Sulla pubblicità dei lavori:
Damiano Cesare , Presidente ... 2
INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE DEI SERVIZI PER IL MERCATO DEL LAVORO E SUL RUOLO DEGLI OPERATORI PUBBLICI E PRIVATI
Audizione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti.
Damiano Cesare , Presidente ... 2
Poletti Giuliano , Ministro del lavoro e delle politiche sociali ... 2
Damiano Cesare , Presidente ... 11
Dell'Aringa Carlo (PD) ... 11
Prataviera Emanuele (LNA) ... 12
Piccolo Giorgio (PD) ... 13
Rizzetto Walter (Misto-AL) ... 14
Poletti Giuliano , Ministro del lavoro e delle politiche sociali ... 15
Rizzetto Walter (Misto-AL) ... 15
Gnecchi Marialuisa (PD) ... 16
Tinagli Irene (PD) ... 16
Poletti Giuliano ... 16
Tinagli Irene (PD) ... 16
Zappulla Giuseppe (PD) ... 17
Albanella Luisella (PD) ... 18
Damiano Cesare , Presidente ... 18
Poletti Giuliano , Ministro del lavoro e delle politiche sociali ... 18
Damiano Cesare , Presidente ... 20
Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CESARE DAMIANO
La seduta comincia alle 14.35.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.
Audizione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione dei servizi per il mercato del lavoro e sul ruolo degli operatori pubblici e privati, l'audizione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti.
Ringraziamo il Ministro Giuliano Poletti per la sua presenza. Ascolteremo i suoi argomenti di approfondimento per il nostro lavoro in vista dell'attuazione della delega in materia di politiche attive per il lavoro contenuta nella legge n. 183 del 2014.
Do la parola al Ministro Giuliano Poletti.
GIULIANO POLETTI, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Buongiorno e grazie, presidente.
Questo tema è particolarmente rilevante perché, a partire dalla scelta assunta e definita dal Governo per quello che riguarda la necessità di lavorare intensamente in direzione di politiche attive, la strumentazione e la rete dei servizi sono una condizione indispensabile rispetto alle misure che eventualmente possono essere assunte, ossia agli strumenti economici che possono essere messi a disposizione di queste politiche. Se non c’è un'infrastruttura gestionale capace di produrre le condizioni, anche le stesse misure che possono essere adottate rischiano di perdere molto valore e significato. Pertanto, il tema dei servizi per l'impiego e della relativa strumentazione è particolarmente rilevante.
Da questo punto di vista, peraltro, va detto che questo tema è particolarmente presente anche nella dimensione europea. Posso confermarlo a seguito del lavoro svolto con gli altri ministri del lavoro nel semestre di presidenza italiana dell'Unione europea, perché intorno, in particolare, al tema della Rete europea dei servizi per l'impiego c’è stata una discussione importante. Ci sono stati interventi nel corso del semestre che hanno fatto sì che questa rete venisse rinnovata nei propri impianti e nei propri servizi.
Questo tema è riferibile anche alla mobilità delle persone. Nella vita dei lavoratori e nella dimensione europea questa è, dunque, una questione particolarmente rilevante. C’è anche un tema molto forte relativo alle banche dati e agli elementi di informazione europei su questo versante, proprio perché si innesca questo dato.
C’è, dunque, un primo elemento nelle politiche europee che chiede di sviluppare la Rete europea dei servizi pubblici per l'impiego e poi c’è EURES, la rete europea che eroga servizi nella dimensione europea. Abbiamo, quindi, un dato nazionale, ma anche un dato europeo particolarmente rilevante.Pag. 3
C’è poi una problematica di tipo istituzionale, che credo non sfugga a nessuno. Noi partiamo, in questo momento, da una situazione piuttosto particolare e relativo al Titolo V e all'articolo 117 della Costituzione, perché abbiamo in essere una condizione di fatto, a Costituzione vigente, che che prevede competenze regionali e nazionali per quanto riguarda le politiche attive e competenze nazionali per quanto riguarda le politiche passive.
Qui c’è già un primo significativo problema che va affrontato e risolto, perché, se non si produce un dialogo sistematico e una capacità di co-agire delle politiche attive e delle politiche passive, la storia ci insegna che tendenzialmente finiscono per prevalere le politiche passive. Producendo fondamentalmente trasferimenti monetari pressoché automatici, o comunque connessi a indici e a parametri, esse non hanno bisogno di una lavorazione particolarmente significativa. Pertanto, c’è una propensione a far sì che alla fine prevalga la logica degli interventi di politiche passive.
Siamo di fronte a una storia istituzionale piuttosto particolare, perché noi veniamo da una rete nazionale che era il collocamento pubblico. Poi c’è stato un passaggio alle regioni, con la trasformazione del collocamento pubblico nei centri per l'impiego. Su questo monopolio pubblico, si è innescata una modifica normativa, che ha consentito la realizzazione e l'accreditamento delle agenzie per il lavoro. Questo è, stato, quindi il primo mix di collaborazione tra pubblico e privato su questo versante.
Poi c’è stata una parte che abbiamo considerato, io credo, in maniera non ancora sufficiente, cioè l'intervento del decreto legislativo n. 276 del 2003 che, in sostanza, ha fatto sì che gli istituti scolastici, le università e i consorzi universitari, ai sensi dell'articolo 6, siano autorizzati a svolgere attività di intermediazione di lavoro e a sviluppare al loro interno attività di orientamento al lavoro, di vero e proprio career service, sfruttando la posizione privilegiata nell'indicare le aziende e i giovani in possesso dei curricula scolastici e universitari più adatti al profilo ricercato.
In quella fase, quindi, noi abbiamo allargato l'ambito dei protagonisti potenziali di quest'attività a soggetti, come appunto le università, che in alcuni casi hanno realizzato questi centri di servizio, ma che, in molti altri casi, non l'hanno fatto.
Qui si propone un problema. Io credo, per esempio, che sia giusto, in prospettiva, che ogni università si organizzi per gestire e promuovere, per quanto possibile, la relazione tra i propri laureati, le persone che studiano in quegli istituti e il mondo dell'impresa. Questo dialogo bilaterale tra impresa, sistema della formazione e sistema universitario, si realizza anche attraverso questa modalità.
Pertanto, abbiamo una norma, che forse è la più recente da questo punto di vista, che ha visto un gruppo importante di università cogliere l'opportunità e utilizzarla e altre università farlo in maniera meno incisiva. Si propone potenzialmente un problema di sviluppo ulteriore.
Da questo punto di vista noi sappiamo che la gestione dei centri pubblici per l'impiego e, quindi, delle politiche attive gestite in quella sede è stata delegata dalle regioni alle province. I centri pubblici per l'impiego, quindi, di fatto, in termini di operatività, nella stragrande maggioranza dei casi sono stati gestiti e assegnati alle amministrazioni provinciali. Oggi si pone, quindi, una condizione di problematicità, perché all'interno della dinamica della modifica normativa si riapre una fase per la quale è necessario rideterminare una prospettiva futura per quanto riguarda i servizi per l'impiego e la responsabilità e la competenza in materia.
Tornando al ragionamento che avevo avviato intorno al tema della riforma della Costituzione, ieri è stato approvato alla Camera il disegno di legge di riforma costituzionale, il cui articolo 31 riassegna a livello centrale la competenza per quello che riguarda le politiche attive, oltre che la sicurezza sul lavoro. Siamo in un divenire che, da questo punto di vista, ci propone Pag. 4sicuramente un problema di gestione della transizione. Siamo, cioè, in una fase, da una parte, di passaggio istituzionale che prevede il superamento delle province e, dall'altra, di passaggio costituzionale.
In terzo luogo, nel momento in cui noi riorganizziamo il sistema delle tutele e vogliamo puntare sull'impianto dei servizi per l'impiego, diventa molto delicato garantire la continuità, l'efficacia e, per quanto possibile, l'ammodernamento e il potenziamento dei medesimi servizi. Il quadro, dunque, è oggettivamente piuttosto complesso. Stiamo lavorando su questa materia con la volontà di preservare l'attività in essere e di potenziarla, per quanto possibile.
L'ultima considerazione che posso fare su questo versante riguarda l'assetto attuale che prevede il coinvolgimento di operatori pubblici, privati e delle istituzioni scolastiche e sociali, perché anche le associazioni degli imprenditori e i sindacati sono, secondo l'articolo 6 del decreto legislativo n. 276 del 2003, soggetti potenzialmente in grado di svolgere attività per favorire il matching, ossia l'incontro tra lavoratori e imprese.
Pertanto, oggi il parco dei soggetti pubblici, privati e del privato sociale potenzialmente in grado di agire su questo versante è significativamente largo. Il problema vero è trovare i punti di nesso, i collegamenti e la capacità di far sì che ogni soggetto, nell'ambito della propria competenza, possa sviluppare al meglio la propria azione. Direi che questo è un punto di partenza assolutamente importante.
Passiamo ai dati sull'intermediazione dei servizi pubblici e privati. Credo che voi avrete sicuramente avuto l'opportunità con altri soggetti di avere qualche elemento di informazione sul punto, ma, pur molto velocemente, vorrei proporvi una riflessione.
