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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Martedì 25 ottobre 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLA PROPOSTA DI LEGGE C. 3500 BINDI, RECANTE DISPOSIZIONI PER LA PROTEZIONE DEI TESTIMONI DI GIUSTIZIA

Audizione di Federico Cafiero De Raho, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria, di Giovanni Colangelo, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, di Francesco Greco, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, di Franco Lo Voi, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo e di Giuseppe Pignatone, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Lo Voi Francesco , Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo ... 3 
Ferranti Donatella , Presidente ... 6 
Cafiero De Raho Federico , Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 6 
Ferranti Donatella , Presidente ... 9 
Colangelo Giovanni , Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli ... 9 
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 
Greco Francesco , Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano ... 12 
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 
Prestipino Giarritta Michele , Procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Roma ... 14 
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 
Prestipino Giarritta Michele , Procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Roma ... 15 
Cafiero De Raho Federico , Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 17 
Prestipino Giarritta Michele , Procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Roma ... 17 
Ferranti Donatella , Presidente ... 17 
Mattiello Davide (PD)  ... 18 
Sarti Giulia (M5S)  ... 18 
Ferranti Donatella , Presidente ... 19 
Amoddio Sofia (PD)  ... 19 
Ferranti Donatella , Presidente ... 19 
Amoddio Sofia (PD)  ... 20 
Ferranti Donatella , Presidente ... 20 
Greco Francesco , Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano ... 20 
Prestipino Giarritta Michele , Procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Roma ... 20 
Colangelo Giovanni , Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli ... 20 
Ferranti Donatella , Presidente ... 21 
Cafiero De Raho Federico , Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 21 
Ferranti Donatella , Presidente ... 22

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Scelta Civica verso Cittadini per l'Italia-MAIE: (SCCI-MAIE);
Civici e Innovatori: (CI);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri;
Misto-Movimento PPA-Moderati: Misto-M.PPA-Mod.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 13.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Federico Cafiero De Raho, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria, di Giovanni Colangelo, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, di Francesco Greco, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, di Franco Lo Voi, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo e di Giuseppe Pignatone, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame della proposta di legge C. 3500 Bindi, recante disposizioni per la protezione dei testimoni di giustizia, l'audizione di Federico Cafiero De Raho, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Reggio Calabria, di Giovanni Colangelo, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli, di Francesco Greco, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano, di Francesco Lo Voi, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo, e di Michele Prestipino Giarritta, procuratore aggiunto presso la procura della Repubblica del tribunale di Roma, delegato da Giuseppe Pignatone, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma.
  Sono relatori l'onorevole Mattiello e l'onorevole Dambruoso.
  Nel corso dell'indagine conoscitiva, la Commissione procederà all'audizione del Viceministro dell'interno Bubbico in qualità di presidente della Commissione centrale per la definizione e l'applicazione delle misure speciali di protezione, e del procuratore nazionale antimafia. Questo avverrà domani. Oggi, abbiamo i procuratori della Repubblica delle città sicuramente con alto tasso di criminalità, e comunque esperti nella materia.
  Darò circa dieci minuti a testa. Il nostro interesse su una proposta che viene già da un'indagine conoscitiva della Commissione antimafia è quella di focalizzarci sui punti eventualmente critici o migliorativi del testo prima di dare i termini per gli emendamenti.
  Do, quindi, la parola a Francesco Lo Voi, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo.

  FRANCESCO LO VOI, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo. Spero di impiegare molto meno dei dieci minuti che lei ha indicato come spazio per il mio intervento, non solo per lasciare spazio ai vostri successivi lavori, ma anche per consentire eventualmente ai colleghi che mi seguiranno di usufruire di un po’ più di tempo per i loro interventi.
  Io dirò pochissime cose, ma non prima di aver ringraziato la Commissione per questa convocazione, che è segno di un metodo di lavoro che si fonda sulla condivisione, sull'ascolto di coloro che lei ha voluto definire esperti. Magari non siamo esperti, ma un po’ di familiarità con questi temi sicuramente l'abbiamo avuta. Pag. 4
  La ringrazio poi ulteriormente, presidente, insieme ai colleghi presenti per avermi consentito quest'anticipazione, dovuta alla necessità di allontanarmi per fare rientro in sede il più presto possibile. Vado subito al punto.
  Si tratta di una proposta di legge che trova il mio apprezzamento. Quando dico e dirò «mio», faccio riferimento non alla mia persona, ma all'intera Direzione distrettuale antimafia di Palermo, con la quale abbiamo avuto modo di confrontarci e che fino alla riunione di ieri pomeriggio, tenutasi appunto nei nostri uffici, ha ribadito alcuni dei concetti che andrò molto brevemente a illustrare.
  Valutiamo con particolare interesse la specificazione del ruolo del testimone di giustizia, separandolo quindi con apposita normativa a lui dedicata dalla più ampia categoria dei collaboratori di giustizia, più ampia sia con riferimento a diritti e doveri, sia, e soprattutto, con riferimento agli aspetti «statistici». È notorio che i collaboratori di giustizia, nelle nostre aree in particolare, sono sempre molti di più di quanti non siano i semplici testimoni di giustizia.
  In questo senso, valutiamo con particolare favore le norme che sono state disegnate a proposito del reinserimento, dal punto di vista sia sociale sia lavorativo, di questi soggetti, con particolare riguardo a ciò che forse potrebbe essere dettagliato e spiegato meglio nel testo, prevedendo eventualmente qualche ulteriore norma rafforzatrice di questo principio comunque per quanto riguarda il settore privato.
  Probabilmente, la «re-location» nel settore pubblico presenta meno difficoltà della riallocazione, soprattutto lavorativa, nel settore privato. Potrebbe essere utile, per citare un esempio breve, nel caso di soggetto che testimoni, dipendente di un'impresa privata, verificare se lo stesso non sia riallocabile in altra struttura o altra dipendenza della stessa impresa, ove quest'ultima disponga di più sedi sparse nel territorio nazionale.
  Un aspetto specifico dal punto di vista procedurale che riteniamo pure di dover segnalare è l'opportunità di richiedere il parere del procuratore nazionale antimafia, non soltanto con riferimento alle materie e ai reati su cui il testimone si trova a testimoniare previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, ma anche a quelli previsti dai commi 3-ter e 3-quater, del medesimo articolo di cui oggi l'applicazione si va facendo sempre più intensa.
  Nutriamo, invece, serie perplessità con riferimento ad altri due punti specifici. Il primo è quello del cosiddetto referente del testimone.
