XVII LEGISLATURA
TESTO AGGIORNATO AL 31 LUGLIO 2013
COMUNICAZIONI
Comunicazioni del 24 luglio 2013.
Missioni valevoli nella seduta del 24 luglio 2013.
Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Archi, Baretta, Berretta, Bocci, Bray, Bressa, Brunetta, Caparini, Carrozza, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cirielli, D'Alia, Dambruoso, De Girolamo, Dell'Aringa, Dellai, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Fassina, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Galan, Gebhard, Giachetti, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giorgis, Gitti, Kyenge, La Russa, Legnini, Leone, Letta, Lorenzin, Lupi, Melilla, Giorgia Meloni, Merlo, Migliore, Moretto, Orlando, Pisicchio, Pistelli, Realacci, Sani, Santelli, Sereni, Speranza, Toninelli, Vezzali, Vito.
(Alla ripresa pomeridiana della seduta).
Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Archi, Baretta, Berretta, Bocci, Bray, Brunetta, Caparini, Capezzone, Carrozza, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cirielli, D'Alia, Dambruoso, De Girolamo, Dell'Aringa, Dellai, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Fassina, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Galan, Gebhard, Giachetti, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Kyenge, La Russa, Legnini, Leone, Letta, Lorenzin, Losacco, Lupi, Giorgia Meloni, Merlo, Migliore, Moretto, Orlando, Pisicchio, Pistelli, Realacci, Sani, Santelli, Sereni, Speranza, Tinagli, Turco, Vezzali, Vito.
(Alla ripresa notturna della seduta).
Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Archi, Baretta, Berretta, Biancofiore, Bocci, Borletti Dell'Acqua, Bray, Brunetta, Caparini, Capezzone, Carrozza, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cirielli, D'Alia, Dambruoso, De Girolamo, Dell'Aringa, Dellai, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Fassina, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Galan, Gebhard, Giachetti, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Kyenge, La Russa, Legnini, Leone, Letta, Lorenzin, Losacco, Lupi, Giorgia Meloni, Merlo, Migliore, Moretto, Orlando, Pisicchio, Pistelli, Realacci, Sani, Santelli, Sereni, Sisto, Speranza, Tinagli, Turco, Vezzali, Vito.
(Alla ripresa antimeridiana ).
Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Archi, Baretta, Berretta, Biancofiore, Bocci, Borletti Dell'Acqua, Bray, Brunetta, Caparini, Capezzone, Carrozza, Casero, Castiglione, Cicchitto, D'Alia, Dambruoso, De Girolamo, Dell'Aringa, Dellai, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Fassina, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Galan, Gebhard, Giachetti, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Kyenge, La Russa, Legnini, Letta, Lorenzin, Lupi, Antonio Martino, Giorgia Meloni, Merlo, Migliore, Moretto, Orlando, Pisicchio, Pistelli, Realacci, Sani, Santelli, Schullian, Sereni, Speranza, Tinagli, Vezzali, Vito.
(Alla ripresa pomeridiana della seduta nella giornata del 25 luglio 2013).
Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Archi, Baretta, Berretta, Biancofiore, Bocci, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Bray, Brunetta, Caparini, Capezzone, Carrozza, Casero, Castiglione, Cicchitto, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Girolamo, Dell'Aringa, Dellai, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Fassina, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Galan, Gebhard, Giachetti, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Kyenge, La Russa, Legnini, Letta, Lorenzin, Lupi, Antonio Martino, Giorgia Meloni, Merlo, Migliore, Moretto, Orlando, Pisicchio, Pistelli, Realacci, Sani, Santelli, Schullian, Sereni, Speranza, Tinagli, Valeria Valente, Vezzali, Vito.
(Alla ripresa antimeridiana della seduta nella giornata del 26 luglio 2013).
Angelino Alfano, Alfreider, Amici, Archi, Baldelli, Baretta, Berretta, Biancofiore, Bocci, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Bray, Caparini, Capezzone, Carrozza, Casero, Castiglione, Cicchitto, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Girolamo, Dell'Aringa, Dellai, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Fassina, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Galan, Gebhard, Giachetti, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Kyenge, La Russa, Legnini, Letta, Lorenzin, Lupi, Marantelli, Antonio Martino, Giorgia Meloni, Merlo, Migliore, Moretto, Orlando, Pannarale, Pisicchio, Pistelli, Realacci, Sani, Santelli, Schullian, Sereni, Speranza, Tinagli, Vargiu, Vezzali, Vito.
Annunzio di proposte di legge.
In data 23 luglio 2013 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
CAPARINI ed altri: «Modifiche agli articoli 565 e 586 del codice civile in materia di devoluzione dell'eredità ai comuni» (1404);
SBROLLINI: «Dichiarazione di monumento nazionale della Basilica Palladiana di Vicenza» (1405);
ZACCAGNINI: «Sospensione delle azioni di recupero dei crediti fiscali, contributivi e per sanzioni nonché delle procedure esecutive relative a crediti bancari nei riguardi delle imprese agricole» (1406);
GALLINELLA ed altri: «Modifiche agli articoli 448 e 518 del codice penale e all'articolo 51 del codice di procedura penale, in materia di contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari» (1407);
MELILLI: «Disposizioni concernenti la composizione dei consigli provinciali e disciplina dell'elezione del presidente della provincia e del consiglio provinciale» (1408);
COMINARDI ed altri: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle agevolazioni statali di cui ha beneficiato il gruppo FIAT dal secondo dopoguerra ad oggi e sulle conseguenti scelte industriali del gruppo medesimo» (1409);
MOSCA: «Istituzione del Fondo dei fondi presso la Cassa depositi e prestiti Spa» (1410).
In data 24 luglio 2013 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
CIPRINI ed altri: «Norme per il superamento del blocco delle assunzioni nelle pubbliche amministrazioni e per la chiamata dei vincitori e degli idonei nei concorsi indetti dalle medesime, istituzione di una banca di dati telematica degli avvisi e dei bandi per il reclutamento del personale nonché disposizioni in materia di pubblici concorsi» (1412);
VEZZALI: «Disposizioni per la tutela della salute di coloro che praticano attività sportive» (1413);
MIOTTO: «Modifica all'articolo 55 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, in materia di determinazione dei canoni dovuti alla società ANAS SpA per concessioni e autorizzazioni relative all'accesso, all'uso e all'occupazione delle strade e delle loro pertinenze» (1414);
CAPELLI: «Modifica all'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, concernente la collocazione degli istituti destinati ai detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione» (1415);
MINARDO: «Disposizioni per la riqualificazione, il recupero e la valorizzazione dei centri storici, specialmente appartenenti al patrimonio mondiale dell'UNESCO, nonché agevolazioni per l'acquisto della prima casa di abitazione» (1416).
In data 25 luglio 2013 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
MAZZIOTTI DI CELSO: «Modifiche al codice di procedura civile per l'accelerazione dei procedimenti civili» (1418);
MOGHERINI: «Ratifica ed esecuzione degli Emendamenti alla Convenzione sulla protezione fisica dei materiali nucleari del 3 marzo 1980, adottati a Vienna l'8 luglio 2005, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno» (1419);
MOGHERINI: «Ratifica ed esecuzione della Convenzione internazionale per la repressione di atti di terrorismo nucleare, adottata dalle Nazioni Unite a New York il 13 aprile 2005, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno» (1420);
FAENZI: «Disposizioni per la tutela dei prodotti agroalimentari a denominazione di origine protetta, indicazione geografica tipica e specialità tradizionale garantita, attraverso il divieto di installazione di impianti per la produzione di energia derivante da biogas o da biometano» (1421);
COLLETTI ed altri: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sull'espulsione della signora Alma Shalabayeva e di sua figlia dal territorio italiano verso il Kazakistan» (1422);
DI LELLO ed altri: «Disposizioni concernenti l'esenzione dei giovani professionisti dall'obbligo di assicurazione» (1423);
PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE VEZZALI: «Modifica all'articolo 9 della Costituzione, in materia di tutela dell'ambiente e degli animali» (1424);
DI LELLO: «Disciplina delle associazioni sportive dilettantistiche e disposizioni per la promozione della loro attività» (1425);
DE MITA: «Modifica all'articolo 13 della legge 27 marzo 1992, n. 257, in materia di pensionamento anticipato dei lavoratori già occupati in imprese estrattrici o utilizzatrici dell'amianto» (1426);
SCANU: «Disposizioni perequative in materia di collocamento nella posizione di ausiliaria del personale delle Forze armate e delle Forze di polizia cessato dal servizio a domanda e collocato in quiescenza nella posizione di riserva tra il 28 settembre 1996 e il 31 dicembre 1997» (1427);
DAMIANO ed altri: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro» (1428);
FABBRI: «Norme in materia di regolamentazione della figura di operatore sanitario naturopata» (1429).
Saranno stampate e distribuite.
Annunzio di una proposta di legge d'iniziativa regionale.
In data 23 luglio 2013 è stata presentata alla Presidenza, ai sensi dell'articolo 121 della Costituzione, la seguente proposta di legge:
PROPOSTA DI LEGGE D'INIZIATIVA DEL CONSIGLIO REGIONALE DELLE MARCHE: «Divieto di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi» (1411).
Sarà stampata e distribuita.
Trasmissione dal Senato.
In data 25 luglio 2013 il Presidente del Senato ha trasmesso alla Presidenza il seguente disegno di legge:
S. 896. – «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1° luglio 2013, n. 78, recante disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena» (approvato dal Senato) (1417).
Sarà stampato e distribuito.
Annunzio di una proposta di inchiesta parlamentare.
In data 24 luglio 2013 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di inchiesta parlamentare d'iniziativa dei deputati:
FIORONI e GRASSI: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro» (Doc. XXII, n. 13).
Modifica del titolo di una proposta di legge.
La proposta di legge n. 1253, d'iniziativa dei deputati GIORGIA MELONI ed altri, ha assunto il seguente titolo: «Disposizioni in materia di pensioni superiori a dieci volte l'integrazione al trattamento minimo INPS».
Adesione di deputati a proposte di legge.
La proposta di legge SCALFAROTTO ed altri: «Modifiche alla legge 13 ottobre 1975, n. 654, e al decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, per il contrasto dell'omofobia e della transfobia» (245) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Carra.
La proposta di legge BELLANOVA ed altri: «Disciplina delle modalità di sottoscrizione della lettera di dimissioni volontarie e della lettera di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro» (272) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Antezza.
La proposta di legge BRESSA ed altri: «Introduzione degli articoli 613-bis e 613-ter del codice penale e altre disposizioni in materia di tortura» (276) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Carra.
La proposta di legge PASTORELLI ed altri: «Disposizioni agevolative in materia di determinazione dell'interesse e delle spese relativi alle operazioni di credito agrario e peschereccio» (575) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Borghese, Capelli, Capodicasa, Capone, Capozzolo, Gullo, Magorno, Melilli, Rostan, Sannicandro e Valeria Valente.
La proposta di legge SBROLLINI: «Norme per il riconoscimento della figura professionale del giornalista libero professionista» (618) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Fabbri.
La proposta di legge RIGONI e RUBINATO: «Modifiche ai testi unici di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica» (1026) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Ginato, Ginoble, Oliverio e Quartapelle Procopio.
La proposta di legge MOGHERINI ed altri: «Ratifica ed esecuzione del Trattato sul commercio delle armi, adottato a New York dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 2 aprile 2013» (1239) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Spadoni.
Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.
A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
III Commissione (Affari esteri):
BLAZINA ed altri: «Ratifica ed esecuzione della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, fatta a Strasburgo il 5 novembre 1992» (555) Parere delle Commissioni I, II, V, VII, IX e XI.
VII Commissione (Cultura):
FORMISANO ed altri: «Norme per la valorizzazione del sistema dell'alta formazione e specializzazione artistica e musicale e disposizioni in materia di stabilizzazione del personale docente e amministrativo» (825) Parere delle Commissioni I, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria) e XI.
Trasmissione dal Ministro degli affari esteri.
Il Ministro degli affari esteri, con lettera in data 17 luglio 2013, ha trasmesso una nota relativa all'attuazione data alla risoluzione MARAZZITI n. 7/00016, accolta dal Governo ed approvata dalla III Commissione (Affari esteri) nella seduta del 5 giugno 2013, sull'abolizione universale della pena capitale in relazione al V Congresso mondiale contro la pena di morte (Madrid 12-15 giugno 2013).
La suddetta nota è a disposizione degli onorevoli deputati presso il Servizio per il Controllo parlamentare ed è trasmessa alla III Commissione (Affari esteri), competente per materia.
Trasmissione dal Ministro della salute.
Il Ministro della salute, con lettera in data 19 luglio 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 15, comma 2, della legge 19 febbraio 2004, n. 40, la relazione sullo stato di attuazione della medesima legge n. 40 del 2004, recante norme in materia di procreazione medicalmente assistita, riferita all'attività dei centri di procreazione medicalmente assistita nell'anno 2011 e all'utilizzo dei finanziamenti nell'anno 2012 (Doc. CXLII, n. 1).
Questa relazione è trasmessa alla XII Commissione (Affari sociali).
Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.
La Commissione europea, in data 23 luglio 2013, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
Proposta di regolamento del Consiglio sull'impresa comune «Celle a combustibile e idrogeno 2» (COM(2013) 506 final) e relativo documento di accompagnamento – Documento di lavoro dei servizi della Commissione – Sintesi della valutazione d'impatto (SWD(2013) 261 final), che sono assegnati in sede primaria alla X Commissione (Attività produttive);
Relazione della Commissione – Dodicesima relazione sui preparativi pratici in vista del futuro allargamento dell'area dell'euro (COM(2013) 540 final), che è assegnata in sede primaria alla V Commissione (Bilancio).
Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 23 luglio 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 1 e 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.
Tali atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).
Annunzio di provvedimenti concernenti amministrazioni locali.
Il Ministero dell'interno, con lettere in data 22 luglio 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 141, comma 6, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, i decreti del Presidente della Repubblica di scioglimento dei consigli comunali di Albavilla (Como), Alfiano Natta (Alessandria), Apricena (Foggia), Argegno (Como), Bernalda (Matera), Dalmine (Bergamo), San Marco in Lamis (Foggia), San Martino in Pensilis (Campobasso) e Santarcangelo di Romagna (Rimini).
Questa documentazione è depositata presso il Servizio per i Testi normativi a disposizione degli onorevoli deputati.
Comunicazioni del 25 luglio 2013.
Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.
A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
VIII Commissione (Ambiente):
LATRONICO ed altri: «Norme per il governo del territorio mediante la limitazione del consumo del suolo e il riutilizzo delle aree urbane, nonché delega al Governo per l'adozione di misure fiscali e perequative» (1128) Parere delle Commissioni I, II, IV, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, X, XIII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento) e XIV.
XI Commissione (Lavoro):
GIORGIA MELONI ed altri: «Disposizioni in materia di pensioni superiori a dieci volte l'integrazione al trattamento minimo INPS» (1253) Parere delle Commissioni I, V e XII;
POLVERINI: «Norme in materia di rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro, di rappresentatività delle organizzazioni sindacali e di efficacia dei contratti collettivi di lavoro, nonché delega al Governo per l'introduzione di disposizioni sulla collaborazione dei lavoratori alla gestione delle aziende, in attuazione dell'articolo 46 della Costituzione» (1376) Parere delle Commissioni I, II, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), X, XII e XIV.
XII Commissione (Affari sociali):
MURER ed altri: «Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne, l'assistenza delle vittime e la promozione della soggettività femminile» (951) Parere delle Commissioni I, II, V, VII, XI e XIV.
Trasmissione dal Presidente del Senato.
Il Presidente del Senato, con lettera in data 12 luglio 2013, ha comunicato che sono state approvate, ai sensi dell'articolo 144, commi 1 e 6, del Regolamento del Senato, le seguenti risoluzioni della I Commissione (Affari costituzionali), che sono trasmesse alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
risoluzione sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l'Agenzia dell'Unione europea per la cooperazione e la formazione delle autorità di contrasto (Europol) e abroga le decisioni 2009/371/GAI del Consiglio e 2005/681/GAI del Consiglio (COM(2013) 173 final) (Atto Senato Doc. XVIII, n. 12);
risoluzione sulla proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che introduce un regime semplificato per il controllo delle persone alle frontiere esterne basato sul riconoscimento unilaterale, da parte della Croazia e di Cipro, di determinati documenti come equipollenti al loro visto nazionale di transito o per soggiorni previsti di non più di 90 giorni su un periodo di 180 giorni nel loro territorio e che abroga le decisioni del Parlamento europeo e del Consiglio n. 895/2006/CE e n. 582/2008/CE (COM(2013) 441 final) (Atto Senato Doc. XVIII, n. 13).
Annunzio di una proposta di modificazione al Regolamento.
In data 24 luglio 2013 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di modificazione al Regolamento d'iniziativa della deputata:
POLLASTRINI: «Articolo 22: Istituzione della XV Commissione permanente – Diritti e pari opportunità» (Doc. II, n. 5).
Sarà pubblicata e trasmessa alla Giunta per il Regolamento.
Trasmissione dalla Presidenza del Consiglio dei ministri.
La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 25 luglio 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 8-ter del Regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1998, n. 76, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con cui è autorizzato, in relazione a un intervento da realizzare tramite contributi assegnati in sede di ripartizione della quota dell'otto per mille dell'IRPEF devoluta alla diretta gestione statale, l'utilizzo delle economie di spesa realizzate dal comune di Masullas (Oristano), a valere su contributi concessi per l'anno 2007, per ulteriori lavori connessi al restauro conservativo e al consolidamento statico della chiesa parrocchiale.
Questo decreto è trasmesso alla V Commissione (Bilancio) e alla VII Commissione (Cultura).
Trasmissione dal Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 25 luglio 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 4 e 5, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, la relazione in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica delle direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE per quanto riguarda la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità da parte di talune società e di taluni gruppi di grandi dimensioni (COM(2013) 207 final), accompagnata dalla tabella di corrispondenza tra le disposizioni della proposta e le norme nazionali vigenti.
Questa relazione è trasmessa alla II Commissione (Giustizia), alla VI Commissione (Finanze) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).
Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.
La Commissione europea, in data 24 luglio 2013, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato Trattato sull'Unione europea, la proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'anno europeo dello sviluppo (2015) (COM(2013)509 final), che è assegnata, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alla III Commissione (Affari esteri), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).
Trasmissione dalla Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali.
Il presidente della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, con lettera in data 23 luglio 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 13, comma 1, lettera m), della legge 12 giugno 1990, n. 146, copia della relazione annuale sull'attività svolta dalla Commissione nell'anno 2012, corredata dalla relazione del medesimo presidente.
Questa relazione è trasmessa alla XI Commissione (Lavoro).
Comunicazioni del 26 luglio 2013.
Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.
A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sotto indicate Commissioni permanenti:
II Commissione (Giustizia):
FERRANTI ed altri: «Introduzione dell'articolo 411-bis del codice di procedura penale e altre disposizioni per la definizione del processo penale nei casi di particolare tenuità del fatto» (806) Parere della I Commissione.
III Commissione (Affari esteri):
CARUSO e CHAOUKI: «Ratifica ed esecuzione della Convenzione concernente la competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, conclusa all'Aja il 19 ottobre 1996» (648) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), V, XI e XII.
VII Commissione (Cultura):
ABRIGNANI: «Modifiche all'articolo 8 della legge 24 dicembre 2003, n. 363, in materia di obbligo di utilizzo del casco protettivo nell'esercizio della pratica dello sci alpino e dello snowboard» (864) Parere delle Commissioni I e II.
XI Commissione (Lavoro):
DI SALVO: «Disposizioni per la stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili nel settore scolastico» (877) Parere delle Commissioni I, V e VII.
XIII Commissione (Agricoltura):
CAON ed altri: «Modifica all'articolo 2 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, e altre disposizioni per il contenimento della propagazione delle nutrie e dei piccioni» (1166) Parere delle Commissioni I, V, VIII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), XII e XIV.
Assegnazione di proposta di inchiesta parlamentare a Commissioni in sede referente.
A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, la seguente proposta di inchiesta parlamentare è assegnata, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e III Commissione (Affari esteri):
GIANCARLO GIORGETTI ed altri: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sull'espulsione e sul rimpatrio della moglie e della figlia di un dissidente politico kazako» (Doc. XXII, n. 12) – Parere delle Commissioni II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni) e V.
Sentenze della Corte costituzionale.
La Corte costituzionale ha depositato in cancelleria le seguenti sentenze che, ai sensi dell'articolo 108, comma 1, del Regolamento, sono inviate alle sottoindicate Commissioni competenti per materia, nonché alla I Commissione (Affari costituzionali), se non già assegnate alla stessa in sede primaria:
Sentenza n. 189 del 3-12 luglio 2013 (Doc. VII, n. 121),
con la quale:
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 3, comma 1, della legge della regione Liguria 6 agosto 2012, n. 27, recante «Modifiche alla legge regionale 1o luglio 1994, n. 29 (Norme regionali per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio)», promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all'articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione:
alla XIII Commissione (Agricoltura);
Sentenza n. 204 del 3-18 luglio 2013 (Doc. VII, n. 126),
con la quale:
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli articoli 96, terzo comma, del codice di procedura civile, e 133 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione ed all'articolo 6 della legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), dal tribunale di Tivoli:
alla II Commissione (Giustizia);
Sentenza n. 205 del 3-18 luglio 2013 (Doc. VII, n. 127),
con la quale:
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 23-ter, comma 1, lettera g), del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, promossa, in riferimento agli articoli 3 e 97 della Costituzione, dalla regione Veneto;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 23-ter, comma 1, lettera g), del medesimo decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, promossa, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla regione Veneto:
alle Commissioni riunite V (Bilancio) e VI (Finanze);
Sentenza n. 214 del 3-18 luglio 2013 (Doc. VII, n. 133),
con la quale:
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 315, comma 3, in relazione all'articolo 646, comma 1, del codice di procedura penale sollevata, in riferimento agli articoli 111, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, dalle Sezioni unite della Corte di cassazione:
alla II Commissione (Giustizia);
Sentenza n. 215 del 3-18 luglio 2013 (Doc. VII, n. 134),
con la quale:
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, comma 16, del medesimo decreto-legge n. 95 del 2012, promossa dalla regione autonoma Friuli-Venezia Giulia:
alla VII Commissione (Cultura);
Sentenza n. 216 del 3-18 luglio 2013 (Doc. VII, n. 135),
con la quale:
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 81-bis delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile, come modificato dall'articolo 1-ter del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, «nella parte in cui prevede che il giudice “fissa” il calendario del processo, così sancendone l'obbligatorietà in ogni caso», sollevate, in riferimento agli articoli 3 e 111 della Costituzione, dal tribunale ordinario di Varese, in composizione monocratica:
alla II Commissione (Giustizia);
Sentenza n. 224 del 16-19 luglio 2013 (Doc. VII, n. 142),
con la quale:
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 16 della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), sollevata, in relazione agli articoli 10, 35, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, dal tribunale ordinario di Forlì:
alla XI Commissione (Lavoro);
Sentenza n. 225 del 16-19 luglio 2013 (Doc. VII, n. 143),
con la quale:
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 5, comma 7, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 promosse, con riferimento agli articoli 3, 39, 41 e 97 della Costituzione e al “principio dell'affidamento e della sicurezza giuridica”, dalla regione autonoma Sardegna;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 5, comma 7, del decreto-legge n. 95 del 2012, promosse, in riferimento agli articoli 3, primo comma, lettera a), e 7 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) e agli articoli 117 e 119 della Costituzione, dalla regione autonoma Sardegna:
alla XI Commissione (Lavoro);
Sentenza n. 233 del 16-23 luglio 2013 (Doc. VII, n. 150),
con la quale:
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 2, della legge della Provincia autonoma di Trento 30 luglio 2012, n. 17 (Disposizioni in materia di servizi pubblici e modificazioni della legge provinciale 31 maggio 2012, n. 10, in materia di iniziative per la modernizzazione del settore pubblico provinciale e per la revisione della spesa pubblica), in riferimento agli articoli 8 e 9, n. 9 e n. 10, del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), ed all'articolo 117, secondo comma, lettere e) ed s), della Costituzione, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri:
alla VIII Commissione (Ambiente);
Sentenza n. 234 del 16-23 luglio 2013 (Doc. VII, n. 151),
con la quale:
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, 2, comma 1, lettera a), 3, comma 1, con le relative tabelle, del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155 (Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148), promosse dalla regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in riferimento agli articoli 5, 72, quarto comma, 76 e 77 della Costituzione:
alla II Commissione (Giustizia);
La Corte costituzionale ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 30, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, copia delle seguenti sentenze che, ai sensi dell'articolo 108, comma 1, del Regolamento, sono inviate alle sottoindicate Commissioni competenti per materia, nonché alla I Commissione (Affari costituzionali), se non già assegnate alla stessa in sede primaria:
con lettera in data 12 luglio 2013, Sentenza n. 186 del 3-12 luglio 2013
(Doc. VII, n. 118),
con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 51, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2011), sia nel testo risultante a seguito delle modificazioni già introdotte dall'articolo 17, comma 4, lettera e), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, sia nel testo, attualmente vigente, risultante a seguito delle modificazioni introdotte dall'articolo 6-bis, comma 2, lettere a) e b), del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189:
alle Commissioni riunite V (Bilancio) e XII (Affari sociali);
con lettera in data 12 luglio 2013, Sentenza n. 187 del 3-12 luglio 2013 (Doc. VII, n. 119),
con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 11, comma 1, lettera c), e comma 3 della legge della Provincia autonoma di Trento 3 agosto 2012, n. 18, recante «Modificazioni della legge provinciale 10 settembre 1993, n. 26 (legge provinciale sui lavori pubblici), della legge provinciale 15 dicembre 1980, n. 35 (Determinazione delle quote di aggiunta di famiglia e disposizioni varie in materia di personale), della legge provinciale 3 aprile 1997, n. 7 (legge sul personale della Provincia), dell'articolo 14 (Costituzione della società “Patrimonio del Trentino s.p.a.”) della legge provinciale 10 febbraio 2005, n. 1, della legge provinciale 16 maggio 2012, n. 9 (Interventi a sostegno del sistema economico e delle famiglie), e della legge provinciale 31 maggio 2012, n. 10 (Interventi urgenti per favorire la crescita e la competitività del Trentino)»;
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 30, comma 3-bis, della legge della Provincia autonoma di Trento 10 settembre 1993, n. 26 (Norme in materia di lavori pubblici di interesse provinciale e per la trasparenza negli appalti), introdotto dall'articolo 16, comma 1, lettera a), della legge della Provincia autonoma di Trento n. 18 del 2012 e modificato dall'articolo 68, comma 1, lettera a), della legge della Provincia autonoma di Trento 27 dicembre 2012, n. 25 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2013 e pluriennale 2013-2015 della Provincia autonoma di Trento – Legge finanziaria provinciale 2013);
dichiara l'illegittimità costituzionale, in via consequenziale, ai sensi dell'articolo 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), dell'articolo 11, comma 2, della legge della Provincia autonoma di Trento n. 18 del 2012;
dichiara l'illegittimità costituzionale, in via consequenziale, ai sensi dell'articolo 27 della legge n. 87 del 1953, dell'articolo 16, comma 1, lettera b), e comma 3, della legge della Provincia autonoma di Trento n. 18 del 2012;
dichiara estinto il processo relativo alla questione di legittimità costituzionale dell'articolo 16, comma 1, lettera c), della legge della Provincia autonoma di Trento n. 18 del 2012, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri:
alla VIII Commissione (Ambiente);
con lettera in data 12 luglio 2013, Sentenza n. 188 del 3-12 luglio 2013 (Doc. VII, n. 120),
con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 5, comma 23, della legge della regione autonoma della Sardegna 7 agosto 2009, n. 3 (Disposizioni urgenti nei settori economico e sociale), nella parte in cui dispone che gli impianti eolici con potenza complessiva inferiore o uguale a 60 kW sono considerati minieolici e non sono assoggettati alle procedure di valutazione di impatto ambientale:
alla VIII Commissione (Ambiente);
con lettera in data 17 luglio 2013, Sentenza n. 193 del 3-17 luglio 2013 (Doc. VII, n. 122),
con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 1, lettera b), della legge della regione Lombardia 31 luglio 2012, n. 15 (Modifiche alla legge regionale 16 agosto 1993, n. 26 «Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell'equilibrio ambientale e disciplina dell'attività venatoria» concernenti il periodo di allenamento e addestramento cani);
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 3, della legge della regione Veneto 10 agosto 2012, n. 31 (Disciplina della attività di movimento dei giovani cani), nella parte in cui prevede che le attività di movimento di giovani cani da esso consentite possano riguardare i giovani cani da destinare all'esercizio della attività venatoria;
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 2, della legge della regione Veneto 10 agosto 2012, n. 31 (Disciplina della attività di movimento dei giovani cani) nella parte in cui, rinviando all'articolo 4 della legge della regione Veneto 28 dicembre 1993, n. 60 (Tutela degli animali d'affezione e prevenzione del randagismo), consente che si possa procedere alla identificazione dei giovani cani mediante tatuaggio:
alla XIII Commissione (Agricoltura);
con lettera in data 17 luglio 2013, Sentenza n. 194 del 3-17 luglio 2013 (Doc. VII, n. 123),
con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale degli articoli 1, comma 2, 2 e 4, commi 1, 2, 3, della legge della regione Lombardia 31 luglio 2012, n. 16 (Valorizzazione dei reperti mobili e dei cimeli appartenenti a periodi storici diversi dalla prima guerra mondiale):
alla VII Commissione (Cultura);
con lettera in data 18 luglio 2013, Sentenza n. 202 del 3-18 luglio 2013 (Doc. VII, n. 124),
con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 5, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 (Disposizioni sull'ingresso, il soggiorno e l'allontanamento dal territorio dello Stato), nella parte in cui prevede che la valutazione discrezionale in esso stabilita si applichi solo allo straniero che «ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare» o al «familiare ricongiunto», e non anche allo straniero «che abbia legami familiari nel territorio dello Stato»;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione all'articolo 9 del decreto legislativo n. 286 del 1998:
alla I Commissione (Affari costituzionali);
con lettera in data 18 luglio 2013, Sentenza n. 203 del 3-18 luglio 2013 (Doc. VII, n. 125),
con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto, e alle condizioni ivi stabilite, il parente o l'affine entro il terzo grado convivente, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri soggetti individuati dalla disposizione impugnata, idonei a prendersi cura della persona in situazione di disabilità grave;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, sollevata, in riferimento agli articoli 2, 3, 4, 29, 32, 35 e 118, quarto comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, nella parte in cui «in assenza di altri soggetti idonei, non consente ad altro parente o affine convivente di persona con handicap in situazione di gravità, debitamente accertata, di poter fruire del congedo straordinario»:
alla XI Commissione (Lavoro);
con lettera in data 18 luglio 2013, Sentenza n. 209 del 3-18 luglio 2013 (Doc. VII, n. 128),
con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale degli articoli 2, comma 1; 3, comma 1, e 4, commi 2 e 4, della legge della regione Basilicata 13 luglio 2012, n. 12 (Norme per orientare e sostenere il consumo dei prodotti agricoli di origine regionale a chilometri zero);
dichiara, in applicazione dell'articolo 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale dell'articolo 4, comma 3, della medesima legge della regione Basilicata n. 12 del 2012:
alla XIII Commissione (Agricoltura);
con lettera in data 18 luglio 2013, Sentenza n. 210 del 3-18 luglio 2013 (Doc. VII, n. 129),
con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 7, comma 1, del decreto-legge 24 novembre 2000, n. 341 (Disposizioni urgenti per l'efficacia e l'efficienza dell'amministrazione della giustizia), convertito, con modificazioni, dalla legge 19 gennaio 2001, n. 4;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 7, comma 1, del decreto-legge 24 novembre 2000, n. 341 (Disposizioni urgenti per l'efficacia e l'efficienza dell'amministrazione della giustizia), convertito, con modificazioni, dalla legge 19 gennaio 2001, n. 4, sollevata, in riferimento all'articolo 3 della Costituzione, dalla Corte di cassazione, sezioni unite penali;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 8 del decreto-legge 24 novembre 2000, n. 341 (Disposizioni urgenti per l'efficacia e l'efficienza dell'amministrazione della giustizia), convertito, con modificazioni, dalla legge 19 gennaio 2001, n. 4, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'articolo 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, dalla Corte di cassazione, sezioni unite penali:
alla II Commissione (Giustizia);
con lettere in data 18 e 22 luglio 2013, Sentenza n. 211 del 3-18 luglio 2013 (Doc. VII, n. 130),
con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2 della legge della regione Abruzzo 28 agosto 2012, n. 46 (Modifiche alla legge regionale 13 febbraio 2003, n. 2, recante «Disposizioni in materia di beni paesaggistici e ambientali, in attuazione della Parte terza del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 – Codice dei beni culturali e del paesaggio):
alla VIII Commissione (Ambiente);
con lettera in data 18 luglio 2013, Sentenza n. 212 del 3-18 luglio 2013 (Doc. VII, n. 131),
con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 3, comma 5, della legge della regione Abruzzo 10 agosto 2012, n. 44 (Norme per la diffusione di metodologie alternative alla sperimentazione animale);
dichiara inammissibile la questione di legittimità dell'articolo 3, comma 4, lettere a), b) e c), della legge della regione Abruzzo n. 44 del 2012, promossa, in riferimento all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri:
alla XII Commissione (Affari sociali);
con lettera in data 18 luglio 2013, Sentenza n. 213 del 3-18 luglio 2013 (Doc. VII, n. 132),
con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 275, comma 3, secondo periodo, del codice di procedura penale, come modificato dall'articolo 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all'articolo 630 del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure:
alla II Commissione (Giustizia);
con lettera in data 19 luglio 2013, Sentenza n. 218 del 16-19 luglio 2013 (Doc. VII, n. 136),
con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 12, comma 15, della legge della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 25 luglio 2012, n. 14 (Assestamento del bilancio 2012 e del bilancio pluriennale per gli anni 2012-2014 ai sensi dell'articolo 34 della legge regionale n. 21/2007);
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 12, comma 19, lettera b), della medesima legge della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 14 del 2012;
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 12, comma 31, della medesima legge della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 14 del 2012;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 9, commi 53, 54 e 55, e 12, commi 11, 12, 13, 14, 15, 19, 30 e 31, della legge della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 14 del 2012, promosse, in riferimento agli articoli 4 e 5 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia) e agli articoli 114 e 117, comma primo, della Costituzione;
dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell'articolo 9, commi 53, 54 e 55, della legge della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 14 del 2012, promossa, in riferimento agli articoli 81, comma quarto, 97 e 117, comma terzo, della Costituzione;
dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell'articolo 12, commi 11, 12, 13 e 14, della legge della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 14 del 2012, promossa, in riferimento all'articolo 117, commi secondo, lettera l), e terzo, della Costituzione;
dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell'articolo 12, comma 30, della legge della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 14 del 2012, promossa, in riferimento agli articoli 3, 97 e 117, comma terzo, della Costituzione:
alla XI Commissione (Lavoro);
con lettera in data 19 luglio 2013, Sentenza n. 219 del 16-19 luglio 2013 (Doc. VII, n. 137),
con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1, commi 1, 2, 3, 4 e 5 del decreto legislativo del 6 settembre 2011, n. 149 (Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42), nel testo introdotto dall'articolo 1-bis, comma 1, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), come modificato dalla legge di conversione 7 dicembre 2012, n. 213;
dichiara l'illegittimità costituzionale in via consequenziale dell'articolo 1, commi 3-bis e 6, del decreto legislativo n. 149 del 2011, nel testo introdotto dall'articolo 1-bis, comma 1, del decreto-legge n. 174 del 2012, come modificato dalla legge di conversione n. 213 del 2012;
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2, commi 2, 3 e 5, del decreto legislativo n. 149 del 2011;
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 3, commi 2 e 3, del decreto legislativo n. 149 del 2011, nel testo vigente a seguito della modifica introdotta dall'articolo 1, comma 3, lettera a), numero 8), del decreto legislativo 15 novembre 2011, n. 195 (Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, recante codice del processo amministrativo a norma dell'articolo 44, comma 4, della legge 18 giugno 2009, n. 69);
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 149 del 2011, nel testo introdotto dall'articolo 1-bis, comma 4, del decreto-legge n. 174 del 2012, come modificato dalla legge di conversione n. 213 del 2012, nella parte in cui si applica alle regioni a statuto ordinario e a statuto speciale, e alle Province autonome;
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 7 del decreto legislativo n. 149 del 2011, nel testo vigente a seguito delle modifiche introdotte dall'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)», nella parte in cui si applica alle regioni a statuto speciale e alle Province autonome;
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 13, secondo periodo, del decreto legislativo n. 149 del 2011;
dichiara cessata la materia del contendere, con riferimento all'articolo 5 del decreto legislativo n. 149 del 2011, nel testo anteriore alle modifiche introdotte con il decreto-legge n. 174 del 2012, come modificato dalla legge di conversione n. 213 del 2012, nei ricorsi promossi dalle regioni autonome Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste e Trentino-Alto Adige/Sudtirol, e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalle regioni Emilia-Romagna ed Umbria, in riferimento agli articoli 24, 100, 103, secondo comma, 120, 122 e 126 della Costituzione, e ai principi di ragionevolezza e leale collaborazione;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalla regione Lazio, in riferimento agli articoli 120, 121, 122, 123 e 126 della Costituzione ed al principio di leale collaborazione;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalla regione Calabria, in riferimento agli articoli 121 e 126 della Costituzione;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 149 del 2011, nel testo introdotto dall'articolo 1-bis, comma 4, del decreto-legge n. 174 del 2012, come modificato dalla legge di conversione n. 213 del 2012, promossa dalla regione autonoma Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste, in riferimento all'articolo 2, comma 1, lettera b), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d'Aosta;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 13, primo periodo, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalla regione autonoma Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste, in riferimento agli articoli 5, 76, 117, terzo e quarto comma, 118, 119 e 120 della Costituzione e agli articoli 2, comma 1, lettere a) e b), 3, comma 1, lettere f) e l), 4, 12, 15, 48, 48-bis e 50 della legge costituzionale n. 4 del 1948;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 13, primo periodo, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalla regione autonoma Trentino-Alto Adige/Sudtirol e dalla Provincia autonoma di Trento, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione, agli articoli 79, 103, 104 e 107 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), all'articolo 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), e al principio di leale collaborazione;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 13, primo periodo, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalla regione siciliana, in riferimento agli articoli 76 e 119 della Costituzione e all'articolo 43 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della regione siciliana;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 13, primo periodo, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalla Provincia autonoma di Bolzano, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione; agli articoli 8, numero 1), 9, numero 10), 47, 49-bis, 54, 79, 80, 81, 104 e 107 del decreto del Presidente della Repubblica n. 670 del 1972 e all'articolo 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, nel testo introdotto dall'articolo 1-bis, comma 1, del decreto-legge n. 174 del 2012, come modificato dalla legge di conversione n. 213 del 2012; 2; 3, nel testo modificato dall'articolo 1, comma 3, lettera a), numero 8), del decreto legislativo n. 195 del 2011; 4, nel testo introdotto dall'articolo 1-bis, comma 2, del decreto-legge n. 174 del 2012, come modificato dalla legge di conversione n. 213 del 2012; e 6, nel testo modificato dall'articolo 3, comma 6, del decreto-legge n. 174 del 2012, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalla regione autonoma Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste, in riferimento agli articoli 76 della Costituzione; 2, comma 1, lettere a) e b), 3, comma 1, lettera l), 4, 15, comma 2, 48-bis e 50 della legge costituzionale n. 4 del 1948;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, nel testo introdotto dall'articolo 1-bis, comma 1, del decreto-legge n. 174 del 2012, come modificato dalla legge di conversione n. 213 del 2012; 2, commi 4 e 7; 4, nel testo introdotto dall'articolo 1-bis, comma 2, del decreto-legge n. 174 del 2012, come modificato dalla legge di conversione n. 213 del 2012; e 6, nel testo modificato dall'articolo 3, comma 6, del decreto-legge n. 174 del 2012, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalla regione autonoma Trentino-Alto Adige/Sudtirol in riferimento agli articoli 76, 117, terzo, quarto e sesto comma, e 120 della Costituzione; agli articoli 4, numeri 1) e 3), 79, 80 e 107 del decreto del Presidente della Repubblica n. 670 del 1972; agli articoli 16 e 17, comma 2, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale); agli articoli 2 e 4 del decreto legislativo n. 266 del 1992; agli articoli 2 e 6 del decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 1988, n. 305 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige per l'istituzione delle sezioni di controllo della Corte dei conti di Trento e di Bolzano e per il personale ad esse addetto) e al principio di leale collaborazione;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, nel testo introdotto dall'articolo 1-bis, comma 1, del decreto-legge n. 174 del 2012, come modificato dalla legge di conversione n. 213 del 2012; 2, commi 1, 2, 3, 4 e 7; 3, nel testo modificato dall'articolo 1, comma 3, lettera a), numero 8), del decreto legislativo n. 195 del 2011; 4, nel testo introdotto dall'articolo 1-bis, comma 2, del decreto-legge n. 174 del 2012, come modificato dalla legge di conversione n. 213 del 2012; e 6, nel testo modificato dall'articolo 3, comma 6, del decreto-legge n. 174 del 2012, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalla Provincia autonoma di Trento in riferimento agli articoli 24, 76, 117, terzo, quarto e sesto comma, 100, 103, secondo comma, 120 e 126 della Costituzione; agli articoli 8, numero 1), 47, 49-bis, 54, 69, 79, 80 e 107 del decreto del Presidente della Repubblica n. 670 del 1972; agli articoli 2 e 4 del decreto legislativo n. 266 del 1992; agli articoli 16 e 17 del decreto legislativo n. 268 del 1992; agli articoli 2 e 6 del decreto del Presidente della Repubblica n. 305 del 1988 e ai principi di leale collaborazione e di ragionevolezza;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, nel testo introdotto dall'articolo 1-bis, comma 1, del decreto-legge n. 174 del 2012, come modificato dalla legge di conversione n. 213 del 2012; 2; 3, nel testo vigente a seguito della modifica introdotta dall'articolo 1, comma 3, lettera a), numero 8), del decreto legislativo n. 195 del 2011; e 7, nel testo vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 228 del 2012, del decreto legislativo n. 149 del 2011 promosse dalla regione Lazio, in riferimento agli articoli 5, 76 e 120 della Costituzione ed al principio di leale collaborazione;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 1-bis, comma 1, lettera c), del decreto-legge n. 174 del 2012, promosse dalla regione autonoma Sardegna in riferimento agli articoli 3, 97, 116, 117, 119 e 127 della Costituzione; agli articoli 7, 8, 15, 33, 35, 37, 54, 56 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, recante lo statuto speciale per la Sardegna; agli articoli 1, 4, 5 e 10 del decreto del Presidente della Repubblica 16 gennaio 1978, n. 21 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna concernente il controllo sugli atti della regione;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 1-bis, comma 1, lettera a), numero 1), e lettera e), del decreto-legge n. 174 del 2012, promosse dalla regione autonoma Friuli-Venezia Giulia in riferimento agli articoli 3, 24, 97, 113, 116 e 117, terzo e quarto comma, della Costituzione; agli articoli 4, numero 1), 12, 22, 41, 48 e 65 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, recante lo statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia; e all'articolo 33 del decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1975, n. 902 (Adeguamento ed integrazione delle norme di attuazione dello statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalla regione siciliana, in riferimento agli articoli 76 e 119 della Costituzione e agli articoli 8, 9 e 10 del regio decreto legislativo n. 455 del 1946;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 2, commi 1, 2, 3, 5, 7, e 3 del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalle regioni Emilia-Romagna ed Umbria, in riferimento agli articoli 76 e 114 della Costituzione;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, 2, commi 1, 2, 3 e 5, 3 e 7 del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalla regione Lazio, in riferimento agli articoli 5, 76, 120 della Costituzione e al principio di leale collaborazione;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, nel testo introdotto dall'articolo 1-bis, comma 1, del decreto-legge n. 174 del 2012, come modificato dalla legge di conversione n. 213 del 2012; 2, 3, nel testo modificato dall'articolo 1, comma 3, lettera a), numero 8), del decreto legislativo n. 195 del 2011; 4, nel testo introdotto dall'articolo 1-bis, comma 2, del decreto-legge n. 174 del 2012, come modificato dalla legge di conversione n. 213 del 2012; e 6, nel testo modificato dall'articolo 3, comma 6, del decreto-legge n. 174 del 2012, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalla Provincia autonoma di Bolzano in riferimento agli articoli 76, 100 e 120 della Costituzione; agli articoli 4, numero 3), 8, 9, numero 10), 16, 47, 49-bis, 54, 79, 80, 81, 103, 104 e 107 del decreto del Presidente della Repubblica n. 670 del 1972; all'articolo 16 del decreto legislativo n. 268 del 1992; al decreto del Presidente della Repubblica n. 305 del 1988; all'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla regione Trentino-Alto Adige ed alle province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616);
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 149 del 2011 promosse dalle regioni Emilia-Romagna ed Umbria, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione ed al principio della certezza del diritto;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promossa dalla regione Calabria, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 2, commi 1, 2, 3 e 5, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalle regioni Emilia-Romagna, Umbria e Calabria, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 2, commi 1, 2, 3 e 5, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalla regione Lazio, in riferimento agli articoli 120, 121, 122, 123 e 126 della Costituzione ed al principio di leale collaborazione;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 2, commi 1 e 2, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalle regioni Emilia-Romagna ed Umbria, in riferimento all'articolo 126 della Costituzione;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promossa dalla regione Campania, in riferimento agli articoli 122 e 126 della Costituzione;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 7, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promossa dalle regioni Emilia-Romagna ed Umbria, in riferimento all'articolo 120 della Costituzione;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 149 del 2011, nel testo vigente a seguito della modifica introdotta dall'articolo 1, comma 3, lettera a), numero 8), del decreto legislativo n. 195 del 2011, promossa dalla regione Lazio, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalle regioni Emilia-Romagna ed Umbria, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalle regioni Emilia-Romagna ed Umbria, in riferimento all'articolo 117, terzo e quarto comma, della Costituzione;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalla regione Lazio, in riferimento agli articoli 117, quarto comma, e 123 della Costituzione;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 149 del 2011, nel testo introdotto dall'articolo 1-bis, comma 4, del decreto-legge n. 174 del 2012, come modificato dalla legge di conversione n. 213 del 2012, promosse dalla regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e dalla Provincia autonoma di Trento, in riferimento all'articolo 3 della Costituzione;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 7 del decreto legislativo n. 149 del 2011, nel testo vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 228 del 2012, promosse dalla regione Lazio, in riferimento agli articoli 117, quarto comma, e 119 della Costituzione:
alla V Commissione (Bilancio);
con lettera in data 19 luglio 2013, Sentenza n. 220 del 16-19 luglio 2013 (Doc. VII, n. 138),
con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 23, commi 14, 15, 16, 17, 18, 19 e 20, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011;
dichiara l'illegittimità costituzionale degli articoli 17 e 18 del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge n. 135 del 2012;
dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell'articolo 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l'illegittimità costituzionale dell'articolo 23, comma 20-bis, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 23, comma 21, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, promosse – in riferimento agli articoli 3, 5, 77, 97, 114, 117, secondo comma, lettera p), quarto e sesto comma, 118, 119 e 120 della Costituzione, e ai principi di ragionevolezza e di leale collaborazione, nonché all'articolo 3, primo comma, lettere a) e b), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) – dalle regioni Piemonte e Molise, e dalla regione autonoma Sardegna;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 23, comma 4, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, promossa – in riferimento agli articoli 4, primo comma, n. 1-bis), 51 e 54 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia), nonché all'articolo 9 del decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per la regione autonoma Friuli-Venezia Giulia in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni) – dalla regione autonoma Friuli-Venezia Giulia;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 23, comma 22, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, promosse – in riferimento agli articoli 4, primo comma, n. 1-bis), 51 e 54 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia), all'articolo 3, primo comma, lettere a) e b), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), agli articoli 2, primo comma, lettera b), 3, primo comma, lettera f), e 4 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d'Aosta) ed agli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione – dalle regioni autonome Friuli-Venezia Giulia, Sardegna e Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste:
alla I Commissione (Affari costituzionali);
con lettera in data 19 luglio 2013, Sentenza n. 221 del 16-19 luglio 2013 (Doc. VII, n. 139),
con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 13, comma 1, lettere a), b), c) e d), della legge della Provincia autonoma di Bolzano 23 dicembre 2010, n. 15 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione per l'anno finanziario 2011 e per il triennio 2011-2013. Legge finanziaria 2011), impugnato dal Presidente del Consiglio dei ministri;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 13, comma 1, lettere a), b), c) e d) della legge della Provincia autonoma di Bolzano n. 15 del 2010, promossa, in riferimento agli articoli 8 e 9 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), dal Presidente del Consiglio dei ministri:
alla V Commissione (Bilancio);
con lettera in data 19 luglio 2013, Sentenza n. 222 del 16-19 luglio 2013 (Doc. VII, n. 140),
con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale degli articoli 2 e 8, comma 2, della legge della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 30 novembre 2011, n. 16 (Disposizioni di modifica della normativa regionale in materia di accesso alle prestazioni sociali e di personale), nella parte in cui subordinano l'accesso alle prestazioni ivi indicate al requisito della residenza nel territorio regionale da almeno ventiquattro mesi, anziché al solo requisito della residenza;
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 9 della legge regionale n. 16 del 2011, nella parte in cui, per gli stranieri di cui all'articolo 41 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), subordina l'accesso alle prestazioni indicate dai precedenti articoli 2 e 8, comma 2, al requisito della residenza nel territorio regionale da almeno ventiquattro mesi;
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 9 della legge regionale n. 16 del 2011, limitatamente alle parole «nel territorio nazionale da non meno di cinque anni e»;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 2, 3, 5, 6, comma 1, 7, 8, comma 2, e 9 della legge regionale n. 16 del 2011, promosse, in riferimento all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 3, 5, 6, comma 1, e 7 della legge regionale n. 16 del 2011, promosse, in riferimento all'articolo 3 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 9 della legge regionale n. 16 del 2011, nella parte in cui subordina al requisito della residenza da almeno ventiquattro mesi nel territorio regionale l'accesso alle prestazioni indicate dai precedenti articoli 3, 5, 6, comma 1, e 7, promossa, in riferimento all'articolo 3 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri:
alla XII Commissione (Affari Sociali);
con lettera in data 19 luglio 2013, Sentenza n. 223 del 16-19 luglio 2013 (Doc. VII, n. 141),
con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 819-ter, secondo comma, del codice di procedura civile, nella parte in cui esclude l'applicabilità, ai rapporti tra arbitrato e processo, di regole corrispondenti all'articolo 50 del codice di procedura civile:
alla II Commissione (Giustizia);
con lettera in data 23 luglio 2013, Sentenza n. 227 del 16-23 luglio 2013 (Doc. VII, n. 144),
con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 54 della legge della regione Friuli-Venezia Giulia 9 agosto 2012, n. 16 (Interventi di razionalizzazione e riordino di enti, aziende e agenzie della regione):
alla XI Commissione (Lavoro);
con lettera in data 23 luglio 2013, Sentenza n. 228 del 16-23 luglio 2013 (Doc. VII, n. 145),
con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 18, commi 1 e 2, della legge della regione Molise 26 gennaio 2012, n. 2 (Legge finanziaria regionale 2012);
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 79 della legge della regione Molise n. 2 del 2012;
dichiara l'illegittimità costituzionale degli articoli 3, commi 1 e 2, 67, commi 1 e 2, 68, comma 1, lettera a), e 69 della legge della regione Molise n. 2 del 2012 nella parte in cui non escludono dall'ambito della loro operatività le funzioni e le attività del commissario ad acta nominato dal Governo per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo regionale in materia sanitaria;
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 6 della legge della regione Molise 7 agosto 2012, n. 16 (Modifiche alla legge regionale 26 gennaio 2012, n. 2 – Legge finanziaria regionale 2012):
alla V Commissione (Bilancio);
con lettera in data 23 luglio 2013, Sentenza n. 229 del 16-23 luglio 2013 (Doc. VII, n. 146),
con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dei commi 1, 2, 3, secondo periodo, 3-sexies ed 8 dell'articolo 4 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, nella parte in cui si applicano alle regioni ad autonomia ordinaria;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale promosse dalla regione Friuli-Venezia Giulia, con il ricorso n. 159 del 2012, dalla regione Sardegna, con il ricorso n. 160 del 2012, e dalla regione siciliana, con il ricorso n. 171 del 2012, nei confronti dei commi 1, 2, 3, 3-sexies, 8 dell'articolo 4 del decreto-legge n. 95 del 2012, in riferimento all'articolo 4 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia), agli articoli 3, comma 1, lettere a), b) e g), e 4, comma 1, lettere f) e g), 7 ed 8 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), agli articoli 14, lettere o) e p), 15 e 17 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della regione siciliana), convertito in legge costituzionale dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, ed agli articoli 75, 117, secondo e terzo comma, 118, primo e secondo comma, e 136 della Costituzione, in relazione all'articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione);
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale, promosse dalle regioni Campania, Sardegna e Puglia, con i ricorsi n. 153, n. 160 e n. 171 del 2012, in riferimento agli articoli 5, 75, 114, 117, 118 e 136 della Costituzione, nonché agli articoli 3 e 4 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), nei confronti dei commi 1, 2, 3, 7 ed 8 dell'articolo 4 del decreto-legge n. 95 del 2012;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale del comma 7 dell'articolo 4 del decreto-legge n. 95 del 2012, promosse dalla regione Veneto, con ricorso n. 151 del 2012, in riferimento all'articolo 117, quarto comma, ed agli articoli 118 e 119 della Costituzione, nonché dalla regione Friuli-Venezia Giulia, con ricorso n. 159 del 2012, in relazione all'articolo 4 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia) ed all'articolo 117 della Costituzione;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale, promosse dalle regioni Lazio, Veneto e Puglia, con i ricorsi n. 145, n. 151 e n. 171 del 2012, in riferimento alle attribuzioni costituzionali degli enti locali, di cui agli articoli 5, 114, 117, sesto comma, e 118 Cost., nei confronti dei commi 1, 2, 3, secondo periodo, 3-sexies ed 8 dell'articolo 4 del decreto-legge n. 95 del 2012, nella parte in cui si applicano agli enti locali;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dei commi 4, 5, 7, 9, 10, 11, 12 e 14 dell'articolo 4 del decreto-legge n. 95 del 2012, promosse dalla regione Veneto, con ricorso n. 151 del 2012, in riferimento all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, nonché dalla regione Sardegna, con ricorso n. 160, in riferimento agli articoli 3 e 4 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna);
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale promossa dalla regione Veneto, con il ricorso n. 151 del 2012, dei commi 3 e 13 dell'articolo 4 del decreto-legge n. 95 del 2012, in riferimento all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale promosse dalla regione Veneto, con il ricorso n. 151 del 2012, nei confronti del comma 8-bis dell'articolo 4 del decreto-legge n. 95 del 2012, in riferimento agli articoli 3, 97, 117, primo e quarto comma, 118 e 119 della Costituzione;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale promosse dalla regione Puglia, con il ricorso n. 171 del 2012, nei confronti dei commi 1 ed 8 dell'articolo 4 del decreto-legge n. 95 del 2012, in riferimento agli articoli 41, 42, 43 e 77 della Costituzione;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale promosse dalla regione Veneto, con il ricorso n. 151 del 2012, nei confronti del comma 14 dell'articolo 4 del decreto-legge n. 95 del 2012, in riferimento agli articoli 117, quarto comma, 3 e 97 della Costituzione, nonché dei commi 1, 3, 3-sexies, 7 ed 8 del medesimo articolo 4 del decreto-legge n. 95 del 2012, in riferimento all'articolo 117, primo comma, della Costituzione:
alla V Commissione (Bilancio);
con lettera in data 23 luglio 2013, Sentenza n. 230 del 16-23 luglio 2013 (Doc. VII, n. 147),
con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 6, comma 19, secondo periodo, del decreto-legge n. 95 del 2012, nella parte in cui non contiene, dopo le parole «sentite le regioni interessate», le parole «e d'intesa con la regione Sardegna»;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 6, comma 19, primo periodo, del decreto-legge n. 95 del 2012, promossa, in riferimento al principio di leale collaborazione nonché agli articoli 3, primo comma, lettera p), 4, primo comma, lettere f) e g), 6 e 53 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), dalla regione autonoma Sardegna:
alla IX Commissione (Trasporti);
con lettera in data 23 luglio 2013, Sentenza n. 231 del 16-23 luglio 2013 (Doc. VII, n. 148),
con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 19, primo comma, lettera b), della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell'ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell'unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell'azienda:
alla XI Commissione (Lavoro);
con lettera in data 23 luglio 2013, Sentenza n. 232 del 16-23 luglio 2013 (Doc. VII, n. 149),
con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 275, comma 3, terzo periodo, del codice di procedura penale, come modificato dall'articolo 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all'articolo 609-octies del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure:
alla II Commissione (Giustizia).
Trasmissione dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con lettera in data 19 luglio 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 1, comma 4, della legge 18 giugno 1998, n. 194, la relazione concernente l'andamento del processo di liberalizzazione di privatizzazione del trasporto aereo, riferita al secondo semestre del 2012 (Doc. LXXI, n. 1).
Questa relazione è trasmessa alla IX Commissione (Trasporti).
Trasmissione dal Ministro della difesa.
Il Ministro della difesa, con lettera in data 23 luglio 2013, ha trasmesso una comunicazione integrativa della relazione, già trasmessa ai sensi dell'articolo 15, comma 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, concernente la procedura d'infrazione n. 2013/0233, del 30 maggio 2013, avviata, ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, per mancato recepimento della direttiva 2012/47/UE della Commissione, del 14 dicembre 2012, che modifica la direttiva 2009/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda l'elenco di prodotti per la difesa.
Questa comunicazione è trasmessa alla III Commissione (Affari esteri), alla IV Commissione (Difesa) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).
Trasmissione dal Ministro per i rapporti con il Parlamento e il coordinamento delle attività di Governo.
Il Ministro per i rapporti con il Parlamento e il coordinamento delle attività di Governo, con lettera in data 24 luglio 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 5, commi 4 e 6, del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze concernente l'adozione del piano parziale di rientro per l'estinzione dei debiti del medesimo Ministero per obbligazioni relative a somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali per l'anno 2013, nonché la relazione sulle ulteriori situazioni debitorie non ancora soddisfatte per il medesimo anno 2013.
Questa relazione è trasmessa alla V Commissione (Bilancio) e alla X Commissione (Attività produttive).
Trasmissione dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, con lettera in data 15 luglio 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 5, comma 6, del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, la relazione sulle cause della mancata adozione del decreto ministeriale recante il piano di rientro per l'estinzione dei debiti del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali per obbligazioni relative a somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali, riferita all'anno 2013.
Questa relazione è trasmessa alla V Commissione (Bilancio), alla X Commissione (Attività produttive) e alla XIII Commissione (Agricoltura).
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, con lettera in data 25 luglio 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 3, comma 68, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, la relazione sullo stato della spesa, sull'efficacia nell'allocazione delle risorse e sul grado di efficienza dell'azione amministrativa svolta dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, riferita all'anno 2012 (Doc. CLXIV, n. 8).
Questa relazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali), alla V Commissione (Bilancio) e alla XIII Commissione (Agricoltura).
Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.
La Commissione europea, in data 25 luglio 2013, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul molo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 99/2013 relativo al programma statistico europeo 2013-2017 (COM(2013) 525 final), che è assegnata in sede primaria alla I Commissione (Affari costituzionali). Tale proposta e altresì assegnata alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà; il termine di otto settimane per la verifica di conformità, ai sensi del Protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità allegato al Trattato sull'Unione europea, decorre dal 26 luglio 2013;
Proposta di decisione del Consiglio relativa alla conclusione dell'accordo quadro tra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Corea, dall'altra (COM(2013) 551 final), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
Progetto di bilancio rettificativo n. 7 al bilancio generale 2013 – Stato generale delle entrate – Stato delle spese per sezione Sezione III – Commissione (COM(20I3) 557 final), che è assegnato in sede primaria alla V Commissione (Bilancio);
Proposte di decisione del Parlamento europeo e del Consilio relativa all'attivazione dello strumento di flessibilità (COM(2013) 559 final), che è assegnato in sede primaria alla V Commissione (Bilancio).
La proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'anno europeo dello sviluppo (2015) (COM(2013) 509 final), già trasmessa dalla Commissione europea e assegnata, in data 25 luglio 2013, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alla III Commissione (Affari esteri), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), è altresì assegnata alla medesima XIV Commissione ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà; il termine di otto settimane per la verifica di conformità, ai sensi del Protocollo sull'allocazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità allegato al Trattato sull'Unione europea, decorre dal 25 luglio 2013.
Trasmissione da un consiglio comunale.
Il comune di Forno Canavese (Torino), in data 25 luglio 2013, ha trasmesso un ordine del giorno, approvato dal consiglio comunale nella seduta del 10 luglio 2013, concernente la richiesta di esentare i piccoli comuni dai vincoli del patto di stabilità interno o, in subordine, di escludere dal medesimo patto le spese per investimenti, in particolare realizzati con fondi propri o destinati all'edilizia scolastica e alla difesa del suolo.
Questo documento è trasmesso alla V Commissione (Bilancio).
Atti di controllo e di indirizzo.
Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.
ERRATA CORRIGE
Nell’Allegato A al resoconto della seduta del 26 giugno 2013, a pagina 4, seconda colonna, quartultima riga, dopo la parola: «V» si intendono inserite le seguenti: «, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria)».
DISEGNO DI LEGGE: CONVERSIONE IN LEGGE DEL DECRETO-LEGGE 21 GIUGNO 2013, N. 69, RECANTE DISPOSIZIONI URGENTI PER IL RILANCIO DELL'ECONOMIA (A.C. 1248-A/R)
A.C. 1248-A/R – Ordini del giorno
ORDINI DEL GIORNO
La Camera,
premesso che:
il legislatore, nell'intento di attivare forme, di natura anche sperimentale, di semplificazione amministrativa, in aggiunta a quelle già espressamente previste in modo compiuto in specifiche norme, ha di recente disciplinato, su base volontaria, l'istituzione di «zone a burocrazia zero» (articolo 14, legge n. 183 del 2011 e successivamente articolo 37-bis del decreto-legge 179-2012 convertito in legge n. 221 del 2012 in combinato disposto con l'articolo 12 decreto-legge 5/2012 convertito in legge n. 35 del 2012, e più di recente articolo 37 decreto-legge 69/2013, oggi all'esame del Parlamento), che vengono, altresì, automaticamente istituite, ai sensi dell'articolo 3, comma 6, lettera b) del decreto-legge 70/2010 convertito in legge n. 106 del 2011, per i Distretti turistici, riconosciuti con Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
le sopracitate ipotesi normative di semplificazione attraverso l'istituzione di ZBZ sono rimaste pressoché disapplicate, in quanto il succedersi delle norme ha determinato situazioni di incertezza finora non chiarite e poiché la relativa disciplina legislativa non contempla decisivi aspetti procedurali, né definisce con precisione i procedimenti esclusi dalle misure di semplificazione in questione;
al riguardo, nessuna direttiva applicativa risulta essere stata diramata in proposito dai competenti Ministeri;
la norma, infine, non precisa entro quali limiti e con quali modalità le ZBZ possano essere sottratte al vincolo paesaggistico-territoriale o del patrimonio storico-artistico e possano fruire delle «deroghe alle procedure ed ai termini per l'esercizio delle competenze»;
l'articolo 37 decreto-legge 69/2013, in atto oggetto di esame, non fornisce alcun elemento di chiarificazione rispetto ai sopraevidenziati ambiti di incertezza normativa; inoltre, il comma 5 di tale articolo introduce ulteriori elementi di indeterminatezza suscettibili di rendere estremamente problematica la prefigurazione di processi sperimentali di semplificazione, esponendoli ad un probabile contenzioso;
in relazione a quanto sopra si ravvisa che la normativa in tema di semplificazione tramite le ZBZ presenti ancora numerose aree di incertezza ed indeterminatezza in termini di procedure e di competenze, che ne inficiano fortemente le concrete possibilità di applicazione, e pregiudicano l'estensione ai distretti turistici costituiti e costituendi delle possibili misure di semplificazione amministrativa,
impegna il Governo:
ad assumere iniziative normative, ovvero adottare norme regolamentari o quantomeno direttive applicative, che:
1. definiscano in maniera più dettagliata le fasi procedurali di attivazione delle forme sperimentali di semplificazione amministrativa mediante le «zone a burocrazia zero» previste dalle vigenti norme di legge;
2. definiscano le sedi istituzionali sul territorio cui spetti una attività di coordinamento in materia;
3. delineino la interconnessione tra distretti turistici di cui all'articolo 3 del decreto-legge 70/2010 convertito in legge n. 106 del 2011 e «zone a burocrazia zero»;
4. fissino gli ambiti procedimentali esclusi, in relazione ad interessi ritenuti preminenti, dalla sperimentazione di processi di semplificazione;
5. proroghino, attese le difficoltà applicative finora emerse, a data successiva il termine, ora fissato al 31 dicembre 2013, per l'attivazione delle ZBZ e delle relative misure di semplificazione.
9/1248-A-R/1. Arlotti, Petitti, Pizzolante.
La Camera,
premesso che:
il legislatore, nell'intento di attivare forme, di natura anche sperimentale, di semplificazione amministrativa, in aggiunta a quelle già espressamente previste in modo compiuto in specifiche norme, ha di recente disciplinato, su base volontaria, l'istituzione di «zone a burocrazia zero» (articolo 14, legge n. 183 del 2011 e successivamente articolo 37-bis del decreto-legge 179-2012 convertito in legge n. 221 del 2012 in combinato disposto con l'articolo 12 decreto-legge 5/2012 convertito in legge n. 35 del 2012, e più di recente articolo 37 decreto-legge 69/2013, oggi all'esame del Parlamento), che vengono, altresì, automaticamente istituite, ai sensi dell'articolo 3, comma 6, lettera b) del decreto-legge 70/2010 convertito in legge n. 106 del 2011, per i Distretti turistici, riconosciuti con Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
le sopracitate ipotesi normative di semplificazione attraverso l'istituzione di ZBZ sono rimaste pressoché disapplicate, in quanto il succedersi delle norme ha determinato situazioni di incertezza finora non chiarite e poiché la relativa disciplina legislativa non contempla decisivi aspetti procedurali, né definisce con precisione i procedimenti esclusi dalle misure di semplificazione in questione;
al riguardo, nessuna direttiva applicativa risulta essere stata diramata in proposito dai competenti Ministeri;
la norma, infine, non precisa entro quali limiti e con quali modalità le ZBZ possano essere sottratte al vincolo paesaggistico-territoriale o del patrimonio storico-artistico e possano fruire delle «deroghe alle procedure ed ai termini per l'esercizio delle competenze»;
l'articolo 37 decreto-legge 69/2013, in atto oggetto di esame, non fornisce alcun elemento di chiarificazione rispetto ai sopraevidenziati ambiti di incertezza normativa; inoltre, il comma 5 di tale articolo introduce ulteriori elementi di indeterminatezza suscettibili di rendere estremamente problematica la prefigurazione di processi sperimentali di semplificazione, esponendoli ad un probabile contenzioso;
in relazione a quanto sopra si ravvisa che la normativa in tema di semplificazione tramite le ZBZ presenti ancora numerose aree di incertezza ed indeterminatezza in termini di procedure e di competenze, che ne inficiano fortemente le concrete possibilità di applicazione, e pregiudicano l'estensione ai distretti turistici costituiti e costituendi delle possibili misure di semplificazione amministrativa,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di assumere iniziative normative, ovvero adottare norme regolamentari o quantomeno direttive applicative, che:
1. definiscano in maniera più dettagliata le fasi procedurali di attivazione delle forme sperimentali di semplificazione amministrativa mediante le «zone a burocrazia zero» previste dalle vigenti norme di legge;
2. definiscano le sedi istituzionali sul territorio cui spetti una attività di coordinamento in materia;
3. delineino la interconnessione tra distretti turistici di cui all'articolo 3 del decreto-legge 70/2010 convertito in legge n. 106 del 2011 e «zone a burocrazia zero»;
4. fissino gli ambiti procedimentali esclusi, in relazione ad interessi ritenuti preminenti, dalla sperimentazione di processi di semplificazione;
5. proroghino, attese le difficoltà applicative finora emerse, a data successiva il termine, ora fissato al 31 dicembre 2013, per l'attivazione delle ZBZ e delle relative misure di semplificazione.
9/1248-A-R/1. (Testo modificato nel corso della seduta) Arlotti, Petitti, Pizzolante.
La Camera,
premesso che:
da parecchi anni la città di Torino è impegnata nella realizzazione della prima linea di metropolitana;
dal 2005, con l'entrata in funzione della prima tratta funzionale, da Collegno a Porta Susa è stato evidente il miglioramento del trasporto pubblico locale, proseguito con la realizzazione di altre tratte che ormai attraversano completamente la città di Torino;
l'intero progetto prevede il percorso Torino-Rivoli con la possibilità di incontrare la tangenziale e creare, così, le relative possibilità di interscambio e non solo. Questo è possibile con la realizzazione della tratta Collegno-Cascine Vica;
il progetto relativo è stato già valutato positivamente dal CIPE che è in possesso del progetto preliminare;
nelle scorse settimane la città di Torino, la Regione Piemonte, la Provincia di Torino, i comuni di Collegno e Rivoli hanno ribadito l'urgenza dell'opera e la piena disponibilità a stanziare la quota di loro competenza;
la non immediata cantierabilità dell'opera, insieme con le scarse risorse, ha impedito che trovasse accoglimento nel decreto in questione,
impegna il Governo
a mantenere gli accordi assunti con gli Enti Locali competenti e a reperire le risorse necessarie all'opera il più presto possibile, comunque entro il 2014.
9/1248-A-R/2. D'Ottavio, Paola Bragantini, Bonomo, Borghi, Mattiello, Rossomando, Giorgis, Boccuzzi, Fregolent, Bobba.
La Camera,
premesso che:
da parecchi anni la città di Torino è impegnata nella realizzazione della prima linea di metropolitana;
dal 2005, con l'entrata in funzione della prima tratta funzionale, da Collegno a Porta Susa è stato evidente il miglioramento del trasporto pubblico locale, proseguito con la realizzazione di altre tratte che ormai attraversano completamente la città di Torino;
l'intero progetto prevede il percorso Torino-Rivoli con la possibilità di incontrare la tangenziale e creare, così, le relative possibilità di interscambio e non solo. Questo è possibile con la realizzazione della tratta Collegno-Cascine Vica;
il progetto relativo è stato già valutato positivamente dal CIPE che è in possesso del progetto preliminare;
nelle scorse settimane la città di Torino, la Regione Piemonte, la Provincia di Torino, i comuni di Collegno e Rivoli hanno ribadito l'urgenza dell'opera e la piena disponibilità a stanziare la quota di loro competenza;
la non immediata cantierabilità dell'opera, insieme con le scarse risorse, ha impedito che trovasse accoglimento nel decreto in questione,
impegna il Governo
nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, ad adottare d'intesa con gli Enti locali competenti le misure più opportune per la realizzazione dell'opera il più presto possibile, comunque entro il 2014.
9/1248-A-R/2. (Testo modificato nel corso della seduta) D'Ottavio, Paola Bragantini, Bonomo, Borghi, Mattiello, Rossomando, Giorgis, Boccuzzi, Fregolent, Bobba.
La Camera,
premesso che:
il decreto-legge in esame (A.C. 1248) all'articolo 25 prevede una serie di interventi per superare situazioni emergenziali relative alle infrastrutture e ai trasporti;
l'articolo 17-septies della legge 7 agosto 2012, n. 134 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, recante Misure urgenti per la crescita del Paese – Gazzetta Ufficiale n. 187 dell'11 agosto 2012 – Suppl. Ordinario n. 171) evidenzia come al fine di garantire in tutto il territorio nazionale i livelli minimi uniformi di accessibilità del servizio di ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica debba essere redatto un Piano nazionale infrastrutturale per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica che ha ad oggetto la realizzazione di reti infrastrutturali per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica nonché interventi di recupero del patrimonio edilizio finalizzati allo sviluppo delle medesime reti;
la crisi energetica ed economica, gli oneri di manutenzione dei mezzi pubblici, il crescente inquinamento necessitano di soluzioni perseguibili attraverso una maggiore offerta del trasporto pubblico, il maggior riciclo possibile e l'utilizzo di veicoli a basse emissioni complessive,
impegna il Governo
a valutare la possibilità di adottare concrete misure di sostegno allo sviluppo della mobilità sostenibile, attraverso misure volte a favorire la realizzazione di reti infrastrutturali per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica e la sperimentazione e la diffusione di flotte pubbliche e private di veicoli a basse emissioni complessive, con particolare riguardo al contesto urbano, l'acquisto di veicoli a trazione elettrica o ibrida, nonché la facilitazione burocratica della conversione da mezzi a trazione endotermica in mezzi a trazione elettrica (retrofit).
9/1248-A-R/3. Mucci, Catalano, De Lorenzis, Prodani, Petraroli.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 9, comma 2 del decreto-legge n. 69 del 2013 introduce misure volte a favorire un'accelerazione nell'utilizzazione dei fondi strutturali europei e ad evitare di incorrere nelle sanzioni previste dall'ordinamento dell'Unione europea per i casi di mancata attuazione dei programmi e dei progetti cofinanziati con fondi strutturali europei e di sottoutilizzazione dei relativi finanziamenti;
tale tipo di accelerazione può essere promossa anche attingendo ad esperienze replicabili e maturate in contesti locali; ad esempio, la Regione Calabria, a partire dal 2012, ha individuato, attraverso la Fondazione dei Calabresi nel Mondo, in qualità di organismo in house providing, strumenti in grado di determinare un accrescimento della spesa dei fondi strutturali nell'ambito della progettazione e implementazione del programma integrato «Calabriae In Work», finalizzato ad identificare, sia in ambito istituzionale che aziendale, reti lunghe di collaborazione e scambio mediante l'attivazione di network materiali ed immateriali;
il grado di competitività e di efficienza dei sistemi locali, in termini di occupabilità ed adattabilità, oggi più che mai, dipende dalla capacità degli stessi di aprirsi alle opportunità e di allinearsi ai mutamenti dei connessi sistemi internazionali;
in questa prospettiva assume una rilevanza centrale il ruolo delle comunità e delle antenne degli italiani nel mondo, che possono costituire, nei territori fertilizzati dalla loro presenza e dal loro pieno e spesso qualificato incardinamento sociale, economico e professionale, uno straordinario strumento di facilitazione nella costruzione di reti operative tra sistemi e territori diversi;
le reti lunghe di comunità di cui sopra possono rendere così tali fondi funzionali all'accrescimento dei livelli di competitività, innovazione ed internazionalizzazione del sistema nazionale,
impegna il Governo
a sollecitare le amministrazioni che utilizzano i fondi strutturali europei, attraverso il coinvolgimento operativo delle Regioni e delle strutture operanti nella tutela e valorizzazione delle rispettive comunità all'estero, ad attivare processi rivolti alla implementazione, definizione e sperimentazione di progetti finalizzati alla valorizzazione delle reti lunghe di comunità costituite dagli italiani all'estero.
9/1248-A-R/4. Galati.
