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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

Commissioni Riunite (V e XII)

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Martedì 2 luglio 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Boccia Francesco , Presidente ... 3 

LA SFIDA DELLA TUTELA DELLA SALUTE TRA NUOVE ESIGENZE DEL SISTEMA SANITARIO E OBIETTIVI DI FINANZA PUBBLICA

Audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL.
Boccia Francesco , Presidente ... 3 
Cecconi Stefano , Responsabile politiche della salute della CGIL ... 3 
Cerrito Pietro , Segretario confederale della CISL ... 5 
Gennaro Francesco Maria , Funzionario della UIL ... 8 
Di Biagi Ruggero , Segretario nazionale UGL medici ... 10 
Boccia Francesco , Presidente ... 12 

Audizione di rappresentanti del Sindacato nazionale autonomo medici italiani (SNAMI), dell'Associazione medici dirigenti (ANAAO-ASSOMED), del Coordinamento italiano dei medici ospedalieri-Associazione sindacale dei medici dirigenti (CIMO-ASMD), della Federazione italiana medici di famiglia (FIMMG), della Federazione italiana medici pediatri (FIMP), dell'Associazione anestesisti e rianimatori (AAROI), del Sindacato unico medicina ambulatoriale italiana (SUMAI) e dell'Associazione italiana odontoiatri (AIO):
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 12 
Orlando Pasquale , Vicepresidente dello SNAMI ... 13 
Cavallero Giorgio , Vicesegretario nazionale dell'ANAAO-ASSOMED ... 15 
Quici Guido , Vicepresidente del CIMO-ASMD ... 16 
Scotti Silvestro , Vicesegretario nazionale della FIMMG ... 18 
Ballestrazzi Alessandro , Presidente nazionale della FIMP ... 20 
Vergallo Alessandro , Presidente nazionale dell'AAROI-EMAC ... 21 
Lala Roberto , Segretario generale del SUMAI ... 23 
Delogu Pierluigi , Presidente nazionale dell'AIO ... 25 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 26

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero: Misto-MAIE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE FRANCESCO BOCCIA

  La seduta comincia alle 9.10.

  (Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla sfida della tutela della salute tra nuove esigenze del sistema sanitario e obiettivi di finanza pubblica, l'audizione di rappresentanti di varie associazioni sindacali a cominciare dai rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL.
  Sono presenti, per la CGIL, il dottor Sandro Del Fattore, coordinatore Dipartimento welfare e nuovi diritti, e il dottor Stefano Cecconi, responsabile delle politiche della salute; per la CISL, il dottor Pietro Cerrito, segretario confederale; per la UIL, la dottoressa Valentina Verduni e il dottor Francesco Maria Gennaro, entrambi funzionari; per l'UGL, la dottoressa Ivette Cagliari, segretaria confederale, e il dottor Ruggero Di Biagi, segretario nazionale UGL medici.
  A tutti do il benvenuto da parte mia e del presidente Vargiu, che ci raggiungerà tra pochissimo.
  Faccio presente che interverranno, come di consueto, prima i nostri ospiti con le loro relazioni. Darò successivamente la parola ai deputati che volessero intervenire per formulare domande o osservazioni e chiederò, quindi, ai nostri ospiti di replicare in caso ce ne fosse la necessità.
  Augurando buon lavoro a tutti, do la parola alla CGIL, nella persona del dottor Stefano Cecconi.

  STEFANO CECCONI, Responsabile politiche della salute della CGIL. Ringraziamo per quest'opportunità che ci viene offerta ed esprimiamo l'apprezzamento per la decisione delle Commissioni V e XII di assumere l'iniziativa di quest'indagine relativa al Servizio sanitario nazionale.
  Esprimerò subito, data la scarsità del tempo a disposizione, alcune considerazioni. Anzitutto, siamo convinti che sia urgente mettere in sicurezza il Servizio sanitario nazionale a fronte della situazione che si sta creando e non si è ancora compiuta nella sua interezza, ossia quella dei ripetuti interventi di riduzione del finanziamento, che non hanno ancora dispiegato i loro effetti. Sappiamo che gli effetti più pesanti interverranno tra il 2013 e il 2015 in conseguenza di interventi di riduzione lineare, non selettiva, che non aiutano una riconversione della spesa e una revisione di questa in funzione di appropriatezza e, quindi, legata ai bisogni di assistenza dei cittadini. Si tratta, al contrario, di una riduzione tout court, che interviene nelle realtà più virtuose mettendole in difficoltà e colpisce quelle meno virtuose, non permettendo a queste di orientare decisamente verso l'appropriatezza le scelte organizzative.Pag. 4
  Altro elemento di preoccupazione è rappresentato dall'aumento della pressione sui cittadini, a causa della compartecipazione alla spesa dei ticket. Il mix ticket nazionali, nuovi ticket in cifra fissa, diversamente modulati a seconda delle regioni, e ticket regionali, soprattutto per le regioni con piano di rientro, hanno prodotto una situazione ben nota a queste Commissioni e sulla quale non mi dilungo, ma che sta portando non soltanto a fenomeni di iniquità tra cittadini, con possibilità di reddito molto diverse, spesso escludendo quelli più deboli, ma persino all'esclusione tout court dall'accesso alla spesa sanitaria. Non riprenderò i dati, peraltro disponibili sulla base di numerosi studi effettuati, compreso l'ultimo dell'Age.Na.S.
  Questa situazione proiettata nel 2014, nel caso in cui non si intervenisse con chiarezza sull'eliminazione dei ticket previsti dalle manovre precedenti per 2 miliardi di euro di valore complessivo, porterebbe evidentemente a un'insostenibilità della tenuta del sistema, il quale è messo in difficoltà da questo modello di compartecipazione che sta rendendo non conveniente l’«acquisto» di prestazioni presso il pubblico, a fronte, peraltro, di offerte ben organizzate da parte del privato non convenzionato, che riducono l'accesso a quello che dovrebbe essere, invece, un diritto di cittadinanza universale. Il punto, infatti, è proprio che la combinazione di tagli e ticket sta mettendo in discussione il modello universale.
  Credo, leggendo anche il testo che le Commissioni hanno approvato deliberando lo svolgimento dell'indagine, che la questione sia come mantenere l'universalità di un sistema che ha dimostrato, per i risultati ottenuti e per la sua competitività nel panorama internazionale, anche in termini di tenuta dei conti pubblici, di dovere essere preso a riferimento.
  Parliamo, naturalmente, di un sistema – e passo alla seconda parte dell'intervento – che non può rimanere fermo così com’è. Oltretutto, in alcune realtà del nostro Paese la situazione è particolarmente difficile. Esistono motivi di preoccupazione legati al fatto che l'esclusione dai livelli di assistenza sanitaria o la difficoltà di accesso dei cittadini sono dovute in parte a quanto ho appena accennato, e cioè a una riduzione complessiva delle disponibilità e, al momento, alla pressione sulla compartecipazione; in parte, a una pessima organizzazione dei servizi non orientata verso quelli che sono ormai dichiaratamente i bisogni emergenti legati alla cronicità e all'invecchiamento della popolazione.
  Da qui nasce l'esigenza di sostenere i processi di riorganizzazione e di riqualificazione del sistema sanitario, come alcune regioni hanno cominciato a fare da alcuni anni. Non a caso, le regioni che hanno cominciato una riorganizzazione verso il territorio, l'assistenza distrettuale, la deospedalizzazione intelligente, non quella selvaggia, verso una riconversione del sistema ed in parte anche verso la prevenzione, grande assente delle politiche degli ultimi anni, hanno dimostrato che è la riorganizzazione dei servizi che crea un buon bilancio.
  Viceversa, nelle regioni che presentano delle difficoltà, impegnate nei piani di rientro, stiamo assistendo a disavanzi economico-finanziari che hanno un nesso inscindibile con quelli assistenziali. Rinvio a tutti gli studi già effettuati su quest'argomento, ma è una questione che va tenuta ben presente perché deve anche suggerirci come vanno riorganizzati i piani di rientro.
  Ciò che è stato fatto in questi anni è importante. Alcune regioni non sono andate in default grazie ai piani di rientro, ma credo che questi abbiano esaurito tale funzione se non si riesce ad agire sulle cause strutturali. Sono stati ottenuti risultati importanti, ma essenzialmente legati all'aumento delle entrate o ad alcuni tagli non strutturali, mentre ancora i sistemi di queste regioni non hanno provveduto a una profonda riconversione delle attività socio-sanitarie.
  Le priorità che abbiamo individuato – naturalmente, consegneremo il documento che sto sinteticamente illustrando – per questa riconversione e riorganizzazione Pag. 5dei sistemi, che può sostenere anche il ritorno all'equilibrio economico-finanziario, oltre che rispondere ai bisogni di cittadinanza, risiedono nel deciso potenziamento dell'assistenza territoriale e in una decisa riconversione dei sistemi tuttora ospedalocentrici. Sembra infatti incredibile a dirsi, ma nel 2013 molti sistemi sono ancora fondati su politiche di prestazione anziché su percorsi di cura e budget di salute.
  Abbiamo individuato nell'assistenza distrettuale H24 e nelle cure primarie riformate il baricentro anche simbolico – non può difatti esaurirsi tutto lì – di questa scelta di riorganizzazione; serve però investire in queste scelte, perché la riconversione non può avvenire automaticamente, senza uno start-up.
  Questo secondo elemento è rivolto alle regioni con difficoltà, ma anche a quelle in equilibrio: le riorganizzazioni dei sistemi avvengono con start-up, cioè con investimenti iniziali. Questo è un punto che bisogna aver ben presente, diversamente non si potrà parlare di spending review, bensì d'altro. Questo mi pare il punto fondamentale.
  Per far tutto questo, sappiamo che uno dei punti da aggredire sono le politiche del lavoro, le politiche del personale: il blocco indifferenziato dei contratti, il blocco indifferenziato delle assunzioni, i tagli pesanti che stanno colpendo anche settori indiretti in collegamento col Servizio sanitario nazionale stanno producendo effetti occupazionali importanti e mettendo in difficoltà uno degli elementi a sostegno dello sviluppo economico.
  Il Sistema sanitario nazionale è un volano di sviluppo, produce valore aggiunto e, collocato all'interno di una filiera molto importante, non solo garantisce i diritti di cittadinanza, ma anche crescita e buona occupazione. Naturalmente, ciò è vero se l'equilibrio risiede nel servizio pubblico universale, che riesce a condizionare anche la circostante «filiera di mercato». Questo è il punto fondamentale sul quale mi pare si debba insistere.
  Infine, si è posto all'attenzione di tutti il problema della differenza tra i territori, in parte, come dicevo, imputabile a cattiva gestione organizzativa e cattiva politica, in parte al fatto che è venuto meno un livello di orientamento, di monitoraggio, di valutazione e di intervento da parte dello Stato nei confronti di alcune regioni.
  Bisogna essere consapevoli che l'autonomia assunta in questi anni dalle regioni, adesso addirittura con connotazioni federaliste, non è stata compensata da un livello di Governo, che non è centralista, ma nazionale, della Repubblica, che deve garantire quanto la Costituzione afferma circa l'uniformità dei livelli essenziali di assistenza per tutti i cittadini italiani.
  Questo è un punto che occorre affrontare e che, naturalmente, oltre ad implicare scelte politiche di carattere generale, offre anche possibili scelte organizzative, volte a riformulare la governance dei rapporti tra Stato e regioni. Essa deve essere ricondotta ad un livello di garanzia dei cittadini, attualmente messo in discussione da un eccesso di frammentazione, la quale ha portato anche al problema, a noi tutti presente, di alcune regioni che possono essere paragonate a standard assolutamente d'eccellenza in Europa e nel mondo, e di altre che sono invece davvero fuori gioco; i primi a pagare i costi di tale situazione sono i cittadini che, ovviamente, sono incolpevoli di quanto sta accadendo.
  Questo è, in estrema sintesi, quanto volevamo comunicarvi. Naturalmente, nel corso della mattina invieremo un testo scritto.

