Sulla pubblicità dei lavori:
Damiano Cesare , Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SULL'IMPATTO IN TERMINI DI GENERE DELLA NORMATIVA PREVIDENZIALE E SULLE DISPARITÀ ESISTENTI IN MATERIA DI TRATTAMENTI PENSIONISTICI TRA UOMINI E DONNE
Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro.
Damiano Cesare , Presidente ... 3
Marcantonio Giovanni , coordinatore della Commissione Politiche previdenziali del Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro ... 3
Damiano Cesare , Presidente ... 6
Gnecchi Marialuisa (PD) ... 6
Rostellato Gessica (PD) ... 6
Damiano Cesare , Presidente ... 7
Marcantonio Giovanni , coordinatore della Commissione Politiche previdenziali del Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro ... 7
Damiano Cesare , Presidente ... 8
Audizione di rappresentanti del Centro Patronati (CE.PA):
Damiano Cesare , Presidente ... 8
Pesenti Domenico , presidente INAS-CISL ... 8
Damiano Cesare , Presidente ... 9
Zerillo Michele , rappresentante di ITAL-UIL ... 9
Damiano Cesare , Presidente ... 11
Piersanti Claudio , rappresentante delle ACLI ... 11
Damiano Cesare , Presidente ... 13
Colombini Fulvia , rappresentante di INCA-CGIL ... 13
Damiano Cesare , Presidente ... 14
Gnecchi Marialuisa (PD) ... 14
Damiano Cesare , Presidente ... 16
Gnecchi Marialuisa (PD) ... 16
Damiano Cesare , Presidente ... 16
Pesenti Domenico , presidente di INAS-CISL ... 16
Damiano Cesare , Presidente ... 17
Caracciolo Angela Maria , rappresentante di INAS-CISL ... 17
Tripiedi Davide (M5S) ... 17
Colombini Fulvia , rappresentante di INCA-CGIL ... 18
Damiano Cesare , Presidente ... 18
Tripiedi Davide (M5S) ... 18
Damiano Cesare , Presidente ... 18
Audizione di Laura Calafà, professoressa associata di diritto del lavoro e di diritto del lavoro dell'Unione europea presso l'Università degli studi di Verona:
Damiano Cesare , Presidente ... 18
Calafà Laura , professoressa associata di diritto del lavoro e di diritto del lavoro dell'Unione europea presso l'Università degli studi di Verona ... 18
Damiano Cesare , Presidente ... 21
Gnecchi Marialuisa (PD) ... 21
Damiano Cesare , Presidente ... 21
Calafà Laura , professoressa associata di diritto del lavoro e di diritto del lavoro dell'Unione europea presso l'Università degli studi di Verona ... 21
Damiano Cesare , Presidente ... 22
Calafà Laura , professoressa associata di diritto del lavoro e di diritto del lavoro dell'Unione europea presso l'Università degli studi di Verona ... 22
Damiano Cesare , Presidente ... 22
Calafà Laura , professoressa associata di diritto del lavoro e di diritto del lavoro dell'Unione europea presso l'Università degli studi di Verona ... 22
Damiano Cesare , Presidente ... 22
Allegato 1: Documento depositato dal rappresentante del Consiglio nazionale dell'Ordine dei Consulenti del lavoro ... 23
Allegato 2: Documento depositato dai rappresentanti del Centro Patronati (CE.PA) ... 32
Allegato 3: Documento depositato da Laura Calafà, professoressa associata di diritto del lavoro e di diritto del lavoro dell'Unione europea presso l'Università degli studi di Verona ... 43
Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale - Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CESARE DAMIANO
La seduta comincia alle 15.45.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'impatto in termini di genere della normativa previdenziale e sulle disparità esistenti in materia di trattamenti pensionistici tra uomini e donne, l'audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro.
In rappresentanza del Consiglio è presente il consigliere nazionale Giovanni Marcantonio, coordinatore della Commissione politiche previdenziali, che ringrazio per la partecipazione.
Ricordo che per l'audizione abbiamo a disposizione circa venti minuti.
Lascerei, quindi, spazio alla relazione per circa dieci minuti.
Do la parola al consigliere nazionale Giovanni Marcantonio.
GIOVANNI MARCANTONIO, coordinatore della Commissione Politiche previdenziali del Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro. Buongiorno a tutti. Grazie, presidente, per l'invito. Vi porto i saluti del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro.
Per procedere, in estrema sintesi, sull'argomento trattato, vorrei riflettere insieme a voi su alcuni punti in relazione a questa indagine conoscitiva.
Innanzitutto, stiamo parlando di un'indagine conoscitiva sulle disparità di genere, soprattutto in materia previdenziale. Io non vi porterò dati statistici, perché sicuramente avrete avuto modo di esaminarli già in occasione di altre audizioni e vi sono istituti certamente più adatti a riferire su dati puramente statistici.
Cercherò di fare delle considerazioni complessive riguardo ad alcuni argomenti connessi a questo tema. Credo che non occorra una raffinata indagine statistica per capire che un divario di genere in materia previdenziale esiste in tutta Europa. È però più marcato in Italia e, a fronte di questo divario, occorre anche guardare parallelamente il dato occupazionale delle donne. Devo dire che, anche sotto questo profilo, le donne sono sottorappresentate nelle professionalità più retribuite, più continuative, e ricoprono posizioni di lavoro che, spesso, sono riconducibili anche a contratti atipici.
Peraltro, oltre ai contratti atipici, vorrei far notare anche quella che io chiamo «precarietà relativa», con riferimento all'esempio dei rapporti part-time, che, di fatto, per alcune donne sono obbligatori per conciliare la vita e il lavoro. Sappiamo che questa situazione determina un tasso di disoccupazione femminile molto significativo e che, di conseguenza, aumenta anche, rispetto agli uomini, il rischio di povertà ed esclusione sociale.Pag. 4
Cito tre fattori che riguardano l'aspetto pensionistico. Sostanzialmente, le donne usufruiscono meno, rispetto agli uomini, di trattamenti pensionistici, ma usufruiscono di più di trattamenti assistenziali e di reversibilità. Secondo me, questi sono dati che già ci danno un ottimo input per leggere, non sotto il profilo statistico ma, appunto, di contesto, la situazione. Di fatto, è evidente che la minor quantità di trattamenti pensionistici percepiti dalle donne è un segno tangibile della inferiore capacità di inserimento nel mercato del lavoro dei soggetti femminili; inoltre, il fatto che le donne godano di più di trattamenti assistenziali vuol dire anche che la loro carriera lavorativa è spesso frammentata e non riesce a raggiungere quel quid pluris necessario per arrivare a maturare il diritto al trattamento di quiescenza.
Evidentemente, i dati sulla reversibilità dipendono di più dall'aspetto anagrafico, perché è evidente che l'aspettativa di vita delle donne è sicuramente più alta.
Non voglio dilungarmi ulteriormente sugli argomenti di base. Tengo a evidenziare che tutte le riforme pensionistiche che sono state fatte tenevano conto della sostenibilità finanziaria, come è giusto che sia. Però, io credo che sia molto importante parlare di questi temi, anche con riferimento alle riforme pensionistiche future, perché, di fatto, come la sostenibilità finanziaria è un tema importante, così anche la disparità di genere in questa materia è molto importante.
Vado in estrema sintesi a elencarvi alcune cause di contesto che mi sembra di poter individuare. Dal punto di vista del sistema di calcolo contributivo, io faccio notare che questo, pur garantendo, da una parte, la sostenibilità finanziaria dall'altra, secondo me acuisce gli effetti di alcuni elementi tipici della carriera lavorativa delle donne, quale, ad esempio, la frammentarietà. Il fatto di avere una carriera frammentata e spesso non continuativa nel sistema contributivo eleva il rischio di disparità di genere. Dall'altro lato, devo anche rilevare che, ad esempio, i coefficienti di trasformazione nel sistema contributivo sono uguali tra uomini e donne, e questo è sicuramente a vantaggio delle donne, sotto questo profilo. Tuttavia, è un vantaggio che io manterrei, perché compensa almeno in parte la disparità di genere.
Di fatto, credo che abbiamo due strade fondamentali da percorrere per contrastare o riflettere insieme sul divario di genere. La prima comprende soluzioni ex post, ossia soluzioni che possono intervenire sulla pensione, una volta consolidata l'anzianità contributiva. Credo che queste soluzioni siano innanzitutto onerose, perché sicuramente richiedono un impiego di risorse molto consistente. Certamente si parla di «opzione donna», si parla di flessibilità di accesso al pensionamento, ma io credo che queste non siano soluzioni di per sé sufficienti e necessarie per combattere le disparità di genere. Credo anche che, ad esempio, la flessibilità in uscita possa essere utilizzata anche per favorire un po’ quella che io chiamo la staffetta generazionale, ma, di fatto, non può essere l'unica soluzione per combattere il divario di genere.
Io credo che possano essere piuttosto ricercate soluzioni che intervengano prima dell'accesso al trattamento di quiescenza, quindi che abbiano effetto nel corso della carriera lavorativa delle donne. Agire sulla carriera lavorativa delle donne è ciò che, devo dire, si è iniziato a fare. Il decreto legislativo n. 80 del 2015 ha introdotto alcune modifiche alla disciplina sulla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Permettetemi una piccola parentesi: a volte preferisco non parlare di conciliazione vita-lavoro, ma di integrazione vita-lavoro, perché, secondo me, il lavoro fa parte della vita e non bisogna conciliarlo, dal momento che, di fatto, nessuno di noi si può ritenere estraneo a questo principio costituzionale.
Altre soluzioni sono state adottate. Ad esempio, il disegno di legge in materia di lavoro autonomo, recentemente approvato dal Consiglio dei ministri, secondo me va nella giusta direzione perché introduce alcune tutele per le lavoratrici autonome, che, di fatto, permettono di continuare a Pag. 5prestare attività lavorativa durante il periodo di maternità. Credo che questa sia una soluzione emblematica, direi quasi a costo zero, in quanto, di fatto, agisce su un elemento fondamentale della disparità di genere, cioè la frammentarietà delle carriere. Permettere a una lavoratrice di lavorare durante la maternità può contribuire a mitigare gli effetti di questa caratteristica del lavoro femminile.
