Sulla pubblicità dei lavori:
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 3
Audizione del Ministro dell'interno, Marco Minniti, sulle linee programmatiche del suo dicastero
(ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati)
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 3 ,
Minniti Marco , Ministro dell'interno ... 3 ,
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 14 ,
Costantino Celeste (SI-SEL) ... 14 ,
Minniti Marco , Ministro dell'interno ... 14 ,
Costantino Celeste (SI-SEL) ... 14 ,
Minniti Marco , Ministro dell'interno ... 15 ,
Costantino Celeste (SI-SEL) ... 15 ,
Crimi Vito Claudio ... 15 ,
Calderoli Roberto ... 16 ,
Ravetto Laura (FI-PdL) ... 17 ,
Lo Moro Doris ... 18 ,
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 19 ,
Menorello Domenico (CI) ... 19 ,
Dieni Federica (M5S) ... 19 ,
De Petris Loredana ... 20 ,
Fontana Gregorio (FI-PdL) ... 20 ,
Endrizzi Giovanni ... 21 ,
Giorgis Andrea (PD) ... 21 ,
Gasparri Maurizio ... 21 ,
Fabbri Marilena (PD) ... 22 ,
Minniti Marco , Ministro dell'interno ... 23 ,
Fabbri Marilena (PD) ... 23 ,
Pollastrini Barbara (PD) ... 23 ,
Dadone Fabiana (M5S) ... 24 ,
Gasparini Daniela Matilde Maria (PD) ... 24 ,
Fiano Emanuele (PD) ... 25 ,
Pagliari Giorgio ... 26 ,
Bruno Bossio Vincenza (PD) ... 26 ,
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 27
Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare-NCD-Centristi per l'Italia: AP-NCD-CpI;
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Scelta civica-ALA per la costituente libera e popolare-MAIE: SC-ALA CLP-MAIE;
Civici e Innovatori: (CI);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri;
Misto-UDC: Misto-UDC.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA I COMMISSIONE
DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO
La seduta comincia alle 14.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.
Audizione del Ministro dell'interno, Marco Minniti, sulle linee programmatiche del suo dicastero.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro dell'interno, Marco Minniti, sulle linee programmatiche del suo dicastero.
Anche a nome del Vicepresidente della 1a Commissione, senatore Torrisi, unitamente a tutti i colleghi senatori e deputati, ringrazio il ministro e gli do subito la parola.
MARCO MINNITI, Ministro dell'interno. Grazie, signori presidenti. Grazie a voi, onorevoli colleghi. Mi consentirete, per comodità anche di argomentazione, di concentrarmi fondamentalmente su due questioni, essendo questa un'audizione di un nuovo Governo, di un nuovo ministro e, tuttavia, di una fase delle legislatura che non è l'inizio della legislatura, nella quale si mette in campo un progetto complessivo.
Da questo punto di vista, anche per consentire un'agile discussione tra di noi, se siete d'accordo, mi concentrerò su due questioni, fermo restando che poi, se ciascuno vorrà interrogarmi su singoli aspetti, sono pronto a rispondere.
La prima questione, secondo me, riguarda il quadro della minaccia internazionale, ossia del terrorismo. Proprio in questa sede, come ricorderanno i colleghi della I Commissione affari costituzionali della Camera, sentito in audizione nella veste che avevo nel precedente Governo, come autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, ebbi modo di dire che, nel momento in cui Islamic State era sulla difensiva militare nei principali teatri in cui aveva costruito un controllo e un radicamento sul territorio, per intenderci la Siria e l'Iraq, era ragionevolmente possibile il fatto che a questa difensiva sul terreno militare potesse corrispondere una risposta di carattere terroristico.
Come voi sapete, immediatamente prima delle vacanze di Natale abbiamo avuto una ripresa di attività terroristiche, naturalmente nulla di paragonabile rispetto al Ramadan di sangue del giugno e luglio del 2016, e tuttavia con fatti particolarmente significativi.
Quello per noi più importante, perché più vicino, è quello relativo all'attacco al mercatino di Natale di Berlino, senza sottovalutare gli attacchi in Turchia e, in particolare, quello della fine dell'anno. Vorrei non dimenticare, perché altrettanto cruciale dal punto di vista strategico, l'assassinio dell'ambasciatore russo ad Ankara.
A me serve, tuttavia, richiamare un piccolo dato, ossia che l'attacco a Berlino testimonia un ulteriore slittamento verso il principio dell'imprevedibilità dell'attacco. Naturalmente, noi abbiamo discusso a lungo dell'imprevedibilità degli attacchi di Islamic State, soprattutto se portati avanti da lupi solitari o da piccolissimi gruppi. Tuttavia, Pag. 4 nell'attacco a Berlino c'è un ulteriore slittamento progressivo.
In cosa consiste questo slittamento progressivo? Non consiste nell'utilizzazione di un camion, perché, come ricorderete, un TIR era stato già precedentemente utilizzato nell'attacco a Nizza. Ricorderete anche che l'uso del mezzo era stato ampiamente evocato pubblicamente da al-Adnani, che era il ministro della propaganda di Islamic State.
Il dato sta in questo, cioè nel fatto che dalle risultanze che emergono dalle indagini, sia quelle francesi, sia quelle tedesche, mentre per Nizza abbiamo un TIR che viene preso in affitto qualche giorno prima e, quindi, il margine di un'azione di prevenzione e di contrasto ha qualche giorno di reazione, per quanto riguarda, invece, la vicenda di Berlino, ci troviamo di fronte al sequestro di un mezzo con un autista del tutto inconsapevole, giunto a Berlino per trasportare un carico, che non c'entra assolutamente nulla. Viene, infatti, ammazzato. Ci troviamo, quindi, di fronte a una situazione in cui i tempi di reazione si riducono al minimo. Per la vicenda di Berlino siamo a una riduzione quasi a zero.
Tutto questo, naturalmente, comporta una riflessione di carattere più generale e poi una riflessione più specifica per quanto riguarda il nostro Paese. Più va avanti l'offensiva e la capacità di riprendere territori di Islamic State, più c'è il rischio di una minaccia terroristica, prendiamo come vero questo assunto. Non che si debba fare alcun tipo di equazione. Non è che, se la comunità internazionale non combattesse Islamic State militarmente, non ci sarebbero attentati. Come si è visto, infatti, le due componenti, sia la componente simmetrica, sia la componente asimmetrica, intendendo per simmetrica la componente più propriamente militare e asimmetrica la componente più terroristica, sono entrambe connaturate a Islamic State.
Il punto, tuttavia, qual è? È ragionevole pensare che nei prossimi mesi possiamo avere un fenomeno un po’ impegnativo. Il fenomeno impegnativo è dato dalla combinazione di due eventi.
Il primo è una diaspora di ritorno. Voi sapete perfettamente che i combattenti di Islamic State nei teatri siro-iracheni sono combattenti che vengono da varie parti del mondo. Una parte probabilmente è deceduta sul terreno. Un'altra parte significativa è ragionevole pensare che, nel momento in cui dovesse esserci uno scacco militare, possa tornare indietro, in una diaspora di ritorno.
La seconda questione è l'attivazione e l'autoinnesco di atti individuali. Se doveste chiedere di fornire un quadro abbastanza icastico della situazione, direi che i due punti di riferimento sono questi: diaspora di ritorno e autoinnesco di atti individuali.
Se questa è l'analisi, dobbiamo produrre alcuni elementi di riflessione sulla nostra capacità di risposta. La prima risposta è questa: noi abbiamo avuto dei passaggi molto importanti, di cui il primo nella definizione della vicenda Amri, che voi ricorderete, il terrorista che ha fatto l'attacco a Berlino, che poi è stato bloccato da una volante della Polizia italiana a Sesto San Giovanni ed è stato neutralizzato nelle prime ore della mattina del 23 dicembre.
Poi abbiamo avuto un altro passaggio molto impegnativo, che è stato quello di garantire in un clima di tranquillità le festività natalizie nel nostro Paese, anche con misure che, come avete visto, sono state particolarmente impegnative e, in alcuni casi, anche particolarmente visibili, com'era giusto che fosse.
Se posso trarre un bilancio di questa questione, abbiamo avuto un impegno molto forte sul terreno del controllo del territorio e dell'ordine della sicurezza pubblica. Tuttavia, tutto questo non ha inciso in alcun modo sulla tranquillità dei cittadini. Si è agito con Piani di sicurezza coordinati con i sindaci e tutto questo ha consentito di avere il controllo del territorio anche con misure particolarmente rilevanti e con alcune misure speciali. Tuttavia, questo non ha comportato alcun elemento di indebolimento della tranquillità e della possibilità dei cittadini di fruire delle festività. Anzi, è esattamente successo l'opposto. C'è stata una grande presenza in strada, nei luoghi Pag. 5pubblici, il tutto in un clima di assoluta tranquillità.
Possiamo dire che abbiamo un modello di sicurezza in Italia che funziona. Naturalmente, è chiaro che questi modelli di sicurezza non sono mai funzionanti una volta per tutte. Vanno sistematicamente e continuamente aggiornati. La cosa peggiore che si può fare in questi casi è fermarsi su risultati ottenuti.
Come vedete, sono sempre molto prudente nel parlare dei risultati, perché siamo in una fase in cui i risultati acquisiti non sono mai acquisiti una volta per tutte. Abbiamo un modello di sicurezza che funziona e, tuttavia, si pongono due questioni.
Il primo tema si pone a livello sovranazionale. Nel momento in cui – prima ne ho parlato – c'è una diaspora di ritorno, c'è un problema dei confini esterni dell'Unione europea. Io sono un sostenitore di Schengen, sono un convinto sostenitore della libertà di circolazione di uomini e merci dentro l'Unione europea. Se posso permettermi, ritengo quello un atto connaturato all'Unione europea. La cancellazione di Schengen, a mio avviso, sarebbe un colpo mortale all'Unione europea.
Tuttavia, proprio perché ho questa convinzione, debbo dirvi, con altrettanta franchezza, che penso che, se vogliamo tutelare Schengen, se l'Europa vuole tutelare Schengen, si debbano proteggere i confini esterni dell'Europa, con una particolare attenzione alle uscite e agli ingressi in Europa.
Si tratta di una questione cruciale, sulla quale l'Unione europea, la Commissione europea, si è cimentata in queste settimane e in questi mesi. Ne parleremo in altre sedute parlamentari. Tuttavia, questo è un punto che considero strategico.
Il secondo punto riguarda, invece, il livello nazionale. Ho parlato di un alto livello di imprevedibilità e del fatto che forse questo livello di imprevedibilità crescerà ulteriormente. Dobbiamo sapere che, se vogliamo affrontare l'imprevedibilità dell'attacco terroristico, dobbiamo tenere sempre di più insieme due grandi questioni.
La prima questione è quella dell'attività di intelligence e di prevenzione: chi conosce di più è, naturalmente, meglio difeso. Quando parlo dell'attività di intelligence, non mi riferisco soltanto all'attività di intelligence dei servizi che sono a tal uopo destinati. Mi riferisco anche all'attività di intelligence del complesso delle forze di sicurezza del nostro Paese.
Tuttavia, se vi dicessi che basta soltanto l'attività di prevenzione e di intelligence, vi direi una cosa, a mio avviso, non del tutto convincente, perché, di fronte all'imprevedibilità dell'atto terroristico e di fronte alla riduzione quasi a zero dei tempi di reazione, non basta soltanto l'attività di intelligence. C'è bisogno di un'attività di controllo del territorio che renda sempre più difficile un'attività, per quanto possa essere spontanea e per quanto possa essere imprevedibile. Occorre il controllo del territorio come una struttura che vive e che rende più difficile anche l'atto individuale, perché c'è un controllo permanente del territorio.
Come si può fare un ulteriore salto di qualità su questo terreno? Noi l'abbiamo già sperimentato nella vicenda delle vacanze natalizie. Tuttavia, quello, a mio avviso, è il cuore strategico della questione. Dobbiamo avere un modello di sicurezza nazionale che abbia una visione nazionale. Questo dipende dal Ministero dell'interno, indegnamente da me rappresentato.
Voglio ricordare che il ministro dell'interno è autorità nazionale di pubblica sicurezza e che, quindi, gli indirizzi nazionali li dà il Ministero dell'interno. Tuttavia, se vi dicessi che è convincente un modello di sicurezza gestito da Roma, in cui stabiliamo i parametri di sicurezza da Bolzano fino ad Agrigento, vi direi una cosa non del tutto fondata. Dobbiamo avere, quindi, un parametro di carattere nazionale e poi dobbiamo avere degli ingrandimenti locali.
Questi ingrandimenti locali possiamo averli soltanto attraverso un rapporto con il territorio, ed è per questo che considero l'interlocuzione con i presidenti delle regioni e con i sindaci un elemento fondamentale delle politiche di sicurezza, non perché voglio che qualcuno faccia lo sceriffo. Non lo deve fare il ministro dell'interno, non lo devono fare i presidenti delle regioni, non lo deve fare il sindaco. Nessuno Pag. 6 deve essere sceriffo, perché su questo fronte abbiamo le forze di polizia, che sono forze di polizia, come è noto, di grandissimo rilievo e rispettate in tutto il mondo.
