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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Martedì 12 novembre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 957 MICILLO E C. 342 REALACCI, RECANTI DISPOSIZIONI IN MATERIA DI DELITTI CONTRO L'AMBIENTE E L'AZIONE DI RISARCIMENTO DEL DANNO AMBIENTALE, NONCHÉ DELEGA AL GOVERNO PER IL COORDINAMENTO DELLE DISPOSIZIONI RIGUARDANTI GLI ILLECITI IN MATERIA AMBIENTALE

Audizione del Procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, e del professore Carlo Piergallini, ordinario di diritto penale presso l'Università di Macerata.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Roberti Franco , Procuratore nazionale antimafia ... 3 
Pennisi Roberto  ... 6 
Ferranti Donatella , Presidente ... 9 
Piergallini Carlo , Ordinario di diritto penale presso l'Università di Macerata ... 9 
Ferranti Donatella , Presidente ... 11 
Micillo Salvatore (M5S)  ... 11 
Bazoli Alfredo (PD)  ... 11 
Colletti Andrea (M5S)  ... 12 
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 
Roberti Franco , Procuratore nazionale antimafia ... 12 
Piergallini Carlo , Ordinario di diritto penale presso l'Università di Macerata ... 13 
Ferranti Donatella , Presidente ... 14

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 14.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, e del professore Carlo Piergallini, ordinario di diritto penale presso l'Università di Macerata.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame delle proposte di legge C. 957 Micillo e C. 342 Realacci, recanti disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente e l'azione di risarcimento del danno ambientale, nonché delega al Governo per il coordinamento delle disposizioni riguardanti gli illeciti in materia ambientale, del procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, e del professore Carlo Piergallini, ordinario di diritto penale presso l'Università di Macerata.
  Non siamo nella nostra consueta aula proprio perché qui possiamo garantire la completa pubblicità dei lavori della seduta.
  Il dottor Roberti, alla sua prima visita in Commissione giustizia nella sua qualità di procuratore nazionale antimafia, è accompagnato dal dottor Roberto Pennisi, sostituto procuratore nazionale antimafia.
  Do la parola al dottor Roberti.

  FRANCO ROBERTI, Procuratore nazionale antimafia. Buongiorno a tutti. Vi ringrazio dell'invito. Utilizzerò i 10 minuti a mia disposizione per dei cenni di inquadramento generale della tematica oggi alla nostra attenzione, per la quale avete deciso di consultarci, per cedere poi la parola al dottor Roberto Pennisi, collega che nella procura nazionale antimafia si occupa specificamente del tema delle ecomafie, quella che noi chiamiamo materia di interesse ecomafia e, più in generale, della criminalità ambientale. Il collega Pennisi si occuperà del commento più specifico alle norme.
  Credo che sia utile inquadrare, anzitutto, il ruolo della Direzione nazionale antimafia in questa materia di contrasto alla criminalità organizzata mafiosa e non mafiosa, e quindi in particolare il tema del contrasto al reato di cui all'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006, cioè il reato di traffico illecito di rifiuti in forma organizzata.
  Questo è l'unico reato di competenza della Direzione nazionale antimafia in quanto dal 2010 è stato inserito nel catalogo dei reati mafiosi di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale. Assegnato nel 2010, a seguito del piano razionale contro le mafie, alle direzioni distrettuali antimafia questo reato, ne consegue che la procura nazionale antimafia è chiamata a svolgere i suoi compiti di coordinamento e di impulso investigativo ex articolo 371-bis del codice di procedura penale, ciò che la procura nazionale di mafia sta esattamente facendo a partire dal 2011, da due anni.
  Nel 2011, abbiamo cominciato ad attrezzarci e a organizzarci, creando appunto questo polo di interesse dei reati ambientali. Nel 2012, abbiamo sottoscritto Pag. 4con il Corpo forestale dello Stato un protocollo di intesa, a seguito del quale disponiamo di un contingente di rappresentanti del Corpo forestale dello Stato distaccato presso la procura nazionale antimafia per le attività di analisi ed elaborazione dei dati nella materia dei reati ambientali.
  Da qualche mese, in particolare dal 28 settembre 2013, è stato costituito un gruppo di lavoro specialistico all'interno della procura nazionale diretto dal collega Pennisi e composto da personale del Corpo forestale dello Stato, che procede all'elaborazione di dati, notizie e informazioni di cui dispone la procura nazionale antimafia nella propria banca dati, che nel caso di specie sono attinti anche dalle procure ordinarie.
  Chiediamo, cioè, alle procure ordinarie – lo abbiamo fatto per tutte le procure e finora abbiamo ricevuto la risposta da una cinquantina di procure ordinarie – le iscrizioni per quelli che chiamiamo i «reati spia», in particolare i reati di cui agli articoli 256 e 259 del testo unico ambientale, cioè gestione e traffico illecito di rifiuti non in forma organizzata.
  Questi reati spia ci servono per verificare dove sono dislocate queste attività delittuose di competenza ordinaria e se esistano ricorrenze, cioè se per esempio un determinato soggetto abbia commesso uno di questi reati spia in più parti del territorio nazionale. I dati e le eventuali ricorrenze reperite, uniti ai dati antimafia, che teniamo già nella nostra banca dati nazionale, ci hanno consentito finora di enucleare, su 9.030 soggetti fisici su abbiamo condotto le ricerche in base ai dati nazionali, 180 ricorrenze significative. Di queste, ne abbiamo ad esempio enucleate 10 relative a soggetti iscritti per i reati spia presso più procure ordinarie. Si tratta, inoltre, di soggetti indicati come sospetti di agganci mafiosi, per intenderci, nella nostra base dati nazionale.
  Quest'elaborazione ci consente di ipotizzare l'esistenza di una conduzione in forma organizzata del reato di traffico di rifiuti, cioè un articolo 260, del quale investire la procura distrettuale competente. Questa è la nostra funzione di impulso.