Un altro elemento è sicuramente riconoscibile nel «lavoro agile». Il disegno di legge sul lavoro autonomo disciplina il «lavoro agile» anche quale forma di conciliazione vita-lavoro. Questo è, secondo me, un ottimo passo avanti perché, di fatto, regola una determinata modalità lavorativa non discriminandola rispetto agli altri tipi di contratto.
Dall'altra parte, mi permetto di far rilevare che i segnali che riguardano l'assicurazione INAIL delle casalinghe sono di segno inverso, perché, di fatto, questa assicurazione, per quello che noi possiamo vedere, non è mai veramente decollata. Credo che ci sia una grossa sacca di evasione, o meglio, più che di evasione, di non volontarietà per quel che riguarda le prestazioni assicurate a fronte del premio assicurativo. Ecco, credo che possa essere un ottimo passo avanti dare un segnale in questo senso, anche per dare la percezione alla lavoratrice di un legislatore attento alle esigenze familiari, all'esigenza di assicurare in maniera dignitosa la vita lavorativa svolta in seno alla famiglia.
In sintesi, abbiamo soluzioni onerose e soluzioni che, invece, agiscono sul welfare durante la carriera lavorativa delle donne. In questo senso, mi permetto di suggerire soluzioni, alcune delle quali già sono contenute, ad esempio, nella legge di stabilità 2016. Anche questo è un ottimo passo avanti perché la legge di stabilità del 2016 introduce agevolazioni in materia di welfare, addirittura anche in materia di assistenza alle persone non autosufficienti. È un ottimo passo avanti anche perché, non dimentichiamo, le donne spesso non assistono solo i figli, ma, in relazione alla loro aspettativa di vita, assistono anche le persone anziane. Pertanto, legiferare agevolando il welfare, detassandolo, facendolo costare meno alle aziende, aiuta sicuramente.
Altri interventi potrebbero riguardare la formazione continua, l'assistenza sanitaria, la migliore valorizzazione delle ricongiunzioni dei periodi contributivi non continuativi. Questa potrebbe essere un'ottima soluzione.
Mi avvio alla conclusione. Io sono un professionista, un consulente del lavoro, quindi cerco di concentrarmi anche sul lavoro professionale autonomo. Spesso noi tendiamo a concentrarci sulle lavoratrici dipendenti, ma ci sono anche le lavoratrici autonome. Del resto, voi lo sapete meglio di me, perché il disegno di legge sul lavoro autonomo ne è la prova tangibile.
Dirò qualche cosa su questo argomento. Da una ricerca abbastanza semplice da effettuare, emerge che le prestazioni assistenziali più pagate dalle casse sono le indennità di maternità. Come consulenti del lavoro abbiamo un ente, l'ENPACL, che statisticamente ha una forte componente femminile tra gli iscritti. Siamo una categoria in cui le donne sono più degli uomini e il trend è assolutamente in crescita. Quindi, credo che non si possano ignorare questi dati, anche sotto il profilo professionale.
Mi permetto di far notare, ad esempio, che tempo fa è stato introdotto il principio di automaticità delle prestazioni della gestione separata INPS. Questo è un tema fondamentale perché, innanzitutto, induce a valutare l'eterogeneità delle situazioni, laddove esistono tanti tipi di casse professionali e autonome. Adoperarsi per l'introduzione del principio di automaticità delle prestazioni per la maternità vuol dire agire sul welfare, come dicevo prima. Ad esempio, come sappiamo bene, la gestione separata dell'INPS opera con il principio di automaticità. Non è così per alcune casse professionali, che non pagano l'indennità di maternità se non verificano la regolarità contributiva delle lavoratrici. Questo, secondo me, è un principio da superare, o comunque, da uniformare perché influisce sul tema che stiamo trattando.Pag. 6
Come coordinatore della Commissione Politiche previdenziali del Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro mi sono anche permesso di suggerire interventi in materia di welfare nell'ambito della nostra cassa. Una che tengo particolarmente a condividere con voi, visto il tema dell'indagine, è, ad esempio, la formazione continua, gratuita, durante il periodo di maternità. Nel nostro settore, come in tanti altri, l'aggiornamento è assolutamente importante e, purtroppo, una lavoratrice madre che si assenta anche solo per cinque mesi rischia di rientrare al lavoro in un panorama normativo completamente diverso.
Credo che anche il solo fatto di assicurare una formazione gratuita e continua garantisca l'obiettivo di far rientrare al lavoro la lavoratrice nel miglior modo possibile.
Penso che le politiche in materia di welfare debbano essere aiutate, anche nelle casse professionali, magari anche con i risparmi derivanti dalla spending review.
In questo senso, mi dichiaro a disposizione per qualsiasi tipo di riflessione e vi ringrazio per avermi ascoltato.
PRESIDENTE. Grazie. Autorizzo la pubblicazione, in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna, della documentazione depositata (vedi allegato 1). Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
MARIALUISA GNECCHI. Ringraziamo molto per questa relazione. Peraltro, abbiamo esaminato anche il testo scritto, che abbiamo ricevuto prima dell'audizione, quindi veramente ringrazio poiché questo va nella stessa direzione della nostra indagine conoscitiva.
Ci interesserebbe anche sapere dal Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro quali contraddizioni ci sono e, quindi, su quali situazioni effettivamente possiamo intervenire come legislatori. Per esempio, la richiesta riguardante la formazione è una richiesta ovvia, che noi sosteniamo. La legge n. 335 del 1995 aveva addirittura previsto – e così la legge n. 53 del 2000 – la possibilità di versare i contributi durante il periodo di formazione. Questo, soprattutto rispetto alle donne, è un elemento che ci interessa. Quindi, la domanda è se voi, come consulenti del lavoro, avete riscontrato questa richiesta anche da parte delle aziende o dei lavoratori. Lo chiederemo anche ai patronati nell'audizione successiva. È ovvio che coprire tutti i periodi privi di contribuzione può servire per avere una pensione più dignitosa.
Inoltre, c’è la questione della differenza di calcolo a fini pensionistici del part-time, tra il settore pubblico e il settore privato. Immagino che anche da voi vengano sia datori di lavoro sia lavoratrici a lamentarsi della penalizzazione anche in termini previdenziali.
Altra cosa che noi stiamo cercando di ottenere, nel rispetto della legge, secondo noi, è il rispetto del famoso comma 15-bis dell'articolo 24, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, quello che permette ai nati nel 1952 di andare in pensione a 64 anni. Ovviamente questo favorirebbe, anche per le aziende, l'uscita di lavoratori e lavoratrici, però la circolare n. 35 del 2012 dell'INPS ha previsto che queste persone, nate nel 1952, per poter andare in pensione a 64 anni, debbano risultare occupate alla data del 28 dicembre 2011. Siccome, secondo noi, la legge non prevede tale requisito, ci piacerebbe che ci fosse anche l'autorevole parere del Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro a supporto delle nostre richieste.
Su questo problema, le darò il nostro «volantone» sulla pensione delle donne, alcune note, l'interrogazione che abbiamo presentato e la risposta del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sulla quale noi non siamo assolutamente d'accordo.
GESSICA ROSTELLATO. Condivido pienamente la relazione, della quale apprezzo particolarmente l'approfondimento sul welfare, che io ritengo sia sicuramente il punto principale sul quale svolgere una Pag. 7riflessione in questo periodo. Purtroppo, soprattutto per le giovani lavoratrici, abbiamo il problema che, in caso di maternità, spesso le donne abbandonano il posto di lavoro perché non riescono a conciliare, come si dice, o, in qualche modo, a portare avanti contemporaneamente la famiglia, la cura dei figli e il lavoro.
Lei diceva che le misure che sono state inserite nella legge di stabilità 2016 e nel disegno di legge di riforma del lavoro autonomo sono comunque utili, però credo che debba essere fatto molto di più di quello che è previsto in questi due provvedimenti, che sono comunque utili, ma non sufficienti.
Secondo voi, cosa bisognerebbe fare di più per evitare questo, purtroppo ancora significativo, abbandono del lavoro da parte delle donne, per potersi occupare della gestione soprattutto dei figli, ma anche degli anziani ? Si tratta di utilizzare contratti diversi, quindi tipologie di lavoro più flessibile, oppure è opportuno assicurare, anche attraverso gli enti bilaterali e le aziende, un maggiore aiuto nella gestione familiare, o, anche, rivedere la disciplina dei congedi di maternità ? Cosa potrebbe essere utile ? Chiedo se avete qualche idea in merito.
PRESIDENTE. Do la parola al nostro ospite per la replica.
GIOVANNI MARCANTONIO, coordinatore della Commissione Politiche previdenziali del Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro. Rispondo molto sinteticamente. Innanzitutto ringrazio per le sollecitazioni, sicuramente di grande interesse. In relazione alla prima, devo dire che quella dei periodi di formazione e dei ricongiungimenti dei diversi periodi contributivi è sicuramente una sfida, anche informativa. Molte lavoratrici non conoscono questa possibilità e non ne conoscono neanche il costo. Quindi, su questo, secondo me c’è da fare un lavoro di grande pressing su tutti gli attori di questo meccanismo, perché la convenienza e il calcolo previdenziale sono materie molto delicate e vanno gestite con grande competenza. Dunque, quando la lavoratrice si rivolge a un consulente del lavoro, a un patronato, il soggetto che riceve la lavoratrice deve essere in grado di consigliare, o comunque, almeno di esporre le opportunità che le ricongiunzioni possono permettere.
Sotto questo profilo, confermo che, spesso, anche le aziende che a noi si rivolgono sollecitano questo tipo di consulenza, ma per il tramite delle lavoratrici, perché sono le lavoratrici che chiedono all'azienda cosa possono fare per i periodi non coperti da contribuzione.
