011 ha evidenziato bassi livelli di consumo da parte della popolazione immigrata. Nonostante gli stranieri regolari nel 2011 abbiano rappresentato il 7,5 per cento della popolazione, solo il 2,6 per cento della spesa farmaceutica ha riguardato tale popolazione.
  Infine, uno studio recente promosso dall'Agenzia europea per i diritti fondamentali, in tre Paesi europei (Germania, Grecia e Svezia), ha concluso che l'offerta di cure a migranti irregolari, in due ambiti assistenziali importanti quali il trattamento dell'ipertensione e l'assistenza prenatale, comporta un risparmio economico misurabile significativo per il sistema sanitario, senza considerare che più ampi costi sociali evitabili grazie alla prevenzione delle complicanze spingono verso l'adozione di politiche sanitarie di prevenzione più globali e inclusive rispetto alla sola gestione delle situazioni d'urgenza.
  Aggiungo anche un flash sui riferimenti normativi. La legge n. 40 del 1998 (legge Turco-Napolitano, poi confluita nel Testo unico sull'immigrazione) ha inquadrato in Pag. 9forma inclusiva i provvedimenti sulla tutela salute gli immigrati. Con l'evoluzione della legislazione in ambito sanitario, il diritto di accesso al servizio sanitario nazionale è stato collegato alla cittadinanza e allo status giuridico degli stranieri, attraverso una differenziazione tra extracomunitari regolari e irregolari, comunitari iscritti o meno all'anagrafe e profughi titolari di protezione internazionale sussidiaria o umanitaria.
  Gli stranieri con regolare permesso di soggiorno, in particolare, per motivi di lavoro, ricongiungimento familiare o protezione sociale, godono, anche in fase di rilascio del primo permesso o di regolarizzazione o nelle more del rinnovo, del medesimo diritto-dovere di iscrizione al servizio sanitario nazionale dei cittadini italiani. Lo stesso vale per gli stranieri comunitari residenti con lavoro regolare e per i familiari a carico.
  Agli stranieri privi di permesso di soggiorno sono, invece, garantite le cure urgenti, essenziali e continuative mediante attribuzione di un codice temporaneo, l'STP (straniero temporaneamente presente) appunto.
  L'assistenza sanitaria agli stranieri senza permesso di soggiorno è garantita tramite le aziende sanitarie, secondo le modalità stabilite da apposite indicazioni regionali, eventualmente in collaborazione con organismi di volontariato aventi specifica esperienza, ai sensi dell'articolo 43, comma 8 del DPR n. 394 del 1999.
  Il divieto di segnalazione degli stranieri irregolari da parte del personale delle strutture sanitarie alle autorità di pubblica sicurezza, già previsto dalla comma 5 dell'articolo 35 del decreto legislativo n. 286 del 1998, non è stato modificato dalla legge n. 94 del 2009, che ha introdotto in Italia il nuovo reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, e conserva, pertanto, piena vigenza. La medesima legge n. 94 ha stabilito che l'accesso alle prestazioni sanitarie di cui all'articolo 35 del Testo unico non richiede l'esibizione di documenti attestanti il soggiorno.
  Dal 2007 si sono ridefinite le modalità di tutela sanitaria per i cittadini dell'Unione europea, ovvero per i comunitari non in possesso della tessera europea di assicurazione malattia (TEAM), rilasciata dal proprio Paese, che non lavorano regolarmente in Italia e non sono residenti, la gran parte delle regioni italiane ha previsto specifici percorsi di accesso attraverso l'attribuzione di un codice specifico (codice ENI, europeo non iscritto) che li paragona agli STP per quanto riguarda il diritto all'assistenza sanitaria, ma con l'obbligo di rendicontazione separata per le amministrazioni sanitarie.
  Per quanto riguarda i profughi, al fine di recepire i principi sanciti dalle direttive europee, sono stati emanati il decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251; il decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 e altri. In particolare, il decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, all'articolo 21, disciplina l'assistenza sanitaria per i richiedenti asilo, richiamando le previsioni del citato Testo unico in materia di immigrazione, nonché la sottoposizione dei minori richiedenti o figli richiedenti all'obbligo scolastico, ai sensi del medesimo Testo unico.
  Nonostante l'impostazione inclusiva voluta dal legislatore in risposta al mandato costituzionale, a oggi permane una marcata eterogeneità e difformità applicativa delle norme nazionali sul livello regionale. Al fine di superare tale criticità, il 20 dicembre 2012 è stato sottoscritto l'accordo Stato, Regioni e Province autonome recante indicazioni per la corretta applicazione della normativa per l'assistenza sanitaria alla popolazione straniera da parte delle regioni e delle province autonome.
  Non si tratta di una nuova legge, ma di un atto interpretativo delle norme vigenti volto a favorire un più omogeneo accesso alle cure da parte della popolazione immigrata e facilitare i lavori degli operatori sanitari. A oggi, però, questa norma non è applicata in maniera omogenea sul territorio nazionale.
  Esaminando le criticità che emergono, la presa in carico dei bisogni di salute della popolazione straniera si presenta particolarmente complessa, per motivi riconducibili, almeno in parte, all'eterogeneità del fenomeno migratorio in Italia, caratterizzato dalla presenza di diverse tipologie di migranti, Pag. 10 la cui classificazione si presenta spesso labile e mutevole nel tempo.
  A livello sia centrale (Ministero dell'interno, della salute e del lavoro) sia periferico (regioni e ASL) non sempre siamo stati in grado di offrire risposte organiche ed efficaci ai bisogni di salute degli immigrati. Pertanto, è opportuno sviluppare strategie e sistemi innovativi per contrastare le diseguaglianze, rendere più agevole l'accesso al servizio sanitario nazionale per le persone in condizioni di marginalità sociale e garantire pari opportunità e tutela della salute.