  Sempre, però, studiando e analizzando questi dati, ci siamo resi conto di in un altro fenomeno a nostro avviso molto importante e su cui è importante che riflettano anche questa Commissione e il Parlamento. Quello di cui all'articolo 260, cioè il traffico organizzato di rifiuti, è sempre più un reato di criminalità organizzata di impresa e sempre meno un reato di tipo mafioso. Il dato va rilevato, con riferimento al progetto Micillo che, all'articolo 1 prevede quella forma aggravata di 416-bis. Si tratta di una notizia reperita dai dati oggettivi ricavati dal nostro sistema. Citerò solo un esempio.
  Dal 1 luglio 2012 al 30 giugno 2013 abbiamo riscontrato in tutte e 26 le procure distrettuali iscrizioni per il reato di cui all'articolo 260 in numero di 123. Di queste, solo 4 recano l'aggravante mafiosa di cui all'articolo 7 della legge n. 203 del 1991, non così tutte le altre. Questo significa che si ipotizza che si tratti di delitti in forma organizzata di smaltimento, ma non ascrivibili alle organizzazioni mafiose.
  È, altresì, sintomatico che queste 4 iscrizioni si rinvengano, nell'ordine, presso le DDA di Bologna, di Campobasso, di Catania e di Napoli, per cui non ci sono iscrizioni per 260 aggravato dalla mafiosità né a Palermo, né a Reggio Calabria, né a Milano, dove le più recenti indagini hanno dimostrato la presenza di consistenti e agguerrite formazioni di ’ndrangheta calabrese. Questo dato deve far riflettere molto, appunto, sull'ipotesi a mio avviso superata dall'attuale fenomenologia criminale, che sia cioè la criminalità mafiosa a gestire questi pur gravissimi traffici illeciti organizzati di rifiuti.
  Bisogna, dunque, a nostro giudizio valutare questa circostanza, così come andrebbero valutati altri aspetti, tra cui il fatto che le organizzazioni criminali di stampo mafioso non solo non gestiscono più, almeno per la maggior parte, questi traffici, ma sono state costrette addirittura a delocalizzarsi, ad allontanarsi dal loro Pag. 5territorio di origine per continuare, in qualche modo, a stare nell'affare, nel business.
  Alcune indagini lo dimostrano. Un'indagine dell'anno scorso della procura distrettuale di Firenze, ad esempio, riguarda soggetti di camorra appartenenti al clan Birra-Iacomino di Ercolano, i quali si sono delocalizzati a Prato e hanno stretto un accordo societario con soggetti produttori di rifiuti pratesi per smaltire in Toscana, sicuramente con traffici transfrontalieri. Potrebbero smaltire anche in altre parti del nostro territorio nazionale e non più in Campania e si sono delocalizzati proprio perché in Campania forse in questo momento c’è grande pressione investigativa ed è più difficile che altrove smaltire illegalmente. Questo è un altro profilo che riguarda l'incidenza della criminalità di tipo mafioso in queste forme di criminalità.
  Veniamo a qualche altra osservazione per poi cedere la parola al collega Pennisi sui progetti di legge. Vi ho già espresso le nostre perplessità in ordine alla forma aggravata di delitto di associazione ecomafiosa, di associazioni di tipo mafioso dirette a reati contro l'ambiente, ma vi è una notazione ancora più di fondo che riguarda certe scelte. Naturalmente, il Parlamento è libero di fare quello che vuole, ma noi abbiamo il dovere di segnalare le nostre perplessità in ordine alla scelta di calare le due fattispecie di reato previste sia dal progetto Realacci sia dal progetto Micillo, nel codice penale.
  Signori della Commissione, il codice penale Rocco ha 83 anni li dimostra tutti. Calare, con un'operazione di chirurgia estetica, all'interno di questo corpo vecchio ipotesi di reato nuove è probabilmente un'operazione difficile e che può produrre, come segnalato nel dossier del vostro servizio studi e che avete avuto la cortesia di mandarmi, grosse problematiche, soprattutto per gli interpreti.
  A un certo punto, infatti, a proposito della delega al Governo prevista dall'articolo 6 del progetto Micillo, si osserva che «l'entrata in vigore delle nuove disposizioni penali prima della ricognizione e del coordinamento delle fattispecie penali vigenti determina in relazione a molteplici condotte un concorso di norme penali. La parallela vigenza di condotte punite a titolo di contravvenzione (contenute nel codice dell'ambiente) – decreto legislativo n. 152 del 2006 – con i delitti introdotti nel codice penale potrebbe risolversi a scapito delle fattispecie più gravi, in ossequio al principio del favor rei e produrre una inefficacia delle nuove disposizioni».
  Ci domandiamo se non sarebbe più semplice inserire queste nuove norme, che non c’è alcun dubbio siano necessarie, nel codice dell'ambiente già vigente dal 2006, un testo normativo già molto buono e ancora debole per quanto riguarda proprio le fattispecie sanzionatorie.
  Le contravvenzioni debbono essere superate, secondo noi, con previsioni di delitto perseguibili ovviamente d'ufficio e, possibilmente, anche con una previsione di giudizio direttissimo nel caso di arresto obbligatorio in flagranza. Si può, però, benissimo inserire queste norme nel codice ambientale senza avere bisogno di delegare il Governo a quest'opera di ricognizione e di compatibilità e di verifica della compatibilità delle norme vecchie con le nuove, compatibilità a nostro modestissimo avviso piuttosto problematica.
  Certamente, ci permettiamo di segnalare, visto che si vuole porre mano a questo contesto normativo, anche la necessità di superare certe incongruenze che in questa materia caratterizzano la normativa processuale, come i limiti ancora sussistenti per le indagini in materia di articolo 260 in tema di intercettazioni telefoniche e ambientali, di termini di custodia cautelare, di termini per le indagini, cioè tutto quello che fa ancora parte, per quanto riguarda questi dati, pur di competenza distrettuale, ancora della competenza delle procure ordinarie. Sarebbe necessario un adeguamento.