Il gap informativo secondo me è significativo, perché, a volte, è la lavoratrice che si rivolge all'azienda per informarsi sui suoi diritti. Allora, credo che si potrebbe, in qualche maniera, aiutare questo passaggio o rendere disponibili altri tipi di canali informativi. Per quanto riguarda «Opzione donna», devo rilevare che le interpretazioni sulle «finestre» sono state anche abbastanza curiose, non solo per il caso che l'onorevole Gnecchi citava, ma anche perché, come sicuramente ricorderete, il requisito, comprensivo della «finestra», doveva essere maturato entro la fine dello scorso anno. Poi, con uno sforzo interpretativo, si è riusciti a dare un po’ più di respiro a «Opzione donna».
Partire con interpretazioni così restrittive sicuramente non aiuta, perché, di fatto, blocca il canale attraverso il quale le donne potrebbero accedere al trattamento pensionistico.
Per quanto riguarda gli aiuti economici, credo che una leva importante sia il costo del lavoro. Se mi posso permettere, vorrei soffermarmi, ad esempio, sull'agevolazione per la sostituzione di maternità. Nelle aziende fino a venti dipendenti – anche qui c’è una discriminazione, perché non si capisce perché una lavoratrice che lavora in un'azienda con meno di venti dipendenti debba avere un diritto diverso da quella che lavora in un'azienda con più di venti dipendenti – il datore di lavoro che assume a tempo determinato in sostituzione di una lavoratrice in maternità ha diritto ad uno sgravio contributivo del 50 per cento dei contributi a suo carico.Pag. 8
Anche sotto questo profilo, le interpretazioni dell'INPS sono state molto restrittive perché, ad esempio, se in sostituzione di una lavoratrice in maternità, a venti ore settimanali, si assume una persona a ventiquattro ore settimanali, l'istituto non riconosce l'agevolazione piena, ma solo quella riferita al gap tra le venti e le ventiquattro ore.
Sono interpretazioni davvero poco spiegabili alle aziende che normalmente assistiamo. La leva è un ampio ventaglio misure di welfare, come già è stato fatto dalla legge di stabilità del 2016, perché l'aver modificato il testo unico delle imposte sui redditi, in ordine alle lettere f) e f-bis) del comma 2 dell'articolo 51, cioè proprio quelle che interessavano le aziende, eliminando il requisito della volontarietà, che spesso contrastava contro questo principio, aiuta moltissimo. Dall'altra parte, si dovrebbe agire sul costo del lavoro, per rendere conveniente, in qualche maniera, sia per la lavoratrice sia per l'azienda, il mantenimento del posto di lavoro e la conciliazione tra attività lavorativa e vita familiare.
PRESIDENTE. Ringraziamo il dottor Giovanni Marcantonio per l'attenzione e il contributo fornito alla nostra indagine.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta, sospesa alle 16.10, riprende alle 16.15.
Audizione di rappresentanti del Centro patronati (CE.PA).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'impatto in termini di genere della normativa previdenziale sulle disparità esistenti in materia di trattamenti pensionistici tra uomini e donne, l'audizione di rappresentanti del Centro patronati (CE.PA).
Nel ringraziare i nostri ospiti per la loro partecipazione all'odierna audizione, segnalo che sono presenti per ITAL-UIL Michele Zerillo, per ACLI Claudio Piersanti e Franco Bertin, per INAS-CISL Domenico Pesenti, presidente, e Angela Maria Caracciolo, per INCA-CGIL Fulvia Colombini e Caterina Di Francesco.
Segnalo che la Commissione ha a disposizione per l'audizione circa 45 minuti di tempo. Nel complesso, le relazioni dovranno avere una durata di massimo 35 minuti, in modo tale da lasciar spazio per eventuali quesiti.
Do la parola a Domenico Pesenti, presidente INAS-CISL, per lo svolgimento della sua relazione.
DOMENICO PESENTI, presidente INAS-CISL. Credo che non utilizzerò tutto il tempo a mia disposizione, perché sono da poco il presidente dell'INAS-CISL.
Vorrei ringraziare per questo invito, perché ci permette di riportare i problemi che tutti i giorni i nostri patronati incontrano parlando con i lavoratori e le difficoltà che questi ultimi affrontano per poter accedere alla pensione e, perciò, ai diritti previdenziali.
Conoscete già il CE.PA: è un organismo di coordinamento tra patronati di CGIL, CISL, UIL e delle ACLI. Proprio per questo, abbiamo concordato un documento, che depositiamo, per semplificare un po’ i lavori, ma anche per mostrare che incontriamo tutti le stesse problematiche con i lavoratori e che vogliamo affrontarle.
Vogliamo affrontarle in questo senso: noi abbiamo la necessità di porre il problema di una revisione della normativa generale sulla previdenza, per semplificarla e unificarla, perché, purtroppo, nel tempo si sono sommate diverse normative, che oggi creano difficoltà d'interpretazione. La difficoltà d'interpretazione vale anche per l'INPS, che generalmente non ha un'unica interpretazione sulle normative, in quanto molte sedi hanno la propria. Questo ci crea ulteriori problemi.
Con questo confronto, noi vorremmo giungere a una semplificazione, che agevoli anche una politica di sostegno, in particolare a favore alle donne, che oggi sono il punto più debole del sistema previdenziale, Pag. 9per i problemi occupazionali, per i problemi di continuità lavorativa, ma anche con riferimento alla maternità.
Io credo che su questo tema dovremmo riflettere un po’ di più e fare in modo che ci sia un sostegno all'attività sociale delle donne. In particolare per la maternità, dovremmo provare a fare un ragionamento che non si riferisca solo alle donne, ma a un generale sostegno alla genitorialità nel Paese. Occorre fare un ragionamento più complessivo: come aiutare questo Paese ad avere un futuro attraverso i figli.
Visto il mio passato nel settore del lavoro edile, mi interessa anche fare un ragionamento sul fatto che non è possibile avere un'età di accesso al pensionamento uguale per tutti i lavori. Ci sono lavori difficili, lavori pesanti, lavori pericolosi e lavori faticosi. Io parlo degli edili in base alla mia esperienza, ma credo che questi termini valgano anche per il lavoro di casalinga e per altri lavori svolti da tante donne.
Tutti questi aspetti devono portare a una revisione dell'idea di previdenza. Siamo convinti che non pensare a cosa succede dopo i 60 anni in termini di salute, di fatica del lavoro, di possibilità di trovare una nuova occupazione e mantenere un'età pensionabile uguale per tutti, senza flessibilità, voglia dire prepararsi – uso un termine pesante per farmi capire meglio – a una «macelleria sociale»: ci saranno tante persone che moriranno sul lavoro, perché la fatica porterà all'appannamento dell'attenzione e a un rischio maggiore, ma, soprattutto, tante persone rimarranno a casa, senza lavoro e senza pensione.
Per questo, anche nell'incontro di oggi, ci interessa sottoporre queste questioni. Come istituti di patronato, noi affrontiamo i temi che ci sottopongono i lavoratori e cerchiamo di darvi risposta. Tuttavia, per darvi risposta spesso ci rimane solo la strada della causa, cioè l'utilizzo delle vie legali. Vorremmo invece trovare un canale che ci permetta di risolvere prima questi temi, senza costringere noi e, soprattutto, i lavoratori, che sono la parte debole, ad affrontare cause contro l'INPS solo perché abbiamo interpretazioni diverse della medesima norma. Grazie per l'attenzione.
PRESIDENTE. Autorizzo la pubblicazione, in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna, della documentazione depositata dai rappresentanti degli istituti di patronato (vedi allegato 2). Do la parola a Michele Zerillo, rappresentante di ITAL-UIL.
MICHELE ZERILLO, rappresentante di ITAL-UIL. Buonasera. Il tema affrontato dall'indagine conoscitiva è importantissimo, quindi ringraziamo questa Commissione. In questo momento, la grande discussione sul tema della flessibilità nell'accesso al pensionamento e, in via più generale, sulle pensioni potrebbe far perdere di vista l'importanza del tema di questa indagine conoscitiva sull'impatto di genere.
Noi abbiamo presentato un documento unitario. Il tempo a mia disposizione sarà utilizzato in modo da evitare sovrapposizioni e ripetizioni con gli interventi successivi. Io proverò a illustrare il metodo che abbiamo utilizzato per preparare il documento unitario. Non è un modo unitario che abbiamo adottato solo in questa circostanza, ma è un metodo con cui lavoriamo sempre.
Vorrei spendere due parole, prima di entrare nel merito del documento. Pensiamo che le norme in materia previdenziale nascano sicuramente come norme imparziali, però spesso non si valuta la portata e la ricaduta che queste norme possono avere. Come sappiamo, questo non evita la censurabilità di queste norme da parte della Corte di giustizia europea.
Noi abbiamo redatto un documento che, probabilmente, va un po’ oltre i temi richiesti in quest'indagine conoscitiva. Dentro ci sono tanti argomenti. Alcuni sono temi di sistema, perché riteniamo che questa problematica si inserisca in un ambito più ampio di sistema, non solo previdenziale, ma più allargato, soprattutto se tocchiamo il discorso dell'impatto di genere, che deve coinvolgere anche il welfare sociale e il lavoro.Pag. 10
Il lavoro e il lavoro di cura sono due questioni fondamentali che determinano ricadute negative sull'adeguatezza dei trattamenti pensionistici delle donne. Abbiamo questioni di sistema, ma anche questioni più contingenti, per la cui soluzione potrebbero anche essere sufficienti la via interpretativa o una minore rigidità nell'interpretazione delle norme.
Cito due o tre questioni che richiedono interventi anche immediati. I colleghi in seguito entreranno nel merito di ulteriori aspetti della normativa. Alcune questioni riguardano anche le ricongiunzioni onerose, capitolo importante che potrebbe trovare soluzioni in via interpretativa – i colleghi che poi interverranno dettaglieranno questo capitolo – ma vi sono anche questioni riguardanti problemi contingenti relativamente a trattamenti pensionistici che possono essere liquidati oggi.
