Sulla pubblicità dei lavori:
Vito Elio , Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SUI SISTEMI D'ARMA DESTINATI ALLA DIFESA IN VISTA DEL CONSIGLIO EUROPEO DI DICEMBRE 2013
Audizione del professor Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionali (CeSI).
Vito Elio , Presidente ... 3
Margelletti Andrea , Presidente del Centro Studi Internazionali (CeSI) ... 3
Vito Elio , Presidente ... 8
Artini Massimo (M5S) ... 8
Vito Elio , Presidente ... 9
Bolognesi Paolo (PD) ... 9
Cicu Salvatore (PdL) ... 9
Cera Angelo (SCpI) ... 9
Frusone Luca (M5S) ... 10
Margelletti Andrea , Presidente del Centro Studi Internazionali (CeSI) ... 10
Frusone Luca (M5S) ... 10
Margelletti Andrea , Presidente del Centro Studi Internazionali (CeSI) ... 10
Frusone Luca (M5S) ... 10
Garofani Francesco Saverio (PD) ... 10
Villecco Calipari Rosa Maria (PD) ... 11
Vito Elio , Presidente ... 11
Margelletti Andrea , Presidente del Centro Studi Internazionali (CeSI) ... 12
Vito Elio , Presidente ... 16
Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ELIO VITO
La seduta comincia alle 9.35.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione sul canale satellitare della Camera dei deputati e la diretta televisiva sulla web-tv della Camera dei deputati.
Audizione del professor Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionali (CeSI).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma destinati alla difesa in vista del Consiglio europeo di dicembre 2013, l'audizione del professor Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionali (CeSI).
Ringrazio il professor Margelletti per la disponibilità a prendere parte ai lavori della nostra Commissione. Saluto e do il benvenuto, con Lui, anche al dottor Francesco Tosato, responsabile Desk affari militari del CeSI, che Lo accompagna.
Segnalo ai colleghi che, dopo l'intervento introduttivo del professor Margelletti, potranno aver luogo domande, alle quali il professore avrà la cortesia di rispondere.
Professore, Le do la parola per ascoltarLa con l'interesse che merita il Suo istituto.
ANDREA MARGELLETTI, Presidente del Centro Studi Internazionali (CeSI). Grazie mille, presidente. Buongiorno a voi, onorevoli deputati e Cittadini del Movimento Cinque Stelle.
Non è per me la prima volta, ma è sempre un particolare privilegio essere ospite di questa Commissione, avendo io un particolare affetto per l'istituzione parlamentare, con la quale il mio istituto ormai collabora da un discreto numero di anni.
Oggi vorrei lasciare a voi alcune domande sugli aspetti più meramente tecnici su quale arma, o su quale sistema d'arma possa essere più idoneo per le nostre Forze armate. Non sono qui per vendere alcun sistema d'arma e soprattutto non ho le capacità di Alberto Sordi nel film Finché c’è guerra c’è speranza. Non sono qui per fare il piazzista, dunque, ma vorrei discutere di un tema che è, secondo me, più centrale all'interesse nazionale. Vorrei parlare, cioè, di capacità, piuttosto che di sistemi, ossia degli scenari nei quali non le Forze armate italiane, ma il sistema Italia, la nostra nazione, si dovrà trovare a operare nei prossimi anni.
Infatti, se non se ne tiene conto, esiste il rischio di acquisire sistemi e capacità sulla base della fotografia del momento, di una sensazione, di una spinta industriale e non con il respiro che merita una grande nazione europea e atlantica come quella italiana.
Dalla caduta del muro di Berlino viviamo un'epoca infinita di transizione. Si era parlato di «fine della storia» e si era pensato a un'eterna fase di prosperità al termine della realtà di guerra fredda, o di guerra guerreggiata, attraverso altri attori tra le due principali superpotenze dell'epoca. Nella realtà dei fatti, però, non Pag. 4abbiamo mai visto una tale instabilità a livello globale come quella che si è venuta a creare dopo la fine del confronto tra le due grandi realtà, da una parte il capitalismo statunitense e, dall'altra, il socialismo reale propugnato dall'Unione Sovietica.
Detto questo, l'equipaggiamento che l'Italia acquisirà – continuo a sottolineare il termine «Italia» e non «Forze armate», che sono una parte integrante del sistema Paese; quando impieghiamo le nostre Forze armate, impieghiamo l'Italia, non una realtà separata dal contesto sociale e politico – durerà decenni. L'abbiamo visto con le navi, con i velivoli e con i carri armati. Si tratta di sistemi d'arma che vengono studiati per avere una durata di 15-20 anni. Con il problema economico esistente – lo dico da genovese, con una certa expertise del settore – però, nessuna nazione si può permettere ormai di acquistare un sistema d'arma che, alla fine del termine prefissato all'inizio, venga immediatamente sostituito. Neanche gli Stati Uniti se lo possono permettere. Negli Stati Uniti volano ancora gli F-16, aerei progettati alla fine degli anni Sessanta, che hanno visto la luce nei primi anni Settanta. Il motivo è che c’è una continua serie di improvement.
Naturalmente, gli scenari dettano anche il cambiamento, perché un sistema nasce per affrontare un determinato contesto. Noi ci siamo trovati, da una parte, ad affrontare, alla fine degli anni Ottanta, uno scenario di cosiddetta guerra convenzionale, con alta tecnologia (aerei, navi, carri armati). Dall'altra, le nostre Forze armate si confrontano attualmente in ambiti in cui il nostro contraltare non ha lo strumento ad alta tecnologia che avevano l'Unione Sovietica e il Patto di Varsavia un tempo.
La vera domanda, dunque, è: l'equipaggiamento che stiamo acquisendo e i piani di difesa che stiamo elaborando sono congrui con lo scenario internazionale, oppure stiamo andando a cercare di sparare con la palla di cannone contro le mosche ? Si tratta di uno strumento sovradimensionato, che non riesce a colpire una fastidiosa mosca ?
Ebbene, sembra che il mondo si divida in due realtà. Da una parte, c’è il conflitto convenzionale contro realtà statuali importanti, che sono un po’ come noi. L'ultimo conflitto che ci ha visti partecipi nei confronti di una realtà simile a questa è stato quello contro la Serbia, durante l'operazione nel 1999. Dall'altra parte, le nostre Forze armate sono impiegate in ambiti, come quello libanese e quello afghano, in cui i nostri avversari hanno qualche fucile e le ciabatte al posto degli anfibi, ma, non di meno, ci mettono in seria crisi.
Questo significa che ciò che conta non è avere le armi, bensì una strategia politica alle spalle. Se l'arma è intelligente, ma la strategia politica non lo è, il risultato è quello che si vede in molti scenari internazionali.
Vi hanno già parlato di queste due questioni, come ho letto nella documentazione che, molto cortesemente, mi è stata fatto pervenire. In realtà, però, quello che è successo negli ultimi due anni sta rivoluzionando lo scenario prossimo venturo nel quale il nostro Paese sarà immerso. Non sarà più una realtà in cui, da una parte, c’è uno Stato con il quale dialogare e, dall'altra, ci sono guerriglieri, o terroristi, a seconda dei punti di vista.