Tuttavia, il punto cruciale qual è? Se voglio fare un Piano di controllo del territorio, per me è fondamentale avere la conoscenza che del territorio hanno coloro che sono sul territorio. Questo è importantissimo e per questo motivo penso che lavorerò – ci sto già lavorando – a una grande alleanza tra lo Stato nazionale e i poteri locali, a una grande alleanza sul terreno della sicurezza.
Su questo penso anche che sia venuto il momento. Si è lavorato a lungo anche negli anni passati. Forse è giunta a maturazione l'idea di poter presentare al Parlamento un progetto organico di sicurezza urbana, in cui ci sia un ruolo del Ministero dell'interno e un ruolo dei sindaci del territorio. Si tratta di un testo che, naturalmente, presenterà il Governo – poi vedrete che annuncerò alcune misure di carattere legislativo – ma che poi sarà sottoposto, com'è giusto e legittimo che sia, alla valutazione del Parlamento.
Aggiungo una piccola questione, a mio avviso, però, molto importante. Su questo tema c'è il tema della radicalizzazione. Il presidente della Commissione affari costituzionali della Camera, che ha in discussione in questa Commissione un testo di legge sulla prevenzione della radicalizzazione, mi ha chiesto di esprimere un parere come ministro dell'interno. Io ho detto al presidente della Commissione che mi ero già espresso in quanto autorità delegata.
Per quanto sia particolarmente curioso e capace di cambiare opinione, mi sembrava difficile che avessi espresso un'opinione da autorità delegata e che poi venissi qui da ministro dell'interno a esprimerne un'altra. Tuttavia, poiché mi è stato chiesto di esprimermi anche da ministro dell'interno – sono le cose singolari della nostra politica – debbo dire che considero molto importanti le iniziative sul terreno del contrasto alla radicalizzazione e delle procedure di deradicalizzazione.
Come sapete, il Governo ha promosso una Commissione indipendente, che ha completato i suoi lavori. I lavori sono adesso patrimonio, giustamente, dell'opinione pubblica italiana. Da ministro dell'interno debbo dire che, qualora ci dovesse essere un'attività di carattere parlamentare che preveda un'iniziativa di legge su questi temi, per quanto mi riguarda, ciò non soltanto non sarebbe incompatibile con l'azione che noi svolgiamo, ma sarebbe addirittura di aiuto e di sostegno.
Passo alla seconda questione. Quando parlo del modello di sicurezza, penso anche alle donne e agli uomini delle forze di polizia. Come sapete, nella legge di stabilità precedente c'erano investimenti molto impegnativi per quanto riguardava gli 80 euro, la questione del riordino delle carriere e le assunzioni. Posso dirvi che ieri ho fatto una riunione con i sindacati per annunciare che gli impegni della legge di stabilità sono oggi un fatto concreto e che, quindi, procederemo nel rispetto della legge alla conclusione della delega, che è entro la fine di febbraio, per quanto riguarda il riordino delle carriere.
Faccio presente che il tema del riordino delle carriere era un tema molto caro a questo Parlamento nel suo complesso e non soltanto all'una o all'altra forza politica. Avendo una determinata consuetudine con queste materie, ricordo che è stato un elemento su cui più volte il Parlamento in maniera molto larga aveva chiesto che si potesse intervenire.
Aggiungo anche che oggi ho incontrato i sindacati dei Vigili del fuoco per comunicare loro che c'è anche una posta in bilancio per quanto riguarda il riordino delle carriere dei Vigili del fuoco.
Come sapete, perché siete più esperti di me, i Vigili del fuoco non fanno parte del comparto sicurezza e difesa, per il quale c'è una specificità prevista per legge. Tuttavia, ci è parso giusto – è parso giusto al Governo e mi auguro che questa questione sia condivisa anche dal Parlamento – che i Vigili del fuoco, che costituiscono, a mio avviso, una trave portante del sistema di protezione civile del nostro Paese, avessero un riconoscimento, ossia che le donne e gli uomini dei Vigili del fuoco avessero un diretto riconoscimento. Pag. 7
Arrivo adesso al secondo punto che vorrei trattare e poi concludo. Il secondo punto sarà leggermente un po’ più lungo del primo, per ovvie ragioni.
Il secondo punto riguarda le politiche di immigrazione. Se ne è molto discusso. È un grande tema che appassiona il nostro Paese ed è giusto che l'affrontiamo. Esprimerò con grande franchezza, come sono abituato a fare, la mia opinione.
In primo luogo, vorrei fare un warning. Il warning è questo: voglio dire con grande nettezza che considero sbagliata e fuorviante dal punto di vista analitico l'equazione tra immigrazione e terrorismo. Ho usato parole ponderate, ossia «sbagliata» e «fuorviante», dal punto di vista analitico. È sbagliata, ma soprattutto fuorviante, perché ci fa comprendere una cosa come non è. La cosa peggiore che si possa fare in questi casi è avere una visione non del tutto corretta della realtà.
Invece, il tema dell'immigrazione è un'altra cosa. È una questione cruciale nella storia del mondo e, come tale, va considerata. È una questione cruciale nella storia del mondo, una questione che non può essere ristretta in orizzonti temporali particolarmente brevi.
Essendo una questione cruciale nella storia del mondo, dovremo misurarci con questa vicenda. Ci siamo misurati con essa in passato e probabilmente dovremo misurarci con essa in futuro, tenendo conto, se mi posso permettere, di tre questioni che considero fondamentali. Si tratta di una questione cruciale nella storia del mondo che non va né subita, né inseguita. Un tema di questa portata non può essere né subito, né inseguito. Va governato.
Naturalmente, voi mi direte che ho usato un termine impegnativo: governare. Certo, è molto più facile dirlo ed è molto più complesso farlo. Tuttavia, penso che questa sia una questione ineludibile per le democrazie del mondo. Va governata tenendo conto dei diritti di chi scappa e di chi fugge dalle guerre e dalle carestie e, insieme, del sentimento del nostro popolo. Tutte e due le cose vanno tenute insieme, perché le grandi democrazie, anzi le democrazie, tengono insieme le due cose. Di questo sono profondamente convinto.
L'Italia in questi anni ha fatto un grandissimo sforzo, di cui il mondo ci è grato. Gli italiani hanno «assunto», di fronte alla platea del mondo intero, una straordinaria responsabilità. Penso che di fronte a questa straordinaria responsabilità – mi auguro che questo pensiero sia condiviso – abbiamo il dovere di presentare un progetto, un'idea complessiva, e di trasmettere un messaggio: se la questione ha queste caratteristiche, il nostro Paese si misura con queste caratteristiche con un progetto complessivo, un progetto organico, che tenga conto, se mi è permesso, di un dato oggettivo.
Il dato oggettivo sta in due cifre, che vi vorrei riferire, che riguardano lo scorso anno e che, a mio avviso, esprimono tutto il senso di un passaggio molto delicato che stiamo vivendo. Le cifre sono essenzialmente i dati Frontex del 2016. Frontex, come sapete, è l'Agenzia per la sicurezza esterna dell'Europa.
I dati Frontex sono così riepilogabili: con riguardo ai flussi di migranti, rotta balcanica occidentale meno 84 per cento, rotta balcanica orientale meno 72 per cento, rotta del Mediterraneo centrale più 18 per cento. In questo dato c'è una delicatezza. Non sfugge a nessuno, cioè, che la rotta balcanica in qualche modo sia stata non dico chiusa, perché mai nulla è chiuso in maniera permanente, ma significativamente condizionata. La rotta del Mediterraneo centrale no.
Il secondo dato è questo: voi ricorderete che, di fronte all'esigenza di assumersi delle responsabilità e nel momento in cui si faceva un intervento molto impegnativo sulla rotta balcanica, si trovò un elemento di riconoscimento dello sforzo che facevano i singoli Paesi. Questo venne chiamato con un termine inglese, ma di facile traduzione in italiano, perché è quasi uguale: relocation, ossia «ricollocazione».
Per l'Italia furono previste in due anni 40.000 ricollocazioni, che sono un segnale importante. Ricorderete anche che fu sancito il principio dell'obbligatorietà della distribuzione. Oggi ricordo a tutti che i due Pag. 8anni scadono nel settembre del 2017 e che oggi siamo a 3.200 ricollocazioni, perché c'è un'evidente indisponibilità ad accogliere i migranti.
Nei giorni scorsi sono stato a Berlino e ho trovato una disponibilità, di cui ringrazio, da parte del ministro dell'interno della Germania a 500 relocation al mese. La Germania si è presa l'incarico di 500 relocation al mese dall'Italia, cosa che considero veramente molto importante nel quadro di non grande partecipazione. La Germania si è assunta 500 relocation al mese.
Io considero questo piuttosto importante e, tuttavia, voi comprenderete che non è sufficiente. Se questi sono i dati – vorrei che non li smarriste mai nel corso delle valutazioni che farò di qui a qualche minuto – è chiaro che dobbiamo affrontare in maniera impegnativa il punto di vista dell'Italia.
Io penso che noi dobbiamo fare un doppio movimento. Il doppio movimento consiste in questo: il primo movimento è chiedere – lo stiamo facendo, poi dirò che abbiamo ottenuto anche qualche risultato – che ci sia un cambiamento di approccio da parte dell'Unione europea.
Tuttavia, se vi dicessi che basta soltanto questo, vi direi una cosa, a mio avviso, non del tutto compiuta. Noi abbiamo bisogno che cambi significativamente l'approccio dell'Unione europea, ma abbiamo bisogno anche di una forte iniziativa nazionale, di una forte iniziativa dell'Italia. Aggiungo anche che una forte iniziativa dell'Italia ci rende più forti anche nella capacità di affrontare il tema del rapporto con l'Unione europea.
Qui forse vado un po’ fuori dal seminato, ma vorrei trasmettervi un mio messaggio, in questo caso non da ministro dell'interno, ma da parlamentare della Repubblica italiana. Penso sempre di più che dovremo tenere un rapporto tra realtà multilaterali, che considero vitali per il futuro del pianeta, con una forte agenda nazionale. Se oggi vogliamo rilanciare la visione multilaterale, dobbiamo innervarla di una forte agenda nazionale. Questo è l'unico modo per tenere insieme anche un sentimento di un popolo che rischia di vedersi sempre più lontano dalle realtà multilaterali.
Se questo è, metto in campo tre punti di vista. Il primo punto di vista è lavorare per contenere i flussi, cioè affrontare il tema per quello che è, sapendo che questa questione allude a una questione gigantesca, che è il tema dell'Africa. L'Africa è e sempre di più sarà lo specchio dell'Europa. Non è lo specchio dell'Italia, ma lo specchio dell'Europa. Se l'Africa cresce, l'Europa sta meglio. Se l'Africa non cresce o è in una situazione di «non stabilizzazione», l'Europa non starà bene. Questo comporta che l'Europa e l'Italia debbano scegliere nell'Africa un'interlocuzione strategica, perché appunto è il loro specchio.
So che, quando dico questo, pongo un problema, ossia che una parte significativa delle politiche di immigrazione si svolgono fuori dai confini nazionali. In quest'ambito un ruolo cruciale lo svolge la Libia. Nel 2016 poco più del 90 per cento dei flussi arrivati in Italia provengono dalla Libia, con una singolare configurazione: provengono dalla Libia, ma non sono libici. Non ci sono libici. È il 90 per cento.
Se guardiamo ai flussi delle prime settimane del 2017, notiamo che siamo ben oltre il 90 per cento. Siamo quasi al 100 per cento. Il tema della Libia per la rotta del Mediterraneo centrale è, quindi, un problema cruciale.
Diciamo le cose, anche qui, misurando le parole e non esagerando né in soddisfazione, né in insoddisfazione. L'accordo raggiunto, l'MoU, ossia il Memorandum of understanding, raggiunto con il GNA, ossia con il Governo riconosciuto dalla comunità internazionale in Libia, è un passo.
Come vedete, non aggiungo aggettivi. È un passo. Mi sembra la definizione più sobria che si possa dare e anche la più realistica: è un passo. Naturalmente, è un passo che ha fatto l'Italia ed è stato molto importante, a mio avviso, che l'abbia fatto l'Italia. Per questo parlavo di un'iniziativa nazionale su questi temi, perché, nel momento in cui l'Italia ha fatto un passo, l'Europa si è misurata.
Voi potete aggiungere: è stata costretta a misurarsi o non è stata costretta a misurarsi Pag. 9? Questa è una valutazione politica e, tuttavia, al vertice di Malta l'Europa si è misurata con questo tema. Il comunicato finale del vertice di Malta era al 95 per cento sul tema della Libia.