Parlo di due questioni. La prima è la vicenda degli «esodati»: siamo arrivati al settimo provvedimento di salvaguardia ma restano da affrontare due questioni riguardanti le donne. Mi riferisco alla questione dei lavoratori agricoli con contratto a tempo determinato, esclusi dal settimo provvedimento di salvaguardia, sia ai lavori stagionali sia ad altre tipologie di lavori, quali il lavoro domestico a tempo indeterminato.
Andiamo invece ai problemi che abbiamo individuato come propri del sistema contributivo. Tra questi ci sono sicuramente i due valori soglia per l'accesso alla pensione di vecchiaia e alla pensione anticipata, sui quali occorre fare una riflessione importante – la questione è stata oggetto anche di precedenti audizioni – altrimenti gran parte delle donne andranno in pensione a 71 anni. I dati lo dimostrano, non sto qui a ripetere dati che conoscete.
È un valore soglia diverso da quello previsto dalla legge n. 335 del 1995. Io ritengo che le riforme previdenziali siano state essenzialmente due: quella recata dal decreto legislativo n. 503 del 1992 e quella recata dalla legge n. 335 del 1995, non certamente quella introdotta dal decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, della legge n. 214 del 2011. Nel contesto del sistema delineato dalla legge n. 335, il valore soglia aveva un senso, oggi ne ha un altro, e si è trasformato in un impedimento. Anche su questo poi i colleghi specificheranno meglio.
Il nuovo importo soglia fa venir meno una norma che era nata con una sua ragionevolezza, quella di permettere alle donne di anticipare, in base alle maternità, l'età pensionabile oppure, in via alternativa, di rendere più adeguato il trattamento pensionistico. Questa norma è svilita nel contesto di un valore soglia che obbliga i lavoratori ad andare in pensione a 71 anni (oggi siamo a 70 anni e sette mesi).
C’è poi la grande questione dell'integrazione al trattamento minimo, che è ben nota. Ci sono casi già da anni. Noi abbiamo portato delle casistiche, che derivano dall'osservazione dei casi che trattiamo quotidianamente.
L'altra grande questione di sistema riguarda il legame tra l'età pensionabile e l'aspettativa di vita. Dobbiamo pensare anche a tutte le tipologie di pensione sulle quali incide l'aspettativa di vita, non soltanto alla pensione di vecchiaia e alla pensione anticipata, cioè alle specifiche norme in deroga per quanto riguarda il pensionamento di determinate tipologie di soggetti. Pensiamo alla pensione di vecchiaia anticipata per gli invalidi all'80 per cento, sulla cui età pensionabile incide l'aspettativa di vita. Anche questo è un altro capitolo che poi tratteranno i colleghi, non voglio rubare ulteriore tempo.
C’è poi il tema delle maggiorazioni contributive di alcuni periodi lavorativi, che per i destinatari del sistema contributivo non si traducono nell'aumento del trattamento pensionistico. Anche in questo caso, ovviamente, pensiamo alle ricadute sul lavoro femminile.
Nel nostro documento leggerete di altre criticità, che riguardano, al contempo, chi rientra nel sistema di calcolo misto e chi rientra nel sistema di calcolo contributivo.
C’è il problema dell'aspettativa di vita. Vogliamo proporre di personalizzare il più possibile l'aspettativa di vita, comprendendo Pag. 11anche i periodi dedicati all'assistenza di familiari, figli, anziani e persone disabili.
Faccio un ultimo accenno e chiudo. Nel documento trovate anche delle riflessioni sul sistema degli ammortizzatori sociali, che poi si riflettono sul trattamento pensionistico. Ho sforato il tempo a mia disposizione e lascio la parola ai colleghi proprio per gli approfondimenti sui temi che io ho elencato e che sono affrontati nel documento, non ultima la previdenza complementare.
PRESIDENTE. Do ora la parola a Claudio Piersanti, rappresentante delle ACLI.
CLAUDIO PIERSANTI, rappresentante delle ACLI. Io approfondisco il tema delle ricongiunzioni, ovvero degli strumenti di ricomposizione delle posizioni assicurative.
Nell'ambito del panorama previdenziale europeo, l'ordinamento previdenziale italiano attualmente si caratterizza, a nostro giudizio, per un'ormai grande onerosità dei requisiti di accesso alle prestazioni pensionistiche. Pensiamo soltanto al meccanismo degli aumenti periodici dei requisiti pensionistici legato all'incremento delle aspettative di vita. Se comparato con quelli della Germania, della Francia, dell'Inghilterra o del Belgio, l'ordinamento italiano prevede limiti anagrafici notevolmente più elevati e un pensionamento anticipato che è arrivato a 42 anni e dieci mesi, per gli uomini, e a 41 anni e dieci mesi, per le donne.
Il sistema previdenziale italiano, oltre a caratterizzarsi per questa attuale onerosità, si caratterizza anche per un fenomeno storico, che è quello di una frammentazione di fatto della tutela previdenziale in molteplici casse e regimi pensionistici. Sappiamo che tutto questo è nato dall'assicurazione per gli impiegati statali, per arrivare a quella nel settore privato, alla nascita delle casse del settore del pubblico impiego e, da ultimo, alle gestioni di lavoratori autonomi, commercianti, artigiani, nonché dei lavoratori che svolgono collaborazioni coordinate e continuative.
Di fatto, spesso la frammentazione delle carriere assicurative, l'intermittenza, la discontinuità e l'accesso a forme flessibili di impiego lavorativo colpiscono maggiormente le donne. Mi riferisco al part-time e alla trasformazione di un rapporto di lavoro in una forma autonoma di collaborazione coordinata e continuativa. Ne consegue un fenomeno di frammentazione delle posizioni assicurative, che maggiormente colpisce il mondo del lavoro femminile.
Cosa vogliamo segnalare in questa sede ? È vero che l'ordinamento italiano, negli anni, ha previsto una serie di istituti normativi previdenziali volti proprio a consentire la comunicazione tra i diversi ordinamenti previdenziali.
Conosciamo tutti le ricongiunzioni, la legge n. 29 del 1979 e la legge n. 45 del 1990, ma anche gli istituti, successivamente introdotti, della totalizzazione dei contributi, di cui al decreto legislativo n. 42 del 2006, del cumulo delle contribuzioni, di cui alla legge n. 228 del 2012, del cumulo del contributivo, di cui al decreto legislativo n. 184 del 1997, e del cumulo della gestione separata, di cui al decreto ministeriale n. 282 del 1996.
Tuttavia, attualmente vi sono istituti un po’ scoordinati; istituti, come le ricongiunzioni, che prevedono ancora un'onerosità, secondo noi, non più giustificata dall'armonizzazione ed equiparazione dei regimi previdenziali; istituti che presentano vizi, preclusioni e vischiosità che, spesso e volentieri, non consentono l'accesso alla totalizzazione, al cumulo o quant'altro, magari perché si è titolari di una pensione precedentemente maturata e la legge impedisce il ricorso a tali istituti per chi è già titolare di pensione.
Un elemento di forte discontinuità, di vizio e di nocumento in questo sistema è inevitabilmente derivato – non lo possiamo negare – dal decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, che ha soppresso le forme di trasferimento gratuito delle contribuzioni nel Fondo pensioni lavoratori dipendenti dell'INPS.Pag. 12
Peraltro, essendo tale fondo un'assicurazione generale obbligatoria, per legge storicamente è sempre stato la sede in cui i contributi affluivano nel momento in cui un lavoratore, nel proprio regime di appartenenza, non maturava autonomamente i requisiti.
L'abrogazione dei trasferimenti gratuiti verso l'INPS e l'onerosità prevista dall'articolo 1 della legge n. 29 del 1979 hanno dato luogo a un sistema nato episodicamente per porre rimedio al fenomeno delle donne del pubblico impiego che, avendo requisiti anagrafici di accesso al pensionamento più elevati rispetto a quelli delle donne dipendenti nel settore privato, in un certo modo usufruivano di questo strumento normativo per poter confluire nel Fondo pensioni lavoratori dipendenti in modo vantaggioso.
La norma ha soppresso questi trasferimenti gratuiti sull'onda di un'esigenza contingente, non preoccupandosi di coordinare i restanti pezzi del sistema, che sono rimasti fra di loro scollegati.
A titolo esemplificativo, attualmente, se un titolare di assegno di invalidità INPS, situazione ricorrente nell'attività di patrocinio che noi svolgiamo, assume un impiego presso un ente locale, lavora per dieci anni e, avendo maturato questi dieci anni di contribuzione, raggiunge i 65 anni di età, questo periodo contributivo rimane però improduttivo di diritto a pensione.
Si determinano onerosità delle ricongiunzioni, contribuzioni silenti e periodi contributivi improduttivi. Chiaramente, dieci anni di contribuzione alla gestione ex-INPDAP-enti locali non sono sufficienti per maturare il diritto alla pensione di vecchiaia, perché ne occorrono venti. Infatti, in base ad una particolare interpretazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, seguita dall'INPDAP, per determinare l'appartenenza di una posizione assicurativa al sistema contributivo o a quello retributivo viene data rilevanza anche alla contribuzione accreditata in altri regimi previdenziali, ancorché non ricongiunta nella gestione ex-INPDAP.
Questa, ad esempio, è una situazione nella quale, accedendo a un'interpretazione diversa e «isolando» la gestione in cui viene liquidata la pensione, questi dieci anni di contribuzione sarebbero produttivi di diritto a pensione al compimento dei 70 anni di età, come per i lavoratori iscritti alla gestione pensionistica a partire dal 1996.
Quali sono i rimedi che noi proponiamo ? Ce ne sono tantissimi per coordinare tutte queste norme e per dare una mano soprattutto alle donne a maturare il requisito pensionistico.