Le cosiddette Primavere arabe – uso volutamente il termine «cosiddette», perché più che di primavera si tratta di un risveglio arabo – stanno ponendo il nostro Paese, che, ci piaccia o meno, è un Paese immerso nel Mediterraneo, il che non è un giudizio di merito, ma un dato di fatto, di fronte a un futuro quanto mai complesso e fosco, ovvero a una sorta di contaminazione tra le due realtà che abbiamo citato prima.
Pensate soltanto che ci sono rischi non elevati, ma elevatissimi anche nelle fragilissime realtà mediorientali – parliamo di realtà in cui, in alcuni casi, come in quello della Tunisia e di Lampedusa, il territorio nazionale è più vicino alla Tunisia di quanto non lo sia alla Sicilia, essendo la Pag. 5distanza dall'altro Stato di qualche minuto di volo o di qualche ora di navigazione – a causa di governi fragili e assolutamente vicini all'implosione, movimenti radicali possano prendere il potere.
Tengo a sottolineare il termine «radicali» e non «guerriglia islamica», perché l'Islam è una religione di pace. L'Islam non propugna, come tutte le religioni, la violenza. Quello della violenza è un uso distorto di alcune persone, che lo adottano per il potere.
Realtà radicali sono, dunque, in grado di prendere il potere in queste nazioni, come in Egitto, per esempio. Ci troveremmo, quindi, con regimi islamisti – questo sì – ma non con gente che ha nelle proprie «sante barbare» quattro fucili, bensì sistemi missilistici a lungo raggio e aerei di ultimissima generazione, più avanzati dei nostri.
I caccia F-16 egiziani sono più avanzati dei caccia che aveva fino a qualche tempo fa in linea la nostra Aeronautica, per esempio. Ci sono anche sommergibili con missili a cambiamento d'ambiente, il che significa che gli spari da sott'acqua fuoriescono e percorrono centinaia di chilometri per colpire il proprio obiettivo, come nel caso dell'Algeria.
Di fronte a un uso convenzionale ad alta tecnologia dello strumento da parte di una politica non convenzionale è necessario avere uno strumento flessibile in grado di poter rispondere. Non vi parlo di missioni lontane, di Paesi lontani, ma di una situazione che è a pochi minuti da casa nostra. A questa bisogna rispondere in maniera assolutamente adeguata e flessibile, avendo una serie di capacità, ma non solo.
Pensate soltanto a come – l'avete visto, si legge su tutti i giornali – ormai la nuova frontiera di Al Qaeda nella parte decisionale, nella parte di chi prende le decisioni, non della manovalanza spicciola che lavora sul terreno, sia composta da giovani nati in Occidente. Sono britannici, francesi, moltissimi americani, persone che sono non solo istruite, ma sono come noi se non per avere soltanto convinzioni profondamente diverse dalle nostre.
Pensate soltanto alla forza sinergica di 100-150 di queste persone connesse tra di loro con una strategia che è ormai parte della realtà virtuale che viviamo quotidianamente. Ciascuno di noi, se non è collegato al proprio smartphone, si sente in qualche maniera perso. Pensate se queste 100-150 persone decidessero di «targhettare» un obiettivo, che può essere una rete elettrica, un sistema idrico, un sistema bancario e sferrassero un attacco cibernetico.
Tale attacco è convenzionale, perché fino adesso lo fanno soprattutto i grandi Stati. Pensiamo soltanto – lo dico come realtà – alla Cina, che ha reparti e battaglioni militari di persone che compiono attacchi cibernetici e fanno «shopping», se così si può dire, non soltanto nei nostri Stati, ma anche nelle nostre aziende.
Noi abbiamo un concetto per cui l'azienda, anche quella privata, è scollegata dallo Stato. Nella realtà, se le nostre aziende non vendono più, è perché qualcuno è in grado di produrre lo stesso prodotto, o un prodotto simile, a prezzi sensibilmente diversi, perché è riuscito a rubare i brevetti. Le nostre aziende sono meno competitive, vendono di meno e questo è sempre, lo ribadisco da genovese, un problema economico non ininfluente per il nostro Paese e per il concetto di sistema Paese. Pensate soltanto a che cosa può fare Al Qaeda, o una realtà simile connessa ad Al Qaeda, dal punto di vista cibernetico.
Signori, è una questione di «quando», non di «se». Noi ci spaventiamo, giustamente, e siamo perplessi sulle attività di intelligence, magari invasive, che possono fare i nostri amici o i nostri alleati. Si tratta, però, di intelligence. In quest'altro caso, invece, parliamo di un 11 settembre cibernetico. Pensate soltanto a che cosa vorrebbe dire cancellare migliaia e migliaia di dati sotto il profilo bancario. Questa è una realtà che noi dobbiamo affrontare con un sistema assolutamente reale e con una strategia chiara.
Dall'altro punto di vista, avendo parlato del rischio degli scenari politici nel Mediterraneo con l'azione ad alta tecnologia, Pag. 6abbiamo bisogno di un sistema di difesa balistica. L'Italia in questo momento è in grado di essere il leading a livello europeo qualora realizzassimo un merge tra quanto abbiamo investito sino adesso, da una parte, nel programma MEADS in cooperazione con gli Stati Uniti e con la Germania (sono certo vi è stato spiegato con dovizia di particolari) e, dall'altra, con il programma europeo del nuovo munizionamento per l'ASTER, utilizzando il meglio degli investimenti che abbiamo compiuto per portare a un prodotto europeo in grado di essere non soltanto utile per l'ombrello, per la nostra quotidianità, ma anche di proporsi sul mercato straniero. Ricordiamoci che l'industria della difesa produce PIL, non armi. Le armi sono una conseguenza della produzione.
Come voi sapete, esiste un problema molto serio di crisi, una crisi lunga, che vedrà sempre più accesi i toni tra gli Stati Uniti e la Cina. La storia ci insegna che gli imperi non scompaiono con il passo lieve di Gloria Swanson in Viale del tramonto. Gli imperi o implodono all'interno, come è successo, per esempio, nell'Unione Sovietica, o esplodono a causa del fatto che un'altra nazione ne ha preso il posto.
Sicuramente nei prossimi quindici anni ci sarà una sorta di showdown, anche se probabilmente limitato, tra gli Stati Uniti e la Cina. «Ci interessa, ma, tutto sommato, è lontano. Noi viviamo nel Mediterraneo. Che ce ne importa ?», si potrebbe obiettare. Ci sarà uno showdown perché l'area indo-pacifica non è sufficientemente ampia per l’ego e per gli interessi di entrambe le nazioni.
In Italia arriva attraverso il mare la stragrande maggioranza delle nostre importazioni. Noi viviamo di mare. Il fatto che abbiamo – non lo dovrei dire, ma consentitemi di farlo, da cittadino italiano – seri problemi infrastrutturali e che non riusciamo a trasformare tutto quello che importiamo in una capacità di movimento su terra e di farne un business è un discorso che attiene ad altre Commissioni. È per questo che noi abbiamo bisogno di essere sovrani. Abbiamo bisogno non solo di essere partecipi, ma anche di avere una capacità sovrana sulla protezione della nostra linea di comunicazione marittima.
