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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Mercoledì 16 ottobre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 631 FERRANTI E C. 980 GOZI, RECANTI MODIFICHE AL CODICE DI PROCEDURA PENALE IN MATERIA DI MISURE CAUTELARI PERSONALI

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati e dell'Unione delle camere penali italiane.
Ferranti Donatella , Presidente ... 2 
Sabelli Rodolfo Maria , Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 2 
Ferranti Donatella , Presidente ... 5 
Spigarelli Valerio , presidente dell'Unione delle camere penali italiane ... 5 
Ferranti Donatella , Presidente ... 9 
Pinna Matteo , Rappresentante dell'Unione delle camere penali italiane ... 9 
Ferranti Donatella , Presidente ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 14.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati e dell'Unione delle camere penali italiane.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame delle proposte di legge C. 631 Ferranti e C. 980 Gozi, recanti modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali, l'audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati e dell'Unione delle camere penali italiane.
  Gli auditi hanno distribuito una loro nota e di questo li ringraziamo.
  Sono presenti il presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Rodolfo Maria Sabelli, accompagnato da Maurizio Carbone, segretario generale, e il presidente dell'Unione delle camere penali italiane, Valerio Spigarelli, accompagnato dall'avvocato Matteo Pinna.
  Do la parola al presidente Sabelli per la sua relazione.

  RODOLFO MARIA SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Grazie, presidente. Io farei un'osservazione preliminare: ho notato che entrambi questi disegni di legge sono stati presentati in epoca anteriore al decreto-legge n. 78 del 2013, che ha elevato a cinque anni il limite per l'applicazione della custodia cautelare in carcere. Dico questo pensando ad alcune considerazioni, peraltro assolutamente condivisibili, contenute nella relazione preliminare alla proposta di legge C. 631 sull'inopportunità, in alcuni casi, di intervenire sulla legge processuale piuttosto che sulla sanzione. Sono osservazioni esatte, tant’è vero che, quando si è posto il problema della conversione del decreto-legge n. 78 del 2013, si è dovuto intervenire, da un lato, includendo nell'articolo 280 del codice di procedura penale il finanziamento illecito ai partiti politici, e dall'altro elevando contestualmente il limite edittale di pena prevista per il reato di stalking.
  Detto questo, passo anzitutto a fare qualche considerazione sulla proposta di legge C. 631. In linea generale l'Associazione nazionale magistrati esprime un parere favorevole su questo disegno di legge. È opinione della magistratura associata che in materia cautelare – e, per la verità, anche in materia di esecuzione penale – occorra circoscrivere nei limiti più stretti possibili, ai soli casi di assoluta indispensabilità, le misure cautelari, e in particolare la custodia cautelare in carcere, individuando però quel punto di equilibrio, non sempre facile da raggiungere, fra sfavore per le limitazioni della libertà personale e esigenza di tutela della collettività.
  In linea generale, salvo alcune osservazioni che mi appresto a fare, il parere Pag. 3sulla proposta di legge C. 631 è favorevole, perché mira a valorizzare altri tipi di misure, ad esempio le misure interdittive, la cui durata, da due mesi – ciò che rendeva la misura pressoché inutile, tant’è che se ne faceva scarso uso – viene portata fino ad anno. Allo stesso modo, siamo favorevoli all'introduzione del riferimento all'attualità delle esigenze cautelari. Peraltro, è vero, come si legge nella relazione preliminare, che la Corte di Cassazione aveva affermato che l'attualità non è un elemento imprescindibile. Tuttavia, devo dire che la giurisprudenza, quanto meno quella di merito, in larghissima parte, riteneva necessario questo elemento.
  La proposta di legge recepisce anche un'altra linea interpretativa giurisprudenziale, ovvero quella dell'esclusione degli arresti domiciliari per il caso di possibile concessione della sospensione condizionale. Non era un esito imposto dalla disciplina vigente, ma di fatto l'imposizione degli arresti domiciliari era stata sottoposta a quegli stessi limiti che sono già vigenti per la custodia cautelare in carcere.
  Dobbiamo invece esprimere qualche perplessità sulla riduzione del limite edittale massimo di pena previsto per l'articolo 73, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 in materia di sostanze stupefacenti. Per i fatti cosiddetti «di piccolo spaccio» la pena massima viene dimezzata da sei anni a tre anni.
  Premetto che l'Associazione nazionale magistrati ha più volte espresso parere favorevole a una generale rivisitazione della normativa in materia di sostanze stupefacenti, proprio con riferimento ai fatti di minore gravità, e quindi ai casi del comma 5. Tuttavia, operare un intervento di questo tipo comporta alcuni effetti di natura processuale, dei quali bisogna essere ben consapevoli, e alcune difficoltà di ordine operativo. Dal punto di vista processuale, questo dimezzamento della pena edittale massima fa sì che non possa essere applicata più alcuna misura cautelare per i fatti di piccolo spaccio, ancorché si tratti di piccolo spaccio eventualmente reiterato. Va anche tenuto presente che la giurisprudenza di merito sull'individuazione del comma 5, e quindi la qualificazione di «piccolo spaccio», è piuttosto oscillante. Vengono ricondotte al comma 5 delle condotte che, soprattutto in alcune realtà locali, di fronte a comportamenti reiterati, non sono irrilevanti, e probabilmente meriterebbero una qualche risposta cautelare, magari non carceraria ma di altro tipo. Invece questo tipo di intervento sulla pena impedisce l'applicazione di qualsiasi misura.
