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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Martedì 11 giugno 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLO STATO DI ATTUAZIONE DELLA LEGISLAZIONE IN MATERIA DI VIOLENZA CONTRO LE DONNE

Audizione del generale Enrico Cataldi, Comandante del Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche (RaCIS).
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Cataldi Enrico , Comandante del Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche (RaCIS) ... 3 
Guarino Arturo , Capo ufficio legislazione del Comando generale dell'Arma dei Carabinieri ... 5 
Cataldi Enrico , Comandante del Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche (RaCIS) ... 7 
Ferranti Donatella , Presidente ... 7 
Micillo Salvatore (M5S)  ... 7 
Morani Alessia (PD)  ... 7 
Businarolo Francesca (M5S)  ... 7 
Giuliani Fabrizia (PD)  ... 8 
Ferranti Donatella , Presidente ... 8 
Cataldi Enrico , Comandante del Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche (RaCIS) ... 8 
Guarino Arturo , Capo ufficio legislazione del Comando generale dell'Arma dei Carabinieri ... 11 
Scalfarotto Ivan (PD)  ... 11 
Mattiello Davide (PD)  ... 11 
Ferranti Donatella , Presidente ... 11 
Ermini David (PD)  ... 11 
Cataldi Enrico , Comandante del Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche (RaCIS) ... 12 
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 
Cataldi Enrico , Comandante del Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche (RaCIS) ... 12 
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 
Guarino Arturo , Capo ufficio legislazione del Comando generale dell'Arma dei Carabinieri ... 13 
Cataldi Enrico , Comandante del Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche (RaCIS) ... 14 
Vazio Franco (PD)  ... 15 
Cataldi Enrico , Comandante del Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche (RaCIS) ... 15 
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 
Cataldi Enrico , Comandante del Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche (RaCIS) ... 15 
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 
Cataldi Enrico , Comandante del Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche (RaCIS) ... 15 
Ferranti Donatella , Presidente ... 16

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero: Misto-MAIE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 13.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del generale Enrico Cataldi, Comandante del Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche (RaCIS).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sullo stato di attuazione delle disposizioni legislative in materia di violenza contro le donne, l'audizione del generale Enrico Cataldi, Comandante del Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche (RaCIS), accompagnato dal colonnello Arturo Guarino, Capo ufficio legislazione del Comando generale dell'Arma dei Carabinieri.
  Ringrazio entrambi per la presenza. Aspettiamo di conoscere le vostre osservazioni e in seguito ci sarà un dibattito con eventuali domande.
  Cedo la parola al generale Cataldi.

  ENRICO CATALDI, Comandante del Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche (RaCIS). Signori, buongiorno a tutti. Grazie per la convocazione.
  In base alla convocazione che ho ricevuto, relativamente alle questioni connesse all'applicazione concreta sul territorio della predetta normativa, se mi è consentito, vorrei rappresentare il motivo per cui le cose che dirò e quelle che dirà il collega hanno formato l'oggetto di una visita che abbiamo fatto due settimane fa al Ministro delle pari opportunità, l'onorevole Idem.
  Come RaCIS, Raggruppamento di investigazioni scientifiche, abbiamo il reparto di analisi criminologiche, che studia l'aspetto criminologico dei fenomeni e interviene soprattutto in base a un protocollo di intesa stipulato nel 2009 tra il Comando generale dell'Arma dei Carabinieri e il Ministro delle pari opportunità, nel quadro del decreto-legge n. 11 del 2009, che ha introdotto l'articolo 612-bis del codice penale relativo agli atti persecutori.
  In tal senso, noi abbiamo rinnovato questo protocollo d'intesa con una convenzione che è stata stipulata sul finire del 2012. In base a questa convenzione, noi seguiamo il fenomeno, in supporto alle pari opportunità, sotto diversi aspetti. Il primo aspetto è quello della formazione del personale che sul territorio impatta con questo problema, al fine di evitare, ad esempio, la vittimizzazione secondaria o effetti di questo tipo sulle vittime di genere. Interveniamo tecnicamente laddove ci siano ipotesi di reato nascenti da telefonate al 1522.
  Oltre a tutto questo, ci stiamo attivando per la realizzazione della banca dati delle case accoglienza, case assistenza e case rifugio, che sono un argomento ricorrente. Si tratta di un argomento ricorrente e necessario, perché sul territorio bisogna innanzitutto affrontare il problema e cercare di risolverlo.
  Stante questa premessa, uno degli aspetti principali è la normativa, e stabilire Pag. 4se questa normativa è aderente o meno alle esigenze che il territorio rileva.
  Sotto il profilo repressivo, a onor del vero, bisogna dire che l'articolo 612-bis ha avuto un notevole successo, il che è positivo sul piano legislativo, ma triste sul piano sociale, perché significa che c’è una notevole recrudescenza di questo fenomeno delittuoso. Oltre a questo, il piano è sufficiente. L'articolo 612-bis ha introdotto un aspetto importante che mi preme sottolineare. Mi riferisco al doppio binario, ossia alla possibilità di intervenire sotto il profilo giudiziario e anche sotto il profilo amministrativo, con le forme dell'ammonimento a tutti note.
  Recentemente, come loro sanno, c’è stata la legge n. 172 del 2012, che ha recepito la Convenzione di Lanzarote. Oltre all'aspetto che non va dimenticato, quello della pornografia minorile e dell'induzione alla prostituzione minorile e reati connessi, problematica che seguiamo sempre nell'ambito dell'Osservatorio che è stato stabilito dal Ministro delle pari opportunità, è intervenuto anche il processo di ratifica della Convenzione di Istanbul.
  Voglio sottolineare specificatamente due elementi riportati nella convenzione.
  Mi riferisco innanzitutto all'articolo 16, che riporta: «Le parti adottano le misure legislative e di tipo necessarie per istituire o sostenere programmi rivolti agli autori di atti di violenza domestica, prevenire violenze e modificare i modelli comportamentali violenti, prevenire la recidiva». Questo ricorso al termine «prevenire» presuppone forse sempre una via amministrativa rispetto alla via giudiziaria in senso stretto.
  La cosa più significativa che il Comando generale ufficio legislazione ha valutato è stato l'articolo 52, recante «Misure urgenti di allontanamento imposte dal giudice», in cui si afferma: «Le parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che le autorità competenti si vedano riconosciuta la facoltà di ordinare all'autore della violenza domestica, in situazioni di pericolo immediato, di lasciare la residenza della vittima o della persona in pericolo, per un periodo di tempo sufficiente, e di vietargli l'accesso al domicilio della vittima».
  Questo è il problema che noi rileviamo più spesso quando dobbiamo intervenire. Nella maggioranza dei casi si interviene per una lite domestica, spesso in seguito ad una chiamata dei vicini di casa per il trambusto che ne deriva. In questi casi il carabiniere interviene, anche nelle zone più isolate del territorio, per «comporre pubblici e privati dissidi», come si diceva una volta. Questo tipo di intervento, per quanto fatto nel modo più adeguato, provoca spesso un effetto reattivo. L'aggressore accusa la vittima di aver chiamato i carabinieri per volerlo mandare in galera. Questo intervento non è quindi risolutivo del problema che lo ha originato.
  A nostro avviso, è quindi necessario adottare nell'immediatezza un provvedimento che rimuova la situazione, e che, davanti, ad esempio, a una flagranza di percosse, elimini il rischio che l'atto illecito che è stato compiuto si riperpetui una volta che si è andati via da quella casa.
  In tal senso, l'Ufficio legislativo del Comando generale ha presentato una proposta, consegnata nelle mani del Ministro, che riguarda l'inserimento dell'articolo 282-quinquies del codice di procedura penale per dare la facoltà all'ufficiale della polizia giudiziaria, con richiesta in urgenza al pubblico ministero – che garantisce quindi l'esercizio della giurisdizione, non trattandosi di un atto di imperio della sola Polizia giudiziaria, ma di un atto esercitato sotto la verifica di legalità da parte del pubblico ministero che autorizza oralmente – di impartire l'ordine all’offender dell'aggressione di lasciare il domicilio per un periodo di 96 ore, quindi il doppio rispetto alle 48 ore. Questo tempo permette al pubblico ministero di avanzare una richiesta al giudice, che possa o meno confermare il 282-ter, che prevede il provvedimento in questo senso.
  Ci sono altri aspetti che noi abbiamo segnalato e che riguardano l'articolo 612, ultimo comma, con un provvedimento analogo – se mi è consentito il parallelo – al DASpo, il provvedimento che le forze Pag. 5dell'ordine adottano in occasione di turbamenti allo stadio, e che consente l'arresto fuori dalla flagranza di reato, per rendere possibile un qualcosa che il più delle volte la violazione non permette nell'immediato.
  Da ultimo, voglio ricordare la previsione di una pena edittale punitiva degli articoli 282-bis, ter e quater, che nella formula precedente del legislatore prevedevano la fattispecie del reato, ma non la sanzione dello stesso.
  Al riguardo, credo che il colonnello Guarino potrebbe dettagliare meglio l'argomento, se lo ritiene.