La Camera,
considerato che:
sono molteplici gli interventi di risparmio della spesa anche di una certa consistenza che sarebbe necessario introdurre, andando a cercare risorse dentro il bilancio dello Stato attraverso un'individuazione dei punti di spreco e cercando di rimodulare una spesa pubblica che continua a crescere nonostante le manovre lacrime e sangue di questi anni;
uno dei più importanti riguarda la necessità di introdurre, nella pubblica amministrazione, disposizioni volte ad aumentarne l'efficienza; in particolare vi sono tanti dipendenti che hanno scarsa produttività, che sono giunti vicino alla pensione e che rinuncerebbero volentieri ad una percentuale della retribuzione se lasciati a casa a svolgere telelavoro o senza prestare attività lavorativa attraverso la messa in disponibilità;
di conseguenza, non sarebbe inopportuno né pernicioso pensare di assegnare ad ogni comparto un obiettivo di riduzione di personale su base di accordi per conseguire un risparmio serio: se si pensasse ad un obiettivo di 100.000 addetti, il costo complessivo ammonterebbe intorno ai 4.5 miliardi, che con una riduzione del 30 per cento della retribuzione assicurerebbe un risparmio di 1 miliardo senza abbassare la produttività. Il risparmio potrebbe essere utilizzato per coprire riduzioni di pressione fiscale o per finanziare un piano di assunzione di giovani sotto i 30 anni,
impegna il Governo
a studiare modalità adeguate di estensione dell'istituto del collocamento in disponibilità per i lavoratori a tempo indeterminato che maturino i requisiti per il trattamento pensionistico entro l'anno 2018 e ad avviare conseguentemente procedure di reclutamento di un numero di personale pari ad almeno 20 per cento delle unità collocate in disponibilità, in linea con i criteri generali già vigenti nell'ordinamento, al fine di favorire la riduzione delle piante organiche e, al contempo, favorire l'accesso ai giovani nelle pubbliche amministrazioni.
9/1248-A-R/5. Melilli, Rughetti, Tabacci, Andrea Romano.
La Camera,
considerato che:
sono molteplici gli interventi di risparmio della spesa anche di una certa consistenza che sarebbe necessario introdurre, andando a cercare risorse dentro il bilancio dello Stato attraverso un'individuazione dei punti di spreco e cercando di rimodulare una spesa pubblica che continua a crescere nonostante le manovre lacrime e sangue di questi anni;
uno dei più importanti riguarda la necessità di introdurre, nella pubblica amministrazione, disposizioni volte ad aumentarne l'efficienza; in particolare vi sono tanti dipendenti che hanno scarsa produttività, che sono giunti vicino alla pensione e che rinuncerebbero volentieri ad una percentuale della retribuzione se lasciati a casa a svolgere telelavoro o senza prestare attività lavorativa attraverso la messa in disponibilità;
di conseguenza, non sarebbe inopportuno né pernicioso pensare di assegnare ad ogni comparto un obiettivo di riduzione di personale su base di accordi per conseguire un risparmio serio: se si pensasse ad un obiettivo di 100.000 addetti, il costo complessivo ammonterebbe intorno ai 4.5 miliardi, che con una riduzione del 30 per cento della retribuzione assicurerebbe un risparmio di 1 miliardo senza abbassare la produttività. Il risparmio potrebbe essere utilizzato per coprire riduzioni di pressione fiscale o per finanziare un piano di assunzione di giovani sotto i 30 anni,
impegna il Governo
nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, a studiare modalità adeguate di estensione dell'istituto del collocamento in disponibilità per i lavoratori a tempo indeterminato che maturino i requisiti per il trattamento pensionistico entro l'anno 2018 e ad avviare conseguentemente procedure di reclutamento di un numero di personale pari ad almeno 20 per cento delle unità collocate in disponibilità, in linea con i criteri generali già vigenti nell'ordinamento, al fine di favorire la riduzione delle piante organiche e, al contempo, favorire l'accesso ai giovani nelle pubbliche amministrazioni.
9/1248-A-R/5. (Testo modificato nel corso della seduta) Melilli, Rughetti, Tabacci, Andrea Romano.
La Camera,
considerato che:
sono molteplici gli interventi di risparmio della spesa anche di una certa consistenza che sarebbe necessario introdurre, andando a cercare risorse dentro il bilancio dello Stato attraverso un'individuazione dei punti di spreco e cercando di rimodulare una spesa pubblica che nonostante le manovre lacrime e sangue di questi anni continua a crescere;
un punto importante su cui intervenire potrebbe essere l'eliminazione della possibilità di perseguire un cumulo fra il percepimento della pensione pubblica e il compenso per lo svolgimento di un incarico pubblico sia elettivo che di nomina. Si pensi in particolare a quanti fra parlamentari, membri del governo e dei gabinetti, consiglieri e assessori degli enti territoriali, componenti dei consigli di amministrazione delle aziende pubbliche ma anche consiglieri di Stato o della Corte dei conti percepiscono una doppia retribuzione che potrebbe invece essere risparmiata o versata in un fondo per finanziare le startup o le assunzioni dei giovani;
in particolare, anziché vietare del tutto che svolgano altri incarichi, considerato la spesso elevata professionalità di questi soggetti, sarebbe importante prevedere un obbligo di riversamento della pensione percepita per il periodo corrispondente all'incarico svolto, in modo da assicurare alla pubblica amministrazione un risparmio significativo,
impegna il Governo
a prevedere che i titolari di pensione erogata dagli enti previdenziali e da altri organi la cui attività è sostenuta, in via prevalente, da finanziamenti a carico del bilancio statale, ivi inclusi la commissione europea e gli organismi internazionali sostenuti da trasferimenti a carico del bilancio statale, nonché da organismi retti da amministratori, consiglieri o commissari di nomina pubblica, i quali si trovano a svolgere attività retribuite a titolo di lavoro dipendente o di lavoratore autonomo, nelle strutture sotto indicare debbano, per il periodo di svolgimento di tali attività riversare al bilancio dello stato l'importo della pensione.
9/1248-A-R/6. Rughetti, Melilli, Tabacci, Andrea Romano, Richetti, Giorgis, Fabbri.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 18, comma 2, del presente decreto-legge tra le opere infrastrutturali prioritari cita testualmente «...gli assi autostradali Pedemontana Veneta e Tangenziale Est Esterna di Milano...»;
in sede di Accordo di Programma per la realizzazione della Tangenziale Est Esterna di Milano i comuni interessati da questa opera lo avevano sottoscritto a fronte della imprescindibile necessità di realizzare una serie di interventi di compensazione;
suddetti interventi sono riportati nel dettaglio nell'ambito della scheda 19 dell'Allegato 4 dell'Accordo di Programma;
uno degli interventi previsti riguarda la MM2 di Milano;
in particolare l'abbattimento delle «Barriere Architettoniche» sulla tratta della metropolitana MM2 nel tratto compreso tra le stazioni di Gobba e Gessate consentirebbe di accedere alle stazioni della MM2 anche a persone portatrici di handicap, con difficoltà motorie nonché alle persone anziane,
impegna il Governo
a vigilare per garantire il rispetto dell'accordo di programma di cui in premessa nonché ad adottare iniziative normative volte a rendere vincolante per il finanziamento dell'opera la necessaria riqualificazione delle stazioni della MM2 da Gobba a Gessate.
9/1248-A-R/7. Cova, Gasparini, Casati, Quartapelle Procopio, Mauri.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 39, comma 2 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività», convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 ha definitivamente chiarito che l'attività di intermediazione dei diritti connessi al diritto d'autore è libera;
con il successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 19 dicembre 2012 sono stati individuati i requisiti minimi affinché le imprese che svolgono attività di intermediazione dei diritti connessi al diritto d'autore possano legittimamente operare nel mercato, e alcune di esse risultano essere già presenti nell'Elenco istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri; anche nella gran parte degli Stati Membri dell'UE la gestione collettiva dei diritti d'autore e connessi è lasciata alla libera autodeterminazione dei soggetti interessati: liberi di auto-organizzarsi nelle forme prescelte e soprattutto liberi di competere, in un sistema di libera concorrenza tra le società di collecting, per offrire servizi di raccolta e distribuzione più efficienti ed economicamente convenienti per gli aventi diritto;
in Italia, ciò è oggi possibile soltanto nell'ambito dei diritti connessi al diritto d'autore spettanti agli artisti interpreti o esecutori del settore audiovisivo, le cui società di intermediazione sono legittimate a negoziare con gli utilizzatori, raccogliere e ripartire i compensi loro spettanti ai sensi della legge sul diritto d'autore;
altrettanto invece non accade ancora per le società di intermediazione dei diritti connessi al diritto d'autore spettanti agli artisti interpreti o esecutori dei settore musica, in relazione alle utilizzazioni dei fonogrammi dai medesimi interpretati;
nel settore musica, infatti, l'articolo 73, comma 1, legge n. 633 del 22 aprile 1941 in materia di diritto d'autore, da un lato, attribuisce la titolarità del diritto connesso al diritto d'autore previsto da tale norma congiuntamente al produttore di fonogrammi ed agli artisti interpreti o esecutori dei medesimi, ma dall'altro stabilisce anche che «l'esercizio di tale diritto spetto al produttore, il quale ripartisce il compenso con gli artisti interpreti o esecutori interessati»;
pertanto il potere di negoziare e gestire i diritti connessi al diritto d'autore nel settore musica è ancora esclusivamente riservato ai soli produttori di fonogrammi ed il relativo mercato è sostanzialmente soggetto al controllo delle tre major multinazionali (Universal Music, Sony Music e Warner Music) che, per mezzo di SCF, Consorzio Fonografici, raccolgono i compensi dovuti ai produttori discografici e agli artisti;
si tratta di un'evidente posizione di subalternità degli artisti e delle imprese intermediarie dei loro diritti rispetto ai produttori fonografici ed alle loro organizzazioni di gestione collettiva: questi ultimi negoziano a propria discrezione e raccolgono anche la quota dei compensi spettante agli artisti, spesso trattenendola e facendone oggetto di successivo negoziato, ai fini della ripartizione in favore degli artisti;
la previsione dell'articolo 73 della legge 633 del 1941 oltre che essere inadeguata e superata alla luce dell'intervenuta liberalizzazione, lede l'articolo 3 della Costituzione (uguaglianza formale e sostanziale di tutti i cittadini), poiché – sulla medesima materia – consente all'industria dei produttori di fonogrammi piena libertà di azione, mentre comprime la libertà degli artisti, i quali, secondo questa norma, non potrebbero affidare ad un intermediario di propria fiducia la gestione integrale ed autonoma di tali diritti connessi;
in gran parte dei Paesi europei vi è una netta separazione tra la gestione collettiva dei diritti dei produttori e quella degli artisti, che, pur nella distinzione, collaborano attivamente tra loro al fine di massimizzare le azioni di effettiva tutela di entrambe le categorie. Ed è anche per tale ragione che, ad esempio, in Francia, Spagna, Belgio e Olanda i volumi di diritti gestiti sono di gran lunga superiori a quelli raccolti in Italia;
nel corso della discussione e votazione degli emendamenti al disegno di legge di conversione del decreto legge, il rappresentante del Governo ha dichiarato il proprio impegno affinché questa disparità giuridica di trattamento, in danno degli artisti e delle imprese intermediarie che li rappresentano venga rapidamente risolta,
impegna il Governo
a introdurre nella Legge di Stabilità 2014 – o in subordine in sede di recepimento della direttiva 2011/77/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 settembre 2011, che modifica la direttiva 2006/116/CE concernente la durata di protezione del diritto d'autore e di alcuni diritti connessi – la modifica dell'articolo 73 della legge n. 633 del 22 aprile 1941 nel senso di consentire anche agli artisti, interpreti ed esecutori gli stessi diritti previsti per le organizzazione imprenditoriali e quindi a far sì che l'esercizio al diritto al compenso previsto dagli articoli 73 e 73-bis della legge n. 633 del 22 aprile 1941 non sia più attribuito in via esclusiva al produttore, ma sia riconosciuto distintamente a tutte le imprese intermediarie dei diritti connessi al diritto d'autore che abbiano i requisiti richiesti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 19 dicembre 2012 e che abbiano ricevuto mandato dai singoli aventi diritto, inclusi gli artisti interpreti o esecutori, in posizione di autonomia e indipendenza reciproca.
9/1248-A-R/8. Di Gioia.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 39, comma 2 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività», convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 ha definitivamente chiarito che l'attività di intermediazione dei diritti connessi al diritto d'autore è libera;
con il successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 19 dicembre 2012 sono stati individuati i requisiti minimi affinché le imprese che svolgono attività di intermediazione dei diritti connessi al diritto d'autore possano legittimamente operare nel mercato, e alcune di esse risultano essere già presenti nell'Elenco istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri; anche nella gran parte degli Stati Membri dell'UE la gestione collettiva dei diritti d'autore e connessi è lasciata alla libera autodeterminazione dei soggetti interessati: liberi di auto-organizzarsi nelle forme prescelte e soprattutto liberi di competere, in un sistema di libera concorrenza tra le società di collecting, per offrire servizi di raccolta e distribuzione più efficienti ed economicamente convenienti per gli aventi diritto;
in Italia, ciò è oggi possibile soltanto nell'ambito dei diritti connessi al diritto d'autore spettanti agli artisti interpreti o esecutori del settore audiovisivo, le cui società di intermediazione sono legittimate a negoziare con gli utilizzatori, raccogliere e ripartire i compensi loro spettanti ai sensi della legge sul diritto d'autore;
altrettanto invece non accade ancora per le società di intermediazione dei diritti connessi al diritto d'autore spettanti agli artisti interpreti o esecutori dei settore musica, in relazione alle utilizzazioni dei fonogrammi dai medesimi interpretati;
nel settore musica, infatti, l'articolo 73, comma 1, legge n. 633 del 22 aprile 1941 in materia di diritto d'autore, da un lato, attribuisce la titolarità del diritto connesso al diritto d'autore previsto da tale norma congiuntamente al produttore di fonogrammi ed agli artisti interpreti o esecutori dei medesimi, ma dall'altro stabilisce anche che «l'esercizio di tale diritto spetto al produttore, il quale ripartisce il compenso con gli artisti interpreti o esecutori interessati»;
pertanto il potere di negoziare e gestire i diritti connessi al diritto d'autore nel settore musica è ancora esclusivamente riservato ai soli produttori di fonogrammi ed il relativo mercato è sostanzialmente soggetto al controllo delle tre major multinazionali (Universal Music, Sony Music e Warner Music) che, per mezzo di SCF, Consorzio Fonografici, raccolgono i compensi dovuti ai produttori discografici e agli artisti;
si tratta di un'evidente posizione di subalternità degli artisti e delle imprese intermediarie dei loro diritti rispetto ai produttori fonografici ed alle loro organizzazioni di gestione collettiva: questi ultimi negoziano a propria discrezione e raccolgono anche la quota dei compensi spettante agli artisti, spesso trattenendola e facendone oggetto di successivo negoziato, ai fini della ripartizione in favore degli artisti;
la previsione dell'articolo 73 della legge 633 del 1941 oltre che essere inadeguata e superata alla luce dell'intervenuta liberalizzazione, lede l'articolo 3 della Costituzione (uguaglianza formale e sostanziale di tutti i cittadini), poiché – sulla medesima materia – consente all'industria dei produttori di fonogrammi piena libertà di azione, mentre comprime la libertà degli artisti, i quali, secondo questa norma, non potrebbero affidare ad un intermediario di propria fiducia la gestione integrale ed autonoma di tali diritti connessi;
in gran parte dei Paesi europei vi è una netta separazione tra la gestione collettiva dei diritti dei produttori e quella degli artisti, che, pur nella distinzione, collaborano attivamente tra loro al fine di massimizzare le azioni di effettiva tutela di entrambe le categorie. Ed è anche per tale ragione che, ad esempio, in Francia, Spagna, Belgio e Olanda i volumi di diritti gestiti sono di gran lunga superiori a quelli raccolti in Italia;
nel corso della discussione e votazione degli emendamenti al disegno di legge di conversione del decreto legge, il rappresentante del Governo ha dichiarato il proprio impegno affinché questa disparità giuridica di trattamento, in danno degli artisti e delle imprese intermediarie che li rappresentano venga rapidamente risolta,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di introdurre nella Legge di Stabilità 2014 – o in subordine in sede di recepimento della direttiva 2011/77/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 settembre 2011, che modifica la direttiva 2006/116/CE concernente la durata di protezione del diritto d'autore e di alcuni diritti connessi – la modifica dell'articolo 73 della legge n. 633 del 22 aprile 1941 nel senso di consentire anche agli artisti, interpreti ed esecutori gli stessi diritti previsti per le organizzazione imprenditoriali e quindi a far sì che l'esercizio al diritto al compenso previsto dagli articoli 73 e 73-bis della legge n. 633 del 22 aprile 1941 non sia più attribuito in via esclusiva al produttore, ma sia riconosciuto distintamente a tutte le imprese intermediarie dei diritti connessi al diritto d'autore che abbiano i requisiti richiesti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 19 dicembre 2012 e che abbiano ricevuto mandato dai singoli aventi diritto, inclusi gli artisti interpreti o esecutori, in posizione di autonomia e indipendenza reciproca.
9/1248-A-R/8. (Testo modificato nel corso della seduta) Di Gioia.
La Camera,
premesso che:
in sede di esame di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, l'articolo 31, reca disposizioni per la semplificazione in materia di DURC;
considerato che:
il certificato di agibilità è il documento che autorizza l'impresa a far agire nei locali di proprietà (o di cui le stesse imprese abbiano un diritto personale di godimento) i lavoratori dello spettacolo artisti e tecnici, occupati nelle categorie da 1 a 14 dell'articolo 3 del decreto legislativo C.P.S. n. 708/47 (e successive modifiche ed integrazioni) in relazione ad uno specifico evento (o ad una serie di eventi). L'agibilità viene rilasciata dalla gestione ex-Enpals previo accertamento della regolarità degli adempimenti contributivi o a seguito di presentazione di idonee garanzie (articolo 10 decreto legislativo C.P.S. n. 708/47). In particolare, in conformità alle disposizioni vigenti dal 1o gennaio 2008, il rilascio del certificato è subordinato all'assenza di debiti contributivi da parte dell'impresa richiedente nei confronti dell'Ente. Infatti, nel caso in cui l'impresa risulti debitrice sarà necessario regolarizzare la posizione debitoria versando l'importo dovuto (anche ratealmente) o produrre fideiussione bancaria o assicurativa di importo pari all'ammontare dei debiti contributivi; di fatto, la predetta certificazione svolge la medesima funzione che attualmente ricopre il documento unico di regolarità contributiva (DURC). Appare pertanto necessario, in chiave semplificativa, uniformare le due discipline riconducendo anche le aziende dello spettacolo al sistema DURC,
impegna il Governo
ad uniformare la disciplina relativa al certificato di agibilità che autorizza l'impresa a far agire nei locali di proprietà i lavoratori dello spettacolo artisti e tecnici, al documento unico di regolarità contributiva.
9/1248-A-R/9. Ciprini, Baldassarre, Rostellato, Cominardi, Rizzetto, Bechis, Tripiedi.
La Camera,
premesso che:
i datori di lavoro o i consulenti del lavoro delegati, previa autenticazione con PIN, possono consultare gli attestati dei propri dipendenti attraverso i servizi messi a disposizione dall'Inps tramite la consultazione dell'area dedicata;
attraverso questo meccanismo, il datore di lavoro o il consulente da lui delegato può consultare e stampare un attestato di malattia fornendo il numero di protocollo del certificato e il codice fiscale associato;
considerato che le domande relative a prestazioni previdenziali (maternità, permessi disabili eccetera) se pur compilati in via telematica, devono poi essere consegnati in cartaceo al datore di lavoro;
ritenuto che l'utilizzo di internet velocizza e riduce i costi connessi alla richiesta delle suddette prestazioni previdenziali,
impegna il Governo
ad introdurre meccanismi che consentano l'invio diretto agli intermediari delle domande relative a prestazioni previdenziali così come già avviene per la verifica dei certificati di malattia.
9/1248-A-R/10. Tripiedi, Baldassarre, Rostellato, Cominardi, Bechis, Rizzetto, Ciprini.
La Camera,
premesso che:
in caso di infortunio sul luogo di lavoro, il datore di lavoro è tenuto a inoltrare la denuncia all'Inail tramite il portale nell'area dedicata;
per la richiesta di liquidazione, è necessario da parte del datore l'inserimento di dati sia relativi all'azienda, quelli relativi alla dinamica dell'incidente e quelli relativi all'inquadramento del lavoratore infortunato;
considerato che nei casi di infortunio del dipendente part time l'INAIL, dopo aver ricevuto la relativa denuncia, richiede dei dati aggiuntivi all'impresa (orario part time, orario full time applicato in azienda e retribuzione di riferimento annuale) per poter procedere alla liquidazione;
ritenuto che tale doppia comunicazione risulta superflua ed onerosa,
impegna il Governo
a sollecitare la realizzazione di integrazioni del sistema informatico che lo rendano più completo per il tramite dell'inserimento di una finestra apposita al fine di permettere all'operatore di inserire già in sede di prima denuncia l'orario di lavoro del dipendente da indennizzare e conseguentemente consentire all'INAIL di provvedere alle erogazioni in modo più celere e diretto.
9/1248-A-R/11. Cominardi, Baldassarre, Rostellato, Ciprini, Tripiedi, Rizzetto, Bechis.
La Camera,
premesso che:
in sede di esame di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, l'articolo 34, reca disposizioni in materia di trasmissione in via telematica del certificato medico di gravidanza indicante la data presunta del parto, del certificato di parto e del certificato di interruzione di gravidanza;
considerato che attualmente una lavoratrice in gravidanza che ha la necessità di astenersi dal posto di lavoro in modo anticipato rispetto al periodo obbligatorio è chiamata a svolgere una serie di adempimenti burocratici quali:
1. fare un'istanza al Ministero del lavoro;
2. predisposizione da parte del Ministero del lavoro di una richiesta di visita alla ASL competente;
3. visita medica;
4. consegna da parte della lavoratrice del certificato medico rilasciato dalla ASL, al Ministero del lavoro che a sua volta rilascia il provvedimento di autorizzazione;
tale procedura si attiva ad ogni proroga dell'astensione anticipata;
di fatto l'intervento del Ministero del Lavoro non aggiunge alcuna garanzia di correttezza dell'astensione trattandosi di manifestazione accertabile solo sul piano medico;
appare opportuno elidere ogni intervento nella suddetta prassi da parte del ministero del lavoro in quanto il rilascio del certificato della ASL costituisce di per se documento idoneo ad astenersi dal posto di lavoro al pari di qualsiasi certificazione medica per malattia;
una prima soluzione è stata introdotta a decorrere dal 1o aprile 2012, (ai sensi del DL 5/2012) con riferimento all'ipotesi di cui all'articolo 17, comma 2, lettera a), decreto legislativo n. 151/2001, (cioè gravi complicazioni della gravidanza o forme morbose pregiudizievoli) l'autorizzazione è disposta dalla sola ASL con modalità definite con Accordo sancito in sede di Conferenza permanente Stato/Regioni. In attesa della convocazione della Conferenza Stato/Regioni, il Ministero del lavoro sollecita gli Uffici periferici (DTL) a concludere intese con le AA.SS.LL. per consentire tempestivamente l'emanazione dei provvedimenti di interdizione anticipata (ML lett. circ. n. 7247/2012). Tuttavia, la lungaggine di queste intese di fatto lascia ancora inalterato il problema in diverse parti d'Italia,
impegna il Governo
ad adottare le necessarie iniziative tese a rafforzare la tutela della lavoratrice in gravidanza, con particolare riferimento allo snellimento delle procedure per l'ottenimento dell'astensione dal lavoro in periodo anticipato a quello obbligatorio.
9/1248-A-R/12. Bechis, Baldassarre, Rostellato, Cominardi, Tripiedi, Ciprini, Rizzetto.
La Camera,
premesso che:
in sede di esame di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, l'articolo 32, reca disposizioni per la semplificazione di adempimenti formali in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro;
considerato che il decreto legislativo n. 81/2008 all'articolo 8 comma 4 prevede che con decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, che vengano definite le regole tecniche per la realizzazione ed il funzionamento del SINP, nonché le regole per il trattamento dei dati;
tenuto conto che ad oggi il suddetto sistema è privo di operatività nonostante sia essenziale avviare il medesimo in quanto fondamentale per riunire tutte le informazioni inerenti agli infortuni sul lavoro, alle malattie professionali e alle attività di prevenzione e vigilanza svolte dai vari enti competenti,
impegna il Governo
a porre in essere nell'immediato e comunque entro e non oltre il 31 dicembre 2013 ogni atto necessario a rendere effettiva l'operatività del Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP).
9/1248-A-R/13. Baldassarre, Rostellato, Cominardi, Ciprini, Tripiedi, Rizzetto, Bechis, Sorial.
La Camera,
premesso che:
in sede di esame di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, l'articolo 32, reca disposizioni per la semplificazione di adempimenti formali in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro;
considerato che il nuovo testo unico per la sicurezza sul lavoro (articolo 304, decreto legislativo n. 81/2008) ha di fatto abrogato le disposizioni che regolamentano il registro infortuni (decreto del Presidente della Repubblica n. 547/55 nonché decreto ministeriale 12 settembre 1958; articolo 4, comma 5, lettera O), decreto legislativo n. 626/94) ma che nonostante ciò, il Ministero del lavoro (Nota Min. lav. 21 maggio 2008 Prot. 25/SEGR/0006587) e l'INAIL (Nota INAIL 22 maggio 2008 Prot. 6002.23/05/2008.0004404) hanno precisato che fino al momento dell'istituzione del SINP (sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro) nulla muta in merito agli obblighi di annotazione degli infortuni sull'apposito registro;
tenuto conto che il registro infortuni, sulla base di come è andata evolvendosi la gestione del rapporto di lavoro, rappresenta oggi un adempimento formale inutile e dispendioso per le aziende con l'aggravante della previsione di pesanti sanzioni a carico delle stesse, fino all'importo di 15.000 euro in caso di scorretta tenuta del medesimo registro;
tenuto conto che la stessa vidimazione del registro infortuni per le nuove aziende comporta inutile dispendio di tempo in quanto ogni ASL utilizza modelli e modalità differenti per la richiesta e l'invio del registro infortuni per la vidimazione e la sua restituzione,
impegna il Governo
a rendere operativo il SINP entro e non oltre il 31 dicembre 2013 in modo da poter rendere attuativa l'abrogazione delle disposizioni connesse agli obblighi di annotazione del registro infortuni e conseguentemente rimuovere ogni onere sanzionatorio a carico delle aziende inadempienti entro e non oltre il 1o gennaio 2014.
9/1248-A-R/14. Rostellato, Baldassarre, Cominardi, Bechis, Ciprini, Tripiedi, Rizzetto.
La Camera,
premesso che in sede di esame di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, l'articolo 32, reca disposizioni per la semplificazione di adempimenti formali in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro;
considerato che come previsto dall'articolo 71, comma 11 e comma 12 del decreto legislativo n. 81/2008 il datore di lavoro è tenuto a sottoporre le attrezzature di lavoro a verifiche periodiche volte a valutarne l'effettivo stato di conservazione e di efficienza ai fini di sicurezza avvalendosi del supporto di soggetti pubblici o privati abilitati;
ritenuto come dette onerose verifiche rivestano fondamentale importanza in tema di sicurezza del lavoro,
impegna il Governo
a stanziare parte dei fondi INAIL (cosiddetto «tesoretto») per istituire meccanismi premianti attraverso i quali lo Stato possa contribuire ai costi per le verifiche sui macchinari, per le piccole e medie aziende dove gli elevati standard di sicurezza abbiano garantito la riduzione di eventi infortunistici.
9/1248-A-R/15. Rizzetto, Baldassarre, Rostellato, Cominardi, Ciprini, Tripiedi, Bechis.
La Camera,
premesso che in sede di esame di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, l'articolo 32, reca disposizioni per la semplificazione di adempimenti formali in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro;
considerato che come previsto dall'articolo 71, comma 11 e comma 12 del decreto legislativo n. 81/2008 il datore di lavoro è tenuto a sottoporre le attrezzature di lavoro a verifiche periodiche volte a valutarne l'effettivo stato di conservazione e di efficienza ai fini di sicurezza avvalendosi del supporto di soggetti pubblici o privati abilitati;
ritenuto come dette onerose verifiche rivestano fondamentale importanza in tema di sicurezza del lavoro,
impegna il Governo
a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di stanziare parte dei fondi INAIL (cosiddetto «tesoretto») per istituire meccanismi premianti attraverso i quali lo Stato possa contribuire ai costi per le verifiche sui macchinari, per le piccole e medie aziende dove gli elevati standard di sicurezza abbiano garantito la riduzione di eventi infortunistici.
9/1248-A-R/15. (Testo modificato nel corso della seduta) Rizzetto, Baldassarre, Rostellato, Cominardi, Ciprini, Tripiedi, Bechis.
La Camera,
premesso che in sede di esame di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, l'articolo 32, reca disposizioni per la semplificazione di adempimenti formali in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro;
considerato che a distanza di anni non sono ancora state fornite risposte certe a quei lavoratori che loro malgrado si sono trovati sottoposti ad esercitare la loro attività lavorativa a stretto contatto con l'amianto;
ritenuto che valga la pena di ricordare come la diretta conseguenza della detta esposizione è il così detto «mesotelioma maligno», una forma rara di cancro che ha origine nel mesotelio, la membrana che riveste e protegge la maggior parte degli organi interni del corpo. Il mesotelio è costituito da due strati, uno che circonda l'organo stesso, e l'altro che forma un rivestimento a sacco interno ad esso. Tra questi due strati si produce normalmente una piccola quantità di liquido, per lubrificare i movimenti degli organi protetti. Quando le normali cellule del mesotelio vanno fuori controllo e si moltiplicano rapidamente, si parla di mesotelioma. La forma più comune di mesotelioma è il mesotelioma «pleurico», che si genera nel rivestimento dei polmoni. Altre forme sono il mesotelioma «peritoneale», che riguarda il rivestimento della cavità addominale, e il mesotelioma «pericardiaco», che riguarda il rivestimento del cuore; l'esposizione può essere lavorativa, per gli operatori impegnati nella produzione e nell'utilizzo industriale di amianto e derivati, o paraoccupazionale, per l'uso dei relativi manufatti. L'esposizione può essere anche non professionale, cioè correlata all'uso dei manufatti per scopi non lavorativi e naturale, nei rari casi di esposizione in locazioni geologiche a polveri di origine naturale, non di cava. L'incidenza di questa neoplasia appare in crescita in tutto il mondo con circa 2,2 casi per milione di abitanti; essendo fortemente correlata all'uso industriale dell'amianto, attualmente vietato da 20 anni (1992) ed in fase di eliminazione in alcuni paesi, ed essendo la patologia ad alta latenza temporale (il periodo di incubazione è di circa 30 anni), si prevede un livello costante di incidentalità della malattia in Italia fino al 2020 (cioè circa 30 anni dopo il 1992), ed una successiva decrescita; il mesotelioma è quasi sempre provocato dall'esposizione alla fibra di amianto. Molte persone vi sono state esposte nella vita militare; altre a causa del loro lavoro; altri ancora, secondariamente, attraverso il contatto con gli operai esposti. A causa della sua latenza, il cancro potrebbe non manifestarsi per 20-50 anni, e oltre, dopo l'esposizione,
impegna il Governo
ad adottare le necessarie iniziative tese a rafforzare la tutela del diritto al risarcimento di quanti sono stati uccisi o resi invalidi dal proprio lavoro a contatto con l'amianto ed a prevedere in favore di questi lavoratori la possibilità di derogare all'articolo 24 del decreto legge n. 201 del 2011 convertito in legge n. 214 del 2011 ai fini dell'accesso al prepensionamento previsto dalla legge n. 257 del 1992.
9/1248-A-R/16. Sibilia, Bechis, Baldassarre, Rostellato, Ciprini, Tripiedi, Cominardi, Rizzetto, Antezza.
La Camera,
premesso che in sede di esame di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, l'articolo 32, reca disposizioni per la semplificazione di adempimenti formali in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro;
considerato che a distanza di anni non sono ancora state fornite risposte certe a quei lavoratori che loro malgrado si sono trovati sottoposti ad esercitare la loro attività lavorativa a stretto contatto con l'amianto;
ritenuto che valga la pena di ricordare come la diretta conseguenza della detta esposizione è il così detto «mesotelioma maligno», una forma rara di cancro che ha origine nel mesotelio, la membrana che riveste e protegge la maggior parte degli organi interni del corpo. Il mesotelio è costituito da due strati, uno che circonda l'organo stesso, e l'altro che forma un rivestimento a sacco interno ad esso. Tra questi due strati si produce normalmente una piccola quantità di liquido, per lubrificare i movimenti degli organi protetti. Quando le normali cellule del mesotelio vanno fuori controllo e si moltiplicano rapidamente, si parla di mesotelioma. La forma più comune di mesotelioma è il mesotelioma «pleurico», che si genera nel rivestimento dei polmoni. Altre forme sono il mesotelioma «peritoneale», che riguarda il rivestimento della cavità addominale, e il mesotelioma «pericardiaco», che riguarda il rivestimento del cuore; l'esposizione può essere lavorativa, per gli operatori impegnati nella produzione e nell'utilizzo industriale di amianto e derivati, o paraoccupazionale, per l'uso dei relativi manufatti. L'esposizione può essere anche non professionale, cioè correlata all'uso dei manufatti per scopi non lavorativi e naturale, nei rari casi di esposizione in locazioni geologiche a polveri di origine naturale, non di cava. L'incidenza di questa neoplasia appare in crescita in tutto il mondo con circa 2,2 casi per milione di abitanti; essendo fortemente correlata all'uso industriale dell'amianto, attualmente vietato da 20 anni (1992) ed in fase di eliminazione in alcuni paesi, ed essendo la patologia ad alta latenza temporale (il periodo di incubazione è di circa 30 anni), si prevede un livello costante di incidentalità della malattia in Italia fino al 2020 (cioè circa 30 anni dopo il 1992), ed una successiva decrescita; il mesotelioma è quasi sempre provocato dall'esposizione alla fibra di amianto. Molte persone vi sono state esposte nella vita militare; altre a causa del loro lavoro; altri ancora, secondariamente, attraverso il contatto con gli operai esposti. A causa della sua latenza, il cancro potrebbe non manifestarsi per 20-50 anni, e oltre, dopo l'esposizione,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di adottare le necessarie iniziative tese a rafforzare la tutela del diritto al risarcimento di quanti sono stati uccisi o resi invalidi dal proprio lavoro a contatto con l'amianto ed a prevedere in favore di questi lavoratori la possibilità di derogare all'articolo 24 del decreto legge n. 201 del 2011 convertito in legge n. 214 del 2011 ai fini dell'accesso al prepensionamento previsto dalla legge n. 257 del 1992.
9/1248-A-R/16. (Testo modificato nel corso della seduta) Sibilia, Bechis, Baldassarre, Rostellato, Ciprini, Tripiedi, Cominardi, Rizzetto, Antezza.
La Camera,
considerato che:
l'articolo 56-bis introdotto con emendamento dei relatori in Commissione, ridefinisce le modalità per il trasferimento dei beni demaniali di cui all'articolo 5, comma 1, lettera e) e comma 4 del decreto legislativo n. 85 del 2010;
al comma 2 stabilisce che l'Agenzia del Demanio verifica la sussistenza dei presupposti per l'accoglimento delle richieste di trasferimento;
al comma 10 definisce la destinazione obbligatoria delle risorse rinvenienti dalla eventuale alienazione – o cessione di quote di fondi immobiliari cui i medesimi immobili siano conferiti – rinviando alla applicazione dell'articolo 9 comma 5 del decreto legislativo n. 85 del 2010 (riduzione del debito);
l'articolo 9, comma 5, del decreto legislativo n. 85 del 2010 prescrive la destinazione delle risorse nette delle alienazioni al 75 per cento per la riduzione del debito dell'ente e 25 per cento al fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato;
nel definire tale destinazione il citato comma 10 si esprime – con modalità apparentemente estensive ed onnicomprensive – riferendosi all'intero patrimonio disponibile degli enti territoriali superando evidentemente l'oggetto stesso dell'articolo 56-bis (semplificazione delle procedure in materia di trasferimento di immobili agli enti territoriali);
impegna il Governo
a prevedere che l'Agenzia del demanio nella procedura di cui al comma 2 si coordini con le associazioni di rappresentanza degli enti territoriali rappresentate in conferenza unificata e di limitare la sfera di applicazione del comma 10 esclusivamente ai beni oggetto di trasferimento dallo stato agli enti territoriali.
9/1248-A-R/17. Lorenzo Guerini, Rughetti, Guerra.
La Camera,
premesso che:
il fax, o telefax nella sua forma corretta, è un servizio telefonico consistente nella trasmissione di immagini fisse, e dunque di copie di documenti cartacei, e che il primo strumento per tale trasmissione fu brevettato dallo scozzese Alexander Bain nel 1843, seppur in forma alquanto elementare rispetto alle evoluzioni successive, anche se ha mantenuto il medesimo principio di funzionamento;
le prime stime degli esperti, dopo l'avvento dei personal computer negli anni ’70, prevedevano una diminuzione del consumo della carta, data la possibilità di leggere e lavorare direttamente da monitor, che risultarono invece infondate dato una crescita calcolata attorno al 50 per cento dal 1980 ad oggi del consumo (Economist);
secondo uno studio del Bureau of International Recycling (BIR), l'Italia avrebbe consumato nel 2010 quasi 11 milioni di tonnellate di carta, più di Brasile, Russia, India, Francia, Spagna o Regno Unito, e di questa una grande percentuale non si può negare provenga dalla burocrazia della pubblica amministrazione, centrale e locale;
con l'avvento delle più moderne tecnologie dell'informazione, con lo sviluppo della banda larga e di connessioni internet sicure ed efficienti è impensabile perpetrare un tale spreco di carta, e di conseguenza di risorse ambientali, considerando pure che la pubblica amministrazione deve avere una funzione pedagogica, oltre che di servizio, nei confronti dei cittadini; non è ammissibile che ad oggi, 2013, possano esistere pubblici uffici sprovvisti di una dotazione tecnologica adeguata al superamento del mezzo fax, né tantomeno è accettabile che funzionari pubblici non siano in grado di utilizzare tale strumentazione. Risulterebbe inoltre, questo, essere uno stimolo affinché vi sia una spinta all'alfabetizzazione e all'aggiornamento delle competenze del personale pubblico oltre che della dotazione tecnica degli uffici, nel caso fossero sprovvisti; la trasmissione di documenti e dati in modo telematico permette di ridurre i tempi e quindi permette di aumentare l'efficienza dell'azione amministrativa,
impegna il Governo
a proseguire nella digitalizzazione dei processi della pubblica amministrazione, a diminuire il consumo di carta degli uffici della pubblica amministrazione, e dunque ammodernando le pratiche di trasmissione di comunicazioni e documenti, eliminando l'ormai obsoleta pratica della trasmissione dei documenti via fax tra uffici e tra amministrazioni.
9/1248-A-R/18. Coppola.
La Camera,
premesso che:
il Ministro dell'interno ha approvato con decreto 16 marzo 2012, ai sensi dell'articolo 15, commi 7 e 8, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, il piano straordinario biennale concernente l'adeguamento alle disposizioni di prevenzione incendi delle strutture ricettive turistico-alberghiere con oltre venticinque posti letto, esistenti alla data di entrata in vigore del decreto del Ministro dell'interno 9 aprile 1994, che non abbiano completato l'adeguamento alle suddette disposizioni di prevenzione incendi;
l'attuale situazione deriva dal fatto che l'Italia, a suo tempo, ha recepito in toto la raccomandazione del Consiglio dell'unione europea del 22 dicembre 1986 per la protezione antincendio degli alberghi già esistenti, di per sé non cogente, senza porsi il problema delle effettive modalità di applicazione;
molti altri Paesi hanno recepito la medesima raccomandazione solo per le nuove strutture, permettendo a quelle esistenti di adeguarsi solo in occasione di ristrutturazioni, modifiche o ampliamenti che sono periodicamente necessari;
la normativa italiana non ha peraltro tenuto conto dell'intrinseca sicurezza della stragrande maggioranza dei nostri alberghi, i quali, diversamente da quelli di molti Paesi europei, dove il problema è sicuramente maggiore e più impellente, sono realizzati in muratura e non in legno e non fanno largo uso di moquette o simili;
da quanto premesso si deduce che il decreto ministeriale 9 aprile 1994, da un lato ha stabilito obiettivi troppo viziosi e inattuabili, tanto da essere successivamente modificato per gli alberghi esistenti con il decreto ministeriale 6 ottobre 2003, dall'altro non ha previsto norme transitorie, facendo tabula rasa delle situazioni preesistenti, al punto che, anche gli adeguamenti effettuati dalle strutture in regola in base alla previgente legislazione, sono stati annullati;
le proroghe che si sono succedute, in conseguenza di tale situazione, sono state sempre troppo brevi, al massimo due o tre anni, o di anno in anno, e non hanno consentito una effettiva programmazione degli investimenti e degli interventi, considerando che gli oneri specie per interventi di adeguamento implicano altre autorizzazioni che hanno tempistiche a loro volta molto lunghe ed, in alcuni casi, possono contrastare con le stesse scadenze delle normative antincendio;
in Europa l'applicazione della raccomandazione che in Italia ha portato all'emanazione del DM 9 aprile 1994, è stata, quasi ovunque più cauta, secondo la «Relazione della Commissione sull'applicazione della Raccomandazione del Consiglio del 22 dicembre 1986 per la protezione antincendio degli alberghi già esistenti (86/666/CEE)» del 2001 nella quale sono state analizzate, a livello europeo, le modalità di applicazione dei vari stati della raccomandazione e gli interventi da attuare ai fini di una effettiva sicurezza antincendio delle strutture alberghiere;
dalla predetta relazione si evince che:
numerosi stati membri (Germania, Austria, Spagna, Danimarca, Finlandia, Regno Unito, Lussemburgo e Paesi Bassi) hanno scelto di limitare l'applicazione delle disposizioni della raccomandazione agli alberghi di nuova costruzione o al momento dell'esecuzione di lavori di risistemazione, di modifica o di ampliamento dei vecchi alberghi;
la Commissione ritiene che le specificità del settore (complessità, varietà delle situazioni e dei contesti regolamentari nazionali) che avevano motivato la scelta di una raccomandazione come strumento giuridico, giustifichino il mantenimento di un approccio flessibile. Un'armonizzazione rigida delle prescrizioni tecniche applicabili in tutti gli alberghi esistenti nella Comunità non rappresenterebbe evidentemente una soluzione realizzabile;
è opportuno inserire, in un'eventuale nuova raccomandazione, disposizioni più particolareggiate, adeguate e concrete, nei casi di alberghi esistenti qualora non fossero applicabili gli orientamenti della raccomandazione 86/666/CEE;
infine, la stessa Unione europea si è posta il problema della disapplicazione della propria raccomandazione per gli alberghi esistenti ed ha incaricato l'HOTREC – associazione che rappresenta gli alberghi, i ristoranti e i bar europei – di sviluppare «linee guida» più flessibili che consentano, con interventi differenziati a seconda delle caratteristiche dell'albergo, di raggiungere il medesimo livello di sicurezza;
è necessario intervenire con urgenza per aggiornare le disposizioni del decreto del Ministero dell'interno del 9 aprile 1994 recante «Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la costruzione e l'esercizio delle attività ricettive turistico-alberghiere»,
impegna il Governo
ad aggiornare le disposizioni del citato decreto del Ministero dell'interno del 9 aprile 1994, semplificando i requisiti prescritti, in particolare per le strutture ricettive turistico-alberghiere fino a 50 posti letto, sospendendo i termini previsti per l'applicazione delle disposizioni contenute nel decreto del Ministero dell'interno del 16 marzo 2012 e rimodulando conseguentemente i tempi e le modalità di applicazione del decreto medesimo.
9/1248-A-R/19. Bini, Petitti, Taranto, De Menech.
La Camera,
premesso che:
all'articolo 37 del presente decreto legge si fa esplicito riferimento al rilancio delle cosiddette zone a burocrazia zero;
la semplificazione diventa fondamentale per il rilancio dell'economia in particolar modo per quanto riguarda le regioni meridionali;
esistono nel mezzogiorno aree industriali completamente infrastrutturate, in particolare quelle legate alle ex partecipazioni statali, già oggetto di tentativi di rilancio attraverso la programmazione negoziata;
l'allocazione di eventuali investimenti, anche stranieri, potrebbe consentire il rilancio produttivo di siti oggi in grave difficoltà;
tale impegno risponderebbe all'obiettivo illustrato recentemente dal Presidente del Consiglio Enrico Letta di rilanciare l'attrattività dell'Italia attraverso la mission di «destinazione Italia»,
impegna il Governo:
a) ad autorizzare entro 30 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della conversione in legge del presente decreto legge la sperimentazione di zone a burocrazia zero una per ciascuna provincia delle regioni Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia individuate d'intesa con gli enti locali e le Regioni al fine di rilanciare lo sviluppo produttivo;
b) a relazionare entro 12 mesi successivi dalla individuazione delle zone a burocrazia zero Ministero alle competenti commissioni parlamentari sui risultati conseguiti per valutarne esiti e apportare eventuali correttivi e implementazioni normative.
9/1248-A-R/20. Burtone, Antezza.
La Camera,
premesso che:
all'articolo 37 del presente decreto legge si fa esplicito riferimento al rilancio delle cosiddette zone a burocrazia zero;
la semplificazione diventa fondamentale per il rilancio dell'economia in particolar modo per quanto riguarda le regioni meridionali;
esistono nel mezzogiorno aree industriali completamente infrastrutturate, in particolare quelle legate alle ex partecipazioni statali, già oggetto di tentativi di rilancio attraverso la programmazione negoziata;
l'allocazione di eventuali investimenti, anche stranieri, potrebbe consentire il rilancio produttivo di siti oggi in grave difficoltà;
tale impegno risponderebbe all'obiettivo illustrato recentemente dal Presidente del Consiglio Enrico Letta di rilanciare l'attrattività dell'Italia attraverso la mission di «destinazione Italia»,
impegna il Governo:
a) a favorire la sperimentazione di zone a burocrazia zero anche sulle regioni Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia, al fine di rilanciare lo sviluppo produttivo;
b) a relazionare entro 12 mesi successivi dalla individuazione delle zone a burocrazia zero alle competenti commissioni parlamentari sui risultati conseguiti per valutarne esiti e apportare eventuali correttivi e implementazioni normative.
9/1248-A-R/20. (Testo modificato nel corso della seduta) Burtone, Antezza.
La Camera,
premesso che:
con il disegno di legge recante la conversione del decreto-legge 69/2013 è intenzione meritoria del Governo quella di favorire lo sviluppo e la crescita del Paese;
con il decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106 – semestre europeo – prime disposizioni urgenti per l'economia (Gazzetta Ufficiale n. 160 del 12 luglio 2011), era stato istituito, sperimentalmente per gli anni 2011 e 2012, un credito di imposta a favore delle imprese che finanziavano progetti di ricerca, in università ovvero enti pubblici di ricerca;
il credito di imposta spettava per gli investimenti realizzati a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2010 e fino alla chiusura del periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2012;
il fondo in questione dal 31 dicembre 2012 non è stato rifinanziato e, pertanto, ritenuto utile continuare a favorire un'imprenditorialità altamente qualificata e di supporto al sistema economico nazionale,
impegna il Governo
ad assumere iniziative normative per rinnovare il credito d'imposta in parola anche per il biennio 2013/2014 e, nel contempo, nel caso siano risultate inutilizzate risorse rispetto all'impegno di spesa in precedenza previsto, di reinvestire le medesime per il biennio 2013/2014.
9/1248-A-R/21. D'Arienzo, Crivellari, Sbrollini, Antezza.
La Camera,
premesso che:
con il disegno di legge recante la conversione del decreto-legge 69/2013 è intenzione meritoria del Governo quella di favorire lo sviluppo e la crescita del Paese;
con il decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106 – semestre europeo – prime disposizioni urgenti per l'economia (Gazzetta Ufficiale n. 160 del 12 luglio 2011), era stato istituito, sperimentalmente per gli anni 2011 e 2012, un credito di imposta a favore delle imprese che finanziavano progetti di ricerca, in università ovvero enti pubblici di ricerca;
il credito di imposta spettava per gli investimenti realizzati a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2010 e fino alla chiusura del periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2012;
il fondo in questione dal 31 dicembre 2012 non è stato rifinanziato e, pertanto, ritenuto utile continuare a favorire un'imprenditorialità altamente qualificata e di supporto al sistema economico nazionale,
impegna il Governo
a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di assumere iniziative normative per rinnovare il credito d'imposta in parola anche per il biennio 2013/2014 e, nel contempo, nel caso siano risultate inutilizzate risorse rispetto all'impegno di spesa in precedenza previsto, di reinvestire le medesime per il biennio 2013/2014.
9/1248-A-R/21. (Testo modificato nel corso della seduta) D'Arienzo, Crivellari, Sbrollini, Antezza.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 18 del provvedimento in esame, rubricato come «Sblocca cantieri, manutenzione reti e territorio e fondo piccoli Comuni», ai commi 8, 8-sexies e 9, prevede il finanziamento di interventi rispettivamente per l'edilizia scolastica e per investimenti nei Comuni con meno di 5.000 abitanti;
l'effettiva operatività di tali interventi ed il conseguente effetto di sblocco dei cantieri e degli investimenti in settori di straordinario rilievo quali la messa in sicurezza degli edifici scolastici e del territorio, e importanti interventi infrastrutturali, rischia di essere depotenziata se non vanificata dai vincoli del Patto di stabilità interno,
impegna il Governo
ad adottare misure idonee ad escludere i pagamenti riferiti a tali finanziamenti dai limiti del Patto di stabilità interno degli enti interessati, per la quota di rispettiva competenza.
9/1248-A-R/22. Guerra, Pastorino, Fragomeli, Braga, Lorenzo Guerini, Giuseppe Guerini, Gregori, Giulietti, Cimbro, Antezza, Marchetti, Basso.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 18 del provvedimento in esame, rubricato come «Sblocca cantieri, manutenzione reti e territorio e fondo piccoli Comuni», ai commi 8, 8-sexies e 9, prevede il finanziamento di interventi rispettivamente per l'edilizia scolastica e per investimenti nei Comuni con meno di 5.000 abitanti;
l'effettiva operatività di tali interventi ed il conseguente effetto di sblocco dei cantieri e degli investimenti in settori di straordinario rilievo quali la messa in sicurezza degli edifici scolastici e del territorio, e importanti interventi infrastrutturali, rischia di essere depotenziata se non vanificata dai vincoli del Patto di stabilità interno,
impegna il Governo
a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di adottare misure idonee ad escludere i pagamenti riferiti a tali finanziamenti dai limiti del Patto di stabilità interno degli enti interessati, per la quota di rispettiva competenza.
9/1248-A-R/22. (Testo modificato nel corso della seduta) Guerra, Pastorino, Fragomeli, Braga, Lorenzo Guerini, Giuseppe Guerini, Gregori, Giulietti, Cimbro, Antezza, Marchetti, Basso.
La Camera,
premesso che:
con il disegno di legge recante la conversione del decreto-legge 69/2013 è intenzione meritoria del Governo quella di favorire lo sviluppo e la crescita del Paese;
l'articolo 9 del decreto-legge in questione prevede tre punti per superare l'attuale stand-by nel delicato comparto dei fondi comunitari:
1) la sussidiarietà per sostituirsi all'ente inadempiente;
2) la conferenza dei servizi;
3) il ricorso allo Stato, sentite le Regioni, e quindi alla nomina di uno o più Commissari ad acta;
si tratta di previsioni che in parte consentono il superamento delle difficoltà esistenti. Infatti, quello che serve è anche favorire la cultura degli enti pubblici per stimolare investimenti mirati da parte dei medesimi e la strutturazione di uffici con persone preparate ed accorte sull'argomento;
tale servizio deve essere trasversale a tutte le competenze (dal sociale all'economico) e finalizzato a «prendere in carico» il finanziamento dal momento che il Comune rappresenta una necessità fino alla contrattazione finale con il Ministero o l'Unione europea: una sorta, quindi, di agenzia per il fund-raising per il settore pubblico,
impegna il Governo
ad incentivare la costituzione di strutture adeguate a livello provinciale, con dirigente o alta professionalità riconosciuta ed adeguato personale, che svolga un servizio gratuito ed obbligatorio a favore dei piccoli e medi Comuni nel settore della ricerca e dell'avvio delle procedure per ottenere finanziamenti di ogni rango sulle specifiche esigenze rappresentate.
9/1248-A-R/23. Crimì, D'Arienzo, Sbrollini.
La Camera,
premesso che:
con il disegno di legge recante la conversione del decreto-legge 69/2013 è intenzione meritoria del Governo quella di favorire lo sviluppo e la crescita del Paese;
l'articolo 9 del decreto-legge in questione prevede tre punti per superare l'attuale stand-by nel delicato comparto dei fondi comunitari:
1) la sussidiarietà per sostituirsi all'ente inadempiente;
2) la conferenza dei servizi;
3) il ricorso allo Stato, sentite le Regioni, e quindi alla nomina di uno o più Commissari ad acta;
si tratta di previsioni che in parte consentono il superamento delle difficoltà esistenti. Infatti, quello che serve è anche favorire la cultura degli enti pubblici per stimolare investimenti mirati da parte dei medesimi e la strutturazione di uffici con persone preparate ed accorte sull'argomento;
tale servizio deve essere trasversale a tutte le competenze (dal sociale all'economico) e finalizzato a «prendere in carico» il finanziamento dal momento che il Comune rappresenta una necessità fino alla contrattazione finale con il Ministero o l'Unione europea: una sorta, quindi, di agenzia per il fund-raising per il settore pubblico,
impegna il Governo
a valutare, nel rispetto dei vincoli assunzionali e finanziari posti dalle normativa vigente, la possibilità di sostenere la costituzione di strutture adeguate, con dirigente o alta professionalità riconosciuta ed adeguato personale, che svolga un servizio a favore dei piccoli e medi Comuni nel settore della ricerca e dell'avvio delle procedure per ottenere finanziamenti di ogni rango sulle specifiche esigenze rappresentate.
9/1248-A-R/23. (Testo modificato nel corso della seduta) Crimì, D'Arienzo, Sbrollini.
La Camera,
premesso che:
con il disegno di legge recante la conversione del decreto-legge 69/2013 è intenzione meritoria del Governo quella di contrastare il fenomeno dell'evasione fiscale;
l'acquisto intracomunitario di bovini vivi sconta riva nella misura del 10 per cento;
in ordine alle modalità ed ai termini per il versamento dell'imposta all'acquisto possiamo avere due situazioni:
1) l'impresa agricola effettua direttamente l'acquisto dal fornitore francese, tedesco o polacco ed opera in regime normale Iva. In questo caso integra la fattura del cedente comunitario emessa senza imposta, dell'Iva italiana del 10 per cento. La fattura viene registrata sia nel registro acquisti che in quello delle vendite; quindi l'imposta si compensa e non viene versata al momento dell'acquisto. Di fatto l'Iva viene versata al momento della vendita degli animali a fine ciclo in quanto tutta l'Iva addebitata al cliente è dovuta (meno quella pagata sui mangimi);
2) nella medesima situazione di cui al punto 1 in cui però l'impresa agricola rientra nel regime speciale di cui all'articolo 34 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972. In questo caso la fattura comunitaria registrata nel registro acquisti non è detraibile e quindi l'Iva relativa all'acquisto comunitario viene versata entro il 16 del mese successivo a quello in cui la fattura è stata ricevuta (oppure entro il giorno 16 del secondo mese successivo al trimestre per le imprese con volume d'affari non superiore a 516.000 euro);
nell'ipotesi 2) si sono verificate nel tempo delle frodi in quanto il commerciante (se assume la funzione di impresa cartiera) pur ricevendo la fattura comunitaria ed emettendo la fattura all'allevatore acquirente non versa l'Iva;
la soluzione a questo fenomeno è l'inversione contabile nel senso di non lasciare in mano al commerciante «cartiera» l'imposta. Infatti con tale meccanismo definito reverse charge anche il commerciante italiano emette fattura senza Iva e quindi non può truffare lo Stato in quanto non viene in possesso dell'imposta. L'acquirente agricoltore riceve quindi una fattura italiana senza Iva e la applica secondo la procedura di cui ai punti 1 e 2;
ai sensi della normativa vigente in materia, il cosiddetto reverse charge di cui all'articolo 17, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, può essere applicato «alle ulteriori operazioni individuate dal Ministro dell'economia e delle finanze, con propri decreti, in base alla direttiva 2006/69/CE del Consiglio, del 24 luglio 2006», ovvero individuate con decreto regolamentare nelle ipotesi in cui necessita la preventiva autorizzazione del Consiglio dell'Unione europea, che delibera all'unanimità su proposta della Commissione, ad introdurre misure speciali di deroga allo scopo di evitare elusioni o evasioni fiscali;
nel caso di specie, non si può procedere alla modifica legislativa dell'articolo 17, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, ma occorre emanare apposito regolamento ministeriale ai sensi del predetto articolo 17, comma 7, che annoveri il commercio di animali;
sul punto, ad oggi, risulta essere stato emanato il solo decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 10 luglio 2012, recante «Applicazione dell'inversione contabile alle prestazioni edili rese nell'ambito dell'Expo Milano 2015»,
impegna il Governo
ad avviare le previste procedure descritte in premessa per una nuova ipotesi di applicazione del cosiddetto reverse charge che comprenda le cessioni di bovini vivi (voce doganale 01.02) e loro carni (voce doganale 02.01) effettuate da soggetti diversi dai produttori agricoli di cui all'articolo 34 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972.
9/1248-A-R/24. Zardini, D'Arienzo.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 9 del decreto-legge 21 giugno 2013, numero 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia), al comma 1, reca misure per dare precedenza, nella trattazione degli affari di competenza delle amministrazioni statali, ai procedimenti, provvedimenti e atti, anche non aventi natura di provvedimento, in qualsiasi modo connessi all'uso dei fondi europei e, ai commi 2 e seguenti, per contrastare il mancato impiego dei fondi per la programmazione pluriennale 2007-2013;
le difficoltà dell'Italia nell'uso dei fondi europei, che ad oggi, nonostante interventi dai risultati positivi come il piano di azione e coesione, determinano una capacità di spesa pari appena al 40 per cento, hanno caratteri strutturali e costituiscono una seria ipoteca sulle possibilità di crescita e sviluppo del Paese;
le Istituzioni europee hanno definito estese riforme del sistema dei fondi per la programmazione settennale 2014-2020, sotto i profili dell'organizzazione e degli scopi e delle procedure;
mentre si compiono tutti gli sforzi necessari per impiegare correttamente e nei termini di legge i fondi europei della corrente programmazione, è necessario provvedere affinché siano rimosse le difficoltà strutturali per il corretto e tempestivo impiego dei fondi della prossima programmazione,
impegna il Governo:
in vista della programmazione pluriennale 2014-2020, ad assumere e promuovere con urgenza, sentite le Regioni e gli Enti locali, nonché le rappresentanze dei soggetti privati interessati, nel rispetto dei principi costituzionali di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, le misure necessarie a rimuovere le difficoltà strutturali del Paese nel corretto e tempestivo impiego dei fondi europei, in particolare mediante provvedimenti volti a:
a) una migliore scelta e concentrazione degli obiettivi, in armonia cogli scopi definiti a livello dell'Unione;
b) un più efficace coordinamento delle azioni inerenti all'uso dei fondi;
c) semplificare, velocizzare e rendere più trasparenti le procedure amministrative connesse all'impiego dei fondi;
d) fornire adeguata assistenza ai privati, per la conoscenza, l'accesso e l'impiego dei fondi;
e) assicurare la tempestiva e integrale copertura del cofinanziamento nazionale.
9/1248-A-R/25. Pastorino, Giuseppe Guerini, Mosca, Gregori, Gozi, Moscatt, Basso.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 9 del decreto-legge 21 giugno 2013, numero 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia), al comma 1, reca misure per dare precedenza, nella trattazione degli affari di competenza delle amministrazioni statali, ai procedimenti, provvedimenti e atti, anche non aventi natura di provvedimento, in qualsiasi modo connessi all'uso dei fondi europei e, ai commi 2 e seguenti, per contrastare il mancato impiego dei fondi per la programmazione pluriennale 2007-2013;
le difficoltà dell'Italia nell'uso dei fondi europei, che ad oggi, nonostante interventi dai risultati positivi come il piano di azione e coesione, determinano una capacità di spesa pari appena al 40 per cento, hanno caratteri strutturali e costituiscono una seria ipoteca sulle possibilità di crescita e sviluppo del Paese;
le Istituzioni europee hanno definito estese riforme del sistema dei fondi per la programmazione settennale 2014-2020, sotto i profili dell'organizzazione e degli scopi e delle procedure;
mentre si compiono tutti gli sforzi necessari per impiegare correttamente e nei termini di legge i fondi europei della corrente programmazione, è necessario provvedere affinché siano rimosse le difficoltà strutturali per il corretto e tempestivo impiego dei fondi della prossima programmazione,
impegna il Governo:
in vista della programmazione pluriennale 2014-2020, ad assumere e promuovere con urgenza, sentite le Regioni e gli Enti locali, nonché le rappresentanze dei soggetti privati interessati, nel rispetto dei principi costituzionali di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, le misure necessarie a rimuovere le difficoltà strutturali del Paese nel corretto e tempestivo impiego dei fondi europei, in particolare mediante provvedimenti volti a:
a) una migliore scelta e concentrazione degli obiettivi, in armonia cogli scopi definiti a livello dell'Unione;
b) un più efficace coordinamento delle azioni inerenti all'uso dei fondi;
c) semplificare, velocizzare e rendere più trasparenti le procedure amministrative connesse all'impiego dei fondi;
d) fornire alle parti economiche e sociali e a tutti i soggetti portatori di interessi collettivi e conoscenze adeguata assistenza per la conoscenza, l'accesso e l'impiego dei fondi;
e) assicurare la tempestiva e integrale copertura del cofinanziamento nazionale.
9/1248-A-R/25. (Testo modificato nel corso della seduta) Pastorino, Giuseppe Guerini, Mosca, Gregori, Gozi, Moscatt, Basso.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge di conversione del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, contiene alcuni interventi tesi a stimolare la ripresa economica del Paese, tra cui misure dirette al rafforzamento del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese (regolato dall'articolo 2, comma 100, della legge n. 662 del 1996 e successive modificazioni);
tali previsioni hanno l'obiettivo di incentivare gli investimenti e incrementare la competitività del tessuto produttivo, attraverso l'ampliamento delle possibilità di accesso al credito per le PMI, insieme ad una parziale riforma delle regole di accesso al medesimo Fondo di garanzia e ad una minore rigidità nella valutazione delle imprese ammesse, in considerazione delle difficoltà del ciclo economico e della stretta finanziaria e creditizia;
il provvedimento prevede, inoltre, un'ulteriore forma di sostegno agli investimenti delle micro, piccole e medie imprese, introducendo meccanismi incentivanti per l'acquisto di beni strumentali d'impresa, rinnovo di macchinari, impianti e attrezzature ad uso produttivo, incentivi estesi, in sede di esame nelle commissioni riunite, anche alle piccole e medie imprese agricole e del settore della pesca;
è necessario assicurare che i meccanismi incentivanti e il rafforzamento all'accesso al credito per le piccole e medie imprese, contenuti nelle disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, siano estesi anche alle aziende sequestrate e confiscate, per favorire il processo di emersione alla legalità e scongiurare il fallimento di tali aziende una volta acquisite alla gestione dello Stato;
secondo recenti stime (Gli investimenti delle mafie, Progetto PON-Sicurezza 2007-2013) le mafie ricavano dalle loro attività illegali in Italia proventi equivalenti a circa l'1,7 del Prodotto interno lordo del Paese;
secondo la stessa fonte, il 9 per cento dei beni finora confiscati alla criminalità organizzata sono aziende;
di queste attività, secondo i dati contenuti nella Relazione annuale dell'ANBSC (Agenzia Nazionale Beni sequestrati e Confiscati) per il 2011 (aggiornata al 31 dicembre 2011), il 30 per cento sono già uscite dalla gestione, ossia hanno cessato di esistere prima di giungere alla fase di destinazione; il 18 per cento sono ancora in attesa della destinazione; il 51 per cento sono avviate alla vendita, alla liquidazione, al fallimento o stanno per uscire dalla gestione; e solo lo 0,4 per cento è destinato all'affitto;
le aziende e i beni aziendali sequestrati soffrono particolarmente le lunghe procedure della fase giudiziaria, prima della confisca definitiva: durata, incertezza dei processi, la mancanza di una gestione aziendale competente e interessata alla continuazione dell'attività conducono a un forte indebolimento e più generalmente al fallimento delle imprese – le quali al momento del sequestro si trovano spesso già in tensioni finanziarie. La conseguenza di ciò è che spesso la totalità delle aziende arriva in gestione all'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati già tecnicamente fallita, con scarse possibilità di proseguire l'attività o di riposizionarsi sul mercato;
pur in mancanza di stime ufficiali sulla proiezione di tali dati in termini di perdite di posti di lavoro, è facile concludere che il fenomeno riguardi decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici su tutto il territorio nazionale, appartenenti a tutti i settori produttivi;
l'emersione alla legalità delle imprese sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata deve diventare un obiettivo prioritario per il Paese, il cui raggiungimento contribuirebbe a ridare fiato alla nostra economia e assumerebbe un importante valore simbolico per la maggiore diffusione di una cultura di lotta alle mafie;
nel corso dell'esame del provvedimento nelle commissioni riunite, le misure di sostegno alle PMI ai fini dell'accesso al Fondo di garanzia sono state ulteriormente estese a nuove e determinate categorie (tra cui imprese ubicate in aree di crisi, PMI di autotrasporto merci, cooperative sociali, professionisti iscritti agli ordini professionali e determinate categorie di aderenti alle associazioni professionali, eccetera), per la cui definizione, per quanto attiene a priorità d'accesso e modalità di concessione della suddetta garanzia, viene demandato a successivi decreti del Ministro dello sviluppo economico da emanare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze; per quanto attiene alla finalità esplicitata di ampliare l'accesso al credito e ai relativi criteri, questi appaiono non esaustivi, rendendo possibile in sede di emanazione dei decreti ministeriali di attuazione l'esplicitazione di ulteriori e specifici criteri di valutazione,
impegna il Governo:
a prevedere la possibilità, in sede di attuazione del provvedimento, di estendere l'accesso alle garanzie sui finanziamenti di cui al Fondo per le piccole e medie imprese anche alle aziende sequestrate (ai sensi del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e dell'articolo 12-sexies decreto legge 8 giugno 1992, n. 356, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 1992 n. 356), allo scopo di favorirne l'emersione alla legalità; introducendo, ai fini dell'accesso, il rispetto della condizione che per le medesime siano ravvisabili prospettive di prosecuzione e che l'amministratore giudiziario presenti un Piano di risanamento industriale, volto a riqualificare la ripresa di un'attività produttiva sana e la reimmissione sul mercato delle aziende in oggetto;
a valutare la possibilità, in sede di attuazione del provvedimento, di estendere anche alle cooperative sociali, di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, nonché ai soggetti privati assegnatari di beni immobili o aziendali confiscati alle organizzazioni criminali operanti nel settore agricolo, l'accesso ai finanziamenti e ai contributi previsti per la realizzazione di migliorie, investimenti e realizzazione di impianti produttivi accessori o strumentali all'utilizzo aziendale dei beni stessi.
9/1248-A-R/26. Garavini, Basso.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge di conversione del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, contiene alcuni interventi tesi a stimolare la ripresa economica del Paese, tra cui misure dirette al rafforzamento del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese (regolato dall'articolo 2, comma 100, della legge n. 662 del 1996 e successive modificazioni);
tali previsioni hanno l'obiettivo di incentivare gli investimenti e incrementare la competitività del tessuto produttivo, attraverso l'ampliamento delle possibilità di accesso al credito per le PMI, insieme ad una parziale riforma delle regole di accesso al medesimo Fondo di garanzia e ad una minore rigidità nella valutazione delle imprese ammesse, in considerazione delle difficoltà del ciclo economico e della stretta finanziaria e creditizia;
il provvedimento prevede, inoltre, un'ulteriore forma di sostegno agli investimenti delle micro, piccole e medie imprese, introducendo meccanismi incentivanti per l'acquisto di beni strumentali d'impresa, rinnovo di macchinari, impianti e attrezzature ad uso produttivo, incentivi estesi, in sede di esame nelle commissioni riunite, anche alle piccole e medie imprese agricole e del settore della pesca;
è necessario assicurare che i meccanismi incentivanti e il rafforzamento all'accesso al credito per le piccole e medie imprese, contenuti nelle disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, siano estesi anche alle aziende sequestrate e confiscate, per favorire il processo di emersione alla legalità e scongiurare il fallimento di tali aziende una volta acquisite alla gestione dello Stato;
secondo recenti stime (Gli investimenti delle mafie, Progetto PON-Sicurezza 2007-2013) le mafie ricavano dalle loro attività illegali in Italia proventi equivalenti a circa l'1,7 del Prodotto interno lordo del Paese;
secondo la stessa fonte, il 9 per cento dei beni finora confiscati alla criminalità organizzata sono aziende;
di queste attività, secondo i dati contenuti nella Relazione annuale dell'ANBSC (Agenzia Nazionale Beni sequestrati e Confiscati) per il 2011 (aggiornata al 31 dicembre 2011), il 30 per cento sono già uscite dalla gestione, ossia hanno cessato di esistere prima di giungere alla fase di destinazione; il 18 per cento sono ancora in attesa della destinazione; il 51 per cento sono avviate alla vendita, alla liquidazione, al fallimento o stanno per uscire dalla gestione; e solo lo 0,4 per cento è destinato all'affitto;
le aziende e i beni aziendali sequestrati soffrono particolarmente le lunghe procedure della fase giudiziaria, prima della confisca definitiva: durata, incertezza dei processi, la mancanza di una gestione aziendale competente e interessata alla continuazione dell'attività conducono a un forte indebolimento e più generalmente al fallimento delle imprese – le quali al momento del sequestro si trovano spesso già in tensioni finanziarie. La conseguenza di ciò è che spesso la totalità delle aziende arriva in gestione all'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati già tecnicamente fallita, con scarse possibilità di proseguire l'attività o di riposizionarsi sul mercato;
pur in mancanza di stime ufficiali sulla proiezione di tali dati in termini di perdite di posti di lavoro, è facile concludere che il fenomeno riguardi decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici su tutto il territorio nazionale, appartenenti a tutti i settori produttivi;
l'emersione alla legalità delle imprese sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata deve diventare un obiettivo prioritario per il Paese, il cui raggiungimento contribuirebbe a ridare fiato alla nostra economia e assumerebbe un importante valore simbolico per la maggiore diffusione di una cultura di lotta alle mafie;
nel corso dell'esame del provvedimento nelle commissioni riunite, le misure di sostegno alle PMI ai fini dell'accesso al Fondo di garanzia sono state ulteriormente estese a nuove e determinate categorie (tra cui imprese ubicate in aree di crisi, PMI di autotrasporto merci, cooperative sociali, professionisti iscritti agli ordini professionali e determinate categorie di aderenti alle associazioni professionali, eccetera), per la cui definizione, per quanto attiene a priorità d'accesso e modalità di concessione della suddetta garanzia, viene demandato a successivi decreti del Ministro dello sviluppo economico da emanare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze; per quanto attiene alla finalità esplicitata di ampliare l'accesso al credito e ai relativi criteri, questi appaiono non esaustivi, rendendo possibile in sede di emanazione dei decreti ministeriali di attuazione l'esplicitazione di ulteriori e specifici criteri di valutazione,
impegna il Governo:
a valutare la possibilità, in sede di attuazione del provvedimento, di estendere l'accesso alle garanzie sui finanziamenti di cui al Fondo per le piccole e medie imprese anche alle aziende sequestrate (ai sensi del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e dell'articolo 12-sexies decreto legge 8 giugno 1992, n. 356, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 1992 n. 356), allo scopo di favorirne l'emersione alla legalità; introducendo, ai fini dell'accesso, il rispetto della condizione che per le medesime siano ravvisabili prospettive di prosecuzione e che l'amministratore giudiziario presenti un Piano di risanamento industriale, volto a riqualificare la ripresa di un'attività produttiva sana e la reimmissione sul mercato delle aziende in oggetto;
a valutare la possibilità, in sede di attuazione del provvedimento, di estendere anche alle cooperative sociali, di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, nonché ai soggetti privati assegnatari di beni immobili o aziendali confiscati alle organizzazioni criminali operanti nel settore agricolo, l'accesso ai finanziamenti e ai contributi previsti per la realizzazione di migliorie, investimenti e realizzazione di impianti produttivi accessori o strumentali all'utilizzo aziendale dei beni stessi.
9/1248-A-R/26. (Testo modificato nel corso della seduta) Garavini, Basso.
La Camera,
premesso che:
la legge n. 296 del 2006 ha modificato il calcolo per il canone dei beni pertinenziali del Demanio Marittimo, intendendosi come tali quei beni immobili posti su area demaniale di difficile rimozione;
il nuovo sistema prevede che il canone sia determinato utilizzando i valori commerciali degli immobili estrapolati dall'Osservatorio del Mercato Immobiliare moltiplicato per un coefficiente fisso e la metratura effettiva della bene in questione;
tale tipologia ha determinato aumenti esorbitanti del canone (nell'ordine del 3000 per cento-5000 per cento) non gestibile dagli operatori;
il TAR di Bologna aveva negato la sospensione cautelare degli atti impugnati concessi poi, invece, dal Consiglio di Stato e nel merito, pochi giorni fa il TAR di Bologna ha definitivamente respinto i ricorsi di modo che gli operatori dovranno necessariamente appellare le sentenze al Consiglio di Stato;
i suddetti aumenti insieme ai cinque anni di arretrati hanno fatto maturare una situazione debitoria abnorme che condanna gli operatori al sicuro fallimento,
impegna il Governo
ad adottare provvedimenti tesi a sospendere i pagamenti e a rivedere i valori dei canoni e della normativa esistente.
9/1248-A-R/27. Pizzolante, Abrignani, Arlotti, Bergamini, De Maria, Giacobbe, Petitti, Velo, Antezza, Basso.
La Camera,
premesso che:
la legge n. 296 del 2006 ha modificato il calcolo per il canone dei beni pertinenziali del Demanio Marittimo, intendendosi come tali quei beni immobili posti su area demaniale di difficile rimozione;
il nuovo sistema prevede che il canone sia determinato utilizzando i valori commerciali degli immobili estrapolati dall'Osservatorio del Mercato Immobiliare moltiplicato per un coefficiente fisso e la metratura effettiva della bene in questione;
tale tipologia ha determinato aumenti esorbitanti del canone (nell'ordine del 3000 per cento-5000 per cento) non gestibile dagli operatori;
il TAR di Bologna aveva negato la sospensione cautelare degli atti impugnati concessi poi, invece, dal Consiglio di Stato e nel merito, pochi giorni fa il TAR di Bologna ha definitivamente respinto i ricorsi di modo che gli operatori dovranno necessariamente appellare le sentenze al Consiglio di Stato;
i suddetti aumenti insieme ai cinque anni di arretrati hanno fatto maturare una situazione debitoria abnorme che condanna gli operatori al sicuro fallimento,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di adottare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, provvedimenti tesi a rivedere i valori dei canoni e la normativa esistente, nonché, nelle more, a sospendere, per l'anno in corso, i pagamenti riferiti alla situazione debitoria in essere.