  Un'altra conseguenza di carattere processuale sarebbe l'impossibilità di operare arresti in flagranza per questo tipo di reato. A questo si ricollega quello che avevo definito «un potenziale problema di tipo operativo». La legge processuale, come loro sanno, impone l'arresto in flagranza per tutti i reati di cui all'articolo 73, cioè detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, salvo che ricorra la situazione del comma 5.
  Dalla situazione attuale, in cui per qualsiasi violazione in materia di sostanze stupefacenti è possibile l'arresto – facoltativo nei casi di piccolo spaccio e obbligatorio in tutti gli altri –, ci ritroveremmo in una situazione in cui l'arresto sarebbe obbligatorio per i casi maggiori, e non sarebbe affatto consentito per i casi di piccolo spaccio, con tutte le difficoltà per la polizia giudiziaria operante di ricondurre in concreto la condotta alla previsione di carattere generale o alla situazione della circostanza attenuante.
  Torno alla premessa che avevo fatto: in materia di sostanze stupefacenti noi siamo favorevoli a un intervento che mitighi la severità dell'attuale disciplina. A nostro giudizio, sarebbe però preferibile un intervento un po’ più complesso, che fosse riferito sia ai profili processuali sia ai profili sostanziali. A nostro avviso, bisognerebbe forse ripensare l'unificazione che è stata fatta svariati anni fa fra diverse tipologie di droga, inserite nelle diverse tabelle, e pensare a degli interventi processuali che consentano l'applicazione di Pag. 4misure cautelari, magari meglio calibrate alla tipologia e alla gravità di queste condotte.
  Passo adesso ad esaminare l'articolo 3 della proposta di legge, in particolare nella parte in cui dispone testualmente che «nei casi di cui alla lettera c) del medesimo comma 1, la sussistenza della situazione di pericolo non può essere desunta esclusivamente dalle modalità del fatto per cui si procede, e la personalità della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato non può essere desunta unicamente dalle circostanze del fatto addebitato».
  Questa disposizione mira a introdurre una forte limitazione alla discrezionalità del giudice, stabilendo appunto che le modalità del fatto non bastano a fondare il pericolo di reiterazione del reato, e ciò con riferimento a tutti i casi di reiterazione previsti dalla lettera c) dell'articolo 274 del codice di procedura penale, ed anche che le circostanze del fatto non bastano a definire la personalità dell'imputato.
  Quali sono le conseguenze di quest'innovazione ? Questa novella potrebbe impedire l'applicazione di misure cautelari, ove ricorra il pericolo di reiterazione criminale, ad esempio nel caso dell'incensurato, ove manchi qualsiasi altro elemento di valutazione, ancorché in presenza di fatti molto gravi e commessi con modalità anche efferate. Credo che non sia necessario fare degli esempi, perché ciascuno può immaginarli da sé.
  Tornando al discorso iniziale, a noi sembra quindi che questa riforma, pur apprezzabile nei suoi intenti di carattere generale, in questo caso, con riferimento a quel punto di equilibrio di cui parlavo fra il necessario rigore che deve sottendere ogni limitazione della libertà personale e la tutela della sicurezza, tenda a spostare troppo questo punto di equilibrio a detrimento della tutela della sicurezza, con conseguenze che potrebbero essere anche gravi sotto il profilo della tranquillità sociale.
  Dico questo, ma ribadisco ancora una volta che la magistratura, a differenza forse di certi luoghi comuni piuttosto in voga, non è affatto favorevole all'uso eccessivo o all'abuso delle misure cautelari. A questo riguardo, ricordo che è stata proprio la magistratura di merito a reagire a quegli automatismi che erano stati introdotti nell'articolo 275 del codice di procedura penale, che imponevano in alcuni casi la custodia cautelare in carcere, sollevando questioni di legittimità costituzionale che sono state poi accolte dalla Corte.
  Credo di aver esaurito le nostre osservazioni sulla proposta di legge C. 631. Sulle altre disposizioni il nostro parere è favorevole, per le stesse ragioni che sono illustrate nella relazione, e sulle quali non credo di dovermi dilungare.
  Vengo adesso alla proposta di legge C. 980. In questo caso, in linea generale, il nostro parere è invece di segno contrario, a parte alcuni interventi in sé condivisibili, con riferimento in particolare all'introduzione del requisito dell'attualità, sul quale, come ho già detto, noi siamo favorevoli, e all'allungamento della durata delle misure interdittive, che in questo caso vengono portate a sei mesi, mentre la precedente proposta le porta, secondo noi più opportunamente, a un anno. Ribadisco che l'aumento delle misure interdittive vuol dire maggiore possibilità di ricorrere a soluzioni diverse dalla custodia cautelare.
