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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 21 ottobre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


  La Camera,
   premesso che:
    l'industria chimica in Europa, ma anche in Italia, ha un ruolo chiave per lo sviluppo economico e per il miglioramento della qualità della vita, rendendo disponibili sostanze, prodotti, materiali innovativi e nuove soluzioni tecnologiche per tutti i settori produttivi. Attraverso le sue sostanze e i suoi prodotti, infatti, genera innovazione nei settori a valle che sono la colonna portante del manifatturiero. La chimica è infrastruttura tecnologica e, quindi, strumento di politica industriale;
    l'industria chimica italiana, con un valore della produzione pari a 52,8 miliardi di euro nel 2012, si conferma il terzo produttore europeo, dopo la Germania e la Francia, e il decimo a livello mondiale. Il settore, con 2.800 imprese e 113 mila addetti, rappresenta il 6 per cento circa dell'intero fatturato dell'industria manifatturiera nazionale ed è il quarto esportatore italiano dopo meccanica, metallurgia e alimentare. Il settore vede la presenza bilanciata di imprese a capitale estero (36 per cento del valore della produzione), medio-grandi gruppi a capitale italiano (26 per cento) e piccole e medie imprese italiane (38 per cento). La dimensione media di impresa sfiora i 50 addetti;
    la chimica è un settore ad elevata intensità di ricerca: la quota di addetti dedicati alla ricerca e allo sviluppo, pari al 4,3 per cento, è più che doppia della media manifatturiera (1,9 per cento) e in 10 anni la quota di imprese chimiche attive nella ricerca è aumentata di 10 punti percentuali e ha raggiunto il 48 per cento, una quota più che doppia della media industriale (23 per cento) e superiore anche a settori high tech come la farmaceutica e l'elettronica (44 per cento). In ambito europeo, è seconda solo alla Germania per numero di imprese attive nella ricerca e nello sviluppo, oltre 800, davanti a Francia e Spagna;
    il 2012 si è chiuso con un calo della produzione pari al 2,8 per cento in valore e del 5,3 per cento in termini di volumi, dovuto al crollo della domanda diffuso praticamente a tutti i settori clienti, compresi quelli legati ai consumi finali che, negli anni passati, avevano risentito meno della crisi. La caduta della domanda interna si è riflessa anche sulle importazioni, in calo nel 2012 del 2,3 per cento a valore, e ha portato con sé il miglioramento del deficit commerciale, che si attesta a 10,3 miliardi di euro rispetto agli 11,6 miliardi di euro del 2011;
    in Italia, la produzione chimica non mostra ancora segnali di stabilizzazione. La prima parte del 2013 registra, dopo un recupero di inizio anno, un calo del 3,3 per cento in volume in presenza di prezzi pressoché stazionari. Prosegue la caduta della domanda interna (-6 per cento in volume nel primo quadrimestre), contestualmente si è registrato un calo nelle importazioni che – nei primi 4 mesi dell'anno – perdono il 2,8 per cento in valore. La produzione in Italia si colloca attualmente su livelli prossimi al 2009 con un divario, rispetto al 2007, pari al 17,5 per cento in quantità e al 6 per cento in valore. Parte del calo nelle quantità riflette la razionalizzazione delle produzioni, molte abbandonate per concentrarsi su prodotti a maggiore contenuto di innovazione e ricerca;
    l'industria chimica risente, altresì, del ridimensionamento di importanti settori utilizzatori – in primis l'auto e il sistema delle costruzioni – e dei crescenti problemi di liquidità di molte imprese clienti, che si traducono in ritardati nei pagamenti, in rischi di insolvenza e in estrema prudenza negli acquisti;
    il protrarsi della crisi a livello europeo frena l’export, tenuto conto che l'Unione europea rappresenta il mercato di destinazione di oltre il 60 per cento delle esportazioni chimiche italiane. Nonostante la buona performance sui mercati extra-Unione europea (+5,5 per cento in valore), il primo quadrimestre 2013 ha segnato un +1,7 per cento in valore, dopo aver chiuso il 2012 in crescita dell'1,6 per cento. L'industria chimica è, infatti, il comparto con la più elevata incidenza di imprese esportatrici (54 per cento), dopo la farmaceutica, e in 10 anni la quota di export sul fatturato è aumentata di 11 punti percentuali, consentendo al settore di diventare meno dipendente da una domanda interna;
    la debolezza riguarda principalmente la chimica di base, mentre si confermano in forte espansione i settori della chimica fine e specialistica. La dicotomia tra mercato interno ed estero si traduce in una forte variabilità nelle performance delle imprese chimiche, anche all'interno dello stesso settore. Le imprese molto orientate all’export o dotate di impianti all'estero presentano, infatti, livelli di attività e di redditività meno penalizzanti;
    tutto ciò ha avuto pesanti ripercussioni dal punto di vista occupazionale: infatti, nel nostro Paese, rispetto all'intero sistema industriale italiano l'incidenza dei lavoratori nel settore è diminuita passando dal 4,5 per cento del 1971 al 2,6 per cento del 2009;
    continua a mostrare segni di vitalità la piccola e media impresa chimica: crescono le nicchie di piccole e medie aziende che trainano la rinascita dell’export e dell'occupazione e fanno parte di una mutazione della chimica italiana che, a partire dagli anni ’80, vede protagonisti tanti industriali medi, o addirittura piccoli, diventati decisivi nel settore;
    un numero fotografa il trend: le imprese che hanno saputo darsi una nuova specializzazione produttiva occupano il 63 per cento degli addetti del settore contro il 37 per cento degli occupati nella chimica di base. Ma non è solo il contributo in posti di lavoro a rendere orgogliosi i piccoli e medi addetti: le loro aziende sono stati capaci anche di diventare i fornitori più importanti di tutti i comparti industriali del made in Italy. L'abbigliamento, le piastrelle, l'industria del mobile e l'occhialeria vanno avanti anche grazie all'innovazione che arriva dai prodotti intermedi (chimici), a quei nuovi materiali decisivi per rinnovare il mito dell'eleganza e della creatività italiana, progressi fatti nel campo dell'innovazione. E nelle classifiche europee dell'innovazione i piccoli della chimica italiana vengono al secondo posto, dietro solo ai competitor tedeschi;