  PIETRO CERRITO, Segretario confederale della CISL. Ho depositato il testo scritto delle note che illustrerò alle Commissioni. Se sarà necessario anche un invio dello stesso in formato elettronico, sarà nostra cura provvedervi.
  Apprezziamo molto lo sforzo delle due Commissioni di condurre quest'indagine conoscitiva. Peraltro, a memoria, da quando è iniziata la vicenda tremenda della spending review in sanità, non ci sono mai stati momenti di confronto tra il livello della rappresentanza politica e coloro che vivono la sanità da quest'altra parte.Pag. 6
  Procederò per flash e partirò da quanto finanziariamente è stato messo in moto attraverso il meccanismo della spending review. Sommando i tagli degli anni 2012, 2013 e 2014 – forse nessuno lo ha fatto – arriviamo a parlare di una cifra pari a 23 miliardi e 400 milioni di euro sottratta ai 106 miliardi della sanità. Si tratta, oltretutto, di tagli che non hanno ancora prodotto su tutto il territorio gli effetti di cui parlava anche il collega della CGIL prima di me.
  Guardando l'andamento della crescita della spesa, siamo molto al di sotto della media europea: nel decennio 2000-2010, la spesa sanitaria in Italia è cresciuta dell'1,3 per cento, mentre la media europea è del 4,4. L'approccio verso la sanità è stato, quindi, quello di un taglio indifferenziato, su cui sicuramente hanno gravato, avallando questa posizione, le difficoltà delle regioni sottoposte a piano di rientro.
  Bisogna, tuttavia, fare attenzione. Continuiamo ad affermare che questo modo di procedere sta buttando fuori dal mercato dell'assistenza pubblica centinaia di migliaia di famiglie e di nuclei familiari: ciò è riscontrabile anche dalla lettura della media dei rapporti numerici esistenti tra medici e abitanti, da una parte, e infermieri e abitanti, dall'altra, rispettivamente prima e dopo i piani di rientro. Mi limiterò solo a questi dati perché non voglio appesantire il lavoro delle Commissioni, ma essi offrono la misura della condizione che oggi viviamo.
  La media europea presenta un rapporto di 3,7 medici ogni 1.000 abitanti: noi siamo pienamente in questa media. Quanto al rapporto medici/infermieri, siamo a 1,4 contro il 3,2 della media europea. Prima dei tagli e dell'avvio delle operazioni che hanno aggravato le difficoltà e il carico assistenziale, eravamo circa al 3 per cento. Bisogna, quindi, immaginare una società che cambia ed invecchia, nella quale i bisogni di salute sono diversificati per motivi chiari a tutti e in cui la nuova domanda si trova a dover essere fronteggiata con una dotazione di personale e di strutture che operano sul piano assistenziale e sanitario diversi dal passato.
  Non si è, inoltre, mai riusciti ad avere un confronto con il Ministero della salute che ci consentisse di ragionare sui costi standard, di cui dirò alla fine, i quali rappresentano un elemento sicuramente strategico per capire come uscire da questa strettoia finanziaria, che è anche di approccio. Né esiste un sistema di valutazione delle performance del sistema sanitario, per cui a tutti i singoli sistemi regionali di assistenza sanitaria e socio-sanitaria – questa è l'Italia – non si accompagna un sistema di valutazione che ci faccia cogliere le differenze, soprattutto per muovere da lì verso una ricognizione che ci porti ad una definizione degli standard.
  Nel merito, i tagli, così come sono stati prodotti e per le difficoltà che hanno determinato, non incidono sui meccanismi strutturali della spesa. Guardando al funzionamento dei sistemi europei, visto che la cosa interessa molto il nostro Paese, in nessun Paese europeo una spesa così ingente, di 100 miliardi di euro, è decisa da 80 direttori generali.
  Questo sistema monocratico è la causa principale dei buchi e delle difficoltà finanziarie che stiamo registrando nel bene e nel male. Non possiamo, infatti, affidare la tenuta di un sistema alla buona sorte o alla capacità di taluni dirigenti di essere più seri e trasparenti di altri. Il sistema in quanto tale è destinato a produrre falle perché la vigilanza sui conti avviene a posteriori e le norme che obbligano e vincolano a determinati comportamenti le direzioni generali non hanno valore cogente. La stessa Corte dei conti, attraverso le parole del suo presidente Giampaolino, ha illuminato tutti sul grado di approssimazione col quale si procede nelle regioni su questo terreno.
  Se è vero questo, il sistema degli acquisti in sanità è il primo elemento che va aggredito. È lì – potrei ricordare le dichiarazioni di precedenti Governi e ministri – che ovviamente esiste un'area nella quale si può incidere pesantemente per Pag. 7recuperare sui costi. Il sistema, infatti, costa. Si capisce bene, in realtà, perché non si sia mai voluto affrontare il tema della Consip in sanità, che poteva costituire un elemento di sicura oggettività.
  Bisogna altresì intervenire per capire come si regolano i meccanismi di mobilità tra le regioni nel campo dell'assistenza sanitaria. Nel documento approvato dalle Commissioni per l'avvio dell'indagine conoscitiva, che ci avete inviato, sottolineate, giustamente, che si rileva questa profonda disomogeneità dei trattamenti assistenziali verso le famiglie e le persone a seconda dei territori. Paradossalmente, però, l'attuale sistema mantiene un suo equilibrio: se dalle regioni «povere» e sottoposte a piano di rientro ogni anno vengono trasferiti verso le regioni con un'assistenza più strutturata, di altissimo livello e più qualificata, circa 3 miliardi di euro, chi può avere interesse a mettere in discussione questo sistema, che paradossalmente si regge proprio su questa disomogeneità ?
  Vi sono poi taluni segnali preoccupanti che sottopongo all'attenzione delle Commissioni, perché i temi a cui bisogna prestare molta attenzione sono proprio quelli che mettono in discussione i diritti sacrosanti della persona: alcune ASL del Mezzogiorno stanno vietando i trasferimenti sostenendo, con le ASL del nord, che le persone che chiedono quel tipo di assistenza in aree ospedaliere più attrezzate non pagano. Questo mette in discussione non solo un principio di eguaglianza di fronte alla legge, ma cristallizza la condizione che prima descrivevo.
  La vicenda dei ticket è stata spinta fino all'ennesima potenza ed è purtroppo accompagnata da quest'altro provvedimento alle porte, anche se per il momento rinviato. Il ricorso al ticket, invece, nasceva come un tentativo di recuperare dal privato costi che «complementarizzavano» la spesa pubblica e mettevano nelle condizioni di erogare lo stesso servizio.
  Attualmente il ticket, così sproporzionato, sta spingendo fuori dal mercato pubblico forme di assistenza di base e le sta spostando sul privato. In questo momento, rispetto alle tabelle di tutte le regioni per l'imposizione di ticket, i privati offrono servizi medici di base, pagandoli direttamente, a costi più bassi di quelli erogati dal servizio pubblico. Questa è una forma di «privatizzazione» strisciante alla quale, in qualche modo, dobbiamo mettere mano.
  Questo tema si lega anche in maniera molto organica a quello dei fondi sanitari integrativi, delle associazioni, frutto anche di accordi tra privati, che sul mercato ormai esistono. Questi fondi, che nascevano con la logica di integrare quanto il sistema pubblico non garantiva, si stanno progressivamente trasformando in organismi paralleli.
  Se non consideriamo adeguatamente questo meccanismo e il Ministero non ci metterà al corrente sullo stato dell'arte e su quante sono le persone coinvolte in questi processi – la legge obbliga quelli che stringono accordi su questa materia a notificarli all'Albo nazionale affinché si possa verificare cosa sta succedendo – perdiamo di vista il funzionamento del pubblico e, soprattutto, lo impoveriamo. Lo spostamento di persone che lasciano il servizio pubblico per andare presso le strutture private è un processo che investe già molte regioni e riguarda soprattutto il personale medico.
  Ho letto, inoltre, le dichiarazioni del Ministro della salute dell'altra domenica sulla stampa: se si vuole aprire un confronto, come riteniamo che sia utile, sull'utilizzo dell'ISEE in sanità, ben venga, ma stando attenti che, per tutto ciò che è compartecipazione, non siano posti sullo stesso piano carico familiare e ricchezza. L'ISEE, infatti, presenta un principio di valutazione della ricchezza diretta e patrimoniale di una famiglia, cui si accompagna anche il carico familiare, ma la ricchezza è un elemento che deve pesare nella determinazione dei livelli di compartecipazione, sempre per mantenere questo sistema universalistico per tutti al quale facciamo riferimento.
  Un'altra questione riguarda il settore sociale e quello sociosanitario. Quest'ultimo, che dovrebbe rappresentare una delle priorità su cui lavorare per trovare Pag. 8soluzioni, essendo consapevoli che operiamo in un sistema in cui la competenza è delle regioni, in questo momento è un po’ una terra di nessuno. Da una parte, si sottolinea, come è giusto che sia, l'invecchiamento crescente della popolazione, che obbliga anche le strutture sanitarie a rivedere i propri meccanismi di intervento; in realtà, però, questo meccanismo è governato sul territorio giorno per giorno perché non si è in grado di governare il rapporto tra l'assistenza, la deospedalizzazione e la necessità di intervenire sul sociosanitario. Proiettando nel tempo i dati sull'invecchiamento, questo dovrebbe essere l'orizzonte su cui spostare per deospedalizzare e per non gravare.
  Infine, poiché leggiamo anche della volontà di aprire un confronto un po’ più ampio sui meccanismi di finanziamento con il coordinamento delle regioni, noi crediamo che oggi la sanità, non dico per disporre di un margine di successo, ma per essere governata efficientemente, deve vedere una partecipazione di quelli che oggi, con linguaggio europeo, si chiamano gli stakeholders. Non è pensabile che i processi di riorganizzazione possano essere affrontati nelle modalità con cui lo sono stati finora, perché il benessere della persona è un bene che investe tutti coloro che si occupano di sanità dal punto di vista sia amministrativo sia dell'assistenza non medica, oltre che, ovviamente, per il ruolo centrale svolto dai medici. Però questo credo che sia un terreno importante, che potrebbe aiutarci a configurare e a trovare delle soluzioni positive ai nostri problemi.