  Conosciamo tutti le ragioni storiche che hanno portato all'individuazione delle differenze tra il collaboratore di giustizia e il testimone di giustizia. Ci chiediamo, tuttavia, e mi chiedo, tuttavia, se l'introduzione di questa nuova figura sia effettivamente di utilità con riferimento al sistema nel suo complesso o non crei, piuttosto, il rischio della formazione di un nuovo ceto professionale, di una nuova categoria professionale, con i rischi conseguenti che possono derivare non solo dall'aumento dei costi, ma anche dalla nomina di coadiutori, pure prevista dalla proposta di legge.
  L'ulteriore rischio è che questa possibilità venga addirittura successivamente rivendicata ed estesa anche a coloro che non sono semplici testimoni di giustizia, ma collaboratori di giustizia a tutti gli effetti.
  Si dirà che il collaboratore di giustizia è comunque munito di un difensore. È vero, ma è altrettanto vero che, quantomeno nella buona parte dei casi, soprattutto quando il soggetto testimone di giustizia è vittima del reato, che in quanto parte offesa ha anche lui la possibilità, prevista peraltro con spese a carico dello Stato, giustamente, da questa proposta di legge di essere assistito da un difensore, che può benissimo svolgere questo ruolo di interlocuzione con la Commissione centrale e con il Servizio centrale di protezione.
  Quello che teniamo è che passi il concetto che occorra una persona filtro, un soggetto filtro, che mantenga i rapporti tra il testimone di giustizia e un'entità diversa e altra, che è nient'altro che la rappresentanza dello Stato.
  Il testimone di giustizia dovrebbe essere visto come un soggetto che collabora – perdonatemi l'uso di questo termine che Pag. 5avevo prima attribuito ad altre categorie – direttamente con lo Stato e che deve avere come suoi diretti interlocutori proprio il Servizio centrale di protezione e direttamente alla Commissione centrale.
  Da un lato, quindi, il rischio è quello della creazione di una nuova categoria professionale. Non vorrei, ovviamente, citare le recenti vicende che hanno visto a Palermo l'uso un po’ problematico di soggetti chiamati a collaborare con l'autorità giudiziaria, o comunque con l'autorità statale, e i coadiutori a questi collegati e così via. Sulla preparazione di questo nuovo ceto professionale potremmo anche nutrire qualche dubbio, dovremmo verificare. «Esercente la professione legale» in generale è indicato, ma potrebbe anche sorgere qualche dubbio sulla reale preparazione professionale dei soggetti. Tutto questo ci lascia qualche perplessità. Mi fermo sul punto per non essere troppo lungo.
  Il secondo punto che vorremmo segnalare è quello relativo al verbale illustrativo delle dichiarazioni del collaboratore. Conosciamo le ragioni storiche che hanno portato all'introduzione di questa norma con riferimento ai collaboratori: le dichiarazioni errate e, di contro, le difficoltà di condensare in 180 giorni tutto ciò che comprendeva un'intera vita criminale e così via.
  Ci sembra che tutto ciò non si attagli assolutamente alla figura del testimone, il quale nella stragrande maggioranza dei casi è chiamato a riferire di un fatto, al massimo di un fatto collegato a un fenomeno più ampio, ma che non è di sua diretta conoscenza. È previsto tra le indicazioni dell'articolo 2 che chi può assumere il ruolo di testimone di giustizia non deve aver avuto rapporti, altrimenti si trasforma direttamente in collaboratore di giustizia.
  Prevedere quest'ulteriore passaggio burocratico non solo ci sembra inutile, ma ci sembra che crei anche una disparità di trattamento tra il testimone, che diviene testimone di giustizia, e tutti gli altri testimoni, che, per le ragioni più disparate, non assumono questo ruolo, o coloro ai quali comunque questo ruolo non viene riconosciuto. Ci sembra, sostanzialmente, che manchi la ratio della creazione o, meglio, del mantenimento di questo tipo di previsione.
  Sarà, ovviamente, compito del giudice e, prima ancora per quanto di sua competenza, del pubblico ministero, valutare, come in tutti i casi si fa (al di là della redazione del verbale illustrativo o del rispetto del termine dei 180 giorni), l'attendibilità nello specifico del testimone.
  Ciò è confermato dalla stessa proposta di legge nel momento in cui si dice, articolo 2, che le dichiarazioni devono essere rilevanti e se ne deve tener conto indipendentemente dal loro esito, o, meglio, indipendentemente dall'esito delle indagini e del giudizio. Allora, o diciamo che le dichiarazioni intanto hanno un valore in quanto hanno consentito all'autorità giudiziaria di conseguire un risultato in termini di affermazione di responsabilità, o le due norme appaiono un po’ in contraddizione.
  Faccio due ultime brevissime considerazioni e poi concludo. Forse sarebbe opportuno rivedere i termini di rinnovo delle misure, concedendo alla stessa Commissione centrale una qualche forma di flessibilità in più. Cito un esempio concreto.
  Il testimone deve testimoniare in un processo che dura, come purtroppo sappiamo, un certo numero di mesi, o un certo numero di anni a volte, e allora prevedere la rigidità della verifica ogni sei mesi forse potrebbe costituire una forma di sovraccarico o di intralcio per la stessa Commissione. Lasciare alla Commissione la flessibilità di poter decidere se rivedere ogni sei, ogni dieci o ogni diciotto mesi, a seconda dell'andamento del processo, forse potrebbe essere utile.
  Il penultimo aspetto è quello relativo all'articolo 19 della proposta di legge, che prevede l'introduzione di una specifica aggravante con riferimento al reato di calunnia, nella quale, e ciò ha costituito oggetto di valutazione assolutamente unanime da parte della Direzione distrettuale antimafia del mio ufficio, sarebbe opportuno aggiungere alle parole «rende dichiarazioni al fine di usufruire» anche le parole «o di continuare a usufruire». Mi spiego meglio.
  Può verificarsi il caso – talvolta, si è verificato – in tema di collaboratori di Pag. 6giustizia, che qualche dichiarazione successiva arrivi per rinforzare i presupposti di permanenza nello status di collaboratore di giustizia. Se si aggiungesse, all'aggravante per la calunnia nei casi in cui uno renda inizialmente dichiarazioni al fine di conseguire lo status, l'ipotesi in cui uno renda dichiarazioni calunniose – è ovvio che ci vuole sempre la condanna – per mantenere lo status di testimone di giustizia, forse copriremmo tutto il novero del possibilità patologiche del fenomeno.
  Un ultimo aspetto riguarda la previsione dell'articolo 21 della proposta di legge, il cosiddetto cambio di generalità allargato, sul quale mi permetto, e ci permettiamo dalla sede palermitana, di richiamare la vostra migliore attenzione. Non vorremmo che si trattasse di una forma di apertura verso il concetto o verso una legalizzazione del concetto di dissociazione.
  Conoscete i passaggi a metà tra la storia e la cronaca, forse ancora relativi alla cronaca più che alla storia, durante i quali alcuni soggetti appartenenti a Cosa nostra avevano lanciato o fatto trapelare la possibilità di una dissociazione dall'associazione mafiosa che non comportava la collaborazione con la giustizia, del tipo: io ammetto le mie responsabilità, non chiamo nessun altro in causa, non faccio appunto il collaboratore.
  Prevedere che un certo numero di soggetti legati al testimone di giustizia possa ottenere una serie di misure in qualche modo premiali – di tutela, ma anche premiali – attraverso il cambio di generalità, potrebbe, rigorosamente al condizionale, sembrare un segnale lanciato verso un successivo riconoscimento anche delle forme di semplice dissociazione del singolo appartenente all'organizzazione mafiosa, o criminale in genere o di tipo mafioso o dei suoi familiari, così consentendo di far entrare dalla finestra ciò che è stato finora, in maniera condivisibile, tenuto fuori dalla porta.
  Mi fermerei qui, a meno che non ci siano esigenze specifiche da parte di qualcuno. Credo che il resto dei colleghi che interverranno saprà sicuramente aggiungere ulteriori argomenti.

