Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 8 luglio 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    la legge della Provincia autonoma di Bolzano 20 settembre 2012, n. 15, recante «Istituzione del repertorio toponomastico provinciale e della consulta cartografica provinciale», avrebbe la finalità di redigere un repertorio dei toponimi dell'Alto Adige e regolare l'uso di questi ultimi nella cartografia ufficiale e nella denominazione delle aree e dei luoghi pubblici, nel «rispetto dell'articolo 8 comma 1 punto 2 dello Statuto di autonomia speciale per il Trentino-Alto Adige e per le finalità degli articoli 101 e 102 dello Statuto speciale»;
    l'articolo 8 dello Statuto del Trentino Alto Adige-Südtirol prevede che le province hanno la potestà di emanare norme legislative nella materia «toponomastica, fermo restando l'obbligo della bilinguità nel territorio della provincia di Bolzano». Questa previsione chiaramente impone che la toponomastica della provincia di Bolzano sia sempre e in ogni caso bilingue;
    disponendo in tal modo, lo Statuto ha operato in conformità all'articolo 117, primo comma, della Costituzione, secondo cui l'attività legislativa deve svolgersi nel rispetto degli obblighi internazionali. Infatti, la disposizione statutaria costituisce, sostanzialmente, espressione del principio codificato all'articolo 1, comma 2, lettera b), del cosiddetto Accordo di Parigi, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, che stabilisce, a sua volta, che «ai cittadini di lingua tedesca» sarà specialmente concesso «l'uso, su di una base di parità, della lingua tedesca e della lingua italiana nelle pubbliche amministrazioni, nei documenti ufficiali, come pure nella nomenclatura topografica bilingue»;
    conformemente a questi principi internazionali e costituzionali, l'articolo 101 dello Statuto precisa che «nella provincia di Bolzano le amministrazioni pubbliche devono usare, nei riguardi dei cittadini di lingua tedesca, anche la toponomastica tedesca, se la legge provinciale ne abbia accertata l'esistenza ed approvata la dizione», mentre l'articolo 102 prevede che anche le popolazioni ladine hanno diritto, tra l'altro, «al rispetto della toponomastica» nella propria lingua;
    queste previsioni significano, dunque, che la toponomastica italiana è imprescindibile e che la redazione bilingue della toponomastica su tutto il territorio altoatesino si attua prevedendo sempre anche una dizione tedesca e inoltre, nei casi dell'articolo 102, ladina;
    gli articoli 101 e 102, che dettano disposizioni specifiche in tema di toponomastica, vanno poi letti nella cornice generale dell'articolo 99 dello Statuto, secondo il quale: «Nella regione la lingua tedesca è parificata a quella italiana che è la lingua ufficiale dello Stato. La lingua italiana fa testo negli atti aventi carattere legislativo e nei casi nei quali dal presente statuto è prevista la redazione bilingue»;
    nessun atto pubblico, e, quindi, per quanto qui interessa, nessuna cartografia ufficiale e nessuna indicazione toponomastica, può, quindi, essere redatto soltanto in lingua tedesca o ladina. È sempre necessaria la redazione italiana, a cui quella bilingue o trilingue viene parificata;
    chiariti questi concetti, appare evidente l'illegittimità costituzionale della legge provinciale in questione;
    la legge provinciale n. 15 del 2012, che, tra l'altro, è stata approvata dai soli consiglieri del gruppo linguistico tedesco (il gruppo italiano è composto dai consiglieri del PdL - PD - Lega - Unitalia - Verdi), stabilisce che ogni toponimo è raccolto nelle versioni in lingua tedesca, italiana e ladina, in quanto in uso in ciascuna di tali lingue a livello di comunità comprensoriale, e approvato da un comitato composto da sei persone esperte in materia storica, geografica e cartografica, che viene nominato dalla giunta provinciale per la durata di una legislatura. Tre componenti, uno per ciascun gruppo linguistico, vengono designati dal consiglio provinciale, su proposta dei consiglieri dei rispettivi gruppi linguistici, e tre dalla giunta provinciale, su proposta degli assessori dei rispettivi gruppi linguistici; appare di tutta evidenza che tale comitato, data la composizione, sia a prevalenza di componenti di lingua tedesca;
    sempre secondo quanto previsto dalla legge provinciale, la proposta di inserimento dei toponimi è indirizzata al comitato dal consiglio della comunità comprensoriale territorialmente competente, tenuto conto delle denominazioni diffusamente utilizzate nelle rispettive lingue e del mantenimento invece della dizione originaria dei nomi storici;
    tale disposizione consente, pertanto, che in futuro alcuni toponimi possano essere solamente monolingui (come già, di fatto, predisposto dall'associazione provinciale privata a sovvenzione pubblica Alpenverein, che ha arbitrariamente sostituito tutti i cartelli di montagna riportando la sola lingua tedesca) e, in particolare, che quelli in lingua italiana, già previsti dalla legislazione statale in vigore, possano essere eliminati dalla toponomastica ufficiale sulla base del criterio (puramente empirico, peraltro neppure minimamente specificato) dell'uso a livello di comunità comprensoriale, prefigurando chiaramente la possibilità della deroga all'obbligo della bilinguità della toponomastica;
    ciò comporta come conseguenza che sia – non importa se solo potenzialmente e parzialmente – introdotta nel «territorio della provincia di Bolzano» (articolo 8 dello Statuto) una toponomastica ufficiale monolingue. Cioè, un tipo di toponomastica vietato dalle disposizioni internazionali e costituzionali sopra commentate;
    una simile ipotesi, chiaramente delineata nella legge provinciale, lede, perciò, il principio del «separatismo linguistico», che regge l'ordinamento statutario della provincia autonoma di Bolzano (si confronti la sentenza della Corte costituzionale n. 159 del 2009) e che comporta per l'appunto, nella materia in esame, la rigida bilinguità della toponomastica affermata dallo Statuto (come sottolineato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 188 del 1987, che ha ribadito l'inderogabilità del principio del bilinguismo nella provincia di Bolzano);
    le comunità comprensoriali sono enti di diritto pubblico (ai sensi dell'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 279, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino Alto Adige-Südtirol in materia di minime proprietà colturali, caccia e pesca, agricoltura e foreste»), istituite solo allo scopo di promuovere la valorizzazione e la tutela ambientale delle zone montane o parzialmente montane interessate, favorendo la partecipazione della popolazione allo sviluppo economico, sociale, culturale ed ecologico delle stesse;
    considerate le limitate funzioni e la struttura territoriale e demografica delle comunità comprensoriali, appare evidente l'estraneità istituzionale di questi enti alla materia della toponomastica. Questa, infatti, non attiene se non in via secondaria alla valorizzazione culturale dei luoghi; mentre, in primo luogo, attiene alla libertà di circolazione delle persone sul territorio nazionale (articoli 16 e 120, primo comma, della Costituzione);
    sulla base di queste motivazioni, il Consiglio dei ministri ha deliberato, in data 16 novembre 2012, l'impugnativa dinanzi alla Corte costituzionale della legge provinciale in questione, «in quanto contenente disposizioni in materia di toponomastica in contrasto con norme internazionali e, quindi, con l'articolo 117, primo comma, della Costituzione e con diversi articoli dello Statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige»; il ricorso per questione di legittimità costituzionale è stato depositato in cancelleria il 4 dicembre 2012; la prima udienza pubblica in merito è prevista l'8 ottobre 2013;
    l'atto costituisce un passaggio di straordinario valore istituzionale e politico, teso a circoscrivere l'autonomia legislativa della provincia di Bolzano in materia di toponomastica nella cornice dei limiti posti dal principio assoluto ed inderogabile del bilinguismo sancito dallo Statuto;
    in Alto Adige la popolazione tedesca è di gran lunga maggioritaria rispetto a quella italiana e la Suedtiroler volkspartei rappresenta il principale partito di raccolta dell'elettorato di lingua tedesca dell'Alto Adige;
    purtroppo, il tema della toponomastica in Alto Adige è stato troppo spesso strumentalizzato, diventando «oggetto» di controversia politica in quanto percepito come mezzo di lotta per l'autonomia e di cancellazione dello Stato italiano;
    il precedente accordo Fitto-Durnwalder si poneva l'obiettivo di una soluzione definitiva ed equilibrata del tema della cartellonistica, affidando ad una commissione, pariteticamente composta da rappresentanti statali e della provincia, l'individuazione delle ipotesi in cui i toponimi dovessero essere riportati nelle due lingue e quelle in cui – secondo la Svp – invece dovessero mantenere la sola lingua tedesca; una commissione che aveva già concluso i lavori e che aveva affidato ai due rappresentati politici, il Ministro e il presidente della provincia, la soluzione delle poche questioni ancora controverse;
    l'accordo prevedeva la rimozione, all'esito dei lavori, dei cartelli di montagna (apposti appunto dall’Alpenverein) non più conformi in quanto recanti solo la lingua tedesca, ma l'interruzione dell'attività del Governo Berlusconi ne ha impedito la conclusione;
    l'accordo era stato salutato come la soluzione equilibrata che avrebbe eliminato le forti contrapposizioni che animano le diverse formazioni politiche presenti nella provincia, per porre in essere un modello – quello della decisione comune – che avrebbe indicato una nuova via;
    rispetto al precedente accordo la legge ora rappresenta un'evidente forzatura politica, in quanto in modo unilaterale e senza alcun confronto con lo Stato individua i toponimi continuando un percorso che amplia i confini della lingua tedesca a scapito dell'italiano, in modo non conforme ai principi statutari, percorso che, peraltro, era già iniziato con la vicenda della segnaletica di montagna che, nella misura di oltre 1500 toponimi, era tutta posta in lingua tedesca;
    nei mesi scorsi la stampa ha pubblicato i termini di presunti accordi elettorali del Partito democratico con la Suedtiroler volkspartei in merito ad eventuali azioni relative al ricorso presso la Corte costituzionale sopra richiamato;
    qualsiasi «patto» relativo all'impugnativa di leggi provinciali che non tutelano il bilinguismo nella Provincia autonoma di Bolzano risulta essere non solo inaccettabile per la popolazione di lingua italiana dell'Alto Adige, ma anche assolutamente privo di ogni fondamento giuridico;
    il ritiro dell'impugnativa risulterebbe il suggello a violazioni di leggi dello Stato ed internazionali a fini politici e ad un percorso all'indietro che la provincia ha iniziato già con l'approvazione della legge e che il Governo ora confermerebbe, non contribuendo alla soluzione del problema ma, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, solo alla «vittoria» degli estremismi linguistici di matrice tedesca;
    a tutto ciò si aggiunge, comunque, il fatto che ogni eventuale «patto di coalizione elettorale» non può continuare a sussistere, alla luce del risultato elettorale e dell'attuale assetto di Governo e di maggioranza, e che le parole espresse dal Presidente del Consiglio dei ministri Letta nel corso delle dichiarazioni programmatiche e dal Ministro Delrio nelle audizioni circa «l'obiettivo di valorizzare il ruolo delle autonomie speciali» non hanno nulla a che vedere con un lasciapassare per la violazione di leggi costituzionali italiane;
    la stessa Suedtiroler volkspartei, come tutte le forze politiche, che, tra l'altro, si apprestano ad affrontare la sfida elettorale prevista in Trentino Alto Adige-Südtirol nell'autunno 2013, non dovrebbe mettere in evidenza problemi di natura etnica in un momento così delicato per il Paese, in cui l'unico obiettivo comune per il bene collettivo dovrebbe essere quello di rilanciare l'economia, anche in Alto Adige;
    tra l'altro, è in gioco un'esigenza di carattere naturale e pratica, quale è quella di consentire a chiunque l'identificazione dei luoghi con i nomi della lingua nazionale; anzi, sarebbe il caso di aggiungere la lingua internazionale per attrarre turismo, maggior fonte di sostentamento della provincia di Bolzano. Un'esigenza alla quale si aggiungono particolari attenzioni quando trattasi di toponimi militari o di interessi economici, burocratici, amministrativi e turistici;
    la polemica relativa alla soppressione della maggior parte della toponomastica italiana ha avuto grande rilievo anche sui media nazionali, provocando effetti anche sulle scelte dei turisti italiani che hanno abbandonato l'Alto Adige preferendo la vicina Austria, che accoglie i nostri connazionali con cartellonistica in lingua italiana e, dunque, in maniera adeguata e ospitale,

impegna il Governo

a proseguire con determinazione, nell'ambito delle proprie competenze e nel pieno rispetto dello Statuto di autonomia speciale per il Trentino Alto Adige-Südtirol, nel contrasto ad ogni iniziativa, anche normativa, non rispettosa del bilinguismo e delle peculiarità di una provincia plurilingue, dando seguito al ricorso davanti alla Corte costituzionale esposto in premessa, partendo dal presupposto di imprescindibilità della presenza della toponomastica italiana, e ad assumere ogni iniziativa utile ad assicurare la tutela del bilinguismo prevista dall'articolo 8 dello Statuto di autonomia.
(1-00140) «Baldelli».