Naturalmente, nulla è risolutivo. Non basta un comunicato per risolvere il problema, ma il fatto che ci sia un comunicato al 95 per cento che dice che il problema della Libia è centrale per l'Unione europea lo considero un passo per l'Italia. Anche in questo caso è un passo.
In secondo luogo, questa questione ha prodotto un effetto anche negli altri Paesi del Nord Africa. Sono stato in Tunisia. Poi dirò per quale ragione ci sono stato. Oggi il presidente della Tunisia è ospite del nostro Paese. Ieri in un'intervista il presidente ha detto che quell'accordo, quell'MoU è un punto importante, non soltanto per i rapporti tra Italia e Libia, ma anche per quanto riguarda i rapporti nel Nord Africa.
Noi sappiamo quanto sia importante non soltanto avere, a questo punto, rapporti con la Libia, ma anche avere rapporti con tutta una serie di Paesi, tra cui Tunisia, Marocco, Algeria ed Egitto, soltanto per citare i Paesi confinanti con la Libia.
Qual è il dato? Il dato è che, con questo accordo, è stato riconosciuto all'Italia – niente di particolare – un dato per cui l'Italia è una sorta di pathfinder, cioè di apripista. L'Italia fa delle cose – poi dirò nel merito – e assume il ruolo di apripista, cioè di un Paese che si sforza di avere rapporti più ravvicinati con le realtà più critiche per l'Europa. Questo viene riconosciuto dal resto degli altri Paesi e anche questo non era un fatto scontato.
Qual è il tema adesso? Il tema è questo. Firmato l'MoU la sfida è l'applicazione, come voi sapete perfettamente. Non basta firmare un memorandum. Non basta in generale e, meno che meno, basta in Libia, per ovvie ragioni. Non mi fate più ingenuo di quello che sono. È chiaro che si apre una sfida per l'applicazione, sfida che io considero, però, molto importante.
C'è un dato non banale, ossia il fatto che il Governo riconosciuto dalle Nazioni Unite scelga di assumere l'azione di contrasto agli scafisti come un'azione impegnativa. Posso garantirvi che non era scontato. Non è così semplice e non è la stessa cosa dichiararlo in Italia e dichiararlo a Tripoli, se posso permettermi di dare un punto di riferimento nelle valutazioni, perché il traffico di esseri umani in Libia è una potenza criminale ed è una potenza economica. È una potenza criminale ed è una potenza economica in un Paese che è ben lungi dall'essere stabilizzato, in questo momento.
Da questo punto di vista la sfida è l'implementazione dell'accordo. Su che linee? Le linee sono queste: in primo luogo, l'azione di contrasto ai trafficanti di uomini, cioè il sostegno alla costituzione di una coast guard libica. C'è già un primo nucleo. In queste ore e in questi giorni si è visto che hanno fatto anche alcune operazioni di intervento nelle acque territoriali libiche.
Il secondo punto è l'azione anche sul terreno in direzione soprattutto delle piazze di partenza dalle quali i migranti partono per venire in Italia. Non ve le cito per ovvie ragioni, ma sono questioni note.
Poi ci sono il controllo delle frontiere del sud e le politiche di rimpatrio. Il controllo delle frontiere del sud è un aspetto fondamentale per quanto riguarda la lotta ai trafficanti di uomini e un aspetto altrettanto fondamentale per quanto riguarda la lotta al terrorismo.
Parlo di politiche di rimpatrio perché nell'MoU si affronta la questione per cui i libici, che hanno a che fare con un'immigrazione di passaggio, intendono affrontare il tema di rimpatriare verso i Paesi di provenienza coloro che passano dal loro Paese.
L'impegno dell'Italia è sostegno economico e sociale alle politiche di sicurezza e alle politiche di sviluppo e di coesione sociale, un impegno chiaro e limpido per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani. Su questo non c'è dubbio alcuno. Questo è il secondo step.
Infine, c'è un terzo step che riguarda la Libia ed è il tema della stabilizzazione della Libia. È evidente che c'è questo tema. Mi sono occupato della materia non da ministro dell'interno. È un tema molto forte. Penso che l'accordo, che prevede un impegno Pag. 10 contro i trafficanti di uomini, costituisca in qualche modo anche, se volete, un incremento di possibilità perché ci sia stabilizzazione.
Questo per una ragione semplicissima: i trafficanti di uomini vogliono un failed State, ossia uno Stato fallito, perché i trafficanti di uomini si muovono nella mancanza di istituzioni e di controllo come un pesce nell'acqua. Sostenere l'impegno contro i trafficanti di uomini significa rafforzare l'idea di uno Stato strutturato.
Naturalmente, questo non è soltanto un problema di sicurezza. È un problema gigantesco di politica diplomatica ed è del tutto evidente che la stabilizzazione passa attraverso un accordo tra Est e Ovest.
Posso invitarvi, tuttavia, ad avere un equilibrio nelle valutazioni: occorre un accordo tra Est e Ovest, un accordo. Se poi volete entreremo nel dettaglio, ma non c'è nessuno che in questo momento può dire di essere quello che ha la golden share sul futuro della Libia. Se posso anche aggiungere, appunto per questo la situazione è più complicata, perché, se ci fosse stato uno che aveva la golden share, la questione sarebbe stata più facilmente risolvibile.
Quanto al rapporto tra Est e Ovest, l'Italia crede moltissimo a questo. Pensa che questo sia un punto cruciale di una strategia di politica internazionale. Noi abbiamo aperto l'ambasciata a Tripoli e lunedì il nostro ambasciatore è andato a Tobruk e ha incontrato i rappresentanti del Parlamento di Tobruk e Aguila Saleh. Posso dirvi, non attraverso informazioni riservate, ma leggendo la stampa libica e di Tobruk, che l'incontro viene riportato come un incontro di successo.
Il primo punto riguarda l'attività fuori dai confini nazionali e il contenere i flussi. Il secondo punto dei tre è un nuovo modello di accoglienza. Penso che dobbiamo fare una scelta, da questo punto di vista, molto netta. La scelta deve essere quella di concentrarci, se possibile, sull'accoglienza diffusa. Abbiamo fatto un accordo con l'ANCI, con l'Associazione dei comuni italiani, che considero positivo, ma che comunque è volontario. Tuttavia, l'idea che, a mio avviso, deve farsi strada è la possibilità di allargare la platea dei comuni che accolgono.
L'anno scorso c'era la posta in bilancio dei 100 milioni di euro per i comuni che accoglievano. Posso dirvi che in questo momento il decreto di pagamento è, se non vado errato, alla Corte dei conti, ma è questione di giorni e verrà licenziato, perché le firme del Governo, ossia la mia e quella del Ministro Padoan, sono state già apposte. Quindi, il decreto è immediatamente operativo.
Occorre allargare la platea perché, in linea di principio, penso che l'accoglienza sia più eticamente sostenibile con piccoli numeri. In linea di principio lavorerò per superare progressivamente i grandi centri di accoglienza e avere numeri più contenuti, perché i numeri più contenuti consentono un rapporto diverso con le comunità locali e anche un rapporto diverso nella gestione dei diritti. Intendo sostenere sia il modello accoglienza diffusa, sia la gestione coinvolgendo le associazioni.
Vi voglio anche dire che ieri abbiamo licenziato – poi firmerò io, perché tocca a me firmare – un contratto tipo. Abbiamo co-licenziato un accordo con ANAC per quanto riguarda le procedure e i protocolli di affidamento degli appalti e la gestione dei centri di accoglienza. Lo ritengo un punto molto importante.
Si tratta di un accordo che tiene insieme tre questioni cruciali: la prima è il superamento della figura del gestore unico, la seconda è la tracciabilità dei servizi, la terza è il potenziamento delle attività di ispezione e di monitoraggio del Ministero dell'interno.
Venendo al nuovo modello d'accoglienza, se è così, è evidente che l'accoglienza non può avere tempi indefiniti, perché il punto cruciale non è l'accoglienza, ma sono i tempi dell'accoglienza. Il mio primo intendimento, che naturalmente sarà realizzato anche con proposte di carattere legislativo – comprenderete che su questi temi c'è bisogno di proposte di carattere legislativo – è abbattere i tempi per la risposta definitiva per i richiedenti asilo.
In questo momento nei tre gradi di giudizio sono mediamente due anni. Due Pag. 11anni sono un tempo troppo lungo per i diritti dei richiedenti asilo e troppo lungo per le comunità. Su questo bisogna intervenire dal punto di vista legislativo.
La mia idea è che, per esempio, si possa ridurre di un grado di giudizio e che si possa intervenire rafforzando, con assunzioni mirate di personale qualificato, le Commissioni per l'asilo, in maniera tale da avere massima velocità. Occorre dare il senso che il nostro è un Paese che accoglie e che è in grado di valutare rapidamente chi ha diritto e chi non ha diritto e, tuttavia, di fornire una risposta. La cosa più sbagliata da fare è dare il senso di una questione che non finisce mai per lungaggini di carattere burocratico.
Il terzo aspetto sta nel cercare di evitare il vuoto dell'attesa. Cosa vuol dire, il vuoto dell'attesa? Ci sono richiedenti asilo che in alcuni casi aspettano due anni. Tutto questo produce un vuoto dell'attesa. Penso che su questo si possa lavorare, naturalmente d'intesa con i comuni, perché il vuoto dell'attesa è un problema per i richiedenti asilo ed è un problema per le comunità.
Qual è il punto? Si tratta della possibilità di utilizzare i richiedenti asilo per lavori di pubblica utilità finanziati con fondi europei. Lo dico con grande chiarezza: l'impegno, che ci metteremo tutto, ma soprattutto che sarà tecnicamente definito – non fatemi entrare nel dettaglio, perché altrimenti la faccio molto lunga e sono già andato oltre i tempi che mi ero impegnato a rispettare – sarà quello di non creare alcuna duplicazione o alcuna concorrenza nei mercati del lavoro. Sono due cose totalmente differenti. Quello non è un lavoro e, infatti, non sarà retribuito.
La quarta questione riguarda i minori non accompagnati. Abbiamo un drammatico aumento. Nel 2016 sono stati più del doppio. Apprezzo molto il fatto che al Senato ci sia stata una convergenza, non so quanto ampia. Nelle prossime settimane la proposta di legge approvata alla Camera sarà valutata dal Senato. Se posso dire qual è l'elemento, il ministro dell'interno auspica l'approvazione del provvedimento sui minori non accompagnati.
Posso dirvi, con grande sincerità, che su questo penso si giochi la civiltà di un Paese. Sui minori non accompagnati si gioca la civiltà di un Paese. Non spetta a me, ma colgo l'occasione di questa possibilità che mi offrite per fare un forte appello, perché l'accordo fatto al Senato sia immediatamente, in tempi il più possibile ragionevoli, reso operativo.
Infine, c'è il tema dei rimpatri. È del tutto evidente che non c'è accoglienza come quella di cui sto parlando se non ci sono i rimpatri, per ovvie ragioni. È del tutto chiaro che dobbiamo avere una linea su questo, a mio avviso, molto determinata. Dobbiamo accogliere e integrare chi ha diritto e dobbiamo rimpatriare chi non ha diritto e vìola le regole. Punto.
Non è Minniti, ma è la legislazione italiana che dice questo. Il ministro dell'interno, fino a prova contraria, applica la legge. Se qualcuno mi desse un mandato speciale per andare oltre la legge, non lo accetterei, perché conosco le regole della Repubblica italiana e so che non si può accettare. Vi ringrazierei per la cordialità e la dimostrazione di affidamento nei miei confronti, ma non potrei accettare.
Rimpatriare significa riportare indietro nei Paesi di provenienza. Posso dire che non mi accontento della semplice esplicitazione di un foglio di via. So perfettamente che il rimpatrio nel Paese di provenienza è un po’ più impegnativo e complesso, ma è quello che bisogna fare in condizioni di civiltà e di rispetto delle condizioni umane. Chi non ha diritto deve essere riportato nel Paese di provenienza.
In questo quadro ho girato e sto girando per attivare tutti gli accordi di riammissione che il nostro Paese ha. Non fasciamoci la testa più di tanto. Noi abbiamo accordi di riammissione che sono stati fatti negli anni, perché, per fortuna, la politica dell'immigrazione nel nostro Paese non è nata due mesi fa. Di questo dovete essere tutti orgogliosi, perché l'hanno fatto i vari Governi della Repubblica che si riferiscono a vari schieramenti politici.
È più complicato tutto questo. Per esempio, è chiaro che c'è un problema di abbattimento dei tempi per quanto riguarda Pag. 12le identità. Io sono andato in Tunisia per chiedere un abbattimento dei tempi. La Tunisia mi risponde, ma voi comprenderete che è una cosa se mi risponde in un mese ed è un'altra se mi risponde in tre mesi. Se mi risponde in un mese, non da me, perché non c'ero, ma da quelli che c'erano, Amri sarebbe stato rimandato in Tunisia. Non avendo avuto la risposta in un mese, Amri è stato dotato del cosiddetto foglio di via.