  PRESIDENTE. Ringrazio il procuratore. Andiamo avanti, perché vorrei dare la parola a tutti. La ringrazio anche per aver centrato e individuato i problemi che, secondo la vostra riflessione, sono di approfondimento. Oggi è una giornata di audizioni molto proficua. Vi ringraziamo davvero.
  Do ora la parola al procuratore della Repubblica presso il tribunale di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho.

  FEDERICO CAFIERO DE RAHO, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria. Ringrazio la presidente e la Commissione tutta per avermi invitato perché mi esprimessi in ordine a questa proposta di legge, che, per la verità, risponde in gran parte a quello che ripetutamente a Reggio Calabria veniva chiesto: innanzitutto, distinguere testimoni da collaboratori di giustizia.
  Il testimone non ha diritto a un premio. Ha, invece, diritto a uno Stato che sia capace di proteggerlo e che gli consenta di portare avanti le proprie attività senza subire minimamente condizionamenti o influenze negative dall'aver adempiuto a un dovere civico, che è quello di rendere dichiarazioni nei fatti gravi che purtroppo si perpetrano nei nostri territori.
  Innanzitutto, sottolineo l'importanza del progetto e il fatto di aver dedicato ai testimoni di giustizia una normativa ad hoc, proprio perché non c'è nessun punto di collegamento tra il testimone e il collaboratore.
  Ho programmato quest'audizione in modo da sottolineare più le parti che mancano o quelle che mi sembrano non proprio corrispondenti alle esigenze che non commentando, perché di per sé il commento e il giudizio sono favorevolissimi.
  Mentre la stessa proposta di legge evidenzia come vi sia anche una distinzione per quanto riguarda le dichiarazioni, chiedendo, quindi, requisiti diversi per il riconoscimento dei presupposti per le misure di protezione, poi rilevo che si fa riferimento al verbale illustrativo, tema sul quale già il procuratore Lo Voi si è soffermato, che è qualcosa che attiene specificatamente al collaboratore di giustizia. Pag. 7
  Quando pensiamo al testimone, pensiamo a una fonte dichiarativa in grado di riferire su un fatto specifico. Il più delle volte, il testimone è quello che ha assistito a un omicidio, casomai quello che ha subìto delle estorsioni.
  Qui apro un inciso per sottolineare come mi sia anche molto piaciuta la capacità di delineare la figura del testimone anche con riferimento all'eventuale pericolosità di cui può essere portatore, fino al punto di distinguere nettamente il testimone, che è solo persona informata, il testimone che ha assistito a un fatto, dal testimone che caso mai ha vissuto in un contesto delinquenziale, ma rispetto a esso non ha avuto mai contiguità. Anche quel soggetto, quella fonte dichiarativa può essere ritenuta testimone di giustizia.
  Anche per quanto riguarda la definizione del testimone di giustizia, quindi, devo dire che ho apprezzato moltissimo la capacità che si è avuta nel delineare la posizione, per la verità seguendo quelli che sono stati gli orientamenti della Commissione centrale, che più volte e in tanti anni si è spesa nell'approfondimento della figura.
  Tornando al verbale illustrativo, esso è per suo stesso contenuto qualcosa che non può attenere al testimone. Peraltro, la stessa descrizione della disposizione relativa è tale che fa riferimento ai componenti dell'organizzazione, ai fatti specifici a essa riconducibili, ai patrimoni mafiosi. Sono tanti elementi che il testimone solitamente non deve conoscere, perché interviene sotto altri aspetti.
  Secondo i richiami all'articolo 16-quater («Verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione») e all'articolo 16-sexies («Acquisizione del verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione nonché di copie per estratto dei registri in materia di colloqui investigativi in caso di interrogatorio o esame del collaboratore») della legge n. 82 del 1991, è necessario un verbale illustrativo perché il collaboratore deve riferire su un'organizzazione. Illustra inizialmente in modo sintetico, per poi riferire in maniera molto specifica quando di volta in volta renderà l'interrogatorio. Mi sembrano due disposizioni che non attengono specificatamente al testimone.
  Quali sono gli aspetti che devo sottolineare? Parlerò ancora pochissimo.
  In primo luogo, il testimone deve restare sul territorio. Questo ho apprezzato tantissimo nel progetto di legge. Deve restare sul territorio, perché chi deve andare via è la criminalità, la ’ndrangheta, la mafia, la camorra, non deve andare via chi ha adempiuto ai propri doveri, chi ha svolto un compito che tutti dovrebbero svolgere, quello di denunciare.
  È un esempio pessimo dire: in questo territorio lo Stato non ti può proteggere. Ma come, lo Stato non può proteggere? Mi sembra veramente una cosa fuori dal mondo che lo Stato non sia in condizione di difendere un testimone.
  Noi abbiamo, nella provincia di Reggio Calabria, esempi come quello di De Masi, un imprenditore, contro il quale ci sono stati peraltro numerosi gli attentati, che ha avuto dei livelli di protezione che consentono di tutelare sia la sua persona sia la sua famiglia e anche l'impresa, il deposito presso il quale svolge attività economica. Così è stato fatto per il padre di De Masi, per la famiglia.
  Un altro esempio è quello di Bartuccio, ex sindaco di Rizziconi, il quale ha denunciato la cosca Crea, che abita nello stesso centro comunale in cui vive il Bartuccio, una cosca sanguinaria, composta da elementi che hanno commesso fatti gravissimi e continua a mantenere il controllo del territorio. Anche per lui c'è stata l'istituzione di due presìdi dell'esercito, davanti alle abitazioni dello stesso Bartuccio e del padre e presso lo studio ove esercita attività professionale. Hanno, naturalmente, un'autovettura blindata che li accompagna insieme a uomini della Polizia di Stato.
  Abbiamo, cioè, degli esempi di uno Stato che, pur di fronte a delle cosche sanguinarie, pericolosissime, è in grado di proteggere le persone. Non hanno nemmeno la veste di testimoni riconosciuta dal punto di vista di legge. Sono normali cittadini, che hanno adempiuto al loro dovere e lo Stato li protegge in questo modo. Pag. 8
  Credo allora che la priorità di mantenerli sul territorio sia fondamentale. Per mantenerli sul territorio, però, è necessario spendere, avere le forze che consentono di proteggere queste persone. Non ci possiamo permettere poi di avere sul territorio dei fatti ritorsivi. Questo sarebbe gravissimo, ancora più grave che mandarli fuori dal territorio.
  È necessario assumersi in pieno la responsabilità di difenderli, e quindi avere uomini sufficienti per fare quello che uno Stato dovrebbe fare sempre: consentire al proprio cittadino di difendere la sua libertà, che è il bene più prezioso che ha. Libertà significa scegliere liberamente ed essere garantito nelle proprie scelte. Per fare questo, però, e necessaria la tutela, una protezione seria.
  È, quindi, una legge meravigliosa, ma che avrà bisogno probabilmente del Ministero della difesa, che darà dei presìdi dell'esercito, avrà bisogno in determinati territori di aumenti degli organici della Polizia di Stato, dei Carabinieri, della Guardia di finanza, per adempiere appieno a delle misure di protezione.
  Se poi ci facciamo un conto di quanto ci costano queste persone fuori e quanto, invece, quanto finisce per costare l'utilizzo del nostro personale, probabilmente non andremmo incontro a una spesa maggiore. Anche se avessimo una spesa maggiore, però, converrebbe perché occuperemmo il nostro territorio con le persone buone, quelle che saranno l'esempio, e quante più persone denunciano, tanto minore sarà il rischio per gli altri. Dico sempre che bisogna denunciare tutti per non correre alcun rischio, ma siamo ancora in una fase nella quale sono pochi quelli che denunciano.
  Ebbene, chi resta sul territorio a volte viene isolato. Allora, dobbiamo superare un isolamento, innanzitutto quello economico. Quando si ha un'impresa, per esempio un'impresa di costruzioni, di calcestruzzo o di altro, la ’ndrangheta, la camorra, la mafia finiscono per fare terra bruciata attorno. Dobbiamo, credo, superare quest'ostacolo.
  Per superare quest'ostacolo, penso che dovremmo cominciare a ricorrere a tipologie di riserva in materia di appalti, cominciare a pensare che una percentuale degli appalti possa andare ai testimoni di giustizia. Per rendere veramente conveniente la testimonianza, penso che bisognerebbe dare questo premio. È vero che ai collaboratori di giustizia si dà un premio diverso in termini di pene, di sanzioni e altro. Ai testimoni bisognerà dare il premio di essere sostenuti realmente. Per fare questo, devono continuare la loro attività economica.
  Penso, quindi, a una riserva in materia di appalti, così come penso a beni sequestrati e confiscati, che possono essere assegnati a soggetti economici che potrebbero avere necessità di spostarsi da un quartiere a un altro, perché in quel quartiere c'è in particolare la famiglia che loro hanno denunciato, ma restando nella città. Abbiamo due esempi.
  Uno è quello di Tiberio Bentivoglio, un commerciante che, fino a quando non ha denunciato continuava a svolgere il proprio lavoro, anche con profitti importanti; quando ha denunciato, è stato totalmente isolato. Addirittura, passando davanti al suo negozio, persone del quartiere gli sputavano sulle vetrine, questo a dimostrazione di quanto la ’ndrangheta sia forte e capace di condizionare. Le persone che non avevano nulla a che fare con la vicenda, pur di mostrare di disprezzo, e che quindi erano dalla parte della ’ndrangheta, addirittura facevano un gesto di quel tipo, veramente incredibile.
  A lui siamo riusciti a far avere un bene in sequestro sul lungomare, in una posizione meravigliosa. Le associazioni di volontariato gli hanno imbiancato senza costi il locale, altri gli hanno creato addirittura suppellettili e tutto ciò che occorre per gestire il negozio. Ha potuto aprire così questo negozio senza spese con un bene dell'Agenzia dei beni sequestrati e confiscati.
  Un altro esempio è quello di Saffioti, l'imprenditore di un'azienda agricola costretto a vivere in alta Italia. Eppure torna per far lavorare il proprio terreno, in un'estensione anche abbastanza ampia, confinante con la cosca Iamonte, i cui componenti Pag. 9 ha denunciato. Stiamo tentando di riportarlo sul territorio per fargli proseguire l'attività economica, tanto che si è fatto promotore addirittura di un consorzio.
  Guardate come il circuito comincia a cambiare. Basta tenere le persone sul territorio perché anche gli altri abitanti si accorgano che qualcosa di diverso c'è. Ci sono altri produttori di olio i quali sono disposti a stringere con lui un patto consorziale. In questo modo, potrebbero lavorare insieme.
  C'è una forza che comincia a operare, ma immaginate la proiezione che si avrebbe sul territorio con un consorzio di questo tipo. Si finirebbe per capire che chi denuncia non è totalmente isolato. E se fosse questo il messaggio che passa, «lo Stato difende ed è capace di proteggere e di sostenere», non si correrebbe più alcun rischio.
  Bene, io penso che la legge sia ottima, perfetta. Bisognerà, però, su questi punti forse avere qualche ulteriore approfondimento.

  PRESIDENTE. Ringrazio il procuratore. Sono sicuramente segnali molto importanti quelli che stiamo dando anche attraverso quest'audizione.
  Do ora la parola a Giovanni Colangelo, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli.