Noi sappiamo che l'intermediazione e, quindi, la possibilità di trovare un'occupazione è, per larga parte, affidata all'informalità, ossia a sistemi relazionali che sono al di fuori della strumentazione istituzionalmente competente. Anche se sommassimo ciò che viene intermediato dai servizi pubblici, quello che viene intermediato dalle agenzie private e ciò che passa attraverso le università e le scuole, arriveremmo sempre e comunque un numero significativamente più basso di quello relativo alle situazioni che vengono «risolte» in una relazione bilaterale tra il cittadino, il giovane, il lavoratore e sistemi relazionali o altri meccanismi che intervengono.
Oggi ha assunto un significato non banale la strumentazione posizionata sulla rete e, quindi, i siti specializzati, i soggetti che intermediano per via telematica queste attività. Anche se mettessimo insieme tutti questi strumenti, comunque saremmo sempre a una quota limitata rispetto alla «relazione» diretta e informale.
Detto questo, però, c’è un dato interessante: i centri pubblici per l'impiego hanno, nell'ultimo periodo, dentro la crisi, mantenuto un livello di presenza coerente con la loro storia e, se vogliamo, si sono leggermente rafforzati. Abbiamo avuto una risposta secondo cui un numero piuttosto significativo di cittadini ha comunque utilizzato la strumentazione pubblica.
Infatti, i dati ci dicono che quattro cittadini su dieci dichiarano di aver utilizzato anche i centri per l'impiego durante la fase di ricerca del lavoro. Quando diciamo «anche», questo significa che molti cittadini che cercano lavoro usano una pluralità di strumenti, non si affidano a un unico strumento. Usano, quindi, la rete, ma usano anche il centro pubblico per l'impiego, l'agenzia per il lavoro interinale e tutto quello che hanno a disposizione. Nell'ambito di questa pluralità di strumenti il centro pubblico per l'impiego continua a essere un soggetto che ha un suo significato e una sua affidabilità, dal momento che quattro cittadini su dieci ci confermano che al centro per l'impiego pubblico ci vanno.
Questo non può essere certamente considerato soddisfacente, anche perché stiamo parlando, in ogni caso, del 4 per cento circa dei lavoratori che sono intermediati e collocati dai centri pubblici per l'impiego. Tuttavia, questa presenza ha Pag. 5ancora una sua significatività. Siamo più o meno nella stessa media degli altri strumenti.
Peraltro, anche le Agenzie non collocano chissà quanti lavoratori, collocano anche loro il 3,5-4,5 per cento dei lavoratori intermediati. I centri pubblici per l'impiego non sono lontanissimi dalle performance degli altri soggetti, tuttavia, poiché si tratta di centri pubblici, noi continuiamo a pensare che dobbiamo fare del nostro meglio e tutto ciò che è possibile perché migliorino le proprie performance. Comunque, il dato sul loro funzionamento è confermato.
Abbiamo poi un dato che riguarda la situazione dei servizi sul territorio. Secondo l'ultima analisi, che risale al 2013, ci sono circa 550 centri per l'impiego distribuiti nel nostro Paese. Questa distribuzione non è omogenea. Ovviamente, ha alcuni punti di concentrazione specifici e anche una situazione piuttosto peculiare in termini di dimensione.
Quando sono partiti i centri per l'impiego, c'era più o meno un parametro di 100.000 utenti. Il dato di fatto è che la realtà si è incaricata di creare una distribuzione molto diversa: ci sono molti centri – la maggioranza – che hanno un'utenza più bassa dei 100.000 previsti e c’è una quantità più ridotta che, invece, ha un numero di utenti significativamente più alta.
Naturalmente, questa situazione è figlia anche delle concentrazioni urbane, classicamente. È chiaro che il centro per l'impiego posizionato a Roma o a Milano ha un potenziale palesemente diverso da quello di comunità distribuite territorialmente su ambiti territoriali vasti, ma con un basso numero di popolazione e, quindi, anche di popolazione attiva. Comunque, questo è il dato che abbiamo sotto gli occhi: ci sono quindi oltre 550 centri per l'impiego.
Dall'altra parte, per quello che riguarda le agenzie per il lavoro, noi abbiamo un dato che ci consegna 2.361 agenzie, comprese le filiali. Voi sapete che qui c’è l'accreditamento. Sono tutte cose note. Da questo punto di vista, però, dobbiamo rilevare che la stragrande maggioranza delle 2.361 agenzie è registrata come somministrazione di lavoro di tipo generalista.
Se andiamo a vedere alcune specializzazioni di ricerca e selezione del personale, invece, notiamo che ne abbiamo meno di 700. Se andiamo a guardare qualcosa che ci interessa molto in termini di supporto alla ricollocazione professionale, ne troviamo un numero significativamente più basso, 222.
Pertanto, anche nella rete delle agenzie per il lavoro c’è un numero molto largo di strutture generaliste e un numero significativamente più ristretto di sezioni specialistiche, funzionali, per esempio, ad alcune delle logiche che noi sosteniamo in termini di collaborazione alla collocazione o alla ricollocazione del lavoro.
I numeri sono importantissimi, perché parliamo di migliaia strutture. Probabilmente, però, in prospettiva futura, esisterà anche per le agenzie per il lavoro un tema di rifocalizzazione della propria missione, perché il passaggio dalla missione generica alla missione specialistica pone il tema delle competenze, delle capacità, dei sistemi relazionali e dei modelli organizzativi.
Da questo punto di vista abbiamo un dato che è noto, ma che io credo possa essere opportunamente segnalato. È il dato secondo cui le agenzie hanno una fortissima concentrazione in alcune aree del Paese, in particolare Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte, per citare le quattro regioni, di cui la Lombardia è quella che fa la parte del leone, che hanno il massimo di concentrazione delle agenzie.
È chiaro che siamo di fronte a una relazione diretta con le dinamiche e con la dimensione di quei mercati: sono agenzie che vanno a cercare il mix, il matching, la relazione tra fabbisogno dell'impresa e opportunità di collocazione e si posizionano laddove il mercato consente loro di trovare uno sbocco economicamente efficiente.
Questo, però, produce un effetto problematico, da un certo punto di vista, se guardiamo la. Tale effetto va corretto, Pag. 6perché rischiamo di avere una concentrazione specifica di strumenti in alcune aree del Paese, in cui effettivamente la dimensione dell'impresa e i problemi dell'occupazione hanno una specifica caratura – mi riferisco all'Italia settentrionale – e, invece, di avere un'inadeguata presenza di strumentazioni sia pubbliche, sia private in un'altra parte del Paese.
Prima di sostenere che abbiamo un buon mix pubblico-privato dobbiamo anche andare a vedere dove si realizza e come, perché rischiamo di avere un'iperconcentrazione di servizi in alcune aree e di avere, invece, un'insufficienza in altre. Tutti questi elementi vanno, quindi, tenuti contemporaneamente in considerazione per evitare di trovarci di fronte a una situazione di problematicità.
Da questo punto di vista va segnalato un dato. Le politiche regionali intorno al tema delle agenzie per il lavoro non sono state tutte uniformi. Abbiamo avuto regioni che hanno spinto e utilizzato con molta forza questa possibilità e altre che l'hanno fatto molto meno. Un'altra delle ragioni per lo sviluppo più o meno forte di queste strumentazioni è correlato al fatto che in loco ci sia stata una volontà esplicita di utilizzare tali strumentazioni o meno.
Da questo punto di vista io credo che si possa dire che il programma Garanzia giovani ha aiutato nella direzione di estendere e utilizzare queste strumentazioni in maniera più diffusa a livello nazionale. I dati ci dicono che alcune regioni che non avevano regolato o costruito accordi con le agenzie l'hanno fatto per gestire il programma Garanzia giovani. Il fatto che si sia ampliato il ricorso a questi strumenti e che, quindi, oggi sia praticamente quasi completata la copertura a livello nazionale da questo punto di vista è un elemento positivo, perché quantomeno l'infrastruttura c’è.
Quanto possa produrre e come è un altro problema, ma fino a ieri non avevamo neanche l'accreditamento regionale, o non avevamo neanche la disponibilità o la volontà di agire su questo versante. Io credo che questo sia un elemento che va colto e che oggi ci indica di fatto che in tutta la dimensione nazionale il tema è stato affrontato.
Svolgo due rapidissimi commenti nella comparazione tra la situazione del nostro Paese e le scelte degli altri Paesi europei.
I dati evidenziano in termini molto chiari come molti Paesi europei abbiano da tempo fatto la scelta dei servizi per l'impiego e delle politiche attive. Se si guardano i dati, si può verificare che ci sono situazioni diverse da un Paese all'altro. Cito un caso in maniera preliminare: la Germania. Se si va a vedere il dato sulla spesa per le politiche attive sul PIL, notiamo un numero relativamente basso, ma dentro quel numero basso la spesa per i servizi per l'impiego è molto alta.
C’è, quindi, una sorta di effetto collaterale. Nei Paesi in cui c’è una spesa molto alta per i servizi, è necessaria una minore spesa per le politiche dirette, ossia per i sussidi e per altri strumenti.
Ci sono altri Paesi che spendono una percentuale di PIL più alta della Germania, come Francia e Inghilterra, ma questi hanno percentualmente meno spesa sui servizi e più spesa sulle politiche.