  ARTURO GUARINO, Capo ufficio legislazione del Comando generale dell'Arma dei Carabinieri. Signor presidente, onorevoli deputati, la linea proposta dal generale Cataldi è frutto di una nostra considerazione molto semplice, fondata sull'esame della normativa esistente.
  A nostro parere, nel 2009 il legislatore è stato particolarmente efficace nel definire norme di diritto sostanziale e di diritto processuale per bloccare il fenomeno delle violenze di origine affettiva, introducendo il reato di stalking.
  La nostra analisi è che il costume porterà fisiologicamente un allentamento di queste tensioni, perché ci si fonda su relazioni affettive instabili o che degenerano, ma che sono molto frequenti. Il reato di stalking, anche per come è stato pubblicizzato e inserito nel tessuto sociale, sta già creando una serie di considerazioni da parte delle persone. Le due norme di intervento sul codice di procedura penale, che hanno consentito queste misure particolari di tipo cautelare di allontanamento e di divieto di reingresso nella casa familiare, a seguito di fatti di natura violenta, sono particolarmente efficaci.
  A nostro giudizio, il punto non è aumentare le pene. Visto che il problema matura nel domicilio domestico e nelle relazioni affettive, a nostro avviso, non è il timore di pena che irretisce l'autore della violenza domestica. Infatti, quando si tratta di un rapporto personale logorato, come giustamente il signor generale anticipava, a volte l'intervento della giustizia, attraverso le forze di polizia, può addirittura essere un ulteriore motivo di irrigidimento e di complicazione del rapporto.
  Il problema che ci siamo posti è quello di verificare la tempistica di efficacia delle norme che sono attualmente predisposte dal legislatore, che a nostro avviso non sono sempre efficaci. A noi brucia molto quando la cronaca illustra casi nei quali la donna, o comunque la persona vittima della molestia, si era rivolta alle forze di polizia, che erano intervenute, magari ammonendo la parte e avviando le procedure previste con l'ammonimento del questore o con la richiesta tramite il pubblico ministero di una misura cautelare di allontanamento dalla casa familiare.
  Voi conoscete bene i tempi minimi della giustizia. Quando una denuncia presa viene partecipata alla Procura, che la prende in esame tempestivamente e, se lo ritiene opportuno, trasmette gli atti con una richiesta di misura al giudice per le indagini preliminari, che poi si pronuncia, passano giorni. Durante questi giorni, la questione può appianarsi fisiologicamente, o addirittura complicarsi ulteriormente, come la cronaca purtroppo ci rassegna in tanti casi.
  La nostra proposta è dunque quella di anticipare la tutela già prevista dal legislatore, inserendo norme che non vadano a promuovere nuove situazioni giuridiche o nuove forme di inasprimento delle sanzioni già previste. Si dovrebbero utilizzare gli istituti che già conosciamo, ma in una maniera più immediata. Bisogna quindi anticipare la tutela, in linea con quanto la Convenzione di Istanbul suggerisce agli Stati promotori e sottoscrittori.
  Noi proponiamo una soluzione semplice da attuarsi, sempre sotto il vaglio dell'autorità giudiziaria, nel momento in cui l'organo di polizia interviene e constata una situazione di violenza in atto. Parliamo di reati non oggettivamente gravi. È chiaro che se c’è un tentato omicidio si arresta direttamente l'autore del fatto, e il problema si chiude nell'immediatezza. Invece, se c’è una percossa, una minaccia grave, o comunque una situazione di lesività Pag. 6non fortissima, ma che lascia presagire all'esperienza delle forze di polizia operanti che quella situazione può degenerare (la minaccia del marito alla moglie, o della moglie al marito, perché chiaramente la norma è neutra sotto il profilo di genere), a quel punto proponiamo di interessare immediatamente il pubblico ministero, utilizzando una norma che c’è già.
  Come sapete, la polizia giudiziaria informa la Procura della Repubblica dei reati. Quando i reati sono particolarmente gravi, il sostituto procuratore di turno viene informato immediatamente. Utilizzando questa fattispecie, immediatamente informiamo il pubblico ministero competente di una criticità in atto, a prescindere dalla querela. Parliamo di una minaccia grave. «Ti ammazzo» è una minaccia grave che dalla nostra esperienza riteniamo suscettibile di poter degenerare ulteriormente. In questi casi l'operatore di polizia informa direttamente il pubblico ministero, che, se lo ritiene, in base alla discrezione del fatto, può imporre, con un processo verbale notificato a colui che ha prodotto la minaccia o la situazione di pericolo presunto, una delle due misure che normalmente impone il GIP, ossia l'allontanamento dalla casa familiare o il divieto di reingresso nella casa familiare.
  Questo renderebbe immediatamente cogente la separazione fisica tra la persona che potenzialmente potrebbe essere di nuovo minacciata e il potenziale responsabile di fatti ancora più gravi. Questo andrebbe a tutela di entrambi. Infatti, uno dei motivi d'essere della polizia giudiziaria è evitare che i reati producano ulteriori conseguenze. In questo senso, noi interveniamo rafforzando una funzione già esistente della polizia giudiziaria, e in senso lato, della magistratura.
  Tutto avverrebbe sotto il vaglio del magistrato, che garantisce il diritto di libertà dei cittadini, intervenendo entro 48 ore dall'adozione di questo provvedimento verbale, che può essere adottato anche direttamente dalla Polizia giudiziaria, quando, per qualsiasi motivo, non sia possibile contattare, neanche telefonicamente, il magistrato. È un meccanismo tipico delle perquisizioni in situazioni particolari, per esempio per la ricerca di droga. Se non siamo nelle condizioni materiali di comunicare con il magistrato, anche l'ufficiale di polizia giudiziaria – delle due categorie quella professionalmente più qualificata con riferimento al caso di specie – può intervenire, secondo la stessa modalità, con un provvedimento precautelare, per esempio per imporre alla persona di non rientrare nella casa dove si è verificato il fatto.
  Il pubblico ministero entro 48 ore valuta i fatti, acquisisce ulteriori elementi e, se condivide l'assunto della polizia giudiziaria, chiede al giudice delle indagini preliminari l'emissione di una delle misure previste, cioè l'allontanamento dalla casa familiare o il divieto di reingresso.
  A questo punto abbiamo dovuto promuovere anche una norma sostanziale vincolante, che consenta alla polizia giudiziaria di arrestare in flagranza colui che violi una di queste imposizioni che provengono dal giudice, o provvisoriamente dal pubblico ministero.
  Un caso esemplare è quello di una lite domestica, che immaginiamo possa degenerare. Il pubblico ministero autorizza l'emissione di una di queste misure precautelari di allontanamento dalla casa familiare, che viene notificata all'interessato. Quest'ultimo, uscito dalla caserma dei carabinieri o dal commissariato di polizia, dopo un'ora torna a casa della moglie, della compagna, o della persona alla quale è legato affettivamente, per continuare l'azione minatoria o comunque lesiva. A quel punto, si consente alla polizia giudiziaria di intervenire e di trarre l'autore del reato in arresto non obbligatorio, ma facoltativo, per verificare il fatto. Se la moglie chiama dicendo che il marito è sotto casa, e noi lo troviamo e verifichiamo che era andato lì per chiedere un indumento, il fatto non è grave, e quindi diamo possibilità sia alla polizia giudiziaria che al pubblico ministero di valutare ulteriormente se è il caso di intervenire con la misura drastica della privazione della libertà personale.Pag. 7
  L'ipotesi di allontanamento dalla casa familiare dura 96 ore. Se in queste 96 ore il pubblico ministero non chiede la misura al GIP, o quest'ultimo non ritiene di adottarla, il provvedimento decade e non ci sono conseguenze. Si procede anche in difetto di querela, nel caso in cui la moglie non voglia perseguire il congiunto per evitare problemi. In quel caso, noi interveniamo automaticamente, fermo restando che la mancanza della querela renderà il reato improcedibile. Quindi, per una percossa, una minaccia o una lesione, sarà sempre la vittima a decidere se e quando il processo si dovrà celebrare. Quello che interessa non è tanto la consumazione del reato, ma prevenire condotte ulteriormente violente.
  Chiaramente è una norma forte, ma che utilizza istituti già conosciuti dall'ordinamento. È quello che abbiamo proposto in questa formulazione al Dipartimento delle pari opportunità.

