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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

Commissioni Riunite (V e XII)

Resoconto stenografico



Seduta n. 8 di Mercoledì 2 ottobre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 3 

LA SFIDA DELLA TUTELA DELLA SALUTE TRA NUOVE ESIGENZE DEL SISTEMA SANITARIO E OBIETTIVI DI FINANZA PUBBLICA

Audizione dell'Ispettore capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria generale dello Stato, Francesco Massicci.
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 3 
Massicci Francesco , Ispettore capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria Generale dello Stato ... 3 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 9 
Lenzi Donata (PD)  ... 9 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 11 
Palese Rocco (PdL)  ... 12 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 13 
Marchi Maino (PD)  ... 13 
De Mita Giuseppe (SCPI)  ... 14 
Cecconi Andrea (M5S)  ... 15 
Binetti Paola (SCPI)  ... 17 
Massicci Francesco , Ispettore capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria Generale dello Stato ... 18 
Binetti Paola (SCPI)  ... 18 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 18 
Massicci Francesco , Ispettore capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria Generale dello Stato ... 18 
Lenzi Donata (PD)  ... 19 
Massicci Francesco , Ispettore capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria Generale dello Stato ... 19 
Marchi Maino (PD)  ... 22 
Massicci Francesco , Ispettore capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria Generale dello Stato ... 22 
Lenzi Donata (PD)  ... 22 
Massicci Francesco , Ispettore capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria Generale dello Stato ... 22 
Lenzi Donata (PD)  ... 22 
Massicci Francesco , Ispettore capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria Generale dello Stato ... 23 
Marchi Maino (PD)  ... 23 
Massicci Francesco , Ispettore capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria Generale dello Stato ... 23 
Lenzi Donata (PD)  ... 23 
Massicci Francesco , Ispettore capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria Generale dello Stato ... 23 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 23 
Massicci Francesco , Ispettore capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria Generale dello Stato ... 23 
Marchi Maino (PD)  ... 23 
Massicci Francesco , Ispettore capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria Generale dello Stato ... 23 
Marchi Maino (PD)  ... 23 
Massicci Francesco , Ispettore capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria Generale dello Stato ... 24 
De Mita Giuseppe (SCPI)  ... 24 
Massicci Francesco , Ispettore capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria Generale dello Stato ... 24 
De Mita Giuseppe (SCPI)  ... 24 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 24 
Lenzi Donata (PD)  ... 24 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 24 
Massicci Francesco , Ispettore capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria Generale dello Stato ... 24 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 25 
Gigli Gian Luigi (SCPI)  ... 25 
Lenzi Donata (PD)  ... 25 
Gigli Gian Luigi (SCPI)  ... 25 
Massicci Francesco , Ispettore capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria Generale dello Stato ... 25 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 25 
Biondelli Franca (PD)  ... 25 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 26

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA XII COMMISSIONE PIERPAOLO VARGIU

  La seduta comincia alle 14.10.

  (Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione dell'Ispettore capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria generale dello Stato, Francesco Massicci.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla sfida della tutela della salute tra nuove esigenze del sistema sanitario e obiettivi di finanza pubblica, l'audizione dell'Ispettore capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria generale dello Stato, Francesco Massicci.
  Iniziamo subito i lavori delle due Commissioni riunite, d'intesa anche con il presidente Boccia, che sta per raggiungerci, in quanto l'audizione di oggi, come sapete, riveste particolare importanza e spessore. Dovremmo, quindi, cercare di utilizzare interamente le due ore previste, senza perdere neanche un istante del tempo che abbiamo a disposizione.
  Senza ulteriori indugi darei la parola al dottor Massicci, la cui relazione prenderà circa venti minuti, e successivamente potranno intervenire i colleghi che vorranno porre quesiti o formulare osservazioni.
  Al fine di agevolare la replica da parte del dottor Massicci, accolgo la richiesta, avanzata da alcuni gruppi, di contingentare il numero degli interventi, nella misura di due per ciascun gruppo, in rappresentanza delle due Commissioni. Ovviamente non vi è alcuna intenzione di comprimere il dibattito, anzi, se poi ci fosse il tempo per un numero superiore di domande, i commissari potranno eventualmente formulare ulteriori domande e richiedere i chiarimenti ritenuti necessari.
  Nel ringraziare il nostro ospite, anche a nome del presidente Boccia, per la cortesia e la disponibilità dimostrate, nonostante l'orario non particolarmente comodo, do la parola al dottor Massicci affinché svolga la sua relazione.