    nell'industria chimica gli acquisti di materie prime ricoprono il 60 per cento del valore della produzione e le spese per gli acquisti di servizi (energia inclusa) il 21 per cento. La chimica è il primo settore industriale per consumo di gas naturale e il secondo per consumo di energia elettrica. L'energia rappresenta una voce di costo importante per il settore chimico, pari in media al 5 per cento del valore della produzione (esclusi gli utilizzi come materia prima);
    l'incidenza del costo dell'energia sul valore aggiunto, pari al 27 per cento, evidenzia il forte impatto negativo che un divario di costo dell'energia rispetto agli altri Paesi provoca nell'industria chimica italiana in termini di competitività e di minore capacità di remunerare i fattori produttivi (definita, appunto, dal valore aggiunto);
    nonostante i processi di liberalizzazione, in Italia il costo dell'elettricità per le imprese industriali è più elevato della media degli altri Paesi europei di oltre il 30 per cento ed è quasi il doppio rispetto alla confinante Francia. Il prezzo del gas naturale è più allineato alla media europea, tuttavia risulta elevato nel confronto internazionale con i Paesi extra-europei. Inoltre, recentemente sono stati introdotti extra-costi legati anche in questo caso al finanziamento delle rinnovabili che rischiano di danneggiare la competitività anche in ambito europeo;
    quanto all'Italia, spiegano gli industriali italiani, su un fatturato di 53 miliardi di euro, la bolletta energetica della chimica nel 2012 è stata di 5,3 miliardi di euro. Un'incidenza del 10 per cento, che è la media tra il 70-80 per cento della chimica del fluoro e il 2 per cento della cosmetica;
    anche la logistica è strategicamente importante per l'industria chimica, con un'incidenza di costo sul fatturato compresa tra il 10 e il 15 per cento. A causa di arretratezze infrastrutturali mai colmate, infatti, il costo della logistica in Italia è fortemente superiore a quello degli altri maggiori Paesi europei e ciò ne penalizza fortemente la competitività a livello internazionale;
    le difficoltà sopra evidenziate non hanno impedito all'industria chimica italiana, attraverso gli importanti processi di riconversione di impianti non competitivi, di essere lo stimolo alla creazione di condizioni per ricadute positive a livello di occupazione, dell'ambiente, della redditività dei prodotti e dell'integrazione con la chimica tradizionale, dando nuovo impulso anche a settori maturi dell'economia;
    in linea con i più recenti indirizzi della Commissione europea in tema di bioeconomia, nel 2013 si è costituito, su impulso del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il cluster tecnologico nazionale «Chimica verde», che si propone l'obiettivo di incoraggiare lo sviluppo delle bioindustrie in Italia attraverso un approccio interdisciplinare e globale all'innovazione. I soggetti aderenti al cluster vedono, nella costruzione di bioraffinerie di seconda e terza generazione integrate nel territorio e dedicate principalmente ai prodotti innovativi ad alto valore, un'opportunità per affermare un nuovo modello socio-economico e culturale, prima ancora che industriale, dando una corretta priorità all'uso delle biomasse, nel rispetto della biodiversità locale e delle colture alimentari e con la creazione di nuovi posti di lavoro;
    è opportuno, quindi, promuovere le tecnologie che valorizzino completamente le biomasse e che dimostrino di essere sostenibili e competitive. Questo evitando che i sussidi, se utilizzati in maniera errata, creino distorsioni di mercato, spreco di risorse pubbliche e alterino le condizioni di concorrenza tra i diversi comparti produttivi. Di fatto, l'industria chimica permette un utilizzo molto più efficace delle biomasse rispetto ad un utilizzo puramente energetico. Una corretta programmazione di filiera e una strategia che prevengano distorsioni della concorrenza e del mercato sono necessarie per applicare in modo oggettivo i criteri di sostenibilità fissati dall'Unione europea;
    nel quadro dell'iniziativa europea, dunque, la chimica delle biomasse è da considerarsi un tassello molto importante della chimica sostenibile e questo settore deve essere sviluppato in una logica complessiva che unisca biotecnologie, bioraffinerie, biocarburanti e bioprodotti chimici in modo coordinato;
    la filiera della plastica in Italia e in Europa ha grandissima importanza per numero di imprese, fatturato e occupati e vanta una forte tradizione in termini di innovazione;
    l'Italia è al terzo posto in Europa per numero di occupati, fatturato e valore aggiunto delle fasi di produzione e trasformazione delle materie plastiche, è il secondo mercato di consumo ed è il secondo produttore di macchinari, con eccellenze industriali e della ricerca, anche di livello mondiale;
    nel 2012, l'andamento del mercato delle materie plastiche in Italia è stato deludente. Complessivamente, la domanda di polimeri in forma primaria da parte dei trasformatori è stata di poco superiore alle 5.600 Kton (- 7 per cento rispetto al 2011). Le cause sono molteplici e sono da ricercarsi, oltre che nella contrazione dei consumi delle famiglie, nel ristagno del settore delle costruzioni, nel deludente andamento della produzione industriale e nei tagli agli investimenti in infrastrutture;
    in questo quadro critico la nota positiva per quanto riguarda la produzione di materie plastiche è rappresentata dalla cosiddetta chimica verde e dalla bioeconomia, con particolare riferimento alla conversione di siti non competitivi in bioraffinerie integrate nel territorio, funzionali alla produzione delle cosiddette bioplastiche e di altri prodotti ad alto valore aggiunto;
    nel merito, la Commissione europea ha lanciato, il 13 febbraio 2012, la prima strategia dedicata alla bioeconomia «Innovating for sustainable growth: a bioeconomy for Europe» (COM(2012) 60 final). Il peso economico del settore viene stimato dall'Unione europea con un fatturato di circa 2.000 miliardi di euro ed oltre 22 milioni di persone impiegate, che rappresentano il 9 per cento dell'occupazione complessiva dell'Unione europea. Viene, inoltre, stimato che per ogni euro investito in ricerca e innovazione nella bioeconomia, con adeguate politiche di sostegno a livello nazionale ed europeo, la ricaduta in valore aggiunto nei settori di comparti quali quello dei prodotti biobased sarà pari a dieci euro entro il 2025. In base a tale strategia, per mantenere la propria competitività l'Unione europea dovrà trasformarsi in una società caratterizzata da basse emissioni di carbonio, nella quale la crescita sostenibile e la competitività stessa siano alimentate sinergicamente da industrie che usano in modo efficiente le risorse e dal ricorso a prodotti biobased;
