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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 63 di giovedì 1 agosto 2013

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARINA SERENI

  La seduta comincia alle 9,35.

  RICCARDO FRACCARO, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.

  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Alfreider, Berretta, Michele Bordo, Dambruoso, Dellai, Di Lello, Luigi Di Maio, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Galan, Giancarlo Giorgetti, La Russa, Merlo, Pisicchio, Speranza e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

  Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del disegno di legge costituzionale: S. 813 – Istituzione del Comitato parlamentare per le riforme costituzionali ed elettorali (Approvato, in prima deliberazione, dal Senato) (A.C. 1359) (ore 9,38).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge costituzionale, già approvato, in prima deliberazione, dal Senato: Istituzione del Comitato parlamentare per le riforme costituzionali ed elettorali.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 31 luglio 2013.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1359)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Lega Nord e Autonomie, Sinistra Ecologia Libertà e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza e presidente della Commissione affari costituzionali, deputato Sisto.

  FRANCESCO PAOLO SISTO, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, non posso negare che prendere la parola per primo in quest'Aula come relatore su un tema così importante possa essere fatto passare senza segnalare l'emozione, perché non credo che si possa chiamare diversamente, nel cui ambito il contributo del singolo deputato un po’ si disperde. Infatti, la rilevanza del compito travalica quello che il singolo può offrire a contributo Pag. 2di un passaggio così importante ed epocale nell'ambito della storia del Parlamento.
  Ciononostante, però, il senso del dovere, la grande abnegazione e il grande contributo che la I Commissione – che, in qualche modo, rappresento tutta, in tutte le sue componenti, di maggioranza e di opposizione – ha saputo fornire nel dibattito su questo tema, mi inducono ad essere particolarmente convinto degli esiti di questo dibattito, dei chiarimenti che sono stati offerti anche grazie al contributo dell'opposizione che ha stimolato la puntualizzazione di alcuni importanti passaggi rispetto al testo che è giunto all'esame della Commissione e la conclusione dei lavori in tempo utile. Infatti, questa mattina, grazie anche al contributo del Governo sempre presente fattivamente e intervenuto ai lavori della Commissione, ci è consentito di dare inizio alla trattazione di questo provvedimento.
  Il disegno di legge costituzionale di cui l'Assemblea inizia oggi la discussione è stato presentato dal Governo al Senato il 10 giugno 2013 e approvato dal Senato, in prima deliberazione, con alcune modificazioni, l'11 luglio 2013, con il ricorso alla procedura d'urgenza ai sensi dell'articolo 77 del Regolamento del Senato.
  Il provvedimento delinea una procedura speciale per la revisione costituzionale, derogatoria del procedimento di revisione costituzionale di cui all'articolo 138 della Costituzione – uno dei temi che è stato affrontato ampiamente nella discussione in Commissione – e del procedimento di formazione della legge di cui all'articolo 72 della Costituzione stessa. Precedenti parzialmente conformi si rinvengono nella legge costituzionale 6 agosto 1993, n. 1, e nella legge costituzionale 24 gennaio 1997, n. 1, le quali hanno istituito due Commissioni parlamentari bicamerali per l'esame di progetti di legge di revisione costituzionale. Si tratta delle Commissioni conosciute, dal nome dei loro presidenti, come Commissione De Mita-Iotti e Commissione D'Alema.
  La Costituzione italiana ha carattere rigido in quanto modificabile solo con una procedura aggravata rispetto a quella ordinariamente prevista per l'approvazione delle leggi. La procedura è stabilita, com’è noto, dall'articolo 138 della Costituzione che prevede, appunto, specifici meccanismi di aggravamento come la doppia deliberazione di ciascuna Camera sul medesimo testo, l'intervallo non inferiore a tre mesi tra ciascuna deliberazione della stessa Camera, il quorum di approvazione della maggioranza assoluta nella seconda deliberazione, la possibilità di sottoposizione della legge a referendum popolare nel caso in cui l'approvazione non avvenga, nella seconda deliberazione, con la maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera.
  Alla revisione costituzionale è sottratta la forma repubblicana, per espressa previsione dell'articolo 139 della Costituzione, nonché, secondo la giurisprudenza costituzionale, i principi supremi dell'ordinamento.
  Sul testo trasmesso dal Senato sono stati presentati dai gruppi 122 emendamenti, compresi gli articoli aggiuntivi, di cui 89 del gruppo MoVimento 5 Stelle, 18 del gruppo Sinistra Ecologia Libertà e 15 del gruppo Lega Nord e Autonomie. A seguito delle determinazioni della Conferenza dei presidenti di gruppo riunitasi venerdì 26 luglio – la quale ha deciso, all'unanimità, di rinviare ad oggi l'inizio della discussione in Assemblea del disegno di legge costituzionale – l'ufficio di presidenza della Commissione, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha organizzato i lavori e la Commissione ha iniziato l'esame degli emendamenti, che si è svolto, in sedute antimeridiane, pomeridiane e notturne, come cominciamo ormai ad essere abituati ad effettuare, nelle giornate di martedì scorso 30 luglio e di ieri, mercoledì 31 luglio.
  Alle sedute, come dicevo, ha sempre partecipato il Governo, nelle persone del Ministro per le riforme costituzionali, Gaetano Quagliariello, e del sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, Sesa Amici.
  Il dibattito interno alla Commissione è stato articolato e approfondito, addirittura Pag. 3proficuo, tanto da consentire il chiarimento, come ricordavo, anche per il relatore, di talune criticità. L'esame degli emendamenti è proseguito distesamente e senza limitazioni. La presidenza, attesa la delicatezza del provvedimento, ha consentito di intervenire a tutti quelli che ne hanno fatto richiesta, permettendo anche più interventi dello stesso deputato sul medesimo emendamento. Mi sembra infatti che la delicatezza della materia imponesse simile metro di conduzione del dibattito in Commissione.
  Nella seduta notturna di martedì 30 luglio il gruppo del MoVimento 5 Stelle ha autonomamente deciso di abbandonare l'aula della Commissione e di non partecipare quindi all'esame degli emendamenti, che è proseguito nello stesso clima di collaborazione che si era formato in precedenza.
  Nella giornata di ieri, il gruppo del MoVimento 5 Stelle ha poi comunicato alla presidenza il ritiro di tutti gli emendamenti sottoscritti da deputati del gruppo non ancora posti in votazione. Dirò incidentalmente che alcuni emendamenti dei deputati del MoVimento 5 Stelle sono stati fatti propri da alcuni deputati di altri gruppi e sono stati discussi puntualmente, e comunque in opposizione.
  Nella seduta notturna di ieri, la Commissione ha quindi conferito il mandato al relatore di riferire sul provvedimento in senso favorevole.
  Il progetto di legge in discussione si compone di nove articoli. L'articolo 1 istituisce un Comitato parlamentare, a composizione bicamerale, con il compito di esaminare in sede referente (articolo 2, comma 4) i progetti di legge ad esso assegnati – o riassegnati, se già assegnati alle Commissioni permanenti – dalle Presidenze delle Camere. Il Comitato è chiamato in particolare a svolgere una sorta di ruolo di «guida» dell'attività parlamentare di riforma: infatti è chiamato a svolgere l'attività in sede referente e ad intervenire anche nelle fasi successive dell'esame parlamentare, con adempimenti specificati nel testo.
  Venendo alla composizione del Comitato, questa è paritetica: venti senatori e venti deputati nominati dai Presidenti delle Camere, d'intesa tra loro, tra i membri delle Commissioni permanenti competenti per gli affari costituzionali del Senato e della Camera dei deputati. Fanno parte di diritto del Comitato, in aggiunta ai quaranta componenti nominati, i presidenti delle Commissioni affari costituzionali di Camera e Senato, ai quali è affidata congiuntamente la presidenza del Comitato. La specificazione che i presidenti delle Commissioni affari costituzionali si aggiungono ai componenti nominati è stata introdotta dal Senato.
  Per la nomina dei componenti del nuovo organo i Presidenti delle Camere dovranno tenere conto non solo della designazione dei gruppi parlamentari, ma anche di alcuni criteri aggiuntivi, e precisamente: della complessiva consistenza numerica dei gruppi, assicurando comunque la presenza di almeno un rappresentante per ciascun gruppo; del numero dei voti conseguiti dalle liste e dalle coalizioni di liste ad essi riconducibili; dell'esigenza di assicurare la presenza di un rappresentante delle minoranze linguistiche riconosciute, eletto in una delle circoscrizioni comprese in regioni il cui statuto speciale preveda una particolare tutela di tali minoranze linguistiche.
  La specificazione, per i rappresentanti di minoranze linguistiche, che debba trattarsi di minoranze linguistiche riconosciute e che l'elezione sia avvenuta in una regione ad ordinamento speciale il cui statuto tuteli le minoranze linguistiche è stata introdotta anch'essa al Senato ed è mutuata dalla legislazione elettorale ed in particolare dalla legge per le elezioni politiche. Il Senato ha anche ridotto – da quindici a cinque – il numero di giorni, decorrenti dall'entrata in vigore della legge, entro i quali i gruppi parlamentari devono procedere alla designazione dei componenti del Comitato. Decorso tale termine, il testo prevede che siano i Presidenti delle Camere, d'intesa tra loro, a provvedere alla nomina dei componenti del Comitato, sulla base dei criteri suesposti. Pag. 4Il Senato ha altresì abbreviato – da trenta a dieci giorni, decorrenti dalla data di entrata in vigore della legge – il termine previsto dal comma 3 entro il quale ha luogo la prima seduta del Comitato.
  Anche il comma 4 è stato modificato dal Senato. Esso prevede che, nella prima seduta, il Comitato elegga due vicepresidenti, dei quali un senatore e un deputato, con voto segreto e limitato ad uno, e due segretari, un senatore e un deputato, con voto segreto e limitato a uno.
  La modifica riguarda la diminuzione del numero dei segretari dai quattro previsti dal testo iniziale del disegno di legge al numero di due.
  Il Senato ha anche modificato il secondo periodo del comma 4, prevedendo che «sono» – anziché «risultano» – eletti coloro che ottengono il maggior numero di voti. In caso di parità di voti, risulta eletto il più anziano per età.
  Il comma 5 prevede che l'ufficio di presidenza del Comitato sia composto dai presidenti, dai vicepresidenti e dai segretari e che sia integrato, in sede di programmazione dei lavori, dai rappresentanti dei gruppi parlamentari. La esplicitazione del fatto che dell'ufficio di presidenza fanno parte anche i presidenti e la precisazione che l'organo, in sede di programmazione dei lavori, è integrato dai rappresentanti dei gruppi parlamentari sono state introdotte dal Senato, che a tal fine ha spostato le disposizioni sulla costituzione dell'ufficio di presidenza in un comma separato (appunto il comma 5 di cui si parla).
  È stato inoltre introdotto dal Senato il comma 6, che esclude la sostituzione dei membri del Comitato, anche solo per una seduta. Resta ferma, al comma 7, la previsione originariamente contenuta nel comma 5, ai sensi della quale nelle sedute delle rispettive Assemblee, i componenti del Comitato assenti in quanto impegnati nei lavori del Comitato medesimo non sono computati ai fini del numero legale.
  L'articolo 2, comma 1, stabilisce le competenze del Comitato, che sono circoscritte all'esame dei progetti di legge di revisione costituzionale relativi agli articoli di cui ai Titoli I, II, III e V della Parte II della Costituzione, nonché, in materia elettorale, ai conseguenti progetti di legge ordinari relativi ai sistemi elettorali delle due Camere. Una precisazione di grande rilevanza ai fini della delimitazione dell'area di incidenza di questa importante riforma.
  I titoli della Parte II richiamati disciplinano, rispettivamente, il Parlamento, il Presidente della Repubblica, il Governo e le regioni, le province e i comuni. Restano esclusi il Titolo IV, dedicato alla magistratura, e il Titolo VI, dedicato alle garanzie, nel quale è collocato il procedimento di revisione costituzionale (articolo 138), che è – e resta – il procedimento di revisione costituzionale ordinario. Altro passaggio non secondario negli equilibri di questo disegno di legge costituzionale.
  A seguito di una modifica apportata dal Senato, il testo specifica che sono di competenza del Comitato anche le modificazioni di altre disposizioni costituzionali o di legge costituzionali, oltre a quelle indicate, purché tali modificazioni siano strettamente connesse alle prime (comma 2). Il testo originario presentato dal Governo esplicitava l'afferenza dei progetti di revisione costituzionale alle materie della forma di Stato, della forma di Governo e del bicameralismo, ma questa precisazione è stata soppressa – secondo me giustamente – nel corso dell'esame presso il Senato.
  Per ciò che attiene alla materia elettorale, rispetto al testo originale del Governo, che richiamava i coerenti progetti di legge ordinaria di riforma dei sistemi elettorali, il Senato ha approvato una formulazione più stringente, volta a sottolineare il nesso di conseguenzialità tra la revisione costituzionale e la riforma elettorale, limitando altresì la competenza del Comitato alle leggi elettorali delle due Camere. Al di fuori di tale conseguenzialità, la competenza resta affidata alle Commissioni affari costituzionali di Camera e Senato, secondo l'ordinaria procedura. È evidente che questa previsione di modello successivo all'individuazione del soggetto su cui calibrare il modello deve Pag. 5mantenere il suo forte senso, perché si correrebbe, altrimenti, il rischio di un soggetto che fosse poi anticipato da un modello precostituito, indipendentemente dal lavoro che Camera e Senato si accingono ad effettuare su questo importante tema. La perdita di fiducia in questo investimento sarebbe molto grave, proprio nel giorno di inizio di discussione di questo provvedimento.
  Il Senato ha modificato anche il titolo del provvedimento, che, a differenza del testo presentato dal Governo, evidenzia la competenza del Comitato anche per le riforme elettorali, da intendersi, ovviamente, come quelle delimitate al comma 1.
  Il vaglio circa la pertinenza di un progetto di legge alla competenza del Comitato è affidato dal comma 3 ai Presidenti delle Camere, cui spetta l'assegnazione o la riassegnazione dei progetti di legge costituzionale sulle materie di cui al comma 1, presentati all'inizio della corrente legislatura e fino alla conclusione dei lavori del Comitato, nonché – sulla base di una modifica del Senato – l'assegnazione dei progetti di legge elettorali di cui al comma 1.
  Ai sensi del comma 4, all'esame in sede referente dei progetti di legge assegnati al Comitato si applicano, oltre alle norme della legge costituzionale in discussione, le disposizioni del Regolamento della Camera.
  Il Comitato può adottare, a maggioranza assoluta dei componenti, ulteriori norme per il proprio funzionamento e i propri lavori. Una modifica apportata dal Senato al testo governativo ha specificato che resta comunque salva l'applicabilità del Regolamento della Camera; per effetto di tale modifica, le norme di autorganizzazione approvate dal Comitato hanno una funzione meramente integrativa rispetto alle previsioni regolamentari. Si tratta di una facoltà analoga a quella prevista nella legge costituzionale istitutiva della Commissione bicamerale di cui alla legge costituzionale n. 1 del 1997 (cosiddetta D'Alema), che se ne avvalse per regolare su alcuni aspetti del procedimento.
  Non sono in ogni caso ammesse nel Comitato questioni pregiudiziali e sospensive, nonché proposte di non passare all'esame degli articoli.
  I presidenti del Comitato – e non il Comitato stesso, come prevedeva il testo governativo originario, modificato su questo punto dal Senato – nominano uno o due relatori.
  In questo ultimo caso deve trattarsi di un senatore e di un deputato. È comunque ammessa la presentazione di relazioni di minoranza. Il Comitato assegna un termine per la presentazione delle relazioni ed un termine entro il quale pervenire alla votazione di conclusione dell'esame (comma 5).
  Dopo la conclusione dell'esame preliminare, ai sensi del comma 6, il Comitato trasmette ai Presidenti delle Camere i testi dei progetti di legge, ovvero i testi unificati, adottati come base per il seguito dell'esame. Ciascun senatore o deputato, nonché il Governo, possono presentare alle Presidenze delle Camere emendamenti su ciascuno dei testi adottati, entro i termini fissati di intesa tra gli stessi Presidenti delle Camere. Sugli emendamenti si pronuncia il Comitato (comma 7). Si prevede un termine unico per i parlamentari ed il Governo e non si riconosce un autonomo potere emendativo al relatore o ai relatori (che potranno dunque presentare emendamenti come tutti gli altri parlamentari).
  Non è invece disciplinata la presentazione dei subemendamenti, alla quale sembrerebbe dunque applicabile la disciplina ordinaria ai sensi del Regolamento della Camera.
  Il comma 8 prevede che, per rispettare i termini di conclusione dei lavori, la presidenza del Comitato ripartisca, se necessario, il tempo disponibile secondo le norme del Regolamento della Camera sull'organizzazione dei lavori e delle sedute dell'Assemblea.
  Il comma 9, introdotto dal Senato, prevede che le disposizioni di cui ai commi 4, 5, 6, 7 e 8 si applichino anche ai progetti e ai testi di legge ordinaria di cui al comma 1, ossia ai progetti di legge in materia elettorale. Ai sensi del comma 10, Pag. 6anch'esso introdotto dal Senato, il Comitato dispone, anche nell'ambito delle norme di autorganizzazione da esso eventualmente adottate, la consultazione delle autonomie territoriali, ai fini di coinvolgimento nel processo di riforma.
  Alcuni aspetti procedurali non sono oggetto di disciplina specifica, come quelli della pubblicità dei lavori del Comitato. Peraltro, per i lavori delle già ricordate Commissioni bicamerali per le riforme istituzionali istituite nella XI e nella XIII legislatura fu disposta la resocontazione stenografica pur in assenza di specifica disposizione della legge istitutiva. Al riguardo, va segnalato che nel corso dell'esame in sede referente è stata da più parti evidenziata l'opportunità che il Comitato, nell'esercizio dell'autonomia conferitagli dal comma 4 dell'articolo 2, disponga la forma più ampia di pubblicità dei propri lavori, e questo mi sembra, ovviamente, lodevole. Su questo punto è intervenuto al Senato l'ordine del giorno G6.100, che il Governo ha accolto, con il quale il Senato ha assunto l'impegno di assicurare, per ogni seduta del Comitato parlamentare, la pubblicazione di un resoconto in forma integrale e la trasmissione audiovisiva, anche esterna, e, tramite il servizio pubblico radiotelevisivo, la massima informazione possibile sui lavori, le discussioni e le deliberazioni del Comitato e delle Camere nel corso procedimento legislativo. Il Senato si è inoltre impegnato a valutare la possibilità di realizzare una piattaforma telematica nel sito istituzionale «Parlamento», per una discussione pubblica on line sui temi della revisione costituzionale e della conseguente riforma elettorale, con lo scopo di favorire lo scambio di opinioni e di informazioni, in forma distinta da quella del dibattito parlamentare.
  L'articolo 3 disciplina i lavori delle Assemblee di Camera e Senato sui progetti di legge esaminati in sede referente dal Comitato. In base al comma 1 i Presidenti delle Camere adottano le opportune intese per l'iscrizione del progetto o dei progetti di legge costituzionale e dei progetti di legge ordinaria in materia elettorale all'ordine del giorno delle Assemblee e stabiliscono la data entro la quale ciascuna Camera procede alla loro votazione finale, nel rispetto dei termini fissati dal successivo articolo 4 (i termini sono un altro dei problemi che sono stati ampiamente discussi nell'ambito della Commissione).
  Il comma 2 prevede che davanti alle Assemblee di ciascuna Camera, il Comitato sia rappresentato da un sottocomitato formato dai presidenti, dai relatori e da senatori e deputati in rappresentanza di tutti i gruppi. Ai sensi del comma 3, per l'esame davanti alle Assemblee, si osservano le norme dei rispettivi regolamenti.
  Le votazioni avvengono a scrutinio palese. Tale disposizione rileva in particolare per l'esame dei progetti di legge elettorale presso la Camera, in quanto per tali progetti di legge il Regolamento della Camera consente la possibilità di richiedere lo scrutinio segreto, ai sensi dell'articolo 49.
  Per l'esame degli emendamenti si applica un diverso regime a seconda che gli emendamenti siano presentati dai singoli parlamentari o dal Comitato e dal Governo. Ai componenti dell'Assemblea si applica in primo luogo un limite di contenuto, che non vige per il Comitato ed il Governo. Essi possono presentare solo gli emendamenti respinti dal Comitato in sede referente. Emendamenti nuovi possono, invece, essere presentati solo in diretta correlazione con le parti modificate dal Comitato rispetto al testo adottato come testo base ovvero rispetto al testo trasmesso dall'altra Camera.
  Molto diversi sono anche i termini di presentazione: gli emendamenti dei parlamentari possono essere presentati fino a cinque giorni prima della data fissata per l'inizio della discussione sulle linee generali, mentre gli emendamenti e subemendamenti del Comitato e del Governo possono essere presentati fino 72 ore (48 ore nel testo originario del Governo) prima dell'inizio della seduta in cui è prevista la votazione degli articoli o degli emendamenti cui essi si riferiscono.
  L'ultimo periodo del comma 3 prevede che agli emendamenti del Comitato e del Pag. 7Governo, che sono immediatamente stampati e distribuiti, possano essere presentati subemendamenti da parte di un presidente di gruppo o di almeno venti deputati e dieci senatori, fino al giorno precedente l'inizio della seduta in cui è prevista la presentazione di emendamenti.
  L'articolo 4 definisce i tempi per la conclusione dell'esame dei progetti di legge assegnati al Comitato. In particolare, per i progetti di legge costituzionale, i lavori parlamentari sono organizzati in modo tale da consentire la conclusione entro 18 mesi dall'entrata in vigore della legge costituzionale. Nel corso dell'esame al Senato, si è discusso sulla natura di questi termini; il verbo «consentire» ha sostituito il verbo «assicurare» utilizzato nel testo iniziale del disegno di legge governativo: si è in questo modo chiarita la natura ordinatoria del termine medesimo.
  Il Comitato, entro sei mesi («quattro mesi» nel testo originario del Governo) dalla data della sua prima seduta, trasmette ai Presidenti delle Camere i progetti di legge costituzionale esaminati («approvati» secondo il testo originario) in sede referente, corredati di relazioni illustrative e di eventuali relazioni di minoranza.
  Il comma 2 dispone che ciascun progetto di legge debba essere omogeneo e autonomo dal punto di vista del contenuto e coerente dal punto di vista sistematico. Nel corso dell'esame presso il Senato è stata soppressa la disposizione che introduceva l'obbligo per il Comitato, in caso di mancata approvazione dei progetti di legge costituzionale nel termine previsto, di trasmettere comunque un progetto di legge fra quelli assegnati, nel testo eventualmente emendato. Il venir meno dell'obbligo di trasmissione sembra sottolineare anche qui il carattere meramente ordinatorio del termine. Il comma 3, non modificato dal Senato, stabilisce il termine di tre mesi, per l'Assemblea della Camera che procede per prima all'iscrizione del progetto di legge costituzionale all'ordine del giorno, per la conclusione dell'esame. Il termine decorre dalla data della trasmissione da parte del Comitato. La Camera che procederà successivamente all'esame dovrà anch'essa concluderlo entro tre mesi. Solo per il primo esame di ciascun testo da parte delle due Camere è stabilito il termine di tre mesi, perché per le successive letture i termini sono fissati d'intesa dai Presidenti delle Camere. La necessità di due successive deliberazioni da parte di ciascuna Camera sul medesimo testo del progetto o dei progetti di legge costituzionale è sancita dal comma 4, che prescrive che tra tali deliberazioni vi sia un intervallo non minore di 45 giorni e che i progetti di legge sono approvati a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. In altre parole, il quorum previsto per la seconda deliberazione è uguale a quello stabilito dall'articolo 138 della Costituzione, mentre l'intervallo, che è di non meno di tre mesi, previsto nell'articolo 138, è ridotto a non meno di 45 giorni. Per i progetti di legge ordinaria in materia elettorale esaminati in sede referente e trasmessi dal Comitato ai Presidenti delle Camere, questi ultimi stabiliranno, d'intesa tra loro, i termini di conclusione dell'esame; ciò con il vincolo, stabilito dal comma 5, della coerenza con i termini di esame dei progetti di legge costituzionale. L'articolo 5 prevede l'ipotesi di richiesta di referendum confermativo da parte dei soggetti qualificati, anche nel caso in cui il testo sia approvato, in entrambe le Camere, con la maggioranza dei due terzi dei componenti nella seconda deliberazione; altro passaggio di sicura rilevanza. Già nel corso dei lavori presso il Senato è stato evidenziato che tale previsione introduce un'innovazione rafforzativa dello spirito del procedimento di revisione costituzionale ordinario. Infatti, l'articolo in esame riproduce sostanzialmente il meccanismo dell'articolo 138, con l'importante differenza che la legge o le leggi costituzionali possono essere sottoposte a referendum, su richiesta, anche qualora siano state approvate con una maggioranza superiore ai due terzi dei componenti delle Camere. Va detto che le identiche mozioni approvate alla Camera (1-00056) e al Senato (1-00047) il 29 maggio scorso prevedevano la Pag. 8possibilità, fermi restando i quorum deliberativi di cui all'articolo 138, di sottoporre a referendum confermativo la legge ovvero le leggi di revisione costituzionale approvate dal Parlamento. Nell'economia dell'articolo 138, la possibilità di richiedere il referendum da parte dei soggetti qualificati costituisce un meccanismo eventuale e facoltativo di aggravamento del procedimento, con una funzione oppositiva, non confermativa, perciò esso è prevista solo per i casi in cui la scelta di revisione costituzionale non abbia una condivisione così ampia da arrivare ai due terzi della rappresentanza parlamentare, e a questa rappresentanza spetta tale scelta. Nel testo iniziale del Governo era previsto che la legge o le leggi costituzionali di riforma fossero comunque sottoposte a referendum popolare entro tre mesi dalla pubblicazione. Il Senato ha modificato tale disposizione nel senso di prevedere che il referendum abbia luogo, anche se le leggi fossero approvate con maggioranza pari almeno ai due terzi dei componenti delle Camere, solo su richiesta degli stessi soggetti qualificati cui è attribuito questo potere dall'articolo 138 della Costituzione, vale a dire un quinto dei membri di una Camera o 500 mila elettori o cinque consigli regionali. Come è emerso nel corso dell'esame in sede referente, questa modifica apportata dal Senato appare particolarmente importante nell'ottica di ricondurre il referendum alla sua natura di strumento di opposizione alla legge costituzionale, laddove nell'impostazione del disegno di legge iniziale esso rischiava di trasformarsi in strumento di conferma della legge costituzionale, dunque non strumento dell'opposizione, bensì della maggioranza. L'articolo 6, che sostanzialmente riproduce l'articolo 5 della legge costituzionale n. 1 del 1997, istitutiva della cosiddetta Commissione D'Alema, delimita l'ambito di applicazione del procedimento costituzionale derogatorio delineato dal disegno di legge in esame. In particolare, il comma 1 ne prevede l'applicazione a tre tipologie di progetti di legge: i progetti di legge costituzionale assegnati o riassegnati al Comitato relativi agli articoli di cui ai Titoli I, II, III e V della Parte seconda della Costituzione, presentate dall'inizio della legislatura e fino alla data di conclusione dei suoi lavori; i progetti di legge ordinaria in materia elettorale concernenti sistemi di elezione delle due Camere e conseguenti ai progetti di cui sopra; le modificazione esaminate o elaborate dal Comitato in relazione ai progetti di legge costituzionale relativi agli articoli di cui ai Titoli I, II, III e V della Parte seconda della Costituzione, strettamente connesse ad altre disposizioni della Costituzione o di legge costituzionale. Il comma 2 contiene una norma di chiusura che prevede che la speciale procedura di revisione costituzionale non possa applicarsi alle leggi costituzionali o ordinarie approvate secondo la stessa procedura: le successive modificazioni che il Parlamento intenda deliberare dovranno quindi essere adottate secondo la procedura ordinaria di cui all'articolo 138 della Costituzione. L'articolo 7 disciplina la cessazione delle funzioni del Comitato, prevedendo due cause di cessazione: la prima, la pubblicazione della legge o delle leggi costituzionali e di quelle ordinarie approvate ai sensi della legge costituzionale in discussione; la seconda, patologica, è lo scioglimento di una o di entrambe le Camere, ovviamente senza che il Comitato abbia concluso i propri lavori, che, se mi consentite, è anche un po’ triste.
  L'articolo 8 pone le spese per il funzionamento del Comitato a carico, in parti eguali, del bilancio interno del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. L'articolo 9 dispone l'entrata in vigore del provvedimento nel giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale successiva alla promulgazione.
  Sul provvedimento sono state svolte alcune audizioni informali, concentrate in una seduta, nel corso della quale sono stati auditi, su indicazione dei gruppi, i seguenti esperti, tutti docenti o ex docenti universitari: Claudio De Fiores, Giovanni Guzzetta, Massimo Luciani, Michela Manetti, Alessandro Pace, in rigoroso, ovviamente, ordine alfabetico.Pag. 9
  Il provvedimento, infine, è assegnato alla Commissione bilancio, in sede consultiva, la quale esprimerà il proprio parere direttamente all'Assemblea.
  Da parte del relatore di questo testo e da parte della I Commissione un buon lavoro all'Aula perché il risultato possa essere finalmente raggiunto (Applausi).

  PRESIDENTE. Grazie Presidente. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, il deputato Riccardo Fraccaro.

  RICCARDO FRACCARO, Relatore di minoranza. Signor Presidente, prima di entrare nel merito del provvedimento mi sento costretto a fare una piccola digressione di natura procedurale, dopo l'intervento del relatore Presidente Sisto, che ha citato la nostra scelta come gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle di uscire dalla I Commissione Affari Costituzionali. In realtà, dopo le nostre 53 ore di opposizione parlamentare che erano state finalizzate semplicemente a spostare la votazione finale del provvedimento a settembre per consentire all'opinione pubblica di seguire i lavori relativi a un provvedimento così importante come quello delle riforme costituzionali, perché ritenevamo che una approvazione ad agosto sarebbe stata lesiva del diritto dell'opinione pubblica di sapere, di conoscere, soprattutto in una materia così importante che riguarda tutti i cittadini e riguarda anche le generazioni future non solo quelle presenti, e dopo questa battaglia che il MoVimento 5 Stelle ha vinto in Aula, con volontà ci siamo adoperati per discutere nel merito questo provvedimento, per apportare con la nostra intelligenza, quella che sia, con la nostra forza, con le nostre idee, dei miglioramenti al testo e siamo entrati con questo spirito in Commissione. Spirito che era stato avallato dallo stesso Ministro Quagliariello che aveva dato la sua disponibilità di discutere il testo nel merito e che noi avevamo apprezzato, ma dallo stesso Primo Ministro Letta, nelle sue dichiarazioni in Aula.
  E quindi abbiamo presentato degli emendamenti nel merito che abbiamo iniziato a discutere con la maggioranza; purtroppo, dopo aver preso in esame una ventina di emendamenti ci siamo accorti di un clima surreale in Commissione, nato spesso da critiche sterili, da una critica continua, da una discussione che non portava alcun frutto: anche di fronte ad emendamenti estremamente razionali, non distruttivi del testo, c’è stata una preclusione. E questo ci ha insospettito notevolmente.
  Abbiamo cercato di capirne il motivo Presidente, ed esplicitamente rappresentanti di questa maggioranza – per vie dirette, non certo formalmente, ecco perché non troverà queste cose nei resoconti della Commissione – ci hanno detto che, comunque, i nostri emendamenti per quanto buoni fossero stati non potevano essere approvati perché il testo così com'era non poteva tornare al Senato, doveva essere approvato così com'era stato presentato dal Governo al Senato.
  E questa è semplicemente una presa in giro delle minoranze, questa non è discussione, questa non è democrazia, questa è una mancanza di rispetto nei confronti di parlamentari del Parlamento italiano e nei confronti dei cittadini che essi rappresentano e per questo ce ne siamo andati, perché per noi la democrazia non è solo forma ma è anche sostanza e soprattutto se questa è la capacità di coinvolgere le minoranze in una materia di riforma costituzionale, credo che il futuro sia veramente grigio per questa Repubblica.
  Comunque, dopo questo primo accenno metodologico, entrerò nel merito del provvedimento, per quanto possibile visto il tempo ristretto.
  Colleghi, credo che il presente disegno di legge trae la sua ispirazione da un macroscopico equivoco di fondo: l'equivoco che la crisi delle istituzioni dipenda dalle disposizioni della Carta costituzionale, e non invece dall'incapacità della politica di autoriformarsi. L'inefficienza delle istituzioni, in altri termini, è addebitata – in base a questo equivoco – al corpus di leggi che ne garantiscono l'impianto Pag. 10democratico, e non ai fallimenti dell'attuale sistema antidemocratico dei partiti.
  La ratio che ispira questo provvedimento è dunque che la Costituzione sia la causa della decadenza delle classi dirigenti. È vero l'esatto contrario: è il progressivo declino della politica ad aver favorito il tentativo di stravolgere la Costituzione.
  Eppure il Governo ritiene indispensabile approvare con procedura urgente, una procedura extra ordinem, una riforma costituzionale ad ampio raggio. La stessa permanenza in carica del Governo è legata al raggiungimento di questo traguardo entro un termine prestabilito, e non alla risoluzione dei nodi politici di maggior preoccupazione per i cittadini, a partire dalla crisi economica e sociale.
  Lo scopo dichiarato dell'Esecutivo, il suo unico punto programmatico, è quello di derogare a quanto previsto all'articolo 138 per approvare in tempi rapidissimi una revisione straordinaria della Carta sin dalle sue fondamenta. Non si tratta di intervento di ristrutturazione, su cui il MoVimento 5 Stelle avrebbe la voglia, avrebbe il piacere di confrontarsi con la maggioranza, nel solco delle linee tracciate dai Padri costituenti. No: l'idea del Governo e della maggioranza che lo sostiene è quella di una demolizione e di un rifacimento dell'intera architettura istituzionale, e lo dimostrano tre elementi.
  Innanzitutto il provvedimento che già in nuce attribuisce il ruolo centrale del processo di riforma non alle due Camere, ma al Comitato e al Governo. La tempistica, poi, particolarmente stringente del cronoprogramma, un cronoprogramma da realizzarsi entro il termine perentorio di 18 mesi: questo è il secondo indice della volontà di comprimere la funzione del Parlamento.
  Porre una scadenza al procedimento di revisione costituzionale è un fatto inaudito; ma lo è altrettanto il terzo indizio del commissariamento in atto del Parlamento: la volontà di restringere fino ai minimi termini i diritti politici delle forze di minoranza parlamentare.
  Ma i profili critici riscontrati nel provvedimento sono molteplici, e non riguardano soltanto la legge costituzionale: in numerosi casi inficiano e violano addirittura principi e norme procedurali posti dai Regolamenti parlamentari. All'organo prescelto, il Comitato, sono attribuiti poteri e funzioni in deroga agli stessi Regolamenti parlamentari, ponendo il Comitato, questo fantomatico Comitato, in posizione sovraordinata rispetto allo stesso Parlamento. In particolare, il presente disegno di legge calpesta i più basilari principi di rappresentanza democratica, che a maggior ragione vanno salvaguardati nella composizione di un Comitato che vuole arrogarsi la prerogativa di modificare la Costituzione; o meglio, di sostituirsi ai Padri costituenti, attribuendosi peraltro una sorta di potere di autoregolamentazione. È da scongiurare l'ipotesi di trasformare detto Comitato in una sorta di comitato di salute pubblica parlamentare, blindato nella composizione e rafforzato da procedure in deroga e dalle altre, che a maggioranza assoluta potrà e vorrà darsi: il Comitato potrà darsi regole in violazione dei Regolamenti parlamentari.
  Più viene rafforzato il potere di questo Comitato, più vengono indebolite le prerogative dell'opposizione, introducendo un pericoloso precedente nel nostro ordinamento. Non si può quindi fare a meno di considerare che le numerose audizioni, nelle preposte sedi istituzionali, audizioni degli esperti di diritto costituzionale, sono legate da un medesimo giudizio negativo sul presente disegno di legge: una sostanziale bocciatura da parte della maggioranza di esperti convocati in Commissione, che ha demolito uno ad uno gli articoli di cui si compone il presente disegno di legge. Presente disegno di legge su cui vorrei entrare nello specifico, ma mi manca il tempo per farlo articolo per articolo; andrò quindi alle conclusioni.
  Il MoVimento 5 Stelle è radicalmente contrario sia alla procedura di revisione costituzionale che all'oggetto della medesima per come delineati da questo provvedimento. La deroga alla norma che disciplina il processo di revisione della Pag. 11Carta trasforma questo Parlamento di fatto in un'Assemblea costituente, contro ogni principio giuridico, storico e politico. In questo modo il provvedimento intende porre i partiti al di fuori e al di sopra della Carta fondamentale. La stessa sovranità che appartiene al popolo deve essere esercitata nelle forme e nei limiti stabiliti dalla Costituzione, è inconcepibile che a questo principio debba derogare un comitato ristretto scelto da esponenti politici nominati dalle segreterie di partito. Si respinge un disegno di legge in materia economica quando non ha le coperture finanziarie. Ebbene il MoVimento 5 Stelle denuncia che questo provvedimento non ha la copertura politica e morale per intervenire sulla Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). È solo un intervento strumentale che tenta, Presidente, di coprire surrettiziamente il vuoto dell'atrofia politica di questo bipolarismo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, il deputato Pilozzi. Ne ha facoltà.