  In particolare, emerge la necessità di un'azione coordinata a livello nazionale per preservare ed estendere nella politiche sanitarie pubbliche il valore dell'universalismo e la sua concreta attuazione in termini di accessibilità dei servizi e di accoglienza per tutti, tenendo conto degli specifici contesti locali.
  Emerge, inoltre, il bisogno di un coordinamento europeo per la presa in carico dei bisogni sociosanitari delle persone migranti che giungono sulle coste europee, al fine di armonizzare gli interventi a tutela della loro salute e di quella delle popolazioni ospitanti.
  A proposito di monitoraggio delle politiche, dal punto di vista sanitario, pur in presenza di una legislazione sostanzialmente inclusiva, le norme, l'organizzazione e i percorsi di tutela si sono di volta in volta strutturati sulla tipologia del migrante dominante emergente e hanno evidenziato nel tempo criticità strutturali, ma anche variabilità e disarmonie solo in parte risolte dal citato accordo.
  In risposta a tale eterogeneità, nel garantire i livelli essenziali di assistenza (LEA) tra le diverse regioni italiane si rende necessario un monitoraggio delle scelte programmatorie e organizzative in ambito sanitario e sociale finalizzato a valutare l'impatto sulle condizioni di salute.
  Questo è uno degli obiettivi dell'Istituto nazionale e sarà attuato, nella prospettiva di contribuire al miglioramento delle conoscenze aggiornate geo-referenziate sull'effettiva modalità di accesso ai servizi sanitari da parte delle persone straniere attraverso una condivisione di atti formali che ogni singola regione o provincia autonoma ha prodotto in tema di tutela sanitaria, anche mediante l'utilizzo di supporti web (piattaforma wiki).
  Stiamo facendo un monitoraggio dell'applicazione della norma a livello delle singole Regioni. Da fine settembre 2016, lo metteremo a disposizione di tutti, in modo che si potrà valutare com'è applicata la norma nelle varie Regioni italiane e se ci sono delle differenze rispetto a quanto stabilito dalla Conferenza Stato-Regioni del 20 dicembre 2012, quindi potremmo osservare la situazione a livello nazionale.
  Tra i suoi obiettivi, l'INMP ha il Centro di riferimento della Rete nazionale per le diseguaglianze e l'Osservatorio epidemiologico nazionale sull'immigrazione e sull'impatto della povertà sulla salute della popolazione. La modalità del lavoro in rete si propone come strategia per sostenere l'interazione tra le istituzioni e i diversi stakeholder. In questo senso, si è costituita la Rete nazionale per le problematiche di assistenza in campo sociosanitario legate alle popolazioni migranti e alle fasce di povertà, che è coordinata dall'INMP, che è il centro di riferimento ai sensi della legge istitutiva.
  Le funzioni di coordinamento espletate dalla rete nazionale in relazione all'attività di promozione e tutela della salute dei migranti e lo sviluppo di sistemi innovativi per il contrasto alle diseguaglianze si realizzano in stretto raccordo con le Regioni e le Province autonome, che concorrono attraverso i propri referenti istituzionali alla realizzazione degli appositi progetti interregionali dell'INMP, approvati dalla Conferenza Stato-Regioni su proposta del Ministero della salute, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze.
  La Rete nazionale sviluppa le proprie attività in stretta sinergia con network scientifici, organizzazioni del privato sociale e comunità di pratica operanti sul territorio nazionale.
  L'Osservatorio epidemiologico nazionale sull'immigrazione e sull'impatto delle povertà sulla salute della popolazione contribuisce alla descrizione del profilo di salute dei migranti e delle fasce svantaggiate di Pag. 11popolazioni italiane e straniere, operando in stretto rapporto con la rete nazionale.
  L'Osservatorio nasce presso l'INMP allo scopo di rilevare le disuguaglianze di salute, di individuare le migliori pratiche per il loro contrasto e di supportare le regioni nella loro attuazione. Grazie alla sinergia con le regioni e con i principali centri di produzione delle informazioni, è possibile seguire l'andamento delle variabili di salute delle popolazioni immigrate, utilizzando dati correnti e indagini ad hoc. Inoltre, nell'ambito di un protocollo di ricerca Istat-INMP, elabora i dati statistici delle indagini sugli stranieri e li valorizza a beneficio dei policy maker istituzionali.
  Ci stiamo muovendo anche su un altro problema molto importante, quello delle linee guida e dei percorsi di presa in carico dei migranti. Una delle principali barriere alla fruibilità dei servizi è rappresentata dall'elevata variabilità e discrezionalità nelle pratiche assistenziali e dei percorsi di presa in carico, cui associano a maggiori rischi di inappropriatezza clinica e organizzativa e incremento dei costi per il servizio sanitario nazionale.
  A tale scopo, il 3 luglio 2015 è stato siglato un accordo di collaborazione tra l'INMP, l'Istituto superiore di sanità e la Società italiana di medicina delle migrazioni per la realizzazione di un programma di linee guida sulla tutela della salute e l'assistenza sociosanitaria alle popolazioni migranti.
  L'attività di produzione di linee guida si alimenta del sostegno delle regioni, che attraverso il diretto coinvolgimento dei propri referenti nell'ambito della rete nazionale concorrono a indicare i temi prioritari, ponendosi come destinatari dei documenti di indirizzo in ordine alle scelte di programmazione sanitaria.
  Tra i temi individuati come oggetto di linee guida si citano, innanzitutto, i controlli sanitari all'arrivo e i percorsi di tutela sanitaria, con particolare riferimento ai migranti ospiti presso i centri d'accoglienza. Riteniamo che questa linea guida potrà essere completata ai primi dell'anno prossimo.
  Un'altra linea-guida importante che è stata definita riguarda la prevenzione degli infortuni sul lavoro; altre riguardano la salute nelle condizioni di restrizione della libertà e la tubercolosi.