  Il momento qualificante di questa proposta di legge è la previsione che la custodia cautelare in carcere, nel caso di pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, possa essere applicata soltanto nei confronti di coloro che sono stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza. Si richiede quindi una condizione che non è una condizione soggettiva apprezzabile da parte del giudice che applica la misura, ma è una condizione formale che deve essere stata precedentemente dichiarata da altro giudice. Quest'intervento, che è in realtà fortemente limitativo, viene giustificato nella relazione preliminare con il fatto che vi sarebbe un ricorso eccessivo alla misura cautelare del carcere, che sarebbe utilizzata, in poche parole, come leva confessoria.Pag. 5
  Noi ci auguriamo che si sia ormai diffusa all'interno della magistratura una cultura che fugga da utilizzi impropri delle misure cautelari. Qualora si verifichino abusi, questi abusi devono trovare la loro sanzione all'interno del sistema, e comunque non giustificano, a nostro avviso, un sacrificio di quelle esigenze di tutela della sicurezza pubblica alle quali facevo riferimento.
  Questa previsione, cioè la possibilità di applicare la custodia cautelare in carcere per il pericolo di recidiva specifica, in realtà restringe enormemente l'ambito di applicazione della custodia cautelare in carcere, perché i casi di dichiarazione di delinquenza abituale, professionale o per tendenza sono in realtà molto rari. Ancor più rari, se non inesistenti, sono le dichiarazioni di delinquenza abituale, professionale o per tendenza per alcune tipologie di reati. Penso ad esempio ai reati contro la pubblica amministrazione e ai reati contro il patrimonio.
  Rischieremmo di arrivare a conseguenze paradossali, per cui la custodia cautelare in carcere non potrebbe essere applicata, ove ritenuta necessaria dal giudice, a fronte di bancarotte multimilionarie o di condotte gravissime di corruzione, ma potrebbe essere invece applicata, senza neanche necessità di dichiarazione di delinquenza abituale, professionale o per tendenza, per il caso di rapina impropria. La rapina impropria è anche quella commessa da chi ruba qualcosa dagli scaffali di un supermercato e poi scappa dando una spinta al commesso.
  La verità è che quando si affrontano le situazioni in termini generali, nello specifico in materia cautelare, senza considerare le tipologie concrete, può accadere che si giunga a delle conseguenze di eccessivo sacrificio di quelle esigenze di tutela della collettività alle quali facevo riferimento.
  Io credo che lasciare un po’ più di fiducia al giudice, confidando in un uso corretto della sua discrezionalità, e nella consapevolezza che il sistema processuale ha al suo interno gli antidoti per reagire ad eventuali eccessi, sia una scelta corretta e ragionevole.
  Se il collega Carbone non ha altro da aggiungere, credo di aver esaurito le mie osservazioni. Grazie.

  PRESIDENTE. Vi ringrazio. Darei ora la parola al presidente dell'Unione delle camere penali italiane, Valerio Spigarelli, per la sua relazione.

  VALERIO SPIGARELLI, presidente dell'Unione delle camere penali italiane. Grazie presidente. Noi faremo un intervento sostanzialmente diviso in due parti: da un lato una considerazione di carattere generale su quello che dovrebbe essere l'intervento in questa materia; e dall'altro una valutazione per punti di alcune delle norme che sono proposte – recte, come vedete anche nel documento che noi abbiamo depositato, di quelle che potrebbero essere delle integrazioni alla materia complessiva del sottosistema cautelare che potrebbero arrivare proprio dai lavori della Commissione.
  Non posso che partire da una considerazione su una delle norme che vengono previste, ossia la riforma dell'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, di cui ha parlato anche il presidente Sabelli. Quello che io vorrei porre alla Commissione è un problema di tecnica legislativa generale riguardante il rapporto tra le misure di carattere penale sostanziale e le misure di carattere penale processuale.
  Quando si ritoccano i limiti di pena di un reato, la valutazione che dovrebbe fare il legislatore è commisurata alla gravità di quel reato. Sostanzialmente si stabilisce un tetto massimo di pena, perché si ritiene, con una valutazione comparativa con i beni costituzionali in discussione, che quella sia la pena massima utile per la repressione di quella vicenda. Viceversa – ne trovo eco anche nell'intervento che mi ha preceduto – si sta affermando una tecnica legislativa che capovolge i termini del problema, cioè si verifica qual è l'ambito di applicabilità degli istituti processuali Pag. 6e poi, verificato quello, si stabilisce se un reato è più o meno grave, ovvero si modificano le sanzioni di quel reato.
  Lasciatemi dire che è una tecnica legislativa paradossale, oltre che illogica, e soprattutto che rinuncia all'autonomia del legislatore rispetto alla comparazione dei beni che sono in discussione. Non è verificando se è possibile intercettare o se è possibile privare della libertà che si stabilisce che è grave o non è grave un reato. Questo vale per tutti i reati, ivi inclusi quelli che noi, nella nostra applicazione pratica, abbiamo riscontrato come fattispecie assolutamente meno gravi rispetto al limite sanzionatorio che è stato ad un certo punto attribuito dal legislatore, e cioè proprio i fatti di lieve entità che sono collegati alla violazione della legge sugli stupefacenti.