  ENRICO CATALDI, Comandante del Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche (RaCIS). Vorrei solo aggiungere che, se il signor presidente ha piacere, noi lasceremo la proposta di modifica con la relazione illustrativa a supporto della stessa.

  PRESIDENTE. Grazie. È un documento molto utile, che verrà messo in distribuzione e sarà vagliato dalla Commissione proprio per le proposte che scaturiranno all'esito di questa indagine conoscitiva.
  Do la parola ai deputati che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  SALVATORE MICILLO. Ringrazio gli auditi per la loro presenza. Vorrei porre alcune domande semplici. Vista la recente nomina da parte di un ministro che ha scelto come suo consigliere in materia una persona proveniente dall'ambiente politico, per quanto con un'esperienza associativa in materia, vi chiedo quali siano invece, secondo voi, le personalità che in questo momento in Italia potrebbero guidare una sorta di task force, premettendo che siete voi i veri tecnici, perché seguite dal primo istante quello che succede sul territorio.
  Vorrei sapere inoltre quali sono in questo momento le lacune della nostra giurisprudenza per quanto riguarda il problema della violenza sulle donne.

  ALESSIA MORANI. Innanzitutto, intervengo per ringraziare per l'audizione sia il generale che il colonnello e per rafforzare la proposta che hanno fatto.
  In effetti, ci si trova spesso nell'impossibilità, anche da parte delle forze dell'ordine, di riuscire concretamente a dare una mano alle vittime di violenza, soprattutto quando si tratta di violenze domestiche. L'allontanamento dalla casa familiare è il tema più complesso, perché non ci sono allo stato degli strumenti che vi permettano di tutelare le vittime in maniera preventiva. Infatti, è di questo che si tratta. Tanti reati potrebbero essere risolti alla radice, se si dotassero le forze dell'ordine e la magistratura degli strumenti atti a farlo. Vi ringrazio molto dell'audizione e della proposta.
  Per quanto riguarda i centri antiviolenza, ci sono collaborazioni in tutta Italia, soprattutto con l'arma dei carabinieri. Parlo ad esempio del centro antiviolenza della provincia di Pesaro e Urbino, con cui abbiamo oramai da anni una collaborazione. Quello che mi lasciava un po’ perplessa rispetto alla proposta che avete fatto, è questo allontanamento dal domicilio per 96 ore, se ho capito bene, in attesa del provvedimento del magistrato. Qualora dovesse avvenire questa modifica, il problema sarebbe dove mettiamo queste persone che allontaniamo da casa. Credo di aver capito che non si parla di arresto, ma solo di allontanamento. Rimane quindi il problema di come riusciamo a gestire i presunti colpevoli.