    la chimica verde rappresenta, dunque, un supporto prezioso per il rilancio della chimica italiana,

impegna il Governo:

   a favorire nuove iniziative per sostenere la competitività dell'industria chimica italiana;
   ad avviare una politica industriale finalizzata a riqualificare e reindustrializzare i poli chimici concordando i percorsi con le amministrazioni locali e regionali, dando come priorità la bonifica dei siti contaminati;
   a promuovere l'attuazione di percorsi di reindustrializzazione e di sviluppo nei settori della chimica fine, delle specialità e della chimica verde;
   a sviluppare una politica di forte sostegno all'innovazione, che veda la ricerca come elemento fondamentale, anche attraverso la destinazione di fondi e di incentivi;
   a mettere in campo strumenti, anche di natura normativa, finalizzati a ridurre il forte impatto negativo del costo dell'energia sulla produzione dell'industria chimica italiana, in particolare per i consumatori energy intensive, al fine di conservare il posizionamento competitivo;
   a procedere con tempestività alla bonifica dei siti chimici di interesse nazionale;
   a provvedere allo snellimento delle procedure burocratiche, con particolare riferimento alla riduzione degli oneri amministrativi, a tutela degli impianti e delle produzioni già esistenti e di quelli di nuova costituzione, con riguardo alla chimica fine e delle specialità, al fine di attrarre capitale e facilitare i nuovi investimenti sia italiani che esteri;
   a promuovere a livello europeo interventi normativi di supporto sia alle imprese sia ai poli chimici che siano in regola con le norme ambientali;
   a sostenere fortemente lo sviluppo delle bioindustrie in Italia, anche attraverso un approccio interdisciplinare e globale all'innovazione;
   a sostenere a livello europeo la public private partnership Bridge 20/20 (Biobased and renowable industries for development and growth), il cui obiettivo è quello di aiutare le industrie europee a colmare il «divario di innovazione» tra lo sviluppo tecnologico e la commercializzazione di prodotti ad alto valore aggiunto e cercare in questo ambito di valorizzare le azioni del cluster «Chimica verde», al fine di permettere un allineamento di azioni a livello nazionale ed europeo.
(1-00212) «Brunetta, Vignali, Abrignani, Dorina Bianchi».


  La Camera,
   premesso che:
    come sempre la chimica, bene intermedio per eccellenza, si sta dimostrando come una cartina di tornasole dell'evoluzione del quadro congiunturale, che, nonostante alcuni segnali di ripresa, resta preoccupante;
    la crisi economica ha avuto un effetto dirompente sulla chimica. Guardando agli ultimi anni, dopo un 2012 in contrazione del 3 per cento in valore e del 5 per cento in volume, la produzione chimica nazionale non mostra ancora segnali di stabilizzazione: la fase di recupero ad inizio 2013, infatti, si è rivelata solo temporanea e la prima parte del 2013 segna un calo del 3,3 per cento in volume, in presenza di prezzi pressoché stazionari;
    a pesare in modo determinante sul settore è la caduta della domanda interna, che coinvolge praticamente tutti i settori chimici, comprese le filiere connesse ai consumi finali (detergenti, cosmetici, alimentare e imballaggio), le quali avevano superato quasi indenni la recessione del 2008-2009. Il crollo della domanda interna si riflette anche sulle importazioni, che, nei primi quattro mesi del 2013, hanno perso il 2,8 per cento in valore, dopo aver chiuso il 2012 con un calo del 2,3 per cento;
    ad incidere sull'industria chimica italiana è il ridimensionamento di importanti settori utilizzatori, come l'auto e le costruzioni, nonché i crescenti problemi di liquidità di molte imprese clienti, che spingono molte di esse a ritardare i pagamenti nei confronti dei loro fornitori;
    il prolungarsi della recessione a livello europeo ha frenato le esportazioni, tenuto conto che l'Unione europea rappresenta il mercato di destinazione di oltre il 60 per cento delle esportazioni chimiche italiane. Un positivo andamento si registra, invece, nel mercato extraeuropeo. In sofferenza è principalmente la chimica di base, mentre si confermano in espansione i settori della chimica fine e specialistica;
    con particolare riferimento ai comparti della chimica che vendono al made in Italy, oltre alla situazione di crisi attuale, pesano gli aspetti strutturali legati al decentramento degli insediamenti industriali; strategia questa che ha comportato una riduzione della domanda da parte dell'industria, con conseguenze assolutamente dannose per la produzione e l'occupazione;
    lo scenario economico descritto e le dinamiche in atto nel Paese hanno determinato una revisione al ribasso delle stime di crescita per il 2013. Infatti, contrariamente alle buone aspettative iniziali, il 2013 si chiuderà con un altro arretramento della produzione chimica in Italia intorno al 2 per cento in volume e valutabile nell'1,5 per cento circa in valore;
    a tale situazione si aggiunge il costo dell'energia, tra i più alti in Europa, che è ormai divenuto insostenibile per le aziende di settore, specie per quelle legate alla chimica di base, rappresentando una delle principali cause della loro perdita di competitività nei confronti delle concorrenti europee ed estere;
    le drammatiche vicende della Vinyls Italia hanno lasciato un segno sulle possibilità di ripresa del comparto. Il gruppo chimico del ciclo del cloro, unico produttore in Italia di pvc, da quattro anni in amministrazione straordinaria, è ora in esercizio provvisorio, con 500 addetti ripartiti nei tre stabilimenti di Porto Torres, Porto Marghera e Ravenna, ad esclusione dell'indotto. La vertenza Vinyls è divenuta ormai il simbolo della crisi della chimica italiana e, più in generale, riflette la mancanza di un'organica azione politica di rilancio del sistema industriale del Paese;
    i processi di riconversione di impianti industriali non competitivi, che nel caso di Vinyls Italia hanno portato all'apertura di un negoziato con l’Oleificio Medio Piave, società che svolge attività di estrazione dell'olio vegetale da semi oleosi, potrebbero aprire la strada alla realizzazione di importanti progetti industriali ed occupazionali di grande impatto per l'economia del Paese;