  FRANCESCO MARIA GENNARO, Funzionario della UIL. Vi porgo il saluto del mio dipartimento e del segretario confederale Carlo Fiordaliso, che è stato impossibilitato a essere presente quest'oggi, e di tutta la confederazione sindacale della UIL.
  Per esigenze di brevità abbiamo pensato di evitare una diffusione di dati, che vi saranno invece recapitati anche in formato elettronico, a stretto giro, limitandoci ad accennare a quelle che sono probabilmente delle piccole, brevi linee guida, che possono configurarsi come proposte low cost o a costo zero e sono, al momento, oggetto di grande discussione all'interno della nostra confederazione.
  Vorrei, in particolare, esprimere un plauso sincero, non da parte mia, ma della UIL, perché si nota un deciso e netto cambio di rotta in questo senso, rispetto al modus operandi prettamente ragionieristico caratterizzato dai tagli lineari. Il fatto che sia stato creato quest'ottimo momento di ascolto la dice lunga sulla bontà di questo momento di dialogo e di concertazione, sebbene ancora in una fase esplorativa. Ci troviamo assolutamente in sintonia perché siamo stati recentemente ospiti di due autorevoli appuntamenti nazionali, il Welfare day e il Forum internazionale della salute, ed entrambi hanno posto l'accento sulla necessità di individuare rinnovate modalità ineludibili di modernizzazione a fronte di un quadro in profondo mutamento.
  I dati dell'OCSE sono piuttosto eloquenti in tal senso dal punto di vista sociale, demografico ed economico, sebbene contraddittori. La nostra aspettativa di vita si attesta al secondo posto all'interno del bacino dei 32 Paesi dell'area OCSE. Questo è un sintomo che, tutto sommato, il Sistema sanitario nazionale che abbiamo conosciuto fino a oggi ha retto bene con l'indotto per quanto riguarda gli operatori di salute. Al tempo stesso, il dato allarmante, che è in linea con la carenza dei contributi erogati dal Fondo sanitario nazionale a tutti i livelli, la si nota nell'incidenza sul PIL e per la spesa pro capite dei cittadini. Un dato abbastanza significativo al riguardo è la differenza tra un cittadino italiano, che spende 3.000 dollari l'anno, mentre i nostri colleghi e cittadini europei dei Paesi un po’ più sviluppati, più moderni, ne spendono oltre il doppio, intorno ai 7.000 dollari. Questa è sicuramente una rotta da invertire.
  All'interno dei due appuntamenti prima ricordati, che abbiamo seguìto con grande attenzione, si è evinta anche una nuova modalità di assistenza sanitaria – la citava Pag. 9poc'anzi il dottor Cerrito – ossia l'assistenza sanitaria integrativa. Non è da criminalizzare nella misura in cui non va a ledere i tre princìpi cardine della sanità pubblica, del Sistema sanitario nazionale: la globalità, l'uguaglianza e la solidarietà. In questo senso, potremmo, per esempio, individuare forme di complementarietà ai fini dell'alleggerimento del carico pubblico, consistenti nella suddivisione dei terreni d'azione tra sanità pubblica e integrativa, che potrebbe essere destinata a quelle patologie invalidanti o gravi o a quegli interventi più pesanti.
  Oltretutto, secondo il recentissimo dato del Censis, a fronte di una recessione drammatica, che comunque aggredisce il potere d'acquisto, i cittadini restano intenzionati a fare ricorso alle proprie tasche per decidere dove e come essere curati; si tratta, quindi, dell'unica fetta di vita che in qualche modo tende ancora a rientrare all'interno di una spesa consapevole e volontaria.
  Per quanto riguarda l'esigenza di recupero delle risorse, il sindacato UIL sarebbe portato a pensare anche ad una linea già intrapresa, ossia quella della razionalizzazione dei presìdi ospedalieri. In tanti perimetri comprensoriali troviamo doppioni di presìdi che, più che inutili, sono persino dannosi – le abbiamo chiamate più volte «trappole per topi» – e che devono essere riconvertiti, ricalibrati, fornendo una destinazione dal punto di vista dell'eccellenza. Pensiamo al caso recente, nel biellese, della riconversione dell'ospedale a polo specialistico d'eccellenza per i malati di Alzheimer: la cittadinanza locale ne ha tratto un beneficio assoluto e inequivocabile.
  In questa direzione e a questo punto, perché non rivedere quella che nel Paese delle riforme incompiute è l'incompiuta per antonomasia in sanità, ossia la mancata riforma del territorio ? È inutile ripetere, infatti, che manca la continuità terapeutica territoriale. Si pensi, ad esempio, alla degenza, che è sempre più breve. Oggi, un paziente è sbattuto fuori dalla struttura ospedaliera magari il medesimo giorno, o al massimo il giorno dopo: perché dovrebbe poter fruire della continuità terapeutica territoriale. Quale sarebbe ?
  Giustamente, il cittadino resta attonito. Il primo atto che gli viene automaticamente da compiere è rivolgersi al pronto soccorso, che però non può essere intasato perché ha altre destinazioni. Dobbiamo, dunque, anche ripensare a questa continuità territoriale. Ciò si può fare sicuramente con una diversa «ridomiciliazione». Possiamo, ad esempio, supporre un nuovo potenziamento del personale sociosanitario, del medico di famiglia, specialmente per le patologie croniche e terminali.
  Di recente, c’è stata anche la giornata mondiale della SLA e noi non abbiamo avuto dati né proposte in merito, se non quella di puntare sulla ricerca. La condizione delle famiglie che affrontano questa sfida, questa battaglia, è durissima: dovremmo quindi riuscire a metterle nelle condizioni di fare ricorso alla piena applicabilità dei LEA attraverso una rete socio-assistenziale locale che tenda anche a rendere sereno il cittadino. Parliamo, infatti, di salute, e questa voce non può essere tenuta solo alla mercé di esigenze di finanza pubblica. Bisogna cercare di soddisfare anche le esigenze parentali e familiari.
  Un'altra delle nostre proposte, che, proprio perché totalmente a costo zero, chiamiamo la «prima rivoluzione senza colpo ferire», è la prevenzione. Abbiamo indicato delle linee guida e nei prossimi mesi sensibilizzeremo le scuole in questo senso, a partire dall'età pediatrica. Si potrebbe anche immaginare un coinvolgimento, benché sia meno competente in questo consesso, del Ministero dell'istruzione, università e ricerca, per esortare a inglobare l'educazione alla prevenzione e alla salute all'interno dell'insegnamento dell'educazione civica. Potrebbe essere un'idea. Pensiamo a quanto un cittadino sano possa gravare meno sul Sistema sanitario nazionale – anche se in realtà si dovrebbe dire regionale per via delle varie velocità che, purtroppo, investono il sistema con tutte le difficoltà connesse. La prevenzione è fondamentale perché, ad esempio, tra gli otto fattori di rischio Pag. 10assoluti, indicati come responsabili a livello mondiale del 61 per cento delle morti per le malattie cardiovascolari, ci sono l'ipertensione, l'obesità, la scarsa assunzione di frutta e verdura, tutto ciò che riguarda gli stili di vita. Mi riallaccio a questo discorso perché sono proprio quei parametri che fanno sì che oggi abbiamo ancora un'aspettativa di vita pari a 84,7 anni di età e siamo ancora secondi nell'ambito dei Paesi dell'OCSE.
  In generale, affermerei anche che, oltre alla governance territoriale, che ho citato poc'anzi, che è assolutamente da ricalibrare e rivedere – altri due punti sono stati anticipati molto autorevolmente dal collega della CISL e riguardano l'ISEE e il ticket e pertanto non li ripeto – l'ultima voce di spesa da aggredire è quella del grasso da tagliare, dei costi della politica nella sanità. Parliamo, per esempio, della mancanza di accentramento dei controlli della spesa, della mancanza di autonomia e di competenza nella selezione di manager, primari e dirigenti e anche di quel taglio di incarichi e consulenze, che sono andati proliferando, anche dal punto di vista dell'incompetenza, da quando da USL si è passati ad ASL.
  Credo che sia meglio non tediare ulteriormente le Commissioni. Vi auguro buon lavoro. Vi siamo davvero grati di questa giornata e di averci consentito di partecipare a quella che può definirsi, in un momento anche difficile, una best practice dal punto di vista istituzionale. Quando c’è confronto e c’è squadra, ci sono i risultati. In questo senso, non ci esimeremo sicuramente dall'offrire il nostro contributo anche nel corso successivo dell’iter.

  RUGGERO DI BIAGI, Segretario nazionale UGL medici. Buongiorno a tutti. Aggiungo qualche breve nota all'attenzione del presidente e dei componenti le Commissioni condividendo gran parte di quanto è stato detto dai colleghi delle altre sigle sindacali.
  Credo che il ragionamento si possa, in molta parte, collocare nel perimetro di quanto già contenuto nel documento relativo all'indagine conoscitiva, allegato alla lettera di invito, inviata dalle Commissioni, laddove riporta le affermazioni della «Relazione sulla gestione finanziaria delle regioni. Esercizi 2009-2010». Giustamente, la Corte dei conti sottolinea che il problema del nostro Paese non è tanto il volume complessivo della spesa sanitaria, di poco superiore alla media OCSE – anche se in diminuzione per quanto riguarda il 2013 – quanto, piuttosto, quello di conseguire recuperi di efficienza e di qualità attraverso gli indicatori di inappropriatezza di cure e ricoveri.
  Nella relazione che allegheremo – parlo su delega del segretario generale Centrella e d'intesa col segretario confederale Cagliari – sosteniamo che, in termini puramente economici, il sistema sanitario è già adesso in sicurezza complessiva, nonostante i piani di rientro, debiti consolidati a parte.
  Esattamente qualche giorno fa, infatti, la Corte dei conti, nella relazione annuale 2013 sul costo del lavoro, dimostra che, su più di 717.000 unità complessive di personale impiegato nel sistema sanitario, a seguito di anni di blocco del turnover, di politica di contenimento dell'assunzione, di diverse manovre economiche, di leggi finanziarie e così via, si riscontra una flessione dell'1,5 per cento del personale complessivo, una flessione della spesa dell'1,5 per cento per la dirigenza medica e dello 0,7 per cento del comparto.
  Analogamente, i dati evidenziati dall'OCSE, che ho tratto da uno dei più autorevoli quotidiani on line di ieri, mostrano il perdurare del caso della spesa sanitaria in Italia, diminuita quasi del 2 per cento nel 2011 e tale da portare oggi la nostra nazione tra le più morigerate nella spesa per la sanità in tutta Europa. La quota di PIL dedicata alla spesa sanitaria nella relazione 2009-2010 della Corte dei conti risultava infatti, leggermente più alta rispetto alla media dei 32 Paesi europei, mentre i dati OCSE del 2013 riportano valori leggermente inferiori. Vi sono, infatti, medie superiori all'11 per cento e, giustamente, il collega che mi ha preceduto parlava di 3.012 dollari di spesa italiana pro capite a fronte di 4-5.000 di Pag. 11altri Paesi europei, per evitare di parlare del sistema sanitario privato americano, che costa, senza essere efficiente, 8.500 dollari, quasi il triplo.
  Alcuni studi, come il Rapporto OASI della Bocconi, come noto autorevolissima università, per il 2012 evidenziano sì il rischio di un collasso, ma dovuto all'eccesso di rigore finanziario. Il rapporto OASI 2012, infatti, conclude proprio sul reale rischio di collasso per eccesso di rigore finanziario.
  In altre parole, riteniamo che il sistema sanitario sia diventato immeritatamente, intenzionalmente e in maniera interessata il capro espiatorio di una situazione di deficit generale, venendo esso ingiustamente screditato presso l'opinione pubblica, ridimensionato in favore del privato-privato, mentre la soluzione citata dallo stesso rapporto OASI e dai colleghi, che lo hanno giustamente evidenziato, sta nella riqualificazione della spesa e del management.
  Citerò alcuni rapidissimi esempi per far comprendere – se necessario, perché immagino che sia già ben chiara – la realtà. Il presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali, onorevole Palagiano, nella precedente legislatura ha riportato il caso delle cinque chirurgie di trapianto del fegato a Roma e nel Lazio, che, complessivamente, lavorano meno dell'unica di Torino.
  A novembre, nel corso di un convegno a Milano sulla sanità transfrontaliera – altra drammatica situazione – si citava il caso dei blocchi delle ASL verso la cura in altre ASL italiane. Il 26 ottobre prossimo scatta la sanità transfrontaliera, cioè il diritto del cittadino europeo di curarsi ovunque desideri e già mi dicono che sono pronte migliaia di posti letto in Costa Azzurra, abbiamo già le cliniche odontoiatriche in Slovenia, i voli charter verso Malta verso le cliniche inglesi, per cui scatterà un'ulteriore drammatica sfida per il nostro sistema. Mentre andavo al convegno, leggevo l'articolo di un primario di una delle ventidue cardiochirurgie di Milano che, giustamente, sosteneva che sono troppe. Va notato che il bacino d'utenza di una cardiochirurgia – ventidue a Milano – è di un milione di abitanti, per cui immaginiamo quanto surplus, quanta distorsione si siano negli anni purtroppo realizzati nel sistema e quanto bene la Corte dei conti, come tutti gli osservatori, abbia rilevato che il problema centrale è la riqualificazione della spesa.
  Volendo prospettare un'ipotesi di soluzione, riteniamo che vada posta l'attenzione sul Programma nazionale valutazione esiti, interessantissimo studio gestito da Age.Na.S. per conto del Ministero della salute, che mappa i risultati dell'efficienza del sistema, ad esempio evidenziando che la percentuale dei parti con taglio cesareo, che dovrebbe – non vorrei dire inesattezze – attestarsi sul 10 per cento, in alcuni reparti di ginecologia e ostetricia arriva al 90 per cento, con costi maggiori e, evidentemente, con maggiori traumi per la donna. Dovrebbe essere assolutamente importante evidenziare la qualità e l'adeguatezza dell'esistente attraverso il Programma nazionale valutazione esiti e, a nostro parere, affrontare prima o poi il riordino della governance del sistema sanitario.
  Ricordo a me stesso e ai colleghi che, nella precedente legislatura, attraverso il relatore onorevole Di Virgilio, la proposta di legge sul governo clinico (A.C. 278 e abb.), che, a nostro parere, reimpostava in termini più qualificati la organizzazione delle ASL, purtroppo non ha concluso l’iter parlamentare Si tratta di una materia in relazione alla quale, nei modi ritenuti più opportuni, crediamo che prima o poi occorra rimettere ordine nel Titolo V della Costituzione, in modo che si rideterminino le competenze statali e ministeriali, comprendendovi l'università, che oggi è una scheggia fuori programmazione – non si capisce perché dal riordino del sistema sanitario sia esclusa l'università, che magari va per conto suo, con ulteriori centrali organizzative –, rafforzando le competenze statali e ministeriali, per evitare ulteriori disgregazioni e derive a livello regionale.Pag. 12
  Analogamente, riteniamo che sia necessario effettuare a livello regionale la ripianificazione di un'organizzazione che, purtroppo, per legge, vede imprenditorialmente autonoma ogni singola ASL, e, quindi, autoreferenziale – ci scusiamo per quello che può risultare un eccesso di enfasi nelle parole – e la trasforma automaticamente, anche lavorasse in scienza e coscienza nel più perfetto dei modi, in una centrale impazzita perché priva di correlazione con il sistema, a questo punto composto di un policentrismo decisionale in confusione, svincolato da ogni regolamentazione. Credo che l'esempio delle chirurgie di trapianto del fegato e delle cardiochirurgiche sintetizzi una realtà fatta di doppioni e triploni senza una visione generale capace di una risposta sistemica adeguata.
  In sintesi, l'ipotesi di suggerimento che ci permettiamo di sottoporre alla vostra attenzione per le opportune riflessioni, se ritenute opportune è di affrontare sostanzialmente il governo del sistema che oggi è fuori controllo e genera, purtroppo, queste deformità, al tempo stesso, come evidenziava bene il collega, ponendo attenzione al rinforzo e alla riorganizzazione dell'assistenza territoriale.