  FRANCESCA BUSINAROLO. Vi ringrazio per il vostro intervento. Avrei qualche domanda in merito a una vostra osservazione. Secondo la vostra esposizione dei fatti, quanto più si è incisivi e quanto più si riesce a sanzionare velocemente il reo o Pag. 8comunque lo stalker, tanto più si diffonde il senso che la giustizia è operativa, e probabilmente si dissipa un po’ il problema delle violenze domestiche.
  Probabilmente questa è una strada, però preferisco l'altra interpretazione che era stata data sulla necessità prevenire, e quindi di attivare delle proposte di prevenzione più che di sanzione. Evidentemente, quando si sanziona è già troppo tardi.
  Vorrei fare alcune domande. So che a Verona c’è una sezione dedicata all'accoglienza delle vittime di questi reati. Vorrei sapere se e quanto sono diffuse queste sezioni a livello nazionale, e, eventualmente, come sono formate.
  Vorrei inoltre sapere come mai non è stata ancora attivata la banca dati sulle case assistenza, che penso sia essenziale, oltre che per il discorso che faceva la collega Morani, soprattutto per le vittime, che molto spesso sono abbandonate dalle famiglie per questioni di cultura, di mentalità o di vergogna. Penso sia importante che ci sia un canale diretto tra le forze dell'ordine e queste associazioni, che molto spesso hanno pochi fondi. So che ci sono delle situazioni particolari, ma vorrei capire come mai non è ancora stata fatta la mappatura. Grazie ancora.

  FABRIZIA GIULIANI. Ringrazio anch'io per questi dati e queste valutazioni che avete condiviso con noi, perché sono davvero preziose e ci aiutano ad avere un quadro e a capire come intervenire.
  Aggiungo come notazione che la fatica che abbiamo noi, anche solo linguistica, di tradurre il termine stalking, atto persecutorio, ci mostra la fatica che facciamo nel confrontarci con la delicatezza di questa materia.
  Attraverso la vostra relazione, mi avete convinto della necessità di agire sul terreno della prevenzione, non solo nei confronti delle persone, più spesso donne, che sono oggetto di maltrattamenti, ma anche sugli autori dei maltrattamenti. Forse la parte sulla quale siamo più deficitari di interventi su un terreno che non è soltanto quello repressivo, ma anche preventivo, è proprio quella riguardante gli autori dei maltrattamenti. Probabilmente è in quest'ambito che dobbiamo fare più attenzione nel costruire interventi che siano di tutela, ma anche di prevenzione del reato stesso.
  Molto spesso, quando ci capita di confrontarci con esperienze dirette sui territori – almeno a me è accaduto così – si ha la sensazione di lavorare con un sentimento di frustrazione forte, perché quasi sempre, anche rispetto a forme molto degenerative, il reato era stato in qualche modo segnalato.
  Mi chiedo se queste 96 ore non siano un po’ troppe. Siccome chi è esperto in questi settori ci dice che quando si arriva a chiamate o a interventi di questo tipo, una prima percossa o una prima azione di maltrattamento rappresenta quasi sempre la segnalazione di un’escalation che avverrà, mi chiedo se l’iter che voi ci avete prefigurato non sia troppo lungo. Questa è una domanda istintiva, ma la pongo, perché questo potrebbe costituire effettivamente un problema.
  Vorrei esprimere semplicemente soddisfazione per i dati che ci restituite a proposito dell'efficacia della normativa sullo stalking. Infatti, è proprio da relazioni come le vostre che capiamo che anche attraverso il perfezionamento di strumenti di questo tipo si può davvero riuscire a intervenire sul fenomeno.

  PRESIDENTE. Do la parola al generale Cataldi per una prima replica.