  GIOVANNI COLANGELO, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli. Anch'io mi riporto a quanto hanno già detto i colleghi prima, ringraziando per l'attenzione di questa Commissione per l'esigenza di pervenire a un risultato che dia una riscrittura normativo-organica completa del fenomeno dei testimoni di giustizia, che, come è già stato detto, si differenzia nettamente da quello dei collaboratori di giustizia.
  Sento il dovere di sottolineare alcuni aspetti che forse meritano una riflessione proprio al fine di meglio delineare questa distinzione. Andrò per sommi capi proprio per essere il più sintetico possibile.
  Per quanto concerne la definizione di testimone di giustizia, l'articolo 2 della proposta di legge fa riferimento alle dichiarazioni di utilità con caratteristiche di attendibilità intrinseca rese nel corso di un procedimento penale. Nel comma 1, non si fa nessun riferimento alla tipologia del procedimento penale o ai reati ai quali si devono riferire le dichiarazioni di testimonianza, il che potrebbe aprire uno spazio forse troppo ampio rispetto alla categoria dei testimoni di giustizia.
  È pur vero che, alla lettera b) del medesimo comma, si fa riferimento a fatti delittuosi, e quindi a una connotazione di delitti. Mi pongo il problema se tutti i delitti, anche quelli di minima entità, possano dar luogo a dichiarazioni di testimoni di giustizia che possano poi assumere lo status del quale si è più volte parlato, e che comporta una serie di prerogative per lo Stato anche particolarmente pesanti e onerose.
  Un altro aspetto riguarda la definizione di estraneità alla commissione del fatto reato contenuta nella disposizione della lettera c) del comma 1 dell'articolo 2 della proposta di legge. Si dice, cioè, che il testimone deve essere terzo rispetto ai fatti dichiarati. Questo è fin troppo evidente. Si rifà, ovviamente, alla definizione di testimone in senso proprio contenuto nel codice di procedura penale. Si dice, però: «comunque non ha riportato condanne per delitti connessi a quelli per i quali si procede».
  Se qui il concetto di connessione è quello dell'articolo 12 del codice di procedura penale, l'ambito di eccezione mi sembra eccessivamente ristretto. Mi spiego subito.
  Per il citato articolo 12, noi abbiamo procedimenti connessi per i reati commessi in concorso o in cooperazione colposa in reato continuato o in concorso formale di reato o con il nesso teleologico. Si tratta, a tutta evidenza, di ipotesi di coinvolgimento negli stessi fatti reati, che chiaramente devono escludere la qualità di testimone.
  Abbiamo, invece, una vasta gamma di ipotesi in cui, pur non vertendosi nel campo stretto della connessione di procedimenti o di reati, il collegamento con l'organizzazione criminale, ovvero con i fatti criminosi dei quali si riferisce, è un po’ più labile, ma Pag. 10non è tale da escludere quel tipo di rapporto che più volte ha dato luogo a problematiche in seno alla Commissione per la definizione appunto della disciplina applicabile tra testimone e collaboratore di giustizia.
  Anch'io, andando sempre per sintesi e per sommi capi, mi riporto a quanto ha già detto il collega Lo Voi in merito alla persona e alla figura del cosiddetto referente del testimone di giustizia. Mi sembra proprio l'individuazione di un tertium genus che si dovrebbe porre tra lo Stato, il difensore, il testimone e l'ambito del procedimento penale, che francamente non riesco a collocare neanche istituzionalmente. Potrebbe dar luogo a una categoria di persone non correttamente inquadrabili nel sistema normativo attualmente vigente.
  Due sono i casi. Se riteniamo – credo che la finalità sia particolarmente virtuosa, commendevole – che il testimone di giustizia per la sua particolare qualità abbia bisogno di una forma di assistenza che vada al di là della mera assistenza legale, che, quindi, si ponga come tramite rispetto alle varie esigenze che può rappresentare il testimone e la sua famiglia. A questo punto l'organo è quello del Servizio centrale di protezione, nel cui ambito potrebbero essere individuati dei soggetti, che devono appunto fungere da referenti senza dover cercare questa categoria, che sarebbe del tutto estranea, che comporterebbe oneri aggiuntivi anche a carico dello Stato. Bisognerebbe vedere, infatti, se in quali termini e con quali criteri dovrebbero essere retribuite queste persone per il loro operato.
  Per quanto concerne le misure di assistenza previste sotto il profilo del reinserimento normativo, dalla lettera g) del comma 1 dell'articolo 7 della proposta di legge, è data quasi come accessoria l'ipotesi del programma di assunzione presso una pubblica amministrazione da parte di persone che possano aspirare appunto a un'assunzione avendone titolo o qualificazione professionale. Tale ipotesi mi sembra essere subordinata o accessoria rispetto a quella della precedente lettera f) del medesimo comma 1, che riguarda la capitalizzazione, tanto che si dice «purché sia possibile nei limiti dei posti vacanti nelle piante organiche».
  Non mi parrebbe un'ipotesi del tutto fuori dal sistema ordinamentale prevedere, invece, un'inversione di quest'ordine di preferenza, cioè che sia piuttosto possibile, preferibile, un'assunzione con un'attività lavorativa che risponda al duplice scopo di dare un lavoro, e quindi possibilità di realizzazione delle proprie aspirazioni personali e professionali al testimone di giustizia, piuttosto che consegnargli una somma a titolo di capitalizzazione, poi lasciandola alla sua totale discrezione.
  Laddove, invece, il testimone aspirasse a una sistemazione lavorativa più proficua, non vedo un ostacolo assoluto nella preferenza di assunzione presso la pubblica amministrazione, ovvero addirittura anche in sovrannumero rispetto all'organico disponibile e attuale.
  Sempre andando molto rapidamente, anch'io mi riporto a quanto è già stato detto sulla singolare anomalia del verbale illustrativo.
  Quest'ultimo era già previsto anche dalla normativa attualmente vigente, come previsto dall'articolo 16-quater del decreto-legge n. 8 del 1991 che escludeva da tutte le previsioni soltanto le dichiarazioni relative alle possidenze patrimoniali del soggetto ovvero dell'organizzazione criminale di riferimento.
  Orbene, francamente non si riesce a comprendere la necessità di un verbale illustrativo nei termini previsti dal citato articolo 16-quater, tuttora richiamato dall'attuale normativa. Se il testimone è soggetto veramente terzo, ovvero è soggetto del tutto vittima del reato, quindi senza alcun collegamento anche rispetto ad altri fatti reati o ad altri soggetti che fanno parte dell'organizzazione criminale, non vi è motivo di trattare e di prevedere un trattamento processuale o di disciplina rispetto agli altri che sono testimoni punto e basta.
  Qualche volta, il testimone rende delle dichiarazioni anche a distanza di tempo. Tutto questo farà parte della valutazione della sua complessiva attendibilità, ed è dove peraltro sanzionato dalla normativa codicistica, che prevede delle pene per il Pag. 11testimone reticente o che non dice tutta la verità e soltanto la verità.
  Francamente, prevedere la necessità di un verbale illustrativo, peraltro sottoposto a termini particolarmente stringenti, con una sostanziale assimilazione della disciplina a quella del collaboratore di giustizia in senso proprio, non mi pare la soluzione ideale.
  Si potrebbe pensare, piuttosto, ma unicamente ai fini dell'ammissione al programma, provvisorio prima e definitivo poi, a una dichiarazione di intenti, come era prevista nell'originaria formulazione, che consenta di capire dall'inizio quale sia il peso probatorio nell'ambito del procedimento che è in grado di apportare questo testimone, e quindi che indichi grossomodo i temi sui quali è in grado di riferire, senza però vincolare al limite temporale o al tema specifico.
  Bisognerebbe, cioè, creare una sorta di sovrapposizione tra la disciplina prevista dal codice di rito per la valutazione, l'assunzione e l'esame dei testimoni in senso proprio, e il verbale illustrativo, che invece dovrebbe avere tutt'altre finalità, e che è sì previsto correttamente per i collaboratori di giustizia, per i quali bisogna chiedere sin dal primo momento una totale disponibilità a dichiarare tutti i fatti che sono a loro conoscenza. Anche in questo caso, quindi – non mi dilungherò oltre, ma mi riporto a quanto è già stato detto – credo che si possa ripetere lo stesso tema.
  Passo a un altro brevissimo argomento, quello contenuto nell'articolo 18 della proposta di legge, il richiamo alla possibilità di esperire l'incidente probatorio per i testimoni di giustizia.
  Secondo la normativa al vostro esame, testimone di giustizia è colui che rende nell'ambito di un procedimento penale dichiarazioni di attendibilità intrinseca – a questo poi farò un breve cenno ancora – e, secondo la lettera e) del comma 1 dell'articolo 2 della proposta di legge, si trova in una situazione di grave, concreto e attuale pericolo, rispetto al quale risulti l'assoluta inadeguatezza delle misure ordinarie.
  Ovviamente, la situazione di pericolo o di rischio a cui è esposto il testimone di giustizia è correlata al contenuto delle dichiarazioni che egli intende rendere, e quindi all'interesse di un'organizzazione criminale o di un soggetto anche singolo a che egli non renda quelle dichiarazioni.
  Orbene, tale posizione è comunque assimilabile a quella che prevede la possibilità di richiedere l'incidente probatorio ai sensi dell'articolo 392, quando si ritiene cioè che la persona possa essere sottoposta a pressioni e minacce. In sostanza, il richiamo dell'articolo 18 della proposta di legge, con un semplice inserimento delle persone come esame dei testimoni di giustizia, per i quali può essere richiesto l'incidente probatorio, è francamente apparentemente ultroneo.
  Sarebbe il caso di ripensare, invece, a un'ipotesi in cui sia obbligatoria la richiesta di incidente probatorio, in modo cioè da liberare subito il testimone da questa sorta di pressione e da sganciare anche dall'imminenza e dall'immanenza di uno stato di pericolo, dal momento che le dichiarazioni sono già state rese, pienamente utilizzabili e acquisibili. Diversamente, la previsione così com'è sarebbe sostanzialmente inutile, perché quello che non è detto espressamente sarebbe comunque ricavabile dal complesso delle previsioni contenute nell'articolo 392 del codice di procedura penale.
  Vengo a un'ultima connotazione. Anch'io ho delle perplessità in merito al cambio di generalità allargato. Credo che su questo punto sarebbe veramente opportuna una precisazione della natura dei reati oggetto del procedimento in cui vengono rese le dichiarazioni. Pur dando per scontato, così com'è peraltro nella normativa attualmente vigente, che non è necessario che si riferisca a quelle categorie di cui all'articolo 51, comma 3-bis, ovvero per i reati di terrorismo, dovremo sempre avere riguardo a un'ipotesi di dichiarazioni riferite a delitti che siano connotati da una particolare gravità.
  Diversamente, anche il delitto – purtroppo, nel nostro ordinamento sono tante le ipotesi – più semplice e banale potrebbe aprire l'occasione per una testimonianza che, francamente, sotto un profilo formale Pag. 12sarebbe giustificata con l'applicazione di questa normativa, ma che sotto un profilo sostanziale non avrebbe quella ricaduta di rilievo nell'ambito del procedimento.
  L'unica notazione è la caratteristica per le dichiarazioni del testimone di giustizia, laddove si precisa la fondata attendibilità intrinseca. È, cioè, sufficiente una semplice attendibilità intrinseca? Se il racconto o la versione del testimone di giustizia si presentasse in termini di coerenza intrinseca, ma sostanzialmente smentita in contrasto con una serie di risultanze processuali estrinseche pur avendo il loro peso nell'ambito del procedimento, quale sarà l'utilizzabilità delle dichiarazioni del testimone? Quale sarà la valutazione che potrà essere fatta della sua dichiarazione nella prospettiva di applicazione di questa normativa?
  Questa è la domanda che mi pongo, se cioè non sia sufficiente l'espressione–dichiarazione di fondata attendibilità senza alimentarne la connotazione intrinseca, che significherebbe che può essere coerente e intrinseca al suo interno, ma in contrasto con una serie di altri riscontri che dall'esterno dovranno essere ricercati.
  Ho cercato di contenermi nei termini. Ovviamente, sono a disposizione per altre domande.

  PRESIDENTE. Ringrazio il procuratore. Andiamo avanti, così cerchiamo di avere anche un po’ di tempo per qualche domanda, se ci sarà.
  Do ora la parola al procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano, Francesco Greco.