  Allo stesso modo, da ultimo, ancora una volta segnalato nella dossier del vostro servizio studi, mi trova perfettamente d'accordo il punto indicato come rispetto dei princìpi costituzionali. Si evidenzia l'esigenza di valutare le norme, in particolare Pag. 6quelle degli articoli che si vuole introdurre, 452-bis, -quater, -septies e -octies, alla luce del principio di legalità, offensività e tassatività, che sono princìpi costituzionali. Anche a nostro sommesso avviso, infatti, queste norme presentano un difetto di tassatività, di offensività e di rispetto del principio di legalità.
  Si richiama, ancora, l'articolo 452-ter del progetto Micillo nella parte in cui impedisce al giudice di valutare qualsiasi circostanza attenuante. Questa è una norma che, verosimilmente, non sfuggirebbe al sindacato della Corte costituzionale.
  Credo di aver esaurito il mio tempo. Vi ringrazio e, col permesso del presidente, cederei la parola al collega Pennisi.

  ROBERTO PENNISI, Sostituto procuratore nazionale antimafia. Buongiorno a tutti. Sarò brevissimo. Dopo l'introduzione del procuratore nazionale e le sue osservazioni, infatti, penso che, almeno per ciò che riguarda il nostro punto di vista, vada aggiunto ben poco.
  Per dire la verità, questa giornata è segnata dalle notizie che arrivano dal napoletano. Proprio questa mattina, il Corpo forestale dello Stato ha proceduto al sequestro di 300 pozzi irrigui e 15 fondi agricoli ubicati in agro del comune di Caivano, comune non nuovo dal punto di vista delle notizie che riguardano l'ambiente e le offese all'ambiente, per una superficie totale di 43 ettari di terreno che, purtroppo, proprio in questo momento erano oggetto di coltivazione di cavolfiori, broccoli, verza, finocchi, cicoria, zucchine, la cui raccolta era imminente o addirittura in atto.
  All'interno di questi pozzi sono state rinvenute acque contaminate con manganese sino a oltre 20 volte il limite normativo, fluoruri sino a oltre il doppio del limite normativo, solfati, arsenico e quant'altro.
  Già a sentire questo tipo di contaminazioni, il collegamento tra attività svoltesi in passato e quanto rinvenuto sembra quasi immediato e diretto, ma frutto di attività svoltesi appunto nel passato. Se è vero, infatti, che ciò si è verificato, significa che si tratta di condotte sviluppatesi soprattutto nel ventennio peggiore della storia del territorio napoletano, quello degli anni Ottanta e Novanta, in cui si sono sversati quantitativi immensi e impressionanti di rifiuti di ogni tipo.
  Ciò premesso, faccio presente che si procede per il delitto previsto dall'articolo 439 del codice penale, in riferimento al quale nei progetti di legge, se non mi è sfuggito qualcosa, non c’è alcun accenno. Peraltro, mi risulta che siano in corso di preparazione delle proposte di legge che fanno riferimento all'articolo 439 del codice penale: l'aggiornamento con uno specifico riferimento a questo tipo di attività non sarebbe male.
  Dal punto di vista generale, mi preme sottolineare che tutte queste nuove norme, il cui contenuto è opportunissimo, soprattutto nella misura in cui si prevedono delitti e non contravvenzioni, recano il numero dell'articolo 452 e seguenti del codice penale – mi pare si arrivi a undecies o duodecies – ma tale articolo, dopo cui si inseriscono tutti questi altri 452, a leggere il codice penale riguarda delitti colposi contro la salute pubblica.
  Ora, cosa abbiano a che vedere queste nuove disposizioni di legge con i delitti colposi contro la salute pubblica è una domanda che mi pongo, soprattutto se, leggendo quella che, se mi è consentito, definirei un'ottima legge, il decreto legislativo n. 152 del 2006, il testo unico ambientale, come normalmente si dice, vi sono norme assolutamente corrispondenti a quelle previste dai due disegni di legge dei quali oggi qui si tratta.
  A mio modesto avviso, dunque, anzi, se posso dirlo, a nostro modesto avviso, si tratterebbe solo di modificare le norme contenute nel testo unico ambientale alla luce delle innovazioni che opportunamente eventuali altri disegni di legge contengono, in modo da rendere più efficace l'azione di contrasto di questo tipo di condotte penalmente antigiuridiche che non esiterei a definire delittuose. Con ciò intendo sottolineare come più che opportuna sia la trasformazione di numerose Pag. 7condotte penalmente antigiuridiche oggi qualificate come contravvenzioni in delitti.
  Venendo più allo specifico, ma velocissimamente, già il signor procuratore nazionale antimafia notava che ci rendiamo conto di quale sia la istanza alla base della modifica legislativa dell'articolo 416-bis del codice penale con 416-bis.1, che leggo nella proposta di legge C. 957, ma ci domandiamo se non sarebbe più semplice, come da tanto tempo si dice, introdurre nel nostro sistema penale un'aggravante ambientale, cioè una circostanza aggravante per tutti i reati previsti dal codice penale e dalle leggi speciali quando la condotta consiste in un attacco all'ambiente.
  A scopo solo di esercitazione, non dico per passatempo, un giorno in cui i magistrati potrebbero trovarsi una circostanza aggravante che suoni, ad esempio, «quando il fatto è commesso allo scopo di eseguire uno o più reati previsti dal decreto legislativo n. 152 del 2006 o da altra legge che tutela l'ambiente, ovvero – questo è molto importante – se dal fatto deriva la violazione di una o più norme previste dal decreto legislativo n. 152 del 2006 o da altra legge che tutela l'ambiente: nel primo caso, la pena è aumentata da un terzo alla metà o a due terzi; nel secondo, di un terzo».