    la regione Lombardia ha promosso con successo l'adozione di accordi di sviluppo territoriale per favorire l'insediamento di nuove attività di impresa nelle aree industriali dismesse, realizzando diversi interventi, sia di carattere finanziario che di semplificazione amministrativa, per attrarre e mantenere sul territorio le attività e le risorse necessarie alla crescita e allo sviluppo dello stesso;
    è impensabile che l'Italia rinunci al suo ruolo da protagonista nel settore della chimica, perdendo il valore strategico di questo importante comparto, fondamentale per riportare il Paese su più alti livelli competitivi;
    dopo gli interventi di politica economica funzionali ad evitare un avvitamento della crisi, è necessario adottare quanto prima strumenti di politica industriale che siano in grado di salvaguardare le imprese del territorio e l'occupazione,

impegna il Governo:

   a realizzare una politica industriale per la riqualificazione e la reindustrializzazione dei poli chimici, concordando con le regioni e gli enti locali i percorsi da attuare, anche sulla base delle positive esperienze realizzate a livello territoriale, che abbiano come priorità la bonifica dei siti contaminati;
   ad adottare iniziative di rilancio della chimica italiana, promuovendo la realizzazione degli investimenti necessari a restituire competitività al settore ed evitando il ripetersi di scenari simili a quelli verificatisi nella vicenda Vinyls, dove è a rischio il futuro di molti lavoratori;
   a sostenere la competitività delle produzioni italiane attraverso l'adozione di misure di riduzione del costo dell'energia, riportandolo sui livelli degli altri Paesi concorrenti;
   ad assumere iniziative per orientare le imprese verso un'attività di ricerca scientifica strutturata con l'adozione di incentivi automatici e di programmi specifici;
   a sostenere in sede europea interventi normativi a sostegno di imprese e di poli chimici che rispettino le norme ambientali, evitando delocalizzazioni e trasferimenti in Paesi meno rigorosi nella regolamentazione ambientale e adottando incentivi, anche di natura fiscale, in favore delle imprese che stabiliscano i loro insediamenti in Italia;
   ad adottare opportune iniziative per la semplificazione del quadro normativo di riferimento al fine di restituire maggiore competitività alla imprese della chimica italiana, al pari degli altri Paesi europei.
(1-00213) «Rondini, Prataviera, Guidesi, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini».


  La Camera,
   premesso che:
    la chimica italiana ha una lunga storia fatta di numerosi insediamenti industriali sparsi in tutta la penisola oltre che di ricerca e sviluppo ai massimi livelli, basti pensare al premio Nobel Natta che inventò nel 1963 il polipropilene isotattico ed il polietilene ad alta densità;
    a livello mondiale questo comparto rappresenta ancora una realtà industriale dinamica, con un mercato di oltre 3.000 miliardi di dollari;
    oggi si vive una contraddittoria dicotomia: da un lato la chimica mondiale che è in sviluppo grazie, soprattutto, ai crescenti consumi globali di prodotti chimici nei Paesi emergenti, dall'altro l'Europa, e l'Italia in particolare, che vede sempre maggiori difficoltà per il comparto;
    il continuo sviluppo del settore, a livello globale, è legato all'effetto traino della domanda crescente nei cosiddetti Paesi emergenti in cui si è sviluppata rapidamente una fiorente industria chimica, là dove, congiuntamente ad un ridotto costo del lavoro, è possibile, in alcuni casi, disporre di materie prime – in particolare di petrolio – ed energia a costi estremamente competitivi;
    in Europa, invece, il prezzo del greggio ha ormai raggiunto stabilmente prezzi superiori ai 100 dollari al barile, che tenderanno verosimilmente ad aumentare ancora nei prossimi anni grazie alla crescente domanda di energia e di consumi in Paesi, quali Cina, India, Brasile ed altre economie emergenti, penalizzando al contempo l'industria chimica comunitaria e nazionale che utilizza proprio il greggio come materia prima, la cosiddetta petrolchimica;
    è opportuno ricordare che proprio la petrolchimica ha comportato ingenti danni ambientali e di salute in diverse località italiane, come Porto Marghera, Porto Torres, Gela e Priolo. I territori delle città sopra menzionate hanno avuto una media di mortalità della popolazione per malattie tumorali ben al di sopra di quella nazionale;
    in Italia non esiste ad oggi un quadro completo e aggiornato a livello nazionale dello stato di attuazione degli interventi di bonifica. A ciò si aggiunge un quadro di applicazione della normativa vigente particolarmente vasto e complesso, nel quale sarebbe auspicabile un processo di semplificazione, al fine di accelerare le attuali procedure amministrative, la cui farraginosità sta rallentando ulteriormente l'attuazione degli interventi stessi;
    nell'ambito di un riordino normativo della materia, con l'articolo 2 del decreto-legge n. 208 del 2008 sulle risorse idriche – convertito, con modificazioni, dalla legge n. 13 del 2009 – è stata introdotta una procedura alternativa a quella previgente in materia di copertura di oneri di bonifica e risarcimento del danno ambientale nei siti di interesse nazionali. La novità ha riguardato l'introduzione della stipula di contratti di transazione con le imprese direttamente interessate, in ordine al rimborso degli oneri di bonifica e di ripristino di ogni ulteriore azione risarcitoria per il danno ambientale;
    attualmente sussiste una prioritaria esigenza di alleggerimento e riordino della normativa e della procedura amministrativa di bonifica, a cui deve associarsi la necessità di garantire che le attività di vigilanza e di controllo sulle relative operazioni nei siti siano svolte da strutture e da realtà adeguate e competenti;
    da un punto di vista industriale e sanitario, i procedimenti di riciclo e recupero meccanico della plastica potrebbero rappresentare una grande opportunità di rilancio dell'intero comparto industriale del nostro Paese;
    dai sopra citati procedimenti la plastica da «rifiuto» non può che diventare «risorsa». Esempi dei prodotti derivanti dai procedimenti chimici possono essere polimeri, come il polietilentereftalato (pet, utilizzato per esempio per contenitori per liquidi o vaschette per frigo o forno), il polietilene ad alta densità (hdpe, utilizzato per esempio per imballaggi o tubazioni agricole) e il polietilene a bassa densità (ldpe, utilizzato per esempio per sacchetti, contenitori o materiali plastici di laboratorio);