9/1248-A-R/27. (Testo modificato nel corso della seduta) Pizzolante, Abrignani, Arlotti, Bergamini, De Maria, Giacobbe, Petitti, Velo, Antezza, Basso.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 82 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, nel modificare la disciplina del concordato preventivo di cui all'articolo 161, sesto, settimo e ottavo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, prevede che: l'imprenditore depositi, unitamente al ricorso contenente la domanda «in bianco», l'elenco dei creditori con l'indicazione dei rispettivi crediti e il tribunale abbia la facoltà di anticipare alla fase prenotativa la nomina del commissario giudiziale (comma 1); il tribunale, nell'autorizzare gli atti urgenti di straordinaria amministrazione da compiersi fino all'apertura della procedura di concordato, acquisisca il parere del commissario giudiziale, se nominato (comma 2); gli obblighi informativi in capo all'imprenditore vengano rafforzati e il tribunale abbia la facoltà di abbreviare i termini della fase prenotativa, laddove l'attività compiuta dall'imprenditore sia manifestamente inidonea alla predisposizione del piano e della proposta (comma 3);
considerato che:
l'istituto del concordato «in bianco» è utilizzato anche con finalità liquidatorie dell'attività d'impresa e presta il fianco a condotte abusive, in danno del ceto dei creditori, come confermato da alcuni dati (Rapporto Cerved, maggio 2013) secondo cui tra l'11 settembre 2012 (data di entrata in vigore della riforma) e il 31 marzo 2013: il 37 per cento delle imprese che hanno avuto accesso al concordato «in bianco» era in liquidazione già prima di presentare la domanda;
risulta necessario rafforzare i presidi volti a neutralizzare comportamenti abusivi, che hanno finalità esclusivamente dilatorie, senza però far venire meno per le imprese sane quel «respiro» che, altrimenti, non avrebbero. Appare, quindi, urgente intervenire con maggiore incisività su taluni ambiti che regolamentano la stessa procedura, anche prima che il Tribunale si pronunci sulla domanda di cui all'articolo 182-quinquies L.F., attraverso:
la prededucibilità, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 111 L.F., della nuova finanza concessa a supporto del predisponendo Piano, laddove, nella stessa domanda in prenotazione verrà indicata tale esigenza, nonché, i relativi importi necessari, motivandone l'erogazione e specificando la canalizzazione a specifici pagamenti/utilizzi che consentano, anche a posteriori, una valutazione circa la corretta erogazione della stessa;
la concessione della prededucibilità anche per tutte quelle forniture commerciali concesse a supporto del predisponendo Piano, laddove, le stesse forniture siano indicate nella domanda prenotativa e risultino, quindi, necessarie alla continuità dell'attività imprenditoriale e senza le quali verrebbe meno la stessa attività;
la previsione, per i casi sopra previsti, del mantenimento della prededucibilità anche nel caso in cui il concordato non venga omologato e si apra, quindi, altra procedura concorsuale;
la rimodulazione della figura del commissario, così come introdotta dal decreto-legge 69/2013;
l'aumento dei termini di cui all'articolo 67, primo comma, nn. 1, 2, 3 e 4 L.F., di almeno sei mesi, nonché, di ugual periodo anche i termini di cui al secondo comma dell'articolo 67 L.F.,
impegna il Governo
a favorire, in tempi brevissimi, l'adozione di misure volte a rafforzare la tutela degli imprenditori «sani», consentendo al sistema bancario ed ai fornitori di accompagnare il risanamento delle imprese, nell'interesse collettivo, senza dover rischiare ulteriori capitali e merci che non vengano, in qualche maniera, garantiti; altresì, rimodulando le modalità di nomina e le funzioni del commissario, così come introdotto dal decreto-legge 69/2013; infine, ampliando la tutela della revocatoria fallimentare, ex articolo 67, primo comma, L.F., che non consenta di consolidare operazioni di dismissioni e/o accensioni di diritti, a qualsiasi titolo, relative al patrimonio dell'imprenditore, e/o dei garanti laddove previsto, nel corso della procedura, per la quale è prevista, invece, la sospensione di qualsiasi azione a tutela dei creditori.
9/1248-A-R/28. Covello, Giampaolo Galli.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 82 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, nel modificare la disciplina del concordato preventivo di cui all'articolo 161, sesto, settimo e ottavo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, prevede che: l'imprenditore depositi, unitamente al ricorso contenente la domanda «in bianco», l'elenco dei creditori con l'indicazione dei rispettivi crediti e il tribunale abbia la facoltà di anticipare alla fase prenotativa la nomina del commissario giudiziale (comma 1); il tribunale, nell'autorizzare gli atti urgenti di straordinaria amministrazione da compiersi fino all'apertura della procedura di concordato, acquisisca il parere del commissario giudiziale, se nominato (comma 2); gli obblighi informativi in capo all'imprenditore vengano rafforzati e il tribunale abbia la facoltà di abbreviare i termini della fase prenotativa, laddove l'attività compiuta dall'imprenditore sia manifestamente inidonea alla predisposizione del piano e della proposta (comma 3);
considerato che:
l'istituto del concordato «in bianco» è utilizzato anche con finalità liquidatorie dell'attività d'impresa e presta il fianco a condotte abusive, in danno del ceto dei creditori, come confermato da alcuni dati (Rapporto Cerved, maggio 2013) secondo cui tra l'11 settembre 2012 (data di entrata in vigore della riforma) e il 31 marzo 2013: il 37 per cento delle imprese che hanno avuto accesso al concordato «in bianco» era in liquidazione già prima di presentare la domanda;
risulta necessario rafforzare i presidi volti a neutralizzare comportamenti abusivi, che hanno finalità esclusivamente dilatorie, senza però far venire meno per le imprese sane quel «respiro» che, altrimenti, non avrebbero. Appare, quindi, urgente intervenire con maggiore incisività su taluni ambiti che regolamentano la stessa procedura, anche prima che il Tribunale si pronunci sulla domanda di cui all'articolo 182-quinquies L.F., attraverso:
la prededucibilità, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 111 L.F., della nuova finanza concessa a supporto del predisponendo Piano, laddove, nella stessa domanda in prenotazione verrà indicata tale esigenza, nonché, i relativi importi necessari, motivandone l'erogazione e specificando la canalizzazione a specifici pagamenti/utilizzi che consentano, anche a posteriori, una valutazione circa la corretta erogazione della stessa;
la concessione della prededucibilità anche per tutte quelle forniture commerciali concesse a supporto del predisponendo Piano, laddove, le stesse forniture siano indicate nella domanda prenotativa e risultino, quindi, necessarie alla continuità dell'attività imprenditoriale e senza le quali verrebbe meno la stessa attività;
la previsione, per i casi sopra previsti, del mantenimento della prededucibilità anche nel caso in cui il concordato non venga omologato e si apra, quindi, altra procedura concorsuale;
la rimodulazione della figura del commissario, così come introdotta dal decreto-legge 69/2013;
l'aumento dei termini di cui all'articolo 67, primo comma, nn. 1, 2, 3 e 4 L.F., di almeno sei mesi, nonché, di ugual periodo anche i termini di cui al secondo comma dell'articolo 67 L.F.,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di adottare ulteriori misure, anche nella legge fallimentare, volte a rafforzare la tutela degli imprenditori «sani», consentendo al sistema bancario ed ai fornitori di accompagnare il risanamento delle imprese, nell'interesse collettivo, senza dover rischiare ulteriori capitali e merci che non vengano, in qualche maniera, garantiti; e rimodulare ove necessario le modalità di nomina e le funzioni del commissario, così come introdotto dal decreto-legge 69/2013; migliorare la tutela della revocatoria fallimentare, ex articolo 67, primo comma, L.F., al fine di contrastare eventuali indebite operazioni di dismissioni e/o accensioni di diritti, a qualsiasi titolo, relative al patrimonio dell'imprenditore, e/o dei garanti laddove previsto, nel corso della procedura, per la quale è prevista, invece, la sospensione di qualsiasi azione a tutela dei creditori.
9/1248-A-R/28. (Testo modificato nel corso della seduta) Covello, Giampaolo Galli.
La Camera,
premesso che:
tra le opere connesse all'Esposizione Universale che si terrà a Milano a partire dal 1o maggio 2015 (Expo 2015) è stato inserito l'intervento per la riqualificazione ed il potenziamento della Strada Provinciale n. 46 Rho-Monza, il cui iter è stato avviato con la sottoscrizione, in data 28 luglio 2006, della convenzione tra la Provincia di Milano e la Milano Serravalle-Milano Tangenziali SpA;
il progetto – che rientra nelle tipologie elencate nell'Allegato II alla Parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006, punto 10, denominato «autostrade e strade riservate alla circolazione automobilistica o tratti di esse, accessibili solo attraverso svincoli o intersezioni controllate e sulle quali sono vietati tra l'altro l'arresto e la sosta di autoveicoli» – prevede la trasformazione dell'attuale arteria stradale che collega Rho a Monza in un'autostrada urbana a due corsie per senso di marcia (prolungamento della tratta stradale A52); si tratta di un'opera fondamentale che collega da est ad ovest il Nord di Milano con la chiusura dell'anello delle tre tangenziali, con l'obiettivo di ridurre le attuali criticità viabilistiche esistenti;
il tracciato complessivo è lungo 9.2 km, dall'attuale Tangenziale Nord (A52) in territorio del Comune di Paderno Dugnano, all'Autostrada A8 Milano-Laghi all'altezza dello svincolo di Rho Fiera;
il lavoro è diviso in tre lotti funzionali: i primi due sono realizzati da Milano Tangenziali-Serravalle e collegano l'interconnessione con l'A52 in corrispondenza di Milano-Meda e lo scavalco della ferrovia Milano-Varese; il terzo lotto funzionale inerente la variante di Baranzate è realizzato da Autostrade per l'Italia e collega lo scavalco della ferrovia Milano-Varese con lo svincolo della ex strada statale n. 233 «Varesina»;
i tempi di realizzazione dell'opera sono in netto contrasto con il programma iniziale del gennaio 2010 (dove l'inizio lavori era previsto per marzo 2012 e l'ultimazione a settembre 2014) e, parte, con l'aggiornamento di dicembre 2012 (inizio lavori luglio 2013 e ultimazione aprile 2015);
l'attuale tratto della Rho-Monza/SP 46 più prossimo all'area di Expo 2015, interessato alla riqualificazione in oggetto, insiste per la gran parte del suo percorso sul territorio del Comune di Baranzate;
l'attuale tratto cittadino della SP 46 in Comune di Baranzate (corrispondente al Lotto 3) è costituito da una sola carreggiata con una corsia per senso di marcia;
rispetto all'attuale tratto della SP 46 la realizzazione in variante dell'intervento che insiste in comune di Baranzate risulta necessaria in relazione a considerazioni di carattere tecnico-geometrico e di rispetto della normativa sulla costruzione delle strade, che rendono non praticabile un adeguamento in sede della tratta esistente tra la SS 233 Varesina e la via Piave di Bollate;
l'opera in oggetto riveste carattere di urgenza in quanto inerente le infrastrutture di interesse di Expo 2015, come indicato dalla comunicazione della Società Autostrade per l'Italia S.P.A., prot. 14342 del 9 luglio 2013 «Viabilità di Adduzione al sistema autostradale esistente A8-A52 Rho-Monza, Riqualifica e potenziamento della SP 46 nella tratta da Paderno a Rho – nuovo Polo Fieristico, Tratto compreso tra la intersezione con la S.S. 233 e il viadotto sulla linea FNM Milano-Saronno (escluso), Lotto 3 – Variante di Baranzate. Istanza per l'avvio della procedura di verifica di assoggettabilità a VIA ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni» inviata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, a regione Lombardia, alla Provincia di Milano e ai comuni di Baranzate, Bollate, Milano, Novate Milanese;
è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Parte Seconda n. 81 dell'11 luglio 2013 avviso pubblico relativo alla «Comunicazione di avvio della procedura di verifica di assoggettabilità a VIA» dell'opera in oggetto;
il tratto di SP 46 su cui insiste il Lotto 3 è quello attualmente più critico in quanto presenta solo una corsia per senso di marcia, mentre i tratti precedenti sono tutti a 2 corsie per senso di marcia. Il Lotto 3 è quindi quello più urgente;
il tracciato del Lotto 3 si sviluppa quasi completamente fuori sede, pertanto le interferenze con l'attuale viabilità durante l'esecuzione dei lavori saranno limitate. Il Lotto 3 è quindi quello più semplice da realizzare;
la mancata completa realizzazione di quanto in oggetto prima dell'inizio della manifestazione EXPO 2015 renderebbe di fatto inaccessibile il sito interessato all'evento per i flussi di traffico provenienti da est,
impegna il Governo
a finanziare e realizzare l'opera in oggetto prima dell'inizio della manifestazione EXPO 2015.
9/1248-A-R/29. Peluffo, Braga.
La Camera,
premesso che:
tra le opere connesse all'Esposizione Universale che si terrà a Milano a partire dal 1o maggio 2015 (Expo 2015) è stato inserito l'intervento per la riqualificazione ed il potenziamento della Strada Provinciale n. 46 Rho-Monza, il cui iter è stato avviato con la sottoscrizione, in data 28 luglio 2006, della convenzione tra la Provincia di Milano e la Milano Serravalle-Milano Tangenziali SpA;
il progetto – che rientra nelle tipologie elencate nell'Allegato II alla Parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006, punto 10, denominato «autostrade e strade riservate alla circolazione automobilistica o tratti di esse, accessibili solo attraverso svincoli o intersezioni controllate e sulle quali sono vietati tra l'altro l'arresto e la sosta di autoveicoli» – prevede la trasformazione dell'attuale arteria stradale che collega Rho a Monza in un'autostrada urbana a due corsie per senso di marcia (prolungamento della tratta stradale A52); si tratta di un'opera fondamentale che collega da est ad ovest il Nord di Milano con la chiusura dell'anello delle tre tangenziali, con l'obiettivo di ridurre le attuali criticità viabilistiche esistenti;
il tracciato complessivo è lungo 9.2 km, dall'attuale Tangenziale Nord (A52) in territorio del Comune di Paderno Dugnano, all'Autostrada A8 Milano-Laghi all'altezza dello svincolo di Rho Fiera;
il lavoro è diviso in tre lotti funzionali: i primi due sono realizzati da Milano Tangenziali-Serravalle e collegano l'interconnessione con l'A52 in corrispondenza di Milano-Meda e lo scavalco della ferrovia Milano-Varese; il terzo lotto funzionale inerente la variante di Baranzate è realizzato da Autostrade per l'Italia e collega lo scavalco della ferrovia Milano-Varese con lo svincolo della ex strada statale n. 233 «Varesina»;
i tempi di realizzazione dell'opera sono in netto contrasto con il programma iniziale del gennaio 2010 (dove l'inizio lavori era previsto per marzo 2012 e l'ultimazione a settembre 2014) e, parte, con l'aggiornamento di dicembre 2012 (inizio lavori luglio 2013 e ultimazione aprile 2015);
l'attuale tratto della Rho-Monza/SP 46 più prossimo all'area di Expo 2015, interessato alla riqualificazione in oggetto, insiste per la gran parte del suo percorso sul territorio del Comune di Baranzate;
l'attuale tratto cittadino della SP 46 in Comune di Baranzate (corrispondente al Lotto 3) è costituito da una sola carreggiata con una corsia per senso di marcia;
rispetto all'attuale tratto della SP 46 la realizzazione in variante dell'intervento che insiste in comune di Baranzate risulta necessaria in relazione a considerazioni di carattere tecnico-geometrico e di rispetto della normativa sulla costruzione delle strade, che rendono non praticabile un adeguamento in sede della tratta esistente tra la SS 233 Varesina e la via Piave di Bollate;
l'opera in oggetto riveste carattere di urgenza in quanto inerente le infrastrutture di interesse di Expo 2015, come indicato dalla comunicazione della Società Autostrade per l'Italia S.P.A., prot. 14342 del 9 luglio 2013 «Viabilità di Adduzione al sistema autostradale esistente A8-A52 Rho-Monza, Riqualifica e potenziamento della SP 46 nella tratta da Paderno a Rho – nuovo Polo Fieristico, Tratto compreso tra la intersezione con la S.S. 233 e il viadotto sulla linea FNM Milano-Saronno (escluso), Lotto 3 – Variante di Baranzate. Istanza per l'avvio della procedura di verifica di assoggettabilità a VIA ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni» inviata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, a regione Lombardia, alla Provincia di Milano e ai comuni di Baranzate, Bollate, Milano, Novate Milanese;
è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Parte Seconda n. 81 dell'11 luglio 2013 avviso pubblico relativo alla «Comunicazione di avvio della procedura di verifica di assoggettabilità a VIA» dell'opera in oggetto;
il tratto di SP 46 su cui insiste il Lotto 3 è quello attualmente più critico in quanto presenta solo una corsia per senso di marcia, mentre i tratti precedenti sono tutti a 2 corsie per senso di marcia. Il Lotto 3 è quindi quello più urgente;
il tracciato del Lotto 3 si sviluppa quasi completamente fuori sede, pertanto le interferenze con l'attuale viabilità durante l'esecuzione dei lavori saranno limitate. Il Lotto 3 è quindi quello più semplice da realizzare;
la mancata completa realizzazione di quanto in oggetto prima dell'inizio della manifestazione EXPO 2015 renderebbe di fatto inaccessibile il sito interessato all'evento per i flussi di traffico provenienti da est,
impegna il Governo
a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di finanziare e realizzare il lotto 3 citato in premessa prima dell'inizio della manifestazione EXPO 2015.
9/1248-A-R/29. (Testo modificato nel corso della seduta) Peluffo, Braga.
La Camera,
premesso che:
la legge n. 240 del 2010 ha innovato profondamente la figura del ricercatore universitario ponendo ad esaurimento il ruolo di ricercatore a tempo indeterminato (RTI), nato con il decreto del Presidente della Repubblica n. 382 del 1980, e introducendo la nuova figura di ricercatore a tempo determinato (RTD);
specificatamente all'articolo 24, comma 3, sono introdotte due diverse tipologie di RTD: a) contratti di durata triennale prorogabili per soli due anni, per una sola volta, previa positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte, effettuata sulla base di modalità, criteri e parametri definiti con decreto del Ministro. I predetti contratti possono essere stipulati con il medesimo soggetto anche in sedi diverse; b) contratti triennali non rinnovabili, riservati a candidati che hanno usufruito dei contratti di cui alla lettera a), ovvero, per almeno tre anni anche non consecutivi, di assegni di ricerca ai sensi dell'articolo 51, comma 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, o di borse post-dottorato ai sensi dell'articolo 4 della legge 30 novembre 1989, n. 398, ovvero di analoghi contratti, assegni o borse in atenei stranieri. Inoltre, al comma 5 è stabilito che «Nell'ambito delle risorse disponibili per la programmazione, nel terzo anno di contratto di cui al comma 3, lettera b), l'università valuta il titolare del contratto stesso, che abbia conseguito l'abilitazione scientifica di cui all'articolo 16, ai fini della chiamata nel ruolo di professore associato, ai sensi dell'articolo 18, comma 1, lettera e). In caso di esito positivo della valutazione, il titolare del contratto, alla scadenza dello stesso, è inquadrato nel ruolo dei professori associati.»;
tale comma sancisce che il RTD tipologia b) rappresenta il nuovo canale per l'ingresso di giovani studiosi nel ruolo di professore (associato) universitario, attraverso un percorso simile alla procedura tenure-track da lungo tempo usata in molti altri paesi. Si tratta pertanto di una figura molto innovativa per il nostro paese e ciò, unitamente alle note riduzioni di finanziamento al sistema universitario nazionale, che si protraggono oramai da un quinquennio, sta rendendo difficile la sua concreta attuazione. Infatti, ad oltre due anni dall'emanazione della legge n. 240 del 2010, pochissime sono le posizioni di RTD tipologia b) bandite a livello nazionale, mentre più consistenti sono i bandi di RTD tipologia a);
il Ministro dell'istruzione, università e ricerca, nel corso dell'audizione davanti alle Commissioni riunite di Senato e Camera, ha evidenziato essere «una priorità strategica quella di prevedere da subito un Piano straordinario nazionale reclutamento ricercatori ex articolo 24, comma 3, lettera b), legge n. 240 del 2010, con bando nazionale», quantificando in 1000 le posizioni di RTD tipologia b) da bandire per un costo a regime pari a circa 70 milioni di euro;
sarebbe, pertanto, importante adoperarsi per rendere concreta una tale azione che, unitamente alla nota questione del diritto allo studio, sono la necessità prioritaria per il sistema universitario,
impegna il Governo
a valutare la possibilità di varare misure urgenti e specifiche per uscire da questa impasse, che ovviamente tende a ritardare il processo di rinnovamento e ringiovanimento dei professori universitari (la cui età media si avvicina ormai a 60 anni).
9/1248-A-R/30. Di Lello, Locatelli, Pastorelli.
La Camera,
premesso che:
la legge n. 240 del 2010 ha innovato profondamente la figura del ricercatore universitario ponendo ad esaurimento il ruolo di ricercatore a tempo indeterminato (RTI), nato con il decreto del Presidente della Repubblica n. 382 del 1980, e introducendo la nuova figura di ricercatore a tempo determinato (RTD);
specificatamente all'articolo 24, comma 3, sono introdotte due diverse tipologie di RTD: a) contratti di durata triennale prorogabili per soli due anni, per una sola volta, previa positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte, effettuata sulla base di modalità, criteri e parametri definiti con decreto del Ministro. I predetti contratti possono essere stipulati con il medesimo soggetto anche in sedi diverse; b) contratti triennali non rinnovabili, riservati a candidati che hanno usufruito dei contratti di cui alla lettera a), ovvero, per almeno tre anni anche non consecutivi, di assegni di ricerca ai sensi dell'articolo 51, comma 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, o di borse post-dottorato ai sensi dell'articolo 4 della legge 30 novembre 1989, n. 398, ovvero di analoghi contratti, assegni o borse in atenei stranieri. Inoltre, al comma 5 è stabilito che «Nell'ambito delle risorse disponibili per la programmazione, nel terzo anno di contratto di cui al comma 3, lettera b), l'università valuta il titolare del contratto stesso, che abbia conseguito l'abilitazione scientifica di cui all'articolo 16, ai fini della chiamata nel ruolo di professore associato, ai sensi dell'articolo 18, comma 1, lettera e). In caso di esito positivo della valutazione, il titolare del contratto, alla scadenza dello stesso, è inquadrato nel ruolo dei professori associati.»;
tale comma sancisce che il RTD tipologia b) rappresenta il nuovo canale per l'ingresso di giovani studiosi nel ruolo di professore (associato) universitario, attraverso un percorso simile alla procedura tenure-track da lungo tempo usata in molti altri paesi. Si tratta pertanto di una figura molto innovativa per il nostro paese e ciò, unitamente alle note riduzioni di finanziamento al sistema universitario nazionale, che si protraggono oramai da un quinquennio, sta rendendo difficile la sua concreta attuazione. Infatti, ad oltre due anni dall'emanazione della legge n. 240 del 2010, pochissime sono le posizioni di RTD tipologia b) bandite a livello nazionale, mentre più consistenti sono i bandi di RTD tipologia a);
il Ministro dell'istruzione, università e ricerca, nel corso dell'audizione davanti alle Commissioni riunite di Senato e Camera, ha evidenziato essere «una priorità strategica quella di prevedere da subito un Piano straordinario nazionale reclutamento ricercatori ex articolo 24, comma 3, lettera b), legge n. 240 del 2010, con bando nazionale», quantificando in 1000 le posizioni di RTD tipologia b) da bandire per un costo a regime pari a circa 70 milioni di euro;
sarebbe, pertanto, importante adoperarsi per rendere concreta una tale azione che, unitamente alla nota questione del diritto allo studio, sono la necessità prioritaria per il sistema universitario,
impegna il Governo
a promuovere il rinnovamento e ringiovanimento dei professori universitari (la cui età media si avvicina ormai a 60 anni).
9/1248-A-R/30. (Testo modificato nel corso della seduta) Di Lello, Locatelli, Pastorelli.
La Camera,
premesso che:
il decreto legge 21 giugno 2013, n. 69 recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, nel testo dell'articolo 5 all'esame di quest'Aula, come modificato dalle Commissioni, dopo aver disposto con il comma 7 l'abrogazione dell'articolo 1, comma 364, della legge n. 228 del 2012 («Legge di Stabilità 2013»), posto a salvaguardia «della quota di produzione di energia elettrica da impianti alimentati a bioliquidi» e di garanzia «del rispetto degli obiettivi in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili imposti dall'UE», al comma 1-bis introduce misure di carattere temporaneo e non strutturali per la salvaguardia e messa in sicurezza del comparto dei produttori di energia elettrica da bioliquidi;
sebbene sia stato introdotto con il citato comma 7-bis un supporto temporaneo di due anni, attraverso un incremento percentuale dell'incentivo spettante, di contro è prevista una riduzione degli incentivi per tre anni più che proporzionale rispetto al supporto iniziale, legittimando ima disciplina poco armonica e certamente non proporzionale rispetto al riconoscimento iniziale, configurandosi nel contempo come un meccanismo difficilmente sostenibile dagli operatori del comparto, poiché ne mina alla radice la sopravvivenza economica, ne compromette le potenzialità e la capacità di pianificazione degli investimenti, con conseguenti e gravi riflessi economici, occupazionali oltre che produttivi per tutto il comparto;
l'articolo 1, comma 364 della legge di stabilità 2013 disponeva invece la rimodulazione degli incentivi riconosciuti per la produzione di energia elettrica da bioliquidi, finalizzata all'armonizzazione delle potenzialità degli impianti al rinnovato scenario economico-produttivo ed al mutato quadro normativo entro i quali erano chiamati ad operare, senza che da questo derivassero oneri per il bilancio dello Stato e oneri aggiuntivi sulla bolletta elettrica;
la relazione tecnica presentata dal Governo con riguardo all'articolo 5, comma 7, asserisce il presunto incremento degli oneri effettivi sulle tariffe conseguenti alla rimodulazione degli incentivi – asserzione controvertibile alla luce del fatto che la norma abrogata lascia invariato l'impatto economico previgente, essendo invariato il numero di incentivi riconosciuti;
secondo la norma, infatti, i soli titolari di impianti esistenti al 31 dicembre 2012 possono optare tra un regime che incentiva in minor misura tutta l'energia prodotta dall'impianto e un regime che incentiva in misura più cospicua solo un ammontare contingentato di energia;
appare opportuno segnalare inoltre che il comma 7 dell'articolo 5 in oggetto, abrogando una norma entrata in vigore il 1o gennaio 2013, avrebbe un valore retroattivo compromettendo in maniera deleteria la programmazione delle strategie industriali, dei piani di produzione e di approvvigionamento degli operatori del settore che avevano fatto legittimo affidamento sull'emanazione del decreto attuativo del Ministero dello sviluppo economico, il cui termine ultimo era fissato per il 30 gennaio 2013;
tale soppressione, oltre a provocare un danno economico e finanziario alle aziende, lasciando tutti gli operatori in una grave impasse operativa che rischia di fatto di decretare la chiusura di buona parte delle giovani e strategiche realtà operative diffuse sul territorio nazionale, reca profili di incompatibilità con il diritto europeo, in particolare con la direttiva 2009/28/CE, che impone agli Stati membri di garantire la «stabilità a lungo termine di cui le imprese hanno bisogno per effettuare investimenti razionali e sostenibili nel settore delle energie rinnovabili» oltre che profili di illegittimità costituzionale per la compromissione dell'iniziativa economica privata di cui all'articolo 41 della Costituzione,
impegna il Governo
a verificare gli effetti applicativi dei commi 7 e 7-bis dell'articolo 5, tenendo conto delle misure finora vigenti in materia al fine di una più ampia salvaguardia del comparto di cui in premessa, che si fondi sulla tutela delle potenzialità produttive, economiche ed occupazionali dello stesso nel medio-lungo periodo – ferme restando le esigenze di contenimento della spesa complessiva per gli incentivi erogati – e al fine di garantire un'auspicata armonia normativa e procedurale con quanto sancito dalla disciplina previgente.
9/1248-A-R/31. Alfreider, Schullian, Plangger, Gebhard, Ottobre, Caruso, Distaso.
La Camera,
premesso che:
il decreto legge 21 giugno 2013, n. 69 recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, nel testo dell'articolo 5 all'esame di quest'Aula, come modificato dalle Commissioni, dopo aver disposto con il comma 7 l'abrogazione dell'articolo 1, comma 364, della legge n. 228 del 2012 («Legge di Stabilità 2013»), posto a salvaguardia «della quota di produzione di energia elettrica da impianti alimentati a bioliquidi» e di garanzia «del rispetto degli obiettivi in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili imposti dall'UE», al comma 1-bis introduce misure di carattere temporaneo e non strutturali per la salvaguardia e messa in sicurezza del comparto dei produttori di energia elettrica da bioliquidi;
impegna il Governo
a verificare gli effetti applicativi dei commi 7 e 7-bis dell'articolo 5, tenendo conto delle misure finora vigenti in materia al fine di una evoluzione del comparto di cui in premessa che consideri le potenzialità produttive, economiche ed occupazionali dello stesso nel medio-lungo periodo – ferme restando le esigenze di contenimento della spesa complessiva per gli incentivi erogati.
9/1248-A-R/31. (Testo modificato nel corso della seduta) Alfreider, Schullian, Plangger, Gebhard, Ottobre, Caruso, Distaso.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 19 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante misure per il rilancio dell'economia, all'esame di questa Assemblea, attraverso una serie di novelle al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture), incide sulla disciplina delle concessioni di lavori pubblici, relativamente alle dichiarazioni del soggetto concedente e alle condizioni che determinano la revisione del piano economico e finanziario degli investimenti del concessionario, nonché allo svolgimento di una consultazione preliminare con gli operatori economici invitati a presentare le offerte, al coinvolgimento degli istituti finanziatori fin dalla fase di gara, alla previsione di clausole di risoluzione del contratto di concessione in caso di mancato reperimento del finanziamento privato;
da tali novelle l'articolo 19, comma 2, esclude espressamente le operazioni di project financing che abbiano il bando di gara già pubblicato alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge;
la lettera a) del comma 1 in particolare vuole fornire una sorta di garanzia al concessionario relativamente agli immobili che vengono ceduti, comprendendo, al punto 1 una prima modifica, integrativa del dell'articolo 143, comma 5, che prevede che il soggetto concedente, alla consegna dei lavori, fornisca una dichiarazione in cui attesti che è in possesso di tutte le autorizzazioni, licenze, abilitazioni, nulla osta, permessi o altri atti di assenso comunque denominati previsti dalla normativa vigente e che i predetti atti sono legittimi, efficaci e validi;
a tal proposito si ricorda che il suddetto comma 5 prevede che le amministrazioni aggiudicatrici, previa analisi di convenienza economica, possono prevedere nel piano economico finanziario e nella convenzione, a titolo di prezzo, la cessione in proprietà o in diritto di godimento di beni immobili nella loro disponibilità o allo scopo espropriati la cui utilizzazione ovvero valorizzazione sia necessaria all'equilibrio economico-finanziario della concessione;
il punto 2 della medesima lettera a) sembra ampliare le fattispecie che consentono la revisione del piano, attraverso la novella dell'articolo 143, comma 8, che stabilisce che le norme legislative e regolamentari, che comunque incidono sull'equilibrio del piano economico finanziario (PEF) degli investimenti del concessionario comportano la sua necessaria revisione,
impegna il Governo
ad adottare iniziative normative volte a prevedere che le disposizioni di cui all'articolo 19, comma 1, lettera a) si applichino anche in caso di concessioni di lavori pubblici già affidate alla data di entrata in vigore del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69.
9/1248-A-R/32. Schullian, Alfreider, Gebhard, Plangger, Ottobre.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 19 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante misure per il rilancio dell'economia, all'esame di questa Assemblea, attraverso una serie di novelle al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture), incide sulla disciplina delle concessioni di lavori pubblici, relativamente alle dichiarazioni del soggetto concedente e alle condizioni che determinano la revisione del piano economico e finanziario degli investimenti del concessionario, nonché allo svolgimento di una consultazione preliminare con gli operatori economici invitati a presentare le offerte, al coinvolgimento degli istituti finanziatori fin dalla fase di gara, alla previsione di clausole di risoluzione del contratto di concessione in caso di mancato reperimento del finanziamento privato;
da tali novelle l'articolo 19, comma 2, esclude espressamente le operazioni di project financing che abbiano il bando di gara già pubblicato alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge;
la lettera a) del comma 1 in particolare vuole fornire una sorta di garanzia al concessionario relativamente agli immobili che vengono ceduti, comprendendo, al punto 1 una prima modifica, integrativa del dell'articolo 143, comma 5, che prevede che il soggetto concedente, alla consegna dei lavori, fornisca una dichiarazione in cui attesti che è in possesso di tutte le autorizzazioni, licenze, abilitazioni, nulla osta, permessi o altri atti di assenso comunque denominati previsti dalla normativa vigente e che i predetti atti sono legittimi, efficaci e validi;
a tal proposito si ricorda che il suddetto comma 5 prevede che le amministrazioni aggiudicatrici, previa analisi di convenienza economica, possono prevedere nel piano economico finanziario e nella convenzione, a titolo di prezzo, la cessione in proprietà o in diritto di godimento di beni immobili nella loro disponibilità o allo scopo espropriati la cui utilizzazione ovvero valorizzazione sia necessaria all'equilibrio economico-finanziario della concessione;
il punto 2 della medesima lettera a) sembra ampliare le fattispecie che consentono la revisione del piano, attraverso la novella dell'articolo 143, comma 8, che stabilisce che le norme legislative e regolamentari, che comunque incidono sull'equilibrio del piano economico finanziario (PEF) degli investimenti del concessionario comportano la sua necessaria revisione,
impegna il Governo
a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di adottare iniziative normative volte a prevedere che le disposizioni di cui all'articolo 19, comma 1, lettera a) si applichino anche in caso di concessioni di lavori pubblici già affidate alla data di entrata in vigore del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69.
9/1248-A-R/32. (Testo modificato nel corso della seduta) Schullian, Alfreider, Gebhard, Plangger, Ottobre.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 84 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, all'esame di questa Camera in prima lettura, rivede la mediazione civile e commerciale soprattutto con riferimento alla recente sentenza della Corte costituzionale in materia;
il decreto ministeriale 18 ottobre 2010, n. 180, ha disciplinato i criteri e le modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell'elenco dei formatori per la mediazione, stabilendo in particolare all'articolo 4, comma 3, lettera b), che i mediatori abbiano una specifica formazione e uno specifico aggiornamento almeno biennale, da acquisire presso gli enti di formazione, nonché debbano partecipare, sempre nel biennio di aggiornamento e sotto la forma di tirocinio assistito, ad almeno venti casi di mediazione svolti presso organismi iscritti;
a tale proposito si evidenzia che l'articolo 4, comma 3, lettera b), è già stato oggetto di una revisione con il decreto ministeriale 6 luglio 2011, n. 145;
sul territorio nazionale esistono molti casi di mediatori che, oltre al corso base previsto dalla legge per il riconoscimento della qualifica, hanno frequentato corsi di formazione pluriennali, anche all'estero, altamente specializzanti per l'elevata capacità tecnica che si acquisisce, ma che non vengono riconosciuti come tirocinio;
per fare un esempio si cita la Camera di Commercio di Bolzano, che da anni si avvale di esperti della materia, riconosciuti a livello europeo e internazionale, per fare simulazioni pratiche di elevato impatto,
impegna il Governo
a rivedere ulteriormente i criteri e le modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell'elenco dei formatori per la mediazione di cui al decreto ministeriale 18 ottobre 2010, n. 180, nel senso di inserire anche venti simulazioni di elevato impatto pratico tra le forme di tirocinio obbligatorio ai sensi dell'articolo 4, comma 3, lettera b), gestite esclusivamente dagli organismi di formazione di cui all'articolo 18 del medesimo regolamento ministeriale.
9/1248-A-R/33. Gebhard, Alfreider, Plangger, Schullian, Ottobre.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 84 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, all'esame di questa Camera in prima lettura, rivede la mediazione civile e commerciale soprattutto con riferimento alla recente sentenza della Corte costituzionale in materia;
il decreto ministeriale 18 ottobre 2010, n. 180, ha disciplinato i criteri e le modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell'elenco dei formatori per la mediazione, stabilendo in particolare all'articolo 4, comma 3, lettera b), che i mediatori abbiano una specifica formazione e uno specifico aggiornamento almeno biennale, da acquisire presso gli enti di formazione, nonché debbano partecipare, sempre nel biennio di aggiornamento e sotto la forma di tirocinio assistito, ad almeno venti casi di mediazione svolti presso organismi iscritti;
a tale proposito si evidenzia che l'articolo 4, comma 3, lettera b), è già stato oggetto di una revisione con il decreto ministeriale 6 luglio 2011, n. 145;
sul territorio nazionale esistono molti casi di mediatori che, oltre al corso base previsto dalla legge per il riconoscimento della qualifica, hanno frequentato corsi di formazione pluriennali, anche all'estero, altamente specializzanti per l'elevata capacità tecnica che si acquisisce, ma che non vengono riconosciuti come tirocinio;
per fare un esempio si cita la Camera di Commercio di Bolzano, che da anni si avvale di esperti della materia, riconosciuti a livello europeo e internazionale, per fare simulazioni pratiche di elevato impatto,
impegna il Governo
a rivedere ulteriormente i criteri e le modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell'elenco dei formatori per la mediazione di cui al decreto ministeriale 18 ottobre 2010, n. 180, nel senso di elevare lo standard di qualità degli organismi al fine del migliore funzionamento dell'istituto.
9/1248-A-R/33. (Testo modificato nel corso della seduta) Gebhard, Alfreider, Plangger, Schullian, Ottobre.
La Camera,
premesso che:
nel provvedimento in esame sono presenti interventi normativi e fiscali a sostegno dell'economia, delle imprese e della ricerca;
il governo ha esplicitato, sin dal suo insediamento, la volontà di concentrare i suoi sforzi e la sua azione a sostegno della ripresa economica ed occupazionale, sostenendo i settori che esprimono eccellenza e potenzialità ed incentivando l'innovazione;
il comparto della produzione di camper in Italia rappresenta una fetta molto consistente dell'intero settore europeo;
dopo oltre due decenni di ininterrotta crescita di mercato, con significativi incrementi di volumi di produzione, di fatturato e di occupati per le imprese della filiera, il settore italiano della produzione di «camper» sta registrando da alcuni anni una sensibile inversione di tendenza. Tra il 2006 ed il 2011 si è passati infatti da circa 14.400 a circa 7 mila immatricolazioni annue di camper e caravan;
il settore della camperistica genera in Italia oltre 600 milioni di euro di fatturato, di cui il 58 per cento destinato all'export, con oltre 7.000 dipendenti, 4.000 diretti e oltre 3.000 indiretti;
nella zona della Valdelsa, (tra le province di Siena e di Firenze) è presente un distretto industriale della camperistica dove viene attualmente realizzato oltre l'80 per cento della produzione nazionale del comparto (nello specifico nei comuni di Barberino Val d'Elsa, Casole d'Elsa, Colle Val d'Elsa, Monteriggioni, Poggibonsi, San Casciano Val di Pesa, San Gimignano, Tavarnelle Val di Pesa). In tale territorio si registra un fatturato annuo di oltre 500 milioni di euro;
sono qui presenti alcune delle aziende leader del settore a livello nazionale ed internazionale che, per le ragioni appena citate, hanno dovuto affrontare una forte riorganizzazione con conseguenti crisi occupazionale, un ricorso alla cassa integrazione e una forte riduzione del personale;
ultima in ordine di tempo l'azienda Rimor, azienda storica della Valdelsa, che conta circa 180 dipendenti. L'azienda in gravi difficoltà economiche legate ad esposizioni e difficoltà nell'accesso al credito, nonostante avesse concordato alcune commesse per i mercati internazionali quantificabili in circa 20 milioni di euro, ha annunciato nei giorni scorsi la messa in mobilità tutti i dipendenti. Tale decisione è stata poi ritirata in seguito ad un tavolo di confronto che ha visto partecipare, oltre all'azienda, le parti sociali e le istituzioni locali fra cui la Regione Toscana. È stato infatti raggiunto un accordo condiviso che prevede, in alternativa alla procedura di mobilità, la richiesta di apertura di cassa integrazione straordinaria; è inoltre emerso l'esito positivo della procedura di concordato in continuità che potrebbe vedere l'ingresso di nuovi capitali nella società;
complessivamente dal 2007 ad oggi, dai dati resi noti dalle amministrazioni locali e dalle associazioni dei produttori, a fronte di un crollo delle immatricolazioni in Italia che supera il 50 per cento e di una diminuzione dei volumi prodotto nell'ordine leggermente inferiore del 40 per cento, l'occupazione del distretto della Valdelsa, riferita soltanto alle aziende produttrici e non alle imprese totali della filiera, è scesa di 400 unità (da 1700 a 1300 addetti). Negli ultimi 5 anni il valore della produzione da 7 a 6 e del numero dei veicoli prodotti da 20 mila a 12 mila;
in questi anni la Regione Toscana e le istituzioni locali hanno seguito con attenzione lo sviluppo e le problematiche del settore della camperistica, riconoscendone potenzialità e peculiarità e cercando di intervenire tempestivamente con politiche adeguate in grado di supportare soprattutto azioni tese ad accrescere la qualità del prodotto, la ricerca e l'innovazione, nonché la infrastrutturazione logistica sul territorio;
si ricorda nello specifico che nel luglio 2007 è stato sottoscritto un protocollo d'intesa fra regione Toscana, la provincia di Siena, la provincia di Firenze, i comuni dei territori interessati, le associazioni imprenditoriali e sindacali per la riqualificazione della zona produttiva locale e la nascita di una filiera strutturata del camper anche attraverso finanziamenti in settori strategici di intervento come le infrastrutture, la logistica, la ricerca e la formazione;
in seguito sono state inoltre avviate le procedure per realizzare uno snodo ferroviario della Valdelsa, in località Zambra: una infrastruttura logistica, che comporta un investimento di 1,2 milioni di euro, necessaria per supportare l'attività delle industrie della zona;
vanno inoltre segnalate le iniziative a sostegno della camperistica presenti anche nell'ambito del «Progetto integrato per la meccanica» che la Regione Toscana ha approvato nelle scorse settimane. Il progetto prevede complessivamente in quattro anni risorse per circa 200 milioni di euro;
le imprese Laika Caravans e Trigano hanno già attivato progetti di innovazione e di ricerca, cofinanziati con bando della regione Toscana che coinvolgono l'intera filiera ed i principali dipartimenti universitari dei tre atenei toscani (Pisa, Siena e Firenze) e che riguardano i consumi, materiali di costruzione più leggeri, tecnologia hi-tech e domotica;
risulta evidente come tali sforzi rappresentino la volontà dei gruppi italiani ed europei di mantenere, e concentrare, in questa area il cuore e l'eccellenza della camperistica italiana, con l'intento di rendere più competitiva l'offerta nazionale;
il mercato della camperistica risente non solo della crisi generalizzata economica e dei consumi, ma anche di una carenza di politiche fiscali ed infrastrutturali a sostegno del settore. La tassazione sui veicoli costituisce infatti la quinta voce di gettito erariale governativo e manca sul territorio italiano, a differenza di altri paesi europei, una efficace e moderna rete di strutture atte alla fruibilità del turismo all'aria aperta (come aree di sosta attrezzate e di accoglienza, e altro). Emerge da alcuni studi, con chiarezza, come per rilanciare il comparto sarebbe utile, in linea con la normativa già adottata da altri Paesi europei, modificare l'articolo 116 del decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285, per introdurre l'innalzamento della guidabilità, per la patente «B», dei camper da 3,5 a 3,7 tonnellate. Con questa modifica i camper potrebbero essere dotati di dispositivi ed accessori capaci di elevare i livelli di sicurezza e di comfort aumentando al tempo stesso la platea di potenziali clienti;
va inoltre rimarcato che molto spesso i camper rappresentano per alcune categorie di soggetti disabili una delle rare opportunità ricreative e di vacanza. In alcune nazioni (come ad esempio in Inghilterra) sono state introdotte, per promuovere ed incentivare tale fruizione, specifiche agevolazioni fiscali per i disabili e gli invalidi. Sarebbe opportuno quindi prevedere, anche nel nostro ordinamento, detrazioni e aiuti finanziari equiparando gli autocaravan ai mezzi di uso precipuo degli stessi disabili (come ad esempio le carrozzine) estendendo quindi le disposizioni già previste dall'articolo 8 della Legge 27 dicembre 1997, numero 449;
all'industria del camper si devono inoltre importanti effetti indiretti sull'indotto turistico del nostro paese: nel 2010 infatti sono stati circa 2,6 milioni i turisti stranieri che hanno fatto una vacanza en plein air in Italia (dati dell'Osservatorio della Banca d'Italia), per un totale di 12 milioni di notti ed una spesa complessiva di 1,2 miliardi di euro. I turisti italiani che viaggiano nel nostro paese in camper invece sono 3 milioni, per una spesa complessiva di circa 1,4 miliardi di euro. Il turismo en plein air, secondo i dati Istat, rappresenta circa il 6 per cento del movimento turistico straniero in Italia. Nonostante l'Italia sia la destinazione più ambita per la bellezza dei luoghi da visitare rispetto alle principali nazioni europee in cui è più diffusa la cultura del «camper style», come Germania e Francia, risulta carente per offerta di luoghi di sosta, facilità di accesso alle strutture ricettive e servizi offerti;
questa mancanza di politiche, rispetto alle altre nazioni europee, è testimoniata soprattutto dai dati: se in Italia dal 2006 al 2011 si è passati, per le immatricolazioni di nuovi camper, da 14.400 a poco più di 7.000 unità, nello stesso lasso temporale in Francia si è passati da 20.200 a 19.300, mentre in Germania da 18.400 a 21.700;
alla luce di quanto esposto emerge quindi l'opportunità e l'utilità di un formale riconoscimento di questa filiera industriale della Valdelsa quale «distretto italiano della camperistica». In tale territorio è infatti concentrato oltre l'80 per cento della produzione italiana; qui si stanno già svolgendo importanti ricerche e potrebbe meglio caratterizzarsi uno spazio pubblico e privato di ricerca ed innovazione del prodotto, utilissimo a far camminare ulteriormente la camperistica, per tutelare i siti produttivi ed i livelli occupazionali, per far crescere fatturato, produzione e capacità di competere sul mercato;
si è già insediato in Valdelsa un tavolo di lavoro, a cui partecipano regione Toscana, la provincia di Siena, la provincia di Firenze, i comuni dei territori interessati e l'Associazione produttori caravan e camper (Ape), le imprese, le organizzazioni sindacali, che sta ulteriormente lavorando per affinare il funzionamento del distretto e per chiedere al Ministero dello sviluppo economico il riconoscimento formale di questo ambito di «distretto nazionale del camper»;
il riconoscimento del «distretto italiano della camperistica» è già stato oggetto di atti di sindacato ispettivo nella XVI Legislatura ed in particolare di una risoluzione in Commissione Attività Produttive sottoscritta da più parti politiche, della Camera dei Deputati la cui discussione era già stata avviata e non conclusa anche a causa delle elezioni anticipate;
presso il Ministero dello Sviluppo Economico si sono svolti, durante la XVI legislatura, incontri relativi ai problemi ed allo sviluppo della camperistica, a cui hanno preso parte oltre alle istituzioni e ai soggetti interessati sul territorio, anche rappresentanti del dicastero del turismo e delle infrastrutture e dell'istituto del commercio estero,
impegna il Governo:
a valutare la possibilità di inserire, nei prossimi provvedimenti, iniziative urgenti utili anche a rilanciare con efficacia il comparto della camperistica italiana sostenendo concretamente le azioni, i progetti ed i finanziamenti già assunti dalle istituzioni territoriali (esposti in premessa). Nello specifico:
norme finalizzate ad incentivare la ricerca e l'innovazione di prodotto nella camperistica, per tutelare i siti produttivi ed i livelli occupazionali, per far crescere il fatturato, la produzione e la capacità di competere sul mercato;
norme a sostegno all'export ed in particolare per favorire l'accesso al credito delle aziende per le commesse destinate ai paesi esteri, dal momento che quasi il 60 della produzione italiana di caravan è destinata ai mercati internazionali;
norme ed agevolazioni fiscali nei confronti delle famiglie con soggetti disabili che usufruiscono del camper;
la possibilità di modificare il Codice della Strada per introdurre l'innalzamento della guidabilità, per la patente «B», dei camper da 3,5 a 3,7 tonnellate;
la promozione della realizzazione di una efficace e moderna rete di strutture atte alla fruibilità del turismo all'aria aperta;
a riprendere, attraverso un tavolo con la Regione Toscana, le Province di Siena e Firenze ed i Comuni interessati, un lavoro organico teso al rilancio del comparto, alla sua innovazione, all'ipotesi o riconoscimento del distretto in oggetto quale produttore del Camper Italiano per eccellenza.
9/1248-A-R/34. Cenni, Colaninno, Dallai, Simoni, Nardella, Basso.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame dispone tra l'altro, norme in materia di semplificazione di quanto previsto dal titolo II del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, recante misure urgenti per l'agenda digitale e la trasparenza nella pubblica amministrazione, in tema di vigilanza e funzionamento dell'Agenzia per l'Italia digitale, nonché misure in favore dell'internazionalizzazione delle PMI;
RetItalia internazionale Spa è una società a partecipazione pubblica, il cui capitale è interamente posseduto dall'Ice-Agenzia per la promozione, e svolge compiti di analisi di fabbisogni, progettazione, realizzazione e gestione di infrastrutture, servizi e sistemi informativi a supporto dell'internazionalizzazione e dei processi gestionali interni all'ICE, consentendo la loro integrazione e interconnessione con sistemi esterni, nonché di fornitura di assistenza qualificata al personale dell'ICE e alle PMI italiane, proponendo soluzioni sempre all'avanguardia nel panorama ICT e ponendo la dovuta attenzione al corretto equilibrio tra costi e benefici;
il Ministero dello sviluppo economico ha assegnato a RetItalia internazionale Spa nel giugno 2011 e nell'aprile 2012 il portale Made in Italy, un sistema di commercio elettronico dei prodotti italiani sul mercato internazionale e l'International Trade Hub - Italia, un portale sponsorizzato dal «Tavolo strategico nazionale per la Trade Facilitation», che consente alle imprese italiane di accedere da un unico punto a tutti i processi relativi all'internazionalizzazione;
a seguito della «spending review» il Ministero dello sviluppo economico ha dato indicazione di provvedere all'alienazione di RetItalia internazionale Spa e ha posto come prerequisito una severa ristrutturazione della società, al fine di renderla appetibile al mercato;
in relazione alla natura «in house» di RetItalia internazionale Spa e delle limitate risorse rese disponibili alla «Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane», le professionalità e lo stesso patrimonio informatico, in gestione a RetItalia internazionale Spa, rischiano di andare dispersi in conseguenza dell'alienazione della società;
sarebbe auspicabile, al fine di salvaguardare gli investimenti fatti, capitalizzare le risorse e le conoscenze professionali disponibili, valutare ipotesi di integrazione di RetItalia Internazionale Spa nella struttura della Pubblica amministrazione, intese come soluzioni più economiche e meno rischiose per l'integrità del patrimonio informativo messo a disposizione della Ex Ice nel corso degli anni;
appare ulteriormente opportuno segnalare che nella legge di stabilità 2013 è stato previsto un incremento delle risorse destinate al funzionamento dell'Ice-Agenzia pari a dieci milioni di euro per l'anno 2013;
in data 13 dicembre 2012 nell'ambito della discussione del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 è stato accolto alla Camera dei deputati l'ordine del giorno n. 9/5626/33 che impegnava il Governo a valutare compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, l'opportunità di procedere all'integrazione di tutto il personale a tempo indeterminato appartenente alla società RetItalia internazionale Spa nei ruoli dell'Agenzia per l'Italia digitale previa procedura selettiva, finalizzata al collocamento del personale all'interno dell'Agenzia»;
il suindicato impegno veniva rinnovato dal Governo in data 21 dicembre 2012 nell'ambito della discussione della legge di stabilità con l'accoglimento dell'ordine del giorno 9/5534-bis-B/36 nella cui premessa veniva evidenziato che alla luce degli incrementi previsti dalla legge di stabilità 2013 alle risorse dell'Ice-Agenzia «sarebbe ipotizzabile che parte di quelle risorse potesse essere utilizzata al fine di garantire il mantenimento di quel patrimonio di know-how ed expertise rappresentato dalla società RetItalia Internazionale Spa e messo al servizio della Pubblica amministrazione»;
appare importante sottolineare che malgrado l'alienazione, RetItalia Internazionale spa continuerà a fornire servizi informativi all'Ice-agenzia attraverso un contratto quinquennale il cui valore massimo sarà pari a euro 15 milioni, che paradossalmente sarebbero sufficienti a coprire il costo dei lavoratori della Società,
impegna il Governo
a predisporre eventuali interventi volti a tutelare i lavoratori di RetItalia Internazionale Spa anche attraverso un'eventuale integrazione del personale della società in House nelle strutture della pubblica amministrazione al fine di salvaguardare le conoscenze maturate, la tenuta dei progetti già avviati e garantire una opportuna continuità operativa segnatamente sul versante della integrazione ed interconnessione dei servizi e dei sistemi informativi con i sistemi esterni.
9/1248-A-R/35. Caruso.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame dispone tra l'altro, norme in materia di semplificazione di quanto previsto dal titolo II del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, recante misure urgenti per l'agenda digitale e la trasparenza nella pubblica amministrazione, in tema di vigilanza e funzionamento dell'Agenzia per l'Italia digitale, nonché misure in favore dell'internazionalizzazione delle PMI;
RetItalia internazionale Spa è una società a partecipazione pubblica, il cui capitale è interamente posseduto dall'Ice-Agenzia per la promozione, e svolge compiti di analisi di fabbisogni, progettazione, realizzazione e gestione di infrastrutture, servizi e sistemi informativi a supporto dell'internazionalizzazione e dei processi gestionali interni all'ICE, consentendo la loro integrazione e interconnessione con sistemi esterni, nonché di fornitura di assistenza qualificata al personale dell'ICE e alle PMI italiane, proponendo soluzioni sempre all'avanguardia nel panorama ICT e ponendo la dovuta attenzione al corretto equilibrio tra costi e benefici;
il Ministero dello sviluppo economico ha assegnato a RetItalia internazionale Spa nel giugno 2011 e nell'aprile 2012 il portale Made in Italy, un sistema di commercio elettronico dei prodotti italiani sul mercato internazionale e l'International Trade Hub - Italia, un portale sponsorizzato dal «Tavolo strategico nazionale per la Trade Facilitation», che consente alle imprese italiane di accedere da un unico punto a tutti i processi relativi all'internazionalizzazione;
a seguito della «spending review» il Ministero dello sviluppo economico ha dato indicazione di provvedere all'alienazione di RetItalia internazionale Spa e ha posto come prerequisito una severa ristrutturazione della società, al fine di renderla appetibile al mercato;
in relazione alla natura «in house» di RetItalia internazionale Spa e delle limitate risorse rese disponibili alla «Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane», le professionalità e lo stesso patrimonio informatico, in gestione a RetItalia internazionale Spa, rischiano di andare dispersi in conseguenza dell'alienazione della società;
sarebbe auspicabile, al fine di salvaguardare gli investimenti fatti, capitalizzare le risorse e le conoscenze professionali disponibili, valutare ipotesi di integrazione di RetItalia Internazionale Spa nella struttura della Pubblica amministrazione, intese come soluzioni più economiche e meno rischiose per l'integrità del patrimonio informativo messo a disposizione della Ex Ice nel corso degli anni;
appare ulteriormente opportuno segnalare che nella legge di stabilità 2013 è stato previsto un incremento delle risorse destinate al funzionamento dell'Ice-Agenzia pari a dieci milioni di euro per l'anno 2013;
in data 13 dicembre 2012 nell'ambito della discussione del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 è stato accolto alla Camera dei deputati l'ordine del giorno n. 9/5626/33 che impegnava il Governo a valutare compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, l'opportunità di procedere all'integrazione di tutto il personale a tempo indeterminato appartenente alla società RetItalia internazionale Spa nei ruoli dell'Agenzia per l'Italia digitale previa procedura selettiva, finalizzata al collocamento del personale all'interno dell'Agenzia»;
il suindicato impegno veniva rinnovato dal Governo in data 21 dicembre 2012 nell'ambito della discussione della legge di stabilità con l'accoglimento dell'ordine del giorno 9/5534-bis-B/36 nella cui premessa veniva evidenziato che alla luce degli incrementi previsti dalla legge di stabilità 2013 alle risorse dell'Ice-Agenzia «sarebbe ipotizzabile che parte di quelle risorse potesse essere utilizzata al fine di garantire il mantenimento di quel patrimonio di know-how ed expertise rappresentato dalla società RetItalia Internazionale Spa e messo al servizio della Pubblica amministrazione»;
appare importante sottolineare che malgrado l'alienazione, RetItalia Internazionale spa continuerà a fornire servizi informativi all'Ice-agenzia attraverso un contratto quinquennale il cui valore massimo sarà pari a euro 15 milioni, che paradossalmente sarebbero sufficienti a coprire il costo dei lavoratori della Società,
impegna il Governo
a valutare eventuali interventi volti a tutelare i lavoratori di RetItalia Internazionale Spa al fine di salvaguardare le conoscenze maturate, la tenuta dei progetti già avviati e garantire una opportuna continuità operativa segnatamente sul versante della integrazione ed interconnessione dei servizi e dei sistemi informativi con i sistemi esterni.
9/1248-A-R/35. (Testo modificato nel corso della seduta) Caruso.
La Camera,
premesso che:
il decreto-legge n. 69 del 21 giugno 2013, reca «disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia» e dedica il Capo I alle misure per il sostegno delle imprese; Entrambi questi obiettivi rappresentano al momento la prima vera emergenza, perché dalla ripresa dell'attività imprenditoriale derivano il rilancio dell'occupazione e della produttività dell'intero Paese;
gli effetti della crisi che stiamo attraversando non si possono comprendere appieno, e quindi contrastare, se non si tiene conto della specificità del tessuto economico italiano che è caratterizzato dalla prevalente presenza di piccole imprese, a vocazione fortemente territoriale, che da sempre sono l'asse trainante dell'economia;
è innegabile che oggi uno dei maggiori fattori limitanti per gli investimenti produttivi sia costituito dalle difficoltà di accesso al credito per le aziende, soprattutto quelle di minori dimensioni, indipendentemente dalla loro produttività e dalla loro storia creditizia;
il Fondo di garanzia di cui all'articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662 costituisce un utile strumento per superare la stretta creditizia per le piccole aziende, e deve essere incrementato nella sua capienza e operatività;
l'articolo 1 del decreto n. 69 del 2013, si pone l'obiettivo di rendere più agevole l'accesso al Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, attraverso l'adozione di specifiche disposizioni volte a garantire un più ampio accesso al credito;
il medesimo Fondo è uno strumento finanziato con Fondi Pubblici, dunque a valere sulla fiscalità generale, compreso il gettito derivante dalle realtà produttive, che sappiamo essere quantificato in maniera molto disomogenea tra i diversi territori del Paese;
appare come una questione di equità cercare di far si che vi sia corrispondenza tra il contributo fiscale generato da ciascun territorio a favore del Bilancio statale e il corrispondente impegno da parte del bilancio pubblico laddove quello stesso territorio si trovi in difficoltà come quelle derivanti dall'attuale congiuntura economica,
impegna il Governo
ad adottare disposizioni volte a far si che le risorse del Fondo di garanzia di cui all'articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. vengano ripartite tra le Regioni in maniera proporzionale alla capacità contributiva di ciascuna Regione, aiutando in questo modo i territori locali, specie quelli a più alta densità di imprese, a contrastare il sempre più evidente fenomeno di depauperamento produttivo ed occupazionale, generato dalla chiusura delle aziende e dalla conseguente perdita dei posti di lavoro.
9/1248-A-R/36. Fedriga, Guidesi, Borghesi, Matteo Bragantini, Invernizzi.
La Camera,
premesso che:
nel presente decreto legge ex articolo 33 si interviene sul procedimento di acquisto della cittadinanza per lo straniero nato in Italia. La presente disposizione appare disomogenea rispetto al complesso delle norme inserite nel presente decreto legge ed evidentemente priva dei requisiti costituzionali della necessità ed urgenza;
senza novellare la legge n. 91 del 1992, viene così legificata, con una formulazione generica che non specifica gli eventuali inadempimenti dei genitori o della pubblica amministrazione, la dettagliata prassi amministrativa in materia;
se da una lato una valutazione nel merito degli effetti che produrrà l'introduzione della presente disposizione è positiva e in linea con le recenti norme giurisprudenziali, dall'altro lato la portata di tale intervento governativo deve essere valutata in un ottica più ampia rispetto alla sua specifica entità;
il Governo con questa disposizione interviene nell'ambito della normativa che regola le procedure relative all'acquisizione della cittadinanza;
fin dalla passata legislatura il tema della cittadinanza ha occupato ed ancora oggi occupa grande spazio nel dibattito politico. Questa misura del Governo se considerata in termini politici appare come un test per vagliare la disponibilità della maggioranza su un prossimo intervento strutturato di modifica della normativa vigente in materia di acquisizione della cittadinanza finalizzata all'introduzione nel nostro Paese del principio dello ius soli. È difatti, necessario ribadire che questo decreto legge ex articolo 33 interviene a regolare proprio uno dei pochi casi previsti dal nostro ordinamento giuridico di applicazione dello ius soli;
quando si affronta il tema del diritto alla cittadinanza non si può ragionare sotto la spinta di argomentazioni suggestive ma non razionali. L'utilizzo strumentale di argomentazioni finalizzate a facilitare e incrementare l'acquisizione della cittadinanza, quale strumento essenziale di una effettiva integrazione nella società, anche attraverso l'utilizzo di patinate immagini di bambini nati e cresciuti in Italia e privati di questo diritto, è socialmente pericoloso;
prevedere, difatti, la cittadinanza a chi, anche se figlio di clandestini appena sbarcati, nasca sul suolo italiano (ius soli), sarebbe molto più pericoloso degli sbarchi di massa. Infatti non solo il nascituro diverrebbe italiano con tutti i diritti ma permetterebbe a genitori, fratelli e altri parenti di entrare nel nostro Paese con possibilità di permanenza illimitata. Una ondata di nuovi disperati preventivamente legalizzati ma senza specializzazione alcuna e senza lavoro prede della povertà e dello sfruttamento;
se gli obiettivi del presente decreto legge sono quelli di apportare modifiche normative atte a semplificare e limitare gli effetti negativi dell'apparato burocratico, sul tema della cittadinanza sarebbe stato più opportuno introdurre mediante modifiche all'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, un percorso virtuoso per l'integrazione degli stranieri e apolidi presenti regolarmente nel nostro Paese introducendo anche l'obbligatorietà di un test di naturalizzazione propedeutico alla acquisto della cittadinanza.
un percorso di reale integrazione e assimilazione nella società italiana e nelle sue varie e fondamentali realtà locali, in modo da vivere attivamente nel nostro Paese, evitando ghettizzazioni che possono portare a disagi e, in alcuni casi, a fenomeni di devianza;
il metodo da noi individuato per raggiungere questo scopo è quello di richiedere all'immigrato che intende diventare cittadino italiano il superamento di un esame che ne dimostri il reale livello di integrazione nella nostra società, esame che, oltre a comprendere una prova di lingua italiana e locale, in base alla regione di residenza, comprende anche domande di cultura generale, storia, cultura e tradizioni e sistemi istituzionali, sia nazionali sia locali. L'esame non è da considerare come un ulteriore aggravio delle procedure per l'ottenimento della cittadinanza, ma come un invito all'immigrato ad approfondire la conoscenza del nostro Paese in modo da comprendere nel modo migliore gli usi e i costumi, le leggi, i diritti e i doveri che derivano dall'appartenere alla nostra nazione, per poter convivere quanto meglio possibile con la popolazione autoctona,
impegna il Governo
a promuovere, in tutte le sedi competenti, strumenti atti ad avviare percorsi virtuosi volti a far si che nel momento dell'ottenimento della cittadinanza lo straniero possa essere in grado di dimostrare di essere pienamente inserito nel contesto storico socio culturale del nostro Paese, anche rispetto alle differenti realtà territoriali.
9/1248-A-R/37. Invernizzi, Matteo Bragantini, Guidesi, Borghesi.
La Camera,
premesso che:
in Italia, ogni giorno, si registra la chiusura di 40 aziende, per la maggior parte dislocate in Lombardia, Lazio e Veneto. I fallimenti delle imprese sono cresciuti del 65 per cento in quattro anni, per quasi 50 mila fallimenti dall'inizio della crisi, di cui oltre 3 mila solo nei primi tre mesi di quest'anno. In questi tre mesi il numero di imprese fallite ha registrato un incremento del 13 per cento rispetto al 2012;
questi dati evidenziano la necessità di mettere a punto con la massima urgenza strumenti di politica economica nuovi ed innovativi, sperimentando formule che coniughino più obiettivi per di uscire da una situazione di stagnazione altrimenti senza prospettive;
il decreto-legge n. 69 del 2013 reca tra le altre disposizioni per il sostegno alle imprese, misure per l'accesso al credito attraverso il Fondo di Garanzia per le piccole e medie imprese e finanziamenti e contributi per l'acquisto di macchinari, impianti ed attrezzature, misure utili ma che non escono dal solco di quanto già esistente e quindi, per ora, non decisive per la ripresa;
nel decreto in esame mancano iniziative mirate per creare aree di attrattività degli investimenti imprenditoriali, necessari a far avviare nuove realtà produttive e non solo a sostenere l'esistente;
esistono esempi di buone pratiche già attuate dalle Regioni, in particolare la regione Lombardia, che mirano a fornire un supporto operativo e finanziario alla realizzazione di interventi per attrarre nuovi investimenti di impresa in zone industrialmente depresse, offrendo all'imprenditore che vi insedia una sede produttiva particolari agevolazioni burocratiche ed una riduzione progressiva del cuneo fiscale, a fronte di un impegno a rendere l'area di pertinenza nuovamente vitale operando tutte le operazioni di recupero ambientale e infrastrutturale necessarie,
impegna il Governo
a riconoscere alle Regioni il compito di individuare un elenco di aree industriali dismesse da destinare all'insediamento di nuove attività produttive, queste ultime incentivate attraverso la leva della riduzione degli oneri amministrativi e della progressiva riduzione del cuneo fiscale.
9/1248-A-R/38. Guidesi, Matteo Bragantini, Invernizzi, Borghesi.
La Camera,
premesso che:
in Italia, ogni giorno, si registra la chiusura di 40 aziende, per la maggior parte dislocate in Lombardia, Lazio e Veneto. I fallimenti delle imprese sono cresciuti del 65 per cento in quattro anni, per quasi 50 mila fallimenti dall'inizio della crisi, di cui oltre 3 mila solo nei primi tre mesi di quest'anno. In questi tre mesi il numero di imprese fallite ha registrato un incremento del 13 per cento rispetto al 2012;
questi dati evidenziano la necessità di mettere a punto con la massima urgenza strumenti di politica economica nuovi ed innovativi, sperimentando formule che coniughino più obiettivi per di uscire da una situazione di stagnazione altrimenti senza prospettive;
il decreto-legge n. 69 del 2013 reca tra le altre disposizioni per il sostegno alle imprese, misure per l'accesso al credito attraverso il Fondo di Garanzia per le piccole e medie imprese e finanziamenti e contributi per l'acquisto di macchinari, impianti ed attrezzature, misure utili ma che non escono dal solco di quanto già esistente e quindi, per ora, non decisive per la ripresa;
nel decreto in esame mancano iniziative mirate per creare aree di attrattività degli investimenti imprenditoriali, necessari a far avviare nuove realtà produttive e non solo a sostenere l'esistente;
esistono esempi di buone pratiche già attuate dalle Regioni, in particolare la regione Lombardia, che mirano a fornire un supporto operativo e finanziario alla realizzazione di interventi per attrarre nuovi investimenti di impresa in zone industrialmente depresse, offrendo all'imprenditore che vi insedia una sede produttiva particolari agevolazioni burocratiche ed una riduzione progressiva del cuneo fiscale, a fronte di un impegno a rendere l'area di pertinenza nuovamente vitale operando tutte le operazioni di recupero ambientale e infrastrutturale necessarie,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di riconoscere alle Regioni il compito di individuare un elenco di aree industriali dismesse da destinare all'insediamento di nuove attività produttive valutando le eventuali misure di incentivazione.
9/1248-A-R/38. (Testo modificato nel corso della seduta) Guidesi, Matteo Bragantini, Invernizzi, Borghesi.
La Camera,
premesso che:
il decreto n. 69 del 21 giugno 2013, all'articolo 46, interviene sul alcune disposizioni che limitano la possibilità per gli enti locali di effettuare spese di rappresentanza e spese per missioni, prevedendo che tali limiti non si applichino agli enti locali coinvolti nell'organizzazione del Grande Evento EXPO Milano 2015;
il grande Evento EXPO Milano 2015, come hanno avuto modo di sottolineare le massime autorità istituzionali primo tra tutti il Presidente della Repubblica, è un evento di rilevanza mondiale, che può diventare il volano per avviare la ripresa economica dell'intero Paese;
il grande Evento EXPO Milano 2015 è un evento che coinvolge il Governo Italiano, la regione Lombardia, la provincia di Milano, il comune di Milano e la Camera di Commercio di Milano nella società di Gestione, e numerosi enti locali dell'hinterland;
dagli amministratori locali e dalla regione Lombardia è stato più volte sottolineato come il vero limite alla buona riuscita dell'evento, che prevede la realizzazione di opere infrastrutturali necessarie da tempo e destinate a restare in eredità ai territori coinvolti dopo la conclusione dell'evento sarà possibile solo attraverso una specifica deroga alle regole del Patto di stabilità interno, senza la quale sono a rischio la finanzi abilità delle opere,
impegna il Governo
a prevedere, per gli enti locali e territoriali coinvolti nell'organizzazione del grande evento Expo 2015, una specifica deroga ai vincoli imposti dal Patto di stabilità interno, per le sole spese correlate all'organizzazione dell'evento e alla realizzazione di opere ad esso connesse;
9/1248-A-R/39. Rondini, Guidesi, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera.
La Camera,
premesso che:
il decreto n. 69 del 21 giugno 2013, all'articolo 46, interviene sul alcune disposizioni che limitano la possibilità per gli enti locali di effettuare spese di rappresentanza e spese per missioni, prevedendo che tali limiti non si applichino agli enti locali coinvolti nell'organizzazione del Grande Evento EXPO Milano 2015;
il grande Evento EXPO Milano 2015, come hanno avuto modo di sottolineare le massime autorità istituzionali primo tra tutti il Presidente della Repubblica, è un evento di rilevanza mondiale, che può diventare il volano per avviare la ripresa economica dell'intero Paese;
il grande Evento EXPO Milano 2015 è un evento che coinvolge il Governo Italiano, la regione Lombardia, la provincia di Milano, il comune di Milano e la Camera di Commercio di Milano nella società di Gestione, e numerosi enti locali dell'hinterland;
dagli amministratori locali e dalla regione Lombardia è stato più volte sottolineato come il vero limite alla buona riuscita dell'evento, che prevede la realizzazione di opere infrastrutturali necessarie da tempo e destinate a restare in eredità ai territori coinvolti dopo la conclusione dell'evento sarà possibile solo attraverso una specifica deroga alle regole del Patto di stabilità interno, senza la quale sono a rischio la finanzi abilità delle opere,
impegna il Governo
a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di prevedere, per gli enti locali e territoriali coinvolti nell'organizzazione del grande evento Expo 2015, una specifica deroga ai vincoli imposti dal Patto di stabilità interno, per le sole spese correlate all'organizzazione dell'evento e alla realizzazione di opere ad esso connesse;
9/1248-A-R/39. (Testo modificato nel corso della seduta) Rondini, Guidesi, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera.
La Camera,
premesso che:
nel presente decreto legge ex articolo 33 si interviene sul procedimento di acquisto della cittadinanza per lo straniero nato in Italia. La presente disposizione appare disomogenea rispetto al complesso delle norme inserite nel presente decreto legge ed evidentemente priva dei requisiti costituzionali della necessità ed urgenza;
avendo a cuore il destino della nostra Repubblica e la sicurezza dei suoi cittadini, dobbiamo mettere al centro del patto di cittadinanza i doveri e, in primo luogo, il dovere di lealtà verso chi ha accolto generosamente i nuovi venuti, come anche il dovere di rispetto nei confronti dei più importanti beni tutelati dal diritto penale;
non possiamo esimerci dallo stigmatizzare l'incapacità manifesta di questo Governo di comprendere il reale problema che in questo particolare momento di crisi economica internazionale avrebbe dovuto essere affrontato con estrema urgenza, considerata la necessità di apportare soluzioni immediate ad una questione che rischia di avere un allarmante impatto sociale;
tutte le previsioni macroeconomiche degli istituti ed organismi accreditati fotografano un Paese in una situazione di vera e propria recessione;
la grave congiuntura economico-finanziaria che sta attraversando il nostro paese ha determinato e determinerà ancora di più nei prossimi mesi rilevanti ricadute negative sull'occupazione. I lavoratori più a rischio – anche per la tipologia delle loro mansioni e dei relativi contratti – saranno sicuramente i lavoratori stranieri. Tale situazione creerà rilevanti problemi non solo sotto il profilo strettamente occupazionale, ma anche dal punto di vista della sicurezza pubblica, considerato il rischio attuale che molti stranieri, perdendo il posto di lavoro – in assenza di altri ammortizzatori sociali quali la famiglia e la comunità di appartenenza – finiscano per incrementare le fila della criminalità;
è necessario avviare uno studio sui flussi migratori che proceda: alla raccolta di dati ed all'elaborazione di statistiche sulle migrazioni internazionali, sulla popolazione dimorante abitualmente e sull'acquisizione della cittadinanza, sui permessi di soggiorno e sul soggiorno di cittadini di paesi extracomunitari, nonché sui rimpatri; al monitoraggio del fenomeno della disoccupazione degli stranieri titolari di permesso di soggiorno conseguente alla crisi economica in atto e alla formulazione di politiche attive di reinserimento di tali categorie di lavoratori; all'analisi della capacità recettiva del paese, in rapporto alle singole realtà territoriali, in riferimento ai posti di lavoro disponibili nei diversi settori occupazionali, alla disponibilità di alloggi, alla disponibilità e al costo dei servizi garantiti; all'analisi dell'impatto dell'immigrazione sotto il profilo del rapporto tra costi e benefici con particolare riguardo ai pubblici servizi; all'analisi del grado di integrazione degli stranieri presenti sul territorio nazionale anche in rapporto ai paesi di provenienza; alla formulazione di proposte per la revisione del meccanismo dei flussi di ingresso di cui all'articolo 21 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, finalizzate ad includere nelle quote annualmente stabilite anche gli ingressi nel territorio dello Stato per motivi di ricongiungimento familiare,
impegna il Governo
ad assumere iniziative volte a contenere l'arrivo di nuova manodopera immigrata nel nostro Paese, anche sospendendo l'adozione dei decreti che determinano i flussi di ingresso per i lavoratori extracomunitari;
9/1248-A-R/40. Prataviera, Matteo Bragantini, Invernizzi.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame, al capo II, reca «Misure per il potenziamento dell'agenda digitale italiana», a tal fine anche novellando i decreti legge che negli ultimi anni sono intervenuti in materia di digitalizzazione;
il decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 all'articolo 1, comma 2, prevedeva che il Ministro dell'interno emanasse un decreto per stabilire le modalità tecniche di produzione, distribuzione, gestione e supporto all'utilizzo del documento unificato entro il 19 giugno 2013. Tale scadenza non è stata rispettata;
il medesimo decreto, all'articolo 3, comma 1, prevedeva l'emanazione di un decreto per stabilire i tempi di realizzazione del censimento della popolazione e delle abitazioni per stabilire i contenuti dell'Archivio nazionale dei numeri civici e delle strade urbane. Tale scadenza non è stata rispettata;
il medesimo decreto, all'articolo 3, comma 4, prevedeva un regolamento per il complessivo riordino del sistema statistico nazionale, con rafforzamento dell'indipendenza professionale dell'ISTAT e il miglioramento del suo assetto organizzativo, da emanare entro il 17 marzo 2013. Tale scadenza non è stata rispettata;
il medesimo decreto, all'articolo 4, comma 1, prevedeva che presso il Ministero dello Sviluppo economico fosse pubblicato un «Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata» delle imprese e dei professionisti entro il 19 giugno 2013. Tale scadenza non è stata rispettata;
il medesimo decreto, all'articolo 5, comma 3, prevedeva che fosse emanato un decreto per stabilire l'accesso delle CCIAA e l'aggiornamento al registro delle imprese entro il 17 febbraio 2013. Tale scadenza non è stata rispettata;
il medesimo decreto, all'articolo 7, comma 3 prevedeva l'emanazione di un decreto per l'invio in forma telematica della certificazione medica dei figli per la fruizione dei congedi parentali entro il 30 giugno 2013. Tale scadenza non è stata rispettata;
in linea con gli obiettivi dell'Agenda Digitale Europea e con le azioni intraprese dai principali Paesi europei che si sono da tempo dotati di piani strategici di sviluppo delle reti di nuova generazione (NGN), è quanto mai doveroso che il nostro Paese preveda misure che intervengano nel settore del digitale, essendo uno dei pochi nei quali all'investimento corrisponde un ritorno di Pil, ma è a dir poco inutile se non vengono rispettate i termini degli adempimenti previsti,
impegna il Governo
ad adempiere, entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, alle scadenze temporali tuttora non rispettate previste dal decreto legge 18 ottobre 2012, n.179, convertito con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, in materia di digitalizzazione.