Abbiamo seri problemi di pirateria, che non è più quella somala. In questo momento il dottor Marco Di Liddo, responsabile per l'area africana del mio istituto, sta andando a Mogadiscio. Non so se tornerà, ma, se lo farà, sarò lieto di riferirvi qual è il feeling da quella parte del mondo. Vediamo già molteplici attacchi nel Golfo di Guinea, nell'Africa occidentale. Molti di questi attacchi sono diretti verso interessi nazionali, verso piattaforme petrolifere italiane, non perché siano italiane, ma perché sono un simbolo di cooperazione con il sistema, con il Governo centrale.
Se noi abbiamo la necessità – e l'abbiamo, perché tutti diamo per scontato il fatto che la mattina andiamo in bagno, accendiamo la luce, giriamo il rubinetto e abbiamo l'acqua calda – di energia, dobbiamo proteggere la nostra energia. Per questo motivo è importante avere una politica di partnership, ma è anche fondamentale, per affrontare queste minacce, avere una capacità non di offesa, ma di deterrenza. La deterrenza si fa con la presenza.
Se noi vogliamo abdicare non al concetto di Italia come potenza navale, ammesso e non concesso che l'abbiamo mai avuta, ma di interesse nazionale di approvvigionamenti, dobbiamo renderci conto che, se non desideriamo questo, dobbiamo avere un programma navale che consenta alla nostra capacità industriale – non dico all'industria – di fare alcune cose e di continuare ad andare avanti.
È importante mantenere viva la capacità non soltanto di fare le cose, ma anche di immaginarsele. Diversamente, il rischio italiano è quello di iniziare a produrre bulloni ad altissima tecnologia, ma che qualcun altro ci fa produrre, e di perdere la capacità di immaginare qual è il futuro.
Si è molto discusso in questa importante Commissione del programma F-35. Sarò ben lieto di rispondere eventualmente in sede di vostre domande a quesiti su questo tema. Vi vorrei, però, dire che l’F-35 è un grande fallimento europeo. Pag. 7Come europei, non come italiani, noi non siamo stati in grado di metterci insieme intorno al tavolo e di renderci conto che da soli abbiamo pochissime capacità, pochi soldi e soprattutto, poche economie di scala cosa che conta tantissimo per il mercato. Più elevati sono i numeri, minore è la spesa. È un dato di fatto.
I Paesi europei hanno economie di scala limitate, ragion per cui bisogna mettersi tutti a sistema per cercare di fare massa critica. Noi abbiamo perso il treno dell'aereo di quinta generazione, lasciandolo a nazioni come Cina, Russia e Stati Uniti, le quali hanno un mercato interno in grado di garantire quelle economie di scala, laddove gli investimenti vengono riassorbiti e hanno un ritorno. Stiamo rischiando di perdere, come europei, anche il futuro, che è quello di sesta generazione.
Io non so se noi avremo un aereo e se esisteranno ancora in seguito gli aerei di quinta generazione. Mi sono volutamente dimenticato di citarvi, come aereo di quinta generazione, il modello che hanno mostrato gli iraniani. Come sapete, è di legno, e le foto che sono state pubblicate sul web sono ritoccate con Photoshop. Pertanto, ho evitato di citare l'Iran come nazione in grado di produrre velivoli di quinta generazione.
Non so, onestamente, se noi vedremo ancora un aereo pilotato di sesta generazione. Forse sì. Forse l'ultimo che vedremo sarà il bombardiere strategico a lungo raggio statunitense. Certamente il futuro è nei cosiddetti velivoli a pilotaggio remoto, UAV o UCAV, che dir si voglia. L'UCAV è la versione in grado non soltanto di fare ricognizione e strike limitato, ma anche di prendere le capacità di una serie di velivoli e di trasformarle. È una sorta di drone da combattimento aereo, un velivolo sul quale gli statunitensi stanno già impegnando notevolissime risorse.
Pensate che recentemente, durante le prove di uno di questi velivoli UCAV, un X-47, questo ha autonomamente rilevato che aveva un problema e che, quindi, i suoi standard di sicurezza non erano sufficienti per riatterrare sulla portaerei. Ha, quindi, trovato autonomamente un aeroporto alternativo ed è andato ad atterrare su di esso.
Questo fatto è estremamente interessante, perché il vero problema del futuro dei velivoli, magari anche dei veicoli a controllo remoto, sarà l'etica e non la tecnologia. Se un velivolo «pensa» in termini di sopravvivenza – di fatto, il futuro è quello della consapevolezza dell'esistenza: io esisto – può anche essere che non ritenga di essere sacrificabile. Questo, però, è un discorso che vedremo nei prossimi 15-20 anni.
L'Europa ha una serie di programmi. Il più importante, al quale partecipa l'industria nazionale, è il nEUROn, fortemente guidato dai francesi. I francesi, a loro volta, hanno problemi interni, tanto che hanno acquisito dai sistemi americani alcuni Predator-B, alcuni Reaper, come li abbiamo acquisiti noi.
Il rischio per tutti noi è che perdiamo anche il treno della cooperazione europea, nel quale dovremmo essere attivamente e non soltanto aspettare che, passando, qualcuno ci dica di salire a bordo. Dovremmo essere noi a voler partecipare e spingere. Altrimenti, signori, il destino futuro è quello di produrre su licenza di chiunque. Non è un problema di licenza americana, francese o giapponese, ma di licenza di qualcun altro. Si rischiano di perdere le capacità di engineering e, cosa per me fondamentale, di sovranità nazionale sul prodotto.
Lo scenario è, dunque, quello di Forze armate che devono essere leggere e rapidamente trasportabili – un modello light – ma interconnesse tra loro. Immaginare una missione solo italiana è ormai quasi impossibile. Noi dobbiamo avere la capacità di integrarci sia nei dispositivi preesistenti, che sono quelli tradizionali di NATO e UE, sia in nuovi dispositivi, nelle cosiddette coalizioni dei volenterosi. Come abbiamo visto, non sempre partecipano al desco quelli che normalmente sono soci del club.
Nel momento in cui il nostro Parlamento e il nostro Governo dovessero ritenere che l'interesse nazionale è partecipare Pag. 8a una coalizione da costruire, noi dobbiamo essere in grado anche di integrarci in detta coalizione. Abbiamo bisogno, quindi, di Forze armate leggere e di un esercito assolutamente integrato nella rete.
Lo dico perché più informazioni si hanno e meno corbellerie si commettono. La nostra fortuna è che il nostro Paese – prima di tutto perché siamo italiani e c’è un vecchio adagio secondo cui noi abbiamo oltre 2.000 anni di esperienza e di storia nello zaino – e le nostre Forze armate, rispetto ad altre nazioni, che hanno un approccio più aggressivo del nostro, hanno un numero di danni collaterali compiuti infinitamente inferiore. Io vorrei che questo trend non solo potesse continuare, ma che andasse sempre più e ancora di più verso il basso.