    oggi il 55 per cento della plastica usata viene riciclata mentre il restante 45 per cento incenerita. Con le attuali procedure di riciclo e trasformazione si potrebbe arrivare al recupero della quasi totalità della plastica raccolta con la differenziata;
    altra problematica del mercato della plastica è il cosiddetto contributo Conai (Consorzio nazionale imballaggi). I produttori, infatti, devono pagare circa 110 euro per ogni tonnellata di plastica prodotta al consorzio (non molto, considerando che già nel 2010 il corrispettivo in Italia era di 160 euro per ogni tonnellata, la media dei Paesi dell'Unione europea era di 222 euro per ogni tonnellata, ma la media tra i principali Paesi europei era di 440 euro per ogni tonnellata), il quale a sua volta dovrebbe girare buona parte del contributo ai comuni per contribuire alle spese di gestione dei processi di raccolta differenziata;
    nel 2011, però, dei circa 800 milioni raccolti da Conai, solo 100 sono arrivati ai comuni. Il resto pare sia compreso in ipotetiche «spese di gestione». Quindi, solo il 37 per cento del totale raccolto da Conai va ai comuni, che rappresenta poi concretamente solo il 20 per cento delle spese di gestione della raccolta differenziata;
    in Francia, ai comuni arriva il 92 per cento del contributo corrispondente al nostro, che contribuisce a coprire i procedimenti di raccolta e riciclo per il 70 per cento dei costi;
    negli ultimi anni stanno emergendo sul mercato italiano e internazionale settori dell'industria chimica e plastica, che, al contrario di quelli riferiti al recupero e al riciclo, fanno sorgere perplessità sia riguardo i consumi delle materie prime, sia per il livello occupazionale raggiunto;
    dal punto di vista dei consumi è emblematico l'esempio delle cosiddette «bioplastiche», cioè le plastiche biodegradabili. Questo è un settore industriale che sta trovando in questi ultimi anni un notevole sviluppo nel nostro Paese, ma che necessita per la sua produzione di ingenti materie prime organiche, come l'amido di mais, per le quali si vedrebbe la necessità di dedicare grandi quantità di colture altrimenti destinate alla produzione alimentare. Si arriverebbe, quindi, alla situazione paradossale di completare sul territorio la filiera per la produzione delle bioplastiche, per poi importare materie prime, al fine di poter consumare prodotti tipici delle cucine locali italiane, come la polenta;
    dal punto di vista occupazionale, oggi tra gli addetti alla produzione e alla trasformazione vi è un rapporto di 1 a 50. Tali dati fanno pensare che sarebbe più conveniente investire sul recupero e la trasformazione dei prodotti plastici, piuttosto che partire dalla materia prima vergine;
    attualmente in Italia circa il 40 per cento dei 7 milioni di tonnellate di plastiche prodotte ogni anno è destinata agli imballaggi;
    difendere il livello occupazionale di questo settore industriale non può e non deve significare mantenere invariata la produzione annuale di plastiche vergini, in quanto questo significherebbe minare ancora di più le filiere del riciclo locale e nazionale, contribuendo paradossalmente a fornire rifiuto agli inceneritori;
    pertanto, se la chimica da fonti rinnovabili o chimica verde potrebbe rappresentare una soluzione alla reindustrializzazione dei poli chimici nel medio e lungo periodo, se accompagnate a politiche di bonifica e di riciclaggio, nessuna obiezione, anche perché l'obiettivo della chimica verde è ridurre le emissioni di anidride carbonica in atmosfera, grazie all'affrancamento dalle fonti fossili come materia prima, nonché valorizzare le risorse del territorio, riducendo al contempo il peso dell’import di materie prime, come il greggio;
    prima di intraprendere degli investimenti è necessario verificare la validità tecnico-scientifica della cosiddetta chimica verde;
    tale definizione esiste da più di vent'anni, ma non vuol dire che in questo campo tutto sia stato fatto. Anzi, al contrario, quel che si può mettere in atto per rendere i processi produttivi in ambito chimico maggiormente «verdi» è ancora molto. Da un lato, le difficoltà tecnico-scientifiche rimangono forti e numerose: le tecnologie adottate fino a ora non sono state scelte a caso, ma al contrario sono state preferite ad altre perché più semplici e di maggior rendimento. Dall'altro, ci possono essere inevitabili resistenze di ordine economico: l'industria chimica deve per sua natura badare anche al risultato economico, che garantisce maggiori guadagni,

impegna il Governo:

   ad avviare un tavolo di concertazione nazionale a cui partecipino, oltre ai rappresentanti della grande e piccola industria chimica, anche le parti sociali, le università, i laboratori e gli istituti di ricerca, con l'obiettivo di definire un piano di sviluppo compatibile con le esigenze del comparto;
   ad adottare le misure necessarie per garantire che grandi e piccoli produttori chimici si facciano carico in applicazione del principio «chi inquina paga» delle operazioni e delle spese economiche legate alla bonifica dei siti utilizzati per la produzione, impedendo, al contempo, qualsiasi forma di agevolazione del passaggio di proprietà del sito stesso prima che siano state completate le operazioni di recupero ambientale;
   a sostenere la «chimica verde» in ossequio alla strategia della biochimica lanciata dalla Commissione europea, con l'istituzione di un tavolo tecnico presso il Ministero dello sviluppo economico che ne analizzi la validità tecnico-scientifica, al fine di individuare gli interventi più efficaci per lo sviluppo di tecnologie semplici e di maggior rendimento per la riconversione dei poli chimici;
   a realizzare un piano di investimenti per il sostegno della ricerca pubblica e privata nel settore della chimica verde, con particolare attenzione alla necessità di promuovere sinergie tra discipline diverse, quali l'ingegneria, la chimica, le biotecnologie, l'agraria e la biologia;
   ad intraprendere ogni iniziativa per accelerare i processi di bonifica dei siti chimici di interesse nazionale, concordando i percorsi con gli enti locali e le regioni;
   ad individuare nuove linee di sviluppo industriale del Paese, in particolare nel campo della cosiddetta green economy, dell'ecoinnovazione e dell'efficienza energetica, dei nuovi materiali, delle bioingegneria e della nuova chimica verde, facilitando la nascita di piccole e medie imprese nel campo ed incentivando le imprese al passaggio a produzioni maggiormente sostenibili ed eco-efficienti.