Risoluzioni in Commissione:


   La III Commissione,
   premesso che:
    la risoluzione 1820 (2008) del Consiglio di sicurezza dell'ONU ha per la prima volta affermato che lo stupro e le altre forme di violenza sessuale costituiscono un crimine di guerra, un crimine contro l'umanità ovvero un atto che può prefigurare un genocidio, sviluppando le previsioni dello statuto di Roma della Corte penale internazionale (1998) e le indicazioni della risoluzione 1325 (2000) su «Donne, pace e sicurezza»;
    il rapporto 2012 del gruppo di esperti delle Nazioni Unite su Rule of Law/Sexual Violence in Conflict individua 8 Paesi si in cui la situazione, dal punto di vista della violenza sessuale nei conflitti, è particolarmente grave. Questi sono: Bosnia-Erzegovina, Repubblica Centrafricana, Colombia, Costa d'Avorio, Repubblica Democratica del Congo, Liberia, Sudan (Darfur) e Sud Sudan;
    il 24 giugno 2013 il Consiglio di sicurezza dell'ONU ha adottato all'unanimità la risoluzione 2106 che prende atto del Rapporto presentato dal Segretario generale il 12 marzo 2013, lamentando la lenta implementazione della risoluzione 1960 (2010) relativamente ad importanti aspetti della prevenzione della violenza sessuale nei conflitti armati e nelle situazioni post-conflitto;
    l'11 aprile 2013 i Ministri degli esteri dei Paesi del G8 hanno formulato una dichiarazione sulla prevenzione della violenza sessuale nei conflitti, assicurando la disponibilità di un fondo pari a 27,5 milioni di euro;
    le prime vittime di violenza sessuale durante i conflitti armati sono le donne e le bambine, che vengono sottoposte a violenza per scopi intimidatori, punitivi e di pulizia etnica. Secondo il fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNPF), nel 2008 nella Repubblica democratica del Congo ci sono stati 16.000 casi di violenza sessuale e, nel 65 per cento dei casi, questi hanno riguardato bambine e ragazze adolescenti;
    come osservato recentemente anche da Save the Children, le bambine e i bambini sono spesso vittime di violenza sessuale durante i conflitti armati. Secondo la organizzazione non governativa nella crisi post-elettorale che si è aperta in Costa d'Avorio nel 2010, il 51,7 per cento delle vittime di violenza sessuale erano bambini, in più della metà dei casi al di sotto dei 15 anni di età;
    anche i bambini maschi e i ragazzi sono frequentemente vittime di violenza sessuale nei conflitti, nonostante il fenomeno sia meno studiato. Tuttavia, si stima che tra il 4 e il 10 per cento dei sopravvissuti a violenza sessuale che chiedono aiuto psicologico in Repubblica democratica del Congo siano uomini. Numerose evidenze di stupri maschili sono emerse anche nei conflitti in Afghanistan e in Siria;
    alcuni gruppi di bambini (maschi e femmine), come quelli disabili, gli orfani, i bambini di strada, i bambini soldato, i bambini migranti non accompagnati, quelli che si trovano a vivere nei campi per rifugiati ed altre categorie particolarmente fragili sono più facilmente vittime di violenza sessuale;
    come affermato dalla rappresentante speciale del segretario generale dell'ONU per la violenza sessuale nei conflitti, Zainab Hawa Bangura in occasione della presentazione del rapporto 2012 sulla violenza sessuale nei conflitti armati a cura del team di esperti delle Nazioni Unite, la violenza sessuale nei conflitti è un'arma letale come un proiettile e distruttiva come una bomba;
    nella guida delle Nazioni Unite «Addressing Conflict-Related Sexual Violence» destinata ai peace-keeper si afferma che la violenza sessuale sfida il concetto convenzionale di minaccia alla sicurezza. Essa, infatti, è spesso invisibile: la comunità non percepisce lo stupro allo stesso modo, per esempio, delle ferite causate dalle mine antiuomo. Lo stupro è dunque meno caro dei proiettili e non richiede alcuna arma specifica, è lowcost, ma di forte impatto. Inoltre è spesso resistente ai processi di disarmo e cessate il fuoco;
    nella stessa guida si nota come laddove lo stupro è stato utilizzato come arma di guerra, esso può divenire un abitudine che permane nel contesto post-conflitto. Donne e bambini divengono dunque comodi obiettivi su cui scaricare la frustrazione in una società frammentata e brutalizzata in cui, spesso, i signori della guerra mandatari degli stupri di massa si trovano seduti al tavolo dei negoziati piuttosto che in una prigione;
    la comunità internazionale deve sentirsi responsabile della punizione dei colpevoli dei crimini di violenza sessuale che non possono essere amnistiati così come della riparazione nei confronti delle vittime, facendo sì che di tali aspetti si tenga conto nei processi di risoluzione dei conflitti e nelle fasi seguenti di pacificazione e di riconciliazione;
    il rappresentante speciale del segretario generale dell'ONU per la violenza sessuale nei conflitti, Zainab Hawa Bangura, ha effettuato nel mese di maggio 2013 una visita in Somalia, durante la quale ha accolto con soddisfazione l'impegno del Governo somalo ad impegnarsi per affrontare il problema della violenza sessuale nei conflitti in modo comprensivo ed in via prioritaria;
    il Congresso nazionale generale libico sta per esaminare un disegno di legge per risarcire ed assistere le donne stuprate e violentate durante il conflitto del 2011, nonché le vittime degli abusi perpetrati in maniera sistematica durante gli anni del precedente regime;
    in un'ottica di pacificazione sociale e ricostruzione – o costruzione – di società e Stati democratici, il riconoscimento delle vittime e delle loro ferite è fondamentale. A questo scopo la giustizia transazionale – che mette insieme strumenti giudiziali e misure stra-giudiziali al fine di costruire percorsi collettivi e riconosciuti per riparare alle conseguenze di violazioni dei diritti umani su larga scala – si è rivelata spesso uno strumento molto utile,

impegna il Governo:

   a promuovere in sede internazionale la più ampia sensibilizzazione al contrasto della violenza sessuale nelle situazioni di conflitto e di post-conflitto, con particolare riferimento alla punizione dei colpevoli, al risarcimento delle vittime ed al riconoscimento delle esigenze specifiche dei bambini e delle bambine che sono stati vittime di violenza sessuale;
   a sostenere l'iniziativa delle Nazioni Unite Action Against Sexual Violence in Conflict ed a tenerne presenti le indicazioni nei propri orientamenti di politica estera;
   a contribuire al piano concordato in seno al G8 per la prevenzione della violenza sessuale nei conflitti;
   ad assistere i Paesi interessati, anche attraverso opportuni programmi di cooperazione, affinché sia resa giustizia alle donne vittime di violenze sessuali nei conflitti, e ad appoggiare, laddove possa risultare utile, il ricorso al metodo della giustizia transizionale.
(7-00061) «Bergamini, Carfagna, Centemero, Locatelli, Amendola, Cirielli, Scotto, Manciulli, Mogherini, Faenzi, Saltamartini».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    nel periodo marzo, aprile, maggio la pioggia caduta è stata pari a quella che solitamente si registra in un anno. In particolare, dal 1° marzo al 31 maggio (92 giorni), si sono registrati sulla pianura lombarda, a seconda delle aree, da 42 a 51 giorni di pioggia: le precipitazioni totali sono variate dai 380-400 millimetri della Lomellina ai 600-620 millimetri dell'alta pianura occidentale (oltre il doppio delle medie recenti);
    le continue precipitazioni stanno mettendo in ginocchio l'agricoltura di tutto il nord Italia, e in particolare della Lombardia, già colpita dalla siccità dell'estate 2012, con danni già stimati dalle associazioni di categoria nell'ordine di centinaia di milioni di euro;
    il perdurare dei fenomeni piovosi ha impedito il normale svolgersi delle operazioni colturali e inoltre ha provocato danni sulle colture in essere, con particolare riferimento a: barbabietola, mais, frumento, orzo, triticale, pomodoro, patata, colture foraggere, alpeggi, colture orticole, frutteti e vigneti, riso e apicoltura;
    si temono perdite generalizzate sui raccolti, già quantificate da alcune province con stime dei danni previste in media dal 30 al 50 per cento, che avranno gravi ripercussioni anche sul comparto zootecnico, agro meccanico e dei contoterzisti;
    la situazione è grave in tutta la Lombardia e in tutti i comparti con il risultato di preoccupanti cali di produzione –40 per cento per il mais, –50 per cento per il biologico, 44 per cento in meno nella vitivinicoltura, tanto per citarne alcuni;
    oltre al versante produttivo, si sono verificati danni anche alle strutture e alle infrastrutture agricole (con particolare riferimento a quelle afferenti ai consorzi di bonifica);
    la Regione Lombardia ha avviato l’iter istituzionale per il riconoscimento, da parte del Governo, dello stato di crisi e dello stato di calamità per tutto il territorio regionale, allo scopo di ottenere, oltre ai benefici economici previsti dalla legge, anche una serie di misure agevolative in materia previdenziale, facendo slittare i contributi per la manodopera spalmandoli sui prossimi anni, in materia fiscale e creditizia, che andranno a valere sul pagamento di mutui e tributi vari, nonché per il mantenimento del diritto a percepire gli aiuti dell'Unione europea;
    la dichiarazione dello stato di eccezionale avversità atmosferica consente, infatti, alla Regione di attivare anche le procedure derogatorie previste dal regolamento (Ce) n. 73 del 2009, relativo agli aiuti diretti della politica agricola comune;
    per venire incontro alle necessità del comparto la Regione Lombardia anticiperà anche quest'anno la Pac, portandola dal 50 al 70 per cento per tutti ed elevando la quota al 90 per cento per quelle aziende agricole colpite dal terremoto;
    risulta indispensabile prestare la massima attenzione a un settore di primaria importanza che, come evidenziato dal rapporto congiunturale del settore agricolo lombardo del primo trimestre 2013, continua a perdere redditività,