  ENRICO CATALDI, Comandante del Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche (RaCIS). Gli argomenti toccati sono di estremo interesse e ognuno presupporrebbe una lunga discussione. Non voglio assolutamente tediarvi e vorrei essere quanto più breve possibile, e nello stesso tempo soddisfare le richieste.
  La prima domanda riguardava la funzione di coordinamento che dovrà essere garantita. È vero che il più delle volte si ricorre all'esperto, al consulente, alla voce parlante che possa illustrare. Io credo che lo strumento migliore per cose di questo Pag. 9genere siano i collegi, come l'osservatorio che è stato realizzato per la pedo-pornografia e per i reati di genere.
  Parliamo di vittime di genere e dei reati più atroci, che vengono commessi con una recrudescenza notevole, anche grazie alle possibilità di interazione attraverso le reti internet e le web camera, tanto che il legislatore ha previsto nuove fattispecie di reato che sono state introdotte dalla normativa n. 172 del 1 ottobre 2012. Da questo punto di vista, a nostro avviso, come abbiamo proposto al Ministro delle pari opportunità, ci sarebbe l'esigenza di una funzione coordinatoria. Quando parlo di coordinamento, intendo due istituti che abbiano una funzione gerarchica tra di loro e possano operare. Nel caso dei reati di pedo-pornografia, la competenza è passata alle DDA. Sarebbe forse opportuno aprire la possibilità alla DNA di coordinare le diverse DDA.
  Noi abbiamo fatto più interventi sulla pedopornografia di tipo mediatico. Quando si indaga sull'attività dell’offender, bisogna vedere dove è attiva e con chi si relaziona. Il più delle volte queste attività vengono attivate addirittura estero su Italia e tra diverse regioni, attraverso il phishing.
  La proposta è quella di creare un osservatorio. In concreto, per quanto riguarda i reati di violenza domestica e di vittimizzazione in genere, che ricomprende tutto – noi parliamo sempre di vittime e di offender, a prescindere dal sesso di appartenenza e dal tipo di relazione che c’è – abbiamo proposto al Ministro un tavolo di lavoro che dovrebbe essere attivato a breve, in cui presentare l'esito del lavoro da noi svolto e i dati relativi alle diverse fattispecie che abbiamo raccolto materialmente nel 2012.
  Ovviamente debbo essere sincero con voi. Spesso e volentieri la pressione mediatica esaspera delle situazioni o ne distorce altre. Quindi bisogna essere chiari su quali sono i dati, qual è l'esame e qual è l'andamento del fenomeno. Su questo ovviamente c’è uno studio particolare.
  Per quanto riguarda i centri antiviolenza, di cui chiedeva l'onorevole Morani, c’è un piano nazionale antiviolenza. Si chiedeva dove si mette colui che viene rimosso. La risposta è semplice. Può andare presso il domicilio di conoscenti, oppure anche in un albergo, e eventualmente il comune può farsi carico del pernottamento. La prevenzione è data dal fatto di non lasciare le porte aperte affinché un delitto di cui abbiamo constatato il verificarsi si riperpetui, o addirittura si aggravi. Ciò si è verificato più volte ed è il caso di evitarlo.
  I centri antiviolenza debbono essere approfonditamente studiati, e qui arriviamo alla domanda dell'onorevole Businarolo. Colpito e affondato, si direbbe. Mi si chiedeva della banca dati relativa alle case accoglienza, case assistenza e case rifugio. Chiedo scusa se dettaglio i tre aspetti, ma lo faccio affinché sia chiaro che il problema è estremamente complesso. Le case accoglienza sono le case dove la moglie che ha subito una violenza da parte del marito viene accolta, perché altrimenti non saprebbe dove andare. L'assistenza si rende necessaria se ha con sé un figlio minore, che ovviamente deve essere assistito. Le case rifugio sono paragonabili all'assistenza che viene fornita al pentito. In questo caso la donna soggetta ad attività di violenza, al fine di prostituzione o altro, viene sottratta a colui che compie la violenza e portata in un luogo a sua insaputa.
  Mentre l'onorevole parlava, mi è venuto in mente un problema concreto che si è verificato di recente. Ovviamente non riferirò dove si è svolto. Dopo una diatriba tra marito e moglie, con un minore che ha assistito a queste ripetute violenze, anche di tipo lesivo e traumatico, cioè con refertazione, la donna è stata prelevata e portata in una casa rifugio. Il marito ha presentato denuncia di abbandono del tetto coniugale e sottrazione di minore al tribunale dei minorenni, che ha sede nel capoluogo di regione, ed è giurisdizionalmente diverso dal luogo di residenza. Questo tribunale ha emesso un provvedimento di rintraccio e riaccompagno del Pag. 10minore presso il genitore, ignorando il pronunciamento giurisdizionale di altra autorità giudiziaria periferica.
  A questo proposito ci ricolleghiamo alla domanda dell'onorevole Micillo: serve necessariamente un coordinamento. Gli esperti sono senz'altro utili, ma, a mio avviso, è mettendo a fattor comune le problematiche per risolverle esattamente, come sta facendo questa Commissione, che si comprende qual è il problema.
  Le case accoglienza e le case rifugio non sono tutte uguali. Ci sono le case accoglienza e le case rifugio finanziate dal Dipartimento per le pari opportunità, e ci sono le Onlus, che lavorano in senso spontaneistico, ed essendo spontaneiste si possono aprire o chiudere senza che necessariamente lo si sappia. Se ora loro mi chiedessero la mappatura delle case rifugio e delle case accoglienza in Italia, io non sarei in grado di fornirla. Parlo di me, perché rientra nella nostra Convenzione con il Dipartimento, ma questo è un problema che deve essere affrontato, e sicuramente sarà affrontato dal Ministro delle pari opportunità, a cui lo abbiamo segnalato. Fa parte della Convenzione con noi, che abbiamo le nostre capacità sul territorio.
  Questa non è una questione Polizia-Carabinieri, ma è una questione di ramificazione sul territorio, e quindi si tratta di coprire tutto il territorio nazionale in maniera che non ci sia una regione dove ci sono tre case rifugio e tre case accoglienza, come accade nel Nord, mentre in alcune regioni del Sud non ce n’è nemmeno una. Questo è un problema, perché poi non si sa dove mettere queste persone, ritornando al discorso che si faceva prima.
  Sempre l'onorevole Businarolo faceva riferimento allo stalking e alla violenza domestica. Vorrei precisare che lo stalking non è configurabile in un rapporto di convivenza. Nel rapporto di convivenza tra marito e moglie, o tra compagno e compagna, si verifica un maltrattamento in famiglia. Lo stalking riguarda un rapporto pregresso, oppure un rapporto che non c’è mai stato, ma che è stato presupposto, e che importa il fatto che dall'esterno un soggetto crea uno stato d'ansia in una persona con cui non condivide alcuno stato di convivenza.
  L'onorevole Giuliani aveva fatto un discorso sugli autori dei reati. Noi usiamo parlare di vittima e offender, per non attribuire sesso o paternità a queste violenze di genere. Bisognerebbe fare un discorso sul criminale di prima e il criminale di dopo. Il criminale di prima è una persona che ricorre abitudinariamente alla commissione di reati, ad esempio colui che di professione fa il ladro, e che ha mille precedenti. Tuttavia, in molti casi di cui noi ci occupiamo si tratta di criminali di dopo, che prima non lo erano. Ecco perché, in questo caso, la prevenzione è da anteporre alla repressione.
  In queste situazioni, per quanto si possa approfondire l'argomento, è solo da alcuni segnali e da alcune sensazioni che si può stabilire chi sarà il criminale di dopo. Non si tratta del criminale che ha già un background, come nel caso di chi ha fatto dei furti, ed è stato visto nella zona in cui il furto si è verificato, e quindi si presuppone che può essere l'autore del furto e si indaga su di lui.
  Nel caso di un atto lesivo nei confronti di una donna con cui si è avuto un rapporto, con cui si è ritenuto di averlo, o addirittura con una persona con la quale si convive, non è facile stabilire fino a che punto i freni inibitori agiscano al fine di impedire l'aggravarsi della situazione.
  L'onorevole chiedeva se 96 ore sono troppe oppure sono poche. Su questo credo che il collega possa interloquire. Io vorrei semplicemente ricordare un episodio avvenuto recentemente ad Acilia, perché si capisca quante problematiche si incontrano sul territorio. È un fatto di cronaca, per cui se ne può parlare. È un fatto tragico. Una donna con cui l'uomo aveva avuto una pregressa relazione decide di lasciarlo. L'uomo non si adatta a questo tipo di situazione, la minaccia e la perseguita. La donna presenta ripetute denunce di stalking. Intervengono i carabinieri che scrivono all'autorità giudiziaria. In seguito la donna fa un'altra denuncia a un altro organismo di polizia Pag. 11giudiziaria, che scrive all'autorità giudiziaria. L’offender in questo caso era una guardia giurata e aveva la pistola. Il provvedimento amministrativo che la legge prevede in questo caso è che l'autorità di pubblica sicurezza possa privare la persona dell'arma. Si è posto un interrogativo: se si toglieva la pistola a questa persona, la si privava della possibilità di lavorare. Mentre ci si interrogava su questo dubbio amletico e applicativo della norma, l'uomo ha aggredito la donna, le ha sparato e poi si è suicidato. Con questo rispondo a chi chiedeva se le 96 ore sono sufficienti.