Anche all'interno del dato sulla spesa di un Paese per le politiche attive è interessante, quindi, andare a vedere su una quota pari a 100 quanto è speso per politiche, ossia per incentivi e strumenti, e quanto per i servizi. Rileviamo anche qui una differenza piuttosto significativa.
Questa tendenza a lavorare sugli strumenti è piuttosto omogenea a livello europeo e su questo versante il nostro Paese non sta bene. L'Italia è praticamente penultima in Europa rispetto alla spesa per i servizi per il lavoro nel periodo 2007-2012. Siamo in una situazione che ha bisogno di essere ribilanciata in maniera assolutamente molto forte perché, da questo punto di vista, il dato non può essere assolutamente considerato adeguato.
Noi abbiamo, peraltro, anche qui un dato di trend che non è positivo. Se si guarda la relazione tra gli addetti ai servizi per l'impiego e gli utenti, vediamo, infatti, che il numero degli utenti rispetto alle persone impiegate nei servizi nel nostro Pag. 7Paese tende ad aumentare, ma non perché abbiamo più gente occupata, più gente da occupare o più gente che usa i servizi, bensì semplicemente perché nel tempo si riduce gradualmente il numero degli addetti ai centri per l'impiego. Quindi, un centro per l'impiego che ha uno, due o tre dipendenti in meno e ha gli stessi utenti produce, in esito automatico, che quelli che restano abbiano un numero più alto di utenti.
Da questo punto di vista vediamo, invece, che in alcuni altri Paesi è successo l'opposto, ossia c’è stato un investimento sui centri e i servizi per l'impiego per cui l'incremento di personale operato sui centri per l'impiego ha prodotto l'esito opposto, ossia che per ogni addetto il numero dei potenziali utenti si sia ridotto.
Qui c’è una conferma indiretta della considerazione che facevo prima, ovvero che c’è stata strutturalmente nel tempo una riduzione del peso, del significato e del valore dell'attività dei centri pubblici, confermata da questo dato.
L'ultima questione che vi vorrei proporre, l'ultimo approfondimento, riguarda il tema specifico della legge-delega per l'istituzione dell'Agenzia nazionale per l'occupazione e il collegamento di questa scelta alle politiche e alle scelte che abbiamo fatto e che faremo nei decreti delegati per l'attuazione della delega.
La legge n. 183 del 2014 prevede, per rafforzare il coordinamento e l'efficienza dei servizi per l'impiego, l'istituzione di un'Agenzia nazionale per l'occupazione con competenze specifiche in materia di servizi per l'impiego, politiche attive e ASpI, ossia per le politiche passive.
In termini di impianto, guardando l'Europa, vediamo che quasi tutti i Paesi hanno un modello di organizzazione che prevede, da un lato, un istituto che si occupa della previdenza e, dall'altro, un istituto che si occupa delle politiche attive e delle politiche passive.
Il nostro Paese non è organizzato in questo modo. Oggi l'istituto che si occupa di previdenza si occupa anche delle politiche passive, mentre delle politiche attive si occupano le regioni, con la competenza che conosciamo e con la corresponsabilità nazionale per quello che riguarda alcuni elementi relativi alla pianificazione nazionale.
Questa è una prima diversità che va tenuta in considerazione, soprattutto perché esiste un primo problema di infrastruttura informativa. Oggi nel nostro Paese il massimo di informazione è concentrato nelle banche dati di tipo previdenziale e assicurativo. Per immaginare un nuovo assetto che riguardi le politiche attive abbiamo bisogno di costruire una strumentazione che sia capace di farci leggere tutte le dinamiche che si realizzano. Qui si rileva, dunque, questo primo elemento di eccentricità.
Rispetto agli altri Paesi, quindi, noi abbiamo una situazione diversa, che oggi è costruita in questo modo. Nel ragionare sulla nuova Agenzia, dovremmo, dunque, interrogarci su come affrontare questo tema, perché è lì, è un dato di fatto. Noi dovremmo chiederci come affrontarlo e risolverlo, avendo chiaro per noi che è solo dalla capacità di co-agire delle politiche passive e delle politiche attive dei servizi che si può ottenere un buon risultato. Dobbiamo trovare il modo per produrre questa condizione.
Passiamo alla legge n. 183 del 2014 e a ciò che prevede. Rapidamente, vi ricordo quello che ci dice la delega: in buona sostanza, quest'Agenzia dovrà essere partecipata da Stato, regioni e province autonome e sarà sotto il controllo e la vigilanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
È chiaro che la stesura della delega è avvenuta in un contesto costituzionale che è quello attuale. Per esempio oggi ci si potrebbe chiederci perché ci sia una previsione che riguarda le regioni nell'Agenzia nazionale. Nel momento in cui questa norma è stata scritta, la Costituzione italiana, come è oggi, continua a prescrivere che le politiche attive siano di competenza delle regioni. Se si pensa di fare un'Agenzia nazionale che si occupi di politiche attive, è del tutto ovvio che sia prevista una collaborazione e una partecipazione delle regioni.Pag. 8
In una situazione diversa si potrebbero fare valutazioni diverse, ma queste sono coerenti con l'impianto normativo, e doverosamente tali. Faccio questa sottolineatura solo perché ogni tanto questo tema ritorna, ma è figlio di questo contesto, ossia del fatto che noi facciamo questa discussione in itinere rispetto a una riforma costituzionale che ha aperto un punto di riflessione su questo punto. Quest'Agenzia presenta, dunque, queste caratteristiche.
Nella definizione delle linee di indirizzo di azione dell'Agenzia è previsto il coinvolgimento delle parti sociali. Naturalmente, devono essere previsti meccanismi, come dicevo prima, di raccordo, per un verso, tra l'Agenzia e l'INPS, sia a livello centrale, sia a livello territoriale, al fine di integrare maggiormente le politiche attive e le politiche di sostegno al reddito, e, per un altro verso, tra l'Agenzia e gli enti che a livello centrale e territoriale esercitano competenze in materia di incentivi all'autoimpiego e all'autoimprenditorialità. Si pone, quindi, il tema della connessione da questo punto di vista.
La legge n. 183 del 2014 stabilisce, inoltre, il potenziamento dei servizi per l'impiego pubblici valorizzando le possibili sinergie con le agenzie per il lavoro private al fine di rafforzare la capacità di incontro tra domanda e offerta di lavoro, in piena continuità, peraltro, con quanto delineato dalla legge n. 30 del 2003.
In questo senso si prevede l'introduzione di strumenti e forme di remunerazione proporzionati alla difficoltà del collocamento, a fronte dell'effettivo inserimento almeno per un congruo periodo, a carico di fondi regionali a ciò destinati. In buona sostanza, si ipotizza in termini espliciti nella delega che i soggetti che agiscono in questo campo abbiano una «remunerazione», per una quota quantomeno, connessa al risultato prodotto. Si ipotizza, quindi, che per una parte siano costi «collegabili» all'erogazione di un servizio, ma, per un'altra parte particolarmente rilevante, essi siano connessi al risultato: se si produce un esito, si ottiene una remunerazione e, se non si ottiene l'esito, quella remunerazione non c’è. Siamo, quindi, in un contesto di collaborazione-competizione, da questo punto di vista.
Al Ministero del lavoro e delle politiche sociali viene assegnato, infine, il compito di verificare e controllare il rispetto della fruizione dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantite su tutto il territorio nazionale.
Non torno sul tema della riforma costituzionale, perché ne abbiamo già parlato. Debbo dire che in questa fase, anche in conseguenza del passaggio di tipo istituzionale di cui parlavamo – mi riferisco alla questione delle province e alla fase di interregno che in qualche misura si produce – la legge di stabilità del 2015 prevede, al fine di consentire, da una parte, la continuità del regolare svolgimento dei servizi per l'impiego e, dall'altra, la piena attuazione del piano Garanzia giovani, una disciplina speciale per il personale degli enti adibito a servizi per l'impiego e politiche attive del lavoro, attraverso il finanziamento della spesa per il personale a tempo indeterminato e per le proroghe per i contratti a tempo determinato e per le collaborazioni coordinate e continuative.
In particolare, viene previsto, che le città metropolitane e le province, a seguito o nelle more del riordino delle funzioni fondamentali previste dalla legge, da deliberarsi da parte delle leggi regionali, continuino a esercitare le funzioni e i compiti relativi ai servizi per l'impiego e le politiche attive del lavoro. La disciplina speciale per il personale dedicato a queste funzioni va messa in interrelazione con il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive, così come prevista dalla legge-delega.
Naturalmente, non riprendo il fatto che questa legge prevede l'istituzione dell'Agenzia, per il funzionamento della quale si prevede, peraltro, la possibilità di utilizzare e di far confluire in via prioritaria nei ruoli delle amministrazioni vigilanti o dell'Agenzia il personale proveniente dalle amministrazioni o dagli uffici soppressi o riorganizzati. Questo personale, come sottolineato Pag. 9dalla circolare del Dipartimento della funzione pubblica, seguirà il percorso di ricollocazione separato, da definire in sede di attuazione della legge n. 183 del 2014, secondo i criteri di delega precedentemente citati.
