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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

V Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 7 di Mercoledì 1 aprile 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Boccia Francesco , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME CONGIUNTO DELLA COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, ALLA BANCA CENTRALE EUROPEA, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO, AL COMITATO DELLE REGIONI E ALLA BANCA EUROPEA PER GLI INVESTIMENTI – UN PIANO DI INVESTIMENTI PER L'EUROPA (COM(2014) 903 FINAL) E DELLA PROPOSTA DI REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO RELATIVO AL FONDO EUROPEO PER GLI INVESTIMENTI STRATEGICI E CHE MODIFICA I REGOLAMENTI (UE) NN. 1291/2013 E 1316/2013 (COM(2015) 10 FINAL), CORREDATA DEL RELATIVO ALLEGATO (COM(2015) 10 FINAL – ANNEX 1)

Audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan.
Boccia Francesco , Presidente ... 3 
Padoan Pier Carlo , Ministro dell'economia e delle finanze ... 5 
Boccia Francesco , Presidente ... 8 
Palese Rocco (FI-PdL)  ... 8 
Galli Giampaolo (PD)  ... 9 
Tancredi Paolo (AP)  ... 9 
Cariello Francesco (M5S)  ... 10 
Tabacci Bruno (PI-CD)  ... 11 
Fassina Stefano (PD)  ... 11 
Fanucci Edoardo (PD)  ... 12 
Guidesi Guido (LNA)  ... 13 
Librandi Gianfranco (SCpI)  ... 14 
Melilli Fabio (PD)  ... 14 
Boccia Francesco , Presidente ... 15 
Padoan Pier Carlo , Ministro dell'economia e delle finanze ... 15 
Boccia Francesco , Presidente ... 19 
Padoan Pier Carlo , Ministro dell'economia e delle finanze ... 19 
Boccia Francesco , Presidente ... 19

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FRANCESCO BOCCIA

  La seduta comincia alle 11.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'esame congiunto della Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea per gli investimenti – Un piano di investimenti per l'Europa (COM(2014) 903 final) e della Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo europeo per gli investimenti strategici e che modifica i regolamenti (UE) nn. 1291/2013 e 1316/2013 (COM(2015) 10 final), corredata del relativo allegato (COM(2015) 10 finalAnnex 1), l'audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan.
  Prima di dare la parola al Ministro dell'economia e delle finanze, desidero svolgere, a conclusione del nostro lavoro, poche rapidissime considerazioni che chiudono in qualche modo questo nostro ciclo di audizioni.
  In linea generale, i soggetti intervenuti hanno espresso un giudizio sostanzialmente positivo sul Piano Juncker, trattandosi del primo intervento organico adottato in sede europea per stimolare la domanda aggregata e sostenere la crescita. È comunque fondamentale una rapida entrata in vigore della normativa in esame per conseguire l'obiettivo indicato di garantire l'operatività del Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS) già nell'anno in corso.
  Si è registrata, inoltre, una condivisione generale sulla scelta di puntare, a questo scopo, su una ripresa degli investimenti in considerazione del fatto che complessivamente in Europa si sono ridotti del 15 per cento dal 2007; in Italia il crollo è stato molto più profondo, di oltre il 25 per cento. La spesa per investimenti, specie in infrastrutture, è quella che più di ogni altra può garantire un effetto moltiplicatore sulle grandezze macroeconomiche.
  Vi è un'ulteriore ragione che giustifica la scelta di privilegiare gli investimenti infrastrutturali ed è il ritardo accumulato negli ultimi anni, che rischia di collocare l'Europa, e in particolar modo l'Italia, in una condizione di marginalità rispetto alle aree economiche più dinamiche, che hanno realizzato e stanno realizzando progetti di potenziamento e aggiornamento della rete infrastrutturale. Il caso della cosiddetta banda larga è, a questo riguardo, certamente esemplare.
  È stata, inoltre, apprezzata la disponibilità manifestata dal nostro Paese attraverso la Cassa depositi e prestiti a intervenire a sostegno del Piano attraverso uno stanziamento di 8 miliardi di euro, tuttavia non a titolo di conferimento nel capitale del Fondo, ma per il finanziamento di piattaforme di investimento. Si tratta di Pag. 4una scelta che, oltre a rispondere a comprensibili ragioni di cautela, si giustifica anche in ragione della necessità di massimizzare i risultati che possono essere conseguiti per la realizzazione nel nostro Paese di nuovi investimenti.
  È auspicabile che nella selezione dei progetti si eviti la tendenza, che purtroppo affligge e condiziona negativamente l'esperienza italiana nell'impiego dei fondi strutturali, alla frammentazione e alla polverizzazione. Le dimensioni di scala degli interventi da finanziare sono evidentemente decisive per assicurare un impatto positivo significativo.
  Pur non contestando la previsione di un effetto leva stimato dalla Commissione europea in un rapporto di 1 a 15, i soggetti intervenuti hanno convenuto sul fatto che lo stanziamento di risorse più ingenti a sostegno del Piano Juncker avrebbe potuto determinare risultati più rilevanti sulla crescita e l'occupazione. Andrà, inoltre, verificato che l'utilizzo di quota parte di risorse che provengono da programmi già in avanzato stato di attuazione, come Connecting Europe e Horizon 2020, per la realizzazione del Piano Juncker, non produca effetti negativi in termini di minori investimenti che, allo stato, non vengono considerati dalla Commissione europea.
  È emersa anche l'esigenza di considerare altri profili nella selezione degli interventi, quali le ricadute in termini sociali, sul piano dell'occupazione, ovvero di carattere ambientale e a presidio del territorio.
  È, altresì, indispensabile evitare che i finanziamenti eventualmente erogati dalle banche di promozione nazionale, tra cui la Cassa depositi e prestiti, debbano essere sottoposti a una preventiva autorizzazione in base alla normativa europea sugli aiuti di Stato. È stata anche sottolineata la necessità di semplificare il sistema di governance che viene prefigurato, in maniera da evitare eccessivi appesantimenti burocratici che potrebbero rallentare l'approvazione dei progetti e l'avvio della loro attuazione.
  Appare confortante che il nostro Paese non abbia atteso l'entrata in vigore della normativa al nostro esame, ma abbia già avviato il lavoro di ricognizione dei progetti realizzabili in base al Piano Juncker anche attraverso una stretta collaborazione con la Cassa depositi e prestiti e la stessa Banca europea per gli investimenti (BEI). È, tuttavia, evidente che la selezione dei progetti non potrà essere interamente affidata a valutazioni di carattere tecnico. Occorre, pertanto, un impegno chiaro del Governo a garantire il pieno coinvolgimento del Parlamento una volta che sarà definito un elenco di opere prioritarie che il nostro Paese intende realizzare nell'ambito del Piano Juncker.
  Ricordo, inoltre, che il Parlamento è pienamente investito nell'esame dell'Allegato sulle infrastrutture annualmente trasmesso contestualmente al Documento di economia e finanza (DEF), con il quale si dà conto dello stato di avanzamento delle opere che rientrano nel programma delle infrastrutture strategiche. Raccomando, quindi, al Ministro Padoan la tempestiva informazione al Parlamento dell'elenco delle opere che saranno selezionate, corredate da elementi istruttori che consentano poi al Parlamento di valutare le ragioni delle scelte effettuate e gli effetti attesi sul piano macroeconomico.
  In conclusione, possiamo aspettarci che il Governo ci dia conferma dell'orientamento sul Piano Juncker e dell'impegno a valorizzare quest'occasione per selezionare progetti efficaci e concretamente realizzabili, che consentano al nostro Paese di rimediare ai ritardi accumulati per quanto concerne la dotazione infrastrutturale. In questa prospettiva, occorre valutare attentamente se sia interesse del nostro Paese insistere sul carattere addizionale degli investimenti nell'eventualità che si debbano finanziare progetti già inseriti nel programma delle infrastrutture strategiche, che tuttavia non sono state interamente finanziate.
  Questa è un po’ la sintesi che emerge dalle audizioni svolte. Do ora la parola al Ministro Padoan per la relazione conclusiva.