  Nel primo caso, infatti, verseremmo in un caso di nesso teleologico; nell'altro, ci troveremmo, invece, in un'altra situazione penalmente rilevante, certamente meno grave della precedente. Andrebbe previsto, in ogni caso, qualunque sia il tipo di reato, ove dovesse scattare e configurarsi l'aggravante ambientale, la procedibilità d'ufficio di tutte le condotte costituenti reato nel caso in cui si trattasse di un reato procedibile.
  L'inserimento nel codice penale lascia sorgere delle perplessità. Vedremo tra un attimo come ognuna di queste norme potrebbe trovare la collocazione opportuna nel testo unico ambientale, ovviamente prevedendole tutte come delitti e riservando alla parte finale della specifica disposizione di legge che prevede le condotte l'ipotesi colposa. Servirebbe anche per semplificare la possibilità di applicare.
  Ormai dai circa trent'anni siamo abituati a trattare tutto ciò che è speciale rispetto alle norme del codice penale. Non siamo più abituati a vedere la legislazione speciale che nasce dopo l'introduzione della Costituzione repubblicana nel codice penale.
  Pensate che i reati più ricorrentemente consumati in tutto il territorio nazionale sono quelli in tema di stupefacenti e i magistrati non applicano le norme previste dal codice penale. Fin dalla legge 22 dicembre 1975, n. 685, poi modificata nel 1990, siamo abituati a trattare le condotte penalmente antigiuridiche speciali, che cioè non conoscevamo come contenute nel codice penale, in norme diverse e le cerchiamo lì.
  Ci troveremmo in difficoltà ad applicare norme di questo tipo rinvenendole nel codice penale, così come invece, per nostra abitudine, troviamo tutte le norme che attengono al rito nel codice di procedura penale. Tutte le intercettazioni telefoniche in materia di delitti di criminalità mafiosa sono rette, ad esempio, da una norma che non è nel codice di procedura penale, ma nel decreto-legge n. 152 del 1991, articolo 13, che disciplina le modalità di espletamento e i casi in cui si possono espletare le intercettazioni per i delitti di criminalità organizzata.
  Queste norme non sono contenute negli articoli 266 e seguenti del codice di procedura penale, cui peraltro quell'articolo 13 rinvia. Questa mia notazione è riferita alla circostanza per cui da tanto tempo le procure distrettuali attendono una modifica che consenta la possibilità di utilizzare la normativa speciale in materia di intercettazioni telefoniche anche per il delitto, allo stato l'unico, ambientale, previsto all'articolo 260. La attendono da tanto tempo, ma ancora non l'hanno avuta.
  Bisogna porre attenzione perché quelle relative al delitto di attività organizzata finalizzata al traffico dei rifiuti, ove non sia stata configurata l'ipotesi associativa, sia semplice sia normale, sono indagini di Pag. 8criminalità comune, non di criminalità organizzata, e valgono le regole previste per le indagini normali.
  Non si possono, ad esempio, effettuare le intercettazioni ambientali se l'attività delittuosa non si consuma nel luogo ove si espleta l'attività di intercettazione. Questa è una vanificazione per un reato così complesso, mentre il legislatore, cui probabilmente questo dato è sfuggito, ha previsto la possibilità di effettuare le operazioni sotto copertura per il delitto previsto all'articolo 260.
  L'attività sotto copertura senza la possibilità di fare l'intercettazione ambientale in un luogo anche diverso da quello in cui si sta consumando il reato è, però, un non senso. Non mi risulta ancora, peraltro, che sia stata svolta un'attività sotto copertura con riferimento a indagini relative al delitto previsto all'articolo 260. Ribadisco che si tratta di strumenti più sofisticati di indagine estremamente opportuni, soprattutto quando il delitto di attività organizzata finalizzata al traffico illecito dei rifiuti, come evidenziava il signor procuratore nazionale, ormai sfugge alla criminalità mafiosa ed è diventato lo strumento di un altro tipo di criminalità. Tutto questo, quindi, fa sì che non ci saranno più indagini relative al 260 associate a indagini per il delitto previsto dall'articolo 416-bis e non ce saranno più per il delitto previsto dall'articolo 260 con l'aggravante dell'articolo 7, che consentirebbe la possibilità di operare gli strumenti delle investigazioni antimafia.
  Il procuratore faceva riferimento anche ad altri piccoli inconvenienti oltre al sistema delle intercettazioni telefoniche, come la durata delle indagini preliminari per il 260, un reato estremamente e giustamente complesso, ma la cui durata delle relative indagini, appunto, è 6 mesi. Ci sono, inoltre, i termini della custodia cautelare e le cause della loro sospensione.
  Non è possibile per il 260, ancora, effettuare il sequestro preventivo ai sensi dell'articolo 12-sexies della legge n. 356 del 1992, che è diventato uno dei più formidabili strumenti di contrasto della criminalità, in questo caso quella ambientale. Il delitto previsto all'articolo 260 è di competenza del giudice monocratico, non del giudice collegiale
  Una fattispecie complessa – basta leggere il testo della norma – forse richiederebbe che a conoscere e a giudicare su questo tipo di condotta sia l'organo collegiale. Significherà qualcosa il mancato inserimento dell'unico delitto ambientale tra quelli a corsia privilegiata, intendendosi per corsia privilegiata la precedenza che si dà nella trattazione dei reati e dei processi, nei tribunali. Si tratta di un processo, quindi, posto dietro tanti altri per fatti meno gravi.
  Si tratta di tante «piccole» misure che i magistrati attendono, certamente non per trovare tutto questo tipo di reati nel codice penale. Non è questo il modo di risolvere il problema. Il 452-bis della proposta C. 957 potrà trovare agevolmente casa di abitazione nell'articolo 257 del testo unico ambientale. Non conosciamo il reato di disastro ambientale: opportunamente, il disegno di legge lo prevede, ma va descritto. Mi permetto di suggerire che la descrizione del disastro ambientale è contenuta nel secondo comma dell'articolo 452-ter del disegno.
  Non lasciate troppo spazio all'ampia discrezionalità del giudice, ciò che farebbe nascere problemi interpretativi e diversità di applicazione delle norme penali, di quelli che si verificano quando è indeterminata la condotta descritta dalla norma incriminatrice.