  FRANCESCO MASSICCI, Ispettore capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria Generale dello Stato. Ringrazio dell'invito che mi consente di relazionarvi sull'attività della Ragioneria generale dello Stato e sul ruolo che essa svolge nell'ambito della governance della sanità.
  Mi servirò anche della proiezione di alcune slide anzitutto per contestualizzare, la governance della sanità e, successivamente, per parlare delle leve di intervento sul piano economico-finanziario nel settore. Le slide in una prima parte riguarderanno pertanto la definizione della governance del settore sanitario, quindi gli Pag. 4andamenti della spesa, gli aggregati di spesa e le leve di intervento. Vi sarebbe inoltre da parlare dell'evoluzione federalista ma, in questa sede, direi che possiamo evitare di farlo.
  Parliamo, quindi, della governance del settore sanitario. L'articolo 32 della Costituzione recita: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti». In questo contesto rilevano due organi istituzionali di governo, entrambi costituzionalmente garantiti: lo Stato e le regioni. Lo Stato definisce i livelli essenziali di assistenza (LEA) e garantisce le risorse finanziarie necessarie, in condizioni di efficienza e appropriatezza, alla loro erogazione, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica. Le regioni organizzano i rispettivi servizi sanitari e garantiscono l'erogazione delle prestazioni.
  La sede all'interno della quale questi due livelli di governo devono rapportarsi per la definizione della governance è stata individuata, a partire dall'anno 2000, nelle intese Stato-regioni, ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge n. 131 del 2003, in attuazione dell'articolo 120 della Costituzione.
  Nel corso del tempo, le intese hanno definito un livello di finanziamento su un arco di tempo pluriennale e hanno permesso la condivisione di regole e limiti entro cui gestire l'autonomia regionale, indirizzando le regioni verso l'assunzione di un ruolo sempre più consapevole in termini di disegno del sistema e di corretta allocazione delle risorse.
  Con riferimento alla complessa strumentazione normativa implementata, in via sintetica si evidenziano: il meccanismo dell'incremento automatico delle aliquote fiscali in caso di mancata copertura dell'eventuale disavanzo, ciò in coerenza con il principio della responsabilizzazione regionale, nel rispetto degli equilibri di bilancio; il rafforzamento degli strumenti di responsabilizzazione regionale nell'uso appropriato delle risorse sanitarie; l'obbligo dell'accordo fra le regioni con elevati disavanzi strutturali e lo Stato, contenente un piano di rientro per il raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario.
  I singoli piani di rientro individuano e affrontano selettivamente le cause che hanno determinato strutturalmente l'emersione di significativi disavanzi, configurandosi come veri e propri programmi di ristrutturazione industriale che incidono sui fattori di spesa sfuggita al controllo delle regioni.
  Le innovazioni introdotte consentono di rispondere alla seguente domanda: quali sono le condizioni di produzione ed erogazione delle prestazioni sulla base delle quali si determina l'offerta sanitaria riconducibile ai LEA ? A nostro avviso, tali condizioni sono quelle di efficienza, efficacia ed appropriatezza e le regioni benchmark rappresentano il contesto produttivo che le esprime.
  Le regioni meno efficienti si differenziano quindi da quelle benchmark non per un livello inferiore di finanziamento assegnato, ma per almeno una delle seguenti due condizioni: un livello di produzione e di offerta di servizi sanitari che sconta anche l'aspetto qualitativo, inferiore a quello di benchmark; un finanziamento aggiuntivo a carico della popolazione residente per garantire i livelli di offerta che nelle regioni virtuose sono integralmente finanziati con la quota del finanziamento ordinario.
  In sintesi, livello del finanziamento e livelli essenziali di assistenza sono, rispettivamente, la variabile indipendente e dipendente dell'equazione «finanziamento dei livelli essenziali di assistenza del sistema sanitario». La funzione che lega le due variabili è rappresentata dall'efficienza ed efficacia nella produzione ed erogazione dei servizi sanitari delle regioni benchmark.
  La funzione del sistema di governance – è questo, potremmo dire, l'elemento di successo della governance così come si è sviluppata, in particolare dal 2006 in poi – è quella di indurre le regioni meno virtuose al rispetto del pareggio di bilancio e alla creazione delle condizioni per recuperare elementi di efficienza e di Pag. 5efficacia nella produzione ed erogazione di servizi, avendo come target i livelli di offerta garantiti dalle regioni benchmark a fronte del solo finanziamento dello Stato.
  Se volessimo dunque individuare gli elementi di valutazione di una buona governance, potremmo dire che la governance, nel settore sanitario, è ottima quando vi è la capacità del sistema di favorire, incentivare, fino anche imporre alle regioni, alle quali compete la programmazione e la gestione dei servizi sanitari sul territorio, comportamenti virtuosi, cioè volti a perseguire i recuperi di efficienza ed efficacia nell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza.
  Soffermiamoci ora sugli esiti, nell'ultimo decennio, di questa governance sul piano finanziario. L'analisi dell'andamento della spesa sanitaria negli ultimi anni evidenzia l'impatto positivo dei predetti strumenti di governance, progressivamente introdotti nell'ordinamento. Se infatti nel periodo 2000-2006 la spesa sanitaria evidenziava un tasso di crescita medio annuo pari al 7 per cento, nel periodo 2006-2012 la crescita media è stata pari all'1,4. Tale comportamento virtuoso è destinato a consolidarsi negli anni successivi, 2013-2015, a fronte delle misure di contenimento della spesa, già deliberate dal Parlamento, introdotte dal decreto-legge n. 95 del 2012 e dalla legge n. 228 del 2012.
  Una rappresentazione grafica di quello che ho appena detto è riportata nel primo riquadro della slide, nel quale sono riportati i dati di consuntivo. Come è possibile vedere, nel periodo 2000-2006 il tasso di variazione medio annuo della spesa sanitaria era del 7 per cento, mentre per il periodo 2006-2012 esso si è attestato sull'1,4 per cento e la previsione per gli anni a venire, compreso il 2012, è di 1,4 per cento su base annua.
  I tassi di crescita medi illustrati nel grafico tengono conto delle misure di contenimento della spesa introdotte con successivi provvedimenti normativi. Prima dell'inizio di questa audizione l'onorevole Palese mi chiedeva degli effetti della sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato incostituzionale la norma sui ticket, a causa dello strumento normativo, quello del regolamento, adoperato per una materia rientrante nell'ambito della potestà legislativa concorrente: gli effetti sono già scontati, nel senso che noi diamo per scontato che quella norma non esiste più nell'ordinamento e quindi il livello del finanziamento è stato incrementato ed altrettanto è aumentato il livello della spesa a legislazione vigente.
  Come dicevo, la predetta illegittimità è stata rilevata con riferimento allo strumento indicato dalla norma, un regolamento, in quanto lo Stato può esercitare la potestà regolamentare solo nelle materie nelle quali abbia competenza esclusiva. Pertanto, a legislazione vigente è stato incrementato il livello di spesa di 2 miliardi, a decorrere dal 2014.
  La rappresentazione grafica, come potete vedere, illustra quanto detto, poi scenderemo nei dettagli. Come ho prima rilevato, l'incremento nel periodo 2006-2012 è risultato pari all'1,4 per cento; se, però, proviamo a suddividere questo arco temporale di valutazione tra il 2006-2010 e il 2010-2012, vedremo che quell'1,4 per cento è composto da un 2,5 relativo al periodo 2006-2010 mentre la percentuale relativa al periodo 2010-2012 è di meno 0,8. Il livello di spesa, cioè, diminuisce rispetto all'anno precedente. Questo è accaduto per effetto della governance, dal momento che non è stata intaccata la qualità dei servizi erogati dal Servizio sanitario nazionale.
  Per quanto riguarda il personale dipendente e convenzionato, la spesa annua è pari a 43 miliardi di euro, di cui 36,5 per il personale dipendente e circa 6,5 miliardi per il personale convenzionato. L'aggregato presenta una significativa riduzione della propria dinamica: nel periodo 2000-2006 si registrava un tasso di crescita medio annuo pari al 5,4 per cento; nel periodo 2006-2010 esso è stato pari all'1,4; nell'ultimo periodo 2010-2012 si è registrata una diminuzione in valore assoluto pari a meno 2,1 per cento.Pag. 6
  Tali andamenti rappresentano un segnale evidente dei risultati dell'azione di razionalizzazione dei costi effettuata nel settore sanitario, in particolare nelle regioni sottoposte ai piani di rientro; azione ancor più significativa in considerazione del fatto che tale rallentamento della dinamica non è stato influenzato da misure straordinarie, quali, ad esempio, quelle che hanno avuto applicazione a partire dal 2010, ovvero il congelamento dei rinnovi contrattuali.
  Tra i fattori principali che hanno determinato il rallentamento della spesa vi sono le disposizioni vigenti relative alla corretta contabilizzazione degli oneri contrattuali, che prevedono che le regioni siano comunque tenute ad accantonare annualmente, nei propri bilanci, gli eventuali oneri connessi ai rinnovi contrattuali, indipendentemente dalla circostanza che il contratto venga sottoscritto. Tale previsione normativa, verificata puntualmente dal competente tavolo tecnico, ha progressivamente fatto venire meno l'aspettativa regionale di ripiano ex post, da parte dello Stato, degli oneri arretrati.
  L'onorevole Palese ricorderà che le regioni riuscivano a incrementare il livello del finanziamento, non accantonando le somme. Non appena arrivava la scadenza contrattuale sapevano che c'era una regola aurea, quella dell'aspettativa del ripiano dei disavanzi, e quindi alla sottoscrizione del contratto si doveva nuovamente finanziare una spesa che era già stata finanziata. Obbligando le regioni all'accantonamento, noi verifichiamo che le risorse siano già scontate contabilmente al momento della firma dei contratti.
  Sul rallentamento della spesa hanno influito, inoltre, il blocco del turnover, attuato e monitorato in particolare nelle regioni sottoposte a piano di rientro, e l'adozione da parte delle regioni e delle aziende sanitarie di provvedimenti di corretta quantificazione dei fondi della contrattazione integrativa, coerenti con la riduzione del personale, nei termini previsti dalla vigente legislazione nazionale. Quel che accadeva – lo abbiamo riscontrato soprattutto nelle regioni del Sud sottoposte ai piani di rientro – era che al verificarsi del pensionamento del personale, le risorse della contrattazione integrativa restavano in eredità al personale rimasto in servizio, quindi il fondo non veniva diminuito; di conseguenza, il personale che restava in servizio poteva disporre anche delle risorse del personale dipendente andato in pensione. Su questo, però, nell'ambito dei piani di rientro siamo intervenuti in maniera puntuale e ciò ha contribuito alla riduzione della dinamica di questa spesa.
  A partire dal 2010, interviene il blocco delle procedure contrattuali relativo al biennio economico 2010-2012, nonché la previsione di un limite al riconoscimento degli incrementi retributivi al personale dipendente che non può eccedere il livello vigente del 2010, fatto salvo il riconoscimento dell'indennità di vacanza contrattuale. Tale misura si applica anche al personale convenzionato con il Servizio sanitario nazionale. Questa è stata la misura che, chiaramente, ha concorso al rallentamento della spesa, soprattutto in quest'ultima fase.
  Per quanto riguarda le prestazioni erogate da privati accreditati, la spesa annua è pari a circa 23,5 miliardi di euro. L'aggregato comprende gli acquisti di prestazioni ospedaliere, riabilitative, integrative, protesiche, psichiatriche e altre prestazioni da operatori privati, in convenzione con il servizio sanitario. Circa le dinamiche della spesa, si passa da un incremento medio annuo dell'8 per cento, nel periodo 2000-2006, a un incremento medio annuo del 3,7 per cento, nel periodo 2006-2010, per arrivare, nel periodo 2010-2012, a un'ulteriore riduzione della spesa per altre prestazioni da privato, con un tasso di crescita medio annuo pari allo 0,6 per cento.
  Qual è stata la leva che ha consentito questa riduzione ? Anzitutto un miglioramento della regolamentazione, in particolare nelle regioni sottoposte ai piani di rientro, dei volumi di spesa per prestazioni sanitarie acquistate da operatori privati accreditati – i cosiddetti «tetti» – realizzato Pag. 7attraverso la definizione di tetti di spesa e l'attribuzione di budget, con il perfezionamento dei relativi contratti in tempi coerenti con la programmazione regionale. Quel che accadeva precedentemente era che non venissero fissati i tetti, o venissero fissati con ritardo, per cui le regioni erano obbligate a pagare quanto veniva rendicontato o richiesto dalla struttura privata, anche per il tramite di un'aggressiva attività giudiziaria. Migliorando la strumentazione della programmazione, quindi di budget, si è avuto un deciso miglioramento.
  Una leva ulteriore di riduzione è venuta dalle modifiche intervenute nella recente legislazione, laddove si prevede che la mancata sottoscrizione dei contratti da parte degli erogatori privati può essere causa di revoca dell'accreditamento da parte della regione.
  Il decreto-legge n. 95 del 2012 – e siamo all'attualità – ha introdotto una manovra di contenimento della spesa, prevedendo che per gli anni 2012 e 2013 e a decorrere dal 2014, a tutti i singoli contratti e accordi stipulati con gli erogatori privati per prestazioni di assistenza specialistica e ambulatoriale, sia applicata una riduzione in modo tale che la spesa complessiva sia inferiore a quella raggiunta per l'anno 2011 di una percentuale rispettivamente pari a 0,5, 1 e 2 per cento. Quindi è ancora in corso di attuazione nel 2013, ed è programmata anche nel 2014, una manovra in questo settore.
  In ogni caso, va detto che il settore in questione è interessato da un rilevante contenzioso, in particolare sull'applicazione delle tariffe che le aziende sanitarie riconoscono alle strutture accreditate. Nello specifico, numerosi ricorsi si sono già registrati sul decreto MEF-Salute 18 ottobre 2012, di fissazione delle tariffe.
  La voce relativa a beni e servizi è la più dibattuta e più delicata e anche quella rispetto alla quale vi sono già delle manovre in corso d'applicazione e altre programmate per il prossimo anno. La spesa annua, al netto di farmaci ospedalieri, è pari a 21 miliardi di euro. Circa la dinamica, si passa da un incremento medio annuo del 7,6 per cento nel periodo 2000-2006, a un incremento del 4,4 per cento nel periodo 2006-2010, ulteriormente ridotta al 2,8 per cento nel periodo 2010-2012.
  Questo è l'aggregato di spesa per il quale sono previste nella legislazione vigente le più rilevanti e ambiziose manovre di contenimento. Durante il 2011, infatti, è stata prevista una manovra di riduzione della spesa con effetto valutato pari a 1,5 miliardi di euro nell'anno 2013 e 1,8 miliardi di euro a decorrere dal 2014.
  Al fine di conseguire il predetto contenimento della spesa, la norma (articolo 17, comma 1, del decreto-legge n. 98 del 2011) ha stabilito che l'Osservatorio dei contratti pubblici fornisca alle regioni, a partire dal primo luglio 2012, un'elaborazione dei prezzi di riferimento, sulla base dei prezzi effettivamente praticati e rilevati, alle condizioni di maggiore efficienza dei beni, delle prestazioni e dei servizi sanitari e non sanitari, selezionati dall'Age.Na.S. (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) tra quelli di maggior impatto in termini di costo a carico del Servizio sanitario nazionale.