Il primo rimedio è rappresentato dall'introduzione dell'istituto della pensione supplementare in tutti i regimi, anche in quello ex-INPDAP del pubblico impiego. Noi lo vedremmo come un principio di civiltà previdenziale. Non si vede perché l'istituto della pensione supplementare sia applicabile se si percepisce una pensione principale liquidata dall'INPS, mentre in altri casi no.
Un altro rimedio è l'adozione dell'interpretazione in base alla quale, per i soggetti iscritti per la prima volta a decorrere dal 1996, rileva la contribuzione versata nella gestione nella quale accedono alla pensione, di modo che, a 70 anni, anche con solo cinque anni di contribuzione in tale gestione, possano comunque maturare il diritto ad accedere alla pensione.
Occorrerebbe inoltre considerare la possibilità di ricongiungere posizioni assicurative che hanno già dato luogo alla liquidazione della pensione. Un soggetto, che percepisce l'assegno di invalidità, avvalendosi dell'istituto della ricongiunzione di cui all'articolo 1 della legge n. 29 del 1979 nei confronti dell'INPS, avendo versato dieci anni di contributi nella gestione ex-INPDAP per i dipendenti degli enti locali, otterrà un supplemento della pensione liquidata dall'INPS. Peraltro, il principio dell'unicità della prestazione, su cui si fonda la legge n. 29 del 1979, verrebbe rispettato.
Un'ulteriore proposta riguarda la possibilità della totalizzazione o del cumulo anche in presenza di una pensione oppure nel caso si siano autonomamente maturati i requisiti pensionistici. Perché si introducono Pag. 13questi istituti e poi si prevedono una serie di preclusioni che, in un certo modo, ne rendono difficoltoso, se non impossibile, l'accesso ?
È necessaria, altresì, la previsione della possibilità di conseguire, mediante cumulo, totalizzazione e ogni altro mezzo, indistintamente tutte le tipologie di pensione. Perché il cumulo disciplinato dalla legge n. 228 del 2012, introdotto come rimedio rispetto all'abrogazione delle ricongiunzioni gratuite presso l'INPS, è applicabile alla pensione di vecchiaia e non alla pensione anticipata, che è quella in relazione alla quale è più forte l'esigenza di maturare gli oltre 42 anni contributivi richiesti anche mediante spezzoni contributivi ?
La sollecitazione sul tema delle ricongiunzioni sottende l'idea di pervenire a un'unificazione e a una razionalizzazione delle norme e dei diversi istituti. È possibile pensare non a cinque o sei istituti – poc'anzi li ho citati tutti – ma a una sola disciplina su cumulo e totalizzazione delle posizioni assicurative ?
Chiaramente, questo è fattibile nell'ottica di un testo unico previdenziale, che più volte è stato evocato, di un codice della previdenza e dell'assistenza sociale che metta ordine in tutta questa legislazione scoordinata e alluvionale.
La seconda sollecitazione è la seguente: l'onere delle ricongiunzioni è ancora attuale ? Si può ripensare, a fronte di un sistema che prevede una riserva matematica, che è calcolata comparando alla quota di pensione che sarà liquidata dalla gestione di destinazione i contributi trasferiti ? È chiaro che, confrontando questi due elementi, la ricongiunzione rimarrà sempre onerosa.
Tutto ciò rientra nell'ottica di una tutela soprattutto del lavoro femminile, che è quello che maggiormente ricorre a questi istituti di ricomposizione delle posizioni assicurative.
PRESIDENTE. Do la parola a Fulvia Colombini, rappresentante di INCA-CGIL.
FULVIA COLOMBINI, rappresentante di INCA-CGIL. A conclusione di quanto già illustrato dai miei colleghi – le questioni sono ben dettagliate nel documento unitario – rammento che le proposte che noi facciamo sono volte a recuperare flessibilità ed equità nel sistema previdenziale.
Pertanto, per recuperare equità, i due importi soglia (1,5 volte l'importo dell'assegno sociale, per la pensione di vecchiaia, e 2,8 volte l'importo dell'assegno sociale, per la pensione anticipata) vanno rivisti o eliminati, perché, a questo punto, con le modifiche che si sono succedute, sono diventati ostacoli per le donne, come i dati recentissimi dimostrano.
In questo contesto, come diceva Michele Zerillo poc'anzi, per quanto riguarda il vantaggio per le donne che hanno i figli, cioè la possibilità di anticipare l'accesso al pensionamento oppure di avere una maggiorazione del trattamento, l'anticipo può ancora essere effettivo, ma la maggiorazione esiste solo sulla carta, perché i rendimenti sono calcolati fino a 70 anni. Pertanto, questa norma, che era stata pensata a favore delle donne, è diventata anacronistica.
È indispensabile la reintroduzione nel sistema contributivo di un meccanismo solidaristico, come il trattamento minimo. Ne sono esempio – noi le abbiamo allegate alla documentazione depositata – le casistiche di pensioni di inabilità già liquidate in questi anni, che cristallizzano, nel momento in cui non si può più lavorare, situazioni di indicibile povertà, anche nel caso dei trattamenti a superstiti, in modo particolare a figli minori.
Anche la valorizzazione delle maggiorazioni contributive andrebbe un po’ rivista. Sulla speranza di vita, di cui si è parlato precedentemente, non mi soffermo. È profondamente ingiusto che tutti i lavori siano considerati uguali e che non ci sia un'aspettativa di vita più personalizzata, a seconda del tipo di professione svolta. Quest'ultima osservazione riguarda tutto il sistema pensionistico, a prescindere dal calcolo contributivo, misto o retributivo.
Per quanto riguarda la flessibilità, abbiamo visto che con la legge di stabilità 2016 si sono eliminate le penalizzazioni Pag. 14per l'accesso alla pensione anticipata, precedentemente sopportate quasi tutte dalle donne, nella misura di 24.000 casi su 28.000 soggetti penalizzati.
Queste penalizzazioni dovrebbero essere reintrodotte a partire dai prossimi anni. Siamo molto preoccupati per questo. La proposta contenuta nel documento di CGIL, CISL e UIL è quella di un'anzianità contributiva di 41 anni, al raggiungimento della quale uomini e donne vanno in pensione senza penalizzazioni. Semmai, ci può essere un incentivo a rimanere di più, ma non una penalizzazione. Quarantun anni di lavoro dovrebbero essere sufficienti.
Nel nostro Paese c’è il problema del riconoscimento del lavoro di cura, ancora in gran parte in capo alle donne. Per far questo, occorrerebbe superare il limite di cinque anni massimi di accredito della contribuzione figurativa e includere in essa anche altri eventi, che non siano esclusivamente quelli riferiti alla maternità, come la cura degli anziani e, in particolare, delle persone non autosufficienti.
Questo è un problema di equità del sistema, non solo di flessibilità. Ridando equità si dà anche maggiore flessibilità, ma prima di tutto abbiamo posto problemi di equità.
C’è un problema di ripercussioni di genere nel sistema degli ammortizzatori sociali, in particolare per quanto riguarda sia il settore pubblico sia il settore privato. Nella scuola questo accade molto spesso, perché essa è caratterizzata dall'80 per cento di occupazione femminile, per cui si verifica una segregazione di genere. Il precariato e l'impossibilità di far valere la contribuzione figurativa del periodo di precariato nel sistema ex INPDAP costituisce un problema per le donne.
Se si ragiona di un'unica posizione previdenziale – questa è l'idea del legislatore – bisogna intervenire su tutti questi aspetti.
Delle ricongiunzioni si è già parlato. Aggiungo solo un punto: tutte queste considerazioni vanno viste anche alla luce della previdenza complementare, poiché anch'essa eroga alle donne le pensioni più povere. Oltretutto, per la speranza di vita maggiore che le donne hanno, i coefficienti di calcolo della previdenza complementare danno luogo a importi più bassi.
Pertanto, va riequilibrato il primo pilastro del sistema pensionistico, a cui noi attribuiamo grande importanza, a partire dall'equità, in modo tale che la flessibilità, che il sistema ha perso, ridiventi una possibilità effettiva.
Più dettagli e anche molti esempi sono contenuti nel documento unitario che abbiamo depositato.
PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.
MARIALUISA GNECCHI. Noi vi ringraziamo. Le cose che ci avete detto sono quelle che purtroppo sappiamo.
Devo dire che una delle prime proposte di legge da me presentate riguarda la reciprocità della pensione supplementare. La Ragioneria generale dello Stato ha stimato costi molto alti in quanto, a suo avviso, la proposta di legge comporta una perdita per gli istituti previdenziali dei contributi silenti. È una cosa vergognosa.
La proposta è stata presentata la scorsa legislatura. Ovviamente, servirebbe una pressione generale anche da parte dei patronati su questo problema, perché è evidente che non è condivisibile la logica in base alla quale bisogna addirittura favorire il formarsi di contributi silenti. Abbiamo letto quello che scrivete, ma esiste veramente un problema reale.
Aggiungo una considerazione rispetto alle cose che avete detto e sulle quali noi speriamo di essere supportati. Per ciò che concerne i famosi 64 anni di anzianità anagrafica per i nati nel 1952 e, quindi, l'applicazione del comma 15-bis dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, vi ho già segnalato quale è stata la risposta che abbiamo avuto in Commissione da parte del Governo. Noi vogliamo che si apra un contenzioso su questo tema, perché è necessario che l'unica forma di gradualità di accesso al pensionamento Pag. 15che abbiamo faticosamente conquistata sia adesso messa in pratica. Siamo nel 2016, quindi siamo nella situazione in cui i nati nel 1952 stanno compiendo i 64 anni.
Tra le questioni ulteriori che bisognerebbe riuscire a risolvere c’è la differenza tra settore pubblico e settore privato nel calcolo del part-time in termini di liquidazione della pensione. È evidente che, a fronte di quello che si continua a dire, ovvero che il settore pubblico e il settore privato andrebbero omogeneizzati, in ogni situazione si creano delle differenze.