9/1248-A-R/41. Grimoldi, Caparini, Guidesi.
La Camera,
premesso che:
un settore cruciale per la crescita di tutto il Paese è quello dei servizi telefonici ed in questo provvedimento sono completamente assenti misure in questo ambito, soprattutto volte a colmare l'immotivato squilibrio provocato dalla tassa di cui all'articolo 21 della tariffa annessa al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641, come da ultimo sostituita dalla tariffa di cui al decreto del Ministro delle finanze 28 dicembre 1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 303 del 30 dicembre 1995, e successive modificazioni, concernente la tassa di concessione governativa per l'impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione;
se da un lato tale tassa è particolarmente sfavorevole per l'utenza di telefonia in abbonamento e genera un carico fiscale irragionevole, dall'altra i soggetti che forniscono in Italia servizi di comunicazione elettronica attraverso internet, indipendentemente dal rilascio delle autorizzazioni richieste ai sensi della normativa italiana ad oggi non sono tenuti a versare un contributo annuale in rapporto al fatturato generato per i servizi forniti in Italia;
l'abolizione di questa tassa potrebbe colmare lo squilibrio esistente attraverso la contribuzione di soggetti che, operando formalmente al di fuori del territorio italiano, si avvantaggiano non poco dal presente stato di cose, poiché da un lato forniscono servizi di comunicazione elettronica sul territorio italiano, essendo di fatto svincolati da molte delle regole vigenti in Italia nel settore, dall'altro, godendo, per le stesse ragioni, di un regime fiscale favorevole, che, di nuovo, costituisce una condizione asimmetrica a svantaggio degli operatori di telecomunicazione radicati sul territorio, non sono in grado di «restituire» all'Italia, in termini fiscali, il valore, diretto e indiretto, generato attraverso la vendita di servizi di comunicazione e dei correlati proventi pubblicitari, spesso molto ingente;
attualmente la tassa di concessione governativa grava sulle utenze mobili dei privati per 5,16 euro/mese e per le utenze delle aziende, dei professionisti, dei commercianti per 12,91 euro/mese;
il beneficio della soppressione di questa tassa anacronistica (nasceva negli anni ’90 come tassa sul lusso, ed ora il telefonino non è sicuramente più un lusso) sarebbe quindi diretto per i cittadini,
impegna il Governo
ad intervenire, con gli appositi strumenti normativi, al fine di abolire la tassa di cui all'articolo 21 della tariffa annessa al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641, come da ultimo sostituita dalla tariffa di cui al decreto del Ministro delle finanze 28 dicembre 1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 303 del 30 dicembre 1995, e successive modificazioni, concernente la tassa di concessione governativa per l'impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione, al contempo prevedendo sistemi di contribuzione da parte dei soggetti che forniscono in Italia servizi di comunicazione elettronica attraverso internet, indipendentemente dal rilascio delle autorizzazioni richieste ai sensi della normativa italiana.
9/1248-A-R/42. Bossi, Caparini, Guidesi, Fedriga.
La Camera,
premesso che:
la magistratura onoraria non ha più un ruolo complementare e occasionale dell'amministrazione della giustizia;
attualmente sussistono diverse categorie di giudici onorari, con altrettanto diversi criteri di selezione, con diverse retribuzioni e così diverse durate di rapporti di lavoro, ma tutti improntati ad una precarietà non giustificata dalla esemplare qualità del servizio che sempre più viene fornito con alto tasso di professionalità dai magistrati onorari;
la magistratura onoraria, se opportunamente inquadrata, potrebbe essere il volano di un nuovo andamento dell'amministrazione della giustizia, avvicinando la giustizia ai cittadini e assicurando la celerità del servizio, in attuazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, oltre ad uniformarsi ai paesi più civili in tema di celerità dei procedimenti giudiziari;
occorre una soluzione a regime che preveda nuove modalità di accesso e di retribuzione oltre che di stabilizzazione degli incarichi e che tenga conto anche della previdenza;
è assolutamente indilazionabile un intervento immediato in materia di giudici onorari, nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 106, secondo comma, della Costituzione,
impegna il Governo
a formulare una proposta organica di riforma della magistratura onoraria tale da consentire al Parlamento di approvarla entro la data del 31 dicembre 2013, astenendosi dal ricorrere ad ulteriori provvedimenti emergenziali, temporanei o tesi a proroghe dell'esistente.
9/1248-A-R/43. Attaguile, Molteni.
La Camera,
premesso che:
la magistratura onoraria non ha più un ruolo complementare e occasionale dell'amministrazione della giustizia;
attualmente sussistono diverse categorie di giudici onorari, con altrettanto diversi criteri di selezione, con diverse retribuzioni e così diverse durate di rapporti di lavoro, ma tutti improntati ad una precarietà non giustificata dalla esemplare qualità del servizio che sempre più viene fornito con alto tasso di professionalità dai magistrati onorari;
la magistratura onoraria, se opportunamente inquadrata, potrebbe essere il volano di un nuovo andamento dell'amministrazione della giustizia, avvicinando la giustizia ai cittadini e assicurando la celerità del servizio, in attuazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, oltre ad uniformarsi ai paesi più civili in tema di celerità dei procedimenti giudiziari;
occorre una soluzione a regime che preveda nuove modalità di accesso e di retribuzione oltre che di stabilizzazione degli incarichi e che tenga conto anche della previdenza;
è assolutamente indilazionabile un intervento immediato in materia di giudici onorari, nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 106, secondo comma, della Costituzione,
impegna il Governo
a formulare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, una proposta organica di riforma stabile della magistratura onoraria.
9/1248-A-R/43. (Testo modificato nel corso della seduta) Attaguile, Molteni.
La Camera,
premesso che:
rilevato come ancora una volta per ottenere efficienza e speditezza con riforme del processo, è necessario procedere con interventi di organizzazione e di redistribuzione di risorse umane e materiali che sono le uniche misure idonee a garantire l'accelerazione dei processi, mentre procedere solo a modificazioni normative tese all'introduzione o modificazione o integrazione di istituti esistenti, non consente alcun aumento di efficace ed effettivo aumento dell'efficienza del sistema giudiziario,
impegna il Governo
nell'ambito dell'attuazione della nuova dislocazione sul territorio degli Uffici Giudiziari, ad esaminare, analizzare e valutare il territorio nazionale sia sotto il profilo geografico, sia sotto quello produttivo, sia sotto quello delle strutture e dell'organizzazione giudiziaria esistente, al fine di individuare se e dove sia necessario introdurre o potenziare competenze specializzate della magistratura al fine di un maggiore affidamento da parte delle imprese e degli investitori e soprattutto tenendo in imprescindibile considerazione il diritto del cittadino e del lavoratore ad un facile accesso ed una giustizia qualitativamente soddisfacente
9/1248-A-R/44. Marcolin, Molteni.
La Camera,
premesso che:
rilevato come ancora una volta per ottenere efficienza e speditezza con riforme del processo, è necessario procedere con interventi di organizzazione e di redistribuzione di risorse umane e materiali che sono le uniche misure idonee a garantire l'accelerazione dei processi, mentre procedere solo a modificazioni normative tese all'introduzione o modificazione o integrazione di istituti esistenti, non consente alcun aumento di efficace ed effettivo aumento dell'efficienza del sistema giudiziario,
impegna il Governo
nell'ambito dell'attuazione della nuova dislocazione sul territorio degli Uffici Giudiziari, ad esaminare, analizzare e valutare se e dove sia necessario introdurre o potenziare competenze specializzate della magistratura al fine di un maggiore affidamento da parte delle imprese e degli investitori e soprattutto tenendo in imprescindibile considerazione il diritto del cittadino e del lavoratore ad un facile accesso ed una giustizia qualitativamente soddisfacente.
9/1248-A-R/44. (Testo modificato nel corso della seduta) Marcolin, Molteni.
La Camera,
premesso che:
la politica di revisione della geografia giudiziaria adottata dal precedente Governo con l'esercizio della delega contenuta nell'articolo 1, comma 2, della legge n. 148 del 2011, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge n. 138 del 2011, – soppressione di tutte le sezioni distaccate dei tribunali, di quasi tutti i tribunali non capoluogo di provincia e degli uffici dei giudici di pace –, in un contesto di grave crisi del settore giustizia, ha ulteriormente aggravato la situazione del sistema. Ed, infatti, facendo solo «cassa» nell'immediato per importi modesti – senza peraltro che vengano tenuti in debita considerazione i costi del trasferimento del personale e delle risorse materiali – e producendo nel breve delle diseconomie di scala, dovute alla creazione di macro strutture di tribunali che risulteranno dei veri e propri «carrozzoni», tali da compromettere ulteriormente il già carente servizio della giustizia, causerà che molti cittadini saranno indotti, di fatto, a rinunciare alla tutela costituzionalmente garantita dei propri diritti in una sede accentrata e molte volte lontana, a discapito di una giustizia di prossimità, che, come dimostrano i dati statistici, è efficiente e oltremodo la più conforme ai parametri europei;
rilevato che i decreti legislativi 7 settembre 2012, n. 155 «Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148» e 7 settembre 2012, n. 156 «Revisione delle circoscrizioni giudiziarie – Uffici dei giudici di pace, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148», disattendono le indicazioni contenute nei pareri delle Commissioni Giustizia della Camera dei deputati e del Senato, che rilevavano come i principi e i criteri direttivi contenuti nell'articolo 1, comma 2, della delega prevista dalla legge n. 148 del 2011, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge n. 138 del 2011, fossero stati recepiti solo in parte, poiché non si teneva conto, tra l'altro, dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze, della specificità territoriale del bacino di utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale e del tasso d'impatto della criminalità organizzata, oltre a non preservare nuove strutture recentemente finanziate, tra cui quelle di Chiavari e Bassano del Grappa;
la politica di revisione della geografia giudiziaria del precedente Governo deriva da scelte, difficilmente apprezzabili, se si considera che in diverse circostanze, e con dichiarazioni apparse sui maggiori quotidiani nazionali, è stato affermato che la criminalità organizzata mafiosa è ben radicata nel Nord del nostro paese, e ciò nonostante le uniche sedi di Tribunale «ripescate», nel definitivo ridisegno della geografia giudiziaria, per ragioni connesse al contrasto alle mafie sono state solo quelle del sud (Caltagirone e Sciacca in Sicilia, Castrovillari, Lamezia Terme e Paola in Calabria, e Cassino), mentre al nord, in base agli atti del precedente Governo, non esiste alcun problema di infiltrazioni della criminalità organizzata che suggerisca il mantenimento dei Tribunali quali presidi del territorio,
impegna il Governo
ad adottare con urgenza un provvedimento normativo correttivo dei decreti legislativi 7 settembre 2012, n. 155 e 7 settembre 2012, n. 156, al fine di dare puntuale attuazione ai contenuti dei pareri approvati dalla Commissione Giustizia della Camera dei deputati del 1o agosto 2012 e dall'altro ramo del Parlamento, e conseguentemente la riviviscenza degli uffici giudiziari soppressi in difformità ai citati pareri ovvero ad adottare con urgenza un provvedimento normativo di proroga dell'entrata in vigore, non inferiore a dodici mesi, delle disposizioni concernenti la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari di cui ai decreti legislativi 7 settembre 2012, n. 155 e 7 settembre 2012, n. 156.
9/1248-A-R/45. Molteni, Matteo Bragantini.
La Camera,
preso atto che l'articolo 18 istituisce un fondo per la realizzazione di infrastrutture, con particolare riferimento alle infrastrutture di rilevanza strategica nazionale:
premesso che:
la strada statale 434 Transpolesana (SS 434), che collega Verona a Rovigo, è una delle arterie principali di penetrazione alla città di Verona ed è inserita nella legge obiettivo quale infrastruttura strategica nazionale;
l'asse viario, con sezione a quattro corsie, ha una lunghezza di oltre 80 chilometri e inizia a Verona, allacciandosi alla Tangenziale Sud-Est, tra le uscite dell'autostrada A4 di Verona Sud e Verona Est, attraversa i comuni della bassa veronese, entra in provincia di Rovigo nel comune di Giacciano con Baruchella, attraversa Badia Polesine, Lendinara, Villamarzana (dove è stato costruito uno svincolo dell'autostrada A 13) per terminare in una rotatoria in località Borsea del comune di Rovigo;
al completamento dell'arteria viaria mancano pochi Km dell'ultimo pezzo di collegamento tra l'autostrada A4 e la città di Verona e tale mancanza crea un imbuto al traffico di penetrazione alla città. Gli elevatissimi volumi di traffico, le lunghissime attese alle intersezioni, i conseguenti livelli di congestione e inquinamento, hanno dato origine a numerose e ripetute forme di protesta presso le Amministrazioni comunali, provinciali, regionali e nazionali, lamentando i disagi, l'invivibilità e la pericolosità delle vie che interessano una vasta e popolosa zona della città;
sia l'apertura dello svincolo di interconnessione con l'A/13, avvenuta nel 2007, sia la prevista apertura del raccordo autostradale con l'autostrada Valdastico sud, collocano la «Transpolesana» tra le arterie di primaria importanza nell'area Nord Est;
il completamento del collegamento fra la SS. 434 «Transpolesana» e la via Basso Acquar, nel comune di Verona, riveste un'importanza strategica fondamentale, non solo per decongestionare la zona sud della città, ma anche e soprattutto per la funzione sovracomunale di distribuzione del traffico veicolare da e per la Tangenziale Sud ai grandi centri intermodali e alla contigua Autostrada A4;
il prolungamento della strada statale n. 434 «Transpolesana», oltre l'autostrada A4 fino alla città di Verona, è compreso nel Piano investimenti ANAS 2007-2011 e precisamente nella sezione area di inseribilità dell'allegato A «Elenco opere infrastrutturali di nuova realizzazione per l'anno 2007 con proiezione programmatica fino al 2011» per un costo di circa 46.150.000,00 euro;
l'alta incidentalità che caratterizza la strada statale e i ripetuti disagi lamentati dai cittadini rendono indispensabile l'adozione di misure urgenti, di carattere straordinario, che possano garantire l'immediato finanziamento dell'ultimo tratto di collegamento della strada statale n. 434, oltre l'autostrada A4, fino alla città di Verona,
impegna il Governo
ad adottare le opportune iniziative ai fini della realizzazione del prolungamento della strada statale n. 434 «Transpolesana», oltre l'autostrada A4 fino alla città di Verona, a valere sul Fondo di cui al comma 1 dell'articolo 18.
9/1248-A-R/46. Matteo Bragantini.
La Camera,
preso atto che l'articolo 18 istituisce un fondo per la realizzazione di infrastrutture, con particolare riferimento alle infrastrutture di rilevanza strategica nazionale:
premesso che:
la strada statale 434 Transpolesana (SS 434), che collega Verona a Rovigo, è una delle arterie principali di penetrazione alla città di Verona ed è inserita nella legge obiettivo quale infrastruttura strategica nazionale;
l'asse viario, con sezione a quattro corsie, ha una lunghezza di oltre 80 chilometri e inizia a Verona, allacciandosi alla Tangenziale Sud-Est, tra le uscite dell'autostrada A4 di Verona Sud e Verona Est, attraversa i comuni della bassa veronese, entra in provincia di Rovigo nel comune di Giacciano con Baruchella, attraversa Badia Polesine, Lendinara, Villamarzana (dove è stato costruito uno svincolo dell'autostrada A 13) per terminare in una rotatoria in località Borsea del comune di Rovigo;
al completamento dell'arteria viaria mancano pochi Km dell'ultimo pezzo di collegamento tra l'autostrada A4 e la città di Verona e tale mancanza crea un imbuto al traffico di penetrazione alla città. Gli elevatissimi volumi di traffico, le lunghissime attese alle intersezioni, i conseguenti livelli di congestione e inquinamento, hanno dato origine a numerose e ripetute forme di protesta presso le Amministrazioni comunali, provinciali, regionali e nazionali, lamentando i disagi, l'invivibilità e la pericolosità delle vie che interessano una vasta e popolosa zona della città;
sia l'apertura dello svincolo di interconnessione con l'A/13, avvenuta nel 2007, sia la prevista apertura del raccordo autostradale con l'autostrada Valdastico sud, collocano la «Transpolesana» tra le arterie di primaria importanza nell'area Nord Est;
il completamento del collegamento fra la SS. 434 «Transpolesana» e la via Basso Acquar, nel comune di Verona, riveste un'importanza strategica fondamentale, non solo per decongestionare la zona sud della città, ma anche e soprattutto per la funzione sovracomunale di distribuzione del traffico veicolare da e per la Tangenziale Sud ai grandi centri intermodali e alla contigua Autostrada A4;
il prolungamento della strada statale n. 434 «Transpolesana», oltre l'autostrada A4 fino alla città di Verona, è compreso nel Piano investimenti ANAS 2007-2011 e precisamente nella sezione area di inseribilità dell'allegato A «Elenco opere infrastrutturali di nuova realizzazione per l'anno 2007 con proiezione programmatica fino al 2011» per un costo di circa 46.150.000,00 euro;
l'alta incidentalità che caratterizza la strada statale e i ripetuti disagi lamentati dai cittadini rendono indispensabile l'adozione di misure urgenti, di carattere straordinario, che possano garantire l'immediato finanziamento dell'ultimo tratto di collegamento della strada statale n. 434, oltre l'autostrada A4, fino alla città di Verona,
impegna il Governo
a valutare le opportune iniziative ai fini della realizzazione del prolungamento della strada statale n. 434 «Transpolesana», oltre l'autostrada A4 fino alla città di Verona.
9/1248-A-R/46. (Testo modificato nel corso della seduta) Matteo Bragantini.
La Camera,
preso atto che l'articolo 26-bis prevede che le stazioni appaltanti debbano motivare, all'atto della determina a contrarre, circa le ragioni della mancata suddivisione dell'appalto in lotti, allo scopo di dare concreta attuazione alla legge 11 novembre 2011, n. 180, «statuto delle imprese» e al principio, inserito all'articolo 2, comma 1-bis del codice dei contratti pubblici, secondo il quale, per favorire l'accesso agli appalti delle piccole e medie imprese, le stazioni appaltanti devono suddividere gli appalti in lotti funzionali, ove ciò sia possibile ed economicamente conveniente;
premesso che:
la legge 11 novembre 2011, n. 180, «statuto delle imprese» prevede anche il principio dell'introduzione di modalità di coinvolgimento, nella realizzazione di grandi infrastrutture nonché delle connesse opere integrative o compensative, delle imprese residenti nelle regioni e nei territori nei quali sono localizzati gli investimenti, con particolare attenzione alle micro, piccole e medie imprese;
la diffusione degli appalti a km zero, ossia il privilegio del criterio della «territorialità», che costituisce un riferimento oggettivo nella scelta delle imprese da invitare alle gare d'appalto, è una garanzia di convenienza economica, di minori impatti ambientali provocati dal trasporto delle persone e delle merci e di maggiore responsabilizzazione nello svolgimento dei lavori;
infatti, l'esecuzione dei lavori da imprese che non hanno legami con il territorio interessato comporta spesso una minore responsabilità sociale da parte delle stesse imprese, essendo evidente che un'impresa che ha sede nell'area stessa dell'intervento si sente maggiormente responsabilizzata a garantire l'ottimale svolgimento dei lavori;
le leggi regionali sugli appalti, come ad esempio quella della regione Lombardia, incentivano la partecipazione delle micro, piccole e medie imprese agli appalti, anche prevedendo in via sperimentale, all'interno della programmazione degli appalti da parte delle amministrazioni aggiudicatrici del sistema regionale, quote di riserva e criteri di premialità correlati alla sostenibilità ambientale nel territorio di localizzazione del soggetto appaltante, alla tutela del lavoro e dei lavoratori ed alla suddivisione degli appalti in lotti e lavorazioni specifiche;
l'obiettivo è quello degli appalti a km zero, ossia privilegiare il criterio della «territorialità» per tutti gli appalti, grandi e piccoli, attraverso l'applicazione di maggior punteggio nei bandi,
impegna il Governo
ad adottare le opportune iniziative dirette ad incentivare le stazioni appaltanti, parallelamente alla suddivisione degli appalti in lotti, ad assegnare, nei propri bandi di gara per l'aggiudicazione di lavori, servizi e forniture, quote di riserva e criteri di premialità per le imprese locali, in stretta correlazione con la sostenibilità ambientale nel proprio territorio e la tutela del lavoro e dei lavoratori.
9/1248-A-R/47. Gianluca Pini, Guidesi.
La Camera,
premesso che:
le feste paesane e molti altri tipi di manifestazioni costituiscono un forte elemento di aggregazione per la cittadinanza e servono a tener vive le tradizioni popolari;
di contro anche i piccoli comuni e le associazioni territoriali tutte le volte che organizzano eventi pubblici di intrattenimento devono pagare l'imposta sugli spettacoli,
impegna il Governo
a ridurre del 50 per cento l'importo che i comuni con popolazione fino a 15.000 abitanti e le associazioni territoriali devono pagare alla SIAE a titolo di imposta sugli spettacoli, nel corso di manifestazioni.
9/1248-A-R/48. Buonanno.
La Camera,
premesso che:
le strategie di sicurezza dell'approvvigionamento energetico fino ad oggi adottate dall'U.E. hanno portato ad aumentare la diversificazione delle fonti e delle aree geografiche di rifornimento, al fine di ridurre i rischi legati alla forte dipendenza nei confronti di Paesi esteri;
l'Italia è ancora oggi priva di una politica energetica in grado di alleggerire la forte dipendenza dalle importazioni estere; gli alti costi energetici che ne derivano stanno mettendo in seria difficoltà l'apparato produttivo ed anche economico del Paese, che dipende per oltre l'80 per cento, per l'importazione di combustibili fossili, da altri Pesi;
il quadro di riferimento deve essere necessariamente quello di una più generale pianificazione energetica che veda nella diversificazione delle fonti e delle aree di approvvigionamento, nella costruzione e nell'ammodernamento delle infrastrutture energetiche, nello sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili e dell'efficienza energetica i punti fondamentali da cui ripartire per arrivare a disporre, in tempi relativamente brevi, di energia a basso costo, al pari degli altri Paesi europei;
in Italia, la bolletta energetica è del 18 per cento più alta rispetto alla media europea. Dall'allineamento dei prezzi dei prodotti energetici italiani (energia elettrica, gas e carburanti) a quelli medi europei deriverebbe un risparmio annuo di circa 25 miliardi;
gli alti costi energetici sostenuti dall'Italia rappresentano una delle maggiori cause dello svantaggio competitivo del Paese rispetto agli altri Paesi europei;
l'articolo 5, del decreto in esame, che reca una serie di misure diverse per ridurre i costi dell'energia elettrica, manca di una visione strategica di lungo periodo in grado di rendere il mercato dell'energia più efficiente e competitivo;
il Presidente del Consiglio dei ministri, in occasione del Consiglio Europeo straordinario del 22 maggio 2013, è stato impegnato dal Parlamento a sollecitare Sa costruzione del mercato unico europeo dell'energia elettrica e del gas, al fine di sfruttare le opportunità di riduzione dei costi offerte dalle politiche di sviluppo energetico e dalle nuove tecnologie del settore;
il settore energetico è strategico per l'economia del Paese, con un giro di affari, in crescita, attorno al 20 per cento del Pil e con quasi mezzo milione di posti di lavoro creati,
impegna il Governo
ad adottare un'azione programmatica in campo energetico, in linea con le iniziative intraprese a livello europeo, che punti ad una maggiore diversificazione delle fonti di energia e ad una conseguente riduzione della dipendenza dalla fonte fossile, ai fini di un drastico contenimento dei costi energetici a beneficio dei consumatori finali, con particolare riguardo alle piccole e medie imprese.
9/1248-A-R/49. Allasia, Guidesi, Matteo Bragantini.
La Camera,
premesso che:
il decreto-legge in esame introduce alcune misure di semplificazione dei procedimenti amministrativi inerenti l'avvio di iniziative produttive sul territorio nazionale;
l'articolo 37, in particolare, intende dare rapida attuazione alle iniziative di sviluppo delle zone a burocrazia zero;
l'eccesso degli oneri burocratici è una delle principali cause dello svantaggio competitivo dell'Italia rispetto agli altri Paesi europei. Il peso della burocrazia si quantifica in un costo annuo per le imprese di circa 26 miliardi di euro, pari a circa 1,5 punti di Pil;
in Italia, il processo di snellimento della burocrazia è in atto da tempo, ma l'insuccesso delle iniziative fino ad oggi adottate per una reale semplificazione delle attività di impresa dipende dal fatto che tali iniziative si scontrano con apparato amministrativo ancora troppo inefficiente e farraginoso;
l'articolo 37-bis, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n.179 convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ha previsto che nell'ambito delle attività di sperimentazione di cui all'articolo 12, comma 1, del decreto legge 9 febbraio 2012, n. 5, che proseguono fino al 31 dicembre 2013, possono essere individuate «zone a burocrazia zero», non soggette a vincolo paesaggistico-territoriale o del patrimonio storico-artistico;
la disciplina relativa alle zone a burocrazia zero non risulta ancora essere del tutto avviata;
la riforma del sistema burocratico sconta infatti incredibili ritardi di attuazione, costringendo il Paese a spendere circa quattro volte tanto rispetto agli altri Paesi dell'Unione europea per avviare un impresa;
l'attuale situazione economica richiede scelte che abbiano come primo obiettivo quello di restituire maggiore competitività al Paese, puntando prima di tutto a rimuovere gli ostacoli che impediscono l'esercizio dell'attività produttiva; in tal senso la riforma della burocrazia dovrebbe rappresentare una priorità per il Paese,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di nominare appositi commissari ad acta, d'intesa con le Regioni, per dare concreta attuazione alle zone a burocrazia zero, ove tale riforma non sia stata ancora avviata, e ad adottare nell'immediato i provvedimenti necessari per rendere permanenti le agevolazioni amministrative e fiscali riconosciute alle nuove iniziative produttive ubicate nelle medesime zone a burocrazia zero.
9/1248-A-R/50. Giancarlo Giorgetti, Matteo Bragantini, Guidesi, Borghesi, Invernizzi.
La Camera,
preso atto che l'articolo 41, comma 1, contiene norme di semplificazione della disciplina prevista dal Codice dell'ambiente di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006 per le bonifiche dei siti inquinati (SIN) e per l'emungimento delle acque di falda;
considerato che le nuove norme da una parte chiariscono che le acque emunte convogliate tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il punto di prelievo di dette acque con il punto di immissione delle stesse in un corpo ricettore, previo trattamento di depurazione, sono assimilate alle acque reflue industriali che provengono da uno scarico, e come tali soggette al regime di cui alla Parte III del Codice, e dall'altra prevedono che gli interventi di emungimento e trattamento delle acque di falda contaminate sono ammessi in via residuale, dovendo essere individuate e adottate le migliori tecniche disponibili per eliminare, anche mediante trattamento, o isolare le fonti di contaminazione dirette o indirette;
premesso che:
sin dal 2002, il SIN di Caffaro, a Brescia, è stato individuato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare come sito fortemente contaminato dal pcb e quindi da bonificare; tale sito, nonostante sia in disuso, continua ad emettere policlorobifenili (PCB) e altri pericolosi inquinanti;
dallo stabilimento ex Caffaro si è costretti a pompare dieci milioni di metri cubi d'acqua l'anno dai pozzi interni all'azienda, con evidenti costi ingenti, per impedire che la prima falda salga troppo e vada a contatto con i veleni sottostanti ai capannoni;
sebbene quest'acqua, prima di finire nel vaso Franzagola di via Morosini e da qui al Fiume Grande, passi attraverso un sistema di filtraggio a carboni attivi non risultano abbattuti tutti gli inquinanti, con evidenti rischi sanitari;
occorre intraprendere urgenti misure economiche e ambientali per completare gli interventi di bonifica del SIN di Caffaro e fermare l'emungimento della falda e lo sversamento di inquinanti,
impegna il Governo
ad assumere tutte le iniziative necessarie, economiche e ambientali, per fermare l'emungimento della falda e completare le operazioni di bonifica del SIN bresciano dello stabilimento della ex Caffaro.
9/1248-A-R/51. Caparini, Borghesi, Grimoldi.
La Camera,
preso atto che l'articolo 41, comma 1, contiene norme di semplificazione della disciplina prevista dal Codice dell'ambiente di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006 per le bonifiche dei siti inquinati (SIN) e per l'emungimento delle acque di falda;
considerato che le nuove norme da una parte chiariscono che le acque emunte convogliate tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il punto di prelievo di dette acque con il punto di immissione delle stesse in un corpo ricettore, previo trattamento di depurazione, sono assimilate alle acque reflue industriali che provengono da uno scarico, e come tali soggette al regime di cui alla Parte III del Codice, e dall'altra prevedono che gli interventi di emungimento e trattamento delle acque di falda contaminate sono ammessi in via residuale, dovendo essere individuate e adottate le migliori tecniche disponibili per eliminare, anche mediante trattamento, o isolare le fonti di contaminazione dirette o indirette;
premesso che:
sin dal 2002, il SIN di Caffaro, a Brescia, è stato individuato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare come sito fortemente contaminato dal pcb e quindi da bonificare; tale sito, nonostante sia in disuso, continua ad emettere policlorobifenili (PCB) e altri pericolosi inquinanti;
dallo stabilimento ex Caffaro si è costretti a pompare dieci milioni di metri cubi d'acqua l'anno dai pozzi interni all'azienda, con evidenti costi ingenti, per impedire che la prima falda salga troppo e vada a contatto con i veleni sottostanti ai capannoni;
sebbene quest'acqua, prima di finire nel vaso Franzagola di via Morosini e da qui al Fiume Grande, passi attraverso un sistema di filtraggio a carboni attivi non risultano abbattuti tutti gli inquinanti, con evidenti rischi sanitari;
occorre intraprendere urgenti misure economiche e ambientali per completare gli interventi di bonifica del SIN di Caffaro e fermare l'emungimento della falda e lo sversamento di inquinanti,
impegna il Governo
a valutare le opportune iniziative per proseguire e completare le operazioni di bonifica del SIN bresciano dello stabilimento della ex Caffaro.
9/1248-A-R/51. (Testo modificato nel corso della seduta) Caparini, Borghesi, Grimoldi.
La Camera,
premesso che:
considerato che la finalità del provvedimento è quella di semplificare il quadro amministrativo e normativo per i cittadini e le imprese anche allo scopo di sostenere il flusso del credito alle attività produttive, diversificando e migliorando l'accesso ai finanziamenti;
valutato come il testo introduca misure di semplificazione fiscale, con la soppressione della responsabilità solidale dell'appaltatore per il versamento all'erario dell'imposta sul valore aggiunto dovuta dal subappaltatore e dall'appaltatore in relazione alle prestazioni effettuate nell'ambito del contratto;
attestato come nel corso dell'esame del provvedimento è stata inserita una disposizione nella quale si stabilisce come, a partire dal 2014, le imprese appaltatrici, prima di ricevere il pagamento della prestazione, dovranno consegnare il nuovo Documento Unico di Regolarità Tributaria (Durt);
stimato infatti come relativamente alle ritenute sui redditi di lavoro dipendente circa il rapporto di subappalto, in luogo dell'attuale documentazione e consistente in una asseverazione rilasciata da professionisti e Caf, ovvero, in alternativa, in un'autocertificazione del prestatore, viene prevista l'acquisizione da parte dell'appaltatore presso l'agenzia delle Entrate di un documento, il Durt, appunto, attestante «l'inesistenza di debiti tributari per imposte, sanzioni o interessi, scaduti e non estinti dal subappaltatore alla data di pagamento del corrispettivo o di parti di esso»;
considerato che se il pagamento della prestazione avviene in assenza della prescritta documentazione, scatta la responsabilità solidale dell'appaltatore per le omissioni nei versamenti delle ritenute di lavoro dovute dal subappaltatore;
valutato come l'agenzia delle Entrate è impossibilitata ad avere le informazioni «in tempo reale» circa eventuali violazioni nei versamenti e che per sopperire a tale lacuna, la medesima disposizione preveda l'istituzione di un portale in cui «i soggetti interessati» avranno l'obbligo di trasmettere, in via digitale, «i dati contabili e i documenti primari relativi alle retribuzioni erogate, ai contributi versati e alle imposte dovute»;
rammentato come la maggior parte dei subappaltatori ha una dimensione ed una struttura aziendale di piccole dimensioni, è presumibile immaginare che questo adempimento amministrativo risulterà particolarmente complesso, comportando così un ulteriore aggravio burocratico;
osservato che il provvedimento così come oggi risultante a seguito della disposizione ivi descritta risulta perciò contraddittorio rispetto alle finalità per le quali lo stesso era stato emanato, diventando, di fatto, l'ennesimo onere per le aziende,
impegna il Governo
a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a rivedere al più presto le disposizioni inerenti l'introduzione del documento definito DURT, valutandone i potenziali negativi effetti sulla realizzazione delle opere e sulla attività delle imprese.
9/1248-A-R/52. Busin, Borghesi, Allasia, Attaguile, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini.
La Camera,
premesso che:
considerato che la finalità del provvedimento è quella di semplificare il quadro amministrativo e normativo per i cittadini e le imprese anche allo scopo di sostenere il flusso del credito alle attività produttive, diversificando e migliorando l'accesso ai finanziamenti;
valutato come il testo introduca misure di semplificazione fiscale, con la soppressione della responsabilità solidale dell'appaltatore per il versamento all'erario dell'imposta sul valore aggiunto dovuta dal subappaltatore e dall'appaltatore in relazione alle prestazioni effettuate nell'ambito del contratto;
attestato come nel corso dell'esame del provvedimento è stata inserita una disposizione nella quale si stabilisce come, a partire dal 2014, le imprese appaltatrici, prima di ricevere il pagamento della prestazione, dovranno consegnare il nuovo Documento Unico di Regolarità Tributaria (Durt);
stimato infatti come relativamente alle ritenute sui redditi di lavoro dipendente circa il rapporto di subappalto, in luogo dell'attuale documentazione e consistente in una asseverazione rilasciata da professionisti e Caf, ovvero, in alternativa, in un'autocertificazione del prestatore, viene prevista l'acquisizione da parte dell'appaltatore presso l'agenzia delle Entrate di un documento, il Durt, appunto, attestante «l'inesistenza di debiti tributari per imposte, sanzioni o interessi, scaduti e non estinti dal subappaltatore alla data di pagamento del corrispettivo o di parti di esso»;
considerato che se il pagamento della prestazione avviene in assenza della prescritta documentazione, scatta la responsabilità solidale dell'appaltatore per le omissioni nei versamenti delle ritenute di lavoro dovute dal subappaltatore;
valutato come l'agenzia delle Entrate è impossibilitata ad avere le informazioni «in tempo reale» circa eventuali violazioni nei versamenti e che per sopperire a tale lacuna, la medesima disposizione preveda l'istituzione di un portale in cui «i soggetti interessati» avranno l'obbligo di trasmettere, in via digitale, «i dati contabili e i documenti primari relativi alle retribuzioni erogate, ai contributi versati e alle imposte dovute»;
rammentato come la maggior parte dei subappaltatori ha una dimensione ed una struttura aziendale di piccole dimensioni, è presumibile immaginare che questo adempimento amministrativo risulterà particolarmente complesso, comportando così un ulteriore aggravio burocratico;
osservato che il provvedimento così come oggi risultante a seguito della disposizione ivi descritta risulta perciò contraddittorio rispetto alle finalità per le quali lo stesso era stato emanato, diventando, di fatto, l'ennesimo onere per le aziende,
impegna il Governo
a verificare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa, al fine di valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative normative volte a rivalutare le disposizioni inerenti l'introduzione del documento definito DURT.
9/1248-A-R/52. (Testo modificato nel corso della seduta) Busin, Borghesi, Allasia, Attaguile, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini.
La Camera,
premesso che:
il decreto è intervenuto, all'articolo 82, sulla fattispecie del concordato prenotativo, disciplinando tuttavia aspetti di minore importanza; trascurando il concordato in continuità, il finanziamento delle imprese in concordato, la regolamentazione dei contratti in corso;
non comprendendo perché il decreto del fare intervenga solo sul concordato prenotativo, risolvendo uno dei problemi non tra i più urgenti, e fermo restando che occorre intervenire sull'intera disciplina del concordato preventivo;
ricordato come il concordato preventivo in questo ultimo triennio 2011-2013 ha avuto una ampia diffusione, e che dal 2012 è previsto dal legislatore del 2012 il cosiddetto concordato con continuità aziendale;
valutato come la diffusione di tale procedura concorsuale minore sta mettendo a dura prova il principio della certezza dei rapporti giuridici attraverso l'appannamento del principio della concorsualità dei crediti ante procedura e della pericolosa diffusione di un grande numero di crediti prededucibili;
stimato che il percorso legislativo intrapreso dal legislatore è negli intenti apprezzabile, nella misura in cui è finalizzato a tutelare i valori aziendali ma che tuttavia questo va necessariamente ripensato e chiarito anche in relazione alle prassi giurisprudenziali a tutt'oggi del tutto non uniformi,
impegna il Governo
ad adottare le opportune iniziative finalizzate ad una maggiore chiarezza normativa in materia di concordato preventivo, facendo salvi i principi di concorsualità e certezza dei crediti nei rapporti di fornitura di beni e servizi limitando altresì la diffusione dei crediti prededucibili.
9/1248-A-R/53. Borghesi, Busin.
La Camera,
premesso che:
il decreto è intervenuto, all'articolo 82, sulla fattispecie del concordato prenotativo, disciplinando tuttavia aspetti di minore importanza; trascurando il concordato in continuità, il finanziamento delle imprese in concordato, la regolamentazione dei contratti in corso;
non comprendendo perché il decreto del fare intervenga solo sul concordato prenotativo, risolvendo uno dei problemi non tra i più urgenti, e fermo restando che occorre intervenire sull'intera disciplina del concordato preventivo;
ricordato come il concordato preventivo in questo ultimo triennio 2011-2013 ha avuto una ampia diffusione, e che dal 2012 è previsto dal legislatore del 2012 il cosiddetto concordato con continuità aziendale;
valutato come la diffusione di tale procedura concorsuale minore sta mettendo a dura prova il principio della certezza dei rapporti giuridici attraverso l'appannamento del principio della concorsualità dei crediti ante procedura e della pericolosa diffusione di un grande numero di crediti prededucibili;
stimato che il percorso legislativo intrapreso dal legislatore è negli intenti apprezzabile, nella misura in cui è finalizzato a tutelare i valori aziendali ma che tuttavia questo va necessariamente ripensato e chiarito anche in relazione alle prassi giurisprudenziali a tutt'oggi del tutto non uniformi,
impegna il Governo
ad adottare le opportune iniziative finalizzate ad una maggiore chiarezza normativa in materia di concordato preventivo.
9/1248-A-R/53. (Testo modificato nel corso della seduta) Borghesi, Busin.
La Camera,
premesso che:
i residui di coltivazione e di lavorazione di marmi e lapidei sono una frazione dei materiali coltivati e successivamente lavorati che non possono essere immessi sul mercato delle pietre ornamentali, a differenza dei prodotti primari dai quali derivano, esclusivamente a causa della loro forma irregolare e per l'aspetto che interrompe la continuità estetica del prodotto primario. Per il resto la composizione chimica e chimico-fisica non si discosta da quella del prodotto principale. È, pertanto, evidente che all'interno della categoria dei sottoprodotti i residui di coltivazione e di lavorazione presentano caratteristiche peculiari che necessitano di una disciplina specifica, proporzionata ai minori rischi per gli interessi pubblici tutelati, che ne faciliti l'utilizzo come sottoprodotto in sostituzione di altri materiali di cava;
in assenza di una disciplina queste sostanze residuali rimangono inutilizzate e poste in discarica mineraria, secondo le procedure del decreto legislativo n. 117 del 2008, con conseguenze dannose per lo stesso ambiente e le imprese;
la necessità di chiarire a livello normativo le specificità dei residui in parola nasce dall'errata equiparazione che l'articolo 186 del Codice dell'Ambiente opera tra le terre e le rocce da scavo ed i residui di coltivazione e di lavorazione della pietra e del marmo;
il comma 1 lettera e), del citato articolo 186, obbliga il produttore dei residui, nel caso in cui intenda utilizzarli sotto la qualifica sottoprodotti, a verificare se il sito di lavorazione o di coltivazione sia contaminato. La verifica è senz'altro opportuna per le terre e rocce da scavo che derivano da interventi finalizzati alla realizzazione di opere edili pubbliche e private il cui scopo non è quello di reperire materiale di cava per la successiva commercializzazione. Al contrario i residui di origine estrattiva e di lavorazione di marmi e lapidei derivano da attività esclusivamente estrattive e, quindi, da luoghi che per loro natura sono destinati alla produzione di materiali di cava la cui commercializzazione, anche sotto forma di lavorati, non richiede alcuna verifica nei riguardi di eventuale contaminazione del sito di provenienza. Al produttore, quindi, deve rimanere il solo obbligo di autocertificare la sussistenza di tale provenienza;
le caratteristiche chimiche e chimico-fisiche dei residui sono uguali a quelle dei prodotti primari che non sono sottoposti alla verifica di compatibilità ambientale in funzione del sito di utilizzo (lettera f) comma 1 del citato articolo 186). Il requisito di qualità ambientale è dimostrato attraverso un test di cessione che attesta che il materiale sia inerte, anche in presenza di una lavorazione che utilizza sostanza aggiunte;
tra i residui di lavorazione si devono annoverare anche i fanghi di segagione che sono costituiti dall'acqua utilizzata per il taglio e dalla frazione fine proveniente dal sezionamento del blocco della pietra e del marmo. Premesso che tendenzialmente i cicli di lavorazione non alterano la composizione chimico-fisica originaria della parte fine, tuttavia, occorre sottolineare che in alcuni casi la tipologia, non tanto di segagione, quanto piuttosto di trattamento del materiale, ad esempio lucidatura, arricchisce il fango di elementi estranei. Per questo motivo alcune Amministrazioni, alle quali compete l'applicazione dell'articolo 186 del Codice dell'Ambiente, aprioristicamente classificano indistintamente rifiuti tutti i fanghi, sopra descritti, ritenendo che derivino non dalla lavorazione della pietra, ma da un autonomo processo che consiste nella chiarificazione delle acque per consentirne la reimmissione nel ciclo di segagione della pietra;
il comma 7-ter del menzionato articolo 186 cita i residui di lavorazione della pietra e del marmo senza nessuna preclusione nei riguardi dei fanghi che da essa derivano,
impegna il Governo:
a predisporre misure di semplificazione per le procedure per il riutilizzo, quale sottoprodotto, dei residui di coltivazione e di lavorazione di marmi e lapidei;
consentendo alle imprese l'utilizzo di tali materiali per la sostituzione dei materiali di cava per reinterri, riempimenti, rimodellazioni, rilevati, nell'ambito delle aree di estrazione e delle relative aree di lavorazione, nonché per interventi di recupero ambientale.
9/1248-A-R/54. Caon, Buonanno, Matteo Bragantini.
La Camera,
premesso che:
le uniche quattro Case da gioco italiane autorizzate stanno attraversando una congiuntura gravemente sfavorevole per quel che riguarda i ricavi, tanto che i Casinò di Campione d'Italia e di Sanremo hanno dichiarato lo stato di crisi, il Comune di Venezia ha deciso di privatizzarne la gestione, e sono a rischio gli investimenti previsti dal Casinò di Saint-Vincent;
le Case da gioco autorizzate nel nostro Paese danno oggi lavoro a circa 3.000 dipendenti oltre a generare un notevole indotto sull'economia locale; le stesse concorrono al finanziamento diretto degli Enti Pubblici detentori dei diritti di concessione; la crisi del settore è destinata quindi ad avere gravi ricadute occupazionali ed economiche nei territori interessati;
le cause della situazione di difficoltà sono dovute, accanto alla generale congiuntura negativa dell'economia del Paese, alla fortissima concorrenza rappresentata da una sempre crescente offerta di nuove tipologie di gioco, spesso non esenti dalla componente dell'azzardo, e soprattutto gestita senza un adeguato controllo sulle transazioni economiche e senza adeguate tutele per quel che riguarda l'accesso da parte di minori; a ciò si aggiungono provvedimenti legislativi che, seppur concepiti con intenti condivisibili, penalizzano l'attività senza un ritorno concreto in termini di efficacia;
le Case da gioco italiane subiscono inoltre la concorrenza di quelle presenti nei Paesi limitrofi (Austria, Francia, Slovenia e Svizzera), spesso ubicate a pochi chilometri dalla frontiera, in cui o non vi è limitazione alcuna all'uso del contante, o vi sono limiti molto più alti rispetto a quelli vigenti in Italia;
le quattro Case da gioco italiane, tutte a controllo pubblico, sono da tempo assoggettate ad una serie stringente di obblighi a garanzia delle tracciabilità e legittimità delle transazioni, quali l'obbligo di identificare tutti i clienti, la registrazione di coloro che effettuano transazioni di importo pari o superiore ai 2.000 euro, la segnalazione delle operazioni sospette all'Unità di Informazione Finanziaria presso la Banca d'Italia;
le Case da gioco autorizzate sono luoghi nei quali i controlli, la sicurezza e la stessa lotta alle ludopatie sono più facilmente realizzabili rispetto alla «deregulation» oggi rappresentata dalle innumerevoli offerte di giochi presenti sul web, negli esercizi commerciali e nelle cosiddette «sale slot»;
le Case da gioco autorizzate sono altresì realtà attive in una pluralità di servizi afferenti al turismo, alla ristorazione, alla ricezione e partecipano, con risorse economiche ed umane, ad eventi di forte rilevanza artistica e culturale, al punto da essere, di fatto, parte della storia sociale del Paese,
impegna il Governo
ad istituire, in tempi brevi, un tavolo di confronto con gli organismi di rappresentanza delle Case da gioco per valutare iniziative atte a favorirne la ripresa economica e a definire un'organica disciplina del gioco d'azzardo.
9/1248-A-R/55. Marguerettaz.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 23 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, reca «Disposizioni urgenti per il rilancio della nautica da diporto e del turismo nautico»;
il decreto del Presidente della Repubblica 28 maggio 2009, n. 107, concernente la revisione della disciplina delle tasse e dei diritti marittimi, ha disposto, all'articolo 4, un adeguamento di dette imposte al tasso di inflazione calcolato in un periodo, che è stato poi individuato con decreto ministeriale adottato il 24 dicembre 2012 dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di concerto con il Ministero dell'Economia e delle Finanze in quello 1o gennaio 1993 – 31 dicembre 2011;
l'adeguamento stabilito dal decreto del Presidente della Repubblica e ripreso dal decreto ministeriale di cui sopra, è stato stabilito nella misura del 75 per cento del tasso di inflazione per tutti i porti nazionali, mentre per il solo porto di Trieste è stato stabilito nella misura del 100 per cento del tasso di inflazione;
com’è evidente, i provvedimenti hanno introdotto una rilevante differenziazione fra il trattamento riservato alla generalità dei porti nazionali ed il porto di Trieste, facendo gravare su quest'ultimo un carico fiscale più oneroso;
si intende ricordare in questa sede, peraltro, che lo scalo giuliano è sottoposto ad un particolare status giuridico dovuto agli impegni che lo Stato italiano ha assunto in sede internazionale a seguito del Trattato di Pace di Parigi del 10 febbraio 1947 (Allegato VII), e vi è, quindi, nello scalo un regime giuridico di punto franco il quale impone una disciplina speciale che preveda norme di favore per gli scambi commerciali posti in essere nel porto di Trieste;
i provvedimenti oltre ad aver ignorato le prescrizioni di diritto internazionale ancora in vigore che prevedono norme di maggior favore per lo scalo giuliano, hanno comunque operato un indiscriminato aumento delle tasse e dei diritti portuali applicabili al porto di Trieste,
impegna il Governo
a rispettare le norme di diritto internazionale che impegnano lo Stato italiano a garantire un particolare status giuridico al porto di Trieste e, conseguentemente, a rimuovere le penalizzazioni fiscali introdotte con il Decreto del Presidente della Repubblica 28 maggio 2009, n. 107, e rese attuative con il decreto ministeriale adottato il 24 dicembre 2012 dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di concerto con il Ministero dell'Economia e delle Finanze, relativamente al porto di Trieste.
9/1248-A-R/56. Rosato, Blazina, Brandolin, Coppola, Malisani, Zanin.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 23 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, reca «Disposizioni urgenti per il rilancio della nautica da diporto e del turismo nautico»;
il decreto del Presidente della Repubblica 28 maggio 2009, n. 107, concernente la revisione della disciplina delle tasse e dei diritti marittimi, ha disposto, all'articolo 4, un adeguamento di dette imposte al tasso di inflazione calcolato in un periodo, che è stato poi individuato con decreto ministeriale adottato il 24 dicembre 2012 dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di concerto con il Ministero dell'Economia e delle Finanze in quello 1o gennaio 1993 – 31 dicembre 2011;
l'adeguamento stabilito dal decreto del Presidente della Repubblica e ripreso dal decreto ministeriale di cui sopra, è stato stabilito nella misura del 75 per cento del tasso di inflazione per tutti i porti nazionali, mentre per il solo porto di Trieste è stato stabilito nella misura del 100 per cento del tasso di inflazione;
com’è evidente, i provvedimenti hanno introdotto una rilevante differenziazione fra il trattamento riservato alla generalità dei porti nazionali ed il porto di Trieste, facendo gravare su quest'ultimo un carico fiscale più oneroso;
si intende ricordare in questa sede, peraltro, che lo scalo giuliano è sottoposto ad un particolare status giuridico dovuto agli impegni che lo Stato italiano ha assunto in sede internazionale a seguito del Trattato di Pace di Parigi del 10 febbraio 1947 (Allegato VII), e vi è, quindi, nello scalo un regime giuridico di punto franco il quale impone una disciplina speciale che preveda norme di favore per gli scambi commerciali posti in essere nel porto di Trieste;
i provvedimenti oltre ad aver ignorato le prescrizioni di diritto internazionale ancora in vigore che prevedono norme di maggior favore per lo scalo giuliano, hanno comunque operato un indiscriminato aumento delle tasse e dei diritti portuali applicabili al porto di Trieste,
impegna il Governo
a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di rispettare le norme di diritto internazionale che impegnano lo Stato italiano a garantire un particolare status giuridico al porto di Trieste e, conseguentemente, a rimuovere le penalizzazioni fiscali introdotte con il Decreto del Presidente della Repubblica 28 maggio 2009, n. 107, e rese attuative con il decreto ministeriale adottato il 24 dicembre 2012 dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di concerto con il Ministero dell'Economia e delle Finanze, relativamente al porto di Trieste.
9/1248-A-R/56. (Testo modificato nel corso della seduta) Rosato, Blazina, Brandolin, Coppola, Malisani, Zanin.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 18 prevede, al comma 1, l'istituzione, nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di un Fondo con una dotazione complessiva pari a 2.069 milioni di euro ripartita tra cinque annualità fino al 2017 che, secondo quanto prevede la norma, è volto a consentire nell'anno 2013 la continuità dei cantieri in corso ovvero il perfezionamento degli atti contrattuali finalizzati all'avvio dei lavori;
sulla base del combinato disposto del comma 11 dell'articolo 18 e del comma 11-bis dell'articolo 25, le risorse revocate al 31 dicembre 2013, nel caso in cui non siano conseguite le predette finalità degli interventi finanziabili indicate al comma 1, saranno attribuite prioritariamente a una serie di infrastrutture ed interventi tra i quali: il completamento della copertura del Passante ferroviario di Torino, il collegamento ferroviario Novara-Seregno-Malpensa, la realizzazione del collegamento Torino-Ceres/Aeroporto di Caselle;
le specifiche infrastrutture finanziabili dal predetto Fondo, che saranno individuate con uno o più decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, si riferiranno a interventi cantierabili, che in conseguenza di tali caratteristiche potranno utilizzare integralmente le risorse ad essi destinate, e che, per tale ragione, non è allo stato stimabile l'eventuale consistenza delle risorse revocate;
segnalato infine che la relazione tecnica riferita al citato articolo 18 precisa che a una prima fase di rilancio del settore infrastrutturale a seguito dell'attuazione del medesimo articolo «dovrà seguire, con la legge di stabilità 2014, un'azione coerente con le priorità strategiche e di ampia portata temporale, con la previsione di stanziamenti aggiuntivi per la realizzazione di opere che, nei prossimi anni, consentano al Paese di raggiungere un adeguato livello di infrastrutturazione a sostegno della crescita e dello sviluppo»,
impegna il Governo
ad adottare ulteriori iniziative normative, anche in sede di predisposizione del disegno di legge di stabilità per il 2014, volte ad incrementare la dotazione finanziaria del Fondo di cui al citato articolo 18 allo scopo di garantire il finanziamento delle ulteriori opere alle quali il comma 11-bis dell'articolo 25 attribuisce prioritariamente le relative risorse revocate.
9/1248-A-R/57. Nastri.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 18 prevede, al comma 1, l'istituzione, nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di un Fondo con una dotazione complessiva pari a 2.069 milioni di euro ripartita tra cinque annualità fino al 2017 che, secondo quanto prevede la norma, è volto a consentire nell'anno 2013 la continuità dei cantieri in corso ovvero il perfezionamento degli atti contrattuali finalizzati all'avvio dei lavori;
sulla base del combinato disposto del comma 11 dell'articolo 18 e del comma 11-bis dell'articolo 25, le risorse revocate al 31 dicembre 2013, nel caso in cui non siano conseguite le predette finalità degli interventi finanziabili indicate al comma 1, saranno attribuite prioritariamente a una serie di infrastrutture ed interventi tra i quali: il completamento della copertura del Passante ferroviario di Torino, il collegamento ferroviario Novara-Seregno-Malpensa, la realizzazione del collegamento Torino-Ceres/Aeroporto di Caselle;
le specifiche infrastrutture finanziabili dal predetto Fondo, che saranno individuate con uno o più decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, si riferiranno a interventi cantierabili, che in conseguenza di tali caratteristiche potranno utilizzare integralmente le risorse ad essi destinate, e che, per tale ragione, non è allo stato stimabile l'eventuale consistenza delle risorse revocate;
segnalato infine che la relazione tecnica riferita al citato articolo 18 precisa che a una prima fase di rilancio del settore infrastrutturale a seguito dell'attuazione del medesimo articolo «dovrà seguire, con la legge di stabilità 2014, un'azione coerente con le priorità strategiche e di ampia portata temporale, con la previsione di stanziamenti aggiuntivi per la realizzazione di opere che, nei prossimi anni, consentano al Paese di raggiungere un adeguato livello di infrastrutturazione a sostegno della crescita e dello sviluppo»,
impegna il Governo
a valutare la possibilità di adottare ulteriori iniziative normative, anche in sede di predisposizione del disegno di legge di stabilità per il 2014, volte ad incrementare la dotazione finanziaria del Fondo di cui al citato articolo 18 allo scopo di garantire il finanziamento delle ulteriori opere alle quali il comma 11-bis dell'articolo 25 attribuisce prioritariamente le relative risorse revocate.
9/1248-A-R/57. (Testo modificato nel corso della seduta) Nastri.
La Camera,
premesso che:
con le misure di cui all'articolo 52 del provvedimento il Governo ha recepito il cambiamento di rotta da far assumere ad Equitalia nelle strategie di recupero dei crediti auspicato dal Parlamento, ottemperando a quanto previsto da una risoluzione approvata dalla Commissione Finanze della Camera con la quale si chiedeva di introdurre elementi di «maggiore flessibilità» e di intervenire «per evitare che gli strumenti della riscossione possano pregiudicare la sopravvivenza economica del soggetto debitore, salvaguardando in tal modo gli stessi interessi erariali;
più specificatamente il comma 1 del suddetto articolo introduce il divieto di pignoramento dell'immobile adibito ad abitazione principale da parte dell'agente della riscossione e prevede piani di rateazione più lunghi per il pagamento dei debiti tributari;
la crisi economica ha, infatti, messo a dura prova la capacità di rimborso di famiglie e imprese, tanto che la cronaca ci consegna quasi quotidianamente casi drammatici di episodi consequenziali all'espropriazione della casa di abitazione ed al suo pignoramento;
impignorabilità sancita nel decreto riguarda solo le azioni esecutive di Equitalia non anche quelle del settore bancario. Esso, infatti, non esclude affatto che per debiti nettamente inferiori, altri soggetti creditori, come per esempio banche o privati, possano comunque procedere al pignoramento immobiliare dell'abitazione principale;
tale scenario impone al Parlamento, nel quadro di una riforma organica del sistema tributario, di modificare le attuali regole della riscossione dei debiti da parte dei creditori, siano essi pubblici o privati, per adattarle alle reali condizioni dei nostri concittadini, anche con la previsione, per legge, della salvaguardia di un bene primario come quello della casa di abitazione non di lusso attraverso la dichiarazione d'impignorabilità;
un rapporto elaborato da Adusbef e Federconsumatori, sulla base dei dati raccolti nei principali Tribunali italiani, alla data del 30 settembre 2012 e proiettati al 31 dicembre, ci consegna un trend allarmante: se tra il 2008 e il 2011 i pignoramenti e le esecuzioni immobiliari sono aumentati di circa il 75 per cento, nello studio si stima che con il +22,8 per cento del 2012, il quinquennio si chiude con un dato praticamente raddoppiato. Ciò significa che nel solo 2012, oltre 45 mila famiglie, circa 8.500 in più rispetto al 2011, sono state costrette ad abbandonare la propria casa nell'impossibilità di reggere il pagamento delle rate del mutuo ed oltre 100 mila case sono finite all'asta,
impegna il Governo:
a prevedere, nel quadro di una riforma organica del sistema impositivo sul patrimonio immobiliare, l'esenzione dell'IMU per l'immobile pignorato adibito dal debitore ad abitazione principale;
ad emanare un provvedimento che affronti la grave emergenza abitativa attraverso una sospensione degli sfratti e garantendo alle famiglie la cui unica casa sia pignorata dalle banche, la possibilità di continuare per un tempo congruo a risiedervi.
9/1248-A-R/58. Paglia, Lavagno.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame, a seguito delle modifiche approvate presso le Commissioni riunite I (Affari Costituzionali) e V (Bilancio) ha previsto una riduzione di 20,75 milioni di euro per l'anno 2013 delle risorse relative al Piano nazionale banda larga;
il Piano Nazionale Banda Larga, autorizzato dalla Commissione europea, si pone l'obiettivo di azzerare il digital divide in Italia consentendo l'accesso alla banda larga a tutta la popolazione oggi esclusa dalla network society;
il piano è mirato all'eliminazione del deficit infrastrutturale presente in oltre 6 mila località del Paese, i cui costi di sviluppo non possono essere sostenuti dal mercato, poiché economicamente non redditizie;
si tratta di un progetto ambizioso che entro il 2013 avrebbe consentito agli 8,5 milioni d'italiani – che a fine 2008 si trovavano ancora nelle condizioni di divario digitale – di usufruire di una moderna infrastruttura di telecomunicazioni rilanciando l'economia del Paese, poiché i benefici di questi investimenti hanno dirette ricadute su cittadini e imprese;
il citato Piano nasce dall'esigenza di avere un'unica strategia nazionale per abbattere il digital divide, ai sensi dell'articolo 1 della legge 18 giugno 2009, n. 69 che attribuisce al Ministero dello Sviluppo Economico il coordinamento di tutti i programmi d'intervento avviati nel territorio italiano volti all'implementazione delle reti a banda larga;
considerato che:
come pure evidenziato dalla stampa nazionale, parte di tali risorse avrebbero dovuto eliminare il digital divide nelle Regioni del Centro-Nord ed i bandi per utilizzare i fondi per costruire reti banda a larga sono stati pubblicati solo recentissimamente (per esempio, la settimana scorsa era stata bandita una gara per il Friuli Venezia Giulia),
impegna il Governo
a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa, al fine di prevedere ulteriori iniziative normative volte ad adottare, già con il prossimo provvedimento di natura finanziaria, adeguate iniziative urgenti tese a ripristinare i fondi per il Piano Nazionale Banda Larga.
9/1248-A-R/59. Boccadutri, Quaranta, Nardi, Lacquaniti, Ferrara, Matarrelli, Marcon, Melilla, Airaudo, Di Salvo, Pilozzi, Zaratti, Piazzoni, Ricciatti, Nicchi, Pellegrino, Basso.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 5 del disegno di legge di conversione in esame, prevede al comma 1, l'estensione dell'ambito di applicazione della cosiddetta «Robin Tax», ossia l'addizionale IRES, per le imprese che operano nel comparto energetico; finora la «Robin Tax» era applicata alle imprese energetiche che avevano conseguito nel periodo di imposta precedente un volume di ricavi superiore a 10 milioni di euro e un reddito imponibile superiore a 1 milione di euro;
con la modifica apportata dal testo in esame, l'addizionale IRES viene quindi ora applicata alle imprese energetiche con più di 3 milioni di fatturato e 300 mila euro di imponibile. La sensibile riduzione di queste soglie di fatturato e di imponibile, produce conseguentemente un sensibile ampliamento della platea delle imprese che operano nel settore energetico a cui viene applicata questa addizionale, e ciò finisce per colpire anche non poche società che operano nell'ambito delle rinnovabili. E questo proprio nel momento in cui gli incentivi sono in scadenza e la flessione del mercato europeo fa preoccupare non poco gli addetti ai lavori;
si ricorda che il decreto-legge n. 112 del 2008, che ha introdotto la «Robin Tax» (addizionale IRES) per le imprese del comparto energetico, escludeva espressamente dalla medesima addizionale le imprese «che producono energia elettrica mediante l'impiego prevalente di biomasse e di fonte solare-fotovoltaica o eolica»;
successivamente l'articolo 7, lettera c), del decreto-legge n. 138 del 2011, ha abrogato la disposizione del suddetto decreto 112/2008, ricomprendendo (almeno teoricamente, visti i volumi di fatturato e di imponibile richiesti ai fini dell'applicazione dell'addizionale IRES) anche le imprese che operano nell'ambito delle rinnovabili tra le imprese del settore energetico a cui viene applicata la Robin Tax,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere l'esclusione dall'addizionale IRES di cui in premessa, per le imprese che producono energia elettrica mediante l'impiego prevalente di fonti rinnovabili.
9/1248-A-R/60. Kronbichler, Zaratti, Zan, Pellegrino, Lacquaniti, Caparini.
La Camera,
premesso che:
gli articoli 32 e 35 del decreto legge recano disposizioni che modificano il decreto legislativo n. 81 del 2008, in materia di tutela della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro (Testo Unico);
tali articoli vengono rubricate come misure di semplificazione, ma rappresentano un indebolimento delle misure di protezione e tutela previste dal Testo Unico;
l'Italia ha il triste primato di avere un terzo di morti nel lavoro in più della media europea. Una strage che conquista le scena mediatica e l'attenzione pubblica solo quando, drammaticamente, le vittime sono molte: il crollo di Barletta, l'incendio Thyssen-Krupp, i tumori dell'amianto di Enimont, il Porto di Genova; ma, lo stillicidio delle tante morti quotidiane si perde, invisibile, nella cronaca nera, o meglio, bianca;
c’è una sensibilità sociale e politica troppo fragile rispetto alla gravità degli eventi. Un Governo responsabile di fronte a questa realtà drammatica dovrebbe la guardia per aumentare la consapevolezza, non fare sconti sugli obblighi per la tutela della salute e della sicurezza del lavoro;
l'Osservatorio di Bologna, considera «morti sul lavoro» tutte le persone che perdono la vita mentre svolgono il lavoro, indipendentemente dalla loro posizione assicurativa e dalla loro età. Dall'inizio dell'anno sono documentati 325 morti per infortuni sui luoghi di lavoro e oltre 650 se si aggiungono i morti sulle strade e in itinere. Un panorama più realistico rispetto a quello rilevato dai dati ufficiali dell'INAIL che comprende solo i suoi assicurati che non esauriscono certo tutte le figure del mercato del lavoro a partire dalle sue zone grigie e più oscure;
una realtà di dolore che ci chiama ad un continuo impegno e a non leggere in superficie il decremento degli infortuni mortali rilevato dalla recente relazione dell'INAIL, decremento che va rapportato alla pesante flessione dell'occupazione;
vi è un «massacro diffuso» che avviene spesso per le condizioni di informalità e di assenza di diritti. Luoghi di lavoro dove le norme sulla prevenzione e sulla sicurezza sono poco osservate perché gli stessi lavoratori sono spesso gli stessi imprenditori, lavoratori autonomi e artigiani, oppure stranieri che fanno notizia solo per i reati veri o presunti ma non quando sono vittime;
morti, infortuni, patologie che mostrano il volto di una doppia Italia: quella del lavoro che non c’è e quella del lavoro inumano, sfruttato, precario, irregolare, ricattato; che fa ammalare, disperare e spezza la vita al di fuori di controlli, garanzie, norme, diritti;
le morti bianche sono casi di «normale» vita da lavoro, le cause sono innervate nel modo della produzione. Di fronte a questo sconvolgente dato di fatto, il messaggio del Governo delle larghe intese è quello di allentare i controlli, trattare le regole come vincoli innaturali, una burocrazia fastidiosa da sopprimere;
ciò viene realizzato in nome «del fare comunque», in nome del mercato libero, del risultato d'impresa e, per tante persone, in nome di una misera sopravvivenza. Il fatto che morire, ammalarsi, invalidarsi sul lavoro non susciti indignazione al di là dell'emozione del momento, è anche l'effetto di questa crisi che porta a considerare l'incidente un rischio inevitabile, un male che ci può stare;
in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro c’è bisogno di più protezione, non di «lasciar fare»: è pericoloso permettere di tornare alla autocertificare la valutazione dei rischi; limitare il rispetto delle norme sulla sicurezza sulla base della grandezza dell'impresa o della stagionalità del lavoro, perché il rischio dell'incidente non dipende dalla durata del lavoro o dalla grandezza di un'impresa. Anzi si annida proprio nelle piccole imprese o nei lavori di breve durata, in cui viene a mancare l'esperienza e la conoscenza dell'azienda e dei suoi rischi;
se effettivamente è avvertita l'esigenza di una manutenzione del Testo Unico essa deve essere fatta salvaguardando i principi e le tutele effettive approntate dalla legge e nell'ambito di un intervento organico, coerente e non occasionale come quello contenuto nel decreto n. 69 del 2013 o in quello successivo n. 76, all'esame del Senato,
impegna il Governo
a promuovere, a partire dall'autunno 2013, una campagna straordinaria di ispezioni, della durata almeno trimestrale, sul rispetto delle disposizioni in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro nei comparti più a rischio (edilizia, trasportiate.), coordinando tutte le risorse umane disponibili (ispettorati del lavoro, delle ASL, dell'INPS, dell'INAIL, etc.), sulla base di un programma elaborato dai Ministeri del lavoro e della salute.
9/1248-A-R/61. Nicchi, Di Salvo, Aiello, Airaudo, Piazzoni, Placido, Boccadutri, Ragosta, Paglia, Lavagno, Marcon, Melilla.
La Camera,
premesso che:
gli articoli 32 e 35 del decreto legge recano disposizioni che modificano il decreto legislativo n. 81 del 2008, in materia di tutela della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro (Testo Unico);
tali articoli vengono rubricate come misure di semplificazione, ma rappresentano un indebolimento delle misure di protezione e tutela previste dal Testo Unico;
l'Italia ha il triste primato di avere un terzo di morti nel lavoro in più della media europea. Una strage che conquista le scena mediatica e l'attenzione pubblica solo quando, drammaticamente, le vittime sono molte: il crollo di Barletta, l'incendio Thyssen-Krupp, i tumori dell'amianto di Enimont, il Porto di Genova; ma, lo stillicidio delle tante morti quotidiane si perde, invisibile, nella cronaca nera, o meglio, bianca;
c’è una sensibilità sociale e politica troppo fragile rispetto alla gravità degli eventi. Un Governo responsabile di fronte a questa realtà drammatica dovrebbe la guardia per aumentare la consapevolezza, non fare sconti sugli obblighi per la tutela della salute e della sicurezza del lavoro;
l'Osservatorio di Bologna, considera «morti sul lavoro» tutte le persone che perdono la vita mentre svolgono il lavoro, indipendentemente dalla loro posizione assicurativa e dalla loro età. Dall'inizio dell'anno sono documentati 325 morti per infortuni sui luoghi di lavoro e oltre 650 se si aggiungono i morti sulle strade e in itinere. Un panorama più realistico rispetto a quello rilevato dai dati ufficiali dell'INAIL che comprende solo i suoi assicurati che non esauriscono certo tutte le figure del mercato del lavoro a partire dalle sue zone grigie e più oscure;
una realtà di dolore che ci chiama ad un continuo impegno e a non leggere in superficie il decremento degli infortuni mortali rilevato dalla recente relazione dell'INAIL, decremento che va rapportato alla pesante flessione dell'occupazione;
vi è un «massacro diffuso» che avviene spesso per le condizioni di informalità e di assenza di diritti. Luoghi di lavoro dove le norme sulla prevenzione e sulla sicurezza sono poco osservate perché gli stessi lavoratori sono spesso gli stessi imprenditori, lavoratori autonomi e artigiani, oppure stranieri che fanno notizia solo per i reati veri o presunti ma non quando sono vittime;
morti, infortuni, patologie che mostrano il volto di una doppia Italia: quella del lavoro che non c’è e quella del lavoro inumano, sfruttato, precario, irregolare, ricattato; che fa ammalare, disperare e spezza la vita al di fuori di controlli, garanzie, norme, diritti;
le morti bianche sono casi di «normale» vita da lavoro, le cause sono innervate nel modo della produzione. Di fronte a questo sconvolgente dato di fatto, il messaggio del Governo delle larghe intese è quello di allentare i controlli, trattare le regole come vincoli innaturali, una burocrazia fastidiosa da sopprimere;
ciò viene realizzato in nome «del fare comunque», in nome del mercato libero, del risultato d'impresa e, per tante persone, in nome di una misera sopravvivenza. Il fatto che morire, ammalarsi, invalidarsi sul lavoro non susciti indignazione al di là dell'emozione del momento, è anche l'effetto di questa crisi che porta a considerare l'incidente un rischio inevitabile, un male che ci può stare;
in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro c’è bisogno di più protezione, non di «lasciar fare»: è pericoloso permettere di tornare alla autocertificare la valutazione dei rischi; limitare il rispetto delle norme sulla sicurezza sulla base della grandezza dell'impresa o della stagionalità del lavoro, perché il rischio dell'incidente non dipende dalla durata del lavoro o dalla grandezza di un'impresa. Anzi si annida proprio nelle piccole imprese o nei lavori di breve durata, in cui viene a mancare l'esperienza e la conoscenza dell'azienda e dei suoi rischi;
se effettivamente è avvertita l'esigenza di una manutenzione del Testo Unico essa deve essere fatta salvaguardando i principi e le tutele effettive approntate dalla legge e nell'ambito di un intervento organico, coerente e non occasionale come quello contenuto nel decreto n. 69 del 2013 o in quello successivo n. 76, all'esame del Senato,
impegna il Governo
a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, la possibilità di promuovere, a partire dall'autunno 2013, una campagna straordinaria di ispezioni, della durata almeno trimestrale, sul rispetto delle disposizioni in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro nei comparti più a rischio (edilizia, trasportiate.), coordinando tutte le risorse umane disponibili (ispettorati del lavoro, delle ASL, dell'INPS, dell'INAIL, etc.), sulla base di un programma elaborato dai Ministeri del lavoro e della salute.
9/1248-A-R/61. (Testo modificato nel corso della seduta) Nicchi, Di Salvo, Aiello, Airaudo, Piazzoni, Placido, Boccadutri, Ragosta, Paglia, Lavagno, Marcon, Melilla.
La Camera,
premesso che:
articolo 31 del decreto-legge reca una serie di modifiche relative al documento unico di regolarità contributiva (DURC);
che il testo originario del decreto legge estendeva la validità del DURC da 90 a 180 giorni, mentre con un emendamento approvato in Commissione la validità è stata elevato a 120 giorni;
ciò non risolve i problemi che erano già stati riscontrati, derivanti dall'estensione di validità del DURC. Essa ha i seguenti effetti:
1) nessun effetto pratico prima dell'inizio dei lavori perché tra la gara e la firma del contratto passano mediamente ben oltre 6 mesi e, quindi, non vi è la possibilità di utilizzare un DURC, rilasciato 120 giorni prima, per la verifica dell'autodichiarazione anche ai fini della stipula del contratto stesso;
2) un effetto negativo per la regolarità contributiva mensile nei confronti di Inps e Cassa edile a fronte di un modestissimo «risparmio» di richiesta di DURC. Oggi per un appalto vengono richiesti per SAL 3 DURC all'anno, con la nuova normativa ne basteranno 2 (tranne che per il saldo finale);
3) un effetto disastroso riguardo alle verifiche necessarie ai fini dell'applicazione della responsabilità solidale che, realizzate utilizzando un DURC che ha validità di 4 mesi, rischia di creare un buco di 3 mesi di responsabilità, di cui gli enti interessanti non vengono a conoscenza,
impegna il Governo
a stimare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a riportare la validità del DURC a massimo 90 giorni o a individuare ulteriori modalità di accertamento in tempo reale delle regolarità verificate attraverso il DURC, impedendo che possano esserci dei buchi temporali durante i quali possano essere pregiudicati, in particolare, i diritti previdenziali e assicurativi dei lavoratori.
9/1248-A-R/62. Airaudo, Di Salvo, Placido.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 31 del decreto legge reca una serie di modifiche relative al documento unico di regolarità contributiva (DURC);
in particolare modifica l'articolo 118, comma 6, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante il Codice degli appalti pubblici, prevedendo che: «Ai fini del pagamento delle prestazioni rese nell'ambito dell'appalto o del subappalto, la stazione appaltante acquisisce d'ufficio il documento unico di regolarità contributiva in corso di validità relativo all'affidatario e a tutti i subappaltatori»;
lo stesso articolo 118, del decreto legislativo n. 163 del 2006 contiene il comma 6-bis, introdotto nel 2007, il quale prevede che: «Al fine di contrastare il fenomeno del lavoro sommerso ed irregolare, il documento unico di regolarità contributiva è comprensivo della verifica della congruità della incidenza della mano d'opera relativa allo specifico contratto affidato. Tale congruità, per i lavori è verificata dalla Cassa Edile in base all'accordo assunto a livello nazionale tra le parti sociali firmatarie del contratto collettivo nazionale comparativamente più rappresentative per l'ambito del settore edile ed il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali»,
impegna il Governo
a prevedere che, ai fini del pagamento delle prestazioni rese nell'ambito dell'appalto o del subappalto, per contrastare il lavoro sommerso in edilizia, la stazione appaltante acquisisca d'ufficio dalla Cassa edile la verifica della congruità tra il fatturato del lavoro appaltato ed il numero di lavoratori delle ditte che si sono aggiudicate l'appalto regolarmente iscritti presso la Cassa edile.