In quest'ambito, per colmare il vuoto temporale che c'è tra l'acclaramento di una violazione delle regole e il trasferimento e il rimpatrio nel Paese di provenienza – a volte c'è un lasso temporale – ho proposto che si riaprano dei centri dove poter tenere le persone in attesa di essere rimpatriate. Mi riferisco a persone che costituiscono una violazione delle regole e che sono potenzialmente «a rischio» per quanto riguarda la sicurezza del nostro Paese. Io sono ministro dell'interno e mi devo occupare di queste cose.
Penso a centri che consentano di avere 1.600 posti su tutto il territorio nazionale, uno per regione. Mi si può ragionevolmente dire che un Paese di 60 milioni di abitanti non è in condizione di avere dei centri per raccogliere 1.600 persone? Io ascolto tutto, tuttavia su questo mi permetto di essere particolarmente puntuale nella richiesta: 1.600 posti, uno per ogni regione, di piccole dimensioni, preferibilmente fuori dei centri urbani e vicini a infrastrutture di trasporto, con trasparenza nella governance. Penso, infatti, che si debbano stabilire poteri di accesso illimitati al garante dei diritti delle persone private della libertà personale. Parlo di poteri di accesso illimitati. È chiaro? Illimitati. Punto.
Sono i CIE? Io li ho chiamati CIE per una semplice ragione. Poiché avevo l'esigenza di prendere misure immediate, i centri per la legislazione italiana si chiamano Centri per l'identificazione e l'espulsione. So che il Parlamento, tra l'altro, qualche anno fa, anche su mio impulso, nel 2007, ha affrontato inchieste sul funzionamento e il ruolo dei CIE. Non posso non prenderne atto. Ne avevo già preso atto. Tuttavia, non potevo nemmeno prendere atto che, pur avendo questa inchiesta, il Parlamento italiano non ha mai cancellato i CIE.
Detto questo, poiché nomina sunt consequentia rerum, proporrò che i CIE siano cancellati e che si facciano i centri permanenti per il rimpatrio. È chiaro? Ci aiuteremo a vicenda. Il ministro dell'interno aiuta il Parlamento e il Parlamento, se lo vorrà, aiuterà il ministro dell'interno, perché è chiaro che quello che ho proposto non c'entra nulla con i vecchi CIE. Proprio perché non c'entra nulla, i nomi devono essere conseguenza delle cose. Quindi, non posso chiamare con un altro nome. Qui ci sono augusti latinisti. Io sono un principiante da questo punto di vista. Loro sanno perfettamente ciò che vuol dire.
Posso aggiungere una cosa? Questo è un punto cruciale. Il tema dei rimpatri e dei rimpatri forzati è un tema cruciale, perché, se funzionano i rimpatri forzati, comincerà a funzionare un'altra cosa che ritengo molto importante, ma che fino a ora non ha funzionato: i rimpatri volontari assistiti. Il punto qual è? Se c'è uno Stato che è in grado di stabilire che, se uno non rispetta le regole, lo rimpatria anche forzatamente, il rimpatrio volontario assistito diventa un elemento competitivo con il rimpatrio forzato. Se non c'è il rimpatrio forzato, non c'è nemmeno il rimpatrio volontario assistito, perché, se lo Stato non è in grado di fare rimpatri forzati, non si capisce perché si dovrebbero fare rimpatri volontari assistiti. Quelli che possono rimangono qui.
Su questo ho dato anche indicazione di raddoppiare i fondi per quanto riguarda i rimpatri volontari assistiti. Naturalmente, sono fondi che derivano dall'Unione europea. Ho dato indicazione di raddoppiarli perché penso che, se parte una politica dei rimpatri forzati, produrrà anche un effetto di ripartenza dei volontari assistiti.
Ho concluso. Spero di essere stato chiaro. Mi auguro sinceramente di essere stato chiaro su quello che è il mio concetto di fondo. Il mio concetto di fondo è questo: severità con chi non rispetta le regole, integrazione con chi le rispetta e per chi le rispetta, integrazione vera, sapendo che, come ho detto prima, è sbagliata l'equazione immigrazione uguale terrorismo. Pag. 13
Tuttavia, se qualcuno mi chiedesse, da ministro dell'interno, se c'è un rapporto tra integrazione e terrorismo, tra mancata integrazione e terrorismo, dovrei dirgli di sì. La storia degli attentati in Europa è icasticamente data. Da Charlie Hebdo in poi sono storie di integrazione che non hanno funzionato. Pertanto, l'integrazione è un punto cruciale anche per quanto riguarda le politiche di sicurezza del nostro Paese.
Nei giorni scorsi ho firmato, come ministro dell'interno, un patto con l'Islam italiano. Lo considero un punto cruciale per quelle che intendo essere le politiche di integrazione. È un patto nel quale ci sono scritte cose che – lo so poiché leggo tutti i documenti di tutte le formazioni politiche – tutte le formazioni politiche hanno negli anni richiesto.
Il primo punto è «no» agli imam fai da te, una cosa molto preoccupante e pericolosa. Occorre avere l'identificazione, cioè conoscere chi sono gli imam che predicano, e non farlo nascostamente. Deve essere pubblicamente noto. È previsto che ci siano i nomi e gli indirizzi e che ci sia un'identificazione completa. Tutto questo allude a un albo degli imam.
Come secondo punto, i luoghi di culto sono luoghi pubblici e, quindi, aperti anche ai non musulmani.
Il terzo punto è avere sermoni in lingua italiana, non il rito, perché il rito stretto non può essere tradotto in italiano. I sermoni, cioè la parte del rapporto con il credente, devono essere in italiano.
Il quarto punto riguarda pubblicità per i fondi interni e internazionali che giungono alle moschee. Poiché conosco i vostri documenti, so che nei vostri documenti mediamente questo veniva richiesto.
La cosa più importante non è soltanto quello che hanno scritto. Il problema è che tutto questo non è un'imposizione dello Stato. Sono molto prudente nel pensare che lo Stato debba intervenire in questioni di fede. È il frutto di un riconoscimento pattizio. Sono le associazioni che dicono noi ci sentiamo appunto italiani. La cosa più bella del documento, che vorrei vedeste, è che i primi cinque paragrafi sono cinque richiami alla Costituzione italiana. Tutte le associazioni, che rappresentano oltre il 70 per cento dell'Islam italiano, ci hanno tenuto a dire una cosa semplicissima: «Noi siamo di fede musulmana, ma siamo innanzitutto italiani». Questa è l'integrazione. Icasticamente è quello che penso debba essere l'integrazione.
Quel patto, a mio avviso, è un fatto – anche qui lo dico senza aggettivi – che, se posso permettermi, costituisce un investimento importante nel presente e nel futuro del nostro Paese. Se qualcuno avesse qualche dubbio su questo, basterebbe che alzasse lo sguardo e guardasse in giro per l'Europa. Basterebbe soltanto che guardasse le immagini in televisione di questi giorni.
L'ho fatta lunga e me ne scuso, chiedo venia. Ho presentato una proposta. Mi auguro che venga considerata quantomeno con la dignità di una proposta organica. Poi, naturalmente, nel merito si può discutere, ma vorrei che venisse considerata con la dignità di una proposta organica. Sono aperto all'ascolto, sono aperto veramente alla condivisione.
Quando dico questo, naturalmente, mi riferisco alla mia maggioranza, ma mi riferisco con altrettanta passione e vigore all'opposizione. Su questi temi nessuno ha la verità in tasca. Più ci ascoltiamo reciprocamente, meglio è, sapendo naturalmente che ci ascoltiamo reciprocamente.
Tuttavia, dovrei essere sincero con voi. Non vi chiedo di condividere con me le responsabilità, che sono solo e soltanto mie. Vi chiedo di poter discutere serenamente e approfonditamente. Poi le responsabilità me le devo assumere io. Sono chiamato ad assumermi responsabilità ed è giusto che lo faccia io. Su questo, però, veramente vi chiedo una discussione aperta e vera, se possibile, con rispetto reciproco, per una ragione semplicissima.
Noi oggi abbiamo affrontato un tema. Ve lo dico veramente con profonda convinzione. Il tema che abbiamo oggi di fronte non è e non sarà mai soltanto un problema di ordine pubblico e di sicurezza. Naturalmente, è evidente che ci sono impatti sulla sicurezza e non è un caso che stia parlando a voi il ministro dell'interno, ma non è solo Pag. 14questo. È una questione cruciale che riguarda gli equilibri sostanziali della nostra democrazia.
Se è una questione che riguarda gli equilibri sostanziali della nostra democrazia, ha bisogno di una discussione aperta a tutti, in cui tutti partecipino. Auspico che tutti sappiano che questo è il livello delle questioni che abbiamo di fronte: non è una questione ordinaria, ma una questione che impatta direttamente sui princìpi di civiltà e sul futuro del nostro Paese.
PRESIDENTE Grazie, ministro. Raccoglierei le richieste di domande, avvisando soprattutto i colleghi senatori, essendo meno abituati. Chiederei, quindi, di limitare gli interventi a domande e non a riflessioni di carattere politico, per le quali non è questa la sede. Facciamo solo domande e non arringhe, come ogni tanto succede.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
CELESTE COSTANTINO. Accolgo l'invito, anche se ammetto che avrei voluto argomentare molti dei passaggi della relazione che ci ha fornito oggi il Ministro Minniti.
Parto dal nodo che mi sta più a cuore: il nuovo modello di accoglienza. Lei ha parlato dei nuovi propositi per il futuro per quanto riguarda la dimensione del controllo del funzionamento dei centri, di tracciabilità e di monitoraggio da parte del ministero. Le vorrei chiedere, però, a che punto siamo su questi due strumenti. Se oggi dovessi fare una fotografia dello stato dell'arte, la situazione risulterebbe assolutamente fuori controllo e spero fuori dal monitoraggio del ministero.
Senza dilungarmi troppo, vorrei fare degli esempi concreti, così ci intendiamo su ciò di cui stiamo parlando. Di recente ho fatto delle visite ispettive a Reggio Calabria, città che abbiamo in comune, visto che siamo nati e cresciuti in quella città. La situazione che ho trovato non è assolutamente di numeri contenuti, visto che gli sbarchi che stanno arrivando sono continui. Stiamo parlando di centinaia e centinaia di ragazzi.
I centri che sono stati adibiti sono fuori da ogni tipo di regola. Parlo di Gambarie, Villa San Giovanni, Melito Porto Salvo e dello «Scatolone» dentro la città di Reggio Calabria. Qui siamo in presenza di almeno 120 migranti rinchiusi all'interno delle strutture. Dico rinchiusi. Quindi, non c'è bisogno di cambiare denominazione ai luoghi. Definirli CIE o centri, nel momento in cui le condizioni sono quelle, non cambia nulla. Parlo di quello che ho visto.
Quello che ho visto è che non ci sono cooperative di gestione, ma i centri sono in mano ai proprietari delle strutture, che sono strutture alberghiere. Sono lontani dai centri urbani, come lei auspicava prima, ma questo si può fare quando parliamo di piccoli tempi di permanenza. In quel caso si parla di ragazzi che soggiornano in una località come Gambarie, cioè intorno al deserto, sostanzialmente, per almeno sei mesi. Stiamo già parlando di sei mesi di permanenza all'interno di questi centri, ripeto, senza alcun tipo di gestione da parte delle cooperative, perché non sono stati fatti degli appalti.
Nel caso di Villa San Giovanni – lo dico perché lei prima ha fatto dei riferimenti anche ai minori stranieri non accompagnati – siamo in presenza di promiscuità assoluta, perché stanno insieme all'interno degli stessi spazi sia adulti, sia minori, sia uomini, sia donne, tant'è vero che a Villa San Giovanni si è anche verificato il caso di una ragazzina di 15 anni, una ragazzina straniera nigeriana, che è rimasta incinta, probabilmente vittima di violenza, aggiungo io.
Questa è la fotografia. Scatolone, situazione emergenziale, ma dentro l'ordinarietà, perché stiamo parlando anche lì di mesi in cui 200 ragazzi sono rimasti dentro un palazzetto dello sport dentro la città di Reggio Calabria.
MARCO MINNITI, Ministro dell'interno. Mi scusi, onorevole, se la interrompo, ma lo Scatolone è stato chiuso proprio avantieri. Era soltanto per darle una notizia.
CELESTE COSTANTINO. Io proprio avantieri sono andata via dal Red.
Pag. 15MARCO MINNITI, Ministro dell'interno. È stata l'ultima visitatrice.
CELESTE COSTANTINO. Sono felice. Questa è sicuramente una buona notizia.
Vorrei capire, in attesa di quelle linee che lei ha citato, quali sono i provvedimenti che si vogliono prendere. In un territorio come quello, ma non è solo il caso della Calabria, mi sembra chiaro che non possa funzionare così.