  Rispetto al fenomeno dei minori non accompagnati ha assunto particolare rilievo il problema della determinazione dell'età. A tale riguardo, il 3 marzo 2016 è stato approvato dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome il protocollo olistico multidisciplinare per l'accertamento all'età dei minori non accompagnati.
  Tale protocollo, considerando il ricorso ad esami medici, in particolare radiologici come estrema ratio, in caso di fondato dubbio circa l'età dichiarata propone un approccio globale, multidisciplinare e multiprofessionale basato su un colloquio sociale approfondito, una visita pediatrica auxologica, una valutazione da parte di uno psicologo dell'età evolutiva e di un neuropsichiatra infantile, con la costante presenza di un mediatore transculturale.
  Si tratta di un approccio innovativo volto al superamento della sola radiografia del polso come criterio di accertamento dell'età, e che va ora sostenuto e promosso nella sua adozione e diffusione sull'intero territorio nazionale.
  Un'ulteriore tipologia di migranti per la quale è necessario garantire interventi appropriati uniformi in tutte le regioni è rappresentata dai richiedenti e i titolari di protezione internazionale e umanitaria, soprattutto se vittime di violenze e di tortura in ragione della loro particolare fragilità.
  A tal fine, il Ministero della salute sta predisponendo un documento contenente linee guida per la programmazione degli interventi di assistenza e riabilitazione, nonché per il trattamento dei disturbi psichici dei titolari dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria che hanno subito torture, stupri o altre forme di gravi violenze psicologiche, fisiche o sessuali, compresi eventuali programmi di formazione e aggiornamento specifici rivolti al personale sanitario.
  Tali linee di indirizzo sanno utili per avviare e completare la programmazione di strumenti operativi adeguati ad assistere Pag. 12questa nuova utenza attraverso anche la riorganizzazione dei servizi sanitari territoriali, l'uniformità delle procedure e la formazione del personale.
  Parliamo ora del progetto «Care», al quale faceva riferimento anche il presidente, che ha lo scopo di promuovere e sostenere la salute dei migranti e delle popolazioni ospitanti negli Stati membri maggiormente interessati al fenomeno migratorio.
  È un progetto cofinanziato dalla Commissione Europea ed è condotto da un partenariato composto dall'INMP, in qualità di coordinatore e leader dell'attività negli hotspot, e da altri 14 enti pubblici e privati e cinque Stati membri (Italia, Grecia, Malta, Slovenia e Croazia).
  Grazie a tale progetto si stanno sperimentando metodiche innovative di presa in carico della salute dei migranti, rispettose della complessità dei loro bisogni.
  In particolare, si prevede l'impiego di team multidisciplinari presso gli hotspot di Lampedusa e Trapani Milo in Italia e Kos e Leros in Grecia, costituiti da un dermatologo, un infettivologo, un pediatra, uno psicologo dell'età evolutiva e un mediatore transculturale.
  Tali team hanno, oltre al compito di erogare prestazioni specialistiche agli ospiti dei centri, quello di testare il protocollo olistico multidisciplinare per l'accertamento dell'età anagrafica dei minori non accompagnati, fornendo per la prima volta un modello alternativo per la presa in carico dei bisogni di questa fascia particolarmente fragile della popolazione immigrata.
  È previsto che nel corso del progetto venga sperimentato un sistema per la registrazione dello stato di salute delle persone da poco immigrate, che sia di particolare utilità alla persona, specie quando lascia l’hotspot e viene collocata in un centro di accoglienza territoriale.
  Tale sistema, il cui sviluppo è sotto la responsabilità diretta della Croce Rossa Italiana e del Ministero della salute, prevede, infatti, la consegna al migrante di una scheda elettronica che contiene i suoi dati di salute, organizzati in modo strutturato.
  Le informazioni sanitarie potranno così essere lette da un altro medico, il quale potrà aggiungerne e aggiornarle in tempo reale. Il progetto prevede, inoltre, un sistema per il monitoraggio delle malattie trasmissibili attraverso cui si cerca di fornire strumenti e modelli agli Stati membri per assicurare la rilevazione precoce dell'insorgenza di malattie diffusive e di potenziali emergenze nel campo della sanità pubblica.
  Lo sviluppo di tale sistema è sotto responsabilità diretta all'Istituto superiore della sanità, quindi stiamo lavorando insieme. A questo proposito, è presente il dottor Costanzo per eventuali domande su questo progetto.
  In merito alle barriere socioculturali e alla mediazione transculturale, nell'ottica della piena accessibilità dei servizi sociosanitari un ruolo importante va assumendo la mediazione transculturale.
  Il ruolo del mediatore supera la connotazione e la funzione prettamente linguistica per acquisire una dimensione più complessa che includa attitudini comunicative, psicologiche, sociologiche e antropologiche.
  La mediazione rappresenta una funzione necessaria nell'interazione tra gli operatori del Servizio Sanitario Nazionale e gli immigrati, atta ad arginare gli aspetti culturali che possono ostacolare la comunicazione tra i servizi e l'utenza straniera e promuovere un più ampio approccio e appropriato uso delle strutture e dei percorsi di cura, migliorandone la qualità e adeguando le prestazioni offerte ai reali bisogni di salute delle persone.
  All'interno del nostro Istituto sono presenti 30 mediatori transculturali; si parlano 30 lingue. Tuttavia, oggi la figura del mediatore transculturale non è definita da un punto di vista professionale. Uno dei compiti importanti è proprio la definizione della figura, soprattutto in ambito sanitario, in maniera che possano operare all'interno del Servizio Sanitario Nazionale.
  