  NAZZARENO PILOZZI, Relatore di minoranza. Signor Presidente, membri del Governo, colleghi, il disegno di legge costituzionale n. 1359 prevede un procedimento extra ordinem, in deroga a quanto espressamente previsto dalla Costituzione all'articolo 138. Va segnalato intanto che tale articolo può essere modificabile ma certo, a nostro avviso, non è derogabile, e con il disegno di legge proposto dal Governo che si basato su una deroga una tantum una o più parti della Costituzione potrebbero essere definitivamente modificate.
  Peraltro l'articolo 2 indica gli oggetti della procedura straordinaria di revisione che incide sulla seconda parte della nostra Costituzione, quindi il 50 per cento praticamente, e gli articoli di cui ai Titoli I, II, III e V. Però non è che poi noi restringiamo il campo a questo, perché poi si aggiunge «nonché tutte le modificazioni strettamente connesse ad altre disposizioni della Costituzione o di legge costituzionale». Si tratta di una formulazione introdotta durante la discussione al Senato e il cui enunciato, più che risolvere la questione del cosiddetto raggio di azione della riforma, a nostro avviso tende ad esasperarla ulteriormente, ponendoci al cospetto di una sorta di potere paracostituente, un potere eccedente le funzioni del Parlamento e la cui azione rischia, come ricordato da più parti, di coinvolgere anche la prima parte della Costituzione, ma secondo noi più che a quello si punta ad intervenire sul Titolo IV, che è appunto il titolo che riguarda la magistratura, il Titolo IV della seconda parte.
  Quanto suscita perplessità nella procedura di revisione delineata dal disegno di legge non è sola la deroga all'articolo 138, la norma fondamentale del nostro ordinamento costituzionale, ma anche il tentativo di attenuare attraverso un procedimento, come ho detto prima, extra ordinem, la condizione di rigidità della Carta repubblicana, un principio fondamentale della nostra Costituzione.
  In particolare, le condizioni essenziali di rigidezza poste a repentaglio dal disegno di legge sono il riconoscimento della centralità del Parlamento nel processo di riforma e la previsione di un iter normativo lungo, ponderato e soprattutto coerente con le finalità tipiche di ogni procedimento di revisione costituzionale. Il disegno di legge delinea un procedimento di revisione che comprime il ruolo e le funzioni delle Camere a tutto vantaggio del Governo. L'Esecutivo in base alle norme del disegno di legge si vedrebbe riconosciuto durante l’iter normativo un regime privilegiato fino al punto di equiparare i suoi poteri con quelli attribuiti al Comitato, in tal modo disattendendo il primo comma dell'articolo 71 della Costituzione che equipara le prerogative del Governo a quelle di ciascun membro delle Camere nell'iniziativa legislativa e implicitamente nell'esercizio del potere di emendamento durante il procedimento. Questo è l'articolo 3 della legge.
  La medesima logica semplificatrice delle dinamiche parlamentari è anche ravvisabile Pag. 12in altre disposizioni del testo, in particolare nella tempistica stringente dei lavori parlamentari proposta dal Governo, le cui tappe contraddicono il carattere lungo, ponderato e razionale dei procedimenti di revisione costituzionale.
  Va tenuto anche presente che le scorciatoie procedurali, oltre che per le leggi costituzionali e di revisione, così come dice l'articolo 138, non sono ammesse in Costituzione neppure per le leggi ordinarie adottate in materia costituzionale, come recita l'ultimo comma dell'articolo 72.
  Un impianto che risulta compromesso dall'Atto Camera n. 1359, se si considera, primo, il divieto di presentazione delle questioni pregiudiziali, sospensive e di non passaggio all'esame degli articoli durante il procedimento.
  Secondo, i limiti posti alla possibilità di presentare subemendamenti agli emendamenti del Governo; facoltà, questa, tolta ai parlamentari della Repubblica e riconosciuta solo ad un presidente di gruppo o ad almeno venti deputati o dieci senatori, cosicché, se un membro delle Camere è in dissenso con il proprio gruppo – ipotesi espressamente prevista dal comma 1 dell'articolo 83, nonché dal comma 7 dell'articolo 85 del Regolamento della Camera –, a questi viene definitivamente preclusa la possibilità di presentare propri subemendamenti.
  Terzo, il potere di autoregolamentazione attribuito al Comitato. Il comma 4 dell'articolo 2 prevede che il Comitato, nell'esame dei disegni di legge ad esso assegnati in sede referente, utilizzi le norme del Regolamento della Camera dei deputati, ma solo in quanto applicabili, consentendo, in tal modo, al Comitato stesso di poter derogare al Regolamento della Camera e di introdurre ulteriori disposizioni per lo svolgimento dei lavori, fino ad attribuirgli il potere di autoregolamentarsi. Trattasi di un'ulteriore anomalia procedurale adottata in violazione ai principi che sovrintendono l'istituto della deroga, che, per sua natura, non può che essere puntuale, circostanziata e limitata.
  Quarto, il dimezzamento dei tempi di deliberazione da parte delle Camere, previsto dall'articolo 4, comma 4, rispetto a quanto espressamente previsto dall'articolo 138 della Carta costituzionale, che prevede un intervallo non inferiore a tre mesi tra le due deliberazioni.
  Infine, un passaggio doveroso lo merita l'articolo 5 sul referendum. Noi riteniamo troppo generica l'enunciazione del comma 1. Sarebbe di maggiore garanzia specificare meglio – noi lo abbiamo chiesto con un emendamento – i criteri dell'omogeneità e dell'autonomia dei contenuti dei quesiti referendari riferiti necessariamente alle distinte parti su cui si intende intervenire, per non pregiudicare la libertà dell'elettore.
  Il rispetto di tali criteri non risponde solo ad un'esigenza strettamente connessa con la natura dei provvedimenti che saranno approvati, ma deve soddisfare la volontà esplicita di rendere il referendum confermativo il luogo dell'espressione quanto più consapevole della volontà popolare su proposte di riforma che abbiano compiutezza di formulazione.
  Il gruppo di Sinistra Ecologia Libertà ha svolto un puntuale lavoro di opposizione in Commissione affari costituzionali. Ovviamente, siamo rammaricati che, nonostante la predisposizione di emendamenti propositivi e migliorativi, come spesso riconosciuto anche dai colleghi di maggioranza, non sia stata data la possibilità di discutere nel merito, avendo la maggioranza, con il fattivo contributo del Governo – soprattutto nella persona del Ministro Quagliariello, che, più che essere il lubrificante del motore delle riforme, a volte sembra essere il sassolino che lo inceppa – deciso di blindare il testo anche nelle sue parti più critiche, puntualmente segnalate, tra l'altro, anche dal relatore di maggioranza.
  Insomma, nostro malgrado, su una riforma che meritava una feconda discussione di tutto il Parlamento, la maggioranza e il Governo hanno ritenuto di far calare, in maniera muscolare, una sorta di fiducia fantasma, e quindi si è blindata, e così ristretta, la possibilità di discussione.
  Ma noi, considerata l'importanza del tema, che modifica i fondamenti giuridici Pag. 13del nostro sistema, non ci arrendiamo. Noi chiediamo a tutto il Parlamento, lo invitiamo, nella propria consapevolezza di quanto ci accingiamo ad avallare, ovvero la modifica dei fondamenti giuridici del nostro sistema in deroga all'articolo 138, a riflettere. Chiediamo al Parlamento di riflettere e di evitare che possa essere seppellita la Costituzione repubblicana (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Ecologia Libertà e MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
  È iscritto a parlare il deputato Pino Pisicchio. Ne ha facoltà

  PINO PISICCHIO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, onorevole Ministro, nella procedura introdotta dal disegno di legge governativo esistono, a ben vedere, profili suggeriti da una condivisibile ragione di efficienza nell'attività di riforma delle istituzioni, e profili che, invece, coinvolgono aspetti di metodo e di contenuto su cui vale la pena soffermarsi. Partiamo naturalmente dalla considerazione di una indifferibilità dell'intervento di riforma delle istituzioni, attuabile solo mettendo mano all'impianto della struttura ordinamentale della Costituzione, quella contenuta, naturalmente, nella seconda parte. Se non concordiamo con questa considerazione preliminare, l'intero ragionamento sulle riforme rischia di diventare un inutile esercizio retorico.
  E partiamo anche da altre due premesse: la prima è la condivisione del fatto che l'ammodernamento dello Stato-ordinamento, attuabile solo con la riforma della Costituzione, esprime un valore almeno altrettanto importante in termini di credibilità del «sistema Italia» di quello dello stato di salute dell'economia; la seconda premessa è quella relativa alla numerosità e alla inefficacia dei tentativi di riforma dell'impianto costituzionale che si sono succeduti negli ultimi trent'anni a partire dalla Commissione Bozzi del 1983, fino alla passata legislatura: almeno sei, di cui uno solo – quello della riforma dell'intero titolo V nel 2001 – rimasto tuttora in Costituzione.
  Dunque, c’è bisogno di mettere mano alle riforme, su questo non c’è dubbio. Ma come ? Con quale metodo ? Io continuo a ritenere che una riforma costituzionale così impegnativa, suscettibile di ribaltare, come viene detto, i titoli I, II, III, IV, V della Costituzione vigente, più opportunamente sarebbe stata affrontata da una assemblea costituente con mandato popolare diretto. So di esprimere un giudizio – peraltro da me tradotto in proposte di legge costituzionale a partire dalle ultime tre legislature – che non trova una concordanza unanime. Ma al di là di come si potrebbe chiamare un'assemblea eletta vocata a questo scopo, non avrei visto questo grande scandalo a ricercare un mandato popolare piuttosto che praticare le procedure dell'articolo 138, previste dal costituente solo per interventi circoscritti e coerenti con l'intero impianto.
  Siamo peraltro di fronte ad un Parlamento che vive una condizione un po’ paradossale: da un lato, dà segno di rifiutare il sistema elettorale che lo ha espresso, quasi vergognandosene, tant’è che non c’è voce che non si levi per dichiarare una presa di distanze da esso e implicitamente ammettere un qualche vulnus della rappresentanza, con la richiesta, dei giorni scorsi, nella Conferenza dei presidenti di gruppo alla Camera, di una immediata calendarizzazione della riforma elettorale; dall'altro, invece, allo stesso Parlamento si affida il compito di mettere mano alla riforma più impegnativa della storia repubblicana dopo l'approvazione della Costituzione. Le aporie della politica dei giorni nostri !
  Il metodo indicato è quello, come è stato chiaramente detto nelle relazioni di apertura, di devolvere a un Comitato di 40 parlamentari più due, espressi dalle Commissioni affari costituzionali di Camera e Senato, la deliberazione del progetto di riforma che sarà poi sottoposto all'esame e al voto del Parlamento. L'aspetto rilevante è nell'accorciamento dei tempi per l'esame del progetto del Comitato tra la lettura della Camera e quella del Senato. Pag. 14Per il resto, si potrebbe dire che il progetto si muove all'interno di un'idea di razionalizzazione delle modalità dibattimentali, scostandosi neanche troppo dalle procedure previste dall'articolo 138 (le commissioni competenti sono le stesse, seppur ridotte nella quantità e riunite nell'operatività, il dibattito nelle Aule parlamentari è garantito, la riduzione dei tempi tra un passaggio e l'altro non è giugulatoria, resta comunque il verdetto popolare con referendum).
  Se non si accoglie l'obiezione che facevo prima, e cioè che una riforma così ampia ha bisogno di una nuova Costituente, se si stende un velo sulla questione della legge elettorale, dell'imbarazzo relativo alla sua non riforma, se si guarda allo spirito costituente della nuova politica con un certo ottimismo, ci si può pure stare, ad un paio di condizioni però.
  La prima: onorevole Ministro, c’è un che di non detto che circonfonde la Commissione degli esperti del Governo. Che cos’è ? È una specie di Commissione Forti, che produce il suo materiale a chi si deve apprestare nell'atto costituente ? È un gruppo di lavoro, di altissimo livello non c’è dubbio su questo, al servizio esclusivo del Governo ? Diversamente non potrebbe essere. E che c'entra con il Comitato dei 40 ? Che relazione giuridica si prefigge di avere con il lavoro del Parlamento ? E, soprattutto, in base a quale orientamento lavora, visto che il Parlamento non ha ancora aperto bocca sulla forma di Governo né sul sistema bicamerale ? Sono consulenti del Governo che predispongono schede di lavoro su modelli alternativi ? Ecco, vorremmo avere una qualche risposta su questa questione, che non è irrilevante, anche perché una parte cospicua della dottrina costituzionalistica italiana ha avuto da dire sull'impianto e anche su questa modalità. Tutto questo è rimasto un po’ in una condizione «a mezz'aria».
  Ma, collegata a questa prima domanda ce n’è una seconda che non è minore. Persino nell'Assemblea Costituente, che per definizione doveva costruire la regola del gioco, libera da ogni vincolo con ordinamenti precedenti, si sentì il bisogno di condividere, con l'ordine del giorno Perassi, la forma di Governo che avrebbe ispirato il lavoro della sottocommissione, indicando la forma parlamentare. Ebbene, io credo che su questo aspetto, che è dirimente, le Camere debbano pronunciarsi, perché il solco entro il quale il Comitato dovrà svolgere il suo impegno di riforma, deve essere chiaro a partire da un impegno che queste Camere devono imprimere ad esso.
  Tutto questo, dunque, – e mi avvio a conclusione non prendendo tutto il tempo di cui potevo disporre – ossia la stessa questione metodologica che è oggetto del progetto di riforma dell'articolo 138, progetto che ha la nostra attenzione, condivisibile peraltro nella sua dinamica, rappresenta il profilo preliminare della riforma che assumerà senso, però, alla luce di un indirizzo del Parlamento.
  La mia personale visione è che il Comitato dovrà attendere ad un'opera di manutenzione evolutiva dell'impianto costituzionale, facendo riferimento alla sua forma di Governo parlamentare. Ma è la mia visione, che non ho il diritto né la forza di imporre agli altri. Resto, pertanto, dell'opinione che un pronunciamento delle Camere sull'oggetto dell'impegno riformatore diventi necessario prima dell'approvazione del disegno di legge costituzionale ispirato dal buonsenso relativamente all'economia dei lavori (Applausi).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Guidesi. Ne ha facoltà.

  GUIDO GUIDESI. Signor Presidente, colleghi e signor Ministro, conoscete quanto noi teniamo a questo inizio lavori. Le riforme per noi rendono più moderno il Paese e più inserito all'interno dell'Unione europea. Il Presidente del Consiglio e il Governo tutto hanno dichiarato più volte di essersi dati una scadenza, quella dei 18 mesi, per provvedere alle riforme. Oggi è come se tutti si fossero accorti dell'importanza che ha l'affrontare una riforma come questa. Forse ci si è accorti di questo anche per le pressioni e gli inviti che arrivano dall'Unione europea, Pag. 15ma anche e continuamente dal Presidente della Repubblica.
  Fosse per noi questo Paese sarebbe già più moderno, sarebbe già più al passo coi tempi, sarebbe già più inserito all'interno dell'Unione europea. Fosse per noi sarebbe passato (e noi l'abbiamo votato) quel referendum che affrontava la riforma costituzionale nel 2006, ed oggi forse saremmo qua ad affrontare questioni meno pesanti, cioè solo ed esclusivamente aggiornamenti. Non sono solo il taglio dei parlamentari o la risoluzione del bicameralismo perfetto che, come vediamo proprio in questi giorni, provoca tanti danni e tanti limiti a questo Paese. Noi sosterremo continuamente la questione del Senato federale come sosterremo continuamente, e ancor di più oggi, un sistema macroregionale che per noi è garanzia di identità ed è espressione del territorio a garanzia anche dell'espressione territoriale degli uni e degli altri. È falso – me lo si consenta dire –, perché l'ho visto ancora in questi giorni, è falso dire che il federalismo ha provocato un aumento delle imposte. Sono stati i tagli lineari imposti dal Governo e dal centralismo ad aver costretto gli enti locali ad aumentare le proprie imposte per far fronte ai servizi.
  Voi, signor Ministro, godete di una maggioranza amplissima, godrete del contributo di alcuni saggi, e non sono i provvedimenti-ponte e i provvedimenti omnibus che avete portato sino ad oggi in Aula, non sono quelli a far bene e a riformare questo Paese, ma sono proprio le riforme stesse. Voi avete una ampia maggioranza e dovete avere il coraggio di affrontarle. Utilizzate la vostra maggioranza, utilizzate i vostri amplissimi numeri, ma in pieno e stretto legame e in collaborazione con i rami del Parlamento, ma soprattutto con i gruppi parlamentari. Qui non si tenta – lo dico ad alcuni che mi hanno preceduto – di cambiare i principi fondamentali della Carta, qui si sta tentando di rendere più moderno un Paese che è all'interno dell'Unione europea, in maniera formale ed ufficiale, ma che forse ne è ancora fuori dal punto di vista dell'organizzazione e della struttura del Paese stesso.
  Noi daremo il nostro contributo cercando di incidere sui tempi e sui modi per far mantenere una delle tante promesse di questo Governo, e cioè l'arrivo alle riforme nei 18 mesi. Ma saremo inoltre controllori – e lo dico soprattutto alla maggioranza – di questa maggioranza perché chi bloccherà questo processo se ne assumerà le responsabilità. È troppo comodo parlare solo di legge elettorale, nascondendo invece le reali altre esigenze di questo Paese. Ci sono metodi per affrontare questa sfida, questo forse non è il metodo migliore, ma noi la sfida l'abbiamo lanciata tanti anni fa, e chi discute solo del metodo è perché non ha argomenti e contenuti per affrontare questa sfida. Noi ci saremo e ne saremo protagonisti (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Gelmini. Ne ha facoltà.

  MARIASTELLA GELMINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'approvazione del disegno di legge costituzionale all'esame dell'Aula, rappresenta un primo importante passo nella direzione della fissazione delle linee guida, delle regole e dell’iter che dovrà essere osservato per pervenire all'auspicata riforma della parte seconda della Costituzione, come per superare definitivamente una fase di transizione che dura ormai da troppo tempo nel nostro Paese. E sarà un passo importante anche per modernizzare e adeguare finalmente il sistema politico-istituzionale italiano ai cambiamenti che da tempo sono intercorsi nella società.
  Il tema delle riforme costituzionali accompagna il dibattito politico italiano da oltre trent'anni. Da allora – lo ha ricordato prima il collega Pisicchio – sono state innumerevoli le iniziative, le proposte, i tentativi di modernizzare la nostra democrazia. I risultati raggiunti, tuttavia, sono stati largamente inferiori alle aspettative. Eppure nonostante l'impianto del sistema, la cosiddetta Costituzione formale, sia rimasta Pag. 16pressoché inalterata, il nostro assetto politico-istituzionale, la Costituzione materiale, è cambiata profondamente.
  In primo luogo, perché è mutata la domanda politica che viene dal Paese: l'internazionalizzazione dei mercati, il processo di evoluzione dell'Unione europea hanno rivoluzionato il ruolo dei pubblici poteri nel governo anche dei processi economici. Si chiede alla politica maggiore velocità, maggiore qualità, maggiore incisività nelle scelte da operare.
  In questo momento di crisi, l'Italia paga a caro prezzo i rinvii, i fallimenti, le indecisioni e le mancate riforme. Tutto questo si traduce in una perdita di fiducia nei confronti della competitività, della capacità di cambiamento, di innovazione e di sviluppo del Paese, da un lato, ma anche in una perdita di fiducia e di autorevolezza della politica, perché, in tempo di crisi, le mancate riforme assumono un particolare valore anche economico, rappresentato da istituzioni che purtroppo non funzionano e l'efficacia istituzionale è indiscutibilmente una variabile fondamentale per la competitività del sistema economico.
  Per questo i cittadini sono interessati, in prima linea, al percorso delle riforme istituzionali, che determinano quei processi che vanno a incidere in concreto quotidianamente in maniera determinante sulla vita del Paese, sulle norme che regolano il lavoro, la famiglia, l'agire, giorno per giorno, in una parola, il futuro dell'Italia. La necessità di possedere gli strumenti capaci di mettere Governo e Parlamento nelle condizioni di prendere decisioni efficaci e fondamentali in tempi rapidi rende il tema del cambiamento istituzionale uno snodo ineludibile ed una priorità assoluta.
  In tal senso, auspico e credo che possa e debba essere assolutamente preso in considerazione il contributo delle opposizioni, che però non si può semplicemente tradurre in una mera, ennesima richiesta di rinvio. Il rischio, diversamente, è quello di continuare a vivere in una democrazia che sia fintamente partecipativa, ovvero una democrazia che possiede una serie di strumenti in grado di assicurare la rappresentanza, ma che, allo stesso tempo, non risulta capace di garantire decisioni.
  Le riforme costituzionali, d'altra parte, fondano le larghe intese e fondano la strana maggioranza e anche la funzione e la ratio del Governo. Un Governo di responsabilità nazionale, che può e deve rappresentare un nuovo inizio per il nostro Paese, un'occasione che dobbiamo avere la capacità e il coraggio di cogliere fino in fondo. È una sfida duplice, che si gioca in Italia, ma anche in Europa. Questo Governo, infatti, è chiamato a giocare un ruolo fondamentale, a rappresentare a testa alta gli interessi dell'Italia in Europa, dove dobbiamo essere in grado di agire per il presente e per il futuro.
  Questo sarà possibile solo se il nostro Paese sarà forte, solo se questo Parlamento si dimostrerà all'altezza di una visione riformatrice, non solo declamata, ma praticata, concretizzata attraverso l'approvazione delle necessarie riforme istituzionali. Il provvedimento in esame, d'altra parte, si inserisce proprio nel cuore del rapporto tra il potere esecutivo e il potere legislativo, proprio perché disciplina un procedimento di revisione costituzionale che, al netto delle critiche, vede Governo e Parlamento assolutamente protagonisti; il Governo perché ha posto le modifiche della Costituzione al centro del suo programma, decidendo perfino di inserire un Ministero per le riforme costituzionali, e il Parlamento perché dovrà approvare delle riforme che riguarderanno parti significative della Costituzione, attraverso il chiaro percorso delineato all'interno del disegno di legge all'esame di oggi in quest'Aula.
  Nel pieno rispetto della centralità del Parlamento e del regime parlamentare che caratterizza la nostra democrazia, questo disegno di legge già approvato dal Senato, è una proposta del Governo.
  Ma, nasce – non lo possiamo dimenticare o sottovalutare – in seguito ad una mozione del Parlamento, che chiedeva al Governo la presentazione. Si è, dunque, trattato di un atto che ribadisce la centralità del Parlamento. È al Parlamento, Pag. 17infatti, che viene affidato in via esclusiva il percorso riformatore, e anche per quanto riguarda il contenuto delle riforme costituzionali, resta assolutamente centrale il lavoro delle Camere. Il disegno di legge del Governo ha, quindi, tradotto la mozione parlamentare, a cominciare dall'indicazione dei 18 mesi di tempo al Comitato per procedere con le riforme. In Commissione su questo abbiamo molto discusso sul valore del termine a cui ci siamo vincolati. Tale indicazione non rappresenta solo una scansione temporale del procedimento. È una questione centrale, è un impegno preciso di cui risponde il Parlamento ed è un elemento di consapevolezza della necessità di fare bene, ma anche di fare presto, senza perdere ulteriore tempo.
  Quindi, la fissazione di termini non svolge soltanto una funzione regolatoria, ma ha anche un alto valore morale. È una connotazione squisitamente politica, perché rappresenta la chiara espressione della volontà di non fallire, di non interrompere, di non rinviare il percorso delle riforme, come troppe volte è accaduto, ma di pervenire ad un risultato positivo. E non solo. Tali termini rappresentano anche la consapevolezza che il Parlamento ha e si assume in merito alla necessità assoluta delle riforme, proprio per uscire da quella fase di transizione perenne e di democrazia apparente a cui il nostro Paese si è lentamente abituato. E su questo terreno il Paese e i cittadini si aspettano che non si perda tempo e che non ci sia un ulteriore rinvio. Diventa, dunque, fondamentale procedere per venire giustamente e consapevolmente incontro a questa aspettativa e per recuperare quel rapporto con i cittadini che da diverso tempo è ormai caratterizzato da una crescente sfiducia nei confronti della politica. Passa proprio da qui, da questo nostro sforzo, la possibilità di instaurare una rinnovata fiducia da parte degli italiani nelle istituzioni, nella politica e nel Parlamento.
  L'autorevolezza e la credibilità della politica passano dalla capacità di affrontare le questioni, dalla velocità e dall'efficacia dei tempi di decisione, dal coraggio di sapere sostenere fino in fondo il cambiamento anche mettendo mano alla nostra Costituzione, non per stravolgerla, ma per prendere atto dei mutamenti avvenuti. Non possiamo più permetterci il costo di istituzioni inefficienti, un costo che l'Italia ha pagato in misura crescente negli ultimi trent'anni. A differenza delle altre grandi democrazie dell'Occidente, da tempo interessate da processi di riforma, all'appuntamento con la competizione globale il nostro Paese si è trovato sprovvisto di strumenti adeguati alla portata delle decisioni da assumere, fino alla situazione difficile e preoccupante che siamo stati chiamati ad affrontare nei mesi scorsi, quando abbiamo deciso di assumere la responsabilità di Governo davanti ad un sistema politico divenuto di fatto tripolare, gravato non solo dalla debolezza strutturale del potere esecutivo, ma anche da un bicameralismo paritario, ormai unico al mondo, e da una legge elettorale concepita per un quadro bipolare. In particolare, la legge elettorale. Questo è un tema fondamentale che non può essere rinviato, anche se credo che sarebbe un errore gravare sulle gracili spalle della legge elettorale tutte le responsabilità di un cambiamento istituzionale che è molto più ampio e di cui la legge elettorale rappresenta un tassello, ma non l'unico. Per essere realmente efficace una riforma della legge elettorale deve essere inserita in un coerente contesto di norme e di riforme costituzionali e regolamentari.
  Strettamente legata alla legge elettorale è, poi, la questione relativa alla forma di Governo per cui il nostro Paese deve optare. A tale riguardo, come è stato più volte dibattuto, abbiamo di fronte due strade. La forma di Governo parlamentare razionalizzata o una forma di Governo presidenziale.
  Nell'effettuare tale scelta, sarà necessario individuare il sistema più idoneo a restituire legittimazione e capacità decisionale alle istituzioni, elevando al contempo il grado di trasparenza, di accountability del potere. Un sistema che sia in grado di garantire governabilità e rappresentatività attraverso un'effettiva separazione Pag. 18dei poteri, attualmente assai fragile, in cui la politica è totalmente schiacciata e, a volte, incapace di agire. Nel momento in cui poi saranno messi a disposizione del Governo strumenti idonei a realizzare con efficacia e tempestività il proprio programma, potrà concretizzarsi anche la necessità di porre un limite all'abuso della decretazione d'urgenza e al ricorso sistematico alla questione di fiducia sui maxiemendamenti che, negli ultimi decenni, hanno logorato il rapporto tra potere legislativo e potere esecutivo e inciso negativamente sulla qualità della produzione normativa.
  È altrettanto evidente poi la necessità di redistribuire i livelli decisionali e le risorse secondo i principi di sussidiarietà, di differenziazione e di adeguatezza, senza creare inutili e dannose sovrapposizioni di competenze che determinano solo contenzioso e blocco decisionale. Un riordino dei criteri di riparto delle competenze fra i diversi livelli di Governo è fondamentale per porre fine all'eccessiva frammentazione che oggi rappresenta un fattore di grave complicazione istituzionale. Allo stesso tempo, occorre restituire allo Stato quell'essenziale funzione di coordinamento finalizzata, da un lato a garantire i diritti fondamentali sul territorio nazionale, e, dall'altro, a promuovere i migliori modelli organizzativi recuperando le situazioni di inefficienza e coniugando i principi di responsabilità e di solidarietà. Il rispetto dei suddetti principi sarà in grado di assicurare la piena rappresentatività delle istituzioni ristabilendo, quindi, quel consenso e quella corrispondenza che deve stabilirsi tra governanti e governati, tra eletti ed elettori. Una politica che sia effettivamente rappresentativa e legata al territorio, orientata verso il bene comune e la responsabilità nazionale.
  Mi permetto, nell'andare a concludere, un'ultima nota di metodo: la modifica dell'articolo 138 della Costituzione. Un dato evidente posto a garanzia dell'intero processo è proprio il rafforzamento dell'articolo 138 e questa previsione va nella direzione, da un lato, come ha spiegato più volte il Ministro Quagliariello, di una piena e totale partecipazione e apertura alle richieste, alla concertazione, al coinvolgimento dei cittadini, e, dall'altro, una grande apertura anche alle opposizioni. Ed è questa la migliore garanzia appunto per le opposizioni di partecipare fino in fondo al processo riformatore stimolato da un Governo e da una maggioranza parlamentare che di fatto già comprende i due terzi dei parlamentari, ma che, riguardando la modifica del nostro sistema istituzionale, vitale per l'intero Paese, ha bisogno di un consenso che sia il più ampio possibile.
  E mi auguro, quindi, davvero che il processo riformatore questa volta possa procedere senza intoppi, per giungere ad una conclusione. Sarebbe la scrittura di una pagina importante per l'Italia e la dimostrazione che questo Parlamento è in grado di assumersi la grande responsabilità, di fronte ai cittadini e di fronte al Paese, di non sciupare questa importante occasione e di riuscire a governare il cambiamento e non a subirlo, dando effettiva testimonianza di coesione nazionale, di maturità istituzionale e di efficacia nel ricercare soluzioni condivise ai problemi del Paese (Applausi dei deputati del gruppo Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Kronbichler. Ne ha facoltà.

  FLORIAN KRONBICHLER. Signor Presidente, egregio Ministro, cari colleghi, stiamo affrontando un'impresa storica, una vera grande opera.
  E da verde quale sono, per principio sono diffidente nei confronti di tutte le grandi opere, ma noi stiamo cambiando la nostra Magna Charta, la nostra Costituzione, che non esito a definire, con Roberto Benigni, la più bella del mondo. La qualifica può suonare a qualcuno presuntuosa, soprattutto nei confronti delle Carte di altri Paesi, ma non lo è, anzi è espressione di orgoglio democratico e di patriottismo civile.
  Io vengo da una terra, il Sudtirolo, nella quale della Costituzione purtroppo Pag. 19non si fa un gran parlare, anzi augurerei ai miei compatrioti di occuparsene un po’ di più, di amarla di più, di capire di più cosa hanno nella Costituzione. La ragione di ciò, forse, risiede nel fatto che non ce la siamo conquistata. Noi preferiamo parlare del nostro statuto di autonomia, ma questo nostro statuto purtroppo non ha finora ottenuto presso la popolazione lo stesso carisma che la Costituzione diffonde sui cittadini di tutto il Paese. Manchiamo purtroppo di un patriottismo dello statuto. Può anche darsi che ciò avvenga perché esso prevede più contenuti concreti e meno ideali, e sicuramente è stato anche stilato con minore cura: gli sono mancati, apparentemente, se non i buoni giuristi, sicuramente i raffinati linguisti. Difatti il nostro statuto di autonomia è tanto difettoso che ci accingiamo, al momento, ad elaborarne un terzo, il che è segno di poca sostenibilità.
  Torno alla Costituzione. Noi di SEL ci riteniamo una sentinella della più bella e intendiamo svolgere questo ruolo: siamo e restiamo pretoriani della Costituzione così com’è. Lo siamo in modo serio, competente e combattivo, ma nello stesso momento non siamo degli ingenui e sappiamo di andare oggi incontro, molto probabilmente, ad una disfatta, sicuramente a una non vittoria. Ma se anche non vinciamo, il dibattito in Commissione e qui in Aula è servito e serve, ne siamo convinti. Abbiamo inteso i nostri interventi e il nostro impegno come un'opera di sensibilizzazione per la Costituzione e in questo – ne sono convinto – ci siamo riusciti. Noi abbiamo espresso preoccupazione per la Costituzione: riteniamo poco rispettoso il modo in cui la si vuole cambiare o meglio adattare a bisogni di circostanza. Si agisce, da parte del Governo e da parte dell'opinione pubblica, o meglio dell'opinione pubblicata, come se la ragione ultima di ogni male di questo Paese fosse la Costituzione «vecchia». L'economia che non va, l'evasione fiscale, la disoccupazione, la corruzione, la burocratizzazione della nostra vita: tutto è colpa della Costituzione. Si fa torto alla Costituzione in questo modo. Ci è sospetta la fretta e ci sono sospette le priorità che questo Governo pone nella sua agenda: esso affronta le questioni che non costano e annovera la riforma della Costituzione tra gli interventi che non costano. Vediamo nella legge costituzionale che andiamo a votare un'esautorazione del Parlamento. Ci sono sospetti i vari comitati e comitatini, che da eccezione diventano paurosamente la normalità. Ci era già di dubbia democraticità quel comitato dei saggi del Presidente della Repubblica che ci ha poi partorito il Governo. Da allora è un pauroso susseguirsi di comitati extraparlamentari. Sono al lavoro, si dice, 35 tra costituzionalisti e linguisti: che fanno ? Io non lo saprei dire, ma c’è da temere che ci sarà una sequenza discendente per autorevolezza e competenze: prima i saggi del Presidente, ora il comitato degli esperti del Governo, domani il comitato bicamerale che andiamo a costituire e infine, ma molto infine, ci saremo noi, il Parlamento eletto dai cittadini.
  Prendo però anche atto con rispetto che membri autorevoli della Commissione affari costituzionali e il presidente Sisto stesso hanno dato, con i loro interventi e la loro disponibilità, prova di essere coscienti dei rischi a cui espongono l'intera Carta.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LAURA BOLDRINI (ore 11)

  FLORIAN KRONBICHLER. Mi pareva che avessero compreso le preoccupazioni di chi, come noi, non si fida. Facciamo, quindi, appello a loro e a tutti i parlamentari che tengono a cuore la Costituzione – e noi siamo convinti che ce ne sono in tutti i gruppi politici di questa Camera – di non voler stravincere su questo tema, che è il tema più prezioso del nostro ordinamento.
  Colleghi autorevoli della Commissione affari costituzionali ci hanno solennemente promesso che la riforma costituzionale mai si ridurrà a roba della maggioranza, ma che deve essere difesa e pure cambiata consensualmente, quindi, con il Pag. 20consenso anche nostro. Noi staremo a fare la guardia alla Costituzione: siamo disposti a cambiarla tanto quanto ci vuole per mantenerla sempre la stessa (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Fabbri. Ne ha facoltà.

  MARILENA FABBRI. Signor Presidente, gentili colleghi, siamo qui per discutere questo disegno di legge costituzionale istitutivo del Comitato parlamentare per le riforme costituzionali ed elettorali. È ormai dagli anni Settanta che questo Parlamento cerca di intervenire in maniera puntuale per modificare alcune parti della nostra Costituzione, in particolare quella legata al sistema del bicameralismo perfetto. Quindi, non è un'invenzione estemporanea di oggi la necessità di fare un'opera di manutenzione alla Parte seconda della nostra Costituzione, tant’è che sono diversi i tentativi esercitati dagli anni Settanta in poi con diverse tecniche di manutenzione istituzionale: dalla costituzione di comitati di studio di soggetti esterni al Parlamento, all'istituzione di Commissioni bicamerali: le ultime risalgono al 1997 e al 1993, le cosiddette Commissioni D'Alema e De Mita-Iotti. La prima – la Commissione De Mita-Iotti –, addirittura, fu istituita nel 1992, prima della legge costituzionale che prevedeva il percorso in deroga all'articolo 138. Altri tentativi furono effettuati attraverso l'applicazione stessa dell'articolo 138.
  Ma, ormai, è storia di questo Parlamento il fatto che l'articolo 138 sia funzionale alla modifica puntuale o di singoli punti della Costituzione e che, invece, mal si adatti ad una modifica più organica. Quindi, non è vero che siamo oggi a fare qualcosa di eccezionale di modifica o di manutenzione della Costituzione. Non è vero che per la prima volta si propongono delle modifiche in deroga all'articolo 138, in via estemporanea, pur riconoscendo la sua funzione come procedura ordinaria di manutenzione della Carta costituzionale a regime.
  Quindi, quello che facciamo noi oggi è prendere atto di una situazione di crisi politica, istituzionale, economica, che si sommano e si sovrappongono. È difficile dire se sia stata la crisi dei partiti e della politica a determinare la crisi delle istituzioni o se sia stata, comunque, una difficoltà ad una stabilità di Governo, che questo Paese ha sempre avuto, dalla sua costituzione ad oggi, a determinare anche una crisi della politica e dei partiti. Il dato di fatto è che ci troviamo, probabilmente, a gestire la fase storica più critica del nostro Paese, perché alla crisi istituzionale e all'instabilità di Governo si somma sicuramente la fase meno autorevole della classe politica dirigente e si somma ad una difficoltà economica e finanziaria molto, ma molto grave, che si dilunga ormai da diversi anni.
  E quindi, è necessario che la politica, noi che siamo qui, con le nostre intelligenze, con i nostri limiti, sappiamo mettere in campo il meglio che sia possibile per mettere in sicurezza le istituzioni e rilanciare il nostro sistema democratico ed economico. È quindi necessario dotarsi di strumenti per fare quest'opera di manutenzione; la legge che noi proponiamo, oggi, è di iniziativa, è vero, governativa, ma sulla base di una mozione politica che viene dai partiti, che è stata votata a maggio in questa Camera e da una serie di sollecitazioni che noi abbiamo avuto, dalle campagne elettorali, dalla fase successiva alle elezioni, dal discorso del Presidente della Repubblica davanti alla Camera il giorno del suo giuramento, dal discorso programmatico del Primo Ministro qualche giorno dopo, tutti a sollecitare il superamento di un bicameralismo perfetto che ha dimostrato i suoi limiti nel dotare questo Paese di leggi efficaci, celeri e adeguate alle necessità; e anche la necessità di mettere mano ad una forma di Governo che sia più funzionale al tempo.
  È stato ricordato prima, questo Parlamento ha una storia di elaborazione politico-istituzionale, possiamo affidarci alla dottrina e alla giurisprudenza in materia, quindi, non dobbiamo inventare nulla se non mettere in campo la capacità e la Pag. 21disponibilità a lavorare insieme per trovare la forma migliore, istituzionale, che ci possa guidare nei prossimi anni.
  L'oggetto di questa proposta è la Parte seconda della Costituzione, anche questa non è una novità; la Parte seconda era oggetto di modifica della legge costituzionale del 1997, era quella della Commissione De Mita-Iotti del 1993, quindi non abbiamo inventato nulla; così come, agganciata alla modifica della Parte seconda e di queste iniziative già effettuate, c'era la legge elettorale correlata; quindi, anche in questo caso non abbiamo inventato nulla, perché non si ha l'obiettivo di modificare la legge elettorale di salvaguardia che potrebbe servire il giorno dopo qualora cadesse questo Governo, ma ci si propone di mettere in campo una legge elettorale funzionale al sistema delle riforme che il Comitato parlamentare andrà ad esercitare.
  Questo che andiamo a istituire oggi, forse, è anche il Comitato più legato all'attuale sistema parlamentare: è un Comitato paritetico Camera e Senato, composto da parlamentari che già oggi fanno parte della I Commissione (Affari costituzionali) e che quindi erano già stati designati per questo compito, quello, anche, delle riforme; è particolarmente tutelante nei confronti delle minoranze, perché è vero che si tiene conto della rappresentanza parlamentare, ma si dice, inoltre, che si terrà conto, anche, dei voti assoluti raggiunti, si terrà conto, anche, dei gruppi di minoranza presenti in Parlamento che saranno comunque rappresentati e si terrà conto, anche, delle minoranze linguistiche, cosa che non era avvenuta negli anni passati o nei precedenti esperimenti di riforma costituzionale. Questo vuol dire che se le minoranze vengono tutelate al loro massimo livello è la maggioranza che si fa da parte e si autolimita nella rappresentanza.
  È vero, si interviene nel tempo, nel fattore tempo, ma io credo che ce lo diciamo quotidianamente: il tempo è quello che manca a tutti noi, è quello che manca a questo Paese; ci diciamo che il Paese brucia; sono state usate varie espressioni in questi mesi, l'elemento chiave è che la politica deve fare quello che non è stata capace di fare in decenni in questo Paese e noi siamo chiamati qui, non a fare semplice testimonianza o denuncia, o semplicemente a dirci quello che non ha funzionato in chi ha governato precedentemente, noi, oggi, abbiamo la responsabilità di trovare le soluzioni ai problemi e trovarle in tempi brevi, perché il tempo non ci è più dato.
  Quindi, i termini che vengono indicati in questa legge, veniva ricordato anche prima da altri colleghi, non sono termini perentori che limitano le prerogative dei parlamentari; c’è un impegno morale e politico fra di noi e nei confronti del Paese ad assumerci quella responsabilità che non si è riusciti ad esercitare in questi anni. I 18 mesi, i 45 giorni di valutazione fra un passaggio e l'altro da Camera a Senato sono ordinatori, ma sono, appunto, un impegno morale e politico. Che cosa garantisce, a mio avviso, le minoranze ? Un intervento innovativo rafforzativo: il referendum. L'applicazione pedissequa dell'articolo 138 non tutela le minoranze e le opposizioni dalle modifiche di merito che si dovranno fare successivamente.
  L'applicazione dell'articolo 138 non impedisce un eventuale sistema presidenziale, se questa è la paura di tanti nel Paese. Il presidenzialismo, qualora ci fosse la maggioranza – cosa tutta da verificare –, dovrebbe trovare in ogni caso applicazione, sia con l'uno che con l'altro. Il nostro sistema, la proposta che viene avanzata con la costituzione del Comitato paritetico per le riforme, ma soprattutto il rafforzamento del referendum confermativo, che acquisisce a questo punto un valore positivo, tutelano invece le minoranze, tutelano i cittadini, perché consentono loro, ai cittadini, ai consigli regionali e ai parlamentari di indire il referendum a prescindere dalla maggioranza con la quale verrà approvata la riforma in quest'Aula. La maggioranza di Governo attualmente...

  PRESIDENTE. Concluda.

Pag. 22

  MARILENA FABBRI. ... avrebbe già sulla carta i due terzi del Parlamento. Questo vorrebbe dire che una qualsiasi riforma fatta con l'articolo 138 blinderebbe una qualsiasi proposta. Questa legge di riforma, questa procedura speciale in deroga, invece, tutela il Paese, i cittadini e i parlamentari di minoranza sul fatto che, qualora non fossero d'accordo sulla proposta di merito che andrà discussa nei prossimi mesi, potranno comunque e sempre avere uno strumento di opposizione alla riforma, rappresentato dal referendum, che è senza quorum, a differenza invece di quelli previsti negli anni passati.
  Concludo dicendo che io ritengo che questa sia una grandissima opportunità, una necessità che noi dobbiamo rendere opportunità per il Paese, per avere quelle riforme istituzionali che non è riuscito ad avere, per esercitare a pieno la nostra responsabilità e dimostrare, appunto, che non siamo stati mandati qui per fare semplice testimonianza o denuncia, ma per risolvere i problemi che i nostri cittadini ci chiedono di affrontare quotidianamente (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Danilo Toninelli. Ne ha facoltà.