9/1248-A-R/63. Placido, Airaudo, Di Salvo.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 31 del decreto legge reca una serie di modifiche relative al documento unico di regolarità contributiva (DURC);
in particolare modifica l'articolo 118, comma 6, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante il Codice degli appalti pubblici, prevedendo che: «Ai fini del pagamento delle prestazioni rese nell'ambito dell'appalto o del subappalto, la stazione appaltante acquisisce d'ufficio il documento unico di regolarità contributiva in corso di validità relativo all'affidatario e a tutti i subappaltatori»;
lo stesso articolo 118, del decreto legislativo n. 163 del 2006 contiene il comma 6-bis, introdotto nel 2007, il quale prevede che: «Al fine di contrastare il fenomeno del lavoro sommerso ed irregolare, il documento unico di regolarità contributiva è comprensivo della verifica della congruità della incidenza della mano d'opera relativa allo specifico contratto affidato. Tale congruità, per i lavori è verificata dalla Cassa Edile in base all'accordo assunto a livello nazionale tra le parti sociali firmatarie del contratto collettivo nazionale comparativamente più rappresentative per l'ambito del settore edile ed il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali»,
impegna il Governo
ad adottare ogni iniziativa utile all'attuazione dell'articolo 118 richiamato in premessa.
9/1248-A-R/63. (Testo modificato nel corso della seduta) Placido, Airaudo, Di Salvo.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 30 del disegno di legge di conversione in esame, introduce norme finalizzate a semplificare l'attività edilizia;
diverse delle modifiche introdotte, rimuovono vincoli di natura urbanistica posti a tutela del bene comune, con il rischio più che concreto di contribuire ad alterare l'equilibrio urbanistico delle nostre città, senza peraltro arrecare significativi benefici al settore edilizio nel suo insieme, ormai saturo ormai di edifici e immobili invenduti;
tra queste norme troviamo quelle che fanno rientrare – tranne che per gli immobili vincolati – tra gli interventi di ristrutturazione edilizia, anche quelli che consentono di modificare la «sagoma» (purché sia rispettata la volumetria esistente) degli edifici interessati anche in parte da interventi di demolizione/ricostruzione. In pratica la norma consentirà negli interventi di demolizione e ricostruzione di attenersi al rispetto della volumetria precedente, saltando l'obbligo per i costruttori di rispettare la sagoma dell'edificio;
viene inoltre fatto ricomprendere della ristrutturazione edilizia (e quindi non più come intervento di «nuova costruzione», con il conseguente rispetto di alcune disposizioni tra le quali le distanze, le altezze, ecc.) anche il ripristino/ricostruzione di edifici crollati o demoliti;
accanto a questo viene introdotto una semplificazione della procedura per ottenere il rilascio del certificato di agibilità, che può essere richiesto anche per singoli edifici o singole porzioni della costruzione;
all'interno poi del singolo edificio, può essere dichiarata agibile l'unità effettivamente ultimata, anche se un'altra unità, per esempio di difficile collocazione commerciale, rimane temporaneamente a stato di rustico. Finora, interventi complessi, di più piani o di più edifici, potevano ottenere solo un'unica e complessiva agibilità, con il risultato di dover attendere – per commercializzare gli immobili – l'ultimazione di tutte le opere del complesso edilizio;
queste norme di deregulation rischiano di favorire ulteriormente le «città arlecchino», invece di promuovere la ricomposizione architettonica. Norme di delegificazione e di allentamento delle disposizioni vigenti in campo edilizio e urbanistico in sostanziale continuità con i vari Piani casa approvati da molte regioni, e quanto fatto in materia dai precedenti governi della scorsa legislatura. E tutto questo in un territorio già «ferito» da un'urbanizzazione troppo spesso fuori controllo,
impegna il Governo:
a valutare le possibili ricadute negative dal punto di vista dell'equilibrio e dell'assetto urbanistico, delle norme di semplificazioni esposte in premessa, introdotte nel provvedimento in esame, a fronte di un loro probabile scarso effetto di rilancio del comparto edilizio;
a prevedere che nei casi di modifica della sagoma dell'edificio, previsti dal provvedimento in esame, questa debba avvenire nel rispetto dell'indice di copertura della zona in cui ricade l'immobile;
ad adottare e sostenere opportune iniziative legislative volte a prevedere una normativa in materia di normativa urbanistica e di governo del territorio, che contenga principi irrinunciabili, omogenei e condivisi in modo tale da costituire un quadro di riferimento certo e rigoroso per le regioni.
9/1248-A-R/64. Zaratti, Pellegrino, Zan.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 30 del disegno di legge di conversione in esame, introduce norme finalizzate a semplificare l'attività edilizia;
diverse delle modifiche introdotte, rimuovono vincoli di natura urbanistica posti a tutela del bene comune, con il rischio più che concreto di contribuire ad alterare l'equilibrio urbanistico delle nostre città, senza peraltro arrecare significativi benefici al settore edilizio nel suo insieme, ormai saturo ormai di edifici e immobili invenduti;
tra queste norme troviamo quelle che fanno rientrare – tranne che per gli immobili vincolati – tra gli interventi di ristrutturazione edilizia, anche quelli che consentono di modificare la «sagoma» (purché sia rispettata la volumetria esistente) degli edifici interessati anche in parte da interventi di demolizione/ricostruzione. In pratica la norma consentirà negli interventi di demolizione e ricostruzione di attenersi al rispetto della volumetria precedente, saltando l'obbligo per i costruttori di rispettare la sagoma dell'edificio;
viene inoltre fatto ricomprendere della ristrutturazione edilizia (e quindi non più come intervento di «nuova costruzione», con il conseguente rispetto di alcune disposizioni tra le quali le distanze, le altezze, ecc.) anche il ripristino/ricostruzione di edifici crollati o demoliti;
accanto a questo viene introdotto una semplificazione della procedura per ottenere il rilascio del certificato di agibilità, che può essere richiesto anche per singoli edifici o singole porzioni della costruzione;
all'interno poi del singolo edificio, può essere dichiarata agibile l'unità effettivamente ultimata, anche se un'altra unità, per esempio di difficile collocazione commerciale, rimane temporaneamente a stato di rustico. Finora, interventi complessi, di più piani o di più edifici, potevano ottenere solo un'unica e complessiva agibilità, con il risultato di dover attendere – per commercializzare gli immobili – l'ultimazione di tutte le opere del complesso edilizio;
queste norme di deregulation rischiano di favorire ulteriormente le «città arlecchino», invece di promuovere la ricomposizione architettonica. Norme di delegificazione e di allentamento delle disposizioni vigenti in campo edilizio e urbanistico in sostanziale continuità con i vari Piani casa approvati da molte regioni, e quanto fatto in materia dai precedenti governi della scorsa legislatura. E tutto questo in un territorio già «ferito» da un'urbanizzazione troppo spesso fuori controllo,
impegna il Governo:
a valutare le possibili ricadute negative dal punto di vista dell'equilibrio e dell'assetto urbanistico, delle norme di semplificazioni esposte in premessa introdotte nel provvedimento in esame;
a valutare l'opportunità di adottare opportune iniziative legislative volte a prevedere una normativa in materia di normativa urbanistica e di governo del territorio, che contenga principi irrinunciabili, omogenei e condivisi in modo tale da costituire un quadro di riferimento certo e rigoroso per le regioni.
9/1248-A-R/64. (Testo modificato nel corso della seduta) Zaratti, Pellegrino, Zan.
La Camera,
premesso che:
all'articolo 12-bis del provvedimento al nostro esame è prevista l'estensione del tetto agli stipendi dei manager, oggi previsto per le società controllate dalla PA non quotate (che non può comunque essere superiore al trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione – circa 300mila euro), anche alle società che svolgono servizi di interesse generale anche di rilevanza economica anche se quotate;
gli emolumenti degli amministratori delle società non quotate che svolgono servizi di interesse generale anche di rilevanza economica dovranno essere adottati sulla base di criteri determinati dal Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con le amministrazioni vigilanti. I predetti criteri devono essere aderenti alle migliori pratiche internazionali e tener conto dei risultati aziendali. In ogni caso, le eventuali componenti variabili degli emolumenti degli amministratori non potranno essere previste né erogate per le società il cui risultato di esercizio non sia positivo;
nella situazione di crisi nella quale si trova immerso anche il nostro Paese, l'opinione pubblica ritiene opportuno che tutti i settori della società siano compartecipi dei sacrifici necessari e ritiene non più tollerabile i considerevoli e sproporzionati emolumenti fissi e variabili che molti manager anche di società private si auto-elargiscono, nonché le loro super liquidazioni spesso neanche lontanamente giustificate dai risultati conseguiti nelle conduzione delle aziende loro affidate;
in seguito al malcontento generale per gli alti bonus dei top manager o per le liquidazioni di lusso dei medesimi, il 3 marzo scorso con un referendum popolare è stato approvato dal 67,9 per cento dei cittadini svizzeri che hanno partecipato alla consultazione, una legge d'iniziativa popolare la quale prevede il rafforzamento dei diritti degli azionisti per impedire il versamento di stipendi e bonus eccessivamente elevati;
il testo del quesito referendario, battezzato «Iniziativa Minder», dal nome del principale proponente, – Thomas Minder – riguarda le società quotate in Borsa in Patria o all'estero, e prevede anche il divieto delle buonuscite o dei bonus di entrata («golden hello» e «golden goodbye») oltre che i bonus previsti nei contratti di vendita o di acquisizione di una società;
il non rispetto di tale divieto sarà punito con tre anni di carcere e un'ammenda pari a 6 anni si salario;
in particolare:
l'assemblea generale degli azionisti voterà ogni anno l'importo delle retribuzioni del consiglio di amministrazione, della direzione generale e dell'organo consultivo. Non saranno più i dirigenti ad avere l'ultima parola sui compensi;
i membri del consiglio d'amministrazione potranno rimanere in carica un anno;
per gli azionisti che non possono essere presenti alle assemblee è prevista la votazione a distanza;
sono abolite le liquidazioni, i bonus all'uscita e altre forme di indennità, le retribuzioni anticipate, i premi per acquisizioni e vendite, i contratti di consulenza da parte di società appartenenti al gruppo per il quale si esercita la professione;
i cittadini svizzeri hanno voluto dare agli azionisti un controllo più diretto non solo sugli stipendi, ma anche sulla gestione; infatti, la norma che limita a un anno il tempo di permanenza in consiglio di amministrazione tende a dare la possibilità all'azionista di cambiare i rappresentanti e di ridurre il rischio che le relazioni personali prevalgano sull'interesse dell'azienda;
i cittadini elvetici sembrano aver dato una risposta chiara a due interrogativi:
è giusto che il capo di un'azienda guadagni centinaia o migliaia di volte più della persona che percepisce il salario minimo ?
può il contributo di una sola persona, essere talmente importante da essere retribuito in misura tanto diversa? In altre parole, un compenso così elevato è giustificato da un effettivo ritorno sugli utili ?
sono domande che dovremmo porci anche in relazione alla situazione del nostro Paese, basti pensare ai casi del top management Fiat e di altre grandi società;
la ricetta elvetica non rappresenta certo la soluzione di questa complessa problematica ma, insieme ad una profonda riforma del nostro sistema fiscale, può costituire un ulteriore passo nella giusta direzione per ridurre le disuguaglianze nella distribuzione dei redditi,
impegna il Governo a:
prendere le opportune iniziative, anche legislative, per riformare il diritto societario al fine di:
a) rimettere nella potestà dell'assemblea degli azionisti delle società quotate l'importo delle retribuzioni del consiglio di amministrazione, della direzione generale e dell'organo consultivo;
b) stabilire che i membri del consiglio d'amministrazione possano rimanere in carica per un periodo limitato;
c) abolire le liquidazioni, i bonus all'uscita e altre forme di indennità, le retribuzioni anticipate, i premi per acquisizioni e vendite, i contratti di consulenza da parte di società appartenenti al gruppo per il quale il dirigente esercita la sua attività.
9/1248-A-R/65. Di Salvo, Airaudo, Placido, Boccadutri, Ragosta, Paglia, Lavagno, Marcon, Melilla.
La Camera,
premesso che:
all'articolo 12-bis del provvedimento al nostro esame è prevista l'estensione del tetto agli stipendi dei manager, oggi previsto per le società controllate dalla PA non quotate (che non può comunque essere superiore al trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione – circa 300mila euro), anche alle società che svolgono servizi di interesse generale anche di rilevanza economica anche se quotate;
gli emolumenti degli amministratori delle società non quotate che svolgono servizi di interesse generale anche di rilevanza economica dovranno essere adottati sulla base di criteri determinati dal Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con le amministrazioni vigilanti. I predetti criteri devono essere aderenti alle migliori pratiche internazionali e tener conto dei risultati aziendali. In ogni caso, le eventuali componenti variabili degli emolumenti degli amministratori non potranno essere previste né erogate per le società il cui risultato di esercizio non sia positivo;
nella situazione di crisi nella quale si trova immerso anche il nostro Paese, l'opinione pubblica ritiene opportuno che tutti i settori della società siano compartecipi dei sacrifici necessari e ritiene non più tollerabile i considerevoli e sproporzionati emolumenti fissi e variabili che molti manager anche di società private si auto-elargiscono, nonché le loro super liquidazioni spesso neanche lontanamente giustificate dai risultati conseguiti nelle conduzione delle aziende loro affidate;
in seguito al malcontento generale per gli alti bonus dei top manager o per le liquidazioni di lusso dei medesimi, il 3 marzo scorso con un referendum popolare è stato approvato dal 67,9 per cento dei cittadini svizzeri che hanno partecipato alla consultazione, una legge d'iniziativa popolare la quale prevede il rafforzamento dei diritti degli azionisti per impedire il versamento di stipendi e bonus eccessivamente elevati;
il testo del quesito referendario, battezzato «Iniziativa Minder», dal nome del principale proponente, – Thomas Minder – riguarda le società quotate in Borsa in Patria o all'estero, e prevede anche il divieto delle buonuscite o dei bonus di entrata («golden hello» e «golden goodbye») oltre che i bonus previsti nei contratti di vendita o di acquisizione di una società;
il non rispetto di tale divieto sarà punito con tre anni di carcere e un'ammenda pari a 6 anni si salario;
in particolare:
l'assemblea generale degli azionisti voterà ogni anno l'importo delle retribuzioni del consiglio di amministrazione, della direzione generale e dell'organo consultivo. Non saranno più i dirigenti ad avere l'ultima parola sui compensi;
i membri del consiglio d'amministrazione potranno rimanere in carica un anno;
per gli azionisti che non possono essere presenti alle assemblee è prevista la votazione a distanza;
sono abolite le liquidazioni, i bonus all'uscita e altre forme di indennità, le retribuzioni anticipate, i premi per acquisizioni e vendite, i contratti di consulenza da parte di società appartenenti al gruppo per il quale si esercita la professione;
i cittadini svizzeri hanno voluto dare agli azionisti un controllo più diretto non solo sugli stipendi, ma anche sulla gestione; infatti, la norma che limita a un anno il tempo di permanenza in consiglio di amministrazione tende a dare la possibilità all'azionista di cambiare i rappresentanti e di ridurre il rischio che le relazioni personali prevalgano sull'interesse dell'azienda;
i cittadini elvetici sembrano aver dato una risposta chiara a due interrogativi:
è giusto che il capo di un'azienda guadagni centinaia o migliaia di volte più della persona che percepisce il salario minimo ?
può il contributo di una sola persona, essere talmente importante da essere retribuito in misura tanto diversa? In altre parole, un compenso così elevato è giustificato da un effettivo ritorno sugli utili ?
sono domande che dovremmo porci anche in relazione alla situazione del nostro Paese, basti pensare ai casi del top management Fiat e di altre grandi società;
la ricetta elvetica non rappresenta certo la soluzione di questa complessa problematica ma, insieme ad una profonda riforma del nostro sistema fiscale, può costituire un ulteriore passo nella giusta direzione per ridurre le disuguaglianze nella distribuzione dei redditi,
impegna il Governo a:
a valutare l'opportunità di iniziative, anche legislative, per riformare il diritto societario al fine di:
a) rimettere nella potestà dell'assemblea degli azionisti delle società quotate l'importo delle retribuzioni del consiglio di amministrazione, della direzione generale e dell'organo consultivo;
b) stabilire che i membri del consiglio d'amministrazione possano rimanere in carica per un periodo limitato;
c) abolire le liquidazioni, i bonus all'uscita e altre forme di indennità, le retribuzioni anticipate, i premi per acquisizioni e vendite, i contratti di consulenza da parte di società appartenenti al gruppo per il quale il dirigente esercita la sua attività.
9/1248-A-R/65. (Testo modificato nel corso della seduta) Di Salvo, Airaudo, Placido, Boccadutri, Ragosta, Paglia, Lavagno, Marcon, Melilla.
La Camera,
premesso che:
la città di Reggio Calabria è stata destinataria del progetto MUSA, promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica (DFP) – Ufficio Formazione del Personale della Pubblica Amministrazione (UFPPA), con l'obiettivo di rafforzare le capacità delle Amministrazioni locali nel governare i settori della mobilità urbana e, in riferimento allo sviluppo degli attrattori culturali, di incrementare la competitività dei propri territori;
il Sistema di Mobilità Sostenibile (SMS) proposto per la città di Reggio Calabria è finalizzato a raccordare il tessuto urbano con i principali poli attrattori, dislocati lungo gli assi perpendicolari alla costa (Ospedali, Cittadella Universitaria, Centro Direzionale, Nuovo Palazzo di Giustizia, ecc.), adeguatamente integrato sia con Tasse ferroviario, sia con l'attuale rete urbana di servizio pubblico;
il SMS è basato su un sistema di trasporto in sede riservata da realizzare adottando una tecnologia con minimo impatto sull'ambiente;
il piano consta di tre lotti che vedono il coinvolgimento di più amministrazioni pubbliche nonché di società a partecipazione pubblica;
la realizzazione di queste infrastrutture consentirebbe alla città di Reggio Calabria di migliorare il suo patrimonio infrastrutturale al servizio dei cittadini per una migliore funzionalità dei servizi anche di natura comprensoriale anche in relazione al progetto di città metropolitana,
impegna il Governo
a convocare entro 60 giorni dalla conversione in legge del presente decreto legge un tavolo istituzionale con i soggetti interessati al fine di stabilire le risorse necessarie e un crono programma dettagliato che porti alla realizzazione degli interventi di cui in premessa.
9/1248-A-R/66. Battaglia.
La Camera,
considerato che:
la Robin Tax è correttamente pensata per colpire i soggetti che realizzano extraprofitti operando nel settore dell'energia, come esplicitato anche nella relazione illustrativa del provvedimento;
esistono sul mercato consorzi e società consortili di imprese, che operano sul mercato dell'energia, per raggiungere esattamente lo stesso scopo perseguito dalla norma, ovvero quello di ridurre il costo della fornitura di energia;
è noto che i consorzi e le società consortili tentano di raggiungere tale scopo organizzandosi ed agendo in modo da sommare il potere di acquisto e le competenze di molte imprese, la cui sopravvivenza – in termini competitivi sui mercati nazionale e internazionali – è particolarmente dipendente dall'incidenza del prezzo dell'energia sulle loro produzioni, al fine di spuntare prezzi competitivi, nelle modalità rese possibili dal mercato e dalla normativa vigente;
alcuni di tali consorzi dichiarano nel loro statuto di non avere finalità di lucro ma gestendo il portafoglio della domanda energetica di molte imprese (a volte centinaia) il loro volume di affari diventa notevole (anche centinaia di milioni di euro) e dal punto di vista puramente fiscale, può, dunque, accadere che i bilanci presentino ricavi ed imponibili sostanzialmente «casuali» al 31 dicembre, solo in modo congiunturale ed occasionale a causa di cicli di fornitura e pagamenti dell'anno termico che non coincidono con l'anno fiscale;
tali consorzi e società consortili, anche nel caso in cui gli utili fossero presenti, per statuto non procedono alla loro distribuzione, neanche in caso di scioglimento;
gli eventuali avanzi di gestione vengono destinati a riserva ed investiti in ulteriori servizi alle imprese, sempre tesi alla riduzione del costo della fornitura energetica, in una logica mutualistica;
applicare la Robin tax a tali soggetti risulta quindi particolarmente inappropriato, in quanto così facendo, si tassano i soggetti più sensibili al costo dell'energia, che già soffrono le conseguenze dell'esistenza di quegli altri soggetti che fanno extraprofitti sul mercato dell'energia e che sono il giusto bersaglio della norma introdotta dal decreto del fare all'articolo 5, e che portano all'innalzamento dei prezzi;
la Robin Tax infatti non è semplicemente una tassa ma una sopratassa (una addizionale) pensata per chi fa sopraprofitti sul mercato dell'energia e tali consorzi e società consortili che non hanno scopo di lucro non chiedono di non pagare le tasse regolari (IRES), ma solo di non pagare la sopratassa «Robin Tax» pensata per soggetti di natura diversa,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di non applicare l'addizionale IRES denominata «Robin tax» ai consorzi e alle società consortili che non hanno fine di lucro. Tale modifica consentirebbe comunque di perseguire l'obiettivo di operare una riduzione effettiva degli oneri generali del sistema elettrico e dei prezzi dell'energia pagati da famiglie ed imprese (come richiesto dal comma 8 dell'articolo 5 del decreto in esame), evitando però di aggiungere una tassazione eccessiva sui soggetti maggiormente sensibili al prezzo dell'energia, che agiscono al servizio delle imprese associate in consorzi e società consortili che non hanno scopo di lucro e che in misura massima soffrono per l'elevato prezzo dell'energia in Italia.
9/1248-A-R/67. Abrignani.
La Camera,
considerato che:
la Robin Tax è correttamente pensata per colpire i soggetti che realizzano extraprofitti operando nel settore dell'energia, come esplicitato anche nella relazione illustrativa del provvedimento;
esistono sul mercato consorzi e società consortili di imprese, che operano sul mercato dell'energia, per raggiungere esattamente lo stesso scopo perseguito dalla norma, ovvero quello di ridurre il costo della fornitura di energia;
è noto che i consorzi e le società consortili tentano di raggiungere tale scopo organizzandosi ed agendo in modo da sommare il potere di acquisto e le competenze di molte imprese, la cui sopravvivenza – in termini competitivi sui mercati nazionale e internazionali – è particolarmente dipendente dall'incidenza del prezzo dell'energia sulle loro produzioni, al fine di spuntare prezzi competitivi, nelle modalità rese possibili dal mercato e dalla normativa vigente;
alcuni di tali consorzi dichiarano nel loro statuto di non avere finalità di lucro ma gestendo il portafoglio della domanda energetica di molte imprese (a volte centinaia) il loro volume di affari diventa notevole (anche centinaia di milioni di euro) e dal punto di vista puramente fiscale, può, dunque, accadere che i bilanci presentino ricavi ed imponibili sostanzialmente «casuali» al 31 dicembre, solo in modo congiunturale ed occasionale a causa di cicli di fornitura e pagamenti dell'anno termico che non coincidono con l'anno fiscale;
tali consorzi e società consortili, anche nel caso in cui gli utili fossero presenti, per statuto non procedono alla loro distribuzione, neanche in caso di scioglimento;
gli eventuali avanzi di gestione vengono destinati a riserva ed investiti in ulteriori servizi alle imprese, sempre tesi alla riduzione del costo della fornitura energetica, in una logica mutualistica;
applicare la Robin tax a tali soggetti risulta quindi particolarmente inappropriato, in quanto così facendo, si tassano i soggetti più sensibili al costo dell'energia, che già soffrono le conseguenze dell'esistenza di quegli altri soggetti che fanno extraprofitti sul mercato dell'energia e che sono il giusto bersaglio della norma introdotta dal decreto del fare all'articolo 5, e che portano all'innalzamento dei prezzi;
la Robin Tax infatti non è semplicemente una tassa ma una sopratassa (una addizionale) pensata per chi fa sopraprofitti sul mercato dell'energia e tali consorzi e società consortili che non hanno scopo di lucro non chiedono di non pagare le tasse regolari (IRES), ma solo di non pagare la sopratassa «Robin Tax» pensata per soggetti di natura diversa,
impegna il Governo
a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di non applicare l'addizionale IRES denominata «Robin tax» ai consorzi e alle società consortili che non hanno fine di lucro. Tale modifica consentirebbe comunque di perseguire l'obiettivo di operare una riduzione effettiva degli oneri generali del sistema elettrico e dei prezzi dell'energia pagati da famiglie ed imprese (come richiesto dal comma 8 dell'articolo 5 del decreto in esame), evitando però di aggiungere una tassazione eccessiva sui soggetti maggiormente sensibili al prezzo dell'energia, che agiscono al servizio delle imprese associate in consorzi e società consortili che non hanno scopo di lucro e che in misura massima soffrono per l'elevato prezzo dell'energia in Italia.
9/1248-A-R/67. (Testo modificato nel corso della seduta) Abrignani.
La Camera,
premesso che:
in materia di servizi di teleriscaldamento e teleraffrescamento (servizi a rete che si caratterizzano per un uso efficiente dell'energia, in particolare quando hanno alla base un impianto di cogenerazione) vi è, attualmente, un vuoto di regolazione, da colmare con urgenza; ed, infatti, il legislatore ha fornito una definizione «di rimando» del teleriscaldamento in un decreto ministeriale del 2005 che si occupa della produzione combinata di energia elettrica e calore; inoltre, l'attività di teleriscaldamento non è soggetta a regolamentazione delle condizioni di fornitura da parte dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas;
i servizi di teleriscaldamento e teleraffrescamento sono oggi prestati in condizione di sostanziale monopolio, in quanto i fornitori definiscono unilateralmente le condizioni di accesso al servizio; ciò può comportare significativi problemi sotto il profilo della concorrenza, attinenti, ad esempio, al livello delle tariffe per il servizio di teleriscaldamento, ma anche alle possibili restrizioni alla interfuel competition, con particolare riferimento a quelle derivanti dagli obblighi di connessione alla rete di teleriscaldamento ed agli ostacoli alla disconnessione da tale rete posti da alcuni Comuni;
vi è, dunque, l'esigenza di un Regolatore terzo, imparziale e tecnicamente specializzato, in grado di definire, in chiave pro-concorrenziale, criteri e modalità per la determinazione dei corrispettivi del servizio, anche nell'ottica di una maggiore trasparenza e protezione degli utenti;
tale Regolatore può essere individuato nell'Autorità per l'energia elettrica e il gas (AEEG) che, ai sensi della sua legge istitutiva (n.481/1995), è chiamata a promuovere la concorrenza nei settori regolati e a tutelare gli utenti (articolo 1);
pertanto l'AEEG, vista anche la competenza maturata in quasi vent'anni di regolazione dei servizi energetici, appare il soggetto più indicato per consentire di superare l'attuale situazione in cui i fornitori definiscono unilateralmente le condizioni di accesso al servizio, in regime di sostanziale monopolio; tutto ciò con evidenti riflessi positivi per i consumatori,
impegna il Governo
attribuire all'AEEG le funzioni di regolazione e controllo in materia di teleriscaldamento e teleraffrescamento.
9/1248-A-R/68. Magorno, Bonaccorsi, Bratti.
La Camera,
premesso che:
in materia di servizi di teleriscaldamento e teleraffrescamento (servizi a rete che si caratterizzano per un uso efficiente dell'energia, in particolare quando hanno alla base un impianto di cogenerazione) vi è, attualmente, un vuoto di regolazione, da colmare con urgenza; ed, infatti, il legislatore ha fornito una definizione «di rimando» del teleriscaldamento in un decreto ministeriale del 2005 che si occupa della produzione combinata di energia elettrica e calore; inoltre, l'attività di teleriscaldamento non è soggetta a regolamentazione delle condizioni di fornitura da parte dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas;
i servizi di teleriscaldamento e teleraffrescamento sono oggi prestati in condizione di sostanziale monopolio, in quanto i fornitori definiscono unilateralmente le condizioni di accesso al servizio; ciò può comportare significativi problemi sotto il profilo della concorrenza, attinenti, ad esempio, al livello delle tariffe per il servizio di teleriscaldamento, ma anche alle possibili restrizioni alla interfuel competition, con particolare riferimento a quelle derivanti dagli obblighi di connessione alla rete di teleriscaldamento ed agli ostacoli alla disconnessione da tale rete posti da alcuni Comuni;
vi è, dunque, l'esigenza di un Regolatore terzo, imparziale e tecnicamente specializzato, in grado di definire, in chiave pro-concorrenziale, criteri e modalità per la determinazione dei corrispettivi del servizio, anche nell'ottica di una maggiore trasparenza e protezione degli utenti;
tale Regolatore può essere individuato nell'Autorità per l'energia elettrica e il gas (AEEG) che, ai sensi della sua legge istitutiva (n.481/1995), è chiamata a promuovere la concorrenza nei settori regolati e a tutelare gli utenti (articolo 1);
pertanto l'AEEG, vista anche la competenza maturata in quasi vent'anni di regolazione dei servizi energetici, appare il soggetto più indicato per consentire di superare l'attuale situazione in cui i fornitori definiscono unilateralmente le condizioni di accesso al servizio, in regime di sostanziale monopolio; tutto ciò con evidenti riflessi positivi per i consumatori,
impegna il Governo
attribuire all'AEEG le funzioni di regolazione e controllo sulle condizioni di accesso alle reti e sulla qualità dei servizi in materia di teleriscaldamento e teleraffrescamento.
9/1248-A-R/68. (Testo modificato nel corso della seduta) Magorno, Bonaccorsi, Bratti.
La Camera,
premesso che:
il Regolamento (UE) n. 1227/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, concernente l'integrità e la trasparenza del mercato dell'energia all'ingrosso, prevede che le autorità nazionali di regolamentazione nel settore energetico (nel caso italiano, l'Autorità per l'energia elettrica e il gas) possano essere investite del compito di monitorare le attività di negoziazione di prodotti energetici all'ingrosso a livello nazionale;
inoltre, l'articolo 13 del Regolamento stesso impone agli Stati membri di far sì che le proprie autorità nazionali di regolamentazione, entro il 29 giugno 2013, siano dotate dei poteri di indagine e di esecuzione necessari per l'espletamento delle funzioni inerenti l'attuazione del divieto d'abuso di informazioni privilegiate (insider trading), del divieto di manipolazione del mercato, nonché dell'obbligo di pubblicità delle informazioni privilegiate;
infine, l'articolo 18 del Regolamento fa obbligo agli Stati membri di stabilire la disciplina sanzionatoria applicabile in caso di violazioni delle disposizioni contenute nel Regolamento medesimo; d'altronde i mercati dell'energia all'ingrosso dell'Unione sono sempre più interconnessi, ragion per cui gli abusi di mercato in uno Stato membro si ripercuotono spesso non solo sui prezzi all'ingrosso dell'elettricità e del gas naturale oltre i confini nazionali, ma anche sui prezzi al dettaglio per i consumatori e le piccole imprese, di conseguenza il compito di garantire l'integrità dei mercati necessita di competenze multilivello attribuite sia a livello dei singoli Stati membri, sia a livello europeo; tale sistema di enforcement è essenziale ai fini del completamento di un mercato interno dell'energia pienamente funzionante, interconnesso e integrato;
risulta pertanto urgente, anche per evitare l'apertura di procedure d'infrazione a carico dell'Italia, attribuire all'AEEG i poteri di monitoraggio, verifica, indagine e sanzione previsti dal suddetto Regolamento, e ciò in particolare alla luce del superamento del summenzionato termine del 29 giugno 2013, nonché in vista della prossima operatività del sistema di monitoraggio dei mercati energetici, quando sarà imprescindibile che l'Autorità disponga di tutti i poteri necessari per l'espletamento delle funzioni ad essa attribuite,
impegna il Governo
ad attribuire all'Autorità per l'energia elettrica e il gas i poteri di monitoraggio, di verifica del rispetto dei divieti di cui agli articoli 3 e 5 e dell'obbligo di cui all'articolo 4 del Regolamento (UE) n. 1227/2011, di indagine, anche in collaborazione con ACER e con gli altri regolatori nazionali dell'energia, e di sanzione, in caso di violazioni delle disposizioni del suddetto Regolamento, nonché in caso di mancata ottemperanza agli obblighi informativi previsti dagli articoli 8 e 9 dello stesso Regolamento.
9/1248-A-R/69. Bonaccorsi.
La Camera,
premesso che:
il Regolamento (UE) n. 1227/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, concernente l'integrità e la trasparenza del mercato dell'energia all'ingrosso, prevede che le autorità nazionali di regolamentazione nel settore energetico (nel caso italiano, l'Autorità per l'energia elettrica e il gas) possano essere investite del compito di monitorare le attività di negoziazione di prodotti energetici all'ingrosso a livello nazionale;
inoltre, l'articolo 13 del Regolamento stesso impone agli Stati membri di far sì che le proprie autorità nazionali di regolamentazione, entro il 29 giugno 2013, siano dotate dei poteri di indagine e di esecuzione necessari per l'espletamento delle funzioni inerenti l'attuazione del divieto d'abuso di informazioni privilegiate (insider trading), del divieto di manipolazione del mercato, nonché dell'obbligo di pubblicità delle informazioni privilegiate;
infine, l'articolo 18 del Regolamento fa obbligo agli Stati membri di stabilire la disciplina sanzionatoria applicabile in caso di violazioni delle disposizioni contenute nel Regolamento medesimo; d'altronde i mercati dell'energia all'ingrosso dell'Unione sono sempre più interconnessi, ragion per cui gli abusi di mercato in uno Stato membro si ripercuotono spesso non solo sui prezzi all'ingrosso dell'elettricità e del gas naturale oltre i confini nazionali, ma anche sui prezzi al dettaglio per i consumatori e le piccole imprese, di conseguenza il compito di garantire l'integrità dei mercati necessita di competenze multilivello attribuite sia a livello dei singoli Stati membri, sia a livello europeo; tale sistema di enforcement è essenziale ai fini del completamento di un mercato interno dell'energia pienamente funzionante, interconnesso e integrato;
risulta pertanto urgente, anche per evitare l'apertura di procedure d'infrazione a carico dell'Italia, attribuire all'AEEG i poteri di monitoraggio, verifica, indagine e sanzione previsti dal suddetto Regolamento, e ciò in particolare alla luce del superamento del summenzionato termine del 29 giugno 2013, nonché in vista della prossima operatività del sistema di monitoraggio dei mercati energetici, quando sarà imprescindibile che l'Autorità disponga di tutti i poteri necessari per l'espletamento delle funzioni ad essa attribuite,
impegna il Governo
a completare l'attuazione del Regolamento (UE) n. 1227/2011, in particolare per attribuire all'Autorità per l'energia elettrica e il gas i poteri di monitoraggio, di verifica del rispetto dei divieti di cui agli articoli 3 e 5 e dell'obbligo di cui all'articolo 4 del Regolamento (UE) n. 1227/2011, di indagine, anche in collaborazione con ACER e con gli altri regolatori nazionali dell'energia, e di sanzione, in caso di violazioni delle disposizioni del suddetto Regolamento, nonché in caso di mancata ottemperanza agli obblighi informativi previsti dagli articoli 8 e 9 dello stesso Regolamento.
9/1248-A-R/69. (Testo modificato nel corso della seduta) Bonaccorsi.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame reca disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia tra le quali particolare importanza rivestono le misure per il sostegno alle imprese e quelle per il potenziamento dell'agenda digitale italiana;
tuttavia con le ultime modifiche del decreto in commento sono stati ridotti i fondi dedicati alla banda larga mandando in crisi il piano nazionale che mirava a eliminare il digital divide entro il 2014, cioè a coprire tutti gli italiani con banda larga ad almeno 2 Megabit, grazie a fondi pubblici;
si tratta di 20,75 milioni sui 150 milioni che l'Agenda Digitale stanziava (con il decreto Crescita 2.0) per eliminare il digital divide nel Centro-Nord entro il 2014 i cui bandi sono appena partiti; restano invece intatti i circa 100 milioni di euro che il Ministero sta stanziando in bandi per le regioni del Sud Italia, dove per altro si era già concentrata l'azione dei precedenti governi per eliminare il digital divide;
si ritiene che le regioni più penalizzate da questo taglio saranno nel Centro Nord, con esclusione della Lombardia, delle Marche e della Provincia Autonoma di Trento, che si sono mosse da anni contro il digital divide, tanto che dovrebbero riuscire a eliminarlo già entro dicembre,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative normative volte a ripristinare i fondi del piano nazionale banda larga al fine di evitare ulteriori rinvii nell'eliminazione del digital divide sul territorio nazionale.
9/1248-A-R/70. Rampi, Mosca, Basso.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame reca disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia tra le quali particolare importanza rivestono le misure per il sostegno alle imprese e quelle per il potenziamento dell'agenda digitale italiana;
tuttavia con le ultime modifiche del decreto in commento sono stati ridotti i fondi dedicati alla banda larga mandando in crisi il piano nazionale che mirava a eliminare il digital divide entro il 2014, cioè a coprire tutti gli italiani con banda larga ad almeno 2 Megabit, grazie a fondi pubblici;
si tratta di 20,75 milioni sui 150 milioni che l'Agenda Digitale stanziava (con il decreto Crescita 2.0) per eliminare il digital divide nel Centro-Nord entro il 2014 i cui bandi sono appena partiti; restano invece intatti i circa 100 milioni di euro che il Ministero sta stanziando in bandi per le regioni del Sud Italia, dove per altro si era già concentrata l'azione dei precedenti governi per eliminare il digital divide;
si ritiene che le regioni più penalizzate da questo taglio saranno nel Centro Nord, con esclusione della Lombardia, delle Marche e della Provincia Autonoma di Trento, che si sono mosse da anni contro il digital divide, tanto che dovrebbero riuscire a eliminarlo già entro dicembre,
impegna il Governo
a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di adottare ulteriori iniziative normative volte a ripristinare i fondi del piano nazionale banda larga al fine di evitare ulteriori rinvii nell'eliminazione del digital divide sul territorio nazionale.
9/1248-A-R/70. (Testo modificato nel corso della seduta) Rampi, Mosca, Basso.
La Camera,
premesso che:
la legge di stabilità 2013 (articolo 1, commi da 491 a 500) ha introdotto l'imposta sulle transazioni finanziarie;
in particolare, è previsto che siano soggette alla nuova imposta le seguenti operazioni: il trasferimento della proprietà di azioni ed altri strumenti partecipativi emessi da soggetti residenti nel territorio dello Stato nonché di titoli rappresentativi dei predetti strumenti indipendentemente dalla residenza del soggetto emittente, con un'aliquota pari allo 0,2 per cento del valore della transazione se le operazioni di acquisto sono effettuate fuori dai mercati regolamentati (over the counter), mentre l'aliquota è dell'0,1 per cento per le operazioni concluse in mercati regolamentati o con sistemi multilaterali di negoziazione; per il 2013, considerata anche la partenza a esercizio già iniziato, la percentuale è fissata nella misura dello 0,22 per cento (per le operazioni over the counter) e dello 0,12 (per le operazioni concluse nei mercati regolamentati);
sono altresì imponibili, le operazioni sui cosiddetti strumenti derivati, in misura fissa determinata con riferimento alla tipologia di strumento e al valore del contratto, e le negoziazioni ad alta frequenza relative ad azioni, ad altri strumenti partecipativi e derivati su equità;
secondo molti analisti e operatori, la tassa sulle transazioni finanziarie, così come attualmente congegnata, determinerà un gettito notevolmente inferiore a quanto stabilito dalla relazione tecnica alla legge di stabilità;
nella passata legislatura fu votato a larghissima maggioranza un ordine del giorno, coerente con quanto deliberato dal Parlamento europeo, che impegnava il Governo a considerare un ampliamento della base imponibile tale da includere tutti gli strumenti derivati e una conseguente riduzione delle aliquote: se tale ordine del giorno avesse avuto seguito, avrebbe potuto anche garantire un maggior gettito rispetto a quanto stabilito dalla legge di stabilità, tuttavia si è scelto di procedere per una strada diversa;
infatti, l'articolo 56 del provvedimento all'esame – con una modifica all'articolo 1, comma 497, della legge di stabilità 2013 – proroga al 1o settembre 2013 la decorrenza e al 16 ottobre 2013 il termine di versamento dell'imposta sulle transazioni finanziarie per le operazioni su strumenti derivati (di cui al comma 492) e per le negoziazioni ad alta frequenza su strumenti finanziari derivati e valori mobiliari (di cui al comma 495);
per i trasferimenti di proprietà di azioni ed altri strumenti partecipativi (di cui al comma 491) e per le negoziazioni ad alta frequenza sui predetti trasferimenti, effettuati fino al 30 settembre 2013, il termine entro il quale effettuare il versamento è fissato al 16 ottobre 2013;
è, invece, necessario rivedere complessivamente tutta l'architettura del tributo;
durante l'esame nelle Commissioni referenti erano stati presentati due emendamenti finalizzati a ridisciplinare l'imposta sulle transazioni finanziarie, ritirati a seguito dell'impegno da parte del Governo a una riflessione sulla struttura della norma, considerato che vi è interesse del Parlamento a proseguire nella strada intrapresa e l'Esecutivo non può non tenere conto della necessità di delineare soluzioni strutturali e condivise, anche a livello europeo,
impegna il Governo:
ad aprire un confronto con le Camere in merito alla struttura e al gettito stimato dell'imposta sulle transazioni finanziarie in occasione della presentazione e dell'esame della Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza;
qualora siano confermate, in tale sede, le ipotesi che stimano un gettito notevolmente inferiore a quanto valutato in occasione dell'introduzione dell'imposta sulle transazioni finanziarie, a individuare, in maniera condivisa con il Parlamento, una riforma della medesima imposta finalizzata a ridurne l'aliquota allo 0,01 per cento e ampliarne la base imponibile a tutte le operazioni, destinando l'eventuale maggior gettito alla riduzione della pressione fiscale sul lavoro.
9/1248-A-R/71. Boccia, Sisto, Marcon, Castelli, Andrea Romano, Borghesi, Villarosa, Bobba.
La Camera,
premesso che:
la legge di stabilità 2013 (articolo 1, commi da 491 a 500) ha introdotto l'imposta sulle transazioni finanziarie;
in particolare, è previsto che siano soggette alla nuova imposta le seguenti operazioni: il trasferimento della proprietà di azioni ed altri strumenti partecipativi emessi da soggetti residenti nel territorio dello Stato nonché di titoli rappresentativi dei predetti strumenti indipendentemente dalla residenza del soggetto emittente, con un'aliquota pari allo 0,2 per cento del valore della transazione se le operazioni di acquisto sono effettuate fuori dai mercati regolamentati (over the counter), mentre l'aliquota è dell'0,1 per cento per le operazioni concluse in mercati regolamentati o con sistemi multilaterali di negoziazione; per il 2013, considerata anche la partenza a esercizio già iniziato, la percentuale è fissata nella misura dello 0,22 per cento (per le operazioni over the counter) e dello 0,12 (per le operazioni concluse nei mercati regolamentati);
sono altresì imponibili, le operazioni sui cosiddetti strumenti derivati, in misura fissa determinata con riferimento alla tipologia di strumento e al valore del contratto, e le negoziazioni ad alta frequenza relative ad azioni, ad altri strumenti partecipativi e derivati su equità;
secondo molti analisti e operatori, la tassa sulle transazioni finanziarie, così come attualmente congegnata, determinerà un gettito notevolmente inferiore a quanto stabilito dalla relazione tecnica alla legge di stabilità;
nella passata legislatura fu votato a larghissima maggioranza un ordine del giorno, coerente con quanto deliberato dal Parlamento europeo, che impegnava il Governo a considerare un ampliamento della base imponibile tale da includere tutti gli strumenti derivati e una conseguente riduzione delle aliquote: se tale ordine del giorno avesse avuto seguito, avrebbe potuto anche garantire un maggior gettito rispetto a quanto stabilito dalla legge di stabilità, tuttavia si è scelto di procedere per una strada diversa;
infatti, l'articolo 56 del provvedimento all'esame – con una modifica all'articolo 1, comma 497, della legge di stabilità 2013 – proroga al 1o settembre 2013 la decorrenza e al 16 ottobre 2013 il termine di versamento dell'imposta sulle transazioni finanziarie per le operazioni su strumenti derivati (di cui al comma 492) e per le negoziazioni ad alta frequenza su strumenti finanziari derivati e valori mobiliari (di cui al comma 495);
per i trasferimenti di proprietà di azioni ed altri strumenti partecipativi (di cui al comma 491) e per le negoziazioni ad alta frequenza sui predetti trasferimenti, effettuati fino al 30 settembre 2013, il termine entro il quale effettuare il versamento è fissato al 16 ottobre 2013;
è, invece, necessario rivedere complessivamente tutta l'architettura del tributo;
durante l'esame nelle Commissioni referenti erano stati presentati due emendamenti finalizzati a ridisciplinare l'imposta sulle transazioni finanziarie, ritirati a seguito dell'impegno da parte del Governo a una riflessione sulla struttura della norma, considerato che vi è interesse del Parlamento a proseguire nella strada intrapresa e l'Esecutivo non può non tenere conto della necessità di delineare soluzioni strutturali e condivise, anche a livello europeo,
impegna il Governo:
ad aprire un confronto con le Camere in merito alla struttura e al gettito stimato dell'imposta sulle transazioni finanziarie in occasione della presentazione e dell'esame della Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza;
qualora siano confermate, in tale sede, le ipotesi che stimano un gettito notevolmente inferiore a quanto valutato in occasione dell'introduzione dell'imposta sulle transazioni finanziarie, a valutare, in maniera condivisa con il Parlamento la possibilità di una riforma della medesima imposta finalizzata a ridurne l'aliquota e ampliarne la base imponibile, destinando l'eventuale maggior gettito alla riduzione della pressione fiscale sul lavoro.
9/1248-A-R/71. (Testo modificato nel corso della seduta) Boccia, Sisto, Marcon, Castelli, Andrea Romano, Borghesi, Villarosa, Bobba.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame interviene, nello specifico all'articolo 18, commi 8 e 8-bis, in materia scolastica attraverso interventi destinati all'innalzamento della messa in sicurezza degli edifici scolastici;
la messa in sicurezza e l'ammodernamento degli edifici scolastici rappresentano un obiettivo determinante ed una priorità necessaria ad assicurare l'incolumità degli studenti, dei docenti e di tutti i soggetti che operano all'interno delle strutture scolastiche, sia statali che paritarie, in coerenza con quanto previsto dal sistema nazionale integrato di istruzione di cui al comma 1 dell'articolo 1 della legge 10 marzo 2000, n. 62;
è opportuno procedere inoltre ad un completamento dell'Anagrafe dell'edilizia scolastica che, istituita dalla legge n. 23 dell'11 gennaio 1996 e finalizzata ad accertare la consistenza, la situazione e la funzionalità del patrimonio edilizio scolastico, doveva costituire uno strumento fondamentale che potesse fornire una visione chiara ed analitica dello stato dell'edilizia scolastica, anche attraverso una mappatura degli stessi fini della programmazione di interventi di manutenzione e di ammodernamento ma, ad oggi, risulta ancora non del tutto concretizzata;
il decreto-legge in esame, nello specifico al comma 8 dell'articolo 18, dispone che l'Inail destini fino a 100 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2014 al 2016 agli interventi del piano di messa in sicurezza degli edifici scolastici di cui all'articolo 53, comma 5, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35;
sarebbe opportuno assegnare la manutenzione ordinaria fino a 80.000 euro alle istituzioni scolastiche autonome, anche associate in rete,
impegna il Governo:
a provvedere, alla luce di quanto descritto in premessa e, sulla base del piano di edilizia scolastica previsto dall'articolo 53, comma 5, del decreto legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, ad adottare le opportune iniziative normative finalizzate all'attuazione di misure per l'ammodernamento e la messa in sicurezza degli edifici scolastici, del sistema nazionale integrato d'istruzione, previo completamento dell'Anagrafe dell'edilizia scolastica;
a voler prevedere che i Ministeri interessati definiscano i criteri e le priorità per la ripartizione dei fondi destinati dall'Inail, per ciascuno degli anni dal 2014 al 2016, agli interventi di messa in sicurezza degli edifici scolastici, di cui all'articolo 53, comma 5, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, anche attraverso la pubblicazione sui relativi siti internet;
a valutare altresì l'opportunità di prevedere che la manutenzione ordinaria fino a 80.000 euro sia assegnata alle istituzioni scolastiche autonome, anche associate in rete.
9/1248-A-R/72. Centemero.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame interviene, nello specifico all'articolo 18, commi 8 e 8-bis, in materia scolastica attraverso interventi destinati all'innalzamento della messa in sicurezza degli edifici scolastici;
la messa in sicurezza e l'ammodernamento degli edifici scolastici rappresentano un obiettivo determinante ed una priorità necessaria ad assicurare l'incolumità degli studenti, dei docenti e di tutti i soggetti che operano all'interno delle strutture scolastiche, sia statali che paritarie, in coerenza con quanto previsto dal sistema nazionale integrato di istruzione di cui al comma 1 dell'articolo 1 della legge 10 marzo 2000, n. 62;
è opportuno procedere inoltre ad un completamento dell'Anagrafe dell'edilizia scolastica che, istituita dalla legge n. 23 dell'11 gennaio 1996 e finalizzata ad accertare la consistenza, la situazione e la funzionalità del patrimonio edilizio scolastico, doveva costituire uno strumento fondamentale che potesse fornire una visione chiara ed analitica dello stato dell'edilizia scolastica, anche attraverso una mappatura degli stessi fini della programmazione di interventi di manutenzione e di ammodernamento ma, ad oggi, risulta ancora non del tutto concretizzata;
il decreto-legge in esame, nello specifico al comma 8 dell'articolo 18, dispone che l'Inail destini fino a 100 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2014 al 2016 agli interventi del piano di messa in sicurezza degli edifici scolastici di cui all'articolo 53, comma 5, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35;
sarebbe opportuno assegnare la manutenzione ordinaria fino a 80.000 euro alle istituzioni scolastiche autonome, anche associate in rete,
impegna il Governo
a voler prevedere che i Ministeri interessati definiscano i criteri e le priorità per la ripartizione dei fondi destinati dall'Inail, per ciascuno degli anni dal 2014 al 2016, agli interventi di messa in sicurezza degli edifici scolastici, di cui all'articolo 53, comma 5, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, anche attraverso la pubblicazione sui relativi siti internet.
9/1248-A-R/72. (Testo modificato nel corso della seduta) Centemero.
La Camera:
premesso che:
il disegno di legge di conversione interviene su una moltitudine di settori e contiene una notevole quantità di disposizioni ampie e complesse, molto spesso eterogenee tra loro, che s'inseriscono all'interno di un contesto europeo più generale, rappresentato dalle raccomandazioni rivolte all'Italia, nel quadro della procedura di coordinamento delle riforme economiche per la competitività rappresentate dal semestre europeo per il 2013 e presentate dalla Commissione europea lo scorso maggio;
nell'ambito dei diversi ambiti d'intervento il provvedimento d'urgenza contiene con una serie di misure nell'ambito del settore dei trasporti e del sistema infrastrutturale connesso, anche attraverso stanziamento di adeguate risorse finanziarie;
il decreto-legge tuttavia non contempla specifiche norme nei riguardi del comparto dell'autotrasporto, la cui crisi che si inserisce in quella più generale dell'economia nazionale, ha raggiunto livelli di inasprimento e attanaglia in maniera sempre più stringente gli operatori del settore;
le criticità in corso sono così evidenti e dilaganti in particolare per il Mezzogiorno e la Sicilia che proprio in questi ultimi giorni è stata annunciata una nuova mobilitazione a Catania degli autotrasportatori che comprenderà azioni quali manifestazioni di protesta e un fermo, per ribadire una situazione divenuta oramai estrema;
le associazioni e le categorie di rappresentanza degli autotrasportatori in particolare, evidenziano che nell'ambito dei settori dell'autotrasporto e della logistica, il ricorso maggiore all'intermodalità, rappresenta uno strumento indispensabile al perseguimento di adeguate misure volte a favorire la competitività, è costituito dall’«ecobonus», incentivo nazionale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica dell'11 aprile 2006, destinato a sostenere le imprese di autotrasporto che trasferiscono quote di merci che viaggiano su mezzi pesanti dalla strada alle vie del mare;
tale misura d'incentivo che si prefigge l'obiettivo di sostenere le imprese di autotrasporto e fare il miglior uso possibile delle rotte marittime, prevede il rimborso fino ad un massimo del 30 per cento, del prezzo pagato dalle aziende, che scelgono la via marittima, ed è ritenuta fondamentale in termini di decongestionamento del traffico viario;
la recente della decisione della Commissione europea che ha infatti deciso di accettare la richiesta italiana di proroga di un anno del contributo Ecobonus per le autostrade del mare, rappresenta certamente una delibera positiva e condivisibile, in particolare in una fase economica così depressiva come quella che sta affrontando il Paese ed in particolare il medesimo comparto afflitto da una serie di criticità soprattutto finanziarie oltre che di collegamento infrastrutturale;
l'autorizzazione europea ad erogare gli incentivi riveste notevole importanza per il settore dell'autotrasporto, contribuirà a crescere il valore e l'attendibilità del sistema di aiuti per il trasferimento dei mezzi pesanti per le autostrade del mare, al fine di soddisfare le aspettative del comparto interessato;
risulta indispensabile tuttavia procedere al rimborso delle retribuzione spettanti alle imprese dell'autotrasporto, attraverso una definizione del contributo europeo anticipato dalle stesse aziende,
impegna il Governo:
ad attivare in sede comunitaria le procedure d'intervento per la liquidazione delle domande di rimborso, tuttora residue per gli anni pregressi 2010 e 2011, nei riguardi delle imprese di autotrasporto ed in particolare quelle siciliane, al fine di fronteggiare sia la difficile situazione economica, che le complessità derivanti dalle caratteristiche proprie di questa modalità di trasporto contraddistinta da una marcata rigidità.
9/1248-A-R/73. Garofalo.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge di conversione, contiene una moltitudine di disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, finalizzate a fornire impulso alla crescita del Paese, attraverso misure di semplificazione amministrativa e normativa, il sostegno alle imprese, il rilancio delle infrastrutture e il miglioramento dell'efficienza del sistema giudiziario;
il provvedimento reca un ampio novero di interventi la cui cornice di riferimento è costituita dalle raccomandazioni rivolte all'Italia nel quadro del semestre europeo, presentate dalla Commissione europea lo scorso maggio 2013;
nell'ambito delle aree di intervento indicate nella prima parte, il decreto-legge indica tra l'altro numerose disposizioni volte ad incrementare migliori condizioni favorevoli per l'attività delle imprese che operano nei settori diversi, la riallocazione dei fattori produttivi con l'obiettivo comune di incentivare gli investimenti, incrementare la competitività e rimuovere gli ostacoli di un quadro regolamentare ridondante di complessità e di costi degli adempimenti amministrativi e fiscali;
le innovazioni normative articolate e organizzate proposte all'interno del medesimo provvedimento d'urgenza, volte a sostenere le imprese attraverso l'introduzione di misure di semplificazione ed accelerazione amministrativa, per stimolare la ripresa del comparto produttivo, necessitano di essere affiancate dalla concertazione locale sulla programmazione negoziata, in particolare sui patti territoriali e i contratti d'area, la cui esperienza, non soltanto nel recente passato, ha conseguito importanti risultati, non solo in termini d'investimento e nuova occupazione, ma anche con riferimento al coinvolgimento del partenariato locale, crescita sociale e coesione istituzionale;
la professionalità e l'esperienza acquisita dai soggetti responsabili della programmazione negoziata, in una fase come quella attuale caratterizzata da una crisi dell'economia reale e dell'evidente calo della produzione e della domanda interna, costituisce una risorsa indispensabile da utilizzare, nell'ambito della gestione delle crisi aziendali, in particolare per definire le procedure di mobilità, la riorganizzazione o la ristrutturazione interna, la riconversione produttiva, il potenziale sviluppo di nuovi mercati e le diversificazioni produttive;
interventi affini e similari previsti all'interno del decreto-legge, nell'ambito del sostegno alle imprese, in grado di determinare nuove forme di sviluppo locale, che riescano a valorizzare gli elementi positivi riscontrati dalla programmazione negoziata nel corso degli anni, appaiono opportuni e condivisibili, se valutati in un'ottica di aggiornamento dell'operatività e finalità dei contratti d'area e dei patti territoriali;
favorire pertanto la promozione di nuove forme di accordi territoriali attivati a livello regionale, in maniera da modulare strumenti efficaci di investimento e di nuova occupazione, coinvolgendo l'apporto e l'esperienza consolidata dei soggetti in grado di consentire un coordinamento nazionale, attraverso un'azione di stimolo per la burocrazia ministeriale al fine di fissare i presupposti per una ripresa della crescita dell'economia, può determinare una svolta positiva e rilevante per l'intero sistema economico e produttivo nazionale,
impegna il Governo:
a prevedere nei prossimi interventi legislativi, adeguate misure finalizzate a sostenere in maniera più incisiva l'avvio di politiche comunitarie, nazionali, regionali e locali, rivolte alla soluzione delle crisi industriali che insistono sui territori del Paese, individuando nella Rete dei soggetti gestori di strumenti operativi quali i contratti d'area e i patti territoriali, gli attori attivi di riferimento e di coordinamento per la pubblica amministrazione e gli enti locali.
9/1248-A-R/74. Faenzi, Saltamartini, Parisi, Famiglietti, Bernardo, Pagano, Cirielli, Galati, Pisicchio, Vaccaro, Tidei, Giovanna Sanna, Palese, Matarrese.
La Camera,
considerato che:
l'articolo 82 del provvedimento, modifica il concordato preventivo di cui all'articolo 161 e successivi del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267;
sino alla modifica della disciplina del concordato preventivo, introdotta nel 2012, costituiva principio generale in materia di Contratti Pubblici il fatto che fossero esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né potessero essere affidatari di subappalti, e non potessero stipulare i relativi contratti i soggetti che fossero in stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo, o nei cui riguardi fosse in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni (Art. 38 del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE);
con la modifica della disciplina del concordato preventivo, mediante l'introduzione dell'articolo 186-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (e consequenziale conforme modifica dell'articolo 38, primo comma lettera a) del Codice dei Contratti Pubblici), è stata invece prevista la possibilità, per le imprese che intendono avvalersi del concordato preventivo, di poter continuare la propria attività anche mediante la prosecuzione dei contratti in corso con la Pubblica Amministrazione. Con la stessa norma è stato consentito alle imprese con in corso una procedura di concordato preventivo di poter partecipare ad ulteriori gare per l'assegnazione di Contratti Pubblici;
la disposizione risponde alla ratio di consentire la prosecuzione dell'attività da parte delle imprese in difficoltà finanziaria anche al fine di salvaguardare l'occupazione. La specifica disposizione in esame ha, inoltre, come scopo anche quello di evitare la sospensione dell'esecuzione dei contratti in questione ed in particolare la conclusione della realizzazione delle opere pubbliche anche a fronte dello stato di difficoltà e/o di insolvenza dell'impresa aggiudicataria;
l'applicazione della nuova norma ha però, in concreto, creato alcuni problemi alla filiera delle imprese a valle di quelle aziende aggiudicatarie che si sono avvalse della nuova disposizione: subappaltatori e fornitori delle imprese aggiudicatarie hanno proceduto a stipulare i relativi contratti basando le proprie valutazioni sul presupposto della solvibilità delle imprese in questione in considerazione, da un lato, della particolare selezione che il sistema delle gare pubbliche dovrebbe garantire e, dall'altro, sul fatto che le imprese che contraggono con la P.A. non potevano accedere alle procedure concorsuali pena la loro esclusione dal sistema;
in questo quadro subappaltatori e fornitori hanno concesso credito alle imprese aggiudicatarie accumulando esposizioni anche rilevanti e quindi, in ultima analisi, finanziando l'esecuzione di importati opere pubbliche; con la riforma del concordato tale situazione si è improvvisamente modificata e subappaltatori e fornitori si sono trovati con importanti esposizioni la cui riscossione è risulta bloccata dagli effetti del ricorso per concordato preventivo presentato dalle imprese aggiudicatarie. Ciò ha comportato l'effetto contrario a quello sperato in quanto le imprese della filiera a valle sono state costrette a sospendere le forniture di servizi o materiali essenziali alla prosecuzione delle opere con l'articolo 26-ter, introdotto dalle Commissioni della Camera, è stato previsto che nei contratti di appalto relativi a lavori di realizzazione di opere pubbliche è possibile la corresponsione in favore dell'appaltatore di un'anticipazione pari al 10 per cento dell'importo contrattuale,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità che il citato 10 per cento delle somme anticipate dalla stazione appaltante vengano utilizzate anche per soddisfare i crediti dei subappaltatori e fornitori di servizi o materiali e che, quindi, in tale ambito i loro crediti vengano considerati «essenziali» al fine della prosecuzione dell'attività di impresa e del completamento dell'opera.
9/1248-A-R/75. Giammanco.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 41 del decreto all'esame dell'Assemblea prevede disposizioni in materia ambientale;
il comma 4, in particolare, reca disposizioni relative all'attività di allestimenti mobili di pernottamenti e relativi accessori, temporaneamente ancorati al suolo, all'interno di strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti riconducendo tali attività alla definizione degli interventi di nuova costruzione soggetti a regime autorizzativo;
il citato comma 4 lascia ampio spazio interpretativo e conferma la necessità dell'autorizzazione edilizia per le case mobili presenti all'interno del campeggio;
tale norma è destinata ad essere foriera di dubbi interpretativi e di un corposo contenzioso,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità che le installazioni mobili di pernottamento, quali roulotte, campers e case mobili, destinati alla sosta e al soggiorno degli ospiti, qualora gli stessi vengano collocati anche permanentemente, all'interno di strutture turistiche-ricettive all'aperto, non rientrino tra gli interventi di nuova costruzione e non costituiscano in ogni caso attività rilevante ai fini urbanistici, edilizi, e paesaggistici, purché ottemperino alle specifiche disposizioni degli ordinamenti regionali di settore.
9/1248-A-R/76. Gelmini.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge di conversione recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, contiene numerosissimi interventi suddivisi in tre Titoli, rispettivamente, in materia di crescita, di semplificazione, di efficienza del sistema giudiziario e di definizione del contenzioso civile;
nell'ambito del titolo I gli articoli 1 e 2 prevedono, per le piccole e medie imprese, rispettivamente, l'ampliamento del ricorso al Fondo di garanzia nonché il ricorso al finanziamento per l'acquisto di macchinari, impianti, beni strumentali di impresa e attrezzature;
le suddette misure sono volte, tra l'altro, a favorire la crescita del tessuto imprenditoriale sul territorio nazionale anche a tutela del livello occupazionale; ad interrompere la crescita del numero delle aziende interessate dal fenomeno della delocalizzazione;
come recentemente rilevato anche dalle associazioni di categoria, sempre maggiori sono le aziende interessate dal fenomeno della delocalizzazione con conseguente trasferimento all'estero dell'attività produttiva con inevitabile aumento della disoccupazione nell'area in cui ha origine l'attività di impresa;
in particolare, secondo quanto recentemente rilevato dalla CGIA di Mestre, vi sono oltre 27 mila imprese che hanno trasferito all'estero una parte della propria attività produttiva;
rilevato l'insostituibile ruolo trainante per l'economia nazionale svolto delle imprese di piccole e medie dimensioni;
considerata l'importanza degli interventi agevolativi previsti dal presente provvedimento a favore delle imprese di piccole e medie dimensioni;
considerata altresì l'esigenza di evitare che tali imprese, destinatarie di incentivi per l'acquisto di macchinari e impianti, procedano alla delocalizzazione dei propri impianti all'estero, con conseguenti ricadute negative sui livelli di occupazione nel Paese;
ravvisata pertanto la necessità di prevedere la revoca o la sospensione degli incentivi nel caso in cui, nelle more del periodo di ammortamento dei cespiti ammessi all'incentivo, l'impresa proceda, nel settore produttivo in cui i cespiti medesimi sono impiegati, alla riduzione del numero degli occupati sul territorio nazionale e all'aumento del numero degli stessi fuori del territorio nazionale,
impegna il Governo:
ad adottare le opportune iniziative affinché, sin dall'adozione dei decreti con cui saranno stabiliti i criteri e le condizioni di accesso agli incentivi di cui all'articolo 2, si preveda la revoca o la sospensione dei predetti incentivi nel caso in cui, nelle more del periodo di ammortamento dei cespiti ammessi all'incentivo, l'impresa proceda, nel settore produttivo in cui i cespiti medesimi sono impiegati, alla riduzione del numero degli occupati sul territorio nazionale e all'aumento del numero degli stessi fuori del territorio nazionale.
9/1248-A-R/77. Saltamartini, Milanato.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge di conversione recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, contiene numerosissimi interventi suddivisi in tre Titoli, rispettivamente, in materia di crescita, di semplificazione, di efficienza del sistema giudiziario e di definizione del contenzioso civile;
nell'ambito del titolo I gli articoli 1 e 2 prevedono, per le piccole e medie imprese, rispettivamente, l'ampliamento del ricorso al Fondo di garanzia nonché il ricorso al finanziamento per l'acquisto di macchinari, impianti, beni strumentali di impresa e attrezzature;
le suddette misure sono volte, tra l'altro, a favorire la crescita del tessuto imprenditoriale sul territorio nazionale anche a tutela del livello occupazionale; ad interrompere la crescita del numero delle aziende interessate dal fenomeno della delocalizzazione;
come recentemente rilevato anche dalle associazioni di categoria, sempre maggiori sono le aziende interessate dal fenomeno della delocalizzazione con conseguente trasferimento all'estero dell'attività produttiva con inevitabile aumento della disoccupazione nell'area in cui ha origine l'attività di impresa;
in particolare, secondo quanto recentemente rilevato dalla CGIA di Mestre, vi sono oltre 27 mila imprese che hanno trasferito all'estero una parte della propria attività produttiva;
rilevato l'insostituibile ruolo trainante per l'economia nazionale svolto delle imprese di piccole e medie dimensioni;
considerata l'importanza degli interventi agevolativi previsti dal presente provvedimento a favore delle imprese di piccole e medie dimensioni;
considerata altresì l'esigenza di evitare che tali imprese, destinatarie di incentivi per l'acquisto di macchinari e impianti, procedano alla delocalizzazione dei propri impianti all'estero, con conseguenti ricadute negative sui livelli di occupazione nel Paese;
ravvisata pertanto la necessità di prevedere la revoca o la sospensione degli incentivi nel caso in cui, nelle more del periodo di ammortamento dei cespiti ammessi all'incentivo, l'impresa proceda, nel settore produttivo in cui i cespiti medesimi sono impiegati, alla riduzione del numero degli occupati sul territorio nazionale e all'aumento del numero degli stessi fuori del territorio nazionale,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di adottare le opportune iniziative affinché, sin dall'adozione dei decreti con cui saranno stabiliti i criteri e le condizioni di accesso agli incentivi di cui all'articolo 2, si preveda la revoca o la sospensione dei predetti incentivi nel caso in cui, nelle more del periodo di ammortamento dei cespiti ammessi all'incentivo, l'impresa proceda, nel settore produttivo in cui i cespiti medesimi sono impiegati, alla riduzione del numero degli occupati sul territorio nazionale e all'aumento del numero degli stessi fuori del territorio nazionale.
9/1248-A-R/77. (Testo modificato nel corso della seduta) Saltamartini, Milanato.
La Camera,
considerato che:
il comma 4 dell'articolo 41, nel contesto delle disposizioni di carattere ambientale, integra la definizione di interventi di nuova costruzione recata dall'articolo 3 del testo unico edilizia (decreto del Presidente della Repubblica 380 del 2001), escludendo dagli interventi di nuova costruzione le installazioni posizionate, con temporaneo ancoraggio al suolo, all'interno di strutture ricettive all'aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti;
si tratta di una norma che dovrebbe consentire di «risolvere alcune questioni interpretative, spesso causa di sequestri e di blocco dell'attività» e di dirimere un conflitto trasversale tra competenze statali, regionali ed interpretazioni giurisprudenziali che hanno posto gli imprenditori del settore in una costante incertezza giuridica;
l'iniziativa legislativa ripropone quello schema che non più tardi quattro anni fa un precedente Governo aveva proposto con l'articolo 3 comma 9 della legge 23 luglio 2009 n. 99. Il legislatore di allora, per superare la medesima condizione di incertezza giuridica, con la seguente formulazione, sicuramente più convincente sul piano lessicale, aveva così stabilito: «Al fine di garantire migliori condizioni di competitività sul mercato internazionale e dell'offerta di servizi turistici, nelle strutture turistico ricettive all'aperto le installazioni e i rimessaggi dei mezzi mobili, al pernottamento, anche se collocati permanentemente per l'esercizio dell'attività, entro il perimetro delle strutture turistico-ricettive regolarmente autorizzate, purché ottemperino alle specifiche condizioni strutturali e di mobilità stabilite dagli ordinamenti regionali, non costituiscono in alcun caso attività rilevante ai fini urbanistici, edilizi e paesaggistici.»;
la norma, che sulle prime sembrava aver consentito di superare le criticità interpretative del passato, è stata impugnata dalla Regione Toscana e dalla Regione Lazio. La Corte Costituzionale, con sentenza 278 del 2010 ne ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, sostenendo che oltrepassava i confini delle competenze che la norma di cui all'articolo 117 Cost. in quanto statuiva in materia di governo del territorio e specificava, in particolare, che la disciplina si risolveva in una normativa dettagliata e specifica, che comprimeva la potestà del legislatore regionale;
è opportuno quindi che l'impostazione del comma 4 dell'articolo 41 del decreto in esame venga modificata, facendola rientrare nell'ambito della legge quadro, prevedendo che, in termini generali e quale che sia la norma regionale, la struttura ricettiva all'aperto debitamente autorizzata sconta già un carico urbanistico, dal che le strutture che si trovano al suo interno, a prescindere dalle caratteristiche strutturali e, comunque, rispettose delle normative regionali, non abbisognano di uno specifico titolo edilizio e paesaggistico-ambientale,
impegna il Governo:
a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a modificare la norma di cui all'articolo 41 comma 4 del decreto-legge in esame prevedendo che i diversi allestimenti mobili a fini turistici «non rientrano, tra gli interventi di nuova costruzione e non costituiscono in alcun caso attività rilevante ai fini urbanistici qualora gli stessi vengano collocati, anche permanentemente, all'interno di strutture turistiche-ricettive all'aperto, regolarmente autorizzate e nei limiti della ricettività assentita, purché ottemperino alle specifiche disposizioni degli ordinamenti regionali di settore».
9/1248-A-R/78. Latronico.
La Camera,
premesso che:
è necessario consolidare l'attività di garanzia collettiva dei fidi, anche incentivando di interventi di fusione e di accorpamento tra gli stessi; in particolare la funzione di sostegno alle PMI esercitata dai confidi è di estrema importanza nelle regioni in ritardo di sviluppo;
con l'articolo 39, comma 7, del decreto-legge, n. 201 del 2011, è stata inserita una importante previsione per favorire il grado di patrimonializzazione dei confidi, prevedendo anche la partecipazione al patrimonio dei confidi di imprese non finanziarie di grandi dimensioni e di enti pubblici e privati a condizione che le piccole e medie imprese ed i professionisti soci dispongano almeno della metà più uno dei voti esercitabili nell'assemblea e la nomina dei componenti degli organi che esercitano funzioni di gestione e di supervisione strategica sia riservata all'assemblea;
l'evoluzione del settore della garanzia fidi ha dimostrato che nell'ultimo triennio, in una fase di crisi economica e finanziaria, il supporto all'accesso al credito delle piccole e medie imprese è stato garantito in modo rilevante non solo dai confidi vigilati dalla Banca d'Italia (i cosiddetti confidi 107), ma anche dai confidi ordinari (i cosiddetti confidi 106);
il Fondo PMI di cui all'articolo 1 del provvedimento in esame ha la caratteristica di facilitare l'accesso al credito da parte delle PMI in quanto riduce le garanzie che le stesse offrono al sistema bancario e permette ai Confidi di alleggerire la propria esposizione complessiva mantenendo pertanto la capacità di assistere le imprese associate,
impegna il Governo:
valutare l'opportunità di adottare ogni iniziativa, anche normativa, volta a
a) rafforzare la patrimonializzazione dei Confidi;
b) favorire l'attività dei Confidi nell'azione di sostegno alle imprese e del capitalismo di territorio;
salvaguardare la loro natura mutualistica e rafforzandone l'importante ruolo di cerniera tra imprese e sistema bancario in questa particolare contingenza economica;
esaltare il ruolo dei confidi nell'ambito della gestione delle risorse di cui al Fondo per le PMI, previsto dall'articolo 2, comma 100 della legge n.662 del 1996.
9/1248-A-R/79. Pagano.
La Camera,
consapevole dell'importanza dell'emittenza locale in un sistema radiotelevisivo ispirato ai principi della libera manifestazione del pensiero e del pluralismo dell'informazione;
consapevole, altresì, della stretta correlazione fra lo sviluppo del sistema televisivo locale e la crescita della piccola e media impresa;
considerate le riduzioni sistematiche operate sul fondo in favore dell'emittenza locale previsto dell'articolo 10 della legge 422 del 1993, tagli operati anche a bilanci chiusi e con effetto retroattivo in un momento già di forte difficoltà, originato dalla crisi dei mercati e dei consumi;
consapevole che gli effetti della crisi stanno producendo ripercussioni sulla stabilità finanziaria e industriale di molte emittenti che già hanno avviato forti riduzioni di personale e investimenti;
considerato che:
la lettera c) del comma 1 dell'articolo 61, prevede una riduzione delle risorse spettanti al sostegno dell'emittenza radiotelevisiva locale, per 19 milioni nel 2013 e 7,4 milioni nel 2014;
tale riduzione, sia pure soppressa in commissione, è l'ultima di una serie che ha portato il contributo complessivo destinato al settore da 150 milioni di euro annui nel 2008-2009 ad cifra attorno ai 50 milioni nel 2013,
impegna il Governo:
a varare, nella Legge di Stabilità 2014 norme a tutela del fondo per l'emittenza locale istituito dall'articolo 10 della legge n. 422 del 1993, recuperando tutti i tagli effettuati e riportando la sua capienza a 150 milioni l'anno a decorrere dal 2014, in linea con quanto già erogato negli anni 2008-2009;
ad adottare un provvedimento di urgenza al fine di recuperare un consistente afflusso di risorse verso il sistema dell'emittenza radiotelevisiva locale, anche per il 2013.
9/1248-A-R/80. Sisto, Palese, Boccia, Giammanco, Ginefra, Saltamartini, Brunetta, Grassi, Galati, Decaro, Fitto, Cicu, Pisicchio, Fucci, Distaso.
La Camera,
consapevole dell'importanza dell'emittenza locale in un sistema radiotelevisivo ispirato ai principi della libera manifestazione del pensiero e del pluralismo dell'informazione;
consapevole, altresì, della stretta correlazione fra lo sviluppo del sistema televisivo locale e la crescita della piccola e media impresa;
considerate le riduzioni sistematiche operate sul fondo in favore dell'emittenza locale previsto dell'articolo 10 della legge 422 del 1993, tagli operati anche a bilanci chiusi e con effetto retroattivo in un momento già di forte difficoltà, originato dalla crisi dei mercati e dei consumi;
consapevole che gli effetti della crisi stanno producendo ripercussioni sulla stabilità finanziaria e industriale di molte emittenti che già hanno avviato forti riduzioni di personale e investimenti;
considerato che:
la lettera c) del comma 1 dell'articolo 61, prevede una riduzione delle risorse spettanti al sostegno dell'emittenza radiotelevisiva locale, per 19 milioni nel 2013 e 7,4 milioni nel 2014;
tale riduzione, sia pure soppressa in commissione, è l'ultima di una serie che ha portato il contributo complessivo destinato al settore da 150 milioni di euro annui nel 2008-2009 ad cifra attorno ai 50 milioni nel 2013,
impegna il Governo:
a valutare, in un quadro di compatibilità finanziaria, la possibilità di varare, nella Legge di Stabilità 2014 norme a tutela del fondo per l'emittenza locale istituito dall'articolo 10 della legge n. 422 del 1993, recuperando tutti i tagli effettuati e riportando la sua capienza a 150 milioni l'anno a decorrere dal 2014, in linea con quanto già erogato negli anni 2008-2009;
ad adottare un provvedimento di urgenza al fine di recuperare un consistente afflusso di risorse verso il sistema dell'emittenza radiotelevisiva locale, anche per il 2013.