La legge di stabilità per il 2015, infatti, autorizza le città metropolitane e le province a finanziare, a valere sui piani e sui i programmi nell'ambito dei fondi strutturali, le seguenti fattispecie: rapporti di lavoro a tempo indeterminato, rendendo possibile finanziare le spese per il personale di ruolo adibito ai servizi per l'impiego e le politiche attive del lavoro, il che determina, nelle more del riordino delle funzioni, un effetto positivo sul bilancio degli enti in questione; la proroga dei contratti di lavoro a tempo determinato e la prosecuzione dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa che siano strettamente indispensabili per la realizzazione di attività di gestione dei fondi e interventi da essi finanziati. Si tratta di rapporti di lavoro finanziati a valere sui fondi dell'Unione europea a cui gli enti fanno ricorso per garantire la continuità del servizio.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha adottato, per quanto di sua competenza, gli atti collegati con la parte della norma che autorizza lo stesso dicastero, nei limiti di 60 milioni di euro, a valere sul Fondo di rotazione per la formazione professionale e per l'accesso al Fondo sociale europeo, a concedere anticipazioni delle quote europee di cofinanziamento nazionale dei programmi a titolarità delle regioni cofinanziati dall'Unione europea con i fondi strutturali. Per la parte nazionale le anticipazioni sono integrate al fondo a valere sulle quote di cofinanziamento nazionale riconosciute per lo stesso programma a seguito della relativa rendicontazione di spesa.
In buona sostanza, abbiamo cercato di produrre una condizione per la quale in questa fase intermedia ci sia comunque la possibilità di mantenere economicamente coperti i costi per la gestione dei servizi per l'impiego.
Nei prossimi giorni avvieremo un confronto con le regioni e le province autonome, allo scopo di analizzare le residue problematiche relative al mantenimento in esercizio dei centri per l'impiego, nonché alla definizione di un'ordinata transizione verso il nuovo assetto delle politiche attive del lavoro delineate dalla legge n. 183 del 2014 anche dentro il contesto normativo e costituzionale che si propone.
Concluderei il mio intervento formulando un'osservazione che fa riferimento al lavoro svolto in questi mesi dai centri per l'impiego in connessione con la realizzazione del programma Garanzia giovani.
È stato fatto un lavoro molto importante. Alla data del 5 marzo 440.000 giovani si sono registrati. Rappresentano il 78 per cento del target su cui abbiamo la possibilità di intervenire. Girano dati di diverso tipo – 1,7 milioni, 2,5 milioni e via elencando – ma il Piano operativo nazionale Garanzia giovani ha un suo target di riferimento e ha una quantità di risorse pari a 1,5 miliardi di euro, che è in grado di coprire la domanda di 560.000 giovani. Noi oggi, quindi, abbiamo 400.000 giovani registrati e ancora dieci mesi di registrazioni possibili. Abbiamo un flusso sistematico di circa 10.000 giovani a settimana che entrano nel programma Garanzia giovani. Se questo ritmo venisse mantenuto fino alla fine del periodo, noi avremmo circa 800.000 giovani registrati.
Pertanto, il rischio che viene paventato e che, secondo me, è giusto tenere in grande attenzione, relativo al fatto di non usare le risorse europee che ci sono assegnate, se guardo questi dati, mi pare non sia un rischio concreto. Probabilmente abbiamo esattamente il problema opposto, ossia avremo bisogno di ulteriori risorse se vorremo concedere a tutti i giovani la stessa opportunità – avendo fatto questa scelta, è ciò che dovremmo fare – al punto che oggi possiamo dire che, dal punto di vista del programma di attuazione, 950 milioni di euro di risorse, che corrispondono al 63 per cento del totale, sono già stati impegnati nei programmi attuativi Pag. 10delle regioni. Questi programmi sono già stati deliberati e i bandi sono stati emessi. Ad oggi la situazione è questa.
Teniamo conto che la chiusura delle registrazioni è prevista alla fine del 2015 e che poi il progetto ha altri due anni davanti per realizzare le politiche previste dal Piano. Io non credo che noi impiegheremo due anni. Credo che realizzeremo il nostro obiettivo significativamente prima, ma, per essere tutti consapevoli delle quantità e dei tempi, quelli sono le quantità e i tempi che l'Europa ci consegna.
Noi abbiamo un problema diverso. Come Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nel corso del semestre di presidenza europea, abbiamo chiesto agli altri ministri e all'Europa di rendere strutturale questo programma e di rifinanziarlo anche negli anni futuri, perché, di fronte a questa situazione, la possibilità che abbiamo è forse quella di non avere tutte le risorse eventualmente necessarie.
Aggiungo le ultime due informazioni su Garanzia giovani. Ci dicono che sui 440.000 giovani che si sono registrati sono 210.000 quelli che sono stati presi in carico dai servizi, accreditati, già profilati e avanti di questo passo. I dati che abbiamo negli ultimi mesi ci dicono che il lavoro di profilazione e, quindi, di prestazione di servizio cresce più di quanto non crescano i soggetti che si registrano. Gradualmente, si sta, quindi, svuotando il bacino che si era costituito all'inizio, nel momento in cui è partito il progetto. Le regioni e gli uffici non erano ancora pronti a fare il lavoro che poi, invece, sono stati in grado di fare.
Le ultime due informazioni fanno riferimento al fatto che con due decreti direttoriali abbiamo cambiato alcune caratteristiche di Garanzia giovani. Abbiamo introdotto come misura possibile il sostegno all'apprendistato, che non era stato previsto in partenza, in ragione di una motivazione che aveva una sua logica: l'apprendistato aveva già una decontribuzione per legge e, quindi, si reputava che fosse sufficientemente promosso.
I dati di fatto ci hanno fatto capire e i numeri ci dicono che, ciononostante, l'apprendistato continua a non essere adeguatamente utilizzato. Pertanto, ci è parso corretto introdurre la possibilità che anche l'apprendistato utilizzi gli elementi di incentivo previsti per Garanzia giovani.
Inoltre, abbiamo previsto la cumulabilità dei sostegni all'occupazione di Garanzia giovani con gli altri previsti da varie altre normative. Questo per evitare uno spiazzamento che di fatto si sarebbe realizzato. Garanzia giovani è il tentativo di dare un «punto di vantaggio» ai giovani NEET che si presentavano al mercato del lavoro. Con la norma sulla decontribuzione per gli assunti nel 2015 per i prossimi tre anni il rischio era di avere uno spiazzamento tale per cui quel tipo di incentivo avesse più peso e valore di quanto non ne avesse il bonus di Garanzia giovani.
Si rischiava, quindi, un effetto paradossale, per cui chi aveva il bonus Garanzia giovani era meno favorito di chi utilizzava il bonus ordinario per la decontribuzione. Aver ammesso la possibilità di cumulare questi due incentivi produce l'esito che, comunque, un giovane iscritto a Garanzia giovani mantiene sempre un suo differenziale positivo rispetto alla scelta che un'impresa può fare decidendo di prendere una persona che viene da Garanzia giovani o che non viene da Garanzia giovani. Questo differenziale c'era prima e continua a esserci adesso, a fronte di questa tipologia di intervento.
L'ultima questione che vi rappresento è lo sforzo di monitoraggio sistematico che stiamo facendo su questo programma per ogni singola regione, per cercare di costruire strumentazioni che ci aiutino a far bene questo lavoro. Dobbiamo dire che, da questo punto di vista, la risposta che abbiamo avuto, a mio avviso, è assolutamente significativa, perché credo che il fatto che i nostri centri per l'impiego, nell'arco di sei mesi, incontrino, profilino e inseriscano in un progetto più di 200.000 giovani credo sia un'esperienza che in questo Paese non si è mai fatta.Pag. 11
Detto questo, va tutto bene ? No. Ci sono delle cose da cambiare, le stiamo cambiando, ma io credo che occorra avere l'oggettività di valutare gli elementi di problematicità e i dati sui risultati che si producono. Da un lato, è vero che abbiamo dei problemi, ma, dall'altro, dovremmo anche riconoscere alle regioni, ai centri e agli uffici che hanno fatto questo lavoro il valore e il merito che hanno avuto.
In questo momento abbiamo i giovani registrati, abbiamo i giovani presi in carico e abbiamo i giovani a cui viene proposta un'azione. Questa è la fase che sta crescendo più rapidamente in questo momento. Siamo oltre i 30.000 catalogati, con riferimento a qualche settimana fa. Stiamo facendo le verifiche in questo momento. Le cose stanno migliorando significativamente, per una ragione piuttosto ovvia: le regioni prima hanno costruito la strumentazione per fare la registrazione e la presa in carico e poi hanno emesso i bandi.
Oggi i bandi sono stati emessi, ragion per cui le imprese possono usare gli stage e possono prendere le persone di cui hanno bisogno. Teniamo conto del fatto che noi, nell'arco di quest'anno, per citare un dato soltanto, saremo in condizione di promuovere il servizio civile per circa 50.000 giovani, una parte importante dei quali saranno anche giovani di Garanzia giovani. Il servizio civile è una delle azioni che il progetto propone per aumentare l'occupabilità di questi giovani e per far avere loro più opportunità.
Io ho colto, quindi, l'occasione per fornirvi anche questa informazione aggiornata sulla vicenda di Garanzia giovani, perché Garanzia giovani è stata anche un'occasione per mettere alla prova e assestare meglio il funzionamento dei centri per l'impiego. Questo progetto è appoggiato su questi centri, oltre che, naturalmente, sulle agenzie per l'impiego, sulle università e su altre strutture. La prima parte, la prima base, però, è essenzialmente poggiata sui centri per l'impiego.