Pag. 5

  PIER CARLO PADOAN, Ministro dell'economia e delle finanze. Grazie, presidente, e buongiorno a tutti. Vi ringrazio per quest'opportunità. Se posso essere molto onesto, l'introduzione del presidente mi ha spiazzato parecchio, perché contiene una sintesi molto efficace dei temi generali relativi al Piano Juncker, quindi mi scuso se ripeterò alcune cose che già sono state dette mettendole in un contesto più ampio, per poi ovviamente aprire la discussione.
  Vorrei ricordare che la questione degli investimenti in senso lato, come è stato già ricordato, è emblematica della gravità della crisi finanziaria che per molto tempo ha interessato l'Europa, ma non solo, e ovviamente anche il nostro Paese. La caduta degli investimenti riguarda sia quelli privati sia quelli pubblici e costituisce un vulnus dal lato sia della domanda sia dell'offerta. La caduta degli investimenti, infatti, indebolisce la crescita potenziale; di conseguenza, simmetricamente far riprendere gli investimenti permette di avere sia un sostegno della domanda nel più breve termine sia un miglioramento della crescita potenziale nel medio termine, problema nel caso dell'Italia particolarmente acuto vista la perduranza di ostacoli strutturali alla crescita che datano da ben prima dello scoppio della crisi finanziaria.
  Sotto il termine generico di Piano Juncker, o Piano degli investimenti, in realtà, come è noto, si trovano alcuni aspetti di una strategia che va vista nel suo complesso: da un lato, ovviamente la questione del Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS), di cui parlerò tra un momento, dall'altro, però, almeno altre due componenti che non vanno tralasciate.
  Vi è, innanzitutto, l'impegno da parte dei Governi europei, e sicuramente da parte di quello italiano, a portare avanti un ambizioso programma di riforme strutturali proprio per aggredire alla radice le cause della debolezza della crescita di lungo termine e riaprire opportunità di investimento attraverso un'apertura dei mercati e una rimozione degli ostacoli strutturali a tutti i livelli.
  Questo è ormai un elemento fondamentale dell'approccio europeo alla crescita che – se posso dirlo – la Presidenza italiana del Semestre precedente a quello in corso ha contribuito non poco a mettere al primo piano dell'agenda europea, lasciandosi alle spalle aspetti strettamente legati all'aggiustamento di bilancio. Le riforme strutturali sono, dunque, una componente essenziale della strategia per gli investimenti.
  Inoltre, è stato già citato anche il potenziamento in senso lato della capacità progettuale. Allo stesso modo, immagino sia stato sollevato in precedenti audizioni di questa indagine conoscitiva uno dei dibattiti che in ambito europeo è continuamente emerso, tra chi sosteneva che quello degli investimenti fosse un problema di risorse e chi, d'altro canto, sosteneva che fosse un problema di progetti, laddove invece le risorse sarebbero state ampiamente disponibili.
  La mia personale opinione è che si tratta di un problema che deve interessare ambedue gli aspetti. Le risorse esistono, ma devono essere indirizzate e rese compatibili con progetti di investimento a lungo termine, e non semplicemente tradursi in impieghi a breve termine. Affinché ciò avvenga, però, devono esserci opportunità di investimento a lungo termine. In questo si prefigura un ruolo importante dell'azione e della politica pubbliche, in quanto c’è chiaramente una situazione che di solito viene definita in termini di fallimento di mercato, cioè dell'incapacità di far incontrare domanda e offerta dei progetti di investimento a livello generalizzato. La mia lettura del Piano Juncker, quindi, è sicuramente positiva perché esso affronta un problema strutturale, centrale, ossia quello della debolezza dell'economia europea, e si propone di colmare, per quanto possibile, i vuoti nella capacità da parte del mercato di generare investimenti sufficienti.
  Naturalmente, una parte essenziale del Piano Juncker concerne l'aspetto finanziario, tramite la creazione del Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS) a cui si affianca – è bene ricordarlo – un Pag. 6polo europeo di consulenza sugli investimenti, l’advisory hub, che ha proprio lo scopo di sostenere la capacità progettuale dei Paesi, e quindi non solo di intervenire dal lato dei finanziamenti ma anche da quello dell'identificazione di progetti effettivamente interessanti per gli investimenti.
  Questo hub, o polo europeo, sarà cofinanziato dall'Unione europea per un importo massimo di 20 milioni di euro e potrà anche avvalersi delle banche promozionali, nel caso italiano della Cassa depositi e prestiti, il cui ruolo quindi, su cui tornerò, contribuisce non solo nel senso di una fornitura diretta o indiretta di finanziamenti, ma anche della capacità progettuale.
  Il FEIS rappresenta, naturalmente, lo strumento più rilevante introdotto da quest'iniziativa che porta il nome di Piano Juncker, attraverso il quale la Commissione, come ormai sapete, intende attivare fino a 315 miliardi di euro di nuovi investimenti nei cinque anni che decorrono dal 2015. La logica del citato Fondo è relativamente semplice: si tratta di partire da una base di risorse che produce un effetto leva, che a sua volta si esplica in due fasi, e per questa via attivare risorse provenienti anche dal settore privato.
  Il Piano prevede la messa a disposizione di garanzie da parte dell'Unione europea per 16 miliardi di euro, con un accantonamento a valere sul bilancio comunitario pari al 50 per cento, mentre sono previsti, da parte della BEI, 5 miliardi di finanziamenti aggiuntivi. Questi 21 miliardi di euro hanno un primo effetto leva che li traduce in circa 60,8 miliardi di euro da parte del gruppo BEI, che comprende anche il Fondo europeo per gli investimenti (FEI), responsabile, come è noto, dei finanziamenti al settore privato e, in particolare, alle piccole e medie imprese.
  La Commissione europea ritiene che i finanziamenti così attivati da questo primo effetto leva debbano essere ripartiti in tre differenti sportelli: una facility a debito per infrastrutture e innovazione, per 44 miliardi di euro; uno strumento equity, sempre nel settore delle infrastrutture e dell'innovazione, per 5 miliardi di euro; uno sportello per le piccole e medie imprese e le Mid-cap con meno di 3 mila dipendenti, per 11,8 miliardi di euro, che sarà gestito dal Fondo europeo per gli investimenti.
  Il Piano prevede, inoltre, che su questa prima piattaforma di risorse, che nascono nel modo che ho descritto, ci sia un secondo effetto leva che porti ad un totale di 315 miliardi di euro. È ovvio che questi sono numeri indicativi che si basano su ipotesi dell'effetto leva, su cui c’è stata un'ampia discussione, ritenute realistiche in base all'esperienza disponibile.
  Come, però, è stato già rilevato, l'elemento cruciale per valutare l'impatto delle risorse del Fondo europeo per gli investimenti strategici riguarda il concetto di addizionalità. L'idea è che questo meccanismo permetta di avviare investimenti che non sarebbero in ogni caso avviati spontaneamente dal meccanismo di mercato. Ciò dovrebbe avvenire, in particolare, attraverso una copertura di quel rischio aggiuntivo che impedisce alle imprese private di intraprendere da sole investimenti, e quindi di colmare in questo modo il fallimento del meccanismo di mercato di assumersi il rischio necessario per attivare gli investimenti. Se c’è un intervento pubblico, questo fallimento di mercato viene neutralizzato, e quindi c’è una convenienza complessiva da parte del settore privato, grazie a questo meccanismo, a investire di più.
  Questa è, in sostanza, la logica che serve a mobilizzare sia le risorse direttamente attinenti al Fondo europeo per gli investimenti strategici, sia quelle eventualmente aggiuntive che possono provenire da altri canali.
  Questo principio di investimento è lo stesso che guida il modo in cui la governance del Fondo è stata concepita. Ovviamente, come altri, quest'aspetto è attualmente in discussione presso il Parlamento europeo dopo che l'Ecofin ha approvato una bozza di regolamento. La governance del FEIS prevede un Comitato direttivo composto da quattro membri, di cui uno nominato dalla BEI e tre dalla Commissione Pag. 7europea, e un Comitato per gli investimenti, o almeno questo è il nome provvisoriamente assegnato.
  Come nota a piè di pagina, la BEI ha una posizione secondo la quale tale ultimo organismo dovrebbe chiamarsi Comitato di rischio e non Comitato per gli investimenti, ma ciò potrebbe adombrare un suo ruolo meno efficace. Cito questo perché, a mia conoscenza, tale tema ancora non è risolto, ma è sintomatico di un atteggiamento che va preso in considerazione. Il citato Comitato per gli investimenti agisce in qualche modo in parallelo alle normali attività della BEI.
  Su questo punto vorrei introdurre il seguente, ulteriore elemento, che ha a che fare più con la transizione che con il funzionamento a regime del meccanismo. Si prevede, infatti, che il processo di approvazione definitiva del Piano Juncker richiederà ancora qualche mese di tempo. Naturalmente, il Parlamento europeo deve approvare il regolamento relativamente presto, ma poi ci sarà un processo di messa in moto della macchina, con l'istituzione delle funzioni ed il reclutamento del personale.
  Nel frattempo, evidentemente questo meccanismo non sarà ancora in grado di attivare gli investimenti e, data la necessità di avviare rapidamente gli investimenti, ciò ha spinto molti Paesi, ed in primis l'Italia in sede di Ecofin, a sollecitare un ruolo aggiuntivo, almeno in questa fase transitoria, da parte della BEI. Quest'ultima dispone già di risorse, è un'istituzione funzionante, ha capacità di selezionare i progetti e può, quindi, accelerare il processo di investimento, anche decidendo di prendersi un po’ più di rischio di quello che nella sua tradizione ha assunto. Naturalmente, ciò dipende non solo dalla BEI, ma anche dalla sua capacità e da quella dei Paesi membri di stabilire un rapporto proficuo anche in termini di progettualità.
  Dico questo perché, per quanto riguarda l'Italia, indipendentemente dal quadro specifico del Piano Juncker, il contributo della BEI si è rivelato importante. La partecipazione della BEI ai progetti di investimento italiani è importante. Cito, a questo proposito, un fatto probabilmente noto: la BEI ha appena approvato, al di fuori del Piano Juncker strettamente inteso, quindi senza la garanzia del Fondo europeo, un prestito all'Italia di 950 milioni di euro, con maturity fino a trent'anni, per il sostegno dell'edilizia scolastica nel quadro del piano per la scuola.
  Vorrei concludere queste mie brevi considerazioni introduttive con un riferimento ai contributi pubblici al FEIS. Su questo, come credo sia noto, l'idea iniziale era che al FEIS contribuissero con contributi diretti, in termini di risorse, gli Stati membri. Tale idea era inizialmente basata sul concetto di contributi volontari. Non c’è stata una reazione molto positiva da questo punto di vista. Gli Stati membri hanno, in generale, mostrato molta poca propensione a contribuire direttamente. L'idea è ancora formalmente in piedi, ma la pratica mi sembra possa escludere contributi diretti da parte degli Stati membri.
  Alcuni Stati, tra cui l'Italia, hanno invece deciso di contribuire attraverso le banche nazionali promozionali, nel caso italiano la Cassa depositi e prestiti, in quello francese la Caisse des Dépôts, in quello tedesco la Kreditanstalt für Wiederaufbau; ciascuno di questi tre Paesi ha deciso di contribuire con 8 miliardi di euro, che vanno ad aggiungersi alla capacità di fare leva nei confronti degli investimenti privati, e che quindi migliorano il potenziale complessivo. Naturalmente, un elemento chiave per capire il potenziale complessivo è il modo in cui queste risorse, anche sotto forma di garanzia, saranno allocate.
  Concludo con il punto che ritengo fondamentale dal punto di vista della scelta politica. Quale deve essere il criterio in base al quale queste risorse, siano esse direttamente provenienti dal FEIS o da altra fonte, debbono essere allocate ? Quale indicazione da parte dei Governi deve essere data, per esempio, all’investment committee, alla BEI stessa o ai servizi della Commissione, che in qualche modo sono coinvolti, per indirizzare le risorse ?Pag. 8
  Nel dibattito che a più riprese si è svolto presso l'Ecofin c’è stata da parte di molti Paesi una chiara affermazione per cui non si tratta di una questione di giusto ritorno, ossia di un meccanismo in base al quale, se un Paese conferisce x, riceve in cambio garanzie per un uguale ammontare. Allo stesso tempo, però, è chiaro che deve esserci un interesse collettivo per invogliare i Paesi a partecipare al meccanismo.
  La posizione che il Governo ha sostenuto è che i criteri che dovranno poi essere concretamente definiti in sede operativa – non c’è ancora un codice di comportamento o un libro di istruzioni preciso – devono rispondere a due criteri: da un lato, certamente, un criterio di progetti profittevoli, quindi, se vogliamo, un criterio microeconomico di progetti singoli; dall'altro, però, anche un criterio macroeconomico, che deve richiamarsi al principio ispiratore di tutta quest'operazione, che ho richiamato all'inizio, secondo cui la crisi ha colpito duramente la capacità di investimento di molti Paesi europei, ma l'ha fatto in modo diverso. Tener conto, quindi, dello stato di debolezza macroeconomica, e in particolare della debolezza degli investimenti, nello scegliere i progetti finanziabili o sostenibili deve essere importante.
  Dico ciò perché l'efficacia di questo progetto, che, lo ripeto ancora, il Governo giudica estremamente importante, anche perché segna una svolta nell'atteggiamento della politica economica in Europa, dovrà essere poi vagliata e monitorata continuamente. Sia in sede di istituzioni che governano il meccanismo, sia in sede politica a livello europeo, per esempio nell'ambito dell'Ecofin, sia in sede di capacità progettuale, tutto questo meccanismo produrrà effetti positivi in termini di investimenti se ci sarà un continuo monitoraggio di tali aspetti. Mi fermo qui, presidente, e ovviamente sarò poi ben lieto di rispondere a eventuali domande o richieste di chiarimento.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Padoan. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ROCCO PALESE. Ringrazio il Ministro per la puntuale sintesi che ci ha illustrato e che fa seguito a una serie di audizioni.
  Ministro, non c’è dubbio che sia un fatto positivo che finalmente l'Europa dopo tanto tempo si sia resa conto che bisogna attuare il Patto di stabilità e crescita nella sua interezza, cioè non solo nella parte relativa alla stabilità ma anche in quella relativa alla crescita. Dalle audizioni svolte, ma anche lei in questa sede me ne ha dato una conferma, ho ricavato una qualche perplessità e sono anche un po’ spaventato rispetto all'intervento, alla dimensione delle risorse, alla coscienza e, finalmente, alla volontà di intervenire sulla crescita aumentando gli investimenti negli Stati membri.
  C’è, infatti, una discordanza enorme rispetto ai tempi di attuazione, ossia al momento in cui effettivamente l'iniziativa sarà avviata e sarà utilizzabile tutta la parte che riguarda le risorse messe in campo per la crescita. Da quanto emerso nel corso delle audizioni dei rappresentanti della Cassa depositi e prestiti e della BEI, abbiamo appreso che ci sono procedure estremamente lunghe, della durata fino ad oltre due anni dal momento in cui viene presentato un progetto. Per carità, è fin troppo evidente che debbano essere progetti qualificati. Non starò qui a dire cose scontate, ma si tratta di un tempo enorme rispetto alla crisi e alla necessità di affrontare la questione degli investimenti. Chiaramente, bisogna ancora approvare la proposta di regolamento, ma sarebbe tuttavia auspicabile una spinta ed un'accelerazione, anche rispetto allo snellimento delle procedure previste.
  Ben venga comunque il Piano Juncker, anche se la dimensione delle risorse non mi sembra particolarmente congrua rispetto ai problemi, tuttavia, come si dice, meglio feriti che morti. Sarebbe, però, utile anche avere una qualche notizia, con riferimento agli investimenti, sulla nettizzazione del patto di stabilità interno. Oltre che all'intera Europa, mi riferisco in particolare Pag. 9al nostro Paese e alla quota di cofinanziamento nazionale, sia statale che regionale, dei fondi strutturali nonché agli altri investimenti effettuati con risorse dello Stato e degli enti pubblici.
  A lei è noto che soprattutto gli enti pubblici dispongono di risorse ingenti che non possono tuttavia spendere, come è altrettanto noto che con riguardo ai fondi strutturali le regioni di giorno sono sollecitate dall'Europa a mantenere i target di spesa entro certe date, mentre di notte sono vincolate a non sforare il patto di stabilità.