L'altro passaggio che le volevo chiedere è relativo, invece, alla soppressione del secondo grado sull’iter della richiesta d'asilo, che considero una cosa molto grave. Magari, potrebbe spiegarcela meglio. Vorrei capire come si conciliano i diritti e le garanzie degli stranieri rispetto a questa eventuale proposta di legge che si vuole avanzare e che poi vaglieremo in Parlamento.
Faccio un passaggio relativo alla sua relazione, quando parlava di atti sovranazionali. L'ho appuntato proprio sotto sua dettatura. Lei ha parlato di «difendere i confini esterni dell'Europa». Vorrei un approfondimento su questo. Vorrei capire che cosa intende con quest'espressione.
In ultimo, le volevo chiedere rispetto al CARA di Mineo. Come lei ha detto, esiste una Commissione parlamentare d'inchiesta sui CIE e sui CARA. Da quella Commissione sono emerse delle cose molto importanti relative ad alcuni centri di questo Paese.
Poiché si sta parlando addirittura, in alcuni casi, di riaprire i CIE – mi sembra che su questo sia stato molto chiaro – uno in ogni regione, immagino che anche il «meraviglioso» CIE di Isola Capo Rizzuto verrà riaperto. Nel caso specifico del CARA di Mineo, vorrei capire che tipo di provvedimenti si vogliono prendere, visto e considerato che è uno di quei centri di cui è stato già scoperto abbondantemente il tipo di utilizzo che è stato fatto.
Come ultimissima considerazione, il 26 gennaio 2017 le questure di Roma, Torino, Brindisi e Caltanissetta hanno ricevuto una circolare diramata dal direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere, Giovanni Pinto, con oggetto: «Audizione e charter in Nigeria».
Questa circolare ha allarmato molto, perché sembrerebbe quasi che ci fosse una sorta di caccia ai nigeriani da far rientrare in Nigeria. Per brevità non sto a leggerla tutta, però vorrei qualche chiarimento da lei rispetto a questa circolare.
VITO CLAUDIO CRIMI. Innanzitutto ringrazio il Ministro dell'interno o con «delega agli affari esteri», vista la lunga disquisizione sulla politica estera che lo vede coinvolto in prima persona. E proprio riguardo a questo aspetto, volevo chiedere, in merito all'accordo raggiunto con il Governo libico tripolitano, quali siano gli elementi di questo accordo.
In tutti gli accordi che abbiamo esaminato – anche quelli fatti a suo tempo con la Turchia – si prevede sempre un blocco dei flussi, ma non è mai chiaro cosa succede ai flussi che vengono bloccati. Forse di questo bisognerebbe interessarsi, perché è comodo nascondere il problema sotto il tappeto di un altro Stato e lasciare che la vicenda venga gestita come in quello Stato viene gestita.
Come si fa a considerare un passo qualcosa che prevede un accordo con una parte molto limitata della costa libica? La costa libica è infatti abbastanza ampia e la parte che fa riferimento al Governo con cui il nostro Governo ha interloquito è limitata rispetto alla grandezza di tutta la Libia, che ha anche altri soggetti che ne controllano il territorio.
Questo per quanto riguarda la seconda parte. Per quanto riguarda, invece, la parte relativa alla sicurezza interna e alle forze di polizia, le chiedo se intenda proseguire nell'opera di razionalizzazione – in realtà di tagli – delle diramazioni territoriali e come questa possa conciliarsi – mi riferisco alla Polizia postale, alla Polizia stradale e ad altre diramazioni territoriali che vengono via via «razionalizzate», – eufemismo che viene utilizzato – con quel radicamento sul territorio, con quella presenza sul territorio, con tutte quelle attività di cui lei ha parlato che prevedono un patto con i territori e con gli enti locali. Mi sembra che ci siano delle contraddizioni.
Spero che questo Governo possa invertire la tendenza e consideri la presenza sui Pag. 16territori una priorità in funzione delle priorità che si è dato prima.
Un'ultima cosa e chiudo. Mi chiedo se in tutto il bel discorso in merito alla revisione delle modalità di accoglienza siano almeno previsti i soldi per farlo, perché non credo che possa farsi con la famosa formula di invarianza finanziaria. Lei ha elencato una serie di attività e credo che abbiano bisogno di non pochi quattrini, quindi spero che il Presidente del Consiglio e il Ministro dell'economia e delle finanze siano consapevoli di ciò che questo grande progetto comporta.
ROBERTO CALDEROLI. Grazie, presidente, e grazie ministro. Sinceramente devo apprezzare un salto qualitativo rispetto a chi l'ha preceduta, che non posso che segnalare. Non abbiamo sentito la solita «relazioncina» scritta da un funzionario; lei ha parlato a braccio e conoscendo la materia, e non posso che apprezzarlo. Ho apprezzato in particolare il riferimento a un senso di federalismo della sicurezza, espressione che sento per la prima volta; mi auguro che questo non determini però delle compressioni delle potestà decisionali degli enti locali, e che, anche se dovesse accadere qualcosa, sia sempre condiviso.
Parto da un termine che lei ha usato nella parte dell'accoglienza: i tempi dell'accoglienza e il vuoto dell'attesa. Il vuoto dell'attesa: in questo caso dico in tono critico che tante delle cose che lei ha enunciato sono state già annunciate precedentemente e da me personalmente apprezzate, però le ho sentite durante il periodo di Natale, quando invece siamo a febbraio e vorrei una speditezza rispetto all'assunzione di determinate decisioni equiparabile a quella che invece si è utilizzata rispetto ad altri temi. Se si deve fare, si faccia, e non stiamo solo qui a discuterne.
Tempi dell'accoglienza che io coniugherei anche rispetto ai numeri che lei non ha citato dell'accoglienza, perché i tempi dell'accoglienza e i tempi di risposta sono legati a dei numeri sostenibili, perché diversamente qualunque tipo di efficienza non si tradurrebbe in risposte.
Torno alla parte iniziale della relazione in cui lei ha parlato del problema della sicurezza. Schengen io la vedo in maniera magari differente, sono d'accordo con lei invece sul rafforzamento dei confini esterni e sul ruolo che possiamo avere a livello nazionale e a livello europeo, e su entrambi i fronti io francamente mi sento nel ruolo non di Paese apripista, ma di Paese scolapasta. Se nell'anno passato abbiamo accolto più di 180.000 persone e – volenti o nolenti noi – nei primi 40 giorni ne sono già arrivati 10.000 nel periodo del brutto tempo, temo che dal punto di vista del controllo facciamo acqua da tutte le parti.
Lei sostiene che non si possa fare e sia addirittura fuorviante l'equivalenza fra immigrazione e terrorismo; può essere vero, però è anche vero che non tutti gli islamici sono terroristi, ma tutti i terroristi – tranne sporadici casi – sono islamici, e i numeri a cui mi sono riferito hanno fatto dire anche al capo della polizia che, a fronte di numeri del genere, può esservi all'interno nascosto anche il passaggio di aspetti di terrorismo.
Rispetto ai dati del controllo europeo, non nostrano, delle varie forme migratorie lei ci ha parlato delle rotte balcaniche occidentali e orientali con cali delle percentuali estremamente interessanti, che denotano un interessamento dell'Unione europea rispetto a questo, Unione europea che ha investito 3,3 miliardi più 3 per fermare la rotta balcanica che arrivava al centro dell'Europa oppure nel nord Europa.
Il medesimo intervento io non l'ho visto fare rispetto alla rotta mediterranea e, piaccia o non piaccia, tutti gli accordi siglati recentemente e in passato si sono tradotti in risorse che si sono date a quei Paesi che hanno accettato di fare più a sud di noi una barriera rispetto al nostro Paese.
Mi sembra incredibile che per affrontare il problema della rotta balcanica si destinino 6,3 miliardi e per la rotta mediterranea ci diano 65 milioni all'anno o poco di più! Io credo che se l'Europa vuole essere un'identità, bene, se non è in grado di voler difendere il confine a livello del nord dell'Africa, è evidente che il confine l'hanno costruito a nord dell'Italia e che noi stiamo diventando un CIE e siamo destinati a questo. Pag. 17
Credo che il ruolo nazionale non significhi chiedere all'Europa solo le navi per poterli prendere sotto le coste libiche e portarceli a casa, perché quando sono qui il problema dell'accoglienza diventa un fatto assolutamente legittimo.
Io non so se lei li voglia chiamare CIE o CPR, perché di sigle di questo tipo ne ho sentite troppe. Rispetto ai CIE esiste anche una Commissione parlamentare d'inchiesta, che mi sembra non abbia fatto evidenziare niente. La prego di riflettere rispetto ai numeri perché, a fronte delle centinaia di migliaia, con i 1.600 dei CIE o dei CPR che lei vorrà destinare, se uno farà i conti rispetto a quello che arriva e a quello che si riesce a rimpatriare più o meno volontariamente, credo che siamo di fronte non ai secoli, ma ai millenni.
LAURA RAVETTO. Grazie, presidente, e grazie ministro. Anch'io apprezzo particolarmente, come credo apprezzi tutto il mio Gruppo, l'accelerazione che lei ha dato a certe tematiche su cui non solo condividiamo la sua posizione, ma anche in passato abbiamo agito in tal senso, seppur con delle differenziazioni.
Apprezzo la questione del nuovo contratto tipo che lei sta pensando nel modello di accoglienza, e ho letto in proposito oggi un articolo molto interessante del Corriere della sera. Lei sta portando avanti un principio fondamentale, cioè l'unicità della gestione, che è un problema per la concorrenza e probabilmente anche per i tentativi corruttivi. Ho apprezzato la parte sull'accelerazione dei ricorsi, così come ho apprezzato la parte sui rimpatri.
Ho due osservazioni però su questi due temi, e tralascio la parte Schengen perché avrò l'onore di averla la prossima settimana nella Commissione bicamerale da me presieduta.
Da quanto emerge dai lavori del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia d'immigrazione risulta che oltre il 70 per cento dei dinieghi che vengono emanati dalle Commissioni territoriali venga di fatto ribaltato e quindi trasformato in titoli autorizzativi dalle sentenze dei tribunali.
Considerato che le Commissioni territoriali non sono un covo di xenofobi, ma sono degli organismi collegiali dove sono presenti tutti gli interlocutori, ci siamo chiesti anche all'interno del nostro Gruppo come questo fosse possibile ed è venuto fuori che almeno una parte del problema – io lo chiamo problema, ma apro alla discussione – è che in Italia c'è questa unicità di istituto, la protezione umanitaria, che è portata da una legge antica, di cui con il collega Fontana abbiamo infatti chiesto una rivisitazione. In forza di questa protezione umanitaria spesso i dinieghi delle Commissioni vengono trasformati in titoli.
Considerato che a livello europeo – direi internazionale, perché sono regole internazionali – si conosce il diritto di asilo e si conosce la protezione sussidiaria, ma questo istituto non è praticato come nel nostro Paese, a nostro avviso si rischia così di avere un trattamento differenziato, mentre il principio dovrebbe essere che ha titolo a rimanere in Italia chi ha titolo a rimanere in Europa, non che ci siano delle differenze. Su questo le chiedo quindi un'osservazione.
Il secondo tema è quello dei rimpatri. Si figuri se io non sono d'accordo sulla questione dei rimpatri e sull'apertura – chiamiamoli come vogliamo – di situazioni, perché nessuno vuol pensare a situazioni di carcerazione, però neanche che le persone vaghino sul territorio senza una possibilità di individuazione, però è un tema, che sono certa condivideranno anche i colleghi di sinistra.
È di tutta evidenza che, come ha detto lei stesso, se non ci sono gli accordi di rimpatrio, si rischia di cristallizzare delle situazioni e quindi dei luoghi che dovrebbero essere di transito per poco tempo, in cui i soggetti stanno per essere rimpatriati, rischiano di tornare quelle vecchie strutture che conosciamo, di cui ci sono le critiche e, come ha detto la collega, c'è anche una Commissione d'inchiesta.
Ma il tema qual è? Manca secondo me un punto, al di là degli accordi: la cosiddetta «lista dei Paesi sicuri». Trovo timidezza Pag. 18 da parte di tutti gli organismi, sia a livello nazionale che internazionale, nel cominciare a dire con franchezza quali sono i Paesi in cui si può rimpatriare. Desidero aprire la discussione, perché troppo spesso mi trovo a citare la Nigeria, ma non è che tutta la Nigeria è totalmente insicura, abbiamo delle aree pazzesche, però ci sono aree più sicure, e invece trovo sempre un interlocutore che mi dice la carestia, la fame, la situazione.
Si può avviare un dibattito serio sia da noi che a livello comunitario – le compete relativamente, però lei forse può aiutare – iniziando a dirci con franchezza quali sono questi Paesi sicuri e quali quelli non sicuri? Altrimenti non riusciamo ad avanzare su questo tema.