  DANILO TONINELLI. Signor Presidente, membri del Governo, colleghi, questo mio intervento vuole ripercorrere le tappe di questo disegno di legge costituzionale sin dalla sua nascita e si vuole focalizzare su alcuni profili fortemente censurabili che addirittura precedono la presentazione, appunto, di questo disegno di legge.
  Questo mio intervento ha un titolo, e questo titolo è: «Provvedimento blindato, Parlamento imbavagliato». Il provvedimento oggi all'esame va contestualizzato nell'ambito dell'intero processo riformatore che la maggioranza intende portare avanti, in primis attraverso l'approvazione di questo disegno di legge, per poter apportare rilevanti modifiche al dettato costituzionale in deroga alla procedura prescritta dall'articolo 138 della Costituzione. Questo è lo scopo e il disegno di legge è il mezzo.
  Al di là di quanto avvenuto negli anni precedenti, è comunque sull'onda della propaganda elettorale, alla ricerca e alla raccolta di un demagogico consenso nel Paese, e post-elettorale, alla ricerca di accordi politici con le forze presenti in Parlamento e con lo stesso Presidente della Repubblica al fine di arrivare alla formazione di una maggioranza di Governo, che si continua a parlare aprioristicamente della necessità di procedere ad una profonda revisione della Costituzione.
  La verità è che questo assunto ormai è diventato un assioma, che agli occhi della maggioranza non necessita nemmeno di essere più dimostrato. Si parla per frasi fatte non sorrette da alcuna seppur minima istruttoria, sulla base delle quali modificare l'assetto costituzionale risulterebbe indispensabile per superare l’impasse istituzionale.
  L'articolo 138 della Costituzione, in quest'ottica, è diventato la fonte di tutti i mali. È noto che uno dei pilastri portanti del Governo Letta, così come indicato nel discorso programmatico del Presidente del Consiglio al momento della richiesta della fiducia da parte delle Camere, sia appunto quello di voler procedere speditamente e al più presto all'approvazione di un vasto piano di riforme istituzionali e costituzionali, come esplicitamente, tra l'altro, dimostrato dalla creazione di un Ministero ad hoc. È dunque il mero tema della tempistica ad essere individuato come punto focale fondamentale dal Governo e dalla maggioranza, a discapito dei profili di opportunità e di qualità di una seria opera riformatrice, l'unica cosa di cui veramente questo Paese avrebbe bisogno.
  Tutto questo si riflette nelle procedure, nelle tempistiche che stanno portando all'approvazione di questo disegno di legge costituzionale che, come detto in premessa, risultano aspramente censurabili sotto numerosi aspetti per i motivi che mi accingo rapidamente ad esaminare.
  Innanzitutto, si tratta di un disegno di legge di iniziativa governativa mentre sarebbe opportuno, trattandosi di un disegno Pag. 23di legge costituzionale e peraltro di impatto molto rilevante, lasciare che il potere di proposta in questi casi sia esercitato esclusivamente dal soggetto istituzionale dotato di legittimazione popolare diretta nonché titolare della funzione legislativa, cioè il Parlamento.
  Evidentemente, e qui cito il professor Rodotà, «Il Parlamento viene ritenuto inidoneo per affrontare il tema della riforma e così, consapevoli o meno, si è imboccata una strada tortuosa che finisce con il configurare una sorta di potere costituente, del tutto estraneo alla logica della revisione costituzionale, concepita e regolata come parte del sistema costituito». Parole di Rodotà.
  Ma ora veniamo alla parte relativa alla tempistica, quella più interessante ancora. Il disegno di legge esclusivamente sulla base delle fittizie determinazioni sopradescritte è stato presentato subito, ad inizio legislatura (la data precisa al Senato è il 10 giugno 2013), senza essere stato preceduto da un reale, concreto lavoro istruttorio. Al Senato sempre, dopo due giorni, dopo la sua presentazione, cadeva il 12 giugno, e senza legittime motivazioni, a maggior ragione trattandosi di un disegno di legge costituzionale, è stata chiesta la procedura d'urgenza per l'esame del disegno di legge da parte del Ministro per le riforme costituzionali, Gaetano Quagliariello; quindi la richiesta dell'urgenza arriva dal Governo. Anche questa non è altro che un'ulteriore ingerenza governativa rispetto alle prerogative parlamentari e i tempi necessari per l'esame di un disegno di legge costituzionale.
  Il giorno successivo, 13 giugno, è stata dichiarata l'urgenza per l'esame del disegno di legge ai sensi dell'articolo 77 del Regolamento, nonostante l'inopportunità di accelerare l'esame di un disegno di legge di natura costituzionale; inoltre, il fatto che il Regolamento del Senato a differenza di quello della Camera non preveda esplicitamente l'impossibilità di dichiarare la procedura d'urgenza per un disegno di legge costituzionale non significa che in un'ottica sistematica e comparativa questa operazione possa comunque ritenersi pacificamente legittima e, come se ciò non bastasse, in sede di esame al Senato non sono state minimamente prese in considerazione le proposte emendative delle opposizioni, con solo alcune minime, piccolissime, marginali eccezioni legate a modifiche di scarsa rilevanza complessiva.
  Un testo, dunque, praticamente blindato, come abbiamo detto nel titolo. Questo fatto in sé è già molto grave ma diventa inaccettabile se relativo ad un procedimento che tocca aspetti fondamentali del nostro sistema costituzionale.
  Il Senato ha dunque approvato in tempi rapidissimi e assolutamente insufficienti il provvedimento e, ancor prima che venisse trasmesso dal Senato, l'esame del disegno di legge è stato calendarizzato alla Camera per la fine del mese di luglio con l'apposizione della fittizia clausola «ove trasmesso dal Senato e concluso dalla Commissione». In pratica questo disegno di legge era già calendarizzato qua da noi alla Camera prima che i lavori fossero terminati al Senato.
  Da qui emerge la precisa volontà di fare arrivare il disegno di legge in Aula alla Camera per quella data al fine di poter, poi, in seguito comunque illegittimamente contingentare i tempi per il suo esame sfuggendo nuovamente al confronto parlamentare.
  Inoltre, nonostante l'accordo di massima per giungere alle votazioni alla Camera del disegno di legge nel mese di settembre, accordo in realtà imposto dalla maggioranza stante la mancanza di disponibilità della stessa a permettere le necessarie ed indispensabili ulteriori dilazioni richieste dall'esame di un così rilevante disegno di legge costituzionale, la fissazione della discussione generale dello stesso per il 1o agosto ha impedito comunque la possibilità di svolgere un serio lavoro in Commissione affari costituzionali in sede di esame referente.
  Ma purtroppo non finisce qui. In sede di definizione dei lavori in Commissione affari costituzionali con riflessi evidenti anche sui lavori dell'Assemblea, è stata stabilita un'illegittima anticipazione dell'esame del disegno di legge costituzionale Pag. 24rinviando invece la trattazione dei progetti di legge sull'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, in riferimento ai quali invece era già stata deliberata la procedura d'urgenza dalla Conferenza dei presidenti di gruppo.
  Non è stato e non sarebbe comunque stato possibile svolgere un serio lavoro in Commissione in sede referente dato che, da più parti e più volte, è stato dichiarato dalla maggioranza che, per giungere alla rapida approvazione del disegno di legge costituzionale ed evitare ulteriori passaggi in Senato in prima lettura, questo risulta essere blindato; e, dunque, anche utili, condivise ed opportune richieste emendative non possono e non potranno essere accolte. Provvedimento blindato, Parlamento imbavagliato.
  È dunque evidente che, data la volontà politica di maggioranza di portare avanti speditamente questo disegno di legge senza coinvolgere l'opposizione, dati i numerosi provvedimenti in scadenza all'esame della Camera in questi primi giorni di agosto, data l'imminente pausa estiva e la calendarizzazione della discussione generale sul disegno di legge costituzionale per la sola giornata di oggi e la volontà di chiudere le votazioni fra il 6 e il 9 settembre, peraltro con tempi contingentati, si può purtroppo già dire che anche l'esame in Aula di questo provvedimento si svolgerà in modo approssimativo, senza la possibilità di apportare migliorie al testo e con il solo obiettivo di arrivare alla sua approvazione nei tempi prefissati dal Governo e dalla maggioranza: come se, delle quattro letture necessarie e previste dall'articolo 138, effettivamente di merito e di contenuto se ne facesse una, la prima al Senato, e tutte le altre fossero mere conferme.
  A questo punto – e mi accingo a concludere – vorrei che l'Aula ragionasse sui fatti appena esposti, e vorrei che il Parlamento si riappropriasse del suo ruolo, tutelando la nostra Costituzione ed i cittadini italiani tutti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Renato Balduzzi. Ne ha facoltà.

  RENATO BALDUZZI. Signor Presidente, credo che quella emozione a cui faceva riferimento il presidente Sisto all'inizio, nonostante nelle discussioni generali essa sia attenuata dalla necessaria esiguità numerica di noi parlamentari, indubbiamente ci sia: basta pensare alla storia del tentativo di revisione costituzionale, che è una storia lunga, che ha visto impegnati parlamentari di grandissimo rilievo.
  Ma soprattutto è l'emozione che viene nel mettere in qualche modo in atto un processo che porta alla modifica di un testo che appartiene profondamente alla storia del nostro Paese, alla storia della nostra Repubblica; di un testo su cui sarebbe davvero improvvido ironizzare, circa l'eccesso di enfasi che qualche volta lo contraddistingue, o contraddistingue il modo con cui ne parliamo, perché davvero si tratta di un testo nel mondo riconosciuto come esemplare.
  E dunque anche un'inevitabile attenzione e cautela nel porre mano a questo testo; attenzione e cautela che non significa – e ci tornerò alla fine con una citazione di un parlamentare molto autorevole nella storia d'Italia – mancanza di determinazione nel porre in essere quelle revisioni che si considerano necessarie.
  Anche se su questo, naturalmente, c’è una premessa ulteriore: quella di riuscire a capire dove sta la causa delle disfunzioni; e non confondere le cause, non attribuire una causa al testo costituzionale, alla disposizione costituzionale, quando probabilmente la causa sta altrove: sta nella legislazione ordinaria, sta qualche volta nei Regolamenti parlamentari, signora Presidente, sta nell'attuazione, nell'interpretazione delle clausole costituzionali. E su questo, peraltro, bisogna essere consapevoli – lo dico ai colleghi del MoVimento 5 Stelle e di SEL che hanno sottolineato questo profilo – che qualche volta, anche se la causa non sta nel testo della disposizione costituzionale, il modo con cui magari l'abbiamo interpretata per anni, per decenni, fa sì che forse un Pag. 25qualche ritocco possa essere utile per ricuperare la portata originaria del testo stesso.
  D'altra parte è difficile, se lo inquadriamo in una prospettiva storica, immaginare che la nostra Costituzione possa essere dall'inizio considerata come toccata, affetta dal difetto di aver voluto costruire un sistema costituzionale debole, la debolezza sta nell'attuazione che ne abbiamo fatto. Io ricordo che nel 1950 Boris Mirkine-Guetzevitch, sicuramente persona informata sui fatti perché è l'autore che nel Novecento ha inventato la nozione di razionalizzazione del parlamentarismo, scrisse: «gli italiani hanno fatto una nuova Costituzione che traduce i principi della razionalizzazione del parlamentarismo, introducendo quelle cautele, quegli istituti, quegli strumenti per far funzionare il parlamentarismo». In qualche modo Boris Mirkine-Guetzevitch dava un giudizio positivo dell'attuazione che il nostro Costituente ha dato dell'ordine del giorno Perassi. Ricordo questo non per una volontà rievocativa e meno che mai per uno sfoggio in qualche modo di deformazione professionale, ma perché noi dobbiamo riuscire a distinguere sempre quella che è la portata normativa di una disposizione da quelle che sono le qualche volta non coerenti applicazioni ed interpretazioni.
  Era proprio necessario derogare all'articolo 138 ? È una domanda che ci siamo posti tutti credo, questo appartiene un po’ alla lunga storia delle revisioni costituzionali quando nacque l'idea che una grande riforma avesse bisogno di una deroga, di un metodo derogatorio. Non so, onestamente non lo so, la scienza del diritto costituzionale è largamente divisa su questo punto, non lo so se questo sia stato un atto di saggezza, sto parlando evidentemente da quando si è cominciato a pensare in questo modo. Se rispondiamo però alla domanda alla luce del disegno di legge costituzionale – perché di questo noi dobbiamo trattare – ho una risposta più tranquillizzante: perché tutto sommato questa procedura derogatoria tanto derogatoria non è.
  Per dire questo noi dobbiamo credo partire non dal metodo ma dal perimetro: qual è il perimetro di una revisione costituzionale, il perimetro costituzionalmente legittimo di una revisione costituzionale ? Certamente si tratterà di dare una qualche interpretazione alla nozione di forma repubblicana dell'articolo 139, ma la Corte costituzionale ci ha abituati ad una lettura più precisa, dicendo che comunque il perimetro è rappresentato dal non valicare i principi fondamentali della forma di Stato. Tra i principi fondamentali della forma di Stato c’è sicuramente il nucleo dei principi contenuti nell'articolo 138, poi la dottrina costituzionalista riesce a introdurre in questa discussione anche elementi diversi che vanno anche nel settore della filosofia del diritto, della teoria generale del diritto, però forse dovremmo riuscire a semplificare il discorso. Qual è il nucleo del 138, questa rigidità costituzionale ? Ma certamente è nella previsione di procedure aggravate a tutela dei diritti delle minoranze e a tutela del nucleo fondamentale della valori costituzionali. Questo è il senso della rigidità costituzionale. Allora questa rigidità costituzionale è colpita, è ferita dal disegno di legge di cui stiamo discutendo ? No perché, nonostante alcune clausole del 138 siano derogate, per esempio i tre mesi diventano 45 giorni, ma nell'insieme c’è un bilanciamento che è costituito soprattutto, oltre che dalle norme procedurali, anche minuziose, che danno al Parlamento la sovranità su questa disciplina, dalla previsione di una possibilità di referendum positivo anche nell'ipotesi in cui la maggioranza dei due terzi sia raggiunta, ipotesi possibile alla luce non solo della contingente larghezza della maggioranza parlamentare ma anche delle regole elettorali che hanno indubbiamente cambiato il senso delle maggioranze previste nella Costituzione, maggioranze che partivano dal presupposto di una legge elettorale proporzionale.
  Ecco allora che, partendo dal perimetro, si arriva anche a dare un giudizio più ponderato, più tranquillo, sul metodo e sul contenuto di questo disegno di legge costituzionale, Pag. 26che non è lo stravolgimento della Costituzione, che non è lo strumento attraverso cui qualcuno vuole fare operazioni altrimenti impossibili, ma che è, più semplicemente, lo strumento – sarà stato saggio, non lo sarà stato: lasceremo ai posteri la decisione – per fare qualche cosa, finalmente.
  E credo che forse vi sia stata, anche questa mattina, una qualche sottovalutazione da parte di alcuni colleghi dell'importanza della discussione su questo strumento in Commissione e in Aula, anche a prescindere dalla fortuna degli emendamenti presentati. La circostanza, cioè, che gli emendamenti presentati non siano stati accolti dalla maggioranza della Commissione non toglie nulla all'importanza della discussione stessa, perché il disegno di legge costituzionale, soprattutto per le correzioni al disegno di legge governativo apportate dal Senato, presenta delle clausole che necessitano di un'interpretazione.
  Infatti, quando si parla di «disposizioni strettamente connesse», quando si parla di «progetti di legge elettorale conseguenti», «strettamente connesse» e «conseguenti» sono clausole che, indubbiamente, vanno interpretate. Vanno interpretate anche da noi, dando subito un'interpretazione autentica, che aiuterà l'interpretazione che spetta, nel nostro ordinamento, al giudice costituzionale.
  Infatti, in forza del contenuto del disegno di legge costituzionale, le leggi costituzionali che saranno approvate alla fine del percorso avranno necessariamente un controllo stretto e forte da parte della Corte costituzionale alla luce delle regole contenute in questo disegno di legge costituzionale. E certamente la Corte costituzionale non andrà a prendere per oro colato – un giudice costituzionale non lo fa mai – i lavori preparatori, ma non potrà prescindere da essi, tanto più nel caso di lavori preparatori di un disegno di legge costituzionale: siamo al vertice del sistema delle fonti.
  Ma non soltanto su queste clausole. Pensiamo al discorso del termine, dei vari termini contenuti nel disegno di legge costituzionale, alla loro perentorietà o, più semplicemente, come è emerso con chiarezza in Commissione anche nella relazione del presidente Sisto, alla loro natura ordinatoria, o meglio sollecitatoria, che vuol dire prendere sul serio il percorso, ma sapere che esso non ha delle gabbie che prescindano dal contenuto del percorso stesso.
  Questo noi lo abbiamo detto con chiarezza. Oppure, con riferimento all'ambito del regolamento interno del Comitato parlamentare per le riforme costituzionali, è importante riuscire a dare anche un'indicazione circa questo ambito, perché, se il comitato dovesse, per ipotesi, fuoriuscire da questo ambito nell'approvazione delle regole che lo riguardano, questo inficerebbe, per illegittimità derivata, la correttezza e il valore della legislazione costituzionale conseguente.
  Normalmente non è così, signora Presidente, perché le Camere dispongono di un'autonomia anche nella valutazione delle proprie regole, ma, in questo caso, è la legge costituzionale che mette un parametro. Quindi, è molto importante quello che noi diciamo in ordine all'ambito del regolamento del futuro Comitato.
  Così pure per quanto riguarda una distinzione, che non è teorica, tra potere costituente e potere costituito. Noi siamo un potere costituito: non abbiamo un potere costituente, non ce lo ha dato nessuno, non ce lo dà questo disegno di legge costituzionale. Bisogna esserne tutti consapevoli, ma credo che già la discussione in Commissione lo abbia dimostrato e, ancora di più, lo dimostrerà, credo, la discussione in Aula.
  Siamo, quindi, dentro la Costituzione, e ciò che forse molti paventano non è tanto che questo disegno di legge costituzionale ne fuoriesca, ma che ne possa fuoriuscire ciò che verrà dopo, cioè la sua attuazione, la preoccupazione sul merito. Ma di questo ne discuteremo nel corso della procedura ! La storia delle revisioni – dicevo all'inizio –, l'idea di una riforma organica, di una grande riforma, finora non ha portato fortuna, e noi pensiamo che forse Pag. 27questa volta sia una occasione migliore, che ci siano delle condizioni più favorevoli.
  Di solito, nei primi decenni della vita repubblicana, si pensava che le revisioni costituzionali dovessero essere puntuali e condivise, cioè riguardare punti specifici e andare al di là della maggioranza parlamentare. In seguito, le vicende successive qualche volta hanno tolto l'elemento della puntualità, le riforme organiche in una occasione hanno anche tolto l'elemento della condivisione (però lì poi intervenne il corpo elettorale nel sanzionare negativamente una revisione costituzionale adottata con la sola maggioranza). Ecco, io credo che nel disegno di legge costituzionale il riferimento alla necessaria natura omogenea e autonoma dei progetti di legge da presentare, oltre che della loro coerenza sistematica, valga a recuperare almeno qualche cosa di quella iniziale idea di riforme puntuali e condivise che, per quanto attiene al «condiviso», l'apertura al referendum oppositivo sicuramente vale a bilanciare, ove non vi fossero, da questo punto di vista, sufficienti garanzie.
  Il coinvolgimento più forte – e mi avvio alla conclusione –, anche normativamente previsto, del Governo (un coinvolgimento non solo di fatto per l'organizzazione che il Governo, anche sulla base di indicazioni contenute o richiamate nelle mozioni parlamentari, si dà, ma una indicazione normativamente prevista: al Governo sono assegnati dei poteri significativi nel percorso procedimentale, oltre che ad aver assunto l'iniziativa stessa del percorso) credo sia, alla luce dei precedenti che ho richiamato, da valutare positivamente. Certo, proprio questa sua novità induce, credo, a consigliare al Governo – ma forse è un consiglio di cui il Ministro Quagliarello non ha bisogno, perché già ne ha fatto esperienza e ne ha dato dimostrazione – un atteggiamento di grande rispetto nei confronti del Parlamento, nel momento in cui si accinge ad iniziare un percorso di questo genere (e quando dico nei confronti del Parlamento intendo evidentemente nei confronti delle sue articolazioni politiche e organizzative), ma richiederà anche, signora Presidente, un «di più» di relazioni tra maggioranza e opposizione nel corso del procedimento attuativo di questo disegno di legge costituzionale.
  Le revisioni costituzionali, credo, per loro natura – lo accennavo prima –, riconosciute all'interno dell'impianto della Costituzione, hanno un carattere di coinvolgimento. La materia costituzionale non è materia da vincolo di maggioranza in generale, è materia su cui fare di tutto per riuscire a coinvolgere tutti, o la maggior parte di coloro, che si trovano dentro la stessa casa, perché sono le regole della casa di tutti. Io credo che questo sarà l'impegno nell'attuazione del disegno di legge costituzionale. Per terminare, richiamando la citazione con cui ho avviato l'intervento, io credo che noi abbiamo sicuramente dentro il Parlamento, tra i gruppi parlamentari, qualche volta dentro gli stessi singoli gruppi parlamentari, opinioni differenti su quanto debba essere ampio il perimetro della revisione, su quali ne siano gli oggetti, su dove debba andare a incentrarsi una revisione, ma questo mi fa venire in mente un criterio di metodo che venne suggerito a metà degli anni Settanta da uno dei parlamentari più illustri della Repubblica, l'onorevole Aldo Moro.
  Moro intervenne a proposito di quello che era un pre-avvio della discussione, c’è un testo di Moro a cui sto facendo riferimento a memoria, quindi magari qualche precisazione sarà necessaria nel testo scritto che mi permetterò di lasciare, anche per ragioni di tempo, alla Presidenza. Si era nel 1974, normalmente siamo abituati a datare al 1973 l'inizio di un'attenzione forte alla revisione costituzionale. Moro dice: «Io sono sempre stato forse più interessato a problemi di giusta attuazione della Costituzione che non a problemi di sua modifica. Ma se valutiamo che alcune cose debbano essere modificate, se valutiamo che alcune revisioni costituzionali sono necessarie, allora lo dobbiamo fare e dobbiamo procedere in questa direzione con la massima determinazione, perché – e qui la citazione è a Pag. 28memoria, ma forse è puntuale – le istituzioni sono al servizio dell'uomo e della persona umana». Ecco, io credo che questo possa essere un buon viatico anche per questo nostro Parlamento. Grazie signora Presidente, grazie signor Ministro, grazie onorevoli colleghi (Applausi).

  PRESIDENTE. Grazie onorevole Balduzzi per la chiarezza e la precisione del suo intervento. È iscritto a parlare il deputato Ignazio La Russa. Ne ha facoltà.

  IGNAZIO LA RUSSA. Signor Presidente, Fratelli d'Italia non voterà contro questo provvedimento. Ci siamo interrogati a lungo sull'effettiva utilità della nascita di questo Comitato e sull'avvio di un percorso diverso da quello che in passato Camera e Senato hanno ritenuto essere più utile, più idoneo per cercare di innovare la nostra Costituzione.
  Se ne sono provate di tutti i colori, si potrebbe dire. Abbiamo fatto bicamerali, la prima ormai è nella memoria di pochi, addirittura presieduta da un deputato liberale con una folta barba, ero ragazzino, me lo ricordo, lo vedevo in televisione. C’è stata poi una bicamerale presieduta da D'Alema, ci sono stati tentativi di commissioni informali al di fuori del Parlamento, di accordi, ci sono stati tentativi di far funzionare l'articolo 138 nella maniera normale, prevista dai nostri Padri costituenti, ma il risultato finora non è stato positivo.
  Non è stata di fatto mai cambiata la Costituzione nelle parti che quasi tutti, non dico tutti, ritenevano opportuno fosse rinnovata. Non si è adeguata ai tempi, a quasi settant'anni dalla sua nascita, la Carta costituzionale, che per molti versi ha retto bene il passare del tempo, ma che risente ancora, per certi versi, del clima politico e culturale del momento in cui nacque. Furono lungimiranti in tanti punti i nostri Padri costituenti, ma sicuramente l'esperienza della guerra, l'esperienza del regime che precedette la nascita della Repubblica, influenzarono e influirono pesantemente nelle loro decisioni. Tant’è che le forme di democrazia diretta, per esempio, sono state sicuramente al di sotto di quanto, pur tra gli stessi Padri costituenti, alcuni già allora, penso a Pacciardi, avevano auspicato.
  E oggi il Governo, un Governo che ha una larghissima maggioranza, ci chiede di acconsentire alla nascita di una supercommissione, in sostanza, cioè di intraprendere una strada diversa da quelle fino ad ora seguite: una commissione, che chiamiamo Comitato, figlia delle due Commissioni affari costituzionali di Camera e Senato, con un numero inferiore alla somma dei componenti delle due Commissioni, ma soprattutto con la possibilità di lavorare più speditamente e forse, aggiungo io – che un po’ di esperienza in materia ce l'ho –, lasciando un filo dietro le legittime visioni di appartenenza a questa o a quell'altra Camera, a questo o a quell'altro ramo del Parlamento.
  Naturalmente non consideriamo del tutto sbagliate le riflessioni di chi vorrebbe che, invece, l'articolo 138 potesse in questa fase, specie in una fase in cui la maggioranza è così ampia, esplicarsi pienamente senza bisogno di modificare alcunché. Forse un tentativo poteva partire anche perché questo disegno di legge costituzionale, comunque, del tempo lo occupa, ed è un tempo che va a sommarsi a quello fisiologico previsto dall'articolo 138. Pertanto non abbiamo critiche particolari da muovere a chi non ritiene che sia questa la strada più opportuna, anche se certi toni di lesa Costituzione o di leso Parlamento ci sembrano a volte eccessivi.
  Per quanto ci riguarda, per quanto riguarda Fratelli d'Italia, che è il gruppo più piccolo esistente in questo ramo del Parlamento e che non è presente nell'altro ramo del Parlamento dove la normale procedura lo vedrebbe assente, noi riteniamo che l'obiettivo principale è quello di mettere mano alla Costituzione, non di trovare le occasioni perché nulla avvenga. Poi sarà la politica, sarà il dibattito a determinare se ancora una volta il Parlamento farà flop, o se ci saranno le condizioni per inserire nella nostra Costituzione istituti che la gente reclama.Pag. 29
  Io non sono molto ottimista, so che ancora una volta i partiti, specie quelli di maggioranza, faranno più resistenza di quanto siano essi stessi vogliosi di ammettere di fronte alla possibilità di trasformare la nostra Repubblica in una Repubblica semipresidenziale, che è l'obiettivo dichiarato del mio gruppo, e che è il dato che fu votato a maggioranza – lo dico ai nuovi deputati di questa legislatura – nello scorcio finale della precedente. E devo dire che l'attuale Ministro era vicepresidente del gruppo più numeroso al Senato e contribuì in maniera efficace a che il Senato potesse, in quella occasione, con il sistema dell'articolo 138, approvare il cambiamento della nostra Carta costituzionale, inserendo la possibilità che fossero i cittadini ad eleggere direttamente il Capo dello Stato, e dare così più forza, di conseguenza, molta più forza all'Esecutivo e soprattutto – dico agli amici del MoVimento 5 Stelle – ad eliminare dei passaggi che avvengono spesso e volentieri nelle conventicole, nei corridoi o nelle fumose stanze dei partiti dove si decidono, spesso per motivi che esulano le effettive necessità del Paese, i destini di uomini desiderosi o meno di diventare Presidenti della Repubblica. Non è poco, non è questa l'unica riforma necessaria, ma per noi è la madre delle riforme. È da questa che può derivare un'accelerazione di tutto il sistema politico italiano rimettendo nelle mani del corpo elettorale e dei cittadini, non solo attraverso la Rete, ma attraverso la partecipazione elettorale, le scelte necessarie a far decollare il nostro Paese per troppi versi ancorato a metodi, a scelte, a soluzioni ormai superate.
  E, allora, la domanda che ci siamo posti è: questa nascita di un Comitato che sostituisce le due Commissioni – sostanzialmente di questo si tratta – e che acceleri i tempi, è utile a farci sperare che, questa volta, possa discutersi, almeno, o arrivare ad una conclusione, o comunque discutersi di un cambiamento della Costituzione, o non lo è ? Quello che sappiamo è che, con l'articolo 138, dopo essere riusciti a far votare un cambiamento profondo al Senato, nella parte finale della scorsa legislatura, tutto si impantanò nella Commissione affari costituzionali della Camera, di questo ramo del Parlamento, forse anche perché, se fosse andato in porto il provvedimento come io desideravo, ci sarebbe stato anche il dimezzamento, o quasi, del numero dei parlamentari, o semplicemente perché forze politiche erano apertamente contrarie, per loro legittime posizioni politiche e culturali, e nulla fecero perché si votasse, almeno, e si avesse un «sì» o un «no» anche alla Camera rispetto a quella fondamentale innovazione.
  La risposta che ci siamo dati è che questo Comitato, senza di fatto limitare in maniera particolare i poteri dei due rami del Parlamento, finisce per agevolare la speranza e la possibilità che si arrivi in porto, o perlomeno che si abbia una decisione. Lo ripeto: io non sono molto ottimista vedendo le forze in campo; credo che poi, alla fine, l'obiettivo possa essere quello di modifiche importanti, ma marginali, che non vadano ad intaccare il sistema parlamentare oggi in vigore, che, a mio avviso, andrebbe invece rifondato e cambiato in senso presidenzialista, ma l'aspettativa è che almeno il Parlamento si possa pronunciare e, se invece lasciamo tutto così com’è, il nostro timore è che, ancora una volta, tutto finisca nelle pastoie delle Commissioni e dell’iter parlamentare, senza arrivare a nessun pronunciamento definitivo.
  Ecco perché voteremo, pur con qualche dubbio, signor Ministro e, pur riconoscendo alle opposizioni il legittimo diritto di essere dubbiosi su questa innovazione procedurale, ma nella somma algebrica tra l'utilità e la disutilità, nel bilanciare ciò che c’è gradito in questo provvedimento e ciò che potrebbe apparire un pericolo, noi abbiamo scelto di favorire la possibilità del cambiamento. Noi abbiamo scelto di non favorire l'immobilismo. Per questo, voteremo a favore (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Borghesi. Ne ha facoltà.

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  STEFANO BORGHESI. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, sono passati oltre vent'anni da quando si iniziò ad avvertire l'esigenza di rinnovare e riformare il sistema Paese, attraverso le necessarie modifiche costituzionali. Un'esigenza largamente condivisa, che trovava la sua forza ispiratrice dal basso, dalle attese e dalle aspettative avvertite dai cittadini e dalla società civile. Posizioni ideologiche, conservatrici e di retroguardia, però, hanno prodotto negli anni uno spaventoso immobilismo. Questa diffusa e soporifera inerzia ha indebolito il nostro Paese, ponendolo a rischio di un'irreversibile malattia. L'ipocrisia di certi atteggiamenti conservatori e anacronistici non ha permesso, in tutti questi anni, di addivenire ad una modifica sostanziale dell'assetto organizzativo di questo Stato, capace realmente di andare ad incidere in modo preponderante nel sistema, ridisegnandolo fin dalle sue fondamenta e rendendolo finalmente capace, nella sua nuova struttura, di affrontare i cambiamenti della società, in modo tale da presentarlo da protagonista nel nuovo contesto internazionale ed europeo.
  Nella storia di uno Stato, qualora non si sia capaci con lungimiranza di adottare nei tempi giusti le necessarie riforme attraverso una programmazione di lungo periodo, peraltro enucleata da quegli stessi padri costituenti in un quadro di federalismo a geometria variabile, sancito nei precetti purtroppo inascoltati della Carta costituzionale, intervengono degli eventi drammatici, dei fattori scatenanti che sconvolgono gli assetti e che, se non governati, potrebbero irrimediabilmente causare degli stravolgimenti tali che per la loro portata rischierebbero di non essere indolori.
  La congiuntura economica internazionale, che ha investito il mondo e ha avuto pesanti ripercussioni anche nel nostro Paese, ha fatto emergere tutti i mali di un sistema immobile, affetto da una burocrazia elefantiaca, incapace di responsabilizzare gli amministratori, sempre più distante dalle necessità reali dei cittadini, un sistema improduttivo e assistenzialista, inadeguato alla valorizzazione dei territori, organizzato senza alcun rispetto dei principi di sussidiarietà orizzontale e verticale, fagocitato da una politica autereferenziale che dimentica il suo primario compito di ricerca del bene comune, ma si basa esclusivamente sul consenso elettorale.
  Quello che in tutti questi anni doveva essere fatto e non è stato fatto, oggi è improcrastinabile. Gli atteggiamenti strumentali e gattopardiani degli ultimi vent'anni non possono più essere tollerati. Vogliamo ricordare che la Lega Nord, come forza politica, quando era al Governo aveva approntato queste riforme. Cosa dire delle campagne ideologiche che sono state sostenute da alcune forze politiche per arrestare quelle riforme come la cosiddetta devolution, che dopo anni faticosamente si è riusciti a fare approvare nel 2005 e che non entrò mai in vigore perché bocciata dal referendum popolare ?
  Onorevoli colleghi, si trattava di una riforma che anticipava i temi e i dibattiti di questi anni e di questi ultimi tempi, in tutte le sedi proclamati da tutti. Era una riforma che prevedeva già l'istituzione del Senato federale, la riduzione del numero dei parlamentari, di cui tutti oggi discutono, modifiche al procedimento di formazione delle leggi e al sistema di Governo, prevedendo maggiori poteri al Primo Ministro e anche interventi sull'ordinamento giurisdizionale.
  Tuttavia, a dimostrazione che parlare di federalismo è cosa diversa dal volere veramente il federalismo e dall'agire con convinzione e determinazione per cambiare il sistema Paese, questo disegno di legge di riforma – mi riferisco alla devoluzione – fu respinto, come già detto, con il referendum confermativo del giugno 2006. La campagna per votare «no» fu manovrata ad arte da quelle stesse forze politiche che a parole si dichiaravano, e oggi si dichiarano, a favore del federalismo, a favore, cioè, dell'ammodernamento e dell'efficientamento del Paese e della responsabilizzazione, finalmente, nell'utilizzo delle risorse pubbliche ovunque. Pag. 31L'unica chance di questo Paese per riscattarsi, è ormai andare in questa direzione.
  Avviandomi alle conclusioni, questa speranza di vedere oggi avviato davvero questo processo di riforma, non più procrastinabile, e di vedere, finalmente e concretamente, concludersi in questa legislatura il processo di riforme, è una speranza e un augurio che tutti noi vogliamo che venga realizzato. Lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri, nelle dichiarazioni programmatiche rese al Parlamento in relazione alle riforme costituzionali, sulle quali ha ottenuto la fiducia, ha sottolineato più volte la necessità di fare tutto il possibile – e anche l'impossibile – per chiudere in tempi brevi e in modo condiviso il processo di riforma della Parte seconda della Costituzione e la conseguente riforma elettorale, con completamento ed attuazione del percorso del federalismo fiscale. Altrimenti – è lo stesso Presidente del Consiglio ad averlo più volte ribadito – saranno assunte le conseguenti determinazioni e si tornerà tutti a casa, tutti al voto.
  Tutto ciò detto, auspichiamo che in questa legislatura si possa veramente riuscire ad approvare le riforme, perché sono i cittadini, le famiglie, gli imprenditori, insomma il popolo, che le vuole, le chiede, e che fa di tutto per ottenerle. Noi del gruppo della Lega Nord ci siamo, perché le riforme costituzionali sono nel nostro DNA.
  Noi ci siamo perché, proprio grazie a noi, in questo Paese è maturata la necessità di un cambiamento essenziale, un'evoluzione profonda e di sistema. Noi siamo per un cambiamento vero verso la modernizzazione della pubblica amministrazione per adeguarla alle esigenze della società, per semplificare gli adempimenti e adeguare la nostra legislazione a quell'Europa più avanzata a cui tanto si fa riferimento. Siamo, soprattutto, per valorizzare le autonomie e le specificità territoriali, per la realizzazione delle macroregioni, che vengono sostenute ora finalmente anche in sede europea, per rispondere ai bisogni del mondo imprenditoriale e dei cittadini, per rendere competitivo il Paese. Non ci sono più alibi, il superamento di una visione centralista dell'amministrazione statale è l'unica speranza di ripresa per questo Paese (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Bindi. Ne ha facoltà.

  ROSY BINDI. Signor Presidente, signor Ministro, colleghi, quando è iniziato il percorso che ci ha portato fino alla discussione e poi all'approvazione di questo disegno di legge costituzionale, non mancai, insieme ad altri colleghi, di esprimere alcune preoccupazioni sull'inizio di questo iter procedurale, soprattutto perché si interveniva sull'articolo 138 – quando si interviene sulla sentinella c’è sempre forse il rischio si voglia aggredire anche il tesoro che la sentinella sta custodendo – in modo particolare in relazione al ruolo del Parlamento nel suo rapporto con il Governo e all'ampiezza del mandato.
  Oggi, grazie al lavoro che è stato compiuto insieme ai gruppi del Senato e anche con la disponibilità del Governo, noi ci accingiamo a votare questo disegno di legge costituzionale con grande serenità, a iniziare questo percorso importante e impegnativo, del quale non ci sfugge la portata in questo momento così difficile della vita del nostro Paese. Ci accingiamo a questo percorso sentendone tutta la responsabilità, ma anche, come ripeto, con una grande serenità, quella che ci consentirà credo di lavorare e di raggiungere i risultati da tutti noi auspicati. E la serenità nasce dal motivo principale che è stato da molti colleghi ricordato: questo disegno di legge costituzionale, pur derogando ad alcuni aspetti dell'articolo 138, non ne intacca i principi e, anzi, ne rafforza le garanzie prevedendo, comunque, il ricorso al referendum anche di fronte ad una maggioranza ampia come quella dei due terzi, che potrà approvare queste riforme. E un motivo di serenità legato anche al fatto che la centralità del Parlamento è stata assicurata e rispettata pure attraverso un metodo che noi riteniamo costituzionale, cioè quello di interventi Pag. 32puntuali, di riforme affidate a singoli progetti, tra di loro coerenti, ma tra di loro autonomi, sui quali poi si potrà eventualmente intervenire attraverso i referendum, ma intervenendo sui singoli progetti, evitando quel rischio di un cambiamento radicale della Carta costituzionale in nome del tutto o niente e del tutto si tiene che avrebbe finito credo per affidare a noi un potere che io ritengo, come molti hanno detto, noi non abbiamo.
  In questo percorso siamo stati molto attenti alle voci critiche che si sono mosse verso il nostro lavoro perché le riteniamo sensibili, competenti, direi quasi innamorate della nostra Carta costituzionale. Non siamo sordi né distratti agli appelli, alla raccolta delle firme. Abbiamo ascoltato tutte le sensibilità costituzionali, però ci sia consentito di dire che, mentre riteniamo assolutamente positivo un forte coinvolgimento delle associazioni, dei cittadini, dell'uso di tutti gli strumenti della comunicazione, forse bisognerebbe evitare i toni allarmistici o forse bisognerebbe anche evitare di muovere nei confronti del lavoro paziente e impegnato che stiamo svolgendo, anche con grande consapevolezza della delicatezza del nostro lavoro – perché delicato e prezioso è l'oggetto della nostra Carta costituzionale – affermazioni, che io personalmente ritengo anche offensive, firmate contro il tentativo di stravolgere la Costituzione con il progetto Gelli.
  Ora, chi come me ha fatto una battaglia nel 2006, ha vinto un referendum e lo ha fatto accanto a persone come Oscar Luigi Scàlfaro e Leopoldo Elia avverte che c’è qualche cosa che non aiuta il lavoro che invece noi dovremmo fare, perché credo che tra il nostro lavoro, le voci più sensibili e le impostazioni culturali più legate alla nostra Carta costituzionale dovrebbe stabilirsi un lavoro, un'alleanza vera e profonda affinché il nostro lavoro sia davvero rispettoso del metodo costituzionale.
  Io credo che un atteggiamento di conservazione ostinata nei confronti della nostra Carta costituzionale finirebbe, in questo momento, per non servire al Paese e per non servire la Carta costituzionale. Allora, io voglio, nei minuti che mi restano, dichiarare in questa sede lo spirito e l'impegno con il quale intendiamo muoverci come gruppo del Partito Democratico. Noi riteniamo che, prima di tutto, dobbiamo ribadire ancora una volta che nel rapporto tra Governo e Parlamento – che sicuramente è singolare e particolare in questa fase, in modo superiore alle fasi precedenti che sono state ricordate, e basta ripensare al discorso del Presidente della Repubblica e al momento della fiducia al Presidente del Consiglio, basta leggere questo provvedimento – è indubbio che questo Governo e la maggioranza che lo sostiene sono il presupposto perché presto processo si avvii. Ma anch'io intendo chiedere al Governo di essere in questa materia ancora di più un Governo di servizio, servizio verso la centralità del Parlamento nello svolgimento di questo compito così delicato.
  Una maggioranza tanto ampia e tanto inedita nella vita del nostro Paese deve essere infatti più consapevole del proprio limite. È il Parlamento il luogo delle riforme proprio perché in Parlamento ci sono le maggioranze, le opposizioni e le minoranze e la Costituzione la dovremo cambiare, con metodo costituzionale, tutti insieme. Al tempo stesso dico: sottraiamoci ad atteggiamenti di strumentalità reciproca. Fare le riforme perché dura il Governo o non fare le riforme perché così cade il Governo: questo non è rispettoso nei confronti della Carta costituzionale, che noi riteniamo superiore allo stesso Governo, ma proprio per questo vogliamo iniziare un processo di riforma. E se noi vogliamo riformare la Carta con questo metodo credo che dobbiamo aggiungere anche un altro elemento, che è quello della gradualità e della puntualità. Non credo che dobbiamo iniziare questo lavoro ponendoci progetti ambiziosi, troppo ambiziosi, che vanno a toccare anche temi sui quali sappiamo in partenza esservi tra di noi molte distanze, con il rischio che anche quelle riforme che potremmo fare perché sono condivise potrebbero non vedere la luce neanche questa volta. Noi Pag. 33vogliamo riformarle davvero le istituzioni, perché sappiamo che oggi le istituzioni hanno bisogno di essere forti. Chi crede nella centralità del Parlamento deve volere che il Parlamento funzioni, chi vuole davvero una democrazia parlamentare la deve concepire con al centro un Governo che può decidere e che, in quanto tale, non può non essere rafforzato. Sappiamo, e anche questo da molti è stato ricordato, che ciò non dipende solo dalla Costituzione, ma dipende anche dalla Costituzione.
  E io credo che, nel momento in cui ci impegneremo a fare tra di noi questa alleanza con quelle che sembrano, in questo Parlamento, le voci più attente e più sensibili, per ridare alle istituzioni oggi, in un momento così difficile, quell'autorevolezza che la politica deve avere in rapporto ad una società, a dei poteri che sono ogni giorno più incontrollabili, ecco, io credo che se noi faremo insieme questo lavoro di intervento puntuale, graduale, con metodo costituente, nei confronti della Costituzione, dovremo anche impegnarci ad una riforma ancora più profonda della politica, delle associazioni della politica e della consapevolezza della nostra responsabilità, in un momento così grave e così impegnativo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Sannicandro. Ne ha facoltà.