  FRANCESCO GRECO, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano. Vi ringrazio per l'invito. Credo che la collega Ilda Boccassini, responsabile della direzione, abbia già mandato qualcosa alla Commissione. Cercherò di essere breve e non ripetitivo, perché molte cose sono state già dette dai miei colleghi.
  Vado al primo punto. C'è un equivoco di fondo su questa legge, peraltro necessaria, che è la dizione di giustizia collegata al concetto di testimone. O uno è testimone, e allora non si capisce che cosa sia un testimone di giustizia, o è una particolare categoria di testimoni, e allora giustamente, come diceva il procuratore di Napoli, bisogna qualificare i reati che interessano a questa normativa.
  Il secondo equivoco è che l'articolo 2 è, a mio avviso, completamente inutile, perché non tiene conto del codice di procedura penale e del codice penale. Io posso capire un articolo che dica che, se i soggetti di cui all'articolo 351 del codice di procedura penale, le persone informate sui fatti, si trovano in determinate situazioni, hanno diritto a una protezione. Avanzare categorie diverse rispetto all'articolo 351 mi crea dei problemi, perché l'articolo 351 definisce i doveri, i diritti e gli obblighi del testimone. Da questo punto di vista, l'articolo 2 non mi è molto chiaro.
  Tenete presente che i doveri e gli obblighi del testimone sono poi definiti dal codice penale da due norme, l'articolo 372, sulla falsa e reticente testimonianza, e sulle condizioni di non punibilità, collegate alla situazione di un grave nocumento alla libertà e all'onore delle persone.
  Se, ad esempio, sono in queste condizioni, per me c'è un programma di protezione, ma comunque ritengo che questa protezione non sia sufficiente, posso o no avvalermi della condizione di non punibilità? Non lo so. Allora, quale è il problema?
  Se mi riporto alle categorie generali del codice di procedura penale e del codice penale, posso tirare giù lo statuto della protezione del testimone; se supero queste categorie o le ignoro, come la legge sembra fare, creo un sistema diverso, che però deve essere esaminato in tutte le sue articolazioni. Gli articoli 350 e 351, che definiscono i diritti dell'indagato, i doveri dell'indagato e così via e i diritti della persona informata sui fatti, i doveri e gli obblighi dell'indagato, sono lo status all'interno del quale ci si deve muovere.
  Diverso è se si vuole creare una terza categoria, un articolo 351-bis, e allora lo si dica, ma in questo caso bisogna scendere fin nei dettagli sia dei diritti/doveri e obblighi all'interno di questo articolo 351-bis sia anche in relazione alle norme del codice Pag. 13penale che provvedono cosa deve fare o non fare un testimone falso e reticente. Non so se sono stato chiaro.
  Giustamente, la legge si pone il problema di separare i collaboratori dai testimoni, due categorie completamente diverse, però di fatto c'è un retropensiero, un equivoco o un problema riguardo a categorie borderline, che non si sa dove piazzare, però questa storia deve essere risolta. Devo dire che quest'equivoco, o questo retropensiero, nasce proprio dal testo della legge quando parla di testimoni di giustizia. Invece, o si crea uno status di protezione dei testimoni – adesso poi arrivo a un secondo punto che ritengo importante – o si dice che i testimoni di giustizia sono quelli che devono riferire in ordine a questi reati, e la chiudiamo lì. Francamente, non ritengo utile continuare a mantenere quest'ambiguità.
  Vengo al secondo problema. Spesso, in determinati reati, e sempre più spesso oltre i reati di criminalità organizzata, c'è la necessità di proteggere i testimoni. E la protezione non è fisica in questi casi, ma di garanzia del mantenimento del posto di lavoro. Tra l'altro, questo tema si interseca con un altro di cui si fa un gran parlare, che è la protezione dei whistleblower. Anche su questo dobbiamo essere chiari.
  Spesso, c'è un'impossibilità di sbiancare le fonti utilizzate dalla polizia giudiziaria. In determinati settori (reati di corruzione, reati di finanza, reati di criminalità economica), il rischio è di perdere il posto di lavoro o di essere addirittura, come è successo a Milano, licenziati per un audit interno. Neanche a dirlo, ovviamente questo è diventato anche un testimone del processo. Da questo punto di vista, ritengo che sia necessario. Se, però, è così, bisogna ampliare lo spettro dell'intervento individuando le necessità di questi testimoni che non rischiano la vita, ma il posto di lavoro. Potrebbe essere un incentivo, il mantenimento e il controllo della progressione in carriera per merito, citando un esempio banale.
  Sono d'accordo sul problema che è «incongruo», rispetto alla categoria del testimone, sempre però che ci si chiarisca sul tipo di testimone di cui stiamo parlando, il discorso del programma. Questo mi sembra di tutta evidenza.
  Potremmo arrivare a un'ipotesi intermedia, cioè a una relazione del procuratore in ordine all'assunzione della testimonianza in corso, in cui segnala alla commissione ministeriale – scusate, ma rispetto ai colleghi sono molto fuori da quel settore – la necessità di attivare una procedura di protezione.
  Posso anche immaginare – lo dicevo prima al collega Prestipino – perché è successo tante volte, che un testimone dica di essere in grado di riferire su certi punti e poiché magari sono le sette di sera e si fa un elenco in un verbale, non in una cosa diversa dal verbale, e di cui non si capisce quale utilizzabilità possa avere anche un domani all'interno del processo penale, dei punti sui quali il testimone è in grado di riferire e si rinvia l'interrogatorio a quattro giorni. Quello è un verbale, non una cosa diversa dal verbale.
  Il procuratore della Repubblica, preso atto dei punti sui quali il soggetto vuole riferire, può trasmettere il verbale, magari omissato, o una relazione su quel verbale ai fini di attivare la pratica. È un'ipotesi intermedia, che però ha una sua coerenza con il sistema. Ho la sensazione che si debba entrare in coerenza con l'attuale sistema, non immaginarsi un sistema diverso. Quando ci si immagina un sistema diverso, infatti, bisogna fare tutte le norme di un sistema diverso, il che non è molto facile.
  Infine – non voglio tediarvi e sul resto mi riporto a quanto ha scritto la procura distrettuale di Milano – c'è la questione del referente. Io sono d'accordo, mi pare che tutti siamo d'accordo, che sia una figura strana, francamente una via di mezzo tra l'avvocato civilista, penalista e il commercialista. In realtà, è una categoria professionale un po’ sui generis. Io penso che basterebbe aumentare le competenze, implementare la Commissione centrale del servizio di protezione, permettendo loro, se già non lo fanno, di avvalersi di esperti di Stato. Pag. 14
  L'analisi di un patrimonio può essere fatta tranquillamente dall'Agenzia delle entrate o – non voglio far inorridire – anche la Guardia di finanza, uno della Banca d'Italia. Si può immaginare che il servizio protezione, secondo i problemi che si pongono, si rivolga a dei funzionari dello Stato, tenuti al segreto in maniera più stringente, in teoria, di un professionista privato, perché in alcuni casi la tutela del segreto è fondamentale. Tra l'altro, questo avverrebbe a costi zero, perché questi soggetti possono collaborare con il servizio di protezione a titolo battuto, in quanto o distaccati o indicati dagli enti di appartenenza.
  Io non ho altro da aggiungere.

  PRESIDENTE. Ringrazio il procuratore anche di questi ulteriori spunti di riflessione.
  Concludiamo le audizioni con Michele Prestipino Giarritta, procuratore aggiunto presso la Procura del Tribunale di Roma, con competenza nella materia.

  MICHELE PRESTIPINO GIARRITTA, Procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Roma. Ringrazio per quest'invito. Il mio compito è, ovviamente, agevolato, perché già sono stati sentiti i procuratori della Repubblica di Palermo, Napoli, Milano, e molte delle cose che sono state dette trovano anche la mia condivisione.
  Devo fare molto rapidamente soltanto una premessa. Parliamo di una proposta di legge della Commissione antimafia che, tra i vari meriti, ne ha uno che secondo il mio giudizio costituisce spesso un valore aggiunto delle leggi in materia di giustizia, cioè il fatto che reca la firma di tutti i gruppi parlamentari. Ha una larga condivisione che rende questo progetto particolarmente autorevole anche da un punto di vista politico, non solo per la provenienza dalla Commissione antimafia.
  La seconda premessa, che per ragioni di lealtà per quello che dirò, è necessaria è che io ho fatto parte della Commissione istituita presso il Ministero dell'interno, della Commissione centrale dei collaboratori di giustizia, dei testimoni di giustizia. Naturalmente, quindi, abbiamo avuto anche una lunga interlocuzione con la Commissione antimafia, devo dire un'estremamente fruttuosa interlocuzione, su alcuni punti di vista e alcune divergenze su alcuni aspetti di questa proposta. Il confronto ha determinato una modifica di alcuni orientamenti, di alcune opinioni, e una modifica credo anche reciproca su alcune cose.
  Brevemente, partiamo dal problema della definizione. Io condivido molto quello che ha detto il collega Greco. C'è un equivoco di fondo, che dipende da una scelta che è stata fatta. Noi passiamo da un sistema in cui c'era, sostanzialmente, nella legge n. 45 del 2001, una rinuncia alla definizione del testimone di giustizia – non c'era una definizione casistica, ma per esclusione e di tipo generale, con tutti i vantaggi e gli svantaggi in termini di ampia discrezionalità di valutazione da parte degli organi anche amministrativi che questo comporta – a una tipizzazione delle varie figure.
  Quella tipizzazione è, oggettivamente, particolarmente complicata. Nella categoria, da un punto di vista non strettamente codicistico, del testimone di giustizia dobbiamo mettere insieme tre cose completamente diverse. Dobbiamo mettere insieme, innanzitutto, il testimone puro, cioè quello che, per capirci, assiste casualmente a un episodio criminoso, delittuoso, e sul quale è tenuto a riferire con coloro i quali hanno appreso notizie su fatti criminosi in ragione della loro particolare vicinanza a chi quei fatti ha commesso, come i parenti di soggetti coinvolti in fatti criminosi, che compiono per ragioni rispettabilissime, e anzi da valorizzare, scelte di vita spesso completamente diverse.
  Io ho lavorato cinque anni e mezzo alla Direzione distrettuale antimafia a Reggio Calabria e so che cosa significa affrontare questi casi. Abbiamo affrontati diversi familiari, intranei a nuclei familiari, di ’ndrangheta, i quali operano delle scelte di vita diverse, si allontanano dal nucleo familiare di sangue e decidono di dare un contributo di verità sui fatti a loro conoscenza.
  Poi c'è una terza categoria, che è quella che anche nella proposta di legge viene indicata come quella dei soggetti cosiddetti Pag. 15borderline, cioè che sono a metà tra il testimone e il soggetto «coinvolto» nel fatto.
  Mettere insieme queste tre categorie sociologiche e costruirci intorno una categoria giuridica è davvero molto complicato. La tipizzazione fa correre il rischio di andare incontro a degli inconvenienti. Io, per esempio, mi permetterei, con molta umiltà, di segnalarvene uno. L'articolo 2, nella definizione di testimone di giustizia, parla di «colui che contestualmente», e poi mette insieme cinque lettere. Sembrerebbe, a una prima lettura, che sia necessario che ci siano tutte e cinque quei requisiti.
  Penso alla realtà napoletana, e Giovanni Colangelo mi potrà smentire, alle baby gang che operano sul territorio, con una successione di fatti delittuosi anche gravi ed efferati: se un soggetto che ha una misura di prevenzione in corso, perché magari ha commesso una serie di delitti, di reati, diventa testimone di un omicidio, è testimone oculare del fatto e riconosce il killer e per motivi suoi personali, nei quali noi non dobbiamo entrare – questo è il testimone di giustizia – decide di riferire, non è testimone di giustizia perché è soggetto alla misura di prevenzione? È un problema che mi pongo. Probabilmente, nella legge ci può essere la chiave della soluzione, ma è necessario che la esplicitiamo. C'è un «contestualmente» che, francamente, crea anche dei problemi di armonia tra tutte le proposizioni che seguono.