DORIS LO MORO. Grazie, ministro. Devo dire che siamo finalmente davanti a una visione complessiva del problema. Abbiamo avuto più volte occasione di interloquire con vari soggetti del Ministero degli interni, ma questa volta la visione d'insieme colpisce e segna sicuramente un cambiamento di strategia.
Da questo punto di vista voglio quindi esprimere un apprezzamento sincero, che non è dovuto soltanto al fatto che Marco Minniti sia un senatore calabrese come me e al fatto che sicuramente ho per lui una stima personale, però è un piacere constatare questo.
È evidente che i princìpi che sono alla base di questa visione, al di là delle singole cose che possono anche essere oggetto di discussione, sono assolutamente condivisibili. Io apprezzo particolarmente che si debba coniugare il diritto di chi fugge anche rispetto al sentimento del popolo italiano, che va correttamente interpretato.
Alla luce di questo, dopo aver espresso tutto l'apprezzamento, quindi non per cogliere un difetto ma per rilanciare, volevo dire che spesso, anche rispetto alla possibilità di lavoro che si vuole offrire a questi soggetti, si deve subito catalogarlo e qualificarlo come lavoro di pubblica utilità, altrimenti si incorre nell'obiezione che non c'è lavoro per gli italiani, però il sentimento degli italiani anche nelle regioni meno forti è un sentimento di accoglienza.
Alla luce di questo io credo, ministro, che via via che il progetto di immigrazione qualificato come questione cruciale nella storia del mondo andrà avanti, ma anche a breve, come Italia bisognerà avere il coraggio di affrontare un problema che non è solo quello di fronteggiare l'immigrazione clandestina, ma anche quello di rivedere la possibilità che in Italia si possa venire regolarmente, perché l'idea che in Italia possa venire soltanto il rifugiato, chi fugge dalla guerra, e che non possa essere anche una scelta venire nel nostro Paese non è un'idea civile. Questo arroccamento dell'Italia che deve sempre fronteggiare e guardarsi dall'esterno non è condivisibile.
Non abbiamo avuto la serenità e la possibilità di parlare di questo, ma io credo che una visione di questo genere manchi, sicuramente c'è nella sua mente, ma va codificato l'elemento che manca, cioè arrivare in una situazione di normalità, che è lontana dal venire, ma cominciare a capire come fare perché nel nostro Paese si possa venire anche per scelta.
Credo che abbia ragione la collega Costantino, con cui parliamo continuamente di queste cose, a richiamare l'attenzione sulla situazione attuale, ma credo che la consapevolezza della gravità della situazione attuale sia nelle sue proposte, perché quando si propone un contratto tipo è evidente che si ha chiaro quanto è successo in Italia, quando si propone controlli non solo del Ministero dell'interno, dei sindaci, dei presidenti delle regioni, ma anche del garante vuol dire che si ha chiaro quali sono le situazioni.
Da questo punto di vista quindi io penso di poter dire che sono assolutamente soddisfatta della relazione e che nella fase in cui sarà codificata in norma di legge saremo assai disponibili alla collaborazione.
Dico soltanto alla collega Costantino che, per quanto riguarda l'eventualità di un ricorso giudiziario in un unico grado, io credo che sia una risposta doverosa, perché la Costituzione italiana prevede il ricorso giudiziario, non prevede il doppio grado, poi rimane sempre il ricorso in Cassazione, ma non ci sono numeri, uomini e donne che possano dare una risposta in tempi Pag. 19brevi ad una domanda numericamente così importante.
PRESIDENTE. Adesso è iscritto a parlare l'onorevole Menorello, con il quale sono finiti gli interventi di gruppi diversi. Dopo questo intervento ci sono altri dodici parlamentari iscritti a parlare, per cui penso che la replica del ministro, data l'ora e dato il tenore degli interventi, andrà rinviata a un ulteriore incontro.
Onorevole Menorello, prego.
DOMENICO MENORELLO. Grazie, presidente, cercherò di essere brevissimo, innanzitutto complimentandomi per la chiarezza di giudizio e di obiettivi esposti dal ministro.
Io ho due questioni brevissime da porre, una puntuale e una più generale. Sul tema delle gestioni dei centri dobbiamo evitare di «buttare via il bambino con l'acqua sporca», come spesso capita in queste situazioni, e quindi anche in questo caso credo che la doppia velocità che lei ha invocato, cioè severità e capacità di attenzione, vadano coniugate.
Mi spiego meglio: abbiamo avuto casi davvero disdicevoli sotto il profilo della gestione – parlo anche per il Triveneto, terra dalla quale provengo, quindi da un lato dobbiamo essere molto severi anche circa l'applicazione dei requisiti morali nella scelta del gestore. Dall'altro lato, però, nella prospettiva di integrazione con il territorio che lei ha descritto, dobbiamo valorizzare la capacità di creare integrazione con il territorio, quindi le chiederei di trasmetterci l'accordo con ANAC. Auspico che adesso o in futuro possano essere usati anche strumenti che poco si usano, ma che il Codice degli appalti mette a disposizione, quali ad esempio l'articolo 112 o l'articolo 100, a proposito della possibilità di valorizzare soggetti sociali nella gestione di questi centri.
La questione più generale, che lei troverà meglio descritta in alcune mozioni recentemente approvate dalla Camera, ha a che fare con le politiche del lavoro, con l'integrazione delle quali magari chiederei se potesse considerare una maggior sottolineatura nelle linee programmatiche che lei ci ha descritto.
Lei giustamente ha posto mano al vuoto dell'attesa, ma c'è anche il baratro dell'uscita, cioè i gestori più illuminati raccontano di come, una volta ottenuti i permessi per rimanere in Italia, in realtà inizino i veri problemi per molte di queste persone, che spesso si trasformano in barboni o in mendicanti. Sotto questo profilo immagino che bisognerà pensare a delle politiche di maggiore integrazione con gli enti che sviluppano le politiche attive del lavoro e forse immaginare delle gestioni dei centri che non finiscano le propria attività non appena arriva un permesso positivo per rimanere in Italia.
Sotto questo profilo evidentemente il lavoro da fare è quasi all'inizio ma, se è vero che, come dicono i dati Istat, in una regione come il Friuli ormai la popolazione attiva è metà di quella non attiva, questa difficoltà c'è e la dobbiamo anche a strumenti che non intercettano a sufficienza la possibilità di trovare impiego anche e soprattutto per queste persone.
FEDERICA DIENI. Grazie, ministro. Volevo semplicemente farle una domanda. Lei accennava al fatto che i migranti in attesa dello status di rifugiato potrebbero lavorare per comuni, enti locali o anche associazioni a titolo gratuito. Non le sembra che da un lato questo indebolirebbe il mercato del lavoro, perché si parla di manodopera a costo zero, mentre dall'altro cancellerebbe alcune opportunità di lavoro, seppur piccole, brevi e precarie, per i cittadini italiani? Non ritiene che si tratti di sfruttamento di persone che, non si sa bene a che titolo, sono temporaneamente in Italia, perché potrebbero essere legittimamente dei rifugiati e quindi avere diritto all'accoglienza o altrimenti essere espatriati, nel caso in cui questo diritto non ci fosse?
D'altra parte, questo non può forse esasperare la tensione sociale già esistente in Italia, perché molti cittadini italiani disoccupati potrebbero considerare iniqua e ingiusta tale misura? Non sarebbe meglio invece velocizzare i tempi per l'ottenimento dello status di rifugiati? Pag. 20
Ci devono soprattutto essere dei fondi perché, se si parla di assumere nuovo personale, ci devono essere fondi messi a disposizione e il tutto non deve realizzarsi assumendo personale precario, con bandi utilizzati per sopperire a questa impossibilità di assunzione nella pubblica amministrazione creando altro precariato.
LOREDANA DE PETRIS. Grazie, ministro. Prima questione. Lei ha parlato di un progetto di sicurezza urbana. Poiché anche il suo predecessore ci prometteva sempre un decreto sulla sicurezza urbana, a cui era legato tra l'altro il lavoro della Commissione di cui faccio parte su un disegno di legge che riguardava l'identificativo per le forze dell'ordine, vorremmo da lei qualcosa di più preciso, perché abbiamo atteso tre anni senza capire cosa fosse il progetto di sicurezza urbana, che a volte sembrava addirittura per esempio una chiusura – attraverso la parola «razionalizzazione» – dei commissariati nelle periferie, poi è scomparso. Quindi, vorremmo avere qualche elemento in più di concretezza.
Questione immigrazione. Nel suo intervento lei si è soffermato sulle vicende europee. Dopo che per tre anni non abbiamo fatto altro che discutere di questo, però, è scomparso il tema che riguarda la vicenda del Regolamento di Dublino, perché nelle varie versioni le cose non sono mai andate come l'Italia chiedeva. Vorrei avere un chiarimento da lei, non perché debba occuparsi della cosa al posto del Ministro degli esteri, ma perché è una questione assolutamente fondamentale anche per capire come possiamo governare le cose.
L'accordo con la Libia non è una novità, come lei sa, la differenza è che il vecchio accordo con la Libia era fatto con Gheddafi, quindi con tutta la Libia, adesso è fatto con un Governo. Ovviamente ci sono sempre stati problemi, che ricorderà anche lei, perché la sua parte politica come la nostra allora contestò fortemente il fatto che non vi fosse un vero controllo sul trattamento (ci sono cose pesantissime). Lei adesso ha parlato di fare in modo di garantire il rispetto dei diritti umani ma, siccome questo accordo è un po’ vago, vorrei capire quali sono gli strumenti per poter garantire il rispetto dei diritti umani.
C'è una questione su cui continuiamo a sorvolare sempre, ma che io pongo di nuovo a lei come ho fatto con il ministro che l'ha preceduta e con tutti coloro che se ne occupavano. Qual è il modo? Come si entra in Italia legalmente, come si entra in Europa legalmente? Continuiamo a porre le questioni dei rifugiati, e lei ha fatto bene a ricordare che questo è un fenomeno strutturale non solo per la storia dell'umanità, ma anche ancor di più per la nuova storia dell'umanità. Il punto (lo chiedo e comprende bene la domanda politica) è: come si entra oggi legalmente nel nostro Paese e nell'Unione europea? Quali sono i canali? Non sto parlando dei canali umanitari, sui quali potremmo fare un'altra discussione, ma legalmente? Oppure si deve entrare nel solito modo, con i barconi o magari con un permesso turistico e poi rimanendo?
È una domanda non da poco, se si vuole davvero governare la questione dell'immigrazione.
GREGORIO FONTANA. Grazie, ministro. La questione dei tempi di definizione delle domande di richiesta d'asilo è un problema fondamentale nella gestione dell'accoglienza sia per il legittimo diritto dei richiedenti asilo ad avere una risposta in tempi brevi, sia per l'impegno delle ingenti risorse che il nostro Paese spende nella gestione dell'accoglienza di coloro che sono in attesa.
Noi abbiamo parlato più volte della questione dei ricorsi giurisdizionali e attendiamo con una certa urgenza delle proposte concrete su questo, ma la questione che non entra nel coordinamento con quella dell'ordinamento giudiziario è la prima istanza, che è nel pieno controllo dell'amministrazione dell'interno, che è quella delle Commissioni. Queste Commissioni nel corso dello scorso anno hanno definito 91.000 pratiche, all'inizio di quest'anno pendenti ce ne sono 110.000.
È chiaro che anche qui ci sono tempi inaccettabili perché, se anche non sbarcasse più nessuno, ci vorrà più di un anno per definire le pratiche che sono attualmente pendenti. Mi auguro che il Governo Pag. 21prenda una forte iniziativa anche su questo punto, perché è anche di facile e piena gestione da parte del Ministro dell'interno la velocizzazione e la migliore organizzazione del sistema delle Commissioni, che – ricordo – ha anche un investimento assolutamente inadeguato, perché, come evidenziato in audizione dal Prefetto Trovato, il Ministero in un anno ha speso 300.000 euro per il funzionamento di queste Commissioni.
Investiamo di più, ministro, in queste Commissioni e facciamo in modo che siano rafforzate, perché i tempi di attesa persino sul primo gradino della definizione delle Commissioni sono tempi inaccettabili.
GIOVANNI ENDRIZZI. Anch'io apprezzo un avvicinamento come un effetto alone ad alcune richieste del Movimento 5 Stelle avanzate più di due anni fa. Bene l'accento sull'intervento diplomatico necessario, bene il fatto di spostare le azioni sul territorio africano da cui partono, però qualcosa di più concreto servirebbe.
La nostra proposta è quella di istituire dei centri per la richiesta d'asilo direttamente in loco, pagati dall'Unione europea. Noi non possiamo dimenticare che la rotta africana mediterranea è sensibilmente diversa da quella balcanica per provenienza, per difficoltà di individuazione della provenienza e per difficoltà nel rimpatrio, nel momento in cui i Paesi da cui provengono non li rivogliono indietro ed è spesso impossibile capire quale sia lo Stato che dovrebbe riaccogliere queste persone.