  PRESIDENTE. Non essendoci richieste di intervento da parte dei colleghi, ringrazio i nostri ospiti per le relazioni, pregandoli di arricchirle con ulteriore documentazione, come è già stato preannunciato.
  Confermo, anche a nome del presidente Vargiu, che il lavoro che stiamo approntando è diventato, sotto alcuni aspetti, anche sperimentale, in questa fase straordinaria di approssimarsi della spending review, legata alla prossima legge di stabilità. Le due Commissioni, ipotizzando per tempo che saremmo arrivati a un certo punto a parlare di riallocazione e rimodulazione della spesa, hanno preferito attivare questo confronto preventivo nei due mesi precedenti la legge di stabilità. L'obiettivo di fondo è quello che avete percepito e sottolineato. Siamo consapevoli che gli effetti dei tagli di questi anni, che avete richiamato prima, se non sono considerati all'interno di un mosaico, di un quadro di riorganizzazione dell'intero sistema, rischiano non solo di non servire, ma di peggiorare alcuni effetti, come è stato evidenziato dalle vostre relazioni.
  Vi chiediamo, quindi, di fornire nel più breve tempo possibile i contributi scritti. Sarà nostra cura, durante l’iter dell'indagine conoscitiva, riaggiornarvi anche per vie brevi sull'andamento dei lavori e, in seguito, sull'esito dell'indagine conoscitiva, che ovviamente contiamo di completare prima della definizione della prossima legge di stabilità.
  Il momento conclusivo di questo nostro lavoro vedrà un confronto delle due Commissioni con i due ministri competenti, il Ministro della salute e il Ministro dell'economia e delle finanze.
  Vi ringrazio ancora per il contributo e vi auguro buona giornata.

  La seduta, sospesa alle 10, è ripresa alle 10.05.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA XII COMMISSIONE PIERPAOLO VARGIU

Audizione di rappresentanti del Sindacato nazionale autonomo medici italiani (SNAMI), dell'Associazione medici dirigenti (ANAAO-ASSOMED), del Coordinamento italiano dei medici ospedalieri-Associazione sindacale dei medici dirigenti (CIMO-ASMD), della Federazione italiana medici di famiglia (FIMMG), della Federazione italiana medici pediatri (FIMP), dell'Associazione anestesisti e rianimatori (AAROI), del Sindacato unico medicina ambulatoriale italiana (SUMAI) e dell'Associazione italiana odontoiatri (AIO).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla sfida della tutela della salute tra nuove esigenze del sistema sanitario e obiettivi di finanza pubblica, l'audizione di rappresentanti del Sindacato nazionale autonomo medici italiani (SNAMI), dell'Associazione Pag. 13medici dirigenti (ANAAO-ASSOMED), del Coordinamento italiano dei medici ospedalieri-Associazione sindacale dei medici dirigenti (CIMO-ASMD), della Federazione italiana medici di famiglia (FIMMG), della Federazione italiana medici pediatri (FIMP), dell'Associazione anestesisti e rianimatori (AAROI), della Federazione patologi clinici, radiologi, medici del territorio e dirigenti specialisti (FASSID), del Sindacato unico medicina ambulatoriale italiana (SUMAI) e dell'Associazione italiana odontoiatri (AIO).
  Sono presenti, per la SNAMI, il dottor Pasquale Orlando, vicepresidente, e il dottor Antonino Grillo, vicesegretario organizzativo; per l'ANAAO-ASSOMED, il dottor Giorgio Cavallero, vicesegretario nazionale; per CIMO-ASMD, il dottor Guido Quici, vicepresidente; per la FIMMG, il dottor Silvestro Scotti, vicesegretario nazionale; per la FIMP, il dottor Alessandro Ballestrazzi, presidente nazionale; per l'AAROI, il dottor Alessandro Vergallo, presidente nazionale, e il dottor Antonio Amendola, presidente regionale dell'AAOI-EMAC Puglia; per SUMAI, il dottor Roberto Lala, segretario generale; per l'AIO, il dottor Pierluigi Delogu, presidente nazionale, e il dottor Fausto Fiorile, delegato nazionale per relazioni esterne e comunicazione.
  È stata contattata, inoltre, la FASSID, che ha comunicato di non poter partecipare.
  Darei direttamente la parola agli auditi pregandoli di contenere, se possibile, gli interventi introduttivi di ciascun sindacato nell'ambito di cinque minuti, in maniera da consentire ai colleghi che compongono le Commissioni di rivolgere loro delle domande.
  Conoscete l'oggetto dell'indagine conoscitiva che stiamo svolgendo. È gradita qualsiasi memoria scritta che possa essere distribuita ai singoli componenti della Commissione bilancio e della Commissione affari sociali, perché possa essere presa in esame da ciascun componente delle Commissioni.
  A nome del presidente della Commissione bilancio, Francesco Boccia, e mio personale, vi do la benvenuto. A nome di tutti i commissari, vi ringrazio per l'audizione alla quale partecipate questa mattina.

  PASQUALE ORLANDO, Vicepresidente dello SNAMI. Buongiorno. Lo SNAMI è il secondo sindacato rappresentativo della medicina generale. Sono qui al posto del dottor Testa, che non è potuto intervenire per impegni personali. Entro stamattina dovrebbe arrivare il nostro promemoria. Mi accingo a leggere quanto abbiamo scritto, si tratta di un testo molto breve.
  Lo SNAMI, come sindacato rappresentante dei medici di medicina generale, nel quadro della difesa della professionalità e della dignità dei medici, che è il suo scopo statutario, ha sempre portato avanti le giuste rivendicazioni della categoria che rappresenta, senza mai però perdere di vista il quadro generale del Servizio sanitario nazionale e dei suoi princìpi informatori, appunto l'universalità, la libertà di scelta del cittadino e la sostenibilità.
  Siamo consapevoli che il momento congiunturale, con le conseguenze derivanti dai necessari aggiustamenti economici e programmatori, impone scelte di politica sanitaria che, nel quadro del nuovo Titolo V della Costituzione, potrebbero mettere in discussione l'erogazione dei LEA, soprattutto per gli enti interessati da piani di rientro. Chi vi parla viene dalla Campania, una regione in piano di rientro, anche se pare che ne stiamo uscendo.
  Sia chiaro che lo SNAMI non ritiene che i medici possano essere a qualsiasi titolo chiamati a rispondere di tale situazione, frutto, a nostro avviso, di errori di programmazione e di gestione che, nei confronti del nostro sistema sanitario, così come previsto dalla legge 23 dicembre 1978, n. 833, e successive modifiche, sono da ascrivere, invece, esclusivamente al momento politico di programmazione e gestione.
  Tutti i medici del Servizio sanitario nazionale e, in particolare, quelli di medicina generale, pagano, in termini di mancato adeguamento dei loro costi di gestione e di disponibilità immediata nel Pag. 14rispondere ai bisogni di salute dei cittadini, il maggior prezzo, in termini sia professionali sia economici, di tale congiuntura.
  Dal nostro punto di vista, questa situazione sta comportando, da un lato, un maggior onere professionale con una crescente burocratizzazione della professione, attuata da una miriade di disposizioni di legge sia nazionali sia regionali; dall'altro, un costante clima di incertezza normativa, soprattutto nelle regioni sottoposte a rientro finanziario, che ha creato un disagio profondo nell'esercizio dell'attività medica effettiva.
  I medici di medicina generale, restando, nonostante tutto, l'unico presidio liberamente accessibile ai cittadini, infatti, soffrono la carenza di risposte efficaci ed efficienti che il Servizio sanitario nazionale non riesce a garantire e si ritrovano ogni giorno alle prese con questo quadro di crescenti difficoltà operative. A questo quadro va aggiunta la deospedalizzazione attuata per la razionalizzazione del servizio sanitario che, soprattutto nelle regioni sottoposte a rientro finanziario, aggiunge ulteriori difficoltà, vista la carenza drammatica in alcune realtà di qualsiasi programmazione territoriale adatta ad accogliere le conseguenze in termini di assistenza di questa scelta.
  Lo SNAMI non si tira indietro. È consapevole di questa realtà e, in linea con quanto indicato dalle varie riforme, dal decreto legislativo n. 502 del 1992 e successive modificazioni, ha elaborato una sua strategia, che potrebbe offrire una risposta a nostro avviso efficace a quest'esigenza senza ulteriori costi per il Servizio sanitario nazionale, ma che potrebbe rendere il territorio capace di affrontare tale sfida. Noi poniamo al centro di questa risposta la medicina generale in un quadro di rivalutazione e collaborazione effettiva con gli operatori sanitari che già oggi operano nel territorio, quali appunto gli specialisti, gli infermieri e il personale. Secondo noi, ma anche secondo tutti i recenti sondaggi di opinione tra i cittadini, la medicina generale e, segnatamente, i medici di famiglia rappresentano risorse importanti per il Servizio sanitario nazionale. Basti pensare solo alla diffusione e alla capillarità degli ambulatori che sono, in questo modo, vicini ai cittadini, anche fisicamente. Il nostro Paese, infatti, è composto per la maggior parte di comuni, con abitazioni sparse in piccola realtà, spesso in zone isolate, dove arrivano magari solo i medici. Tutto ciò, in un quadro di invecchiamento della popolazione, non può essere disperso. Esistono anche le realtà metropolitane, dove le criticità sono di natura diversa, ma che essenzialmente soffrono delle stesse problematiche di carenza di strutture intermedie e di accesso alle cure.
  Lo SNAMI, partendo da questa ricchezza, data dalla capillarità degli studi medici e dalla strutturazione del servizio sanitario, appunto incentrato sui distretti sanitari, ha individuato nel distretto stesso e nella rete di ambulatori dei medici di famiglia il perno attorno al quale far ruotare e organizzare l'assistenza territoriale. Questa dovrà farsi carico delle esigenze di assistenza derivanti dalla deospedalizzazione, consapevole che altre organizzazioni territoriali, pur avendo lo stesso obiettivo, allontanerebbero dai cittadini gli ambulatori dei propri medici con la creazione di un nuovo disagio, rappresentato dalla difficoltà di accesso anche al proprio medico di fiducia, e sarebbero più costosi in termini di attuazione.
  Secondo lo SNAMI, dunque, l'organizzazione dovrebbe ruotare intorno a una riorganizzazione dei distretti sanitari i quali dovrebbero garantire l'apertura di poliambulatori aperti H24 dove, durante il giorno, sarebbero disponibili medici di medicina generale che attuerebbero gli ambulatori dedicati ai propri assistiti cronici: basti pensare al diabete, all'ipertensione, alla BPCO la bronco pneumopatia cronica ostruttiva. Essi opererebbero in collaborazione con gli specialisti operanti nelle strutture e, assieme alla continuità assistenziale, garantirebbero anche le eventuali urgenze differibili, i cosiddetti codici bianchi. In questo modo, tali presìdi distrettuali, presso i quali si potrebbero attrezzare anche degli ambulatori per le Pag. 15urgenze-emergenze funzionalmente integrati ai dipartimenti di emergenza e accettazione per il trattamento delle urgenze a livello medio, gestiti da personale medico e infermieristico del 118, sarebbero una risposta efficace, efficiente ed economicamente sostenibile alla sfida che attende il territorio.
  Questo sistema semplice, che comporta una riorganizzazione di quanto è già presente sul territorio, risolverebbe, a nostro avviso, sia il problema degli ambulatori strutturati capillarmente sul territorio sia la gestione delle urgenze differibili. Inoltre, permetterebbe una gestione efficace e coerente con le risorse disponibili della cronicità, atteso che i medici di medicina generale potrebbero programmare in maniera ottimale l'assistenza ambulatoriale e, al contempo, con la partecipazione integrata della continuità assistenziale e del personale infermieristico qualificato, garantirebbero un accesso all'assistenza domiciliare a tutti quei cittadini che ne avessero bisogno per necessità di carattere sia sanitario sia sociosanitario.
  I medici dalla medicina generale potrebbero, in un sistema così razionalizzato, prestare una più attenta ed efficace assistenza presso le strutture intermedie, come le RSA – residenze sanitarie assistenziali – e gestire ricoveri temporanei negli ospedali di comunità per quei pazienti che, non avendo necessità di stretto ricovero ospedaliero, non possono neppure ricevere a domicilio delle prestazioni che richiedono un attento monitoraggio e l'esecuzione di semplici manovre strumentali. Ciò avverrebbe, del resto, in accordo con le linee guida in materia e sempre in collaborazione con gli specialisti presenti sul territorio, laddove ce ne fosse bisogno, e con gli infermieri. A fianco di questa organizzazione sarebbe sufficiente una corretta messa in rete dei dati sanitari ed un efficace protocollo per la trasmissione dei referti clinici e di consulenza secondo il modello della telemedicina.
  Altro tassello importantissimo è rappresentato dalla deburocratizzazione dell'atto medico, che riteniamo dovrebbe passare attraverso un uso più appropriato del sistema della tessera sanitaria, annotando su di essa tutti i dati di carattere burocratico concernenti il cittadino, come le esenzioni, e che questi esibirebbe all'atto della richiesta della prestazione sia nelle farmacie sia negli ospedali. Il medico dovrebbe solo preoccuparsi di compilare la ricetta secondo quanto ritiene utile per la salute del proprio assistito, naturalmente tenendo conto delle leggi vigenti in materia.
  Allo stesso modo, per evitare inutili disagi, crediamo che tutti i medici operanti nel Servizio sanitario nazionale, ciascuno per la propria parte, dovrebbero poter compilare la ricetta del suddetto servizio. Si tratta di pochi e semplici suggerimenti che da sempre diamo, ma che per la loro semplicità sembrano non essere ascoltati.
  Speriamo vivamente che in questa occasione si tenga conto, fondamentalmente, di una volontà di partecipare alla risoluzione di un problema e si prenda atto che la medicina generale non solo è in una situazione di forte disagio ma che, nonostante tutto, è disposta ad assumersi le proprie responsabilità purché non si perda di vista il suo valore aggiunto, che ne ha fatto il sistema più apprezzato in Italia e in Europa, ossia il rapporto di fiducia con i cittadini e la sua vicinanza a essi attraverso la capillarità degli ambulatori, che nessuna nuova ristrutturazione potrà minare.