  La nostra richiesta è quella di rimettere le cose al loro posto, cioè stabilire i limiti di pena non in funzione di questa tecnica legislativa un po’ paradossale, ma in funzione della libera valutazione della gravità del fatto, a cui conseguiranno gli eventuali effetti processuali.
  Un'altra questione che vorrei preliminarmente sottolineare è la valutazione generale sul sottosistema della tutela della libertà del cittadino imputato o indagato nel nostro Paese. Chi parla rappresenta l'associazione che da molti anni denuncia – non ho paura della parola – l'abuso della custodia cautelare. Questa è un'opinione che si è fatta strada.
  Nella relazione del primo presidente della Corte di Cassazione di due anni fa si trovano queste parole: «È necessario che il legislatore assuma sul serio la natura di extrema ratio della custodia cautelare in carcere, e la preveda soltanto in presenza di reati di particolare allarme sociale, e, soprattutto, la inibisca quando la condotta criminosa presa in considerazione sia risalente nel tempo e non accompagnata da manifestazioni concrete ed attuali di pericolosità sociale. La questione ovviamente chiama in causa anche i giudici.», proseguiva, lasciatemelo dire, il primo dei medesimi « Il difetto endemico del nostro sistema, a causa dell'eccessiva distanza temporale tra condanna ed esecuzione della pena, comporta sovente la spinta ad anticipare in corso di processo o d'indagini il ricorso al carcere, al fine di neutralizzare una pericolosità sociale, anche se soltanto ipotizzata, e al fine di offrire una risposta illusoriamente rassicurante alla percezione collettiva d'insicurezza sociale, che finisce così con il contagiare l'ambito giudiziario, determinando guasti alla cultura del processo e delle garanzie».
  È un'analisi assai impietosa, forse più impietosa di quella che gli avvocati penalisti nel corso degli anni hanno fatto. Non è solo un problema di utilizzo della custodia cautelare, che tuttora – io non sono della stessa opinione del presidente dell'ANM – viene utilizzata anche come leva processuale, e vi dirò tra un momento che cosa significa leva processuale. È anche una questione di capovolgimento della visione costituzionale della custodia cautelare.
  Quello che diceva il primo presidente della Corte di Cassazione è che in questo Paese la custodia cautelare viene incostituzionalmente utilizzata come anticipazione della pena. Se questa è la diagnosi, diagnosi che noi condividiamo, bisogna trovare degli strumenti che evitino questo problema. Tra l'altro, questa non è soltanto l'opinione del primo presidente della Corte di Cassazione. Come il presidente sa, io vengo da un bellissimo convegno che è stato organizzato dall'Associazione degli studiosi del processo penale, che è molto meno bellicosa degli avvocati dell'Unione delle Camere penali. Questo convegno ha concluso esattamente negli stessi termini che io vi sto riportando, con una serie di proposte che, in una certa misura, noi abbiamo sussunto in quell'elaborato.
  Ritrovate la stessa identica opinione anche nell'ormai celeberrima sentenza Torregiani, che ha condannato l'Italia per le condizioni di detenzione, ma ha trovato, incidenter tantum, anche l'occasione per dire che il numero di persone in custodia cautelare in carcere nel nostro Paese è esorbitante. Da ultimo, c’è il lavoro della Commissione ministeriale di studio in tema di processo penale, che arriva a Pag. 7determinate conclusioni, perché sostanzialmente condivide l'analisi che io ho appena esposto. Su questo non mi dilungo, perché tra qualche giorno ascolterete il presidente della Commissione, Giovanni Canzio.
  Se così è, bisogna andare a verificare quali sono i punti fondamentali che la normativa attuale espone, e i punti attraverso i quali questo paradossale capovolgimento del sistema della libertà personale all'interno del processo ha trovato il fallimento costituzionale che io vi ho appena descritto.
  I punti sostanzialmente riguardano un eccessivo ambito di valutazione delle esigenze cautelari che sono descritte all'articolo 274 del codice di procedura penale, e in particolare un eccessivo ambito discrezionale di applicazione, tra quelle esigenze cautelari, del pericolo di reiterazione dei reati di cui alla lettera c) dell'articolo 274.
  È su questi punti che bisogna incidere. La proposta di legge prende in considerazione la situazione. Come dirà Matteo Pinna, noi pensiamo che, sotto questo punto di vista, l'articolato possa essere meglio precisato.
  Un'altra questione dorsale della vicenda cautelare è data dall'infittimento delle presunzioni cautelari, che nel corso del tempo si sono sedimentate sul sistema. Il codice del 1988 partiva da una scelta di civiltà fondamentale: l'abbandono della custodia cautelare obbligatoria. Quest'ultima era un residuo del codice del 1930 – che poi era stato modificato nel corso del tempo più o meno con degli stop and go, che in punto di procedura penale sono una costante della nostra produzione legislativa – che nel 1988 si arrivò a definire tout-court ingiusto.