  GIAMPAOLO GALLI. Ringrazio anch'io il Ministro, che mi pare abbia confermato una valutazione che siamo andati formandoci e che collima con quella che ha enunciato all'inizio il presidente Boccia, nel senso di un giudizio positivo con dei caveat ai quali bisogna fare particolare attenzione a livello sia europeo sia italiano.
  Proprio su questo tema, che è quello dei criteri con cui si scelgono i progetti da sottoporre al finanziamento della BEI, vorrei capire se riusciamo a compiere un piccolo approfondimento. Mi collego a quello che ha detto il Ministro: serve un criterio di profittabilità micro, ma al tempo stesso non si possono trascurare obiettivi macro di natura sociale. In concreto, mi pare che ciò voglia dire, da un lato, che il Paese o comunque il soggetto che sottopone il progetto vuole avere un moltiplicatore alto, e questo richiede di avere un'elevata redditività privata per poter stimolare e attrarre investimenti privati, dall'altro, che si hanno anche esigenze di tipo sociale, che hanno probabilmente una redditività bassa.
  In Italia, ci preoccupiamo molto, ad esempio, del tema del dissesto idrogeologico: se si mette in sicurezza un fiume, probabilmente qui non c’è una redditività privata, e quindi al più il privato può intervenire con un finanziamento-ponte in attesa che alla fine sia lo Stato, ossia il settore pubblico, a pagare. Il punto è che, ovviamente, non è la stessa cosa avere 315 miliardi di euro cash o 315 miliardi per effetto della leva con cui viene costruito l'intero meccanismo. In altri termini, non c’è un pranzo gratis.
  Come giustamente ha detto il presidente Juncker, in Europa nessuno ha voglia di mettere 315 miliardi di euro cash o di assumersi ulteriore debito per un tale ammontare, e di questo dobbiamo prendere atto. Alla luce di ciò, mi chiedo quanto sia importante il criterio della probabile dimensione del moltiplicatore o della capacità di attrarre ulteriori finanziamenti privati rispetto a tante altre considerazioni nel definire a livello europeo una lista di priorità e, a livello italiano, nel sottoporre i progetti all'Europa.