  GIORGIO CAVALLERO, Vicesegretario nazionale dell'ANAAO-ASSOMED. Buongiorno. Ringraziandovi di averci invitato a partecipare a quest'audizione, cercheremo di evidenziare alcuni aspetti per noi significativi nell'ambito dei cinque minuti che ci sono stati concessi.
  Il problema del Servizio sanitario nazionale è che viene considerato sempre ed esclusivamente come un costo. Proviamo, invece, a immaginare se il Servizio sanitario non ci fosse, perderemmo un punto di PIL, 750.000 posti di lavoro dipendente e almeno altrettanti nell'indotto e avremmo una popolazione che, senza prevenzione e cura, graverebbe dal punto di vista degli oneri assistenziali per invalidità Pag. 16e per l'avanzare di patologie invalidanti in maniera assai significativa.
  In realtà, il costo del Servizio sanitario nazionale è compensato da una migliore qualità della vita, e quindi non può essere considerato come un qualunque onere di spesa nel bilancio dello Stato. In questi anni, invece, abbiamo subìto tutti i tagli lineari della pubblica amministrazione in maniera assolutamente indistinta, non tenendo conto neanche del dettato costituzionale che riconosce particolare rilievo al diritto alla salute.
  A giusta ragione, il Fondo monetario internazionale ha spiegato come i costi della sanità siano direttamente, proporzionalmente e precisamente correlati alla lunghezza della vita media. La spesa sanitaria, peraltro, è incomprimibile, nel senso che l'OCSE, che studia cinquanta Paesi da cinquant'anni, rileva ogni anno un incremento della spesa sanitaria pro capite legato, appunto, alla lunghezza della vita media nei Paesi. Se si taglia, dunque, il finanziamento pubblico, il cittadino paga di tasca propria: oggi in Italia siamo al 25 per cento della spesa sanitaria a carico dei cittadini. La spesa non è comprimibile perché, per comprimerla – non è cinismo – occorrerebbe una riduzione della vita media della popolazione generale. La spesa deve essere sostenibile perché affermare il contrario significherebbe che non è sostenibile la lunghezza della vita media di 80 anni per gli uomini e di 84 per le donne e verremmo meno sui principali motivi di convivenza civile di uno Stato.
  Sicuramente le riforme sono necessarie e la regionalizzazione «spinta» impressa dal decreto legislativo n. 502 del 1992 va rivista, così come alcuni princìpi di aziendalizzazione nell'ambito dell'organizzazione del lavoro. Occorre un atteggiamento diverso nei confronti del Servizio sanitario nazionale, disgiunto dalle dinamiche di taglio della spesa pubblica in generale. Bisogna ammettere il suo carattere prioritario nei confronti delle aspettative dei cittadini e dei diritti fondamentali costituzionalmente garantiti. Questo è quanto noi auspichiamo.
  Il mondo scientifico cambia, è in rapida evoluzione. Gli incrementi dei costi non sono quelli della società, dovuti al tasso di inflazione. Il punto è che le nuove tecnologie costano di più perché fanno vivere meglio. Nessuno torna a prendere i farmaci di vent'anni fa, gravati da effetti collaterali, meno efficaci, meno sicuri. Nessuno può pretendere che i medici e gli operatori sanitari prescrivano qualcosa di meno efficace di quanto è possibile soltanto per risparmiare. Eticamente, non possiamo farlo. Non possiamo che prescrivere la cura migliore, quella più evoluta, quella tecnologicamente accettabile.
  Allora, se si vuole mantenere una sanità di alto livello, bisogna investirci. Non saprei dire dove perché questo è un problema di politica generale, ma è un fatto che la situazione sia peggiorata negli ultimi anni. All'epoca dei contributi diretti dei lavoratori al Servizio sanitario nazionale, il bilancio era forse anche migliore. Oggi, siamo nella fiscalità generale, che presenta un'evasione fiscale di 180 miliardi di euro all'anno. Ricordo che tutto il Servizio sanitario nazionale costa 111 miliardi di euro all'anno, che però lo Stato riprende per buona parte attraverso le tasse. Evidentemente, si tratta di un problema che solo la politica può risolvere, recuperando risorse per un servizio fondamentale.

  GUIDO QUICI, Vicepresidente del CIMO-ASMD. Buongiorno. Io sono anche vicepresidente nazionale della CIDA, Manager e alte professionalità per l'Italia. Vi ringrazio per l'invito. Premetto che noi siamo disponibili a qualsiasi forma di collaborazione anche successiva laddove dovesse servire il nostro apporto.
  Tutti sapete che la centralità della sanità è legata all'articolo 32 della Costituzione e che l'universalità delle cure ha fatto sì che il nostro Paese fosse tra i primi al mondo in termini di qualità assistenziale. Purtroppo, però, a causa dei tagli legati alla congiuntura mondiale e alla spending review, il nostro servizio sanitario non è più universalistico nella maniera forte in cui lo era prima. La questione non Pag. 17è tanto il problema del rapporto tra spesa e PIL, che si aggira intorno al 7,1 per cento; quello che ci preoccupa, in realtà, sono tutti gli effetti legati ai tagli lineari, che hanno fatto sì che anche le regioni, ma anche le aziende efficienti andassero in deficit e in default, con un conseguente abbassamento omogeneo della qualità delle prestazioni un po’ dappertutto.
  Un altro aspetto da considerare è che il nostro sistema universalistico è abbastanza debole in questo momento, perché il 21,6 per cento dalla spesa è out-of-pocket, quindi si paga; ci sono problemi legati ad alcuni ticket, i cui costi sono superiori addirittura ai costi veri delle prestazioni. Ma anche perché ci sono 9 milioni di italiani che hanno dichiarato ultimamente che non sono in grado di curarsi o fanno ricorso a quella forma di sanità che si chiama low cost, a basso costo, dalla visita odontoiatrica a molto altro.
  Occorre, quindi, rivedere il nostro Servizio sanitario nazionale, congiuntamente al nostro sistema di protezione sociale. Il nostro è un welfare definito di tipo mediterraneo, dove la famiglia è al centro dell'attenzione. Se, però, graviamo ulteriormente di tasse le famiglie, queste inizieranno a curarsi sempre meno. La povertà inizia ad aumentare, tanto è vero che il ceto medio tende ad abbassare il proprio livello.
  Tutto questo è segnalato anche da una recente dichiarazione del vicepresidente della Corte dei conti: «Sarà bene, si faccia anche un'attenta riflessione sulle possibili conseguenze negative che una eccessiva contrazione delle risorse potrà avere sul funzionamento del sistema e sull'adeguato mantenimento dei livelli essenziali di assistenza». Più si abbassano i finanziamenti, più si abbassano i livelli di assistenza.
  Scontiamo le anomalie del decreto legislativo n. 502 del 1992, ma anche la modifica al Titolo V della Costituzione, che ha creato 21 sanità diverse, e questo ha portato a un cattivo controllo della spesa in alcune regioni. Molte, infatti, sono sotto «patto di affiancamento». Lo stesso finanziamento del Servizio sanitario nazionale non avviene sui costi effettivi dei LEA, ma attraverso un rapporto e un concordato politico tra Stato e regioni. Occorre definire i reali costi della nostra sanità.
  Queste considerazioni preliminari vanno inserite in un contesto molto più complesso, che vede un aumento della vita media degli italiani, come si diceva anche nei precedenti interventi, con la conseguenza dell'aumento delle disabilità e delle non autosufficienze. Occorre, innanzitutto, rivedere la rete territoriale e questo va fatto nell'ottica del long term care, in modo che si garantisca una vera assistenza come la sanità di iniziativa, nella quale le strutture non aspettano il paziente che arriva, ma gli vanno incontro per seguirlo costantemente, anche in termini di prevenzione e di cure del post acuzie.
  Contestualmente, occorre rivedere la rete ospedaliera. Ci sono ancora troppi ospedali piccoli, che sono pericolosi e che devono essere chiusi. Bisogna rivedere la rete dell'emergenza, devono essere definiti gli standard assistenziali. Se chiuderemo in maniera lineare, senza una buona organizzazione del territorio, eliminando ulteriormente posti letto si verificherà il problema delle barelle durante l'inverno nei pronto soccorso, assieme a tutti gli altri problemi di natura disorganizzativa che ci contraddistinguono.
  Altro aspetto da evidenziare è l'estrema regionalizzazione, che ha portato a un commissariamento di molte regioni e ha fatto sì che i primi tagli avvenissero sulla formazione. Risale a pochi giorni fa una nostra indagine su 113 aziende ospedaliere e universitarie d'Italia: abbiamo dimostrato che si spende pochissimo in formazione. La cattiva formazione ospedaliera determina un aumento degli eventi avversi, del rischio. Si fa poi poca manutenzione, soprattutto per le tecnologie. Il contraltare è che nelle regioni in cui si fa poca formazione e poca manutenzione aumentano i premi assicurativi, che non sono sotto controllo. Lo sciopero di ieri degli ortopedici è un segno tangibile del rischio che corrono i medici nelle strutture ospedaliere.Pag. 18
  Oggi non si può più parlare di inappropriatezza delle prestazioni, o almeno in maniera minore, perché la gente non ha i soldi per curarsi out-of-pocket. Si parla di inappropriatezza delle prestazioni legate alla medicina difensiva: significa che qualcosa non funziona nella gestione delle assicurazioni, del rischio clinico e così via.
  La CIMO avanza alcune proposte: l'obbligo della copertura assicurativa; l'obbligo dei percorsi extragiudiziali con maggiori penalizzazioni per chi rifiuta l'accordo strumentalmente; l'introduzione del concetto di area terapeutica e l'obbligo di istituire strutture di rischio clinico.
  Sappiamo, inoltre, che c’è stata, un'enorme evoluzione tecnologica, e ci sarà ancora, che esiste una multidisciplinarità nell'attività formativa, ma noi medici vorremmo essere di nuovo coinvolti. In caso di riforma delle professioni sanitarie, occorre che anche i medici siano coinvolti per definire chi fa cosa, quali sono i livelli di responsabilità tra le nuove professioni sanitarie e i medici. Occorre, inoltre, dare nuova linfa soprattutto ai giovani medici. Il nostro percorso di studio è particolarmente lungo e presenta difficoltà nell'inserimento, ma la nostra classe medica è particolarmente anziana, non c’è turnover e i colleghi non riescono a formarsi, mentre si evidenziano carenze gravissime, come nelle chirurgie, per le quali, ad esempio, non troviamo più specialisti.
  La nostra proposta è di trasformare le attuali borse di studio in contratti a tempo determinato col Servizio sanitario nazionale per assicurare il progressivo inserimento dei giovani medici. Facciamo in modo che i colleghi delle attività specialistiche universitarie siano rimborsati. In seguito, attraverso le procedure concorsuali, a mano a mano inizieranno a sostituire coloro che vanno via.
  Noi, naturalmente insieme ad altre organizzazioni sindacali, siamo tra i promotori dello sciopero indetto per il 22 luglio proprio perché riteniamo che, in questo contesto, il definanziamento del Servizio sanitario nazionale determini un pericoloso abbassamento dei livelli assistenziali. Su questa tematica siamo particolarmente sensibili e, dopo lo sciopero dei ginecologi e quello degli ortopedici, credo che sia giunta l'ora che anche noi diciamo la nostra su questa tematica.