  Si è detto «no» alle presunzioni cautelari, e, soprattutto, in punto di presunzioni cautelari, ad un'equazione che non torna: legare la pericolosità sociale al reato che viene commesso, molto spesso è paradossale. Naturalmente, dal punto di vista del pericolo di reiterazione ci sono delle violazioni gravissime, come l'omicidio, che vengono consumate in contesti tali, che quasi escludono la possibilità di reiterazione. Per questo il legislatore del 1988 si fece carico di questa scelta, che nel corso del tempo è stata pian piano abbandonata, introducendo una serie di presunzioni di pericolosità legate per l'appunto alla commissione di particolari tipi di reato.
  La via corretta, dal punto di vista costituzionale, è abbandonare questa strada. Non lo diciamo noi, ma lo dice la Corte costituzionale, che in diverse sentenze degli ultimi anni ha sostanzialmente smantellato il sistema delle presunzioni cautelari, non lasciando inerme la società, il Codice e i magistrati che applicano la legge, ma dicendo che è la presunzione che non funziona, e non la valutazione in concreto della possibile esigenza cautelare.
  Peraltro, anche laddove tollerato – non utilizzo a caso questo termine – il permanere di alcune presunzioni per alcune particolari categorie di reati, per esempio i reati permanenti come quelli associativi, non riguarda tanto la gravità dei reati, ma proprio l'ontologia dei reati stessi. Un reato permanente si pone come pericoloso per definizione, e quindi si può tollerare la presunzione in quel caso. Uso il termine «tollerare» perché la Corte Costituzionale fa questo, e non sceglie in favore delle presunzioni cautelari.
  Prima di lasciare la parola a Matteo Pinna, do alcune brevissime indicazioni che saranno altrettanto brevemente approfondite.
  Noi siamo d'accordo – mi pare che ce lo dicemmo, insieme ai rappresentanti dell'ANM, in una precedente audizione – sul fatto che bisogna necessariamente rivivificare o rinforzare il sistema delle misure interdittive, perché più si hanno a disposizione misure interdittive, e più, tendenzialmente, si eviterà il ricorso a misure di privazione della libertà.
  Debbono quindi essere permesse misure interdittive che durano più nel tempo e incidono concretamente sulle esigenze di cautela. È necessario però – e in questo anticipo una delle proposte della Commissione ministeriale – che ci siano anche delle forme di applicazione di queste misure Pag. 8interdittive che siano garantite. Infatti, abbiamo verificato che l'interlocuzione preventiva molto spesso è importante per evitare applicazioni erronee di misure, come quelle interdittive, che possono comportare il sacrificio di beni costituzionalmente garantiti.
  Bisogna poi delimitare le ipotesi di cui alle lettere b) e c) dell'articolo 274, ma su questo lascerò la parola all'avvocato Pinna.
  Bisogna inoltre evitare gli automatismi cautelari. Faccio riferimento, per esempio, alla lettura dell'articolo 275, commi 2-bis e 2-ter, che, in caso di condanna di primo o secondo grado, conduce per mano il giudice all'applicazione delle misure cautelari, anche con una distorta indicazione, perché magari non mutano le esigenze cautelari, ma comincia ad elevarsi la necessità dell'applicazione in concreto della pena.
  Nella valutazione prognostica di applicazione delle misure cautelari, bisogna anche tenere conto di quello che questo stesso Parlamento ha finito di fare poco tempo fa. Nel momento in cui priva della libertà qualcuno, il giudice deve prendere in considerazione la possibilità che quel qualcuno, all'esito del processo, non sia privato della libertà. Infatti la legge prevede che il giudice debba motivare, perché se la prognosi è la sospensione condizionale della pena, gli leva la libertà in anticipo gratuitamente.
  Allo stesso modo il giudice dovrà valutare successivamente anche se sarà possibile, ai sensi dell'articolo 656 del codice di procedura penale, un'eventuale sospensione dell'esecuzione della pena successiva. La logica è la medesima: è inutile privare della libertà nel corso del processo chi non sarà privato della libertà all'esito del medesimo.
  Sui casi di trasgressione lascio di nuovo la parola all'avvocato Pinna.
  Mi sembra invece importante suggerire alla Commissione un intervento sull'articolo 280, comma 3, del codice di procedura penale, che tutto rientra nella logica dell'intervento legislativo in oggetto, ma soprattutto tutto rientra in quella critica del sistema a cui ho fatto riferimento inizialmente.
  Io direi che si ripete – con quella ripetizione che spesso fa perdere il senso delle parole – che la custodia cautelare è un’extrema ratio. Ciò significa che l'applicazione di questa misura deve riguardare casi assolutamente eccezionali. Tuttavia, per una certa categoria di reati, questa misura non viene applicata in casi assolutamente eccezionali, ma anzi è quasi un automatismo.