  Questa rilevante manovra, di circa 1,5 e 2 miliardi di euro, come abbiamo detto, era già stata programmata. Nell'anno 2012, con il decreto-legge n. 95 e con la legge di stabilità 2013, sono stati previsti ulteriori risparmi nel settore, per un effetto complessivo, inclusi i citati risparmi conseguenti all'applicazione del decreto-legge n. 98 del 2011, pari a circa 3 miliardi di euro, quindi raddoppiato, per il 2013, e pari a circa 3,8 miliardi -in sostanza quasi 4 miliardi di euro a regime – a decorrere dall'anno 2014. In sintesi, prima ancora di una verifica sul conseguimento degli effetti del decreto-legge n. 98 del 2011, è stato stabilito, di fatto, un raddoppio della manovra, per giunta, direi, istantaneamente. Su una spesa di 21 miliardi di euro, si tratta quindi di circa il 20 per cento, e sfido chiunque a organizzare Pag. 8un'attività industriale con un'improvvisa riduzione del 20 per cento dei fattori produttivi.
  Per consentire il raggiungimento istantaneo di un obiettivo finanziario tanto ambizioso, anche in relazione alle novità dello strumento dei prezzi di riferimento e dei tempi tecnici occorrenti per una completa e costante rilevazione dei prezzi da parte dell'Osservatorio, il decreto-legge n. 95, ha introdotto, tra l'altro, l'obbligo per le aziende sanitarie di rinegoziare il prezzo dei beni sui contratti già in essere, qualora il medesimo prezzo ecceda del 20 per cento il prezzo di riferimento indicato dall'Osservatorio, e il diritto per le stesse aziende di recedere dal contratto qualora il fornitore non si adegui al prezzo di riferimento.
  In tali termini, l'originaria normativa si è evoluta e il prezzo di riferimento ha cessato di essere esclusivamente lo strumento operativo di controllo e di razionalizzazione della spesa o di convincimento, dal centro verso le regioni, a comportarsi correttamente sul piano programmatorio e gestionale, trasformandosi, con riferimento ai contratti già stipulati e in corso, in una sorta di prezzo imposto. Questo è stato aggredito in sede giudiziaria.
  Tale evoluzione normativa, sebbene destinata a essere operativa solo nel breve e medio periodo, ovvero per il tempo di esaurimento dei contratti già in essere, in attesa che nuovi contratti vengano stipulati, tenendo conto di tali prezzi di riferimento, è stata eccepita in sede giudiziaria, con più ricorsi presso il TAR Lazio, presentati da vari fornitori, i quali hanno lamentato un difetto nel procedimento di determinazione dei prezzi di riferimento, consistente nell'individuazione di categorie di beni generali non sufficientemente dettagliate per tener conto di eventuali specificità.
  Si è indebolita, potremmo dire, la capacità di aggressione della manovra, a causa della pretesa istantaneità con la quale si propone di raggiungere dei risultati che, invece, dovrebbero essere perseguiti in maniera graduale e programmata. In ogni caso, questa strumentazione presso l'Osservatorio si sta sviluppando e sta migliorando ulteriormente.
  Al fine di conseguire gli obiettivi di risparmio programmati, l'Osservatorio sta procedendo alla seconda rilevazione dei prezzi, che rappresenta la naturale evoluzione della prima esperienza. In particolare, con la rilevazione dell'anno 2013 si prevede di: individuare un paniere di beni e servizi incrementato di circa il 50 per cento rispetto a quelli censiti nel 2012, al fine di mettere a disposizione delle regioni un insieme di prezzi di riferimento più ampio e articolato; passare dalla rilevazione campionaria del 2012, che ha riguardato 66 aziende sanitarie e centrali di acquisto, alla rilevazione totale (è questa la cosa più significativa), richiedendo quindi informazioni a tutte le aziende sanitarie e alle centrali di committenza, pari a 283 unità; integrare la rilevazione dell'anno 2012 con la richiesta di nuovi elementi informativi (la procedura di scelta del contraente, il criterio di scelta, eventuali servizi aggiuntivi inclusi nel prezzo), al fine di procedere più puntualmente alla determinazione dei prezzi di riferimento. Tutto ciò, inoltre, si sta costruendo informaticamente, con puntuali e rapide capacità di analisi e conoscenza.
  Passiamo ora alla spesa farmaceutica, che è pari a circa 17 miliardi di euro, di cui 9 miliardi per i farmaci erogati da farmacie convenzionate e 8 miliardi per i farmaci acquistati direttamente dalle aziende ospedaliere e dalle ASL.
  Il primo sottoaggregato – farmaceutica convenzionata – è soggetto, da oltre un decennio, a numerosi interventi regolatori a livello centrale. In particolare, sono stati previsti tetti di spesa, superati i quali le aziende produttrici, i farmacisti e i grossisti sono chiamati a restituire alle regioni pro quota l'eccesso di spesa, il cosiddetto «pay back». Col sistema di tessera sanitaria – anche questo è uno strumento potente, un progetto che nasce nell'ambito della Ragioneria generale dello Stato, che dà delle informazioni puntuali e ad horas, potremmo dire, sul Pag. 9rapporto tra medico, paziente, farmacie e laboratori – sono stati potenziati e messi a disposizione delle regioni gli strumenti di monitoraggio e controllo della spesa, che allo stato consentono verifiche puntuali sul consumo dei farmaci anche per singolo medico e singolo assistito. Sono state introdotte trattenute a carico dei farmacisti e delle industrie. Infine, si registra negli ultimi anni una costante diminuzione del prezzo medio dei farmaci in relazione alla scadenza brevettuale di taluni medicinali e la conseguente immissione in commercio di farmaci generici con prezzo inferiore.
  L'insieme di tali fattori ha comportato una rilevante riduzione dell'aggregato di spesa, già nel periodo 2006-2010, al – 3 per cento medio annuo, fino ad arrivare all'8,5 per cento medio nel periodo 2010-2012. Pertanto, in valore assoluto, la spesa dell'anno 2012 risulta inferiore di circa 2,5 miliardi di euro rispetto a quella dell'anno 2001. Ciononostante, per l'anno 2013 è prevista un'ulteriore manovra nel settore, pari a circa 1,5 miliardi di euro, da conseguirsi mediante la riduzione del tetto di spesa.
  Il secondo sottoaggregato, quello dei farmaci ospedalieri, viceversa, negli anni scorsi ha avuto un trend di crescita significativo, superiore al 12 per cento medio annuo nel periodo 2006-2010, notevolmente ridotto nell'ultimo biennio a circa il 4 per cento. Ciò è avvenuto in quanto questo settore risente dell'immissione in commercio di farmaci innovativi e quindi molto costosi, ad esempio i farmaci oncologici. Sulla base della legislazione vigente, fino all'anno 2012, il superamento del tetto di spesa prevista nel settore, al contrario di quanto previsto per la farmaceutica convenzionata, non comportava sanzioni a carico delle aziende produttrici. Dal 2013, invece, anche alla spesa ospedaliera si applica il meccanismo del pay back, sebbene solo con riferimento al 50 per cento dell'eventuale superamento del tetto.
  Riguardo alle misure di compartecipazione a carico dei cittadini, la vigente legislazione nazionale prevede, per le prestazioni di assistenza specialistica, l'applicazione di un ticket, pari al valore della prestazione, fino a un massimo di 36,15 euro. Sono previste ampie categorie di esenzione, per patologia e per reddito, tant’è – e qui dobbiamo rilevare questa circostanza particolare – che circa il 70 per cento delle prestazioni viene fruito da parte di assistiti esenti. I ticket pertanto sono pagati dal restante 30 per cento della popolazione, che risulta non esente. È previsto, inoltre, un ticket in quota fissa aggiuntiva rispetto al precedente, pari a 10 euro per ricetta. Con riferimento a tale quota fissa, si dispone che le regioni possano adottare misure alternative, come già praticato in molte regioni, purché il gettito sia equivalente. Per l'assistenza farmaceutica, l'eventuale applicazione di un ticket è demandata alle regioni; la maggior parte delle regioni lo applica, generalmente di importo pari a 2 euro per ogni farmaco a carico del servizio sanitario. Anche in questo caso sono state previste dalle regioni ampie categorie di cittadini esenti.
  Il gettito complessivo dei predetti ticket è pari a circa 3 miliardi di euro, di cui 2,3 miliardi per l'assistenza specialistica e 0,6 miliardi per l'assistenza farmaceutica. Al riguardo, il 16 luglio è stata emessa la sentenza di cui vi ho già parlato.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Massicci. Credo che la relazione abbia offerto diversi spunti per gli interventi. Ribadisco, per i colleghi che sono arrivati con qualche minuto di ritardo, che per cercare di ottimizzare le risposte del dottor Massicci abbiamo stabilito di svolgere un primo giro di interventi, prevedendone uno per gruppo per ciascuna delle due Commissioni, fornendo così il tempo necessario al dottor Massicci per rispondere, per poi attivare, eventualmente, un secondo giro di interventi che possa consentire l'arricchimento delle domande.
  Do, quindi, la parola ai deputati che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  DONATA LENZI. Ringrazio il dottor Massicci per la relazione. Le dico in Pag. 10premessa che non invidio chi è stato chiamato a fare questo lavoro puntuale di intervento sui conti di ogni singola regione, soprattutto per quello che ha riguardato i piani di rientro. Le chiedo, quindi, di non accogliere le osservazioni che farò come una mancanza di stima. Tuttavia, lo scopo che ci siamo proposti con questa indagine conoscitiva, che erroneamente viene raccontata come «sostenibilità del sistema», in realtà è «sostenibilità del sistema e tutela della salute», che riassume gli ambiti di competenza e l'ottica delle due Commissioni riunite, bilancio e affari sociali.
  Noi abbiamo già individuato in premessa alcuni punti, dunque ora mi atterrò alle questioni che sono emerse e sulle quali mi piacerebbe avere il suo parere. Faccio una premessa generale: personalmente e come forza politica noi siamo convinti che il sistema sanitario nazionale universale sia una grande conquista e che nel suo complesso, paragonato al costo di altri sistemi universalistici, quello italiano, rapportato al PIL, sia nella media – anzi, forse ormai un po’ sotto la media – dal punto di vista del finanziamento. Il nostro sistema è ancora considerato uno dei migliori anche se, tanto dall'indagine che stiamo compiendo quanto dalle esperienze di tutti noi che in qualche modo ce ne occupiamo, sappiamo che si tratta di una media, perché in realtà la situazione in Italia è estremamente diversificata.
  Il primo punto riguarda i piani di rientro. Nella sua relazione, lei ha giustamente parlato di piani industriali – in due occasioni – e di efficienza ed efficacia. Mi permetta, però, di dissentire sul fatto che siano stati rispettati i LEA, perché dall'indagine che abbiamo svolto, nonché dalla prima indagine sull'applicazione dei LEA effettuata dal Ministero della salute sui dati raccolti su base volontaria, non sembrerebbe essere così.
  Ho qui un elenco che dimostra come le regioni ultime in graduatoria – Calabria, Campania, Lazio, Molise, Abruzzo, Puglia, Sicilia e Piemonte – corrispondano alle regioni in piano di rientro. In altre parole, i LEA risultano meno rispettati nelle regioni nelle quali ci sono anche difficoltà finanziarie.
  Personalmente sono convinta che questo dipenda dalla necessità di cambiare la struttura dell'offerta per ottenere miglioramenti significativi. Indipendentemente da questo, però, mi permetto di notare che se fossi un'industria con dei debiti e, una volta arrivato il risanamento, fossi costretta a chiudere, smettendo di produrre, non direi che ho risanato bensì che ho chiuso.
  Il nostro problema è quali indicazioni e quale percorso seguire per avere dei piani di rientro che non incidano, oltre che sulle tasche dei cittadini perché comportano un aumento delle varie addizionali, in particolare dell'IRPEF, anche sull'applicazione dei LEA. Da questo punto di vista, quando nel DEF si legge la parola «selettività», devo dirle onestamente che spero che non ci si sia intesi e che si volesse invece scrivere «appropriatezza». La selettività applicata al Servizio sanitario può voler dire che si tiene fuori una parte della popolazione, come attualmente avviene: in base ai dati del Censis – indagine del 2012 – 9 milioni di persone hanno scelto il privato, mentre 2 milioni di persone hanno rinunciato alle prestazioni, poiché non in grado di sostenerle. Non credo, però, che noi ragioniamo di questo tipo di selettività. Diversamente, dobbiamo fare un ragionamento di appropriatezza della prestazione, che è però un concetto diverso.
  Per quanto riguarda i beni e servizi, l'indagine della FIASO (Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere) registra una riduzione del 2,2 per cento, ma può darsi che fossero dati non ancora aggiornati. Lei ha insistito molto sull'Osservatorio, ossia sulla costituzione di un listino con prezzi medi. Ricordo però che l'articolo 15 del decreto-legge n. 95 del 2012 disponeva un taglio sui costi dei beni e servizi, praticamente lineare, del 5 per cento, diventato poi il 10 per cento con la legge di stabilità dello stesso anno.Pag. 11
  Quell'operazione ha ucciso gli onesti, in quanto l'azienda onesta non aveva margine e il gestore – l'azienda sanitaria o l'entità accorpata di acquisto – che si è comportato correttamente aveva già spuntato il prezzo migliore. Dove invece c'era del margine, stanno benissimo e può darsi che abbiano ancora quel margine. Noi discutemmo a suo tempo con il commissario Bondi e lui stesso ammise la natura un po’ tranchant dell'operazione, praticamente un taglio lineare. Ecco, mi auguro che non si torni su questa strada, mentre quella del benchmarking, magari tra aziende o per centrali d'acquisto, è forse la strada migliore da percorrere.
  Lascio da parte l'effetto che questa operazione ha avuto su uno dei sistemi industriali trainanti di tutte le economie moderne, che è quello della ricerca nel settore del biomedicale largamente inteso, di cui la farmaceutica è una parte. In altri Paesi, a questi settori si è dato spazio e si è investito.
  Ultimo tema è quello dei ticket, che rappresentano sostanzialmente una tassa sul malato, se la prestazione sanitaria è appropriata. Se, come medico, dispongo un'indagine ovvero sottopongo il paziente a una visita medico-diagnostica, dovrei farlo in maniera appropriata, non genericamente perché il paziente sostiene di avvertire un malessere. Se la prestazione è appropriata, si tratta di una tassa su un malato.
  Di per sé, quando questa tassa è nata aveva il senso di scoraggiare il consumismo sanitario, ponendo termine alla fase del «tutto è gratuito» e facendo capire il valore di un bene da usare in maniera corretta. Tuttavia, nel momento in cui una prestazione costa, come minimo, 36 euro e si ha poi la possibilità di trovare la stessa prestazione sul mercato della sanità totalmente privata, in nome delle politiche low cost, allo stesso costo, quando non inferiore, e magari con tempi di attesa molto più ridotti, si pone il sistema sanitario, su cui peraltro rimane il carico dei costi fissi, in una condizione di svantaggio.
  Ci sono settori che sono, ormai, quasi fuori dal sistema, come tutta l'odontoiatria, ma ci sono pezzi che non possiamo permetterci di perdere. Non esiste ospedale o rete ospedaliera, su base provinciale o sub-provinciale, che non abbia bisogno di avere almeno un laboratorio di analisi: se quel laboratorio può lavorare anche per una domanda del singolo, potrebbe garantire almeno un minimo di entrata, ma se l'esame del sangue costa 10 euro dal privato – come ho potuto verificare ieri – e 35 con il sistema sanitario – a seconda del numero di richieste presenti nella ricetta – inevitabilmente si determina uno spostamento rilevante di utenza, che non può non avere effetti sul sistema.
  Con senso di responsabilità, quindi, nella discussione che stiamo facendo sui ticket abbiamo provato a ragionare su quale potrebbe essere lo sviluppo, anche dal punto di vista di una revisione complessiva, a questo punto, dello strumento. Penso, per esempio, all'utilizzo dell'ISEE per determinare le graduatorie di reddito e i limiti di reddito, ma forse una riflessione più ampia dovrebbe riguardare lo strumento stesso, per vedere se esistono altre strade percorribili.
  Queste sono, sostanzialmente, le osservazioni scaturite in questi ultimi mesi, grazie anche all'indagine conoscitiva che stiamo conducendo.