Su questo vi chiediamo aiuto perché bisognerà progettare una norma che ci permetta il riconoscimento della figura e del relativo titolo di studio. I nostri mediatori la maggior parte, infatti, sono extracomunitari, quindi c'è una oggettiva difficoltà nel riconoscimento del titolo di ciascuno. Alcuni, peraltro, sono richiedenti asilo politico, quindi Pag. 13non possono nemmeno richiedere il titolo nel loro Paese.
  L'Istituto ha fatto tanto su questo aspetto. Per quanto riguarda il percorso formativo, nell'ambito di un progetto sperimentale che si chiama «ForMe», di cui lasciamo copia del documento, è stato avviato, appunto, un percorso sperimentale nella formazione dei mediatori culturali.
  Pertanto, come dicevo, è necessario prevedere una norma che riconosca la figura del mediatore transculturale in campo sanitario e la inquadri tra le professioni sociosanitarie, affinché possa essere utilizzata nel servizio sanitario nazionale. Oggi, pur avendo in pianta organica 15 mediatori culturali, non c'è la possibilità di assumerli.
  Riguardo, invece, alle criticità nell'accesso e mediazione di sistema, in prospettiva il concetto di mediazione transculturale dovrà sempre più evolvere verso la cosiddetta «mediazione di sistema», che implica una rimodulazione dei servizi sanitari nel senso dello sviluppo di una sensibilità complessiva alle specificità culturali.
  Tale funzione di mediazione si esprime, ad esempio, nel superamento delle barriere burocratiche, amministrative e organizzative che ancora permangono all'accesso. A riguardo, si registrano difficoltà nell'iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale e nella fruizione dei servizi ad accesso diretto (SerT, DSM, consultori) generati, ad esempio, dalla richiesta di documenti non previsti dalla normativa o da ostacoli frapposti da altre strutture e istituzioni non sanitarie, come l'Agenzia delle entrate per quanto riguarda il problema del codice fiscale, con una variabilità nei comportamenti delle amministrazioni talora presenti anche nell'ambito di una stessa azienda sanitaria locale.
  Inoltre, si segnala una diffusa mancanza di flessibilità dei servizi aperti in giorni e fasce orarie spesso incompatibili con le necessità potenziali dei fruitori.
  Siamo arrivati alla fine, quindi aggiungo qualche riferimento alle problematiche delle barriere economiche e del diritto all'esenzione dei ticket, che è un problema emergente.
  Un'attenzione particolare merita il tema del diritto all'esenzione della compartecipazione alla spesa sanitaria per richiedenti protezione internazionale. La normativa vigente equipara i cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale ai disoccupati, precisando che, non essendo stata data a tali soggetti facoltà di intrattenere regolare rapporti di lavoro durante il periodo di richiesta di asilo, le prestazioni sanitarie sono fornite in esenzione al sistema di compartecipazione alla spesa, assimilabile ai disoccupati iscritti alle liste di collocamento.
  Ai richiedenti protezione internazionale, prima dell'emanazione del decreto legislativo n. 142 del 2015, veniva, infatti, rilasciato, per i primi sei mesi un permesso di soggiorno che non consentiva l'attività lavorativa e che, quindi, li esonerava dalla compartecipazione alla spesa sanitaria per tale periodo.
  Il decreto legislativo di cui sopra, all'articolo 22, sancisce la possibilità del richiedente di svolgere attività lavorativa, trascorsi i 60 giorni dalla presentazione della domanda. Molte regioni hanno recepito la novità anche dal punto di vista sanitario, riducendo, di conseguenza, la durata del diritto all'esenzione.
  Terminato tale periodo di 6 mesi o di 2 mesi in alcune Regioni, il richiedente asilo generalmente perde il diritto all'esenzione, diventando a tutti gli effetti un inoccupato, ovvero persona che non ha mai lavorato sul territorio nazionale, quindi non avente diritto all'esenzione per motivi di disoccupazione, che è concessa soltanto a chi ha avuto un'occupazione precedente.
  L'assimilazione tra inoccupati e disoccupati e richiedenti protezione internazionale sembra non rispondere efficacemente alle indicazioni fornite dall'Unione europea, e in particolare dall'articolo 17, paragrafo 4, della direttiva 2013, che dispone che gli Stati membri possono obbligare i richiedenti a sostenere o a contribuire ai costi delle condizioni materiali di accoglienza e dell'assistenza sanitaria previsti dalla presente direttiva ai sensi del paragrafo Pag. 14 3, qualora i richiedenti dispongano di sufficienti risorse, per esempio qualora siano stati occupati per un ragionevole lasso di tempo.
  La situazione tra le regioni è molto eterogenea. Tale variabilità è complicata da vincoli posti alle regioni in piano di rientro. Questo aspetto contrasta con l'eguaglianza di diritti che il nostro Paese deve assicurare alle persone che hanno sofferto esperienze gravi e ricevono protezione internazionale.
  Nel 2015, ad esempio, la regione Lazio ha dovuto modificare, a seguito dei rilievi sollevati dal Ministero alla salute e dal Ministero dell'economia, il codice di esenzione E06, previsto come rinnovabile fino alla definizione della procedura per la richiesta di protezione internazionale, limitando la durata a 6 mesi dal momento della presentazione della domanda.
  Questa barriera di tipo economico-amministrativo discrimina il migrante forzato nell'esercizio di un suo diritto, spesso proprio alle fasi più critiche della sua permanenza in Italia, quando potrebbe necessitare di certificare le sofferenze subite e vissute, oltre che di svolgere accertamenti di salute.
  Allo stesso tempo, anche i cittadini italiani inoccupati che devono pagare il ticket possono sperimentare il medesimo disagio. È, pertanto, necessaria una ridefinizione complessiva della politica di esenzione in un'ottica di maggiore equità e giustizia sociale.
  Passo ora ai gruppi difficili da raggiungere e alla medicina di prossimità. All'interno della popolazione immigrata sono presenti gruppi sociali particolarmente difficili da raggiungere. Tra questi hanno assunto, negli ultimi anni, un rilievo particolare i cosiddetti «transitanti». Si tratta di persone non inserite nei programmi di accoglienza, di cui ho parlato precedentemente, ovvero i richiedenti protezione internazionale che attraversano in pochi giorni il territorio italiano e che, non godendo di copertura sanitaria, non si rivolgono spontaneamente ai servizi sociosanitari per gli stranieri regolari.
  Tali peculiarità rendono non applicabili i consueti modelli di orientamento ai servizi di presa in carico adottati nei confronti della popolazione immigrata e stanziale. Per offrire loro assistenza, nel 2014, l'INMP si è impegnata a Roma in un piano di intervento sociosanitario, insieme alle altre istituzioni pubbliche. Tale esperienza ha indicato concrete possibilità operative e forme integrate di collaborazione tra istituzioni pubbliche e del privato sociale. Ne esce rafforzato il modello che vede nella prossimità e nella rete gli elementi chiave per garantire servizi mediante l'offerta proattiva di prestazioni sanitarie da parte di équipe sanitarie itineranti, il teleconsulto e la formazione sul campo.
  La nostra esperienza è che lavorando insieme e in rete si riescono a raggiungere gli obiettivi prefissati. Non si può procedere da soli con successo. Il percorso che abbiamo fatto sul territorio, mettendo insieme le diverse forze, ci ha dato l'opportunità di attuare una medicina proattiva e di tutelare la salute di queste persone che con grandi difficoltà e traumi inimmaginabili hanno subito un percorso di allontanamento forzato dalla loro terra.
  Mi sono dilungata forse troppo, ma il tema è vasto.