  ARTURO GUARINO, Capo ufficio legislazione del Comando generale dell'Arma dei Carabinieri. Chiedo scusa, forse prima mi sono espresso male. Le 96 ore sono la durata massima del provvedimento, che noi abbiamo ipotizzato, per un'esigenza precisa. Considerate che, come è noto, la misura precautelare più grave è l'arresto della persona, e quindi la privazione della libertà totale. La persona che va agli arresti domiciliari, o addirittura in carcere in alcuni casi, viene privata per 48 ore della libertà personale: 24 ore a disposizione del pubblico ministero, e 24 ore a disposizione del giudice, che convalida o meno l'arresto.
  In questo caso si tratta di un vulnus meno grave alla libertà della persona, per cui abbiamo pensato, anche per consentire al pubblico ministero e al giudice di fare una verifica più adeguata sull'effettività della minaccia, che fosse possibile raddoppiare queste 48 ore che il legislatore prevede per l'intervento più drastico della polizia giudiziaria, ossia l'arresto. Se questa norma passasse, dopo la notifica, il provvedimento sarebbe immediatamente efficace.
  L'intervento dell'onorevole mi dà l'occasione di parlare anche di un altro aspetto che potrebbe essere interessante. È vero che i reati di stalking o di molestia in genere prevedono una vittima, ma non sempre l’offender ha la volontà di essere tale. A volte ci sono motivazioni affettive profonde, che inducono la persona a tenere questo atteggiamento percepito come molesto dalla vittima. Si potrebbe immaginare che chi è responsabile di queste condotte possa volontariamente sottoporsi a una terapia psicologica, mutuando uno schema che il legislatore ha previsto nel 1990 per i consumatori di stupefacenti, che se si assoggettano a un programma di recupero vedono molto attenuata la valenza penale dei reati che hanno commesso per procacciarsi lo stupefacente. Potrebbe essere una riflessione molto utile per questa Commissione, per quanto de iure condendo possa essere promosso.

  IVAN SCALFAROTTO. Rinuncio alla mia domanda perché ho già avuto risposta dalle repliche degli auditi.

  DAVIDE MATTIELLO. Buongiorno e grazie per essere qui. Mi collego all'intervento dell'onorevole che chiedeva dove mettere l'autore della violenza.
  Mi piace segnalare, perché può essere utile al lavoro della Commissione, che a Torino sta partendo la sperimentazione di una sorta di casa rifugio – anche se il termine in questo caso è inappropriato – rivolta all'autore della violenza, per far sì che ci siano spazi, in questo caso gestiti dalle Onlus a cui si faceva riferimento, che permettano di non gravare il comune dell'onere di affittare una camera d'albergo. In questo modo si consente all'autorità giudiziaria e a chi interviene sul territorio di indirizzare in uno spazio gestito l'autore della violenza, a cui sarà proposto anche quel trattamento psicologico a cui si faceva riferimento.
  Mi piace segnalare che questa sperimentazione è stata portata a conoscenza del Ministro Idem proprio ieri in un'audizione. Se questa Commissione ritiene utile avere traccia di questa sperimentazione e metterla agli atti, sono a disposizione.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Mattiello. Tra l'altro, è prevista l'audizione del Ministro Idem il 20 giugno e vedremo cosa avrà recepito di questa iniziativa.

  DAVID ERMINI. Vorrei fare una domanda, collegandomi all'ultimo intervento Pag. 12e a quello della collega Morani, sulla natura della misura, che nella relazione che ho scorso adesso viene definita come «precautelare». Immagino che l'inserimento nel luogo che il collega indicava dovrà essere volontario. Nel caso invece non vi sia questa volontarietà, ma piuttosto una privazione della libertà, o comunque un'applicazione iniziale di una misura cautelare come il divieto di dimora, di che tipo di misura si tratta ? Non è infatti un arresto classico, come può essere l'arresto in flagranza o un fermo, allora mi chiedo che natura può avere questo provvedimento.

  ENRICO CATALDI, Comandante del Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche (RaCIS). Per quanto riguarda il centro accoglienza di Torino, si tratta senz'altro di un'iniziativa lodevole, che può rientrare in un discorso ancora più ampio per capire come meglio affrontare il fenomeno e soprattutto come non esasperare situazioni di conflittualità interne a un ambiente domestico. Nella pratica, di questo si tratta.
  Per quanto riguarda l'osservazione dell'onorevole a questo proposito, vorrei ricordare che il 282-bis del codice di procedura penale prevede già l'allontanamento dalla casa familiare, ma c’è anche, ed è più esemplificativo, il 282-ter, relativo al divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa. Detto così, come fattispecie generica, la norma è facilmente comprensibile. Se la riferiamo al paesino in cima al monte dell'Abruzzo o della Calabria o dove volete, è come se alla persona cui viene intimato un provvedimento di questo genere si vieta di muoversi dentro il paese; se, infatti, si tratta di un paese di mille abitanti, la persona dovrebbe rimanere chiusa dentro casa per non incorrere nel gravame che la legge prevede.
  Bisogna allora essere aderenti alla situazione. C’è da dire che quando si è fatto riferimento, ad esempio, a un provvedimento di arresto anche fuori dai casi di flagranza sicuramente si ricorre a una deterrenza determinata dalla possibilità che viene offerta alla polizia giudiziaria di rendere attuativa la volontà dell'autorità giudiziaria. Da una parte, si deve garantire l'esercizio della giurisdizione da parte di chi è vestito dello iuris dicere, cioè il giudice; dall'altra, però, bisogna mettere in condizione l'operatore di diritto di avere gli strumenti idonei per intervenire con tempestività e aderenza alla situazione reale.
  L'ordine lo si esercita con l'autorità di cui uno è vestito. Mi consenta l'esempio: se la fermo per la strada e le chiedo di aprirmi il cofano, lei mi vede in uniforme e, scendendo dalla macchina, lo apre; se lo stesso ordine glielo impartissi vestito in borghese, con una camicetta a fiori, lei mi manderebbe a quel paese. Dunque, già l'intervento autorevole consente di ottemperare all'ordine.
  Oltre a questo, c’è anche la vis militaris, ecco perché è il pubblico ministero che dispone.

  PRESIDENTE. Svolgo una riflessione prima di porre una domanda che attiene ai dati di cui avete parlato poco fa, anche riagganciandomi ai quesiti posti dai colleghi su questa forma di provvedimento che voi chiamate «urgente» del pubblico ministero. Esso è configurabile sostanzialmente come una misura coercitiva – non detentiva, né domiciliare né tanto meno restrittiva in carcere – disposta in via di urgenza dal pubblico ministero. Tale misura vale, secondo le regole generali, soltanto per reati puniti oltre tre anni...

  ENRICO CATALDI, Comandante del Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche (RaCIS). Per gli altri l'arresto in flagranza ovviamente non è consentito neanche facoltativamente.