9/1248-A-R/80. (Testo modificato nel corso della seduta) Sisto, Palese, Boccia, Giammanco, Ginefra, Saltamartini, Brunetta, Grassi, Galati, Decaro, Fitto, Cicu, Pisicchio, Fucci, Distaso.
La Camera,
considerato che:
con il comma 4-bis dell'articolo 44 è stata disposta la proroga di un anno dell'obbligo di assicurazione obbligatoria per responsabilità civile (RC) a carico dei professionisti, limitatamente agli esercenti delle professioni sanitarie, in quanto in questo settore la mole dei procedimenti per danno rischia di determinare, nelle attuali condizioni, l'esplosione dei premi assicurativi e di conseguenza degli oneri che si scaricherebbero sull'utenza;
per tutte le altre professioni, esclusi gli avvocati, tale obbligo decorre dal 13 agosto del 2013 ai sensi dell'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 7 agosto 2012, n. 137, sul riordino delle professioni;
il citato articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 137 del 2013, prevede che l'obbligo di assicurazione possa essere ottemperato anche in regime convenzionale tra compagnie e consigli nazionali o enti previdenziali dei professionisti;
dalla data di entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica n. 137 del 2013 i Consigli nazionali hanno tentato più volte di ottenere un regime concezionale con le Compagnie assicurative, non ottenendo alcun risultato significativo: le Compagnie assicurative preferiscono assicurare i professionisti singolarmente, invece che soggiacere ad un regime generale che li tutela complessivamente,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative normative volte:
a prorogare di un anno l'obbligatorietà della sottoscrizione di una assicurazione obbligatoria per responsabilità civile a carico dei professionisti, al fine di raggiungere un accordo tra Consigli nazionali e Compagnie assicurative per la stipula di convenzioni collettive negoziate;
a prevedere che il regime convenzionale tra compagnie assicuratrici e professionisti sia obbligatorio e non facoltativo;
a prevedere che le convenzioni collettive negoziate dai consigli nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti previste dal medesimo articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 137 del 2012 debbano tenere conto dei seguenti criteri:
a) obbligo delle compagnie ad assicurare il professionista richiedente;
b) possibilità per le Compagnie di disdettare la polizza o di incrementare il premio solo a seguito dell'accertamento effettivo della responsabilità professionale;
c) divieto di applicazione di clausole unilaterali o vessatorie;
d) competenza specifica dei periti assicurativi chiamati a valutare la responsabilità del professionista.;
e) adeguata valutazione delle specifiche caratteristiche di ciascuna professione.
9/1248-A-R/81. Milanato.
La Camera,
considerato che:
con il comma 4-bis dell'articolo 44 è stata disposta la proroga di un anno dell'obbligo di assicurazione obbligatoria per responsabilità civile (RC) a carico dei professionisti, limitatamente agli esercenti delle professioni sanitarie, in quanto in questo settore la mole dei procedimenti per danno rischia di determinare, nelle attuali condizioni, l'esplosione dei premi assicurativi e di conseguenza degli oneri che si scaricherebbero sull'utenza;
per tutte le altre professioni, esclusi gli avvocati, tale obbligo decorre dal 13 agosto del 2013 ai sensi dell'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 7 agosto 2012, n. 137, sul riordino delle professioni;
il citato articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 137 del 2013, prevede che l'obbligo di assicurazione possa essere ottemperato anche in regime convenzionale tra compagnie e consigli nazionali o enti previdenziali dei professionisti;
dalla data di entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica n. 137 del 2013 i Consigli nazionali hanno tentato più volte di ottenere un regime concezionale con le Compagnie assicurative, non ottenendo alcun risultato significativo: le Compagnie assicurative preferiscono assicurare i professionisti singolarmente, invece che soggiacere ad un regime generale che li tutela complessivamente,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di estendere la proroga della stipula di una assicurazione obbligatoria per responsabilità civile a carico dei professionisti, al fine di raggiungere un accordo tra Consigli nazionali e Compagnie assicurative per la stipula di convenzioni collettive negoziate;
a promuovere l'efficace e progressiva realizzazione di un regime convenzionale tra compagnie assicuratrici e professionisti obbligatorio e non facoltativo.
9/1248-A-R/81. (Testo modificato nel corso della seduta) Milanato.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in commento reca disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, tra cui, particolare importanza per i settori economici del Paese rivestono quelle per la semplificazione amministrativa e per il rilancio delle infrastrutture. In tale ambito l'articolo 27 reca, tra l'altro, delle semplificazioni in materia di procedure CIPE, intervenendo sulla disciplina delle opere strategiche, al fine di accelerare la nuova procedura di approvazione unica del progetto preliminare (PP) e del progetto definitivo (PD) da parte, appunto, del CIPE, prevista dall'articolo 169-bis del decreto legislativo 163 del 2006;
il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) è un organo collegiale del Governo di decisione politica in ambito economico e finanziario che svolge funzioni di coordinamento in materia di programmazione della politica economica da perseguire a livello nazionale, comunitario ed internazionale; esamina, pertanto, la situazione socio-economica generale ai fini dell'adozione di provvedimenti congiunturali; individua gli indirizzi e le azioni necessarie per il conseguimento degli obiettivi di politica economica; alloca le risorse finanziarie a programmi e progetti di sviluppo; approva le principali iniziative di investimento pubblico del Paese;
il Comitato si riunisce in sedute con cadenza periodica su convocazione del Presidente del Consiglio dei Ministri, che lo presiede e ne fissa l'ordine del giorno sulla base degli argomenti inoltrati al Comitato stesso dalle Amministrazioni proponenti ed esaminati nel corso di riunioni preparatorie;
la trasparenza dell'azione amministrativa rappresenta un fattore rilevante per l'efficacia degli interventi, pertanto si avverte la necessità di favorire l'attuazione di procedure più chiare che diano garanzie sui tempi e sugli esiti degli interventi, offrendo la concreta possibilità alle istituzioni coinvolte ed ai soggetti interessati di poter intervenire nella pianificazione e nella programmazione delle scelte dell'azione amministrativa. In base a queste considerazioni sarebbe opportuno che il Parlamento conoscesse con un congruo anticipo l'ordine del giorno delle sedute del CIPE,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di prevedere procedure di maggiore trasparenza per le sedute del CIPE pubblicando l'ordine del giorno delle sedute sul sito internet del Comitato almeno 5 giorni prima della seduta.
9/1248-A-R/82. Mariani, Braga, Borghi, Mariastella Bianchi, Bratti, Carrescia, Cassano, Cominelli, Dallai, Decaro, Gadda, Ginoble, Tino Iannuzzi, Manfredi, Marroni, Mazzoli, Morassut, Moretto, Realacci, Giovanna Sanna, Zardini.
La Camera,
premesso che:
le manovre degli ultimi anni hanno ridotto in modo rilevante le risorse destinate alle infrastrutture prioritarie in tutto il territorio nazionale;
particolarmente grave è stata la cancellazione – dapprima con un taglio lineare in forza del decreto-legge n. 112 del 2008 e poi con l'azzeramento del capitolo con la legge di bilancio pluriennale 2009-2011 – delle somme già stanziate dalla legge Finanziaria 2008, la quale disponeva che «al fine di assicurare la realizzazione del secondo stralcio del sistema ferroviario metropolitano regionale veneto è autorizzato un contributo decennale di 10 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2008», finanziando in tal modo una parte essenziale dei 140 milioni di euro complessivamente stimati all'epoca (fine 2007) come necessari al completamento delle tratte del SFMR ancora non finanziate, ovvero Treviso-Conegliano, Treviso-Castelfranco, Padova-Monselice e San Donà-Portogruaro;
il Sistema ferroviario metropolitano regionale (SFMR), che prevede una rete di treni regionali ad elevata frequenza ad orario cadenzato, è un sistema di mobilità avanzato imperniato sui tre poli principali, Venezia, Padova e Treviso, e su una serie di poli secondari; il completamento di tale progetto potrebbe garantire livelli di integrazione territoriale e di prestazioni di trasporto adeguati al tessuto industriale e alla mobilità sociale di un'area strategica del territorio nazionale, la c.d. area metropolitana PA.TRE.VE., che concorre alla formazione del PIL del paese con una quota del 9,4 per cento, seconda solo alla Lombardia;
da ultimo i sindaci delle città capoluogo di Padova, Venezia e Treviso hanno avviato un percorso condiviso per verificare la realizzazione insieme di una nuova Città metropolitana;
nonostante il carattere strategico dell'infrastruttura per la summenzionata area centrale del Veneto, nel settembre 2010 il CIPE, nel proprio Programma Infrastrutture Strategiche – 8o Allegato Infrastrutture, pur finanziando i sistemi metropolitani di numerose città italiane per un importo complessivo di 1.500 milioni di euro, non ha menzionato minimamente il progetto SFMR veneto, non considerando la circostanza che la stessa Regione Veneto avesse accantonato 56 milioni di Euro, in attesa dell'arrivo del finanziamento statale;
sul volgere del termine del 2012, la Regione del Veneto ha approvato un progetto di orario cadenzato per il sistema ferroviario regionale, riduttivo del precedente progetto SFMR per il quale, fino ad oggi, sono state realizzate soltanto opere infrastrutturali, quali sottopassi e parcheggi scambiatori, in primo luogo, oltre che una manciata di nuove fermate. Poiché con questo nuovo progetto della Regione, coperto da fondi propri, si andrà a finanziare solamente il servizio di trasporto, mentre rimarrebbero ancora necessarie delle opere infrastrutturali nelle stazioni per migliorarne l'accessibilità e la possibilità di interscambio con gli altri mezzi pubblici;
che la realizzazione dell'originario progetto del SFMR, incluso nella programma nazionale delle Infrastrutture strategiche, appare oggi, per quanto premesso, a maggior ragione necessario per dotare di una infrastruttura adeguata alla mobilità delle persone l'area socio-economica metropolitana costituita dalle tre province di Venezia, Padova e Treviso, affinché sia in grado di competere con aree vicine e simili sul piano produttivo ma dotate di una assai migliore mobilità, quali quelle delle due Regioni confinanti entrambe a statuto speciale e con regioni europee quali la Carinzia,
impegna il Governo:
ad adottare al più presto le opportune iniziative volte a provvedere al ripristino delle risorse a favore della realizzazione del sistema ferroviario metropolitano veneto, secondo quanto proposto dalla delibera del CIPE n. 56 del 2008.
9/1248-A-R/83. Rubinato, Mognato, Naccarato, Rotta, Crivellari, Martella, Murer, Casellato, Ginato, De Menech, Sbrollini, Zardini.
La Camera,
premesso che:
le manovre degli ultimi anni hanno ridotto in modo rilevante le risorse destinate alle infrastrutture prioritarie in tutto il territorio nazionale;
particolarmente grave è stata la cancellazione – dapprima con un taglio lineare in forza del decreto-legge n. 112 del 2008 e poi con l'azzeramento del capitolo con la legge di bilancio pluriennale 2009-2011 – delle somme già stanziate dalla legge Finanziaria 2008, la quale disponeva che «al fine di assicurare la realizzazione del secondo stralcio del sistema ferroviario metropolitano regionale veneto è autorizzato un contributo decennale di 10 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2008», finanziando in tal modo una parte essenziale dei 140 milioni di euro complessivamente stimati all'epoca (fine 2007) come necessari al completamento delle tratte del SFMR ancora non finanziate, ovvero Treviso-Conegliano, Treviso-Castelfranco, Padova-Monselice e San Donà-Portogruaro;
il Sistema ferroviario metropolitano regionale (SFMR), che prevede una rete di treni regionali ad elevata frequenza ad orario cadenzato, è un sistema di mobilità avanzato imperniato sui tre poli principali, Venezia, Padova e Treviso, e su una serie di poli secondari; il completamento di tale progetto potrebbe garantire livelli di integrazione territoriale e di prestazioni di trasporto adeguati al tessuto industriale e alla mobilità sociale di un'area strategica del territorio nazionale, la c.d. area metropolitana PA.TRE.VE., che concorre alla formazione del PIL del paese con una quota del 9,4 per cento, seconda solo alla Lombardia;
da ultimo i sindaci delle città capoluogo di Padova, Venezia e Treviso hanno avviato un percorso condiviso per verificare la realizzazione insieme di una nuova Città metropolitana;
nonostante il carattere strategico dell'infrastruttura per la summenzionata area centrale del Veneto, nel settembre 2010 il CIPE, nel proprio Programma Infrastrutture Strategiche – 8o Allegato Infrastrutture, pur finanziando i sistemi metropolitani di numerose città italiane per un importo complessivo di 1.500 milioni di euro, non ha menzionato minimamente il progetto SFMR veneto, non considerando la circostanza che la stessa Regione Veneto avesse accantonato 56 milioni di Euro, in attesa dell'arrivo del finanziamento statale;
sul volgere del termine del 2012, la Regione del Veneto ha approvato un progetto di orario cadenzato per il sistema ferroviario regionale, riduttivo del precedente progetto SFMR per il quale, fino ad oggi, sono state realizzate soltanto opere infrastrutturali, quali sottopassi e parcheggi scambiatori, in primo luogo, oltre che una manciata di nuove fermate. Poiché con questo nuovo progetto della Regione, coperto da fondi propri, si andrà a finanziare solamente il servizio di trasporto, mentre rimarrebbero ancora necessarie delle opere infrastrutturali nelle stazioni per migliorarne l'accessibilità e la possibilità di interscambio con gli altri mezzi pubblici;
che la realizzazione dell'originario progetto del SFMR, incluso nella programma nazionale delle Infrastrutture strategiche, appare oggi, per quanto premesso, a maggior ragione necessario per dotare di una infrastruttura adeguata alla mobilità delle persone l'area socio-economica metropolitana costituita dalle tre province di Venezia, Padova e Treviso, affinché sia in grado di competere con aree vicine e simili sul piano produttivo ma dotate di una assai migliore mobilità, quali quelle delle due Regioni confinanti entrambe a statuto speciale e con regioni europee quali la Carinzia,
impegna il Governo
nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, a ricercare iniziative volte ad assicurare le risorse necessarie alla realizzazione del sistema ferroviario metropolitano veneto.
9/1248-A-R/83. (Testo modificato nel corso della seduta) Rubinato, Mognato, Naccarato, Rotta, Crivellari, Martella, Murer, Casellato, Ginato, De Menech, Sbrollini, Zardini.
La Camera,
premesso che:
nel contesto definitivo del decreto Fare è stato correttamente posto il problema della difesa dei fondi per l'emittenza locale, e si è pertanto riusciti ad eliminare il taglio di 19 milioni di euro per l'anno 2013 e di 7,4 milioni di euro per l'anno 2014 che era stato ipotizzato nella stesura originaria del provvedimento;
in questo momento di drammatica crisi economica, che incide significativamente sulla raccolta pubblicitaria, ogni taglio ai fondi per l'emittenza locale rischierebbero di essere un colpo mortale a carico della PMI nel settore della comunicazione e dell'informazione, con effetti negativi che sarebbero potenzialmente devastanti sui livelli di occupazione, ma sopratutto sulla garanzia della pluralità dell'informazione;
l'emittenza locale è anche un'insostituibile volano di sostegno di tutto il tessuto della PMI locale che, attraverso tale strumento si veicola la pubblicità dei propri prodotti e guadagna e consolida i propri spazi di mercato;
appare pertanto indispensabile prevedere un urgente intervento di ripristino delle somme che sono state ometto di tagli pregressi al Fondo per l'emittenza locale; che la copertura economica per la restituzione dei fondi sottratti potrebbe essere trovata nel capitolo di spesa per il pagamento dei canoni di locazione degli immobili conferiti dallo Stato a fondi immobiliari, di cui al comma 139 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012» n. 228;
che in tal modo si darebbe davvero corso ai propositi enunciati dal Governo di effettuare tagli selettivi della spesa pubblica, i cui cespiti consentirebbero di sostenere la ripresa della PMI e la crescita economica del Paese,
impegna il Governo
a verificare la possibilità di reintegrare il fondo dell'emittenza locale delle somme stornate nei precedenti esercizi, attraverso coperture di spesa coerenti agli obiettivi generali di spending review enunciati dal Governo stesso.
9/1248-A-R/84. D'Agostino, Matarrese, Vargiu.
La Camera,
premesso che:
nell'ambito dell'esame dell'Atto Camera 1248 recante «Conversione in legge del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», sono stati approvati, nelle Commissioni riunite I e V, due articoli aggiuntivi, il 54-bis e il 54-ter, che prevedono, rispettivamente, modifiche alla legge n. 190 del 6 novembre 2012 in materia di «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione», nonché al decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39 concernente «Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190»;
in particolare, quanto al primo dei due articoli aggiuntivi, il 54-bis, si introducono modifiche alla disciplina della Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche in Autorità nazionale anticorruzione (CIVIT), prevedendo che l'Autorità esprima pareri facoltativi in materia di conformità di atti e comportamenti dei funzionari pubblici alla legge, ai codici di comportamento e ai contratti, collettivi e individuali, regolanti il rapporto di lavoro pubblico, agli organi dello Stato, e non più a tutte le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, bensì alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Ministri – Dipartimento della Funzione pubblica»;
alla stessa Presidenza, la CIVIT deve rendere pareri facoltativi per assicurare l'uniforme applicazione della legge 190/12 e dei decreti legislativi da essa previsti;
l'Autorità, su (sola) richiesta della Presidenza del Consiglio - Dipartimento della Funzione pubblica, è chiamata ad esprimere pareri facoltativi in materia di autorizzazioni allo svolgimento di incarichi esterni da parte dei dirigenti amministrativi dello Stato e degli enti pubblici nazionali. In seguito a tali pareri, si prevede che il Ministro della pubblica amministrazione e la semplificazione, tenuto conto degli stessi, emanerà proprie direttive;
quanto al secondo articolo aggiuntivo, il 54-ter, si interviene invece sull'attività relativa alla Vigilanza dell'Autorità, stabilendo che la stessa, a seguito di segnalazione della (sola) Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica, o d'ufficio, possa sospendere la procedura di conferimento dell'incarico con un proprio provvedimento che contiene osservazioni o rilievi sull'atto di conferimento dell'incarico, nonché segnalare il caso alla Corte dei conti per l'accertamento di eventuali responsabilità amministrative. L'amministrazione, ente pubblico o ente privato in controllo pubblico che intenda procedere al conferimento dell'incarico deve motivare l'atto tenendo conto delle osservazioni dell'Autorità;
l'Autorità nazionale anticorruzione, come modificata, anche rispetto alla interpretazione delle disposizioni del decreto legislativo 39 del 2013 e alla loro applicazione alle diverse fattispecie di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi, è chiamata ad esprimere pareri non più su iniziativa delle amministrazioni e degli enti interessati, ma sulla sola richiesta della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione Pubblica. Il Ministro della pubblica amministrazione e la semplificazione, tenuto conto dei pareri espressi dalla Autorità, emana quindi proprie direttive sull'interpretazione delle disposizioni del presente decreto e sulla loro applicazione alle diverse fattispecie di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi;
in relazione alle modifiche introdotte, in data 22 luglio 2013, con una formale presa di posizione, la dottoressa Romilda Rizzo, Presidente della CIVIT, ha espresso forte preoccupazione riguardo all'inopportunità di tali correttivi che lederebbero gravemente la piena autonomia nelle funzioni dell'autorità da lei presieduta,
impegna il Governo:
a valutare gli effetti applicativi degli articoli 54-bis e 54-ter, al fine di adottare eventuali iniziative normative volte ad evitare il grave vulnus che si verrebbe a creare rispetto all'autonomia e all'indipendenza della Commissione indipendente per la valutazione la trasparenza e l'integrità delle amministrazione pubbliche (Autorità nazionale Anticorruzione) nello svolgimento delle funzioni che le sono state attribuite dalla legge 6 novembre 2012, n. 190.
9/1248-A-R/85. Migliore, Pilozzi, Kronbichler, Marcon, Boccadutri, Melilla.
La Camera,
premesso che:
nell'ambito dell'esame dell'Atto Camera 1248 recante «Conversione in legge del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», sono stati approvati, nelle Commissioni riunite I e V, due articoli aggiuntivi, il 54-bis e il 54-ter, che prevedono, rispettivamente, modifiche alla legge n. 190 del 6 novembre 2012 in materia di «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione», nonché al decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39 concernente «Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190»;
in particolare, quanto al primo dei due articoli aggiuntivi, il 54-bis, si introducono modifiche alla disciplina della Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche in Autorità nazionale anticorruzione (CIVIT), prevedendo che l'Autorità esprima pareri facoltativi in materia di conformità di atti e comportamenti dei funzionari pubblici alla legge, ai codici di comportamento e ai contratti, collettivi e individuali, regolanti il rapporto di lavoro pubblico, agli organi dello Stato, e non più a tutte le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, bensì alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Ministri – Dipartimento della Funzione pubblica»;
alla stessa Presidenza, la CIVIT deve rendere pareri facoltativi per assicurare l'uniforme applicazione della legge 190/12 e dei decreti legislativi da essa previsti;
l'Autorità, su (sola) richiesta della Presidenza del Consiglio - Dipartimento della Funzione pubblica, è chiamata ad esprimere pareri facoltativi in materia di autorizzazioni allo svolgimento di incarichi esterni da parte dei dirigenti amministrativi dello Stato e degli enti pubblici nazionali. In seguito a tali pareri, si prevede che il Ministro della pubblica amministrazione e la semplificazione, tenuto conto degli stessi, emanerà proprie direttive;
quanto al secondo articolo aggiuntivo, il 54-ter, si interviene invece sull'attività relativa alla Vigilanza dell'Autorità, stabilendo che la stessa, a seguito di segnalazione della (sola) Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica, o d'ufficio, possa sospendere la procedura di conferimento dell'incarico con un proprio provvedimento che contiene osservazioni o rilievi sull'atto di conferimento dell'incarico, nonché segnalare il caso alla Corte dei conti per l'accertamento di eventuali responsabilità amministrative. L'amministrazione, ente pubblico o ente privato in controllo pubblico che intenda procedere al conferimento dell'incarico deve motivare l'atto tenendo conto delle osservazioni dell'Autorità;
l'Autorità nazionale anticorruzione, come modificata, anche rispetto alla interpretazione delle disposizioni del decreto legislativo 39 del 2013 e alla loro applicazione alle diverse fattispecie di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi, è chiamata ad esprimere pareri non più su iniziativa delle amministrazioni e degli enti interessati, ma sulla sola richiesta della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione Pubblica. Il Ministro della pubblica amministrazione e la semplificazione, tenuto conto dei pareri espressi dalla Autorità, emana quindi proprie direttive sull'interpretazione delle disposizioni del presente decreto e sulla loro applicazione alle diverse fattispecie di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi;
in relazione alle modifiche introdotte, in data 22 luglio 2013, con una formale presa di posizione, la dottoressa Romilda Rizzo, Presidente della CIVIT, ha espresso forte preoccupazione riguardo all'inopportunità di tali correttivi che lederebbero gravemente la piena autonomia nelle funzioni dell'autorità da lei presieduta,
impegna il Governo:
a valutare gli effetti applicativi degli articoli 54-bis e 54-ter, anche al fine di ridefinire i compiti in un'ottica di rafforzamento della civit.
9/1248-A-R/85. (Testo modificato nel corso della seduta) Migliore, Pilozzi, Kronbichler, Marcon, Boccadutri, Melilla.
La Camera,
in sede di esame del disegno di legge di conversione in legge del decreto-legge 21 giugno 2013, n.69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia;
premesso che:
l'articolo 18 del provvedimento in esame prevede, al comma 1, l'istituzione, nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di un Fondo con una dotazione complessiva pari a 2.069 milioni di euro ripartita per cinque anni, di cui: 1) 335 milioni di euro per l'anno 2013; 2) 405 milioni di euro per l'anno 2014; 3) 652 milioni di euro per l'anno 2015; 4) 535 milioni di euro per l'anno 2016; 5) 142 milioni di euro per l'anno 2017;
in particolare, il comma 1 dell'articolo 18 precisa che il citato Fondo è volto a consentire nell'anno 2013 la continuità dei cantieri in corso ovvero il perfezionamento degli atti contrattuali finalizzati all'avvio dei lavori;
detto Fondo ha delle caratteristiche di assoluta novità in quanto andrà a finanziare sia infrastrutture comprese nel Programma delle infrastrutture strategiche di cui alla legge n. 443 del 2001 (ed. «legge obiettivo») che opere non incluse in tale programma. Accanto ad interventi relativi alle infrastrutture strategiche il Fondo andrà a finanziare anche interventi di manutenzione del territorio e per la sua messa in sicurezza, nonché interventi di piccola dimensione. Si tratta, pertanto, di uno strumento di carattere straordinario giustificato dall'esigenza, enunciata nella norma e nelle relazioni di accompagnamento, di rilancio della realizzazione del settore infrastrutturale nell'attuale situazione economica;
con riguardo agli interventi finanziabili di carattere generico, essi riguardano: 1) il completamento delle infrastrutture di rilevanza strategica nazionale in corso di realizzazione; 2) il potenziamento dei nodi; 3) lo standard di interoperabilità dei corridoi europei e il miglioramento delle prestazioni della rete e dei servizi ferroviari; 4) il superamento di criticità sulle infrastrutture viarie concernenti ponti e gallerie;
per quanto riguarda invece gli specifici interventi finanziabili, essi riguardano: 1) il collegamento ferroviario funzionale tra la Regione Piemonte e la Valle d'Aosta; 2) l'asse di collegamento tra la strada statale 640 e l'autostrada A19 Agrigento – Caltanissetta; 3) gli assi autostradali Pedemontana Veneta e Tangenziale Esterna Est di Milano;
entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del provvedimento in commento con delibere CIPE possono essere finanziate, a valere sulle risorse del citato Fondo, nei limiti delle risorse annualmente disponibili: 1) l'asse viario Quadrilatero Umbria-Marche; 2) la tratta Colosseo-Piazza Venezia della linea C della metropolitana di Roma; 3) la linea M4 della metropolitana di Milano; 4) il collegamento Milano-Venezia secondo lotto Rho-Monza;
nel caso in cui non risultino attivabili altre fonti di finanziamento, con delibere del CIPE potranno altresì essere finanziati i seguenti interventi: 1) la linea 1 della metropolitana di Napoli; 2) l'asse autostradale Ragusa-Catania e la tratta Cancello-Frasso Telesino della linea AV/AC Napoli-Bari;
inoltre, il comma 11-bis dell'articolo 25, introdotto nel corso dell'esame in sede referente, attribuisce prioritariamente le risorse del Fondo di cui al comma 1 dell'articolo 18, qualora revocate in base a quanto disposto dal comma 11 del medesimo articolo, ad alcuni interventi ed infrastrutture, ovverosia: 1) il completamento della copertura del Passante ferroviario di Torino; 2) per la regione Piemonte, a titolo di contributo per spese sostenute per la realizzazione del collegamento Torino-Ceres/Aeroporto di Caselle; 3) al collegamento ferroviario Novara-Seregno-Malpensa (potenziamento e variante di Galliate); 4) per la regione Autonoma Friuli Venezia Giulia per la realizzazione della terza corsia della tratta autostradale A4 Quarto d'Altino-Villesse-Gorizia, al fine di consentire l'attuazione dell'O.P.C.M. 3702/2008 e successive modificazioni; 5) e infine gli interventi di soppressione ed automazione di passaggi a livello sulla rete ferroviaria mediante costruzione di idonei manufatti sostitutivi o deviazioni stradali o di miglioramento delle condizioni di esercizio di passaggi a livello non eliminabili, individuati, con priorità per la tratta terminale pugliese del corridoio ferroviario adriatico da Bologna a Lecce, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;
il progetto di potenziamento della linea ferroviaria Pontremolese, con l'obiettivo di realizzare una linea a doppio binario, di collegamento tra la pianura Padana e l'Europa Centrale, tra le regioni Toscana, Liguria e Emilia Romagna ed in particolare i porti di Livorno e La Spezia, era già presente nei piani FS negli anni ’80 e confermato nell'ambito delle necessità di potenziamento generale del collegamento Tirreno-Brennero (TI BRE);
sono già state realizzate le tratte in territorio ligure ed alcune tratte toscane ed emiliane. Il progetto preliminare del completamento della linea prevede: il raddoppio in variante ed in affiancamento con 3 lotti funzionali per uno sviluppo complessivo di 64 chilometri circa: Parma-Osteriazza, circa 25,5 chilometri; Berceto-Pontremoli, circa 21 chilometri; Pontremoli-Chiesaccia, circa 17,5 chilometri;
in sede di approvazione del progetto preliminare RFI individua quale lotto prioritario il Parma-Osteriazza, a sua volta suddiviso in 3 sub-lotti: Parma-Vicofertile Vicofertile-Collecchio, Collecchio-Osteriazza. Dei 3 sub-lotti vengono ritenuti prioritariamente funzionali i sub-lotti Parma-Vicofertile e Collecchio-Osteriazza,
impegna il Governo
ad adottare le opportune iniziative normative volte a finanziare il completamento del raddoppio della linea ferroviaria Parma-La Spezia «Pontremolese», nonché l'asse autostradale Salerno-Reggio Calabria.
9/1248-A-R/86. Nardi, Maestri, Quaranta, Aiello, Lacquaniti, Matarrelli, Ferrara, Pilozzi, Kronbichler, Marcon, Boccadutri, Melilla, Scotto, Mariani.
La Camera,
in sede di esame del disegno di legge di conversione in legge del decreto-legge 21 giugno 2013, n.69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia;
premesso che:
l'articolo 18 del provvedimento in esame prevede, al comma 1, l'istituzione, nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di un Fondo con una dotazione complessiva pari a 2.069 milioni di euro ripartita per cinque anni, di cui: 1) 335 milioni di euro per l'anno 2013; 2) 405 milioni di euro per l'anno 2014; 3) 652 milioni di euro per l'anno 2015; 4) 535 milioni di euro per l'anno 2016; 5) 142 milioni di euro per l'anno 2017;
in particolare, il comma 1 dell'articolo 18 precisa che il citato Fondo è volto a consentire nell'anno 2013 la continuità dei cantieri in corso ovvero il perfezionamento degli atti contrattuali finalizzati all'avvio dei lavori;
detto Fondo ha delle caratteristiche di assoluta novità in quanto andrà a finanziare sia infrastrutture comprese nel Programma delle infrastrutture strategiche di cui alla legge n. 443 del 2001 (ed. «legge obiettivo») che opere non incluse in tale programma. Accanto ad interventi relativi alle infrastrutture strategiche il Fondo andrà a finanziare anche interventi di manutenzione del territorio e per la sua messa in sicurezza, nonché interventi di piccola dimensione. Si tratta, pertanto, di uno strumento di carattere straordinario giustificato dall'esigenza, enunciata nella norma e nelle relazioni di accompagnamento, di rilancio della realizzazione del settore infrastrutturale nell'attuale situazione economica;
con riguardo agli interventi finanziabili di carattere generico, essi riguardano: 1) il completamento delle infrastrutture di rilevanza strategica nazionale in corso di realizzazione; 2) il potenziamento dei nodi; 3) lo standard di interoperabilità dei corridoi europei e il miglioramento delle prestazioni della rete e dei servizi ferroviari; 4) il superamento di criticità sulle infrastrutture viarie concernenti ponti e gallerie;
per quanto riguarda invece gli specifici interventi finanziabili, essi riguardano: 1) il collegamento ferroviario funzionale tra la Regione Piemonte e la Valle d'Aosta; 2) l'asse di collegamento tra la strada statale 640 e l'autostrada A19 Agrigento – Caltanissetta; 3) gli assi autostradali Pedemontana Veneta e Tangenziale Esterna Est di Milano;
entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del provvedimento in commento con delibere CIPE possono essere finanziate, a valere sulle risorse del citato Fondo, nei limiti delle risorse annualmente disponibili: 1) l'asse viario Quadrilatero Umbria-Marche; 2) la tratta Colosseo-Piazza Venezia della linea C della metropolitana di Roma; 3) la linea M4 della metropolitana di Milano; 4) il collegamento Milano-Venezia secondo lotto Rho-Monza;
nel caso in cui non risultino attivabili altre fonti di finanziamento, con delibere del CIPE potranno altresì essere finanziati i seguenti interventi: 1) la linea 1 della metropolitana di Napoli; 2) l'asse autostradale Ragusa-Catania e la tratta Cancello-Frasso Telesino della linea AV/AC Napoli-Bari;
inoltre, il comma 11-bis dell'articolo 25, introdotto nel corso dell'esame in sede referente, attribuisce prioritariamente le risorse del Fondo di cui al comma 1 dell'articolo 18, qualora revocate in base a quanto disposto dal comma 11 del medesimo articolo, ad alcuni interventi ed infrastrutture, ovverosia: 1) il completamento della copertura del Passante ferroviario di Torino; 2) per la regione Piemonte, a titolo di contributo per spese sostenute per la realizzazione del collegamento Torino-Ceres/Aeroporto di Caselle; 3) al collegamento ferroviario Novara-Seregno-Malpensa (potenziamento e variante di Galliate); 4) per la regione Autonoma Friuli Venezia Giulia per la realizzazione della terza corsia della tratta autostradale A4 Quarto d'Altino-Villesse-Gorizia, al fine di consentire l'attuazione dell'O.P.C.M. 3702/2008 e successive modificazioni; 5) e infine gli interventi di soppressione ed automazione di passaggi a livello sulla rete ferroviaria mediante costruzione di idonei manufatti sostitutivi o deviazioni stradali o di miglioramento delle condizioni di esercizio di passaggi a livello non eliminabili, individuati, con priorità per la tratta terminale pugliese del corridoio ferroviario adriatico da Bologna a Lecce, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;
il progetto di potenziamento della linea ferroviaria Pontremolese, con l'obiettivo di realizzare una linea a doppio binario, di collegamento tra la pianura Padana e l'Europa Centrale, tra le regioni Toscana, Liguria e Emilia Romagna ed in particolare i porti di Livorno e La Spezia, era già presente nei piani FS negli anni ’80 e confermato nell'ambito delle necessità di potenziamento generale del collegamento Tirreno-Brennero (TI BRE);
sono già state realizzate le tratte in territorio ligure ed alcune tratte toscane ed emiliane. Il progetto preliminare del completamento della linea prevede: il raddoppio in variante ed in affiancamento con 3 lotti funzionali per uno sviluppo complessivo di 64 chilometri circa: Parma-Osteriazza, circa 25,5 chilometri; Berceto-Pontremoli, circa 21 chilometri; Pontremoli-Chiesaccia, circa 17,5 chilometri;
in sede di approvazione del progetto preliminare RFI individua quale lotto prioritario il Parma-Osteriazza, a sua volta suddiviso in 3 sub-lotti: Parma-Vicofertile Vicofertile-Collecchio, Collecchio-Osteriazza. Dei 3 sub-lotti vengono ritenuti prioritariamente funzionali i sub-lotti Parma-Vicofertile e Collecchio-Osteriazza,
impegna il Governo:
a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, la possibilità di adottare le opportune iniziative normative volte a finanziare il completamento del raddoppio della linea ferroviaria Parma-La Spezia «Pontremolese», nonché l'asse autostradale Salerno-Reggio Calabria.
9/1248-A-R/86. (Testo modificato nel corso della seduta) Nardi, Maestri, Quaranta, Aiello, Lacquaniti, Matarrelli, Ferrara, Pilozzi, Kronbichler, Marcon, Boccadutri, Melilla, Scotto, Mariani.
La Camera,
premesso che:
all'articolo 73 dell'Atto Camera 1248 recante «Conversione in legge del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», per i laureati in giurisprudenza all'esito di un corso di durata almeno quadriennale, si prevede la possibilità del tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari;
in particolare, trattasi di stage della durata complessiva di diciotto mesi da effettuarsi presso le Corti di appello, i tribunali ordinari, gli uffici e i tribunali di sorveglianza e i tribunali per i minorenni;
il comma 8 dello stesso articolo prevede, tuttavia, che allo svolgimento dello stage non sia connesso alcun compenso, neanche sotto forma di rimborso spese;
considerato che in altro provvedimento del governo, il decreto legge 28 giugno 2013, n. 76 recante «Primi interventi urgenti per la promozione dell'occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti», la cui legge di conversione è attualmente in discussione al Senato, si prevede invece espressamente il rimborso spese per i partecipanti agli stage, non potrebbe non rappresentare una grave discrasia che il primo a venir meno a tale impegno verso gli stagisti sia proprio il governo, che vorrebbe tutelare invece gli stessi nel settore privato,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere un equo compenso per gli stagisti presso gli uffici giudiziari.
9/1248-A-R/87. Daniele Farina, Sannicandro, Migliore, Boccadutri, Di Salvo, Pilozzi, Marcon, Kronbichler, Piazzoni, Melilla.
La Camera,
premesso che:
all'articolo 73 dell'Atto Camera 1248 recante «Conversione in legge del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», per i laureati in giurisprudenza all'esito di un corso di durata almeno quadriennale, si prevede la possibilità del tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari;
in particolare, trattasi di stage della durata complessiva di diciotto mesi da effettuarsi presso le Corti di appello, i tribunali ordinari, gli uffici e i tribunali di sorveglianza e i tribunali per i minorenni;
il comma 8 dello stesso articolo prevede, tuttavia, che allo svolgimento dello stage non sia connesso alcun compenso, neanche sotto forma di rimborso spese;
considerato che in altro provvedimento del governo, il decreto legge 28 giugno 2013, n. 76 recante «Primi interventi urgenti per la promozione dell'occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti», la cui legge di conversione è attualmente in discussione al Senato, si prevede invece espressamente il rimborso spese per i partecipanti agli stage, non potrebbe non rappresentare una grave discrasia che il primo a venir meno a tale impegno verso gli stagisti sia proprio il governo, che vorrebbe tutelare invece gli stessi nel settore privato,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere un equo compenso per gli stagisti presso gli uffici giudiziari, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica.
9/1248-A-R/87. (Testo modificato nel corso della seduta) Daniele Farina, Sannicandro, Migliore, Boccadutri, Di Salvo, Pilozzi, Marcon, Kronbichler, Piazzoni, Melilla.
La Camera,
premesso che:
il decreto-legge n. 69 del 2013 all'articolo 48 prevede una modifica del Codice dell'ordinamento militare (decreto-legge n. 66 del 15 marzo 2010) che introduce un articolo sulla «Cooperazione con altri Stati per i materiali di armamento prodotti dall'industria nazionale»;
l'articolo prevede che il Ministero della Difesa, d'intesa con il Ministero degli Affari esteri può svolgere per conto di altri Stati esteri con i quali sussistono accordi di cooperazione o di reciproca assistenza tecnico-militare, attività di supporto tecnico-amministrativo, per l'acquisizione di materiale di armamento prodotti dall'industria nazionale anche in uso alle Forze armate e per correlate esigenze di sostegno logistico e assistenza tecnica;
attualmente sono in vigore accordi di cooperazione militare nel campo della difesa con Albania, Algeria, Arabia Saudita, Argentina, Brasile, Bulgaria, Repubblica Ceca, Cile, Corea del Sud, Croazia, Emirati Arabi, Estonia, Filippine, Finlandia, Georgia, Gibuti, Giordania, Grecia, India, Lettonia, Libano, Lituania, Repubblica Macedone, Malaysia, Malta, Moldova, Oman, Perù, Serbia, Slovenia, Spagna, Sudafrica, Svezia, Svizzera, Tunisia, Ucraina, Russia, USA, Uzbekistan e Vietnam;
tra i Paesi per cui il Ministero della Difesa potrà svolgere attività di intermediazione vi sono diversi paesi che, secondo autorevoli ed indipendenti osservatori internazionali, sono coinvolti in gravi violazioni dei diritti umani e conflitti;
tale attività del Ministero della Difesa è pertanto estremamente delicata e richiede quindi almeno un impegno alla trasparenza,
impegna il Governo:
ad inserire nella Relazione annuale inviata al Parlamento ai sensi della legge 9 luglio 1990, n. 185 e successive modificazioni, tutti i dettagli delle attività svolte dal Ministero della difesa in base all'articolo 48 del decreto-legge n. 69 del 2013 indicando specificatamente per singolo contratto: la natura del proprio supporto tecnico-amministrativo, la tipologia dei singoli materiali, il valore, la quantità e il Paese destinatario intermedio ed utilizzatore finale, il dettaglio dei rimborsi percepiti per tale attività in maniera univoca e collegata con le informazioni precedenti.
9/1248-A-R/88. Piras, Duranti.
La Camera,
premesso che:
il decreto-legge n. 69 del 2013 all'articolo 48 prevede una modifica del Codice dell'ordinamento militare (decreto-legge n. 66 del 15 marzo 2010) che introduce un articolo sulla «Cooperazione con altri Stati per i materiali di armamento prodotti dall'industria nazionale»;
l'articolo prevede che il Ministero della Difesa, d'intesa con il Ministero degli Affari esteri può svolgere per conto di altri Stati esteri con i quali sussistono accordi di cooperazione o di reciproca assistenza tecnico-militare, attività di supporto tecnico-amministrativo, per l'acquisizione di materiale di armamento prodotti dall'industria nazionale anche in uso alle Forze armate e per correlate esigenze di sostegno logistico e assistenza tecnica;
attualmente sono in vigore accordi di cooperazione militare nel campo della difesa con Albania, Algeria, Arabia Saudita, Argentina, Brasile, Bulgaria, Repubblica Ceca, Cile, Corea del Sud, Croazia, Emirati Arabi, Estonia, Filippine, Finlandia, Georgia, Gibuti, Giordania, Grecia, India, Lettonia, Libano, Lituania, Repubblica Macedone, Malaysia, Malta, Moldova, Oman, Perù, Serbia, Slovenia, Spagna, Sudafrica, Svezia, Svizzera, Tunisia, Ucraina, Russia, USA, Uzbekistan e Vietnam;
tra i Paesi per cui il Ministero della Difesa potrà svolgere attività di intermediazione vi sono diversi paesi che, secondo autorevoli ed indipendenti osservatori internazionali, sono coinvolti in gravi violazioni dei diritti umani e conflitti;
tale attività del Ministero della Difesa è pertanto estremamente delicata e richiede quindi almeno un impegno alla trasparenza,
impegna il Governo:
ad inserire nella Relazione annuale inviata al Parlamento ai sensi della legge 9 luglio 1990, n. 185 e successive modificazioni, tutti i dettagli delle attività svolte dal Ministero della difesa in base all'articolo 48 del decreto-legge n. 69 del 2013 indicando la natura del proprio supporto tecnico-amministrativo, la tipologia dei singoli materiali, il valore, la quantità e il Paese destinatario intermedio ed utilizzatore finale, il dettaglio dei rimborsi percepiti per tale attività in maniera univoca e collegata con le informazioni precedenti.
9/1248-A-R/88. (Testo modificato nel corso della seduta) Piras, Duranti.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame contiene all'articolo 18, commi 8 ed 8-bis, misure in materia di riqualificazione e messa in sicurezza degli edifici scolastici;
dopo 20 anni dalla sua messa al bando, l'amianto è presente ancora in oltre 2.400 le scuole italiane. Secondo una stima in difetto dell'Osservatorio – nazionale amianto, che fotografa la situazione drammatica in cui versano gli istituti scolastici, sono oltre 30mila, tra ragazzi, docenti, bidelli ed amministrativi, le persone esposte al rischio di sviluppare una patologia incurabile;
la presenza di questo materiale altamente nocivo, che aveva trovato fino al 1992 larghissimo impiego in moltissimi settori ed in particolare nell'edilizia, è distribuita in percentuali più o meno simili sull'intero territorio nazionale, ove si continua a morire, al ritmo di circa 5mila vittime l'anno, di patologie terribili che possono sorgere anche dopo 30-40 anni dalla prima esposizione all'agente patogeno;
di fatto in tutto il Paese si continua a rinvenire amianto in manufatti ancora in opera, soprattutto in grandi impianti a servizio di processi produttivi, navi e traghetti, oltre che negli ambienti di vita pubblica come, oltre alle scuole, gli ospedali e altri edifici aperti al pubblico, e, dunque, si rende necessario incentivarne la bonifica;
dal 1992 ad oggi, anno di emanazione della legge n. 257 in materia di cessazione dell'impiego dell'amianto, la stessa è stata soltanto parzialmente attuata per ciò che concerne la mappatura della presenza di amianto e la relativa bonifica, nonché per l'individuazione dei siti di discarica o le modalità di trattamento del materiale rimosso;
la vastità e la gravità del fenomeno è testimoniata anche dai dati derivanti dalla perimetrazione dei SIN (Siti di interesse nazionale), che ne individuano 57 su tutto il territorio nazionale, con il coinvolgimento di oltre 300 comuni e con una superficie interessata pari a 1.800 chilometri quadrati di aree marine, lagunari e lacustri e 5.500 chilometri quadrati di aree terrestri;
la legislazione italiana riconosce quali Siti d'Interesse Nazionale (SIN) quelle aree in cui l'inquinamento di suolo, sottosuolo, acque superficiali e sotterranee è talmente esteso e grave da costituire un serio pericolo per la salute pubblica e per l'ambiente naturale si tratta in generale di zone industriali dismesse, aree in cui l'attività industriale è ancora attiva, porti, ex miniere, cave, discariche non conformi alla legislazione, discariche abusive;
le bonifiche di queste aree possano favorire ricerca e innovazione, creare occupazione e salvaguardare territorio e salute umana. Per trasformarle da problema a opportunità ci sono però alcuni passaggi obbligati come la fine della gestione emergenziale, un Piano Nazionale per le bonifiche dei SIN che miri a investimenti legati a efficienza e sostenibilità, certezza sulle risorse finanziarie da parte del Governo e soprattutto un confronto aperto con le rappresentanze di cittadini, sindacati e associazioni ambientaliste;
attesi i positivi risultati già conseguiti nella bonifica di alcuni SIN, è necessario assicurare la continuità dei finanziamenti anche alla luce del fatto che la recentissima Legge 7.8.2012, n. 134 «Misure urgenti per la crescita del Paese ha previsto all'articolo 36-bis (Razionalizzazione dei criteri di individuazione dei siti di interesse nazionale), al comma 2-bis, che “Sono in ogni caso individuati quali siti di interesse nazionale, ai fini della bonifica, i siti interessati da attività produttive ed estrattive di amianto”»;
secondo il Piano Nazionale Amianto pubblicato nel marzo u.s. dal Ministero della Salute, in funzione dei finanziamenti disponibili, tra i circa 380 siti in classe di rischio 1 devono essere individuati quelli caratterizzati da più diffusa rilevanza sociale ed ambientale come ad esempio scuole, caserme ed ospedali in contesto urbano;
sempre secondo il suddetto Piano, per gli interventi di messa in sicurezza di emergenza si può stimare un fabbisogno immediato di alcune decine di milioni di euro;
è necessario coinvolgere il Ministero dell'Istruzione per mettere in atto e completare nell'arco temporale di tre – cinque anni, in modo omogeneo a livello nazionale, i necessari interventi di bonifica degli edifici scolastici, garantendo la prevenzione nei confronti della popolazione più giovane;
il reperimento delle risorse finanziarie può essere coadiuvato da interventi di defiscalizzazione delle attività di bonifica, come ad esempio la sostituzione delle coperture con pannelli fotovoltaici, oppure prevedere l'esclusione dei fondi destinati alla bonifica dell'amianto dal «Patto di Stabilita»,
impegna il Governo:
a procedere senza ulteriori rinvii ad assumere tutte le iniziative, anche normative, per la completa bonifica dall'amianto nelle scuole italiane, recuperando in tempi rapidi le risorse già stanziate ed i fondi europei già destinati, ed escludendo, ai fini del computo del saldo finanziario rilevante per la verifica del rispetto del Patto di stabilità interno di cui agli articoli 31 e 32 della legge 12 novembre 2011, n. 183, le spese in conto capitale effettuate da regioni ed enti locali mediante utilizzo delle risorse proprie e delle risorse provenienti dallo Stato, necessarie per la realizzazione di opere immediatamente cantierabili finalizzate alla messa in sicurezza ed alla bonifica dell'amianto negli edifici scolastici;
ad assumere iniziative normative atte ad escludere dal saldo finanziario del Patto di Stabilità le spese sostenute dagli enti locali per interventi finalizzati alla bonifica dei Siti di interesse nazionale (SIN), ed a favorire l'autorizzazione di nuovi siti dedicati allo smaltimento, anche mediante l'impiego di cave e miniere dismesse gestite e controllate da enti pubblici.
9/1248-A-R/89. Lavagno, Pilozzi, Zaratti, Melilla, Antezza.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame contiene all'articolo 18, commi 8 ed 8-bis, misure in materia di riqualificazione e messa in sicurezza degli edifici scolastici;
dopo 20 anni dalla sua messa al bando, l'amianto è presente ancora in oltre 2.400 le scuole italiane. Secondo una stima in difetto dell'Osservatorio – nazionale amianto, che fotografa la situazione drammatica in cui versano gli istituti scolastici, sono oltre 30mila, tra ragazzi, docenti, bidelli ed amministrativi, le persone esposte al rischio di sviluppare una patologia incurabile;
la presenza di questo materiale altamente nocivo, che aveva trovato fino al 1992 larghissimo impiego in moltissimi settori ed in particolare nell'edilizia, è distribuita in percentuali più o meno simili sull'intero territorio nazionale, ove si continua a morire, al ritmo di circa 5mila vittime l'anno, di patologie terribili che possono sorgere anche dopo 30-40 anni dalla prima esposizione all'agente patogeno;
di fatto in tutto il Paese si continua a rinvenire amianto in manufatti ancora in opera, soprattutto in grandi impianti a servizio di processi produttivi, navi e traghetti, oltre che negli ambienti di vita pubblica come, oltre alle scuole, gli ospedali e altri edifici aperti al pubblico, e, dunque, si rende necessario incentivarne la bonifica;
dal 1992 ad oggi, anno di emanazione della legge n. 257 in materia di cessazione dell'impiego dell'amianto, la stessa è stata soltanto parzialmente attuata per ciò che concerne la mappatura della presenza di amianto e la relativa bonifica, nonché per l'individuazione dei siti di discarica o le modalità di trattamento del materiale rimosso;
la vastità e la gravità del fenomeno è testimoniata anche dai dati derivanti dalla perimetrazione dei SIN (Siti di interesse nazionale), che ne individuano 57 su tutto il territorio nazionale, con il coinvolgimento di oltre 300 comuni e con una superficie interessata pari a 1.800 chilometri quadrati di aree marine, lagunari e lacustri e 5.500 chilometri quadrati di aree terrestri;
la legislazione italiana riconosce quali Siti d'Interesse Nazionale (SIN) quelle aree in cui l'inquinamento di suolo, sottosuolo, acque superficiali e sotterranee è talmente esteso e grave da costituire un serio pericolo per la salute pubblica e per l'ambiente naturale si tratta in generale di zone industriali dismesse, aree in cui l'attività industriale è ancora attiva, porti, ex miniere, cave, discariche non conformi alla legislazione, discariche abusive;
le bonifiche di queste aree possano favorire ricerca e innovazione, creare occupazione e salvaguardare territorio e salute umana. Per trasformarle da problema a opportunità ci sono però alcuni passaggi obbligati come la fine della gestione emergenziale, un Piano Nazionale per le bonifiche dei SIN che miri a investimenti legati a efficienza e sostenibilità, certezza sulle risorse finanziarie da parte del Governo e soprattutto un confronto aperto con le rappresentanze di cittadini, sindacati e associazioni ambientaliste;
attesi i positivi risultati già conseguiti nella bonifica di alcuni SIN, è necessario assicurare la continuità dei finanziamenti anche alla luce del fatto che la recentissima Legge 7.8.2012, n. 134 «Misure urgenti per la crescita del Paese ha previsto all'articolo 36-bis (Razionalizzazione dei criteri di individuazione dei siti di interesse nazionale), al comma 2-bis, che “Sono in ogni caso individuati quali siti di interesse nazionale, ai fini della bonifica, i siti interessati da attività produttive ed estrattive di amianto”»;
secondo il Piano Nazionale Amianto pubblicato nel marzo u.s. dal Ministero della Salute, in funzione dei finanziamenti disponibili, tra i circa 380 siti in classe di rischio 1 devono essere individuati quelli caratterizzati da più diffusa rilevanza sociale ed ambientale come ad esempio scuole, caserme ed ospedali in contesto urbano;
sempre secondo il suddetto Piano, per gli interventi di messa in sicurezza di emergenza si può stimare un fabbisogno immediato di alcune decine di milioni di euro;
è necessario coinvolgere il Ministero dell'Istruzione per mettere in atto e completare nell'arco temporale di tre – cinque anni, in modo omogeneo a livello nazionale, i necessari interventi di bonifica degli edifici scolastici, garantendo la prevenzione nei confronti della popolazione più giovane;
il reperimento delle risorse finanziarie può essere coadiuvato da interventi di defiscalizzazione delle attività di bonifica, come ad esempio la sostituzione delle coperture con pannelli fotovoltaici, oppure prevedere l'esclusione dei fondi destinati alla bonifica dell'amianto dal «Patto di Stabilita»,
impegna il Governo:
a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di procedere senza ulteriori rinvii ad assumere tutte le iniziative, anche normative, per la completa bonifica dall'amianto nelle scuole italiane, recuperando in tempi rapidi le risorse già stanziate ed i fondi europei già destinati, ed escludendo, ai fini del computo del saldo finanziario rilevante per la verifica del rispetto del Patto di stabilità interno di cui agli articoli 31 e 32 della legge 12 novembre 2011, n. 183, le spese in conto capitale effettuate da regioni ed enti locali mediante utilizzo delle risorse proprie e delle risorse provenienti dallo Stato, necessarie per la realizzazione di opere immediatamente cantierabili finalizzate alla messa in sicurezza ed alla bonifica dell'amianto negli edifici scolastici;
ad assumere iniziative normative atte ad escludere dal saldo finanziario del Patto di Stabilità le spese sostenute dagli enti locali per interventi finalizzati alla bonifica dei Siti di interesse nazionale (SIN), ed a favorire l'autorizzazione di nuovi siti dedicati allo smaltimento, anche mediante l'impiego di cave e miniere dismesse gestite e controllate da enti pubblici.
9/1248-A-R/89. (Testo modificato nel corso della seduta) Lavagno, Pilozzi, Zaratti, Melilla, Antezza.
La Camera,
premesso che:
il decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227, all'articolo 3 in materia di programmazione forestale, prevede al comma 1, l'emanazione di linee guida da parte del Ministero delle politiche agricole e forestali e del Ministero dell'ambiente sulla cui base le Regioni definiscono le linee di tutela, conservazione, valorizzazione e sviluppo del settore forestale nel territorio di loro competenza attraverso la redazione e la revisione dei propri piani forestali;
con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 16 giugno 2005 sono state quindi emanate le suddette «Linee guida di programmazione forestale», relativamente agli interventi per una gestione forestale sostenibile, e all'individuazione di obiettivi strategici della politica forestale nazionale; l'articolo 1, punto V, delle Linee guida di programmazione forestale prevede un fabbisogno finanziario per la realizzazione dei piani di cui alle presenti linee guida è stimato in termini programmatici in 250 milioni di euro per ciascun anno del biennio 2006-2007;
nessuna risorsa è stata in seguito stanziata e ripartita tra le Regioni; la legge n. 296 del 2006 (Finanziaria 2007) prevede, al comma 1082 dell'articolo 1, un programma quadro per il settore forestale finalizzato a favorire la gestione forestale sostenibile e a valorizzare la multifunzionalità degli ecosistemi forestali. Le azioni previste dal programma quadro possono accedere alle risorse di cui all'articolo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, nei limiti definiti dal CIPE nella deliberazione di cui allo stesso articolo 61, comma 3, della citata legge n. 289 del 2002.»;
il comma 1084 dell'articolo 1 ha disposto che per l'attuazione dei piani nazionali di settore, compreso quello forestale, di competenza del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, è autorizzata la spesa di 10 milioni di euro per l'anno 2007 e di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009;
nessuna risorsa è stata in seguito stanziata e ripartita tra le Regioni;
il Programma Quadro per il Settore Forestale (PQSF), oggetto dell'Accordo sancito il 18 dicembre 2008, prevede 25 azioni chiave da sostenere per l'attuazione dell'obiettivo di Piano di incentivare la gestione forestale sostenibile al fine di tutelare il territorio, contenere il cambiamento climatico, attivando e rafforzando la filiera forestale dalla sua base produttiva e garantendo, nel lungo termine, la diversità delle risorse forestali; Il PQSF è uno strumento di programmazione nazionale fondamentale per la manutenzione del territorio, redatto e pienamente concordato con le Regioni, e i Piani forestali regionali sono ad esso conformi. Pertanto gli interventi e le azioni di manutenzione del territorio in questi previsti sarebbero immediatamente cantierabili; si rammenta, infine, la discussione alla Camera dei deputati su alcune mozioni sulla messa in sicurezza del territorio e la loro approvazione avvenuta lo scorso 26 giugno, testimoniano la sensibilità dell'istituzione al tema della prevenzione dei dissesti tramite l'auspicato finanziamento di un programma di manutenzione e di messa in sicurezza del territorio, con particolare riguardo alla gestione sostenibile dei boschi, alle sistemazioni idrauliche e agli interventi idrogeologici,
impegna il Governo:
a individuare, fin dalla prossima legge di stabilità, le risorse necessarie per il finanziamento del Programma Quadro per il Settore Forestale, per l'attuazione della gestione forestale sostenibile e, di conseguenza, per finanziare gli interventi e le azioni dei piani forestali regionali, ai fini della manutenzione e messa in sicurezza del nostro territorio, interventi ed azioni con certo e positivo riflesso anche per le positive ricadute occupazionali.
9/1248-A-R/90. Zan, Zaratti, Pellegrino, Marcon, Pilozzi, Boccadutri, Melilla, Kronbichler, Gadda.
La Camera,
premesso che:
il decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227, all'articolo 3 in materia di programmazione forestale, prevede al comma 1, l'emanazione di linee guida da parte del Ministero delle politiche agricole e forestali e del Ministero dell'ambiente sulla cui base le Regioni definiscono le linee di tutela, conservazione, valorizzazione e sviluppo del settore forestale nel territorio di loro competenza attraverso la redazione e la revisione dei propri piani forestali;
con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 16 giugno 2005 sono state quindi emanate le suddette «Linee guida di programmazione forestale», relativamente agli interventi per una gestione forestale sostenibile, e all'individuazione di obiettivi strategici della politica forestale nazionale; l'articolo 1, punto V, delle Linee guida di programmazione forestale prevede un fabbisogno finanziario per la realizzazione dei piani di cui alle presenti linee guida è stimato in termini programmatici in 250 milioni di euro per ciascun anno del biennio 2006-2007;
nessuna risorsa è stata in seguito stanziata e ripartita tra le Regioni; la legge n. 296 del 2006 (Finanziaria 2007) prevede, al comma 1082 dell'articolo 1, un programma quadro per il settore forestale finalizzato a favorire la gestione forestale sostenibile e a valorizzare la multifunzionalità degli ecosistemi forestali. Le azioni previste dal programma quadro possono accedere alle risorse di cui all'articolo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, nei limiti definiti dal CIPE nella deliberazione di cui allo stesso articolo 61, comma 3, della citata legge n. 289 del 2002.»;
il comma 1084 dell'articolo 1 ha disposto che per l'attuazione dei piani nazionali di settore, compreso quello forestale, di competenza del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, è autorizzata la spesa di 10 milioni di euro per l'anno 2007 e di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009;
nessuna risorsa è stata in seguito stanziata e ripartita tra le Regioni;
il Programma Quadro per il Settore Forestale (PQSF), oggetto dell'Accordo sancito il 18 dicembre 2008, prevede 25 azioni chiave da sostenere per l'attuazione dell'obiettivo di Piano di incentivare la gestione forestale sostenibile al fine di tutelare il territorio, contenere il cambiamento climatico, attivando e rafforzando la filiera forestale dalla sua base produttiva e garantendo, nel lungo termine, la diversità delle risorse forestali; Il PQSF è uno strumento di programmazione nazionale fondamentale per la manutenzione del territorio, redatto e pienamente concordato con le Regioni, e i Piani forestali regionali sono ad esso conformi. Pertanto gli interventi e le azioni di manutenzione del territorio in questi previsti sarebbero immediatamente cantierabili; si rammenta, infine, la discussione alla Camera dei deputati su alcune mozioni sulla messa in sicurezza del territorio e la loro approvazione avvenuta lo scorso 26 giugno, testimoniano la sensibilità dell'istituzione al tema della prevenzione dei dissesti tramite l'auspicato finanziamento di un programma di manutenzione e di messa in sicurezza del territorio, con particolare riguardo alla gestione sostenibile dei boschi, alle sistemazioni idrauliche e agli interventi idrogeologici,
impegna il Governo:
a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, la possibilità di individuare, fin dalla prossima legge di stabilità, le risorse necessarie per il finanziamento del Programma Quadro per il Settore Forestale, per l'attuazione della gestione forestale sostenibile e, di conseguenza, per finanziare gli interventi e le azioni dei piani forestali regionali, ai fini della manutenzione e messa in sicurezza del nostro territorio, interventi ed azioni con certo e positivo riflesso anche per le positive ricadute occupazionali.
9/1248-A-R/90. (Testo modificato nel corso della seduta) Zan, Zaratti, Pellegrino, Marcon, Pilozzi, Boccadutri, Melilla, Kronbichler, Gadda.
La Camera,
premesso che:
il costo dell'energia elettrica in Italia, per molteplici ragioni di tipo strutturale, economico e giuridico, negli ultimi anni è stato molto al di sopra della media europea costituendo un pesante limite allo sviluppo dell'industria e un fardello per le famiglie italiane;
negli ultimi anni, fattori concomitanti come la crisi economica e la diffusione massiccia delle fonti energetiche rinnovabili, hanno contribuito a ridurre drasticamente il Prezzo medio dell'energia elettrica scambiata sul mercato riavvicinandolo agli standard europei;
in particolare le fonti rinnovabili, producendo energia a costi marginali pari a zero, hanno avuto un ruolo decisivo nell'abbassare i costi dell'energia elettrica specie nelle ore centrali della giornata;
uno dei principali strumenti che ha consentito tale diffusione è stato l'istituto dello «scambio sul posto» (SSP) che consente al proprietario di un impianto a fonte rinnovabile di scambiare il valore dell'energia prodotta dal proprio impianto con quella effettivamente prelevata dalla rete;
oggi questo istituto presenta dei limiti che ne impediscono un pieno dispiegamento dal momento che gli incentivi pubblici volgono correttamente al termine e che le tecnologie delle fonti rinnovabili, in primis quella fotovoltaico ed eolica, possono essere competitive sul mercato senza bisogno di incentivi pubblici ma in un quadro giuridico certo e favorevole;
in particolare, lo scambio sul posto, per poter ampliare i suoi effetti sul costo complessivo dell'energia, necessita di cambiamenti normativi volti ad aumentare la potenza dell'impianto entro la quale è possibile fruire dello scambio sul posto e di eliminare il principio dell'obbligo di coincidenza fisica del punto di immissione in rete dell'energia rinnovabile prodotta e del punto di prelievo dell'energia dalla rete;
ciò amplierebbe in maniera considerevole la platea di soggetti in grado di fruire dell'istituto, attesa che spesso i tetti delle abitazioni e dei capannoni industriali non consentono di installare il proprio impianto;
in ogni caso, tali cambiamenti dovrebbero avvenire tenendo conto dei costi di dispacciamento e degli oneri di gestione della rete elettrica,
impegna il Governo:
a elaborare e approvare una proposta di modifica della disciplina dell'istituto dello «Scambio sul posto», di cui alla Delibera AEEG 74/2008, basata sui seguenti principi:
innalzamento della potenza massima dell'impianto entro la quale poter fruire dello scambio sul posto;
eliminazione dell'obbligo di coincidenza fisica tra i punti di immissione e di prelievo per tutti gli utenti che si avvalgono dello scambio sul posto (SSP), tenuto degli oneri di dispacciamento, trasmissione e gestione della rete elettrica.
9/1248-A-R/91. Piazzoni, Pilozzi, Zaratti, Zan, Lacquaniti, Pellegrino.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 57 del decreto legge reca interventi ministeriali diretti al sostegno e allo sviluppo delle attività di ricerca fondamentale e di ricerca industriale, mediante la concessione di contributi alla spesa nel limite del 50 per cento della quota relativa alla contribuzione a fondo perduto disponibili sul Fondo per la ricerca applicata (FAR);
il FAR fu creato nel 1999 proprio con lo scopo di riordinare e razionalizzare tutto il sistema di agevolazione alla ricerca industriale gestito dal MIUR (all'epoca MURST);
gli interventi da finanziare riguardano principalmente lo sviluppo di start up innovative e di spin off universitari, la valorizzazione di progetti di social innovation per giovani con meno di 30 anni, il potenziamento del rapporto tra il mondo della ricerca pubblica e le imprese, il potenziamento infrastrutturale delle università e degli enti pubblici di ricerca;
in pratica il Governo utilizza risorse già destinate alla ricerca, procedendo ad una diversa ripartizione e, in parte, diversa finalizzazione, ma non ne stanzia di nuove;
in particolare, il comma 1, alla lettera i), dispone che i contributi sono destinati anche al «ai supporto e alla incentivazione dei ricercatori che risultino vincitori di grant europei o di progetti a carico dei fondi PRIN o FIRB»;
così come è formulata, la disposizione sembra voler dire che il sostegno economico viene assicurato ad integrazione delle somme derivanti da grant europei o da PRIN o FIRB, ma tali programmi coprono già completamente i costi della ricerca e dei ricercatori;
sarebbe necessario che il Governo chiarisse che il sostegno economico viene dato per progetti ulteriori elaborati da ricercatori che abbiano fatto parte di team di ricerca finanziati da progetti europei, PRIN o FIRB;
inoltre, è fondamentale che il Governo chiarisca che i beneficiari degli incentivi alla ricerca siano non solo i vincitori, ma tutti i ricercatori che abbiano fatti parte di team di ricerca finanziati da grant europei o da PRIN o FIRB;
infatti, il vincitore è soltanto uno, ma i risultati scientifici e le elaborazioni dei progetti vanno ascritti anche e soprattutto all'intero team di ricercatori e non solo chi lo ha vinto;
in caso contrario verrebbero danneggiati i ricercatori più giovani, che pur essendo coloro che più attivamente partecipano a ricerche scientifiche, finanziati da grant europei o da PRIN o FIRB, non possiedono i requisiti per poterne essere presentatori e vincitori,
impegna il Governo
ad adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere, nell'ambito del comma 1, lettera i), dell'articolo 57, che il sostegno e l'incentivazione è per progetti di ricerca ulteriori elaborati da ricercatori che risultino aver partecipato – e non solo che ne siano vincitori – a progetti finanziati da grant europei o a progetti a carico dei fondi PRIN o FIRB.
9/1248-A-R/92. Giancarlo Giordano, Costantino, Fratoianni.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 59 del decreto legge stanzia risorse per l'erogazione di «borse per la mobilità» a favore di studenti che, avendo conseguito risultati scolastici eccellenti, intendano iscriversi a corsi di laurea in regioni diverse da quella di residenza;
l'articolo prevede che venga predisposta una graduatoria unica nazionale dei vincitori delle borse di studio, al cui pagamento provvederanno direttamente le Università con le risorse ad esse trasferite dal Ministero;
condizione per l'assegnazione delle borse di studio è che lo studente si iscriva presso una università collocata in regione diversa da quella di residenza della propria famiglia;
in considerazione di tale condizione, il giudizio su tali borse di studio non può che essere negativo, in quanto promuovono la «migrazione» di studenti dalle università ubicate nelle regioni di residenza verso quelle di altre regioni;
già oggi esiste un problema di trasferimento massiccio di studenti universitari dalle Università del Sud a quelle del Nord, che determina un forte impoverimento del tessuto sociale, economico e politico delle regioni del Mezzogiorno. Molti studenti che migrano per studiare non fanno ritorno nelle proprie regioni una volta laureati;
occorre favorire i più meritevoli e meno abbienti che vogliano iscriversi all'università, ma senza costringerli alla migrazione. Tale obiettivo può essere raggiunto aumentando le risorse per il diritto allo studio che sono sempre più ridotte,
impegna il Governo:
a individuare e stanziare maggiori risorse per il diritto allo studio universitario, a favore di giovani meritevoli e non abbienti, senza costringerli ad abbandonare – per usufruire del diritto, le regioni di residenza.
9/1248-A-R/93. Costantino, Fratoianni, Giancarlo Giordano.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 59 del decreto legge stanzia risorse per l'erogazione di «borse per la mobilità» a favore di studenti che, avendo conseguito risultati scolastici eccellenti, intendano iscriversi a corsi di laurea in regioni diverse da quella di residenza;
l'articolo prevede che venga predisposta una graduatoria unica nazionale dei vincitori delle borse di studio, al cui pagamento provvederanno direttamente le Università con le risorse ad esse trasferite dal Ministero;
condizione per l'assegnazione delle borse di studio è che lo studente si iscriva presso una università collocata in regione diversa da quella di residenza della propria famiglia;
in considerazione di tale condizione, il giudizio su tali borse di studio non può che essere negativo, in quanto promuovono la «migrazione» di studenti dalle università ubicate nelle regioni di residenza verso quelle di altre regioni;
già oggi esiste un problema di trasferimento massiccio di studenti universitari dalle Università del Sud a quelle del Nord, che determina un forte impoverimento del tessuto sociale, economico e politico delle regioni del Mezzogiorno. Molti studenti che migrano per studiare non fanno ritorno nelle proprie regioni una volta laureati;
occorre favorire i più meritevoli e meno abbienti che vogliano iscriversi all'università, ma senza costringerli alla migrazione. Tale obiettivo può essere raggiunto aumentando le risorse per il diritto allo studio che sono sempre più ridotte,
impegna il Governo:
a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, la possibilità di individuare e stanziare maggiori risorse per il diritto allo studio universitario, a favore di giovani meritevoli e non abbienti, senza costringerli ad abbandonare – per usufruire del diritto, le regioni di residenza.
9/1248-A-R/93. (Testo modificato nel corso della seduta) Costantino, Fratoianni, Giancarlo Giordano.
La Camera,
premesso che:
con riferimento alle professioni regolamentate, il decreto legge 138 del 2011, all'articolo 3, comma 5, ha disposto che con decreto del Presidente della Repubblica, gli ordinamenti professionali devono essere riformati anche al fine di prevedere, tra l'altro, l'obbligo da parte del professionista di stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall'esercizio dell'attività professionale. Le condizioni generali delle polizze assicurative possono essere negoziate, in convenzione con i propri iscritti, dai Consigli Nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti; il suddetto decreto del Presidente della Repubblica, del 7 agosto 2012, n. 137, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 14 agosto 2012, n. 189, e all'articolo 5 ha disposto che il suindicato obbligo di assicurazione «acquista efficacia decorsi dodici mesi dall'entrata in vigore del presente decreto»;
il termine quindi per la stipula di un'assicurazione obbligatoria da parte dei professionisti per i danni derivanti al cliente dall'esercizio dell'attività professionale, è fissato al 15 agosto 2013. Da questa data il professionista, al momento dell'assunzione dell'incarico, sarà tenuto a riferire al cliente gli estremi della polizza e il relativo massimale;
il disegno di legge di conversione in esame, prevede all'articolo 44, comma 4-quater, che unicamente per gli esercenti le professioni sanitarie, gli obblighi di assicurazione, si applicano decorsi due anni dalla data di entrata in vigore del suddetto decreto del Presidente della Repubblica. L'obbligatorietà scatta quindi ad agosto 2014, un anno dopo quanto previsto per gli altri ordini professionali,
impegna il Governo:
ad adottare ulteriori iniziative normative volte ad estendere la prevista proroga per la stipula di un'assicurazione obbligatoria da parte dei professionisti, ora concessa esclusivamente per le professioni sanitarie, anche alle altre categorie professionali, di cui all'articolo 3, del decreto legge 138 del 2011.
9/1248-A-R/94. Pellegrino, Brandolin, Gandolfi, Garofalo, Oliverio, Manfredi, Rizzetto.
La Camera,
premesso che:
con riferimento alle professioni regolamentate, il decreto legge 138 del 2011, all'articolo 3, comma 5, ha disposto che con decreto del Presidente della Repubblica, gli ordinamenti professionali devono essere riformati anche al fine di prevedere, tra l'altro, l'obbligo da parte del professionista di stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall'esercizio dell'attività professionale. Le condizioni generali delle polizze assicurative possono essere negoziate, in convenzione con i propri iscritti, dai Consigli Nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti; il suddetto decreto del Presidente della Repubblica, del 7 agosto 2012, n. 137, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 14 agosto 2012, n. 189, e all'articolo 5 ha disposto che il suindicato obbligo di assicurazione «acquista efficacia decorsi dodici mesi dall'entrata in vigore del presente decreto»;
il termine quindi per la stipula di un'assicurazione obbligatoria da parte dei professionisti per i danni derivanti al cliente dall'esercizio dell'attività professionale, è fissato al 15 agosto 2013. Da questa data il professionista, al momento dell'assunzione dell'incarico, sarà tenuto a riferire al cliente gli estremi della polizza e il relativo massimale;
il disegno di legge di conversione in esame, prevede all'articolo 44, comma 4-quater, che unicamente per gli esercenti le professioni sanitarie, gli obblighi di assicurazione, si applicano decorsi due anni dalla data di entrata in vigore del suddetto decreto del Presidente della Repubblica. L'obbligatorietà scatta quindi ad agosto 2014, un anno dopo quanto previsto per gli altri ordini professionali,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di estendere la proroga per la stipula di un'assicurazione obbligatoria da parte dei professionisti, ora concessa esclusivamente per le professioni sanitarie, anche alle altre categorie professionali, di cui all'articolo 3, del decreto legge 138 del 2011.
9/1248-A-R/94. (Testo modificato nel corso della seduta) Pellegrino, Brandolin, Gandolfi, Garofalo, Oliverio, Manfredi, Rizzetto.
La Camera,
premesso che:
il Presidente del Consiglio Letta ha ribadito in più di una occasione l'importanza della valorizzazione della cultura (intesa sia come tutela del patrimonio culturale si come produzione culturale) e l'impegno dell'esecutivo in tal senso;
l'articolo 11 del provvedimento proroga di un solo anno le agevolazioni scadenti il 31 dicembre prossimo per la produzione, la distribuzione e l'esercizio per il settore cinematografico, disponendo uno stanziamento ridotto del 50 per cento delle risorse inizialmente previste che ammontavano a 90 milioni per tre anni;
lo stanziamento di 45 milioni di euro è insufficiente a raggiungere i sopraddetti scopi, sia per l'esiguità della somma (si tenga conto che, negli anni 2011 e 2011, sono stati utilizzati dagli interessati crediti d'imposta per circa 70 milioni di euro annui), sia per la mancanza di previsioni per gli anni successivi al prossimo, il che costituisce un fattore fortemente disincentivante all'uso dell'agevolazione;
l'attività del settore cinematografico, è fortemente connotata dalla necessità di programmazione a lunga scadenza e da utili e significative certezze, soprattutto in questo difficile frangente economico, sul mantenimento di uno strumento di sostegno che ha dato, in questi primi quattro anni di attuazione, ottimi risultati, tanto da essere considerato ormai imprescindibile per il cinema italiano;
una quota ridotta di tax credit renderebbe di fatto inutile e ingestibile la misura, bloccando nell'immediato il 90 per cento dei film prodotti sul territorio e facendo perdere già da quest'anno occupazione a oltre 2500 lavoratori del settore;
la mancanza di adeguate risorse metterebbe a rischio l'arrivo di produzioni estere sul territorio italiano e, nel contempo, provocherebbe la delocalizzazione all'estero delle produzioni, vanificando l'impatto sul territorio, anche grazie all'incremento del turismo;
si annullerebbe in tal modo l'effetto virtuoso dell'emersione del lavoro sommerso, praticamente azzerato nel settore grazie all'introduzione del tax credit, per non dimenticare che il 40 per cento delle sale cinematografiche, in prevalenza piccole e medie strutture, non potrà digitalizzare gli impianti, rischiando così la chiusura,
impegna il Governo:
a considerare, nella predisposizione della prossima legge di stabilità o attraverso ogni altra iniziativa, anche di tipo normativo, che riterrà idonea, l'opportunità e necessità di assicurare risorse adeguate all'agevolazione di cui in premessa e valutarne una sua doverosa stabilizzazione e consolidamento come misura permanente per lo sviluppo del cinema italiano.