  PAOLO TANCREDI. Ringrazio il Ministro. Vorrei conoscere la sua opinione sulla questione – che lei ha richiamato e che ci è stata spiegata benissimo dal presidente Bassanini nel corso della sua audizione – dell'intervento della Cassa depositi e prestiti e, più in generale, dello stesso atteggiamento di tutte le banche promozionali nazionali, che hanno scelto di non intervenire nel Fondo direttamente, ma attraverso piattaforme locali. Naturalmente, è una scelta di assoluta ragionevolezza, nel senso che viene privilegiata la destinazione di questi fondi al territorio nazionale sul quale queste banche insistono, così come è di assoluta ragionevolezza la richiesta di avere la garanzia del Fondo estesa anche a quei progetti che dovessero superare le istruttorie della BEI ma non accedere ai finanziamenti.
  Tuttavia qualche giorno fa il presidente Draghi – mi scuso, forse la traslazione è un po’ ardita – ci ha parlato del coinvolgimento delle istituzioni europee e del fatto che, laddove coinvolte direttamente, come nel caso della BCE, c’è stato un maggior successo dell'integrazione europea e delle politiche europee rispetto ai casi in cui si è affermata, invece, la parte più regolatoria: ma questo intervenire in seconda battuta delle banche di promozione nazionale non rappresenta una deminutio anche della forza del Piano Juncker a livello europeo ? Non è un po’ anche un passo indietro verso l'integrazione, verso Pag. 10politiche comuni, che una vera unione federale dovrebbe realizzare con un piano di investimenti programmato ? Non è in qualche modo un cedere a una mentalità un po’ gretta di dover avere un ritorno locale e campanilistico di quello che si investe ? Questo non fa altro che lasciarci in mezzo al guado di un'integrazione europea che è una prospettiva, ma su cui non si fa mai il passo decisivo e più ampio. Vorrei conoscere la sua opinione in qualità di Ministro dell'economia e delle finanze del nostro Paese, e quindi da politico, su questi argomenti.

  FRANCESCO CARIELLO. Ringrazio il Ministro per questa esposizione. Vorrei fare alcune considerazioni, di cui una di carattere generale, che credo sia stata già anticipata dal presidente, relativa all'intervallo di tempo tra il momento in cui il Piano Juncker entrerà in vigore e il momento della definizione del Documento di economia e finanza (DEF) 2015 da parte del Governo. All'interno del DEF verranno incluse anche tutte le valutazioni inerenti al Piano Juncker in un capitolo dedicato proprio alle infrastrutture ? Se ne terrà conto ?
  Voglio inoltre evidenziare una considerazione più di dettaglio, che mi è stata segnalata. Nella proposta di regolamento, al considerato n. 22 si fa riferimento in particolar modo a una procedura semplificata e accelerata di valutazione dei progetti del FEIS riguardo agli aiuti di Stato. A tal fine, e cito testualmente, «la Commissione ha preannunciato che definirà una serie di princìpi di base per le valutazioni degli aiuti di Stato, che i progetti dovranno rispettare per poter beneficiare del sostegno del FEIS. Ha specificato che gli eventuali contributi nazionali complementari ai progetti che rispettano questi criteri e ricevono sostegno dal FEIS saranno oggetto di una procedura semplificata e accelerata di valutazione degli aiuti di Stato, nel cui ambito l'unico aspetto supplementare verificato dalla Commissione sarà la proporzionalità del sostegno pubblico (assenza di sovraccompensazioni)».
  Ma è la parte finale del citato considerato n. 22 quella che vorrei di seguito rimarcare e magari chiedo a lei se ne sia informato e se stiate seguendo questa procedura: «Ha preannunciato altresì che, nell'ottica di un impiego efficiente dei fondi pubblici, preciserà i princìpi di base in ulteriori linee guida». Come Paese membro, state seguendo o perlomeno valutando queste linee guida ? A che punto è questa definizione ?
  In particolar modo, considerando le varie infrastrutture, poiché è stato specificato che una di esse, intesa quale infrastruttura principale su cui verteranno i progetti, sarà la banda larga, gli operatori del settore si stanno ponendo delle domande. Le regole degli aiuti di Stato devono prevedere che aziende private che hanno già fatto investimenti in quelle infrastrutture non siano spazzate via dal mercato da investimenti che invece, con una procedura semplificata e accelerata, aiuterebbero magari altri operatori a entrare lì dove investitori privati già hanno investito, creando uno squilibrio del mercato, proprio in controtendenza con quanto invece la Commissione europea indica come obiettivo principale di questa proposta di regolamento.
  Tale obiettivo, come specificato nella Comunicazione della Commissione europea relativa a «Un piano di investimenti per l'Europa», è infatti quello di creare «fiducia nel contesto economico globale, prevedibilità e chiarezza nella definizione delle politiche e del quadro normativo, un uso efficace delle scarse risorse pubbliche, fiducia nel potenziale economico dei progetti di investimento in fase di sviluppo e una capacità di rischio sufficiente per incentivare i promotori dei progetti, sbloccare gli investimenti e attirare gli investitori privati».
  Con questo obiettivo, ma considerando anche questa facilità e il problema nei termini in cui è dato evincerlo, il contributo o comunque l'intervento di altri operatori che dovessero usufruirne, attraverso forme accelerate o comunque semplificate di valutazione circa la questione degli aiuti di Stato, potrebbe creare delle condizioni Pag. 11di mercato sfavorevoli al contesto e, comunque, non attrarre gli investimenti e andare in controtendenza rispetto all'obiettivo stesso del Piano Juncker. Gradirei conoscere il suo punto di vista o, comunque, la posizione dell'Italia su quest'aspetto.

  BRUNO TABACCI. Signor Ministro, quello che si può cogliere dal punto di vista politico è che c’è una svolta a livello europeo rispetto alla politica degli investimenti. Di questo bisogna dare atto a lei per l'attività svolta, specie in quest'ultimo anno. Non si può non avere un certo scetticismo sui tempi e in ordine alla dimensione delle risorse, che chiaramente sono ancorate all'incertezza dei moltiplicatori. Questo è un fatto ma con realismo bisogna dire, richiamando la valutazione del collega Tancredi, che non siamo in un'unione federale, e quindi quello di cui si parla è un passo in avanti. Reputo comunque che per il nostro Paese sia un passaggio positivo, perché lo induce a fare un balzo sulla qualità dei progetti e sulla loro profittabilità rispetto all'esperienza disastrosa di questi anni.
  È stato, infatti, il vero punto di debolezza dell'esperienza italiana, che ha spesso utilizzato i fondi comunitari per dilatare la spesa corrente camuffandola da finti investimenti. È chiaro che recuperare rispetto alla considerazione di cui godiamo in Europa sulla nostra capacità progettuale costituisce già un grande passo in avanti. Penso che sia la parte sulla quale vigilare con maggiore accortezza.