  ARCANGELO SANNICANDRO. Signora Presidente, egregi colleghi, prendo la parola per riproporre due domande alle quali sinora credo che non sia stata data adeguata risposta. La prima domanda è perché si vuole creare, fare, produrre – lo dico subito – una nuova Costituzione, e poi mi spiegherò. La seconda domanda è la seguente: perché non secondo l'articolo 138 della Costituzione.
  Io capisco quanto le parole possano servire a nascondere il pensiero, ma quando le parole sono scritte, con quelle dobbiamo fare i conti. E nel disegno di legge governativo – sottolineo governativo –, è ben stabilito e chiarito che bisogna modificare la seconda parte della Costituzione relativamente alla figura del Presidente della Repubblica. Non diciamo Titolo I o Titolo II, perché i cittadini comuni, forse, non sanno cosa contengono questi Titoli. Si vuole modificare la figura del Presidente della Repubblica, il ruolo del Parlamento, il ruolo del Governo, il sistema delle autonomie locali. Praticamente, quasi l'intera seconda parte della Costituzione italiana, se togliamo la magistratura e gli ultimi articoli relativi alle garanzie costituzionali.
  Perché ? Questa è una domanda che alcuni si pongono, ma a cui nessuno riesce, a tutt'oggi, a ricevere un'adeguata risposta. Né la risposta può essere quella che ho ascoltato dalla collega Gelmini, la quale in breve, così, con molta semplicità, sostanzialmente, ha detto che bisogna riformare la seconda parte della Costituzione, perché la Costituzione è la causa dei mali della politica. Questo ha detto, in sintesi: i minuti a disposizione sono pochi e, quindi, sintetizzerò anche io.
  Ora, questa cultura è antica: si è detto che da trent'anni si parla di riforme costituzionali. Io vorrei correggere: è dal 1o gennaio del 1948 che si parla di riforma costituzionale, nel senso che la Costituzione – è ben noto – non è un testo neutrale. Ogni Costituzione è contro qualcuno, è contro qualcosa, è contro una certa cultura. Non so, faccio un esempio pratico. All'articolo 1, noi scriviamo che la l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro: è un'affermazione enorme, rivoluzionaria rispetto ai regimi precedenti. Voglio ricordare che la Rivoluzione francese, ad agosto del 1789, scriveva, invece, che il diritto di proprietà è sacro ed inviolabile: oggi, noi lo abbiamo riportato, invece, appena all'articolo 42 della Costituzione, cioè fuori dai preamboli. Questo per dire quanto siano diverse le Costituzioni e, soprattutto, quanto non siano neutrali.
  La Costituzione italiana non è ancora stata attuata e, ancora oggi, tra di noi si dibatte, da una parte, per attuarla e, dall'altra parte, per contrastarne l'attuazione. Faccio un esempio pratico. Il dibattito Pag. 34intorno alla tortura: mi ricorda – non so – l'articolo della Costituzione che dice che nessuno può essere sottoposto a misure limitative della libertà personale, a violenze, e così via, che siano offensive della sua dignità. Oppure, voglio ricordare il dibattito sugli F-35, sul principio che l'Italia ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali; oppure voglio ricordare il dibattito sul «porcellum». Qualcuno si è ricordato che abbiamo violato la Costituzione, laddove è scritto che quando si vota una testa deve valere un voto, un voto deve corrispondere ad una testa.
  Cioè, noi, in questi vent'anni, abbiamo, a poco a poco, manomesso la Costituzione e qualche voce che è sfuggita lo rivela quando parla di Costituzione materiale per rivendicare l'adeguamento della Costituzione formale alla Costituzione materiale; perché le forze nemiche della Costituzione non sono mai state con le mani in mano, mai ! Entro un anno dal 1o gennaio 1948 doveva essere istituito il sistema regionale, entro un anno. Le regioni sono state varate, diciamo così, istituite, in Italia, nel 1970. E poi, l'indipendenza della magistratura, un pilastro di uno dei poteri dello Stato: soltanto nel 1956 si ebbe la istituzione del Consiglio superiore della magistratura. E la Corte costituzionale che ci doveva garantire contro il vecchio regime ? Entrò in funzione nel 1958, cioè dieci anni dopo ! Nella prima udienza di fronte alla Corte, l'Avvocatura dello Stato, badate, ebbe il coraggio di sostenere che sì, la Corte era stata istituita, che c'era una nuova Costituzione, ma che poteva essere parametro della costituzionalità soltanto per quelle leggi che si venivano a produrre dopo il 1o gennaio 1948.
  Questo per dire quanta fatica si è fatta per realizzare la Costituzione che, a tutt'oggi, non è affatto realizzata; quindi, forze ostili sono state sempre in campo. E quando non hanno potuto prendere di petto, scusate l'espressione gladiatoria, i principi fondamentali, la prima parte della Costituzione, sono passati alla seconda, perché ? Perché la seconda non è disgiunta dalla prima parte della Costituzione, non c’è nessun fondamento, né giuridico, né storico, né culturale che possa far accettare la distinzione netta tra prima e seconda parte della Costituzione. Infatti, la seconda parte, intanto, è stata concepita così perché c'erano quei principi fondamentali e c'era quella parte prima relativa ai rapporti etico-sociali, economici, civili e politici tra i cittadini, che soltanto con quel tipo di ordinamento statale potevano essere adeguatamente realizzati. D'altra parte, soltanto grazie a quell'ordinamento statuale è stato possibile, nei primi vent'anni, modificare in senso progressista l'ordinamento della società italiana, perché le voci del popolo erano tutte rappresentate, perché, appunto, il Parlamento è centrale – non a caso il Titolo I della Parte seconda parte dal Parlamento e poi parla del Presidente della Repubblica – e perché nel Parlamento, con la legge elettorale proporzionale, con la legge democratica, era assicurato che tutti i ceti sociali, tutti gli interessi, potevano avere voce. Ma se ciò non fosse stato reso possibile, avreste mai immaginato lo Statuto dei diritti dei lavoratori, la legge contro i licenziamenti individuali, le leggi sulla parità tra uomo e donna, il piano per la casa, la riforma agraria (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà) ? Sarebbe stato mai possibile ? Macché, stiamo scherzando ? Perché in altre nazioni che non sono dotate di questa Costituzione non si sono avuti questi progressi così veloci ?
  Noi, con questa Costituzione siamo usciti dalla guerra e siamo diventati, velocemente, una delle prime potenze mondiali ! Da quando, invece, l'Italia declina, se vogliamo fare un excursus storico ? Appunto, da venti o venticinque anni, da quando l'incapacità della politica di muoversi in senso progressivo, o se volete l'avanzata delle forze conservatrici, ha messo in discussione l'impianto costituzionale come capro espiatorio di questa battaglia che non riusciva a vincere.
  Ho già detto che, oggi, noi, qui, siamo di fronte, anzi, loro sono di fronte ad una occasione forse impensata; con questa Pag. 35larga maggioranza noi, loro, hanno la possibilità di fare una nuova Costituzione. Non possiamo parlare di riforme costituzionali, perché non lo dice il testo del disegno di legge governativo, non lo dice il testo. Infatti la Costituzione può essere soltanto revisionata, ma ho già detto altrove – perché cerco di farmi capire anche fuori da quest'Aula – che quando porto la macchina a fare la revisione mi ridanno la stessa automobile quando torno, e me la danno più efficiente, non mi danno un'altra autovettura. Questa è la questione (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà) ! E qui parliamo di riforme al testo; guardate il testo: Comitato per le riforme costituzionali, che poi la dice lunga sulla distorsione semantica che si è fatta anche del vocabolario italiano in questi anni. Voi sapete tutti che la parola riforma prima evocava un progresso, un avanzamento della società, di chi era escluso dal progresso.
  Oggi invece «riforma» ha sostituito la parola «controriforma», che è sparita dal vocabolario italiano. Dicevo: per quale motivo non si risponde a questa domanda ? Ho letto con attenzione l'ottima relazione del relatore Sisto. L'ho letta con attenzione e ad essa va il mio apprezzamento sul piano dell'analisi tecnica, che è precisa, ma elude la domanda. Essa parte dal presupposto che il testo c’è e quindi andiamo avanti. Vorrei sapere perché è stato partorito questo testo, si alzasse qualcuno e dicesse la verità, ce lo spiegasse. Perché oggi si vuole fare una nuova Costituzione ? Perché – lo ripeto ancora – il manomettere la seconda parte è soltanto un episodio, perché poi più facilmente si potrà manomettere la prima parte della Costituzione. Io ricordo un dibattito, era il 1994 o il 1995, in un teatro di Milano, fatto dal cavaliere Berlusconi e una serie di intellettuali. A Berlusconi devo dare atto – io, Presidente, sono una persona che non ha mai detto che Berlusconi ha ingannato – che ha parlato sempre chiaro, ha detto sempre la verità, che vuole rivoltare l'Italia come un calzino. Ciò l'ha sempre detto, si tratta di capirlo, e lui diceva che bisognava cancellare quell'articolo 1 della Costituzione, dove è scritto che l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro e che la sovranità appartiene al popolo. Voleva sostituire quella parola – scusate – con la parola cittadino, che è una parola indubbiamente progressista, ma che risale al 1789. Non so se mi spiego, è chiaro. Lì era il vero obiettivo, voleva arrivare lì, perché quanto è scritto nella prima parte – e ho fatto l'esempio del diritto di voto – è contestato dalla Costituzione materiale, perché in questi vent'anni – abbiamo ascoltato La Russa, poc'anzi – hanno lavorato intensamente per mortificare nel senso comune la Costituzione italiana. Quanto è suggestiva la frase: eleggiamo il sindaco d'Italia ! Dare al popolo la possibilità di eleggere il Presidente della Repubblica: cosa c’è di meglio ? Dimenticando che si tratterebbe di uno stravolgimento, altro che riforma, perché noi abbiamo un sistema parlamentare basato su un equilibrio di poteri complessivo che si tiene nella sua interezza e non è consentito muovere un pezzo. Ecco perché, giustamente, da un punto di vista tecnico, devo dare atto al Governo della sua intelligenza eversiva, se così si può dire, perché non ha detto che dobbiamo cambiare solo gli articoli sul Governo, ma cambiare tutto, perché giustamente tutto si tiene. Allora, di fronte a tanta chiarezza, perché attenuiamo i toni ? Io non voglio essere uno di quelli, come è stato detto, che esagera nei toni. Scusate, qualcuno mi ha detto di non parlare di colpo di Stato, perché si sta avvicinando, di non parlare di grimaldello, e va bene, ma possiamo parlare almeno di colpo grosso ? Insomma, di che cosa dobbiamo parlare ? Passiamo parlare di colpo grosso ? Cioè, si vuole fare un bel colpo, eliminando quella che la collega Bindi ha chiamato la sentinella stabilita dall'articolo 138 della Costituzione. La cosa curiosa è che c’è tanta fretta da tutte le parti, da tante parti, per cui dobbiamo parlare in modo accelerato, contingentato, e ciò è una cosa che veramente già la dice lunga. E la dice lunga che lo stiamo facendo nel mese di agosto. Prima vi ho contato, all'inizio, eravamo quarantasette. Che resti agli annali scritto Pag. 36che eravamo quarantasette per discutere di una nuova Costituzione italiana. Concludo veramente Presidente, perché ho letto quanto uno studioso – non ne faccio il nome – dice a proposito delle conseguenze di questo processo decostituente che in questi vent'anni è stato portato avanti...

  PRESIDENTE. Si affretti.

  ARCANGELO SANNICANDRO. ... svilendo nel senso comune la Costituzione. Nella Costituzione francese dell'anno terzo – siamo nel 1791 – fu scritto: il popolo francese affida alla presente Costituzione la lealtà dei pubblici poteri e alla vigilanza dei padri di famiglia, alle spose, alle madri, all'affetto dei giovani cittadini, al coraggio di tutti i francesi. È su queste garanzie politico e sociali che riposa l'effettività delle garanzie giuridiche e con esse dello Stato di diritto e della democrazia. Oggi alla lealtà dei titolari del potere di Governo non è possibile affidarsi – aggiungiamo – essendo essi stessi i promotori della deformazione costituzionale (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà e di deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Mazziotti Di Celso. Ne ha facoltà.

  ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, io vorrei premettere che condivido sicuramente l'affermazione fatta dal relatore, fatta dal collega Balduzzi, sull'emozione di essere qui ad avviare un percorso di revisione costituzionale che potrebbe portare ad una importante riforma della Carta fondamentale.
  Vorrei anche aggiungere che spero che il percorso abbia, diciamo, una vita diversa dalle precedenti esperienze; i percorsi di revisione costituzionale sono partiti varie volte con strumenti diversi, con protagonisti diversi e anche con approcci se vogliamo talvolta più radicali; oggi si discute di un progetto di legge che modifica l'articolo 138 della Costituzione meno di quanto non si fosse fatto in altre occasioni. E sappiamo tutti come è andata, nel senso che tutti i tentativi di fare delle modifiche della Costituzione condivise sono falliti, sono state fatte delle modifiche di parti della Costituzione unilateralmente che non hanno, diciamo, portato a risultati particolarmente soddisfacenti, tanto che oggi nell'ambito della riforma si tende anche a ritornare su quegli aspetti. Parlo del Titolo V in particolare.
  Credo che molti in questo momento abbiano fatto affermazioni estremamente ottimiste sul fatto che si arrivi a una riforma. Ritengo che questo sicuramente sarebbe importante per il Paese, credo anche che sarà estremamente difficile se il tipo di dibattito che si avrà in sede di lavoro nel Comitato delle riforme e poi in Parlamento avrà, diciamo, i toni e lo stile che ha avuto in questa fase.
  Io credo che ci sia un punto di partenza fondamentale. La Costituzione, e in questo sono in completo disaccordo con l'intervento che mi ha preceduto, stabilisce – e i costituenti lo hanno stabilito – cosa non è modificabile all'interno della Carta stessa. Lo hanno fatto perché tutti i sistemi costituzionali quando vengono stabiliti, istituiti sono legati al momento, sono legati alla storia del Paese, sono legati a quelle che sono le esigenze politiche e storiche di quel momento.
  La nostra Costituzione non è sicuramente la causa dei mali, non credo sicuramente che si possa escludere totalmente che abbia contribuito ad alcuni dei difetti del nostro sistema politico. Partire dal presupposto per il quale esiste una Costituzione intoccabile, un sistema intoccabile che ha funzionato perfettamente fino ad oggi e conseguentemente non va cambiato se non in minimi dettagli è un'assunzione che non trova nella stessa Carta costituzionale le sue giustificazioni. E con questo non parlo del fatto di andare a toccare i diritti fondamentali ovviamente, ma parlo del lato istituzionale. Tutti i Paesi hanno visto delle evoluzioni costituzionali da Carte più o meno parlamentari, con più o meno poteri del Presidente della Repubblica, Pag. 37del Capo del Governo, delle Camere, e non è che questo abbia portato necessariamente a perdite di democrazia.
  Oggi l'assunto, che io trovo molto poco coraggioso da parte di tutti, è che questa Costituzione sia in tutte le sue parti perfetta, o quasi, e che si debba intervenire sostanzialmente, forse, per fare piccoli aggiustamenti. Credo che questa analisi tutti, tutti i partiti, tutti i parlamentari nella loro autonomia la debbano fare al proprio interno, ma che non sia affatto detto che sia un presupposto giuridico di legittimità che la Costituzione così com’è oggi non è toccabile.
  Io credo che sia un punto di partenza che è giuridicamente, lo dico da giurista, scorretto, e credo che sia anche molto poco utile al Paese. Ritengo che il dibattito debba riguardare, passaggio per passaggio, tutto quello che la Costituzione prevede nelle parti e nei titoli su cui noi andremo a intervenire e ragionare sul fatto se sia migliorabile, se ci siano modifiche radicali o meno da fare, senza paura che questo possa costituire una lesione di una presunta intangibilità della Carta che traspare da molti degli interventi che ci sono stati.
  La Carta costituzionale stabilisce in se stessa cosa può essere modificato: quelli sono i limiti. La Corte li ha giustamente allargati parlando dei diritti fondamentali che sono sicuramente intangibili, ma sulla parte istituzionale c’è stata la consapevolezza degli stessi Costituenti che l'intervento, subordinatamente a determinate tutele, a modifica della Costituzione, sia possibile; e magari anche dovuto, quando la Costituzione non funzioni più, o quando determinate istituzioni possano anche solo funzionare meglio, non perché c’è un difetto, ma perché per adattarsi alle circostanze, al tempo e alle esigenze del momento e delle prossime generazioni si ritiene opportuno cambiare. Credo sia quindi necessario avere un dibattito aperto e più coraggioso sul fatto che esiste un percorso, che la maggioranza ha avviato. Si discuterà di questo; ci sono le tutele delle minoranze, e queste tutele sono in realtà, anche sotto il profilo del referendum, come già più volte detto, rafforzate. Si discuta del merito delle singole cose: si può essere presidenzialisti o no, si può volere l'elezione diretta del Premier, si può volere il bicameralismo perfetto o diverse forme di struttura del Parlamento; ma non ce n’è una migliore, e una legale e una illegale o illegittima.
  Mi rivolgo anche ai colleghi del MoVimento 5 Stelle, perché è emerso dagli interventi spesso un atteggiamento del tipo: si cerca di stravolgere la Costituzione. Se ho capito bene il pensiero degli stessi colleghi del MoVimento 5 Stelle, contestano sostanzialmente lo stesso parlamentarismo, la stessa democrazia rappresentativa come intesa fino ad ora, ritenendo che i parlamentari siano portavoce del mondo dei cittadini esterno al Parlamento e che questo sia il loro ruolo. Questo non è il ruolo che hanno pensato i Costituenti, è diverso ! È legittimo pensarla così, è perfettamente legittimo pensare: voglio cambiare la Costituzione in un certo modo. È previsto dalla Costituzione.
  Passando rapidissimamente al percorso: il percorso dell'articolo 138 rientra tra le norme per le quali non è esclusa la possibilità di modifica (il collega Balduzzi ha spiegato perfettamente i limiti e non ci ritorno). Sottolineo che anche lo stesso Presidente della Corte ha ritenuto pubblicamente, non in maniera formale ma in una relazione pubblica fatta non più tardi di un mese fa, che il percorso ipotizzato secondo lui è legittimo; ma a prescindere da questo, il percorso prevede tutti i passaggi necessari. Io sono stato uno di quelli che, quando è stata formulata la mozione in Parlamento, ha ipotizzato che magari era meglio passare per l'articolo 138 ordinario e che si poteva perdere del tempo: credo che molti di noi l'abbiano fatto; ma mi sembra sinceramente un tema secondario.
  Tutta la contestazione si riduce sostanzialmente al fatto che il tempo tra le deliberazioni del due Camere è più breve. In un Parlamento che tendenzialmente non ha sempre brillato per velocità, e con dei termini che sono ovviamente facoltativi, concentrarsi per definire illegittimo Pag. 38un principio di questo tipo, e dire che non c’è un sufficiente contributo del Parlamento, mi sembra eccessivo.
  Sul referendum è stato già detto. Credo che la cosa fondamentale sia che da adesso in avanti si parli del merito delle riforme, perché se si passa il tempo – e qui mi rivolgo alle opposizioni – a parlare del fatto se il Governo ha un ruolo troppo forte, se si sta strozzando il dibattito, se gli emendamenti non vengono accolti... (al riguardo mi permetto di dire che chi è in minoranza deve accettare il fatto che gli emendamenti vengano respinti, anche tutti, e anche se li ritiene perfettamente ragionevoli; non c’è nessun imbroglio: semplicemente si può essere in disaccordo).
  Credo che se si passa a discutere del merito, di cosa è buono e di cosa non è buono nella Costituzione, poi si vedrà. Non so se arriveremo alle riforme: bisognerà trovare una condivisione. Spero che il discorso non faccia la stessa fine della legge elettorale nella passata legislatura, dove il Governo non se ne è interessato. La maggioranza disse al Governo Monti: non ti interessare di legge elettorale, la facciamo noi; si è visto come è andata, spero che vada diversamente. Credo che da adesso in avanti l'unico argomento debba essere non se stiamo rispettando l'articolo 138, non se il meccanismo adottato è legittimo o meno, ma se le modifiche alla Costituzione che verranno proposte sono quelle utili al Paese e alle generazioni future oppure no (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Fabiana Dadone. Ne ha facoltà.

  FABIANA DADONE. Signor Presidente, colleghi deputati, Ministro per le riforme costituzionali, l'articolo 138 della Costituzione così recita: «Le leggi di revisione della Costituzione» quale quella ad esempio oggi in esame «e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti».
  Ho ritenuto opportuno leggerlo perché non so quanti effettivamente di noi l'abbiano letto e quanto meno compreso la ratio di questo articolo, visto che qui siedono – non chiaramente in questo momento, ma inteso in senso generale – deputati che ritengono questo disegno di legge del Governo perfettamente costituzionale. Il cronoprogramma stabilito da questo disegno di legge rappresenta uno degli aspetti sui quali si è concentrata l'attenzione critica – sottolineo, critica – dei più grandi costituzionalisti d'Italia, costituzionalisti che, ci tengo a sottolinearlo, non sono attivisti del MoVimento 5 Stelle. In perfetta linea con il cronoprogramma dei tempi assai ristretti stabiliti dal Governo, sono state non solo la discussione in Commissione che è durata circa un'oretta, ma altresì le audizioni, un'ora e venticinque, di eccelsi giuristi cui abbiamo dedicato ben cinque minuti ciascuno, forse visto che i rilievi dagli stessi sollevati non erano proprio in favore della costituzionalità del disegno di legge che oggi ci apprestiamo a discutere, tant’è che qualcuno ha persino detto che le audizioni andrebbero filtrate.
  Alessandro Pace, nell'elencare i profili del ddl n. 1359 che si distaccano dal modello costituzionale, cioè tanto per capirsi si allontanano dalla previsione della nostra Costituzione e quindi, parafrasando, sono incostituzionali, ha sollevato problemi relativamente alla procedura di approvazione delle leggi di revisione costituzionale. Cito testualmente: viene esplicitamente sottoposta ad un cronoprogramma Pag. 39a tempi ristretti, come tale antitetico alle caratteristiche di riflessione e ponderatezza tipiche delle procedure di revisione costituzionale, dimenticando così che i tempi lunghi della revisione servono anche per consentire a chi sta fuori dalle aule parlamentari di farsi un'idea di quanto si intende fare, delle conseguenze che si aprono, delle conseguenze che certe modifiche sono in grado di produrre, soprattutto in futuro. Cito sempre testualmente: nella logica aberrante – sottolineo, aberrante – del cronoprogramma governativo addirittura l'intervallo di tre mesi tra la prima e la seconda deliberazione prevista dal 138 è inammissibilmente ridotto a 45 giorni.
  Ecco, quanto detto da Pace avrebbe dovuto far riflettere tutti, quantomeno i componenti della Commissione affari costituzionali, invece nessuno ha battuto ciglio in Commissione, anzi, ci siamo adeguati addirittura noi ai tempi e abbiamo chiuso la discussione dopo solo due ore e venticinque di dibattito ed infinite lagne – tanto per usare un termine tanto caro al nostro presidente Sisto – da parte del MoVimento 5 Stelle.
  Il ddl di revisione costituzionale del Governo sostituisce alle regole ordinarie una procedura estremamente semplificata per l'approvazione delle future riforme che non è affatto compensata dalla previsione di un referendum finale. Tali semplificazioni violano sia la procedura aggravata prevista dal 138, sia le regole costituzionali sul procedimento legislativo ordinario di cui all'articolo 72 della Costituzione, sia le norme dei Regolamenti parlamentari che in ciascun ramo sono dedicate all'approvazione delle leggi di revisione costituzionale e che, proprio in considerazione della gravità delle decisioni di riformare la Costituzione, aumentano le garanzie ordinariamente previste.
  Le semplificazioni introdotte, viceversa, si disfano delle garanzie speciali del procedimento di revisione e persino di quelle per un ordinario procedimento legislativo. La prima semplificazione consiste nell'accorpamento in un unico organo bicamerale dell'attività referente che, con i suoi 42 membri, si occuperà di riferire ad entrambe le Assemblee.
  Salta, quindi, un primo passaggio procedurale necessario ai sensi dell'articolo 72, ultimo comma, della Costituzione: l'esame referente nelle rispettive Commissioni permanenti Affari costituzionali. La simultaneità dell'esame referente da parte di senatori e deputati designati all'interno del comitato, inoltre, comprime quel periodo di decantazione che nel passaggio da un ramo all'altro è sempre assicurato, addirittura, per le leggi ordinarie.
  La seconda semplificazione, che certamente è incostituzionale, consiste nel disegnare un'anomala corsia preferenziale per le future riforme che assicurino di approdare in tempi certi ad un voto finale, come se si trattasse di un disegno di legge qualsiasi, di un decreto-legge o di approvare, addirittura, una legge di bilancio. Un'illustre studiosa di diritto parlamentare, Michela Manetti, ha osservato, in proposito, che questo procedimento si ispira al modello della blindatura – blindatura, lo ripeto, perché è abbastanza grave – sancendolo nel modo più solenne e simbolico.
  Sono preventivamente stabiliti i tempi che dovranno cadenzare le fasi intermedie dell’iter parlamentare. Sono particolarmente gravi le seguenti previsioni: l'articolo 4, comma 2, che assegna sei mesi al Comitato per concludere l'esame in sede referente; l'articolo 4, comma 3, che assegna tre mesi a ciascuna Assemblea per terminare la prima lettura.
  Considerato che, una volta che la prima Camera abbia approvato entro tre mesi il progetto, l'altra lo deve approdare nei successivi tre, la seconda non potrà, di fatto, introdurre modifiche al progetto varato dalla prima, costringendo quest'ultima a deliberare nuovamente, pena il superamento dei limiti temporali stabiliti.
  Possiamo, perciò, dire che il bicameralismo è già stato abolito senza aspettare delle future leggi in merito che lo cancellino o lo modifichino. È, inoltre, fissato un termine complessivo finale di 18 mesi per terminare l'intero iter. Citerò, a questo Pag. 40proposito, le parole dell’ex Presidente del Senato e attuale capogruppo del PdL Renato Schifani, che, proprio contro la previsione dei termini finali imposti al Parlamento per compiere l'attività più importante e delicata di sua competenza, cioè le riforme della Costituzione, si è espresso chiaramente osservando (cito testualmente): «se approveremo questo testo con un termine di 18 mesi, creiamo un precedente; un precedente che sa quasi di commissariamento, di pseudo commissariamento del Parlamento, e questo non mi piace».
  Ecco, colleghi, chi lo avrebbe detto mai ? Mi trovo perfettamente concorde con Schifani (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) !

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Francesco Sanna. Ne ha facoltà.

  FRANCESCO SANNA. Signor Presidente, rappresentante del Governo, colleghi, oggi affrontiamo, a 30 anni dalla prima Commissione bicamerale sulle riforme costituzionali (la Commissione bicamerale Bozzi del 1983), l'inizio del percorso di un nuovo tentativo di mettere mano ad alcuni meccanismi di funzionamento della Repubblica, dei suoi organi costituzionali. Non di mettere mano e di stravolgere – come, con grande leggerezza, sento dire, purtroppo, anche nelle nostre Aule parlamentari – i principi fondamentali della Costituzione, sia quelli contenuti nella prima parte, sia quelli connessi, che appartengono alla sua seconda parte.
  Almeno dieci anni prima del 1983 era iniziato un dibattito, non solo accademico, ma anche nelle Aule parlamentari, circa il funzionamento del nostro Stato. Devo dire che ancora prima e, ad opera di personalità politiche di assoluto livello e importanza nella nostra storia democratica, vi erano stati interventi che toccavano proprio alcuni dei punti di minore riuscita della scrittura della seconda parte della Costituzione, che, guarda caso, attenevano proprio al bicameralismo. Ricordo, la modifica del sistema elettorale del Senato proposta da Giuseppe Dossetti. Ricordo la necessità degli scioglimenti anticipati, del Senato in chiave tecnica e poi la modifica, in sede, costituzionale, sulla sua durata. Questa polemica sui tempi e sulle modalità della revisione costituzionale, quindi, quasi che il dibattito sulla necessaria riforma di alcuni istituti della seconda parte della Costituzione provenisse dal niente, provenisse da un improvviso impazzimento dell'accademia del costituzionalismo italiano, della riflessione politica migliore che hanno saputo produrre i partiti in questo periodo, è – questa sì, colleghi – l'aberrazione del dibattito che io vedo in queste settimane.
  Testimonio i tempi di questa nostra discussione: le dichiarazioni programmatiche in cui il Presidente del Consiglio Letta condiziona non tanto l'esistenza del suo Governo, certamente del suo Governo, ma anche l'esistenza dignitosa di una fase politica in cui accanto alla necessità di rispondere a questioni economiche c’è anche la necessità di rispondere a questioni che attengono alla credibilità complessiva del sistema democratico, sono di fine aprile. Il tema è posto ed era stato posto prima ancora al massimo livello dall'intervento in quest'Aula del Presidente della Repubblica. Le mozioni parlamentari sono della fine di maggio; all'inizio di giugno c’è la proposta del Governo. A luglio, dopo un mese e qualche giorno di discussione, la deliberazione del Senato; noi iniziamo i nostri lavori alla Camera su questo provvedimento, che è fatto di cinque articoli, diciotto giorni dopo. Oggi la discussione generale; tra un mese il voto. L'efficacia definitiva degli istituti che modificano l'articolo 138, previsti da questo disegno di legge, se tutto andrà bene, a dicembre 2013. Sono passati così – e questo, credo, chiuda la polemica sui tempi affrettati – otto mesi; otto mesi nei quali l'impiego del tempo e la riflessione su come impiegare questo tempo dovrebbe suggestionare le nostre riflessioni e quelle delle forze politiche. Dovremo impiegarlo bene, questo tempo, per esempio discutendo nelle realtà che politicamente animiamo nei nostri territori, nei dibattiti che sappiamo sollecitare presso l'opinione pubblica e con una Pag. 41capacità di porre in essere, già in queste prossime settimane, quelle modifiche ai comportamenti e alle modalità di svolgimento dei lavori parlamentari che, nonostante tutte le nostre grida, rimangono le stesse.
  Sono stato un duro oppositore dei tentativi di riforma costituzionale del centrodestra in Senato nella scorsa legislatura e sono dovuto ricorrere per diverse settimane ad un sistema di informazione dei lavori che avvenivano nella Commissione affari costituzionali del Senato. Facevo delle dirette su Facebook, perché il Regolamento del Senato prevede anche per la discussione di disegni di legge costituzionali la resocontazione sommaria, cioè lo stesso tipo di resocontazione che si utilizzava in quest'Aula nella Costituente tra il 1946 e il 1947. Allora, è su questo che ci dobbiamo concentrare, a mio avviso: sulle forme di partecipazione popolare e democratica che riguardano la revisione costituzionale durante la fase in cui essa si svolge, e non solamente sul risultato finale. E questo però – lasciatemelo dire – è, anche nella disciplina che detta questo disegno di legge, il motivo per cui, secondo me, noi siamo completamente dentro la logica dell'articolo 138 e dei suoi principi. Ed è per questo motivo che noi votiamo, non solo con serena coscienza, ma soddisfatti del risultato finale, questo disegno di legge. Voglio dire all'opposizione con riguardo alla discussione che abbiamo avuto (striminzita certo, perché avete abbandonato i lavori della Commissione; ve ne siete andati e poi siete tornati ritirando i vostri emendamenti quando alcuni di noi, ritenendo meritevole la discussione su alcuni punti che ponevano, volevano discuterne; e non c’è stato il modo di discuterne; lo riprenderemo, questo tema, a settembre quando voteremo punto per punto il disegno di legge) che altro è discutere le proposte di tutti – e questo è un dovere democratico –, altro invece è pretendere che quella specifica proposta sia approvata per forza e non con la forza della convinzione, ma con la forza che deriva da un vostro preteso status di avere la verità esatta sui contenuti di questa, come della futura Costituzione italiana.
  Non ve lo riconosco questo status, mi dispiace. Voglio discutere con voi, voglio farmi persuadere laddove mi persuadono i vostri argomenti, ma non ci sono verità fissate a priori da parte di nessuno. E una riforma non è buona solo se riceve un contributo quantitativo di un vostro emendamento, quasi che con due etti di 5 Stelle la Costituzione italiana risulti migliorata.
  Andiamo a vedere il merito, la razionalità, la coerenza: questo è il lavoro raffinato proprio della revisione costituzionale.
  Voglio spendere alcune parole e alcuni argomenti, invece, su quello che accade fuori. L'ho sentito dire in maniera anche abbastanza banale qui dentro, con parole in libertà: «stravolgere la Costituzione», «procedura extra ordinem», «intelligenza eversiva».
  Ci sarebbe bisogno di una ricostruzione del vocabolario politico e di lealtà tra di noi, questo voglio dirlo ai colleghi di SEL. Per non parlare della relazione di minoranza del MoVimento 5 Stelle, che ho letto attentamente, e che svolge argomenti tipici dell'antiparlamentarismo, per cui qui non vi sarebbe né la qualità morale né lo standing politico per affrontare il tema della revisione costituzionale. Ma dove si dicono anche delle cose contraddittorie, per esempio che il nuovo e provvisorio articolo 138 renderebbe la Costituzione meno rigida. Quando, invece, la decisione di rendere possibile sempre e comunque il referendum popolare, indipendentemente dal voto dei due terzi del Parlamento, rende la nostra Costituzione più rigida con questa modifica.
  E se vogliamo affrontare seriamente questo tema diciamo anche che se noi riuscissimo tutti insieme a introdurre istituti molto condivisi nella revisione costituzionale, approvata dunque con un grande consenso del Parlamento, il suo finale dovrebbe vedere la modifica dello stesso articolo 138, prevedendo l'elevazione del numero dei parlamentari che votano a favore di una modifica per renderla in qualche modo efficace. Io penso Pag. 42che debbano essere i due terzi, non la maggioranza assoluta dei componenti come è previsto oggi.
  Allora, io vorrei dire che, superate le polemiche sulla procedura, andiamo al merito delle questioni, andiamo al merito con la lealtà politica di cui una fase difficile della nostra vita repubblicana. Il merito delle questioni sarà quello di rendere la nostra Costituzione capace di ristabilire il patto di convivenza tra i cittadini.
  Quando Dossetti vent'anni fa chiamò a raccolta per difendere la Costituzione disse delle cose nuove rispetto alla sua originaria concezione, cioè che la Costituzione non era più una Costituzione programmatica, dove il Governo è il motore della realizzazione del programma. Era maturata in lui la consapevolezza che la Costituzione deve garantire prima di tutto il patto di convivenza. Io sono molto d'accordo e lo voglio ricordare Giuseppe Dossetti quando ci invita ad avere in testa questo suo contenuto essenziale quando tocchiamo la Costituzione, ricordandolo come uno di quelli che mi spinse nel 2006 a promuovere il referendum contro il premierato assoluto e l'inamovibilità dell'esecutivo proposto dalla revisione costituzionale del 2005-2006. E voglio – ricordandolo con una grande nostalgia, quella di chi allora fece un appello che mobilitò la maggior parte del popolo italiano – leggendo incredulo l’e-mail che è arrivata anche questa mattina sulla mia posta elettronica di un direttore di un giornale di opposizione. Egli ritenendo di suggestionare e di evocare il mio spirito di oppositore di allora mi dice che bisogna fare una grande battaglia preventiva contro ogni riforma costituzionale, in quanto questa battaglia ha già visto l'adesione all'appello di «attori, scrittori, cantanti e uomini dello sport».
  Non faccio parte di nessuna di queste categorie di «mobilitabili» però tengo al futuro di questo nostro Paese se dico che, in questo Parlamento nel futuro interesse di entrambe le Camere al miglioramento dei contenuti della Costituzione, anche oltre queste categorie si troveranno le passioni, la cultura e la capacità per delineare, per la seconda parte della nostra Costituzione, una prospettiva di miglioramento e non una prospettiva di stravolgimento come, con tanta leggerezza, si è detto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Rampelli. Ne ha facoltà.

  FABIO RAMPELLI. Signor Presidente, colleghi deputati, Ministro Quagliariello, il tema delle riforme istituzionali accompagna il dibattito politico italiano, come è già stato fatto rilevare, almeno dalla fine degli anni Settanta, fino a risultare oggi per l'opinione pubblica persino poco credibile impugnarlo, farlo tornare centrale nel dibattito politico tra i partiti e le associazioni, i sindacati, le categorie, il corpo vivo e pulsante della nazione.
  Non è un caso se il Comitato per le riforme costituzionali ed elettorali, che oggi stiamo esaminando, trova i suoi precedenti nelle analoghe Commissioni istituite nel 1993 e nel 1997. La politica italiana degli ultimi vent'anni misura il proprio fallimento esattamente sulla sua incapacità di offrire alla nazione quell'impianto di riforme istituzionali praticamente da tutti invocate tranne da quella ristretta ed elitaria nicchia di nostalgici che da sempre hanno ritenuto che il secondo dopoguerra non dovesse mai passare. Ma la responsabilità della mancata modernizzazione dello Stato non è certamente la loro. Non appartiene a chi non fa mistero delle sue sovrastrutture ideologiche, a chi legittimamente scambia l'attuale Costituzione italiana per le tavole di Mosè, a chi è storicamente restio ai cambiamenti e teme l'elezione diretta del Presidente della Repubblica o il sindaco d'Italia, come più volte è stato definito anche dal collega del mio partito La Russa poco fa, come la realizzazione della pericolosissima tratta dell'alta velocità. La responsabilità enorme e ingiustificata ritengo sia da ascrivere ai leader dei partiti della Seconda Repubblica: è loro il fallimento.

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARINA SERENI (ore 11,55)

  FABIO RAMPELLI. Non c’è alcun tratto polemico, è una ricostruzione storica, è la cronaca politica degli ultimi vent'anni, porta il nome di Massimo D'Alema, di Romano Prodi, del Presidente Fini, del fondatore della Lega, Umberto Bossi, di Silvio Berlusconi, di Fausto Bertinotti, di Pier Ferdinando Casini: non sono – ripeto – accuse veementi, non vogliono esserlo. È la realtà oggettiva che ci porta ad iscriverli protagonisti di questi due decenni nel registro «degli indagati della politica» per mancata realizzazione di quelle riforme che promisero ai cittadini sulle macerie di Tangentopoli, chi più chi meno, la trasformazione del bipolarismo come potenziale strumento rivoluzionario per cambiare il sistema italiano in uno scontro costante e permanente, incapace di individuare il perimetro comune all'interno del quale far prevalere gli interessi e il bene comune.
  Oggi tuttavia la necessità di una riforma della nostra architettura istituzionale fa un salto in avanti. Si lega indissolubilmente anche alle esigenze di rilancio della crescita economica e di rafforzamento della coesione sociale. È un'aggravante non rendersi conto di questa importanza, di questa accelerazione lineare in una fase così complicata, così depressiva. Il costo di istituzioni inefficienti, infatti, per quanto sia uno spreco bello e buono, può essere assorbito nelle fasi espansive del ciclo economico, ma diventa insopportabile proprio nelle fasi recessive.
  Altro argomento ancora utile, è il confronto con le altre democrazie occidentali, che, al di là di giudizi accademici con cui si sono nutriti gli appassionati di filosofia della Costituzione, hanno architetture statuali molto più efficaci della nostra. Da un lato, l'eredità della dittatura ha indotto l'Italia a organizzare il proprio sistema democratico su una Costituzione repubblicana ipergarantista e prudente, dall'altro, la nostra natura conservatrice ci ha legati ancestralmente all'attuale Carta, facendoci percepire ogni anelito al cambiamento come una sorta di parricidio, o omicidio dei padri costituenti.
  Ecco, dunque, la necessità del processo riformatore all'attenzione oggi e, per l'ennesima volta, del Parlamento, se avessimo un minimo di amor proprio, diremmo: in modo inderogabile. L'ammodernamento delle istituzioni repubblicane costituisce una condizione essenziale per favorire la stabilità, per rendere più efficienti i circuiti decisionali di un sistema di governo multilivello tra Unione europea, Stato e autonomie territoriali, assai più complesso e articolato che nel passato, elevando per questa via la qualità della vita democratica, la partecipazione dei cittadini, la tutela dell'interesse nazionale e la trasparenza delle istituzioni.
  Sul tema, anche il Presidente della Repubblica, nel suo messaggio al Parlamento, stigmatizzò «la necessità» di non sottrarsi al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione praticabile, alla decisione netta e tempestiva per le riforme di cui hanno bisogno improrogabile, per sopravvivere e progredire, la democrazia e la società italiana. Non abbiamo mai avuto una sorta di adorazione verso i Capi di Stato in quanto tali, li abbiamo, quando hanno commesso degli errori, anche potuti incalzare con delle considerazioni e delle riflessioni magari diverse rispetto ai loro convincimenti, ma riteniamo, in questa circostanza, importante e fondamentale il richiamo di Giorgio Napolitano ad accelerare il treno delle riforme, sulla strada del futuro per l'Italia.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LAURA BOLDRINI (ore 13)

  FABIO RAMPELLI. Durante l'esame delle mozioni in tema di riforme costituzionali, nello scorso mese di maggio, questo Parlamento aveva accolto l'impostazione che, per avviare una stagione di riforme costituzionali di ampio respiro, occorresse definire un metodo capace di affrontare, secondo un disegno coerente, le Pag. 44principali questioni sinora irrisolte, anche richiamate nel discorso programmatico del Presidente del Consiglio, innanzi alle Camere all'atto del suo insediamento e concernenti la forma di Stato, la forma di Governo, il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari e la riforma del sistema elettorale, la quale, naturalmente, non potrà che essere coerente e contestuale con il complessivo processo di riforma costituzionale.
  Al fine di garantire che, in ogni caso, gli elettori non siano più chiamati a votare con la legge elettorale attualmente in vigore, appare necessaria una organica riforma della legislazione in materia che, a nostro avviso, dovrebbe modificare l'attribuzione del premio di maggioranza al Senato, al fine di favorire la governabilità, la fissazione di una soglia minima per l'attribuzione del premio di maggioranza assegnato alla coalizione vincente, sia alla Camera, sia al Senato, e la previsione di un metodo che consenta, almeno per la maggior parte dei seggi da assegnare, la possibilità per l'elettore di esprimere, con le preferenze, i candidati da eleggere.
  Con particolare riferimento alla legge elettorale, infatti, non si può dimenticare l'ordinanza dello scorso 17 maggio della Corte di Cassazione, che ha rimesso alla Corte costituzionale, giudicandoli rilevanti e non manifestamente infondati, gli atti relativi a una impugnativa per illegittimità costituzionale delle legge elettorale vigente laddove, in primo luogo, attraverso il meccanismo delle cosiddette «liste bloccate» inibisce la possibilità per l'elettore di esprimere la propria preferenza per un candidato e, in secondo luogo, attraverso l'attribuzione dei premi di maggioranza, «senza nemmeno la previsione di una soglia minima in voti o in seggi», può dare luogo a significativi scostamenti tra l'effettiva maggioranza parlamentare e la volontà popolare espressa dal voto.
  Occorre fare molta attenzione. In queste ore si parla nuovamente della possibilità di accedere con una sorta di scorciatoia al «mattarellum» e, quindi, a una sorta di ritorno al passato. Penso che sarebbe un errore imperdonabile ignorare che ancora di più in questa fase politica e in questa stagione le forze politiche devono avere la forza di compiere un passo indietro, di lasciare il baricentro della scacchiera ai cittadini e ritengo che il «mattarellum», così come fu concepito, rimanga uno strumento incompleto, se nel caso non fosse completato, appunto, e integrato da delle primarie tali da fare selezionare ai cittadini e agli elettori, come democrazia impone, i candidati nei vari collegi. Altrimenti, rappresenterebbe soltanto un gioco di prestigio. A un listino bloccato, imposto dalle oligarchie dei partiti, corrisponderebbe una sequela di candidati imposti esattamente da quelle stesse oligarchie di partito che fin qui hanno quasi prodotto la delegittimazione del parlamento italiano e, quindi, lo svuotamento del principio della sovranità popolare. Queste norme sono, quindi, state ritenute suscettibili di violare sia il principio costituzionale del voto «personale, eguale, libero e segreto», di cui parla l'articolo 48 della nostra Carta, sia quello relativo al suffragio universale e diretto, contenuto nell'articolo 56, sia, infine, persino il principio di uguaglianza, sancito dall'articolo 3.
  Ebbene, il disegno di legge costituzionale, che stiamo qui esaminando, ha accolto le richieste del Parlamento e reca l'auspicata procedura straordinaria di revisione costituzionale dei meccanismi elettorali. Ci auguriamo che il Comitato che ci apprestiamo a istituire, dando luogo a un lavoro comune delle due Camere, assicurerà un largo consenso parlamentare, garantendo effettivamente una tempistica certa e in linea con le attese del Paese e non perché sia la procedura più corretta. Conosciamo bene i rilievi di insigni costituzionalisti alla proposta del «Comitato dei 40» e all’iter stabilito che, a onore del vero, stupisce per larghi tratti anche Fratelli d'Italia. C’è chi parla di commissariamento e sicuramente di procedure discutibili, ma preferiamo batterci, per quel che ci riguarda, per garantire all'Italia quell'accelerazione, di cui molti hanno parlato, e per la concretizzazione delle riforme. Ci riserviamo di portare i nostri Pag. 45contenuti e di andare eventualmente verso una rotta di collisione con altri partiti sul merito e non sul metodo.
  Certo, le garanzie vanno salvaguardate, ma non si può fare finta di ignorare che questo è il luogo della decisione e che i cittadini si aspettano che queste decisioni siano informate intorno a concetti e principi sani. Certo, non si attendono «alambicchi» e bisticci in ordine alle procedure, agli articoli, ai capi e ai cavilli. Una volta tanto vorremmo che quest'Aula potesse confrontarsi e potesse conoscere anche il gusto dello scontro politico sul merito delle proposte portate all'esame del Parlamento. Dà anche più gusto scontrarsi sul presidenzialismo, per esempio, o sulla centralità della persona e delle famiglie nelle istituzioni italiane.
  Passaggi celebrati poco fa relativamente soprattutto alla legge elettorale, sulle due Camere con funzioni distinte separate e sulla cancellazione, per l'appunto, di ogni logica che vede una replicazione indistinta di una Camera sull'altra, su una legge elettorale che faccia contare i cittadini e non i partiti e le loro oligarchie. Per quello che ci riguarda, preferiamo combattere alacremente anche per l'esplicitazione – ecco perché anteponiamo la battaglia sui contenuti a quella sulle procedure e sul metodo – nella Carta costituzionale di alcuni ulteriori principi che ci appaiono fondamentali alla luce della peculiare condizione economica, tante volte sollevata e sottolineata, ma anche sociale della nostra comunità.
  Tra questi vogliamo citare, in primo, luogo l'inserimento di un tetto al prelievo fiscale tributario. Ciò permetterà di determinare un forzato virtuosismo nella gestione della spesa pubblica, che dovrà essere uniformata alla disponibilità massima di entrate dello Stato nelle sue diverse articolazioni, evitando il progressivo innalzamento del prelievo ai danni del contribuente. Mai più conti a piè di lista rispetto a una spesa pubblica enorme, gigantesca, insostenibile che mortifica il cittadino perché non rappresenta soltanto l'ingombrante presenza di un socio al 55 per cento della propria attività lavorativa e della propria economia materiale, ma rappresenta un'invasione di campo letterale in ordine alla propria sensibilità, alle proprie caratteristiche, alle proprie scelte di fondo, alle proprie scelte di vita. Troppe persone, con una pressione fiscale non normata dalla Carta costituzionale, si trovano ad essere condizionate, si pongono domande, chiedendosi se possono realizzarsi una famiglia, se possono permettersi di accendere un mutuo in banca, se possono permettersi di fare dei figli. Questa logica va sconfitta. L'inserimento di un tetto in Costituzione sulla pressione fiscale tributaria prevede che lo Stato sappia dove deve fermarsi.
  Tra questi vogliamo citare, ancora, in secondo luogo, la necessità che trovi posto nel dettato costituzionale la definizione del principio di equità generazionale, affinché sia impedita la formazione di debiti da trasferire alle successive generazioni. Noi, anche personalmente, qui, in quest'Aula, come rappresentanti del popolo, subiamo da qualche anno un attacco assolutamente legittimo da parte dei cittadini e della società. In pochi sanno o ricordano che, almeno le generazioni qui rappresentate, sono prevalentemente le vittime di una gestione della spesa pubblica vergognosa che ha attraversato settant'anni di storia italiana. Non li abbiamo fatti noi i 2 mila miliardi e passa di debito pubblico accompagnati – e per questo più drammatici – da un PIL che è sotto zero da tre anni e che è pari a zero negli ultimi dodici. Non li abbiamo fatti noi. Fuori i colpevoli.
  Ciò per determinare conseguenze virtuose quali, ad esempio, modalità obbligatorie di contenimento del debito pubblico e forme di razionalizzazione del sistema pensionistico tali per cui quanti da oggi avranno diritto ad un vitalizio determinato secondo il regime contributivo, non siano chiamati a sopportare l'onere di chi, per diritto acquisito, beneficia del calcolo retributivo. Quel meccanismo di cui abbiamo sentito parlare in Aula in queste ore, che va sotto il nomignolo di pensioni d'oro, e sul quale Fratelli d'Italia ha depositato una proposta di legge ad hoc, a Pag. 46testimonianza del fatto che non c’è alcun desiderio di fare finta o fare propaganda. E se gli amici...