(1-00214) «Crippa, Da Villa, Fantinati, Prodani, Mucci, Vallascas, Della Valle, Petraroli, Nuti».

Risoluzione in Commissione:


   La XII Commissione,
   premesso che:
    il decreto-legge n. 158 del 13 settembre 2012, convertito, con modificazioni dalla legge n. 189 dell'8 novembre 2012, recante «Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute», all'articolo 13, integra le procedure di registrazione per i prodotti omeopatici, modificando di fatto l'articolo 20 del decreto legislativo n. 219 del 24 aprile 2006;
    il decreto del Ministero della salute del 21 dicembre 2012 «Aggiornamento degli importi delle tariffe e dei diritti per le prestazioni rese a richiesta e a utilità dei soggetti interessati» riguarda la registrazione di medicinali omeopatici e di medicinali di origine vegetale basata sull'uso tradizionale, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 15 marzo 2013 prevede un innalzamento dei costi dei rinnovi di registrazione dei farmaci omeopatici, con tariffe per le registrazioni e le variazione dei medicinali omeopatici non sostenibili da questo settore produttivo;
    il 10 settembre 2013 l'AIFA (Agenzia Italiana del farmaco), nel corso di un incontro con le Aziende dei medicinali omeopatici e Associazioni di settore aveva comunicato il calendario delle registrazioni da iniziarsi nel prossimo mese di ottobre e completarsi entro giugno 2015. Tale calendario è stato stabilito senza tenere sufficientemente conto della programmazione temporale delle singole aziende per la stesura dei propri dossier tecnici, basti pensare che per elaborare un dossier tecnico semplice servono come minimo 150 ore uomo ed un costo di 15.000 euro per un dossier tecnico più complesso servono circa 600 ore uomo con un costo medio di ricerca di circa 50.000 euro;
    il Ministero della salute in data 26 settembre 2013 rispondendo a una interrogazione parlamentare da parte dei sottoscritti, dopo aver ribadito che gli importi richiesti da AIFA rientrano nei valori medi degli importi praticati in tali Paesi, affermava la necessità di verificare le soluzioni da mettere in campo per cercare di ovviare alle problematiche sollevate dagli interroganti, segnalando che a tal fine sono stati programmati incontri tra Ministero e AIFA per affrontare le questioni ancora aperte;
    in data 9 ottobre 2013 il Ministero e l'AIFA in un incontro con le aziende produttrici di medicinali omeopatici hanno convenuto sulla necessità di ridurre considerevolmente le tariffe dei medicinali omeopatici così come richiesto anche dalle associazioni dei medici e degli operatori del settore e dei pazienti omeopatici;
    si valuta positivamente l'ipotesi di accordo recentemente raggiunto fra le parti, che di fatto avvicina le tariffe italiane alle tariffe abitualmente praticate negli stati europei di riferimento del settore come Francia e Germania, rendendo di fatto maggiormente sostenibile l'intero processo di registrazione e rinnovo dell'autorizzazione, e rimanendo comunque in attesa di valutare nel dettaglio l'atto formale che lo sancisce;
    si rileva che le modalità richieste da AIFA per la registrazione e il rinnovo dell'autorizzazione al commercio dei prodotti omeopatici non sono state ancora definite nel dettaglio, ed esprimono la preoccupazione sulle modalità operative che si prospettano per la realizzazione della sua fase attuativa, poiché dalla ricognizione del 2012 sui medicinali omeopatici e antroposofici, e dai dati desunti da dichiarazioni dei produttori risultano essere sul mercato almeno 12.000 prodotti;
    considerando quindi in tale numero i possibili dossier tecnici da valutare appare evidente che in tempi così stretti nessuna Agenzia in nessuno Stato europeo sarebbe, ed è stata, in grado di assorbire un simile carico di lavoro. In particolare va ricordato che la procedura di rinnovo dei medicinali in oggetto così come interpretata da AIFA, risulta essere più complessa e aspecifica rispetto a quanto previsto in altre nazioni dell'Unione europea e quindi il tutto potrebbe rivelarsi come un processo più lungo e difficile del previsto;

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative urgenti, normative e regolamentari, al fine di garantire l'effettiva applicazione delle disposizioni concernenti le procedure e i requisiti per la regolarizzazione dei medicinali omeopatici, di cui all'articolo 20 del decreto legislativo 24 aprile 2006 n. 219 e successive modifiche e integrazioni, garantendo, fra l'altro, i seguenti obiettivi:
    a) ricostituire un tavolo di confronto fra le aziende produttrici ed AIFA per la definizione nel dettaglio delle procedure per la registrazione previste dal decreto legislativo n. 158 del 2012 ovvero la definizione dei requisiti dei dossier tecnici del medicinale omeopatico e antroposofico richiesti per ottenere l'autorizzazione, ponendo particolare attenzione alla specificità del settore;
    b) valutare la possibilità di realizzare di comune accordo fra le parti una fase di sperimentazione delle diverse fasi del processo, dalla presentazione della richiesta alla consegna del materiale scientifico e della certificazione di buona pratica farmaceutica nella realizzazione del prodotto, e della fase istruttoria da parte di AIFA, dall'analisi del materiale prodotto ai criteri da adottare per la valutazione finale;
    c) riconsiderare i tempi necessari alle aziende omeopatiche e ad AIFA per espletare le pratiche relative all'applicazione delle norme vigenti, eventualmente valutando l'opportunità di prorogare i tempi di attuazione della normativa stessa, e in particolare, tenuto conto della volontà delle parti di confermare comunque la scadenza del 2015 da tempo prevista come termine fissato per la consegna, invitando a intendere questa data non come data finale ma come l'inizio del percorso per il rinnovo delle registrazioni.