  Di conseguenza, noi dobbiamo intervenire, visto e considerato che il Parlamento, poco tempo fa, ha elevato la soglia fino a cinque anni. Il problema a cui noi facciamo riferimento non è l'esigenza generale, perché gli arresti domiciliari sono una forma di privazione della libertà, e vi garantisco che sono una forma di privazione di libertà alla lunga afflittiva e non un regalo. Le misure di altro genere sono afflittive anch'esse e possono garantire le stesse esigenze.
  Dunque, per evitare che sia un'anticipazione incostituzionale della pena, dobbiamo riservare la privazione iperafflittiva della custodia cautelare in carcere, salvi i casi eccezionali di esigenze cautelari, a reati che siano particolarmente gravi. Fortunatamente non l'ho detto io, ma l'ha detto Lupo, e quindi siamo tranquilli sul fatto che la mia richiesta non è interessata. Ciò significa stabilire un limite di applicabilità della custodia cautelare in carcere ai reati che siano superiori in pena edittale agli otto anni.
  Lascio la parola a Matteo Pinna per chiosare, tra l'altro, le soluzioni che sono state prese in considerazione nei disegni di legge. Concludo su questo punto: quando si prende in considerazione il sottosistema della libertà nel codice di procedura, non si possono non prendere in considerazione altri due fatti fondamentali.
  Voi conoscete perfettamente – perché ormai è invalsa anche nella normale dialettica – la circostanza per cui le ordinanze di custodia cautelare – ahimè – nonostante i controlli che impone la legge, sono spesso formulate in questa maniera: Pag. 9c’è un rapporto di polizia, che viene tagliato e incollato su una richiesta del pubblico ministero, che viene tagliata e incollata, a sua volta, su un'ordinanza di custodia cautelare, che viene tagliata e incollata, a sua volta, su un provvedimento del tribunale del riesame.
  L'effetto paradossale è che, nonostante questi supposti controlli, in sede giurisdizionale voi ritroverete esattamente le parole, e alcune volte anche i refusi ortografici – capita più spesso di quello che si può immaginare – che il funzionario di polizia aveva scritto molti mesi prima. Ciò significa che quel controllo evidentemente funziona poco. Se è così, dobbiamo incidere anche sulla tecnica di motivazione delle ordinanze cautelari, nonché sulla verifica da parte del tribunale del riesame dell'ordinanza di custodia cautelare.
  Sotto questo punto di vista, la Commissione Canzio ha proposto di delimitare questa tecnica e, soprattutto, di limitare i poteri del tribunale del riesame nel caso di mancanza di motivazione. Quando parliamo di questa tecnica, parliamo infatti di una mancanza di motivazione da parte del giudice, cioè di quei casi in cui il giudice non ha autonomamente valutato, ma si è semplicemente limitato a trasporre una determinata cosa.
  Voi sapete che il tribunale del riesame, di fronte a un provvedimento cautelare costruito in questa maniera, può ben sostituire la motivazione di quel provvedimento con una sua motivazione totalmente autonoma. Con questo si priva l'indagato, per lo meno, di una prima verifica. Se il sistema è articolato in questa maniera – c’è un'ordinanza di custodia cautelare emessa da un giudice, su cui il tribunale del riesame esercita un controllo di merito due gradi prima della Cassazione – la consuetudine che vi ho appena descritto depriva l'indagato, per lo meno, di un grado di valutazione.
  È per questo che nel corso dei lavori di quella Commissione, partecipata da magistrati, avvocati ed accademici, la proposta che ne è venuta, e che io vi trasferisco, è quella di amputare al tribunale del riesame, di fronte ad una vicenda di questo genere, l'autonoma possibilità di sostituire la sua motivazione, se non altro perché in tal modo le garanzie sarebbero assolutamente deprivate.
  Lascio all'avvocato Pinna le indicazioni di carattere tecnico sulle rimanenti questioni.

  PRESIDENTE. Avvocato Pinna, non le posso concedere molto tempo, stante la programmazione dei lavori della nostra Commissione. Dato che c’è questo documento, di cui faremo una lettura attenta, le chiedo di focalizzare il suo intervento su alcuni punti, in modo da lasciare spazio per eventuali domande.

  MATTEO PINNA, Rappresentante dell'Unione delle camere penali italiane. Grazie, presidente. Vado dritto al punto. Come ha già ampiamente illustrato il presidente Spigarelli, la proposta di legge C. 631 ci pare un'ottima base di discussione, sulla quale innestare, in maniera coerente e omogenea rispetto alle premesse, una serie d'integrazioni che abbiamo illustrato in una tavola che abbiamo messo a vostra disposizione.
  Sintetizzo rapidamente i punti qualificanti, rinviando ovviamente per il resto a questo scritto, anche per ragioni di tempo.
  L'ampliamento degli spazi applicativi delle misure interdittive va benissimo, ed è una previsione assolutamente coerente con la parallela restrizione degli spazi applicativi della custodia. Ci sembra importante che a quest'intervento si affianchi un contestuale ampliamento delle garanzie difensive. Ciò potrebbe essere realizzato, per esempio, come suggerito ormai quasi unanimemente, attraverso l'introduzione di un interrogatorio preventivo della persona di cui si chiede la sottoposizione a misura interdittiva, modellato sulla falsariga dell'interrogatorio di garanzia. Quest'interrogatorio dovrebbe essere possibilmente anticipato da una discovery piena degli atti d'indagine, altrimenti la garanzia difensiva risulterebbe poco significativa.