  PRESIDENTE. Deve concludere.

  FABIO RAMPELLI. Concludo, Presidente. Chiedo scusa, ma il mio partito ha 36 minuti complessivi e il collega che mi ha preceduto non ha consumato i suoi 18, ma ne ha consumati solo 11.
  Quindi, in teoria, dovrei stare tranquillo rispetto alla possibilità di concludere il mio intervento. Ho bisogno solo di un minuto.

  PRESIDENTE. Prego.

  FABIO RAMPELLI. Come dicevo, i colleghi leghisti e i colleghi – tra virgolette – pentastelluti, se hanno intenzioni serie, magari, potrebbero dare un bel segnale e sottoscrivere questa proposta di legge: un segnale preciso contro tali inaccettabili, antistorici privilegi, purtroppo protetti da discutibili, forse sarebbe meglio definirle, vergognose sentenze della Corte costituzionale.
  In terzo luogo, la previsione della sovranità e dell'interesse nazionale, per i quali ogni atto, impegno o contribuzione determinata da organismi comunitari o sovranazionali che dir si voglia, potranno trovare applicazione previa – previa ! – valutazione della compatibilità con lo sviluppo economico dei cittadini italiani, delle famiglie italiane, con la sicurezza nazionale, con la loro qualità della vita.
  In quarto ed ultimo luogo, una più puntuale definizione delle forme politiche, dello status giuridico e dell'organizzazione di partiti e movimenti – ne stiamo discutendo, anche qui, chissà dove andremo a parare e come si concluderà questa discussione –, nell'ottica di garantire libertà di partecipazione, forme di democrazia interna e trasparenza nell'impiego delle risorse economiche (esattamente l'opposto di quello che è accaduto in questi diciotto interminabili anni di Seconda Repubblica); la previsione di una disciplina che, pur in vigenza dell'articolo 67, favorisca il rispetto della volontà popolare – questo è un altro punto qualificante –, troppe volte tradita da parte di parlamentari attraverso i cosiddetti ribaltoni; e, infine, l'estensione del diritto di elettorato attivo e passivo a tutti i maggiorenni. Questi i contenuti.
  La norma sul cosiddetto vincolo di mandato va ripensata, ponendo al centro la scelta politica e programmatica che hanno fatto gli elettori. Il popolo italiano, ascoltandoci negli interventi d'Aula, al di là del merito e dei contenuti, spero abbia maturato e possa maturare in futuro, con il dibattito che si svilupperà, la chiara sensazione che, qualora dovesse dipendere da noi, da Fratelli d'Italia, le riforme si faranno. Stavolta si faranno. Se ci sarà un'altra fumata nera, la punta delle lance andrà indirizzata verso altre zone dell'emiciclo, in quei settori occupati da chi non vuole fare, preferisce gorgheggiare, verso coloro che trasformano la politica da strumento per concretizzare decisioni a non luogo, habitat ideale per alambicchi, perdite di tempo, pasticci, pastrocchi, accordi sottobanco, piuttosto che accordi, ancora più inquietanti, a far finta di fare, per non fare. Noi impegneremo ogni energia per piegarli (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Lauricella. Ne ha facoltà.

  GIUSEPPE LAURICELLA. Signora Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, il disegno di legge costituzionale che ci proponiamo di approvare introduce, una tantum, una procedura che in parte deroga al principio e al procedimento previsto dall'articolo 138 della Costituzione per la revisione costituzionale. Una deroga concepita non per eludere la normale procedura di approvazione costituzionale, ma per semplificare il percorso, senza rinunciare all'aggravamento che la nostra Costituzione richiede, a garanzia dei suoi principi e delle sue norme.
  Anzi, il disegno di legge aggrava ulteriormente la procedura, laddove introduce, anche nel caso di approvazione con la maggioranza dei due terzi dei componenti, Pag. 47la possibilità di richiedere il referendum costituzionale. Ed è proprio tale strumento che offre una sicura ed ulteriore garanzia al diritto delle minoranze, che non avrebbero avuto se si fosse rimasti nell'ambito della procedura prevista dall'articolo 138 della Costituzione, che, com’è noto, limita l'accesso al referendum alla sola ipotesi di approvazione con la maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera.
  Peraltro, la previsione del disegno di legge costituzionale in ordine alla possibilità per le minoranze di richiedere, in ogni caso, il referendum, si rivela particolarmente significativa, attesa la larghissima maggioranza presente oggi in Parlamento che, in base all'articolo 138 della Costituzione, non avrebbe avuto difficoltà a raggiungere la maggioranza dei due terzi, evitando, appunto, il referendum costituzionale. Rimane, dunque, un referendum di tipo oppositivo, proprio quale strumento di garanzia delle minoranze. Sappiamo dei tentativi di fare apparire la procedura di cui discutiamo contraria alla Costituzione e lesiva delle garanzie costituzionali. Se così fosse stato il mio gruppo e il mio partito si sarebbero opposti, come si sono opposti all'idea di un iter in sede redigente, alla approvazione in seduta comune e all'assenza di un referendum a tutela dei diritti delle minoranze e delle rigidità della Costituzione.
  Anche l'istituzione del Comitato non poteva che essere paritetica perché altrimenti avremmo penalizzato la componente del Senato, data la sua composizione dimezzata rispetto alla Camera. In tal senso, con l'istituzione del Comitato, si è mantenuto lo stesso grado di dignità istituzionale e di peso tra Camera e Senato. Per il resto, la scelta di istituire il Comitato è meramente ispirata a snellire il procedimento, senza sacrificare la dignità e il diritto del Parlamento e di ciascun parlamentare. Oggetto della revisione sono i Titoli I, II, III e V, della Parte seconda, non includendo, ovviamente, i principi fondamentali, la magistratura e le garanzie costituzionali. Siamo, dunque, di fronte ad una revisione che toccherà varie parti della Costituzione, ma non ad una revisione di tipo integrale che riguarderebbe l'intero testo della Costituzione; una revisione, dunque, che non vuole sostituire una Costituzione con un'altra, ma aggiornare e rendere più efficiente la nostra, in ragione delle dinamiche economiche e sociali che oggi richiedono un'organizzazione dello Stato adeguata.
  Verrà dopo il momento di discutere e scegliere in ordine alla forma di Stato, alla forma di Governo, alla struttura e al ruolo del Parlamento e alla legge elettorale, al Presidente della Repubblica, oltre alle regioni e agli enti locali; tutti istituti, strutture ed organi che vanno guardati e rivisti secondo una logica di insieme se si vuole costruire un sistema organico, funzionale e coerente. Credo che, in ogni caso, non si possa prescindere da un aspetto: il rafforzamento del ruolo di controllo e di garanzia democratica del Parlamento, qualsiasi sarà la forma di Governo che si riterrà di assumere, atteso che persino nelle forme di Governo presidenziali il riconoscimento del ruolo di controllo ed equilibratore del Parlamento è assoluto.
  Allo stesso modo, seria ed attenta dovrà essere la scelta del ruolo e delle funzioni che dovranno attribuirsi alle regioni, anche a seguito della soppressione delle province. Andrà rivisto l'articolo 117 nella distribuzione della potestà legislativa, anche in relazione alla struttura differenziata che dovrà assumere il Parlamento. In questo quadro e in base al grado di decentramento che si deciderà di adottare, probabilmente, potrà essere presa in considerazione, anche se è materia ordinaria, una migliore organizzazione della giustizia amministrativa di secondo grado; così come, qualora dovesse venir meno il principio di unicità della giurisdizione costituzionale, nell'ipotesi di una propensione più federale, si potrà valutare l'opportunità di istituire organi di garanzia statutaria sul modello dell'Alta Corte per la regione siciliana o dei tribunali costituzionali statali del modello tedesco.
  Dobbiamo costruire un sistema costituzionale agile, e nel contempo forte e capace di affrontare le ulteriori prove Pag. 48difficili di oggi e di domani. Un sistema capace di far valere la propria autonomia e le proprie garanzie, sapendo che i principi fondamentali quali il diritto al lavoro, la libertà, la dignità, l'uguaglianza e la solidarietà si difendono adottando un sistema di quegli strumenti di Governo, di garanzia e di democrazia capaci di non cedere anche di fronte a spinte istituzionali o finanziarie interne o esterne al sistema.
  Mai più dovranno essere assunte scelte che contraddicono i valori e la ratio che hanno ispirato i nostri costituenti e la nostra Costituzione. Stiamo avviando un percorso il cui risultato costituirà la struttura fondamentale, soprattutto per le future generazioni. Dunque non possiamo sbagliare, dobbiamo sentire fin d'ora il peso di questa responsabilità, con la consapevolezza di essere di fronte all'ennesima e forse decisiva occasione. Ma oggi non siamo spettatori esterni, noi parlamentari siamo i responsabili diretti di questo enorme compito. Possiamo essere ricordati come coloro che ancora una volta non ce l'hanno fatta oppure come coloro che hanno offerto con impegno, passione e responsabilità una Carta fondamentale per il bene e nell'interesse del popolo italiano (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Michele Nicoletti. Ne ha facoltà.

  MICHELE NICOLETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, il disegno di legge costituzionale di cui discutiamo suscita dentro e fuori le Aule parlamentari discussioni appassionate. È una fortuna che ciò avvenga. La nostra tradizione parlamentare e costituzionale si nutre, infatti, non solo del rispetto della libertà di pensiero, da cui essa scaturisce e che essa deve costantemente tutelare, ma si nutre anche del gusto per la libertà di pensiero, che sa che la ricerca della giustizia possibile passa sempre e solo dall'ascolto dell'una e dall'altra parte, dal confronto con le opposizioni assai antagoniste, perché solo nel contraddittorio si mette alla prova la forza di ogni argomento. E per questo, mentre ci battiamo per difendere le nostre idee, dobbiamo lasciarci prendere dall'ascolto delle ragioni altrui. È una fortuna che la discussione costituzionale appassioni, appassioni perfino il meccanismo di revisione della Costituzione stessa. In Assemblea costituente, quando giunse la proposta, non vi fu nessun emendamento e il Presidente allora si stupì che la discussione così vivace che era seguita agli altri articoli non avvenisse su questo tema, quasi preoccupato che il futuro della Costituzione fosse qualche cosa che non interessava ai costituenti. Invece, oggi, se la Costituzione è avvertita dalla stragrande maggioranza del popolo italiano come una realtà vivente, capace di dare efficacia e tutela giuridica alla nostra vita personale e collettiva, è anche perché attraverso le infinite discussioni, gli innumerevoli progetti di riforma e perfino attraverso i maldestri e fallimentari tentativi di alterarla, è diventata sempre più la Costituzione di tutti, che ciascuno può avvertire come la propria Costituzione, anche più giovani, ossia coloro che temporalmente sono più lontani dall'epoca e dalle generazioni che l'anno scritta. In un Paese dall'educazione civica incerta questo sentimento di attaccamento alla Costituzione è certamente positivo e guai a chi interpreta tutto questo come il frutto di mere strumentalizzazioni politiche.
  Dobbiamo però riconoscere che la presente formulazione di questo disegno di legge è il frutto di questa discussione pubblica, di questa messa al vaglio e se si vuole anche di questa purificazione da formulazioni e previsioni originarie che contenevano non pochi margini di ambiguità. Questo è il segno della fecondità del dibattito pubblico e parlamentare attraverso cui si forma la volontà collettiva che si esprime nelle leggi. Non perdiamo mai l'occasione, pur nella dialettica delle opposizioni, di partecipare costruttivamente a questa formazione discorsiva della volontà collettiva. È bene, perciò, che il percorso che il disegno di legge ci propone nella sua forma attuale abbia abbandonato Pag. 49ogni volontà costituente e abbia recuperato quel senso storico della Costituzione.
  Qualcuno ancora si accosta alla Costituzione come se essa nascesse dall'intreccio di un certo numero di cervelli pensanti rinchiusi in una stanza per un certo numero di settimane, come se le Assemblee costituenti americana o francese, italiana o tedesca non avessero avuto alle spalle lotte e rivoluzioni, guerre e resistenze, secoli o decenni di pratiche oppressive o liberatorie. È la storia il vero grembo in cui i concetti di sovranità popolare, Parlamento, libertà di coscienza si sono forgiati, dando espressione e forma vivente alle speranze di libertà e giustizia, agli interessi materiali che anelavano a un riconoscimento.
  In questo senso, la via prevista dai costituenti all'articolo 138 non era solo il frutto della loro volontà di irrigidire la Carta, rendendo difficile e impervia l'opera di riforma, ma era espressione di una concezione della Costituzione che la vedeva come il frutto della storia e al tempo stesso come generatrice di storia, ossia di prassi comuni, di azioni che ripetendosi nel tempo davano vita a quella Costituzione vivente che è non solo il testo scritto, ma l'insieme di norma e pratica, dottrina e interpretazione, giurisprudenza e revisione, e dunque come ogni realtà vivente, realtà che non è fatta una volta per tutte, ma che «si fa» nella storia.
  Nei Paesi anglosassoni, dove il costituzionalismo ha radici profonde, non c’è frenesia costituente. Lì il diritto è sempre un'opera storica. Per noi talvolta sembra che sia solo opera di un intelletto astratto. Ogni piccolo legislatore si sente un Dio che dà le leggi al suo popolo guadagnandosi così l'immortalità. In una bella pagina della storia costituzionale italiana, Rosmini, introducendo la sua proposta di Costituzione nel 1848, criticava i francesi che concependo la politica come opera di un'astratta ragione calcolatrice, vedevano la Costituzione come Minerva, che esce bell'e fatta dalla testa di Giove, scanso poi modificarla a distanza di due o tre anni in un continuo revisionismo costituzionale, in ciò diversi dagli inglesi e dagli americani che procedevano per accumuli, stratificazioni, emendamenti. In loro la Costituzione rimaneva sempre il frutto dell'accumulo delle sofferenze e delle lotte, il lento prender forma della vita individuale e collettiva nel tempo.
  La possibilità dunque di una revisione della Costituzione non deve scandalizzare. Al contrario, è la testimonianza della sua natura storica, del suo essere democratica e dunque aperta a forme nuove di convivenza.
  Come è stato detto, il processo di revisione si oppone alla tirannia intergenerazionale, al rischio dell'imposizione perpetua di una determinata forma. Ma se la revisione è possibile, essa dev'essere guidata da alcuni criteri. Il primo di questi è quell'atteggiamento che all'inizio del Novecento si definiva «pudore costituzionale», espressione che non era solo un lascito culturale dell'età vittoriana, ma esprimeva il profondo rispetto che doveva animare chi si accostava nelle azioni e nelle parole alla Costituzione. La ripresa di un po’ di quel pudore, di quella radicale umiltà che accompagnò i costituenti nel secondo dopoguerra non dovrebbe oggi guastare e mettere in guardia da ogni tentativo di procedere a proposte frettolose. Qui sì c’è l'importanza del fattore tempo su cui forse si poteva meditare ulteriormente nel presento disegno di legge, anche se sui tempi complessivi andrebbe forse ricordato che l'Assemblea costituente aveva dato a sé stessa otto mesi, poi prorogati a quattro ulteriori, e poi, con due leggi costituzionali, altre due proroghe per portare a compimento l'intero disegno costituzionale.
  Il secondo criterio è la ricerca del più ampio consenso. La maggioranza qualificata prevista dall'articolo 138 non è solo un fatto numerico, è l'idea della natura pattizia e plurale. La Costituzione fu approvata dalla stragrande maggioranza dei Costituenti (453 su 515) e fu il frutto di uno straordinario incontro tra culture diverse e plurali unite nella stessa tradizione umanistica. C'era non solo la necessità di tollerare il pluralismo, ma la volontà di Pag. 50onorarlo e di tenerlo in vita perché la Costituzione è strumento di integrazione del diverso.
  Per questo non vi possono essere maggioranze precostituite, né confusioni tra maggioranze di Governo e maggioranze costituzionali. È superfluo ricordare che durante la sua vita l'Assemblea Costituente dovette votare la fiducia a più Governi a composizione diversa: il secondo e terzo Governo De Gasperi, con la partecipazione della Democrazia Cristiana, del Partito Socialista di Unità Proletaria e del Partito Comunista, e il quarto Governo De Gasperi dopo la rottura con le sinistre. Nonostante questa rottura sul piano del Governo, l'Assemblea portò a termine i suoi lavori.
  Si ricerchi dunque fino all'ultimo il dialogo e l'intesa anche con le opposizioni, in un momento in cui le forze dell'attuale maggioranza devono essere consapevoli che una larga fetta del Paese non si sente rappresentata da loro; ed è dentro il Parlamento, nelle forze di opposizione, ed è fuori dal Parlamento, nel vasto astensionismo.
  E qui c’è l'ultimo criterio, cioè la previsione di un ricorso al referendum. Si sa che in materia costituzionale il referendum ha avuto fin dall'inizio una duplice interpretazione: come elemento integratore del processo legislativo...

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  MICHELE NICOLETTI. Concludo. Così Mortati, così attento alla diretta partecipazione popolare; dall'altro come elemento correttivo. La previsione del presente disegno di legge sembra riprendere quell'ispirazione originaria di Mortati, e non rinunciare quindi alla democrazia rappresentativa ma sostanziarla, anche col ricorso al referendum.
  Si eserciti dunque con umiltà il processo di revisione, su singoli punti e per tappe: riducendo il numero dei parlamentari, superando il bicameralismo perfetto, dando spazio e forza alle autonomie locali, in armonia con il quadro nazionale ed europeo. E soprattutto rafforzando il ruolo del Parlamento, secondo la bella espressione di Cavour: «La più malvagia delle Camere è sempre preferibile alla migliore delle anticamere». Questo è il luogo più alto della discussione e della deliberazione pubblica, e in questo processo noi lo dobbiamo onorare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Stefano Quaranta. Ne ha facoltà.

  STEFANO QUARANTA. Signor Presidente, colleghi, signor Ministro, ho apprezzato i toni anche degli ultimi interventi che mi hanno preceduto; e tuttavia, delle tante discussioni fatte in Aula e proposteci dal Governo, questa a me pare la più bizzarra e sinceramente, personalmente, la meno gradita.
  Non del Governo in effetti dovrebbe essere l'iniziativa su questi temi: dovrebbe essere del Parlamento, e il Governo credo di ben altro avrebbe da occuparsi, in un periodo come questo. Non si vede in effetti a mio giudizio l'urgenza delle riforme costituzionali, che giustifichino addirittura percorsi non ordinari, ex articolo 138; e le curiose scelte procedurali temo celino ancora più indigeste riforme di merito, che ci accingeremo a vedere poi nel seguito.
  Non facciamo naturalmente caricature di chi la pensa diversamente: a noi è del tutto chiaro che servono alcune riforme di carattere costituzionale. Ovviamente, riforme che attengono alla manutenzione ordinaria della Carta, sapendo che questo Parlamento non ha potere costituente ma di semplice revisione costituzionale; anche tenendo conto, ahimè, che invece ci si propone uno spettro amplissimo di materie, e non semplici e piccoli ritocchi della Carta costituzionale.
  Questo lo dico perché le riforme di cui discuteremo non sono state fatte, non sono state proposte limpidamente davanti all'elettorato (cosa che forse chi pretende di avere poteri costituenti avrebbe dovuto fare); e a fronte di un sistema che sappiamo bene essere ipermaggioritario, e che in qualche modo modifica anche gli equilibri Pag. 51parlamentari. Ed in presenza – vorrei sottolineare anche questo – di una maggioranza parlamentare anomala, non votata dagli elettori, e che ha tuttavia pensato di mettere le riforme costituzionali nel suo programma di Governo: cosa anche questa che trovo di per sé discutibile, essendo questa materia parlamentare e non di Governo.
  Non perché ovviamente – lo ribadisco e lo ripeto – non si debba intervenire su una serie di materie. Noi l'abbiamo sempre detto: rafforzare, dal nostro punto di vista, il parlamentarismo, contro il bicameralismo perfetto; regolare i referendum abrogativi; sul numero dei parlamentari, rispetto ai quali abbiamo già presentato anche delle proposte; sulla sfiducia al Governo; circostanziare l'articolo 49, non solo occupandosi degli aspetti relativi al finanziamento delle forze politiche, ma anche alla qualità della nostra democrazia, che vuol dire la democrazia dei partiti e nei partiti.
  Ma tutto questo a nostro giudizio con i tempi e con le regole ordinarie, non diciamo con questo tipo di procedura. Il punto di fondo però, tuttavia, su cui a me piacerebbe che anche in quest'Aula ci fosse una riflessione è se la nostra Costituzione è stata in questi anni un baluardo della democrazia e un punto di tenuta anche nelle fasi difficili del nostro Paese, oppure se – questo lo dico anche naturalmente grazie al ruolo super partes che ha avuto il Presidente della Repubblica, che è garanzia per tutti noi – invece si è trattato di un impedimento e se il punto è stravolgerla cioè modificarla in maniera molto ampia, tenendo conto di tutti i Titoli della seconda parte della Costituzione che si vogliono modificare, oppure farla vivere pienamente, perché diciamo sempre tutti che è una Costituzione assai moderna, soprattutto nei suoi principi; mi piacerebbe che in quest'Aula ci si ponesse il tema di come farla vivere pienamente, di come la grandezza della nostra Costituzione, che risuona in tutto il mondo, fosse realmente applicata. Di questo ahimè non si parla a partire dal tema del diritto al lavoro.
  Ora io naturalmente con i miei colleghi siamo molto curiosi di conoscere quali saranno poi le presunte proposte modernizzatici che si celeranno dietro questo percorso di riforme, quindi per ora ci atteniamo al metodo e quindi proverò ad elencare brevemente tutte le cose che dal nostro punto di vista non funzionano.
  Allora, questa procedura straordinaria, già usata nel 1993 e nel 1997 ha dei precedenti; tuttavia siccome anche in quel caso si portò a referendum un testo che era assolutamente disomogeneo e che prevedeva tante materie messe insieme e questo errore non lo si sta rifacendo oggi, per fortuna almeno questo, vuol dire che anche i precedenti si sono sbagliati e a volte possono non essere ripercorsi.
  L'articolo 138 dal nostro punto di vista è modificabile, certamente modificabile ma non derogabile e trovo che sia curioso del resto che si voglia derogare all'utilizzo dell'articolo 138 proprio la volta in cui si vogliono riformare e modificare moltissime materie e quindi non si pensi di abrogarlo, ma solo di derogare, per poi invece magari utilizzare quel percorso lì quando si tratterà di fare dei piccoli aggiustamenti. C’è qualcosa che non torna in questo ragionamento, quindi una o più parti sarebbero definitivamente modificate, questo sì, però con una deroga una tantum rispetto al percorso.
  Quindi dal nostro punto di vista il percorso giusto, ovvio, chiaro e limpido sarebbe stato l'articolo 138 disponendo una serie di disegni di legge costituzionali sulle singole materie. Poi c’è questa anomalia che dicevo all'inizio del ruolo del Governo, francamente non capisco, la revisione della Carta costituzionale non ha nulla a che fare con maggioranze parlamentari che sono per loro natura contingenti e passeggere, e il fatto che l'iniziativa sia partita dal Governo ha poi dei riflessi anche ulteriori successivi ad esempio sul regime privilegiato concesso al Governo rispetto agli emendamenti, che di fatto sono equiparati a quelli del Comitato, altra cosa che trovo curiosa.
  Poi c’è il problema dei tempi, che abbiamo illustrato molte volte, la doppia Pag. 52approvazione intervallata dal periodo di riflessione è forse diciamo opportuna sempre, ancor più opportuna nel momento in cui si ha la pretesa di affrontare tutta una serie di temi che riguardano la seconda parte della Costituzione. I 18 mesi previsti comunque dal Governo oltre i quali deve essere per forza chiuso l'esame, come se di nuovo la riforma della Costituzione dovesse essere soggetta più a equilibri di natura politica e legati alla natura di questo Governo, e qui stiamo parlando di riforme che resteranno nella vita del nostro Paese, che dureranno per lustri, li possiamo sottoporre forse al fatto che questo Governo probabilmente non arriverà alla fine della legislatura ? E poi ovviamente la composizione del Comitato, che è stato fatto anche questo sulla base di criteri secondo me un po’ stravaganti, cioè non la proporzionalità dei gruppi parlamentari, cosa che si è sempre utilizzata, ma di nuovo siccome il tema della riforma costituzionale è legato agli equilibri della maggioranza di Governo, si è andato a vedere questo criterio curioso dei voti presi alle elezioni. Poi dicevo, l'ampiezza delle materie trattate che oggettivamente portano a dire che non si tratta di una manutenzione ma di un profondo stravolgimento della Carta costituzionale, parliamo della forma di Stato, di Governo, del bicameralismo e di tutte le altre cose. Limiti oggettivi anche all'emendabilità del testo rispetto al percorso che è stato previsto, i tempi contingentati in ogni passaggio. Ecco unica nota forse positiva è quella della referendum confermativo, che è stata anche qui indicata.
  Ovviamente, sarebbe stato molto più positivo se i tempi fossero stati rispettati, per far maturare anche una coscienza del Paese rispetto alle riforme che si stanno per fare. A me, quindi, non è chiaro, e continuo a ribadirlo, il perché si sia voluto abbandonare il percorso previsto dall'articolo 138. Mi pare che ciò risponda, ripeto, a esigenze congiunturali e strumentali, che nulla hanno a che fare con l'efficienza delle nostre istituzioni. A me dispiace particolarmente che a questo metodo si siano attenute tutte le forze politiche della maggioranza, anche quelle con cui io continuo a rivendicare un rapporto privilegiato e rispetto alle quali spero che i prossimi anni ci rivedranno di nuovo insieme nel Governo di questo Paese.
  Vorrei far riflettere, e concludo veramente su questo: io non vorrei che la politica, che in questi anni ha dimostrato di essere incapace di riformarsi, che ha fatto tanti errori e ha dato un cattivo spettacolo, che ha fallito nel Governo del Paese, tanto che, addirittura, in una fase molto ravvicinata, ci siamo dovuti rivolgere al Governo dei tecnici, e oggi siamo in questa «strana maggioranza» che governa il Paese, non vorrei che questa classe dirigente volesse autoassolversi, anche, di tutti questi fallimenti, gettando le responsabilità della sua incapacità sulla riforma delle istituzioni, le quali, invece, sono state il baluardo, la gloria, la fonte d'ammirazione all'estero del nostro Paese.
  Rischiamo di rovinare l'unico punto di tenuta che ancora avevamo in Italia (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Andrea Giorgis. Ne ha facoltà.

  ANDREA GIORGIS. Signor Presidente, Ministro, onorevoli colleghi, vorrei soffermarmi sul significato politico del percorso che si sta per intraprendere e vorrei, in particolare, soffermarmi sul significato politico che noi del Partito Democratico attribuiamo alle riforme costituzionali.
  A questo proposito, vorrei iniziare con l'evidenziare le trasformazioni che sono state introdotte nel testo oggi in discussione rispetto a quanto contenuto nel rapporto dei saggi nominati dal Presidente della Repubblica nel corso della crisi di Governo e rispetto alle stesse dichiarazioni programmatiche del Presidente del Consiglio in sede di votazione della fiducia.
  Si tratta di trasformazioni significative, che hanno ridotto al minimo le differenze tra il procedimento avviato e quello disciplinato dall'articolo 138 della Costituzione. Vorrei ricordare, a questo proposito, che il Comitato opererà in sede referente, vorrei Pag. 53ricordare la composizione del Comitato – tendenzialmente proporzionale – e vorrei ricordare il carattere separato del procedimento – Camera e Senato – e le innovazioni che sono state previste, che sono, in alcuni casi, innovazioni che hanno accentuato la rigidità dello stesso percorso previsto dall'articolo 138.
  Lo hanno già ricordato altri colleghi nei precedenti interventi: il prevedere la possibilità di referendum anche in caso che la riforma sia approvata con la maggioranza qualificata dei due terzi, significa aggravare il procedimento, e non certo ridurlo a un procedimento di legge ordinaria. Lo stesso vale per quanto riguarda l'oggetto dell'eventuale referendum, e cioè l'esplicita previsione di consultazioni su progetti distinti e omogenei.
  Perché ho voluto sottolineare queste differenze tra le ipotesi che erano state avanzate allorché si è iniziato a discutere della necessità di riforme, e l'atto che noi oggi stiamo discutendo in quest'Aula ? Perché queste differenze ci dicono qual è il verso nel quale si intende procedere, la direzione nella quale queste Camere intendono operare.
  Il verso è quello del rispetto pieno della Costituzione. Noi, qui, stiamo per dare vita a un procedimento che non è nemico della Costituzione; è, al contrario, il tentativo, sul piano giuridico, di rivitalizzare la democrazia, di ricostruire un rapporto di fiducia nelle istituzioni rappresentative, rafforzandone la capacità di governo e l'autonomia dal potere economico e da quello dei mezzi di comunicazione.
  Se si volesse riassumere in maniera sintetica qual è il significato politico che noi attribuiamo a questo percorso, potrei dire così: questo percorso viene attuato, e da noi con convinzione sostenuto, per difendere la perdurante validità della stessa Costituzione e dei principi fondamentali che in essa sono sanciti. Io credo che sia difficile non cogliere la distanza che oggi separa le istituzioni rappresentative, il Parlamento, dalla fiducia dei cittadini e sia anche difficile non registrare la difficoltà che la nostra forma di governo incontra nell'esercitare quella funzione di Governo, quella funzione di decisione politica che è necessaria, proprio per tutelare coloro che dal dispiegarsi delle dinamiche competitive del mercato non ricevono adeguata tutela. Quindi, noi siamo convinti, non solo della necessità, ma anche dell'urgenza di procedere a questa riforma, naturalmente con quell'atteggiamento di pudore costituzionale, di rispetto nei confronti del dissenso e delle preoccupazioni che molti hanno animato. Però, a coloro che hanno guardato a questo percorso come a un percorso che stravolge la Costituzione, come a un percorso che intende fare carta straccia di un patrimonio di valori e di principi che hanno consentito al nostro ordinamento di iscriversi a pieno titolo tra le democrazie sostanziali che si sono realizzate in Europa, io vorrei cercare di rispondere con l'impegno solenne in quest'Aula ad entrare nel merito del percorso di riforme, muovendo dalla convinzione che nessuna modifica potrà essere da noi mai sostenuta se quella modifica dovesse apparire come uno stravolgimento dei principi fondamentali della Costituzione e nessuna modifica potrà essere da noi sostenuta se dovesse apparire come una modifica volta a marginalizzare il ruolo del Parlamento. Nel sottolineare questa prospettiva, questo atteggiamento, vorrei anche insistere su un profilo di merito al quale troppo spesso si trascura di prestare attenzione: vorrei sottolineare come la capacità delle istituzioni rappresentative e, in particolare, la capacità di svolgere una funzione di effettivo governo delle dinamiche economiche, necessiti di partecipazione organizzata e meditata, necessiti, cioè, di partiti politici in grado di interpretare attese e domande sociali, e di promuovere processi di integrazione sostanziali e razionali. Se viene marginalizzato il ruolo dei corpi intermedi e i partiti perdono capacità rappresentativa e capacità di integrazione, viene meno anche la capacità decisionale e di governo delle istituzioni politiche. Io credo che se noi muoviamo da questa consapevolezza, che è la consapevolezza che anima tutte le Carte costituzionali del secondo dopoguerra, allora noi avremmo molti argomenti Pag. 54per persuadere coloro che guardano a questo processo di riforma con preoccupazione e con timore e potremmo rispondere avanzando delle soluzioni che, nel solco della maggior parte delle democrazie europee, cercano di rafforzare il ruolo e la capacità decisionale del Parlamento, innanzitutto superando l'attuale bicameralismo paritario, e razionalizzando il rapporto tra Parlamento e Governo, anche attraverso, ad esempio, l'introduzione della sfiducia costruttiva e l'incremento dei poteri del Presidente del Consiglio, sia nell'ambito del Governo, sia nell'ambito del procedimento legislativo. A queste modifiche costituzionali, sicuramente rilevanti, è però necessario che se ne affianchino altre, che si muovono sul piano dei Regolamenti parlamentari e sul piano legislativo.
  A quest'ultimo proposito non è il caso qui che forse si ricordi l'importanza e l'urgenza di una modifica della disciplina elettorale. Anche in questo caso, tuttavia, occorre muovere alla ricerca di soluzioni che sostengano il radicamento dei partiti quali strutture che organizzano la partecipazione e concorrono a tessere legami sociali. Pur senza escludere la rappresentanza di quelli minori, dobbiamo ricercare soluzioni che premino quelli più grandi che si propongono come aggregatori di maggioranze alternative.
  Io credo che se sapremmo mantenere l'impegno che è stato dichiarato allorché questa legislatura è nata, cioè quello di rendere la nostra democrazia parlamentare maggiormente capace di rendere possibili l'effettività di quei principi fondamentali e fondanti che sono contenuti nella Prima Parte della Costituzione, noi potremmo a buon diritto ritenere di essere riusciti a scongiurare tutte quelle preoccupazioni, tutte quelle critiche che oggi noi ci sentiamo muovere e che dobbiamo cercare di superare attraverso buoni argomenti e, soprattutto, attraverso decisioni che dimostrino qual è il reale intendimento e il reale significato politico di questo percorso di riforma costituzionale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Per un richiamo al Regolamento (ore 13,50).

  ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare per un richiamo al Regolamento.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, faccio un brevissimo richiamo al Regolamento e se ho la fortuna di avere la pazienza del Ministro per solo un paio di minuti questo non può che farmi piacere. Ieri, signor Presidente, la Conferenza dei capigruppo, in applicazione del comma 2 dell'articolo 69, ha deliberato l'urgenza di alcuni progetti di legge, sulla base di una richiesta che è stata a lei formula da alcuni parlamentari, 45 per l'esattezza, che chiedevano – esattamente leggo – «l'urgenza per le proposte di legge n. 632 Migliore e altre», tutte vertenti su un'unica ed esclusiva questione: il ritorno a una legge che si chiama Mattarellum.
  Ora, siccome non ho visto delle smentite e volevo approfittare della presenza del Ministro, leggo che ieri il Ministro ha dichiarato al Corriere della Sera: «È evidente che l’iter che si avvia in Parlamento è coerente con il programma del Governo, nella misura in cui l'urgenza riguarda la correzione delle criticità evidenziate dalla Corte costituzionale e dalla Cassazione». Allora intervengo semplicemente perché, Presidente, fuori da qui possiamo dire quello che vogliamo, qui occorre che la verità sia chiara a tutti e sia sulla base delle decisioni, alle quali anche il Governo deve inchinarsi perché sono le decisioni del Parlamento.
  Ieri la Conferenza dei capigruppo, sulla base di quanto previsto dall'articolo 69, ha deliberato l'urgenza di quelle proposte di legge. Questo ovviamente lo sappiamo tutti, non toglie che a settembre il Governo possa presentare tutte le proposte che vuole e chiederne l'urgenza o abbinarle, quello che vogliamo; ma la decisione parlamentare, prima che politica, di ieri è una sola: l'urgenza, in particolare richiesta dal capogruppo Migliore, sulla proposta di legge presentata dal deputato Migliore. Pag. 55Questo è quello che è stato deliberato ieri dalla Conferenza dei capigruppo, poi se altri richiedono l'urgenza su altre proposte di legge questo ovviamente è fattibile, basta semplicemente che rispetto a quello che è accaduto ieri sia chiaro che ieri non è stata approvata l'urgenza per la correzione dell'attuale legge elettorale, ma per una cosa completamente diversa che inevitabilmente sarà anche oggetto del dibattito che sicuramente avverrà in Commissione (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, MoVimento 5 Stelle e Sinistra Ecologia Libertà).

  GAETANO QUAGLIARIELLO, Ministro per le riforme costituzionali. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  GAETANO QUAGLIARIELLO, Ministro per le riforme costituzionali. Signor Presidente, ringrazio l'onorevole Giachetti per questa precisazione. Mi sono limitato a confermare quello che è lo stato della discussione dei lavori interni al Governo. Ribadisco: ovviamente questi lavori e questa discussione, che si è svolta all'unanimità (non ho sentito alcuna voce dissidente), hanno una sua autonomia rispetto alle decisioni del Parlamento, com’è giusto che sia. Però le confermo che, all'interno del Governo, si è sempre discusso di applicare, per così dire, quella che il Presidente Letta chiama una safety net che tenga conto delle sentenze della Corte e della ordinanza della Cassazione. Comunque la ringrazio per la sua precisione.