  PRESIDENTE. Anche la lettera b) sulla persona offesa.

  MICHELE PRESTIPINO GIARRITTA, Procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Roma. Certo, anche la persona offesa può porre lo stesso problema. Non tutte le persone offese hanno un certificato penale limpido. Possiamo pensare, per esempio, anche a un delitto grave, come un omicidio tra gruppi contrapposti, in cui un componente di un altro gruppo senza processi in corso, che non è sottoposto a indagini e procedimenti per reati associativi, è comunque «appartenente» alla famiglia di sangue e decide di parlare.
  C'è un problema di mettere a sistema. La scelta di tipizzare le figure del testimone di giustizia, passando da una scelta che aveva operato il legislatore del 2001 di tipo generale, per esclusione o di categoria generale, è di armonizzarle con tutte le altre norme del sistema, per evitare che si possano aprire delle contraddizioni di difficile soluzione interpretativa. Il giudice non può, infatti, inventarsi la norma.
  Quanto al problema del verbale illustrativo della collaborazione, condivido tutto quello che è già stato anticipato dai miei colleghi. Vorrei, però, invertire l'ordine degli addendi.
  La norma principale non è quella dell'obbligo del verbale illustrativo della collaborazione. La norma principale nel sistema dei collaboratori di giustizia, e fu la novità introdotta dalla legge n. 45 del 2001, fu l'obbligo di riferire entro un termine, cioè quello dei 180 giorni. Il verbale illustrativo della collaborazione altro non è che il rimedio per rendere concreto il rispetto del termine: si dice che tutto ciò che sta dentro il verbale illustrativo della collaborazione è detto nei 180 giorni; quello che sta fuori è tardivo rispetto al termine dei 180 giorni.
  Apriamo e chiudiamo la parentesi sul fatto che questo termine, nell'elaborazione giurisprudenziale della Corte di cassazione, è molto residuale, ma questo poco importa.
  Noi ci dobbiamo porre questo problema: rispetto al testimone di giustizia, ha un senso l'obbligo di riferire tutto entro i 180 giorni? I 180 giorni come termine fu voluto dal legislatore, e io personalmente già all'epoca condividevo questa preoccupazione, per evitare le famose dichiarazioni a rate, che non erano un fatto estetico («pare brutto che il collaboratore diluisca nel tempo»), ma per evitare tutto quel mercato delle dichiarazioni che avevano caratterizzato alcune collaborazioni, anche significative. Lì si volle porre un freno e si trovò il sistema dei 180 giorni.
  A mio avviso, con il testimone di giustizia, per come vogliamo disegnarlo in questa proposta di legge, questi 180 giorni non hanno nulla a che vedere. Di conseguenza, non c'è bisogno del verbale illustrativo della collaborazione. Io non ignoro che nell'attuale sistema normativo ci sono delle sentenze Pag. 16 della Cassazione che dicono che oggi per il testimone di giustizia è necessario il verbale illustrativo della collaborazione. C'è qualche sentenza, però francamente dico che non condivido la ratio. La ratio del sistema, però, è questa: per un testimone di giustizia che rientri in queste categorie, non ha senso questa cosa.
  Vengo all'articolo 14, il referente. Io condivido totalmente quello che hanno detto già i procuratori della Repubblica e nutro delle perplessità fortissime su questa norma, sulla necessità di introdurre questa figura. Ovviamente, non vi tedio sui motivi. D'altronde, purtroppo l'esperienza di quest'ultimo anno ci insegna molto sulla creazione e costituzione di categorie.
  Su questo abbiamo avuto un confronto nella Commissione della quale ero componente con la Commissione antimafia, in particolare con l'onorevole Mattiello, che è presente. Su questo voglio essere estremamente leale e chiaro.
  A proposito del motivo vero per cui si pensa a questa figura, si dice che per difendere le ragioni e l'interesse del testimone di giustizia serve una persona estranea al contesto, della Commissione centrale, innanzitutto, e del Servizio centrale di protezione, che altro non è se non il braccio operativo della Commissione centrale. Perché serve una persona esterna, estranea? Si dice che, di fronte a molte delle esigenze del testimone, l'esperienza di questi anni ha evidenziato un'inadeguatezza del Servizio centrale.
  Io devo dire che non condivido questo ragionamento, di cui comprendo perfettamente le ragioni di fondo, come logica di sistema. Innanzitutto, le inadeguatezze del Servizio centrale, laddove evidenziate, hanno riguardato sia i testimoni di giustizia sia i collaboratori di giustizia. C'è un problema nei lavori della nostra Commissione, che sicuramente l'onorevole Bubbico, che ne era il presidente, sarà in grado di rappresentarvelo, che talora possiamo guardare sotto il profilo dell'inefficienza, talora è un problema su alcuni profili di inadeguatezza strutturale del Servizio centrale.
  Soprattutto in alcune fasi, sia dell'inizio della collaborazione di giustizia sia dell'inizio o della scelta di testimoniare, spesso sono necessari interventi che richiedono conoscenze, un know how specialistico. Penso anche ad esperti come psicologi, che sanno affrontare il problema dei minori che vengono spostati o che subiscono una serie di conseguenze estremamente spiacevoli per la loro esistenza e che non sono preparati a subire.
  Il problema, allora, non è quello di inventarci un referente esterno, ma quello di attrezzare e adeguare il Servizio centrale di protezione. Con questo risolviamo anche il problema dei collaboratori di giustizia.
  Voglio essere anche su questo estremamente chiaro. Non è un problema soltanto di tipo strutturale normativo, cioè di implementare e adeguare gli organici inserendoci il sociologo, lo psicologo, il commercialista, quello che diceva prima Francesco Greco sulla necessità, per esempio, di ausiliare un imprenditore con un esperto contabile che lo aiuti. C'è un problema anche – scusate, forse vi sembrerà banale, ma secondo me è importante – culturale nelle Forze di polizia.
  Io ricordo le prime fasi della collaborazione, quando il Servizio centrale era diretto da funzionari delle Forze di polizia, che poi hanno fatto un percorso professionale adeguato alle loro capacità. Ovviamente, il mio pensiero va ad Antonio Manganelli, che è stato un illustrissimo e autorevolissimo direttore del Servizio centrale di protezione.
  C'è un problema culturale anche all'interno delle Forze di polizia, e noi dobbiamo creare le condizioni affinché dentro le Forze di polizia, che alternano la direzione del Servizio centrale, questa funzione, questo ruolo non venga vissuto come un incarico di serie B rispetto ad altri incarichi, altrimenti le conseguenze sono quelle che non mancherà a voi di immaginare. Risolviamo il problema.
  Non c'è nulla di male a dire che, rispetto a come avevamo configurato il servizio dieci o quindici anni fa, oggi c'è la necessità di adeguarlo anche da un punto di vista delle figure professionali. Si può pensare anche a un sistema di incarichi non per Pag. 17forza di organicità di queste figure. Si può pensare a tante soluzioni.
  Quanto ai criteri di scelta delle misure previsti dall'articolo 4, apprezzo molto la norma anche per come è articolata da un punto di vista tecnico, letterale, nella disposizione, cioè il dire che di norma dobbiamo garantire la permanenza nel luogo di provenienza del testimone di giustizia. Dobbiamo, però, lasciare un principio, fondamentale secondo me in questa materia: mi rendo conto che è un po’ complicato, ma è il principio della flessibilità.
  Non è detto che quello che vale per un determinato soggetto valga per tutti. Quella di permanere è una scelta complicata. Federico Cafiero De Raho citava alcuni esempi concreti. Io sono stato anche testimone, nel senso che mi è stato raccontato di una ragazza giovane, di quattordici o quindici anni (primo anno di scuola superiore). Dovendo prendere il pullman da Rizziconi, il centro citato da Federico Cafiero De Raho, per andare al liceo a Palmi, tutte le mattine ci saliva in compagnia di uno dei figli di Giuseppe Crea.
  Questa persona non apparteneva al contesto Crea e tutte le mattine il figlio quattordicenne di Crea, anche lui sull'autobus, si sedeva dietro questa ragazzina, le scuoteva il sedile nell'assoluta e totale indifferenza di tutti gli altri ragazzi. Naturalmente, la ragazzina alla quarta, quinta, sesta, settima volta, ha deciso che il pullman non lo prendeva più. Questo è un fatto che ci deve far riflettere.

  FEDERICO CAFIERO DE RAHO, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria. Voglio precisarlo, altrimenti si creano degli equivoci. Né il figlio né la figlia possono essere le persone a cui fa riferimento il procuratore Prestipino, perché sia il figlio sia la figlia sono protetti, cioè hanno uomini della Polizia di Stato che li seguono a distanza e intervengono in ogni occasione. Perciò ho sottolineato che la protezione va sempre garantita e fatta per bene.