  Basterebbe descrivere la condotta del disastro ambientale secondo quanto è specificato nel secondo comma. Chi lo ha redatto, infatti, altro non ha fatto, opportunamente, che esaminare la giurisprudenza della Cassazione e dei giudici di merito maturata sotto l'egida del reato previsto all'articolo 434, che ancora si continua a utilizzare con grandissima difficoltà visto che prevede ben altra e diversa condotta e c’è solo il riferimento al termine «disastro». È maturata, però, appunto una validissima giurisprudenza che il nuovo legislatore ha recepito. Sia questa la condotta del reato di disastro ambientale.Pag. 9
  Nel 452-septies, traffico di rifiuti, il termine «traffico» fa pensare a qualcosa di strutturato anche se non organizzato. Davanti alle condotte di acquisto, gestione e vendita di stupefacenti, non parliamo affatto di traffico. Per traffico di stupefacenti, signor presidente, intendiamo altro. Lo stesso accade per il traffico dei rifiuti. Perché, quindi, utilizzare questo termine contenuto nell'articolo 452-septies se già gli articoli 256 e 259 del testo unico ambientale descrivono le condotte illecite di gestione dei rifiuti e di spedizione illegale dei rifiuti ? Avremmo tutto l'occorrente per modificare opportunamente norme già esistenti e che per di più i magistrati italiani sono abituati ad applicare.
  Infine, l'articolo 255 del testo unico ambientale prevede la discarica abusiva: forse aggiungere un 255-bis, che serva a reprimere le condotte consistenti nell'appiccare il fuoco ai rifiuti scaricati abusivamente, visto che da tanto tempo si parla della Terra dei fuochi, non sarebbe inopportuno.

  PRESIDENTE. vi ringrazio per l'approfondimento e anche per il completamento dell'audizione del procuratore nazionale.
  Prima di passare al dibattito, darei la parola al professor Carlo Piergallini, ordinario di diritto penale presso l'università di Macerata, che abbiamo chiamato soprattutto con riferimento al decreto legislativo n. 231 del 2001 perché fu tra coloro che vi lavorarono. Ovviamente, però, siamo qui anche per avere sue eventuali osservazioni sull'impianto di entrambe le proposte.

  CARLO PIERGALLINI, Ordinario di diritto penale presso l'Università di Macerata. Ringrazio l'onorevole Ferranti per quest'invito. Conterrò il mio intervento nei 10 minuti che mi sono stati assegnati.
  Proprio ascoltando chi mi ha preceduto, gli stimoli sono tanti, ma cercherò di essere molto sintetico. Sono un accademico, ma l'Accademia ha ormai un peso specifico molto relativo anche nel rapporto con l'attività parlamentare, forse perché a volte da parte nostra c’è anche la tendenza a interferire con le scelte politiche e non credo che questo sia il nostro compito. Il nostro è un compito di esclusiva razionalità valutativa, cioè di verificare se una decisione politica può cozzare o meno e, se lo fa, in che modo rispetto ai princìpi costituzionali che governano un diritto penale liberale e democratico. A questo, dunque, mi atterrò poiché anticipo subito che non mi interessa la sede, sia essa il codice penale o il codice dell'ambiente, ma di questa riforma andrò alla sostanza.
  Entrambi questi disegni di legge hanno una filosofia diversa. Quello dell'ambiente è un codice incentrato su reati di pericolo astratto, di smaltimento, scarico e via discorrendo, senza autorizzazione, in violazione delle autorizzazioni e con violazione dei limiti tabellari, che sono limiti ultraprecauzionali, ossia sono stabiliti da agenzia scientifiche, a una distanza siderale dall'offesa rispetto al bene giuridico. Quasi sempre, infatti, le condotte che determinano o possono determinare inquinamenti sono seriali, mai isolate, frutto cioè di scarichi che si sommano tra di loro. Lasciamo perdere, benché importantissime, le emergenze criminali, ma fisiologicamente i reati ambientali sono a condotta seriale.
  Il sistema contravvenzionale punisce reati di pericolo astratto dotati di una formidabile semplificazione probatoria. Il giudice deve solo accertare se c'era un'autorizzazione, se è stata rispettata, se è stato violato un limite tabellare o meno. Non deve appurare il danno.
  I reati, invece, proposti con questi due disegni di legge sono un po’ un leit Motiv anche delle precedenti legislature e puntano a incanalare il sistema penale nella materia dell'ambiente verso reati di pericolo o di danno al bene giuridico dell'ambiente. È una scelta fatta anche da altri Paesi europei nell'ambito del codice penale e direi l'esperienza più paradigmatica – passatemi questa brutta espressione – è quella del codice penale tedesco, molto suggestiva, rispetto alla quale occorre riflettere, Pag. 10più che sulla sede dunque, se codice penale o altro, che francamente non mi interessa.
  La questione non è se il codice Rocco sia vecchio. È un codice che abbiamo. Sono ideologicamente molto contrario a quell'esperienza, come è ovvio, ma è stato scritto da mani raffinatissime. Non osso neppure avvicinarmi a chi lo ha scritto. Se penso a qualche giurista dell'epoca, come Grispigni, mi nascondo sotto al tavolo. Non ne faccio un problema di sede. Il problema è un altro e siccome ho anticipato che parlerò del rapporto coi princìpi costituzionali, pongo sul tappeto tre problemi: quello di struttura delle fattispecie e di loro provabilità, la prova, l'accertamento di questi reati di pericolo o di danno; quello di struttura delle sanzioni; quello dei criteri di attribuzione della responsabilità.
  Si tratta di reati di danno o di pericolo. Non scopro nulla. In Germania, dove questi reati sono configurati ormai da diversi anni, credo che non si siano celebrati più di dieci processi. Soprattutto, quelli che si sono celebrati erano a carico di soggetti singoli per scarichi non industriali, ma del tutto eccezionali. La ragione è che hanno difficoltà di provare il nesso di causalità.