Ci troveremo, quindi, di fronte a realtà che sono, come abbiamo detto, politicamente non convenzionali, ma militarmente assolutamente convenzionali. Abbiamo bisogno ancora di una serie di capacità. La capacità delle forze pesanti, la capacità blindata è una capacità importante, perché ci potremo trovare di fronte a gente con equipaggiamenti migliori dei nostri, la cui linea politica ne decide un utilizzo «guerriglieresco», se così si può dire. Dobbiamo avere una Marina vera e un'Aeronautica che sia in grado di fare quello che voi sostanzialmente richiedete.
I velivoli possono essere migliorati, possono essere «upgradati», come dicono quelli che hanno studiato, molteplici volte. Rendiamoci conto, però, che, se noi vogliamo girare in pista, abbiamo bisogno di una spider, mentre, se dobbiamo andare in vacanza, abbiamo bisogno di una station wagon. Non si può immaginare che il lavoro di una spider venga svolto da una station wagon o viceversa. Entrambe portano bagagli, ma nella fase di progettazione vengono richieste loro prestazioni diverse.
Se, quindi, abbiamo bisogno di velivoli che facciano supporto tattico, abbiamo bisogno di cacciabombardieri. Se abbiamo bisogno di velivoli da difesa aerea, abbiamo bisogno di velivoli ottimizzati per la difesa area. Naturalmente, nessuna nazione, al di là degli Stati Uniti, ha ormai un velivolo che fa solo un'attività, perché, lo ripeto, bisogna ottimizzare le risorse. A me pare che la scelta italiana, la vostra scelta, stia nell'andare verso velivoli che hanno un'estrema capacità di fare swing-role: sono nati, cioè, per fornire una data prestazione, ma sono anche in grado di fornirne altre.
Queste sono le mie prolusioni. Vi ringrazio per l'attenzione e resto a vostra disposizione.
PRESIDENTE. Siamo noi, professore, a ringraziarLa per l'ampia e approfondita relazione. Ci sono già alcuni colleghi che vogliono rivolgerle le domande. Le ascoltiamo volentieri. Conoscete i nostri limiti di tempo e l'organizzazione dei lavori.
Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
MASSIMO ARTINI. Grazie presidente, grazie professore.
Vorrei riprendere un punto che Lei ha affrontato in merito alla situazione dell'immigrazione e di Lampedusa. Vorrei fare un ragionamento con Lei sulla connessione che ci può essere fra il terrorismo e l'immigrazione dal Corno d’ Africa, ossia da Eritrea, Etiopia e Somalia, considerato il robusto incremento che si è registrato in quest'ultimo periodo.
Penso all'Eritrea in particolare. Il Governo eritreo crea le condizioni per far sì che la gente possa uscire e, quindi, genera anche un grosso flusso di denaro, sia con la parte dell'immigrazione, sia con i riscatti che eventualmente vengono chiesti ai familiari di coloro che sono stati scoperti come clandestini, come immigrati dall'Eritrea. Il fatto che l'Eritrea sia molto vicina a Al-Shabab può essere un tramite che rimpingua le casse di quella situazione ?
Vorrei porre anche una domanda su Gibuti, giacché stiamo esaminando il decreto di proroga delle missioni internazionali. La domanda è la seguente: poiché la base non ha accesso al mare, a quanto pare, qual è lo scopo di questa base e Pag. 9soprattutto, se è nelle sue possibilità, come viene finanziata ? Al momento non siamo riusciti a capire da che posizioni vengono presi i soldi per finanziare quel tipo di base.
In ultimo, qual è il nostro rapporto con il Qatar ?
PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire l'onorevole Bolognesi. Naturalmente ci sono anche domande che sono di competenza del Governo e che potremmo rivolgere ai rappresentanti del Governo stesso nelle numerose occasioni che avremo. Contiamo, però, sulla disponibilità e sulle competenze del professor Margelletti.
PAOLO BOLOGNESI. Innanzitutto ringrazio per la relazione molto concreta, soprattutto perché apre alcuni scenari a cui, in altre occasioni, ho chiesto di pensare. Per essere estremamente sintetici, poiché abbiamo una Costituzione che afferma determinati principi sulla guerra e sulle Forze armate, dovremmo capire innanzitutto da chi ci dobbiamo difendere e, di conseguenza, chi è il nostro nemico. Io ho chiesto presumibilmente, fra dieci anni, chi sarà il nostro nemico. A questa domanda nessuno ha risposto. Sono stati tutti vaghi, per il momento.
Lei, quanto meno, ha parlato dello scenario. Nell'ambito di un discorso di sistemi d'arma, credo sia la prima volta che salta fuori l'aspetto cibernetico. Sarebbe importante anche comprendere in che cosa consiste il sistema di difesa e che cosa sia compito dell'Esercito e cosa di qualche altra Forza. Nell'ambito del sistema Italia chi dovrebbe occuparsi di ciò ? Questo è il primo dato.
L'altro aspetto è il discorso dei droni, che sono, secondo me, il futuro anche per quello che riguarda i costi e la duttilità del mezzo. Possono essere usati tranquillamente anche per i sistemi civili e poi, al limite, essere armati in caso di guerra. Speriamo che non succeda mai, ma questa è la possibilità.
Vi è un altro aspetto. Al Consiglio europeo si farà un discorso generale per quanto riguarda l'integrazione europea nell'ambito dell'esercito europeo. Lei immagina, nell'ambito di uno sviluppo, che, oltre a vedere integrazioni nell'ambito degli eserciti nel senso che si possano parlare tra di loro e che possano avere armamenti integrati, ci possano essere anche specializzazioni nell'ambito delle nazioni in modo che non tutti facciano tutto, tanto per intenderci ? Questo potrebbe permettere un'adeguata difesa, anche con un adeguato risparmio, nazione per nazione. Che cosa pensa Lei di una tale possibilità ?
Grazie.
SALVATORE CICU. Ringrazio il professor Margelletti per la sua ampia relazione, che ci consente anche di avere una visione su aspetti che in maniera congiunta realizzano una dimensione di sistema. È questo il punto che io credo occorra valutare e verificare.
Sappiamo qual è l'obiettivo di questa indagine conoscitiva. Lei ha fatto riferimento agli F-35 dicendo che l'Europa è stata debole e, come al solito, non pronta, sempre in ritardo rispetto a un'opportunità, quella di legarsi e di unirsi per affrontare al meglio, sia con risorse economiche adeguate, sia con una visione appropriata, lo scenario di deterrenza di cui Lei ha parlato. È uno scenario che deve avere la migliore efficienza e il minor costo rispetto alle possibilità esistenti e alle risorse disponibili.
Vorrei sapere da Lei che cosa ne pensa. Noi viviamo continuamente il dubbio tra la scelta dell’Eurofighter o quella dell’F-35. Vorremmo avere una sua opinione, al di là di quello che Lei ha già detto, in termini di attualità rispetto alla situazione che ormai si sta proiettando e prospettando. Il Parlamento ha la necessità di capire anche il suo parere.