  Per quanto riguarda le proposte concernenti l'articolo 299 del codice di procedura penale in materia di revoca e di Pag. 10sostituzione delle misure, eviteremmo invece, per ragioni che cerco di sintetizzare, di ritoccare il primo comma del predetto articolo 299. In relazione a quest'articolo, per quanto riguarda i presupposti della modifica o della revoca della misura cautelare, si propone di sostituire l'attuale locuzione, secondo cui l'intervento può essere legato anche, ma non solo, implicitamente, a fatti sopravvenuti, con la seguente locuzione: «per ragioni sopravvenute».
  Nella relazione di accompagnamento si legge che l'intento è quello di impedire la pedissequa riproposizione di argomenti già valutati. Mi pare quindi di capire che è una forma di protezione, di garanzia del giudicato cautelare. Facciamo notare che, se questo è l'intento, la modifica – tra l'altro, per scongiurare l'eventualità rispetto alla quale si vuole introdurre questa misura, basta qualche riga di motivazione per richiamare il giudicato cautelare – rischia in realtà di sacrificare davvero troppo, per un'esigenza che, rispetto al modo in cui la si vuole risolvere, ci pare scarsamente significativa.
  Ci pare che la previsione attuale, non casualmente costruita in questo modo, offra invece uno spazio adeguato al ripensamento continuo, fermi i limiti del giudicato cautelare, sulla necessità della cautela, anche, ma non necessariamente, rispetto a fatti nuovi. C’è quindi anche la possibilità di riconsiderare fatti originari.
  Naturalmente concordiamo con la necessità d'integrare l'articolo 274 del codice di procedura penale, nel senso generale suggerito dal comma 1-bis, di cui si propone l'introduzione con l'articolo 3. Facciamo rilevare una formulazione che potrebbe prestare il fianco a qualche ambiguità, e quindi a qualche inconveniente. Nella prima parte del comma 1-bis, il pericolo di fuga viene espressamente collegato soltanto alla gravità del reato imputato. Letteralmente si afferma che «la sussistenza della situazione di pericolo non può essere desunta esclusivamente dalla gravità del reato imputato». Nella parte successiva del comma 1-bis, il pericolo connesso al rischio di reiterazione viene invece collegato espressamente alle modalità del fatto.
  Il rischio che vogliamo segnalare, e rispetto al quale proponiamo una formulazione che comprenda contemporaneamente tanto la lettera b) quanto la lettera c), è che il riferimento esclusivo alla gravità del titolo non finisca implicitamente per legittimare una motivazione sul pericolo di fuga che si fondi esclusivamente sulle modalità del fatto contestato e non su elementi fattuali ulteriori. Sarebbe forse più opportuno costruire un riferimento congiunto a gravità del titolo di reato e a comportamenti ulteriori, esattamente come si è fatto per il pericolo di reiterazione del reato.
  Della necessità di un superamento radicale dei meccanismi presuntivi ha già parlato il presidente Spigarelli. Dal punto di vista operativo, i suggerimenti sono ampiamente illustrati nella tavola sinottica.
  Aggiungo che ci sembra importante anche intervenire in senso abrogativo sul comma 1-ter dell'articolo 276 del codice di procedura penale, cioè sulla norma che, anche qui con un automatismo che prescinde da una verifica caso per caso della necessità del ripristino, prevede automaticamente il ripristino della custodia cautelare in caso di violazione delle prescrizioni attinenti agli arresti domiciliari.
  Come abbiamo detto più volte, ci convince poco quella che è stata efficacemente definita «l'aritmetica degli aggettivi», ossia l'idea che l'abuso della custodia cautelare possa essere risolto con interventi lessicali. Il problema è diverso. Oltre a irrigidire e rendere più rigorosa la motivazione, con un intervento mirato sull'articolo 292 del codice di procedura penale, di cui parlava il presidente Spigarelli, che non consenta la riproposizione pedissequa delle argomentazioni, senza un filtro e un vaglio effettivo da parte del giudice, ci sembra fondamentale anche ricalibrare il ruolo di controllo del tribunale del riesame, per farne, al contrario di quanto avviene oggi, un giudice che si occupi autenticamente soltanto della validità del provvedimento Pag. 11applicativo, sotto il profilo della completezza della motivazione rispetto ai dati probatori disponibili, e sotto il profilo della logicità della motivazione stessa, senza nessuno spazio per poteri sostitutivi o integrativi. È in questo senso che vanno le modifiche che suggeriamo a proposito dell'articolo 309 del codice di procedura penale.
  È inutile dire che una ricostruzione in questo senso delle dinamiche del controllo del tribunale del riesame, dal punto di vista sistematico, si traduce inevitabilmente in un rafforzamento degli oneri argomentativi e di motivazione dell'ordinanza applicativa. Si presume infatti che, nel momento in cui si sa di non poter più contare su forme di compensazione successive all'applicazione della custodia, il tribunale diventerà ancora più rigoroso.