PRESIDENTE. Ringraziamo il Ministro per l'ampia relazione.
Il tempo è volato. Immagino che ci siano domande, ragion per cui, al limite, ci aggiorneremo anche in un'eventuale altra seduta, se lei deve andare via tra un quarto d'ora.
Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
CARLO DELL'ARINGA. Innanzitutto ringraziamo il Ministro per la relazione ampia ed esauriente, nonché per la chiarezza con cui ha descritto un quadro istituzionale molto complicato, sul quale io vorrei dire brevemente alcune cose. Ci sarebbero tante cose da dire, ma bisogna concentrarsi in brevi interventi. Svolgo, quindi, dei brevi flash.
Gli accenni che ha fatto, per esempio, su questi incentivi che si sommano e si completano a vicenda è forse la dimostrazione, ancora una volta, di quanto noi dovremmo usare un po’ più di risorse per i servizi e che siamo indietro rispetto a queste sommatorie di incentivi che poi magari si annullano a vicenda. Così fanno negli altri Paesi: più si riescono a fare servizi per un buon incontro di domanda e offerta di lavoro, meno si ha bisogno di incentivi. Questo è il primo flash.
Passo al secondo. La direzione che il Governo ha preso, e che io approvo totalmente, è quella di una sicurezza che consiste non solo nel sostenere il reddito nel momento in cui ce n’è bisogno, ma anche nell'aiutare e attivare coloro che sono beneficiari dei sussidi. Si tratta, quindi, di politiche attive nell'ambito di un welfare condizionato.
Questa è la direzione seguita da tutti i grandi Paesi con cui ci confrontiamo, che è in atto da venti o trent'anni nel corso di questo secolo e del secolo scorso. Noi abbiamo fatto poco su questa strada e, quindi, dobbiamo correre molto, ma questa è la strada obbligata.
C’è anche quella bellissima innovazione del recente decreto legislativo di attuazione della legge delega in materia di lavoro, che ha introdotto un sussidio di disoccupazione di carattere assistenziale pagato dalla fiscalità generale che va anche Pag. 12incontro all'esigenza di sostenere le famiglie povere, i cui componenti non lavorano. Questo è un sostegno che in tutti i Paesi importanti è accompagnato da una politica di aiuto per la ricerca del lavoro. È condizionato. Nelle norme si dice che è «condizionato», ma, se non ci sono le istituzioni che provvedono, queste rimangono belle parole.
C’è anche un grande impegno per l'Agenzia, su cui si confrontano vari provvedimenti legislativi da mettere insieme. Questo è il contesto istituzionale molto complicato che deve essere affrontato. Abbiamo la «legge Delrio» per quanto riguarda le province, che hanno gestito e gestiscono i centri per l'impiego. Abbiamo la legge-delega n. 183 del 2014, che – ricordiamolo – non parla di un'Agenzia statale. Talvolta ci si confonde: non è un carrozzone statale, ma un'Agenzia nazionale, partecipata dalle regioni, nella convinzione, però, di integrare le politiche passive e attive, perché questa è la direzione presa in tutti i Paesi europei più importanti.
La Germania, non più tardi di cinque anni fa, ha preso una parte dell'ente previdenziale, quella che gestisce i sussidi, l'ha unito all'Agenzia per il lavoro e ha creato un'unica Agenzia nazionale. Lo stesso è avvenuto in Inghilterra, dove addirittura le due funzioni sono svolte dal Ministero del lavoro e sono state integrate a livello di ministero. Negli altri due grandi Paesi sono state integrate a livello di Agenzia.
Ci sono, quindi, la «legge Delrio», la legge-delega e la Costituzione, anzi direi le due Costituzioni, perché ce ne sono due, quella attuale e quella che ci sarà fra un anno e mezzo, che dicono cose diversissime su questo terreno, cose che lei ha ben messo in luce.
Su questo punto io sono fra coloro che hanno votato la nuova Costituzione, il cui iter di approvazione tuttavia non è perfezionato, naturalmente, in modo convintissimo – molti l'hanno votata, giustamente, magari con un grado di convinzione minore – perché indirettamente ha fatto capire la direzione di marcia. C’è bisogno di integrare le politiche, c’è bisogno di un welfare universale, c’è bisogno di investire anche in sussidi di carattere assistenziale. Dobbiamo accompagnare con politiche di attivazione.
Integrazione significa, in primo luogo, che è la stessa istituzione che fa le cose. Noi veniamo da una tradizione – che deriva da un modello definito dal decreto legislativo n. 181 del 2000 – in base alla quale vi è un istituto nazionale che eroga i sussidi e gli enti territoriali che provvedono all'attivazione. In altri Paesi non funziona così. È già difficile mettere insieme le due funzioni, figurarsi se le devono svolgere due istituzioni di carattere diverso.
La nuova Costituzione, in modo forse eccessivo, ha stabilito che tutte le funzioni sono statali. Dopodiché, possono essere delegate. Il nuovo articolo 116 della Costituzione prevede questo. Tuttavia, le funzioni devono essere delegate nel rispetto di un disegno nazionale a cui devono partecipare anche gli enti locali, le regioni e magari anche le parti sociali, in una logica certamente di sussidiarietà, ma tesa a individuare il livello di governo ottimale. Non c’è un livello di governo ottimale per tutto. C’è un livello di governo ottimale che può essere individuato a livello comunale, regionale, provinciale e anche nazionale. Per questa materia i grandi Paesi hanno scelto il livello nazionale, con una partecipazione degli altri.
Quest'Agenzia, allora, deve avere una sua struttura, una sua articolazione, una sua nervatura nazionale. Certamente, occorre affrontare il problema della transizione e, naturalmente, mettere insieme disposizioni che sono anche in contraddizione fra di loro. Su questo vanno tutti i nostri auguri e anche la nostra collaborazione per trovare la soluzione.
EMANUELE PRATAVIERA. Presidente, mi ha «beccato» nel momento di massimo sconforto di questa riunione. Mi sconforta sentir dire che non sappiamo bene dove andare – cerco di fare il sunto di quello che ho capito – che abbiamo fatto una fotografia in cui ci siamo resi conto che ci Pag. 13sono discrasie e problemi, che vorremmo andare in una certa direzione, che ci sarà una fase di transizione. Nel frattempo ci rendiamo conto di cosa sta succedendo all'esterno oppure facciamo finta che le cose si risolvano da sole e poi, quando si saranno già risolte, forse nel bene o forse nel male, diremo che abbiamo trovato la soluzione, oppure che quello che abbiamo fatto fino ad oggi era sbagliato e lo riprenderemo ?
Io non posso condividere un ragionamento come questo. Non lo posso condividere in alcun modo, in primo luogo perché è completamente irresponsabile. Nel momento in cui noi ci candidiamo a risolvere i problemi, questo è il miglior modo per non risolverli. In secondo luogo, si rende necessaria una logica completamente diversa per evitare gli errori che sono già stati fatti in passato e che non si dovrebbero ripetere.
Ringraziamo innanzitutto la presenza del Ministro. Io sono nuovo della Commissione, sono qui da agosto e questo è il primo momento in cui ho l'onore di avere un confronto, che spero sia il più possibile costruttivo.
Quando, però, il Ministro fa un ragionamento legato ai numeri e fotografa la situazione in cui ci sono dei problemi e in cui lui stesso non offre delle prospettive di soluzione concrete, reali e tangibili, io, da rappresentante dell'opposizione prima e da cittadino poi, resto molto dubbioso, ovviamente, su quello che sento. Mi conferma ancora di più, però, nell'idea che qui stiamo facendo un super-carrozzone; altro che non si vuol fare un nuovo carrozzone ! Mi dispiace che il collega Dell'Aringa non sia presente. Nel momento in cui nella legge finanziaria 2015 sono stati destinati 12 milioni di euro per una scatola chiusa che ancora oggi, a marzo, non si sa che cosa debba fare, come lo dovrà fare, quando lo dovrà fare e con chi, io, sinceramente, resto – per usare un eufemismo – offeso come contribuente.
Io ritengo che sia molto grave il fatto che, ancora una volta, non si riconosca il problema tipico italiano. Ci sono non due realtà, e nemmeno una: ci sono moltissime realtà diverse, moltissimi problemi diversi, ai quali noi dovremmo cercare di fornire delle risposte concrete. Nel momento in cui ci sono delle amministrazioni che più di altre riescono a fare da guida o da riferimento, quelle dovrebbero essere premiate, non essere svantaggiate a favore di altre aree in cui non funzionano. Nelle aree in cui le amministrazioni non funzionano, ci si deve sostituire forzatamente e si deve pretendere che le cose funzionino come devono funzionare.
È ancora più irresponsabile limitarsi a dire che ci sono alcune realtà in cui il matching è più facile per questioni ambientali, nel senso proprio del termine, ossia per la presenza di aziende, di attività e di istituzioni e in cui fare politica attiva del lavoro dal punto di vista pubblico è più facile o più favorevole. Questo è assolutamente in contraddizione con l'altro ragionamento che conduce a volersi sostituire a queste realtà che potrebbero lavorare in maniera più efficace e con maggiore autonomia. Noi andiamo, invece, a sostituirci con un progetto nazionale che inevitabilmente dovrà andare a toccarle, non valorizzandole.