  MICHELE PRESTIPINO GIARRITTA, Procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Roma. Ovviamente, non è questo il caso, ma dobbiamo tenere presente che c'è questo tipo di contesto, per fronteggiare il quale non sono necessarie e non sono utili regole rigide. Serve anche un po’ di flessibilità nell'applicazione delle regole, perché ci può essere il caso in cui la permanenza nel luogo di provenienza può creare danni. Apprezzo, quindi, il fatto che la disposizione dica «di norma».
  Arrivo all'ultima questione, quella dei documenti, sulla quale spendo ancora un minuto soltanto e concludo.
  Io ho le stesse preoccupazioni di Francesco Lo Voi, del procuratore di Palermo, quando dice di stare attenti, che attraverso questa strada si può aprire un fronte estremamente pericoloso, con la concessione allargata ai familiari e così via.
  Stiamo attenti. Sono anni, non solo in Cosa nostra – anche nella ’ndrangheta c'è questo tipo di fenomeni – che ci sono persone che vogliono allentare la tensione investigativa che preme su di loro e cercano strade diverse. Ovviamente, non hanno alcuna intenzione – lasciamo stare le formule linguistiche – di aiutare lo Stato, anche soltanto recidendo decisamente, visibilmente, in modo riconoscibile i propri legami con l'organizzazione mafiosa di appartenenza. Anche quello conta, la rescissione del legame in certi territori visibile, riconoscibile, è una forma importante.
  Stiamo attenti, però, che non passino dei fenomeni del tipo della dissociazione, in relazione a cui non c'è un problema individuale, ma sulla quale in varie fasi e periodi della loro esistenza le organizzazioni mafiose più titolate, come Cosa nostra e come la ’ndrangheta, hanno puntato per cercare di allentare la forte pressione dello Stato e per cercare di allentare la catena di successi che la battaglia nei loro confronti stava garantendo allo Stato.

  PRESIDENTE. Vi ringrazio molto. Da ognuno di voi c'è stato davvero un grosso spunto di riflessione e di approfondimento.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

Pag. 18

  DAVIDE MATTIELLO. In realtà, intervengo soltanto per ringraziare di cuore le persone che abbiamo audito per quello che ci hanno detto e per il lavoro che svolgono e per rassicurare che da parte mia e nostra ci sarà, in particolare – non riprendo tutti punti, per carità – la massima attenzione sulla questione problematica della definizione positiva del testimone di giustizia.
  C'è la consapevolezza della problematicità, quindi la massima attenzione, quindi la massima disponibilità a recepire quanto ci avete voluto già portare rispetto a questo, che però resta il punto maggiormente qualificante di iniziativa legislativa, e cioè una definizione positiva del testimone di giustizia, a differenza della scelta fatta dal legislatore del 2001.
  Il secondo e ultimo passaggio da parte mia, da parte nostra, è la massima attenzione a valutare la questione della cosiddetta dissociazione, o meglio il rischio che si apra surrettiziamente, in maniera non voluta, quindi irresponsabile, quella porta. C'è consapevolezza del dibattito che storicamente ci fu a cavallo degli anni Novanta-Duemila. C'è da parte nostra la massima attenzione a impedire che in qualunque modo si apra quel tipo di porta. Non entro adesso nel merito delle ragioni dell'articolo 21. Non lo faccio solo per brevità, ma ci sarà tempo e modo, e comunque ribadisco la massima attenzione a recepire le vostre sottolineature affinché quell'articolo non si presti in alcun modo a riaprire quella porta, che anche personalmente ritengo porta scellerata, da non schiudere in alcun modo.
  Concludo ancora ringraziandovi. Faremo tesoro di tutto ciò che ci avete voluto consegnare anche dal punto di vista scritto. Lascio una domanda alla presidente relativa al termine per gli emendamenti sulla possibilità di formulare fin d'ora un'ipotesi per la fine della prossima settimana, dal momento che il ciclo di audizioni terminerà domani. Ringrazio ancora gli auditi.

  GIULIA SARTI. Condivido anch'io con il collega Mattiello la nostra esigenza di avere un termine non troppo lungo per gli emendamenti. Le osservazioni di oggi, e che saranno fatte anche nelle successive audizioni dal procuratore nazionale antimafia e dal dottor Bubbico, in realtà sono già i punti che anche noi avevamo potuto giudicare problematici o degni di nota per migliorare alcune situazioni.
  Vorrei fare una domanda proprio con riferimento alla definizione dettata dall'articolo 2, che sicuramente va raccordata con gli articoli del codice penale e del codice di procedura penale, tipizzata in altro modo o, come si diceva, rivista, per tornare alle categorie che esistono già degli articoli 350 e 351.
  Vorrei porre una questione su un tema di cui non abbiamo parlato forse abbastanza. Per i testimoni di giustizia è difficile avere una collocazione univoca, dato che molte volte si tratta di ipotesi veramente diversificate. Spesso, abbiamo anche testimoni di giustizia che non solo hanno avuto un passato all'interno delle cosche, ma sono proprio utilizzati dalla criminalità organizzata per denunciare fatti riguardanti clan avversi e, con la fedina penale pulita, poi potersi avvalere dei sistemi di protezione.
  Questo è un fenomeno che ricordo di aver visto spesso in Sicilia, in Calabria, di imprenditori, o comunque di persone utilizzate proprio per «attaccare» o portare all'arresto dei clan avversari. Spesso poi arriva la magistratura a fare il suo dovere e a scoprire l'arcano, ma nella definizione dell'articolo 2 potrebbero esserci anche dei problemi per non aver scritto in modo abbastanza definito quali sono queste categorie. Fenomeni che già esistono potrebbero avere dei problemi ulteriori. Questa è l'osservazione che volevo fare.
  Quanto all'allargamento delle generalità anche ai familiari, condivido in pieno le preoccupazioni. Osservo solo che altri segnali legati al pericolo della dissociazione ci sono già stati, sia qui alla Camera sia al Senato, nella riforma della giustizia che si sta discutendo con riferimento all'accesso ai benefìci penitenziari per i condannati all'ergastolo, quindi al tentativo di superamento dell'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario, insieme ad altri, poi superato.
  Qui, infatti, abbiamo perlomeno escluso determinate categorie di soggetti condannati all'ergastolo, quelli per i reati più pericolosi, Pag. 19 ma nel testo rimangono adesso al Senato delle problematiche. Colgo l'occasione per dire che, se certi segnali, come questo dell'allargamento delle generalità, potrebbero creare dei problemi e dei segnali al di fuori, nel senso del pericolo della dissociazione, figuriamoci quello che sta succedendo in Senato con riferimento all'ordinamento penitenziario. Va prestata attenzione perlomeno a questo.
  Avete poi già fatto voi tantissime osservazioni che possiamo condividere e di cui faremo tesoro nella scrittura degli emendamenti.

  PRESIDENTE. Prima di dare la parola ai nostri ospiti per la replica, vorrei porre una domanda che fa riferimento sempre all'articolo 2. Di questo mi pare abbia parlato per primo il procuratore Greco, poi la problematica è stata ribadita, e allora vorrei capire.
  Io credo che nella filosofia di questa proposta di legge – mi diranno meglio i presentatori, che ci ha lavorato – si faccia riferimento a una certa tipologia di reati anche se non lo si scrive, perché non c'è questa delimitazione cui faceva riferimento anche il procuratore Colangelo. A mio personale parere, però – vorrei sapere anche che cosa ne pensano i procuratori – se davvero questa disciplina diventerà legge e funzionerà, anche con tutte le strumentazioni, i supporti economici e così via – mentre colgo l'accenno del procuratore Colangelo con riferimento ad alcune tipologie molto minimali dei reati – di per sé può essere inapplicabile, non sarà applicata. Se si parla di truffa aggravata o altro, non dovrebbe essere di per sé...
  Penso, però, alla diffusione di alcuni fenomeni delittuosi che vanno oltre quelli cosiddetti mafiosi e di criminalità organizzata, per cui parlo di tutta la criminalità economica, ma anche delle frodi comunitarie, di cose che ci colpiscono meno come pathos, ma che secondo me sono molto striscianti nello Stato, nell'economia, ma anche proprio nell'applicazione della legalità.
  Vorrei conoscere il vostro punto di vista: è auspicabile che si faccia un riferimento, fermo restando che questo è un percorso particolare, quasi parallelo per un testimone – ecco perché si chiama testimone di giustizia, o così credo, ma non avendo lavorato alla proposta parlo come chi la guarda dall'esterno – al testimone di giustizia perché si vuole fare riferimento ad alcune tipologie di reato, o comunque ad alcuni fenomeni di criminalità molto intensi?
  Dall'altro lato, anche se si dovesse lasciare questa dicitura, è necessario o no, secondo voi, individuare le tipologie di reato? Poniamo l'ipotesi che la risposta sia sì, è bene andare oltre i canoni dell'articolo 51, comma 3-bis, sempre i soliti riferimenti, che restringono un po’? Rimaniamo sempre un po’ troppo ancorati a delle tipologie di reato, che per carità sono importantissime, quelle che più flagellano alcune parti del nostro territorio, ma forse tutto il nostro territorio, ma non sono le uniche forme di criminalità che destano allarme e hanno una grave incidenza sul nostro Stato democratico.
  Do la parola per un ultimo intervento da parte dei colleghi all'onorevole Amoddio, che non avevo visto.

  SOFIA AMODDIO. Non so se sia stato già trattato questo punto. Poiché, così com'è formulato, l'articolo 2 sembra mettere insieme contestualmente cinque ipotesi, come è stato detto, la questione che pongo è questa. In generale, senza scendere nei dettagli, per testimone di giustizia si intende qualunque testimone, anche se il preambolo alla legge distingue che il cittadino che adempie al suo dovere civico di testimonianza sicuramente non è un collaboratore di giustizia. Qui la terminologia cambia e passiamo dal collaboratore di giustizia al testimone di giustizia.
  Non ritenete che nella definizione di testimone di giustizia vada inserita necessariamente la lettera e) non come condizione, ma come presupposto? È testimone di giustizia colui che si trova in una situazione di grave e concreto pericolo, e quindi non è una condizione alternativa, ma il presupposto per essere testimone di giustizia. Questa è la mia domanda.

  PRESIDENTE. ... mettono «contestuale».

Pag. 20

  SOFIA AMODDIO. Certo, contestuale.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per risposte brevi, non per altro, vi ascolteremmo molto...