  SILVESTRO SCOTTI, Vicesegretario nazionale della FIMMG. Buongiorno a tutti. Grazie per l'invito, che riteniamo interessante. Abbiamo inviato in formato digitale il contenuto del nostro intervento, così che tutti possano averlo disponibile. Poiché è piuttosto lungo, cercherò di abbreviarlo non leggendolo, ma traendone qualche spunto. Peraltro, molti temi possono essere ripresi dai colleghi, che affrontano di fatto gli stessi problemi.
  La FIMMG è il sindacato maggiormente rappresentativo dei medici di medicina generale in Italia con circa il 64 per cento di rappresentatività e si è posto il problema della sostenibilità del Sistema sanitario nazionale per come lo abbiamo conosciuto da un po’ di tempo. All'inizio dell'anno, abbiamo avuto un incontro proprio presso l'Aula parlamentare, dove abbiamo proposto alle forze politiche una riflessione su questa necessità.
  Al nostro documento sono anche allegate delle slide di una indagine Doxa rivolta a cittadini e medici di medicina generale sui livelli di percezione che questi hanno del Sistema sanitario italiano. Non ci ha stupito – anzi a nostro avviso, rappresenta un momento di forza della medicina di famiglia e della medicina del territorio – che i dati provenienti dai pazienti in termini di percezione fossero praticamente sovrapponibili a quelli espressi dai medici di medicina generale. Le stesse problematiche sono sottolineate anche nel vostro documento di proposta dell'indagine conoscitiva.
  Innanzitutto, a mio avviso, dobbiamo segnalare che in fondo, in questo Paese, è cambiata la dinamica assistenziale rispetto alle leggi istitutive del Sistema sanitario nazionale, non fosse altro che per la definizione all'interno della Costituzione del principio dell'obbligo del «pareggio di bilancio». È di recentissima definizione una sentenza del Consiglio di Stato rispetto alle prescrizioni farmaceutiche, in Pag. 19particolare agli omega 3, che cito testualmente: «Risulta prevalente l'interesse pubblico al contenimento della spesa farmaceutica». Di fatto, la giurisprudenza amministrativa condiziona l'accesso alle cure al contenimento della spesa pubblica.
  È chiaro come sia questo il problema col quale dobbiamo confrontarci come operatori e credo sia questa la ragione dell'indagine conoscitiva delle Commissioni riunite bilancio e affari sociali. La nostra aspettativa è che questo determini la ricerca di un equilibrio. In questa fase, abbiamo assistito, in molti provvedimenti, a tentativi di rimodulazione delle proposte assistenziali in termini organizzativi, di approccio clinico e così via, ma che poi chiaramente dovevano essere sempre condizionate dal rispetto degli obblighi di bilancio.
  FIMMG ha proposto, ormai da sei anni, un processo cosiddetto di rifondazione nel quale si deve cercare di ritrovare, all'interno del sistema territoriale, anche in economia di scala, attraverso percorsi organizzativi – che però non intendiamo di tipo libero professionale, né dirigistico-dipendentistici come qualcuno tende a confondere –, la capacità di questo sistema di evolvere. Tale evoluzione dovrebbe portare da un sistema di offerta assistenziale del singolo, che a oggi si carica rispetto al semplice rapporto fiduciario e alla presa in carico del paziente, a un sistema che metta insieme questa fiduciarietà trasferendola all'interno di microterritori, e quindi alla capacità di più medici di erogare un modello di assistenza continuativo e complesso. In questo modo si ridurrebbero gli accessi agli ospedali, integrando il sistema con gli specialisti ambulatoriali, che svolgono attività di consulenza sulle principali attività specialistiche. Si ricorda, d'altra parte, che le visite specialistiche, anche per l'alto costo dell'accesso alle cure, sono quelle che, a latere dei processi di acuzie, ingolfano i pronto soccorso.
  Questo tipo di progetto è ripreso, in buona sostanza, all'interno della legge Balduzzi di conversione del decreto-legge n. 158 del 2012, ovviamente, però, con tutte le problematiche connesse alla fase attuativa che ha bisogno di costi strutturali. L'H24 all'interno del contratto di medicina generale esiste, infatti, già di per sé nella combinazione di più operatori: di giorno il medico di famiglia, di notte la continuità assistenziale.
  Amo dire sempre che il medico di famiglia in qualche maniera è oggi, e sempre di più appare, ahimè, simile alla visione in micro di un direttore generale. Siamo costretti a mettere insieme, nella nostra attività quotidiana, la capacità clinico-assistenziale con quella di gestione economica sia delle risorse sia dell'accesso alle risorse del sistema sanitario.
  In qualche maniera, allora, immagineremmo una maggiore presenza, in termini di coordinamento all'interno della governance aziendale, della medicina di famiglia, cosa che non succede, anche sulla base di una difficoltà ad individuare, per questa figura professionale, un ruolo giuridico definito all'interno del nostro Paese. Formalmente, infatti, il medico di famiglia è un libero professionista convenzionato, quindi inserito in una dinamica di pubblico impiego per quello che riguarda i rinnovi contrattuali, ma non è un dipendente, e , di fatto, non è un libero professionista perché è limitato nella sua azione dall'atto convenzionale. È percepito, per alcuni aspetti, come un dipendente, per altri, come libero professionista. Pensiamo che forse sia arrivato il momento di ragionare su un inquadramento definito di questa figura professionale, anche dando risalto alla valorizzazione degli aspetti della libera professione e qui vengo a uno dei punti dolenti.
  Noi, come tutte le altre categorie assimilate al pubblico impiego, abbiamo il blocco contrattuale con le risorse ferme al 2010. Gli aumenti contrattuali per questa categoria, che prima erano legati al tasso di inflazione programmata, negli ultimi anni avrebbero dovuto essere definiti in base all'IPCA – indice dei prezzi al consumo armonizzato – che però praticamente non è stato mai applicato perché non si è mai dato seguito formalmente a una definizione contrattuale. Ebbene, non Pag. 20si tiene conto che un libero professionista convenzionato, nella percezione dei suoi emolumenti, è di fatto un soggetto pagato a volume per la parte clinico-professionale, ma anche per la copertura delle spese che sostiene per la gestione dell'erogazione dell'assistenza, spese di studio e simili, sull'aumento e la determinazione delle quali ultimamente, ahimè, hanno inciso anche altri provvedimenti amministrativo-finanziari, tra cui l'aumento dell'IVA.
  Riteniamo che, proprio per questo, sia necessaria una rivalutazione anche logistica delle risorse strutturali. Nel vostro documento si segnala un'analisi riferita alle problematiche relative all'edilizia sanitaria. In questo Paese, è necessario comprendere, nell'evoluzione dei processi organizzativi delle aziende sanitarie, quali sono le strutture che restano carenti in termini di produttività, in modo che siano riproposte come punti di riferimento, per esempio, per le forme organizzate della medicina generale. Diversamente, rischiamo di avere delle mega strutture di fatto vuote. Nelle regioni, i distretti si stanno allontanando dai territori e la tendenza è la creazione di macroaziende e macrodistretti, per cui diventerà sempre più difficile che i distretti siano i reali committenti di una proposta assistenziale.
  Concludo con un problema che ritengo sostanziale e credo che debba essere, in qualche modo, un momento conoscitivo per le Commissioni riunite, ovvero quello dell'accesso alle cure limitato dal percorso dei ticket. Abbiamo dei ticket di esenzione che, come voi stessi sottolineate, sono di fatto lineari, riferiti cioè ai livelli di reddito, e tengono in poca considerazione la composizione dei nuclei familiari e/o dei sistemi sociali e di disagio sociale a cui questi appartengono.
  Oltretutto, non è nemmeno detto che le cosiddette regioni virtuose siano realmente tali. Se sommiamo, infatti, come ha fatto il CEIS in uno studio del professore Spandonaro, la spesa privata in quelle regioni, alla spesa pubblica, scopriamo che quelle regioni si attestano su livelli di spesa probabilmente sovrapponibili a quello delle regioni considerate meno virtuose.
  È chiaro che, a questo punto, in Italia è carente anche un altro aspetto, che è quello relativo alla socializzazione della spesa privata. Il nostro Paese spende in sanità in maniera privatistica sulla base di una decisione individuale e non di un processo che socializzi quella decisione all'interno di percorsi di tipo mutualistico, e comunque affiliati a un sistema di controllo pubblico, che possono indirizzare quelle risorse non in maniera riferita alla decisione del singolo, ma nell'interesse della comunità e di una socialità derivata.
  Infine, ci aspettiamo che, attraverso la certificazione dei bilanci, come anche prospettato nel programma dell'indagine conoscitiva, si abbia un quadro chiaro del riferimento economico delle aziende sanitarie. Però chiederei che questa certificazione dei bilanci cominci a essere affiancata da una certificazione dell'assistenza. Anche perché i LEA e i ritardi sul patto della salute, di fatto, potrebbero portare a certificare dei bilanci, ma a non garantire un'assistenza degna della tradizione di questo Paese.