  Come si prova la causalità tra la condotta e il pericolo di deterioramento o, addirittura, il deterioramento dell'ambiente, tra la singola condotta o la convergenza delle condotte ? Qui la causalità ha due facce: l'evento può essere frutto di una causalità cosiddetta sinergica, 1+1+1=3, ma potrebbe anche essere figlio di una causalità interattiva, 1+1+1=5, nel senso che la combinazione delle sostanze, per cause scientifiche che la scienza ancora non conosce, quindi oscure, black box causale, rilascia un evento di dimensioni completamente diverse rispetto a quella che poteva essere immaginata come la sommatoria dei singoli scarichi, da cui le difficoltà di prova di questi reati.
  Ripeto che in Germania le sentenze sono state pochissime. Dico, però, anche onestamente che in Germania esiste anche lo strumento dell'archiviazione condizionale. Si tratta di un principio di obbligatorietà attenuato, per cui spesso i pubblici ministeri, non potendo provare questi reati – passatemi il termine – trattano con gli indagati, i quali si impegnano a condotte comunque riparatorie e chiedono al giudice l'archiviazione condizionata. Non è una sentenza di condanna. Pensate che fu posta a base del famoso processo per il farmaco talidomide negli anni Settanta, che si concluse con un'archiviazione condizionata. Non potevano, infatti, provare la causalità.
  Esiste, dunque, il problema di prova della causalità, che – attenzione – è un problema di provabilità, come ci insegna la Corte costituzionale già nel 1981 con la sentenza sul plagio: non importa che un reato sia intellegibile, deve essere anche provabile.
  Il rischio, a mio avviso, è che il vero somministratore della tipicità di queste norme sia il giudice penale. Sono stato magistrato per 16 anni, quindi non sono sospetto di antipatie verso la categoria, ma non amo il governo del giudice penale, al quale non mi sentirei di affidare il governo di un settore così delicato come quello alla materia ambientale.
  Procedendo veramente per saltum, rilevo un qualche gigantismo sanzionatorio figlio del deficit di tipicità di queste norme. In alcune cornici edittali, leggo pene da 3 a 20 anni. C’è troppa divaricazione, figlia di quell'indeterminatezza. Ricordo anche qui una sentenza della Corte costituzionale del 1992, n. 299, in materia di codice penale militare di pace sulla violata consegna, in cui fu censurata quella norma che prevedeva una cornice edittale da 2 a 24 anni, come indeterminata. Lasciamo perdere adesso se questa sia censurabile o meno, ma non è mai buona tecnica normativa. L'indeterminatezza delle norme edittali quasi sempre è figlia di un deficit di tipicità dalla fattispecie. Non si sa cosa può ricomprendere e, allora, si allarga la forbice.
  Vengo alla 231. Un problema di questi disegni di legge è la mancanza di coordinamento con il codice dell'ambiente. Si presenta il tipico fenomeno del concorso di norme: il reato di inquinamento potrebbe Pag. 11presupporre il reato di violazione del superamento dei valori tabellari. Concorrono questi reati o c’è il principio di specialità ? Se sì, quale delle norme prevale ? È questo un punto che non può essere lasciato al giudice, ma andrebbe scritto qualcosa.
  Crea problemi con la 231, ad esempio, perché per alcune contravvenzioni in materia di superamento dei valori tabellari è prevista la sanzione interdittiva, mentre qui, per il 452-bis, la sanzione interdittiva non c’è. Ho fatto parte della Commissione che elaborò la 231 e non amo tantissimo la sanzione interdittiva, ma esiste un problema di simmetria. Bisogna evitare queste dissimmetrie.
  Inoltre, sulla sanzione interdittiva, a proposito di gigantismo sanzionatorio, opportunamente è stata prevista la pena di morte dell'ente quando è esclusivamente deputato a commettere reati. Benissimo. Sulle altre, però, leggo di una sanzione interdittiva di durata non inferiore a 3 anni. Il decreto legislativo 231 prevede, invece, fino a un massimo di 2 anni. Qui bisogna essere molto realistici. Far chiudere un'azienda per 3 anni significa farla morire. È una pena eccessiva, anche fosse quella dell'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, significa rischiare farla morire. È un limite di pena, a mio modestissimo avviso, troppo alto.
  In tema di eccessività delle sanzioni pecuniarie, si tramanda forse un vizio d'origine. Sempre in materia ambientale, sono state previste sanzioni penali molto elevate, direi a partire dalla seconda metà degli anni Novanta. Un sistema ventriloquo muove le labbra in direzione della persona fisica, ma si sa che avrebbe pagato la persona giuridica. Oggi, con la responsabilità dell'ente, francamente leggere per la persona fisica alcune sanzioni pecuniarie mi pare eccessivo. Non le pagheranno mai.
  Già la sanzione pecuniaria in Italia non funziona e bisognerebbe capire perché. In altri sistemi, la sanzione pecuniaria gestisce il 70 per cento degli affari penali, come in Germania, perché funziona. A mio avviso, dunque, l'impianto sanzionatorio va ridotto a una sua proporzione.
  Concludo col problema dell'accertamento della responsabilità e dei criteri di attribuzione di responsabilità. Abbiamo creato dei delitti, sono dolosi. Qui c’è un problema molto serio. Non abbiamo alcuna difficoltà a provare il dolo della condotta: siamo sicuri, però, di provare il dolo dell'evento quando è macroscopicamente diverso rispetto a quello che si poteva ragionevolmente prevedere ?
  Ho parlato di governo dei giudici. Temo che qui il dolo eventuale tornerà a giocare un ruolo eccessivo, assorbente. Quello del dolo è un problema serio. Se questi sono e vogliono essere delitti seri, sull'opportunità della scelta non ho detto e non dico nulla, ma francamente mi sentirei di scrivere il termine «intenzionalmente», perché non vi sia dubbio, visto anche l'ammontare delle sanzioni. Mi scuso se ho sforato.