  Sempre a proposito del procedimento di riesame, secondo noi, dato che il sistema spinge in questo senso, tutto dovrebbe realizzarsi in un contesto a garanzie ampliate, con la previsione espressa del diritto dell'imputato di partecipare personalmente e sempre all'udienza camerale. Anche in questo senso suggeriamo un'integrazione del menzionato articolo 309.
  Suggeriamo ad esempio, ma per ragioni di brevità non posso che andare velocemente, alcune innovazioni in materia di ricorso per Cassazione, come quella che, in deroga alla regola generale sull'annullamento con rinvio delle ordinanze, imporrebbe la variazione in caso di rinvio del giudice monocratico o del giudice collegiale. Anche su questo punto rinvio allo scritto.
  In conclusione, al di là di marginali, ma comunque significative proposte di correzione del testo che è al vostro esame, ci sembra che tutte le integrazioni che suggeriamo, lungi dallo stravolgere o dal modificare geneticamente la proposta, traducano in termini coerenti e rendano, per certi versi, più efficaci, oltre che più consoni alla drammaticità della situazione, i propositi riformatori.
  Se posso aggiungo due parole sulla proposta di legge C. 980, visto che anche questa è all'esame. La proposta, come quella della passata legislatura da cui prende le mosse, ha una sua perentoria e ineccepibile coerenza, che ci trova d'accordo, anche perché è sulla lettera c) dell'articolo 274 del codice di procedura penale e sul pericolo di reiterazione che si annida la quota più significativa di abusi della custodia. Su quel tipo di impianto, che naturalmente è difficilmente compatibile con l'altro, di matrice più riformatrice, ho poco da dire. Sui limiti edittali, sull'ordinanza applicativa e sul procedimento di riesame, vorrei solo suggerire integrazioni analoghe a quelle riguardanti la proposta di legge C. 631, che sono perfettamente compatibili con la proposta C. 980.
  Nello stesso senso che abbiamo già suggerito, anche in questo caso sarebbe forse opportuna un'integrazione della lettera b) del citato articolo 274 in tema di attualità del pericolo di fuga.
  L'unica perplessità che abbiamo riguarda le previsioni della proposta a proposito degli arresti domiciliari, e cioè i meccanismi in base ai quali la regola generale invertita – di inapplicabilità della custodia cautelare, se non in casi eccezionali, e di applicabilità ordinaria degli arresti domiciliari – può essere derogata a favore del ripristino della custodia. Mi riferisco in particolare al testo dell'ultimo periodo del comma 3-bis dell'articolo 275 del codice di procedura penale, introdotto dall'articolo 1 della proposta, nella parte in cui si afferma che «la custodia è in ogni caso applicabile ove il giudice non possa concedere gli arresti domiciliari per assenza d'idonea dimora privata, o per una delle ragioni indicate nell'articolo 284, comma 5-bis», e, per analoghe ragioni, all'articolo 2, comma 1, lettera b), della proposta nella parte in cui, novellando l'articolo 284 del codice di procedura penale, esclude che possano essere concessi gli arresti domiciliari, «qualora il soggetto sottoposto alle indagini o l'imputato coabiti con la persona offesa». Ci sembrano previsioni in contraddizione con l'impianto generale, che giustamente tende a limitare a casi eccezionali l'applicazione Pag. 12dalla custodia. Questa previsione è inopportuna, perché eccessivamente rigida.
  Non si può dire che si applica necessariamente la custodia nei casi in cui l'imputato non metta a disposizione una dimora idonea. È necessario dare al giudice la possibilità di verificare caso per caso, ed eventualmente, per evitare conseguenze discriminatorie, nel caso in cui quest'eventualità non sia immediatamente segnalabile dall'imputato, di cercare soluzioni alternative. Allo stesso modo, fare un riferimento secco e rigido alla semplice coabitazione con la persona offesa, senza vagliare il tipo di reato per cui si procede né la disponibilità di un locale altrettanto idoneo dove stare agli arresti domiciliari, ci sembra eccessivamente rigida.
  Per il resto rinvio alle note. Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. La ringrazio, avvocato Pinna.
  Questa è la prima audizione che facciamo di questo percorso. Concluderemo la prossima settimana, perché questo è uno dei provvedimenti che erano già in priorità da giugno, e ovviamente ha avuto una piccola battuta d'arresto per interventi urgenti.
  Dato che entrambi avete fatto riferimento a interventi sistematici riguardanti il tema delle droghe, vorrei informare sia l'Associazione nazionale magistrati che l'Unione delle camere penali che questa norma è stata inserita qui dentro proprio in relazione alla questione del sovraffollamento delle carceri, perlomeno da chi ha redatto la proposta – ne parlo perché ne sono la prima firmataria. Tuttavia, la Commissione ha in calendario una proposta organica e autonoma d'intervento sulla normativa relativa agli stupefacenti.
  Ringrazio l'Associazione nazionale magistrati e l'Unione delle camere penali e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.05.