  STEFANO FASSINA. Ringrazio anch'io il Ministro Padoan. Vorrei fare una considerazione di carattere generale e poi tornare sulla questione specifica e rilevante, come ha sottolineato il Ministro, dell'addizionalità. La riflessione di carattere generale è la seguente. Certamente il Piano Juncker merita un giudizio positivo, per quanto mi riguarda, per la ragione fondamentale che finalmente ha introdotto nell'agenda di politica economica la variabile decisiva della domanda aggregata, che spiega la situazione dell'Eurozona, la quale, come sapete, dopo sette anni è ancora 3 punti di PIL al di sotto del livello registrato nel 2007, ha accumulato 7-8 milioni di disoccupati in più e ha fatto salire il debito pubblico di 30 punti percentuali, considerato che in media nell'Eurozona è passato dal 65 al 95 per cento. Da questo punto di vista, quindi, il Piano Juncker è certamente positivo.
  Parlare, però, di svolta della politica economica credo sia un po’ fantasioso. Questo Piano è stato giustapposto a un quadro di politica macroeconomica che rimane inevitabilmente depressivo perché fondato su un'agenda di svalutazione interna. Il mio timore è che l'enfasi con la quale si cerca di «vendere» il Piano Juncker porti a lasciare in ombra le cause vere dei problemi che abbiamo di fronte nell'Eurozona, che sono quelli di una politica mercantilista, appunto fondata sulla svalutazione interna e sulla svalutazione del lavoro, che non può funzionare ed è insostenibile. Vedo, allora, un problema che riguarda innanzitutto la dimensione delle risorse, ossia i 315 miliardi di euro, al di là dei caveat sulle leve. Sono d'accordo con l'onorevole Giampaolo Galli a proposito di quello che possa voler dire l'espressione «fallimento di mercato», perché c’è un problema di rischio ma ve n’è anche uno di progetti che semplicemente non danno redditività.
  C’è, quindi, un problema di dimensione, perché appunto stiamo parlando di poche unità decimali di PIL dell'Eurozona all'anno rispetto a una caduta verticale degli investimenti, in un quadro in cui temo che la fiscal stance dei singoli Paesi, in particolare di quelli più segnati dalla contrazione dell'economia, rimanga restrittiva. Se accompagniamo alle poche unità decimali di PIL del Piano Juncker manovre di finanza pubblica che continuano a essere restrittive, temo che non trarremo grandi benefìci.
  Da questo punto di vista, è importante il Documento di economia e finanza (DEF) 2015 che il Governo si appresta ad approvare, perché credo che – se anche quest'anno, come lo scorso, confermasse un segno restrittivo – avremmo risultati al Pag. 12di sotto delle aspettative che abbiamo indicato. Sarebbe utile, a mio avviso, prendere spazio per interventi sugli investimenti, in particolare non sulle grandi opere ma sulle piccole opere e su quello che più volte abbiamo sottolineato, dalle ristrutturazioni delle scuole e degli ospedali, alla messa in sicurezza dei territori, progetti prontamente cantierabili che potrebbero davvero dare ossigeno all'economia.
  Concludo sulla questione dell'addizionalità. È decisivo che quest'ultima sia differenziata. Credo che, sotto il profilo politico, questo sia il punto più rilevante. Se, per minimizzare i rischi, si scelgono le realtà più sicure, ma anche che meno hanno sofferto la politica economica di questi anni, rischiamo di aggravare gli squilibri macro tra Paesi e non di ridurli.
  Credo che certamente criteri di mercato vadano tenuti in considerazione, ma c’è un punto politico decisivo: deve esserci un'allocazione particolarmente differenziata per consentire di recuperare la domanda nei Paesi che più l'hanno vista ridursi nei 7-8 anni che abbiamo alle spalle. Su questo credo che i Governi debbano imporsi rispetto ai princìpi canonici, ordinari, di mercato, altrimenti davvero non funziona o, addirittura, può generare un segno molto diverso da quello che ci aspettiamo.

  EDOARDO FANUCCI. Rivolgo un ringraziamento sentito e non di rito al Ministro per la disponibilità al confronto diretto con questa Commissione. Le porte sono sempre aperte e vediamo con favore la sua presenza e anche il suo contributo, che può essere un punto di ripartenza rispetto alle tappe che da qui al prossimo futuro il nostro Paese si troverà ad affrontare.
  Vediamo in lei un punto di credibilità assoluta in Europa e, di conseguenza, questo per noi è anche un punto di confronto che può servire per arricchire i lavori della Commissione. Le chiedo pertanto che oggi non sia semplicemente un incontro istituzionale, ma uno degli incontri istituzionali da mettere in agenda da qui ai prossimi mesi. Vengo al merito.
  Senz'altro il Piano Juncker costituisce un'iniziativa importante, che definisce una discontinuità rispetto al passato con riferimento alle politiche europee per gli investimenti, sia pubblici che privati. Resta tuttavia una serie di dubbi che spero possano essere eliminati. In particolar modo, con riferimento alle procedure veniamo da una serie di eventi catastrofici per la credibilità del nostro Paese.
  Sarà difficile recuperare questa credibilità, ma ritengo che il Piano Juncker possa rappresentare un'opportunità per farlo. Penso ai grandi appalti e a quello che è accaduto, in termini di inchieste, sul MOSE e su altre grandi opere, come la TAV, anche a prescindere da come andranno a finire. Certo, le procedure di questi investimenti, pubblici o privati, dovranno seguire binari gigliati, non agevolati, tali da non consentire l'intromissione di forze esterne volte a trarne un profitto privato o particolare.
  Per far questo, vedo con positività il riferimento contenuto nella relazione – che ho letto anche mentre lei la esponeva e mentre altri colleghi le rivolgevano domande – al polo europeo di consulenza per gli investimenti. Per sopperire, infatti, a quelle carenze tecniche e amministrative per cui il polo nasce, spesso si introduce la forza degli apparati e di chi utilizza le informazioni per averne un vantaggio privato. Anche nello sviluppo di percorsi chiari e trasparenti per addivenire a questi investimenti, vedo una risposta importante per il nostro Paese anche in chiave europea.
  Anche il collega Tabacci evidenziava che il problema è anche quello dell'utilizzo delle risorse europee, non soltanto nel passato, ma anche nel presente. In termini proporzionali, il nostro Paese ha fatto maggiore fatica rispetto ad altri Paesi europei a sfruttare al meglio le risorse che l'Europa ci offre per gli investimenti. Spero che in quest'occasione si riesca a sfruttare meglio questa leva e di conseguenza – ripeto – vedo con positività il polo europeo di consulenza per gli investimenti, nella speranza che il nostro Pag. 13Paese possa avere in quella sede consulenze e capacità proprie per poter dettare la linea.
  Nel merito, ho visto che l'Italia, come avevamo già avuto modo di leggere sulla stampa specializzata, ha segnato cinque linee guida: trasporti, energia, agenda digitale, istruzione e dissesto idrogeologico. Mentre sulle prime tre probabilmente la profittabilità, e quindi l'interesse degli investitori privati, è alta, o almeno lo è in potenza, sulle ultime due chiaramente è tutta da dimostrare, e quindi è più difficile che l'intervento del privato vada a sommarsi all'intervento pubblico.
  Per dar modo anche agli altri di intervenire, concludo dicendo che le perplessità sono proprio su questi due aspetti. Per noi, rispetto a questi cinque temi, l'istruzione e il dissesto idrogeologico rappresentano gli elementi principali in termini di importanza per quanto riguarda anche le prospettive di questo Paese. L'elemento di maggior criticità è che, quando si va a parlare di questi due driver di sviluppo, si parla addirittura di interventi legati al sud del Paese, che certo ha bisogno di essere sviluppato, ma non si può dimenticare che tutto il Paese ha bisogno di questi interventi.
  In termini positivi, vedo bene il prestito della BEI da 950 milioni di euro, ma non vorrei che sopperisse al fatto che, per quanto riguarda gli investimenti, si farà un passo indietro. Le chiedo pertanto rassicurazioni su istruzione e dissesto idrogeologico, che per noi sono importanti, e che i citati 950 milioni di euro di prestito siano aggiuntivi e vadano a rafforzare il Piano e non a indebolirlo.