  PRESIDENTE. In ogni caso, ieri la delibera della Conferenza dei presidenti di gruppo è stata chiara. Poi il lavoro verrà stabilito anche dalla I Commissione, qui è presente il presidente Sisto e, quindi, verrà stabilito nel corso dei lavori.
  Sospendo la seduta, che riprenderà alle 14,30.

  La seduta, sospesa alle 13,55, è ripresa alle 14,35.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARINA SERENI (ore 14,35)

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, il deputato Meta è in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
  Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione.

(Ripresa della discussione sulle linee generali – A.C. 1359)

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Naccarato. Ne ha facoltà.

  ALESSANDRO NACCARATO. Signor Presidente, Ministro, deputati, il disegno di legge in discussione avvia il percorso per esaminare le proposte di riforma costituzionali relative agli articoli dei Titoli I, II, III e V della Parte seconda della Costituzione. Il testo riprende gli indirizzi contenuti nelle mozioni parlamentari approvate a maggio dal Senato e dalla Camera e contribuisce a realizzare la volontà, espressa in più occasioni in tempi recenti dalla quasi totalità delle forze politiche, di approvare le riforme necessarie ad assicurare l'effettività delle garanzie e dei diritti sanciti nella Parte prima della Costituzione.
  Il percorso e il metodo indicati dal disegno di legge prevedono tre elementi principali di deroga transitoria all'articolo 138 della Costituzione: l'istituzione di un Comitato parlamentare bicamerale per svolgere i lavori istruttori delle proposte di riforma prima dell'esame delle due Camere, una riduzione da 90 a 45 giorni Pag. 56del periodo minimo che separa la prima e la seconda votazione dei due rami del Parlamento, l'introduzione della facoltà di promuovere un referendum costituzionale anche in caso di approvazione dei disegni di legge di riforma con una maggioranza di due terzi della Camera e del Senato. La procedura prevista è caratterizzata dalla scelta di rispettare e rafforzare i due principi fondamentali contenuti nell'articolo 138: la tutela delle minoranze e il conferimento dell'ultima parola al popolo. In sostanza, la deroga transitoria serve proprio a rafforzare questi due principi. Infatti, il testo prevede, per la composizione del Comitato, criteri che bilanciano la consistenza numerica dei gruppi parlamentari con il consenso elettorale delle forze politiche, correggendo l'effetto negativo dell'irragionevole premio di maggioranza assegnato dalla legge elettorale e assicurando maggiore equilibrio e, in particolare, una maggior presenza delle minoranze. Prevede, inoltre, la possibilità del referendum costituzionale anche in caso di approvazione delle riforme con la maggioranza dei due terzi delle Camere in seconda deliberazione.
  Viene rafforzata così ed estesa la garanzia del voto popolare. Si tratta, dunque, di un percorso collocato nel Parlamento, strumento attraverso cui si esprime la sovranità popolare, e che amplia le tutele delle minoranze estendendo la possibilità di ricorrere al referendum confermativo. Il dibattito sul disegno di legge è stato caratterizzato, almeno finora, da alcune critiche superficiali assolutamente infondate. Abbiamo sentito e letto bugie grossolane che accusano il provvedimento di essere un grimaldello per stravolgere la Costituzione, di essere un tassello per introdurre il presidenzialismo. Per rispondere a queste falsità mi sembra opportuno e utile ricondurre il dibattito all'oggetto del disegno di legge e, innanzitutto, la proposta indica un percorso, un metodo per discutere ed esaminare la proposta di riforme, non entra nel merito delle riforme stesse.
  Pertanto, tutte le critiche su presunti disegni presidenzialisti o di stravolgimento della Costituzione sono fantasie e invenzioni che nulla hanno a che fare con il testo in esame. Si è sostenuto che il disegno di legge, istituendo un Comitato parlamentare bicamerale, determina una sospensione dell'attività delle Camere ed è significativo che questa critica venga avanzata da chi ha più volte insultato il Parlamento in modo distruttivo definendolo una scatola di sardine da aprire e da scardinare. Anche in questo caso la critica è infondata. Il Comitato svolge un lavoro istruttorio, un compito referente che serve ad esaminare in maniera approfondita i progetti di riforma che verranno presentati e a definire in modo organico le proposte per l'esame delle Camere. Il Comitato svolge l'attività preparatoria per Camera e Senato che mantengono tutte le loro funzioni e prerogative. Le due Camere e i singoli parlamentari conservano così i loro ruoli nel processo di riforma e possono intervenire direttamente emendando il testo proposto dal Comitato. Il Parlamento, dunque, non è in alcun modo privato del proprio ruolo.
  Il disegno di legge è uno strumento che ha la finalità di avviare finalmente un processo di riforme circoscritte, limitate, per difendere i principi fondamentali della Costituzione attraverso alcune modifiche per garantire insieme rappresentatività e capacità decisionale alle istituzioni democratiche. L'obiettivo è rafforzare la democrazia parlamentare contro le tentazioni e i disegni autoritari e plebiscitari. È evidente, infatti, che se il nostro sistema istituzionale non diventa più efficiente, ad esempio attraverso il superamento del bicameralismo perfetto, se il sistema parlamentare non viene rafforzato, ad esempio con il meccanismo della sfiducia costruttiva, si rischia una deriva di tipo autoritario.
  L'immobilismo, magari mascherato con una strumentale difesa della Costituzione, alimenta le risposte e le derive di tipo presidenzialista. Il peggior nemico della Costituzione e della centralità del Parlamento è proprio l'immobilismo. Chi contrasta le riforme non vuole difendere la Costituzione: vuole indebolire le istituzioni Pag. 57democratiche per scardinarle e stravolgerle ed è proprio l'assenza di riforme a favorire la crescita della sfiducia, la perdita di speranza di cambiamento e di rinnovamento, la crescita dell'antipolitica, che può fare comodo a molti e può diventare un elemento strutturale del nostro sistema politico ed istituzionale.
  In questo modo, si delegittimano le rappresentanze democratiche, aprendo le porte a soluzioni avventate, a populismi demagogici, a fantomatici salvatori della patria o a moderni e mediatici uomini della provvidenza. Così si riducono gli spazi democratici, si rafforzano i partiti personali, i potentati economici, i leader autoritari che si nascondono dietro il controllo dei mezzi di comunicazione e, di recente, della democrazia virtuale della Rete.
  Per contrastare queste derive plebiscitarie, rafforzare la democrazia parlamentare e attuare i principi fondamentali della Costituzione servono riforme che aumentino la capacità di Governo e l'autonomia delle istituzioni democratiche e che ricostruiscano il rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni. Per queste ragioni, sosteniamo il disegno di legge in esame, che consente, finalmente, di uscire dall'immobilismo e indica un percorso e un metodo per avviare davvero le riforme (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Rondini. Ne ha facoltà.

  MARCO RONDINI. Signor Presidente, con l'approvazione del provvedimento in esame avviamo un percorso che ci dovrebbe – il condizionale è d'obbligo – portare a riforme non più procrastinabili. Oggi, si impone in maniera impellente la necessità di ridisegnare l'organizzazione dello Stato. Questa necessità, richiamata più volte anche dal Presidente della Repubblica e dal Presidente del Consiglio, come parte fondamentale di quel programma di Governo che ha ottenuto la fiducia, trova nel superamento del bicameralismo e nell'istituzione del Senato federale il suo compimento.
  Perché il lavoro del Comitato parlamentare per le riforme giunga all'obiettivo, vanno superati i veti di coloro i quali ritengono che esistano dei limiti nella mutabilità di parti determinate della Costituzione, veti che non trovano nessun fondamento per le loro idee nella ragione e nel buonsenso. Noi riconosciamo che la constatazione degli effetti della degenerazione e dell'invecchiamento del sistema ha svegliato l'attenzione dei cittadini ed è da loro, dalla parte sana delle nostre comunità, che proviene la richiesta di modifiche sostanziali.
  Le modifiche marginali, che sino ad oggi sono state adottate, non sono più sufficienti per fare stare al passo con i tempi il nostro sistema. Riteniamo che solo superando definitivamente il pensiero che sostiene l'immutabilità teologica della Costituzione e, quindi, dell'assetto istituzionale dello Stato, riusciremo finalmente a compiere quella rivoluzione, nel senso di cambiamento per superare lo stato di crisi in cui versano le istituzioni presso gran parte dell'opinione pubblica, che si è ben esplicitata nell'astensione dal voto alle ultime elezioni politiche.
  Semplicemente evocare le riforme non serve più. Vale la pena di ricordare che è solo grazie alla Lega Nord e alle legittime istanze delle comunità che rappresenta se il dibattito politico degli ultimi vent'anni ha ruotato intorno alla possibilità di dare un nuovo assetto istituzionale allo Stato. E se le riforme in questo senso sono state bloccate, lo si deve ai rigurgiti centralisti che hanno, ad esempio, caratterizzato le campagne ideologiche che sono state sostenute contro quelle riforme, come la devolution, che si era faticosamente riusciti a far approvare nel 2005. Quella riforma ci avrebbe dato il Senato federale e la riduzione del numero dei parlamentari, che, guarda caso, rientrano nel dibattito sulle riforme, che il Comitato sarà obbligato a tenere in considerazione.
  È dal lavoro che ha portato al testo sulla devolution e da quello sul federalismo fiscale – riforma incompiuta grazie all'avvento del Governo Monti – che deve muovere i passi il Comitato per le riforme. Pag. 58Noi ci aspettiamo che questa non sia l'ennesima occasione persa di un sistema che non vuole cambiare.
  Noi ci aspettiamo che si dia, seriamente e realmente, seguito ai buoni propositi espressi dal Presidente del Consiglio nelle dichiarazioni programmatiche rese in relazione alle riforme costituzionali al Parlamento e sulle quali ha ottenuto la fiducia quando ha sottolineato, ad esempio, una più chiara ripartizione delle competenze tra i livelli di Governo, con il perfezionamento della riforma del Titolo V, sicuri che questa affermazione non possa assolutamente voler dire: restituire allo Stato centrale le competenze che oggi hanno le regioni. Ancora, cito testualmente il riferimento del Presidente del Consiglio a: «chiudere rapidamente la partita del federalismo fiscale, rivedendo il rapporto fiscale tra centro e periferia, salvaguardando la centralità dei territori e delle regioni». Crediamo che queste parole vogliamo dire che il federalismo vero si basa su una serie di sacrosanti principi che non possiamo disattendere: uno dei quali è la coincidenza fra centri di prelievo e centri di spesa. In sostanza, ciascuno utilizza quello che produce e controlla come le risorse vengano impiegate. Questo, al netto della solidarietà che non verrà meno, ma che deve prevedere sanzioni per il cattivo amministratore, al quale non possiamo più permetterci il lusso di garantire l'impunità, questo, nonostante alcune stravaganti sentenza della Corte costituzionale.
  Ebbene, mi avvio a concludere; auspichiamo che il mandato del Comitato per le riforme venga assolto nei tempi che ci si è dati, consapevoli che l'architettura centralista debba essere coraggiosamente e finalmente superata. Lo dobbiamo alle nostre imprese che vedono le loro potenzialità mortificate, troppo spesso mortificate dalla burocrazia; lo dobbiamo ai corpi sani delle nostre comunità che chiedono di riformare un sistema che, oggi, non è più in grado di dare quelle risposte rapide che i tempi impongono.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Migliore. Ne ha facoltà.

  GENNARO MIGLIORE. Signora Presidente, colleghe e colleghi, signor Ministro, l'atmosfera intima di questa discussione che avviene, ahimè, con non troppe presenze, ci consente di fare una riflessione, che credo sia stata molto utile nel corso degli interventi che mi hanno preceduto, sulle ragioni per le quali, per quanto riguarda il nostro gruppo, noi saremmo decisamente contrari all'approvazione di questo disegno di legge del Governo. Prima di entrare nel merito però vorrei dire da dove siamo partiti, per evitare che ci siano anche dei fraintendimenti e, come ho ascoltato anche da alcuni interventi precedenti, che ci sia un fraintendimento, soprattutto, su uno dei principi fondamentali di questa nostra Costituzione, anche nel momento in cui essa va revisionata e cioè del ruolo delle opposizioni. Noi siamo partiti all'inizio di questa legislatura con una evocazione della riforma costituzionale, la grande riforma costituzionale; una evocazione che è stata assoggettata – i mesi passano, ma le parole restano e anche gli impegni – ad una necessità di tenere insieme le due tradizionali forze della politica italiana, almeno degli ultimi vent'anni, e di tenerle insieme intorno al progetto di revisione costituzionale. Si era detto nel momento in cui non si era ancora realizzato il Governo di larghe intese che bisognava dare vita, addirittura, ad una Convenzione, una Convenzione per le riforme affidata ad un esponente del centrodestra. Si era fatto addirittura, in maniera improvvida, lo ricordai anche qui, da questi banchi, nel momento in cui discutemmo della fiducia al Governo Letta, il nome del presidente del PdL, di cui oggi, diciamo così, si attendono ben altre sentenze.
  Si era fatto l'intervento per determinare le condizioni affinché una Convenzione, fatta anche da personalità esterne, redigesse un processo di riforma costituzionale, in maniera che poi il Parlamento fosse chiamato di fatto solo alla ratifica di questo processo di riforma. Tale Convenzione doveva svolgere il suo lavoro proprio in ragione di questa esigenza, della quale – come è stato ribadito dagli interventi del Pag. 59nostro gruppo – non sentiamo l'esigenza. Noi sentiamo l'esigenza di una modifica puntuale, circostanziata e assolutamente incline a rafforzare le ragioni fondamentali dell'ordinamento repubblicano e parlamentare della nostra Repubblica.
  Per questo motivo vorrei ricordare al Governo che le manifestazioni che ci sono state, come quella del 2 giugno, le mobilitazioni che ci sono state, come quelle che si sono svolte in giro per l'Italia, le raccolte di firme, la presenza dell'opposizione in Parlamento, persino l'ostruzionismo che ha determinato, anche insieme alla nostra richiesta, lo spostamento ad una data più consona per la discussione e la votazione degli emendamenti e del provvedimento, hanno impedito che si facessero degli errori ancora più gravi di quelli che probabilmente saremo costretti ad osservare nel corso dei prossimi mesi. Non dite che l'opposizione non serve: è servita soprattutto a un popolo italiano che, senza il lavoro costante dell'opposizione, non avrebbe avuto altri appigli che quelli di aspettare probabilmente che vi fosse un referendum confermativo.
  Voglio anche ricordare che questo processo di revisione costituzionale è già stato tentato non solamente nelle precedenti Commissioni bicamerali, ma anche dalla maggioranza di centrodestra e fu sconfitto nelle urne proprio nella misura in cui prefigurava l'introduzione di strumenti che spostavano su una forma di Governo più accentrata, meno rispettosa delle garanzie parlamentari, quello che doveva essere ed è, per quanto ci riguarda, il fondamento del nostro patto di convivenza. La Costituzione fonda la comunità politica e ne articola gli snodi.
  È per questo motivo che, quando parliamo dell'articolo 138, in realtà in primo luogo ci riferiamo all'articolo 139, il cui mandato, la cui esattezza, la cui precisione relativa all'impossibilità di modificare la forma repubblicana non può essere considerata in maniera sbrigativa come una sorta di eccentricità per ricordare che non si può passare dalla Repubblica alla monarchia. Ma è in quella parola «forma», che non può essere oggetto di revisione costituzionale, che ravvisiamo tutta l'esigenza di contrastare un disegno che vuole alterare la forma che noi e i nostri Padri costituenti abbiamo conosciuto nel dopoguerra grazie all'impegno, al valore, all'intelligenza di generazioni che si sono battute prima per la libertà del nostro Paese e poi per dotarci di una Costituzione moderna e avanzata, la cui revisione è fissata dalla stesso articolo 138.
  Noi a quei principi e a quella forma complessiva non solo non rinunciamo, ma mettiamo sull'allarme la popolazione italiana e lo stesso Governo, che in questo momento sembra molto attratto dalla necessità di utilizzare questa riforma per giustificare la propria esistenza, che quanto di meglio possa fare questo Governo è lasciare innanzitutto il campo al Parlamento non solo in questa occasione, quando si tratterà di votare, ma anche nell'occasione più generale di affrontare il tema costituzionale, che non può e non deve essere una materia relativa alla maggioranza di Governo.
  La Costituzione non può essere oggetto di una revisione legata ai Governi. Il Governo in questo senso agisce, come ha ricordato più volte il Ministro Quagliariello, su mandato di una mozione parlamentare, ma quella mozione è stata ulteriormente estesa nella definizione puntuale del disegno di legge, si è esteso troppo il mandato.
  Non si sono precisati quali dovrebbero essere gli interventi puntuali, ed è per questo che non solo avremmo preferito, ma sarebbe stato più efficace, per modificare quei punti che anche noi consideriamo importanti da modificare, presentare dei disegni di legge, o meglio ancora dei progetti di legge parlamentari puntuali, rispetto, per esempio, alla modifica del bicameralismo – cosiddetta modifica del bicameralismo perfetto –, alla riduzione del numero dei parlamentari, all'idea che vi possa essere una revisione del Titolo V che corregga anche gli errori di una precedente riforma, che hanno costituito per il nostro Paese un aggravio dal punto di vista sia economico che politico.Pag. 60
  Ed è per questo motivo che noi saremo contrari a questa deroga all'articolo 138, per l'estensione del mandato, che affida al Comitato un potere troppo ampio, un potere che interviene su tutta la seconda parte della Costituzione, e ciò non potrà che pregiudicarne anche i principi fondamentali. In questo senso noi abbiamo bisogno di recuperare e di sottrarre, appunto, alla dialettica maggioranza-opposizione, il valore del compromesso costituzionale così come esso si è determinato alla sua origine, quando si sono confrontate culture politiche così distanti che però facevano parte di quello che noi abbiamo per tanto tempo chiamato «arco costituzionale». Le forze politiche della Costituente furono in grado di trovare una sintesi più avanzata. Non mi meraviglia che coloro i quali chiedono a gran voce la riforma in maniera così perentoria, anche della forma di Governo e l'introduzione del presidenzialismo, siano forze politiche che non si richiamano a nessuna di quelle tradizioni e famiglie politico-culturali costituenti. Non meraviglia, perché la posta in gioco, come ebbe a dire in più occasioni più di un rappresentante del centrodestra, non è cambiare la Costituzione per renderla più efficiente, perché questa è una mistificazione. L'idea, come è stato sostenuto anche in quest'Aula, che vi possa essere una soluzione dei problemi della cattiva politica modificando i meccanismi decisionali è assolutamente fuorviante. La verità è che l'interesse di alcuni in quest'Aula è quella di cambiare la storia del nostro Paese, una storia che prevede e che necessita ancora di tanti equilibri e di tanti contrappesi, non solamente costituzionali, ma anche legislativi. Nel nostro Paese, finché non ci sarà una solida legge sull'ineleggibilità per i conflitti di interesse, finché non ci sarà un'amministrazione pubblica completamente impermeabile e indipendente da quelle che sono le discrezionalità del potere politico, finché non ci sarà la possibilità di restituire ai cittadini la possibilità di scegliere, anche attraverso una legge elettorale che sia degna di questo nome e che cancelli rapidamente questo sconcio che è la legge elettorale Calderoli, detta giustamente «porcata», io penso che non saremo in grado di affrontare le esigenze anche di modernizzazione e di avanzamento del nostro Paese.
  La vostra posta in gioco – per alcuni di voi sicuramente – sarà contrastata, io credo, in maniera trasversale, ed è per questo motivo che le ragioni del parlamentarismo contro quelle del presidenzialismo credo che avranno la meglio. Ma avranno la meglio soprattutto perché l'opposizione non smetterà mai di far sentire la propria voce, i propri contenuti, e non aspetterà il giorno in cui si deciderà o si discuterà di quel singolo articolo sulla riforma della forma di Governo o del Presidente della Repubblica.
  È per questo che ci troverete qui. Ci troverete qui a sostenere le ragioni della Costituzione democratica che ha fondato la nostra Repubblica e le sue riforme non verranno fatte in nome di un cambiamento e di uno sradicamento di quelli che sono i nostri valori fondanti, ma saranno ispirate solamente al bene comune, cosa che, mi permetto di dire, non ha ispirato fino ad oggi l'azione del Governo, che ha anteposto la sua presenza, il suo mandato, la sua sopravvivenza, a quello che è certamente l'impegno più importante che il nostro Paese si sta assumendo nel corso di questi anni (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Dieni. Ne ha facoltà.

  FEDERICA DIENI. Signor Presidente, ministro, colleghi. «La più bella del mondo !», non è una donna, non è una canzone, è semplicemente la nostra Costituzione. Così ha iniziato il proprio discorso Roberto Benigni per il sessantacinquesimo anniversario della Costituzione, ed è così che voglio iniziare anch'io per renderle omaggio. Con le deroghe all'articolo 138 si sta assistendo ad un attacco alla democrazia parlamentare, alla sovranità popolare, alla democrazia partecipativa, allo Stato sociale. Una caratteristica importante della nostra Carta fondamentale è la rigidità. Per tale ragione essa si Pag. 61pone al vertice dell'ordinamento, al di sopra di tutte le leggi. Come i diritti contenuti al suo interno sono ritenuti sacri, allo stesso modo non possiamo considerare le norme procedurali o strumentali meno importanti, e per tali ragioni esse non possono essere derogate per nessun motivo, neanche per accelerare i tempi o per facilitare la conclusione di un accordo.
  Le procedure, che non sono sacre in sé, assicurano la legittimazione del potere, in quanto senza il rispetto delle stesse, che sono state appunto previste ex ante, il potere appare arbitrario. Sembra quindi doveroso riportare anche qui, come ho fatto in Commissione, le parole del padre costituente Rossi durante l'Assemblea plenaria del 1947, per spiegare il motivo per il quale è stata prevista questa procedura aggravata. Rossi ha sottolineato che lo schema previsto dall'articolo fosse dettato dall'esigenza di assicurare una notevole fermezza della Costituzione, uno schema in grado di conciliare le istanze opposte di certezza e di costanza della legge costituzionale e di adattabilità al tempo che preme con le sue continue e mutevoli esigenze. La Costituzione, continua Rossi, non deve essere un masso di granito che non si può plasmare e che si scheggia; e non deve neanche essere un giunco flessibile che si piega ad ogni alito di vento. Deve essere, dovrebbe essere, vorrebbe essere, una specie di duttile acciaio che si riesce a riplasmare faticosamente sotto l'azione del fuoco e sotto l'azione del martello di un operaio forte e consapevole !
  Lo stesso Rossi ha sottolineato come il procedimento delle due letture, con un intervallo di tre mesi fra l'una e l'altra, fosse dovuto al fatto che una cosa tanto seria come la riforma costituzionale, non potesse essere il prodotto d'impulsi momentanei e demagogici o, comunque, non ben confermati e meditati. Ciò che è davvero essenziale è un'altra cosa, cioè che le norme costituzionali siano mutate quando occorra, senza ancoraggi conservatoristici e senza facilonerie avveniristiche, ma siano formalmente, sostanzialmente ed intrinsecamente rispettate finché sono in vita. Auspichiamo, per le fortune della nostra Repubblica, l'aprirsi di un periodo in cui la legge si possa mutare e si muti solo con la legge, ed in cui la legge, finché è legge, sia religiosamente osservata.
  In questo caso però si sta cercando di procedere ad uno stravolgimento arbitrario, non condiviso, con tempi inadeguati, visto che abbiamo trattato in Commissione queste modifiche con una discussione durata circa due ore e mezza, comprese anche le audizioni, e mi sembra un po’ poco per le modifiche costituzionali.
  Non è la prima che un procedimento di revisione viene ipotizzato in deroga all'articolo 138. In questi decenni si sono succedute ben tre Commissioni aventi questa medesima natura: la Commissione Bozzi del 1983, la Commissione di Nilde Iotti del 1993 e quella D'Alema del 1997. Tutte fallite perché concepite all'unico scopo di coprire un vuoto di iniziativa politica. Anche in questo caso ci troviamo dinanzi al fallimento dell'attuale sistema politico dove le spinte conservatrici all'interno dei partiti e la loro incapacità di trasformarsi, stanno cercando di spostare l'attenzione ostentando il mito della grande riforma.
  La rigidità della Costituzione è parte essenziale della sua natura garantistica dei diritti dei cittadini nei confronti del potere politico; le grandi rivoluzioni del ’700, quella americana e quella francese, si caratterizzano entrambe perché il potere politico che può condizionare la vita, i diritti e le libertà dei cittadini singoli o liberamente associati, doveva trovare un limite.
  Tale limite venne individuato nelle Costituzioni.
  Per essere tale, la Costituzione dev'essere rigida, non modificabile nemmeno della maggioranza, perché i diritti e le libertà non possono essere rimessi alla mercé nemmeno della maggioranza. Per evitare ciò, tutte le costituzioni liberali, a partire dalla Costituzione americana del 1787, con la sentenza Marbury contro Madison del 1803, si sono via via dotate di Pag. 62meccanismi per garantirne l'immodificabilità, se non con procedure particolarmente aggravate.
  Anche la nostra Carta si è dotata di un meccanismo simile. D'altro canto, è proprio la flessibilità dello Statuto albertino che aveva consentito il passaggio alla dittatura per mezzi legali: attraverso leggi approvate dalla maggioranza delle due Camere (una maggioranza anche allora artatamente drogata da un premio di maggioranza abnorme, ancorché per la verità più contenuto di quello che ha mostruosamente ingrossato le fila di uno dei partiti della maggioranza), Mussolini aveva potuto travolgere il labile Stato liberale ed instaurare il regime fascista.
  La nostra Carta ha voluto evitare tutto ciò, ed ha quindi predisposto un meccanismo di irrigidimento che si materializza nell'articolo 138: esso è dunque la pietra miliare che garantisce la protezione dei diritti e delle libertà di tutti i cittadini nei confronti del potere politico. Si sta violando la norma che prevede la centralità del Parlamento nel processo di riforma, nonché quella che prevede un iter normativo lungo, ponderato e soprattutto coerente con quelle che sono le finalità tipiche di ogni procedimento di revisione costituzionale.
  Non solo: si tratta di una scelta politica rispetto alla quale dissentire per ragioni di opportunità, ma si tratta altresì di una scelta incostituzionale, perché comprime i ruoli e le funzioni delle Camere a tutto vantaggio del Governo. Le Camere infatti non devono limitarsi ad approvare come hanno fatto sino ad ora in tempi record provvedimenti mal digeriti: devono dimostrare di saper esaminare le diverse soluzioni ai problemi sulla base di argomenti che siano riferiti all'interesse generale. e non a calcoli opportunistici e di convenienza (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  Il procedimento di revisione costituzionale dell'articolo 138 ha dunque la funzione di presidiare la rigidità della Costituzione: è esercizio di potere costituito, non costituente. Parlare, con riferimento al momento attuale, di percorso costituente, è frutto di ignoranza oppure sottende intendimenti eversivi. Non che l'articolo 138 sia immodificabile tout court: anzi, esso potrebbe essere modificato, ma soltanto nel rispetto e con le garanzie previste dalla stesso articolo. Si deve trattare, però, di modifiche parziali; e comunque il punto è che l'articolo 138 non è derogabile in peius.
  Esso infatti, come clausola di rigidità, è già piuttosto tenue. Ne è prova il diritto comparato. Innanzitutto la maggioranza assoluta prevista dall'articolo 138 è più bassa di quella stabilita ad esempio in Germania e in Portogallo, dove è prevista quella qualificata dei due terzi, o in Brasile, dove è prevista quella dei tre quinti in tre distinte votazioni. In Liechtenstein tre quarti, con doppia votazione in mancanza dell'unanimità. Inoltre, mentre in Italia il ricorso al referendum è meramente eventuale, in numerosi Stati, tra cui la Svizzera, l'Irlanda, la Danimarca e il Giappone, esso è obbligatorio, e rappresenta perciò un momento indefettibile del procedimento di revisione.
  Come si vede, dunque, il meccanismo attraverso il quale viene assicurata la rigidità della nostra Costituzione è fra i più deboli in una prospettiva comparata: attenuare ulteriormente i requisiti dell'articolo 138 è svilire la natura rigida della Costituzione e renderla sostanzialmente flessibile. La nostra Costituzione, con l'articolo 138, si è accontentata di richiedere che la volontà politica sottostante una revisione dovesse restare salda per almeno tre mesi di riflessione, in cui potesse maturare il convincimento delle forze politiche e del Paese, e di indurre ad un accordo ampio tra le forze politiche; a meno che, impossibile l'accordo, la maggioranza si assumesse il rischio di essere esposta ad una bocciatura da parte del popolo attraverso il referendum oppositivo.
  Entrambe le clausole di irrigidimento vengono qui stravolte, e infine si aggrava tale affievolimento della rigidità attraverso la predisposizione di un procedimento Pag. 63legislativo blindato, da tempi sincopati, ancor meno garantista di quello previsto per la legislazione ordinaria.
  La cosa preoccupante è che non viene affrontato il tema cruciale di una nuova legge elettorale: l'unica riforma davvero urgente e necessaria, che sia rispettosa della dignità dei cittadini elettori, privati da troppi anni della possibilità di veder rappresentate le proprie posizioni, e soprattutto di intervenire nella scelta dei propri rappresentanti.
  L'articolo 138 rappresenta quindi l'ultima barriera affinché non sia data la possibilità ad un semplice gruppo di massoni, politici e politicanti di manometterne liberamente il testo.
  Sì, perché eliminando l'articolo 138 si metterebbe il bavaglio a chi ora fa veramente opposizione in Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) e si potrebbe continuare a restare sordi rispetto alle esigenze del Paese. Derogando all'articolo 138 si modificherebbe il testo costituzionale, quindi a piacimento della maggioranza, e non potrebbero che nascere altri «porcellum», i quali a questo punto non sarebbero neanche anticostituzionali. L'articolo 138 resta l'ultimo baluardo contro derive incostituzionali e a difesa della democrazia e del nostro futuro.
  Vorrei terminare il discorso con il riferimento ad un grande uomo, partigiano della democrazia, il Presidente Sandro Pertini, il quale affermava che dietro ogni articolo della Carta costituzionale stanno centinaia di giovani morti della Resistenza, quindi la repubblica è una conquista nostra e dobbiamo difenderla, costi quel che costi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Invernizzi. Ne ha facoltà.

  CRISTIAN INVERNIZZI. Signora Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, io immagino che lei Ministro sarà anche stanco di sentire gli incipit in questo momento, in queste settimane, in questi mesi, da parte di esponenti della Lega Nord come il mio; ricordiamo sempre, perché lo riteniamo importante, che se la Lega Nord si è astenuta nel voto di fiducia al Governo di cui lei fa parte, pur non condividendo la composizione nonché parte del programma, bè questo è dovuto solo ed esclusivamente a quei forti accenni riformatori contenuti nel discorso sulla base del quale il Presidente Letta ha chiesto la fiducia alle Camere. Diciamo che questo suo input, questa sua manifestazione di volontà ha portato noi della Lega Nord, quindi, ad astenerci; se dovessimo guardare i primi mesi del Governo Letta, diciamo che probabilmente dovremmo considerare questa fiducia mal riposta; ci aspettavamo sicuramente un altro tipo di Governo, un'altra capacità di azione e di contrasto alle situazioni gravi nelle quali il nostro Paese versa, ma riteniamo comunque ancora giusto e necessario confermare la fiducia per quanto riguarda sicuramente il passaggio che in questo momento viene fatto sulla via delle riforme. Ci crediamo molto, ci crediamo al punto tale che solo per questo noi appoggiamo un Governo del quale non facciano parte.
  In quest'Aula abbiamo sentito tutti parlare tanto di questioni di metodo; è fondamentale, nessuno lo mette in dubbio, quando si rimette mano ad una Costituzione il metodo non è qualcosa che si può guardare e poi andare via dritti, è qualcosa che sicuramente va affrontato, misurato, che va guardato con moltissima attenzione, però non possiamo limitarci ancora una volta a questioni di metodo. Gli americani dicono, ovviamente a loro vantaggio, che la differenza fra loro e gli europei è questa, cioè che gli americani puntano all'obiettivo, indipendentemente dalle procedure, gli europei invece seguono le procedure interessandosi poco dell'obiettivo. Questa purtroppo in alcuni casi sembra proprio una verità.
  Qui noi abbiamo un obiettivo; se questo Parlamento, se questa legislatura avrà una missione, se è una missione che in qualche modo potrà essere ricordata, bè è proprio quella di fare le riforme. Noi viviamo sicuramente momenti strani, momenti in Pag. 64cui l'irritualità sembra aver permeato queste Camere, del resto io per primo non avrei mai pensato di iniziare la mia attività parlamentare votando come Presidente della Repubblica Napolitano, nessuno pensa in questa Camera avrebbe pensato di assistere, nel vigore di questa Costituzione, alla rielezione di un Presidente uscente. Nessuno, credo, in questa Camera avrebbe pensato di assistere mai ad un discorso di un Presidente neoeletto che, oltre a ringraziare, come sicuramente ha fatto, sferzasse in modo così violento i parlamentari, richiamandoli con forza alle loro responsabilità.
  È proprio partendo dal discorso del Presidente Napolitano che noi diciamo: sì, il metodo è importante, ma viva Dio, guardiamo un attimo all'obiettivo, guardiamo quello che i cittadini ci chiedono, guardiamo quello che tutti si aspettano da questo Parlamento. A me piacerebbe cominciare subito a parlare di quali sono gli obiettivi, signor Ministro, di cui noi ci aspettiamo che, di questa riforma, in qualche modo, finalmente, l'Italia possa giovarsi: guardiamo al numero dei parlamentari, il numero dei parlamentari deve essere dimezzato: 500 parlamentari, tra senatori e deputati, pensiamo che siano più che sufficienti. E poi il Senato federale: anche a tal proposito mi rifaccio al discorso del Presidente del Consiglio Letta, che ha parlato proprio di un vero e proprio Senato federale, cioè di un Senato che rappresenti gli enti regionali, che dia finalmente anche a questi enti la dignità costituzionale che tutti gli hanno sempre riconosciuto, ma che non hanno mai avuto. Speriamo anche che sia effettivamente un vero e proprio Senato federale e non un ectoplasma, fatto soltanto per tutelare gli attuali senatori, o coloro che lavorano nel palazzo.
  Si è sentito parlare di quale forma avrà il futuro Governo – premierato forte o semipresidenzialismo – ma diciamo che nessuna di queste figure alla Lega piace particolarmente: non c’è una preferenza per una, o l'altra figura, ma noi ci aspettiamo – così come sicuramente tutti – che finalmente emerga un Governo che possa governare, un Parlamento che possa legiferare e indirizzare il Governo e un'opposizione che possa fare il proprio lavoro, insomma che, finalmente, anche in questo nostro Paese, ci possa essere un Governo capace effettivamente di governare e non, magari, di dover perdere tempo dietro agli ultimi movimenti dell'ultimo parlamentare eletto, che passa, magari disinvoltamente, da un gruppo all'altro e dalla maggioranza all'opposizione.
  Noi ci aspettiamo, signor Ministro, che finalmente venga applicato il federalismo, quello vero, quello in cui tutti dicono di credere, il federalismo nel quale si capisca finalmente, una volta per tutte, chi deve fare cosa, quali sono i compiti dello Stato, quali sono i compiti degli enti regionali e quali sono i compiti degli altri enti locali. Il federalismo, per essere tale, o è fiscale, oppure non è federalismo.
  Il Presidente Letta, anche lui, ha fatto, sempre nel discorso di insediamento, riferimento al federalismo fiscale: è necessario, finalmente, che la distribuzione del denaro tra centro e periferia venga, finalmente, una volte per tutte, chiaramente identificato. Noi non possiamo pensare di affrontare le sfide del 2013 se tutte queste riforme non vedranno finalmente la nascita in questo nostro Paese.
  Un ultimo accenno, signor Ministro, alle macroregioni: le macro regioni non servono soltanto al nord, ma anzi possono sicuramente servire al sud, nonché a quelle regioni che, in alcuni casi, sono molto più piccole di alcune province, che attualmente esistono. Quindi, io penso che, se con questa attività e con questo percorso, alla fine, il Governo di cui lei fa parte porterà a termine queste riforme, potremo essere tutti soddisfatti e penso – come Lega Nord – che potremo essere sicuramente contenti di aver dato, solo su questo, la fiducia a questo Governo.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Lombardi. Ne ha facoltà.