  PRESIDENTE. Dottor Massicci, vorrei integrare brevemente le considerazioni svolte dalla collega Lenzi. Le chiedo: quali sono gli indicatori che le permettono di dire che non è stato intaccato il livello delle prestazioni ? La sensazione che abbiamo avuto, attraverso le audizioni precedenti, è che la contrazione della spesa registrata tra il 2010 e il 2012, anche in valori assoluti, sia stata pagata dal livello qualitativo delle prestazioni erogate.
  Vorremmo pertanto sapere quali sono gli indicatori che vi consentono invece di sostenere che il livello delle prestazioni non sembrerebbe intaccato.
  La seconda è una valutazione in relazione a una nota che ci hanno fatto avere, Pag. 12quando sono venute in audizione, le regioni, che hanno calcolato dal 2010 al 2015 una riduzione complessiva del Fondo sanitario nazionale che, tra mancato incremento e riduzione reale, ammonterebbe a 31 miliardi di euro in valori assoluti. Noi vorremmo capire se c’è una ragionevolezza nel dato che ci è stato esposto.

  ROCCO PALESE. Ringrazio il dottor Francesco Massicci per l'ampia relazione e i riferimenti storici che sono stati richiamati. Nel 2001 noi stavamo su un altro fronte, cioè quello della rappresentanza regionale, con tanti colleghi, qualcuno dei quali è venuto in audizione, come l'attuale presidente dell'AGE.NA.S. Giovanni Bissoni.
  Si è passati dal sistema degli «a piè di lista» e dei ripiani dello Stato al sistema attuale caratterizzato da numerose novità, dall'AIFA alla tessera sanitaria. Noi riteniamo che l'accesso universalistico sia una delle più grandi conquiste di questo Paese. Tuttavia, l'accesso universalistico ci mette davanti a un fronte: gli articoli 81 e 32 della Costituzione.
  Una delle riforme sostanziali per attuare questi due articoli è venuta con il decreto legislativo n. 229 del 1999, il cosiddetto «decreto Bindi», che per la prima volta ha affrontato, a livello di ordinamento, anche il tema del finanziamento del Servizio sanitario nazionale, da un lato mantenendo l'accesso universalistico, dall'altro stabilendo che il finanziamento dello stesso Servizio e delle prestazioni è assicurato dalla finanza pubblica, per la stragrande maggioranza, e da una compartecipazione da parte dei cittadini. Questa è la situazione sugli articoli 81 e 32.
  Sentiamo lamentele a non finire da parte delle regioni rispetto a un sogno, che è l'ipotetico fabbisogno su cui si calcolano i 34 miliardi di euro. Per assicurare l'accesso universalistico noi avremmo bisogno del mondo. Anche l'America ha bisogno del mondo, come leggiamo in questi giorni. Tuttavia, le risorse pubbliche sono quelle, anzi, a mio avviso, in base a quello che è emerso, sono anche troppe rispetto ai servizi e alle prestazioni erogate.
  Infatti noi abbiamo i 110 miliardi di finanza pubblica, più il 20-25 per cento – a seconda delle situazioni – di ulteriori risorse che i cittadini mettono cash per pagare le prestazioni, low cost o meno, come i colleghi mettevano in evidenza. Inoltre ci sono le addizionali, di cui qui non si tiene conto, rispetto a regioni mal gestite in tutti i sensi.
  Il contesto sostanzialmente è questo. Siccome il problema è la governance e l'invasione della politica e delle clientele, quello è lo spazio che noi abbiamo. Non abbiamo altri spazi per assicurare la qualità, per evitare disavanzi, piani di rientro e tutte queste situazioni. Il margine è enorme, e ce lo dicono sia i dati sui beni e servizi sia i dati sulla farmaceutica.
  Quando dal piè di lista di oltre 18 mila miliardi di vecchie lire, nel periodo in cui Veronesi era Ministro della salute, la spesa per la farmaceutica convenzionata è scesa a 10 mila miliardi di vecchie lire, non per questo è aumentata la morbilità o la mortalità del Paese, né sono diminuite le prestazioni e la qualità.
  Davanti a una situazione del genere, senza dubbio acquista importanza l'aspetto dei controlli ai fini proprio della governance, non dico in tutte, ma in diverse regioni, visto che lo Stato disegna la cornice generale e i LEA, ma la gestione spetta all'autonomia delle regioni. In base all'esperienza, considerate peraltro la pluralità dei centri decisionali nel contesto della sanità e le numerose differenze tra i 21 sistemi sanitari, ma anche all'interno delle stesse ASL, vorrei sapere se, a vostro parere, oltre al decreto legislativo n. 118 del 2011, c’è qualcos'altro che potremmo fare rispetto ai controlli. Siamo solo a 66 su 284.
  Prima si raggiunge l'uniformità del controllo a livello di informazioni e prima si riesce a capire. Se c’è una cosa che i piani di rientro hanno fatto è stata permettere di capire e indicare alle regioni dove dovevano intervenire.Pag. 13
  Che tipo di controlli dovremmo fare ? Condivido molto quello che la collega Lenzi diceva poco fa. I piani di rientro sono stati una misura oltremodo straordinaria e felice a difesa dei cittadini e del servizio. Poiché ci sono state regioni oggetto di piani di rientro, come quelli decisi dal Governo Prodi nel 2006, che hanno ricevuto finanziamenti di miliardi e miliardi di euro per poi ritrovarci sempre punto e a capo, era giusto seguire la stessa procedura che l'Unione europea adotta nei confronti degli Stati membri, quando impone loro un piano di rientro per deficit eccessivo, ossia applicare misure d'infrazione che ponessero la regione sotto controllo, così come avviene con la troika.
  Emerge che noi abbiamo avuto un risultato positivo rispetto al controllo della spesa e agli obiettivi raggiunti. Normativamente infatti, quando c’è uno sforamento da parte delle regioni poi c’è l'aumento dell'IRPEF. La situazione è molto secca. È invece un po’ debole, dal punto di vista normativo, la stessa influenza che quelle regioni dovrebbero avere nell'assicurare i LEA all'assistenza. Su questo io sono totalmente d'accordo.
  In effetti, mentre per beni e servizi, così come per le clientele, le regioni in piano di rientro hanno continuato a «sguazzare», per il personale e per la farmaceutica è stato posto un divieto assoluto. Alla fine hanno preferito tagliare i servizi e le prestazioni, e conservare tutto quel marcio che c'era da conservare.
  Molte regioni hanno adottato delibere in cui affermavano di aver smontato un reparto, o di aver fatto questo o quell'intervento in un ospedale, però nei fatti i costi continuano a essere sostenuti. Non so quanto possa essere considerato utile intervenire dal punto di vista normativo anche con un controllo diretto sull'assistenza in riferimento a questo.
  Ho concluso ed attendo in proposito la valutazione del dottor Massicci.

  PRESIDENTE. Soltanto per una questione di economia, per consentirci di aumentare il numero delle domande che potremmo rivolgere al dottor Massicci, chiedo ai colleghi di concentrare sulla domanda i loro rispettivi interventi.

  MAINO MARCHI. Da anni si dice che il Ministero della salute ha predisposto nuovi LEA, che vengono bloccati dal Ministero dell'economia e delle finanze perché determinerebbero un aumento dei costi.
  Tra l'altro abbiamo avuto anche la cosiddetta «legge Balduzzi», che ha previsto interventi per la ludopatia. Possiamo essere in grado di avere una conoscenza di quale sarebbe questa differenza di costi qualora si introducessero i nuovi LEA, che fino ad oggi sono stati proposti o previsti dal Ministro della salute ?
  In secondo luogo, noi parliamo spesso di costi e di fabbisogni standard. Sta di fatto che nel nostro sistema di finanziamento, previsto anche dalla legge sul federalismo fiscale, prima si determinano quante risorse si mettono a disposizione della sanità e poi queste si dividono tra le regioni sulla base della popolazione e di alcuni altri criteri. Questo andrà avanti almeno per diversi anni ancora.
  Dopodiché il tema vero, per verificare se quei soldi sono spesi bene, è l'appropriatezza delle prestazioni, anche per capire se effettivamente si inseriscono in questo settore, come pure avviene, speculazioni e, in certe regioni, anche la malavita, che producono disservizi e quindi un cattivo uso delle risorse. Da parte del Ministero e delle regioni c’è un qualche quadro per capire fino a che punto c’è l'appropriatezza delle prestazioni del sistema, in quali regioni c’è maggiormente e in quali meno, in quali settori è più presente o in quali meno ?
  Arrivo alla terza questione. Il nostro è uno dei sistemi sanitari migliori al mondo, però al proprio interno è estremamente differenziato tra regione e regione. Io ho fatto questa domanda alle regioni, che non mi hanno risposto. La faccio anche a lei: da qualche parte c’è un piano, un'idea di come andare a ridurre questo gap e con quali modalità ? Io non credo che si possa ridurre semplicemente con gli strumenti di Pag. 14bilancio e i tagli; occorrerebbero anche degli investimenti, per rendere più efficace il sistema.
  Nella mia regione, l'Emilia-Romagna, ho visto che a volte, al fine di migliorare il sistema, per chiudere quattro ospedali bisogna prima costruirne uno nuovo, e quindi ci vogliono i soldi per investire.
  C’è qualche idea tra Ministero dell'economia e delle finanze, Ministero della salute e regioni per superare questa differenza storica che comunque continua a rimanere ?
  Se ho capito bene – è la quarta questione – se noi non facciamo nulla nella legge di stabilità, il finanziamento per la sanità avrà comunque già i 2 miliardi in più perché, in sostanza, non scattano i nuovi ticket. Chiedo conferma se basta non fare nulla, o se invece bisogna fare qualcosa nella legge di stabilità, per avere questo risultato.
  La quinta ed ultima questione riguarda la sostenibilità. Nel corso delle ultime audizioni, una delle proposte fondamentali che ci sono state presentate è l'aumento dello spazio privato, attraverso assicurazioni e altri meccanismi. Ma questo non si ottiene gratis. Ciò può significare che una parte dei cittadini – probabilmente i più ricchi – non contribuisce più al sistema e si arrangia, perché è in grado di farlo, ma si impoverisce il finanziamento del sistema sanitario, che diventerà sempre più un sistema per poveri. L'altra strada può essere quella delle agevolazioni fiscali per chi ottiene prestazioni attraverso le assicurazioni, ma anche questo comporta minori entrate.
  Io faccio una domanda per ribaltare il concetto, almeno teoricamente. Se noi azzerassimo tutte le agevolazioni fiscali per quel che riguarda ticket, prestazioni a pagamento parziale nel pubblico, prestazioni a pagamento nel privato, con agevolazioni e detrazioni fiscali, ed eventualmente – non so se ci siano – anche detrazioni fiscali per le assicurazioni, quante risorse potremmo dirottare ? Non credo che dobbiamo arrivare a questo, ma lo dico teoricamente. Quante risorse potremmo dirottare in più sul sistema pubblico e sulla sua organizzazione ?
  Siccome la sostenibilità non è una questione economica ma è una questione di scelte politiche, bisogna che abbiamo di fronte la possibilità di poter effettuare tali scelte. Noi parliamo spesso solo della spesa diretta, cioè di quanto dà lo Stato alle regioni per finanziare il sistema sanitario, però ci dimentichiamo che c’è anche una spesa indiretta dello Stato, che è quella delle agevolazioni fiscali nel campo sanitario, così come in tanti altri campi. C’è poi la spesa diretta dei cittadini.