  PRESIDENTE. Ringraziamo davvero molto anche il professore Piergallini. Sono state audizioni molto intense e ricche di spunti.
  Se le domande dei colleghi saranno sintetiche, daremo anche la possibilità ai nostri ospiti di fornirci una risposta immediata. Purtroppo, abbiamo anche un'altra audizione e i tempi dell'Aula ci condizionano un po’ sempre. Eventualmente, sarà possibile anche inviare successivamente delle risposte per iscritto.

  SALVATORE MICILLO. La mia domanda è semplicissima e riguarda il tema attorni a cui si costruiscono entrambe le proposte di legge. Vorrei che fosse definito il concetto di disastro ambientale, la parte pregnante delle due fattispecie.

  ALFREDO BAZOLI. Rivolgerei poche domande stimolate dagli interventi, la prima al procuratore nazionale.
  Vorrei capire meglio un aspetto che è stato toccato e che riguarda l'ipotesi di aggravante per la cosiddetta ecomafia, l'associazione mafiosa finalizzata al compimento Pag. 12di questi reati. Da quanto ho inteso, sostenete, ma appunto vorrei capire meglio, che queste sono fattispecie ormai scarsamente associate al fenomeno dell'associazione mafiosa. Non capisco bene, quindi, se la previsione nei due progetti di legge è inutile, inefficace o studiata male rispetto ai fenomeni che riscontrate sul campo, per cui vorrei un chiarimento in proposito.
  Rilevo, inoltre, che voi stessi avete individuato una serie di limiti in queste due proposte di legge che riguardano aspetti che già in altre audizioni ci sono stati segnalati come questioni sulle quali occorre un approfondimento, in particolare sul tema della tassatività delle fattispecie e su quello del bilanciamento delle circostanze, previsto effettivamente in modo da non essere consentito, al punto da prestarsi a censure di costituzionalità. Mi interessa, in ogni caso, capire meglio in relazione alla fattispecie dell'aggravante per reati associativi di stampo mafioso.
  Professor Piergallini, trovo la sua una disamina molto interessante e che in larga parte condivido. Credo che abbia individuato molti punti di discussione sui quali anche noi in Commissione dovremo approfondire molto.
  Vorrei conoscere il suo parere sulla filosofia di fondo di questi progetti di legge, cioè sulla trasformazione dei reati ambientali da reati contravvenzionali a delitti, fermo restando che bisognerà discutere su come sono strutturati, sull'apparato sanzionatorio, sull'organizzazione del tipo di fattispecie. Dal suo punto di vista, anche alla luce delle sue valutazioni, che mi paiono molto pertinenti, è ragionevole un intervento normativo che modifichi l'apparato legislativo attuale, trasformando appunto le ipotesi di reato da contravvenzioni a delitto o ritiene, invece, che tutto sommato l'impianto attuale sia rispondente alle necessità ?

  ANDREA COLLETTI. Intervengo solo per una disamina sull'impianto sanzionatorio, ovvero sulla differenza che si prevede tra un minimo e un massimo edittale, una forbice molto larga. In realtà, nel caso concreto la giudico positiva e spiegherò perché.
  Ovviamente, premesso il principio di tassatività, sarà però compito del giudice, nel concreto, verificare se il comportamento e i danni che essi hanno arrecato possa instaurarsi all'interno di una forbice. Naturalmente, i casi concreti possono essere molteplici, troppo spesso abbiamo avuto norme in cui le forbici non erano così ampie e si sono parificati comportamenti meno gravi con comportamenti molto più gravi. Questo è un altro rischio delle norme penali che prevedono una forbice molto leggera.
  Posso capire il problema del governo dei giudici, ma ovviamente poi tocca ai giudici, dal mio punto di vista, verificare nel concreto le varie fattispecie, i vari nessi di causalità e così via. Una norma penale, benché sotto il principio di tassatività, è sempre una norma penale teoricamente astratta, e quindi certa facoltà permette anche ai giudici di verificare in concreto. In realtà, specifica meglio quel principio di tassatività nella vicenda concreta che non quando va a instaurarsi un procedimento penale.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  FRANCO ROBERTI, Procuratore nazionale antimafia. Ho apprezzato moltissimo e condiviso integralmente l'intervento del professor Piergallini. Noi magistrati siamo interessati per primi a una maggiore definizione possibile delle fattispecie incriminatrici, proprio perché non vogliamo il compito di responsabilità di definire, ciò che invece spetta al legislatore.
  A questo proposito, vengo alle risposte sintetiche. Il disastro ambientale, come già notava il collega Pennisi, è ben definito nel secondo comma dell'articolo 452-quater del progetto di legge dell'onorevole Micillo e altri, laddove si dice che la stessa pena, disastro ambientale, si applica quando l'illecito «in ragione della rilevanza oggettiva o dell'estensione della compromissione ovvero del numero delle persone offese o esposte al pericolo, offende la Pag. 13pubblica incolumità» ovvero «cagiona un'alterazione irreversibile dell'equilibrio dell'ecosistema».
  Questa è la definizione mutuata dalla giurisprudenza di legittimità ed è a mio avviso esaustiva. Naturalmente, restano tutte le problematiche di prova del rapporto di causalità, di cui parlava il professor Piergallini, di prova del dolo dell'evento, anche se si tratta di reati di mera condotta con evento di pericolo, quindi, con tutte le riserve in tema di prova richiamate dal professore, mi sembra che sia una definizione più che accettabile.
  Vengo alla questione dei reati mafiosi. Non si sostiene che le mafie non si occupano più dei rifiuti, ma che quella del mafioso nelle organizzazioni di trafficanti di rifiuti è una presenza eventuale ed è legata alla necessità, per l'organizzazione che traffica rifiuti, di servirsi del mafioso in quanto controlla il territorio. Dove c’è necessità di interventi sul territorio, quindi, c’è necessità del mafioso. Per questo, le organizzazioni mafiose si stanno riciclando dal traffico di rifiuti, come dimostriamo anche con le analisi della DNA, alla cosiddetta green economy, alle energie alternative.