Su «Opzione donna», noi stiamo verificando l'esistenza di calcoli incredibili relativamente alle donne del pubblico impiego. Le posizioni INPDAP non sono complete. Mancano i conteggi relativi agli straordinari, ai turni notturni e altri aspetti, che, almeno nel sistema di calcolo contributivo, andrebbero considerati.
In occasione di quei famosi tavoli che patronati e INPS attivano, dovreste cercare di ottenere risultati su questo, perché è evidente che nel pubblico impiego sono tante le donne che adesso stanno optando per l’«Opzione donna», in particolare donne-medico, per ovvi motivi: nonostante il taglio, hanno una pensione tutto sommato dignitosa. Sono pensioni ridotte in modo drammatico, che subiscono il taglio del 65 per cento, perché le posizioni ex-INPDAP sono incomplete.
È evidente che bisognerebbe che voi, con la vostra autorevolezza e con la vostra capacità di fare i calcoli, contestaste e verificaste tutti i calcoli dell’«Opzione donna» nel settore pubblico. Sono comunque numeri limitati. Noi vi chiediamo di verificarli, perché abbiamo visto che ci sono situazioni drammatiche.
Addirittura, abbiamo scoperto che la convenzione tra l'INPS e Città del Vaticano non riconosce neanche la contribuzione figurativa per la maternità. Abbiamo veramente delle situazioni incredibili. Dicono di volere favorire la maternità e la famiglia «normale»; magari, se riconoscessero i contributi delle loro dipendenti che hanno fatto figli, sarebbe già un passetto avanti. Comunque, chiudiamo il discorso.
Il limite ordinamentale di 65 anni previsto dall'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973 nel pubblico impiego è ovviamente da eliminare, perché non ha più ragione di esistere, ma ciò andrebbe segnalato da voi perché la mia segnalazione non ha funzionato.
Anche rispetto ai provvedimenti di salvaguardia, ci sono delle discriminazioni oggettive nei confronti delle donne. Il fatto che a coloro che hanno un'anzianità contributiva di almeno quaranta anni, i cosiddetti «quarantisti», che sono in generale uomini, non si applichi l'aspettativa di vita, mentre alle donne, pur in mobilità, si applica, evidentemente, costituisce una penalizzazione molto forte per le donne. Comunque, trovate questo tema anche nell'appunto che vi ho trasmesso, quindi non lo approfondisco.
Il Ministro Poletti, rispondendo al question time del collega Gigli di mercoledì scorso, ha affermato che, effettivamente, la disciplina sulle ricongiunzioni è ingiusta.
Ovviamente io ho presente il documento del CE.PA del maggio del 2012 e quello del dicembre 2012. In seguito, la legge n. 228 del 2012 è intervenuta almeno in favore dei lavoratori cessati dal pubblico impiego e dai fondi esonerativi e sostitutivi entro il luglio del 2010. Però, per esempio, una persona che ha fatto domanda di prosecuzione volontaria è stata penalizzata ugualmente, perché la prosecuzione volontaria è equiparata al servizio, a differenza della prosecuzione volontaria per il raggiungimento del requisito di 64 anni di età. È una vergogna.
Ovviamente voi, che avete a che fare quotidianamente con queste contraddizioni e ingiustizie, dovreste segnalarlo in questi famosi tavoli con l'INPS. L'INPS dovrebbe arrivarci da solo, ma purtroppo non ci arriva. Lo dico da ex dipendente. È una cosa che mi fa soffrire moltissimo.
C’è un'altra cosa che noi non riusciamo a risolvere, che è la famosa opzione contributiva prevista dalla legge n. 335 del 1995. C’è gente che andrebbe in pensione volentieri con il sistema contributivo, pur di andarci, perché magari aveva una retribuzione Pag. 16alta e poi ha perso il lavoro e, quindi, il calcolo contributivo, paradossalmente, assicurerebbe addirittura una pensione superiore a quella che avrebbe avuto con l'applicazione del sistema di calcolo misto.
Questa è un'altra situazione sulla quale bisogna attivare contenziosi, perché noi non ce l'abbiamo fatta come legislatori, pur essendo il presidente dell'INPS un amante del sistema contributivo, che anzi manderebbe in pensione tutti con tale sistema, oltre a ricalcolare i trattamenti. Almeno per coloro che vorrebbero andare in pensione sul serio con il sistema contributivo bisogna riuscire a recuperare la possibilità di farlo.
Sull'aspettativa di vita, in generale, ovviamente noi siamo più che d'accordo. Il collega Tripiedi era fuori quando Domenico Pesenti ha parlato degli edili. È quello che stiamo cercando di fare. Uno studio del Ministero dell'economia e delle finanze del luglio 2013 e, addirittura, uno studio della Banca d'Italia sostengono e dimostrano questa differenza delle aspettative di vita a seconda dell'attività lavorativa svolta. È una documentazione che noi abbiamo dato, tra l'altro, al ministro Poletti, ai rappresentanti del Ministero del lavoro. Probabilmente anche su questo abbiamo bisogno di aiuto e supporto.
Rispetto al trattamento minimo, noi non siamo d'accordo o non cercheremo di reintrodurre il trattamento minimo, anche se ho presentato una proposta di legge a prima firma mia, sollecitata dalle ACLI, proprio per i casi dei superstiti e delle pensioni di invalidità. Noi sosteniamo la nostra proposta di legge Atto Camera n. 2100: zoccolo pensionistico uguale per tutti e pari all'assegno sociale, al quale aggiungere una pensione calcolata con il sistema contributivo. È evidente che dobbiamo andare tutti nella stessa direzione, perché il ripristino del trattamento minimo non sarà mai possibile, anche se, come vi ho detto, ho presentato una proposta di legge su questo argomento.
Comunque, l'ho detto già nel recente convegno delle ACLI, dove ho spiegato le ragioni della mia contrarietà, anche se poi, considerate le pressioni, abbiamo presentato la proposta di legge. Tuttavia, noi riteniamo che l'unica via d'uscita vera sia lo zoccolo pari all'assegno sociale a cui aggiungere la contribuzione secondo il sistema di calcolo contributivo. È l'unica via d'uscita, anche perché induce la gente a non lavorare in nero, mentre anche un'eventuale integrazione al trattamento minimo non risolve questo problema, perché si fa affidamento sull'assegno sociale o sull'integrazione al trattamento minimo. La proposta valida è quella dello zoccolo al quale sommare i contributi.
Quindi, pensione supplementare reciproca per tutti, zoccolo e pensione contributiva che si aggiunge allo zoccolo e, soprattutto, superamento delle ricongiunzioni onerose – che veramente sono un'ingiustizia, un furto nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici – sono le nostre strade.
Priorità e madre di tutte le battaglie rimane la proposta di legge sulla flessibilità, il cui primo firmatario è il presidente Damiano. Devo dirlo per amor di patria ma anche perché ne sono convinta. Tutte le altre proposte di legge hanno almeno pari dignità. Progressivamente ci dovremo arrivare, anche perché le donne nella proposta di legge sulle flessibilità del presidente Damiano non sono considerate.
PRESIDENTE. Questa ultima nota, che caratterizza la mia misoginia, secondo l'onorevole Gnecchi...
MARIALUISA GNECCHI. (fuori microfono) La proposta di legge è pensata per gli edili e per i metalmeccanici.
PRESIDENTE. Preciso: metalmeccanici della FIAT Mirafiori.
DOMENICO PESENTI, presidente di INAS-CISL. Quello della reversibilità, invece, è un tema che è sottovalutato e colpisce in particolare le donne e le donne con figli. Non c’è solo il problema del lavoro nero, ma c’è anche il problema di chi, purtroppo, subisce un infortunio o una morte in età precoce, perciò con pochi Pag. 17contributi versati. Questi superstiti percepiscono il trattamento minimo e ciò li costringe alla ricerca di un lavoro pur avendo figli piccoli. È un tema molto importante.
PRESIDENTE. Abbiamo ancora pochi minuti.
ANGELA MARIA CARACCIOLO, rappresentante di INAS-CISL. Sono stata fortemente provocata dall'onorevole Gnecchi. Giustamente, lei ci incitava a fare le nostre proposte sui tavoli con l'INPS: giusta osservazione, e del resto dovrebbe essere così, ma purtroppo ci scontriamo quotidianamente – accade già da un po’ di tempo – con la reticenza dell'Istituto, che pare viva anche una subordinazione molto forte nei confronti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali o del Ministero dell'economia e delle finanze, che giocano ognuno la propria parte.
Questo porta, purtroppo, alla distorsione anche di quelle norme che il legislatore aveva ideato e potevano essere positive. Mi riferisco alla sperimentazione di «Opzione donna»: la disposizione della legge di stabilità 2016, che oggi viene presentata come una proroga, non è una proroga ma è un ripristino della corretta interpretazione della norma originaria. Era una norma speciale, sperimentale, costruita con alcuni elementi specifici che avevano un obiettivo: si rinunciava a qualcosa per accedere prima al pensionamento. Si è introdotto di tutto: prima la finestra mobile, poi l'aspettativa di vita, poi la decorrenza entro il 2015. Quindi, diciamo che oggi la legge di stabilità 2016 l'ha riportata all'originaria dimensione.
Dobbiamo dire che abbiamo una grossa difficoltà. Siccome il patronato ha per legge il compito di tutelare i diritti dei cittadini e dei lavoratori, siamo costretti, purtroppo, a ricorrere alla magistratura, che spesso non è neanche molto preparata. Però stiamo raggiungendo alcuni risultati. Ad esempio, sulla questione importantissima della valorizzazione di ogni periodo contributivo, di cui parlava il collega delle ACLI, alcune sentenze della Corte dei conti della Lombardia e della Calabria riconoscono il principio secondo cui il diritto a una prestazione si afferma sulla base della gestione alla quale si chiede la prestazione. In termini più semplici, un titolare di pensione o di assegno di invalidità erogato dall'INPS, che trova una nuova occupazione nel settore pubblico, deve avere diritto a utilizzare quel periodo contributivo, per esempio, con una pensione calcolata con il sistema contributivo. Anche su altri temi, purtroppo, siamo costretti a ricorrere alla magistratura.