  GUIDO GUIDESI. Mi auguro di riuscire a fare in modo di essere tanto breve quanto concreto. Ministro, sapevamo oramai, anche viste le audizioni che si sono susseguite rispetto al tema del Piano Juncker, qual è il metodo e qual è la strutturazione di questo Piano. I dubbi sono tantissimi. Principalmente, quella dell'effetto leva e del moltiplicatore è una questione da valutare a cose fatte, ma è evidente che ci sono talmente tanti dubbi in questo momento che si ha davvero poca fiducia nei confronti di questo Piano. I dubbi sono anche sicuramente dovuti a come è stato presentato il Piano, alla cifra che era stata determinata dalla Comunicazione della Commissione europea relativa al Piano stesso, nonché ai limiti che il Piano medesimo presenta rispetto alla base di partenza.
  Ciò su cui credo sia utile confrontarci anche dal punto di vista politico riguarda principalmente il fatto che lei giustamente reputa gli investimenti strutturali – e noi condividiamo tale valutazione – come un passo in avanti importante per provvedere alla crescita, anche rispetto ai limiti riscontrati in precedenza e quasi integralmente imposti dall'Unione europea.
  Se questo è il tema, se il suo Governo ritiene che gli investimenti siano un'opportunità e siano fondamentali per la crescita, allora non si capisce per quale motivo, all'interno della gestione del bilancio del Paese, abbiate praticamente vietato alle regioni di fare investimenti a debito, che avrebbero portato un certo tipo di indotto seguendo il suo stesso ragionamento. Un esempio su tutti è che alla Lombardia avete cancellato la possibilità – io vengo infatti da quella regione – di provvedere a un investimento a debito di 800 milioni di euro, peraltro già iscritto a bilancio, che avrebbe tuttavia prodotto l'indotto necessario per favorire la crescita. Da quel mancato investimento, ovviamente, deriverà anche una mancanza di gettito.
  Non si capisce, altresì, per quale ragione si giudichi, rispetto alle riforme strutturali, e quindi alla crescita, quale motivo predominante la priorità del vostro Governo sulla legge elettorale. O ci diciamo che la legge elettorale provocherà, come dubito, effetti notevoli dal punto di vista economico o non si capisce per quale motivo all'interno del comparto crescita e riforme strutturali si giudichi la legge elettorale, come abbiamo capito dalla comunicazione del Presidente del Consiglio, una fonte di possibilità di crescita. In tutta chiarezza, se la si ritiene una questione di stabilità, allora il Presidente del Consiglio Pag. 14e questo Governo dovrebbero spiegarci per quale motivo si continua a dire che la legislatura durerà fino al 2018.
  Detto questo, l'altra questione riguarda le ricadute territoriali rispetto agli investimenti e alle scelte degli investimenti compartecipati che sono stati fatti. Le cito un esempio su tutti. Nella richiesta di finanziamenti e di compartecipazione al Piano Juncker avete inserito alcuni progetti che riguardano gli stoccaggi di gas in alcuni territori. Ci sono due problematiche: la prima riguarda gli aiuti di Stato, come qualcuno ha precedentemente sottolineato, per cui dobbiamo capirci sull'aiuto prestato in un certo tipo di settore con fondi pubblici a un singolo privato.
  Quanto all'altra questione, le chiedo se sia stata fatta una valutazione specifica rispetto alle scelte che avete compiuto in termini di indotto e di ricadute territoriali. Se questo tipo di impianti, rimanendo sullo stesso esempio che ho prima citato, servono a esportare risorse dal punto di vista energetico, come pare avvenire in alcuni piani industriali, allora non si capisce che tipo di ricadute territoriali e benefìci possano avere alcune vostre scelte nel tentativo di attingere al Piano Juncker.

  GIANFRANCO LIBRANDI. Illustrissimo Ministro, molti economisti sostengono che il Piano Juncker dovrebbe essere moltiplicato almeno per dieci per smuovere l'economia, che peraltro sta rallentando anche in Paesi fortemente strutturati. Ora, come hanno già sottolineato molti dei miei colleghi, si registra la situazione che tra una procedura e l'altra ci vorranno ancora molti mesi per concludere questo progetto.
  Come imprenditore, sono molto preoccupato nell'ottica di garantire il posto di lavoro ai miei dipendenti e anche molti dei miei colleghi sono preoccupati come me. Esorto, quindi, il Ministro a cercare insieme ai suoi colleghi il modo di accelerare la conclusione dell'iter del Piano, in modo da risolvere i problemi dell'economia. Abbiamo visto anche oggi che i dati dell'ISTAT segnalano ulteriori difficoltà per il mercato del lavoro e ciò sta comportando delle problematiche sociali molto forti. Il mio augurio, quindi, è che il Piano Juncker, che magari non è sufficiente, ma è comunque importantissimo, sia chiuso al più presto.

  FABIO MELILLI. Ringrazio il Ministro, che mi pare chiuda una serie di audizioni che abbiamo tenuto su un tema molto rilevante. Personalmente, inizio con una dichiarazione ottimistica, nel senso che cominciamo a parlare di questo, il che è già un'inversione di tendenza rispetto a stagioni molto diverse.
  È ovvio che su questa tematica permangano alcune perplessità, che lo stesso Ministro peraltro ha evidenziato. Quella che ho tentato di illustrare anche nel corso dell'audizione con il presidente della Cassa depositi e prestiti è sicuramente quella del tempo. Se l'effetto congiunturale deve essere sostanzioso e rilevante, è chiaro che i tempi sono e restano decisivi, quindi l'invito al Ministro è a mettere in campo tutto quanto è possibile per l'accelerazione delle procedure.
  Mi interessa, però, capire dal Ministro un aspetto molto specifico. Leggo di costituzioni di task force, di presenza di Cassa depositi e prestiti, di interventi anche integrativi rispetto al Piano: vorrei capire se sia stato attivato un confronto con i sistemi regionali e locali su questo terreno. L'arrivo della crisi in modo così dirompente negli ultimi anni ha interrotto, probabilmente anche per la restrizione del sistema del credito, alcune ipotesi di intervento di privati nel sistema pubblico, che si sono manifestati anche attraverso project financing rilevanti, ma che non hanno avuto un effetto positivo per la restrizione che c’è stata sul versante del credito alle imprese e del difficile raggiungimento di break even in un tempo ragionevole.
  Come reagiscono i sistemi locali e regionali a questo ? C’è un effettivo coinvolgimento ? Si dice nella sua relazione che la Cassa depositi e prestiti non ha ancora definito, seppure ha già individuato alcuni tratti caratteristici della sua iniziativa, tutti gli interventi. Il sistema Paese, al di Pag. 15là dell'aspetto nazionale o europeo, sta ragionando di questo ? Possiamo sperare che il tema del coinvolgimento degli stakeholder istituzionali sia positivo o è ristretto a una vicenda nazionale sulle grandi questioni della banda larga, delle infrastrutture, dei trasporti, e rischia di essere messo in ombra qualcosa che, coinvolgendo di più il sistema locale, potrebbe costituire un elemento di accelerazione anche nella realizzazione degli interventi ? Credo, infatti, che questo sia un aspetto molto importante.

  PRESIDENTE. Ho solo tre richieste di puntualizzazione al Ministro Padoan a chiusura del nostro ciclo di audizioni. Alcuni colleghi hanno già ripreso questi temi, ma le chiedo un ulteriore approfondimento sui tempi. Come richiamava il collega Melilli, l'aspetto dei tempi è stato un elemento caratterizzante in tutte le audizioni che abbiamo svolto, da quella dei rappresentanti della BEI a quella dei rappresentanti di Cassa depositi e prestiti. D'altronde, se l'impatto anticiclico si deve poter toccare con mano, questo passaggio è decisivo. Le chiedo pertanto una sua valutazione e cosa possiamo fare come Paese, come Governo italiano, per accelerare questa asimmetria che c’è ancora tra Commissione europea, il Parlamento e la stessa BEI, come del resto riconosciuto dal vicepresidente della BEI, dottor Scannapieco, nel corso della sua audizione.
  Inoltre, vorrei conoscere un suo parere sulla disponibilità manifestata dal presidente Draghi sull'opzione possibile della sottoscrizione di obbligazioni BEI, dal momento che la BCE già opera sul mercato secondario, attesa la disponibilità della Banca europea per gli investimenti nell'emettere obbligazioni che potrebbero essere molto utili, nel senso che farebbero certamente abbassare il costo del debito oneroso e forse, soprattutto, darebbero una spinta al moltiplicatore.
  Vorrei altresì conoscere una sua valutazione sulla concentrazione su grandi progetti e sulla necessità di concentrare le risorse sulla banda larga. Infine, l'auspicio è che il Governo, attraverso il Ministro Padoan, possa impegnarsi nell'informare tempestivamente il Parlamento sui progetti che saranno selezionati, in modo da consentire al Parlamento una partecipazione definitiva alla fase finale, che è anche la più importante e può consentire al Piano di essere davvero condiviso.
  Ringrazio ancora il Ministro Padoan per la sua disponibilità e gli cedo la parola per la replica.