  PRESIDENTE. Grazie, direttore, per l'estesa comunicazione, molto interessante in termini sia di dati e di informazioni sia di suggestioni che ci ha dato perché nel nostro percorso ci interessa capire gli elementi di problematicità e di criticità, cosa che ci può essere di grande aiuto nel fare il nostro mestiere, che è anche quello di proporre soluzioni ai problemi che affrontate quotidianamente.
  Do ora la parola ai colleghi che desiderano porre delle domande, dopodiché deciderà lei se rispondere in prima persona o far intervenire qualcuno dei suoi collaboratori. Purtroppo, dobbiamo contingentare i tempi per l'inizio dell'Aula. Abbiamo, comunque, una mezz'oretta per le domande e le repliche. Ovviamente, acquisiremo la sua relazione e il materiale che ci ha portato, che verrà distribuito a tutti i colleghi e che, personalmente, sarà fonte di ulteriori approfondimenti e valutazioni.

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  VEGA COLONNESE. Ringrazio il direttore perché ha già risposto a delle domande che avremmo avuto intenzione di farle. La relazione sarà sicuramente utilissima per il lavoro che stiamo svolgendo. Ho solo due curiosità scaturite dalla sua relazione.
  Vorremmo sapere se lavorate o conoscete qualcuno che sia in contatto con la situazione di Ventimiglia e del Brennero. Si tratta, infatti, di una situazione abbastanza caotica, in cui non c'è stato un piano reale di accoglienza. Sapete che se ci sono delle criticità per la salute psicofisica dei migranti causati dalla mancata e improvvisata gestione degli stessi? Insomma, siete a conoscenza della situazione di Ventimiglia e del Brennero?
  Lei ha fatto un riferimento agli hotspot che sarà nostra premura approfondire nella relazione. Tuttavia, dato che alcuni hotspot hanno una gestione che ricorda molto i CIE – penso al caso di Pozzallo, con i minori non accompagnati, che genera una situazione abbastanza forte – vorremmo sapere se siete a conoscenza di casi, negli hotspot, che ricordano questo contesto nell'ambito sanitario, se ci sono stati adeguati screening medici e se vi sono arrivate segnalazioni di situazioni critiche.