  ALESSANDRO BALLESTRAZZI, Presidente nazionale della FIMP. Rivolgo i miei ringraziamenti, anche per le parole non rituali che ho sentito nel corso di questa audizione.
  La FIMP è di gran lunga il sindacato più rappresentativo della pediatria di famiglia. Con una breve premessa spiegherò cos’è la pediatria di famiglia poiché dalle mie passate esperienze non risulta essere notissima: si tratta dell'assistenza capillare sul territorio assicurata da specialisti pediatri a tutti i bambini italiani da 0 a 14 anni, in caso di malattia cronica fino ai 16 anni. Specificamente italiano, è un modello di eccellenza del nostro Sistema sanitario nazionale, validato da diverse organizzazioni internazionali, che l'hanno studiato con estremo interesse, e anche da valutazioni indipendenti fatte dagli utenti, attraverso indagini Doxa e simili.
  Chiaramente, i pediatri, per la stessa natura e per la fascia d'età a cui si Pag. 21rivolgono, svolgono non solo un'attività di diagnosi e cura, ma anche di prevenzione, che in questo caso, trattandosi dei «cittadini di domani», è particolarmente importante e si struttura in una serie di interventi contenuti nel Progetto salute infanzia, che fa parte del nostro contratto collettivo nazionale di lavoro.
  Gli effetti della spending review e dei tagli lineari sono stati descritti ampiamente dai colleghi che mi hanno preceduto, per cui non ci tornerò, ma sicuramente la riduzione delle risorse, i ticket e altre misure creano problemi particolarmente gravi per l'età dei nostri pazienti, i cittadini di domani, come dicevo, oltretutto in una situazione in cui, di fatto – anche questo è stato già ricordato – si sono creati 21 sistemi sanitari diversi. Non dobbiamo neanche dimenticare, oltre a quelli sulla sanità, gli effetti indotti dalla crisi sulla famiglia. Mi riferisco, ad esempio, alla mancanza di altri servizi, che non sono compresi tra quelli che noi eroghiamo direttamente, e in particolare ai tagli agli asili-nido e, in generale, ai servizi offerti all'infanzia, che acuiscono il problema in generale.
  Alcuni problemi particolari, inoltre, che interessano l'assistenza pediatrica in Italia sono il calo tendenziale del numero dei pediatri, dovuto anche alla riduzione progressiva del numero di borse di studio per effetto della riduzione delle risorse, ciò che renderà difficile, nei prossimi anni, assicurare l'assistenza universale a tutti i bambini, ricacciando gran parte dall'assistenza presso figure professionali non specialistiche, non pediatriche.
  Ovviamente, a nostro avviso, il nodo della questione è rappresentato dalla riforma delle cure primarie, dalla riforma del territorio. È stato detto, con una metafora direi anatomica, che il territorio è la seconda gamba del Servizio sanitario nazionale: la prima è l'ospedale, la seconda il territorio. Certo, è una gamba che strutturalmente è sempre stata un po’ sottodimensionata rispetto all'arto, ma in questo momento si chiede al territorio di surrogare una serie di interventi, come la deospedalizzazione, che stanno ricacciando i pazienti sul territorio stesso, senza una riallocazione razionale delle risorse. Con la deospedalizzazione, in una regione come ad esempio l'Emilia-Romagna, sono stati chiusi molti piccoli ospedali, ma solo nell'ottica di un risparmio, senza pensare a una programmazione degli interventi che noi possiamo svolgere sul territorio.
  Occorre una vera riallocazione delle risorse a vantaggio del territorio, il quale, attraverso delle forme associative, aggregative, come è stato ricordato anche dal collega della FIMMG, può utilizzare in modo virtuoso tali risorse e offrire le risposte di cui i cittadini hanno bisogno. Questa è la nostra richiesta fondamentale. È chiaro che, in una situazione come questa, tra legge Balduzzi e «costo zero», sarà molto difficile il conseguimento di quest'obiettivo, che però rappresenta la sola via d'uscita per riorganizzare il territorio e metterlo nelle condizioni di dare delle risposte efficaci ai cittadini.
  Nel caso dell'età pediatrica, ricordo anche la questione dell'assistenza ai bambini cronici, che sono circa il 6 per cento dei nostri assistiti, dunque non pochi. Soltanto una ristrutturazione dell'attività territoriale può consentirci di seguirli in modo non frammentario e fondamentalmente diseguale a livello delle diverse regioni, come invece sta avvenendo adesso.

  ALESSANDRO VERGALLO, Presidente nazionale dell'AAROI-EMAC. Buongiorno a tutti. Preciso che sono neopresidente dell'AAROI-EMAC da una decina di giorni. Sostituisco il mio predecessore, dottor Carpino, a seguito del nostro congresso tenutosi pochi giorni addietro. Non abbiamo avuto i tempi tecnici, per le urgenze dovute alla a successione di gestione, per preparare una memoria, ma la invieremo per via telematica.
  L'AAROI è un'associazione sindacale, ma in realtà ci consideriamo un'associazione di professionisti. Prima di tutto, siamo professionisti che lavorano un po’ nell'ombra, raramente siamo sotto i riflettori, a meno di casi in cui si verificano eventi drammatici.Pag. 22
  Lavoriamo, sostanzialmente, in ospedale, ma abbiamo anche delle attività legate al territorio, con l'emergenza-urgenza. Pensiamo soltanto alle varie strutturazioni regionali del 118. Personalmente, provengo dalla Lombardia, dove esiste l'AREU, azienda regionale emergenza urgenza, che ha una sorta di corrispettivo nel Lazio, anche se strutturata in modo diverso, ossia l'ARES, agenzia regionale emergenza sanitaria.
  I contesti ospedalieri in cui lavoriamo attengono, naturalmente, alle sale operatorie, alle terapie intensive, alle terapie iperbariche, ma ci occupiamo anche di terapia del dolore, oltre che, naturalmente, di tutta la gestione – perlomeno finora, a seguito di ulteriori sviluppi – dell'emergenza intraospedaliera, oltre che di quella estera.
  I contesti in cui ci troviamo a operare sono ad alta tecnologia, ma non necessariamente ad alto costo. Questo dato, che in passato ha rappresentato, in virtù dei meccanismi di pianificazione dei controlli di spesa, un elemento che forse ci ha tenuti un po’ in disparte rispetto all'attenzione riservata al settore ospedaliero, in questo momento di revisioni di spesa, di spending review come si ama dire, potrebbe forse rappresentare la possibilità per noi di portare un contributo maggiore che in passato, perlomeno nei settori che attengono alle nostre prestazioni. Utilizziamo, infatti, macchine ad alta tecnologia, i costi di gestione delle quali, però, al di là dei costi dei posti letto di rianimazione, sono tutto sommato contenuti per il nostro ambito specialistico. Penso, per esempio, alle sale operatorie.
  Venendo ai punti di quella che è stata correttamente chiamata una sfida nel titolo di quest'audizione, non possiamo far altro che sottolineare come molto sinteticamente il nostro sistema sanitario, quanto a uno dei tre concetti alla base delle valutazioni di economia sanitaria, ossia l'efficacia, sia fuori da ogni discussione: il nostro sistema sanitario è efficace.
  In questa sfida, che rappresenta un impegno politico, ma anche professionale, di alto profilo, oltre che, evidentemente, un impegno etico, nel rispetto del diritto alla salute garantito dalla Costituzione, gli ambiti di intervento devono focalizzarsi sull'efficienza e sull'appropriatezza.
  Per quanto riguarda l'efficienza, è chiaro che, in un sistema di risorse limitate, occorre procedere a una revisione degli assetti organizzativi e strutturali del sistema sanitario, ma forse con un approccio diverso, che non consideri il personale sanitario solo come un costo, ma anche come una risorsa. Una risorsa che, in passato e fino a oggi, ha lasciato grossi spazi non sviluppati, che sono relativi all'organizzazione del proprio lavoro e forse è il caso che, attraverso il coinvolgimento delle professioni, come avviene oggi, i medici comincino anche a occuparsi della gestione del proprio lavoro.
  Ho sentito sempre, o perlomeno spesso, nella mia attività lavorativa, sostenere dai medici che dobbiamo svolgere il nostro mestiere e non quello dei burocrati. Sono perfettamente d'accordo a livello personale, ma forse è necessario anche che iniziamo a organizzarci il nostro lavoro. Diversamente, lasceremo delle aree scoperte in cui questa organizzazione ci viene imposta dall'alto.
  Penso, nello specifico, alla dicotomia sempre maggiore tra il settore amministrativo e quello sanitario degli ospedali, dove l'interfaccia, anche a livello di presìdi, periferici o centrali, hub & spoke che siano, tra la direzione amministrativa e sanitaria stenta a trovare un punto d'incontro e di collimazione dei target che quell'azienda o quel presidio si prefigge.
  In buona sostanza, siamo pronti a fare la nostra parte per quanto riguarda il nostro settore e a collaborare a una revisione dei meccanismi organizzativi, anche sull'appropriatezza, che è il terzo elemento da cui deriva il risultato finale della sostenibilità del sistema. Se questo, infatti, è il nostro target, dobbiamo ragionare anche in quest'ottica. Per quanto ci riguarda, l'appropriatezza verte obbligatoriamente su un tema che non riguarda quest'incontro, ossia l'appropriatezza non tanto prescrittiva di terapie, quanto prescrittiva di indagini, che a noi servono per Pag. 23lavorare in sicurezza. Ovviamente, parlo di indagini preoperatorie, cliniche e strumentali, da eseguire in terapie intensive e simili.
  Naturalmente, siamo stati in prima linea, in passato, anche nel rivedere le nostre linee guida o, comunque, i protocolli operativi relativi alla diminuzione degli esami preoperatori, che rappresentano comunque un costo, per quanto piccolo, e comunque non trascurabile quando moltiplicato per la massa di interventi chirurgici. Ci siamo, però, spesso scontrati con le difficoltà relative all'interpretazione giuridica di quella che è la posizione di garanzia del medico nei confronti della parte debole, rappresentata dal cittadino avente diritto alla garanzia delle cure. Allora diventa difficile sostenere presso i nostri iscritti che devono o dovrebbero, anche in collaborazione con le nostre società scientifiche, ridurre la quantità di esami preoperatori se alla fine, nel caso in cui qualcosa vada storto, la prima domanda rivolta al professionista riguarda la ragione per cui non ha praticato un elettrocardiogramma al paziente.
  Dobbiamo confrontarci, infatti, anche con degli aspetti pratici. Allora, forse, insieme possiamo trova una soluzione. Personalmente, non posso portarne a questo tavolo perché va valutato l'intero sistema, ma l'individuazione degli obiettivi politici non spetta a noi. Una volta individuati gli obiettivi possiamo fare delle proposte. In questo senso, intendiamo porci come una parte propositiva e non legata ai meccanismi strettamente sindacali di tutela del lavoro del singolo, ma partecipare a una governance di sistema.
  Veniamo all'aspetto fondamentale dei LEA, in particolare dei LEA sulla partoanalgesia, che ci riguarda in primo luogo. Ho consultato il documento, che deve ancora ricevere l'approvazione del Ministero dell'economia e delle finanze, ma è previsto un saldo zero. In alcuni ospedali, gli anestesisti lavorano in regime di pronta disponibilità, non sono di guardia. Nel momento in cui c’è necessità, l'anestesista deve arrivare da casa chiamato per telefono e procedere alla propria opera. Questo è semplicemente un brevissimo esempio di cosa vuol dire LEA, a parte tutti i riferimenti sulla dicotomia tra affidare allo Stato la strutturazione dei LEA e poi la loro applicazione alle regioni attraverso l'azienda, che è un altro problema. Al di là di questa considerazione, vorrei introdurre il concetto di LEA strutturale, logistico e organizzativo, che deve fare da base ai LEA assistenziali. Senza la prima fase, che è quella logistica, è difficile poi garantire i LEA in fase di assistenza.