Io voglio ragionare sul grado di permeabilità eventuale di una prospettiva che non è nemmeno stata chiarita in questo consesso. Colleghi commissari, vi chiedo cortesemente di fugare qualche mio dubbio – probabilmente non ho capito bene io le parole del Ministro – su dove vuole andare questo Governo e su dove vuole andare questa Commissione.
GIORGIO PICCOLO. Anch'io ringrazio il Ministro, che peraltro, credo necessariamente, ci ha fornito un quadro di transizione: sta cambiando il titolo V della Costituzione e, quindi, le funzioni degli enti locali e delle regioni. Da questo punto di vista è chiaro che siamo in questa fase.
Io mi voglio solo concentrare su un punto. Lo stesso Ministro diceva che il problema consiste in una diversa concentrazione dei servizi nelle varie aree del Paese e nel riuscire a far incontrare la domanda con l'offerta di lavoro. Il problema reale, al di là degli strumenti, è che Pag. 14la strumentazione è importante se c’è una ripresa, ossia se c’è la possibilità di avere richieste di occupazione.
Nel Mezzogiorno il problema del lavoro è un assillo anche per chi fa politica e per chi ha qualsiasi ruolo sociale. Ieri era più facile – parlo per esperienza personale – parlare di concorsi, di collocamento, di chiamate. Oggi che si dice a un giovane che chiede una mano ? Uno non gliela può dare, anche per storia e per cultura.
Da questo punto di vista le agenzie per l'impiego nel Mezzogiorno fanno assistenza, non fanno intermediazione tra domanda e offerta. Spesso prendono l'elenco che le aziende forniscono loro, perché magari ci sono delle pressioni. L'azienda ha gli elenchi e chiede alle agenzie di fare la selezione perché lei non riesce a subire le pressioni. Da questo punto di vista, quindi, le agenzie non ci provano nemmeno, ma fanno da passacarte rispetto alle richieste, oppure fanno una sorta di concorso di selezione.
Io non voglio tornare a vecchie politiche, ma, se non c’è una politica che incentivi i centri per l'impiego e che, quindi, dia anche fiducia a un giovane, non se ne esce.
Vi faccio un esempio solo, per chiudere, senza dilungarmi. Alcuni giovani sono venuti da me dicendomi di non sapere dove possono fare un'audizione. Fanno i cantanti, sono artisti, lavorano a Vienna o in altri posti. Questa non è gente che vuole assistenza. Mi chiedono: «A Pompei si fanno dei concerti. Dove possiamo fare la domanda per l'audizione ? Non riusciamo a sapere dove possiamo fare questa domanda». L'hanno chiesto a me.
Io ho chiamato la Soprintendenza, il generale incaricato del progetto per Pompei, la Commissione cultura. Oggi devo presentare un'interrogazione, non per raccomandare qualcuno, ma per chiedere dove questi giovani possono fare una domanda, perché non si sa. Io non sono riuscito a sapere dove si può fare la domanda.
Di che parliamo ? Qual è la fiducia ? Come possiamo fare in modo che le istituzioni pubbliche funzionino valorizzando il merito e mettendo a disposizione di un giovane tali possibilità ? È tutta intermediazione informale, si dice. Ma svolta da chi ? Dalla politica ? Da alcuni soggetti che operano nel Mezzogiorno ?
Io credo che da questo punto di vista dovremmo fare uno sforzo. Quando la disoccupazione è così forte, non può diventare una lotteria. Io credo che occorrano elementi che incentivino i centri per l'impiego, in modo che abbiano una funzione anche di regolazione pubblica. Da questo punto di vista Garanzia giovani può essere un elemento positivo. Dovremmo trovare qualche forma, qualche modo che incentivi questo percorso.
WALTER RIZZETTO. Chiedo scusa se mi sono assentato, ma sono dovuto andare in Aula perché il Ministro Lorenzin ha risposto a una nostra interrogazione.
Ministro, la ringraziamo per la presenza. Anticipo una considerazione: non serve che parliamo della Garanzia giovani, provvedimento che tutte le forze parlamentari avevano votato con entusiasmo, perché basta una semplicissima ricerca, cartacea o virtuale su social network o su testate giornalistiche per capire e sottolineare il fallimento di questo tipo di iniziativa.
Lei ha parlato di qualche numero rispetto a Garanzia giovani, di 440.000 soggetti registrati e 210.000 prese in carico. Le posso garantire, però, che, se lei frequentasse, e spero che lo faccia, qualche centro per l'impiego o qualche agenzia per il lavoro, non potrebbero dirle altro che ci sono evidenti difficoltà rispetto all'assegnazione di posti. Come lei sa, la presa in carico è una cosa, il posto di lavoro è tutt'altra.
Per quanto riguarda i centri per l'impiego, lei ha ricordato bene che ce ne sono 556 in Italia. Ministro, lei ha fatto una fotografia rispetto a quello che stiamo vivendo a oggi in Italia. È un'istantanea, lei ci ha detto come stanno andando le cose. Purtroppo, però, non ho sentito intenti che vadano eventualmente nel senso anche di riformare i centri per l'impiego in Italia.Pag. 15
Ci sono 556 centri per l'impiego, tra i 10 e gli 11.000 dipendenti. La Lombardia ha 65 centri per l'impiego, la Sicilia 65, la Puglia 44. Da questa ulteriore istantanea si evince che ci sono problemi anche in questo senso, perché la situazione dell'occupazione o disoccupazione siciliana non è quella che si sta vivendo in Lombardia e la situazione che si sta vivendo in Puglia non è quella che si sta vivendo in Lombardia. Questi centri ci costano, Ministro, 470 milioni di euro all'anno. Inoltre, abbiamo 137 milioni di spesa eccessiva per il non allineamento dei centri sul territorio.
I tre quarti della spesa rispetto a questi quasi 500 milioni all'anno per i centri per l'impiego sono per il personale, che molto spesso è personale precario, che non riesce a stabilizzarsi dentro un posto di lavoro e, quindi, a fornire risposte serie e attendibili a coloro che entrano fisicamente nei centri per l'impiego.
Un monitoraggio dell'ISFOL evidenzia che le performance dei Centri per l'impiego di cui lei parlava sono un vero e proprio miraggio. Secondo me, serve sicuramente una riqualificazione in primis degli operatori dei centri per l'impiego, per migliorare le chance di coloro che lavorano all'interno dei Centri per l'impiego, ma soprattutto di coloro che entrano nei Centri per l'impiego.
Il suo predecessore, il Ministro Giovannini, all'epoca, qui in Commissione, disse che avrebbe mandato una spedizione di mille formatori presso tutti i centri per l'impiego in Italia, per formare le persone che sono negli uffici a lavorare nei centri per l'impiego. Questa iniziativa non è avvenuta. Probabilmente il Ministro Giovannini aveva capito che queste persone non erano del tutto pronte a poter accogliere come front-office coloro che hanno perso il lavoro, i disoccupati che vanno in prima linea presso i centri per l'impiego a cercare un lavoro.
Per quanto ci riguarda, la complementarietà di privato e pubblico può essere sicuramente una buona cosa, ma non scordiamoci mai che il privato è il privato e che il pubblico lo paga la collettività. I 470-500 milioni di centri per l'impiego non pesano fondamentalmente da qualche altra parte, ma gravano sul bilancio dello Stato e, quindi, sulla collettività.
Io mi sono segnato che lei ha sottolineato una cosa importante. In termini di livello di presenza lei dice che i centri per l'impiego sono presenti. Benissimo, sono assolutamente presenti, ma la stessa indagine conoscitiva ci dimostra che nei centri per l'impiego si realizza soltanto il 2-3 per cento delle assunzioni, ovvero che, ogni 100 persone che entrano in un Centro per l'impiego, il 2-3 per cento trova di fatto un lavoro.
Quattro cittadini su dieci, se non ho capito male, usufruiscono dei centri per l'impiego. Questo è un dato, secondo noi, insufficiente.
GIULIANO POLETTI, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Quattro su dieci si sono rivolti ai centri per l'impiego.
WALTER RIZZETTO. Quattro cittadini su dieci entrano nei centri per l'impiego. Chiaramente, l'altra base è una base in percentuale di coloro che vanno a trovare un posto di lavoro. Questo è un dato altrettanto drammatico, su cui io non vorrei più soffermarmi, anche perché molto spesso tecnicamente è difficile frequentare con costanza i centri per l'impiego.
Mi spiego. Manca addirittura un sistema informatico, banalmente, per far capire a coloro che si trovano a casa che il centro per l'impiego potrebbe avere un lavoro per loro. Manca anche questo.
Chiudo veramente, presidente, dicendo che, peraltro, serve, secondo me, una seria governance dei centri per l'impiego, affidando ai dirigenti dei centri per l'impiego un'estrema discrezionalità che di fatto oggi non hanno.
Le ricordo, Ministro, che ho presentato sia un'interrogazione, la n. 5-03953 a risposta in Commissione, sul tema dei centri per l'impiego, a cui non è ancora stata data risposta, sia una proposta di legge per il riordino degli stessi (C. 2359), che io spero venga presa in considerazione nel più breve tempo possibile.