  GIUSEPPE DE MITA. Mi rendo conto che questo è un terreno particolarmente scivoloso e quindi è rischioso fermarsi a petizioni di principio; bisognerebbe piuttosto entrare nel dettaglio, anche perché il terreno della spesa del sistema sanitario è la vera linea di frontiera con la quale misuriamo la capacità di intervenire sulla spesa non in termini di tagli lineari, ma riuscendo a comprendere quali sono le voci di costo effettive.
  Tuttavia la mia esperienza di vita mi porta a guardare con dubbio l'approccio che si sta seguendo da alcuni anni a questa parte. La mia esperienza proviene dalla regione Campania. Io ho visto come ci si è approcciati al cosiddetto «piano Zuccatelli». Mi sono trovato in questa singolare condizione personale: ho letto il piano, che in astratto era condivisibile, e l'ho difeso. Quando sono andato poi a misurare la coerenza del piano con le realtà territoriali, mi sono reso conto che esso conteneva petizioni di principio che non corrispondevano alle domande vere. In alcuni casi si misurava l'inappropriatezza di un plesso ospedaliero, ma non si capiva che il problema non era sopprimere l'ospedale e con esso cancellare l'inappropriatezza – sarebbe come il caso di uno che ha la febbre e spacca il termometro – ma capirne le ragioni.
  Mi resta il dubbio che l'intervento che si sta operando mantenga, sia pure involontariamente, elementi di grossolanità che, se non corretti, ci porteranno ad Pag. 15avere un risparmio teorico con una riduzione reale del diritto alla salute dei cittadini.
  Io le evidenzio alcuni punti di contraddizione, che credo riguardino sicuramente la realtà campana, ma forse un po’ tutte le realtà territoriali. Noi stiamo controllando la spesa, in maniera molto seria, però non teniamo conto del fatto che al contenimento della spesa deve corrispondere una riorganizzazione. Se noi chiudiamo un ospedale – poiché l'esigenza non è andare in ospedale, ma è l'organizzazione territoriale – dobbiamo introdurre un criterio di controllo dell'azione dei manager nell'organizzazione del territorio. In tutta la dorsale appenninica da noi sta accadendo che si chiudono gli ospedali, non si organizza il territorio e l'inappropriatezza, che prima riguardava un piccolo ospedale, si sta diffondendo ai grandi ospedali. Non vorrei quindi che, attuando questo criterio, immaginassimo di correggere il problema chiudendo gli ospedali più importanti.
  La seconda riflessione riguarda il personale. Io sento dire da anni – ma non si interviene mai – che si blocca il turnover però, siccome vanno garantite le prestazioni, gli ospedali ricorrono al convenzionamento, che costa molto di più rispetto a uno sblocco del turnover a tempo determinato. Da noi per garantire i livelli di assistenza si convenzionano medici che finiscono il turno alle 8, poi fanno il turno di notte, e costano 2 mila euro al giorno. Che cosa ci vuole a inserire energie fresche, contratti a tempo determinato, giovani e gente motivata ? Credo che anche l'approccio umano garantirebbe una modalità più spedita.
  Si è introdotta la logica del risparmio, però i risparmi realizzati da alcune aziende ospedaliere e da alcune ASL vanno a coprire il buco del deficit che producono altre ASL dello stesso territorio regionale, e non esiste alcun criterio premiale. Noi siamo così a un paradosso: io ho detto infatti al direttore della mia ASL che lui produce deficit, perché realizza un risparmio di spesa che va a premiare Napoli.
  Sullo sblocco del turnover, adesso si ipotizza una soluzione parziale – 15 per cento più 15 per cento – però, se siete così rigorosi nel controllo, verificate anche come il turnover viene sbloccato. Se voi lo sbloccate lasciando la regione libera di decidere, arriveremo al paradosso che si realizzerà in Campania: alcuni più seri prenderanno infermieri, alcuni meno seri prenderanno amministrativi.
  Io mi domando se, in una situazione come quella che stiamo vivendo, per garantire il livello essenziale di assistenza serva un amministrativo o un infermiere.
  Mi rendo conto che non ci si può trincerare dietro petizioni di principio e demagogia, ma non vorrei che noi cadessimo dall'universalismo che ha spalmato la spesa, ingrossando la tutela del diritto alla salute, dentro la quale sono poi finiti la pretesa del piccolo ospedale, l'infermiere che non voleva essere spostato di piano e il medico che voleva diventare primario, a una situazione nella quale adesso tagliamo indiscriminatamente.
  La vera novità è garantire il diritto in astratto a tutti ed allocare la spesa laddove serve. Aiutiamoci, nel dialogo, a correggere queste storture. Il dubbio che mi resta è che su questi punti specifici che si discutono da anni, e per i quali non credo occorra un grande sforzo per agire, noi non interveniamo eppure presentiamo relazioni che ci dicono che stiamo risparmiando.

  ANDREA CECCONI. Vedo con piacere che più o meno tutti gli esponenti dei partiti politici che hanno preso la parola hanno una visione della piacevole sanità, posta a protezione dell'universalismo e volta all'abbattimento della corruzione e dell'incapacità degli amministratori locali di gestire la governance della sanità regionale. Poi però leggo la nota di aggiornamento del DEF 2013 in cui, in poco più di tre paginette molte discorsive, si parla di tutt'altro.
  Come ha già detto la deputata Lenzi, sulla questione dei LEA abbiamo dei forti dubbi anche noi, perché non si parla assolutamente di appropriatezza mentre Pag. 16intravediamo che, benché non si opereranno dei tagli finanziari in termini di stanziamento per la sanità, si faranno comunque dei tagli alle prestazioni ai cittadini.
  Inoltre sottolineo la pericolosità, rispetto all'universalismo che abbiamo conquistato nel corso degli anni, della possibilità di far entrare i privati, sotto forma di assicurazioni o altro all'interno della sanità. Riteniamo che con il privato non esista alcun tipo di risparmio. Ovviamente quando c’è un lucro da parte di un privato – il quale ci deve guadagnare e sicuramente non lo fa a titolo gratuito – i costi possono soltanto essere maggiori.
  In merito alla relazione del dottor Massicci, ho due chiarimenti da chiedere. Nella sua analisi lei dice che dal 2000 al 2006 la spesa sanitaria è aumentata su base annua del 7 per cento, con un forte miglioramento dal 2006 al 2012, con una media annua dell'1,4 per cento. Ciò è avvenuto grazie alle operazioni di governance attuate dai vari Governi, alle leggi di stabilità e alla spending review. Certamente dal punto di vista contabile la governance ha avuto un effetto benefico sulla finanza, dal momento che la riduzione della spesa pubblica sanitaria è stata notevole.
  Tuttavia andando nei territori noi tutti osserviamo che – nonostante quello che si dice sulla carta, ossia che i LEA sono garantiti e che le prestazioni sanitarie per i cittadini sono adeguate – questo non è vero. Nella realtà infatti, molti LEA non sono garantiti, chiudono gli ospedali e così i servizi: quello che è bello sulla carta poi nella realtà non si verifica.
  Vorrei sapere se è stata condotta da parte della Ragioneria generale dello Stato un'analisi di quali sono state le motivazioni che hanno portato a un'esplosione dei costi della sanità dal 2000 al 2006, quindi dopo la riforma del Titolo V e l'ingresso nella moneta unica. Mi pare che, sempre durante le audizioni di quest'indagine conoscitiva, ci sia stato riferito che la spesa sanitaria è esplosa all'inizio del Duemila non a causa dell'aumento d'investimenti in beni e servizi, personale o farmaci, ma per una questione di carattere gestionale.
  Questo è quello che ci è stato riferito. Vorrei dunque sapere se la Ragioneria ha fatto un'analisi delle motivazioni per cui la spesa sanitaria è aumentata tanto nei primi sei anni del Duemila. È chiaro che adesso noi tentiamo di ridurre questa spesa, ma ho l'impressione che stiamo intervenendo non sulle cause che hanno determinato l'aumento dei costi, bensì sul personale, sugli ospedali e sui farmaci.
  Vorrei sapere, ripeto, se la Ragioneria dello Stato ha fatto un'analisi dei dati o se dispone di dati aggiuntivi. Una delle ultimi audizioni che abbiamo fatto è stata quella con la Consip, la centrale d'acquisto del Ministero dell'economia e delle finanze. Non è l'Osservatorio citato dal dottor Massicci, ma è una centrale d'acquisto che non riguarda soltanto il Servizio sanitario nazionale. Io e la mia collega abbiamo poi avuto modo di approfondire i dati con la presidente dalla Consip.
  Pare che il sistema di centralizzazione degli acquisti funzioni bene e determini infatti un risparmio notevole per le casse dello Stato e per le regioni e i comuni che aderiscono alla Consip. Tant’è vero che con la cosiddetta spending review e altre finanziarie dal 2007 in poi era stato determinato che le pubbliche amministrazioni, specialmente quelle sanitarie, dovessero obbligatoriamente acquistare beni e servizi attraverso la centrale di acquisto nazionale, cioè la Consip, o istituire centrali di acquisto regionali attraverso cui procedere agli acquisti centralizzati.
  La realtà nazionale è che alcune regioni funzionano benissimo con le centrali d'acquisto; altre regioni, invece, hanno istituito le centrali d'acquisto soltanto da poche settimane o pochi mesi e sono completamente inefficaci. Esistono in Italia 13 mila centri d'acquisto: ogni comune, ogni provincia, ogni regione, ogni azienda sanitaria, ogni ente acquista dunque i suoi beni e servizi autonomamente, senza passare per la centrale d'acquisto.Pag. 17
  Noi vorremmo sapere se voi immaginate quanto può incidere una centralizzazione totale, cioè non soltanto nazionale, ma anche delle centrali d'acquisto regionali, e soprattutto se ricevete i dati da parte delle regioni, dei comuni, delle province o delle aziende sanitarie con riferimento alla gestione degli acquisti in campo sanitario.
  Riteniamo che ci sia una forte reticenza da parte delle regioni a istituire queste centrali d'acquisto o a fare acquisti centralizzati, perché sappiamo che sui farmaci e sui pagamenti, come ha dimostrato un'analisi svolta dal Governo Monti nella passata legislatura, si insidiano i maggiori fenomeni di corruzione nel settore della sanità.
  A questo proposito, vorrei sapere dalla Ragioneria se esiste un'analisi della misura in cui la corruzione incide dal punto di vista sanitario sui pagamenti e sui farmaci in generale.