DAVIDE TRIPIEDI. Intervengo per sottolineare due aspetti e anche per amor di verità. All'interno di questa Commissione c’è molta serenità e si intende raggiungere determinati obiettivi, che vanno verso la salvaguardia di più persone. Crediamo molto nel valore della persona e della dignità.
La questione è che il Governo – lo dico per amor di verità – non ha la stessa sensibilità di questa Commissione. Abbiamo approfondito alcuni temi, come i lavori usuranti, i problemi del comparto edile; abbiamo cercato anche di risolvere la questione degli «esodati», ma, ad oggi, ancora non ci siamo riusciti. Allora rivolgo a tutti l'appello che ha espresso anche l'onorevole Gnecchi, nonostante sia di un altro gruppo: cercate di farvi sentire il più possibile con il Governo, anche perché voi avete la forza che molte volte neanche noi deputati abbiamo, per trovare una soluzione definitiva. Il problema oggi sembra essere solo quello degli «esodati», ma oggi il problema riguarda invece varie categorie di lavoratori.
Io sto portando avanti la battaglia degli edili; anche in riferimento all'aspettativa di vita, in quanto un muratore non può essere paragonato a un impiegato di banca. Mi preoccupa anche l'affermazione che ha fatto la dottoressa Colombini sulla questione della premialità oltre i quarantuno anni di lavoro. Non posso premiare, secondo il mio punto di vista, una persona che oggettivamente lavora oltre quarant'anni, perché questo va a discapito di Pag. 18un giovane che potrebbe entrare nel mondo del lavoro, se tale persona andasse in pensione. Quindi, nutro molte perplessità.
FULVIA COLOMBINI, rappresentante di INCA-CGIL. (fuori microfono) Non è così. Volevo dire...
PRESIDENTE. Scusate, non potete fare discussione tra voi.
Quindi, finisca l'onorevole Tripiedi. Se qualcun altro vuole intervenire me lo chieda.
DAVIDE TRIPIEDI. Sono contento di aver capito male. Vi ringrazio per tutte le informazioni che ci avete dato. Speriamo di riuscire a ottenere qualche risultato.
PRESIDENTE. Vi ringrazio davvero, soprattutto perché date un contributo unitario. Questo è fondamentale. Insisto nel dire che quando si fanno audizioni in Parlamento o si interagisce con il Parlamento, se c’è una voce sola o un documento condiviso ha un effetto, mentre troppe voci ne hanno un altro, molto più debole.
Anch'io mi unisco ovviamente alla raccomandazione dell'onorevole Gnecchi. Noi facciamo le nostre parti in commedia: come avete visto, io faccio il difensore dei lavoratori metalmeccanici di Mirafiori e lei fa il difensore delle donne, ma, in realtà, noi difendiamo gli uni e gli altri, ci mancherebbe. Quindi, abbiamo in cantiere molte battaglie, a partire dalla flessibilità, ma non solo.
È molto importante che ci sia anche una consapevolezza popolare, una mobilitazione popolare, perché il Parlamento, di per sé, non è in grado di fare tutto o di sostenere tutte le battaglie. Anche io, dunque, mi associo a questa esortazione.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta, sospesa alle 17.05, riprende alle 17.10.
Audizione di Laura Calafà, professoressa associata di diritto del lavoro e di diritto del lavoro dell'Unione europea presso l'Università degli studi di Verona.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'impatto in termini di genere della normativa previdenziale e sulle disparità esistenti in materia di trattamenti pensionistici tra uomini e donne, della professoressa Laura Calafà, associata di diritto del lavoro e di diritto del lavoro UE presso l'Università degli studi di Verona.
Nel ringraziare la nostra ospite per la sua disponibilità, segnalo che la Commissione ha a disposizione per l'audizione circa venti minuti, quindi lascerei per la relazione uno spazio di circa dieci minuti e i restanti dieci per eventuali interlocuzioni e repliche.
Cedo la parola alla professoressa Calafà per lo svolgimento della sua relazione.
LAURA CALAFÀ, professoressa associata di diritto del lavoro e di diritto del lavoro dell'Unione europea presso l'Università degli studi di Verona. Grazie, presidente, per l'invito.
Per me è estremamente importante confrontarmi sulle tematiche attinenti all'impatto previdenziale delle questioni generali lavoristiche, tenendo presente che ho cercato di svolgere una relazione, di cui deposito il testo agli atti della Commissione, in modo tale da non creare duplicazioni rispetto a quanto avete già sentito nel corso di questa indagine, ma, soprattutto, dando per scontata tutta la questione relativa ai dati. Ci sono enti, quali l'ISTAT e l'INPS, che sono competenti, quindi io escluderò una verifica dei dati e li darò per scontati.
Ho svolto per almeno cinque anni il ruolo di referente nell'ambito del network EIGE (European Institute for Gender Equality), quindi ho partecipato per l'Italia alla redazione dei report nazionali dai quali emerge per il nostro Paese, pure ricco di verifiche di carattere settoriale, la mancanza di una verifica di matrice politica e istituzionale. Questo è importante ricordarlo Pag. 19soprattutto perché l'Italia è stato uno dei primi Paesi a dotarsi si un dipartimento ad hoc per le mainstreaming di genere, cioè per la verifica dell'impatto di genere della normativa.
Prima di venire qui ho fatto una ricognizione di tutti gli atti, anche se non c'era bisogno che la rifacessi, e posso dirvi che nessuna verifica dell'impatto di genere accompagna mai gli atti parlamentari di qualsiasi origine, in particolare quelli di matrice governativa. Questo è assolutamente desolante.
Vorrei partire dalle linee di sviluppo e anche dalla grande innovazione che l'Italia ha introdotto nel corso del tempo, per ricordare esattamente che, pur essendo in corso verifiche sperimentali, il gender mainstreaming tecnicamente non viene applicato nel procedimento di adozione degli atti legislativi, quindi nel governo politico-parlamentare degli atti. Inoltre, scontati gli obiettivi condivisi dell'indagine, veramente fondamentale oggi, voi state facendo il punto istituzionale di una vecchia questione, che nessuno riesce più, dal punto di vista sistematico, a fare. Questo, dal mio punto di vista di studiosa, è quasi avvilente ed è avvilente doverlo scrivere nei report internazionali. Nessuno per l'Italia risponde mai alle domande a livello nazionale.
Scontato questo primo passaggio, ho allegato alla mia relazione alcuni dati: per esempio, la sintesi di dieci anni di politiche di pari opportunità nel nostro Paese. Quindi non mi soffermerei su questi aspetti, per verificare invece se è possibile riprendere insieme il filo di un miglioramento istituzionale costante, che si è perso nel corso del tempo. Da questo punto di vista, la ricerca sul tema aiuta, tenendo in considerazione che rimane da costruire il metodo di valutazione dell'impatto di genere.
Passando molto velocemente alla questione applicata al settore previdenziale, vorrei precisare che alcuni obblighi di legge non risultano rispettati. Tenete in considerazione che è chiaro che il monitoraggio è fondamentale, però il monitoraggio, per essere attento alla dimensione di genere, deve evitare l'eventualità che ci siano discriminazioni, sia dirette che indirette, all'interno degli atti.
Faccio riferimento a questo dato perché avete parlato in più occasioni di «Opzione donna». Inoltre, va considerata la portata del tema. Agli occhi dell'Unione europea – che è anche un interlocutore scomodo sulle questioni previdenziali – l'obiezione fondamentale, che mi sembra di ricordare, è che non basta l'indagine di matrice quantitativa, cioè quante donne in quali anni e in quali condizioni accedono al pensionamento, ma, tra le condizioni da monitorare, sarebbe importante includere anche il quantum di pensione che queste lavoratrici riescono a ottenere, con o senza eventuali penalizzazioni.
Lo dico perché il monitoraggio dell'Unione europea è feroce. Inoltre, ogni volta che parliamo di impatto di genere, facciamo riferimento a misure neutre, che possono produrre un impatto diverso tra uomini e donne. Quando parliamo invece di regole espressamente dedicate a un genere, in particolare quello femminile, l'Unione europea non accetta mai deroghe. Quindi è giusto portare avanti le sperimentazioni, avendo riguardo, però, che non siano peggiorative per le donne.
Spero di non confondere il quadro delle vostre riflessioni. Mi sembra importante quanto ho detto, appunto perché meritevole è l'obiettivo, ma, attenzione, lo strumento non deve violare alcune regole particolari, che sono poi quelle che non ammettono deroghe specifiche.
Ricordiamo tutti il caso del 2008. È chiaro che lì abbiamo perso i fili della politica per migliorare le condizioni del lavoro femminile, però è altrettanto chiaro che oggi, nel 2016, non ci possiamo permettere di ripetere gli stessi errori senza prima effettuare le opportune verifiche. È quello che mi piacerebbe fare insieme a voi, in occasione dell'indagine. Facciamo attenzione perché non ci siano eventuali sorprese, che non sono state previste.
Tra le varie relazioni ho ascoltato quelle dei colleghi dei patronati con molta attenzione, perché hanno una capacità tecnica di approfondire le questioni che i Pag. 20giuristi, anche se attenti al diritto del lavoro, non hanno e l'applicazione pratica aiuta in questo. Inoltre, in questa fase, ho partecipato al famoso monitoraggio condotto dall'Unione europea e posso dirvi che la stessa Unione europea, che disciplina i tre pilastri previdenziali, sul primo pilastro solo oggi si è decisa ad introdurre una modifica alla direttiva del 1979, per via del terrore generale di incidere sulla disciplina, appunto perché si sa come comincia il percorso, ma non si sa in quali condizioni finisce.
Da questo punto di vista, nella verifica dei suggerimenti provenienti dall'Italia per la modifica della direttiva, vi do due indicazioni che mi sembrano importanti, appunto perché ho concorso a dare queste risposte.