9/1248-A-R/95. Andrea Romano, Zanetti, Nesi.
La Camera,
premesso che:
il Presidente del Consiglio Letta ha ribadito in più di una occasione l'importanza della valorizzazione della cultura (intesa sia come tutela del patrimonio culturale si come produzione culturale) e l'impegno dell'esecutivo in tal senso;
l'articolo 11 del provvedimento proroga di un solo anno le agevolazioni scadenti il 31 dicembre prossimo per la produzione, la distribuzione e l'esercizio per il settore cinematografico, disponendo uno stanziamento ridotto del 50 per cento delle risorse inizialmente previste che ammontavano a 90 milioni per tre anni;
lo stanziamento di 45 milioni di euro è insufficiente a raggiungere i sopraddetti scopi, sia per l'esiguità della somma (si tenga conto che, negli anni 2011 e 2011, sono stati utilizzati dagli interessati crediti d'imposta per circa 70 milioni di euro annui), sia per la mancanza di previsioni per gli anni successivi al prossimo, il che costituisce un fattore fortemente disincentivante all'uso dell'agevolazione;
l'attività del settore cinematografico, è fortemente connotata dalla necessità di programmazione a lunga scadenza e da utili e significative certezze, soprattutto in questo difficile frangente economico, sul mantenimento di uno strumento di sostegno che ha dato, in questi primi quattro anni di attuazione, ottimi risultati, tanto da essere considerato ormai imprescindibile per il cinema italiano;
una quota ridotta di tax credit renderebbe di fatto inutile e ingestibile la misura, bloccando nell'immediato il 90 per cento dei film prodotti sul territorio e facendo perdere già da quest'anno occupazione a oltre 2500 lavoratori del settore;
la mancanza di adeguate risorse metterebbe a rischio l'arrivo di produzioni estere sul territorio italiano e, nel contempo, provocherebbe la delocalizzazione all'estero delle produzioni, vanificando l'impatto sul territorio, anche grazie all'incremento del turismo;
si annullerebbe in tal modo l'effetto virtuoso dell'emersione del lavoro sommerso, praticamente azzerato nel settore grazie all'introduzione del tax credit, per non dimenticare che il 40 per cento delle sale cinematografiche, in prevalenza piccole e medie strutture, non potrà digitalizzare gli impianti, rischiando così la chiusura,
impegna il Governo:
a considerare, nella predisposizione della prossima legge di stabilità o attraverso ogni altra iniziativa, anche di tipo normativo, che riterrà idonea, l'opportunità di assicurare risorse adeguate all'agevolazione di cui in premessa e valutarne una sua doverosa stabilizzazione e consolidamento come misura permanente per lo sviluppo del cinema italiano.
9/1248-A-R/95. (Testo modificato nel corso della seduta) Andrea Romano, Zanetti, Nesi.
La Camera,
premesso che:
il costo dell'energia elettrica in Italia, per molteplici ragioni di tipo strutturale, economico e giuridico, negli ultimi anni è stato molto al di sopra della media europea costituendo un pesante limite allo sviluppo dell'industria e un fardello per le famiglie italiane;
negli ultimi anni, fattori concomitanti come la crisi economica e la diffusione massiccia delle fonti energetiche rinnovabili, hanno contribuito a ridurre drasticamente il Prezzo medio dell'energia elettrica scambiata sul mercato riavvicinandolo agli standard europei;
il sistema degli incentivi pubblici in favore dei soggetti che utilizzano bioliquidi per la produzione di energia termica ed elettrica è stato concepito per ridurre la dipendenza dall'estero del sistema Italia e aumentare la competitività delle imprese che fruiscono degli incentivi;
nella maggioranza dei casi infatti, i soggetti che utilizzano tale forma di incentivi utilizzano per le esigenze proprie e per le società ad esse collegate l'energia elettrica e termica prodotta dagli impianti;
ciò ha consentito a tali imprese di restare competitive sul mercato nazionale e internazionale abbassando notevolmente l'incidenza dei costi energetici, notoriamente i più alti in Europa;
l'articolo 5, comma 7, del disegno di legge in esame, riguarda il mancato aumento degli incentivi per l'energia elettrica prodotta da biocombustibili liquidi. Detto comma abroga infatti i commi 7-bis, 7-ter e 7-quater dell'articolo 25 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, come introdotti dalla legge di stabilità 2013; in tal modo si abrogano quindi le norme della legge stabilità 2013, che prevedevano una maggiorazione degli incentivi all'elettricità prodotta da biocombustibili liquidi entro un limite massimo di ore annue di funzionamento, che doveva essere definito con decreto ministeriale. Non ci sarà, quindi il ritocco al rialzo previsto, che avrebbe consentito, a patto di ridurre la produzione, di avere incentivi maggiorati a tutti gli impianti esistenti da «bioliquidi sostenibili»;
in sostituzione del suddetto meccanismo di incentivazione, il comma 7-bis, ne introduce un altro, lasciando la possibilità ai titolari di impianti di generazione energia elettrica alimentati da bioliquidi sostenibili entrati in esercizio entro il 31 dicembre 2012 di opzione tra il mantenimento al diritto agli incentivi spettanti sulla produzione di energia elettrica, come riconosciuti alla data di entrata in esercizio, oppure un meccanismo che prevede un aumento degli incentivi spettanti nei primi due anni e una riduzione negli anni successivi, o comunque entro la fine del periodo di incentivazione su una produzione di energia pari a quella sulla quale è stato riconosciuto il predetto incremento. L'incremento è applicato sul coefficiente moltiplicativo spettante per gli impianti a certificati verdi e, per gli impianti a tariffa onnicomprensiva, sulla tariffa omnicomprensiva spettante al netto del prezzo di cessione dell'energia elettrica definito dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas;
dunque la riduzione degli incentivi, così come approvata, andrebbe ad arrecare danni economici notevoli poiché gli investimenti pianificati ed effettuati si sono basati su un livello di incentivi previsto dalla legge in vigore;
le ripercussioni sui livelli occupazionali di molte imprese andrebbero ad aggravare una già pesante situazione sociale in molti territori;
sarebbe dunque corretto mantenere il livello degli incentivi in favore dei bioliquidi sostenibili, quantomeno a favore di quegli impianti operanti in assetto cogenerativo e la cui generazione sia destinata, principalmente, ad alimentare, siti industriali, artigianali, dei servizi, complessi produttivi, attività industriali collegate e con forte propensione all'esportazione, anche indirettamente per il tramite di società partecipate,
impegna il Governo
ad adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere adeguati incentivi in favore dei bioliquidi sostenibili per gli impianti operanti in assetto cogenerativo e la cui generazione sia destinata, principalmente, ad alimentare, siti industriali, artigianali, dei servizi, complessi produttivi, attività industriali collegate e con forte propensione all'esportazione, anche indirettamente per il tramite di società partecipate.
9/1248-A-R/96. Pilozzi, Zaratti, Zan, Pellegrino, Piazzoni.
La Camera,
premesso che:
il costo dell'energia elettrica in Italia, per molteplici ragioni di tipo strutturale, economico e giuridico, negli ultimi anni è stato molto al di sopra della media europea costituendo un pesante limite allo sviluppo dell'industria e un fardello per le famiglie italiane;
negli ultimi anni, fattori concomitanti come la crisi economica e la diffusione massiccia delle fonti energetiche rinnovabili, hanno contribuito a ridurre drasticamente il Prezzo medio dell'energia elettrica scambiata sul mercato riavvicinandolo agli standard europei;
il sistema degli incentivi pubblici in favore dei soggetti che utilizzano bioliquidi per la produzione di energia termica ed elettrica è stato concepito per ridurre la dipendenza dall'estero del sistema Italia e aumentare la competitività delle imprese che fruiscono degli incentivi;
nella maggioranza dei casi infatti, i soggetti che utilizzano tale forma di incentivi utilizzano per le esigenze proprie e per le società ad esse collegate l'energia elettrica e termica prodotta dagli impianti;
ciò ha consentito a tali imprese di restare competitive sul mercato nazionale e internazionale abbassando notevolmente l'incidenza dei costi energetici, notoriamente i più alti in Europa;
l'articolo 5, comma 7, del disegno di legge in esame, riguarda il mancato aumento degli incentivi per l'energia elettrica prodotta da biocombustibili liquidi. Detto comma abroga infatti i commi 7-bis, 7-ter e 7-quater dell'articolo 25 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, come introdotti dalla legge di stabilità 2013; in tal modo si abrogano quindi le norme della legge stabilità 2013, che prevedevano una maggiorazione degli incentivi all'elettricità prodotta da biocombustibili liquidi entro un limite massimo di ore annue di funzionamento, che doveva essere definito con decreto ministeriale. Non ci sarà, quindi il ritocco al rialzo previsto, che avrebbe consentito, a patto di ridurre la produzione, di avere incentivi maggiorati a tutti gli impianti esistenti da «bioliquidi sostenibili»;
in sostituzione del suddetto meccanismo di incentivazione, il comma 7-bis, ne introduce un altro, lasciando la possibilità ai titolari di impianti di generazione energia elettrica alimentati da bioliquidi sostenibili entrati in esercizio entro il 31 dicembre 2012 di opzione tra il mantenimento al diritto agli incentivi spettanti sulla produzione di energia elettrica, come riconosciuti alla data di entrata in esercizio, oppure un meccanismo che prevede un aumento degli incentivi spettanti nei primi due anni e una riduzione negli anni successivi, o comunque entro la fine del periodo di incentivazione su una produzione di energia pari a quella sulla quale è stato riconosciuto il predetto incremento. L'incremento è applicato sul coefficiente moltiplicativo spettante per gli impianti a certificati verdi e, per gli impianti a tariffa onnicomprensiva, sulla tariffa omnicomprensiva spettante al netto del prezzo di cessione dell'energia elettrica definito dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas;
impegna il Governo
a verificare gli effetti applicativi dei commi 7 e 7-bis dell'articolo 5, tenendo conto delle misure finora vigenti in materia al fine di una evoluzione del comparto di cui in premessa che consideri le potenzialità produttive, economiche ed occupazionali dello stesso nel medio-lungo periodo – ferme restando le esigenze di contenimento della spesa complessiva per gli incentivi erogati – valutando la possibilità di tenere conto della presenza degli impianti operanti in assetto co-generativo e la cui generazione sia destinata principalmente ad alimentare siti industriali.
9/1248-A-R/96. (Testo modificato nel corso della seduta) Pilozzi, Zaratti, Zan, Pellegrino, Piazzoni.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 56 del provvedimento al nostro esame prevede la proroga del termine di versamento dell'imposta sulle transazioni finanziarie dal 16 luglio (data prevista dall'ultima Legge di Stabilità) al 16 ottobre 2013;
nello specifico la proroga interessa tutte le operazioni regolate a decorrere dal primo marzo 2013 e negoziate dopo il 28 febbraio scorso e gli ordini inviati dal primo marzo 2013 per l'imposta «antispeculazione» che riguarda i sistemi di trading ad alta frequenza;
l'imposta sulle transazioni finanziarie scatta in caso di trasferimento della proprietà di azioni emesse da società residenti in Italia. Entro il 16 luglio, termine fissato dalla Legge di stabilità 2013, gli intermediari avrebbero dovuto corrispondere l'ITF applicando per quest'anno un'aliquota dello 0,22 per cento per i trasferimenti che avvengono in mercati regolamentati e sistemi multilaterali di negoziazione;
la posticipazione del pagamento dell'Imposta sulle transazioni finanziarie è una scelta immotivata e per questo inaccettabile, anche perché conferma il segnale di disimpegno verso la tassazione di rendite e ricchezze. La stampa ha dato notizia che lo spostamento sarebbe motivato dalla mancanza di «indicazioni sui criteri e le modalità di versamento che dovevano essere definiti dall'Agenzia delle entrate»;
se questo fosse vero si configurerebbe, ad avviso dei presentatori del presente atto di indirizzo, una gravissima responsabilità dell'Agenzia che avrebbe ritardato la messa in opera della legge. Ma se, invece, fosse utilizzato come motivazione per giustificare il rinvio, si configurerebbe, sempre ad avviso dei presentatori del presente atto di indirizzo, di una altrettanto grave forma di boicottaggio politico di riforme fiscali che colpiscono interessi consolidati. Inoltre tale scelta ha come conseguenza la riduzione del gettito previsto (- 6,75 milioni per il 2013);
nelle proposte dei movimenti che lottano contro la speculazione finanziaria e da parte di svariati economisti, la ITF dovrebbe essere un'imposta (dell'ordine dello 0,05 per cento) su ogni transazione finanziaria. Gli impatti sono trascurabili per chi opera con orizzonti di lungo periodo, mentre diventano tanto più rilevanti quanto più gli obiettivi sono di breve termine. Si tratta di una delle misure più efficaci per frenare la speculazione e per ridurre l'instabilità sui mercati finanziari. Dopo anni di campagne delle reti della società civile, finalmente, ad inizio 2013, la Commissione europea ha pubblicato una propria bozza di direttiva, che deve ora essere discussa e approvata dalle altre istituzioni europee;
la proposta di un ITF nasce come strumento per «gettare un granello di sabbia negli ingranaggi della speculazione», intervenendo a monte per bloccarne gli impatti devastanti. In attesa del percorso europeo, con l'ultima legge di stabilità, il governo Monti (articolo 1, commi 491-500, legge n. 228/2012) ha introdotto l'ITF in Italia;
la disposizione inserita dal Governo Monti nella legge di stabilità 2013 introduceva un'imposta di bollo, una proposta debole che non prevede di tassare i derivati mentre non si colpisce il trading ad alta frequenza, tanto per fare due esempi;
viceversa, occorrerebbe essere più incisivi sul versante dei derivati, in particolare per tassare i derivati a prescindere da quale sia lo strumento finanziario trattato (il 98% non riguardano azioni) e mantenere ad ogni costo l'imposta sugli scambi ad alta frequenza,
impegna il Governo:
a prendere le opportune iniziative, anche legislative, al fine di adeguare la normativa nazionale entro 6 mesi dall'approvazione della proposta di direttiva COM (2013) 71, prevedendo in particolare:
a) l'introduzione del principio di emissione a complemento del più generale principio di residenza, onde limitare quanto più possibile i fenomeni di delocalizzazione degli istituti finanziari;
b) l'applicazione dell'imposta sulle transazioni finanziarie a tutti i derivati, anche a quelli negoziati fuori mercato, ai prodotti strutturati e alle operazioni realizzate intra-gruppo o da intermediari finanziari inclusi gli hedge fund;
e, da subito, a prendere le opportune iniziative, anche legislative, per modificare le norme nazionali vigenti in materia di Imposta sulle transazioni finanziarie, al fine di:
1) definire il valore della transazione come valore della singola operazione, e non più come «saldo netto delle transazioni regolate giornalmente relative al medesimo strumento finanziario e concluse nella stessa giornata operativa da un medesimo soggetto, ovvero il corrispettivo versato», allo scopo di contrastare le operazioni speculative veloci e ripetute;
2) applicare l'ITF anche ai derivati che hanno come sottostante titoli di Stato.
9/1248-A-R/97. Marcon, Pilozzi, Boccadutri, Melilla, Ragosta, Paglia, Lavagno.
La Camera,
premesso che:
in riferimento alle problematiche riguardanti il settore portuale italiano e in particolare l'attuazione dell'autonomia finanziaria delle Autorità Portuali;
ritenuto che tale attuazione rappresenta uno dei principali strumenti atti a favorire lo sviluppo dei porti al fine di garantire il finanziamento degli interventi di manutenzione, messa in sicurezza e riqualificazione dei porti italiani contribuendo in tal modo anche all'avvio di numerosi cantieri dando così un contributo importante alla ripresa economica e occupazionale;
preso atto che il decreto-legge 69 del 2013, all'articolo 22, prevede apprezzabili misure per l'aumento della produttività nei porti come l'aumento da 70 a 90 milioni di euro, a partire dall'anno 2013 e seguenti, da destinare agli investimenti alla messa in sicurezza, alla manutenzione e alla riqualificazione strutturale degli ambiti portuali;
sottolineato il ruolo strategico della portualità per la ripresa e lo sviluppo del Paese, e per favorire la competitività del sistema Paese,
impegna il Governo:
ad adottare ulteriori iniziative normative affinché, a partire dal 2014, venga data progressiva attuazione all'autonomia finanziaria destinando il due per cento dell'imposta sul valore aggiunto dovuta sull'importazione delle merci introdotte nel territorio nazionale per il tramite di ciascun porto.
9/1248-A-R/98. Tullo, Meta, Velo, Pagani, Mauri, Mognato, Brandolin, Bruno Bossio, Giacobbe, Basso.
La Camera,
premesso che:
in riferimento alle problematiche riguardanti il settore portuale italiano e in particolare l'attuazione dell'autonomia finanziaria delle Autorità Portuali;
ritenuto che tale attuazione rappresenta uno dei principali strumenti atti a favorire lo sviluppo dei porti al fine di garantire il finanziamento degli interventi di manutenzione, messa in sicurezza e riqualificazione dei porti italiani contribuendo in tal modo anche all'avvio di numerosi cantieri dando così un contributo importante alla ripresa economica e occupazionale;
preso atto che il decreto-legge 69 del 2013, all'articolo 22, prevede apprezzabili misure per l'aumento della produttività nei porti come l'aumento da 70 a 90 milioni di euro, a partire dall'anno 2013 e seguenti, da destinare agli investimenti alla messa in sicurezza, alla manutenzione e alla riqualificazione strutturale degli ambiti portuali;
sottolineato il ruolo strategico della portualità per la ripresa e lo sviluppo del Paese, e per favorire la competitività del sistema Paese,
impegna il Governo:
a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di adottare ulteriori iniziative normative affinché venga data progressiva attuazione ad una più ampia autonomia finanziaria di ciascun porto.
9/1248-A-R/98. (Testo modificato nel corso della seduta) Tullo, Meta, Velo, Pagani, Mauri, Mognato, Brandolin, Bruno Bossio, Giacobbe, Basso.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in commento reca disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, tra cui, particolare importanza per i settori economici del Paese rivestono quelle per la semplificazione amministrativa e di riduzione degli oneri per le imprese;
le problematiche connesse con la manutenzione dei corsi d'acqua e la prevenzione del dissesto idrogeologico, con particolare riguardo per le zone montane e collinari hanno avuto un fondamentale passaggio con l'entrata in vigore dei Piani di assetto idrogeologici (PAI);
i medesimi PAI, ai fini della tutela dell'assetto idrogeologico, prevedono specifici tagli di vegetazione da eseguirsi nell'ambito di interventi di manutenzione idraulica ai sensi del regio decreto 25 luglio 1904, n. 523 (Testo unico sulle opere idrauliche) nelle zone comprese nella fascia A dei piani di assetto idrogeologico per i corsi d'acqua per i quali queste sono definite, nelle zone comprese entro una fascia di 10 metri dal ciglio di sponda per gli altri corsi d'acqua nonché nelle pari di isole fluviali interessate dalla piena ordinaria;
tale procedura viene particolarmente resa difficoltosa, onerosa e rallentata dalle previsioni di autorizzazione richieste e prescritte dall'articolo 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio),
impegna il Governo:
a modificare la norma del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228 (orientamento e modernizzazione del settore forestale), stabilendo in via semplificatoria che i predetti interventi di taglio vegetazionale eseguiti nell'ambito di interventi di manutenzione idraulica, che non comportano alterazione permanente dello stato dei luoghi, non costituiscono attività selvicolturale, e pertanto per essi non venga richiesta l'autorizzazione prescritta dall'articolo 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio).
9/1248-A-R/99. Borghi, Bargero.
La Camera,
premesso che:
straordinari eventi sismici hanno interessato tutto il territorio della Lunigiana e della Garfagnana nel mese di giugno 2013;
i danni subiti sono ingenti, valutati per circa 70 miliardi di euro e circa 1000 abitazioni sono inagibili o parzialmente inagibili nei territori della Lunigiana (in particolare nei comuni di Fivizzano e Casola) e circa 500 abitazioni danneggiate nei territori della Garfagnana;
gli eventi sismici, considerati straordinarietà, purtroppo, nel corso di questi ultimi anni, sono diventati quasi «ordinarietà» e costringono, gioco forza, istituzioni, enti, imprese, società civile, semplici cittadini, a ripensare e rivedere il modello di sviluppo che, dovrà, necessariamente, risultare più attento alle esigenze del territorio;
dopo le prime fasi dell'emergenza, in cui tutto il sistema di protezione civile ha più che egregiamente fronteggiato l'incalzare dei tragici eventi assieme alle forze dello Stato, di concerto con il pronto intervento della regione Toscana e delle squadre di volontariato regionale e provinciale, nonché l'impegno dei sindaci e degli enti locali, occorre adesso mettere mano alle operazioni di messa in sicurezza del territorio e delle abitazioni nonché allo stanziamento di finanziamenti per la ricostruzione di tutte le aree danneggiate degli immobili; si tratta, è evidente, di un'opera ricostruttiva rilevante che, da prime valutazioni, prevede uno sforzo di carattere finanziario di circa 70 milioni di euro e che le finanze della provincia e dei comuni non possono assolutamente sostenere, avendo l'obbligo di fare riferimento ai vincoli di spesa che sono imposti dal patto di stabilità;
non sono state assunte iniziative volte a prevedere uno stanziamento per le gravi problematiche che si sono evidenziate come per tutte le altre emergenze che hanno riguardato diverse province e comuni italiani,
impegna il Governo:
a valutare la possibilità di assumere concrete iniziative prevedendo il rifinanziamento del fondo nazionale della protezione civile, consentendo alla stessa di ottenere le funzioni di guida e di gestione della ricostruzione delle aree danneggiate oppure attraverso un provvedimento legislativo che possa far fronte alle emergenze consentendo così di procedere alle messe in sicurezza, al ripristino e alle riparazioni di immobili, così come sono stati resi disponibili i fondi per cittadini ed imprese che abbiano subito danni in seguito al terremoto nei territori di Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia con un decreto legge del 24 aprile 2013;
a valutare la possibilità di consentire ai comuni interessati dagli eventi sismici in questione e in particolare Fivizzano, Casola in Lunigiana e Minucciano, di escludere dal patto di stabilità le spese per investimenti in opere pubbliche anche per il rilancio dell'economia in queste zone così già duramente colpite.
9/1248-A-R/100. Rigoni.
La Camera,
premesso che
il provvedimento in commento reca disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, tra cui, particolare importanza per i settori economici del Paese rivestono quelle per la semplificazione amministrativa e per il rilancio delle infrastrutture. In tale ambito l'articolo 18 reca una pluralità di interventi immediatamente finanziabili e cantierabili, con l'obiettivo di contribuire a far ripartire la crescita economica dell'Italia;
in particolare il comma 10 prevede un programma di interventi di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie della rete stradale di interesse nazionale in gestione all'ANAS Spa, che soffre di un significativo debito manutentore e che richiede, in particolare, interventi di messa in sicurezza e ripristino delle opere (ponti, viadotti, gallerie) anche in considerazione del tempo trascorso dalla costruzione che, in numerosi casi, supera la durata della «vita utile» prevista progettualmente;
il decreto legislativo 12 giugno 2003, n. 210, di recepimento della direttiva 2000/9/CE in materia di impianti a fune, ha prodotto una sostanziale evoluzione della normativa tecnica del settore e sembrerebbe contrastare con la normativa nazionale contenuta nel decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 2 gennaio 1985, in particolare, per quello che riguarda il concetto di «vita tecnica» degli impianti a fune; infatti al pari della «vita utile» prevista per ponti, viadotti e galleria, la «vita tecnica» degli impianti a fune, come intesa dal DM 2 gennaio 1985, è il periodo di utilizzo massimo per ogni impianto, nel corso del quale la sicurezza e la regolarità del servizio possono ritenersi garantite;
la Direttiva comunitaria 2000/9/CE, innova ed integra il concetto di «vita tecnica», considerando rilevante l'effettiva durata dell'esercizio dell'impianto e lo stato di usura dei vari componenti e non fissa rigide scadenze per l'integrale sostituzione degli impianti stessi. Infatti utilizzando i sistemi di controllo e revisione attualmente in uso possono essere garantiti i criteri di sicurezza per i viaggiatori stabiliti sia dal decreto ministeriale 2 gennaio 1985 che dalla direttiva europea 2000/9/CE affrancandosi dalla necessità di predeterminare un termine oltre il quale è vietato il funzionamento dell'impianto;
la mancata uniforme applicazione sul territorio nazionale della normativa in oggetto, nonché il mancato adeguamento alla regolamentazione europea per le fattispecie previste, produce forti effetti distorsivi per la concorrenza, a favore di regioni – italiane ed europee – le quali, potendo usufruire di normative meno rigide, hanno oneri di ammortamento degli impianti meno gravosi e conseguentemente costi di esercizio più competitivi,
impegna il Governo:
ad uniformare la disciplina in parola per gli impianti a fune di cui al decreto legislativo 12 giugno 2003, n. 210 e ricompresi anche nell'ambito di applicazione del decreto ministeriale 2 gennaio 1985, al fine di poter valutare e definire correttamente la vita tecnica degli impianti in rapporto all'effettivo utilizzo e stato di usura degli stessi;
a valutare l'opportunità, nelle more dell'adeguamento normativo e nel rispetto delle esigenze di sicurezza degli utenti, di procedere ad una ulteriore proroga dei termini di scadenza degli impianti di cui al decreto ministeriale 2 gennaio 1985.
9/1248-A-R/101. Velo, Bini, Rotta, Fanucci.
La Camera,
premesso che
il provvedimento in commento reca disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, tra cui, particolare importanza per i settori economici del Paese rivestono quelle per la semplificazione amministrativa e per il rilancio delle infrastrutture. In tale ambito l'articolo 18 reca una pluralità di interventi immediatamente finanziabili e cantierabili, con l'obiettivo di contribuire a far ripartire la crescita economica dell'Italia;
in particolare il comma 10 prevede un programma di interventi di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie della rete stradale di interesse nazionale in gestione all'ANAS Spa, che soffre di un significativo debito manutentore e che richiede, in particolare, interventi di messa in sicurezza e ripristino delle opere (ponti, viadotti, gallerie) anche in considerazione del tempo trascorso dalla costruzione che, in numerosi casi, supera la durata della «vita utile» prevista progettualmente;
il decreto legislativo 12 giugno 2003, n. 210, di recepimento della direttiva 2000/9/CE in materia di impianti a fune, ha prodotto una sostanziale evoluzione della normativa tecnica del settore e sembrerebbe contrastare con la normativa nazionale contenuta nel decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 2 gennaio 1985, in particolare, per quello che riguarda il concetto di «vita tecnica» degli impianti a fune; infatti al pari della «vita utile» prevista per ponti, viadotti e galleria, la «vita tecnica» degli impianti a fune, come intesa dal DM 2 gennaio 1985, è il periodo di utilizzo massimo per ogni impianto, nel corso del quale la sicurezza e la regolarità del servizio possono ritenersi garantite;
la Direttiva comunitaria 2000/9/CE, innova ed integra il concetto di «vita tecnica», considerando rilevante l'effettiva durata dell'esercizio dell'impianto e lo stato di usura dei vari componenti e non fissa rigide scadenze per l'integrale sostituzione degli impianti stessi. Infatti utilizzando i sistemi di controllo e revisione attualmente in uso possono essere garantiti i criteri di sicurezza per i viaggiatori stabiliti sia dal decreto ministeriale 2 gennaio 1985 che dalla direttiva europea 2000/9/CE affrancandosi dalla necessità di predeterminare un termine oltre il quale è vietato il funzionamento dell'impianto;
la mancata uniforme applicazione sul territorio nazionale della normativa in oggetto, nonché il mancato adeguamento alla regolamentazione europea per le fattispecie previste, produce forti effetti distorsivi per la concorrenza, a favore di regioni – italiane ed europee – le quali, potendo usufruire di normative meno rigide, hanno oneri di ammortamento degli impianti meno gravosi e conseguentemente costi di esercizio più competitivi,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di uniformare la disciplina in parola per gli impianti a fune di cui al decreto legislativo 12 giugno 2003, n. 210 e ricompresi anche nell'ambito di applicazione del decreto ministeriale 2 gennaio 1985, al fine di poter valutare e definire correttamente la vita tecnica degli impianti in rapporto all'effettivo utilizzo e stato di usura degli stessi;
a valutare l'opportunità, nelle more dell'adeguamento normativo e nel rispetto delle esigenze di sicurezza degli utenti, di procedere ad una ulteriore proroga dei termini di scadenza degli impianti di cui al decreto ministeriale 2 gennaio 1985.
9/1248-A-R/101. (Testo modificato nel corso della seduta) Velo, Bini, Rotta, Fanucci.
La Camera,
in occasione dell'esame del disegno di legge A.C. n. 1248 di conversione del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia;
premesso che:
l'articolo 39 reca modifiche al Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 142 del 2004) in tema di uso individuale dei beni culturali e di autorizzazione paesaggistica;
considerato che in materia di semplificazione della pianificazione paesaggistica appare opportuno riconsiderare il rapporto tra pianificazione paesaggistica e pianificazione territoriale delle aree naturali protette, al fine di evitare duplicazioni di ruoli e funzioni, nonché certezza della disciplina di tutela delle aree protette, garantendo un adeguato coordinamento della pianificazione paesaggistica con gli altri strumenti di pianificazione,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di introdurre, nell'ambito di uno dei prossimi provvedimenti in materia di semplificazione, le opportune modifiche agli articoli 135 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 142 del 2004) al fine di prevedere che nelle more della formazione del Piano paesaggistico, nei territori delle aree naturali protette per il quali sia vigente il Piano del parco o il Piano di gestione, le competenze in materia di autorizzazione paesaggistica siano esercitate sulla base del Piano dei parco o del Piano di gestione e che le previsioni contenute nel Piano del parco o del Piano di gestione, qualora approvati in recepimento della normativa in materia di tutela del paesaggio, siano prevalenti sulle previsioni dei Piani paesaggistici.
9/1248-A-R/102. Braga, Valiante.
La Camera,
in occasione dell'esame del disegno di legge A.C. n. 1248 di conversione del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia;
premesso che:
l'articolo 39 reca modifiche al Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 142 del 2004) in tema di uso individuale dei beni culturali e di autorizzazione paesaggistica;
considerato che in materia di semplificazione della pianificazione paesaggistica appare opportuno riconsiderare il rapporto tra pianificazione paesaggistica e pianificazione territoriale delle aree naturali protette, al fine di evitare duplicazioni di ruoli e funzioni, nonché certezza della disciplina di tutela delle aree protette, garantendo un adeguato coordinamento della pianificazione paesaggistica con gli altri strumenti di pianificazione,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di introdurre, nell'ambito di uno dei prossimi provvedimenti in materia di semplificazione, le opportune modifiche agli articoli 135 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 142 del 2004) al fine di prevedere che nelle more della formazione del Piano paesaggistico, nei territori delle aree naturali protette per il quali sia vigente il Piano del parco o il Piano di gestione, le competenze in materia di autorizzazione paesaggistica siano esercitate sulla base del Piano dei parco o del Piano di gestione.
9/1248-A-R/102. (Testo modificato nel corso della seduta) Braga, Valiante.
La Camera,
premesso che:
negli scorsi mesi vi è stato ampio dibattito politico sulle condizioni di assoluta incertezza normativa ed economico-finanziaria nelle quali gli enti locali sono stati costretti a chiudere il consuntivo 2012;
in particolare, secondo le disposizioni di cui all'articolo 13, comma 12-bis del decreto-legge 201 del 2011 i comuni iscrivono nel bilancio di previsione l'entrata da imposta municipale propria in base agli importi stimati dal Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze per ciascun comune. L'accertamento convenzionale non dà diritto al riconoscimento da parte dello Stato dell'eventuale differenza tra gettito accertato convenzionalmente e gettito reale;
a tale situazione di diffusa precarietà in un momento storico già di per sé molto complesso dal punto di vista legislativo ed economico, si aggiungono i gravosi tagli previsti dall'articolo 16, comma 6, del decreto-legge n. 95/2012 che rendono in alcuni casi quasi impossibile programmare ed erogare i servizi minimi essenziali ai propri cittadini;
proprio per le difficoltà oggettive di approvazione del bilancio di previsione l'articolo 1, comma 381 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 ha differito il termine di approvazione del bilancio di previsione 2013 prima al 30 giugno e successivamente al 30 settembre;
poiché secondo l'articolo 163, comma 1, della legge 18 agosto del 2000, n. 267 gli enti locali in esercizio provvisorio possono effettuare, per ciascun intervento, spese in misura non superiore mensilmente ad un dodicesimo delle somme previste nel bilancio deliberato, con esclusione delle spese tassativamente regolate dalla legge o non suscettibili di pagamento frazionato in dodicesimi,
impegna il Governo:
a prevedere una modifica del decreto legislativo 18 agosto del 2000, n. 267 (TUEL) che consenta agli enti locali, nelle more di approvazione del bilancio di previsione, qualora norme statali ne abbiano differito il termine, di effettuare, per ciascun intervento, spese in misura non superiore a quanto definitivamente accertato nell'ultimo bilancio approvato.
9/1248-A-R/103. Casati, Cimbro, Guerra, Pastorino.
La Camera,
premesso che
il provvedimento in commento reca disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, finalizzate a fornire impulso alla crescita del Paese, attraverso misure di semplificazione amministrativa e normativa, il sostegno alle imprese, il rilancio delle infrastrutture e il miglioramento dell'efficienza del sistema giudiziario;
in particolare l'articolo 46 prevede misure speciali per i territori e le istituzioni coinvolte nell'evento EXPO 2015;
infatti, l'appuntamento con EXPO 2015 è di fondamentale importanza non solo per la città di Milano e la regione Lombardia ma anche per tutto il territorio nazionale. È evidente, inoltre, che per favorire l'accesso al luogo dove si svolgerà l'Esposizione Universale sono stati programmati interventi infrastrutturali, connessi all'evento – quali la realizzazione di vasche di laminazione per contenere possibili esondazioni di torrenti, la realizzazione delle vie dell'acqua, la riqualificazione di strade, la creazione di parcheggi, di punti di interscambio ferroviario, di piste ciclabili ecc. – che prevedono l'intervento economico degli Enti locali sui cui territori sono state previste tali opere;
pertanto risulta necessario che, viste le ristrettezze economiche nelle quali si trovano i Comuni e la mancanza di risorse del Governo per sopperire ad eventuali ritardi nell'attuazione delle opere connesse ad Expo, le risorse impiegate dagli enti locali per la realizzazione di tali opere sia escluse dal computo del patto di stabilità interno,
impegna il Governo:
al fine di consentire il pieno raggiungimento degli obiettivi previsti entro il 2015, a valutare l'opportunità di escludere dal computo del patto di stabilità interno le risorse impiegate dagli enti locali per la realizzazione di interventi infrastrutturali connessi alla realizzazione di EXPO 2015.
9/1248-A-R/104. Cimbro.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 34 della Costituzione, secondo cui «i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto a raggiungere i gradi più alti degli studi», è tra le prescrizioni più importanti della Carta Costituzionale che non hanno ancora trovato piena attuazione, con pesanti conseguenze sulla mobilità e sulla coesione sociale, sulle prospettive delle giovani generazioni, sulla qualità del capitale umano;
negli ultimi 10 anni le immatricolazioni universitarie sono in costante calo: dal picco di 338.482 immatricolati del 2003-2004 si è passati nel 2011-2012 a 280.144, con un calo del 17 per cento. Solo nell'ultimo anno, le immatricolazioni sono diminuite del 10 per cento. Per laureati nella fascia di età 25-34 anni l'Italia si colloca al 34o posto su 37 paesi OCSE;
l'Italia, uno dei 18 Paesi Ue a prevedere le tasse universitarie, si pone al terzo posto in Europa per livello di contribuzione studentesca, e prevede uno dei più bassi livelli di assistenza finanziaria agli studenti: ottiene una borsa di studio solo il 7 per cento degli studenti, con 258 milioni di euro di fondi pubblici, contro il 25,6 per cento della Francia (1,6 miliardi), il 30 per cento della Germania (2 miliardi) e il 18 per cento della Spagna (943 milioni). In 5 anni il nostro dato è calato (-11,2 per cento), mentre è aumentato negli altri paesi (Francia +25,9 per cento, Germania +18,6 per cento, Spagna +39 per cento);
risulta necessario migliorare la capacità del sistema di orientare le scelte degli studenti, e favorire una maggiore libertà di scelta dei medesimi rispetto agli Atenei nei quali svolgere il proprio percorso formativo, attraverso strumenti che, accompagnando lo sviluppo e il potenziamento del sistema di diritto allo studio regionale, rendano equilibrate le ragioni di tali scelte tra qualità degli Atenei e efficienza dei sistemi di diritto allo studio;
si valuta quindi positivamente l'avvio di un programma nazionale di diritto allo studio, il quale, in un'ottica di cooperazione e integrazione tra Stato e Regioni, assicuri, nel rispetto dei principi costituzionali, la funzionalità del sistema universitario e la garanzia costituzionale dei livelli essenziali delle prestazioni di diritto allo studio;
il sistema universitario non può ulteriormente sopportare tagli del finanziamento statale, tagli che rischiano, inoltre, di essere aggravati dall'immediata applicazione del combinato disposto delle norme di cui all'articolo 59-bis e all'articolo 60, comma 01,
impegna il Governo:
a) nell'attuazione della norma di cui all'articolo 59-bis «Programma nazionale per il sostegno degli studenti capaci e meritevoli», a prevedere comunque l'intesa con le Regioni nel rispetto dei vincoli costituzionali, anche al fine di rendere omogenei obiettivi e criteri tra il sistema regionale e il Programma in parola;
b) a garantire, in sede di discussione della prossima Legge di Stabilità, risorse aggiuntive al Fondo integrativo del diritto allo studio universitario tali da consentire alle Regioni di erogare la borsa di studio almeno alla stessa percentuale di aventi diritto rispetto all'anno accademico precedente, fermo restando l'obiettivo generale di soddisfare l'intera platea degli idonei eliminando la figura dell'idoneo non borsista;
c) a valutare l'opportunità di intervenire affinché sia ripristinato, in sede di discussione della prossima Legge di Stabilità, il Fondo di Finanziamento ordinario almeno al valore dell'assestamento di Bilancio del 2012 e ad armonizzare e rendere più graduali, nella loro applicazione, le percentuali di finanziamento previste dall'articolo 59-bis e dal comma 01 dell'Articolo 60, al fine di garantire la funzionalità del sistema universitario.
9/1248-A-R/105. Speranza, De Micheli, Bellanova, Coscia, Ghizzoni, Marco Meloni, Ascani, Manzi, Piccoli Nardelli, D'Ottavio, Malpezzi, Carocci, Bonafè, Pes, Raciti, Rocchi, Rampi, Blazina, Antezza, Basso.
La Camera,
premesso che:
la situazione dell'edilizia scolastica nel nostro Paese è grave. Oltre il 50 per cento dei 42 mila edifici in cui vivono milioni di studenti e di operatori scolastici non sarebbe a norma e diecimila di essi dovrebbero addirittura essere abbattuti;
peraltro, la situazione ha rilievi di vera emergenza alla luce della politica scolastica assunta negli ultimi anni con l'aumento del rapporto alunni/docenti. Tale disposizione, attuata nel quadro di un sistema nazionale di edifici scolastici vetusti, spesso non a norma in termini di sicurezza, ha determinato il sovraffollamento degli alunni in classi non idonee ad ospitarli;
l'articolo 18, comma 8, del provvedimento in esame, allo scopo di aumentare il livello di sicurezza degli edifici scolastici, prevede che l'INAIL destini 100 milioni di euro, per ciascuno degli anni dal 2014 al 2016, per gli interventi del piano di messa in sicurezza degli edifici scolastici;
durante l'esame in sede referente è stato inserito, inoltre, il comma 8-ter che autorizza, per l'anno 2014, la spesa di 150 milioni di euro per attuare misure urgenti in materia di riqualificazione e messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche statali, con particolare riferimento a quelle in cui sia stata censita la presenza di amianto, e garantire il regolare svolgimento del servizio scolastico;
appare, inoltre, necessario emanare ulteriori disposizioni affinché gli enti territoriali possano adempiere con adeguate risorse e sulla base di una corretta attività programmatoria al compito previsto dalla legge n. 23 del 1996 (c.s. legge Masini) di garantire la sicurezza degli edifici scolastici di loro proprietà,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità, in sede di discussione del primo provvedimento utile, di prevedere una norma che assicuri una deroga al patto di stabilità degli enti locali relativa agli interventi di edilizia scolastica per consentire l'utilizzo virtuoso delle risorse già disponibili in bilancio o già assegnate.
9/1248-A-R/106. Coscia, D'Ottavio, Zampa, Malpezzi, Carocci, Manzi, Rampi, Pes, Raciti, Ghizzoni, Blazina, Rocchi, Bonafè, Piccoli Nardelli, Antezza, Basso.
La Camera,
premesso che:
la situazione dell'edilizia scolastica nel nostro Paese è grave. Oltre il 50 per cento dei 42 mila edifici in cui vivono milioni di studenti e di operatori scolastici non sarebbe a norma e diecimila di essi dovrebbero addirittura essere abbattuti;
peraltro, la situazione ha rilievi di vera emergenza alla luce della politica scolastica assunta negli ultimi anni con l'aumento del rapporto alunni/docenti. Tale disposizione, attuata nel quadro di un sistema nazionale di edifici scolastici vetusti, spesso non a norma in termini di sicurezza, ha determinato il sovraffollamento degli alunni in classi non idonee ad ospitarli;
l'articolo 18, comma 8, del provvedimento in esame, allo scopo di aumentare il livello di sicurezza degli edifici scolastici, prevede che l'INAIL destini 100 milioni di euro, per ciascuno degli anni dal 2014 al 2016, per gli interventi del piano di messa in sicurezza degli edifici scolastici;
durante l'esame in sede referente è stato inserito, inoltre, il comma 8-ter che autorizza, per l'anno 2014, la spesa di 150 milioni di euro per attuare misure urgenti in materia di riqualificazione e messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche statali, con particolare riferimento a quelle in cui sia stata censita la presenza di amianto, e garantire il regolare svolgimento del servizio scolastico;
appare, inoltre, necessario emanare ulteriori disposizioni affinché gli enti territoriali possano adempiere con adeguate risorse e sulla base di una corretta attività programmatoria al compito previsto dalla legge n. 23 del 1996 (c.s. legge Masini) di garantire la sicurezza degli edifici scolastici di loro proprietà,
impegna il Governo
a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità, in sede di discussione del primo provvedimento utile, di prevedere una norma che assicuri una deroga al patto di stabilità degli enti locali relativa agli interventi di edilizia scolastica per consentire l'utilizzo virtuoso delle risorse già disponibili in bilancio o già assegnate.
9/1248-A-R/106. (Testo modificato nel corso della seduta) Coscia, D'Ottavio, Zampa, Malpezzi, Carocci, Manzi, Rampi, Pes, Raciti, Ghizzoni, Blazina, Rocchi, Bonafè, Piccoli Nardelli, Antezza, Basso.
La Camera,
premesso che:
la misura degli «abbandoni precoci da istruzione e formazione» è uno dei due indicatori relativi al settore istruzione e formazione scelti per monitorare i progressi dell'Unione Europea verso gli obiettivi strategici di crescita «intelligente, sostenibile e inclusiva» fissati per il 2020;
promuovere lo sviluppo della conoscenza e contrastare la dispersione scolastica sono le due facce dell'impegno prioritario dell'Unione Europea nel campo dell'istruzione;
l'aumento dell'istruzione è connesso all'occupabilità degli individui, alla produttività e al benessere di ogni Paese e quindi maggiori livelli di istruzione rappresentano un investimento positivo, invece, bassi livelli aumentano il rischio di povertà e difficoltà di impiego;
il provvedimento in esame non prevede interventi a sostegno dell'autonomia scolastica, per abbattere l'alto tasso di dispersione scolastica che nel nostro Paese, in alcune Regioni, ha raggiunto livelli allarmanti;
impegna il Governo
a valutare l'opportunità, in sede di discussione della prossima legge di stabilità, a reperire risorse adeguate a sostegno di interventi volti ad abbattere l'alto tasso di dispersione scolastica, anche al fine di rendere il settore istruzione in linea con il disegno di sviluppo tracciato dalla Strategia di Lisbona 2020.
9/1248-A-R/107. Pes, Coscia, D'Ottavio, Malpezzi, Manzi, Rampi, Raciti, Ghizzoni, Blazina, Rocchi, Bonafè, Piccoli Nardelli, Carocci, Basso.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 47 del provvedimento in esame rivede i criteri in base ai quali dovrà essere gestito il Fondo di garanzia per mutui relativi ad attività sportive, istituito presso L'istituto di credito Sportivo;
con la stipula dei suddetti mutui è possibile avviare l'acquisto di immobili da destinare ad attività sportive o strumentali a queste, promuovere la cultura sportiva, gestire gli impianti sportivi e la realizzazione di eventi sportivi, avviare iniziative di sostegno e sviluppo delle attività culturali, l'acquisto, la costruzione, la ristrutturazione ed il miglioramento di luoghi ed immobili destinati ad attività culturali o strumentali ad essa;
sono inoltre finanziabili interventi strumentali al raggiungimento di uno scopo sportivo o culturale;
risulta possibile l'ammissibilità al finanziamento di oneri diversi da quelli sopra elencati a condizione che si tratti di investimenti ed attività complementari o accessorie ai settori dello sport e dei beni e delle attività culturali che, pur essendo suscettibili di autonoma individuazione sono, strutturalmente o per effetto di apposita convenzione, posti al servizio o di utilità per lo svolgimento dell'attività sportiva (o culturale) o immobili od impianti ove queste si svolgono;
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di destinare parte dei finanziamenti del Fondo di garanzia, istituito presso l'istituto di credito sportivo, per la promozione della attività fisica nella scuola con particolare riferimento ai Giochi sportivi studenteschi e per finanziare le ricerche e studi sulla storia dello sport.
9/1248-A-R/108. Coccia, Coscia, D'Ottavio, Malpezzi, Carocci, Manzi, Rampi, Pes, Raciti, Ghizzoni, Blazina, Rocchi, Bonafè, Piccoli Nardelli.
La Camera,
premesso che:
i commi 4 e 5 dell'articolo 19 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, hanno operato la riduzione del numero delle istituzioni scolastiche dotate di autonomia e degli incarichi di dirigente scolastico;
la relazione tecnica allegata al provvedimento succitato specificava che – dall'attuazione degli articoli 4 e 5 – le istituzioni scolastiche autonome sarebbero state ridotte di 1130 unità, con conseguente riduzione dei posti di dirigente scolastico e di direttore dei servizi generali e amministrativi e con un economia di spesa di circa 85 milioni di euro;
in seguito all'approvazione della suddetta norma e dopo il ricorso di legittimità costituzionale posto dalle Regioni Toscana, Emilia-Romagna, Liguria, Umbria, Puglia, Basilicata e Sicilia, la Corte Costituzionale (sentenza 147 del 7 giugno 2012) ha stabilito che (...) lo Stato non può imporre alle Regioni di costituire obbligatoriamente istituti comprensivi, né di stabilire quale debba essere la loro consistenza numerica in termini di alunni, in quanto si tratta di competenza esclusiva delle Regioni;
impegna il Governo
a valutare l'opportunità, anche con l'approvazione di un provvedimento ad hoc, affinché i criteri per l'individuazione delle istituzioni scolastiche ed educative, sede di dirigenza scolastica e di direttore dei servizi generali ed amministrativi, siano definiti previo accordo tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e le regioni in sede di Conferenza unificata.
9/1248-A-R/109. Rocchi, Carocci, Coscia, Zampa, Malpezzi, Manzi, Rampi, Pes, Raciti, Ghizzoni, Blazina, Bonafè, Piccoli Nardelli, D'Ottavio.
La Camera,
premesso che:
la cultura costituisce, prima di tutto, un diritto fondamentale dei cittadini e da questo principio discende la responsabilità pubblica di sostenerne lo sviluppo e la diffusione e di porre le politiche culturali al centro di un'idea di crescita sociale, civile ed economica del Paese;
nonostante le difficoltà create dalla grave crisi economica, bisogna avvicinare progressivamente la spesa pubblica a livelli europei, partendo dal presupposto che quello in cultura è un investimento, e al tempo stesso individuare strumenti di programmazione che aiutino a spendere meglio e a evitare la dispersione di risorse;
occorre fare di più per attrarre nuove risorse private nel settore della cultura perché, come dimostrato dall'esperimento degli incentivi fiscali per il cinema, se ben congegnate, queste politiche aiutano lo sviluppo del settore e portano allo Stato risorse maggiori di quelle a cui rinuncia;
per promuovere mecenatismo e sponsorizzazioni è necessario ripensare e armonizzare l'intero settore le defiscalizzazioni, che consideriamo il principale strumento per attrarre investimenti, pur riconoscendone alcuni limiti, semplificare le procedure amministrative e di sburocratizzare le piccole liberalità individuali;
l'Italia ha bisogno di vere e proprie politiche industriali dedicate al comparto creativo e culturale, come precondizione per uscire dalla crisi: l'impegno economico profuso in questi settori in occidente e tra i paesi in via di sviluppo dimostra che la competitività e il benessere collettivo aumentano solo di pari passo alla diffusione della cultura e agli investimenti nell'innovazione;
secondo il rapporto Symbola Unioncamere 2012, le imprese registrate nel settore produttivo culturale nel 2011 (escluse le cosiddette industrie correlate) erano 443.653, il 7,3 per cento delle imprese italiane registrate; esse hanno prodotto in termini di valore aggiunto 75,806 miliardi di euro che corrispondono a circa il 5,4 per cento dell'economia nazionale, in termini di occupazione, il settore sviluppa 1.390.000 addetti pari al 5,6 per cento del totale degli occupati;
fino al 2005, l'Italia era seconda solo alla Cina in questo particolare settore dell'export ed era il primo tra i paesi cosiddetti «sviluppati»; il nostro Paese, secondo i dati UNCTAD 2008, esportava in tutto il mondo circa 28 miliardi di dollari di prodotti culturali e creativi, possedeva una quota del mercato mondiale pari all'8,3 per cento e poteva vantare un tasso di crescita nel periodo 2000-2005 del 5,9 per cento. Ma solo pochi anni dopo, l'Italia, nella Top 20 dei paesi esportatori di beni creativi, è scivolata al quinto posto dietro Cina, USA, Germania e Hong Kong, ed è scesa dal primo al terzo posto tra i paesi sviluppati (Rapporto 2010 UNCTAD sull'Economia Creativa);
le industrie culturali e creative rappresentano uno dei settori trainanti in Europa: esse producono il doppio dei ricavi dell'industria automobilistica, crescono ad una velocità molto superiore rispetto alle altre industrie, producono occupazione anche nei periodi di crisi, impegnano lavoratori altamente qualificati ed è solo attuando le necessarie politiche di sostegno e sviluppo del settore che possiamo scongiurare il rischio che l'Italia perda lo straordinario vantaggio competitivo che la sua storia le ha regalato;
il programma Europa Creativa dell'Unione Europea, che stabilisce misure e stanziamenti per cultura, media e audiovisivo per il settennio 2014-2020, costituisce una opportunità strategica per gli operatori del settore culturale e creativo italiani, ma è necessario che il nostro sistema si dia strumenti adeguati e maggiore capacità di programmazione;
riconoscendo la qualifica di micro, piccola e media impresa ai sensi della disciplina comunitaria vigente in materia ai soggetti produttori di attività, beni e servizi culturali, così come definiti ai commi 4 e 5 dell'articolo 4 della Convenzione UNESCO sulla protezione e la promozione delle diversità delle espressioni culturali, conclusasi a Parigi il 20 ottobre 2005 e ratificata dall'Italia il 19 febbraio 2007 con Legge n. 19, e agli organismi dello spettacolo, nelle diverse articolazioni di genere e di settori di attività cinematografiche, teatrali, musicali, di danza, di circhi e di spettacoli viaggianti, costituiti in forma di impresa, si potrà applicare anche alle imprese del settore culturale e creativo la normativa e gli incentivi in vigore per le micro, piccole e medie imprese, come i finanziamenti per lo sviluppo delle PMI, il sostegno alle imprese – in particolare nella fase di start up – per portarle a camminare sulle proprie gambe, ma anche nei processi di internazionalizzazione, nelle attività di formazione e aggiornamento professionale delle maestranze, accesso al credito, norme anti trust;
la governance pubblica per il cinema e l'audiovisivo deve essere orientata ad obiettivi culturali e di interesse collettivo: la formazione e la qualificazione professionale; il sostegno e la promozione della sperimentazione, dell'innovazione dei linguaggi, delle opere prime e seconde e delle opere difficili; la promozione estera; la diffusione del cinema e dell'audiovisivo presso il pubblico; il sostegno alla fruizione e all'ampliamento della domanda; la salvaguardia e la valorizzazione delle sale di prossimità e dei circuiti di qualità;
è indispensabile dare al settore cinematografico, e in generale al settore audiovisivo nel suo complesso, la cui attività è fortemente connotata dalla necessità di programmazione a lunga scadenza, utili e significative certezze, nel presente difficile frangente economico, sul mantenimento di uno strumento di sostegno come il tax credit che ha dato, in questi primi tre anni di attuazione, ottimi risultati, tanto da essere considerato ormai imprescindibile per il cinema italiano;
le politiche di sviluppo devono accompagnare le imprese indipendenti sul mercato e farle diventare competitive e autonome; e con esse sostenere le produzioni meno commerciali. Aprire un mercato particolarmente oppresso dalle concentrazioni come quello cineaudiovisivo è una condizione indispensabile per garantirne il pluralismo;
la disciplina di sostegno pubblico per il cinema (decreto legislativo n. 28/2004 – «Legge Urbani») stabilisce che l'accesso ai contributi statali per la produzione dei film sia vincolato, tra l'altro, ad un sistema di reference a punteggio che coinvolge la parte artistica e creativa dell'opera proposta al finanziamento, favorendo i film ai quali partecipano sceneggiatori, registi, attori già noti e accreditati presso il pubblico e, dunque, sul mercato. Abolire il reference artistico, previsto per l'accesso ai contributi statali per la produzione dalle norme per il sostegno pubblico, modificando le norme della Legge Urbani (decreto legislativo n. 28 del 2004), favorirebbe invece la possibilità di accesso ai contributi dello Stato a quei progetti realizzati con il lavoro dei più giovani e degli emergenti;
i così detti «premi sugli incassi» stabiliti dall'articolo 10 del decreto legislativo n. 28 del 2004 sono individuati dalla disposizione di legge come «incentivi per la produzione», ma il meccanismo in base al quale vengono erogati li trasforma, di fatto, in aiuti automatici di Stato per le imprese di produzione, che premiano quasi unicamente il main stream e alimentano le posizioni dominanti, sia sotto il profilo imprenditoriale, che sotto il profilo dei generi (circostanza questa che, tra l'altro, mette in mora l'Italia rispetto al Trattato europeo sulla libera concorrenza). Destinare, a saldi invariati, le risorse assegnate ai così detti «premi sugli incassi» a produzioni a basso costo, opere sperimentali, opere prime e seconde, darebbe forza a nuove iniziative, nuovi linguaggi e nuove forme imprenditoriali grazie ad una redistribuzione dei fondi pubblici;
l'audiovisivo, a differenza di quanto accade in Europa, è trattato nella legislazione italiana separatamente dal cinema e trova una sua collocazione solo nel Testo Unico per i Servizi Media Audiovisivi e Radiofonici (decreto legislativo n. 177 del 2005, che ha raccolto nell'articolo 44 le norme ex legge n. 122 del 1998 – cosiddetto Legge Veltroni) nella parte riguardante gli obblighi di investimento e di programmazione di opere europee da parte delle televisioni. L'esclusione dell'audiovisivo da una legislazione di sostegno organica e che ne riconosca l'interesse culturale, impedisce all'Italia di far valere per questo comparto il principio dell'eccezione culturale e tale carenza normativa è stata ed è tutt'ora anche la causa del fenomeno della delocalizzazione estera delle produzioni di ambientazione italiana;
le modifiche apportate al T.U. dei Media Audiovisivi e Radiofonici nel 2010 con il cosiddetto decreto Romani hanno, tra l'altro, prodotto la cancellazione del regolamento AgCom che recava una disciplina sui diritti di utilizzazione economica delle opere audiovisive tra i diversi soggetti (produttori ed emittenti televisive) determinando l'assenza di norme di salvaguardia per i produttori indipendenti nella negoziazione dei diritti di sfruttamento commerciale delle opere con i broadcaster, il che produce l'impossibilità per le imprese di produzione di formare un proprio patrimonio impedendo così alle stesse, tra l'altro, di accedere ai finanziamenti del programma europeo MEDIA;
il Fondo Unico dello Spettacolo che la legge 12 novembre 2011 n.133 aveva stabilizzato in 411 milioni di euro per il triennio 2012/2014, è stato ridotto dalla Legge di Stabilità 2013 di 21 milioni di euro per il corrente esercizio;
per le Fondazioni lirico sinfoniche, i Teatri stabili, e altre importanti istituzioni culturali italiane, come i circuiti teatrali regionali, l'inserimento nell'elenco ISTAT (articolo 1, comma 144 della legge 24 dicembre 2012, n. 228) impatta negativamente sui bilanci, in una misura che varia dal 15 all'80 per cento, per le spese su «consumi intermedi» che costituiscono elementi primari dell'attività svolta in riconoscimento di un pubblico interesse;
impegna il Governo:
a mettere in atto tutte le azioni e gli interventi normativi e finanziari e le opportune correzioni delle norme vigenti al fine di favorire lo sviluppo delle industrie culturali e creative come elemento strategico per la ripresa della crescita del Paese, sostenendole nelle fasi di start up e nei processi di consolidamento ed internazionalizzazione;
a perseguire l'obiettivo di portare progressivamente la spesa pubblica per la cultura ai livelli europei, considerando la cultura un investimento fondamentale per la crescita e lo sviluppo, ad operare le compensazioni normative volte a fornire ai comparti della cultura e della creatività gli strumenti indispensabili per il loro funzionamento e sviluppo, ad armonizzare gli interventi fiscali a partire dal ripristino del contributo destinato al rifinanziamento del tax credit per il cinema integrando i fondi mancanti ed estendendo il tax credit al comparto dell'audiovisivo e alle altre forme di spettacolo dal vivo, a ripensare e armonizzare l'intero settore le defiscalizzazioni, semplificare le procedure amministrative e sburocratizzare le piccole liberalità individuali per promuovere mecenatismo e sponsorizzazioni.
9/1248-A-R/110. Orfini, Coccia, Coscia, D'Ottavio, Malpezzi, Carocci, Manzi, Rampi, Pes, Raciti, Ghizzoni, Blazina, Rocchi, Bonafè, Piccoli Nardelli, Antezza, Basso.
La Camera,
premesso che:
nell'ambito del provvedimento in esame risultano assenti norme di riordino in materia di reclutamento e formazione iniziale del personale docente;
con l'approvazione del decreto ministeriale 10 settembre 2010, n. 249 sulla formazione iniziale docenti le modalità di formazione e reclutamento del personale docente nelle scuole con lingua di insegnamento slovena e bilingue slovena-italiana nella regione Friuli Venezia Giulia risultano essere di difficile applicazione, vista la mancata emanazione dello specifico decreto di cui all'articolo 15, comma 25 del decreto ministeriale medesimo,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di emanare uno specifico decreto, come previsto all'articolo 15, comma 25 del DM 10 settembre 2010, n. 249, al fine dell'adattamento delle disposizioni in esso contenute alle particolari esigenze della formazione degli insegnanti delle scuole in lingua slovena e bilingue previa intesa con la regione Friuli Venezia Giulia, che ha già predisposto una proposta in tal senso;
a valutare l'opportunità, anche attraverso l'emanazione di un provvedimento ad hoc, di intervenire affinché – già dal prossimo anno accademico – presso le Università del Friuli Venezia Giulia vengano istituiti, anche ai sensi della Convenzione con le Università della Repubblica di Slovenia, i percorsi formativi specifici che abilitino all'insegnamento presso tali scuole, regolamentando le modalità di accesso in base ai requisiti già previsti dalla legislazione vigente;
a valutare, altresì, l'opportunità di rivedere tutta la materia che riguarda le modalità di formazione, abilitazione e accesso ai ruoli del personale docente delle scuole di cui sopra, anche stabilendo le modalità di riconoscimento, ai fini dell'insegnamento in tali scuole, di eventuali abilitazioni conseguite all'estero, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206.
9/1248-A-R/111. Blazina.
La Camera,
premesso che:
nell'ambito del provvedimento in esame risultano assenti norme di riordino in materia di reclutamento e formazione iniziale del personale docente;
con l'approvazione del decreto ministeriale 10 settembre 2010, n. 249 sulla formazione iniziale docenti le modalità di formazione e reclutamento del personale docente nelle scuole con lingua di insegnamento slovena e bilingue slovena-italiana nella regione Friuli Venezia Giulia risultano essere di difficile applicazione, vista la mancata emanazione dello specifico decreto di cui all'articolo 15, comma 25 del decreto ministeriale medesimo,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di emanare uno specifico decreto, come previsto all'articolo 15, comma 25 del DM 10 settembre 2010, n. 249, al fine dell'adattamento delle disposizioni in esso contenute alle particolari esigenze della formazione degli insegnanti delle scuole in lingua slovena e bilingue previa intesa con la regione Friuli Venezia Giulia, che ha già predisposto una proposta in tal senso;
a valutare l'opportunità, anche attraverso l'emanazione di un provvedimento ad hoc, di intervenire affinché – già dal prossimo anno accademico – presso le Università del Friuli Venezia Giulia vengano istituiti, anche ai sensi della Convenzione con le Università della Repubblica di Slovenia, i percorsi formativi specifici che abilitino all'insegnamento presso tali scuole, regolamentando le modalità di accesso in base ai requisiti già previsti dalla legislazione vigente.
9/1248-A-R/111. (Testo modificato nel corso della seduta) Blazina.
La Camera,
premesso che:
nel provvedimento in esame risulta assente una norma tesa a proporre l'efficacia della graduatoria del concorso pubblico presso l'amministrazione centrale e periferica del Ministero per i beni e le attività culturali;
tale intervento appare fondamentale al fine di non vanificare il risultato di un concorso già espletato e al fine di lasciare aperta la possibilità di un incremento degli organici attingendo ad una graduatoria di persone molto qualificate, la cui preparazione è stata già testata con il superamento delle varie prove di un difficile concorso pubblico,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità, in sede di discussione del primo provvedimento utile, al fine di rafforzare l'efficacia delle azioni e degli interventi di tutela del settore dei beni culturali, di prorogare l'efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato, presso l'amministrazione centrale e periferica del Ministero per i beni e le attività culturali.
9/1248-A-R/112. Bossa, Coscia, Ghizzoni.
La Camera,
premesso che:
le politiche culturali degli ultimi 5 anni sono state caratterizzate dalla perdurante riduzione dei finanziamenti pubblici;
i beni culturali italiani, malgrado la situazione di grave difficoltà economica, sono una risorsa insostituibile e non delocalizzabile del patrimonio del Paese;
dai dati europei emerge con evidenza che le risorse destinate alle attività e ai beni culturali nel nostro Paese sono palesemente inadeguati. L'Italia, infatti, si colloca ai livelli più bassi delle varie graduatorie europee. Pertanto si pone la necessità di invertire la tendenza e porsi l'obiettivo di incrementare significativamente le risorse pubbliche e di attivare strumenti di programmazione che aiutino a spendere meglio e a evitare la dispersione di risorse e una seria politica di monitoraggio della spesa (pubblica e privata) in grado di quantificarne il volume e di definire qualità ed efficacia degli investimenti per la realizzazione della missione pubblica;
il provvedimento in esame prevede già un insieme coordinato di interventi per sostenere il rilancio del nostro patrimonio culturale, il turismo, lo spettacolo e il cinema e l'Agenda digitale;
tale inversione di tendenza necessita di ulteriori interventi di sostegno alla cultura;
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità – anche con l'approvazione di provvedimenti ad hoc – di perseguire l'obiettivo di portare progressivamente la spesa pubblica per la cultura ai livelli europei;
a valutare l'opportunità di prevedere fra gli interventi per l'agenda digitale italiana l'elemento del «patrimonio culturale» fra quelli di interesse del provvedimento;
a valutare il ripristino dei comitati tecnici e degli altri organi collegiali operanti presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per consentire il corretto funzionamento del consiglio superiore dei beni culturali;
9/1248-A-R/113. Piccoli Nardelli, Coscia, Ghizzoni.
La Camera,
premesso che:
l'attuale struttura tariffaria dell'elettricità prevede un prezzo unitario che aumenta al crescere dei consumi. Tale distorsione, non presente negli altri paesi europei, ha di fatto orientato i consumatori all'utilizzo di tecnologie alimentate a gas per il riscaldamento e la cottura e all'acquisto di auto alimentate da carburanti liquidi o a gas (metano/GPL);
l'utilizzo di tecnologie elettriche consente di ridurre le emissioni di CO2: con le pompe di calore la riduzione è del 60 per cento rispetto ad altre forme di riscaldamento mentre con l'auto elettrica è del 40 per cento nei trasporti urbani;
il maggior impiego di tecnologie elettriche avanzate consentirebbe, di risparmiare energia nel riscaldamento e nella produzione di acqua calda con le pompe di calore, nella cottura dei cibi con l'utilizzo delle cucine a induzione e nei trasporti attraverso la diffusione delle auto elettriche o il maggior utilizzo del trasporto su ferro;
la diffusione dell'auto elettrica e della pompa di calore consentirebbero di annullare le emissioni locali (polveri sottili) legate a trasporto e riscaldamento, oggi responsabili di più del 60 per cento delle emissioni inquinanti locali, rendendo le nostre città più pulite e vivibili,
impegna il Governo
a sollecitare l'adozione di provvedimenti, da parte delle autorità competenti e senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, volti a modificare l'attuale struttura progressiva delle tariffe elettriche rispetto ai consumi e ad introdurre tariffe aderenti al costo del servizio al fine di agevolare la diffusione di tecnologie elettriche avanzate più efficienti, meno inquinanti e meno costose.
9/1248-A-R/114. Librandi.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 1 del decreto-legge in esame dispone un potenziamento degli interventi del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, attraverso l'ampliamento della platea di imprese potenziali beneficiarie del Fondo e l'individuazione di misure volte ad escludere l'accesso al Fondo per operazioni finanziarie già deliberate dai soggetti finanziatori, con l'intento evidente di circoscrivere la concessione della garanzia alle imprese che, effettivamente, abbiano bisogno di un sostegno pubblico per poter accedere al credito bancario;
si tratta di intervento utile in questo momento di difficoltà di accesso al credito da parte delle imprese, soprattutto quelle più piccole;
nell'attuale congiuntura economica grazie al sistema della garanzia, in particolar modo quello rappresentato dai Confidi, è stato possibile fornire alle PMI il consueto supporto per consentire loro l'accesso alle necessarie fonti di finanziamento, accollandosi, in alcuni casi, rischi maggiori delle proprie disponibilità patrimoniali;
per consentire ai Confidi di continuare in questa opera di favorire l'accesso al credito per le piccole e medie aziende è necessario sostenerne lo sviluppo anche attraverso il rafforzamento patrimoniale;
impegna il Governo
a prevedere, nella prossima legge di stabilità, misure volte a potenziare e sostenere i Consorzi fidi, mettendoli nelle condizioni di poter continuare a svolgere, con lo stesso vigore, quella funzione di «ammortizzatore sociale» sino ad ora garantita alle PMI.
9/1248-A-R/115. Causin.
La Camera,
premesso che:
l'attuale formulazione dell'articolo 50 del decreto-legge al nostro esame modifica il comma 28 dell'articolo 35 del decreto-legge n. 223 del 2006 prevedendo l'abrogazione della responsabilità solidale tra appaltatore e subappaltatore concernente l'IVA, mentre lascia in essere quella concernente le ritenute di lavoro dipendente;
questo implica peraltro che persiste la necessità di porre in essere tutti gli adempimenti procedurali previsti dalla disciplina per evitare di incorrere nella responsabilità solidale in questione, seppure con riguardo alle sole ritenute di lavoro dipendente;
si tratta di adempimenti che risulterebbero per di più ancora più gravosi ove le modifiche alla disciplina recate in prima lettura alla Camera trovassero definitiva approvazione e comunque, anche nella loro formulazione tutt'oggi vigente, assolutamente inidonei a garantire un contrasto all'evasione fiscale sufficientemente efficace da giustificare la farraginosità delle procedure scaricate sulle imprese,
impegna il Governo
a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni di cui in premessa, al fine di prevedere, sin dalla prossima legge di stabilità, un intervento normativo, fortemente auspicato dal mondo imprenditoriale, volto ad abrogare in toto la disciplina recata dai commi da 28 a 28-ter dell'articolo 35 del decreto-legge n. 223 del 2006 e ad introdurre controlli preventivi per contrastare il lavoro nero e l'evasione fiscale che facciano leva sull'ampio bagaglio informativo già in possesso dell'Amministrazione finanziaria per il tramite dell'Anagrafe tributaria.
9/1248-A-R/116. Zanetti.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 1 del decreto-legge interviene per migliorare l'efficacia degli interventi del Fondo di garanzia per le piccole medie imprese di cui all'articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662. Tale Fondo interviene a favore sia a favore delle piccole e medie imprese sia a favore dei consorzi e le società consortili, costituite tra piccole e medie imprese e le società consortili miste;
il Fondo agisce, anche, per le operazioni di contro-garanzia e co-garanzia sulle garanzie concesse da Confidi ed altri Fondi di Garanzia a favore delle imprese per il reperimento di credito;
come è noto i Confidi predispongono garanzie di primo livello nei confronti del soggetto finanziatore (es. Banche) e possono attingere al succitato Fondo per irrobustire gli effetti di dette garanzie. Ora, nella negativa congiuntura economica e con le difficoltà del settore bancario nell'erogazione del credito, alla luce anche dei dettami di Basilea 2 e 3, un ulteriore contributo volto alla mitigazione del rischio credito può influire per facilitare nuovi finanziamenti alle imprese;
il settore assicurativo, sino ad oggi, non è mai stato investito pienamente per valutare un proprio apporto operativo nella filiera del credito. Mentre sarebbe opportuno aprire a tale possibilità, lasciando all'IVASS il compito di valutare le varie soluzioni di applicabilità, nell'ambito però di un indirizzo e principio prefissato;
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di adottare interventi, anche di tipo normativo, volti a favorire un intervento assicurativo di secondo livello che s'innesti tra le garanzie dei garanti di primo livello e quelle del Fondo in argomento, al fine di facilitare la possibilità per le imprese di accedere a nuovi finanziamenti in questo particolare momento.
9/1248-A-R/117. Sberna, Sottanelli.
La Camera,
premesso che:
l'università italiana vanta una tradizione di formazione di talenti di primissimo livello, come conferma l'esperienza del successo che i nostri laureati ottengono quando si recano all'estero, dove riescono ad occupare posti prestigiosi proprio grazie alla loro serietà e competenza;
l'eccellenza e il talento vanno però coltivati e rinnovati soprattutto in tempi di crisi economica e sociale, creando le opportunità necessarie per stimolare e favorire l'emergere delle persone più brillanti a prescindere dalle loro condizioni familiari;
l'esigenza di competere su uno scenario internazionale e il bisogno di formazione delle élites ha indotto riforme importanti nei sistemi di istruzione superiore di molti Paesi europei ed extraeuropei, nello spirito di chi vuole implementare la società della conoscenza, come il Trattato di Lisbona prima e quello di Bologna poi ci raccomandano;
in Italia, accanto ai tradizionali corsi di laurea, sono state intraprese iniziative di valorizzazione dell'eccellenza in ambito universitario mediante la creazione di percorsi destinati a giovani di talento, che senza discriminare nessuno offrono alle persone più motivate la possibilità di coltivare a tutto campo la loro personalità;
in questo contesto vanno annoverati anche i collegi universitari, veri centri d'eccellenza di antica tradizione, ma dotati di un elevato coefficiente di innovazione; centri in cui ogni studente, sulla base del proprio merito personale, è messo nelle condizioni di sviluppare capacità e talenti che integrano quelli strettamente culturali, specificamente messi a disposizione dalle rispettive facoltà;
i collegi universitari infatti cercano di sviluppare le capacità individuali e relazionali di ogni studente mettendole quotidianamente a confronto con quelle dei colleghi in un rapporto di collaborazione che favorisce lo sviluppo delle competenze culturali interdisciplinari, li sollecita a partecipare a scambi internazionali con iniziative che hanno un alto potenziale scientifico, umano e sociale, attraverso le diverse forme di collaborazione che creano abiti idonei alla direzione e al coordinamento di iniziative;
considerato quindi che la valorizzazione del merito e delle eccellenze deve essere uno degli obiettivi del nostro Paese, accanto alla indispensabile internazionalizzazione a cui ci sollecitano i prossimi impegni europei, e come è auspicato dai recenti trattati internazionali, a cominciare dalla strategia di Lisbona;
impegna il Governo
ad adottare iniziative utili per sostenerli e valorizzarli in quanto scuole di alta formazione non solo per la futura classe dirigente ma anche per uno svolgimento di eccellenza del lavoro ordinario nei diversi campi della vita sociale.
9/1248-A-R/118. Binetti.
La Camera,
premesso che:
l'università italiana vanta una tradizione di formazione di talenti di primissimo livello, come conferma l'esperienza del successo che i nostri laureati ottengono quando si recano all'estero, dove riescono ad occupare posti prestigiosi proprio grazie alla loro serietà e competenza;
l'eccellenza e il talento vanno però coltivati e rinnovati soprattutto in tempi di crisi economica e sociale, creando le opportunità necessarie per stimolare e favorire l'emergere delle persone più brillanti a prescindere dalle loro condizioni familiari;
l'esigenza di competere su uno scenario internazionale e il bisogno di formazione delle élites ha indotto riforme importanti nei sistemi di istruzione superiore di molti Paesi europei ed extraeuropei, nello spirito di chi vuole implementare la società della conoscenza, come il Trattato di Lisbona prima e quello di Bologna poi ci raccomandano;
in Italia, accanto ai tradizionali corsi di laurea, sono state intraprese iniziative di valorizzazione dell'eccellenza in ambito universitario mediante la creazione di percorsi destinati a giovani di talento, che senza discriminare nessuno offrono alle persone più motivate la possibilità di coltivare a tutto campo la loro personalità;
in questo contesto vanno annoverati anche i collegi universitari, veri centri d'eccellenza di antica tradizione, ma dotati di un elevato coefficiente di innovazione; centri in cui ogni studente, sulla base del proprio merito personale, è messo nelle condizioni di sviluppare capacità e talenti che integrano quelli strettamente culturali, specificamente messi a disposizione dalle rispettive facoltà;
i collegi universitari infatti cercano di sviluppare le capacità individuali e relazionali di ogni studente mettendole quotidianamente a confronto con quelle dei colleghi in un rapporto di collaborazione che favorisce lo sviluppo delle competenze culturali interdisciplinari, li sollecita a partecipare a scambi internazionali con iniziative che hanno un alto potenziale scientifico, umano e sociale, attraverso le diverse forme di collaborazione che creano abiti idonei alla direzione e al coordinamento di iniziative;
considerato quindi che la valorizzazione del merito e delle eccellenze deve essere uno degli obiettivi del nostro Paese, accanto alla indispensabile internazionalizzazione a cui ci sollecitano i prossimi impegni europei, e come è auspicato dai recenti trattati internazionali, a cominciare dalla strategia di Lisbona;
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di adottare iniziative utili per sostenerli e valorizzarli in quanto scuole di alta formazione non solo per la futura classe dirigente ma anche per uno svolgimento di eccellenza del lavoro ordinario nei diversi campi della vita sociale.