A questo punto noi ci troviamo compressi da una serie di vincoli, che vedono le carenze dell'Europa che non agisce come comunità scaricate sulle comunità locali italiane, intese sia come amministrazioni, sia come cittadini.
Da questo punto di vista mi associo alla richiesta della collega De Petris, per capire come mai dal dibattito sia scomparso l'obiettivo della revisione del Regolamento di Dublino, e, venendo ai problemi nazionali, cosa il Governo abbia in programma di fare per sostenere con politiche di reddito e abitative i cittadini italiani.
Anche questa è una proposta del Movimento 5 Stelle, ossia garantire il superamento di una sorta di guerra tra poveri e di tensioni sociali. Mi riferisco al supporto al reddito, perché, come è già stato detto, oggi gli italiani si troverebbero a competere anche per quegli spazi occupazionali marginali nei lavori socialmente utili o in forme di occupazione precaria con gli enti locali, in assenza di un supporto al reddito, come può essere il reddito di cittadinanza o forme similari.
I nostri comuni peraltro lamentano la difficoltà a gestire anche la mole amministrativa di lavoro connessa ai programmi e ai progetti di accoglienza, nel momento in cui hanno un blocco di assunzioni e limiti di spesa anche quando sono comuni virtuosi, con un livello di dipendenti per cittadino inferiori ai parametri fissati.
ANDREA GIORGIS. Una domanda puntuale.
Oggi lei, ministro, ci ha ricordato l'importanza del cosiddetto «patto con l'Islam». In alcune città come per esempio Torino vi sono iniziative assai significative che non hanno sempre la ribalta nazionale, ma che rappresentano momenti importanti. Faccio un esempio: la comunità islamica di via Saluzzo nel quartiere di San Salvario ha organizzato e promosso una serie di incontri con le altre comunità religiose e con la cittadinanza sul tema del contrasto alla radicalizzazione. Il fatto che di quel tema si siano fatte promotrici le stesse comunità islamiche è molto importante. Domani sera ci sarà la seconda puntata presso la Comunità Ebraica, che ospiterà l'iniziativa e si discuterà insieme di come affrontare questo difficile problema.
La domanda puntuale è questa: vi sono delle misure premiali per quelle comunità islamiche che si aprono alla cittadinanza e che danno seguito a quegli aspetti che lei ci ha ricordato, ossia, coinvolgere, utilizzare la lingua italiana ed essere promotrici di momenti di confronto e di integrazione? Questo aspetto a me sembrerebbe particolarmente importante.
MAURIZIO GASPARRI. Ritengo condivisibile l'abbreviazione dei percorsi giudiziari per le procedure di espulsione, vedremo Pag. 22 quando poi il Governo definirà, però ritengo che nell'equilibrio tra garanzie e sicurezza ci siano lo stesso le garanzie e si possa avere un miglioramento. Il nostro Gruppo ha presentato una serie di proposte qui alla Camera in particolare con gli onorevoli Fontana e Ravetto e sicuramente ci confronteremo su questo tema.
Vorremmo capire meglio la questione del lavoro, perché da un lato è vero che c'è una protesta nei confronti di coloro che, non avendo nulla da fare, ingenerano nella popolazione ulteriore risentimento, tuttavia c'è anche il problema dei lavoratori socialmente utili italiani, che attendono sistemazioni, coperture, finanziamenti. Non lo devo dire a lei che viene dalla Calabria. I socialmente utili – sociali sicuramente, utili ce l'auguriamo – non scarseggiano già nella popolazione autoctona.
Prima il senatore Calderoli evidenziava – senza polemica, Ministro Minniti, perché il rispetto è massimo – una discrasia tra gli annunci e i fatti che purtroppo si registra, perché in questi giorni sarà stata la sfortuna, ma il numero di sbarchi è addirittura incrementato, nonostante l'inverno.
Abbiamo svolto ieri un'audizione dei Ministri della difesa e degli esteri congiunta Camera e Senato (Commissioni esteri e Difesa) sulle missioni militari, e ho citato anche i suoi interventi perché prima qualcuno ha detto che lei fa il Ministro degli esteri, poi il Ministro degli esteri ha fatto il Ministro dell'interno, però non mi scandalizzo, il Governo è il Governo della Repubblica, quindi si tiene il fatto che ci sia un'interazione tra le missioni militari ed Eunafor Med, che è la missione nelle acque della Libia, ci sarà o non ci sarà la terza fase nelle acque libiche, la Guardia Costiera da addestrare e tutto il resto.
Anche qui noi nutriamo dei dubbi sulla prosecuzione nel sostegno che il nostro Gruppo dà alle missioni militari alla missione europea Sofia Eunavfor Med se la collaborazione con Al-Sarraj non avrà sviluppi. Ho letto che Al-Sarraj nei giorni scorsi ha detto che nelle acque libiche non deve entrare nessuno, ci pensano loro; hanno fermato qualche gommone, tuttavia ne passano ancora tanti, per cui, siccome abbiamo il coltello dalla parte del manico rispetto ai rapporti, agli aiuti e all'economia, parlatevi anche tra voi, anche se non mi scandalizza che ci siano competenze che si sovrappongono.
Infine, noi abbiamo molto a cuore un tema connesso a quello dell'immigrazione, la sicurezza nelle città. Lei ha annunciato che oggi questo tema immigrazione sta assumendo centralità, quindi vorremmo anche capire quali saranno gli interventi.
Noi abbiamo molte proposte, l'onorevole Fontana non ha avuto il tempo di parlare del taser e di altri strumenti che, anche alla luce delle recenti vicende e dei lutti che hanno colpito le forze di polizia, possano essere strumenti a basso costo in grado di determinare una maggiore deterrenza senza conseguenze letali per nessuno, ma nemmeno per i carabinieri e i poliziotti, per evitare il ripetersi di casi come quello recentemente avvenuto in Lombardia.
MARILENA FABBRI. Grazie, ministro. Cerco di andare per flash e ringrazio per la relazione. Sul tema dell'immigrazione chiedevo anch'io una particolare attenzione rispetto a questo accordo con la Libia in merito al rispetto dei diritti umani, perché sappiamo come sia andata la volta scorsa, quando l'Italia ha sicuramente avuto un miglioramento rispetto alla riduzione degli ingressi nel Paese, però queste persone non hanno fatto rientro nei propri Paesi di origine, non hanno avuto una prospettiva, quindi vorrei sapere se esistano già degli elementi su come l'Italia pensa di poter controllare questo aspetto.
Sul tema invece dei rimpatri volontari, della formazione e dell'accoglienza, vorrei sottolineare che iniziano ad esserci in Italia delle esperienze dove l'accoglienza tradizionale – vitto, alloggio e alfabetizzazione – viene accompagnata anche da una formazione professionale finalizzata al lavoro, che può essere trovato in Italia qualora questi ragazzi acquisiscano il diritto di asilo o nel Paese di origine, nel caso in cui debbano essere rimpatriati.
Credo che questo tipo di esperienza sia fortemente interessante, perché dà una prospettiva reale ai rimpatri volontari, che Pag. 23finora non hanno funzionato in quanto a mio avviso non è stato preso in considerazione il fatto che spesso su questi ragazzi che cercano fortuna in Europa c'è un investimento delle famiglie e addirittura dell'intera comunità del villaggio, quindi il rientro in patria o nel villaggio, avendo fallito, li trasforma in emarginati, con una conseguente denigrazione ed emarginazione.
Questi ragazzi quindi farebbero di tutto pur di non rientrare nel Paese di origine come falliti, quindi sarebbe fondamentale dare una prospettiva al rimpatrio volontario, che non si limiti ai soldi, ma garantisca una ricollocazione lavorativa nel Paese di origine. Questo è possibile tramite anche l'International Trade Center, con i progetti europei in tal senso. Lo vorrei segnalare, perché penso che sia un'occasione per dare veramente forza ai rimpatri volontari, oltre agli aspetti dei rimpatri obbligatori che lei sottolineava.
Credo che sia importante anche questo tema dei lavori di pubblica utilità legati ai comuni, che, se collegati all'acquisizione di una professionalità da spendere nel Paese di origine o nel nostro, avrebbe maggiore effetto e soprattutto ridurrebbe i rischi di conflitto sociale all'interno della comunità che li accoglie.
Sottolineavo altri due aspetti, su cui chiedo lumi. Uno è il tema dei Vigili del fuoco, perché abbiamo letto in questi giorni che c'è stata un po’ di agitazione nei rapporti fra Governo e organizzazioni sindacali, oggi c'è stato un incontro cui accennava prima, quindi non so se oggi ...
MARCO MINNITI, Ministro dell'interno. Mi scusi se la interrompo brevemente. Nella relazione ho parlato di un doppio movimento, ma in questo caso si è trattato di un falso movimento, nel senso che questa mattina l'incontro con tutti i sindacati è andato benissimo. Era soltanto per tranquillizzare.
MARILENA FABBRI. Nei giorni precedenti però c'era stata dell'agitazione in attesa dell'incontro di oggi soprattutto sui decreti Madia di riordino dei Vigili del fuoco, quindi chiedevo se poteva dirci qualcosa oggi o nel prossimo incontro.
L'altro invece è legato alla formazione delle forze dell'ordine in relazione all'accoglienza delle vittime dei crimini domestici. Era un tema contenuto nel decreto sul femminicidio del 2013, nella formazione anche delle forze dell'ordine, quindi le chiedevo lumi anche rispetto a questo tema.
BARBARA POLLASTRINI. Anch'io desidero ringraziare il ministro per la sua relazione ampia, che ci sottopone finalmente – sono sincera, vedo un cambio di passo – un'ambizione strategica. Proprio per questo credo che meriterà approfondimenti (questa è una prima richiesta), in modo tale che il Parlamento possa svolgere appieno il suo lavoro sia per le proposte più ravvicinate che per le scelte strategiche.
Faccio soltanto tre piccole sottolineature. Intanto io condivido molto la visione di quella che lei ha chiamato la grande alleanza tra Stato e territorio, penso anch'io che sia decisiva insieme a un maggior coordinamento interistituzionale anche a livello di Governo, perché io credo – e qui vengo alla mia prima domanda – che la percezione popolare del bisogno di sicurezza si costruisca con le proposte che lei ha avanzato, ma anche con una volontà culturale e politica. Mi riferisco alla capacità delle istituzioni ai vari livelli di proporre una corretta lettura di quello che lei ha chiamato un passaggio storico, un mutamento d'epoca, una lettura corretta che mostri la migrazione in tutti i suoi aspetti, anche in quello culturale di ricchezza che deriva dalla mescolanza.
Per questo ritengo che l'alleanza utilissima che lei evocava in termini concreti sia indispensabile anche per una corretta comunicazione, al di là delle diverse convinzioni dei partiti o dei movimenti politici, di ciò che sta caratterizzando l'Europa e il mondo.
Due titoli li ha già per fortuna – se posso esprimermi in un linguaggio meno burocratico – anticipati lei. Uno si riferisce alla sua convinzione, da me condivisa, che il Senato possa approvare in tempi rapidissimi la proposta di legge sui minori stranieri non accompagnati, di cui ho avuto l'onore di essere una semplice relatrice, perché – voglio ribadirlo – qui alla Camera Pag. 24ha avuto un sostegno trasversale e di condivisione da altri gruppi politici oltre quelli della maggioranza.
Non richiamo io l'appello del Presidente della Repubblica, ma, una volta che, come sono certa, il Senato la approverà e questa legge ci sarà, come mi sembra di aver capito dalle sue parole, auspico quell'interesse immediato da parte del Governo perché quella legge venga attuata e quindi sia parte fondamentale di quell'alleanza nei rapporti con il territorio da lei evocata.
Il secondo tema – mi capita anche qui di avere l'onore di essere relatrice – è il riferimento alla proposta di legge Dambruoso-Manciulli, che noi come I Commissione della Camera stiamo esaminando e che, come lei sa perché è stato tra i nostri auditi, vedrà a breve la scadenza degli emendamenti al testo, quindi ci siamo. Credo che negli emendamenti si possa tener conto degli esiti della Commissione Vidino, quanto – è il modo per dirle che per me è importantissimo – di quel tavolo sull'Islam, che ritengo un contributo che aspettavamo da anni, importante anche per portare a compimento la legge.
La terza questione invece è proprio una domanda. Ne ha accennato la collega Fabbri. Lei è il Ministro degli interni, è vero che io per prima, quando ho avuto l'onore di presiedere un ministero piccolo rispetto al suo, ho dato molto ruolo e funzione al Dipartimento presso le pari opportunità per il piano d'azione concreto di contrasto alle molestie e alla violenza alle donne, ma, proprio perché sono passata da quell'esperienza, so che la cooperazione e il coordinamento di corazzate di Ministeri importanti come il suo sono decisivi per contrastare culturalmente, oltre che con i piani operativi un dramma che colpisce quotidianamente donne di tutte le età nelle proprie famiglie dagli ex partner e nella società.