  FRANCESCO GRECO, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano. Personalmente, ritengo che sia necessaria una legge sui testimoni, punto.
  Aggiungo che la qualifica «di giustizia», che piace tanto a quanto pare, potrebbe portare a un'etichettatura, a una sorta di simbolo DOC, che a me non piace e che, tra le altre cose, fa sì che ci possano essere testimoni di seria A e testimoni di serie B. Questo è il rischio, che è controproducente sia per la giustizia sia per il giusto processo nel contraddittorio.

  MICHELE PRESTIPINO GIARRITTA, Procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Roma. Risponderò molto rapidamente.
  Sono due le cose che dobbiamo combinare sul problema catalogo dei reati sì, catalogo dei reati no, e se sì quali. Si possono fare entrambe le scelte, ma se si sceglie di lasciare il catalogo non definito, allora dobbiamo lavorare sui criteri di valutazione delle dichiarazioni del testimone. In questo momento, abbiamo un catalogo non definito con un criterio, come diceva il procuratore di Napoli, che prevede soltanto un'attendibilità intrinseca, e cioè si può porre il problema di colui il quale da testimone rende delle dichiarazioni in assoluto ed evidente contrasto con altre risultanze processuali.
  Possiamo lasciare aperto il catalogo e forse questo è sulla scia della tradizione normativa. Anche la legge n. 45 del 2001 non prevede per il testimone il catalogo dei delitti previsto per i collaboratori, per cui ci può essere un testimone su una serie di fenomeni criminali e lo stesso soggetto, se condannato, non può essere collaboratore di giustizia. Lasciamo aperto il catalogo, ma allora precisiamo i criteri di valutazione delle dichiarazioni del testimone, ovviamente non collegandolo, perché lì la norma prevede di scollegare la testimonianza dall'esito del processo.
  Questo vale anche per il collaboratore. Al collaboratore che rende la dichiarazione e poi il processo finisce con assoluzioni, come può accadere, non viene revocato il programma, ma rimane con il programma. Lavoriamo sul criterio dell'attendibilità e lasciamo aperto il catalogo, e forse raggiungeremo una soluzione appagante.

  GIOVANNI COLANGELO, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli. Io ho esordito citando quest'articolo, e in particolare la lettera a), per un motivo semplice: qui non è neanche definita la tipologia, non la categoria, ma la tipologia di reato. Nell'ambito di un procedimento penale così genericamente inteso, se si prescinde da quella dizione, che riporta peraltro per inciso il fatto delittuoso, dovremmo poterlo riferire persino alle contravvenzioni.
  La scelta è, ovviamente, di precisare innanzitutto che debba trattarsi di delitto. Poi si potrebbe pensare all'ipotesi di una tipizzazione dei delitti, ma anche a una definizione di gravità, come avviene in tanti altri casi, cioè a una pena «non inferiore a», di modo che già sappiamo che abbiamo riguardo a una certa tipologia di delitti di qualsiasi genere... In questo, signora presidente, sono assolutamente d'accordo, non vale il riferimento né all'articolo 51, comma 3-bis, né al terrorismo. Possono essere delitti contro l'economia, contro la persona, contro l'identità e l'integrità sessuale, qualsiasi tipologia di reato connotato da una sua gravità.
  Inoltre, si potrebbe lavorare contestualmente, come diceva il collega Prestipino, anche sulla qualità delle dichiarazioni rese. Di fronte a questo novero di considerazioni, l'ambito, come ho detto, delle eccezioni della lettera c) è eccessivamente ristretto, fa riferimento alle ipotesi dei reati connessi. Per i motivi richiamati dall'amico Michele Prestipino, abbiamo una varietà di tipologie, soggetti inseriti in organizzazioni criminali, che hanno commesso reati collegati o che possono avere un interesse di segno contrario, sono testimoni, ma nello Pag. 21stesso tempo hanno un interesse «collaterale».
  È il problema che ha determinato l'intenzione assolutamente commendevole del legislatore nello stabilire normativamente i confini tra collaboratore e testimone, confini che fino a oggi spesso sono stati oggetto di disquisizioni tra la definizione del testimone in senso penalistico e la definizione del senso di testimone di giustizia sotto il profilo amministrativo per le finalità di tutela che conosciamo.
  Per il resto, non sempre automaticamente – qui concordo con quello che diceva l'amico Michele Prestipino Giarritta – l'esistenza di una misura di prevenzione, magari anche risalente nel tempo, anche se riferita a fatti veramente di limitata entità... Ci può essere la persona che abbia una misura di prevenzione per reati di furto e che denunci e rappresenti la sua importante testimonianza rispetto a fatti omicidiari o di criminalità organizzata: a quel punto, come si fa a svilire la sua qualità di sottoposizione a rischio, con le misure consequenziali, per il solo fatto che ha avuto una misura di prevenzione a due anni perché responsabile di qualche furto? Praticamente, così escludiamo una quantità...

  PRESIDENTE. Mi sembra, infatti, di difficile applicazione in tutti questi casi contestuali.

  FEDERICO CAFIERO DE RAHO, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria. In genere, tot capita tot sententiae. In realtà, sono d'accordo solo in parte. La legge è sul testimone di giustizia, che è, innanzitutto, cosa diversa dal testimone del codice di procedura penale o dalla persona informata o da qualunque altra categoria. Il testimone di giustizia può essere una di queste figure.
  A me, invece, devo dire che è piaciuta molto la definizione che è stata data. L'articolo 2 richiede che contestualmente, cioè nello stesso momento, ricorrano tutte le condizioni che sono specificatamente indicate. Andare alla ricerca di elementi selettivi, specializzanti, così come è stato fatto nella norma, per la verità è un lavoro enorme.
  Se anche andassimo a rileggerla per un attimo, ci renderemmo conto che non è necessario sapere qual è il reato. E non è necessario capire che il reato sia l'uno piuttosto che l'altro è dato espressamente dalle lettere a) e b). Già la lettera a) dice che le dichiarazioni devono essere di fondata attendibilità intrinseca, da un lato; rilevanti per le indagini o per il giudizio. È evidente che non possono essere poi sconfessate da altri elementi, perché probabilmente non sarebbero rilevanti per il giudizio. È evidente che è sufficiente un requisito fondamentale per valutare la dichiarazione e l'attendibilità intrinseca e poi una valutazione che ne facciamo. Sono rilevanti per le indagini o per il giudizio.
  Assume poi rispetto al fatto delittuoso la qualità di persona offesa dal reato, ovvero di persone informata sui fatti o di testimone. Già identifica il campo in cui si muove il dichiarante. Qual è la figura che impersonifica? Una di queste. Potrà essere una o l'altra, non ha importanza, perché qui non facciamo la legge sul testimone. Qui la legge è sul testimone di giustizia, che è cosa diversa. Non abbiamo necessità di adottare la norma del codice di procedura per qualificare espressamente il testimone di giustizia. Dobbiamo dire quale testimone deve essere protetto e quali devono essere le misure che dobbiamo riconoscere. Per fare questo, abbiamo necessità di tanti elementi selettori, e perciò ci sono ben cinque elementi selettori.
  Se andiamo poi al terzo, non deve aver riportato condanne per i delitti connessi. Diventerebbe un collaboratore di giustizia se ci fosse il presupposto del reato. Non deve poi aver consapevolmente rivolto a proprio profitto l'essere venuto in relazione con il contesto delittuoso. Mi pare anche questo un elemento fondamentale, indipendentemente dal fatto che con quel contesto delittuoso abbia o meno qualcosa da condividere. Mi sembra anche questo un elemento intelligentemente selettivo.
  Ancora, nel momento in cui si afferma che non si esclude la terzietà, ecco che tiriamo dentro anche quelle persone che Pag. 22hanno subìto estorsioni e per anni non le hanno denunciate, che comunque hanno tenuto dei comportamenti che in qualche modo potrebbero escludere, sulla base del reato che vanno a denunciare, ma che invece c'entrano lo stesso, perché ricorre l'elemento di cui la lettera c) direttamente fa menzione.
  Probabilmente, anzi sicuramente, sono d'accordo con i colleghi per quanto riguarda la misura di prevenzione. Forse va meglio specificato, alla lettera d), il fatto di essere stato sottoposto a misura di prevenzione. Quando è fondata sulla pluralità dei fatti, sui traffici delittuosi o su elementi che escludono la contiguità con l'ambiente criminale di cui parla il testimone, probabilmente quella misura di prevenzione non incide.
  Presidente, l'ultimo punto, che ritengo sia quello veramente selettivo, è quello della situazione di grave, concreto e attuale pericolo, rispetto alla quale situazione risulti l'assoluta inadeguatezza delle ordinarie misure per colui che non può essere protetto attraverso quelle misure di tutela che lo tengono sul territorio, che solitamente consentono al prefetto di disporre la vigilanza radiocollegata, un accompagnamento o frequenti passaggi, o, comunque, di trovare un referente per i momenti di difficoltà.
  Con la lettera e) noi finiamo per dare rilievo a qualunque fatto che effettivamente possa essere inquadrato in una situazione di grave, concreto e attuale pericolo, rispetto al quale le misure ordinarie, quelle misure che l'autorità di pubblica sicurezza potrebbe adottare, non sarebbero sufficienti. Ed è proprio con riferimento alla rilevanza e alla qualità delle dichiarazioni che va valutato il rischio.
  Allora, con i cinque elementi posti insieme, mi pare che abbiamo la selezione di un fatto certamente molto grave, che è un fatto allarmante, un fatto sul quale altre misure sono inidonee, e che, quindi, necessariamente richiedono un trattamento particolare. Personalmente, in linea di massima condivido in pieno la valutazione che è stata fatta nel definire il testimone di giustizia.

  PRESIDENTE. Vi ringrazio a nome di tutti i colleghi. Per il contributo, domani finiremo le audizioni e poi ci sarà sicuramente un momento di riflessione per la presentazione degli emendamenti.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.50.