  ROBERTA LOMBARDI. Signor Presidente, colleghi presenti, Governo, riguardo al disegno di legge in esame, ciò che ci Pag. 65preme sottolineare, prima di tutto, per sgomberare il campo da ogni dubbio, è la totale illegittimità di questo provvedimento, che assegna la funzione di guida – tanto per usare un termine che il nostro Presidente del Consiglio ha usato all'avvio di questa legislatura, del processo costituzionale al Governo della Repubblica, nonostante la revisione della Costituzione esuli per definizione dall'area dell'indirizzo politico in carico al potere esecutivo, con il rischio, neanche troppo remoto, visto l'andazzo, e paventato anche da qualche costituzionalista, che il Governo in futuro finisca per porre magari la fiducia anche sull'approvazione di talune modifiche costituzionali, perché al peggio non c’è mai limite.
  In secondo luogo, la massa spropositata di materia costituzionale suscettibile di variazioni, a cui è possibile mettere mano attraverso questo disegno di legge, lascia intravedere, senza eccessivi sforzi di fantasia, neanche da parte dei nostri funambolici statisti seduti in quest'Aula, l'inaugurazione di una fase che è difficile non chiamare «costituente». Oddio, «costituente» forse per la quantità degli articoli in discussione, ben 69 su 139 – e 69 è una previsione minima –, non certo per la qualità delle persone chiamate a legiferare, la qualità del legislatore che, ahimè, è quella che è, e che si è rivelata tale negli ultimi vent'anni, come dimostra l'impenetrabile giungla normativa che vessa le vite di noi cittadini.
  Quello attribuito alle nostre istituzioni democratiche è un potere costituito 65 anni fa da 75 uomini, loro saggi – loro –, reduci da un regime tanto terribile da volerlo scongiurare proprio attraverso la scrittura dell'articolo 138 della Costituzione. Sì, perché la norma che qui si intende derogare è in realtà inderogabile, in quanto norma sulla produzione normativa. Come sostenuto dai più illustri costituzionalisti del nostro Paese, il procedimento derogatorio in essa previsto produrrebbe effetti permanenti e generali nel nostro ordinamento, anziché provvisori e puntuali come molti stanno cercando di farci credere. La modifica del processo di revisione non deve in alcun modo intaccare la rigidità della nostra Carta fondamentale ed eventuali revisioni, alcune delle quali necessarie (per carità), sono ammissibili solo se previste espressamente e disciplinate dalla Costituzione stessa.
  Perché è importante questo articolo, l'articolo 138 ? La rigidità della Costituzione è parte essenziale della natura garantistica dei diritti dei cittadini nei confronti del potere politico. Le grandi rivoluzioni del Settecento – ce lo ha spiegato anche la mia collega Dieni, prima – si caratterizzano entrambe perché il potere politico può condizionare la vita, i diritti e le libertà dei cittadini singoli o liberamente associati e tutto questo deve trovare un limite. Tale limite venne individuato nelle Costituzioni e per essere tale, la Costituzione deve essere rigida, ovvero non modificabile nemmeno da una maggioranza, perché i diritti e le libertà non possono essere rimesse alla mercé della maggioranza di turno, qualunque essa sia. La nostra Carta ha voluto prevedere tutto ciò e ha, quindi, predisposto un meccanismo di irrigidimento che si materializza nell'articolo 138 e che è, dunque, la pietra miliare che garantisce la protezione dei diritti e delle libertà di tutti i cittadini nei confronti del potere politico e che ci rende ancora – speriamo non per poco – cittadini e non sudditi.
  Come ci ha spiegato in audizione una costituzionalista ...e, a proposito delle audizioni, mi piace ricordare il commento di un collega del PD che ha lamentato ieri che le prossime audizioni andranno filtrate, in quanto dalle risposte si sarebbe aspettato forse un maggiore approfondimento scientifico, forse perché la quasi totalità dei costituzionalisti auditi aveva un pensiero diverso rispetto al pensiero unico del PD-PdL. Come ci ha spiegato questa costituzionalista, dicevo, si può pensare che «I principi e i diritti della Costituzione – sto citando l'audizione – siano sacri e vadano comunque rispettati, mentre le norme procedurali o strumentali siano meno importanti e, quindi, possono essere derogate, ad esempio per accelerare i tempi o per facilitare la conclusione di un Pag. 66accordo e chi si oppone a queste deroghe può essere facilmente accusato di formalismo. In effetti, le procedure non vanno idolatrate e non sono sacre in sé, ma in quanto assicurano la legittimazione del potere. Senza rispetto delle regole previste ex ante una volta per tutte, il potere appare infondato ed arbitrario. Come l'imputato non può accettare di essere condannato all'esito di un procedimento irrispettoso delle regole, così ai cittadini non si può chiedere di accettare riforme della Costituzione che siano state dichiaratamente approvate con una procedura escogitata per l'occasione».
  Ora, noi ci chiediamo: ma siamo sicuri che l'ostacolo alla revisione della Carta costituzionale sia nell'articolo 138, uno dei meno complessi del mondo democratico, e non nella conclamata incapacità politica dei partiti di provvedere a quello che veramente è urgente per far funzionare le istituzioni (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) ? Mi spiego meglio: se una squadra decide di partecipare a un campionato di calcio e i suoi giocatori si rivelano scarsi, non è che cambio le regole del gioco per venire incontro alla squadra. Almeno in un Paese normale con un campionato normale avviene così, perché altrimenti cambierei il gioco e creerei scompiglio con le altre squadre, che non avrebbero più certezza delle regole in campo, invalidando tutta la competizione o, in altre parole ancora, fuor di metafora calcistica, il patto sociale, difficile soprattutto in momenti di grave crisi economica ed occupazionale come questi, tiene se tutte le espressioni della società hanno modo di partecipare davvero alla sua definizione. È un patto che ha maggior forza e legittimazione e gode di rispetto ed applicazione solo se è costruito con il contributo di tutti, se il confronto e il dibattito sono davvero proficui, tanto per usare un aggettivo che oggi ha usato il nostro presidente di Commissione, Sisto e che mi ha molto colpito, perché di proficuo esame del lavoro in Commissione, che ha portato in Aula un testo pari pari a quello del Senato, senza aggiungere, cambiare o modificare una virgola, non è scorsa traccia. E quando dico, quindi, reale contributo di tutti al dibattito, e non gioco delle parti, intendo tutti, sistema ed opposizione.
  Ecco, opposizione: vorrei porre l'attenzione sulle parole. Il MoVimento 5 Stelle è opposizione. Noi siamo opposizione e l'opposizione è un sistema di partiti che si è trasformato in casta e non siamo certo una minoranza, come sento spesso dire in quest'Aula, e non solo. Siamo la prima forza politica del Paese, come tra l'altro si sono peritati di sottolineare tutti i partiti, commentando il risultato delle amministrative di maggio. È evidente questo fatto, se si fosse votato con metodo proporzionale e non con il doping della legge elettorale, che ha premiato coalizioni disciolte come neve al sole della realpolitik. Ma si sa: del «porcellum» non si butta via niente. E quindi si è pensato bene di replicare lo stesso sistema drogato nella composizione del comitato ristretto che avrà potere di vita e di morte sui vari disegni di legge costituzionale, andando a rivitalizzare il fantasma delle coalizioni che furono e che in parte ancora sono, visto come si stanno comportando le finte opposizioni in Aula nelle votazioni di molti provvedimenti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  
Tornando ora al testo in esame, non possiamo fare a meno di notare come il disegno di legge del Governo sia attraversato dall'inizio alla fine da previsioni prive innanzitutto di buon senso – e non ci aspettavamo niente di meno – ma anche di coerenza con l'intero sistema di regole su cui si basa il nostro assetto istituzionale. I criteri dettati all'articolo 1 per la composizione dell'istituendo comitato, oltre ad essere tra loro incompatibili, contrastano con quanto disposto dai Regolamenti parlamentari, determinando scompensi ordinamentali di non facile soluzione applicativa ed interpretativa. Le competenze attribuite al comitato dall'articolo 2 sono troppo ampie e poco chiare quanto al principio della consequenzialità della legge elettorale, illegittime con riferimento ai profili prima esposti, in violazione dell'articolo 72 della Costituzione, Pag. 67comma 3, che prevede: «La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale (...)», come in questo caso. La disciplina dettata dall'articolo 3 del disegno di legge per i lavori delle Assemblee non solo è in contrasto con i Regolamenti di Camera e Senato, ma introduce un procedimento di emendabilità del disegno di legge costituzionale, volto ad esautorare ancora di più il Parlamento a favore del Governo. Inoltre, con l'articolo 4, la procedura di approvazione delle leggi di revisione costituzionale viene esplicitamente sottoposta ad un aberrante cronoprogramma a tempi ristretti, come ha spiegato la mia collega Dadone stamattina, in quanto tale antitetico alle caratteristiche di riflessione e ponderatezza che dovrebbero contraddistingue la modifica di un monumento, come è la nostra Costituzione, che manifesta il suo vigore dal più di sessanta anni. Si dimentica che i tempi lunghi della revisione servono anche per consentire a chi sta fuori dalle Aule parlamentari di farsi un'idea di quanto si intenda fare.
  L'unico modo per porre un argine ad un intervento legislativo tanto scellerato è quello di imporre che i disegni di legge costituzionale partoriti all'esito di questa vergognosa procedura siano sottoposti a referendum popolare in ogni caso, cioè a prescindere dal quorum e indipendentemente dalla maggioranza con cui siano stati approvati in Parlamento.
  Questa è la foglia di fico che i partiti hanno trovato per cercare di dare una parvenza di dignità democratica a questo teatrino costituente, forti dell'informazione addomesticata su cui sanno di poter contare, perché dal loro finanziamento pubblico foraggiata. L'informazione del modello unico si occuperà di fare propaganda a senso unico, così come avvenuto in occasione dell'ultima consultazione referendaria su nucleare e acqua pubblica, contando i partiti sulla legge dei grandi numeri. Un'altra Fukushima non può capitare ! Oppure, un'altra mobilitazione civica enorme come quella attuata dal forum «Movimenti per l'acqua pubblica» potrebbe non avvenire in un momento in cui l'opinione pubblica è distratta dal mettere il piatto sul tavolo ogni sera (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) !
  A proposito dell'informazione a senso unico del nostro Paese, leggo di interventi dei soliti noti dei partiti, quelli che spesso sono nei talk show a spiegare perché non sono in Aula in quel momento a votare, che accusano il MoVimento 5 Stelle di conservatorismo costituzionale. A parte che, piuttosto che farci mettere le mani da voi sulla nostra Costituzione, bisogna pensarci una, due, un milione di volte, ma, a parte questo, vi informiamo che il MoVimento 5 Stelle non si è mai chiuso a riccio sull'argomento revisione costituzionale. Ne sono prova le strade, in alternativa a quelle proposte, che abbiamo indicato svariate volte in molteplici occasioni. La prima: la richiesta dell'indizione di un referendum di indirizzo per chiamare i cittadini, e non i sudditi, ad esprimersi preventivamente su determinati quesiti inerenti, in primis, l'opportunità o meno di procedere ad una revisione costituzionale in questo momento e con questa classe politica. E se sì, in che modo ? Attraverso altrettanti quesiti ! Non ci si dica, poi, che di ostacolo sono i costi, perché attraverso la rete si possono fare svariate consultazioni, usando la tecnologia. Seconda proposta: dare effettivo e concreto seguito alle dichiarazioni e ai programmi della gran parte delle forze politiche, impegnate ad avviare immediatamente, prima di procedere alla revisione costituzionale, le modifiche della vigente legge elettorale, al fine di eliminare i vizi e gli aspetti di illegittimità, anche di rilievo costituzionale. Terza proposta: l'impegno a modifiche puntuali e ben circoscritte a determinati articoli o punti specifici della Costituzione, sui quali, almeno a parole, si sono determinate posizioni politiche comuni, attraverso il procedimento di cui all'articolo 138; all'interno, cioè, delle regole del gioco, e quindi osservando di produrre uno o più progetti di legge di modifica costituzionale omogenei per materia, perché questo ci Pag. 68richiede il dettato costituzionale e la giurisprudenza in materia, e non arrivare alla produzione, anche solo eventuale, di un unico «testo mostro» contenente una nuova Costituzione, su cui il popolo, per via del referendum, sarebbe costretto ad esprimere il proprio avviso, favorevole o contrario in blocco. Quali i temi ? Abolizione delle province, dimezzamento del numero dei parlamentari, revisione del bicameralismo perfetto, a titolo di esempio, fino ad arrivare a strumenti di fantascienza – perché noi abbiamo anche gli effetti speciali, come è successo l'altro giorno – demagogici e populisti per i partiti, come l'introduzione di strumenti di democrazia diretta quali il referendum deliberativo senza quorum – proprio fantascienza ! – o l'obbligatorietà di adozione delle leggi di iniziativa popolare e bazzecole del genere.
  Vorrei concludere questo mio intervento tornando al capolavoro del nonsense costituzionale di questo disegno di legge, che si compie proprio su questo tema del referendum. Infatti, guarda caso, questa legge di deroga all'articolo 138 va proprio a prescindere l'istituto referendario su questo specifico tema. Signori politici, perché non chiedete ai cittadini cosa ne pensano di cambiare le regole del gioco in corsa, per permettere a voi di mettere le mani sulla Costituzione più bella del mondo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) ?

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Cozzolino. Ne ha facoltà.

  EMANUELE COZZOLINO. Signor Presidente, signor Ministro, colleghi, inizia oggi l'esame di un progetto di legge costituzionale che ha come finalità quella di prevedere una deroga alla procedura prevista dall'articolo 138 della Costituzione. Nei confronti di questa legge nutriamo più di un motivo di dissenso, molto profondo, ma vi è un aspetto che più degli altri ci preoccupa e sul quale sarebbe opportuno riflettere. Nel corso dell'esame in Commissione, è emerso chiaramente che la maggioranza considera blindato questo testo, come se vi fosse una sorta di fiducia mascherata, e che intende procedere speditamente all'approvazione del testo licenziato dal Senato, non lasciando spazio ad alcuna modifica qui alla Camera.
  Di fatto quello che si profila all'orizzonte è una legge costituzionale approvata a maggioranza, una prospettiva, questa, che riteniamo deleteria e che aumenterebbe i già molti profili di criticità della legge in esame. I numeri ampi di cui dispone la maggioranza sono tali da consentire di conseguire senza affanni il quorum dei due terzi previsto dall'articolo 138, per impedire il ricorso al referendum confermativo. Certamente, da un punto di vista meramente formale, il disposto dell'articolo 138 sarebbe pienamente rispettato. Il problema sta nel fatto che a non essere rispettato sarebbe lo spirito di quell'articolo. Il quorum rafforzato dei due terzi è stato appositamente previsto dai costituenti per favorire riforme condivise della Costituzione, nel senso che, quando si deve porre mano ad una o più regole della Carta fondamentale, questo deve avvenire al di fuori degli schieramenti e con la convergenza tra forze di maggioranza e di opposizione, ripeto, opposizione. In questo caso, invece, la maggioranza ha già in casa i numeri prescritti dall'articolo 138 e proprio per questo si muove in senso nettamente contrario al suo spirito, chiudendo ogni spiraglio nei confronti delle altre forze politiche presenti in Parlamento, alle quali si limita a presentare una sorta di diktat. Il problema però sta nel fatto che i numeri forti di cui la maggioranza dispone non sono l'esatta fotografia dei consensi espressi dagli elettori alle elezioni politiche. Al contrario, sono il risultato drogato di una legge elettorale che prevede un ampio premio di maggioranza, un premio che è stato attribuito a coalizioni politiche finte, come dimostra il fatto che siano andate in mille pezzi un giorno dopo le elezioni. Se guardiamo al risultato prodotto alla Camera, dove, essendo nazionale, il premio di maggioranza è molto più cospicuo, vediamo che per quanto riguarda il Partito Democratico, il cosiddetto Porcellum ha funzionato Pag. 69come la legge Acerbo, ovvero quella legge elettorale, approvata nel 1923, che prevedeva un premio di maggioranza spropositato per chi avesse ottenuto appena il 25 per cento dei voti. Il gruppo del Partito Democratico si è visto assegnati più di trecento deputati, costituendo probabilmente il gruppo parlamentare più ampio della storia repubblicana, con appena il 25 per cento dei voti ottenuti e non essendo neppure stato il partito che alla Camera ha riportato più voti. Già questo aspetto qualche dubbio lo dovrebbe suscitare tra i colleghi della maggioranza inducendoli a non arroccarsi in prove di forza che hanno certamente i mezzi materiali per sostenere, ma non la legittimità, che è la cosa più importante.
  Paradosso ancora più grave è che questa legge costituzionale rischia di essere approvata e blindata nei confronti del referendum confermativo, in forza di una legge incostituzionale. È noto infatti che presso la Corte costituzionale pende un giudizio di legittimità in merito alla legge elettorale vigente, che riguarda in particolare il meccanismo che regola l'attribuzione del premio di maggioranza. Un meccanismo già criticato più volte dalla stessa Consulta, proprio in merito al fatto che non sia previsto alcun limite per assegnare tale premio. Se nelle scorse legislature il premio era stato assegnato a coalizioni che quanto meno, nel loro complesso, avevano comunque ottenuto più del 40 per cento dei voti, nelle ultime elezioni il premio è scattato a fronte di un risultato di poco inferiore al 30 per cento, una soglia che certamente non può essere definita in alcun modo ragionevole, a meno che non ci si voglia mettere nella stessa ottica che portò ad approvare la legge Acerbo, alla quale ho già avuto modo di fare cenno in precedenza.
  Colleghi, approvare una legge costituzionale assai controversa e che presenta molti profili critici, grazie ad una legge che, con ogni probabilità, sarà dichiarata incostituzionale proprio sotto il profilo del premio di maggioranza non è una contraddizione in termini, ma è una cosa contro natura. Inoltre procedere ad una riforma costituzionale sulla sola forza dei numeri è quanto di più lontano dallo spirito della Costituzione e dallo spirito con il quale fu approvata dalla Costituente.
  La storica frase di Pietro Calamandrei che definì la Costituzione «una rivoluzione promessa in cambio di una mancata», se nel momento in cui fu pronunciata era una critica rivolta soprattutto al PCI e denotava la delusione nei confronti di un riformismo eccessivamente teorico rinviato ad un futuro incerto, letta oggi esprime a pieno il valore politico e lo spirito della Carta Costituzionale, ovvero la volontà della DC, del PCI, del PSI e di altre forze minori di individuare un terreno comune di valori.
  Anche nel 1946 la DC ed altri partiti avrebbero avuto i numeri per approvare una Costituzione a maggioranza, ma né a De Gasperi né a nessuno dei tanti «professorini» – come vennero definiti per la giovane età molti eletti democristiani che poi sarebbero stati i leader di quel partito – venne in mente di procedere solo sulla forza dei numeri.
  Allo stesso tempo Togliatti non si trovò in una situazione nella quale gli si presentava un testo già scritto che lui avrebbe potuto approvare o respingere in blocco. Se così fosse stato, difficilmente avrebbe speso la sua autorevolezza e il suo pragmatismo per portare il suo partito a votare quello che poi è stato l'articolo 7 della Costituzione, o altre parti sulle quali il PCI è dovuto scendere a compromessi.
  Una condivisione che, pur nella contrapposizione politica forte, è stato l'elemento che ha consentito alla nostra Repubblica di superare anche gravissimi momenti di crisi, uno per tutti l'attacco al cuore dello Stato portato dal terrorismo armato. In quel frangente proprio l'esistenza di un arco costituzionale, ben più ampio e solido dell'arco delle forze governative, costituì il minimo comune denominatore che consentì a forze politiche tra loro fortemente contrapposte sul campo della politica ordinaria di fare blocco e di difendere lo Stato e le sue istituzioni.Pag. 70
  Colleghi, Meuccio Ruini ricorse alla metafora delle mura alte e solide a difesa della Costituzione per descrivere la funzione dell'articolo 138. Procedere ad approvare questa legge sulla forza di numeri drogati che la sottrarranno al referendum popolare, per rimanere in tema di metafora, equivale ad abbattere quelle mura con una bomba atomica, anziché con un ariete.
  L'asse che per ora unisce i due principali partiti della maggioranza e che li ha portati a procedere come uno schiacciasassi in Commissione, mi ha fatto pensare all'Accordo di Yalta, l'ultimo accordo con cui USA e URSS si spartirono le zone di influenza mondiale e dopo il quale diedero vita alla guerra fredda.
  Probabilmente accadrà lo stesso anche sulla riforma costituzionale. Perché se ora c’è accordo unanime sullo scardinamento dell'articolo 138, questa comunanza d'intenti sarà difficile da trovare, ad esempio, sulla forma di governo, con un PdL fortemente presidenzialista e un PD che, per le culture di cui si compone, quelle popolari e socialdemocratiche, vede il presidenzialismo come fumo negli occhi.
  Questo esito, che riteniamo scontato, dovrebbe in qualche modo rassicurarci perché ancora una volta finirà per produrre lo stallo. Invece, la nostra preoccupazione resta, perché il rischio, una volta abbattute le mura difensive della Costituzione, è quello di un esercito che si divide in due bande contrapposte e inizia a combattersi casa per casa radendo al suolo gran parte della città.
  Avvisaglie in questo senso purtroppo non mancano. A tal proposito ecco cosa ha detto testualmente il Ministro per le riforme costituzionali Quagliariello in un'intervista rilasciata a La Stampa sabato 27 luglio, rispondendo ad una domanda sulla sentenza della Cassazione nei confronti del leader del suo partito. «La sentenza riguarda il rapporto tra il potere politico e quello giudiziario, il cui squilibrio è una delle maggiori patologie del nostro sistema istituzionale. Anche per questo il potere politico si è indebolito, i partiti sono diventati liquidi e il sistema si è trovato più volte sull'orlo di un baratro. Il vuoto lasciato dai partiti è stato occupato da forze che non hanno legittimazione democratica. Questa patologia non ha riguardato solo il rapporto politica-giustizia, ma anche il rapporto tra potere politico e alcune burocrazie di questo Paese. Ecco, le riforme servono anche per ristabilire la supremazia della politica, affrancandola dalla sua debolezza costituzionale».
  È preoccupante apprendere che il Ministro per le riforme costituzionali consideri «patologico» e squilibrato a favore della magistratura il rapporto tra potere giudiziario e politico. È preoccupante apprendere che per il Ministro la magistratura si sarebbe appropriata di quote di potere in maniera illegittima, che avrebbe esondato dalle proprie competenze in danno della politica, compiendo dunque una sorta di velato colpo di Stato. In questo caso sarebbe opportuno ricordare al Ministro chi è che presiede l'organo di autogoverno della magistratura, il CSM, ma non lo faccio per evitare che alla luce della dottrina Grasso-Boldrini mi venga immediatamente tolta la parola (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  Gela il sangue, per chi ha a cuore la Costituzione, apprendere con quali finalità il Ministro si appresta a intraprendere la via delle riforme costituzionali, un fine a dir poco punitivo visto che queste serviranno per ristabilire la supremazia della politica, ovviamente in danno della magistratura secondo il ragionamento del Ministro, per giunta affrancandola dalla sua debolezza costituzionale.
  Il Ministro è uno storico di pregio perché qualcuno gli debba ricordare la dottrina di Montesquieu sulla separazione dei poteri e non della sovraordinazione di uno all'altro. Perché in un ordinamento in cui la politica ha la supremazia, vuol dire che altri poteri le sono assoggettati.
  Colleghi, concludendo consentitemi di pronunciare una frase che è uno degli slogan più cari al movimento del quale siamo espressione; sulla Costituzione sappiamo Pag. 71che voi non mollerete mai. Noi neppure. Ci rivediamo a settembre, sarà un piacere !

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bragantini. Ne ha facoltà.

  MATTEO BRAGANTINI. Signor Presidente, onorevole Ministro, onorevoli colleghi, oggi è cominciato un percorso. Speriamo sia veramente il primo passo e che finalmente si facciano queste riforme costituzionali. È vero, qualcuno può dire che andiamo a cambiare, come ho sentito dire, la Costituzione in un periodo estivo, in fretta e furia, ma io ricordo che oggi andiamo a fare il primo passaggio semplicemente per quanto riguarda la deroga sull'articolo 138 in modo da trovare una soluzione, che è già stata provata ed utilizzata altre volte, per far sì che vi sia un Comitato che riguarda, non pezzi della Costituzione, ma una grande parte della Costituzione per fare una riforma armonica e necessaria di questo Stato.
  Infatti, per troppi anni, forse per le tensioni anche di idee differenti tra i vari partiti, tra i vari movimenti, tra i vari cittadini, si tentava di riformare solo alcune parti, facendo così perché erano le uniche parti in cui ci si trovava d'accordo. Ma, facendo così, non si vedeva l’unicum, tutta la riforma complessiva, trasformare veramente questo Stato in uno stato federale che, in teoria, secondo alcuni, già la Costituzione lo direbbe, si potrebbe utilizzare, ma rendiamolo più esplicito, rendiamolo più attinente alle esigenze di questo Stato. Occorre trasformare questo Stato in uno Stato efficiente perché ormai è assurdo che, per fare una legge, quando ormai l'economia è velocissima, quando le esigenze dei cittadini ormai cambiano di giorno in giorno, servano mesi e mesi a causa della navetta tra la Camera e il Senato, e se ci sono piccole modifiche, si ritorna, si perde tempo in discussioni. Occorre finire finalmente con il bicameralismo perfetto. Ce lo stiamo dicendo da quanti anni ? Forse da quando sono nato io, sono nato nel 1975, si parla di riforme. Non magari queste, ma altre.
  Dunque, veramente non riesco a capire alcuni colleghi, soprattutto quelli del MoVimento 5 Stelle, che sono venuti per cambiare il Palazzo e quando finalmente c’è lo strumento – dopo vediamo come cambiarlo perché lo vedremo probabilmente dopo gennaio – si arrogano e vogliono fermare la discussione. Mi sembra una cosa un po’ atipica. Io pensavo che loro ci dessero una mano per cambiare questo Palazzo. Noi siamo nati per cambiare i Palazzi perché siamo stufi di vedere che ci sono dei cittadini di «serie A» e dei cittadini di «serie B», che ci sono, purtroppo, molti cittadini che sono sfruttati, che non riescono neanche a riuscire a sopravvivere con il lavoro che fanno perché sono oberati dalle tasse e in altre zone del Paese queste tasse sono utilizzate, non per i cittadini, ma per pochi politicanti che si sono arricchiti – o sono arricchiti i loro amici – e hanno reso quelle terre ancora più povere. Questo sistema, questo mondo, queste istituzioni o questi pochi politicanti sono riusciti a governare grazie anche alla Costituzione vigente – non per colpa della Costituzione, ovviamente, ma per certi meccanismi – rendendo povere le popolazioni del Nord, svuotando e rendendo ancora più povere le popolazioni del Sud che o sono al guinzaglio dei politicanti locali, perché gli danno il lavoro, oppure sono dovuti emigrare al Nord o, addirittura, in altri Paesi e, dunque, le forze migliori si sono anche perse e sono andate all'estero.
  Veramente noi vogliamo queste riforme. Per questo, anche se abbiamo presentato degli emendamenti, si tratta di emendamenti sul merito per rendere ancora più snello e più efficiente questo sistema. Noi siamo favorevoli a questo Comitato perché finalmente si comincia questo percorso riformatore, finalmente si va a cambiare una Costituzione che ormai ha i suoi anni, che deve essere un po’ aggiustata. Aggiustata soprattutto, ovviamente, nella seconda parte. E possiamo farlo, tutti insieme poi. Dobbiamo farlo tutti insieme perché giustamente – e in questo sì condivido tutti gli interventi che sono stati svolti da molti colleghi – le Pag. 72riforme costituzionali non devono essere fatte dalla maggioranza o dalla minoranza, ma devono essere maggiormente condivise possibile, al limite del possibile, ovviamente. Non è che vi deve essere l'unanimità perché, altrimenti, non riusciremmo a fare niente.
  Anche perché ci abbiamo provato a fare le riforme. Io ricordo che con la devolution – lo hanno ricordato già i miei colleghi – era stato già eliminato il bicameralismo perfetto: c'era il Senato federale; c'era un rafforzamento dei poteri del Governo – perché abbiamo visto che serviva e se ne sta discutendo anche adesso –, magari, compensato con altri istituti, altri argomenti. Avevamo diminuito il numero dei parlamentari, perché, onestamente, siamo troppi, siamo troppi per quello che dobbiamo fare, questo è vero. E anche perché, se riduciamo il numero dei parlamentari, forse, riusciamo ad essere più efficienti. In fondo, abbiamo visto – io sono qua da sei anni – che, in Commissione, normalmente, prima che ci fossero le impronte digitali, eravamo in quindici o venti a lavorare. Dunque, vuol dire che alcuni colleghi, magari, sono bravi, sono riusciti a venire qua, ma non serviamo in così tanti, perché se, molte volte, lavoriamo in quindici o venti e lavoriamo bene, vuol dire che c’è un motivo.
  E, dunque, riducendo il numero dei parlamentari, riduciamo anche le spese non solo per il nostro compenso, ma anche per la struttura, che, forse, è un po’ troppo elefantiaca per quello che ci serve. Ma come troppo elefantiaca è la struttura dello Stato, perché si ritorna al discorso che ho detto prima: troppo spesso, con i soldi pubblici, invece di pensare a dare soluzioni al Paese rilanciando l'economia in modo sano, si è trovata la soluzione di fare gli ammortizzatori sociali con i dipendenti pubblici. Non dobbiamo nascondercelo: quando Ferrovie dello Stato faceva grandi assunzioni perché c'era il problema della disoccupazione, era una necessità delle nostre aziende, come Ferrovie dello Stato o altre aziende, o era semplicemente dare un salario a qualcuno, senza dargli lavoro, però ? Quella è la problematica.
  Dunque, veramente, onorevole Ministro, noi siamo pronti, siamo pronti alla sfida per riformare questo Stato e renderlo veramente federale, facendo delle grandi macroregioni che potrebbero dare risposte migliori a questo Stato; macroregioni che sono state ipotizzate anche da altri, ricordo la Fondazione Agnelli – se non ricordo male – degli anni Novanta, che parlava di dodici grandi macroregioni o macroaree dello Stato, che potevano essere omogenee e potevano funzionare. Dunque, noi siamo pronti per fare queste riforme, per cambiare veramente questo Stato, per renderlo più snello, più efficiente e più efficace per i nostri cittadini e, soprattutto, per i nostri figli. Dunque, noi su questa piccola riforma che cominciamo adesso – perché dovremo riparlarne a dicembre –, siamo pronti, ma saremo pronti soprattutto nella fase successiva, perché se anche questa volta non si fanno le riforme, veramente, questo Stato va a finire male.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Nuti. Ne ha facoltà.

  RICCARDO NUTI. Signor Presidente, lo scopo di questo disegno di legge costituzionale è la modifica della Costituzione attraverso una procedura sui generis da attuare tramite un nuovo strumento che possa operare in deroga alla procedura stabilita dall'articolo 138 della Costituzione: tale strumento è il Comitato parlamentare per le riforme costituzionali ed elettorali.
  L'intero mondo accademico ha espresso in generale commenti rovinosi su questo disegno di legge governativo per una lunghissima serie di motivi, che i miei colleghi vi hanno poc'anzi puntualmente e pazientemente illustrato; motivi che anche uno studente del primo anno di giurisprudenza o di scienze politiche facilmente comprenderebbe. Ma è su questo speciale Comitato parlamentare che vorrei incentrare il mio intervento.Pag. 73
  I profili di criticità relativi all'opportunità stessa di creare un siffatto Comitato, così come la natura che gli si vorrebbe attribuire, sono molto gravi. Innanzitutto, i compiti che gli vengono attribuiti costituiscono una palese esautorazione delle prerogative che la Costituzione attribuisce in via esclusiva al Parlamento nel suo insieme, in quanto unica istituzione legittimata direttamente dal popolo che, tramite il voto democratico, esprime la propria sovranità.
  Il Parlamento nella sua pienezza, cioè nell'insieme di tutti i deputati e di tutti i senatori, sarebbe l'unico luogo preposto a svolgere quella che potremmo definire la più alta e delicata azione di un ordinamento democratico, ovvero la modifica della propria Carta fondamentale. E spogliare il Parlamento di queste attribuzioni significherebbe incidere pesantemente sull'assetto democratico e rappresentativo del nostro Paese. Profili di criticità sono evidenti anche per quanto riguarda la composizione e la consistenza del Comitato; il disegno di legge in esame prevede, infatti, una consistenza numerica paritaria tra deputati e senatori. Infatti, l'articolo 1, al comma 1 dice: «è istituito un Comitato parlamentare per le riforme costituzionali ed elettorali, di seguito denominato Comitato, composto da venti senatori e venti deputati». Ora, per chi se lo fosse dimenticato, ricordo che ad ogni elezione politica nazionale vengono eletti 630 deputati e 315 senatori; non ci vuole molto a comprendere come i senatori siano la metà dei deputati e che, quindi, basterebbe un semplice calcolo matematico per comprendere che non si è equamente rappresentati all'interno di questo Comitato. Una tale composizione porterebbe, inevitabilmente, ad avere una ingiustificata sovrarappresentanza dei membri del Senato, rispetto a quelli della Camera. Quello che contestiamo non è la non applicazione dei pur basilari principi aritmetici che, comunque, sembrano essere estranei a quest'Aula; ciò che contestiamo è che questa rappresentanza paritaria porterebbe, inevitabilmente, a minare ulteriormente la legittimità ontologica del Comitato. Si andrebbe, infatti, a creare un organo dotato di rilevantissimi poteri istituzionali che, oltre a poter seguire delle procedure di decisione del tutto privilegiate e sui generis, avrebbe anche alla base dei principi partecipativi o rappresentativi di legittimazione dei suoi componenti del tutto non conciliabili con quelli previsti dall'ordinamento italiano.
  Il disegno di legge prevede che, oltre a quaranta parlamentari, facciano parte di diritto del Comitato anche i due presidenti delle Commissioni Affari costituzionali sia di Camera che di Senato e quindi, in questo caso, il deputato Sisto e la senatrice Finocchiaro, ovvero due esponenti dell'attuale maggioranza. Si legge, infatti, sempre al comma 1 dell'articolo 1 del disegno di legge costituzionale che, oltre ai componenti nominati, fanno parte di diritto del Comitato i presidenti delle predette Commissioni parlamentari, cui è affidata, congiuntamente, la presidenza del Comitato. In pratica, al fine di assicurare al Governo sufficienti pigiabottoni all'interno del Comitato, vengono attribuiti di diritto altri due membri di partiti che fanno parte di queste rovinose larghe intese che già stanno guidando il Paese verso il disastro. Visto l'atteggiamento verso le proposte da parte dell'opposizione, in particolare del MoVimento 5 Stelle, ciò significherebbe precludere la formazione di qualsiasi riforma ampiamente condivisa.
  Forse vi siete dimenticati che questo è quello che si dovrebbe fare riguardo a una modifica costituzionale, che invece viene trattata come se fosse un decreto-legge o come se fosse un qualunque altro provvedimento. Questo, ovviamente, non è accettabile, e non è neanche umanamente previsto, visto che quando si parla di qualcosa di fondamentale, bisognerebbe coinvolgere tutti, mentre invece si continua a dire: beh, l'opposizione deve accettare la maggioranza e deve accettare che i numeri sono ben diversi e quindi bisogna, un attimino, fare i conti con quelli che sono i numeri. Ebbene, signori, quando si parla di riforme costituzionali bisognerebbe condividerle e fare solamente quelle che sono comuni a tutte le volontà all'interno Pag. 74del Parlamento, anziché dire che la maggioranza decide così, punto e basta. Quello è un altro Stato, non uno Stato democratico. Però sembra che, ormai, non ci si accorga più della differenza.
  Volendo procedere, voglio ricordare che non si capisce perché i due criteri che vengono adottati per stabilire il numero dei componenti siano diametralmente opposti: nel primo caso si dice: la consistenza numerica dei gruppi in Parlamento; e subito dopo si dice: i risultati parlamentari. Ora visto che sono due principi diametralmente opposti, questo, ovviamente, non può continuare a legittimare quella che è una legge elettorale definita «porcata» e non si capisce perché non si è deciso di stabilire in Commissione un criterio uniforme e unanime, anziché lasciare alla Conferenza dei presidenti di gruppo di stabilire quali siano i criteri con i quali fissare il numero e le persone appartenenti ai gruppi.
  Questo è abbastanza inusuale. La cosa assurda è che era anche un'osservazione condivisa in Commissione quella secondo cui la Commissione affari costituzionali potesse avere la competenza di decidere questi criteri, ma è non stato così. Inoltre, vi ostinate a non tener conto delle dinamiche politiche di questa legislatura, che ha visto la dirompente entrata nel panorama politico di un movimento di cittadini liberi e una contestuale rilevante contrazione del consenso verso i principali partiti. Insomma, possiamo dire che il risultato elettorale è quasi stato ininfluente perché tanto la maggioranza è quella che è e dell'opposizione, anche se ha avuto un grande risultato, ce ne freghiamo.
  Le regole previste per la creazione del Comitato ci sembrano disegnate appositamente per comprimere ulteriormente gli spazi riservati all'opposizione e consegnare un Comitato con troppi poteri ai partiti di maggioranza. Ridurre le eventuali voci di dissenso, in particolare in seno a un processo di revisione costituzionale, è quanto di più negativo ci possa essere, anzi direi, Presidente, che è esattamente il principio contrario a quello che dovrebbe ispirare qualsiasi modifica, anche la più minima, della Costituzione.
  In qualsiasi Paese democratico si cercherebbe di garantire il più possibile le larghe intese – quelle vere, genuine, utili, non quelle di governo – tra i vari partiti perché, quando si modifica la Carta fondamentale, lo si fa cercando di garantire le istanze presentate dai diversi soggetti presenti in Parlamento, in quanto questi sono portatori di idee provenienti da settori differenti della popolazione.
  Bene, il testo di questo disegno di legge mira a fare esattamente il contrario. Questo disegno di legge si pone l'obiettivo di sminuire le idee di più del 25 per cento degli italiani. Solo il Parlamento, nel suo insieme, ha titolo per modificare la Costituzione e non un gruppo ristretto di persone, telecomandate da un Governo come questo. La nostra idea è opposta: il processo di modifica della Carta fondamentale deve essere il più ampiamente condiviso e vedere la partecipazione attiva da parte dei cittadini.
  Non ci si può infatti sentire dire, dopo avere eletto mille parlamentari, che in Commissione affari costituzionali siamo troppi, come ha detto poc'anzi il collega della Lega Nord. Non è accettabile, perché, se quaranta persone sono troppe, allora a questo punto mi domando a che serve aver fatto queste elezioni; facciamo decidere solamente a due o tre persone come modificare la Carta costituzionale e chiudiamo i battenti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Quello che contestiamo vigorosamente è la stessa legittimità del Comitato, perché con questo disegno di legge si vogliono privare le Camere del loro ruolo centrale e insostituibile di cuore pulsante della democrazia. Altro che centralità del Parlamento, come stamani ha detto l'onorevole e collega Rosy Bindi, perché qui il Parlamento viene completamente esautorato, si saltano le prerogative del Parlamento e si restringe tutto a un Comitato che non ha motivo di esistere.
  È palese che questo provvedimento, come molti di questo Governo e di questa Pag. 75maggioranza, abbia un mero scopo pubblicitario. Creare un siffatto Comitato, con queste funzioni, con questa composizione, che operi con questi tempi, guidato da questa maggioranza, senza dubbio alcuno porterebbe alla produzione di un aborto legislativo.
  Tuttavia, dovete rendervi conto che la differenza tra questo e il resto dei vostri provvedimenti pubblicitari, come ad esempio è stato il «decreto del far nulla», è che con questo disegno di legge costituzionale si va a incidere in maniera strutturale sul nostro impianto istituzionale e si crea un pericoloso precedente per la democrazia italiana.
  Quando si dice che in Commissione affari costituzionali c’è stato un ampio dibattito sugli emendamenti, voglio ricordare che in questo Comitato, signor Presidente, se qualcuno dei partecipanti sta male, ha un incidente automobilistico o qualsiasi altro problema di salute che non ne permette la presenza fisica, non può essere sostituito, come accade in tutte le Commissioni permanenti. Quando questo è stato fatto notare in Commissione affari costituzionali, l'imbarazzo da parte di tutti, Governo compreso, era evidente. Ma, come ha detto il collega La Russa, non si può modificare questo disegno di legge costituzionale, anche se ci sono delle assurdità, perché altrimenti si perderebbe altro tempo, e il tempo non può essere utilizzato per riflettere e migliorare qualcosa, perché non era previsto che ci fosse qualche errore in questo disegno di legge costituzionale, oppure è previsto ma non è modificabile. Si è arrivati a sentir dire qualcosa di allucinante in Commissione affari costituzionali.
  Ciò perché, Presidente, non basta parlare e aprire la bocca in Commissione affari costituzionali per dire che il dibattito è stato ampio, preciso e dettagliato, perché quando ci sono dei clamorosi errori bisogna avere l'onestà intellettuale di correggerli. Questo purtroppo non è avvenuto, e il motivo l'ho detto poc'anzi. Non ci si può infatti sentir dire: noi vogliamo conservare e salvare la Costituzione e per questo vogliamo modificarla. Come ho detto in Commissione: è come se un vegetariano dicesse che vuole restare vegetariano e che per farlo mangia una fetta di carne da tre chili.
  Ora, io voglio dire che le esperienze delle prese in giro le abbiamo vissute nei vari consigli comunali, dove i vostri rappresentanti sono ormai molto esperti, e anche in Commissione affari costituzionali e in quest'Aula le prese in giro sono tante, ma sicuramente non si può continuare con questo stato di cose. Il nostro ruolo è quello di smascherare le vostre prese in giro, per non definirle prese per il culo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. Deputato Nuti, non ha chiuso in bellezza, ed è anche presidente del gruppo.
  È iscritto a parlare il deputato D'Ambrosio, a cui chiedo ovviamente di usare un linguaggio consono. Ne ha facoltà.

  GIUSEPPE D'AMBROSIO. Signor Presidente, le assicuro che non nominerò congresso, Napolitano o altre parole simili, quindi vado tranquillamente per quello che devo dire (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. Vada avanti. Vada avanti.

  GIUSEPPE D'AMBROSIO. Signor Presidente, cito testualmente: «ignorando il risultato del referendum popolare del 2006, che bocciò a grande maggioranza la proposta di mettere, appunto, il potere nelle mani di un Premier assoluto, è ripartito un nuovo e ancor più pericoloso tentativo di stravolgere in senso presidenzialista la nostra forma di Governo». Vi ho appena letto la prima parte dell'appello presente sul Il Fatto Quotidiano contro il disegno di legge di riforma costituzionale, già sottoscritto da molte personalità di caratura istituzionale italiana e da centinaia di migliaia di cittadini. Io ovviamente sono ben lungi dall'essere una personalità, ma una piccola riflessione ritengo sommessamente di poterla effettuare, ma per Pag. 76farla mi è indispensabile richiamare all'attenzione dell'Aula un altro referendum, che questa politica ben conosce, il referendum abrogativo dell'aprile del 1993, quando il 90 per cento – e sottolineo il 90 per cento – dei voti espressi dai cittadini italiani vi ordinò – ripeto, ordinò – di abrogare il finanziamento pubblico ai partiti. Quindi, mi chiedo e vi chiedo: in questa che voi continuate a descrivere come democrazia a sovranità popolare, quando il popolo vi dice qualcosa tramite un referendum, perché ve ne fregate altamente (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) ?
  O meglio: perché siete voi a decidere a quale volontà popolare va dato seguito ? Chi siete voi per essere i decisori finali ? È vero, siete gli eletti dal popolo, quindi la volontà del popolo italiano è da eseguire solo quando vi elegge tramite leggi elettorali, vorrei dire, truffaldine, ma mi limiterò a dire fortemente discutibili. In altri casi, come nei referendum del 1993 e del 2006, può essere invece tranquillamente disattesa a vostro piacimento.
  Ancora prima che venisse trasmesso dal Senato, l'esame del disegno di legge è stato calendarizzato alla Camera per la fine del mese di luglio, con l'apposizione della fittizia clausola «ove trasmesso dal Senato e concluso dalla Commissione», con la precisa volontà di far arrivare il disegno di legge in Aula alla Camera per quella data, al fine di poter poi, in seguito, comunque illegittimamente, contingentare i tempi per il suo esame. Avevate affermato, fino a poco tempo addietro, che la riforma del finanziamento ai partiti fosse urgente, poi avete deciso che fosse la legge di riforma costituzionale a necessitare di un iter d'urgenza, cosa che per noi del MoVimento 5 Stelle non è assolutamente condivisibile. Del resto, il finanziamento ai partiti era ed è argomento condiviso nella sua urgenza. Per cui, facendo un sunto, ora abbiamo l'urgenza e l'urgenza dell'urgenza, cose che fanno venire il mal di testa ai cittadini italiani, poiché certamente succederà che avremo l'urgenza – cioè il disegno di legge di riforma costituzionale – il cui cammino sarà influenzato dalla solita zuffa che farete per l'urgenza dell'urgenza.
  Presidente, la rigidità della Costituzione è parte essenziale della sua natura garantistica dei diritti dei cittadini nei confronti del potere politico: le grandi rivoluzioni del Settecento – quella americana e quella francese – si caratterizzano entrambe perché il potere politico che poteva condizionare la vita, i diritti e le libertà dei cittadini, singoli o liberamente associati, doveva trovare un limite. Tale limite venne individuato nelle Costituzioni e, per essere tale, la Costituzione doveva essere rigida, come lo è la nostra, non modificabile nemmeno dalla maggioranza, perché i diritti e le libertà non possono essere rimesse alla mercé nemmeno della maggioranza.
  D'altro canto, prima ascoltavo dai banchi del PD parlare degli autoritarismi, dei nuovi media, dei social network e tutto il resto, ma d'altro canto è proprio la flessibilità dello Statuto albertino che aveva consentito il passaggio alla dittatura per mezzi «legali». Attraverso leggi approvate dalla maggioranza delle due Camere, una maggioranza anche allora artatamente gonfiata da un premio di maggioranza abnorme, ancorché, per la verità Presidente, più contenuto di quello che ha mostruosamente ingrossato le file di uno dei partiti della attuale maggioranza, che Mussolini aveva potuto, in questo modo, travolgere il labile Stato liberale ed instaurare il regime fascista. Ma la storia a quanto pare, a voi, non insegna un bel niente ! (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  Vi ricordo che la scrittura della Costituzione fu resa possibile anche da quello che fu chiamato «l'isolamento della Costituente» rispetto al governo, sicché i padri costituenti riuscirono a lavorare insieme anche dopo che De Gasperi fece cadere il governo. Oggi, purtroppo, non vedo un simile clima nella stramba maggioranza e l'unico isolamento fisico di cui intravedo l'eventualità, per Cassazione, è quella di un padre costituente di una parte politica qui presente, ma dovrei dire assente, Pag. 77abbiate pazienza; in realtà la critica iniziale è stata desunta da una citazione di un tale Rodotà, quindi era rivolta anche comunque alla parte che in qualche modo è presente e che forse si riconosce in qualche modo oramai nello stesso padre costituente prossimo all'isolamento, speriamo grazie alla Cassazione !
  Guardate, questa politica è da troppi anni che mena il can per l'aia sulla problematica relativa alla Costituzione. Solo a mia memoria, ma la storia è ben più lunga, era un qualcosa che doveva fare una maggioranza di centrosinistra, che l'allora opposizione tacciò di incapacità; poi quella opposizione diventò maggioranza e fu altrettanto incapace. Poi entrambe si affidarono ad un tecnico che ancora non vi riuscì. In seguito entrambe le parti si sono messe insieme, quello che oggi vediamo, ed hanno partorito il seguente disastro: un «Comitato parlamentare per le riforme costituzionali ed elettorali». Ma cos’è questo Comitato ? Forse, e lo ripeto, il grimaldello per l'articolo 138 ? Cosa vuole rappresentare questa supercommissione parlamentare, magari contornata dalla solita pletorica e costosa commissione di esperti ? Perché si pone al di sopra del Parlamento ? Siamo sicuri che le Commissioni affari costituzionali riusciranno poi a funzionare correttamente, avendo dei membri impegnati su più fronti ? Per non parlare dei lavori in Aula ! E se qualcuno dei componenti poi cambiasse casacca ? Ed il popolo italiano, questa volta, lo interpelleremo coinvolgendolo sottoponendogli magari qualcosa su cui esprimersi prima ? Lo deciderete prima se la volontà popolare questa volta andrà rispettata ? Scusate, ma per fare tutto questo non abbiamo già un ampio ed articolato comitato che si chiama Parlamento ? (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  Presidente, cito testualmente: «Se approveremo questo testo con un termine di 18 mesi, creiamo un precedente, un precedente che sa quasi di commissariamento, di pseudocommissariamento del Parlamento. E questo non mi piace». Queste parole, Presidente, non sono del MoVimento 5 Stelle, non sono di coloro che voi definite «talebani che vogliono imbalsamare il cambiamento e l'ammodernamento della nostra Costituzione»; sono le parole dell'ex presidente del Senato e attuale capogruppo del Popolo della Libertà, Renato Schifani, che proprio contro la previsione di termini finali imposti al Parlamento per compiere l'attività più importante e delicata che ad esso compete (riformare la Costituzione), si è espresso chiaramente, e i fatti dimostrano la vostra coerenza del resto !
  Invece, direi, piuttosto che pensare all'articolo 138, magari potremmo ripensare all'articolo 21-bis, proposto per garantire l'accesso alla rete Internet di tutti i residenti sul territorio italiano, partendo dall'assunto che l'accesso alle reti è diventato una componente essenziale della cittadinanza. E non parlateci di una Rete inutile perché poco diffusa e quindi poco attendibile, perché se è poco diffusa è solo a causa vostra, è solo a causa della vostra incapacità e cecità: vostra incapacità di progettare e guardare al di là di ciò che non sia propedeutico alla prossima elezione. Inoltre, se inattendibile, mi dovere spiegare: a che serve il sondaggio on line sul disegno di legge costituzionale (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) ?
  Ma, Presidente, torniamo al 21-bis, un articolo composto da sole 27 parole, che recita così: «Tutti hanno eguale diritto di accedere alla rete Internet, in condizioni di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale». Queste parole sono di un professore di nome Stefano Rodotà. Nel novembre 2010 questa proposta fu depositata al Senato a prima firma di un senatore del Partito Democratico: la propose come modifica costituzionale per ampliare la sfera dei diritti fondamentali previsti nel nostro ordinamento. Presidente, ma cosa le dico a fare queste cose in quest'Aula ? Cosa parlo a fare di diritti, parità, ostacoli economici e sociali e di Rodotà ? Tanto in quest'Aula – e non solo perché sono assenti – di sinistra non c’è nessuno probabilmente ad Pag. 78ascoltarmi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle – Commenti di deputati del gruppo Partito Democratico) ! Vedo che fa piacere e si divertono anche, i colleghi del PD.
  Presidente, concludo dicendo che è deprimente vedere quest'Aula semivuota quando si discute di riforma costituzionale. Però, voglio dirle: sarebbe ancora più deprimente se oggi fossimo quattro gatti; li ho contati, e siamo quarantaquattro gatti. Presidente, le risparmio la canzoncina (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) !