  PAOLA BINETTI. Innanzitutto mi scuso di essere arrivata tardi e di aver perso le prime battute. Nella relazione che ho ascoltato, come sempre succede quando una relazione utilizza il linguaggio molto asciutto dei numeri, quello che colpisce, nella sequenza così stringente, sono i tagli costanti e progressivi degli ultimi anni, come se la salute fosse sempre e solo messa in una colonnina dei costi, e non apparisse mai come un valore d'investimento.
  In questo senso, ci sono tre aspetti che colpiscono. Uno evidentemente è quello della prevenzione. Infatti tra i primi costi che si riducono ci sono i costi della prevenzione, che appaiono meno motivati da una richiesta immediata ed urgente. L'altro aspetto è quello dei costi che vanno sotto il profilo della qualità percepita da parte dei pazienti. Non c’è dubbio che i pazienti percepiscono infatti una forte riduzione di qualità, sia in termini di liste d'attesa e di qualità dell'assistenza, quando il servizio preso in considerazione è il servizio ospedaliero, sia in termini complessivi di disorganizzazione e di slabbramento del servizio, quando il servizio che si prende in considerazione è quello territoriale.
  Io ricordo che eravamo qui con molti colleghi l'anno scorso quando si discuteva di questi temi, che i più vecchi di noi hanno sentito riferire tante volte: lo spostamento dell'asse dall'ospedale al territorio, l'organizzazione dei servizi territoriali, l'organizzazione di ambulatori e poli specialistici in cui sia possibile accedere h24. Li potrei citare quasi come una litania, uno dietro l'altro. Tuttavia, non avviene mai che i pazienti trovino davvero efficienti ed efficaci questi servizi.
  Tutti quanti sappiamo, ad esempio, che la riduzione dei tempi di ospedalizzazione, ossia se si riesce ad abbassare il numero di giorni di degenza di un paziente, è uno degli indicatori di qualità. Non voglio citare la lunghezza delle liste, però dico soltanto che adesso il ricovero medio è di quattro giorni e mezzo, e a volte anche meno. Ci sono poi la preospedalizzazione esterna e l'intervento. Tutto questo è vissuto dai pazienti molto spesso con grande ansia. C’è poi un'esposizione alla recidiva e alla ricaduta, soprattutto nel momento della dimissione, che rappresenta costi importanti che raramente vengono presi in considerazione.
  A tutti questi tagli sul sanitario corrisponde un'altra «accetta» che si è abbattuta sul sistema, quella delle spese sociali. In realtà, molte delle richieste che i pazienti che soffrono di patologie croniche o di gravi forme di disabilità pongono al sistema sanitario sono di natura sociale o perlomeno sociosanitaria. Non a caso, nei grandi dibattiti svolti in Commissione, era emersa l'idea di estendere il concetto di LEA ai livelli essenziali di assistenza sociosanitaria, comprensivi anche di questi servizi percepiti dai pazienti come indispensabili.
  Tutto questo, che si tratti di spesa in termini di prevenzione, di costi in termini di qualità dell'assistenza, o per lo meno di quella percepita, di spese relative all'assistenza del paziente cronico, dell'anziano o del disabile grave, non appare. Infatti, tra le nuove «periferie dell'esistenza» – cito un'espressione che è entrata nell'uso di Pag. 18tutti – ci sono gli anziani e i malati cronici, perché sono davvero i soggetti soli e abbandonati.
  Quando ci troviamo a fare dei conti, misuriamo tutto questo soltanto in termini di acquisto di beni materiali. Valga per tutti l'esempio classico del costo della siringa, ma è evidente che questo è semplicemente emblematico del risparmio sui costi e sui beni sensibili. Si ragiona molto meno sulla perdita di questi beni. Mi ricollego all'esempio del collega De Mita a proposito del convenzionamento dei medici e della precarietà cui vengono consegnati i giovani medici. Non si procede a colmare il turnover con una ricostituzione della pianta organica, ma si vive sempre in una condizione di precarietà assoluta. Questo ha molto a che vedere anche con l'instabilità, con l'insicurezza e con l'insoddisfazione del professionista fornitore del servizio, che inevitabilmente trasferisce anche nella relazione una parte del suo malcontento.
  Detto questo, certamente noi chiediamo alla Ragioneria generale dello Stato di fare i conti e di aiutarci a capire i conti. Credo che nella parte della relazione a cui ho potuto assistere lo specchio dei conti abbia una lucidità tale per cui se portassimo la relazione all'uomo della strada, ci direbbe che aveva già percepito che le cose stavano andando così. Peccato che nel dibattito culturale invece si cerchi di trasformare questi tagli in vantaggi e quello che è percepito nettamente come una ferita venga in qualche modo riproposto come una conquista.
  Io mi chiedo fino a che punto noi pensiamo di poter continuare a risparmiare. Mi ha colpito anche l'osservazione riferita ai tagli del 2014, avendo io sentito dire dal ministro che non ci sarebbero stati tagli alla sanità.

  FRANCESCO MASSICCI, Ispettore capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria Generale dello Stato. È già stata deliberata, è una legge.

  PAOLA BINETTI. Capisco. Lei parla di un fatto e io parlo di un'affermazione. Ha ragione. Lei dice che si può affermare quello che si vuole, ma il fatto è questo. Questo è il taglio e questa è la situazione con cui ci troveremo.
  Io mi chiedo però fino a che punto diventano tollerabili questi tagli. Questo forse è il senso più profondo di questo gruppo di lavoro che ha messo insieme per la prima volta – che io sappia – le competenze del mondo della sanità con le competenze del mondo del bilancio, anche per aiutare gli uni e gli altri a prendere coscienza dei problemi da una parte e dall'altra, di cui altrimenti non ci si renderebbe conto.
  Tuttavia, mi chiedo fino a quando, in questa dialettica tra la Commissione bilancio e la Commissione affari sociali, e quindi tra le esigenze della salute e le esigenze amministrative, la logica sarà sempre e solo esclusivamente dettata dal bilancio, e il bene «salute» dovrà essere sempre l'elemento più fragile nella relazione, e quindi anche quello più esposto ad essere costantemente prosciugato, né saprei oramai fino a quale soglia. Prima si parlava infatti di risparmio sugli ospedali fino a chiudere gli ospedali, ma probabilmente, a un certo punto, il risparmio sui malati ci porterà dagli indicatori straordinari dell'Italia, che è uno dei Paesi con il più alto grado di longevità, all'incapacità di sostenere la qualità e le condizioni di vita di questi anziani.

  PRESIDENTE. Sono già stati svolti due interventi per ogni gruppo politico. Tuttavia, se il dottor Massicci, come penso, riuscirà a chiudere in un quarto d'ora, avremo il tempo per un secondo giro di domande.
  Do la parola al dottor Massicci per la replica.

  FRANCESCO MASSICCI, Ispettore capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria Generale dello Stato. Spero di essere esauriente e soprattutto di definire un contesto.
  Espongo nuovamente questa slide, nella quale si ricorda che lo Stato definisce i livelli essenziali di assistenza e Pag. 19garantisce le risorse finanziarie necessarie, in condizioni di efficienza e appropriatezza, alla loro erogazione, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, per spiegarvi il contesto, nonché quale sia il ruolo della Ragioneria generale dello Stato e quale il nostro angolo d'osservazione.
  Quando parliamo di Stato ci riferiamo principalmente a due amministrazioni: Ministero dell'economia e delle finanze e Ministero della salute. È chiaro che si tratta di due distinti angoli d'osservazione: il Ministero dell'economia e delle finanze deve verificare il rispetto dei vincoli di finanza pubblica, a cui siamo tenuti anche a livello europeo; il Ministero della salute invece si preoccupa dei LEA.
  Ci sono poi le regioni, che organizzano rispettivamente i servizi sanitari e ne garantiscono l'erogazione. Come si rapportano le regioni con questi due organi costituzionalmente rilevanti e garantiti ? Lo Stato non si rapporta con un organo parastatale. Se a gestire fosse l'INPS, oppure fosse lo stesso Stato...

  DONATA LENZI. Non avremmo un numero giusto.