Grazie.
ANGELO CERA. Professore, io ho ascoltato con molta attenzione la Sua ampia relazione e francamente ne esco molto preoccupato. Nel contesto Lei come ci colloca realmente, in un giudizio molto sincero, nel sistema europeo e complessivamente Pag. 10nel sistema mondiale ? A che livello ci pone ? Ci si può fidare di quello che oggi siamo nel campo ?
LUCA FRUSONE. La ringrazio veramente molto di questa audizione. Devo dire che è una di quelle che mi sono piaciute di più. Abbiamo toccato molti punti che non si erano mai toccati in questa sede.
ANDREA MARGELLETTI, Presidente del Centro Studi Internazionali (CeSI). Lei può testimoniare che non è un mio parente, vero ?
LUCA FRUSONE. Sì, certo. Abbiamo addirittura sfiorato le tre leggi della robotica di Asimov. Siamo arrivati veramente a concetti molto particolari, che approfondirei molto volentieri.
La mia domanda riguarda gli F-35, perché Lei ne ha parlato molto e ha usato parole anche coraggiose, in un certo senso. Considerando alcune perplessità che noi abbiamo sugli F-35, vorrei un suo parere.
Per esempio, nelle missioni CAS (Close Air Support) c’è bisogno di un'alta manovrabilità e di una bassa quota per evitare danni collaterali e, in alcuni scenari, anche di una capacità di decollo breve, che hanno, per esempio, gli AMX che hanno utilizzato in Afghanistan, mentre l’F-35A non è capace di fare il decollo breve. Inoltre, le riparazioni, parlando di un aereo di quinta generazione rispetto a un Tornado o a un AMX, sono molto più costose e hanno anche scarsa protezione balistica.
Consideriamo poi che il pregio di questo aereo sarebbe la tecnologia stealth, ma che questa nell'aria-aria – non parlo assolutamente delle dogfight, dove naturalmente si perde, ma anche dell'avvistamento da lontano – è vulnerabile. Noi sappiamo che aerei di nuova generazione, come il Flanker russo o quello cinese, hanno sistemi di puntamento a infrarossi che potrebbero abbattere questa tecnologia.
Considerando che anche nel suolo-aria ci sono alcuni moderni radar, sempre a puntamento infrarossi, oppure...
ANDREA MARGELLETTI, Presidente del Centro Studi Internazionali (CeSI). OTH, onorevole. Sono radar del tipo OTH. Vedo che leggiamo gli stessi libri.
LUCA FRUSONE. Considerando che ci sono tutte queste tecnologie e che addirittura la tecnologia stealth che montava l’F-117 già in Kosovo venne abbattuta dal colonnello Dani, considerando tutte le perplessità che noi abbiamo, Lei ha parlato di fallimento europeo.
A questo punto, non potremmo allargare questa parola, questo pensiero a un fallimento italiano, a una scelta fallimentare dell'Italia, in questo caso, in questo progetto, dovuta all'assenza assoluta di una progettazione nel comparto difesa e nella proiezione nel futuro dell'Italia, sempre nello stesso comparto ?
FRANCESCO SAVERIO GAROFANI. Grazie, professore, per la bella relazione che ha proposto a questa Commissione. Mi ricollego all'ultima parte della domanda del collega Bolognesi che vorrei sviluppare.
Lei ha parlato di due concetti che in qualche misura vanno integrati, ma che non sempre è possibile miscelare nella giusta dimensione. Ha parlato, cioè, di sovranità e di integrazione.
Il collega Bolognesi chiedeva se sia possibile pensare a una divisione dei compiti, soprattutto quando parliamo di costruzione di una difesa europea. Adesso il Consiglio europeo aprirà l'agenda su molti di questi aspetti. Lei ha parlato, invece, di alcuni settori in cui è utile «difendere» la sovranità, tra cui anche la sovranità tecnologica, il vantaggio tecnologico, la specificità che il nostro Paese può vantare in alcuni settori.
Vorrei sapere su quali settori è indispensabile privilegiare la sovranità rispetto all'integrazione e quali sono le priorità che è utile definire, considerando le risorse limitate. C’è il rischio che questa indagine, come un po’ tutta la nostra discussione, quando parliamo di programmi d'armi, finisca per concentrarsi sul mito dell’F-35. Lei ha toccato, invece, aspetti molto diversi, come i temi della difesa balistica e Pag. 11i programmi navali, uno spettro di argomenti molto più complesso e molto più vasto. Forse va definita in maniera un po’ più puntuale la priorità su cui lavorare.
ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Grazie presidente e ringrazio anche il professor Margelletti. Io sono arrivata un po’ in ritardo e, quindi, penso di aver perso una splendida relazione, da quello che ho sentito dai colleghi che mi hanno preceduto. Me ne scuso, perché mi avrebbe fatto piacere sentirla. Leggerò gli atti.
La mia è una domanda che si collega a quella del collega Garofani e che fa riferimento ad alcune affermazioni svolte durante l'indagine conoscitiva in questa Commissione dall'amministratore delegato di Finmeccanica e dall'amministratore delegato di Fincantieri.
Il dottor Pansa ha definito quella dell’F-35 una questione decisa da molti anni e ha sostenuto che Finmeccanica si ritrova a essere un utilizzatore razionale, che dovrà cercare di aumentare i profitti e di minimizzare i costi. Le sue previsioni sono state che Cameri, nel momento in cui andrà completamente a regime, sarà produttiva di profitti e in toto impiegherà un numero di 5.000 addetti, lontano quindi da quei 10.000 di cui più volte in questa Commissione, anche negli anni passati, si è sentito parlare. Mi sembra che le previsioni si siano razionalizzate, proprio per usare i termini di Pansa.
Peraltro, a una specifica domanda l'amministratore delegato ha dovuto convenire che la curva del prezzo dell’F-35 che ci aveva mostrato era sì una curva discendente, ma con una variabile di rischio alta, perché di fatto i Paesi che acquisteranno gli F-35 faranno gli agreement annuali. Basterà, quindi, come è già successo, che la Turchia si sposti sul low cost cinese perché quella curva subisca un'impennata. Questa è una prima considerazione, che mi ha molto colpito, considerando che stiamo parlando dell'amministratore delegato di Finmeccanica.
Lei ritiene che, nell'intreccio che ha fatto e che ho sentito ora il collega Garofani sottolineare, che ci vedrà nel futuro più come una potenza media regionale che non come una potenza mondiale, anche perché le risorse non ci consentono di esserlo, il programma F-35 sia ancora da rivedere ? La sua interoperabilità, considerando che, per esempio, la Francia usa i Rafale e che altri Paesi europei non usano l’F-35, sarà garantita per i Paesi europei ?
Il costo dell’F-35 a oggi si attesta – come confermato anche da Pansa – intorno ai 90-95 milioni di euro, laddove i citati rischi non si verifichino e, quindi, rimanga questa cifra. A una mia domanda l'amministratore delegato ha affermato che questo è un costo complessivo. Lei ritiene che sia complessivo o che gli armamenti siano un elemento di costo aggiuntivo ? Queste sono le prime domande.