(7-00140) «Fossati, Lenzi».

ATTI DI CONTROLLO

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la legge quadro sull'inquinamento acustico 26 ottobre 1995, n. 447, prevede, all'articolo 3, comma 1, lettera m), che con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dei trasporti e della navigazione (ora delle infrastrutture e dei trasporti) siano stabiliti i criteri di misurazione del rumore emesso dagli aeromobili, nonché la relativa disciplina per il contenimento dell'inquinamento acustico;
   in applicazione di tale disciplina, è stato emanato il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 31 ottobre 1997, di concerto con il Ministro dei trasporti e della navigazione, che, tra l'altro, assegna ad ENAC il potere di istituire per ogni scalo aereo una Commissione aeroportuale con il compito di definire le procedure antirumore e di individuare le zone di rispetto dell'intorno aeroportuale;
   detta Commissione, composta dai rappresentanti della regione, dei comuni e delle province interessati, nonché da rappresentanti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dell'Agenzia regionale per la protezione ambiente, della società di gestione, dell'ENAV e dalle imprese operanti nell'aeroporto, tenuto conto del piano regolatore aeroportuale, degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica vigenti e delle procedure antirumore adottate, definisce, nell'intorno aeroportuale, i confini delle cosiddette aree di rispetto (zona A, B e C) all'interno delle quali valgono i limiti per la rumorosità prodotta dalle attività aeroportuali come definite dalla legge quadro sull'inquinamento acustico n. 447 del 1995;
   la definizione della zonizzazione è il presupposto indispensabile per consentire l'adozione delle procedure antirumore previste dal suddetto decreto ministeriale e per consentire alla società di gestione aeroportuale di predisporre i piani di risanamento previsti dalla vigente normativa e per evitare ulteriori costruzioni edilizie intorno all'aeroporto;
   in data 20 dicembre 2000 (in attuazione della legge quadro sopraindicata) è stata istituita la Commissione aeroportuale dell'aeroporto di Ciampino, con i seguenti compiti:
    a) definizioni delle procedure antirumore;
    b) caratterizzazione acustica dell'intorno aeroportuale;
    c) definizione degli indici di classificazione dell'aeroporto in relazione al livello di inquinamento acustico;
   in ordine al punto a), la commissione ha proceduto ad indicare le procedure antirumore da seguire che sono state adottate dalla direzione dell'aeroporto con ordinanza n. 5 del 2001 mentre riguardo al punto b), è necessario ribadire che la caratterizzazione acustica dell'intorno aeroportuale, consistente nell'individuazione da parte della commissione delle zone di rispetto, è necessaria per la applicazione degli indici di valutazione del rumore, indicati dall'articolo 6 del decreto ministeriale 31 ottobre 1997;
   nel caso dell'aeroporto di Ciampino, non essendo stata raggiunta l'unanimità in ordine alla individuazione delle zone, la commissione, nell'ultima riunione tenutasi in data 10 aprile 2008, ha dato atto dell'impossibilità di procedere alla caratterizzazione acustica, conformemente a quanto previsto dall'articolo 6, comma 5, del decreto ministeriale 31 ottobre 1997;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ai sensi dell'articolo 6 del decreto ministeriale del 31 ottobre 1997, preso atto della mancata unanimità in seno alla Commissione aeroportuale nell'approvazione dell'impronta acustica dello scalo di Ciampino, con nota prot. 0028447 del 10 luglio 2009 ha delegato il presidente della regione Lazio a convocare e presiedere un'apposita conferenza di servizi funzionale all'approvazione della zonizzazione acustica dell'intorno aeroportuale, necessaria per avviare e realizzare un concreto risanamento acustico della zona;
   il giorno 1o luglio 2010, presso l'assessorato alle politiche della mobilità e del trasporto pubblico locale della regione Lazio, si sono conclusi i lavori della conferenza di servizi che ha approvato l'impronta acustica dell'aeroporto di Ciampino e l'ipotesi di zonizzazione acustica dell'intorno aeroportuale G.B. Pastine, così come rappresentata nella planimetria denominata «Proposta 2» allegata alla delibera, escludendo dalla fascia B della zonizzazione tutte le abitazioni e le aree urbane del comune di Ciampino;
   gli atti della conferenza di servizi e i relativi allegati sono stati recepiti nella delibera della giunta ragionale del Lazio pubblicata sul Bollettino ufficiale n. 37 del 7 ottobre 2010, supplemento n. 172 e trasmessi al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, a seguito della delega conferita al presidente della regione Lazio, anche per i successivi adempimenti stabiliti dalla legge n. 447 del 1995 e dal decreto ministeriale 31 ottobre 1997 (per l'adozione delle opere necessarie di risanamento da parte degli enti competenti, quali ad es. il piano di risanamento acustico ad opera dell'ADR);
   i limiti di rumore, stabiliti dalla conferenza dei servizi, che debbono, allo stato, considerarsi in vigore per quanto riguarda l'immediata esecuzione degli interventi di risanamento acustico, non possono essere superiori ai 65 decibel nelle città di Ciampino, Marino (frazioni di Cava dei Selci e Santa Maria delle Mole) e Roma (Municipio X), a fronte di un rumore certificato da Arpa Lazio che oggi arriva fino a 74 decibel nelle abitazioni limitrofe allo scalo;
   i comuni di Ciampino e Marino hanno chiesto, pertanto, al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e ad Enac l'adozione di provvedimenti volti a limitare i voli di linea da parte dell'Ente nazionale per l'aviazione civile ovvero ad adottare altri interventi strumentali al fine di ottenere la cosiddetta ottimizzazione dell'impatto acustico dell'aeroporto;