  MARIA CHIARA GADDA. La ringrazio anch'io per la relazione molto esaustiva. Vorrei chiedere un approfondimento relativamente al tema dei mediatori culturali. Lei ha citato la necessità, che riconosco anch'io analizzando le numerose realtà presenti sul territorio, del riconoscimento del titolo di studio. Come ha ricordato anche lei, molte volte il ruolo di mediatore culturale viene svolto da altri richiedenti asilo o persone che non hanno il titolo di studio.
  Allora, tecnicamente e concretamente, quale titolo di studio dovrebbe essere riconosciuto e sulla base di quali caratteristiche e quali competenze di tipo scientifico, medico e psicologico? Insomma, che cosa può essere valutato? Visto che, appunto, nella maggior parte dei casi un titolo di studio nella sostanza non esiste, ma la mansione viene svolta da persone che hanno vissuto la medesima esperienza, con quali standard e caratteristiche il titolo può essere valutato?

  SARA MORETTO. Anch'io la ringrazio per la relazione molto utile, che, come diceva il presidente, sicuramente leggeremo con calma anche rispetto ai dati e alle riflessioni che pone.
  Faccio anch'io una domanda molto specifica. Lei ha annunciato che per settembre sarà pronto l'esito del monitoraggio sulla diversa applicazione della norma tra le regioni. Penso, infatti, sia noto a tutti che ci sono molte differenze nei diversi territori su come viene gestita la parte sanitaria relativamente all'accoglienza dei migranti.
  Se non ho capito male, voi operate in maniera permanente qui, nel territorio romano, quindi maturate un'esperienza che può essere costante e che può produrre un protocollo «normale» di questo tipo di gestione. Ecco, vorrei capire se, secondo voi, la vostra esperienza può produrre, appunto, un protocollo esportabile negli altri territori.
  Inoltre, vorrei sapere se da una prima analisi del monitoraggio che state facendo siete in grado di anticipare i principali motivi della differenza di gestione, cioè se c'è una mancanza di volontà politica delle regioni di impegnarsi su questo fronte o se, invece, ciò che crea le differenze sono problematiche tecniche e di organizzazione delle diverse ASL. Insomma, vi chiedo se avete, in anticipo, qualche indicazione generica sui motivi delle disomogeneità territoriali.

  EDOARDO PATRIARCA. La collega Moretto mi ha anticipato, quindi le confermo la sua domanda. Mi interessa, infatti, molto il passaggio in cui evidenziava le diverse operatività (chiamiamole così) tra le varie regioni, compresa anche la mia, l'Emilia-Romagna.
  Questo è un dato importantissimo, quindi il lavoro di monitoraggio e di censimento di quello che sta accadendo a livello regionale che state facendo sarà per la Commissione uno snodo strategico importantissimo, anche nel nostro compito, che il nostro presidente conosce bene, di Pag. 16elaborare delle prospettive di soluzione rispetto alla vicenda dei profughi.

  ELENA CARNEVALI. Ringrazio molto la direttrice e tutti coloro che sono qui, anche per la disponibilità di suggerirci, in questi anni e oggi con questa relazione, delle iniziative sulla base delle esperienze anche politiche. Siete sicuramente un punto di riferimento per noi molto importante.
  Entro nel merito di alcune domande che vorrei porle. La prima questione riguarda un limite dell'attuale modello costituzionale perché il tema di avere 20 modelli regionali diversi dipende, in parte, dalla legislazione concorrente, ma non voglio entrare nel merito della riforma costituzionale.
  Ho due questioni. Quali sono, eventualmente, i suggerimenti normativi che potete darci per riuscire a colmare il divario di accesso al diritto rispetto alle differenze regionali?
  Riguardo, invece, alla questione della compartecipazione alla spesa, è tema che abbiamo trattato con il presidente Zingaretti e anche in audizione con la ministra circa la possibilità di non vederla estesa. Vi sono, peraltro, anche le regioni in piano di rientro, che non hanno il problema di non poter estendere i 6 mesi di compartecipazione.
  Ecco, le porto l'esempio di alcune ASL che conosco che fanno la profilassi sulla TBC indistintamente a tutte le persone che arrivano nei centri di accoglienza, ovvero a coloro che dallo sbarco arrivano direttamente nei nostri centri, con una disponibilità di risorse che presumo venga direttamente dal Fondo nazionale indistinto – questo è ancora un mistero – o forse dal fondo allocato a livello di Ministero dell'interno. Non riusciamo a capire bene, quindi lo chiediamo a voi. Tuttavia, ci sono comunque differenti utilizzi di profilassi.
  Passo alla terza questione. Dopo oltre un anno di esperienza di questa Commissione personalmente ho l'impressione che ci sia un ottimo controllo dal momento dello sbarco, con una capacità di screening sanitario e di riconoscimento. Abbiamo, però, ancora la criticità che non c'è una cartella sanitaria, per cui non c'è una storia clinica che possa seguire la persona. So che si vuole fare, quindi mi auguro che i tempi siano brevi.
  A mio giudizio, però, il problema si pone nella seconda fase. Vi posso assicurare che, nonostante le buone intenzioni, la possibilità di accesso alle cure per le ragioni che sono state dette in modo molto analitico, è ancora particolarmente serio. In sostanza, vengono assicurate soprattutto le situazioni di emergenza e nulla di più.
  Chiudo su un altro tema che continuo a porre all'interno di questa Commissione e che formalizzo qui, dicendo che sarebbe opportuno che si faccia un lavoro della Commissione e non del deputato di turno (per quanto mi riguarda lo farò, ma credo sia un buon suggerimento da dare a tutta la Commissione). Mi riferisco al tema della residenza e della decadenza e a cosa si trascina in termini di diritti alla salute e all'assistenza. Questo sta mettendo in difficoltà da un lato la popolazione migrante e dall'altro i comuni, che hanno una resistenza nel dare la residenza, che è un diritto e non una concessione.
  Mettendo in fila tutte queste problematiche, abbiamo ancora gravi criticità da affrontare. L'augurio è, quindi, che ci possiate accompagnare in questo lavoro anche in futuro.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri auditi per una breve replica.