Un'altra domanda che intendo porre è in relazione alle affermazioni dell'amministratore di Fincantieri, Giuseppe Bono. Io ho trovato molto interessante la sua relazione, perché ha posto al centro un elemento che nella mia visione istituzionale, come parlamentare, è estremamente rilevante. Si tratta della questione dell'interesse nazionale, che ancora alcuni – forse saremo un po’ «vetero» – ritrovano nel fatto che un'impresa italiana pubblica riesca a produrre il 95 per cento del prodotto in Italia con addetti italiani.
Questo avviene in un mondo che sicuramente va verso la globalizzazione, ma che ci vede estremamente a rischio sul piano della competitività. Mi pare che tale elemento sia stato tenuto in considerazione, perché, se non ho capito male, nella legge di stabilità ci saranno fondi per i prossimi vent'anni di un discreto rilievo per quanto riguarda la cantieristica italiana.
Lei ritiene che perseguire anche, per esempio, come diceva il dottor Bono, il proprio interesse sia un elemento di valutazione importante per il Parlamento ? Oppure, sono altri gli elementi che devono essere calibrati insieme a questo ?
PRESIDENTE. Visto l'interesse che ha suscitato la sua relazione, do la parola per la replica al professor Margelletti.
Pag. 12 ANDREA MARGELLETTI, Presidente del Centro Studi Internazionali (CeSI). Grazie, signor presidente. Correrò un po’ e chiedo scusa per la velocità.
Onorevole Artini, io sono stato molte volte nell'Africa subsahariana. La scorsa settimana la Quarta Commissione delle Nazioni Unite al Palazzo di Vetro a New York mi ha voluto ascoltare sulla vicenda del Sahel. Quello dell'immigrazione è, dunque, un tema che conosco, avendolo visto e vissuto personalmente.
Noi dobbiamo incominciare a immaginare che non esiste una linea netta tra gli interessi insurrezionale-terroristico e quelli criminali. In realtà, i soggetti che compiono i rapimenti, per esempio, dei cooperanti sono persone che li fanno perché vogliono opporsi al Governo centrale, ma che nel contesto fanno business. Tale attività serve per i loro interessi. Non c’è il rigore ideologico che aveva caratterizzato i NAP, i NAR, le Brigate Rosse o Soccorso Rosso in altri contesti. Nel momento in cui questi soggetti andavano a fare un esproprio proletario o una rapina, ciò avveniva in un quadro di supporto al movimento insurrezionale. La situazione suddetta, invece, è più familiare.
C’è un'assoluta gestione da parte di questi gruppi, che non riguarda soltanto l'immigrazione, ma anche il traffico d'armi e di droga. Pensate soltanto che buona parte della droga arriva ormai a casa nostra attraverso queste linee di passaggio, che prima inondavano dal Sudamerica, agli Stati Uniti ed all'Europa, mentre adesso vanno dal Sudamerica, all'Africa occidentale ed all'Europa. Queste organizzazioni sono in grado di garantire alcuni passaggi. Garantendo i passaggi, si hanno meno intermediari, il che si traduce nel fatto che, allo stesso prezzo – parlo in maniera terribile sia di droga, sia di esseri umani – è maggiore il ricavo.
La nostra attenzione nei confronti di determinate aree del mondo deve essere, per chi ha esperienza di intelligence – io sono unanimemente riconosciuto come uno dei principali esperti di 007 – più flessibile e meno convenzionale. Ci troviamo di fronte a realtà che cambiano e noi siamo un po’ più lenti.
Vorrei dare tempo al dottor Di Liddo di scendere dall'aereo e di arrivare a Gibuti, cosa che farà fra poche ore e, quindi, mi riserverò, se lo ritiene, onorevole Artini, di farle un briefing successivamente. La base di Gibuti, però, è importante – glielo dico da analista di geopolitica – perché la geografia è sempre parte integrante di un'analisi geopolitica.
Gibuti si trova in un posto straordinariamente fortunato per poter non soltanto monitorare, ma anche supportare la creazione di questi governi, che sono non fragili, ma fragilissimi. Neanche le porcellane danesi o dell'epoca Ming sono tanto fragili, ma non abbiamo alternative che lavorare con quelli che abbiamo.
Un vecchio adagio americano dice – mi perdonerete se lo cito testualmente – «È un bastardo, ma almeno è il mio bastardo». Noi dobbiamo iniziare a lavorare con le realtà che abbiamo per poterle migliorare dall'interno, altrimenti si viene a creare un vuoto di potere, che è poi utilizzato da chi è più strutturato di noi. Spero di aver risposto in modo esaustivo.
Onorevole Bolognesi, le Sue domande riguardavano l'aspetto cibernetico, dei droni e del Consiglio europeo. Quanto al sistema di difesa e a chi fa che cosa, se noi vogliamo un esercito europeo, dobbiamo avere una politica estera europea, reale e credibile, altrimenti costruiamo soltanto sovrastrutture che assorbono personale con le stellette qualificato, che ci costano tanto, ma non servono a nulla.
Noi abbiamo bisogno di una politica europea vera di sicurezza, in maniera tale che, a quel punto, si possano ottimizzare non solo le risorse che i governi mettono a disposizione, ma anche e soprattutto i sistemi industriali. Altrimenti, come l'anno scorso, o un anno e mezzo fa, si rischia l'accordo tra Gran Bretagna e Francia, lasciando non Finmeccanica, ma l'Italia fuori dalla porta, il che, secondo me, sarebbe un disastro nazionale.
L'aspetto cibernetico è fondamentale. Dobbiamo cominciare a capire che l'offesa Pag. 13non consiste soltanto, contro il Governo, nell'oscurare con «V for Victory» il sito di un ministero che in quel momento si ritiene agisca in maniera iniqua, ma anche in uno «shopping» all'interno delle aziende o in un attacco statuale nei confronti del nostro sistema di vita. È fondamentale avere un sistema di difesa e bisognerebbe che fosse centralizzato.
Con grande coerenza, anche su questo aspetto, noi siamo profondamente in ritardo, come in molte cose che facciamo, ma perlomeno ce ne siamo accorti. Questo significa essere anche di sprone. Noi abbiamo realtà di eccellenza, ma ciascuno canta un po’ la propria musica. Sarebbe il caso di cominciare a realizzare delle sinergie. Purtroppo, siamo anche in un Paese in cui risulta essere praticamente impossibile avere una sala comune tra 112, 113, Guardia di finanza, Vigili del fuoco, Polizia municipale e sistemi di Croce Rossa. Figuriamoci fare la guerra cibernetica. Io, però, sono un sognatore e, quindi, mi consentirà – essendo gratis – di poter continuare a sognare.