impegna il Governo

a predisporre urgentemente il decreto che riconosca la pubblica calamità, nonché il relativo impegno a finanziare adeguatamente gli interventi utili a sostegno degli agricoltori lombardi.
(7-00062) «Caon, Guidesi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   BOLOGNESI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la recente notizia che nell'ufficio di Paolo Borsellino, dopo la sua morte, i cassetti sono stati trovati vuoti «come se qualcuno vi avesse messo mano» è un ulteriore dato che pone interrogativi sull'esistenza e l'azione di strutturali deviazioni che hanno avvelenato la nostra democrazia;
   da diverse fonti storiche e giudiziarie oggi si sa che all'interno del nostro paese – sin dagli anni Sessanta – hanno operato le cosiddette «strutture antinsorgenza», che hanno sistematicamente fatto ricorso alla violenza ed alle tecniche della «guerra psicologica», servendosi di organizzazioni eversive e mafiose per assicurare il mantenimento di un determinato assetto politico;
   l'evoluzione delle tecniche di digitalizzazione consente oggi di cogliere, disseminate negli atti di vari processi, le tracce di alcuni servitori dello Stato che in passato occultarono e manipolarono prove;
   il 24 ottobre del 1990 il Presidente del Consiglio dell'epoca, Giulio Andreotti, in una comunicazione alla Commissione parlamentare sulle stragi, ammise l'esistenza di Gladio – definendola un'associazione costituita ai soli fini di difesa dei confini orientali – e il 27 novembre 1990 ne proclamò lo scioglimento, occultando l'impiego che era stato fatto di alcune sue articolazioni a soli fini di condizionamento della politica interna dell'Italia;
   nulla venne detto, a quanto risulta, dall'allora Presidente del Consiglio sull'attività di riciclaggio di capitali mafiosi e di esportazione all'estero di capitali sottratti al fisco, che Michele Sindona sistematicamente gestiva, né del finanziamento da parte sua di attività eversive da tempo emerso nell'inchiesta giudiziaria sulla Rosa dei Venti;
   nella gestione di quegli stessi interessi, per quanto risulta all'interrogante, Licio Gelli, nulla ha mai riferito circa i finanziamenti per milioni di dollari erogati a uomini di Gladio tra luglio e settembre del 1980, annotati in alcuni appunti recentemente rintracciati tra gli atti del processo relativo al fallimento del Banco Ambrosiano; così come tentò di dissimulare i riferimenti che in essi venivano fatti alla città di Bologna, al generale Aloia (il fondatore di Gladio) a Federico Umberto D'Amato ed al senatore Mario Tedeschi (recentemente identificato come suo stretto collaboratore in un «comitato» segreto «ristrettissimo» creato nel 1965 anche dal colonnello Renzo Rocca); riferimenti il cui esatto significato è possibile cogliere solo a seguito della lettura comparata di documenti sequestrati in circostanze diverse;
   successivamente è emersa notizia di rapporti con Gladio di Vito Ciancimino, attualmente oggetto del processo palermitano sulla trattativa Stato-Mafia, così come, ai tempi del processo relativo all'omicidio del presidente della regione siciliana Piersanti Mattarella; rapporti con un organismo segreto furono più volte affermati da Alberto Volo (l'autore confesso della lettera anonima che già alla fine dell'agosto 1980 indicò come coinvolto nella strage di Bologna Francesco Mangiameli, la persona di cui furono ospiti Valerio Fioravanti e Francesca Mambro nei giorni appena precedenti la strage);
   nel corso del recente processo per la strage di Brescia, alcuni alti ufficiali hanno poi rivelato i rapporti tra Gladio ed Ordine Nuovo, e sono risultati confermati i rapporti di Valerio Fioravanti con gli ordinovisti veneti. E tutte le sentenze in materia di stragi pronunziate negli anni Duemila, anche quelle assolutorie, indicano, sia pur genericamente, proprio negli ordinovisti veneti i responsabili della organizzazione di tutte le stragi degli anni Settanta, con il costante coinvolgimento dei servizi segreti che ebbero la responsabilità nella gestione di quelle strutture;
   nonostante i numerosi riferimenti a Gladio emersi nel corso degli anni, nessuna informazione a suo tempo sembra essere stata data ai giudici del processo relativo alla strage di Bologna: ma anche se allora non se ne avvertì da parte dei singoli inquirenti la rilevanza, il coinvolgimento di Gladio ad avviso dell'interrogante non poteva essere ignoto a chi era preposto alla sicurezza dello Stato ed al coordinamento degli organi di investigazione;
   dalle indagini svolte dai pubblici ministeri bresciani sono stati acquisiti documenti da cui risulta che ad un settore di questa struttura, verosimilmente evolutasi nel corso del tempo nel cosiddetto «Anello», apparteneva anche Federico Umberto D'Amato che, benché allontanato nel 1974 dall'ufficio affari riservati del Ministero dell'interno, continuò a gestire ancora nel 1980 i rapporti con le cosiddette «strutture antinsorgenza»;
   dal discorso di Andreotti del 1990 in poi non risulta sia stata più pronunciata alcuna parola chiarificatrice con riferimento alla operatività di queste strutture a fini di condizionamento della politica interna e – tuttavia – nel corso di numerose inchieste giudiziarie è stato raccolto materiale contrastante con quella affermazione di Andreotti –:
   se il Governo sia in grado di fornire dati certi sull'operatività delle «strutture» citate in premessa negli Settanta, Ottanta e Novanta, sulla attualità di eventuali loro propaggini, sulla totale chiusura di qualsiasi struttura clandestina, operazione, incarico, direttiva che in qualche modo possa intendersi come continuità di applicazione delle tecniche della guerra psicologica o di altre più moderne forme che ne rappresentino l'evoluzione;
   se coloro che ne fecero parte non ricoprano attualmente alcuna funzione di pubblico rilievo e non beneficino di alcun compenso per l'opera illegalmente svolta, nonché se vi siano state eventuali conseguenze sul piano della responsabilità disciplinare, amministrativa e contabile per quanto ad essi in passato sia stato erogato o per i benefici di cui illegittimamente abbiano goduto. (3-00188)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   dopo anni caratterizzati da un trend positivo, le idoneità all'adozione internazionale dichiarate dai tribunali per i minorenni sono drasticamente diminuite: da 6.273 nel 2006 a 3.179 nel 2011;
   di questa «crisi delle adozioni» ha preso atto anche la Commissione bicamerale per l'infanzia e l'adolescenza che, nel documento del 22 gennaio 2013, conclusivo dell'indagine conoscitiva condotta in materia di affidamento e adozione al termine della precedente legislatura, ha raccolto le testimonianze delle associazioni e lanciato proposte per una riforma della legge in materia;
   parallelamente soffre anche il settore degli affidamenti eterofamiliari, che rappresenta comunque un indispensabile supporto sociale per la gestione dello specifico disagio minorile;
   in particolare, soprattutto in Sardegna (secondo quanto riportato da organi di stampa locali) diminuiscono notevolmente coloro che decidono di allargare la famiglia, presentando richiesta di adozione internazionale;
   più in dettaglio, nell'Isola sarebbe calato del 50 per cento il numero di coppie interessate all'adozione di un bambino, al punto da conquistare il primato negativo in Italia: nel 2012 sarebbero state solo 32 le famiglie dichiarate idonee in Sardegna (l'1,3 per cento del totale italiano) e soltanto 47 i bimbi inseriti stabilmente in un nucleo familiare, sul totale dei 3.106 adottati in tutta Italia;
   a lanciare l'allarme sono il presidente nazionale dell'Ai.Bi (Associazione amici dei bambini) Marco Griffini e il responsabile regionale Alessandro Cuboni. I costi dell'adozione internazionale e la crisi economica in corso non costituirebbero l'unica ragione del calo delle adozioni: si sarebbe creata, infatti, una cultura distorta, che non considera preziosa la risorsa delle coppie disponibili ad accogliere un bambino abbandonato e rimane pertanto indifferente dinanzi alla esagerata complessità delle attuali procedure burocratiche, incomprensibilmente lunghe e scoraggianti;
   lo stesso comune di Cagliari, che ospita 85 minori cagliaritani nelle comunità di accoglienza cittadine, con un costo annuo di circa due milioni di euro, per sensibilizzare i cittadini all'adozione, intenderebbe portare avanti un percorso verso un protocollo di intesa che metterebbe in rete tra loro le istituzioni e gli enti autorizzati all'adozione internazionale –:
   se non ritenga opportuno avviare un percorso di rinnovamento e semplificazione del sistema organizzativo e normativo che disciplina e sottende le dinamiche connesse all'adozione di minori, attraverso la valorizzazione delle potenzialità delle famiglie disponibili all'adozione, l'uniformazione degli iter di idoneità a livello nazionale, nonché la previsione della gratuità dei percorsi di idoneità e delle procedure adottive per le famiglie meno abbienti;
   se non ritenga opportuno attivare una campagna nazionale di comunicazione per sensibilizzare alla cultura dell'adozione e dell'affido eterofamiliare, contribuendo alla crescita di sentimenti di solidarietà sociale e giuridica nei confronti delle famiglie che desiderano intraprendere tale percorso di disponibilità. (4-01176)


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro degli affari esteri, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   la Repubblica di Slovenia e la Repubblica di Croazia sono comproprietarie della centrale nucleare di Krško distante circa 130 chilometri dal territorio italiano;
   l'ubicazione di questo impianto pone il nostro territorio «sottovento» perché in quelle zone nasce la bora che dal mare raggiunge la pianura del Friuli Venezia Giulia, ricca di allevamenti, coltivazioni e pregiati vigneti DOC e DOCG;
   da anni gli ambientalisti locali denunciano il pericolo costituito da questo vecchio impianto da 690 megawatt, costruito in una zona sismica certificata, che in più occasioni è stato al centro di sospette fuoriuscite di materiale radioattivo come quella registrata nel 2008;
   la Repubblica di Slovenia intende, come previsto dal piano energetico del 2011, costruire nella stessa zona una nuova centrale da 1.600 megawatt (Krško 2);
   la società Gen Energija incaricata dei lavori e della gestione del nuovo impianto, ha commissionato uno studio all'Istituto francese sulla sicurezza nucleare (IRSN) sul rischio sismico e sull'eventuale fattibilità dell'impianto, finora mai pubblicato;
   secondo alcune fonti, l'indagine dell'IRSN era giunta a conclusioni negative per l'elevata sismicità dell'area, bocciando la costruzione del reattore Krško 2;
   il 22 maggio 2013 il Ministero sloveno delle infrastrutture, dopo numerose sollecitazioni delle associazioni ambientaliste WWF e Legambiente, oltre alla pressione internazionale rappresentata dalla presentazione alla Camera dell'interrogazione n. 4-00417 dell'interrogante, ha pubblicato online i risultati dello studio;
   WWF e Legambiente hanno segnalato la documentazione all'Istituto nazionale di oceanografia e geofisica, al servizio geologico e alla protezione civile della Regione Friuli Venezia Giulia, chiedendone un'analisi da divulgare poi al pubblico –:
   se il Governo intenda verificare, insieme agli enti competenti, lo studio francese sul rischio sismico e sulla fattibilità dell'impianto di Krško 2, al fine di attivarsi per ottenere risposte certe ed immediate da parte dei Governi sloveno e croato in merito allo status della centrale esistente e all'eventuale realizzazione del nuovo impianto. (4-01177)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   LIBRANDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sussiste nell'ordinamento italiano una concreta difficoltà di definizione del concetto di «imballaggio», in particolare con riferimento al quadro normativo comunitario;
   il legislatore nazionale, infatti, nel recepire (con l'articolo 218 del decreto legislativo n. 152 del 2006) la definizione europea di «imballaggio» (prevista dall'articolo 3 della direttiva 94/62/Ce e successive modificazioni ed integrazioni) vi ha apportato una cruciale modificazione, estendendo indefinitamente la portata applicativa della regolazione comunitaria, allorché alle tre tipologie di imballaggio di cui alla direttiva (imballaggio per la vendita o primario, imballaggio multiplo o secondario e imballaggio per il trasporto o terziario terziario) ha aggiunto come quarta tipologia quella che nel testo europeo è in realtà la definizione generale e preliminare di imballaggio, da cui discendevano e si declinavano le tre ipotesi specifiche e tassative;
   il legislatore nazionale, infatti, rendendo autonoma ed a sé stante la definizione generale di imballaggio di cui alla Direttiva («il prodotto, composto di materiali di qualsiasi natura, adibito a contenere determinate merci, dalle materie prime ai prodotti finiti, a proteggerle, a consentire la loro manipolazione e la loro consegna dal produttore al consumatore o all'utilizzatore, ad assicurare la loro presentazione, nonché gli articoli a perdere usati allo stesso scopo»), ha finito per ampliare il campo di applicazione della disciplina, ben oltre la ratio della direttiva stessa;
   per quanto sopra esposto, ad una definizione «funzionale» dell'imballaggio, quale si ricava dalle tre tipologie della direttiva, è stata aggiunta una definizione «prognostica», secondo la quale qualunque manufatto concepito o idoneo a contenere e trasportare merci sarebbe comunque un imballaggio, per sua natura intrinseca;
   sono chiari gli effetti negativi, in termini di incertezza normativa, che ciò genera sui settori produttivi maggiormente interessati dalla disciplina sugli imballaggi;
   la tassatività e non mera esemplificatività dell'elencazione comunitaria pare in realtà confermata dalla Corte di giustizia Unione europea nella causa C-341/01 del 29 aprile 2004 al punto 50: «D'altro canto, il prodotto deve ricadere in una delle tre categorie di imballaggi elencati e definite dall'articolo 3, punto 1, secondo capoverso, lett. a)c), della direttiva 94/62, vale a dire l'imballaggio per la vendita, l'imballaggio multiplo e l'imballaggio per il trasporto. Alla lettera c) di tale disposizione, l'imballaggio per il trasporto è definito quale imballaggio concepito in modo da facilitare la manipolazione e il trasporto di un certo numero di unità di vendita per evitare la loro manipolazione fisica e i danni connessi al trasporto»;
   partendo dal diritto comunitario, appare evidente che il legislatore europeo ha definito l'imballaggio in relazione ai contenitori che accompagnano le merci nella fase di commercializzazione e non quelli utilizzati quali beni strumentali nella fase di produzione e commercializzazione; ciò è tanto più vero se si osserva che, il 7 febbraio 2013 è stata pubblicata la direttiva 2013/2/UE della Commissione europea (recante modifica dell'allegato I della citata direttiva 94/62/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio) la quale specifica che i medesimi manufatti sono considerati imballaggi o meno a seconda dell'utilizzo in concreto che ne viene fatto e non secondo un «giudizio prognostico» avulso dalla realtà, tanto che nell'allegato della nuova direttiva è riportato un elenco illustrativo di articoli considerati o non considerati imballaggi secondo i tre criteri funzionali sopra richiamati (imballaggio per la vendita, imballaggio multiplo e imballaggio per il trasporto);
   la suddetta direttiva 2013/2/Ue è stata emanata per finalità esplicitamente interpretative, come enuncia il 2° considerando della stessa: «Ai fini della certezza del diritto e di un'interpretazione armonizzata della definizione di «imballaggio», occorre rivedere e modificare l'elenco di esempi illustrativi in modo da chiarire ulteriori casi in cui la distinzione tra ciò che è da considerarsi imballaggio e ciò che non lo è rimane imprecisa. La revisione risponde all'auspicio degli Stati membri e degli operatori economici di rafforzare l'applicazione della direttiva e di creare condizioni di parità sul mercato interno» –:
   se la definizione di «imballaggio», contenuta nell'articolo 218 nel decreto legislativo n. 152 del 2006 sia conforme al dettato dell'articolo 3 della direttiva 94/62/Ce o se si tratti di una interpretazione eccessiva tale da stravolgere la ratio della disciplina comunitaria, anche alla luce dell'emanazione della recente direttiva 2013/2/Ue, creando un preoccupante clima di incertezza normativa per le imprese che operano in Italia;
   se non ritenga opportuno un intervento, anche di carattere normativo, teso a eliminare l'incertezza di cui sopra.
(3-00185)