  PIER CARLO PADOAN, Ministro dell'economia e delle finanze. Ringrazio il presidente e tutti i deputati presenti per le molte domande e, in alcuni casi, per le parole gentili che mi sono state rivolte. Cercherò di rispondere puntualmente a tutte le domande con qualche sovrapposizione, perché alcune questioni che avete sollevato ovviamente si connettono.
  Andando in ordine, onorevole Palese, le procedure sono lunghe, come il presidente ha appena ricordato. Vorrei però dire che questo è un tema che sicuramente in sede di Ecofin la nostra delegazione, ed io personalmente, continuiamo a ripetere, e lo abbiamo fatto non solo nell'ambito degli interventi regolari, ma chiedendo e ottenendo anche la convocazione di una riunione dei governatori della BEI, che sono poi i ministri, che si è svolta all'ultimo Ecofin, in cui formalmente è stato chiesto alla BEI di non aspettare che il Piano Juncker fosse completamente funzionante, ma di accelerare i processi.
  Il presidente della BEI, Werner Hoyer, ha recepito questi stimoli, almeno a parole, ma ribadisco che c’è anche una responsabilità dei Governi nel presentare alla BEI progetti utili, che cioè possano passare la valutazione rapidamente. Deve comunque esserci da parte della BEI – questa è stata, in definitiva, la richiesta sostanziale – un salto in avanti nella presa di rischio. Mi spiego.
  La BEI si è configurata, anche in questi anni di crisi, come un'istituzione che ha mantenuto la tripla A, perché di fatto ha evitato di addentrarsi in progetti rischiosi. Questo va benissimo in termini di rating, ma va meno bene in un momento in cui bisogna prendere un po’ di rischi, in Pag. 16considerazione del fatto che bisogna tirare l'economia fuori dalla situazione in cui si trova. Questa pressione morale e anche politica sulla BEI è costante, ma ripeto che, dal punto di vista strettamente italiano, possiamo migliorare notevolmente la nostra capacità progettuale; però sicuramente l'Italia è uno dei Paesi che più di altri sta beneficiando delle risorse BEI che già sono presenti, per intenderci al di fuori del Piano Juncker. E questo è un fatto molto importante.
  Mi collego in questo alla questione sollevata dal presidente riguardo all'impatto di un quantitative easing orientato ai bond della BEI: in questo caso, la conseguenza di fatto sarebbe quella di aumentare l'effetto leva, in quanto ci sarebbe un effetto moltiplicatore, dal momento che i titoli BEI sarebbero percepiti con ancora minore rischio, e quindi in grado di determinare un leverage più sostenuto. Da questo punto di vista, direi che la politica della BCE in questa ultima versione è estremamente utile e complementare all'attrattività degli investimenti.
  Completo le domande che da ultimo il presidente ha posto, che sono di carattere generale, ma tornerò sui casi specifici. Molti di voi hanno sollevato la questione non solo dei tempi, ma anche delle risorse che, sia pur contando sull'effetto leva e benché ammontino a 315 miliardi di euro, sarebbero poche rispetto a un possibile gap di investimento. In effetti, molti calcoli hanno detto che il gap di investimento è almeno il doppio di 300 miliardi, ossia che ce ne vorrebbero 700 e che, quindi, quelli attualmente previsti non bastano. Questo è sicuramente vero.
  Vorrei, però, suggerire che la positività del Piano Juncker va collocata in un contesto più ampio. La finalità del Piano Juncker non è tanto quella di fornire un impatto anticiclico, quindi di sostenere la domanda, ciò che avverrà solo quando ci saranno gli investimenti. Di fatto, oggi l'impatto anticiclico in Europa e nella zona dell'euro è garantito dalla politica monetaria, che sta infatti provocando un impatto ciclico positivo molto forte. Ne conoscete bene i canali, che sono quelli che il presidente Draghi immagino vi abbia descritto quando è venuto di recente in audizione presso la Camera dei deputati: tasso di cambio, tassi d'interesse, liquidità, abbattimento dei costi di finanziamento, con effetti che si stanno già registrando nelle aspettative dell'inflazione che aumentano, e questo è un bene in una situazione di semideflazione.
  A me piace vedere la situazione come un policy mix che potrebbe funzionare, in cui ci sono una politica monetaria di questo tipo, un'iniziativa europea per gli investimenti essenzialmente orientata al medio termine e azioni nazionali che si pongono su un piano complementare e sfruttano le azioni europee. Forse è una descrizione che qualcuno troverà ottimistica, ma io almeno la trovo coerente e ritengo utile che si vada avanti in questa direzione.
  Onorevole Palese, cerco di essere rapido e me ne scuso. Lei sollevava un tema posto anche da altri membri della Commissione su fondi strutturali e clausole di investimento. Come sapete, la nuova Comunicazione della Commissione europea sulla flessibilità introduce la clausola sugli investimenti, che permette una temporanea deviazione dal sentiero di aggiustamento del saldo strutturale in relazione a spese di cofinanziamento degli investimenti strutturali. Questa è un'opzione importante; valuteremo se, e soprattutto quando, utilizzarla. È difatti intenzione del Governo di avvalersi della nuova flessibilità nel modo più efficiente possibile in una prospettiva di medio termine.
  Il tema implicito, sollevato anche da altri, è quello di un'interazione a volte perversa, se posso dire, tra vincoli di finanza pubblica a livello nazionale e patto di stabilità interno. Spesso quest'ultimo, come sapete meglio di me, produce risultati paradossali, nel senso che, ad esempio, in regioni virtuose i vincoli del patto di stabilità interno impediscono la spesa. A ciò si riferiva, se non sbaglio, l'onorevole Guidesi.
  Questo è un problema. Io penso che questo patto di stabilità interno vada superato, perché funziona male, è complesso Pag. 17ed implica non solo meccanismi di redistribuzione sia tra regioni sia tra enti locali, ma spesso anche un costo per il bilancio pubblico. Quello che posso dire è che stiamo lavorando per superare questo meccanismo che fa usare male le risorse, che non sono tante, e che tale lavoro auspicabilmente porterà efficienza sia a livello nazionale che a livello locale. Non vado oltre, ma sarò molto lieto di venire a discutere più ampiamente di questi temi quando ci sarà qualcosa di più specifico, anche rispondendo all'invito di svolgere questi incontri in modo più regolare.
  L'onorevole Giampaolo Galli ha sollevato il tema molto importante, ripreso anche da altri, dei criteri di allocazione delle risorse. La mia risposta ingenua e banale è che ci sono dei trade-off, che accolgo in pieno. Ci sono, cioè, condizioni meramente di profittabilità che tenderebbero a indirizzare le risorse solo in un certo senso escludendone altre, ma proprio qui è la chiave di come si declina in concreto il principio dell'addizionalità.
  Questo meccanismo Juncker deve servire ad attivare investimenti che altrimenti non sarebbero attivati. Se un progetto è molto profittevole, mi aspetterei che risorse di mercato vadano ad investire su di esso. In fondo, la liquidità privata è abbondante, non è scarsa. I mercati finanziari e i fondi di investimento con cui abbiamo continui contatti ci dicono che non hanno problemi a investire se i progetti sono profittevoli, purché siano create le condizioni per realizzare progetti profittevoli. Lo scopo del Piano Juncker è quello di colmare un vuoto, e cioè di creare situazioni nelle quali da solo il mercato non va.
  Naturalmente, vi sto dicendo delle belle parole, perché questo andrà poi declinato in pratica. Ecco perché è estremamente importante il monitoraggio dei criteri in base ai quali questo meccanismo si muoverà, così come le modalità in base alle quali il Comitato per gli investimenti funzionerà, chi ci sarà e via dicendo. Sicuramente, io mi impegno come Governo a fare di questo una priorità costante, cioè a fare in modo che questo meccanismo che implica risorse importanti funzioni nel modo migliore possibile, verificandone la concreta attuazione.
  Da questo punto di vista, l'onorevole Tancredi svolgeva una considerazione molto generale circa il fatto se la partecipazione delle banche promozionali non costituisca un passo indietro rispetto al progetto comune. Forse è così, ma il mio punto di vista è più generale: a me piace vedere, come ho già detto prima, questa operazione che si chiama Piano Juncker come un pezzo di un policy mix che, in ogni caso, nel lungo periodo deve diventare più comune. Bisogna andare, ma saranno i tempi della politica europea a dire quando, verso una maggiore mutualizzazione delle risorse, fino adesso impedita da diversità di visione politica, ma anche – voglio dirlo molto chiaramente – da insufficiente fiducia l'uno nell'altro.
  Per mutualizzare le politiche bisogna fidarsi e in alcuni casi in Europa non ci fidiamo l'uno dell'altro, quindi c’è un problema anche di tipo strettamente politico e, a volte, di natura culturale per procedere in questa direzione.