L'onorevole Cicu ha parlato dell’F-35 e dell'Europa in ritardo. Mi permetto di esprimermi con grande chiarezza, soprattutto per chi, come gli appartenenti al Movimento Cinque Stelle, mi conoscono di meno. Io credo che il mio istituto sia l'unico think tank che si occupa di relazioni internazionali a essere, per Statuto, non finanziato. Noi non vi rubiamo nelle tasche. Io ritengo incredibile che, se uno non sa fare un mestiere, qualcuno glielo debba pagare.
Il mio istituto vive di contratti con realtà del settore ed è consulente di Lockheed Martin e di Alenia. Questo per darvi un'idea dell'onestà intellettuale con la quale noi ragioniamo. Si tratta di aerei e velivoli profondamente diversi. Risponderò magari in sede più dettagliata in merito. L’EFA è un aereo fenomenale, un caccia che è al di là dell’F-22 americano e che non è neanche stato esportato, per quanto sia segreto.
L’EFA non ha eguali. Chiedete ai nostri piloti che cosa avviene quando vanno a fare gli incontri con i piloti francesi, israeliani, statunitensi. Non c’è gara. È un velivolo fenomenale ed è un velivolo che noi dobbiamo continuare ad aiutare. Chi vi dice che è un velivolo vecchio, mentre è entrato in servizio due minuti fa, o non è competente, o è in mala fede.
L’EFA è un velivolo che, come tutte le realtà, va a spirale e che, quindi, va implementato in una serie di capacità. Ha margini di produzione e di sviluppo ancora notevolissimi, ma soprattutto, per il discorso che facevamo prima di economie di scala, va aiutato l’export di questo velivolo. Le nazioni europee più di tanto non possono assorbire e questa è una realtà molto attinente al tema. Lei è stato un eccellente sottosegretario di Stato alla difesa e sa quanto sia importante supportare l'industria nazionale. Va fatto, altrimenti l'industria nazionale, compresa Alenia, che è una parte importante del comparto aerospaziale, rischia di trovarsi in difficoltà.
L’F-35 è un cacciabombardiere. Sia l’F-35, sia il Typhoon, portano missili. L’F-35 è un aereo in via di sperimentazione, ma sono aerei che fanno cose completamente diverse. Sono nati per fare cose completamente diverse. Ciascuno è in grado, con un minimo di logico overlapping, di farne altre. Uno può portare bombe e l'altro può portare missili da difesa aerea, ma nascono in maniera completamente diversa per fare cose diverse. La situazione è analoga all'esempio che facevo prima tra le due macchine.
Nella complementarietà della scelta italiana di avere due tipi di velivolo sta la logica del fatto che noi abbiamo bisogno di utilizzare sia le moto della polizia, sia le volanti. A seconda del tipo di lavoro che si fa, si utilizza lo strumento più idoneo. Nella realtà dei fatti la scelta, secondo me, è stata logica nel dotarsi di uno strumento flessibile nel suo genere. Spero di avere risposto alla domanda su F-35 e Typhoon.
Come si colloca l'Italia all'interno della NATO e dell'Unione europea ? Lo potete decidere soltanto voi. Per quanto attiene al mio giudizio, io vorrei avere un italiano accanto tutti i giorni della mia vita. Non ho mai avuto dubbi da questo punto di Pag. 14vista. Il nostro Paese è molto più maturo e serio di come ci vedono all'estero. Certamente, ci mancano l’aplomb inglese, la grande burocrazia francese, il rigore tedesco e i soldi degli americani, ma tutte queste grandissime nazioni non sanno neanche lontanamente che cosa vuol dire essere italiani.
Il posto che noi avremo sarà direttamente correlato al posto che voi deciderete che potremo avere. Le ripeto, però, che la mia sensazione è, che quando le cose si fanno difficili, noi siamo molto più seri, coerenti e affidabili di altri che hanno magari attori e una regia filmica alle spalle che permettono loro di avere grande media, ma poca sostanza.
Onorevole Frusone, quando vogliamo stare un paio di settimane insieme a parlare, io sono a sua disposizione. A proposito di missione CAS, l’F-35 è un proiettile d'argento e, quindi, immaginare che sia sovrapponibile all'AMX, come CAS, è sbagliato. Noi avremo capacità esuberanti ed eccellenti con il Typhoon da quel punto di vista. L’EFA, che porterà anche bombe, è un aereo studiato per entrare all'interno di difese aeree complesse, come quelle che abbiamo citato all'inizio, che hanno già adesso alcune nazioni.
Risponderò poi sul Qatar. Sarò rapidissimo. Le riferisco soltanto che una delle frasi più sagge che usava il Mullah Omar era: «Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo». Noi continuiamo a considerare la nostra politica in termini di legislatura. Alcuni Paesi calcolano la loro politica in termini di interesse nazionale, non legato addirittura alle generazioni. Le politiche non soltanto del Qatar, ma anche di altre nazioni vanno viste con un respiro diverso rispetto a quello del soffio breve delle politiche occidentali.
Tornando all’F-35, alcuni tipi di missioni sono oggettivamente tali per cui utilizzare l'F-35 sarebbe uno spreco. Lei mi parlava della tecnologia dell’F-117 Nighthawk, che è già stata superata, perché l’F-117 volava negli anni Settanta. I serbi hanno abbattuto un F-117 nel 1999 con quella che si chiama, in termini militari, bota de suerte. Dato che c’è una signora, mi asterrò dallo spiegarlo in termini diversi.
Gli americani, in maniera poco intelligente, non avevano cambiato il profilo di volo e, quindi, avevano ogni tanto alcuni blip che si vedevano e che non cambiavano mai. Ogni giorno facevano la stessa rotta. A un dato punto i serbi hanno alzato un muro di fuoco fatto con mitragliere convenzionali, perché non riuscivano ad agganciare i missili, e l’F-117 ci si è infilato in mezzo. Definire questo un fallimento della tecnologia stealth è eccessivo.
Onorevole, ci siamo guardati negli occhi e ci siamo capiti. Si tratta del progetto di un velivolo che verrà prodotto per i prossimi quarant'anni, un velivolo il cui valore – le parlo dell’F-35 come dell'ultimo telefonino che è uscito adesso – nelle versioni di beta release attuali. Il vero peso dell’F-35 è che gli americani ne hanno bisogno e che stanno investendo tanto denaro. Esso rappresenterà per loro il cavallo da soma, l'ex F-16 del futuro. Questa è la garanzia dell’F-35, non Lockheed Martin o Boeing, ma il fatto che il Governo americano ne ha necessità e che, quindi, ci investirà sopra.
Già adesso ne volano più di cento. Dal punto di vista del decollo corto, lo ripeto, non stiamo parlando di velivoli. Anche l'Italia non utilizzerà questo aereo per andare a spargere diserbante, ma per fare addirittura attacchi cibernetici. L’F-35 è studiato per essere un aereo che ha una capacità elettronica all'interno per distruggere da lontano, senza sparare una bomba. Pensate soltanto che già nel 2003, nelle operazioni Iraqi Freedom, la capacità di alcune bombe intelligenti era tale che sono stati utilizzati non esplosivi all'interno delle bombe, ma pietre, cemento, proprio perché andavano a distruggere soltanto con la pressione, senza detonare e senza produrre schegge.