  FRANCESCO MASSICCI, Ispettore capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria Generale dello Stato. Ciò che volevo dire è che se mi rapporto con l'INPS, posso impartire delle direttive al direttore, all'amministratore delegato o a chi gestisce; nel momento in cui mi rapporto con le regioni, tutto diventa più sofferente. Le regioni possono non fornire i dati ed abbiamo infatti dovuto approvare delle leggi affinché i dati stessi ci vengano trasmessi.
  Abbiamo dovuto commissariare e abbiamo dovuto stabilire che, in presenza di situazioni di sforamento del 5 per cento, oppure di problemi sul versante dell'erogazione delle prestazioni, le regioni sono tenute a presentare un piano di rientro. C’è quindi un rapporto che non è fluido.
  Soprattutto noi non ci possiamo imporre, perché dobbiamo seguire una procedura costituzionalmente garantita. Dobbiamo dimostrare l'inadeguatezza di quella regione a gestire un'attività o una funzione prevista dalla Costituzione. Quindi dobbiamo costruire un procedimento di contestazione, per esercitare poi un potere sostituivo. Di fatto quello che stiamo esercitando con i piani di rientro è un potere sostitutivo.
  Se capiamo questo contesto, allora capiamo pure il ruolo della Ragioneria, che non è di tipo gestionale. La Ragioneria sta dentro una governance che, sulla base di appositi tavoli tecnici, rivela se una regione è adeguata o meno a gestire questa funzione. La Ragioneria segnala poi tale situazione alla sede politica e quest'ultima decide se si deve fare un accordo o un piano di rientro.
  Voi tutti sapete che le gestioni commissariali non sono semplici e fluide in tutte le regioni e conoscete tutti i problemi che ci sono. In ogni caso lo Stato non sta gestendo direttamente, chi gestisce è qualcun altro.
  Per risolvere questi problemi non basta una norma di legge. Se tutta questa governance ha avuto un esito positivo è perché noi siamo intervenuti nei processi, abbiamo verificato, abbiamo svolto un monitoraggio, abbiamo stimolato, incentivato e, a volte, perfino imposto un determinato comportamento, secondo la regola costituzionale. La Ragioneria stimola a fare una cosa e, se la regione non la fa, la Ragioneria dimostra l'inadeguatezza della regione stessa.
  Voglio dire però una cosa: ritengo che il Servizio sanitario nazionale universale sia un valore e credo che noi l'abbiamo difeso con questa governance, non c’è stato un peggioramento ma sicuramente un miglioramento.
  I miglioramenti sul versante finanziario sicuramente sono stati più rapidi rispetto a quelli sulla qualità delle prestazioni, ma non è vero che la situazione è peggiorata. Io dico che è migliorata. Se in base ai 21 indicatori si fa la graduatoria delle regioni che hanno una performance peggiore rispetto alle altre, è chiaro che ai primi posti ci sono le regioni che conosciamo. Pag. 20Tuttavia, guardiamo il bicchiere mezzo pieno: nel frattempo, dal 2006 in poi queste regioni hanno migliorato, e non peggiorato, in base a questi indicatori. Ciò significa che spendevano tanto e spendevano male; oggi spendono di meno e hanno migliorato. I miglioramenti vanno certamente rafforzati ed accelerati, e su questo convengo con tutti coloro che sono intervenuti.
  Lei mi diceva che ha letto il piano di rientro di Zuccatelli del 2006. Ma secondo lei, prima che si adottasse un piano industriale, la regione sapeva qual era la sua realtà ? La disconosceva. Finalmente poi è stato fatto un piano industriale. Se lo vediamo in un'evoluzione, tutto questo è positivo. Allora cosa dobbiamo fare sul versante della qualità ? Al tavolo tecnico dei LEA devono essere più aggressivi ? Che siano più aggressivi, come lo siamo stati noi sul versante finanziario.
  Voglio dire anche che nella gestione di tutti i piani di rientro noi abbiamo rappresentato una consapevolezza: il modo più subdolo per risparmiare è tagliare sui servizi. In nessun piano di rientro noi abbiamo detto che si devono tagliare i servizi. I miglioramenti devono avvenire sul piano della riorganizzazione dell'offerta ospedaliera e sanitaria e su quello della gestione amministrativa. Vi invito a leggere i piani di rientro e questi piani industriali e a verificare se da qualche parte c’è scritto che per realizzare quell'obiettivo si devono cancellare i servizi. Sarebbe censurato da noi, perché è un modo sbagliato e subdolo di fare le manovre.
  Questo è ciò che ci ha guidato ed è questa la ricchezza dei risultati. Chiaramente se mi si chiede come mai dal 2001 al 2006 c’è stata questa spesa, io rispondo che ciò è avvenuto perché la situazione era fuori controllo, per il motivo che dicevo prima. Noi non gestiamo. Le regioni si comportavano in modo autonomo e presentavano a piè di lista. Con i piani di rientro siamo riusciti ad imbrigliarle, ma abbiamo dovuto dimostrare che loro erano inadeguate a gestire quella funzione. Ad esempio, il Lazio produceva annualmente 2 miliardi di euro di disavanzo – una manovra nazionale – su 8 miliardi di finanziamento. Pensate a cosa significa questo. Si dovrebbero portare i libri al tribunale. Eppure oggi nel Lazio, grazie anche alla compartecipazione dei cittadini che pagano, quel disavanzo si è ridotto a 600-700 milioni di euro annui, quindi abbiamo recuperato 1,3-1,4 miliardi.
  D'altra parte noi paghiamo delle aliquote fiscali che fanno sì che dal 2006 in poi il Servizio sanitario nazionale non ha più prodotto disavanzi, cioè è in equilibrio nel flusso corrente.
  Come dicevamo, l'altra componente, lo Stato, deve essere aggressiva, però la responsabilità è regionale. Se si gestisce male amministrativamente, si gestisce male anche la sanità. In Calabria abbiamo trovato quella che noi chiamiamo la «contabilità omerica». Veniva riportata per trasmissione orale. Era difficile trovare fatture. Oggi invece la Calabria ha una delle migliori contabilità nazionali.
  In Campania, per il blocco del turnover, che agisce orizzontalmente, non vengono a mancare solo gli infermieri, ma anche gli amministrativi. Oggi in ASL come Napoli 1, Napoli 3 e Salerno ci sono centinaia di migliaia di carte contabili da riconciliare. Questa è la realtà. Voi dovete pensare che se migliora la gestione amministrativa, migliora anche la prestazione, perché sono figlie dalla stessa capacità programmatoria.
  Non ritengo che siano stati fatti tagli orizzontali. Noi abbiamo elencato le leve che sono state attivate. Nella sanità non ci sono stati i cosiddetti «tagli lineari». Quando si presenta un piano di rientro, si articola la riorganizzazione. Sul piano di rientro non sono specificati solo i tagli finanziari, ma anche misure di riqualificazione della spesa.
  Fatta questa cornice, provo ora a rispondere alle vostre domande. L'onorevole Lenzi mi chiedeva della qualità. In qualche modo le ho risposto. Ci sono 21 indicatori, in base ai quali si fa una classifica delle regioni. Ci sono chiaramente regioni più sofferenti rispetto alle Pag. 21altre, ma io ho un documento del Ministero della salute che mostra che in questo periodo queste regioni sono migliorate. Devono migliorare ancora. Lo strumento però è sempre il piano di rientro. Si tratta di potenziare la capacità d'intervento, ma non possiamo imporlo noi. Sono le regioni che lo devono fare. Io glielo devo imporre rispettando la Costituzione. Devo valutare se sono adeguate. Se sono inadeguate metto un Commissario, che deve operare serenamente. Vi arriveranno spesso voci che mostrano che le condizioni sono differenti.
  Sui prezzi di riferimento, mi pare che nel mio intervento sono stato chiaro. Quella con l'AVCP – Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture è una grande costruzione. L'abbiamo concepita noi, Ministero dell'economia. Abbiamo trovato finalmente una banca dati, che abbiamo potenziato. Nel tempo, crescerà la sua capacità informativa, con il dettaglio di tutti i prodotti, che si incrementerà ulteriormente. Se io taglio di un miliardo la spesa, perché riscontro che le regioni stanno eccedendo su determinati prodotti, se la regione non risparmia oppure spende di più, la responsabilità è tutta sua. Siamo dentro questo contesto costituzionale.
  Mi si chiedeva se lo strumento d'acquisto deve essere centralizzato. Assolutamente sì. Chi acquista si deve rivolgere alla piattaforma e avere come riferimento il prezzo migliore. Nel rinnovo dei contratti si deve far riferimento a quel prezzo.
  Sugli indicatori del livello di prestazione, credo di aver risposto. Io dico che il livello è migliorato perché esiste una documentazione del Ministero della salute che lo afferma. Non sarà stato grande e con una dimensione pari al miglioramento ottenuto sul piano finanziario, tuttavia un miglioramento c’è. Soprattutto non è vero che i piani di rientro hanno peggiorato le condizioni, tutt'al più le hanno migliorate.
  Mi si chiedeva se c’è stata una riduzione del fondo in questi anni. No, non c’è stata una riduzione del fondo sic et simpliciter. Ogni volta si è sempre attivata una leva per la riduzione. Avete detto che il livello del finanziamento si è ridotto. È vero, ma i costi si sono ridotti altrettanto. Se si decide che lo Stato, per rispettare i vincoli di finanza pubblica, non deve firmare il contratto, neanche per gli statali, compresi quelli che lavorano nella sanità, non ho capito perché alle regioni si devono dare in ogni caso le risorse. Ognuno fa le considerazioni che vuole, però la verità contabile è che non si è ridotto il livello del finanziamento. Ogni volta è stata attivata una leva per consentire quella riduzione.
  Con riguardo al settore farmaceutico, abbiamo fatto sì che si sviluppasse il mercato dei farmaci generici, che in altri Paesi europei era più sviluppato che in Italia. Questo ha consentito di ridurre i costi. Quindi non abbiamo ridotto il finanziamento, ma abbiamo creato le condizioni affinché la farmaceutica costasse di meno. Oggi, con la tessera sanitaria, è possibile seguire ad horas cosa avviene. Infatti, i funzionari regionali sono nella condizione di verificare cosa sta prescrivendo un determinato medico e che percentuali di prescrizioni riguardano i farmaci generici. Ad esempio, si può verificare che in Toscana sia prescritto il 74 per cento di farmaci generici, mentre in Calabria il 40 per cento. È giustificato che in Calabria siano utilizzati farmaci firmati, mentre in Toscana ci si cura altrettanto bene con i farmaci generici ? Questo è quanto è stato realizzato; non abbiamo solamente ridotto.
  Con riguardo al decreto legislativo n. 118 del 2011, ho letto nel programma della vostra indagine conoscitiva che intendete verificare come esso si è sviluppato, in riferimento al miglioramento delle regole contabili e delle rappresentazioni contabili. Innanzitutto, precisiamo che, mentre negli altri settori stanno ancora elaborando i decreti di armonizzazione, la sanità è armonizzata già dal 2000. Siamo arrivati, credo, alla quinta o sesta serie di linee guida. Il decreto legislativo n. 118 del 2011 non è qualcosa calato dall'alto, che ci è stato imposto, ma è il frutto di tutta Pag. 22l'attività di questi anni, perché abbiamo riscontrato i punti che generavano la spesa.
  Con il decreto legislativo n. 118 del 2011 abbiamo rafforzato in particolare due cose. In primo luogo, nell'ambito della tesoreria regionale adesso ci sono due capitoli distinti: uno per la sanità e uno per l’extra sanità. In passato vi era un travaso di fondi, per cui, quando chiedevamo la ricostruzione della situazione della cassa, occorrevano mesi per avere una risposta. Oggi, se c’è un passaggio di una risorsa della sanità verso un altro settore, tale passaggio è tracciato immediatamente.
  Qualcuno sostiene che ci sono stati debiti nella sanità per 14 miliardi di euro. In realtà, si tratta di 14 miliardi di euro di risorse stornate dalla sanità e destinate verso altre funzioni. Economicamente la sanità non ha prodotto disavanzo dal 2006, quindi è in equilibrio, ma questo era ciò che già si verificava. Oggi tutto questo è più chiaro alla luce di quanto disposto dal decreto legislativo n.  118 del 2011.
  Inoltre, in passato esisteva un porto delle nebbie: l'ASL era priva di contabilità, era accentrata presso la regione, pagava fornitori e prendeva contatti con altre strutture. Con il decreto legislativo n. 118 del 2011 quella è diventata la ASL numero «n». In altre parole, tutte le ASL sono tenute a contabilizzare e noi controlliamo i processi. Questo è quanto discende dalle disposizioni di cui al decreto legislativo n. 118 del 2011. Pertanto, non dobbiamo dire se lo stiamo applicando, perché quanto descritto è ciò che è stato generato..
  Posso solo dire che tutto questo è già superato. Sulla casistica prodotta in quest'anno di attività e di ricognizione del decreto legislativo n. 118 del 2011, abbiamo già cambiato delle rappresentazioni contabili. Inoltre, il servizio sanitario nazionale andrà verso la certificabilità. Non basta, cioè, un advisor che viene e mette il timbro, in quanto i processi contabili dovranno essere tracciati affinché siano adeguati per essere certificati.
  Per rispondere all'onorevole Marchi, che sia stato inviato un decreto per quanto riguarda i LEA è storia risaputa, ma stiamo parlando di anni fa, del 2009. Nel frattempo la sanità ha subìto delle manovre imponenti dell'ordine di 8-10 dieci miliardi di euro l'anno. Evidentemente è tutto un altro contesto. Ancora oggi dobbiamo fare sempre i conti con i vincoli di finanza pubblica. Il problema è sempre lo stesso. Ovviamente è una scelta politica.

  MAINO MARCHI. Però si può sapere qual è la differenza ?

  FRANCESCO MASSICCI, Ispettore capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria Generale dello Stato. Mi pare che all'epoca il costo aggiuntivo fu quantificato in 800 milioni di euro.

  DONATA LENZI. Questo è quello «Turco».

  FRANCESCO MASSICCI, Ispettore capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria Generale dello Stato. Mi pare che quello di Balduzzi equivalesse a un centinaio. Attenzione, su questo ci sono sempre lo Stato, il Ministero della salute e le regioni. Da una parte, qualcuno non quantifica o quantifica male. La Ragioneria generale dello Stato ha richiesto una sede di confronto, in cui vi fossero il Ministero della salute, le regioni e noi stessi, ma tale confronto non è mai stato attivato.
  Se la regione dice che il costo non è pari a 100, ma a 50, e ciò è dimostrabile, noi ne prendiamo atto. Tuttavia nessuno ha dato seguito a questa nostra richiesta. Vorremmo mettere intorno al tavolo questi tre componenti, affinché si confrontino. Può darsi che si arrivi a dire che il costo è pari a zero. Credo che le regioni vogliano ulteriori finanziamenti, ma noi, come Ragioneria, non possiamo essere scavalcati.

  DONATA LENZI. Ma non stanno in uno dei dieci tavoli del Patto per la salute...