Siccome qui oggi non se ne è parlato diffusamente, chiedo quale sia l'intervento fondamentale del Ministero degli interni, oltre che del Ministero della Giustizia insieme al Dipartimento delle pari opportunità, per implementare un piano urgentissimo, che fra l'altro attiene anche al rapporto con le donne migranti, che vivono una doppia discriminazione come migranti spesso violate nei loro territori e come donne.
FABIANA DADONE. Mi associo alla domanda della collega Costantino in merito ai chiarimenti sul telegramma del 26 gennaio 2017 riguardante persone nigeriane, in particolar modo perché si parla di posti riservati nei CIE a queste persone, con un particolare focus alle 50 donne che dovrebbero essere collocate in questi centri, visto che solitamente nel 99,9 per cento dei casi sono vittime di tratta.
Mi collego a questo punto alle ultime domande fatte dalle colleghe del Partito Democratico in merito alla formazione del personale delle forze dell'ordine, però sempre legato alle vittime di tratta. Sarebbe più facile identificare i fattori indicatori delle vittime se ci fosse una formazione del personale di polizia, che peraltro è prevista dal Piano nazionale antitratta, varato dal Dipartimento Pari opportunità (DPO), per cui le chiedo in quale modalità intenda mettere in atto questo percorso di formazione.
DANIELA MATILDE MARIA GASPARINI. Io considero strategico il fatto che si faccia un nuovo patto con gli enti locali. Di fatto i comuni hanno vissuto talvolta negli ultimi anni scelte che venivano dall'alto, mai condivise e all'ultimo momento, si sono arrangiati, ma da questo punto di vista ho letto quello che lei ha indicato sia per la sicurezza che per accompagnare l'accoglienza come un progetto strategico di coinvolgimento dei territori.
Da questo punto di vista la prima domanda è se alla luce di questa strategicità e del Patto per la sicurezza di cui lei ci ha parlato – cioè ci ha dato il titolo – intenda anche affrontare il tema del rapporto con la Polizia locale, che è sicuramente realtà che ormai da anni assieme ai sindaci chiede di avere un riconoscimento rispetto a un ruolo svolto, al di là della partita di carattere economico, specialmente sul tema del controllo del territorio, come forza di polizia al di là che non è dentro al tema del comparto sicurezza. Pag. 25
Considero utile usare questa fase per capire come intrecciare questo lavoro anche con la discussione che in nella I Commissione della Camera abbiamo aperto per rivedere il comparto Polizia locale.
Considero positivo il fatto di offrire alle persone ospitate per un periodo – speriamo il più breve possibile – l'opportunità di fare lavori di pubblica utilità. Già succede, nel senso che ognuno si è inventato delle soluzioni, ad esempio in molte città si lavora con il volontariato, vengono inserite per accompagnare alcuni progetti di volontariato, e il fatto che ci sia un'indicazione precisa dei criteri che non mettono in conflitto con i lavoratori più fragili che possono vederla come competizione, è molto importante perché credo sia anche un modo per creare condizioni di compartecipazione con la popolazione locale a un progetto di solidarietà.
EMANUELE FIANO. Ringrazio molto il signor ministro per la visione integrata che ci ha fornito. Mi permetto prima delle domande specifiche di segnalarle, perché fa un po’ impressione, l'elenco dei progetti di legge che la I Commissione della Camera ha trattato e che sono complemento delle cose che lei ha detto.
In questa Commissione abbiamo infatti esaminato e approvato un testo unificato delle proposte di legge sullo ius soli, è in discussione la proposta di legge sul contrasto alla radicalizzazione, abbiamo approvato la proposta di legge sui minori stranieri non accompagnati, abbiamo discusso la riforma della Polizia municipale, abbiamo fatto partire insieme alla collega Ravetto in Aula la mozione sulle sezioni speciali dei tribunali per lo specifico dei ricorsi sui dinieghi di richiesta di asilo, è di questa Commissione il documento parlamentare che ha istituito la Commissione di controllo sui CIE, e altre diverse occasioni che ci hanno legato alle vicende delle forze dell'ordine, cui tra l'altro è dedicato anche un altro progetto di legge sulla questione delle moschee nel nostro Paese.
Dico questo perché lei oggi ha fornito per fortuna con senso repubblicano – è un termine già usato per questo tipo di questioni – un quadro di insieme di questioni che per adesso si sono articolate in diversi provvedimenti di legge. Su questo io ho tre domande specifiche.
La prima riguarda la nostra attività sui teatri di partenza dell'immigrazione. Se non ricordo male, il Sottosegretario Manzione nella I Commissione della Camera aveva citato una nostra iniziativa (non ricordo se solo dell'Italia o confortata dall'apporto dell'Unione europea) ad Agadez, in Niger, una iniziativa di accoglienza e di filtro del flusso dal continente subsahariano verso il nord, e volevo avere notizie di questa iniziativa, che mi pareva particolarmente centrata come intervento all'estero per filtrare il flusso di immigrazione proveniente dalle regioni povere subsahariane, e sapere da lei se questa iniziativa rimarrà isolata o possano esserci in altri Paesi subsahariani iniziative analoghe, che, al di là della bontà di tutto ciò che lei ha illustrato sugli accordi con i Paesi frontalieri del Nord Africa, mi paiono positive.
Per quanto riguarda la seconda questione mi rendo conto che è una domanda di scenario che forse è sbagliato porle, ma, siccome recenti disposizioni del nuovo Presidente degli Stati Uniti hanno impostato una politica di blocco dei flussi migratori, in particolare da alcuni Paesi in quella grande nazione che sono gli Stati Uniti, mi domando se voi abbiate la percezione che l'eventuale, legittimo prosieguo – legittimo, perché lì c'è un Governo legittimamente insediato – di questo tipo di politica possa avere un'influenza sui flussi migratori che dai medesimi Paesi noi osserviamo.
La terza questione riguarda il fatto che noi abbiamo abbandonato l'ipotesi (mi pare opportunamente, perché non vedo molti sviluppi, ma è rimasta nell'aria del dibattito politico italiano) di un possibile processo di riforma del Trattato di Dublino; lei qui ha giustamente parlato di un atteggiamento verso il Trattato di Schengen, ma il trattato di Dublino è un'altra parte della politica europea sull'accoglienza.
La collega Gasparini ha già citato la questione della Polizia municipale e forse in occasione della presentazione del decreto sulla sicurezza urbana ci sarà da ragionare insieme al Governo se alcune Pag. 26parti di quella riforma non possano entrare in tale decreto. Ma più in generale, lei ha illustrato un modello di organizzazione della sicurezza dello Stato, quindi di organizzazione e dislocazione di presenza delle forze dell'ordine, le quali svolgono molte attività attinenti la questione dell'immigrazione e che sono molto impegnate con i numeri sulla questione dell'immigrazione che, come lei ha giustamente detto, non è una questione – se non in alcuni casi – di ordine pubblico e di sicurezza; inoltre lei per fortuna non ha impostato la sua relazione sotto un'ottica puramente securitaria, ma sotto diverse altre ottiche. Mi domando quindi se nel modello complessivo di cura dello Stato dei vari aspetti dell'arrivo e dell'accoglienza lei pensi che possa esserci una prospettiva diversa, cioè se le nostre forze dell'ordine possano essere utilizzate in maniera diversa, ovvero si possa pensare a un modello di servizio diverso, perché il peso che grava sulle forze dell'ordine e l'impiego in queste attività è fortissimo, come ovviamente lei sa molto meglio di me.
GIORGIO PAGLIARI. Io esprimo il mio apprezzamento sull'impostazione generale, perché vedo un'impostazione da protagonista attivo di chi la questione dell'immigrazione la vuole affrontare in termini risolutivi e non in termini di problema che si subisce. Credo che questo sia centrale rispetto anche alla percezione che del problema ha la popolazione e alla reazione che la popolazione ha a questo tema.
Seconda sottolineatura. Io apprezzo molto il fatto che la ratio, la filosofia di fondo di quello che ci ha esposto il ministro sia l'attenzione al bilanciamento tra i diritti dei cittadini, il diritto del Paese ospitante e i diritti degli immigrati. Ci sono molti segnali in quello che è stato detto che vanno in questo senso, e anche questo credo che sia decisivo, perché la politica dell'immigrazione non può essere una politica assistenzialistica, ma deve essere ispirata a regole precise, al rispetto della legalità e alla certezza del rispetto della legalità.
Credo che da questo punto di vista si debba fare davvero molta attenzione affinché sia centrale nell'attuazione di questo programma la chiarezza sui tempi dei rimpatri e sulla loro effettività, perché noi dobbiamo ospitare e dare dignità, ma poi eseguire anche la parte di tutela della legalità, quindi del rimpatrio di chi non può rimanere in questa situazione.
Penso che sia molto importante l'attenzione che il ministro dà alla distribuzione sul territorio degli immigrati che vanno ospitati. Molto importante anche la direttiva sulla localizzazione dei centri di ospitalità.
Io voglio sottolineare al ministro – e chiedergli se esista qualche misura in questo senso – il tema della necessità che con il nuovo patto con gli enti locali o altre misure la distribuzione degli immigrati sul territorio vada poi equilibratamente distribuita a carico dei singoli comuni anche nelle singole province. Nella mia provincia, che è quella di Parma, si è verificato un fenomeno per il quale l'ospitalità è gravata solo su alcuni comuni, non su tutti, e questo ha creato situazioni di reazione negativa, che possono incidere sul tema. Credo che, nonostante i temi che non mi sfuggono relativi all'autonomia degli enti locali, ci debba essere un'attenzione affinché la distribuzione sia equilibrata anche all'interno dei singoli territori.
VINCENZA BRUNO BOSSIO. Volevo ringraziare il ministro per questa impostazione strategica che hanno sottolineato tutti. Credo che discutere sul nuovo modello di accoglienza ci possa salvare non solo dalla fuorviante equazione terrorismo/immigrazione, ma soprattutto dal fatto che la mancata integrazione possa essere collegata al terrorismo.
Sul fatto di concentrarci sull'accoglienza diffusa, sono d'accordo, e una prima domanda riguarda proprio questo. Siccome l'adesione dei comuni è volontaria e ancora pochi comuni hanno aderito ai progetti dell'accoglienza diffusa e del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, SPRAR, si può andare oltre lo SPRAR per i comuni? Un'ipotesi: i Centri di accoglienza straordinaria, CAS, non dovrebbero riguardare solo le prefetture, ma si potrebbe prevedere anche un ruolo diretto dei comuni e quindi una verifica in qualche Pag. 27misura collettiva della comunità sulla presenza anche nei CAS.
Seconda questione: l'accoglienza diffusa è eticamente più sostenibile, quindi condivido assolutamente la chiusura dei grandi centri, così come mi sembra giusto l'accordo con l'ANAC per modificare i contratti. So che si sta andando nella direzione giusta, però i grandi centri hanno anche tanti dipendenti, tema non banale che è spesso l'ostacolo nella chiusura di questi centri e anche nel dimensionamento eccessivo. Rispetto al vuoto dell'attesa rischia infatti di esserci la pienezza dei soldi per i gestori che gestiscono questi grandi centri, quindi il fatto che spesso non si ridimensionino perché hanno generato un processo perverso.
A proposito del potenziamento delle attività di ispezione verifichiamo molto bene se nelle prefetture che stanno sui territori e soprattutto nei funzionari che rimangono nelle prefetture anche quando si rinnovano i prefetti non ci siano delle commistioni.
Abbattere i tempi per i richiedenti asilo, è giusto, come anche assumere più personale nelle Commissioni, ma sono meno d'accordo sul tema dei tre gradi di giudizio, perché è vero che non è una questione costituzionale, ma allora questo tema dovrebbe essere affrontato più in generale, ma soprattutto chiediamoci se prima di arrivare alla valutazione delle Commissioni questi richiedenti asilo abbiano visto rispettati fino in fondo i loro diritti, perché spesso non hanno nemmeno ricevuto il codice fiscale provvisorio, e questo è un tema che riguarda la questione del lavoro. Così come sui lavori di pubblica utilità, laddove spesso il bighellonare dipende dal fatto che non hanno ricevuto dalle questure e dall'Agenzia delle entrate il codice fiscale provvisorio, quindi o lavorano in nero o non lavorano.
Il rimpatrio è necessario anche se – ripeto – a monte c'è tutta questa questione e soprattutto è necessario verificare se chi deve essere rimpatriato sia qualcuno che magari è arrivato qui non per motivi di richiesta d'asilo, ma non avendo altra strada per arrivare in Europa. Che il CIE non sia una prigione è vero fino a un certo punto, perché comunque c'è una limitazione di diritti che spesso riguarda non presunti terroristi, ma persone che hanno avuto un percorso di uno o due anni nel nostro Paese o in Europa che non è andato nella direzione della tutela dei loro diritti.
PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro dell'interno e rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.
La seduta termina alle 16.20.
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