Interrogazione a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   alcune compagnie petrolifere hanno chiesto e avviato i procedimenti per l'esecuzione delle trivellazioni al largo delle coste del Mar Ionio, di fronte a molti comuni calabresi, in particolare lungo la fascia che va da Amendolara, in provincia di Cosenza, ai comuni rivieraschi della provincia di Crotone, dove già da molto tempo si estrae idrocarburo liquido, comprese le relative procedure di valutazione impatto ambientale;
   molti comuni interessati hanno formalmente deliberato contro lo svolgimento dell'attività di trivellazione, anche in considerazione del rilevante impatto ambientale, dell'equilibrio marino che comprometterebbe in maniera irreversibile fattività ittica, già messa a dura prova dalle direttive europee e la vocazione turistica del territorio che verrebbe fortemente compromessa da una eventuale ulteriore attività estrattiva;
   nei territori prospicienti il mare, dove avvengono le trivellazioni, vi sono colture di particolare pregio che rappresentano il fiore all'occhiello dell'agroalimentare calabrese, dagli agrumeti e dalle clementine della piana di Sibari, ai vigneti del cirotano, per finire agli uliveti secolari che caratterizzano anche nel paesaggio tutta la costa, da cui si ricava olio di oliva di ottima qualità, certificato dall'Unione Europea, quale Dop;
   tra i comuni di Amendolara, Albidona e Trebisacce, si trova la «secca di Amendolara», già proposta quale patrimonio dell'UNESCO;
   in pieno centro abitato di Cirò Marina è stata rilevata una faglia che ha messo in gravi condizioni di stabilità diversi edifici, tra i quali l'immobile che ospita una scuola;
   la costa Jonica interessata alle trivellazioni è ricca di splendide bellezze naturali e ambientali e di numerosi siti di interesse storico, artistico e architettonico, quali il Castello di Roseto Capo Spulico, i siti archeologici di Sibari, Francavilla, Amendolara, e Broglio di Trebisacce, il Tempio di Apollo Aleo di Cirò Marina, il sito di Capo colonna e la Riserva Marina di Isola Capo Rizzuto;
    i comuni costieri hanno promosso iniziative turistiche ecosostenibili che sono nettamente in contrasto con le trivellazioni che si stanno effettuando nel mare in funzione dell'attività estrattiva degli idrocarburi;
   se all'attività di ricerca dovesse seguire quella estrattiva si corre il grave rischio di provocare implicazioni ambientali negative, la cui portata non è esattamente valutabile, ma che metterebbe seriamente a rischio la prospettiva di crescita economica, in particolare relativa all'economia agricola che è innovativa e di eccellenza, e turistica dell'intero territorio;
   la regione Calabria non ha finora messo in campo alcun provvedimento diretto a scongiurare tale pericolo –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di loro competenza, non intendano intervenire con la massima sollecitudine per evitare che nel Mar Jonio continuino ad effettuarsi ulteriori trivellazioni finalizzate alla ricerca di idrocarburi liquidi, in quanto incompatibili con la vocazione economica, agricola e turistica del territorio. (4-01182)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   OLIVERIO e MAGORNO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   le statue dei bronzi di Riace, scoperte il 16 agosto 1972 nel tratto di mar Jonio antistante il comune reggino di Riace Marina, sono parte inestimabile del patrimonio storico, artistico e culturale italiano;
   in questi anni la Regione Calabria ha negato il prestito delle statue a prestigiosi musei internazionali, interessati a far ammirare tali unici capolavori in tutto il mondo;
   da circa tre anni i bronzi di Riace si trovano chiusi in una sala di Palazzo Campanella, sede del consiglio regionale calabrese, in attesa che si concludano i lavori di restauro del museo della Magna Grecia, che avrebbe dovuto riaprire nel 2011 in occasione delle celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia;
   da un articolo apparso sul Corriere della Sera del 5 luglio 2013 si apprende che i costi del restauro di Palazzo Campanella – a causa dei ritardi – sono lievitati da 10 a 33 milioni di euro;
   inoltre, un ulteriore appalto di 5 milioni di euro, finanziato con i fondi europei, avrebbe dovuto concludersi lo scorso 6 giugno ma pare sia slittato al 15 luglio 2013 cosicché, stabilendo il bando 180 giorni dalla data di assegnazione a quella di consegna dei lavori, la previsione più realistica è che i Bronzi saranno di nuovo esposti al pubblico non prima della primavera del 2014;
   l'aspetto più preoccupante è la totale inerzia delle istituzioni regionali nel promuovere quel turismo culturale che potrebbe rappresentare un volano per lo sviluppo di un territorio che ne ha un disperato bisogno. Le cifre riportate nel sito del Ministero per i beni e le attività culturali hanno registrato una costante diminuzione di visitatori negli ultimi tre anni di apertura del museo (2007-2009), in particolare dai 61.805 visitatori paganti del 2007 ai 36.136 del 2009, addirittura un ventisettesimo dei visitatori che erano accorsi, circa trent'anni fa, ad ammirare i bronzi a Firenze;
   i bronzi di Riace, una delle più sensazionali scoperte archeologiche mondiali, sono da troppo tempo preclusi all'ammirazione dei turisti che si recano in Calabria, attratti dalle bellezze archeologiche e paesaggistiche, e il più grande museo dell'area magno-greca deve essere riaperto al più presto al pubblico per ritornare ad essere la giusta cornice della loro indimenticabile bellezza, oltre che un fiore all'occhiello per la città di Reggio Calabria e per l'intera regione –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per quanto di competenza affinché siano conclusi al più presto i lavori di restauro del museo della Magna Grecia e quali interventi urgenti intenda mettere in campo per far sì che i bronzi di Riace, una delle più sensazionali scoperte archeologiche mondiali, ritornino ad essere finalmente esposti in piedi al pubblico, anche in una provvisoria e adeguata sede, ciò anche in considerazione della necessità di rilanciare nel modo più adeguato possibile l'offerta turistica calabrese, vero potenziale volano per innescare le leve dello sviluppo e favorire una sana e buona occupazione per le giovani generazioni. (5-00548)

Interrogazione a risposta scritta:


   RIGONI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   sui principali organi di informazione della città di Roma si è data la notizia della comunicazione di sfratto per l'esercizio commerciale del «Caffè della pace», uno dei locali più caratteristici e famosi della città, la cui attuale gestione risalente al 1961, negli anni ’80 ottenne il riconoscimento di «Negozio d'epoca» da parte del comune di Roma. Recentemente, il 6 novembre 2012, il comune di Roma ha nuovamente insignito il locale con il titolo di Bottega storica di Roma;
   l'Associazione culturale locali storici d'Italia, operante sotto il patrocinio del Ministero per i beni e le attività culturali in data 31 novembre 2011, ha conferito al caffè della pace il riconoscimento di locale storico;
   sempre secondo le notizie di stampa, l'amministrazione del Pontificio Istituto Teutonico Santa Maria dell'Anima, proprietaria dell'immobile in cui è sito detto esercizio commerciale, ha inviato ai locatori, una notifica di sfratto poiché sarebbe intenzionata a trasformare l'intero edificio in albergo;
   la famiglia Serafini, locatori da ben 52 anni, ha sempre e puntualmente provveduto al pagamento del canone di affitto e si è subito resa disponibile ad adeguare l'importo del canone per il rinnovo del contratto;
   la cessazione di attività del «Caffè della Pace» comporterebbe non solo gravi problemi economici alla famiglia Serafini che gestisce il locale ma soprattutto ai circa 30 giovani dipendenti con ripercussioni economiche disastrose sulle loro famiglie, facendo inoltre perdere alla città di Roma un pezzo della sua identità, del suo tessuto urbano e del vissuto quotidiano di cittadini e turisti;
   l'amministrazione comunale si è già attivata per scongiurare una tale ipotesi e per facilitare un confronto con la proprietà per individuare le soluzioni, anche di tipo contrattuale per garantire la continuità di una realtà come il bar della pace;
   il tema della tutela e valorizzazione delle attività storiche e tradizionali e degli antichi mestieri assume, in un Paese come l'Italia, un significato profondo e una valenza strategica fondamentale, rappresentando una sorta di «monumenti viventi», espressione dell'identità collettiva, della nostra civiltà urbana, oltre che una risorsa chiave per lo sviluppo dell'occupazione, dell'economia, degli scambi, della cultura e del turismo nel nostro paese, offrendo occasioni d'impiego in attività qualificanti volte alla produzione di beni di alta gamma;
   nel nostro ordinamento, ancora non trova accoglienza un'organica disciplina che consenta una specifica tutela per i locali storici, anche se nella passata legislatura furono depositate diverse proposte di legge al riguardo, finalizzate alla tutela e alla valorizzazione delle botteghe, delle attività storiche e tradizionali e degli antichi mestieri italiani e per il loro riconoscimento come beni culturali –:
   se non ritenga ormai maturo il tempo per l'adozione di una specifica iniziativa normativa che disciplini tali realtà del nostro patrimonio culturale, urbano ed economico, scongiurando l'impoverimento delle nostre tradizioni e lo snaturamento dei nostri centri storici, in modo che, ad esempio, la città di Roma non venga privata di una testimonianza importante come il bar della pace per il suo tessuto urbano, civile e culturale, così come di altre attività commerciali e artigianali che stanno rischiando di sparire definitivamente. (4-01185)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   BASILIO. —Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il trattato di non proliferazione nucleare sancisce l'obbligo per l'Italia di non ospitare ordigni nucleari e per gli Stati nucleari, di non dispiegare tali armamenti al di fuori del proprio territorio, nello specifico l'articolo 1 recita: «Ciascuno degli Stati militarmente nucleari, che sia Parte del Trattato, si impegna a non trasferire a chicchessia armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi, ovvero il controllo su tali armi e congegni esplosivi, direttamente o indirettamente; si impegna inoltre a non assistere, né incoraggiare, né spingere in alcun modo uno Stato militarmente non nucleare a produrre o altrimenti procurarsi armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi, ovvero il controllo su tali armi o congegni esplosivi»;
   secondo quanto affermato dall'Istituto affari internazionali nel documento «Il dibattito sulle armi nucleari tattiche in Italia» nonostante l'esplicito impegno a «creare le condizioni per un mondo senza armi nucleari», il nuovo Concetto strategico della Nato adottato a Lisbona il 19 novembre 2010 ribadisce che «fintanto che ci sono armi nucleari nel mondo, la Nato rimarrà una Alleanza nucleare». Ultimo caso di dispiegamento avanzato (forward deployment), cinque paesi dell'Alleanza atlantica – Belgio, Germania, Italia, Olanda e Turchia – continuano ad ospitare armi nucleari tattiche (Ant) statunitensi all'interno dei propri confini. Il tipo di arma nucleare a disposizione della Nato attualmente ospitata sul territorio europeo è la bomba gravitazionale B-61, che è comunemente classificata come tattica. Attualmente sono in servizio le versioni B61-3, B61-4 e B61-10, costruite tra il 1979 e il 1989, con varie opzioni di potenza da 0.3 a 170 chilotoni. Le bombe possono essere trasportate dagli aerei statunitensi F-15E e F-16C/D e dagli aerei delle forze europee come gli F-16 belgi, olandesi, turchi e i Tornado italiani e tedeschi. Le bombe sono custodite sotto il controllo americano dagli US Munitions Support Squadrons (Munss);
   svariati organi di stampa parlano di atomiche americane presenti in Italia nelle basi di Aviano e Ghedi, di esercitazioni svoltesi nelle stesse per valutare la sicurezza delle armi nucleari e di addestramento specifico rivolto al personale militare per fronteggiare emergenze di carattere nucleare in caso di incidenti con queste stesse armi;
   i siti Internet ufficiali dell'Aeronautica militare statunitense affermano che nella base di Aviano esistono apparecchiature specifiche per il controllo e la manutenzione di questo genere di armamenti;
   come affermato dalla Corte internazionale di giustizia mantenere una minaccia nucleare nei confronti di altri Paesi è un illecito, per di più le armi nucleari in territorio italiano rappresentano un pericolo per la salute e la vita di chi vive nei pressi di una installazione nucleare militare;
   tra gli Accordi bilaterali USA-Italia, l’air technical Agreement (Accordo tecnico aereo Italia-Usa) del 30 giugno 1954 definisce i limiti delle attività operative, addestrative, logistiche e di supporto che i velivoli americani possono effettuare sul territorio italiano mentre il Bilateral Infrastructure Agreeement Accordo bilaterale italo-americano (BIA) sulle infrastrutture stipulato il 20 ottobre 1954 regola le modalità per l'utilizzo delle basi concesse in uso alle Forze USA sul territorio nazionale, generalmente conosciuto come «Accordo Ombrello», in conformità al BIA, sono stati approvati, nel corso degli anni, vari Memorandum d'intesa, tecnici e locali per regolamentare diversi aspetti connessi all'uso delle singole basi;
   tali accordi tecnici confermano che le basi militari utilizzate dagli Stati Uniti nel nostro Paese sono finora state soggette a una duplice forma di controllo operata dalle autorità militari statunitensi e italiane. I comandanti delle basi sono militari italiani ma essi non hanno poteri di controllo sostanziale sulle attività poste in essere dagli Stati Uniti, poiché si limitano a decidere in materia di numero dei voli, orari dei voli, responsabilità di assistenza al traffico aereo. Il controllo di carattere militare sul personale, l'equipaggiamento, i tipi di attività che vengono posti in essere dagli Stati Uniti ricadono nella competenza del comandante statunitense. Quanto al trattamento del personale delle basi, gli schemi di accordi tecnici rinviano alle disposizioni contenute nel Trattato di Londra;
   si segnala che tali due ultimi Agreement, come ha anche sottolineato il ministro Martino nel corso della comunicazione alle Commissioni Difesa di Camera e Senato del 21 gennaio 2003, hanno una elevata classifica di segretezza e non possono essere declassificati unilateralmente;
   la dottrina nettamente maggioritaria (Mortati, Cassese, Barbera, Barile) non ritiene compatibile con il sistema l'esistenza di Trattati segreti ritenendoli illegittimi. Alcuni autori (Fois) giungono addirittura a chiedersi se un Trattato segreto, in quanto tale, abbia effetti giuridicamente vincolanti. La tesi dominante, ossia quella dell'illegittimità dei Trattati segreti poggia sulla ricostruzione dei principi costituzionali in materia, su quella dei rapporti tra organi costituzionali (in particolare tra Governo, Presidenza della Repubblica e Camere) e normativamente fa fulcro sull'articolo 80 della Costituzione;
   secondo quanto affermato dal sottosegretario di Stato per gli affari esteri, pro tempore Scotti, la determinazione dell'Italia a sostenere il processo di disarmo nucleare è stata confermata anche nel Vertice di Lisbona, dove è stato approvato un nuovo concetto strategico della NATO, indirizzato verso un'ulteriore riduzione in Europa degli arsenali nucleari dell'Alleanza atlantica, la cui capacità di deterrenza dovrà dipendere sempre meno dal fattore nucleare –:
   se le informazioni riportate in premessa corrispondano al vero e quale siano le bombe nucleari stoccate nel nostro Paese e in quali siti si trovino;
   se corrisponda al vero che le bombe atomiche tattiche stoccate in Italia siano state recentemente ammodernate su disposizioni del Governo degli Stati Uniti per consentirne l'utilizzo anche a bordo degli F35;
   come il Governo reputi compatibile lo stoccaggio di armi nucleari in Italia con il trattato di non proliferazione nucleare sottoscritto dal nostro Paese:
   se in base al decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230 il Governo intenda mettere a conoscenza la popolazione sui rischi alla salute, sulla radioattività ambientale e sui piani di evacuazione dei civili in caso di emergenza nucleare, dato che i suddetti piani di evacuazione non risultano ad oggi conosciuti dalle autorità civili. (4-01188)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MICCOLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il Credito fondiario spa, in forma abbreviata Fonspa bank, con sede in Roma e di proprietà del gruppo Morgan Stanley, ha sviluppato la propria attività creditizia di «servicing» (dunque manutenzione ed assistenza) operando sia nel mercato dei mutui che nell'ambito di cessione di attività o beni di vari originator, in altre parole nella cosiddetta «cartolarizzazione»;
   Fonspa bank, in funzione di «servicer» nelle suddette operazioni di cartolarizzazione (legge n. 130 del 1999 e successive) gestisce il portafoglio di tali attività, preservandone il valore a tutela degli investitori. In tale veste Fonspa, oltre ad esercitare una funzione operativa, verifica la conformità delle operazioni alla legge, attuando, in altri termini, una «funzione di garanzia», la cui grande importanza è evidenziata dalla Banca d'Italia, alla quale, i servicer, tramite i propri organi, debbono inviare rapporti periodici sulle attività svolte, ai sensi della citata norma;
   il Credito italiano, già nel ’93 è stato il primo grande esempio di privatizzazione avvenuto in Italia, ovvero la dismissione di un'azienda pubblica, mentre la Comit (Banca commerciale italiana, ovvero BCI), successivamente, è stata una delle prime e più importanti fusioni tra banche italiane: nel 2001 infatti si lega a Banca Intesa;
   già nel 2000, però, Credit e Comit, dopo aver utilizzato Fonspa come «bad bank», decidono di vendere Fonspa a Morgan Stanley che la acquista tramite un proprio fondo;
   al tempo, la cartolarizzazione posseduta da Fonspa (circa 12.000 miliardi di crediti) è la più grande effettuata in Europa;
   nella cessione di Fonspa alla banca americana, Comit e Credit impegnano più di 40 miliardi di lire per la «riorganizzazione» e assumono 60 lavoratori, mentre alcuni vengono incentivati all'esodo, altri confluiscono obbligatoriamente nel fondo esuberi del settore da poco creato; Morgan Stanley inoltre vende la prestigiosa sede del Fonspa ad un fondo immobiliare a essa collegato che, a sua volta, rivende ad un fondo immobiliare di Pirelli (socio in affari della stessa Morgan Stanley). In questa operazione Morgan Stanley acquisisce 120 miliardi di lire. In seguito la sede verrà affittata alla Fonspa bank stessa, per la significativa cifra di più di 2 milioni di euro annui. In quest'operazione, tra il lascito di Comit e Credit e la vendita dell'immobile, la banca d'affari acquisisce 160 miliardi di lire, senza contare gli ingenti guadagni dovuti alla cartolarizzazione;
   nel 2006 Morgan Stanley assume totalmente e direttamente il controllo della banca tramite una società chiamata EPAL, posseduta al 100 per cento affiancando alle cartolarizzazioni le attività di erogazione di mutui per la casa;
   nel 2008 Morgan Stanley, con la crisi dei mutui subprime, abbandona il settore in tutto il contesto europeo e mette Fonspa in vendita;
   dopo quest'ultima operazione diversi imprenditori e/o banchieri si sono interessati all'acquisto senza mai arrivare a concludere l'operazione;
   nel 2012 Morgan Stanley ha visto riconosciuti dal Governo italiano, circa tre miliardi di euro a titolo di rimborso anticipato di operazione in derivati;
   attualmente Morgan Stanley ha pressoché svuotato la banca di ogni attività pregiudicando il futuro di quella che, prima del 2008, era una piccola ma estremamente ben funzionante realtà creditizia;
   al momento è in essere una trattativa di vendita alla società Tages Investment (SGR) nella quale l'attività creditizia verrebbe dismessa per svolgere solo attività di cartolarizzazioni;
   il menzionato acquirente non sembra in grado di veicolare alla Fonspa un volume di attività sufficienti a garantire l'occupazione, prevedendo, tra l'altro, una riduzione di personale, ingestibile con gli strumenti contrattuali a disposizione nel settore del credito;
   la citata cessione di Fonspa (da Morgan Stanley a Tages Investiment oggetto di valutazione da parte di Banca d'Italia), dalla quale potrebbero scaturire onerosi costi sociali, assieme alle dismissione delle attività creditizie attualmente in essere preoccupa molto le organizzazioni sindacali (Fabi, Fiba Cisl, Fisac Cgil, Sinfub, UGL: unitariamente), tanto da chiedere l'intervento della regione Lazio per la permanenza di una banca storica sul territorio a garanzia dello sviluppo creditizio della regione, ciò a tutela delle professionalità, in un settore altamente strategico come quello del credito, in una fase di riordino della finanza locale;
   ne consegue l'estrema difficoltà in cui versano i 150 lavoratori di Fonspa che da cinque anni vivono nell'insicurezza;
   in tale circostanza i lavoratori di Fonspa si troverebbero anche nelle condizioni di non poter usufruire dei consueti ammortizzatori per i dipendenti di settore, con seguente verosimile licenziamento collettivo;
   la possibile cessione, a causa delle sue caratteristiche, appare prodromica di ogni processo degenerativo dell'occupazione nel settore del credito, su tutto il territorio nazionale;
   nel tempo, il Credito fondiario nell'ambito del comparto agevolato ed assistito e quello del finanziamento di opere pubbliche, ha agevolato tante famiglie nell'acquisto della prima casa e diverse piccole e medie imprese per l'erogazione del credito, questo anche durante la perdurante fase di grande contrazione;
   è notorio che, soprattutto nell'ambito del credito le responsabilità/capacità nei guadagni, spesso, provengono dalle parti medie e medio basse della scala degli operatori (know-how, contatti, sensibilità e capacità personali, customer care, customer satisfaction), mentre nell'ambito della finanza (alta finanza) sia gli utili che le perdite dipendono esclusivamente dal vertice della piramide, spesso molto più economicamente tutelato della base;
   sarebbe opportuno garantire la correttezza dell'operazione, mantenendo quel ruolo di governo di processi che impegnano multinazionali sul territorio italiano: ciò mediante il coinvolgimento di tutti i protagonisti dell'operazione assieme alle associazioni di riferimento, (Morgan Stanley, Abi, organizzazioni sindacali), investendo soggetti istituzionali quali la regione Lazio e Roma Capitale, direttamente coinvolti da eventuali modifiche sul proprio territorio che riguardano assetti creditizi nonché l'impatto occupazionale –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo al fine di garantire un sistema più efficace per lo sviluppo economico del Paese ed a tutela dell'occupazione degli operatori del settore meno tutelati. (5-00550)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 7 settembre 2012 n. 155, recante «Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148», ha statuito, all'articolo 1, la soppressione dei tribunali ordinari, delle sezioni distaccate e delle procure della Repubblica, di cui alla tabella A allegata;
   tale previsione, che comporterà il taglio di 31 tribunali, 38 procure, 220 sedi distaccate e 674 uffici del giudice di pace, acquisterà efficacia dal dodicesimo mese a far tempo dalla data di entrata in vigore del decreto e, dunque, dal prossimo 12 settembre;
   tra le sezioni distaccate ritenute «inutili», nell'ottica di una presunta razionalizzazione delle spese del settore giustizia, sono state individuate anche le cinque sedi del tribunale centrale di Santa Maria Capua Vetere: Aversa, Caserta, Carinola, Piedimonte Matese e Marcianise;
   una simile decisione non tiene, però, conto delle peculiarità di suddetto tribunale, che copre tutta la provincia di Caserta, in un territorio che già negli anni Ottanta registrava un primato di criminalità a livello europeo e dove negli ultimi anni il numero dei processi, civili e penali, è cresciuto esponenzialmente, anche sotto il profilo qualitativo;
   da aprile ad oggi, decine sono state le iniziative, gli incontri operativi e le richieste avanzate agli addetti ai lavori e alle istituzioni per scongiurare tale soppressione, o almeno mantenere un paio di presidi della legalità;
   dopo le prime notizie che avevano fatto sperare nel mantenimento del tribunale di Aversa, i tecnici del Ministero della (giustizia hanno optato per il drastico trasferimento di tutte le sedi al futuro tribunale di Napoli Nord;
   la localizzazione dell'istituendo tribunale, che accorperà 19 comuni collegati alla soppressa sezione distaccata di Aversa e parte delle sezioni dell'hinterland napoletano, è stata definitivamente individuata nel complesso monumentale del Castello Aragonese di Aversa, come annunciato dall'attuale Ministro Cancellieri, nel corso della seduta dello scorso 21 giugno del plenum del Csm;
   tale drastica riorganizzazione giudiziaria non trova il consenso di molti: per gli avvocati è uno spreco di risorse pubbliche, per i sindaci si tolgono avamposti della legalità in territori dove ce n’è bisogno e perfino per i pm antimafia l'istituzione del tribunale di Aversa non è una scelta condivisibile;
   la decisione del Ministero ha, infatti, disatteso i rilievi mossi dalla direzione distrettuale antimafia e dagli organismi investigativi in merito al contrasto alla camorra nell'area di confine tra le province di Napoli e Caserta, essendo ragionevole pensare che la riforma della geografia giudiziaria comporterà uno «spacchettamento» delle inchieste, a scapito della fruttuosa lotta alla camorra condotta negli ultimi anni;
   come riportato da organi di stampa locale e nazionale, in particolare, la decisione di scorporare Aversa dal circondario di Santa Maria Capua Vetere porterà all'assurda e pericolosa conseguenza che il contrasto al clan dei casalesi, con il suo carico di processi e attività di indagine, sarà consegnato a due distinti tribunali che avranno competenze su aree strettamente collegate;
   la misura soppressiva adottata dal Ministero della giustizia creerà un vuoto di giustizia in comuni anche densamente popolati e aumenterà il disagio di coloro i quali, per vedere riconosciuti i propri diritti, saranno costretti a lunghi spostamenti nelle poche sedi salvate dalla infausta riforma;
   come riconosciuto dallo stesso presidente del consiglio dell'Ordine degli avvocati di Santa Maria Capua Vetere, gli effetti di tale decisione saranno una deframmentazione e uno stravolgimento dell'omogeneità della geografia giudiziaria del territorio;
   un simile frazionamento del territorio casertano avrebbe, tra l'altro, un senso solo se ad esso facesse seguito un adeguato riassetto degli organici tra magistrati e personale amministrativo;
   inoltre, il nuovo tribunale di Napoli Nord, lungi dal rappresentare una razionalizzazione del sistema giudiziario utile a una, pur condivisibile, riduzione dei costi, comporterà, invece, elevati oneri di spesa per consentire l'adeguamento delle strutture adibite a sede per l'esercizio delle funzioni giurisdizionali, quando, invece, sarebbe bastato potenziare il tribunale di Santa Maria Capua Vetere;
   paradossale è poi la circostanza che il successivo decreto legislativo n. 156 del 2012, nell'occuparsi della nuova articolazione degli uffici dei giudici di pace, ha accorpato i relativi uffici dell'aversano nell'Ufficio del Giudice di pace di Santa Maria Capua Vetere, con l'assurda conseguenza che la circoscrizione aversana farà parte di quest'ultimo tribunale per quanto di competenza del Giudice di pace e del tribunale di Napoli Nord per quanto di competenza del Tribunale monocratico e collegiale;
   il 20 giugno 2013 lo stesso Tar Campania ha sospeso l'attuazione dei provvedimenti di riorganizzazione degli uffici giudiziari campani;
   se la decisione del Ministero dovesse essere confermata, la qualità e il livello di erogazione del servizio giustizia in provincia di Caserta, subiranno un duro colpo, a sicuro giovamento delle organizzazioni criminali che operano nel territorio –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intendano adottare per scongiurare una riorganizzazione della geografia giudiziaria che, per la peculiarità della provincia di Caserta, si tramuterebbe in un grave danno al funzionamento della macchina della giustizia. (4-01187)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nella notte del 6 luglio 2013 si è verificato l'ennesimo incidente mortale sulla strada statale 107 Silana-Crotonese. Si tratta del giovane agente scelto Massimo Impieri che, sceso dall'auto per prestare soccorso ad un'auto incidentata, è stato travolto e ucciso da un veicolo guidato da un uomo ubriaco che adesso dovrà rispondere di omicidio colposo, omissione di soccorso e guida in stato di ebbrezza;
   la strada statale 107 Silana-Crotonese è una delle strade più pericolose d'Italia e si registrano ormai da anni spaventosi e drammatici incidenti;
   la strada statale 107, inserita 5 anni fa nella «top ten» dell'ACI e dell'Istat delle strade più pericolose d'Italia, versa in condizioni di estrema precarietà a causa della scarsa manutenzione, pur essendo sempre più trafficata e di valore strategico considerato che agevola i collegamenti tra le province di Cosenza e Crotone e tra l'Altopiano Silano e il Medio-Alto Tirreno cosentino;
   se si vuole fermare questa strage, sono pertanto necessari e non più rinviabili i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria per mettere in sicurezza la strada statale 107 –:
   se sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e quali urgenti iniziative intenda adottare per la messa in sicurezza della tratta stradale SS 107.
(4-01183)


   TOFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la delibera della giunta comunale di Santa Maria La Carità (CE) n. 26 del 5 marzo 2013, già impugnata al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, prevede una nuova planimetria con una nuova delimitazione del centro abitato, in contrasto con le disposizioni di cui all'articolo 3, comma 1, punto 8, del codice della strada vigente in cui si definisce il centro abitato «insieme di edifici, delimitato lungo le vie di accesso dagli appositi segnali di inizio e fine. Per insieme di edifici si intende un raggruppamento continuo, ancorché intervallato da strade, piazze, giardini o simili, costituito da non meno di venticinque fabbricati e da aree di uso pubblico con accessi veicolari o pedonali sulla strada»; una successiva circolare precisa che: «La delimitazione del centro abitato deve essere effettuata in funzione della situazione edificatoria esistente o in costruzione, e non di quella ipotizzata dagli strumenti urbanistici, tenendo presente che il numero di almeno venticinque fabbricati, con accesso veicolare o pedonale diretto sulla strada, previsti dall'articolo 3, comma 1, punto 8, del codice della strada, è comunque subordinato alla caratteristica principale di aggruppamento continuo»;
   detti fabbricati debbono essere in stretta relazione tra di loro e non in previsione di edificazione; i fabbricati, quindi, possono essere intervallati solo da: «strade, piazze, giardini o simili, ed aree di uso pubblico» con esclusione di terreni agricoli, aree fabbricabili, e altro;
   il nuovo centro abitato, a giudizio dell'interrogante illegittimamente ed incomprensibilmente esteso a tutte le strade e stradine anche in aperta campagna e completamente inedificate, comprende numerose zone agricole, così come si può constatare dal confronto con il piano regolatore generale vigente;
   l'estensione del centro abitato a tutte le strade e a numerose ed estese zone agricole, potrebbe comportare, secondo l'interrogante, l'elusione dell'articolo 21 delle norme di attuazione al piano regolatore generale «Il quale prevede che nelle zone agricole è comunque prescritto il rispetto delle disposizioni relative alla fascia di rispetto stradale, recate dal decreto ministeriale 1o aprile 1968, n. 1404, e successive modificazioni» –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro intenda assumere in relazione a quella che all'interrogante appare una illegittima estensione del centro abitato in questione, che potrebbe provocare una significativa edificazione delle zone agricole coltivabili. (4-01186)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRUNO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'amministrazione del comune di Paola aveva l'obbligo di legge di redigere ed approvare il bilancio preventivo 2012, i cui termini scadevano il 30 ottobre 2012, prorogati al 30 novembre 2012;
   pare che il consiglio comunale, con delibera n. 33 del 2012, avesse dichiarato il dissesto in data 29 ottobre 2012. Tale delibera, però, sembrerebbe sia stata dichiarata illegittima, e pertanto sospesa dal TAR Calabria con ordinanza n. 62 del 2013, confermata in Consiglio di Stato, con ordinanza n. 1152 del 2013;
   sembrerebbe inoltre che, ad oggi, non sia stato ancora redatto il bilancio preventivo 2012 che si vorrebbe aggirare con una nuova riproposizione del dissesto finanziario dell'ente;
   parrebbe che la mancata presentazione del bilancio abbia pregiudicato l'accesso alle misure previste da importanti provvedimenti statali che, alfine di evitare i dissesti degli enti locali italiani, aiutavano le casse comunali come il decreto «salva comuni»;
   tale situazione avrebbe provocato, inoltre, un evidente danno nei confronti dei cittadini, a causa dei consistenti aumenti dei tributi comunali con abbassamento della quantità e qualità dei servizi, degli impiegati comunali e dei precari, per le ristrettezze che si dovranno applicare e per i creditori titolari di crediti certi, liquidi ed esigibili, i quali rischiano di non riscuotere;
   per queste ragioni, la minoranza consiliare ha inoltrato al prefetto di Cosenza, al Ministero dell'interno, alla Corte dei Conti sezione regionale di controllo e al presidente dei revisori dei conti del locale municipio, apposita diffida con la quale si chiede lo scioglimento immediato del consiglio comunale che sembrerebbe stia di fatto amministrando senza bilancio da più tempo, in violazione di tutte le norme sugli enti locali e in particolar modo dell'articolo 141 del T.U.E.L.;
   nonostante tale segnalazione sembrerebbe che non si sia ancora provveduto a nessuno degli interventi previsti in tali situazioni –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopraesposti e quali iniziative intenda porre in essere al fine di verificare i motivi di tale inerzia e, nel caso venga riscontrato un comportamento omissivo da parte dell'amministrazione comunale, quali iniziative di competenza intenda assumere. (4-01178)


   COSTANTINO, ZAN, MARCON, MIGLIORE, PILOZZI, KRONBICHLER, AIELLO, AIRAUDO, BOCCADUTRI, FRANCO BORDO, DI SALVO, DURANTI, DANIELE FARINA, FAVA, FERRARA, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, LACQUANITI, LAVAGNO, MATARRELLI, MELILLA, NARDI, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIAZZONI, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RAGOSTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, SCOTTO e ZARATTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   nelle ultime elezioni amministrative, a Treviso, il candidato consigliere di Sinistra ecologia libertà, Said Chaibi, di 23 anni, cittadino italiano nato da genitori marocchini, è stato oggetto di aspri e violenti attacchi nell'ambito di una campagna promossa dalla Lega che, in particolare, ha visto Chaibi subire offese e pesanti insinuazioni, nonché gravi intimidazioni;
   questi sarebbe stato insultato dalla Lega per le proprie origini marocchine e per aver affrontato il tema della tolleranza religiosa con riferimento alle ipotesi di apertura di luoghi di culto islamici, con offese perpetrate attraverso interventi e volantini su Facebook, alcuni dei quali ottenuti con fotomontaggi che associavano il giovane all'assunzione di stupefacenti;
   il 3 giugno 2013, inoltre, mentre si trovava in zona Sant'Angelo, alla periferia di Treviso, assieme ad alcuni attivisti del PD, per affiggere alcuni manifesti elettorali del candidato Giovanni Manildo, in vista del ballottaggio, che era prossimo, un gruppo di uomini, a bordo di una Audi e di una Bmw, si sarebbero avvicinati, minacciando di strappare i manifesti, inseguendo in seguito il mezzo, una vecchia utilitaria, con cui Said e i suoi due amici stavano cercando di allontanarsi;
   le due auto di grossa cilindrata avrebbero prima inseguito la vettura dei tre ragazzi fino a Canizzano; poi avrebbero cercato, con alcune manovre pericolose, di tagliar loro la strada. Dopo la riprovevole operazione, gli occupanti delle due auto-pirata si sarebbero dileguate, facendo perdere le proprie tracce;
   immediatamente sono scattati numerosi attestati di solidarietà da diverse forze politiche per Said, a fronte di un'operazione, frutto di una campagna basata sull'odio, che ha inquinato una campagna elettorale che, fino a quel momento, non aveva certo registrato episodi di simile gravità –:
   quale sia l'orientamento dei Ministri rispetto ai fatti riferiti in premessa posto che i comportamenti discriminatori avviati nei confronti di Said Chaibi che si sono concretizzati in offese e pesanti insinuazioni, nonché nell'inquietante episodio di intimidazione citato sono estremamente gravi e inaccettabili;
   nell'ambito delle proprie competenze istituzionali, quali iniziative intendano adottare per condannare episodi di discriminazione del genere e per garantire ai cittadini di origine straniera l'esercizio di diritti riconosciuti e tutelati dalla Costituzione, quale quello di esprimere liberamente il proprio pensiero, nonché di partecipare alla vita politica del Paese. (4-01179)


   GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Vallata, in provincia di Avellino, a seguito delle elezioni amministrative del 26 e 27 maggio 2013 è risultato eletto sindaco il signor Giuseppe Leone, vicebrigadiere dei carabinieri, condannato in primo grado a sei anni di reclusione e all'interdizione dai pubblici uffici per il reato di peculato aggravato in concorso;
   nel corso del successivo 30 maggio al neoeletto sindaco veniva notificato l'atto di sospensione, a norma dell'articolo 11, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235, adottato dal prefetto di Avellino;
   lo stesso giorno il sindaco neoeletto procede alla nomina di due assessori, di cui uno con funzioni di vicesindaco;
   il vicesindaco in data 6 giugno provvede a convocare la seduta di insediamento del consiglio comunale per il successivo 14 giugno in netta violazione dello statuto comunale che con l'articolo 17 prevede che la seduta del primo consiglio comunale (seduta di insediamento) debba essere effettuata ad opera del sindaco;
   nel corso del consiglio comunale del 14 giugno il vicesindaco nominato dal sindaco, eletto il 27 maggio e sospeso dal prefetto di Avellino il 30 maggio, ha prestato giuramento in qualità di sindaco e ha presieduto la seduta;
   la successione degli eventi accaduti a Vallata a partire dal 27 maggio configura una prassi tutta particolare e niente affatto rispondente alla normativa in vigore per la elezione del sindaco e per la sua sostituzione in caso di condanna e interdizione dai pubblici uffici;
   appare chiaro il tentativo di trasferire il mandato espresso dai cittadini a favore di un sindaco nei confronti della figura del vicesindaco dallo stesso nominato;
   la lista capeggiata dal signor Giuseppe Leone, vicebrigadiere dei carabinieri, condannato a 6 anni di reclusione e all'interdizione dai pubblici uffici, contempla tra i propri eletti alla carica di consiglieri comunali due militari uno dell'Esercito e uno della Guardia di finanza;
   ad avviso dell'interrogante la presenza di un militare della Guardia di finanza in una lista capeggiata, come candidato a sindaco, da un vicebrigadiere dei carabinieri destinatario di una condanna a 6 anni e all'interdizione dai pubblici uffici per il reato di peculato aggravato in concorso, è da ritenersi pregiudizievole per il prestigio dei Corpi richiamati e per l'immagine complessiva dello Stato –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa;
   se la sospensione operata dal prefetto di Avellino non dovesse avere come conseguenza l'impossibilità di procedere alla nomina del vicesindaco;
   se il consiglio comunale di insediamento possa essere convocato dal vicesindaco nominato e se questi possa giurare al posto del sindaco eletto e sospeso;
   se, in definitiva, non ritenga che, per tutto quanto sopra riportato, sussistano gli estremi per sciogliere il consiglio comunale per reiterata violazione della legge.
(4-01181)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALGANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nel 1982 nasceva ad Assisi il Centro italiano di studi superiori sul turismo CST che, tra i primi in Italia, sviluppò attività di formazione nell'industria dell'ospitalità, la prima collana di libri (Franco Angeli) in economia del turismo, didattica a distanza e multimediale, corsi specialistici, ricerche e modelli economici;
   nell'anno accademico 1993/94, grazie all'esperienza del Centro italiano di studi superiori sul turismo veniva attivato presso l'università di Perugia, il corso di laurea in economia del turismo (tra i primi in Italia) e, successivamente, la laurea triennale (L) e specialistica (LS), con un ampio numero di studenti e molte possibilità di occupazione (Assisi ospita 6 milioni di turisti all'anno);
   per rispettare i decreti ministeriali della «riforma Gelmini», nel 2010 l'università degli studi di Perugia, chiudeva la laurea specialistica e attivava, con l'università italiana per stranieri, la laurea in economia internazionale del turismo;
   a seguito dell'emanazione decreto ministeriale 30 gennaio 2013, n. 47, l'università di Perugia (facoltà di economia) ha deliberato nel giugno scorso di chiudere anche questo corso, malgrado 64 iscritti al primo anno (250 iscritti in totale) e le potenzialità che tale corso offre in termini di occupazione nel settore del turismo (in Italia, sino al 2020, 500.000 nuovi posti di lavoro);
   i principali punti di forza che hanno differenziato nel tempo il corso di laurea in Assisi e lo hanno reso unico alla restante offerta formativa universitaria sono:
    coinvolgimento diretto del mondo imprenditoriale nell'individuazione dei percorsi formativi e nella stessa erogazione di una parte delle attività di insegnamento;
    integrazione degli insegnamenti con laboratori professionalizzanti individuati tenendo conto degli effettivi processi operativi delle imprese turistiche;
    obbligatorietà di un periodo di stage presso imprese del settore supportato da una efficace azione di orientamento dei discenti e delle imprese ospitanti;
    una struttura didattica messa a disposizione dal comune di Assisi adeguata ad ospitare le attività formative e tecnologicamente all'avanguardia (palazzo ex Icap a S.M. degli Angeli e palazzo Bernabei ad Assisi);
    una biblioteca unica nel suo genere, completamente specializzata nel settore turistico gestita in partnership con il Centro italiano di studi superiori sul turismo di Assisi, con oltre 10000 volumi e circa 300 abbonamenti a riviste di settore sia nazionale che internazionale;
    la prima più strutturata collana editoriale dedicata al turismo edita dalla Francoangeli di Milano e curata dal Centro italiano di studi superiori sul turismo di Assisi finalizzata a supportare le attività didattiche del corso di laurea «economia internazionale del turismo» ed utilizzata anche da molti altri corsi di laurea in Italia;
    supporto delle attività di formazione specialistiche da parte del Centro italiano di studi superiori sul turismo di Assisi, agenzia capace di sviluppare un'attività di ricerca multidisciplinare nel turismo e di basare sulla stessa un'offerta formativa di livello manageriale adeguata a rispondere alle continue evoluzioni del settore turistico imprenditoriale italiano;
   il Centro italiano di studi superiori sul turismo CST di Assisi rappresenta un «unicum» nel panorama dell'offerta formativa e può diventare uno fra i più importanti centri di formazione sul turismo a livello internazionale, con la possibilità di attivarvi corsi di laurea, di laurea specialistica, corsi post Laurea e di specializzazione anche legati all'organizzazione mondiale del turismo;
   il piano strategico per lo sviluppo del turismo in Italia presentato dal Governo Monti nel gennaio 2013 rileva che anche se l'Italia ha ancora un ruolo rilevante nel turismo internazionale, stenta a tenere il passo della crescita del settore e tende a perdere quote di mercato nei confronti dei suoi tradizionali concorrenti europei, evidenziando una notevole perdita di competitività;
   il turismo rappresenta per il nostro Paese un settore rilevante, con un peso significativo nell'economia nazionale, generando maggiori opportunità di lavoro rispetto ad altri settori industriali considerati prioritari (il turismo rappresenta circa il 9 per cento del prodotto interno lordo nazionale e impiega circa 2,2 milioni pari ad un lavoratore su dieci) –:
   se sia a conoscenza della situazione sopra descritta e non se non ritenga di adottare iniziative ogni utile iniziativa di competenza per salvaguardare un'ultra trentennale esperienza di modelli didattici e manageriali fondamentali per il rilancio di un settore che offre grandi opportunità sia in termini di occupazione che di valorizzazione dello straordinario patrimonio storico e artistico italiano. (5-00549)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MICILLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 14 giugno 2012 il Ministro pro tempore Profumo ha adottato il decreto ministeriale n. 53 con il quale ha consentito l'inserimento nella quarta fascia della graduatoria provinciale dei docenti laureatisi in scienze della formazione primaria entro il marzo del 2012;
   così facendo non ha consentito l'inserimento nella quarta fascia della graduatoria provinciale dei docenti che hanno conseguito la laurea in scienze della formazione primaria entro giugno 2012;
   al 10 luglio 2012 era stato fissato il termine ultimo di inserimento;
   la decisione ministeriale ha sollevato tanto malcontento nei docenti della prima fattispecie indicati in premessa, considerando la citata disposizione come ingiusta e discriminante;
   il 23 febbraio 2012 il Parlamento nel corso dell’iter di conversione del decreto cosiddetto «milleproroghe», nonostante il parere contrario dell'Esecutivo, aveva approvato a larga maggioranza l'ordine del giorno n. 9/4865-b/21 che impegnava il Governo a «inserire nella fascia aggiuntiva tutti i docenti che avessero conseguito l'abilitazione presso le facoltà di scienze della formazione primaria entro la data di scadenza delle domande prevista dal decreto del ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ai sensi del comma 2-ter all'articolo 14 del decreto-legge n. 216 del 2011»;
   il risultato è che i docenti pur detenendo il medesimo titolo si ritrovano discriminati laddove la differenza è creata da qualche mese solamente dal conseguimento dello stesso;
   si tratta di un aspetto non marginale se si considera che la distanza temporale di 3 mesi determina l'esclusione dalla IV fascia delle graduatorie provinciali ad esaurimento;
   detta situazione si traduce in una esclusione che preclude l'opportunità di inserimento lavorativo nel mondo della scuola –:
   quali iniziative intenda assumere per ripristinare un criterio egalitario in tale materia posto che nell'adottare il decreto n. 53 non si è tenuto conto dell'ordine del giorno n. 9/4865-b/2 creando di fatto diseguaglianza tra docenti che detengono il medesimo titolo universitario. (4-01180)


   FRANCESCO SANNA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   tra il 2000 e il 2001, attraverso numerose risoluzioni che fanno parte della cosiddetta strategia di Lisbona, la Commissione europea ha sottolineato il ruolo dell’e-learning come asse portante della politica dell'Unione in fatto di cultura, istruzione e società dell'informazione;
   nel piano d'azione e-learning adottato nel marzo 2001, i principi, gli obiettivi e le linee di azione dell’e-learning vedono quale principale strumento l'utilizzo delle nuove tecnologie multimediali e di internet per migliorare la qualità dell'apprendimento, agevolando l'accesso a risorse e servizi, nonché gli scambi e la collaborazione a distanza;
   la Commissione europea con l'iniziativa e-learning – Pensare all'istruzione di domani, ambiziosamente indica l’e-learning come il domani dell'istruzione: il nuovo impianto dell'intero sistema educativo – dalla scuola primaria all'università, alla formazione professionale, all'educazione permanente – che passa attraverso l'utilizzo delle tecnologie multimediali come esigenza inevitabile e urgente nella società dell'informazione;
   l'iniziativa e-learning – Pensare all'istruzione di domani, si inserisce nel più ampio contesto del piano d'azione globale eEurope, con lo sviluppo di una società dell'informazione per tutti, approvato dai Consigli europei di Lisbona e Feira nel 2000 e ne è complementare, raggruppando interventi specifici in un contesto a indirizzo educativo;
   gli obiettivi del piano d'azione eEurope mirano a promuovere una strategia europea per l'occupazione, a porre rimedio all'insufficienza di competenze in tema di nuove tecnologie e a garantire maggiore integrazione sociale;
   vanno ricordati il Memorandum sull'istruzione e la formazione permanente (Bruxelles, 30 ottobre 2000) della Commissione europea e il nuovo quadro varato nel 2005 dalla Commissione europea contenente importanti orientamenti strategici per l’e-learning, denominato i2010: la società dell'informazione e i media al servizio della crescita e dell'occupazione;
   nell'ottica di una revisione della Strategia di Lisbona, la nuova politica si propone di incoraggiare lo sviluppo della conoscenza e dell'innovazione al fine di sostenere la creazione di posti di lavoro più numerosi e di migliorarne la qualità;
   l'Italia, raccogliendo la sfida dell'Unione europea, ha adottato diverse iniziative tra programmi e direttive:
    a) 21 dicembre 2001: linee guida in materia di digitalizzazione dell'amministrazione, in cui il Ministro dell'innovazione e le tecnologie in riferimento all’e-learning, chiarisce che la diffusione di tecniche di formazione a distanza favorisce l'affermazione della cultura tecnologica nella pubblica amministrazione e fornisce un supporto alla crescita delle competenze professionali dei dipendenti;
    b) comma 2 dell'articolo 26 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, recante Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003), finalizzato ad assicurare una migliore efficacia della spesa informatica e telematica sostenuta dalle pubbliche amministrazioni a generare significativi risparmi eliminando duplicazioni e inefficienze, promuovendo le migliori pratiche e favorendo il riuso, nonché ad indirizzare gli investimenti nelle tecnologie informatiche e telematiche;
    c) giugno 2002: linee guida del Governo per lo sviluppo della società dell'informazione, in cui la formazione erogata a distanza rappresenta uno dei prioritari obiettivi del piano di Governo;
    d) 17 aprile 2003: il decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, criteri e procedure di accreditamento dei corsi di studio a distanza delle università statali e non statali e delle istituzioni universitarie abilitate a rilasciare titoli accademici di cui all'articolo 3 del decreto 3 novembre 1999, n. 509, approvato di concerto con il Ministro per l'innovazione tecnologica pro tempore, Lucio Stanca, stabilisce inequivocabilmente l'importanza della formazione culturale anche attraverso l'impiego delle nuove tecnologie; 
    e) 6 agosto 2004, direttiva della Presidenza del Consiglio dei ministri, progetti formativi in modalità e-learning nelle pubbliche amministrazioni, dove si ribadisce la necessità di tener presente che il processo di e-learning non consiste nella sola distribuzione e diffusione in rete di materiale ma esige che vengano messi a disposizione e forniti servizi didattici on-line;
    f) decreto ministeriale 22 settembre 2010, n. 17, sui requisiti necessari dei corsi di studio;
    g) decreto ministeriale 30 gennaio 2013 n 47, sulla autovalutazione, accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio e valutazione periodica;
   la regione Sardegna attualmente disconosce i master di alta formazione attivati dalle università anche attraverso l'utilizzo dei moderni sistemi di alta tecnologia e innovazione (e-learning), per la partecipazione agli avvisi dei percorsi di rientro del programma Master and Back;
   la finalità del Master and Back è volta ad acquisire una formazione con atenei non sardi e di prestigio, italiani o esteri, per poi trasferire nell'isola le conoscenze apprese, con concretezza e produttività;
   tra le azioni volte al raggiungimento degli obiettivi programmati dalla regione Sardegna previste per l'asse IV – capitale umano – del documento POR FSE 2007-2013, approvato dalla commissione europea, sono comprese:
    a) percorsi di alta formazione (master, corsi di II livello), anche attraverso l'utilizzo delle nuove tecnologie (e-learning) e lo strumento degli incentivi;
    b) sperimentazione di sistemi per la diffusione, l'accesso e l'uso della società dell'informazione nel sistema dell'istruzione e della formazione, anche al fine di rispondere alle specifiche esigenze delle aree montane ed isolate, puntando specialmente sull’e-learning e la FAD;
    c) percorsi formativi per formatori che utilizzeranno le metodologie e-learning e FAD;
    d) sviluppo e sperimentazione della diffusione sul territorio delle tecnologie per l'apprendimento e l’e-learning;
    e) agevolazioni per le imprese che assumono soggetti in possesso di un dottorato di ricerca;
   la legge regionale 7 agosto 2007, n. 7, promozione della ricerca scientifica e dell'innovazione tecnologica in Sardegna, non esclude la formazione a distanza;
   importanti aziende del territorio stanno attivando delle convenzioni con altre università non sarde e di prestigio, nell'ottica di favorire la circolarità della conoscenza e la formazione a distanza, attraverso l'utilizzo di nuove tecnologie e lo sviluppo di piattaforme innovative;
   i laureati che hanno partecipato attivamente ai master on-line di alta formazione attivati da università italiane, con spese tutte a proprio carico, che hanno previsto la frequenza obbligatoria di una parte delle attività didattiche, compresa la discussione di esami e tesi finali ed hanno realizzato e prodotto pubblicazioni di progetti afferenti alla regione, hanno l'interesse legittimo a vedere riconosciuta la formazione acquisita con i moderni sistemi di alta tecnologia e innovazione (e-learning) in tutti bandi di evidenza pubblica del sistema nazionale –:
   quali urgenti iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano intraprendere per tutelare i laureati specializzati con i moderni sistemi di alta tecnologia e innovazione e promuovere il pieno riconoscimento dei master di alta formazione attivati dalle università anche attraverso le nuove tecnologie (e-learning) come nel caso del Master and Back;
   se alla luce di quanto sopra esposto, intendano promuovere, d'intesa con le amministrazioni locali (e la regione Sardegna in particolare), i sistemi d'innovazione e le tecnologie avanzate (e-learning e FAD) disciplinati dalla normativa nazionale ed europea, avuto riguardo ai principi di parità, diritto allo studio, uguaglianza, inclusione sociale, contrasto alla disoccupazione. (4-01184)