  Indagini condotte dalla procura distrettuale di Catanzaro dimostrano l'inserimento delle organizzazioni mafiose tradizionali, per esempio, nel settore dell'eolico. C’è l'indagine svolta con riferimento alla zona di Capo Rizzuto e al clan Arena che controlla quella zona. Altre analoghe fattispecie hanno riguardato la ’ndrangheta crotonese. Dove c’è bisogno necessariamente di controllo del territorio, anche per porre in essere attività relative alle energie alternative, interviene quindi l'organizzazione mafiosa. Diversamente, se ne fa a meno.
  Non è, dunque, sbagliata o non conforme alla realtà criminale l'ipotesi di associazione ecomafiosa. È una scelta, che naturalmente il legislatore è libero di fare, tenendo presente però che la definizione associazione ecomafiosa non riflette più o non riflette più pienamente la realtà criminale.
  Si vuole prevedere un'aggravante – questa è un'ipotesi aggravata di associazione mafiosa –, naturalmente in base a una scelta, per cui si dice che quando l'organizzazione mafiosa si occupa e trae lucro dai rifiuti, fa qualcosa di più grave di quando si occupa di droga, di riscossione o quando compie omicidi. Questa è la scelta su cui non credo di poter interferire, se non segnalando che l'associazione ecomafiosa oggi è una realtà criminale eventuale.

  CARLO PIERGALLINI, Ordinario di diritto penale presso l'Università di Macerata. Onorevole Bazoli, lei ha cercato – adopero una brutta parola – di stanarmi ed è giusto che sia così.
  Proprio un po’ per il mio passato – ho trascorso gli ultimi anni della magistratura al Ministero della giustizia, dal 1997 al 2001 – sono abituato a quest'esercizio tra critica e costruzione. Credo che quello dei reati di danno e di pericolo sia un processo probabilmente ineludibile, per cui mi muovo nell'ottica di una Realpolitik, non voglio contrastarlo, anche se a me personalmente non convince, come avrà capito.
  Credo che il codice dell'ambiente, così com'era, tutto sommato con alcuni ritocchi abbia una sua effettività. Temo che queste proposte corrano il rischio dell'ineffettività, dunque del simbolismo, oppure dell'ipereffettività, cioè di condannare anche innocenti. Questo non deve accadere.
  Siccome, però, vengo da quest'esperienza, avevo preso degli appunti sulle proposte, proprio perché immagino che sia ormai un percorso tracciato. L'hanno fatto anche gli altri Paesi. Proprio per rispondere a quanto lei giustamente rilevava, credo che sia necessario uno sforzo per cercare di capire, non perché siano formule magiche, se può esserci un contributo, un aiuto da parte di alcune definizioni.
  I codici stranieri, ad esempio, ce l'hanno. Il codice penale austriaco dà delle definizioni. Quello spagnolo dà delle definizioni. Perfino in alcuni nostri corpi Pag. 14normativi – avevo segnato quello della legge sulle aree protette del 1991 – ci sono alcune definizioni.
  Bisogna provare a capire se riescono a offrire un contributo di tipicità a questi reati, che rendano più facilmente accertabile il nesso di causalità, quindi anche il problema della rilevanza del contributo concausale. Forse potremmo provare a qualificarlo.
  Penserei anche a un sistema più semplice, evitando la proliferazione di fattispecie e di fattispecie aggravanti. Già, per esempio, il disastro ambientale per come è in quel secondo comma dell'articolo 452, di cui mi scuserete ma non ricordo la lettera, è uno sforzo significativo, tenendo presente ovviamente sempre i problemi che ci sono.
  Non mi invento i problemi sulla causalità. Basta leggere la sentenza di primo grado sul petrolchimico di Marghera, che poi fu confermata sia in appello sia in Cassazione, proprio sull'inquinamento della laguna: lì risaltano, sono sentenze inattaccabili. Definirei la sentenza di primo grado un esempio di coerenza, di rigore.
  Pensavo, inoltre, a un arricchimento del dolo e ho avanzato quella modestissima proposta. Ovviamente, ripeto che esiste anche il problema di studiare il rapporto col sistema contravvenzionale. Credo che questo sia tecnicamente realizzabile. Mi sentirei di provarci. Non lo considero troppo difficile.
  Vengo alle comminatorie edittali. Dico davvero con grande umiltà che il destinatario delle norme penali è il cittadino prima ancora del giudice. Il principio di tassatività e determinatezza serve a che si comprenda il discrimine tra il lecito e l'illecito. Se, leggendo una norma, non sono in grado di capire qual è la sua estensione, questa lede un mio diritto.
  Ecco perché sostengo sempre che lo iato eccessivo anche sul versante della pena riflette, probabilmente, un vizio di origine del precetto. Lo ha precisato con parole a mio avviso assolutamente chiare proprio la Corte costituzionale nella sentenza che ho citato in materia di codice penale militare di pace: bisogna che anche a livello di fatto tipico il soggetto, il cittadino abbia la possibilità di rappresentarsi l'orbita delle condotte punibili. Non possiamo affidarla al giudice. Lo dico con assoluta serenità, con umiltà, ma è il vecchio sano buon diritto penale liberale.

  PRESIDENTE. Vi ringrazio per questi contributi. Interpretando, credo, anche il pensiero dei relatori, vi ricordo che queste nostre sedute sono trascritte, per cui vi manderemo il resoconto e saranno molto bene accolti contributi scritti anche via e-mail successivi a questo dibattito, anche per proposte migliorative del testo.
  Mi pareva che anche il procuratore Pennisi avesse qualcosa di scritto, ma ribadisco anche al professor Piergallini che potete inviare tutto quanto credete, in modo che potremo, conclusa la fase dell'indagine conoscitiva, andare a una discussione concreta e alla fase emendativa.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.30.