9/1248-A-R/118. (Testo modificato nel corso della seduta) Binetti.
La Camera,
premesso che:
i commi 2 e 3 dell'articolo 22 del decreto-legge in esame intervengono al fine di rafforzare l'autonomia delle autorità portuali in ordine all'aumento o alla riduzione delle tasse portuali sulle merci e per l'ancoraggio, consentendo una più efficace risposta alla concorrenza dei porti degli altri paesi;
in particolare il comma 2 prevede nei casi in cui le autorità portuali si avvalgano della facoltà di riduzione della tassa di ancoraggio in misura superiore al settanta per cento, viene esclusa la possibilità di pagare il tributo con la modalità dell'abbonamento annuale;
fino al 30 giugno 2013 le autorità portuali hanno avuto la possibilità di variare in aumento e in diminuzione le tasse portuali senza il suddetto vincolo della modalità di pagamento;
la facoltà di variare le tasse portuali, soprattutto per i porti di transhipment, è fondamentale per garantire la competitività dei porti italiani rispetto agli altri porti mediterranei;
sarebbe opportuno dunque mantenere tale facoltà inalterata, senza introdurre vincoli i cui effetti sarebbero oltretutto da verificare non potendosi escludere che porterebbero a deviazioni di traffico anche tra porti nazionali;
impegna il Governo
a valutare gli effetti derivanti dall'applicazione della disposizione contenuta nel terzo periodo del comma 2 dell'articolo 22 del decreto-legge, considerando l'opportunità di non escludere la possibilità di pagare il tributo con la modalità dell'abbonamento annuale così come previsto nel sistema previgente.
9/1248-A-R/119. Oliaro.
La Camera,
premesso che:
i commi 2 e 3 dell'articolo 22 del decreto-legge in esame intervengono al fine di rafforzare l'autonomia delle autorità portuali in ordine all'aumento o alla riduzione delle tasse portuali sulle merci e per l'ancoraggio, consentendo una più efficace risposta alla concorrenza dei porti degli altri paesi;
in particolare il comma 2 prevede nei casi in cui le autorità portuali si avvalgano della facoltà di riduzione della tassa di ancoraggio in misura superiore al settanta per cento, viene esclusa la possibilità di pagare il tributo con la modalità dell'abbonamento annuale;
fino al 30 giugno 2013 le autorità portuali hanno avuto la possibilità di variare in aumento e in diminuzione le tasse portuali senza il suddetto vincolo della modalità di pagamento;
la facoltà di variare le tasse portuali, soprattutto per i porti di transhipment, è fondamentale per garantire la competitività dei porti italiani rispetto agli altri porti mediterranei;
sarebbe opportuno dunque mantenere tale facoltà inalterata, senza introdurre vincoli i cui effetti sarebbero oltretutto da verificare non potendosi escludere che porterebbero a deviazioni di traffico anche tra porti nazionali;
impegna il Governo
a valutare gli effetti derivanti dall'applicazione della disposizione contenuta nel terzo periodo del comma 2 dell'articolo 22 del decreto-legge, considerando eventualmente l'opportunità di non escludere la possibilità di pagare il tributo con la modalità dell'abbonamento annuale così come previsto nel sistema previgente.
9/1248-A-R/119. (Testo modificato nel corso della seduta) Oliaro.
La Camera,
premesso che:
il comma 1, lettera a) dell'articolo 24 del decreto-legge in oggetto, modifica l'articolo 17, comma 1, del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, che ha dato attuazione nel nostro ordinamento alle direttive 2001/12/CE, 2001/13/CE e 2001/14/CE in materia ferroviaria e che disciplina i canoni di accesso all'infrastruttura ferroviaria;
l'articolo 17, in particolare definisce attualmente la procedura per la determinazione del canone dovuto per l'accesso all'infrastruttura ferroviaria nazionale prevedendo che, ai fini dell'accesso e dell'utilizzo equo e non discriminatorio dell'infrastruttura ferroviaria da parte delle associazioni internazionali di imprese ferroviarie e delle imprese ferroviarie, il canone sia stabilito con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, acquisita una motivata relazione da parte del Gestore dell'infrastruttura ferroviaria (vale a dire Rfi Spa), previo parere del CIPE e d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano limitatamente ai servizi di loro competenza;
con la modifica del comma 1 lettera a) si prevede invece che il decreto ministeriale debba solo approvare la proposta del Gestore per l'individuazione del canone dovuto e che il decreto stesso sia adottato semplicemente sentita la Conferenza Stato-Regioni, anziché previa intesa con la Conferenza stessa, come previsto in precedenza;
in virtù della tipologia del servizio offerto appare opportuno che il diritto dovere di determinare in maniera equa e non discriminatoria la misura del canone per l'accesso alla infrastruttura ferroviaria debba restare in capo al proprietario concedente dell'infrastruttura stessa, cioè allo Stato attraverso il Ministero competente, e non può essere trasferito al concessionario gestore dell'infrastruttura,
impegna il Governo
a valutare gli effetti applicativi della norma succitata al fine di rivederne il contenuto restituendo in capo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la competenza esclusiva nel determinare il canone così come previsto dall'articolo 17 del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, che ha dato attuazione nel nostro ordinamento alle direttive 2001/12/CE, 2001/13/CE e 2001/14/CE.
9/1248-A-R/120. Vitelli, Oliaro.
La Camera,
premesso che:
il comma 1, lettera a) dell'articolo 24 del decreto-legge in oggetto, modifica l'articolo 17, comma 1, del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, che ha dato attuazione nel nostro ordinamento alle direttive 2001/12/CE, 2001/13/CE e 2001/14/CE in materia ferroviaria e che disciplina i canoni di accesso all'infrastruttura ferroviaria;
l'articolo 17, in particolare definisce attualmente la procedura per la determinazione del canone dovuto per l'accesso all'infrastruttura ferroviaria nazionale prevedendo che, ai fini dell'accesso e dell'utilizzo equo e non discriminatorio dell'infrastruttura ferroviaria da parte delle associazioni internazionali di imprese ferroviarie e delle imprese ferroviarie, il canone sia stabilito con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, acquisita una motivata relazione da parte del Gestore dell'infrastruttura ferroviaria (vale a dire Rfi Spa), previo parere del CIPE e d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano limitatamente ai servizi di loro competenza;
con la modifica del comma 1 lettera a) si prevede invece che il decreto ministeriale debba solo approvare la proposta del Gestore per l'individuazione del canone dovuto e che il decreto stesso sia adottato semplicemente sentita la Conferenza Stato-Regioni, anziché previa intesa con la Conferenza stessa, come previsto in precedenza;
in virtù della tipologia del servizio offerto appare opportuno che il diritto dovere di determinare in maniera equa e non discriminatoria la misura del canone per l'accesso alla infrastruttura ferroviaria debba restare in capo al proprietario concedente dell'infrastruttura stessa, cioè allo Stato attraverso il Ministero competente, e non può essere trasferito al concessionario gestore dell'infrastruttura,
impegna il Governo
a valutare gli effetti applicativi della norma succitata.
9/1248-A-R/120. (Testo modificato nel corso della seduta) Vitelli, Oliaro.
La Camera,
premesso che:
in caso di leasing finanziario, la deducibilità dei canoni è correlata ad una «durata minima fiscale» dell'operazione e al principio dell'inerenza del bene rispetto all'attività svolta;
in via generale, la disciplina attuale (articolo 102, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917) prevede che, a prescindere dalla durata contrattuale effettiva, la durata minima fiscale del contratto di leasing non sia inferiore ai 2/3 del periodo d'ammortamento ordinario, mentre, regole specifiche riguardano i contratti di leasing immobiliare e di autovetture;
sarebbe opportuna, limitatamente a nuovi contratti di leasing finanziario, una modifica alla normativa vigente che consenta una deducibilità fiscale anticipata rispetto alla situazione attuale, sia in relazione ai beni mobili strumentali all'attività di impresa, sia ai beni immobili, portando ad esempio il periodo di deducibilità fiscale del leasing pari alla metà del periodo di ammortamento corrispondente ai coefficienti ministeriali per i beni strumentali e per i veicoli utilizzati direttamente dall'impresa, nonché a nove anni per gli immobili;
tale intervento modificativo, oltre ad essere vantaggioso per le imprese che investono, avrebbe altresì un effetto espansivo sul volume dei contratti di leasing finanziario, il cui ammontare stipulato nel periodo gennaio-dicembre 2012 è risultato pari a 16,657 miliardi di euro (Fonte Assilea);
l'anticipazione della deducibilità fiscale dei canoni di leasing finanziario non avrebbe un impatto negativo in termini di gettito per l'Erario, data la grave crisi economico-finanziaria in cui versa la maggior parte delle imprese italiane;
impegna il Governo
al fine di incentivare le imprese nella stipula di nuovi contratti di leasing finanziario, a valutare l'opportunità di adottare misure agevolative in favore del leasing finanziario, introducendo modifiche che consentano una deducibilità fiscale anticipata rispetto alla normativa vigente.
9/1248-A-R/121. Sottanelli.
La Camera,
premesso che:
in caso di leasing finanziario, la deducibilità dei canoni è correlata ad una «durata minima fiscale» dell'operazione e al principio dell'inerenza del bene rispetto all'attività svolta;
in via generale, la disciplina attuale (articolo 102, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917) prevede che, a prescindere dalla durata contrattuale effettiva, la durata minima fiscale del contratto di leasing non sia inferiore ai 2/3 del periodo d'ammortamento ordinario, mentre, regole specifiche riguardano i contratti di leasing immobiliare e di autovetture;
sarebbe opportuna, limitatamente a nuovi contratti di leasing finanziario, una modifica alla normativa vigente che consenta una deducibilità fiscale anticipata rispetto alla situazione attuale, sia in relazione ai beni mobili strumentali all'attività di impresa, sia ai beni immobili, portando ad esempio il periodo di deducibilità fiscale del leasing pari alla metà del periodo di ammortamento corrispondente ai coefficienti ministeriali per i beni strumentali e per i veicoli utilizzati direttamente dall'impresa, nonché a nove anni per gli immobili;
tale intervento modificativo, oltre ad essere vantaggioso per le imprese che investono, avrebbe altresì un effetto espansivo sul volume dei contratti di leasing finanziario, il cui ammontare stipulato nel periodo gennaio-dicembre 2012 è risultato pari a 16,657 miliardi di euro (Fonte Assilea);
l'anticipazione della deducibilità fiscale dei canoni di leasing finanziario non avrebbe un impatto negativo in termini di gettito per l'Erario, data la grave crisi economico-finanziaria in cui versa la maggior parte delle imprese italiane;
impegna il Governo
a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, la possibilità di incentivare le imprese nella stipula di nuovi contratti di leasing finanziario, valutando l'opportunità di adottare misure agevolative.
9/1248-A-R/121. (Testo modificato nel corso della seduta) Sottanelli.
La Camera,
premesso che:
il «Decreto del fare» reca disposizioni volte alla semplificazione di specifiche procedure in materia di sicurezza sul lavoro, finalizzate a rimuovere obblighi di natura esclusivamente formale, che non hanno alcuna reale ricaduta sulla efficacia delle azioni di tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro;
le semplificazioni previste riguardano principalmente gli obblighi aziendali relativi alle figure del datore di lavoro, dei dirigenti e in alcuni casi anche del responsabile del servizio di prevenzione e protezione aziendale, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e gli stessi lavoratori. Nessuna semplificazione è invece presa in considerazione per quanto attiene alla figura del medico competente, titolare di compiti e obblighi fondamentali per la tutela della salute dei lavoratori, cui peraltro la legge attribuisce attualmente anche oneri burocratici di estrema difficoltà applicativa, assolutamente avulsi dalla necessità di creare la massima condizione di tutela della sicurezza del lavoratore;
in particolare, l'articolo 40, comma 1, del decreto legislativo n. 81 del 2008 prevede che, entro il primo trimestre dell'anno successivo all'anno di riferimento, il medico competente, esclusivamente per via telematica, trasmetta ai servizi competenti per territorio le informazioni, elaborate evidenziando le differenze di genere, relative ai dati aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori, sottoposti a sorveglianza sanitaria secondo il modello in allegato 3B;
l'articolo 3, comma 2, del decreto ministeriale 9 luglio 2012 recante «Contenuti e modalità di trasmissione dei dati aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori» ribadisce che la trasmissione dei dati utilizzabili a fini epidemiologici inerenti ai dati aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria debba essere effettuata unicamente in via telematica dal medico competente entro il primo trimestre dell'anno successivo all'anno di riferimento;
l'articolo 4, comma 1 del decreto ministeriale 9 luglio 2012, recante «Disposizioni transitorie e entrata in vigore» dispone che al fine di consentire una valutazione approfondita della rispondenza delle previsioni del presente decreto a criteri di semplicità e certezza nella raccolta e delle modalità di trasmissione delle informazioni, è individuato un periodo transitorio di mesi 12 a far data dall'entrata in vigore del presente decreto per la sperimentazione delle disposizioni previste (fino al 24 agosto 2013);
esclusivamente con riferimento al periodo di sperimentazione, il termine per la trasmissione delle informazioni, di cui al citato allegato 3B del decreto legislativo n. 81 del 2008, è scaduto il 30 giugno 2013;
è importante evidenziare che l'articolo 4, comma 4, dello stesso decreto 9 luglio 2012, dispone in merito alla durata del periodo transitorio di sperimentazione, con riferimento a possibili difficoltà di raccolta e trasmissione telematica delle informazioni di cui al comma 1 dell'articolo 40, che la sanzione pecuniaria da 1.000 a 4.000 euro di cui all'articolo 58, comma 1, lettera e), sia sospesa sino al termine della sperimentazione;
l'INAIL, solamente a far data dal 22 maggio 2013, ha reso attivo un applicativo web strutturato in maniera da rendere il più possibile standardizzate le operazioni di inserimento e trasmissione dei dati;
l'utilizzo della piattaforma predisposta dall'INAIL risulta particolarmente complesso, mentre appare problematico lo stesso accesso al sistema: che il mondo sanitario e scientifico di riferimento ha ripetutamente e ufficialmente esternato le proprie perplessità sia nel merito della raccolta dei dati, che sull'efficacia degli indicatori selezionati per le trasmissioni finalizzate alla valutazione delle attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali,
impegna il Governo:
a prevedere, nei prossimi provvedimenti normativi, la possibilità di modificare l'articolo 40 del decreto legislativo n. 81 del 2008, con particolare riferimento agli effetti conseguenti alle disposizioni in esso contenute, disponendo una proroga del termine della sperimentazione almeno sino al 31 dicembre 2013, con conseguente sospensione del pesante apparato sanzionatorio a carico dei medici competenti;
ad attivare un tavolo di confronto con le associazioni che raccolgono i medici competenti, finalizzato a valutare ogni opportuna modifica delle disposizioni contenute all'articolo 4 del decreto ministeriale 9 luglio 2012, finalizzate ad eliminare eventuali gravami burocratici per i medici competenti dai quali non discendano effettivi miglioramenti delle condizioni di tutela della salute del lavoratore.
9/1248-A-R/122. Vargiu.
La Camera,
premesso che:
il «Decreto del fare» reca disposizioni volte alla semplificazione di specifiche procedure in materia di sicurezza sul lavoro, finalizzate a rimuovere obblighi di natura esclusivamente formale, che non hanno alcuna reale ricaduta sulla efficacia delle azioni di tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro;
le semplificazioni previste riguardano principalmente gli obblighi aziendali relativi alle figure del datore di lavoro, dei dirigenti e in alcuni casi anche del responsabile del servizio di prevenzione e protezione aziendale, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e gli stessi lavoratori. Nessuna semplificazione è invece presa in considerazione per quanto attiene alla figura del medico competente, titolare di compiti e obblighi fondamentali per la tutela della salute dei lavoratori, cui peraltro la legge attribuisce attualmente anche oneri burocratici di estrema difficoltà applicativa, assolutamente avulsi dalla necessità di creare la massima condizione di tutela della sicurezza del lavoratore;
in particolare, l'articolo 40, comma 1, del decreto legislativo n. 81 del 2008 prevede che, entro il primo trimestre dell'anno successivo all'anno di riferimento, il medico competente, esclusivamente per via telematica, trasmetta ai servizi competenti per territorio le informazioni, elaborate evidenziando le differenze di genere, relative ai dati aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori, sottoposti a sorveglianza sanitaria secondo il modello in allegato 3B;
l'articolo 3, comma 2, del decreto ministeriale 9 luglio 2012 recante «Contenuti e modalità di trasmissione dei dati aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori» ribadisce che la trasmissione dei dati utilizzabili a fini epidemiologici inerenti ai dati aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria debba essere effettuata unicamente in via telematica dal medico competente entro il primo trimestre dell'anno successivo all'anno di riferimento;
l'articolo 4, comma 1 del decreto ministeriale 9 luglio 2012, recante «Disposizioni transitorie e entrata in vigore» dispone che al fine di consentire una valutazione approfondita della rispondenza delle previsioni del presente decreto a criteri di semplicità e certezza nella raccolta e delle modalità di trasmissione delle informazioni, è individuato un periodo transitorio di mesi 12 a far data dall'entrata in vigore del presente decreto per la sperimentazione delle disposizioni previste (fino al 24 agosto 2013);
esclusivamente con riferimento al periodo di sperimentazione, il termine per la trasmissione delle informazioni, di cui al citato allegato 3B del decreto legislativo n. 81 del 2008, è scaduto il 30 giugno 2013;
è importante evidenziare che l'articolo 4, comma 4, dello stesso decreto 9 luglio 2012, dispone in merito alla durata del periodo transitorio di sperimentazione, con riferimento a possibili difficoltà di raccolta e trasmissione telematica delle informazioni di cui al comma 1 dell'articolo 40, che la sanzione pecuniaria da 1.000 a 4.000 euro di cui all'articolo 58, comma 1, lettera e), sia sospesa sino al termine della sperimentazione;
l'INAIL, solamente a far data dal 22 maggio 2013, ha reso attivo un applicativo web strutturato in maniera da rendere il più possibile standardizzate le operazioni di inserimento e trasmissione dei dati;
l'utilizzo della piattaforma predisposta dall'INAIL risulta particolarmente complesso, mentre appare problematico lo stesso accesso al sistema: che il mondo sanitario e scientifico di riferimento ha ripetutamente e ufficialmente esternato le proprie perplessità sia nel merito della raccolta dei dati, che sull'efficacia degli indicatori selezionati per le trasmissioni finalizzate alla valutazione delle attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali,
impegna il Governo:
a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di prevedere, nei prossimi provvedimenti normativi, la possibilità di modificare l'articolo 40 del decreto legislativo n. 81 del 2008, con particolare riferimento agli effetti conseguenti alle disposizioni in esso contenute, disponendo una proroga del termine della sperimentazione almeno sino al 31 dicembre 2013, con conseguente sospensione del pesante apparato sanzionatorio a carico dei medici competenti;
ad attivare un tavolo di confronto con le associazioni che raccolgono i medici competenti, finalizzato a valutare ogni opportuna modifica delle disposizioni contenute all'articolo 4 del decreto ministeriale 9 luglio 2012, finalizzate ad eliminare eventuali gravami burocratici per i medici competenti dai quali non discendano effettivi miglioramenti delle condizioni di tutela della salute del lavoratore.
9/1248-A-R/122. (Testo modificato nel corso della seduta) Vargiu.
La Camera,
premesso che:
in materia di servizi di teleriscaldamento e teleraffrescamento (servizi a rete che si caratterizzano per un uso efficiente dell'energia, in particolare quando hanno alla base un impianto di cogenerazione) vi è, attualmente, un vuoto di regolazione, da colmare con urgenza;
il legislatore ha fornito, infatti, una definizione «di rimando» del teleriscaldamento in un decreto ministeriale del 2005 che si occupa della produzione combinata di energia elettrica e calore; inoltre, l'attività di teleriscaldamento non è soggetta a regolamentazione delle condizioni di fornitura da parte dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas;
i servizi di teleriscaldamento e teleraffrescamento sono oggi prestati in condizione di sostanziale monopolio, in quanto i fornitori definiscono unilateralmente le condizioni di accesso al servizio; ciò può comportare significativi problemi sotto il profilo della concorrenza, attinenti, ad esempio, al livello delle tariffe per il servizio di teleriscaldamento, ma anche alle possibili restrizioni alla interfuel competition, con particolare riferimento a quelle derivanti dagli obblighi di connessione alla rete di teleriscaldamento ed agli ostacoli alla disconnessione da tale rete posti da alcuni Comuni;
vi è, dunque, l'esigenza di un Regolatore terzo, imparziale e tecnicamente specializzato, in grado di definire, in chiave pro-concorrenziale, criteri e modalità per la determinazione dei corrispettivi del servizio, anche nell'ottica di una maggiore trasparenza e protezione degli utenti;
tale Regolatore può essere individuato nell'Autorità per l'energia elettrica e il gas (AEEG) che, ai sensi della sua legge istitutiva (n. 481/1995), è chiamata a promuovere la concorrenza nei settori regolati e a tutelare gli utenti (articolo 1);
pertanto l'AEEG, vista anche la competenza maturata in quasi vent'anni di regolazione dei servizi energetici, appare il soggetto più indicato per consentire di superare l'attuale situazione in cui i fornitori definiscono unilateralmente le condizioni di accesso al servizio, in regime di sostanziale monopolio; tutto ciò con evidenti riflessi positivi per i consumatori,
impegna il Governo
ad adottare iniziative anche di tipo di normativo volte ad attribuire all'AEEG le funzioni di regolazione e controllo in materia di tele riscaldamento e teleraffrescamento.
9/1248-A-R/123. Fauttilli.
La Camera,
premesso che:
in materia di servizi di teleriscaldamento e teleraffrescamento (servizi a rete che si caratterizzano per un uso efficiente dell'energia, in particolare quando hanno alla base un impianto di cogenerazione) vi è, attualmente, un vuoto di regolazione, da colmare con urgenza;
il legislatore ha fornito, infatti, una definizione «di rimando» del teleriscaldamento in un decreto ministeriale del 2005 che si occupa della produzione combinata di energia elettrica e calore; inoltre, l'attività di teleriscaldamento non è soggetta a regolamentazione delle condizioni di fornitura da parte dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas;
i servizi di teleriscaldamento e teleraffrescamento sono oggi prestati in condizione di sostanziale monopolio, in quanto i fornitori definiscono unilateralmente le condizioni di accesso al servizio; ciò può comportare significativi problemi sotto il profilo della concorrenza, attinenti, ad esempio, al livello delle tariffe per il servizio di teleriscaldamento, ma anche alle possibili restrizioni alla interfuel competition, con particolare riferimento a quelle derivanti dagli obblighi di connessione alla rete di teleriscaldamento ed agli ostacoli alla disconnessione da tale rete posti da alcuni Comuni;
vi è, dunque, l'esigenza di un Regolatore terzo, imparziale e tecnicamente specializzato, in grado di definire, in chiave pro-concorrenziale, criteri e modalità per la determinazione dei corrispettivi del servizio, anche nell'ottica di una maggiore trasparenza e protezione degli utenti;
tale Regolatore può essere individuato nell'Autorità per l'energia elettrica e il gas (AEEG) che, ai sensi della sua legge istitutiva (n. 481/1995), è chiamata a promuovere la concorrenza nei settori regolati e a tutelare gli utenti (articolo 1);
pertanto l'AEEG, vista anche la competenza maturata in quasi vent'anni di regolazione dei servizi energetici, appare il soggetto più indicato per consentire di superare l'attuale situazione in cui i fornitori definiscono unilateralmente le condizioni di accesso al servizio, in regime di sostanziale monopolio; tutto ciò con evidenti riflessi positivi per i consumatori,
impegna il Governo
ad attribuire all'AEEG le funzioni di regolazione e controllo sulle condizioni di accesso alle reti e sulla qualità dei servizi in materia di tele riscaldamento e teleraffrescamento.
9/1248-A-R/123. (Testo modificato nel corso della seduta) Fauttilli.
La Camera,
premesso che:
nell'ambito delle misure di semplificazione amministrativa sono stati prorogati di due anni i termini di inizio e di ultimazione dei lavori, di cui all'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, in materia edilizia;
il testo si riferisce ai titoli abitativi «rilasciati o comunque formatisi antecedentemente all'entrata in vigore del presente decreto» ma il successivo ultimo comma prevede che le disposizioni dell'articolo 30 si applicano dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, ingenerando possibili dubbi interpretativi;
impegna il Governo
ad ogni attività utile per risolvere i conflitti interpretativi nel senso di applicare effettivamente la proroga agli interventi in essere alla data del decreto, risultando altrimenti vanificato la finalità di semplificazione.
9/1248-A-R/124. Matarrese.
La Camera,
premesso che:
nell'ambito delle misure di semplificazione amministrativa sono stati prorogati di due anni i termini di inizio e di ultimazione dei lavori, di cui all'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, in materia edilizia;
il testo si riferisce ai titoli abitativi «rilasciati o comunque formatisi antecedentemente all'entrata in vigore del presente decreto» ma il successivo ultimo comma prevede che le disposizioni dell'articolo 30 si applicano dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, ingenerando possibili dubbi interpretativi;
impegna il Governo
ad ogni attività utile per risolvere eventuali conflitti interpretativi nel senso di applicare effettivamente la proroga agli interventi in essere alla data del decreto, risultando altrimenti vanificato la finalità di semplificazione.
9/1248-A-R/124. (Testo modificato nel corso della seduta) Matarrese.
La Camera,
premesso che:
secondo le analisi più recenti, il commercio del falso nel nostro Paese, con il solo riferimento al mercato interno (senza dunque considerare la quota di merci contraffatte che partono dall'Italia verso l'estero), avrebbe prodotto un fatturato annuo di circa 7 miliardi di euro, con un'ingente perdita per il bilancio dello Stato, in termini di mancate entrate fiscali;
a tali effetti negativi sul piano dell'economia nazionale, si aggiungono i pericoli che l'utilizzo di prodotti contraffatti può comportare per la salute dei cittadini, posto che questi ultimi tendono ad inserirsi con sempre maggiore frequenza nel circuito produttivo legale, sfuggendo a qualsiasi tipologia di controllo e senza alcun tipo di garanzia per i consumatori;
il made in Italy rappresenta non solo un marchio conosciuto nel mondo, ma anche un tessuto produttivo di altissima qualità, a vari livelli e nei settori più differenti, caratterizzato da ingegno, lavoro e capacità di produrre ricchezza;
l'Unione europea non ha ancora approvato disposizioni armonizzate sul made in, tale indifferenza denota un grave limite politico e strategico, poiché i maggiori partner commerciali dell'Unione europea, hanno invece introdotto l'obbligo dell'indicazione del paese dell'origine sul prodotto e sul relativo imballaggio;
tale posizione è un danno grave per le piccole e medie imprese italiane, sottoposte alla concorrenza sleale della contraffazione in un momento di crisi profonda e perdurante come quella attuale;
attualmente il Parlamento europeo sta discutendo il «Pacchetto sicurezza prodotti e vigilanza del mercato» composto da due proposte di regolamento (COM(2013)75 relativo alla sorveglianza del mercato dei prodotti e COM(2013)78 relativo alla sicurezza dei prodotti per i consumatori;
la proposta di Regolamento sulla sicurezza dei prodotti definisce una serie di norme che intendono assicurare la piena tracciabilità dei beni e prevede obblighi, proporzionati e calibrati, per tutta la filiera dal fabbricante all'importatore al distributore;
è fondamentale per il nostro sistema produttivo che le norme previste dal «pacchetto sicurezza prodotti e vigilanza del mercato» siano adottate in tempi rapidi in Italia, al fine di fornire un'adeguata tutela al consumatore;
impegna il Governo
ad attivarsi in sede europea al fine di sollecitare l'iter dell'approvazione delle citate proposte di regolamento salvaguardando in particolare il contenuto dell'articolo 7 della proposta di regolamento sulla sicurezza dei prodotti per i consumatori COM(2013)78 relativo alla piena tracciabilità dei prodotti con la definizione delle nuove disposizioni in materia di made in.
9/1248-A-R/125. Sanga.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 52, comma 1, del presente decreto modifica e integra la disciplina della riscossione delle imposte contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, prevedendo una serie di misure finalizzate ad agevolare i contribuenti in difficoltà economica o con momentanea carenza di liquidità;
in particolare, accertata l'impossibilità per il contribuente di assolvere il pagamento secondo un piano di rateazione ordinario ed accertata la solvibilità del contribuente in relazione al piano di rateazione richiesto, è ampliata fino a dieci anni la possibilità di rateazione del pagamento delle imposte (120 rate mensili), eventualmente prorogabile per altri dieci anni; è inoltre ampliato a otto il numero di rate non pagate, anche non consecutive, a partire dal quale il debitore decade dal beneficio della rateizzazione del proprio debito tributario;
le somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo o di affidamento dei carichi all'Agente della riscossione, le somme aventi ad oggetto le comunicazioni di irregolarità inviate ai contribuenti a seguito della liquidazione delle dichiarazione o dei controlli formali; nonché le somme dovute al fisco a seguito di adesione ai processi verbali di constatazione, agli inviti a comparire all'accertamento con adesione, alla conciliazione giudiziale e all'omessa impugnazione dell'avviso di accertamento o di liquidazione prevedono possibilità di dilazione dei pagamenti con modalità, criteri e termini che evidenziano consistenti differenze difficilmente giustificabili dal punto di vista logico-giuridico e generano non giustificabili discriminazioni, con conseguenti dubbi in merito al rispetto dell'articolo 3 della Costituzione;
in particolare se si rateizza a seguito di adesione a processo verbale di constatazione, definizioni in accertamento con adesione e conciliazioni e, fatto salvo il pagamento della prima, non si paga una sola rata entro il termine di scadenza della successiva, si decade dal beneficio ed è irrogate una sanzione pari al 60 per cento del tributo che resta ancora da versare;
se si rateizzano le somme dovute a seguito delle comunicazioni di irregolarità inviate ai contribuenti a seguito della liquidazione delle dichiarazione o dei controlli formali (cosiddetti avvisi bonari), si decade dalla rateazione in caso di mancato pagamento di una sola rata entro il termine del versamento della rata successiva ed è irrogata una sanzione pari al 30 per cento della sola rata non versata;
infine se si rateizzano i carichi di ruolo, ai sensi di quanti previsto dal citato articolo 52 del presente decreto si decade solo se non si versano otto rate anche non consecutive e non viene irrogata alcuna sanzione per il mancato pagamento della rate;
le evidenti differenze non paiono sufficientemente supportate da ragioni di merito pertanto sarebbe auspicabile intervenire al fine di procedere ad una radicale revisione dell'istituto della rateazione delle somme dovute al fisco mantenendo la distinzione tra l'accesso all'istituto della rateazione legato alla obiettiva e temporanea situazione di difficoltà, da valutarsi da parte dell'Agente della riscossione, per i carichi di ruolo e meccanismi automatici previsti dalla legge per i casi in cui il contribuente richieda la rateazione delle somme in una fase precedente la riscossione;
impegna il Governo
ad intervenire sul processo di dilazione delle somme dovute al fisco al fine di eliminare le differenze tra la rateazione conseguente all'utilizzo di istituti deflattivi del contenzioso (come l'adesione ai processi verbali di constatazione, agli inviti a comparire, all'accertamento con adesione, alla conciliazione giudiziale, e all'acquiescenza) e la rateazione conseguente alle somme dovute a seguito delle comunicazioni di irregolarità inviate ai contribuenti (cosiddetti avvisi bonari).
9/1248-A-R/126. Laforgia, Moretti.
La Camera,
premesso che:
la disciplina della rateazione delle somme dovute al fisco non è omogenea ma coesistono diverse tipologie di dilazione di pagamento;
le somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo o di affidamento dei carichi all'Agente della riscossione l'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, statuisce, al comma 1, che l'agente della riscossione, su richiesta del contribuente, può concedere nell'ipotesi di temporanea situazione di obiettiva difficoltà dello stesso, la ripartizione del pagamento delle somme iscritte a ruolo fino ad un massimo di settantadue rate mensili;
l'articolo 52 del presente decreto modifica e integra la disciplina della riscossione delle imposte contenuta nel citato decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, prevedendo una serie di misure finalizzate ad agevolare i contribuenti in difficoltà economica o con momentanea carenza di liquidità tra le quali la possibilità di estendere la dilazione di pagamento fino a 120 rate nei casi di comprovata e grave situazione di difficoltà, eventualmente prorogabile per altri dieci anni;
l'articolo 3-bis del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 462, dispone, al comma 1, che le somme dovute per le comunicazioni di irregolarità (cosiddetti avvisi bonari) inviate ai contribuenti a seguito della liquidazione delle dichiarazioni di cui all'articolo 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 – ai fini delle imposte dirette –, e all'articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 – ai fini dell'Iva – o dei controlli formali di cui all'articolo 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, possono essere versate in un numero massimo di sei rate trimestrali di pari importo, ovvero, se superiori a cinquemila euro, in un numero massimo di venti rate trimestrali di pari importo;
in particolare le due rateazioni si differenziano per alcuni aspetti sostanziali quali il diritto ad accedere al beneficio, il periodo di rateazione, la decadenza dal beneficio e le sanzioni connesse al mancato rispetto del piano;
nelle more di una complessiva riforma del sistema dell'accertamento e della riscossione è necessario un coordinamento delle nuove disposizioni per la riscossione mediante ruolo di cui all'articolo 52 del presente decreto con l'attuale disciplina prevista per le dilazioni concesse dall'Agenzia delle entrate sugli avvisi bonari al fine di permettere ai contribuenti che si trovino, per ragioni estranee alla propria responsabilità, in una comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica di riuscire ad adempiere all'obbligazione senza incorrere nell'iscrizione a ruolo del debito in tempi ristretti con un significativo aggravio di sanzioni, interessi ed aggio per l'agente della riscossione;
impegna il Governo
nelle more di una complessiva riforma del sistema dell'accertamento e della riscossione, a prevedere, qualora il contribuente si trovi, per ragioni estranee alla propria responsabilità, in una comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica, la possibilità di aumentare il numero di rate della dilazione di cui all'articolo 3-bis, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 462 al fine di evitare l'affidamento dei carichi all'Agente della riscossione con un significativo aggravio delle somme dovute in termini di sanzioni, interessi ed aggi.
9/1248-A-R/127. Amoddio, Antezza, Biondelli, Sbrollini, Arlotti, Folino.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame contiene una serie di misure finalizzate a garantire, nell'ottica della tutela della salute del cittadino, disposizioni per la semplificazione degli adempimenti amministrativi connessi alla tutela stessa;
l'attività fisica, specialmente quella sportiva non agonistica è sicuramente un fattore di promozione della salute e non di rischio ed è dovere dello Stato assicurarne la massima diffusione;
in base alla normativa attuale prevista dall'articolo 7, comma 11 del decreto-legge n. 158 del 2012 convertito con modificazioni dalla L. 8 novembre 2012, n. 189 prevede che: «Al fine di salvaguardare la salute dei cittadini che praticano un'attività sportiva non agonistica o amatoriale il Ministro della salute, con proprio decreto, adottato di concerto con il Ministro delegato al turismo e allo sport, dispone garanzie sanitarie mediante l'obbligo di idonea certificazione medica, nonché linee guida per l'effettuazione di controlli sanitari sui praticanti e per la dotazione e l'impiego, da parte di società sportive sia professionistiche che dilettantistiche, di defibrillatori semiautomatici e di eventuali altri dispositivi salvavita»;
il testo del Decreto Ministeriale pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 20 luglio, nel ribadire la salvaguardia della salute dei cittadini che praticano sport a livello non agonistico o amatoriale;
dispone l'obbligo di certificazione medica e l'introduzione di nuovi accertamenti sanitari per i praticanti; e ne differenzia la tipologia secondo la tipologia di attività sportiva posta in essere;
individua una nuova tipologia di attività fisica denominata «ludico-motoria», descritta non tanto in base ai contenuti tecnici dell'attività stessa, quanto in base alla estraneità al tesseramento e all'attività di associazioni sportive di qualsiasi tipo;
definisce non ben precisati «contesti autorizzati e organizzati» all'esercizio di tale attività secondo le normative vigenti senza indicare quali siano le normative che autorizzano ad organizzare tale ad oggi sconosciuta attività;
obbliga ad una nuova, onerosa, certificazione ed onerosi accertamenti a carico delle persone che volessero svolgere tale attività con il prevedibile effetto dell'abbandono dell'attività sportiva da parte dei soggetti meno abbienti;
introduce l'obbligo per i non precisati incaricati dei succitati non precisati «contesti», poi denominati «strutture e luoghi», di ricevere e conservare tali certificati, prefigurando per questi soggetti la responsabilità di individuare la soglia oltre la quale l'attività motoria possa considerarsi «saltuaria e non ripetitiva» e quindi non soggetta a certificazione obbligatoria;
introduce nuovi onerosi accertamenti per ottenere la certificazione obbligatoria per l'attività non agonistica tra cui l'effettuazione di un ECG a riposo sulla cui efficacia nella prevenzione degli eventi avversi la comunità scientifica nutre fortissimi dubbi;
dispone che l'attività svolta presso le associazioni sportive dilettantistiche, enti di promozione sportiva, discipline associate, federazioni sportive, anche non in qualità di tesserati, debba considerarsi comunque «non agonistica» ai fini della certificazione, mentre è palese e assodato che tali organismi organizzano e svolgono una rilevantissima ed estesa attività assolutamente definibile come ludico-motoria, per soggetti tesserati e non e che tale disposizione produrrebbe a questi organismi un grave danno, caricando frequentatori ed organizzatori di queste attività di oneri economici e burocratici non spettanti invece ai frequentatori dei succitati indefiniti «contesti», e prefigurando quindi due tipi diversi di tutela sanitaria per la stessa tipologia di attività;
obbliga tutte le società e associazioni sportive di dotarsi di un defibrillatore, prevedendo la facoltà di associarsi per dotazione ed uso, ma non prevedendo obblighi di nessuna natura per i proprietari e i gestori degli impianti sportivi, disposizione questa che carica sulle ASD, in larghissima percentuale costituite da poche decine di soci volontari, un grave peso economico e di responsabilità che andrebbe in altro modo ripartito,
impegna il Governo:
a stabilire, così come previsto per la dotazione e l'uso dei defibrillatori il termine di trenta mesi dalla pubblicazione in gazzetta ufficiale del decreto ministeriale anche per la messa a regime del nuovo sistema di certificazione;
a promuovere un tavolo di lavoro che veda la partecipazione di Enti di Promozione sportiva, Discipline Associate, Federazioni Sportive, per produrre chiarimenti e determinare linee guida, tali da conciliare la sicurezza delle persone che svolgono attività motoria e sportiva con l'obiettivo della massima diffusione di tale pratica, delle pari opportunità per l'accesso per tutti i cittadini, della semplificazione burocratica per praticanti ed organizzatori.
9/1248-A-R/128. Fossati, Lenzi, Giuditta Pini, Coccia.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame contiene una serie di misure finalizzate a garantire, nell'ottica della tutela della salute del cittadino, disposizioni per la semplificazione degli adempimenti amministrativi connessi alla tutela stessa;
l'attività fisica, specialmente quella sportiva non agonistica è sicuramente un fattore di promozione della salute e non di rischio ed è dovere dello Stato assicurarne la massima diffusione;
in base alla normativa attuale prevista dall'articolo 7, comma 11 del decreto-legge n. 158 del 2012 convertito con modificazioni dalla L. 8 novembre 2012, n. 189 prevede che: «Al fine di salvaguardare la salute dei cittadini che praticano un'attività sportiva non agonistica o amatoriale il Ministro della salute, con proprio decreto, adottato di concerto con il Ministro delegato al turismo e allo sport, dispone garanzie sanitarie mediante l'obbligo di idonea certificazione medica, nonché linee guida per l'effettuazione di controlli sanitari sui praticanti e per la dotazione e l'impiego, da parte di società sportive sia professionistiche che dilettantistiche, di defibrillatori semiautomatici e di eventuali altri dispositivi salvavita»;
il testo del Decreto Ministeriale pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 20 luglio, nel ribadire la salvaguardia della salute dei cittadini che praticano sport a livello non agonistico o amatoriale;
dispone l'obbligo di certificazione medica e l'introduzione di nuovi accertamenti sanitari per i praticanti; e ne differenzia la tipologia secondo la tipologia di attività sportiva posta in essere;
individua una nuova tipologia di attività fisica denominata «ludico-motoria», descritta non tanto in base ai contenuti tecnici dell'attività stessa, quanto in base alla estraneità al tesseramento e all'attività di associazioni sportive di qualsiasi tipo;
definisce non ben precisati «contesti autorizzati e organizzati» all'esercizio di tale attività secondo le normative vigenti senza indicare quali siano le normative che autorizzano ad organizzare tale ad oggi sconosciuta attività;
obbliga ad una nuova, onerosa, certificazione ed onerosi accertamenti a carico delle persone che volessero svolgere tale attività con il prevedibile effetto dell'abbandono dell'attività sportiva da parte dei soggetti meno abbienti;
introduce l'obbligo per i non precisati incaricati dei succitati non precisati «contesti», poi denominati «strutture e luoghi», di ricevere e conservare tali certificati, prefigurando per questi soggetti la responsabilità di individuare la soglia oltre la quale l'attività motoria possa considerarsi «saltuaria e non ripetitiva» e quindi non soggetta a certificazione obbligatoria;
introduce nuovi onerosi accertamenti per ottenere la certificazione obbligatoria per l'attività non agonistica tra cui l'effettuazione di un ECG a riposo sulla cui efficacia nella prevenzione degli eventi avversi la comunità scientifica nutre fortissimi dubbi;
dispone che l'attività svolta presso le associazioni sportive dilettantistiche, enti di promozione sportiva, discipline associate, federazioni sportive, anche non in qualità di tesserati, debba considerarsi comunque «non agonistica» ai fini della certificazione, mentre è palese e assodato che tali organismi organizzano e svolgono una rilevantissima ed estesa attività assolutamente definibile come ludico-motoria, per soggetti tesserati e non e che tale disposizione produrrebbe a questi organismi un grave danno, caricando frequentatori ed organizzatori di queste attività di oneri economici e burocratici non spettanti invece ai frequentatori dei succitati indefiniti «contesti», e prefigurando quindi due tipi diversi di tutela sanitaria per la stessa tipologia di attività;
obbliga tutte le società e associazioni sportive di dotarsi di un defibrillatore, prevedendo la facoltà di associarsi per dotazione ed uso, ma non prevedendo obblighi di nessuna natura per i proprietari e i gestori degli impianti sportivi, disposizione questa che carica sulle ASD, in larghissima percentuale costituite da poche decine di soci volontari, un grave peso economico e di responsabilità che andrebbe in altro modo ripartito,
impegna il Governo:
a valutare la possibilità di stabilire che la messa a regime del nuovo sistema di certificazione decorre dal termine di trenta mesi dall'entrata in vigore del decreto ministeriale 20 luglio 2013;
a promuovere un tavolo di lavoro che veda la partecipazione di Enti di Promozione sportiva, Discipline Associate, Federazioni Sportive, per produrre chiarimenti e determinare linee guida, tali da conciliare la sicurezza delle persone che svolgono attività motoria e sportiva con l'obiettivo della massima diffusione di tale pratica, delle pari opportunità per l'accesso per tutti i cittadini, della semplificazione burocratica per praticanti ed organizzatori.
9/1248-A-R/128. (Testo modificato nel corso della seduta) Fossati, Lenzi, Giuditta Pini, Coccia.
La Camera,
premesso che:
è evidentemente necessario identificare misure atte a sbloccare ulteriormente la capacità di investimento dei Comuni soggetti ai vincoli del patto di stabilità interno;
è altrettanto importante, data la grave situazione di crisi che il paese sta attraversando, individuare sistemi che permettano di agire «a saldo zero», e dunque senza alcun aggravio sui saldi di finanza pubblica;
in tal senso si potrebbe prevedere un meccanismo che permetta agli enti virtuosi, ovvero gli enti che hanno rispettato gli obiettivi fissati per l'anno 2012, di poter effettuare investimenti in settori strategici per la comunità che rappresentano e per l'intero Paese per un importo pari alla differenza, se positiva, tra saldo finanziario e saldo obiettivo;
uno di questi settori più importanti e delicati in questo senso è sicuramente quello della messa in sicurezza degli edifici scolastici,
impegna il Governo
a prevedere un meccanismo simile a quello esposto in premessa, che, senza oneri per lo Stato, rappresenti una sorta di premio compensativo visto che proprio i comuni virtuosi sono stati maggiormente penalizzati dalle disposizioni del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, sullo sblocco dei pagamenti della Pubblica Amministrazione.
9/1248-A-R/129. Moretti.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 27, comma 1, del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, prevede che le domande dirette a conseguire le concessioni e le autorizzazioni per gli accessi se interessano strade o autostrade statali, sono presentate al competente ufficio della società ANAS spa e, in caso di strade in concessione, all'ente concessionario, che provvede a trasmetterle con il proprio parere al competente ufficio della società ANAS spa, ove le convenzioni di concessione non consentono al concessionario di adottare il relativo provvedimento;
il comma 8 del citato articolo 27 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, prevede che nella determinazione della somma da versare all'ente rilasciarne si deve tenere conto delle soggezioni che derivano alla strada o all'autostrada, del valore economico risultante dal provvedimento e del vantaggio che il beneficiario ricava dal provvedimento stesso;
questi criteri sono tradotti in una formula matematica, la cui applicazione è suscettibile di produrre canoni di diverso importo, in funzione dei fattori che la formula stessa prende in considerazione (tipologia di accesso, larghezza geometrica, importanza della strada eccetera) così che la formula matematica e i parametri per l'individuazione dei canoni non sono in alcun modo stabiliti dal legislatore ma approvati unilateralmente dal consiglio di amministrazione della società e sono parte costitutiva del provvedimento annuale di determinazione dei canoni (sottoposto a vigilanza ministeriale, quindi firmato dal presidente della società ANAS spa e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale ai sensi e per gli effetti della disposizione citata);
ai sensi dell'articolo 55, comma 23, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, sono iniziati, nel 1998, gli aumenti unilaterali da parte della società ANAS spa del canone sui passi carrai in base alle nuove tabelle e ai nuovi coefficienti di calcolo, che hanno comportato aumenti discrezionali, in particolare nella regione Veneto;
c’è un'evidente disparità di trattamento tra cittadini che hanno accesso alla proprietà attraverso passi carrai insistenti su strade non statali e cittadini che invece si ritrovano gravati dal canone per la concessione di passi carrai per l'accesso a strade statali con l'ovvia conseguenza che il valore di abitazioni e/o attività commerciali affacciate sulle stesse si è drasticamente deprezzato;
l'articolo 25 del presente decreto in via di conversione reca disposizioni concernenti la governance dell'Anas e in questa sede sembrerebbe pertanto utile ridefinire anche il tema delle entrate proprie della società in particolare per quanto attiene ai canoni di accesso;
il rappresentante del Governo, in sede di esame del provvedimento nelle Commissioni di merito, ha dichiarato di assumere un impegno stringente sul tema, considerata l'impossibilità di attendere ulteriori anni per una soluzione di una situazione ormai giunta ad un punto critico;
sarebbe necessario modificare le disposizioni di legge che affidano alla società ANAS piena discrezionalità per il computo degli importi stabilendo che gli incrementi dei canoni non possano superare l'andamento dell'inflazione corrente;
impegna il Governo
ad assumere idonee iniziative volte a sospendere immediatamente la riscossione dei pagamenti contestati in attesa della puntuale revisione dei canoni nonché ad intervenire, già in sede di presentazione della prossima legge di stabilità, al fine superare le disparità di trattamento da parte della società ANAS Spa prevedendo in particolare l'eliminazione del canone dovuto per i passi carrai o quanto meno prevedendo la revisione della modalità di calcolo del canone improntata a criteri di logicità tale da consentire ai concessionari di verificare ed eventualmente contestare l'ammontare della pretesa economica.
9/1248-A-R/130. De Menech, Miotto, Rubinato.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 27, comma 1, del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, prevede che le domande dirette a conseguire le concessioni e le autorizzazioni per gli accessi se interessano strade o autostrade statali, sono presentate al competente ufficio della società ANAS spa e, in caso di strade in concessione, all'ente concessionario, che provvede a trasmetterle con il proprio parere al competente ufficio della società ANAS spa, ove le convenzioni di concessione non consentono al concessionario di adottare il relativo provvedimento;
il comma 8 del citato articolo 27 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, prevede che nella determinazione della somma da versare all'ente rilasciarne si deve tenere conto delle soggezioni che derivano alla strada o all'autostrada, del valore economico risultante dal provvedimento e del vantaggio che il beneficiario ricava dal provvedimento stesso;
questi criteri sono tradotti in una formula matematica, la cui applicazione è suscettibile di produrre canoni di diverso importo, in funzione dei fattori che la formula stessa prende in considerazione (tipologia di accesso, larghezza geometrica, importanza della strada eccetera) così che la formula matematica e i parametri per l'individuazione dei canoni non sono in alcun modo stabiliti dal legislatore ma approvati unilateralmente dal consiglio di amministrazione della società e sono parte costitutiva del provvedimento annuale di determinazione dei canoni (sottoposto a vigilanza ministeriale, quindi firmato dal presidente della società ANAS spa e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale ai sensi e per gli effetti della disposizione citata);
ai sensi dell'articolo 55, comma 23, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, sono iniziati, nel 1998, gli aumenti unilaterali da parte della società ANAS spa del canone sui passi carrai in base alle nuove tabelle e ai nuovi coefficienti di calcolo, che hanno comportato aumenti discrezionali, in particolare nella regione Veneto;
c’è un'evidente disparità di trattamento tra cittadini che hanno accesso alla proprietà attraverso passi carrai insistenti su strade non statali e cittadini che invece si ritrovano gravati dal canone per la concessione di passi carrai per l'accesso a strade statali con l'ovvia conseguenza che il valore di abitazioni e/o attività commerciali affacciate sulle stesse si è drasticamente deprezzato;
l'articolo 25 del presente decreto in via di conversione reca disposizioni concernenti la governance dell'Anas e in questa sede sembrerebbe pertanto utile ridefinire anche il tema delle entrate proprie della società in particolare per quanto attiene ai canoni di accesso;
il rappresentante del Governo, in sede di esame del provvedimento nelle Commissioni di merito, ha dichiarato di assumere un impegno stringente sul tema, considerata l'impossibilità di attendere ulteriori anni per una soluzione di una situazione ormai giunta ad un punto critico;
sarebbe necessario modificare le disposizioni di legge che affidano alla società ANAS piena discrezionalità per il computo degli importi stabilendo che gli incrementi dei canoni non possano superare l'andamento dell'inflazione corrente;
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di assumere idonee iniziative in tema di revisione dei canoni nonché l'opportunità di intervenire, già in sede di presentazione della prossima legge di stabilità, al fine superare le disparità di trattamento da parte della società ANAS Spa prevedendo in particolare l'eliminazione del canone dovuto per i passi carrai o quanto meno prevedendo la revisione della modalità di calcolo del canone improntata a criteri di logicità tale da consentire ai concessionari di verificare ed eventualmente contestare l'ammontare della pretesa economica.
9/1248-A-R/130. (Testo modificato nel corso della seduta) De Menech, Miotto, Rubinato.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 82 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, nel modificare la disciplina del concordato preventivo di cui all'articolo 161, sesto, settimo e ottavo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, prevede che: l'imprenditore depositi, unitamente al ricorso contenente la domanda «in bianco», l'elenco dei creditori con l'indicazione dei rispettivi crediti e il tribunale abbia la facoltà di anticipare alla fase prenotativa la nomina del commissario giudiziale (comma 1); il tribunale, nell'autorizzare gli atti urgenti di straordinaria amministrazione da compiersi fino all'apertura della procedura di concordato, acquisisca il parere del commissario giudiziale, se nominato (comma 2); gli obblighi informativi in capo all'imprenditore vengano rafforzati e il tribunale abbia la facoltà di abbreviare i termini della fase prenotativa, laddove l'attività compiuta dall'imprenditore sia manifestamente inidonea alla predisposizione del piano e della proposta (comma 3);
considerato che l'istituto del concordato «in bianco» è prevalentemente utilizzato con finalità liquidatorie dell'attività d'impresa e presta il fianco a condotte abusive, in danno soprattutto dei fornitori commerciali, come confermato da alcuni dati (Rapporto Cerved, maggio 2013) secondo cui tra l'11 settembre 2012 (data di entrata in vigore della riforma) e il 31 marzo 2013: i) il 37 per cento delle imprese che hanno avuto accesso al concordato «in bianco» era in liquidazione già prima di presentare la domanda; ii) il 24 per cento delle imprese in questione non ha assolto l'obbligo di depositare, insieme alla domanda, i bilanci degli ultimi tre esercizi;
risulta dunque necessario rafforzare i presidi volti a neutralizzare tali comportamenti abusivi, che hanno finalità esclusivamente dilatorie, intervenendo con maggiore incisività su alcuni ambiti regolamentari, quali la durata della fase prenotativa, nel corso della quale il debitore beneficia della sospensione dei pagamenti e della paralisi delle azioni esecutive e cautelari dei creditori; i controlli sulla gestione del patrimonio dell'imprenditore durante tale fase; le tutele riconosciute ai crediti per forniture commerciali laddove queste finiscano per avere una funzione analoga alle operazioni di finanziamento, attualmente prededucibili, volte a garantire la sopravvivenza dell'impresa durante la fase prenotativa;
impegna il Governo
a favorire in tempi brevissimi l'adozione di misure volte a rafforzare la tutela dei creditori-fornitori commerciali nel concordato «in bianco», quali la riduzione tout court di termini della fase prenotativa; l'obbligatorietà della nomina anticipata del commissario giudiziale; il riconoscimento del beneficio della prededuzione anche a somministrazioni, forniture e appalti eseguiti a favore dell'imprenditore in crisi nei mesi immediatamente precedenti la presentazione della domanda di concordato, funzionali alla prosecuzione dell'attività d'impresa e tuttavia non pagati.
9/1248-A-R/131. Giampaolo Galli.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 82 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, nel modificare la disciplina del concordato preventivo di cui all'articolo 161, sesto, settimo e ottavo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, prevede che: l'imprenditore depositi, unitamente al ricorso contenente la domanda «in bianco», l'elenco dei creditori con l'indicazione dei rispettivi crediti e il tribunale abbia la facoltà di anticipare alla fase prenotativa la nomina del commissario giudiziale (comma 1); il tribunale, nell'autorizzare gli atti urgenti di straordinaria amministrazione da compiersi fino all'apertura della procedura di concordato, acquisisca il parere del commissario giudiziale, se nominato (comma 2); gli obblighi informativi in capo all'imprenditore vengano rafforzati e il tribunale abbia la facoltà di abbreviare i termini della fase prenotativa, laddove l'attività compiuta dall'imprenditore sia manifestamente inidonea alla predisposizione del piano e della proposta (comma 3);
considerato che l'istituto del concordato «in bianco» è prevalentemente utilizzato con finalità liquidatorie dell'attività d'impresa e presta il fianco a condotte abusive, in danno soprattutto dei fornitori commerciali, come confermato da alcuni dati (Rapporto Cerved, maggio 2013) secondo cui tra l'11 settembre 2012 (data di entrata in vigore della riforma) e il 31 marzo 2013: i) il 37 per cento delle imprese che hanno avuto accesso al concordato «in bianco» era in liquidazione già prima di presentare la domanda; ii) il 24 per cento delle imprese in questione non ha assolto l'obbligo di depositare, insieme alla domanda, i bilanci degli ultimi tre esercizi;
risulta dunque necessario rafforzare i presidi volti a neutralizzare tali comportamenti abusivi, che hanno finalità esclusivamente dilatorie, intervenendo con maggiore incisività su alcuni ambiti regolamentari, quali la durata della fase prenotativa, nel corso della quale il debitore beneficia della sospensione dei pagamenti e della paralisi delle azioni esecutive e cautelari dei creditori; i controlli sulla gestione del patrimonio dell'imprenditore durante tale fase; le tutele riconosciute ai crediti per forniture commerciali laddove queste finiscano per avere una funzione analoga alle operazioni di finanziamento, attualmente prededucibili, volte a garantire la sopravvivenza dell'impresa durante la fase prenotativa;
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di adottare eventuali ulteriori misure volte a rafforzare la tutela dei creditori-fornitori commerciali nel concordato «in bianco».
9/1248-A-R/131. (Testo modificato nel corso della seduta) Giampaolo Galli.
La Camera,
premesso che:
in base a quanto disposto dall'articolo 1, commi 340 e seguenti della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e dall'articolo 1, commi 561 e seguenti della legge 24 dicembre 2007, n. 244, sono state individuate, come zone franche urbane, una serie di aree infra-comunali di dimensione minima prestabilita dove si concentrano programmi di defiscalizzazione per la creazione di piccole e micro imprese, con lo scopo di favorire lo sviluppo economico e sociale di quartieri ed aree urbane caratterizzate da disagio sociale, economico e occupazionale;
l'articolo 37 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 ha stabilito che le agevolazioni per le Zone Franche Urbane sono state rifinanziate a carico della riprogrammazione dei programmi cofinanziati dai Fondi strutturali 2007-2013 oggetto del Piano di azione coesione;
il decreto ministeriale 10 aprile 2013 recante Condizioni, limiti, modalità e termini di decorrenza delle agevolazioni fiscali e contributive in favore di micro e piccole imprese localizzate nelle Zone Franche Urbane delle regioni dell'Obiettivo «Convergenza»), in attuazione della norma sopra citata, ha però escluso la Basilicata, in particolare Matera, poiché, seppur in origine individuata quale zona franca urbana, la Regione non rientrava nell'Obiettivo «Convergenza»;
l'area del materano resta interessata da una situazione di profonda crisi produttiva, acuita, in particolare, negli ultimi giorni dal denunciato stato di crisi occupazionale degli stabilimenti Natuzzi;
impegna il Governo
a negoziare con la Commissione della UE, in considerazione degli specifici obiettivi del Piano di Azione e coesione, la possibilità di estendere all'area di Matera, in deroga ai vincoli di utilizzo delle risorse comunitarie per le aree in phasing-out, l'ammissibilità delle agevolazioni da ultimo finanziate dal «decreto sviluppo», ovvero a provvedere con risorse nazionali a finanziare tali agevolazioni, al fine di garantire un intervento a sostegno dell'economia produttiva dell'area ed evitare quella che sarebbe altrimenti una grave discriminazione, determinata unicamente dall'individuazione statistica dei livelli di reddito della Basilicata, rilevata in epoca precedente all'esplosione della crisi produttiva e occupazionale.
9/1248-A-R/132. Antezza, Folino.
La Camera,
premesso che:
in base a quanto disposto dall'articolo 1, commi 340 e seguenti della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e dall'articolo 1, commi 561 e seguenti della legge 24 dicembre 2007, n. 244, sono state individuate, come zone franche urbane, una serie di aree infra-comunali di dimensione minima prestabilita dove si concentrano programmi di defiscalizzazione per la creazione di piccole e micro imprese, con lo scopo di favorire lo sviluppo economico e sociale di quartieri ed aree urbane caratterizzate da disagio sociale, economico e occupazionale;
l'articolo 37 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 ha stabilito che le agevolazioni per le Zone Franche Urbane sono state rifinanziate a carico della riprogrammazione dei programmi cofinanziati dai Fondi strutturali 2007-2013 oggetto del Piano di azione coesione;
il decreto ministeriale 10 aprile 2013 recante Condizioni, limiti, modalità e termini di decorrenza delle agevolazioni fiscali e contributive in favore di micro e piccole imprese localizzate nelle Zone Franche Urbane delle regioni dell'Obiettivo «Convergenza»), in attuazione della norma sopra citata, ha però escluso la Basilicata, in particolare Matera, poiché, seppur in origine individuata quale zona franca urbana, la Regione non rientrava nell'Obiettivo «Convergenza»;
l'area del materano resta interessata da una situazione di profonda crisi produttiva, acuita, in particolare, negli ultimi giorni dal denunciato stato di crisi occupazionale degli stabilimenti Natuzzi;
impegna il Governo
a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, la possibilità di estendere all'area di Matera l'ammissibilità delle agevolazioni da ultimo finanziate dal «decreto sviluppo», al fine di garantire un intervento a sostegno dell'economia produttiva dell'area ed evitare quella che sarebbe altrimenti una grave discriminazione, determinata unicamente dall'individuazione statistica dei livelli di reddito della Basilicata, rilevata in epoca precedente all'esplosione della crisi produttiva e occupazionale.
9/1248-A-R/132. (Testo modificato nel corso della seduta) Antezza, Folino.
La Camera,
premesso che:
l'amianto è una sostanza altamente nociva per la salute che produce effetti cancerogeni rilevanti;
tale sostanza è stata prodotta ed utilizzata nel campo dell'industria e dell'edilizia già a partire dagli anni 40’ fino all'introduzione della legge 27 marzo 1992, n. 257, recante appunto «Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto»;
nonostante i divieti relativi alla produzione, estrazione e utilizzo dell'amianto, la presenza di tale materiale nei diversi territori del Paese è ancora altissima e costituisce una fonte di grave pericolo per la salute delle persone;
gli interventi di bonifica continuano ad avere costi decisamente troppo elevati per poter essere sostenuti dai privati, specie in un periodo di profonda crisi economica come quello che sta attraversando la società italiana;
la tutela della salute delle persone rispetto alla presenza dell'amianto negli edifici pubblici e privati, nei centri abitati e nelle diverse aree del territorio italiano è dovere primario delle istituzioni della Repubblica;
il Governo ha già affrontato diverse questioni relative alla tutela dell'ambiente e alla salvaguardia della salute delle persone, tuttavia è necessario un ulteriore sforzo anche per la soluzione del problema della diffusa presenza dell'amianto nel Paese,
impegna il Governo:
a realizzare, compatibilmente con vincoli di spesa, un piano nazionale straordinario per la raccolta dell'amianto e la bonifica delle aree e degli edifici in cui è presente attraverso lo stanziamento di risorse dedicate e l'introduzione di forti agevolazioni fiscali;
ad istituire un'apposita task force per il monitoraggio ed il coordinamento degli interventi sul territorio nazionale, avendo particolare attenzione delle aree più critiche ed esposte al grave pericolo per la salute causato dalla presenza dell'amianto.
9/1248-A-R/133. Ribaudo, Moscatt, Culotta, Ventricelli.
La Camera,
premesso che:
l'amianto è una sostanza altamente nociva per la salute che produce effetti cancerogeni rilevanti;
tale sostanza è stata prodotta ed utilizzata nel campo dell'industria e dell'edilizia già a partire dagli anni 40’ fino all'introduzione della legge 27 marzo 1992, n. 257, recante appunto «Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto»;
nonostante i divieti relativi alla produzione, estrazione e utilizzo dell'amianto, la presenza di tale materiale nei diversi territori del Paese è ancora altissima e costituisce una fonte di grave pericolo per la salute delle persone;
gli interventi di bonifica continuano ad avere costi decisamente troppo elevati per poter essere sostenuti dai privati, specie in un periodo di profonda crisi economica come quello che sta attraversando la società italiana;
la tutela della salute delle persone rispetto alla presenza dell'amianto negli edifici pubblici e privati, nei centri abitati e nelle diverse aree del territorio italiano è dovere primario delle istituzioni della Repubblica;
il Governo ha già affrontato diverse questioni relative alla tutela dell'ambiente e alla salvaguardia della salute delle persone, tuttavia è necessario un ulteriore sforzo anche per la soluzione del problema della diffusa presenza dell'amianto nel Paese,
impegna il Governo:
a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, la possibilità di realizzare un piano nazionale straordinario per la raccolta dell'amianto e la bonifica delle aree e degli edifici in cui è presente;
ad istituire un'apposita task force per il monitoraggio ed il coordinamento degli interventi sul territorio nazionale, avendo particolare attenzione delle aree più critiche ed esposte al grave pericolo per la salute causato dalla presenza dell'amianto.
9/1248-A-R/133. (Testo modificato nel corso della seduta) Ribaudo, Moscatt, Culotta, Ventricelli.
La Camera,
premesso che:
tra le funzioni fondamentali degli Enti Locali vi è l'edilizia scolastica, settore tra i più rilevanti per gli investimenti degli enti locali sia in nuovi edifici sia nella messa in sicurezza e manutenzione ordinaria e straordinaria di quelli esistenti;
lo stato delle scuole del nostro paese ci consegna una fotografia disarmante, dei 42mila edifici scolastici presenti in tutta Italia: il 29 per cento non ha il certificato di agibilità sanitaria, il 42 per cento quello di agibilità statica, il 48 per cento non rispetta la normativa antincendio;
più del 60 per cento degli edifici scolastici italiani, in aree sismiche o no, sono stati costruiti prima del 1970 e solo l'8 per cento negli ultimi vent'anni. La stessa percentuale di plessi non è dotata neppure di scale di sicurezza o porte anti-panico;
il problema non è circoscritto alla sola manutenzione ordinaria; gli enti locali non hanno più i fondi neanche per effettuare gli interventi urgenti e straordinari: crescono, infatti, fino a costituire il 56 per cento del totale, gli edifici che negli ultimi 5 anni non hanno goduto di nessun tipo di intervento. Nella situazione attuale, a causa delle rigorosa applicazione del patto di stabilità, gli enti locali si ritrovano nell'impossibilità di fronteggiare eventi improvvisi o guasti banali che diventano anch'essi rischiosi per l'incolumità della comunità scolastica,
impegna il Governo
ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché sia consentito agli Enti locali la realizzazione di interventi di manutenzione straordinaria ed urgente e messa in sicurezza delle scuole finalizzata a garantire l'incolumità fisica degli studenti del personale in deroga alle regole sul patto di stabilità interno.
9/1248-A-R/134. Culotta, Moscatt, Ribaudo, Ventricelli.
La Camera,
premesso che:
tra le funzioni fondamentali degli Enti Locali vi è l'edilizia scolastica, settore tra i più rilevanti per gli investimenti degli enti locali sia in nuovi edifici sia nella messa in sicurezza e manutenzione ordinaria e straordinaria di quelli esistenti;
lo stato delle scuole del nostro paese ci consegna una fotografia disarmante, dei 42mila edifici scolastici presenti in tutta Italia: il 29 per cento non ha il certificato di agibilità sanitaria, il 42 per cento quello di agibilità statica, il 48 per cento non rispetta la normativa antincendio;
più del 60 per cento degli edifici scolastici italiani, in aree sismiche o no, sono stati costruiti prima del 1970 e solo l'8 per cento negli ultimi vent'anni. La stessa percentuale di plessi non è dotata neppure di scale di sicurezza o porte anti-panico;
il problema non è circoscritto alla sola manutenzione ordinaria; gli enti locali non hanno più i fondi neanche per effettuare gli interventi urgenti e straordinari: crescono, infatti, fino a costituire il 56 per cento del totale, gli edifici che negli ultimi 5 anni non hanno goduto di nessun tipo di intervento. Nella situazione attuale, a causa delle rigorosa applicazione del patto di stabilità, gli enti locali si ritrovano nell'impossibilità di fronteggiare eventi improvvisi o guasti banali che diventano anch'essi rischiosi per l'incolumità della comunità scolastica,
impegna il Governo
a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di assumere ogni iniziativa di competenza affinché sia consentito agli Enti locali la realizzazione di interventi di manutenzione straordinaria ed urgente e messa in sicurezza delle scuole finalizzata a garantire l'incolumità fisica degli studenti del personale in deroga alle regole sul patto di stabilità interno.
9/1248-A-R/134. (Testo modificato nel corso della seduta) Culotta, Moscatt, Ribaudo, Ventricelli.
La Camera,
premesso che:
l'Unione europea attraverso un'apposita pianificazione e programmazione stanzia nei confronti dell'Italia ingenti risorse economiche finalizzate a promuovere un maggiore sviluppo e favorire la coesione e la crescita sociale;
per ottenere ed utilizzare al meglio le risorse stanziate dall'Ue occorre, tuttavia, un certo livello di conoscenze e di capacità progettuali e gestionali;
molti dei canali di finanziamento delle risorse messe a disposizione dalla Ue, purtroppo, non vengono sfruttati a pieno dall'Italia per una sostanziale inadeguatezza di informazione delle Pubbliche Amministrazioni e degli operatori privati;
la perdita o la mancata utilizzazione delle risorse comunitarie reca un grave pregiudizio sotto il profilo economico e sociale e contribuisce ad alimentare un clima di sfiducia e di distanza dalle istituzioni nazionali ed europee;
in questo particolare momento di crisi economica e sociale, l'Italia non può più permettersi di perdere ulteriori risorse messe a disposizione dalla Ue, che risultano di vitale importanza per riattivare il tessuto socio-economico del Paese,
impegna il Governo
a realizzare di un piano di informazione e di formazione istituzionale rivolto sia agli enti pubblici sia ai soggetti privati, per favorire il pieno sfruttamento delle risorse comunitarie messe a disposizioni per il Paese.
9/1248-A-R/135. Moscatt, Culotta, Ribaudo, Ventricelli.
La Camera,
premesso che:
l'Unione europea attraverso un'apposita pianificazione e programmazione stanzia nei confronti dell'Italia ingenti risorse economiche finalizzate a promuovere un maggiore sviluppo e favorire la coesione e la crescita sociale;
per ottenere ed utilizzare al meglio le risorse stanziate dall'Ue occorre, tuttavia, un certo livello di conoscenze e di capacità progettuali e gestionali;
molti dei canali di finanziamento delle risorse messe a disposizione dalla Ue, purtroppo, non vengono sfruttati a pieno dall'Italia per una sostanziale inadeguatezza di informazione delle Pubbliche Amministrazioni e degli operatori privati;
la perdita o la mancata utilizzazione delle risorse comunitarie reca un grave pregiudizio sotto il profilo economico e sociale e contribuisce ad alimentare un clima di sfiducia e di distanza dalle istituzioni nazionali ed europee;
in questo particolare momento di crisi economica e sociale, l'Italia non può più permettersi di perdere ulteriori risorse messe a disposizione dalla Ue, che risultano di vitale importanza per riattivare il tessuto socio-economico del Paese,
impegna il Governo
a realizzare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, un piano di informazione e di formazione istituzionale rivolto sia agli enti pubblici sia ai soggetti privati, per favorire il pieno sfruttamento delle risorse comunitarie messe a disposizioni per il Paese.
9/1248-A-R/135. (Testo modificato nel corso della seduta) Moscatt, Culotta, Ribaudo, Ventricelli.
La Camera,
premesso che:
la grande rete viaria del Paese è in buona parte costituita da infrastrutture realizzate in epoche oramai remote e secondo previsione normative ampiamente superate;
la vetustà di tali opere è, spesso, fonte di pericolo per la sicurezza della strada, per l'incolumità degli automobilisti e per il normale funzionamento della rete viaria con rilevanti conseguenze per l'utenza e le attività produttive;
molte delle opere in questione richiedono continui interventi di manutenzione;
il pericolo di crolli, cedimenti e smottamenti di strade o ponti è assai concreto, specie nei periodi in cui si verificano forti precipitazioni;
l'Azienda Nazionale Autonoma delle Strade (ANAS), svolge un ruolo strategico ed indispensabile nella gestione del sistema viario,
impegna il Governo
a realizzare, di concerto con l'ANAS, un piano straordinario di monitoraggio del sistema viario più antiquato che può essere causa di pericolo per l'incolumità pubblica e per il normale funzionamento della rete viaria.
9/1248-A-R/136. Ventricelli, Moscatt, Culotta, Ribaudo.
La Camera,
premesso che:
la grande rete viaria del Paese è in buona parte costituita da infrastrutture realizzate in epoche oramai remote e secondo previsione normative ampiamente superate;
la vetustà di tali opere è, spesso, fonte di pericolo per la sicurezza della strada, per l'incolumità degli automobilisti e per il normale funzionamento della rete viaria con rilevanti conseguenze per l'utenza e le attività produttive;
molte delle opere in questione richiedono continui interventi di manutenzione;
il pericolo di crolli, cedimenti e smottamenti di strade o ponti è assai concreto, specie nei periodi in cui si verificano forti precipitazioni;
l'Azienda Nazionale Autonoma delle Strade (ANAS), svolge un ruolo strategico ed indispensabile nella gestione del sistema viario,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di realizzare, di concerto con l'ANAS, un piano straordinario di monitoraggio del sistema viario più antiquato che può essere causa di pericolo per l'incolumità pubblica e per il normale funzionamento della rete viaria.
9/1248-A-R/136. (Testo modificato nel corso della seduta) Ventricelli, Moscatt, Culotta, Ribaudo.
La Camera,
premesso che:
per il comune di Marsciano ed altri paesi limitrofi dell'Umbria colpiti dagli eventi sismici del 2009, è stato dichiarato lo stato di emergenza con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 dicembre 2009, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 4 del 7 gennaio 2010;
con l'ordinanza del 3 marzo 2010 n. 3853 sono stati delineati i primi interventi urgenti, affidati alla competenza del Presidente della regione Umbria nominato commissario delegato, ed è stata autorizzata la spesa di 15 milioni di euro a carico del fondo della protezione civile;
un ulteriore finanziamento è stato concesso dal comma 84 dell'articolo 1 della 220 (legge di stabilità 2011), che ha autorizzato la spesa di 3 milioni di euro per l'anno 2011 e di 3 milioni di euro per l'anno 2012;
il 19 aprile 2012 è stato approvato alla Camera l'ordine del giorno Sereni e altri 9/5109-AR/118 che impegnava il Governo a valutare l'opportunità di estendere l'esenzione dal pagamento dell'Imu anche ai cittadini proprietari di immobili distrutti o inagibili a seguito del sisma ricadenti nei territori dei comuni per i quali è stato dichiarato lo stato di emergenza a seguito di calamità naturali avvenute successivamente al 31 dicembre 2008, tra i quali rientra anche il comune di Marsciano;
il comma 1, lettera a), n. 2) dell'articolo 11 del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla Legge 7 dicembre 2012, n. 213, novella l'articolo 3 del decreto-legge 6 giugno 2012, n. 74 convertito dalla legge n. 122 del 2012, introducendo il comma 1-bis che, di fatto, esclude i contratti stipulati dai privati beneficiari dei contributi per l'esecuzione di lavori o l'acquisizione di beni o servizi connessi agli interventi di ricostruzione e riparazione delle abitazioni private e di immobili ad uso non abitativo dall'applicazione di talune disposizioni riguardanti i contratti pubblici;
impegna il Governo
ad applicare le disposizioni di cui all'articolo 3, comma 1-bis, del decreto-legge 6 giugno 2012 n. 74 convertito, con modificazioni, dalla legge 1o agosto 2012, n. 122, agli interventi di ricostruzione, riparazione e miglioramento sismico di immobili compresi all'interno del piano di recupero del borgo storico di Spina del Comune di Marsciano di cui all'articolo 1, comma 3, dell'ordinanza della Presidenza del Consiglio dei ministri n. 3853 del 3 marzo 2010, danneggiati dal sisma del 15 dicembre 2009.
9/1248-A-R/137. Giulietti,