  ROBERTO LALA, Segretario generale del SUMAI. Vi ringrazio per l'invito all'audizione. Il SUMAI è il sindacato maggiormente rappresentativo degli specialisti ambulatoriali ed altre professionalità che operano sul territorio. Per questo motivo, giudico estremamente importante questa audizione nella quale si parla di nuove esigenze del sistema sanitario e obiettivi di finanza pubblica.
  Innanzitutto, esprimo il mio plauso a quello che è un invito comune. Molto frequentemente, il vulnus delle istituzioni è di ascoltare le diverse anime della sanità, separatamente l'una dall'altra e questo non consente di trarne un sistema organico. Nuove esigenze del sistema sanitario significa nuove esigenze della sanità richiesta dai cittadini, in ragione delle nuove patologie, ormai rappresentate dalle cronicità.
  Curare un paziente cronico, curare le fragilità significa spostare l'attenzione dall'ospedale, ma non trascurandolo, dal momento che deve rivestire un ruolo di altissimo livello proprio per l'elevata qualità delle patologie che deve curare. Notoriamente, da anni si parla di spostamento di risorse dall'ospedale al territorio, ma – scusate la grande franchezza – questo non è mai avvenuto, è puramente virtuale. Si riducono, infatti, e si tagliano i posti letto: stiamo scendendo, secondo il decreto-legge n. 95 del 2012, a un numero di 3,7 posti letto per 1.000 abitanti – 0,7 per la riabilitazione – ma credo che forse da oltre trent'anni non si investano risorse sul territorio.Pag. 24
  Questa politica sanitaria non può che portare a una deflagrazione totale del sistema sanitario e, in un Paese con i nostri problemi economici e sociali, credo che questo non sarà sostenibile in nessun caso. Vanno, quindi, sicuramente tagliati gli sprechi della finanza pubblica, ma aumentando la potenzialità delle strutture territoriali.
  Quando si parla del territorio, bisogna ben definire che cosa sia. Il territorio è costituito da quella miriade di strutture rappresentate dagli ambulatori, i dipartimenti di salute mentale (DSM), i consultori familiari e i centri di assistenza per i tossicodipendenti, di cui però molto spesso non si sa nulla. Inviterei i componenti di questa Commissione a visitarli. Forse avrebbero qualche momento di perplessità notando che le attrezzature risalgono, in alcuni casi, a una quindicina d'anni fa, mentre sappiamo che giacciono nei locali attrezzature inusate acquistate, con grave danno quindi per l'erario pubblico.
  Siamo convinti che l'unico modo per rimettere in piedi il sistema sia costruire un sistema reticolare, ossia mettendo in comunicazione in modo vero – l'informatica, oggi, lo consente con grande semplicità – tutti i vari attori del sistema: l'ospedale e i vari componenti del territorio, dagli specialisti ai medici di famiglia, i pediatri di libera scelta, per andare, come qualcuno ha ricordato prima di me, incontro all'esigenza del paziente, senza costringerlo al giro di Roma per ritornare sempre allo stesso punto.
  Questo significa, però, impegnare risorse ed è inutile toglierle all'ospedale se poi non le impegniamo. Vanno, quindi, rafforzate le strutture territoriali, aumentata la tecnologia a loro disposizione, e prevedere un diverso sistema di apertura. Se vogliamo evitare l'accesso ai pronto soccorso o, comunque, agli ospedali, è impensabile che un ambulatorio apra la mattina e chiuda alle 17, qualche volta addirittura alle 15: l'assistenza dovrebbe proseguire per l'intero arco dalla giornata. Serve una maggiore apertura e, soprattutto, un forte ampliamento dell'assistenza domiciliare integrata, cioè del medico di famiglia e dei vari specialisti e, comunque, di tutti quanti gli operatori che occorrono, per andare incontro alle esigenze del paziente, il quale, in caso contrario, non potrà far altro che riversarsi nell'ospedale.
  Per far questo, altra misura importante che si lega al processo dell'informatizzazione è l'applicazione, come stiamo facendo, di una serie di norme quali quelle concernenti la ricetta elettronica e il certificato elettronico, ampiamente condivisibili. Ma quando tradurremo veramente in atto concreto il fascicolo sanitario elettronico ? Questo consentirebbe dei risparmi enormi. Basti pensare al numero di duplicazioni di esami, accertamenti clinici, visite diagnostiche praticati. Da medico territoriale, posso testimoniare che a volte il paziente, se non avesse una ricetta, non ricorderebbe neanche il motivo per cui è stato mandato da me. Possiamo immaginare se possa ricordare di elencare gli esami o gli accertamenti diagnostici a cui magari è stato sottoposto un mese o forse anche una settimana prima.
  Si tratta di un rischio, altissimo e verificabile, di una replicazione di esami. Con un sistema informatico, un fascicolo sanitario elettronico, una tessera sanitaria elettronica questo rischio sarebbe totalmente eliminato, perché al medico, nel momento in cui visita il paziente, basterebbe utilizzare quel cartoncino di plastica per sapere esattamente a cosa è stato sottoposto, quali esami gli sono stati prescritti, l'epoca delle prescrizioni e quella degli esami, con un enorme risparmio per lo Stato.
  Oggi, sul territorio non solo non disponiamo del tesserino elettronico, ma neanche di quelli che ancora sono chiamati computer o hardware. Siamo ancora all'età della preistoria. Non esistono neanche le linee per i collegamenti del sistema informatico. Se vogliamo fare qualcosa, credo che vadano investite risorse risparmiate altrove, altrimenti ci limitiamo a una gran bella chiacchierata, ma che sicuramente produrrà molto poco per i cittadini.

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  PIERLUIGI DELOGU, Presidente nazionale dell'AIO. Ringrazio le Commissioni riunite per l'occasione che ci hanno offerto di essere auditi. Ritengo questo momento molto importante perché penso che sia anche un momento di maturità politica manifesta.
  L'AIO è un'associazione che rappresenta essenzialmente liberi professionisti Sapete tutti che l'odontoiatria in Italia è svolta quasi esclusivamente in regime libero professionale, con dei dati che però, proprio per questo motivo, sono legati molto strettamente alle congiunture sociali, come tutti ben sappiamo.
  Il primo dato importante da evidenziare è che, fino all'anno scorso, in seguito alla crisi, c'era già stato un calo netto dell'accesso dei pazienti agli studi odontoiatrici. Questo potrebbe rappresentare per il professionista odontoiatra un problema di ordine economico, ma ci preoccupa molto anche da un punto di vista etico e medico-sanitario a causa della netta diminuzione del controllo della salute orale. Nell'ultimo anno, poi, si è rilevato un calo ulteriore del 15 per cento. Praticamente, oggi solo 1 su 5 abitanti si reca a fare un controllo periodico dall'odontoiatra. Per essere molto chiaro sul fenomeno, citerò il caso della Sardegna, da cui vengo, la stessa regione del presidente Vargiu. In provincia di Sassari, pratichiamo da diversi anni visite periodiche in tutte le scuole elementari con una sorta di rete di volontariato tra odontoiatri. Queste visite ci hanno già fornito dei dati interessanti: cinque anni fa, quando è partita l'iniziativa, il livello di salute orale dei bambini era nettamente migliore rispetto a quello attuale. Questo è un dato oggettivo ed è un fenomeno molto interessante.
  Per questo motivo, come AOI, quest'anno abbiamo spinto in modo fortissimo sull'acceleratore parlando con tutti e, soprattutto, con le parti istituzionali sull'importanza della prevenzione. Mi hanno fatto molto piacere certi discorsi dei colleghi su territorio e rete. È su questo che vogliamo impostare un ragionamento. In Italia, i liberi professionisti odontoiatri hanno già una rete costruita in modo autonomo e virtuoso dall'azione volontaristica degli stessi. Sono 50 mila gli studi odontoiatrici diffusi su tutto il territorio nazionale, in ogni paese della nostra Italia. Penso che sia il presidio sanitario, seppur libero, più diffuso su tutto il territorio e ci mettiamo a disposizione proprio per puntare sulla prevenzione.
  Abbiamo calcolato che, attraverso gli studi odontoiatrici, i bambini tra i 5 e gli 8 anni che appartengono alle fasce di reddito più basse, che ormai raggiungono quasi 10 milioni di abitanti, possono essere sottoposti a sigillature dei denti, quindi dei primi molari permanenti, con una spesa pari a 96 milioni di euro. Ci rendiamo conto che la stessa cosa potrebbe essere fatta dagli studi odontoiatrici privati mantenendo una tariffa interessante, gestibile, ma con 96 milioni di euro possiamo praticare le sigillature a tutti i bambini con reddito familiare inferiore agli 8.000 euro ISEE.
  Naturalmente, gli odontoiatri possono chiedere questi soldi in tanti modi. Potrebbe trattarsi anche di uno sconto fiscale, di un sistema virtuoso, siamo disponibili a pensare ai vari metodi e ad avanzare proposte in merito. Oltretutto, i lavori scientifici sulla prevenzione in campo odontoiatrico, che si riflette sulla prevenzione generale – ormai sappiamo che ci sono delle correlazioni nette tra patologie odontoiatriche e patologie di ordine generale, per cui le malattie delle gengive portano anche ad un aggravamento delle malattie cardiovascolari, del diabete e a tante altre problematiche – testimoniano che, in quanto intervento preventivo, sicuramente garantisce un miglioramento della salute generale dell'individuo, con costi che, appunto, sulle fasce di reddito basso possono essere ben contenuti.
  Allo stesso tempo, questa rete di studi potrebbe servire da collettore o, comunque, potrebbe dialogare, e deve anzi dialogare, a nostro modo di vedere, con tutte le altre componenti sul territorio, medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, che possono agire con noi nel valutare in modo preventivo i pazienti.Pag. 26
  Abbiamo il grande vantaggio, rispetto ad altre tipologie mediche, di vedere spesso, se venissero nel nostro studio, pazienti sani. Per noi è, quindi, possibile parlare, dialogare con un paziente sano per prevenire realmente determinate patologie, suggerendo stili di vita e consigli sui comportamenti da seguire.
  Concludo il mio intervento non con una nota polemica, ma con una semplice constatazione, ovvero che la libera professione odontoiatrica sicuramente negli ultimi anni non è stata aiutata; semmai, ha incontrato grossi problemi da un punto di vista amministrativo e dei rapporti istituzionali. Siamo comunque a disposizione e chiediamo perlomeno che certi vincoli, certi laccioli e anche certe imposizioni di tipo economico siano modificati, e che, soprattutto, certi atteggiamenti nei confronti dell'odontoiatria, vista solo come attività commerciale, siano profondamente cambiati. La nostra non è un'attività commerciale. Si deve bloccare tutto ciò che è commercializzazione dell'odontoiatria perché reca solo danni alla salute pubblica.

  PRESIDENTE. Anche a nome del presidente Boccia, mi scuso per i tempi molto compressi con cui abbiamo svolto l'audizione di questa mattina, ma purtroppo la Commissione bilancio dovrà riunirsi tra pochi minuti con la Commissione affari costituzionali per un'altra seduta. I tempi di lavoro delle Commissioni parlamentari sono sempre estremamente ristretti. Vi chiedo, dunque, ancora scusa, ma abbiamo preferito cercare di allargare quanto più possibile il ventaglio delle audizioni, purtroppo qualche volta a scapito della possibilità di approfondire le tematiche che, invece, meriterebbero sicuramente che vi fosse dedicato un maggiore spazio di tempo.
  Rivolgo nuovamente, anche a nome del presidente Boccia, l'invito a tutti i presenti, se possibile e se lo ritenete, di far avere materiale integrativo su argomenti specifici oltre a quello raccolto attraverso la registrazione del vostro intervento, in modo che possa essere distribuito a tutti i singoli componenti delle due Commissioni, anche a quelli che, eventualmente, oggi non avessero avuto la possibilità di partecipare.
  Non essendoci domande da parte dei colleghi, li ringrazio per la disponibilità ad ascoltare in maniera estremamente attenta ciò che i nostri ospiti hanno avuto occasione di dirci.
  Ringrazio ancora di cuore i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 11.10.