  PRESIDENTE. Grazie di averci risparmiato anche la canzoncina.
  È iscritto a parlare il deputato Plangger. Ne ha facoltà.

  ALBRECHT PLANGGER. Signora Presidente, Signor Ministro, carissimi colleghi, quale rappresentante delle minoranze linguistiche, annuncio il nostro voto a favore di questo disegno di legge, per i seguenti motivi.
  Da trent'anni si tenta di dare allo Stato una Costituzione più moderna, che garantisca tra l'altro più governabilità ed abolisca finalmente il bicameralismo perfetto, introducendo più federalismo regionale.
  I criteri per la composizione del cosiddetto «Comitato dei 42» tutelano, con gli emendamenti introdotti al Senato, i gruppi parlamentari piccoli, e pure le minoranze linguistiche riconosciute, che possono così far parte di pieno diritto del Comitato – ed è proprio questa l'assoluta novità in confronto ai tentativi di riforma costituzionale degli anni scorsi. Riconosciamo in questo senso il grande sforzo del partito di maggioranza, il Partito Democratico, a carico del quale maggiormente è l'apertura benevola verso i gruppi piccoli e noi minoranze linguistiche.
  Noi non abbiamo paura per il nostro Statuto dell'autonomia, che vedo adeguatamente tutelato dalla Costituzione attuale, e anche da quella riformata, perché il nostro Statuto è fortemente ancorato anche nei trattati internazionali.
  Riconosciamo l'assoluta necessità di mettere mano alla Costituzione. Chiediamo però già adesso a quest'Aula, al «Comitato dei 42», al Governo e ai suoi consulenti costituzionali una particolare sensibilità e adeguate garanzie verso le nostre specialità e verso il nostro territorio. Per cui, come rappresentanti delle minoranze linguistiche, annunciamo il nostro voto a favore (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Minoranze Linguistiche).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Gianclaudio Bressa. Ne ha facoltà.

  GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, qualche tempo fa Livio Paladin, presidente emerito della Corte costituzionale, in un libro fondamentale, Cronache costituzionali della nostra Repubblica si interrogava con puntualità sul farsi della storia politica e cercava di collocare le vicende costituzionali nella dimensione più ampia della trama sociale e politica di un determinato Paese, il che non significa rinunciare al rigore delle categorie proprie del giurista, ma un progressivo e consapevole spostamento della scienza costituzionale dal terreno delle analisi normative a quello della misurazione delle dinamiche istituzionali e, con riferimento alla categoria della Costituzione vivente, ha costantemente cercato di individuare la traduzione di un certo modello costituzionale in concrete realtà istituzionali.
  Ora, la domanda che tutti ci dovremmo fare e prima di tutto questo Parlamento dovrebbe farsi è la seguente: l'attuale realtà istituzionale funziona ? Corrisponde ancora al modello costituzionale che ci siamo dati ? La risposta credo che sia una e una sola: no, il sistema politico-istituzionale è vicino al collasso. Allora, l'altra inevitabile domanda è: cosa vogliamo fare, ci rassegniamo al peggio o proviamo a reagire e a mettere in atto comportamenti virtuosi, capaci di farci uscire dal buio della crisi ? Qui si colloca il tema della revisione costituzionale, qui si colloca la discussione e l'approvazione di questo disegno di legge costituzionale, e bisogna essere all'altezza di questa sfida, evitando posizioni ideologiche, strumentalizzazioni, Pag. 79ma soprattutto le menzogne che sono state sparse ripetutamente, a piene mani. Si è detto che si vuole stravolgere l'articolo 138, che ci si vuole costituire in potere costituente, che si perseguano disegni autoritari e piduisti, che si vuole calpestare la nostra Costituzione, la più bella Costituzione del mondo. Più che argomenti, sono stati utilizzati anatemi, e qui sta il vero problema, il vero pericolo, rifiutare il confronto facendo del principio di realtà il metodo politico condiviso.
  Quello che si definisce il paradosso di Zagrebelsky a proposito della revisione costituzionale – e cioè, l'esigenza della riforma nasce dalla disgregazione dei processi di integrazione politica, ma la riforma costituzionale presuppone il massimo di aggregazione politica – sembra davvero compiersi, ma per volontà di chi costruisce artificialmente un clima di scontro con l'unico obiettivo di impedire qualsiasi riforma.
  Vorrei fare un esempio, per meglio spiegarmi. Ciascuno di noi, colleghi, ha ricevuto una lettera come deputato in cui è contenuto l'invito a votare contro questo disegno di legge, che integra un vero e proprio illecito costituzionale, affermazione anche questa non dimostrata, ma urlata. Leggo un passaggio di questa lettera che ciascuno di noi ha ricevuto: «Il fatto che per avviare un processo di revisione costituzionale (la cui iniziativa, comunque, non spetterebbe al Governo ma al Parlamento) si pretenda di incidere sulla rigidità della Costituzione, lascia trasparire l'intento (o quantomeno la possibilità) che il processo riformatore esorbiti dai limiti sostanziali che la Carta stessa fissa alla sua revisione; limiti che da molto tempo sono contestati da forze politiche portatrici di culture estranee ai principi e valori costituzionali, le quali, assieme all'antifascismo, contestano la divisione dei poteri ed il principio fondamentale che la Repubblica sia fondata sul lavoro». Vedete, questa non è un'opinione, questo è un falso su cui si tenta di costruire un'opinione.

  ANGELO TOFALO. Chi l'ha scritta ?

  GIANCLAUDIO BRESSA. L'hai ricevuta anche tu, l'hai ricevuta, è in casella, è scritta a tutti i deputati.
  Il disegno di legge, come sostiene la larga parte della dottrina, ha accentuato la rigidità dell'articolo 138, ci sono scritti importanti di numerosissimi costituzionalisti in questa direzione – Dogliani, Luciani, Pinelli, Olivetti, potrei citarne a decine –; volevo citare un passo del professor Valerio Onida, presidente emerito della Corte costituzionale.
  Devo dire, però, che, dopo che il collega D'Ambrosio ha citato l'appello de Il Fatto quotidiano che, tra le firme autorevoli, ha anche quella di Boosta, tastierista dei Subsonica, un certo imbarazzo mi è venuto perché, effettivamente, la comparazione culturale rischiava di subire qualche indebolimento, però supero questa mia timidezza e leggo lo stesso quello che ha detto Onida. Il professor Onida – lo cito: era su un giornale di questi giorni – ha detto: «Il fatto che il referendum confermativo si possa tenere anche se le riforme saranno approvate con una maggioranza superiore ai due terzi, questa è una garanzia e una possibilità di partecipazione in più». E qui stiamo parlando di partecipazione vera in più, non di partecipazione formale, apparente e virtuale in più. Qui, stiamo parlando di un referendum al quale tutti i cittadini saranno chiamati, perché dobbiamo anche stare attenti che la nostra Repubblica non è l'Islanda, non è un Paese di 360 mila persone, che può affidarsi alla rete per fare alcuni passaggi politicamente importanti, perché dobbiamo sempre stare attenti ad una cosa: «Fin dove democrazia elettronica significa maggiore possibilità di contatto tra governato e governante, diritto di controllo e dovere di rendere conto, realizzando così una sorta di democrazia continua, ciò è sicuramente positivo, altrimenti essa non diventa altro che la via alla manipolazione della partecipazione politica». Questo è il professor Stefano Rodotà, quando affronta il tema del voto elettronico e del rapporto che c’è tra democrazia e Internet. Noi siamo una realtà di 60 milioni di persone: immaginare di sostituire la partecipazione Pag. 80diretta del popolo con altre forme può essere suggestivo, ma sicuramente è molto pericoloso.
  Questa cultura del sospetto, fatta di affermazioni indimostrabili, se non anche di veri e propri travisamenti della realtà, è il vero tarlo che si vuole insinuare nel confronto democratico. I principi fondamentali dell'articolo 138 non sono messi in discussione. La tutela delle minoranze e l'attribuzione dell'ultima parola al popolo, confermando il valore oppositivo del referendum, sono pienamente confermati.
  Vedete, la revisione della Costituzione è un mezzo della sua attuazione: chi condivide l'idea che le costituzioni siano tavoli di valori negoziati – e non trascendenti – dà una risposta positiva: la revisione è un mezzo per attuare la Costituzione e, quando si incide sulla costituzione dei poteri – come stiamo facendo noi – la revisione può essere concepita come un mezzo di attuazione solo se si postulano l'unitarietà della Costituzione e un nesso di strumentalità della costituzione dei poteri, rispetto alla costituzione dei diritti e dei doveri. È esattamente quello che noi vogliamo fare e stiamo facendo: quindi, nessun pericolo e nessun attentato alla Costituzione !
  Il Partito Democratico vuole attuare e non stravolgere la Costituzione, vuole dare ai cittadini più diritti, e non meno diritti, vuole restituire al Parlamento un ruolo centrale nella vita politica, vuole un Governo più forte in un Parlamento più forte, vuole superare, finalmente, quelle aporie che ci portiamo dietro dal 1947. L'ordine del giorno Perassi del settembre del 1947, che metteva in luce i pericoli delle degenerazioni assemblearistiche del parlamentarismo, la discussione sul bicameralismo, a partire dalla relazione di Mortati, per quanto riguardava la rappresentanza organica, e tutta la discussione che c’è stata fino ad arrivare all'ordine del giorno Iotti e Togliatti, che ci ha portati al bicameralismo paritario attuale, che è frutto di un compromesso, perché, in quel momento, nessuno sapeva chi avrebbe vinto o avrebbe perso, per cui tutti dovevano controllare, ma che oggi è inefficienza, tutte queste cose sono le cose che noi vogliamo risolvere finalmente, dopo sessant'anni rispetto ad una Costituzione che non vuole essere cambiata, ma attuata. Lo vogliamo fare in Parlamento, con le forze politiche presenti in Parlamento, con il potere di revisione costituzionale che l'articolo 138 attribuisce a questo Parlamento, che è pienamente legittimato dal voto popolare, e non è a mezzo servizio, come qualcuno pretenderebbe.
  Se illegittimo questo Parlamento dovesse essere lo sarebbe sempre e non quando lo decidete voi, colleghi 5 Stelle. E, invece, questo è un Parlamento che è legittimato dal voto popolare e noi siamo qui, come Partito Democratico, per fare questa riforma, con la nostra cultura costituzionale, con la nostra lealtà costituzionale, con la forza politica che i cittadini ci hanno legittimamente dato e che noi non vogliamo rendere inutile e, soprattutto, non vogliamo sprecare. E lo faremo con quella disponibilità politica-culturale, con quella disponibilità d'animo, direi, insegnataci da Aldo Moro. Occorre una forte coscienza del nostro compito, da assolvere con assoluto distacco per il bene dell'Italia, ed è esattamente quello che noi, Partito Democratico, faremo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 1359)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore di minoranza, deputato Riccardo Fraccaro, che, però, avrebbe esaurito il suo tempo. Prendo atto che vi rinunzia.
  Ha facoltà di replicare l'altro relatore di minoranza, deputato Nazzareno Pilozzi, per due minuti.

  NAZZARENO PILOZZI, Relatore di minoranza. Signor Presidente, Governo, colleghi, io sarò brevissimo. Intervengo solo per dire che anche il dibattito che quest'oggi Pag. 81abbiamo svolto in quest'Aula ha confermato la nostra posizione, perché noi oggi abbiamo visto plasticamente come questo provvedimento, presentato dal Governo, serve più a tenere insieme questa strana maggioranza, forse per altri 18 mesi, piuttosto che, invece, intervenire per ammodernare la Costituzione repubblicana.
  Io ho ascoltato, anche da ultimo, l'intervento del collega Bressa, sempre puntuale anche nei suoi interventi in Commissione. Io, intanto, invito il collega Bressa ad ascoltare più musica moderna e a frequentare magari meno Brunetta, perché noi oggi abbiamo visto che su questa riforma costituzionale abbiamo due punti di vista diversi tra coloro che voteranno questo provvedimento, perché da una parte abbiamo ascoltato molti colleghi che non vedono l'ora di mettere mano al Titolo II della seconda Parte, per potere avere un presidenzialismo. Dall'altra, ci sono altri colleghi del Partito Democratico che ci vogliono rassicurare. Noi non ci accontentiamo delle rassicurazioni, come di quelli che ci dicevano «mai al Governo con Berlusconi». Noi riteniamo che nelle leggi che si vanno ad approvare bisogna scrivere con chiarezza cosa si vuole fare e, quindi, nel momento in cui noi abbiamo qui dentro il Titolo II e la possibilità di intervenire attraverso le leggi collegate su tutta la Costituzione non ci possiamo accontentare di generiche, diciamo così, rassicurazioni.
  Purtroppo, c’è una parte importante di questo Parlamento che vede nella Costituzione repubblicana un intralcio e oggi noi stiamo dando a quella parte di questo Parlamento la possibilità di metterci le mani sopra. Noi, come SEL, faremo la nostra battaglia perché, come ho detto questa mattina, noi non consentiremo che venga seppellita la Costituzione repubblicana (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Ecologia Libertà e MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la maggioranza, presidente Francesco Paolo Sisto.

  FRANCESCO PAOLO SISTO, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, intervengo solo per prendere atto di come sono stato un buon profeta nell'annunciare che il dibattito sarebbe stato approfondito, capace, qualitativo e proficuo (lo aggiungo perché il dibattito di oggi è stato proficuo). Mi riservo, ovviamente, poi di formulare eventualmente delle osservazioni più specifiche, anche dopo aver ascoltato la opinione del Governo su questo dibattito, certamente all'altezza del tema.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo, Ministro Quagliarello.

  GAETANO QUAGLIARIELLO, Ministro per le riforme costituzionali. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor relatore per la maggioranza, signori relatori di minoranza, innanzitutto un ringraziamento non formale ai 32 colleghi che hanno preso la parola nella giornata di oggi e a tutti i gruppi che hanno animato questo dibattito.
  Non mi è sfuggita la disponibilità che è stata pronunciata in quest'Aula in particolare da due gruppi che non fanno parte della maggioranza e del Governo, la Lega Nord e Fratelli d'Italia; disponibilità offerta anche come prova di fiducia che il Governo spera, anche se su questo tema, di poter ben ricambiare. Questo disegno di legge costituzionale, che abbiamo discusso, oggi inizia un iter. Questo disegno ha un ambito e una finalità limitata. Lo dico perché da molti che sono intervenuti in quest'Aula ho sentito parlare di riforma della Costituzione. No, non si tratta certo della definizione delle proposte di merito, che dovranno venire successivamente e che dovrebbero costituire quegli interventi di riforma della nostra Carta costituzionale che noi riteniamo necessari per realizzare l'auspicata modernizzazione del nostro sistema istituzionale. L'obiettivo di questo disegno di legge è piuttosto quello di definire un percorso che consenta di giungere in tempi ragionevoli e in qualche modo Pag. 82prevedibili a un risultato che il Paese aspetta da tanto tempo.
  Le vicende politiche più recenti, la particolare situazione economico-sociale del Paese, le esigenze di rilancio dell'economia e di rafforzamento della competitività del sistema e della coesione sociale rendono oggi più attuali di ieri queste riforme. È stato detto nel corso del dibattito e riprendo questo concetto: un Paese in una fase di espansione economica può anche permettersi istituzioni malfunzionanti; questo è un lusso che invece un Paese non può consentirsi nei momenti di crisi e di recessione, come quello che stiamo vivendo. È un momento del tutto eccezionale, questa è la crisi economica più grave dell'evo contemporaneo. Ormai la sua durata è maggiore di quella di una guerra mondiale novecentesca ed è facile comprendere come i compiti stessi dello Stato e delle istituzioni alla fine di questa crisi non saranno più quelli di prima. Ed è per questo che quando entreremo nel merito il mio auspicio è che non si guardi soltanto ai trent'anni passati, ma si guardi anche a quello che il futuro si appresta a mostrarci e si tenti di rispondere alle domande che la crisi economico-sociale ci mette ogni giorno sotto gli occhi, modificando non soltanto i compiti delle istituzioni, ma anche i capisaldi della nostra stessa cultura politica.
  Ecco, rispetto a queste esigenze, il disegno di legge all'esame della Camera rappresenta quindi solo una precondizione. Siamo consapevoli che il grosso del lavoro è ancora da fare e che sarà affrontato quando il disegno di legge costituzionale sarà stato definitivamente approvato e il Parlamento si confronterà sulle diverse opzioni sul tappeto. Anche qui invito alcuni colleghi a liberarsi da pregiudizi. Non c’è alcuna soluzione concreta che è stata già esaminata e selezionata. Ognuno di noi ovviamente ha una sua cultura politica di riferimento e su questi temi ha delle opinioni, ma né all'interno del Governo né tanto meno credo all'interno delle stesse forze politiche si è avviato un dibattito di merito.
  Qui stiamo discutendo unicamente del metodo. Ed è proprio in considerazione della limitatezza di questo disegno di legge, non solo per i cinque articoli, ma soprattutto per il suo oggetto, che io ritengo del tutto infondate le accuse di chi denunzia un esame incompleto, strozzato negli interventi e nei tempi. Per rendersene conto basta citare un dato: nel precedente recente più simile a quello che oggi stiamo vivendo, cioè la legge costituzionale n. 1 del 1997, che istituiva una Commissione bicamerale, poi passata alla storia come la Commissione D'Alema, il Parlamento concluse il proprio esame in prima lettura in soli nove giorni. Oggi – e sempre ammesso che riusciremo ad approvare definitivamente alla Camera il testo entro domenica 8 settembre, come concordato in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo – avremo impiegato 57 giorni ovvero, se la matematica non è un'opinione, il 633,3 per cento in più rispetto al precedente.
  Sul piano delle scelte di merito poi il disegno di legge, in piena coerenza con le indicazioni contenute nella mozione approvata da entrambi i rami del Parlamento lo scorso 29 maggio, persegue la finalità di agevolare il percorso delle riforme, assicurando un pieno esercizio della sovranità popolare e valorizzando, rafforzando al contempo, sia le componenti della democrazia rappresentativa che quelle della democrazia diretta e della partecipazione popolare.
  Non vi è nell'iniziativa del Governo alcun intento di stravolgere il senso dell'articolo 138 della Costituzione, ma soltanto la volontà di rafforzarne lo spirito e l'efficacia, attraverso la definizione di un iter in grado di garantire maggiore fluidità all'esame parlamentare, senza per questo sacrificare in alcun modo le garanzie e le prerogative delle minoranze: anzi, rafforzando quella che è la vera garanzia e cioè la corrispondenza tra la deliberazione del Parlamento e la volontà del popolo.
  A conferma di quanto ho appena affermato, vorrei citare il parere di un costituzionalista che certo non può essere ritenuto un pericoloso revisionista in Pag. 83campo costituzionale. Mi riferisco a Massimo Luciani, che, in un articolo apparso qualche giorno fa su l'Unità, ha osservato che due sono i principi fondamentali dell'articolo 138 che non possono e non devono essere violati. Cito: la tutela delle minoranze e l'attribuzione dell'ultima parola – salvo l'ipotesi, non ordinaria, di una seconda approvazione con una maggioranza dei due terzi – al popolo con il referendum costituzionale. Ebbene – è sempre Luciani che parla – il disegno di legge tanto criticato non solo rispetta, ma conduce a sviluppo coerente quei due principi: da una parte, tutela maggiormente le minoranze, perché costituisce un comitato parlamentare composto in proporzione non solo dei seggi, ma dei voti ottenuti; dall'altra, consente il referendum costituzionale anche nell'ipotesi in cui si sia raggiunta o superata la maggioranza dei due terzi in seconda deliberazione. La garanzia del voto popolare, dunque, di un voto che serve proprio ad aumentare la possibilità di difesa della Costituzione, è addirittura esaltata (fine della citazione).
  In realtà, a ben vedere, è proprio questo il nodo centrale. Le proteste dei gruppi di opposizione, di alcuni gruppi di opposizione, appaiono sotto questo aspetto difficilmente comprensibili, ove si consideri che il punto di maggiore innovazione del disegno di legge che stiamo esaminando è proprio la previsione della possibilità di chiedere il referendum confermativo sulla riforma costituzionale anche nel caso in cui il Parlamento l'approvi con una maggioranza superiore ai due terzi.
  L'obiettivo del disegno di legge non è solo generico e astratto, e cioè rafforzare la trasparenza e il controllo democratico sul processo riformatore. Certo, volontà del Governo è anche che il processo di revisione costituzionale sia pienamente conosciuto e condiviso dall'opinione pubblica. Accanto a questo, però, vi è un altro obiettivo, che è molto più specifico e concreto. L'attuale Governo, infatti, gode di un'ampia fiducia parlamentare, ampiamente superiore ai due terzi. Pertanto, se la maggioranza avesse voluto, avrebbe agevolmente potuto approvare una riforma senza rischiare di sottoporsi al giudizio referendario. Avere previsto la possibilità di un referendum in ogni caso è la migliore garanzia per le prerogative dell'opposizione ed è singolare che siano proprio le parti politiche che potranno beneficiare di tale garanzia a lanciare durissime critiche al testo all'esame del Parlamento.
  Io devo dire che ho apprezzato il riconoscimento del collega Migliore, che ha ricordato l'iter di questa proposta. Essa è partita, ha detto il capogruppo di SEL, quando quella che viene definita la «strana maggioranza» non era ancora in mente dei. Allora, cari colleghi, non si parlava di una revisione dell'articolo 138 come è stata effettuata, ma si parlava di una convenzione della quale avrebbero dovuto far parte parlamentari e non parlamentari, e quindi persone che hanno forme di legittimazione differenti: alcune nella sovranità del popolo e altre no. Questa convenzione avrebbe dovuto – sono le parole di Migliore, il riconoscimento che ci è venuto – approvare una riforma che poi il Parlamento avrebbe dovuto ratificare in una sola lettura, perché ad essa sarebbe stato dato il potere redigente. Mi sembra che stiamo discutendo di tutt'altro.
  Quando questa proposta fu evocata – eravamo in un altro clima e si immaginava un'altra maggioranza – io, francamente, non ho sentito preoccupazioni diffondersi nel Paese. Non ho visto appelli di sportivi, attori, cantanti, e non ho nemmeno sentito accenni critici. Si sarebbe trattato, secondo le categorie che sono state usate qui, non di un golpe, ma di un super golpe.
  Vorrei che fosse riconosciuto al Governo di avere modificato tutto ciò e di avere proposto qualcosa che, addirittura, lo priva di poter fare ricorso a quella maggioranza dei due terzi che pure ha a disposizione sia alla Camera sia al Senato.
  Io credo che siano queste le ragioni per le quali un altro costituzionalista che non è certo un pericoloso revisionista, e cioè il professor Mario Dogliani, abbia colto il senso politico delle trasformazioni introdotte dal presente disegno di legge laddove afferma, testualmente, che non è certo Pag. 84quello di avviare «un procedimento nemico della Costituzione », bensì di apportare minimi correttivi al procedimento dell'articolo 138, al fine di realizzare un giusto bilanciamento tra la rigidità del processo costituzionale e le esigenze di un esame parlamentare agile, snello e, per il possibile, rapido.
  Quanto al primo aspetto, la rigidità dell'articolo 138 viene accentuata su un altro ambito fondamentale, vale a dire la necessità di più leggi di revisione, dal contenuto omogeneo, così da consentire una pluralità di referendum confermativi, ciascuno dal contenuto chiaro. Ho sentito dire da molte parti dell'opposizione che questa è un'esigenza necessaria. Ma per arrivare a questa esigenza si è dovuto modificare lievemente l'articolo 138, e questa soluzione rafforza ancora di più il procedimento di revisione costituzionale perché, come ha osservato il professor Valerio Onida – un altro che, credo, avrebbe qualcosa da dire se fosse ritenuto un pericoloso revisionista – «è fondamentale che non si faccia una sola legge di revisione costituzionale onnicomprensiva, ma tante leggi distinte, oggetto per oggetto. Nel caso di riforma unica infatti, il rischio è che i cittadini si trovino di fronte a un prendere o lasciare, alla scelta tra nessuna riforma e una riforma che magari contiene aspetti positivi ed altri negativi». Fine della citazione.
  Quanto all'esigenza di garantire la celerità dell'esame in sede parlamentare, occorre anche su questo punto un po’ di chiarezza. In via generale, ritengo che nei processi decisionali pubblici e in particolare in quelli parlamentari, il profilo dei tempi assuma un'importanza prioritaria. Il tempo non è una variabile indipendente, ma un fattore decisivo ai fini dell'efficienza e dell'efficacia dell'intervento e della sua rispondenza alle esigenze del contesto politico, economico e sociale di riferimento. Il tempo politico non è il tempo cronologico. In alcuni casi, in politica, cinque minuti valgono più che lunghi anni. È quello che ti insegnano nei primi anni dell'università. È quello che ho appreso sui banchi dell'università quando ero allievo del professor Cassano. Non si può infatti trascurare che tanto maggiore sarà la riuscita di una riforma, quanto più ravvicinata nel tempo sarà la sua realizzazione rispetto al manifestarsi della sua necessità. Una cura medica, per quanto ben eseguita, non ha più senso se prestata al malato ormai in agonia. Troppo spesso, in passato, i processi di riforma non si sono arenati sulla mancanza del necessario accordo sulle questioni di merito ma, piuttosto, per impedire il raggiungimento del risultato coloro i quali erano avversari di ogni riforma si sono potuti servire delle lungaggini procedurali e della indeterminatezza dei tempi, senza doversi assumere davanti all'opinione pubblica la responsabilità politica delle proprie posizioni. Però, guardate, colleghi: il principio di responsabilità politica costituisce il cuore dei sistemi democratici. Proprio in quest'ottica, e in coerenza con le mozioni del 29 maggio, il disegno di legge prevede un termine complessivo di 18 mesi per il completamento dell'iter dell'intero processo di riforma, e una precisa scansione dei tempi intermedi. Il termine complessivo di 18 mesi è un termine congruo ed adeguato che, pur consentendo la tempestiva realizzazione dell'iter di riforma, non sacrifica minimamente l'esigenza di ponderazione e riflessione che devono caratterizzare ogni intervento di manutenzione della Carta costituzionale. Per quanto riguarda invece i tempi intermedi, il disegno di legge prevede sei mesi per la conclusione in sede referente da parte del comitato, tre mesi per l'esaurimento della prima lettura da parte di ciascuna Assemblea, mentre viene accorciato da tre mesi a 45 giorni l'intervallo tra una deliberazione e l'altra di ciascuna Camera.
  Si tratta, quindi, di un intervento dettato da esigenze di coerenza e fluidità dell'intero processo, ma che nulla toglie alla qualità dei lavori parlamentari e alla sovranità delle Camere. Mi si darà ragione se dico che si tratta di una tempistica molto diversa da quella originariamente immaginata per la quale il Parlamento in seduta comune era chiamato a esprimersi una sola volta e dopo che la Commissione Pag. 85avesse lavorato in sede redigente. Questo è stato il punto di partenza, quando non c'era questo Governo alle viste, ma c'era la previsione di altra maggioranza !.
  In ogni caso, i termini del procedimento di revisione non sono termini perentori. Infatti, come precisato dall'articolo 4 del disegno di legge, i lavori parlamentari sono organizzati in modo tale da consentire la conclusione dei lavori entro diciotto mesi dalla sua entrata in vigore, ma senza alcuna previsione di obbligatorietà nel rispetto delle scadenze.
  L'ultimo aspetto su cui mi vorrei soffermare è quello relativo alla stessa necessità di introdurre un apposito Comitato parlamentare bicamerale per l'esame dei disegni di legge di riforma costituzionale. L'idea di una Commissione speciale cui affidare l'esame preliminare dei progetti di riforma non è un'idea nuova, colleghi deputati, ma rappresenta una caratteristica costante dei tentativi di riforma che si sono susseguiti negli ultimi anni. Ciò perché la previsione di un unico organismo bicamerale ha il pregio di concentrare in una sede unica il lavoro istruttorio, garantendo non solo snellezza procedurale, ma soprattutto organicità ai lavori, senza però trascurare le esigenze di ponderazione nel corso dell'esame preliminare, che è poi la soluzione più adeguata anche rispetto al fatto che il nostro assetto è un assetto bicamerale e uno degli aspetti di cui la riforma tratterà è proprio quello del bicameralismo.
  Inoltre, con l'attuale sistema elettorale le regole che presiedono alla composizione del Comitato, pur rispecchiando i voti ottenuti da ciascun partito, consentono di rimediare agli squilibri che sono stati fatti notare, dovuti a un premio di maggioranza svincolato da qualunque soglia di accesso. Non vi è alcun rischio che il Comitato parlamentare possa comprimere il ruolo del Parlamento, poiché, nel pieno rispetto dell'articolo 138, esso si limita a svolgere un compito puramente referente e le due Camere sono poi libere di modificare, nel rispetto della procedura prevista, il testo proposto.
  Si era qui, in quest'Aula, il 28 maggio 1992 quando qualcuno affermò: «Tutti i partiti da tempo unanimemente sostengono la necessità delle riforme delle istituzioni. Ora non è più consentito attardarsi in disquisizioni anche eleganti ma altrettanto inconcludenti». Questa personalità rivolgeva «un solenne e rispettoso, ma fermo invito al Parlamento perché proceda alla nomina di una Commissione bicamerale, con il compito di una globale e organica revisione della Carta costituzionale nell'articolazione delle diverse istituzioni». Nello stesso discorso sottolineava, inoltre, l'importanza dei tempi entro i quali la Commissione avrebbe dovuto riferire al Parlamento e finiva dicendo che quella Commissione avrebbe dovuto operare «avendo sempre chiaro il fine da raggiungere, che il maggior bene è il miglior servizio per il nostro popolo».
  Non si trattava né del Presidente Letta né del Vicepresidente Alfano, ma del Presidente Oscar Luigi Scàlfaro. Credo che nessuno possa sospettare che volesse metter mano all'articolo 138 e istituire una Commissione per violare la Costituzione ! In piena coerenza con quello spirito e nel rispetto della centralità e delle prerogative del Parlamento, invito pertanto chiunque a non assumere posizioni manichee, lasciandosi condizionare o da un atteggiamento di preventivo conservatorismo costituzionale o da un accanimento modellistico.
  Il primo atteggiamento, nel presupposto che la nostra sia la Costituzione più bella del mondo, induce a rifiutare qualunque intervento su di essa. Ogni disegno di riforma viene ritenuto un attentato alla democrazia. In realtà, non è oggi in discussione il valore della Costituzione italiana. Nessuno ne mette in discussione i principi. La Carta del ’47 rappresenta storicamente un compromesso nobilissimo che ha reso possibile quello che si chiama il miracolo costituente. Oggi si tratta solo di verificare se la Parte seconda di quella Costituzione sia adeguata ai tempi o, viceversa, richieda un aggiornamento, soprattutto nei tre capitoli cruciali relativi alla forma dello Stato, alla forma del Governo e al bicameralismo. È risuonato il Pag. 86nome di Meuccio Ruini in quest'Aula. Invito veramente i colleghi ad andare a leggere il suo testo sulla «Nuova Antologia» scritto pochi giorni dopo l'approvazione della Carta. Affermava, in quel testo, come quel prodotto risentisse della contingenza storica.
  La nostra Costituzione si è iniziata a scrivere quando c'era un Governo di larghe intese, diremmo oggi; poi, invece, è stata scritta nell'ultima parte quando nel mondo era scoppiata la Guerra Fredda e gli equilibri erano mutati. Questo ha influenzato tutto, ha influenzato la riflessione sul bicameralismo, come ha ricordato Bressa. C’è quella fondamentale intervista a Dossetti fatta da Scoppola e da Elia che evidenzia quanto profonda sia stata l'incidenza del momento storico sulle scelte che si fecero in quel momento sul bicameralismo. E il momento storico ha influenzato anche la scelta sulla forma di Governo, basta andarsi a rileggere il dialogo tra Vittorio Emanuele Orlando e Saragat, per comprendere quanto profondo fosse il peso della contingenza anche su quel fondamentale capitolo della Carta.
  Oggi siamo in un altro mondo e quelle scelte possono essere riviste senza dar luogo a una guerra ideologica, senza che ci si trinceri dietro la conservazione astratta di soluzioni che hanno perso i loro presupposti. L'unica cosa che, in ogni caso, il Governo non vuol fare, non è disponibile a fare – e mi auguro non lo sia nemmeno il Parlamento – è tergiversare, magari utilizzando questioni di metodo per evitare anche questa volta di fare le riforme. Io non credo si tratti di contrapporre riforme economiche e riforme istituzionali. Io vorrei chiedere in coscienza ai colleghi: ma quanto è costato al nostro Paese il fatto di essere la democrazia europea con il tempo più lungo per produrre una legge, un tempo doppio rispetto alle altre ? Quanto è costato il fatto di avere cinque livelli di governo territoriale ? E quanto è costato il fatto che il legislatore regionale e il legislatore nazionale molto spesso hanno visto le loro controversie risolte, non da questa Camera, ma dalla Corte costituzionale, levando certezza del diritto ai cittadini e agli operatori economici ? E quanto costa il fatto di avere un bicameralismo perfetto per cui nella scorsa legislatura un provvedimento ha fatto anche sette volte la navetta ?
  Il percorso che il Parlamento e le forze in esso rappresentate hanno davanti si presenta inevitabilmente complesso e ricco di ostacoli. Conforta, tuttavia, aver colto in questo dibattito, in vastissimi settori, persino in alcuni interventi delle forze di opposizione, che è diffusa la consapevolezza che un fallimento del processo di riforma avrebbe come effetto quello di delegittimare l'intera classe politica, di maggioranza e di opposizione. Se terremo tutto questo ben presente, credo che il lavoro che ci attende nei prossimi mesi potrà essere utile, non per aggiungere un ennesimo capitolo al libro dei tentativi di riforma costituzionale, ma per garantire finalmente ai cittadini un assetto istituzionale più efficiente, più moderno, più democratico, che rispetti profondamente la Carta che i Padri costituenti ci hanno lasciato in eredità (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente e Scelta Civica per l'Italia).

  PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Trasmissione dal Senato di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissioni in sede referente (ore 16,56).

  PRESIDENTE. Il Presidente del Senato ha trasmesso alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alle Commissioni riunite VI (Finanze) e XI (Lavoro):
  S. 890. – «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, recante primi interventi urgenti per la promozione dell'occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie Pag. 87urgenti» (Approvato dal Senato) (1458) – Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), III, V, VII, VIII, X, XII, XIII e XIV.

  Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis, è altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

Annunzio della elezione del presidente della Commissione parlamentare per le questioni regionali (16,58).

  PRESIDENTE. La Commissione parlamentare per le questioni regionali ha proceduto nella seduta odierna all'elezione del proprio presidente.
  È risultato eletto il deputato Renato Balduzzi.

Annunzio della costituzione delle delegazioni presso le Assemblee parlamentari del Consiglio d'Europa e della NATO (ore 16,59).

  PRESIDENTE. Comunico che, in data odierna, la delegazione parlamentare presso l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, riunita per la sua costituzione, ha proceduto all'elezione del suo presidente.
  È risultato eletto il deputato Sandro Gozi.
  Comunico altresì che, sempre in data odierna, la delegazione parlamentare presso l'Assemblea parlamentare della NATO, riunita per la sua costituzione, ha proceduto all'elezione del suo presidente.
  È risultata eletta la deputata Federica Mogherini.

Sull'ordine dei lavori e per la risposta ad uno strumento del sindacato ispettivo (ore 17).

  RAFFAELLO VIGNALI. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  RAFFAELLO VIGNALI. Signor Presidente, solo per chiedere un intervento della Presidenza, in quanto oggi, con il collega Realacci, abbiamo presentato un'interrogazione che riguarda il fatto che da alcuni organi di stampa si è appreso che Trenitalia-Divisione Cargo ha deciso di sospendere il trasporto di cloro e fluoro compresso nel nostro Paese. Questo mette in crisi diversi settori, non solo la chimica, ma la farmaceutica, la plastica, i coloranti, l'alimentare, il trattamento delle acque.
  Peraltro, essendo sostanze pericolose normate da regolamento europeo, che da noi viene applicato, si tratta, quindi, comunque, di sostanze che è bene che vengano trasportate su ferro e non su gomma, in quanto su gomma la pericolosità di queste merci aumenta del 250 per cento. Quindi, veramente rivolgo una richiesta alla Presidenza, che solleciti il Governo a farsi carico del problema che abbiamo stimolato, appunto, con questa interrogazione.

  MARIALUCIA LOREFICE. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  MARIALUCIA LOREFICE. Signor Presidente, solo per un sollecito ad un'interrogazione. Intervengo per segnalare alla Presidenza di questa Camera che, avendo presentato in data 2 maggio 2013 un'interrogazione a risposta scritta, n. 4-00353, al Ministro della giustizia, non ho ancora ricevuto una risposta. L'interrogazione in questione riguarda l'accorpamento del tribunale di Modica a quello di Ragusa, secondo quanto stabilito dal decreto legislativo n. 155 del 2012 in materia di nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero.
  In breve, signor Presidente, il 13 settembre, il tribunale di Modica è destinato a chiudere. Quindi, chiederei una risposta Pag. 88al Ministro, avendo già sollecitato precedentemente una risposta a questa interrogazione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. La Presidenza trasmetterà questa sollecitazione al Governo insieme a quella dell'onorevole Vignali.

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Venerdì 2 agosto 2013, alle 9,30:

  1. – Discussione del disegno di legge:
   S. 896 – Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1o luglio 2013, n. 78, recante disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena (Approvato dal Senato) (C. 1417-A).
  — Relatori: Ferranti, per la maggioranza; Colletti, di minoranza.

  (a partire dalle ore 18)

  2. – Discussione del disegno di legge (per la discussione sulle linee generali):
   Abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e la democraticità dei partiti e disciplina della contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta in loro favore (C. 1154)
  e delle abbinate proposte di legge: D'INIZIATIVA POPOLARE; PISICCHIO; DI LELLO ed altri; FORMISANO ed altri; LOMBARDI ed altri; GRASSI ed altri; BOCCADUTRI ed altri; NARDELLA ed altri; RAMPELLI ed altri; GITTI e VITELLI (C. 15-186-199-255-664-681-733-961-1161-1325).

  La seduta termina alle 17,05.

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