MARIALUISA GNECCHI. Cerco di essere velocissima. Io ho votato con meno entusiasmo del collega Dell'Aringa la riforma costituzionale, proprio perché, venendo da una provincia autonoma, sono tranquilla sul fatto che i nostri centri per l'impiego rimarranno così. Oggettivamente, però, in questa situazione di transizione, sarebbe stato opportuno un intervento maggiormente coordinato al fine di garantire maggiori certezze.
Noi siamo veramente convinti – tutta l'indagine conoscitiva che stiamo svolgendo lo dimostra – che in questo Paese si sarebbe dovuto già investire molto di più sui centri per l'impiego. Anche la Garanzia giovani ci dimostra altrettanto bene che una particolare attenzione per i giovani deve essere adeguata proprio a livello di servizi.
Anche lo scambio tra lavoro e scuola e l'incontro reale di domanda e offerta di lavoro sono temi all'ordine del giorno, da anni, ma non è del tutto scontato che una gestione nazionale possa aiutare. Sappiamo che questa è una discussione che sta andando avanti e, quindi, la richiesta vera che noi facciamo è che in questo anno e mezzo che ci manca per l'entrata in vigore della riforma costituzionale si rifletta sulla direzione verso la quale si vuole andare.
A risorse scarse rispetto ai servizi per l'impiego e alla situazione delle province – penso alla «legge Delrio», per fare la sintesi – non ci è ancora per niente chiaro il quadro. Abbiamo veramente bisogno di avere chiarezza.
Per la fase di transizione occorre molta attenzione. In questo momento la Costituzione è quello che è; sarà diversa, ma le province non ci sono già più teoricamente e i centri per l'impegno devono esistere e soprattutto funzionare. Il problema, quindi, è grosso.
Cogliamo anche l'occasione per dire – in questo seguo il collega Prataviera – che speriamo di vedere il Ministro molto presto anche su altri temi all'ordine del giorno di questa Commissione, a partire dalle pensioni.
IRENE TINAGLI. Cercherò di sintetizzare. Molte cose sono già state dette.
Rivolgendomi anche al collega Rizzetto, ricordo che il programma Garanzia giovani, su cui tanto è stato detto, in realtà, come ha evidenziato anche il Ministro, ha dei meriti che non vanno sottovalutati.
Io ho parlato con moltissimi responsabili dei centri per l'impiego, i quali mi hanno raccontato che prima di questo programma erano sostanzialmente svuotati di risorse, di funzioni e di obiettivi. Questo programma ha dato loro una scossa. Li ha costretti a svegliarsi, a mettere in moto procedure e a rivolgersi a una platea di persone che fino a quel momento erano state completamente abbandonate.
Inoltre, Garanzia giovani è riuscita a far accreditare agenzie per il lavoro, come ha sottolineato il Ministro, e a mettere in moto questi meccanismi, riuscendo a ottenere anche dei risultati. Comunque, mi sembra che lei abbia parlato di 210.000 giovani presi in carico e mi sembra di aver visto che di questi 31.000 abbiano ottenuto programmi, stage e formazione.
GIULIANO POLETTI, Ministro del lavoro e delle politiche sociali Sono di più.
IRENE TINAGLI. Già questo risultato non è male – si tratterebbe di un 15 per cento – se pensiamo che fino a oggi il tasso di intermediazione dei centri per l'impiego era del 2-3 per cento. Significa che hanno lavorato, che si sono messi in moto, e tutto questo nel giro di pochissimi mesi.
Questo fatto ha rimotivato gli operatori. Per riallacciarmi a quello che diceva la collega Gnecchi, forse anche questa è una questione da tenere in considerazione, proprio adesso che questi centri, queste realtà si sono riattivate, in molti casi in maniera positiva, per cercare di gestire bene questa transizione, per dare certezza e chiarezza e per non far perdere quella motivazione, quel coinvolgimento e quelle buone pratiche che in questi mesi sono state attivate.
Certamente, la fase di transizione sulle norme costituzionali genera incertezza. Pag. 17Tuttavia, io credo che dovremmo al più presto fare una riflessione più generale sul modello e sul sistema cui vogliamo aspirare, non solo nel rapporto tra Stato e regioni – questo è, chiaramente, legato anche alla Costituzione che andremo ad approvare – ma anche nel rapporto tra pubblico e privato.
Questo significa, in primo luogo, definire chiaramente chi fa che cosa. Ci sono varie fasi, vari step nel processo di presa in carico e di profilazione. Occorre capire chi fa che cosa e come si assegnano le risorse. Si è parlato, per esempio, di un contratto di ricollocazione, di un voucher con un pagamento a risultato ottenuto. Io trovo questo un modo molto positivo ed efficiente di allocare le risorse.
Tuttavia, facciamo anche attenzione: se vogliamo davvero creare un mercato e un coinvolgimento delle agenzie private, è difficile pensare che senza nemmeno un minimo di anticipo sul lavoro le agenzie si muovano, specialmente nelle zone, come il Mezzogiorno, in cui è più difficile lavorare ed è più difficile ottenere il risultato. Facciamo attenzione, quindi, al tipo di regole che andiamo a mettere sull'assegnazione delle risorse.
In terzo luogo, occorre vedere come si valutano i risultati. C’è la collocazione, sì, ma ci sono molti altri tipi di attività che i centri per l'impiego e le agenzie svolgono e che magari non si possono valutare solo ed esclusivamente con un tipo di parametro e di indicatore. Ci possono essere anche altri aspetti da tenere in considerazione nel processo di valutazione. Esiste la struttura di missione, istituita presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali – mi sembra – dal decreto-legge n. 76 del 2013, che aveva iniziato a fare questo lavoro. Potrebbe essere interessante riprenderlo.
Il quarto e ultimo punto riguarda quali strumenti di integrazione e coordinamento noi vogliamo mettere tra questi due tipi di soggetti. Penso, in modo particolare, al sistema informativo. Questo è davvero un nodo cruciale. Garanzia giovani ha avuto anche questo merito. Sul fronte dell'utenza giovanile ha fatto molti progressi sulla comunicazione e sull'interoperabilità dei sistemi informativi, o almeno questo mi è stato detto.
Io credo che sia urgente pensare di estendere questo tipo di operazione di accesso al database, a tutti i lavoratori e soprattutto a tutti i soggetti pubblici e privati, per fare in modo che non ci siano gelosie del tipo: «Io non ti fornisco i dati», che creano buchi neri nel sistema informativo. Questo è veramente fondamentale.
Occorre anche che ci sia la possibilità di mobilità e che un'agenzia possa lavorare al Sud e collocare un lavoratore in un'altra regione, perché questo aiuta soprattutto le regioni più deboli, dove il mercato adesso è più fragile.
GIUSEPPE ZAPPULLA. Considerando i tempi e il ritmo che il presidente ci sta dando, giustamente, io sarò davvero telegrafico.
I dati e le statistiche che il Ministro ci ha consegnato testimoniano fondamentalmente una mancanza di utilizzo dei servizi per l'impiego pubblici, ma, mi permetto di aggiungere, anche privati. Non c’è molta credibilità. Non c’è stata alcuna credibilità nei confronti della rete di servizi che accompagna verso il lavoro. Mi permetto di aggiungere che nel Mezzogiorno addirittura i servizi per l'impiego sono stati vissuti come una sovrastruttura, come un elemento di burocrazia, addirittura come un ostacolo verso il lavoro e l'occupazione.
Ministro, lo dico a lei e a tutti noi: la vera sfida nei prossimi mesi e nei prossimi anni è quella di ricostruire un rapporto di fiducia fra il cittadino, il giovane, il disoccupato, o l'ex lavoratore o i servizi per l'impiego, siano essi pubblici, o che siano privati, promuovendone l'integrazione. L'esperienza di Garanzia giovani è assolutamente importante, perché aiuta e accompagna, ma è solo uno strumento che va in quella direzione.
Non aggiungo altro, se non una domanda, che il presidente mi consentirà di fare. Poiché io provengo dalla Sicilia, Ministro, e lei sa qual è la condizione particolarmente complicata non solo dell'occupazione in generale, ma dei servizi per Pag. 18l'impiego in particolare, le chiedo, proprio per quanto riguarda gli orientatori degli sportelli multifunzionali che ci sono in Sicilia – che rappresentano una delle esperienze di contatto fra pubblico e privato – se lei nel suo programma ha intenzione di convocare un tavolo di incontro proprio sulla situazione della crisi del settore che riguarda, in generale, la formazione professionale e, in particolar modo, quella degli sportelli multifunzionali in Sicilia.
LUISELLA ALBANELLA. La questione riguardante la Sicilia l'ha già sollevata l'onorevole Zappulla, ragion per cui non gliela ripropongo.
Volevo dire, invece, al Ministro che questo pomeriggio ci sono in presidio davanti al Ministero del lavoro i dipendenti di Italia Lavoro. Il 31 marzo scadranno tutti i progetti affidati a Italia Lavoro e, ovviamente, sono a rischio oltre mille posti di lavoro.
Poiché sono stati bloccati i fondi europei che erano stati già stanziati per i progetti e considerate le dichiarazioni che lei ha sempre fatto rispetto a Italia Lavoro, ossia al fatto che sia assolutamente funzionale alla riforma che il Governo vuole attuare, io vorrei capire da parte sua com’è la situazione e se questi lavoratori devono preoccuparsi. Proprio per questo motivo essi stanno facendo una serie di iniziative di lotta per far presente la loro situazione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, perché lavorano a stretto contatto proprio con il suo Ministero.