  La questione degli aiuti di Stato rappresenta un punto importante. La procedura semplificata è, per come ho capito quest'episodio, un passo avanti che la DG Competition della Commissione europea – parliamoci chiaro – ha prodotto di fronte a un atteggiamento iniziale che sembrava molto più difficile nell'ammettere, dal punto di vista della disciplina degli aiuti di Stato, l'ammissibilità del Piano Juncker. La questione va ancora chiarita. Seguiremo anche questa vicenda, perché il modo in cui viene applicata la disciplina degli aiuti di Stato, come sapete bene, è spesso pervasivo in tanti terreni che non citerò.
  Credo che si debba trovare un giusto equilibrio tra il rispetto della concorrenza, e quindi tra la tutela di chi potrebbe essere escluso, magari involontariamente, da un lato, e l'eccesso di ostacoli, dall'altro. Dobbiamo eliminare gli ostacoli all'investimento e non crearne di altri. Anche questo è un gioco di equilibrio. I rapporti che il Governo ha stabilito con tutte le Pag. 18Commissioni rilevanti – parlo per il mio Ministero – è molto buono. Siamo in dialogo continuo, nel caso specifico, sia con la commissaria per la concorrenza Vestager sia con gli uffici della DG Competition su tutte le varie questioni. Ce ne occupiamo giornalmente. Trovo che ci sia una buona risposta politica da parte della nuova Commissione Juncker su questi temi, e quello sollevato è sicuramente tra i temi che seguiamo con attenzione.
  Se posso rispondere al punto sollevato dall'onorevole Tabacci, che ho sintetizzato con il termine «vigilare», credo che esso sia molto importante, soprattutto in una fase come questa di transizione. Stiamo costruendo delle istituzioni nuove. Il Piano Juncker è un'istituzione nuova. Come funzionerà dipenderà poi dall'implementazione, e quindi dai dettagli e dai meccanismi. Nella mia esperienza di partecipazione all'Ecofin ho visto che questo è un esercizio continuo, che va svolto a livello formale ed informale, in continui rapporti con la Commissione. Ripeto che questa è una prassi che abbiamo stabilito.
  Non solo io personalmente, ma tutti gli uffici del Ministero dell'economia e delle finanze a vario titolo sono continuamente impegnati in Europa proprio per quest'azione sia di vigilanza, sia di difesa degli interessi italiani di fronte a una regolamentazione europea che è importante, ma che a volte deve essere interpretata e bisogna stare attenti affinché sia interpretata in modo equo. Mi fermo qui su questo punto.
  L'onorevole Fassina pone la questione di una fiscal stance che rimane restrittiva e si chiede dove andrà il DEF 2015. Naturalmente, il DEF sarà pronto tra pochissimi giorni e verrà presentato al Parlamento alla fine della settimana prossima, subito dopo l'approvazione da parte del Consiglio dei ministri. Io valuterei la politica macroeconomica e finanziaria passata, riflessa nell'approccio che si sta seguendo nel DEF in costruzione, una politica espansiva, che è tale nei limiti doppi dei vincoli di mercato e del vincolo delle regole che, sebbene modificate dalla flessibilità, dobbiamo comunque rispettare.
  Dati questi vincoli, l'intenzione è quella di essere non solo i più espansivi possibili rispetto a questi vincoli, ma di esserlo in modo selettivo e di utilizzare, ove possibile, tale approccio – naturalmente, ciò sarà codificato nella legge di stabilità – a sostegno dell'occupazione e degli investimenti a livello locale, ossia di quei piccoli investimenti che all'interno di un comune fanno però una grande differenza. Questa è sicuramente una preoccupazione importante del Governo e in parte riprende una questione sollevata anche, se non sbaglio, dall'onorevole Guidesi.
  L'onorevole Fanucci pone la questione di settori come la scuola e il dissesto idrogeologico. Usando un termine un po’ astratto, si potrebbe dire che gli investimenti in questi settori sono a profittabilità molto differita. L'investimento in capitale umano è quello che nel lungo termine, come ci dice l'esperienza internazionale, produce impatti interni di crescita più sostanziosi, ma lo fa nel lungo termine, perché nel frattempo bisogna cambiare la scuola per produrre un miglior capitale umano da allocare poi nell'economia, e quindi in tal modo ottenere un risultato. Ciò richiede tempo, ma non per questo non va sostenuto e sicuramente la scuola deve essere una priorità.
  Vorrei dire che anche per quanto concerne il dissesto idrogeologico c’è un'apparente mancanza di profittabilità. Per me, la profittabilità è a lungo termine. Se si guarda abbastanza lontano, il dissesto idrogeologico è una fonte di perdita, e quindi rovesciare l'approccio è una fonte di guadagno. Questo è l'orizzonte temporale che deve essere considerato. Ricordo che su questo il Governo e la struttura di missione stanno lavorando al piano nazionale, che troverà implementazione nella legge di stabilità per il 2016. Nel frattempo, per finanziare interventi urgenti, il CIPE ha deliberato in febbraio, come è noto, un piano stralcio con una dotazione fino a 600 milioni di euro.
  Mi affretto perché immagino che i tempi siano ristretti. L'onorevole Guidesi mi ha rivolto una domanda molto precisa sull'utilità della legge elettorale, visto che abbiamo Pag. 19bisogno di più investimenti. Rispondo non tanto sulla legge elettorale quanto sulle riforme istituzionali e la mia esperienza dice che anche queste ultime hanno, in un orizzonte temporale un po’ più lungo, un impatto molto significativo sull'andamento dell'economia di un Paese, nella misura in cui migliorano il processo legislativo e lo rendono più snello, aumentano la durata attesa dei Governi e facilitano il processo di produzione delle norme. Tutte queste cose alla fine cambiano il modo in cui l'economia funziona. Magari non lo si scorge da subito, ma sicuramente nel medio termine hanno un impatto.
  Se non sbaglio, l'onorevole Librandi poneva una domanda, cui credo di aver in parte già risposto, sulla questione dei tempi e l'implementazione, altrimenti me ne scuso e ci ritorno. L'onorevole Melilli chiedeva invece del confronto con gli enti locali: non è tanto un confronto su specifici progetti, ma credo che nei rapporti con regioni ed enti locali ci siano molte cose da sistemare.
  Prima citavo, in modo anche un po’ emblematico e riassuntivo, la questione del patto di stabilità interno, nel senso che i rapporti finanziari e di bilancio tra il Governo centrale e i diversi livelli di governo locale devono essere rivisti, perché quello che abbiamo fino adesso emblematicamente riassunto nel patto di stabilità interno semplicemente – ripeto – funziona male. Il cattivo funzionamento implica spreco di risorse e, di conseguenza, esclusione di investimenti importanti.
  Se il sistema di bilancio locale e generale funziona meglio, ci sono alla fine anche più risorse per gli investimenti, che evidentemente vanno individuati a livello locale. È impossibile immaginare che ci sia solo a livello centrale un'indicazione che dice, per esempio, a ciascun comune dove e come investire. Questo significa che i soggetti locali devono accrescere la loro capacità di progettualità. È una constatazione banale, se volete, ma un sistema di distribuzione delle risorse migliore e meno inefficiente e una maggiore capacità progettuale a livello locale dovrebbero, alla fine, produrre risultati migliori in termini di investimenti sul territorio ai diversi livelli. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il Ministro Padoan e la delegazione del Ministero dell'economia e delle finanze. Aggiungo, ad informazione dei colleghi, che alcune osservazioni arriveranno anche nei prossimi giorni da parte di altri istituti. Siccome ci avevano chiesto di partecipare alle audizioni anche alcuni istituti bancari, abbiamo evitato di farlo con singoli gruppi, perché abbiamo scelto di sentire le associazioni.

  PIER CARLO PADOAN, Ministro dell'economia e delle finanze. Chiedo scusa, ho dimenticato molte cose, ma ne ho ricordata adesso una in particolare: senza entrare troppo nel merito, nel DEF 2015 ci sarà un allegato sulle infrastrutture col dettaglio di una lista di 49 progetti selezionati ulteriormente rispetto ai progetti esistenti, in qualche misura pensati per entrare nel meccanismo.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro per questa importante informazione. Mettiamo in distribuzione alcune osservazioni elaborate del Gruppo Intesa sul Piano Juncker. Ne arriveranno anche da altri gruppi bancari. Ho detto a tutti che, fino a quando non voteremo la risoluzione, tali osservazioni saranno distribuite e trasmesse anche via posta elettronica.
  Nel ringraziare ancora il Ministro Padoan e la delegazione del Ministero dell'economia e delle finanze, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 12.30.