  CONCETTA MIRISOLA, Direttore generale dell'Istituto Nazionale salute, Migrazioni e Povertà. Rispondo con un ordine diverso rispetto alle domande che sono state poste.
  Sul «problema» della mediazione, posso affermare che le persone che operano presso il nostro istituto o nel Servizio Sanitario Nazionale hanno un diploma o una laurea conseguita nel proprio Paese. Hanno seguito poi, dei corsi formazione, molti di loro proprio presso il nostro istituto.
  A livello italiano esiste il corso universitario in mediazione culturale, ma non riguarda specificamente la mediazione in sanità. Pag. 17 Invece, il percorso che si vuole portare avanti garantisce prevalentemente un accesso a persone straniere, che abbiano una cultura e un vissuto in quelle terre da cui i migranti partono, oltre a una formazione ad hoc.
  La nostra esperienza dimostra che sono persone con un titolo di studio di scuola superiore, se non di laurea. Il problema, però, è il riconoscimento del loro titolo di studio in Italia, nonché la definizione di un percorso in linea con la legislazione italiana.
  A questo riguardo abbiamo già attuato diverse progettualità. A tal proposito, abbiamo lasciato agli atti i documenti relativi al primo corso per mediatori transculturali in ambito socio-sanitario che abbiamo svolto, scegliendo un discente per ciascuna regione italiana e formandolo con un percorso individuato sulla base di un core curriculum di mediazione in ambito sanitario che vogliamo portare avanti negli anni, fino a quando non si risolverà il problema relativo alla definizione della relativa figura professionale, che andrà sancita anche grazie al contributo del Ministero della salute, di quello del lavoro e di quello dell'università, che sono, appunto, le istituzioni coinvolte.
  Progetteremo e attueremo, quindi, una formazione individuando le persone che hanno un'esperienza lavorativa e un titolo di studio, prevedendo poi la costituzione di un elenco nazionale.
  Per quanto riguarda, invece, il discorso del monitoraggio delle politiche sanitarie di accoglienza lo abbiamo già messo in atto a livello nazionale attraverso una piattaforma progettata su tecnologia wiki. La stiamo popolando di dati utili aggiornati e intendiamo aggiungere anche i dati sugli ENI.
  A settembre ci sarà la prima fase di raffronto con le Regioni. Entro dicembre auspichiamo, quindi, di metterlo a disposizione sul nostro sito istituzionale e su quello del Ministero della salute. Insomma, il sistema è già sviluppato, quindi dobbiamo confrontarci con le regioni e con la rete nazionale, i cui componenti sono stati nominati dalla Conferenza Stato-Regioni. Avremo, quindi, il primo contatto con loro e la messa a disposizione dei dati per tutti. In questo modo, ciascuno, sia l'operatore, sia il cittadino, potrà avere a disposizione questo strumento.

  SARA MORETTO. (fuori microfono) Anticipazioni sulle cause di disomogeneità?

  CONCETTA MIRISOLA, Direttore generale dell'Istituto Nazionale salute, Migrazioni e Povertà. Il problema è che ciascuno ha recepito la norma in maniera diversa. Faccio l'esempio del pediatra di libera scelta. I bambini regolari dovrebbe avere tutti il pediatra libera scelta, ma questo non avviene in tutte le regioni. Pertanto, il monitoraggio potrebbe anche stimolare su questo aspetto.
  Per quanto riguarda il discorso della profilassi sulla tubercolosi, una delle esigenze emerse nel gruppo di lavoro e nella rete era proprio la definizione delle linee guida per la tubercolosi. Questo sarà, dunque, uno degli impegni che porteremo avanti come istituto perché i comportamenti sono disomogenei sul territorio.
  Saranno realizzate delle linee guida che potranno essere applicate su tutto il territorio, questo è l'impegno dell'Istituto, insieme all'Istituto superiore di sanità e al Ministero della salute. Bisogna dare della indicazioni affinché tutti ci si possa muovere nella stessa maniera. Ritengo, poi, che, essendo quello della tubercolosi un programma di prevenzione, sia a carico del Servizio Sanitario Nazionale, non del Ministero dell'interno.

  EDOARDO PATRIARCA. Dottoressa, vorrei dirle, perché può essere utile per voi, che alla Camera abbiamo provato il riconoscimento della figura dell'educatore professionale. Adesso passerà al Senato, quindi chissà quanto vedremo approvata la norma. Comunque, nel profilo dell'educatore professionale era indicato anche il tema della mediazione culturale. Mi riferisco alla proposta di legge Iori. Comunque, era in ambito sociosanitario. Lo dico perché nel lungo elenco degli impegni era prevista anche la mediazione culturale.