PRESIDENTE. Io ho solo una domanda, visto il tempo a disposizione. Vorrei capire, nel caso in cui un imprenditore assuma un giovane che si è iscritto a Garanzia giovani con un contratto a tutele crescenti, se avrà – questa è la domanda – lo sconto IRAP, più la decontribuzione nel limite massimo di 8.060 euro, più l'incentivo di Garanzia giovani.
Do la parola al Ministro Poletti per la replica.
GIULIANO POLETTI, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Partiamo dalla fine, ovvero dalla domanda posta dal presidente Damiano. La risposta è sì, perché, se il giovane fa la richiesta, ha le caratteristiche ed è registrato, questa possibilità è prevista.
Per quello che riguarda le altre vicende e la considerazione che non sapremmo dove andare, rispondo che sappiamo benissimo dove andare. Noi abbiamo intenzione di rafforzare i servizi per l'impiego e di promuovere le politiche attive. Abbiamo intenzione di farlo con un mix pubblico-privato e con una relazione col territorio, in questa fase in particolare, in cui c’è una transizione tra una norma esistente e una norma che, quando ci sarà, doverosamente applicheremo, perché non potremo fare cose diverse da quelle che la nostra Costituzione ci chiede. È chiaro, quindi, che noi agiamo nel rispetto della Costituzione nella condizione data, così come agiremo dentro la Costituzione nel momento in cui questa situazione si modificherà.
Noi dobbiamo gestire una transizione in questo momento, perché abbiamo norme che hanno modificato il contesto. La questione delle province e del mutamento delle competenze regionali hanno «cambiato» la condizione di partenza. Il cambiamento costituzionale ci propone lo stesso problema.
La mia opinione è che, a fronte di questa situazione, sia necessario un accordo tra le regioni, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Governo che consenta di gestire questa transizione. Noi, come Governo, non potremo fare «nulla» se non in termini condivisi rispetto alla situazione normativa che abbiamo; dall'altra parte, le regioni hanno il condizionamento, che è figlio delle norme e delle risorse. Pertanto, io credo che l'unica via di uscita, da questo punto di vista, per garantire una sana transizione sia questa.
Inoltre, noi siamo intenzionati non ad aspettare che arrivi la nuova Costituzione o qualcos'altro, ma ad agire immediatamente. La prima cosa che faremo, sulla base dell'accordo – che spero e mi di auguro di raggiungere (sto lavorando per questo) – è provvedere a un rafforzamento Pag. 19dei servizi per l'impiego e a una loro qualificazione ulteriore. Si pone, quindi, un tema di organizzazione, di finalizzazione della loro attività e di formazione, nonché, naturalmente, di strumentazioni.
Io non faccio la difesa di ufficio di Garanzia giovani, credo che non abbia un grande valore. Io credo che si debba guardare con il massimo di oggettività a ciò che sta accadendo. È vero quello che diceva l'onorevole Tinagli. I servizi per l'impiego nel nostro Paese non hanno mai storicamente affrontato un programma di questo tipo. Noi avevamo centri per l'impiego della provincia A non leggibili, sul piano informatico, dalla provincia B, non dalla regione B.
Oggi abbiamo impostato e impiantato un sistema che ci consente di dialogare su tutto il territorio nazionale, perché abbiamo convenuto – l'ha fatto il Ministro Giovannini; io non ho al riguardo meriti – che un giovane di una qualsiasi regione italiana possa registrarsi e chiedere di avere i servizi in qualsiasi altra regione italiana. Questo ha costretto tutti a mettere insieme una rete. Ovviamente, non sarebbe mai stato possibile costruire questo risultato, se la rete non fosse stata capace di inter-operare.
Abbiamo fatto un lavoro di formazione sui centri per l'impiego rispetto al tema Garanzia giovani, perché questo mestiere di profilatura non si faceva. Cominciare a farlo ha significato doversi porre questa domanda.
La relazione con l'impresa era di tipo totalmente burocratico. I nostri centri per l'impiego storicamente erano l'anagrafe della disoccupazione, perché al centro per l'impiego ci si andava a registrare quando si perdeva il posto di lavoro. Questa era la condizione per poter avere l'integrazione al reddito o quello che serviva.
Oggi abbiamo centri per l'impiego che si fanno la domanda del cosa fare e con quale impresa parlare. Lo possono fare, secondo la nostra normale esperienza, cambiando così radicalmente in breve tempo ? Voi state facendo una verifica della situazione. Qual è il numero dei dipendenti dei centri per l'impiego delle strutture pubbliche degli altri Paesi europei ? Bisogna essere onesti, da questo punto di vista. Noi non possiamo pensare di ottenere lo stesso risultato in Italia con 9.000 persone, a fronte del fatto che altri Paesi europei ne hanno 50-60-70.000, o persino di più.
Io non sto pensando di mettere 70.000 persone in questo settore, ma il fatto che qualcuno pensi che 9.000 persone possano produrre lo stesso identico risultato di 70.000 persone non è ragionevole. È del tutto ovvio che si debbano introdurre delle strumentazioni, fare della formazione e implementare i servizi, ma bisogna partire da dati oggettivi.
Guardate le statistiche e vedete quanti utenti ha potenzialmente il dipendente di un centro pubblico italiano e quanti ne ha potenzialmente il dipendente del centro pubblico di un altro Paese europeo. Se qualcuno pensa che possano fornire lo stesso servizio, io autorizzo tutti a pensare ciò che reputano, ma sinceramente non mi pare che questo sia nell'ordine delle cose ragionevoli. La nostra scelta, quindi, è molto chiara in questa direzione. L'intenzione è di procedere lungo questa logica.
Passo alle ultime considerazioni. A proposito della Regione siciliana, credo che ci sia un lavoro da fare, che stiamo facendo con tutte le regioni. In particolare, penso a Garanzia giovani e ai servizi per l'impiego per le realtà che hanno mostrato più elementi di problematicità.
Il nostro dialogo bilaterale con le regioni si è realizzato con tutte, dalle più avanzate alle meno avanzate. Penso ai progetti che abbiamo fatto insieme alla Lombardia, al Piemonte, al Veneto o all'Emilia-Romagna, ma abbiamo fatto, analogamente, una discussione e un confronto con la Calabria, la Sicilia, la Sardegna e altre regioni. Dove era necessario un supporto abbiamo cercato di dare una mano a queste regioni perché fronteggiassero la situazione di problematicità che avevano. Abbiamo cercato un regime di dialogo che fosse coerente con la condizione di fatto nella quale ci siamo trovati.Pag. 20
Con la Regione Sicilia, con l'assessore regionale al lavoro, noi abbiamo su questo versante un dialogo e una collaborazione aperti, perché cerchiamo di produrre quell'esito di cui stavo parlando. Tutti lavoriamo per avere maggiore efficacia ed efficienza del sistema.
C’è una competenza, nel caso specifico della Sicilia, particolarmente rilevante, perché lo Statuto di autonomia pone vincoli specifici. Detto e riconosciuto questo dato di fatto, che per noi è un dato di fatto sul quale non siamo in grado intervenire, il dialogo, il confronto e il lavoro comune lo stiamo sviluppando per cercare di recuperare.
Per esempio, la Regione siciliana ha positivamente emesso i bandi che non aveva emesso. A un certo punto, un giovane siciliano non avrebbe neanche potuto chiedere di avere un dato tipo di intervento, perché non c'era il bando. Insieme alla Regione Siciliana noi abbiamo lavorato perché la Regione emettesse i bandi. Adesso, emessi i bandi, dobbiamo gestire lo sbocco dell'utilizzazione dei bandi, ma l'indispensabile è stato fatto.
L'ultimo tema riguarda Italia Lavoro. È in corso in questo momento l'incontro tra il segretario generale, i dirigenti del mio ministero e le rappresentanze sindacali. Noi siamo pienamente convinti della necessità di utilizzare al meglio l'esperienza, le risorse, le capacità e le competenze di Italia Lavoro.
I programmi europei su cui hanno lavorato fino a ieri verranno approvati. Nel momento in cui verranno approvati, Italia Lavoro farà la procedura che deve fare. Per le competenze, per il bisogno che ci sarà, chi ci ha lavorato, chi ha le competenze, chi è nelle condizioni continuerà ad avere le opportunità che ha avuto.
Da questo punto di vista non siamo di fronte a mille persone a rischio, assolutamente no. Il punto è che questo tema lo risolveremo nell'arco dei prossimi 30-60 giorni, quando ci saranno l'approvazione dei programmi e l'emissione dei bandi. Ci saranno le procedure che devono essere realizzate.
Trovandoci noi a cavallo tra due programmi, dovremo gestire questa transizione, ma non è nelle nostre intenzioni non utilizzare le risorse di Italia Lavoro. Le utilizzeremo secondo questa dinamica, quella trasparente, che prevede l'approvazione di progetti, l'emissione dei bandi e la gestione delle risorse in coerenza con questi.
PRESIDENTE. Ringraziamo il Ministro e ci auguriamo di averlo per le future audizioni.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 16.05.