  PRESIDENTE. Devo dire che mi lascia un po’ perplessa la questione che riguarda la querela, o forse dobbiamo fare un altro passo. Questa riflessione nasce – e questo lo percepisco, perlomeno personalmente, come necessità di un intervento urgente – dal fatto che oggi queste misure coercitive già esistono, ma le emette il giudice. Da Pag. 13quando avviene l'episodio, con la donna vittima di soprusi che anticipano violenze magari maggiori, con il rapporto delle forze di polizia che intervengono, quindi il pubblico ministero e il giudice, passano anche due mesi, nella migliore delle ipotesi.
  Vorrei capire se questa formulazione di interventi – è un aspetto che interessa molto questa indagine conoscitiva – di anticipazione in via d'urgenza (come si fa il fermo se c’è pericolo di fuga, in questo caso si tratta di misure coercitive che andrebbero articolate sempre prevedendo garanzie nei confronti dell'indagato oltre che a protezione della vittima), è una urgenza con convalida. Siamo nel sistema, sostanzialmente, ma quello che mi lascia un po’ perplessa è il fatto che per una formulazione che abbiamo fatto nel 2009, quando è entrata in vigore la legge sullo stalking, abbiamo lasciato alla vittima dello stalking – e c’è da valutare se sia stata una scelta opportuna o meno – la possibilità di darsi uno spazio per la querela, nel senso di rivolgersi alle forze di polizia, chiedere anche l'ammonimento, ma non procedere in quel momento alla querela, riservandosi di farla in altro momento.
  Ora, su questo punto, anche in difetto di querela interviene una misura coercitiva. Questo è l'aspetto che mi lascia perplessa, perché a questo punto se c’è la misura coercitiva forse il legislatore dovrà ripensare anche la questione riguardante la querela. Se c’è un fatto grave, tale da richiedere un intervento delle forze di polizia e da giustificare una misura coercitiva, non si può dire che manca la querela, che magari verrà fatta in un secondo momento. A questo punto avremmo scherzato.
  La mia perplessità non riguarda la vostra proposta, ma forse è necessario riflettere su come è stata congegnata la questione del reato di stalking. Per gli altri reati, ad esempio la violenza sessuale, la querela è addirittura irrevocabile in alcuni casi.
  Passo alla domanda, ma non dovete rispondere oggi, perché questa indagine conoscitiva produca dei risultati. Si possono avere dei dati ? Forse ci state lavorando, magari attraverso un tavolo ? Vorrei capire se le forme di violenza che richiedono l'intervento delle forze di polizia sono per lo più maltrattamenti familiari, stalking, lesioni. Insomma, vorrei conoscere la tipologia delle forme di violenza, che sono di vari gradi. Adesso ci stiamo concentrando sullo stalking, ma come ha detto poco fa il generale Cataldi, alcune delle vittime sono in realtà vittime di violenze familiari, quindi di situazioni legate a rapporti affettivi in corso, dove si tratta non tanto di stalking ma di qualcos'altro, legato alla mancanza di una capacità di reazione, anche per problemi economici o affettivi, o all'assenza di centri antiviolenza.
  Vorrei sapere dunque se abbiamo dati relativi alla tipologia di reati che maggiormente richiedono l'intervento e alle possibili criticità, sebbene ciascuno faccia la sua parte al massimo (mi riferisco alla mancanza di coordinamento cui accennava lei).
  Vorrei inoltre chiedere, considerando la capillarità della presenza dei carabinieri sul territorio, se voi ravvisate o meno la necessità di formare delle sezioni specializzate per certe tipologie di reati. Cosa pensate della possibilità di soddisfare tale esigenza, che io peraltro considero di particolare rilievo, sia per le forze di polizia sia per la magistratura inquirente ?
  Chiedo, infine, se ravvisate l'opportunità o meno che vi sia sostanzialmente un affiancamento psicologico sin dai primi atti, come si sostiene anche per i minori.

  ARTURO GUARINO, Capo ufficio legislazione del Comando generale dell'Arma dei Carabinieri. Signor presidente, risponderò sull'aspetto normativo.
  Giustamente il legislatore, nel configurare il reato di stalking, ha previsto questi sei mesi di tempo perché siamo in due diversi ambiti: il reato di stalking punisce l'autore di un'attività persecutoria, di una pressione sostanzialmente psicologica, quindi la vittima deve avere il tempo di realizzare di essere effettivamente sotto Pag. 14pressione psicologica da parte dell’offender, non è un fatto che si può configurare in un'unica condotta. Quindi, secondo me opportunamente è stato previsto questo periodo per valutare, anche in relazione alla sensibilità della vittima, se è il caso di perseguire la persona che magari ha anche intenzioni buone ma è percepita come molesta. Parliamo di due situazioni diverse: la percezione di essere vittima e la percezione di non essere autore di un'attività violenta. Giustamente, dunque, si prevede questo tempo.
  Nella nostra proposta, invece, interveniamo su una fase già dolorosa, dove già il presupposto è «casi riscontrati di violenza sulle persone e minaccia grave»; per minaccia grave si intende la minaccia di morte («ti uccido») o di violenza (percosse o lesioni). C’è dunque una fisicità già incombente. Il presupposto è che vi siano fondati motivi di reiterazione e di danno grave alla persona. Interveniamo quindi in una fase dove già ci sono i presupposti di qualcosa che può degenerare immediatamente e che rende impossibile attendere la fisiologia dei tempi processuali che già sono stati individuati nel 2009 dal legislatore. Tuteliamo dunque due situazioni leggermente diverse, dando opportunamente il tempo alla vittima di sentirsi tale e di valutare quali sono le azioni in suo danno. Qui, invece, si tratta di una tutela immediata anche quando la persona ritiene di non chiederla, perciò in difetto di querela.
  Se poi la vittima non propone querela per quella percossa, non si procederà per difetto di querela, ma intanto si è realizzata quella difesa anticipata proprio sulla fisicità della vittima, per tutelarla immediatamente.