L’F-35 è nato per quello scopo. Andrà, probabilmente, a cento miglia da un velivolo radar avversario e ne brucerà il chip soltanto con un’overpressure delle proprie capacità del radar APG 81, se il dato è corretto.Pag. 15
Noi l'utilizzeremo per quello scopo, ossia come una realtà pregiata che costa moltissimo denaro e che va utilizzata in maniera preziosa. Per questo motivo abbiamo bisogno anche degli elicotteri Mangusta di nuova generazione, che svolgono un lavoro di prossimità con le truppe, per fare supporto alle stesse. Bisogna cercare di bilanciare lo strumento che si ha. Se c’è un conflitto a fuoco, utilizzare l'arma laser di un cavaliere Jedi onestamente è overkill. Per altri dettagli ci rivediamo, se lo ritiene e ne ha piacere, in una seconda fase.
Io credo moltissimo nella sovranità. Mi turba molto quando si parla, in termini di relazioni internazionali, di «amici». Io non conosco amici in termini di relazioni internazionali. Conosco temporanei compagni di viaggio, che condividono con me un percorso, finché quello è l'interesse comune. Io ritengo, ed è per questo che lo dicevo sin dall'inizio, che noi dobbiamo mantenere vive le capacità di immaginare, di engineering, e non soltanto di fare.
Le capacità di alcune nicchie della nostra industria, che vanno dalle capacità navali alle capacità di sviluppo, devono essere aiutate. Abbiamo perso alcuni treni, l'abbiamo detto all'inizio. Non è un fallimento italiano, ma di tutti.
Lei fa il suo mestiere, onorevole. Lo capisco, è anche difficile, ma mi consenta di fare il mio. Questo non significa che noi dobbiamo perdere l'opportunità di capire che abbiamo fatto una corbelleria e di sviluppare altri sistemi.
Abbiamo di fronte a noi tre grandi programmi, che hanno anche potenzialità enormi sul fronte dello sviluppo della piccola e media impresa e soprattutto della vendita all'estero: quello navale, quello dell'UCAV, l'aereo senza pilota europeo, e quello della difesa balistica. In tutti questi tre programmi, anche se ve ne sono tantissimi altri, l'Italia può essere leader a livello europeo come proposizione e, contestualmente, come sharing all'interno dell'industria europea.
Per fare questo occorre, però, una scelta politica, un impegno politico. Come spesso si dice, questa è una valutazione che va sopra il mio livello di stipendio, ammesso e non concesso che io l'abbia. Noi dobbiamo mantenere, però, alcune capacità, altrimenti diventeremo una splendida colonia che produrrà cose fantastiche fatte da altri. Questa è la mia valutazione. Spero di aver risposto adeguatamente.
Onorevole Villecco Calipari, mi duole che non abbia, purtroppo, sentito la prima parte del mio intervento, che era assolutamente in linea con quanto diceva sull'interesse nazionale, che io ho – spero l'abbiate apprezzato – spinto in maniera molto forte.
Non so quante unità lavorative, quante persone, quante famiglie potranno usufruire del programma F-35, se saranno 5.000, 10.000 o 30.000. Ho la sensazione che il programma sia partito, a livello statunitense, in grancassa, molto ottimisticamente, e che poi si siano accorti che la situazione era un po’ diversa. Sicuramente è un programma che ha avuto molti più problemi di quanti gli americani non se ne aspettassero. È un programma che aveva grandi aspettative, che sta mantenendo, ma certamente con una tempistica diversa.
Le posso dire che il maggior costo derivante da tutte le modifiche è stato a carico del Governo americano e non dei partner internazionali. Grazie a Dio, quindi, i nostri tax payer non ne hanno avuto carico.
Dall'altra parte, c’è l'interoperabilità. Gli aerei europei hanno tutti dai 35 ai 40 anni. Il velivolo non è come la nave. Il carroarmato si calcola in età e chilometraggio, mentre la nave si calcola non soltanto in anni, ma anche in quante ore moto fa. Pensate che una nave che non ha ore moto affonda in porto. Un velivolo non va calcolato soltanto in numero di anni, ma anche in quante ore ha volato.
Per esempio, i tedeschi hanno ancora alcuni Tornado più moderni dei nostri, non perché li abbiano ammodernati, ma perché ne avevano comprati molti di più e non hanno mai partecipato a missioni operative come vi hanno partecipato negli ultimi vent'anni i Tornado italiani. I loro aerei hanno minori ore volo e, quindi, i Pag. 16tedeschi si possono permettere di spostare in avanti il paletto su che cosa dover acquisire.
Quanto all'interoperabilità, tutte le altre nazioni, il Belgio, l'Olanda, la Norvegia, la Spagna, il Portogallo o l'Est europeo – sull'Est europeo l'età si calcola in decenni; hanno aerei tali che si fanno il segno della croce, quando ci devono salire a bordo – hanno aerei con una media di 35-40 anni. Le altre nazioni europee non hanno né le ambizioni, né il peso dell'Italia. Bisogna anche dire che, se noi ci confrontiamo con il Belgio, con tutto il rispetto e l'adorazione nei confronti dei cioccolatini di Lady Godiva, come si vede anche dal mio aspetto, il Belgio non è l'Italia.
Da questo punto di vista, tali Paesi andranno tutti su un aereo di tipo unico, perché non possono permettersi la doppia linea. L'unico aereo occidentale in grado di fare due attività che vada avanti per i prossimi 40 anni è questo, che è nato l'altro ieri, ossia l’F-35. Il problema non è come opereremo noi con gli F-35, ma come opereranno i francesi, per esempio, con i Rafale, con l’F-35. A meno che i francesi non scelgano, come hanno fatto in Libia con l'operazione Harmattan, di adottare una strategia solo per loro, non integrata o minimamente integrata. La speranza dell'Italia è di essere leader politico, prima che militare, di una maggiore integrazione e non di cantare fuori dal coro.
Spero di aver risposto a tutti. Mi scuso se ho dimenticato qualcosa, ma è colpa del Conte Von Alzheimer, con il quale ormai vivo da un po’ di tempo.
Quanto ai programmi navali, io sono la persona meno adatta a cui fare domande al riguardo, perché sono genovese. Apro la finestra e vedo il mare. Ritengo che l'Italia abbia la necessità, per la collocazione geografica e per quanto noi esportiamo e importiamo, di avere una capacità di supportare il nostro interesse nazionale. Secondo me, è fondamentale avere una capacità di persone che costruiscano e facciano da supporto all'industria nazionale e alla nostra quotidianità.
Vi ringrazio.
PRESIDENTE. Siamo noi a ringraziarLa, professore, per l'importante contributo che ha fornito ai nostri lavori e alla nostra indagine conoscitiva.
Dichiaro conclusa questa seduta e ricordo che la Commissione è convocata, in sede congiunta con la Commissione affari esteri, alle 15 presso la Commissione affari esteri per l'esame del decreto-legge sulle missioni internazionali. Grazie e buona giornata.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 10.45.