SALUTE

Interrogazioni a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sta acquisendo rilevanza sempre più diffusa un problema ben noto a tutti i livelli della sanità italiana, finora rimasto senza soluzioni, si tratta dell'esistenza del «mercato parallelo» dei farmaci destinati all'Italia ma venduti all'estero. Non parliamo di medicinali qualunque: si va da quello utilizzato per trattare il dolore neuropatico e il disturbo d'ansia generalizzata, ad alcuni antidepressivi, antiepilettici fino a medicinali fondamentali per la cura di malattie degenerative, come il morbo di Parkinson. La loro carenza mette in estrema difficoltà non solo i farmacisti, ma soprattutto i malati;
   la carenza di medicinali, anche salva-vita, sugli scaffali a causa del commercio, legale, dall'Italia verso i Paesi del Nord dove ci si guadagna di più, provoca tra l'altro la mancanza di tali medicinali proprio nelle nostre farmacie. Il presidente di Assiprofar Federfarma Roma, Franco Caprino, ha denunciato ciò alla procura della capitale, sostenendo, appunto che grossisti e farmacisti comprano medicinali destinati al mercato italiano e li vendono su mercati dove si guadagna di più, come Germania o Regno Unito;
   ciò comporterebbe – secondo Federfarma Roma – la carenza o anche l'irreperibilità per lunghi periodi di molti farmaci e un contingentamento degli stessi da parte delle aziende. La conseguenza è che spesso i pazienti, anche affetti da gravi patologie, non trovano le medicine loro necessarie. Tra i farmaci interessati dal «mercato parallelo», antidepressivi, prodotti per il trattamento del morbo di Parkinson e dell'ipertensione e antiepilettici;
   vi è un grande spostamento di farmaci dall'Italia e dalla Grecia verso Germania e Regno Unito. Se un farmaco in Italia costa 20 euro ed in Germania 200, si verifica che l'acquirente italiano di quel farmaco lo acquisti per poi rivenderlo in Germania determinando un guadagno per sé ed una rarefazione del prodotto sul «mercato interno»;
   nell'esposto Federfarma Roma rende noto di aver inviato mesi fa una lettera sull'argomento all'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) e al Ministero della salute. «Peraltro – si legge ancora nell'esposto – le segnalazioni da parte dei cittadini e delle farmacie che lamentano la mancata disponibilità di farmaci nel ciclo distributivo sono sempre più numerose» –:
   quali urgenti iniziative intenda porre in essere per garantire che gli italiani non debbano «soffrire» l'assenza di un farmaco prodotto nel proprio Paese, ma reperibile all'estero ad un costo più alto;
   in che misura intenda evitare l'aumento di costo dei farmaci che una politica di esportazioni dei farmaci, non adeguatamente ponderata e sotto controllo, potrebbe quasi sicuramente causare.
(3-00186)


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le critiche, in alcuni passaggi vere e proprie accuse, rese pubbliche sul sito online della rivista inglese Nature e scatenate in merito alla fondatezza del «metodo stamina», proposto da Davide Vannoni, che aveva suscitato speranze per la cura di alcune gravi patologie che colpiscono soprattutto bambini, hanno destato un confronto molto acceso non solo nella comunità scientifica, ma anche nella opinione pubblica;
   secondo Nature il Metodo è frutto di un plagio, è basato su dati manipolati, e fa riferimento a ricerche fatte da autori russi e ucraini, senza mai citare con chiarezza la fonte. La rivista Nature, per dare forza a questa denuncia, ha pubblicato una documentazione fotografica, da cui si evince che immagini allegate da Stamina, riguardanti la differenziazione in senso neurale delle cellule staminali mesenchimali sono frutto di plagio e proverrebbero da un esperimento pubblicato dalla ricercatrice Elena Schegelskaya nel 2003 su di una rivista russa;
   è noto che «Stamina» ha depositato diverse richieste di brevetti a vari uffici in Europa e negli Stati Uniti, salvo poi ritirarli ogni volta, senza aver ricevuto alcuna approvazione perché giudicati insoddisfacenti in quanto privi di adeguata documentazione: d'altra parte se avesse fatto riferimento ai dati pubblicati dai ricercatori russi non avrebbe potuto neppure presentare domanda di brevetto;
   l'ordinanza del 15 maggio 2012 emessa dall'Aifa, mai annullata e ancora in vigore ha vietato i prelievi, trasporti, manipolazioni, colture, stoccaggi, e somministrazioni di cellule umane presso gli Spedali Civili di Brescia in collaborazione con Stamina Foundation Onlus;
   il 23 maggio scorso, il Parlamento ha approvato la legge di conversione di un decreto legge che prevede lo stanziamento di tre milioni di euro per una sperimentazione di 18 mesi sul «Metodo Stamina»; la sperimentazione avrebbe dovuto aver inizio il 1° di luglio e avrebbe dovuto coinvolgere sia esperti nominati dal Ministro della salute e che esperti indicati da Vannoni, ma Vannoni finora non ha ancora segnalato i suoi esperti di riferimento;
   il problema sembra che stia nella oggettiva mancanza di una documentazione scientifica e clinica, cogente e chiara, che dimostri con fatti concreti che questo metodo fa quello che «Stamina» sostiene che faccia, perché almeno finora tutto si basa sulle affermazioni di Vannoni e sulla mobilitazione di una parte dell'opinione pubblica particolarmente sensibile alle vicende dei piccoli malati;
   il presidente della Fondazione «Stamina», Davide Vannoni, ha respinto ogni accusa di plagio, dichiarandosi vittima di una sorta di complotto internazionale, volto a screditarlo, privando i malati di terapie che invece potrebbero aiutarli. La denuncia della rivista «Nature», così come ha affermato anche il Ministro della salute Beatrice Lorenzin, «è molto grave è soprattutto desta grande preoccupazione». Il ministro ha quindi esortato Vannoni «a consegnare il protocollo senza fare trattative»;
   Vannoni, ancora una volta ha spostato i termini della consegna dei dati richiesti, e prima ha annunciato di voler presentare lunedì 8 luglio 2013 il protocollo «standardizzato», quello che dovrebbe consentire la riproducibilità del metodo, ma successivamente ha già ulteriormente spostato l'incontro a venerdì 12 luglio. In quella data lui e Marino Andolina dovrebbero incontrare per la prima volta i componenti del comitato scientifico. In quella occasione afferma di voler discutere delle 5 condizioni da lui poste per garantire l'avvio della sperimentazione. Ma non sarà ancora quella la data di consegna del protocollo sul metodo, che è stata ulteriormente spostata in avanti al primo di agosto;
   sono cinque le condizioni poste già in anticipo da Vannoni: «Che la metodica standardizzata non venga modificata; che la produzione delle cellule staminali avvenga in un solo laboratorio; che si utilizzino per le infusioni e le valutazioni due ospedali vicini al laboratorio di produzione; che venga nominato un organismo di controllo terzo a livello internazionale; che la scelta delle patologie su cui effettuare la sperimentazione competa a Stamina»;
   L'associazione Stem cell research Italy, che riunisce i massimi esperti di staminali, chiede lo stop della sperimentazione e puntualizza il rischio di «sperpero di denaro pubblico» e di test «destinati al sicuro fallimento». L'associazione «ritiene che il governo italiano non possa rendersi complice di un trattamento privo di basi scientifiche e mediche», così come si legge nell'appello firmato dai 200 ricercatori;
   parlando di cellule staminali che richiedono protocolli specifici, come ogni sperimentazione seria occorrerebbe infatti analizzare le caratteristiche del «metodo» in laboratorio e sperimentare sull'uomo solo dopo aver verificato che per i malati c’è una qualche probabilità di ottenere dei benefici, così come avviene nelle sperimentazioni codificate in buona parte del mondo per i farmaci; il Paese e il Ministero della salute non possono essere ostaggio per i prossimi 18 mesi da parte di chi non rispetta regole e criteri fissati a livello parlamentare sui tempi e i modi della sperimentazione –:
   quali urgenti iniziative intenda porre in essere per dare garanzia di efficacia alla sperimentazione con stamina, almeno nei tempi e nei metodi fissati dal comitato scientifico nominato dal Ministro e in caso contrario valutare quali misure si debbano prendere a tutela e garanzia della salute delle centinaia di persone che a Brescia attendono di essere trattate con la metodica Stamina;
   se non ritenga infine necessario verificare e controllare le irregolarità finora commesse e rendere attuativa l'ordinanza emessa dall'AIFA citata in premessa e mai annullata. (3-00187)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:


   NASTRI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 19 gennaio 2010 l'Italia ha chiesto all'Unione europea l'autorizzazione per un finanziamento pubblico di 15,8 milioni di euro (da corrispondere in tre rate tra il 2010 e il 2013) in favore della Fiat Powertrain di Verrone, in provincia di Biella, per un investimento iniziato nel 2008, e riguardante, in particolare, la costruzione di un nuovo tipo di cambio da realizzarsi appunto presso quello stabilimento;
   in cambio di tale finanziamento, la Fiat si impegnava ad assumere seicento persone, portando il totale dei dipendenti a quota 1.083, ma nella primavera del 2011 l'aumento di personale sarebbe stato di sole cento unità, peraltro di lavoratori semplicemente trasferiti da un altro stabilimento del gruppo Fiat, quello di Mirafiori, sicché, sostanzialmente, non risulta esservi stata alcuna nuova assunzione da parte di Fiat;
   in esito alla seduta del 5 maggio 2011 del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) avente ad aggetto l'attuazione del programma delle infrastrutture strategiche (ex lege n. 443 del 2001) è stata approvata la sottoscrizione da parte del Ministero dello sviluppo economico di tre nuovi contratti di programma nel settore della produzione di autoveicoli, con un investimento complessivo di 630 milioni di euro, e la creazione, auspicata da Regione Piemonte, Provincia di Biella e Sindaco di Verrone, e garantita da Fiat Powertrain mediante la sottoscrizione di un accordo, di circa 800 posti di lavoro;
   le agevolazioni pubbliche approvate dal CIPE ammontano a complessivi 52 milioni di euro, di cui 22,5 milioni di euro per il contratto di programma «Fiat Powertrain Technologies SpA», per investimenti da realizzarsi nel comune di Verrone (Biella);
   lo stesso Sindaco del Comune di Verrone ha lamentato la clamorosa inadempienza da parte di Fiat in relazione allo stabilimento del suo Paese, dandone comunicazione in modo estremamente determinato sulla stampa locale, e coinvolgendo altri enti, quali la Regione Piemonte e la Provincia di Biella, i quali, avendo creduto agli intendimenti manifestati dall'azienda torinese, avevano fattivamente partecipato agli accordi formali intercorsi, ovviamente confidando nel puntuale rispetto degli accordi –:
   se, in esecuzione degli accordi intervenuti e di cui in premessa, risulti che la FIAT abbia incassato somme provenienti dall'Unione europea e dal Governo italiano per il progetto relativo allo stabilimento di Verrone;
   in caso affermativo, a quanto ammontino i finanziamenti effettivamente già erogati, se l'azienda abbia mantenuto i citati corrispondenti impegni assunti, soprattutto con riferimento ai livelli occupazionali, e, laddove questo non sia avvenuto, quali iniziative il Governo intenda assumere per indurre Fiat al rispetto di tali impegni o, in via alternativa, per ottenere la restituzione di qualsiasi finanziamento eventualmente già concesso all'azienda torinese. (3-00184)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Madia e altri n. 5-00509, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Zappulla.

  L'interrogazione a risposta scritta Orfini e Raciti n. 4-01158, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bini.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Zampa n. 4-01063, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 42 del 27 giugno 2013.

   ZAMPA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel 2012 il dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ha modificato i criteri di aggiudicazione dei bandi di gara previsti per i contratti per la gestione dei Centri di identificazione ed espulsione, centri di soccorso e prima assistenza, centri di accoglienza e centri di accoglienza per richiedenti asilo, scegliendo l'opzione del prezzo più basso rispetto a quella dell'offerta economicamente più vantaggiosa, con base d'asta di 30 euro al giorno per persona;
   nel maggio 2012 la prefettura di Bologna metteva a bando la gestione del Centro di identificazione ed espulsione di via Mattei con il criterio del prezzo più basso e la base d'asta sopra citata di 30 euro al giorno per persona, bando aggiudicato dal consorzio Oasi con un'offerta di 28 euro a persona al giorno, a fronte dei 69 euro corrisposti al precedente gestore;
   nel marzo 2013 la prefettura di Bologna ha deciso di chiudere temporaneamente il Centro di identificazione ed espulsione di Bologna per procedere a lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria e, a conclusione dei lavori, ha annunciato l'avvenuta rescissione del contratto con Oasi;
   sin dall'avvio della nuova gestione il consorzio assegnatario non ha pagato gli stipendi ai 31 dipendenti e al personale medico utilizzato, cifre anticipate dalla prefettura di Bologna, che hanno portato, tra l'altro, alla interruzione del contratto tra Oasi e prefettura;
   analoghe inadempienze nei pagamenti del personale si sono verificate anche nel Centro di identificazione ed espulsione di Modena, gestito ad analoghe condizioni contrattuali dalla stessa Oasi;
   il prefetto, in quanto committente, come previsto dagli articoli 1655 e seguenti del codice civile che disciplinano l'appalto, ha retribuito sin dal mese di gennaio i dipendenti subordinati dell'Oasi; secondo quanto si apprende da fonti di stampa il prefetto avrebbe affermato che non è tenuto invece, in base alla legislazione sopracitata, a retribuire i lavoratori parasubordinati;
   i Centri di identificazione ed espulsione si avvalgono del lavoro, oltre che del personale dipendente delle cooperative che vincono le gare di appalto, anche, e in molti casi soprattutto, dell'ausilio di personale parasubordinato come – tra gli altri – psicologi e mediatori culturali –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare al fine di facilitare quanto prima il raggiungimento di una soluzione a tutela dei diritti dei lavoratori. (4-01063)

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta orale Vargiu n. 3-00183 del 5 luglio 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-01176.