  ENRICO CATALDI, Comandante del Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche (RaCIS). Rispondo sull'argomento molto vasto che sostanzialmente attiene all'andamento del fenomeno e ai numeri di cui disponiamo. Noi disponiamo di numeri, ed è il motivo per il quale alla fine di giugno speriamo di poter realizzare una tavola rotonda.
  Il primo interrogativo che ci si pone è se il fenomeno sulla violenza di genere sia effettivamente recrudescente. Spesso si creano equivoci sui dati: una donna uccisa o una donna morta non è necessariamente una donna uccisa in ambito relazionale, ma può essere una donna che muore vittima di uno scippo o di una rapina che sono degenerati.
  Quello che è estremamente significativo riguardo a questo argomento, è che c’è stata un'inversione del rapporto tra la delittuosità nei confronti delle persone a minor difesa in ambito criminale e la delittuosità in ambito relazionale. Sostanzialmente prima c'erano più crimini in danno di donne per cause di delittuosità diversa (la rapina, lo scippo) rispetto all'omicidio in danno di donna per questioni relazionali (marito, fidanzato o quant'altro). Adesso il fenomeno si è invertito e in più c’è un altro fattore, quello che noi indichiamo come l'indice del rapporto in relazione alla popolazione residente. La delittuosità in danno delle donne, che era al livello di 4,1 negli ultimi undici anni, nell'ultimo anno 2012 si è alzata a livello di 5,24 in relazione alla popolazione residente.
  Nel 2013 abbiamo avuto 157 omicidi di donne, di cui 116 in ambito relazionale: vi è una sproporzione enorme tra delitti ordinari e delitti in ambito relazionale. Ebbene, di questi 116 delitti in ambito relazionale, 7 avevano avuto pregresse denunce: ecco perché è necessario, a nostro avviso, spingere sulla prevenzione piuttosto che sulla repressione in giudicato penale, che si può rendere meno efficace.
  Ci sono stati, dall'inizio dell'anno, 225 tentati omicidi, di cui il 53 per cento in ambito relazionale. Stiamo parlando di tentati omicidi, cioè rubricati come tali.
  L'esame che abbiamo condotto e porteremo avanti sugli atti persecutori relativi al 2012 (cito questo dato per richiamare l'attenzione) riferisce che in un anno per gli atti persecutori (612-bis), cioè per stalking, in Italia ci sono state 7.082 denunce e 1.273 arresti: è un numero enorme. Per maltrattamenti in famiglia (articolo 572) ci sono state 5.448 denunce con 936 arresti. Vorrei sottolineare che la Pag. 15differenza tra i due dati è determinata da un fatto che presuppone che ovviamente nel caso dei maltrattamenti in famiglia c’è un rapporto diverso rispetto a quello degli atti persecutori: sostanzialmente qui la controversia può essere attribuita su uno stato evidente di intervento da parte della forza di polizia nella flagranza del reato; nel caso degli atti persecutori, si tratta di incidere su una sfera non sempre perfettamente delineata.
  Infine, mi sembra che sia stato chiesto che cosa si sta facendo in pratica. Quanto alle sezioni specializzate, il raggruppamento di cui sono al comando si occupa di criminalistica per la gran parte, cioè investigazioni scientifiche, e criminologia in una parte sola, ossia nel reparto di analisi criminologiche. Il reparto di analisi criminologiche è stato strutturato in tre sezioni: una sezione di analisi che può studiare e approfondire il fenomeno, al cui comando c’è un laureato in statistica; una sezione di psicologia investigativa che si occupa di audizioni protette, pedopornografia e quant'altro; una sezione di violenza di genere. Al comando delle due ultime sezioni ci sono ufficiali laureati in psicologia e stiamo reclutando gli addetti a queste sezioni tra i marescialli laureati in psicologia.
  Sul piano dell'istruzione a livello territoriale, sul finire del 2008 fu costituito l'Istituto superiore di tecniche investigative, sotto l'aspetto sia della criminologia sia della criminalistica. Io stesso fui inviato dal Comando generale per costituire questo reparto, di cui sono stato al comando per tre anni. Questo reparto ha fatto formazione specifica per le forze di polizia giudiziaria, cioè gli addetti ai nuclei operativi e investigativi, insomma coloro che sul territorio hanno l'impatto più qualificato sotto il profilo della polizia giudiziaria.
  Abbiamo quindi reso attuativo questo protocollo d'intesa a cui accennavo prima, del 2009, siglato al nascere della normativa sugli atti persecutori. È per questo che forse abbiamo seguito di più, oltre alle ramificazioni sul territorio, il fenomeno di cui parliamo.

  FRANCO VAZIO. Quanti sono gli omicidi in ambito relazionale ?

  ENRICO CATALDI, Comandante del Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche (RaCIS). Sono 116 nel 2012.

  PRESIDENTE. I tentati omicidi sono il 53 per cento.
  Signor generale, potete inviarci questi dati ?

  ENRICO CATALDI, Comandante del Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche (RaCIS). Sono dati che presuppongono un'analisi più attenta e approfondita.
  Poiché ci sarà questa tavola rotonda con il Ministro delle pari opportunità, è anche una questione di correttezza, ma non appena questi dati più nel dettaglio saranno esitabili, ve li invieremo volentieri.

  PRESIDENTE. Prenderemo nota del vostro appuntamento di fine giugno e magari chiederemo un'integrazione dei dati alla luce di questa ulteriore verifica che dovete fare, sebbene questi dati siano già molto significativi.
  Vi chiedo di prendere nota della necessità del Parlamento di avere dati del fenomeno che abbiano una loro oggettività, da cui peraltro nasce l'esigenza di svolgere un'indagine conoscitiva da parte del Parlamento.
  Vi ringrazio molto della disponibilità e del vostro contributo.

  ENRICO CATALDI, Comandante del Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche (RaCIS). Approfitto di questa occasione per aggiungere una nota che credo possa interessare. Vorrei richiamare l'attenzione della Commissione su un tema che sentiamo moltissimo. Faccio parte della Commissione per lo studio del regolamento di attuazione della legge sulla banca dati del Dna. Siamo l'unico dei 27 Paesi dell'Unione europea che non ha una banca dati del Dna. Ci troviamo in una condizione di costante imbarazzo sotto il Pag. 16profilo della criminalistica perché ogni volta che ci arriva una richiesta dall'estero non sappiamo come affrontarla.
  Noi abbiamo dei dati che stiamo incamerando come banca dati per l'Arma dei Carabinieri, tenendo conto dell'entrata in vigore della legge – n. 85 del 2009 – che, come loro sanno, è ormai datata. La legge avrebbe dovuto vedere la sua attuazione l'anno successivo, ma siamo nel 2013 e il regolamento di attuazione non è stato ancora approvato.
  La legge forse necessiterebbe di una serie di modifiche anche di tipo legislativo. So che l'ufficio legislativo del Ministero della giustizia sta lavorando in questo senso per affinare la normativa e soprattutto renderla compatibile con gli altri Paesi.
  Il sistema comporterà la campionatura dei campioni biologici della popolazione detenuta. Questo farà capo alla tipizzazione di questi campioni biologici da parte del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, che deve ancora espletare il concorso per i biologi che dovrebbero svolgere questo tipo di attività.
  Da questo momento in poi, come previsto dalle normative europee, la banca dati deve essere certificata e questo comporta dei tempi che non so quanto saranno lunghi. Tengo a precisare questo perché molti reati di violenza sessuale e quant'altro hanno gli incogniti: non cerchiamo solo il marito o la persona conosciuta, ma anche la persona che non si conosce. Non disponendo di una banca dati del Dna, la ricerca si renderebbe problematica.

  PRESIDENTE. Credo che questo sia un messaggio di sollecitazione, per quello che può fare il Parlamento. Noi la legge l'abbiamo emanata e ricordo che l'attuazione sembrava comunque molto farraginosa.
  Mi auguro che ci siano, da parte del Governo, semplificazioni tali da renderla attuale, poiché credo che sia molto importante. Noi ci facciamo carico, per quello che sarà possibile, di sollecitare il Governo.
  Vi ringrazio ancora e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.40.