A livello di Unione europea, occorre coordinare le normative, allineando i tre pilastri perché sono disciplinati da regole anche difformi, rafforzare il sistema di controllo e monitoraggio con i dati utili a verificare che non ci siano discriminazioni e, soprattutto, superare il sistema delle deroghe. Nel sistema delle deroghe rientrano le pensioni di reversibilità. Il tema è quello cui si è fatto riferimento esattamente qualche minuto fa.
Credo che quest'aspetto sia davvero importante. Avevamo un expertise molto forte e potente negli anni scorsi. Da questo punto di vista, tecnicamente e teoricamente il Dipartimento per le pari opportunità, che doveva accompagnare tutte queste riflessioni, si è completamente dissolto. Questo, secondo me, sarebbe un investimento importante, invece, per il nostro Paese.
In secondo luogo, ritengo occorra, in questa logica, migliorare, stravolgendo, per avere migliori risultati, anche la logica del pluralismo organizzativo che, a livello decentrato, governa la materia delle pari opportunità. A volte, si crea più confusione e si creano situazioni nelle quali nessuno è in grado di incidere in maniera significativa sulle scelte effettuate a livello politico.
Nelle conclusioni della mia relazione ho ricostruito due casi pilota, perché mi sembra che, a oggi, fossero meritevoli di attenzione soprattutto le regole del mercato del lavoro, stravolte dalla riforma introdotta dal decreto legislativo n. 81 del 2015. In merito, ho posto l'attenzione su due temi. Il primo riguarda il part-time, più volte evocato nell'ambito dell'indagine conoscitiva come elemento di criticità perché penalizzante e, in più, non volontario. Il secondo elemento, invece, che mi sono un po’ divertita negli ultimi giorni a esaminare, è il nuovo Statuto dei lavoratori autonomi.
Nel disegno di legge che introduce il nuovo Statuto dei lavoratori autonomi, deliberato dal Consiglio dei ministri il 28 gennaio scorso, c’è qualche problemino sospeso, appunto in materia previdenziale, che vale la pena quanto meno di ricordare.
Ho preparato una sorta di verifica, anche tecnica, dei vari passaggi per aiutare, se fosse possibile, la riflessione della Commissione, che va dalla verifica degli obiettivi fino alla verifica formale dei testi in vigore, perché è questo il metodo che l'Unione europea adotta nei nostri confronti, quindi è giusto riprodurlo a livello nazionale.
Da questo punto di vista, ho esteso la verifica anche alla reversibilità tra part-time e tempo pieno e ho allegato uno schema che dimostra che la possibilità di lavoro a tempo parziale, nell'attuale regolamentazione, dipende solo da un accordo tra il singolo e il datore di lavoro, appunto perché, a parte il caso della contrattazione collettiva, che continua ad essere prevista, la regola cardine è l'accordo individuale. Quindi, da questo punto di vista, la materia della trasformazione del contratto è governata da regole diverse da quelle del passato.
Soprattutto, vorrei segnalare alla Commissione un particolare. Il Governo non ha incentivato il part-time, ma non l'ha nemmeno disincentivato. Questo comporta una sorta di incertezza nelle nuove regolamentazioni, perché non sappiamo mai come approcciarci a un istituto così polifunzionale.Pag. 21
Inoltre, è stata introdotta la possibilità di trasformare il rapporto di lavoro a tempo pieno in un rapporto a tempo parziale in luogo del congedo parentale. Io ho preparato una tabella nella quale metto a confronto il congedo parentale a ore, che era quello che ci chiedeva l'Unione europea, con il congedo utilizzato con la finalità di trasformare il contratto.
Io non vorrei che, in attesa delle disposizioni di attuazione, su quella trasformazione pesasse un costo, che è tecnicamente un costo di genere, appunto perché non è chiaro né l'impatto retributivo né l'impatto previdenziale sulle persone che vi ricorrono. È certo che vi ricorreranno in tanti, e soprattutto in tante, perché l'accesso al part-time, che non verrà contrattato in quanto il datore di lavoro è tenuto a dare corso alla trasformazione, non ha più, per esempio, un meccanismo «preferenziale» nel pubblico impiego, quindi sarà particolarmente appetibile, almeno come al solito in prima battuta, per coloro che non riescono ad accedervi ma hanno doveri di cura, non solo di bambini, ma soprattutto di anziani, che sono senza scadenza – infatti i bambini prima o poi crescono. Questo è uno dei drammi più gravi.
Teniamo in considerazione che questo passaggio può essere misurato tecnicamente e che forse un patronato può aiutare anche a misurare il costo, differenziato tra pubblico e privato, della trasformazione del contratto stesso.
Per quanto riguarda il secondo esempio che ho fatto – sarò velocissima, presidente – vorrei fare solo una precisazione. Si interviene con lo Statuto dei lavoratori autonomi perché, con il decreto legislativo n. 81 del 2015, la soppressione delle collaborazioni a progetto ha comportato l'eliminazione anche delle sospensioni contrattuali collegate. Quindi, il legislatore è intervenuto, per esempio, adeguando la normativa in materia di congedo di paternità per i padri lavoratori autonomi. Certo, questo va bene. Tuttavia, da un altro punto di vista, abbiamo cancellato le disposizioni della vecchia riforma del mercato del lavoro che prevedevano una sospensione del contratto. Quindi, a oggi, finché lo Statuto non è in vigore – se lo sarà, spero con alcune modifiche – manca la previsione della sospensione contrattuale.
Ho ricostruito tutta questa questione in una tabella allegata alla relazione per fare una domanda finale: lo Statuto dei lavoratori autonomi, così come è stato deliberato dal Consiglio dei ministri la scorsa settimana, si basa su un'impostazione in virtù della quale l'accesso al trattamento di maternità, di paternità, di malattia e di infortunio si misura – classico approccio da «giuslavorista», forse della Bocconi – con la tipologia contrattuale, però la vecchia regolamentazione previdenziale, che non è stata abrogata, subordinava l'accesso alle prestazioni alla iscrizione alla gestione separata dell'INPS.
Stiamo parlando, quindi, della legge n. 335 del 1995. A oggi, abbiamo una normativa che, prima di entrare in vigore – e ce n’è bisogno perché non è più prevista la sospensione contrattuale –, è già in conflitto con le disposizioni in vigore e delle quali occorrerà verificare la vigenza.
PRESIDENTE. Grazie. Autorizzo la pubblicazione della documentazione depositata, in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 3). Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
MARIALUISA GNECCHI. Ho letto la relazione che ha depositato e la ringraziamo veramente molto perché è esaustiva, quindi ci sarà molto utile. Lascerei il tempo a mia disposizione, se non ci sono altre domande da parte dei colleghi, alla professoressa Calafà, perché mi sembra particolarmente interessante tutto quello che ci ha detto fino adesso.
PRESIDENTE. Prego, professoressa Calafà, può proseguire.
LAURA CALAFÀ, professoressa associata di diritto del lavoro e di diritto del Pag. 22lavoro dell'Unione europea presso l'Università degli studi di Verona. Grazie. Forse non sono riuscita, come volevo, a impostare una riflessione compiuta. Alcuni messaggi spot non hanno un senso, se non sono supportati dai dati. Credo che manchi, a questo punto, sentiti i patronati e viste anche le precedenti audizioni, una riflessione compiuta su un aspetto fondamentale rispetto alle questioni delle interruzioni dei percorsi lavorativi femminili.
Diamo per scontata tutti la differenza che c’è tra verifiche «a monte» e «a valle» e come l'una condiziona l'altra senza che ci sia una possibilità, a volte, di interrompere il circolo vizioso. Tuttavia, credo che le istituzioni debbano interrompere tale circolo vizioso. Manca una riflessione compiuta, dopo l'entrata in vigore della legge n. 183 del 2010, il cosiddetto «Collegato lavoro», sulla disabilità e sull'assistenza alla disabilità, anche perché sulle disposizioni che si stanno continuando a introdurre, con calma e con i dovuti tempi, interverrà la Corte costituzionale.
È per questo che io credo che la verifica preventiva sia sempre meglio della verifica sull'impatto sociale che, oltre che socialmente, è politicamente dilaniante.
La seconda questione che mi sembra fondamentale e che, credo, si possa esaminare riguarda l'indagine, che ho apprezzato moltissimo, che ha svolto l'Istat. Linda Laura Sabbadini ha fatto un lavoro compiuto sulle tipologie contrattuali storicamente continuo, perché duraturo nel tempo. Inoltre, abbiamo visto tutti quanto il voucher sia dilaniante in termini di impatto.
Credo che ci siano queste due urgenze, per cui, se la Commissione ritiene che sia importante, io allegherei alla relazione ulteriori due tabelle.
Certo, avrei bisogno di un po’ di tempo per farlo perché mi sembra importante non accennare solo al tema, ma approfondirlo.
Lo dico perché, oggi, credo che l'universo di destinazione del lavoro femminile sia rappresentato dai voucher, quindi ritengo di dover approfondire sia tutto quello che di non accessorio c’è in questa strana configurazione contrattuale sia la tutela della non autosufficienza. Inoltre, le questioni contributive si scontrano, come è stato appena detto, con quelle di lavoro in senso stretto.
Io farei, se siete d'accordo, questo approfondimento. Inoltre, se il Presidente me lo consente, farei un'integrazione della mia relazione scritta.
PRESIDENTE. Subito ?
LAURA CALAFÀ, professoressa associata di diritto del lavoro e di diritto del lavoro dell'Unione europea presso l'Università degli studi di Verona. No, se mi concede una settimana, vi potrò trasmettere tutto il materiale, se siete d'accordo. Credo siano approfondimenti fondamentali.
PRESIDENTE. Gli uffici mi dicono che si può fare, quindi le consentiamo questa possibilità.
LAURA CALAFÀ, professoressa associata di diritto del lavoro e di diritto del lavoro dell'Unione europea presso l'Università degli studi di Verona. Grazie.
PRESIDENTE. La ringrazio a nome della Commissione per il suo contributo alla nostra indagine.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 17.25.
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