Pag. 23

  FRANCESCO MASSICCI, Ispettore capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria Generale dello Stato. Quelle sono più che altro assemblee. I tavoli in genere sono più ristretti. Comunque non abbiamo parlato di questo.
  Non so se ho risposto a tutte le domande.

  MAINO MARCHI. Le avevo posto delle domande sull'appropriatezza, sul gap tra le regioni e sulle agevolazioni fiscali.

  FRANCESCO MASSICCI, Ispettore capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria Generale dello Stato. In qualche modo ho risposto quando ho detto che sull'appropriatezza gli indicatori ci sono e un tavolo c’è. Deve essere più aggressivo il tavolo.
  Fate attenzione a non dire che la conseguenza dei piani di rientro è il peggioramento delle prestazioni. Questo non è vero ci sono dei miglioramenti anche su questo fronte. Se un'organizzazione fa 2 miliardi di euro di disavanzo, oppure ha una contabilità omerica, figuriamoci come sarà la sua attività ospedaliera. Quindi, se migliorano il controllo e la capacità di programmazione, migliora tutto.
  Lo strumento deve restare il piano di rientro. Diversamente non si ha la possibilità di decidere, a meno che non si dica che le regioni non governano più la sanità e la responsabilità dello Stato diventa ancora più diretta.

  DONATA LENZI. Ma non esiste alcun livello statale di erogazione dei servizi al cittadino.

  FRANCESCO MASSICCI, Ispettore capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria Generale dello Stato. È di questo che sto parlando. Ho una graduatoria e ho ventuno indicatori.

  PRESIDENTE. Colleghi, se interrompiamo il dottor Massicci diventa difficile comprendersi. Mi sembra di aver capito che il dottor Massicci ha risposto a diversi di noi, dicendo che c’è uno studio del Ministero della salute. Il dottor Massicci ci indicherà come trovarlo nel sito, in modo da renderlo disponibile a tutti, e cercherà di farci capire, attraverso questo studio, che i piani di rientro non hanno inciso sui livelli di erogazione delle prestazioni. Esistono degli indicatori applicati dal Ministero della salute, che io, come forse qualcuno di voi, non conosco nei dettagli. Ne prenderemo visione e cercheremo di capire se c’è quell'omogeneità nell'erogazione dei LEA, di cui lei parla.

  FRANCESCO MASSICCI, Ispettore capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria Generale dello Stato. Vorrei dire soprattutto che il piano di rientro deve contenere il miglioramento della sanità, perché si tratta di una riqualificazione. Ho appena osservato che ci sono tre modi per risolvere il problema sul piano finanziario. Innanzitutto c’è un modo subdolo, che è il taglio dei servizi. Non ho visto un piano di rientro in cui si afferma che si tagliano i servizi per realizzare l'obiettivo.
  Se lo strumento è quello, lì bisogna intervenire. Non è sufficientemente gestito ? Chi, a livello regionale, sta gestendo tutto questo ?
  Non so se ce la faccio a rispondere a tutte le questioni sollevate.

  MAINO MARCHI. E i ticket ?

  FRANCESCO MASSICCI, Ispettore capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria Generale dello Stato. Con riguardo al livello di finanziamento dei ticket – come già abbiamo visto durante la proiezione delle slide – va ricordata una sentenza della Corte costituzionale, secondo cui quella disposizione non esiste più nell'ordinamento. Devo, quindi, trarne le conseguenze. Pertanto, sono peggiorati di 2 miliardi di euro i tendenziali ed è stato incrementato di 2 miliardi di euro il livello del finanziamento. È una conseguenza contabile.

  MAINO MARCHI. (fuori microfono) Quindi sulla legge di stabilità non c’è da fare niente...

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  FRANCESCO MASSICCI, Ispettore capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria Generale dello Stato. La legge di stabilità, nella parte a legislazione vigente, conterrà l'integrazione. Non è che non ci sia da fare niente, ci sarà scritto dei 2 miliardi di euro in più, però non occorre una disposizione diretta di copertura, perché si tratta di un peggioramento che interviene a legislazione vigente.
  Penso di aver risposto soprattutto a chi ha sostenuto che non occorre un grande sforzo per intervenire: un grande sforzo per intervenire occorre, eccome. Tant’è che dobbiamo fare i piani di rientro, se vogliamo intervenire nella regione Campania. Diversamente, come Stato non abbiamo alcuno strumento di intervento. Possiamo verificare che venga presentato un piano di rientro adeguato non solo a risolvere i problemi finanziari, ma anche a migliorare l'offerta sanitaria. Il piano di rientro deve contenere questi aspetti.
  Non basta scrivere una disposizione in una legge statale per risolvere il problema. Non è assolutamente questa la soluzione. Se in Campania ci sono questi problemi e lei mi parla del turnover degli infermieri, so che stiamo esercitando la deroga, poiché la Campania lo ha chiesto e noi abbiamo fatto già delle riunioni e delle verifiche riguardo agli infermieri.
  La Campania ci sta dicendo che il blocco del turnover ha posto grossi problemi anche sul piano amministrativo. Io ci credo, perché ci sono ASL in cui, come ho già detto, si tratta di riconsiderare centinaia di migliaia di fatture, in cui ci sono doppi pagamenti, e non si tratta di questioni di poco conto; ci sono ASL particolarmente problematiche, dove le fatture non vengono più ritrovate. Tutto questo richiede una forte capacità d'intervento.
  Con il piano di rientro abbiamo fatto sì che intervenisse anche l’advisor...

  GIUSEPPE DE MITA. Non si può aumentare la quota di deroga riducendo gli autoconvenzionamenti di medici e infermieri ? Se si autorizza una deroga più ampia del 15 per cento, consentendo alle aziende di non ricorrere al convenzionamento di medici, che costa di più, facendo contratti a tempo determinato di otto mesi...

  FRANCESCO MASSICCI, Ispettore capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria Generale dello Stato. Ai sensi dell'articolo 17, comma-ter, non so nemmeno se sono legittimi.

  GIUSEPPE DE MITA. Sì, ma con i decreti commissariali è come se mi accendessi il semaforo rosso e poi sostenessi di non poter passare. Si fa un decreto commissariale – perché il commissario non è regionale, ma governativo – che autorizza l'ampliamento della deroga sulla quota di autoconvenzionamenti. Così si riduce la spesa.

  PRESIDENTE. Collega De Mita, se iniziamo un ragionamento di questo tipo andiamo fuori registro.

  DONATA LENZI. Purtroppo avevamo previsto una mattinata intera, ma gli eventi...

  PRESIDENTE. Eventi che non dipendono da noi. Comunque sia, al dottor Massicci dovremmo chiedere risposte tecniche; per le risposte di carattere politico, abbiamo interlocutori che successivamente interverranno a cui rivolgerci.

  FRANCESCO MASSICCI, Ispettore capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria Generale dello Stato. Arrivo alle ultime domande. Onorevole Cecconi, credo di averle già in qualche modo risposto nel corso del mio intervento. Chiaramente quello dei LEA è un valore e, se il piano di rientro è anche un piano di riqualificazione, deve contenerli. Diversamente, se si afferma che gli ospedali al di sotto di un certo numero di posti letto, secondo la dottrina o l'evidenza empirica, sono dannosi per la salute, è necessaria una riorganizzazione. Ricordo, però, che Pag. 25un regolamento per il settore ospedaliero è fermo perché non riesce a ottenere l'intesa da parte regionale.
  È una questione complessa, ma spero di essere stato esauriente.

  PRESIDENTE. Lo è stato, grazie.
  Ci sono altre due richieste di intervento, una del collega Gigli, una della collega Biondelli. Se si tratta di domande flash, potremmo approfittare dei dieci minuti che restano.

  GIAN LUIGI GIGLI. Forse bisognava parlare di aziendalizzazione e di criteri di managerialità, ma lasciamo perdere tutto questo, che pure ha a che fare con la spesa.
  Le pongo due brevi domande «della serva», molto facili. La prima riguarda CONSIP. Al riguardo, ho una visione diversa da quella del collega e inviterei la Ragioneria generale dello Stato a valutare se, in termini di risparmio, le procedure CONSIP per le tecnologie sanitarie siano effettivamente un fattore di risparmio e non invece un fattore di spreco. Quando si attiva una pratica che prima di arrivare alla fine impiega spesso tre anni e qualche volta anche di più, di fatto si sta comprando, a prezzi magari ormai anche superati, una tecnologia spesso obsoleta, che si ripone immediatamente dopo l'acquisto.
  Questa è una questione che andrebbe valutata da un'altra ottica.

  DONATA LENZI. (fuori microfono) E se può la compra in Cina.

  GIAN LUIGI GIGLI. Esatto, e qui si pongono altri tipi di problemi, non solo di affidabilità della macchina, ma anche di tenuta di un sistema industriale.
  L'altra questione ha a che fare con i problemi del convenzionamento esterno. Ci sono regioni, per quanto virtuose, come quella da cui provengo, che – per citare un esempio banale – lesinano molto sulle risonanze magnetiche proprie. Basti pensare che in una provincia come Udine ci sono soltanto le risonanze magnetiche dell'ospedale e, per il resto, ci sono dodici convenzioni. Le risonanze dell'ospedale lavorano solo fino alle otto di sera, per cinque giorni alla settimana, ma ci sono dodici convenzioni. Questo accade perché – ritorniamo al problema di prima – non si possono prendere altri medici per esercitare il servizio. Cosa costa di più, fare convenzioni di quel tipo oppure far lavorare di più le due risonanze disponibili con altri tre medici a disposizione ?

  FRANCESCO MASSICCI, Ispettore capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria Generale dello Stato. Cosa rispondo io...

  PRESIDENTE. Colleghi, ricordiamo qual è il ruolo del dottor Massicci. È la politica che deve dare delle risposte. Anzi, siamo noi che dovremmo dare risposte al dottor Massicci.

  FRANCA BIONDELLI. Presidente, la collega Lenzi prima ha affermato che, nelle regioni che rientrano nei piani, i LEA forse sono meno rispettosi. La mia regione, il Piemonte, rientra ed è stata per anni virtuosa. Tuttavia, segnalo – al riguardo, come Partito Democratico, avevamo presentato un'interrogazione – che in Piemonte, più o meno nel 2012, abbiamo creato le federazioni che, lo ricordo, sono nate per accentrare gli acquisti. Tuttavia, pare che tali federazioni, nel 2014, dovrebbero sparire. Poiché sono costate parecchi milioni di euro e, se spariranno, vuol dire che non sono servite a niente, se non a creare solo posti – e lei fa segno di sì –, mi domando come risponderemo a quei medici che non hanno sostituzione, ad esempio, in caso di gravidanza, mentre le liste d'attesa aumenteranno. Cosa diciamo a questi medici, a questo personale che incontra grandi difficoltà nell'assicurare i servizi, dopo che abbiamo sperperato le risorse per interventi inutili come quello che ho citato ?
  Sebbene abbiamo segnalato la questione, attraverso interrogazioni, al Ministro della salute e all'assessore competente, Pag. 26sono andati avanti su questa strada. Credo che, come lei diceva, bisogna sì istituire un tavolo, ma anche fermare quei governatori e quegli assessori che si comportano in questo modo.
  Come spieghiamo ai cittadini che introdurremo il ticket perché qualcuno ha istituito le federazioni che forse non servivano ?

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Massicci, a cui rivolgo l'invito di consegnare il materiale in suo possesso ed eventuali ulteriori documenti che ritiene possano essere utili per i colleghi, ringraziandolo anticipatamente, anche a nome del presidente Boccia.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.