  MARIA CHIARA GADDA. La domanda nasceva dal presupposto che in molti centri Pag. 18d'accoglienza, soprattutto in strutture temporanee, non ci sono quelle figure che hanno un titolo di studio riconosciuto o un percorso, ma molto spesso si ricorre a persone che sono state ospitate in quel centro. Forse, quindi, varrebbe la pena, dopo il riconoscimento del titolo di studio, avere anche un albo nazionale, altrimenti i gestori ricorrono a personale non adeguato.

  CONCETTA MIRISOLA, Direttore generale dell'Istituto Nazionale salute, Migrazioni e Povertà. L'albo nazionale va fatto senza dubbio. Nelle more stiamo cercando di mettere a punto, presso l'INMP, un elenco di persone formate da noi e con titolo di studio adeguato. Faremo questo nell’«interregno», prima di arrivare alla definizione condivisa della figura professionale.

  ANTONIO FORTINO, Direttore sanitario dell'Istituto Nazionale salute, Migrazioni e Povertà. Vorrei aggiungere una considerazione sulle condizioni degli ospiti degli hotspot. I problemi esistono ancora prima della costituzione degli hotspot e nascono, più che da una condizione carceraria, da un'arretratezza anche formativa di chi lavora in queste strutture, che non tiene conto delle specificità e dei bisogni reali delle persone.
  Su questo, è molto importante lavorare sia insieme con le organizzazioni internazionali che sono presenti e che esercitano anche un'azione di stimolo, creando rete all'interno delle strutture, sia facendo molta formazione, che è la chiave del cambiamento.

  GIANFRANCO COSTANZO, Direttore dell'Unità Operativa Complessa Rapporti internazionali dell'INMP. Rispetto alla domanda relativa alla situazione del Brennero e Ventimiglia, vorrei dire che il nostro Istituto è nazionale, quindi, come detto dalla dottoressa Mirisola, collabora costantemente con le Regioni. Abbiamo, però, orientato le nostre azioni sulle due regioni a forte pressione migratoria, che sono quelle del Sud d'Italia. Questo non vuol dire che attraverso i nostri rappresentanti nella rete nazionale, quindi con le regioni Liguria e Trentino Alto Adige, non possiamo approfondire queste situazioni.
  Tuttavia, sono vicende molto localizzate, quindi non rappresentano una condizione di sistema perché parliamo di un piccolo gruppo a Ventimiglia e al Brennero, relativi, peraltro, a situazioni contingenti alle chiusure delle frontiere, che in Europa possono essere soggette a revisioni nel tempo.
  Possiamo monitorare il fenomeno perché quello che diceva il dottor Fortino è valido anche per questi piccoli gruppi, deprivati dai fondamentali diritti di accesso ai servizi sanitari, ma anche ad altri diritti fruibili quotidianamente. Vediamo, peraltro, dai telegiornali dove sono ospitati. Le organizzazioni umanitarie fanno il possibile, ma forse le istituzioni locali potrebbero fare sistema e agire in modo più organizzato.
  Si tratta – ripeto – di situazioni che possono determinarsi in qualsiasi regione d'Italia, dipendendo da condizioni contingenti. Fino a due anni fa a Ventimiglia non c'era questa situazione, come l'anno scorso non c'era nel Brennero. Insomma, sono casi di cui prendiamo atto dalla stampa.
  Infine, penso di poter confermare quello che l'onorevole Carnevali ha appena annunciato. La consapevolezza di non avere una documentazione sufficiente a ricostruire una storia clinica fruibile sul territorio italiano è affrontata da «Care», che è un progetto comunitario, quindi ha i suoi tempi dettati da una programmazione che abbiamo presentato con successo alla Commissione europea.
  L'innovazione di questo sistema, che viene sperimentato nei due hotspot italiani in cui siamo presenti come team multidisciplinari, cioè Lampedusa e Trapani Milo, ma anche nei due hotspot greci di Kos e di Leros (due giorni fa sono tornato da una missione proprio in questi hotspot), darà la possibilità di superare innanzitutto le problematiche relative alla privacy, nel senso che non c'è una condivisione di dati sensibili e supersensibili con strutture che non hanno diritto al trattamento. Pag. 19
  In sostanza, daremo un portable device, ovvero una scheda sanitaria – quella di cui la ministra Lorenzin ha riferito – che contiene all'interno la storia prossima del soggetto, dal momento dello sbarco fino alla presa in carico completa da parte del servizio sanitario nazionale.
  Sappiamo, infatti, che questa presa in carico può essere tardiva, quindi si tratta di colmare la fase grigia dal momento in cui il migrante arriva, è accolto al molo, entra in un hotspot e poi nel CAS, cioè nel primo centro di accoglienza, oppure in uno SPRAR, fino a che, magari, da richiedente asilo veda riconosciuto il proprio diritto alla presa in carico, quindi avere un medico di medicina generale.
  Ecco, questo è fattibile attraverso uno strumento digitalizzato consultabile dai medici che funziona come scheda sanitaria e quindi rappresenta le problematiche che quel migrante ha avuto, in primis a tutela della persona, perché questo progetto intende facilitare l'erogazione di salute alla persona migrante, ma anche – in maniera non meno importante – a tutela delle comunità ospitanti.

  PRESIDENTE. Grazie. Credo possiamo congedare i nostri ospiti, magari con l'impegno che dopo la ripresa delle attività potremmo, come Commissione, andare a visitare il centro, visto che è qui a Trastevere. Personalmente vi sono già stato con il presidente Migliore, ma credo che vedere il lavoro che stanno facendo sia una bella esperienza.
  Nel ringraziare nuovamente i nostri auditi, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.50.