   Aeroporti di Roma, quale gestore dello scalo aereo G.B. Pastine di Ciampino, risulterebbe ancora inadempiente rispetto agli obblighi di cui all'articolo 2 del decreto ministeriale 29 novembre 2000, attuativo della legge quadro sull'inquinamento acustico n. 447 del 1995;
   nel territorio, ad elevata antropizzazione, circostante l'aeroporto «G.B. Pastine» di Roma-Ciampino è in atto ormai dal 2001, una grave crisi ambientale e sanitaria ampiamente conosciuta e documentata nello Studio CRISTAL prodotto da ARPA Lazio e dalle successive rilevazioni ambientali condotte nel tempo dalla stessa Agenzia, nonché dagli studi epidemiologici SERA e SAMBA, condotti dai competenti istituti regionali e dai comuni coinvolti, correlata all'aumento indiscriminato del traffico aereo, cresciuto oltre ogni limite di compatibilità ambientale, in palese violazioni delle norme nazionali e comunitarie in materia di valutazione di impatto ambientale e valutazione ambientale strategica –:
   se i Ministri interrogati non ritengano necessario, tenuto conto della gravità della situazione ambientale determinatasi nell'intorno delle scalo aereo «G.B. Pastine» di Ciampino e dell'inerzia del gestore aeroportuale, assumere iniziative per la predisposizione del piano degli interventi di contenimento e abbattimento del rumore dell'aeroporto di Ciampino ai sensi del decreto ministeriale 29 novembre 2000;
   se, in presenza di gravi problemi di carattere ambientale, non ritengano opportuno intervenire per promuovere immediati provvedimenti di riduzione dei voli in transito all'Aeroporto G.B. Pastine, secondo quanto previsto dal Regolamento (CE) N. 1008/2008 «Recante norme comuni per la prestazione di servizi aerei nella Comunità (rifusione)» almeno sino a quando non saranno operative eventuali soluzioni alternative in grado di garantire l'ottimizzazione dell'impatto acustico dell'aeroporto e le condizioni della salute degli abitanti residenti intorno al sedime aeroportuale. (4-02230)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso giovedì 20 giugno la Commissione anticamorra istituita presso il consiglio regionale campano e presieduta dal consigliere dottor Gianfranco Valiante ha audito i relatori Alessandro Cannavacciuolo ed Antonio Montesarchio i quali, formalmente invitati dal presidente a depositare documentazione attestante le denunce indicate nel corso della seduta, di comune accordo hanno successivamente deciso di procedere alla stesura di una relazione;
   intorno alla metà del mese di settembre 2013 nella sezione del sito web del Consiglio regionale della Campania dedicato alla Commissione d'inchiesta anticamorra è stata data notizia della sopracitata audizione. Il resoconto è però stato secretato ovvero «non pubblicato perché sottoposto al vincolo del segreto d'ufficio». Tuttavia, gli auditi rappresentano al deputato interrogante che i fatti segnalati dalla Commissione hanno formato comunque oggetto di denunce alle autorità competenti e di articoli di stampa;
   nel giugno 2010 i signori Alessandro Cannavacciuolo e Antonio Montesarchio divennero destinatari di informazioni particolarmente attendibili afferenti l'utilizzo nei fluidi di combustione di PCB (policlorobifenili) da parte dell'azienda FRIEL ubicata nel parco industriale ex Monte Fibre;
   in seguito a specifica denuncia nel febbraio 2011, superati i «rimpalli» di competenza tra ARPAC e ASL, finalmente il laboratorio merceologico procedette alle analisi dei biocarburanti riscontrando la presenza di PCB, confermata inoltre anche in test successivi;
   allertati gli organi comunali, gli stessi si limitarono alla trasmissione dei dati al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, senza adottare nel merito alcun provvedimento. Tra l'altro, risulta che l'opificio non ha mai provveduto alla caratterizzazione del sito come imposto per legge. In tale frangente, parallelamente, furono riscontrate tracce di sostanze oleose su fogliame e verdure, nonché su veicoli e davanzali di stanza nel comprensorio adiacente alla FRIEL stessa, ovvero nell'area di pertinenza;
   gli agricoltori, in tali circostanze, piuttosto che sollevare il caso preferivano (e preferiscono tuttora) adottare soluzioni di tipo «artigianale» provvedendo alla bonifica dei prodotti contaminati a mezzo irrorazione degli stessi tramite l'utilizzo di acqua «additivata» con detersivo per piatti e/o lavatrice;
   tutto ciò è stato debitamente denunciato alla procura di Nola, territorialmente competente, che però non ha mai dato riscontro, seppur ripetutamente sollecitata;
   al momento, la FRIEL continua ad operare, diffondendo il proprio carico inquinante sul territorio con la sostanziale complicità di istituzioni ed amministratori locali la cui inottemperanza e i cui mancati controlli sono stati documentati. La stessa azienda energetica comunque continua a scaricare i reflui di processo, privi di qualsiasi trattamento preventivo, direttamente nel collettore idrico superficiale dei regi lagni che, a loro volta, confluiscono nel bacino litoraneo domizio-flegreo, già gravemente contaminato;
   ad Acerra in via Calzolaio si erge un edificio composto da più piani, che non può sfuggire alla vista di un qualsiasi osservatore: i proprietari sono i fratelli Pellini, «sversatori» notori. Il complesso sorge negli anni ’90 in seguito al frettoloso abbattimento di un immobile in stile liberty di proprietà dell'ENEL in via di dismissione e sarebbe stato realizzato in palese violazione dei parametri previsti dalla concessione edilizia in merito alla cubatura; le platee a fondamento dell'edificio e le annesse strutture portanti ospiterebbero rifiuti di varia natura e tipologia frammisti al cemento utilizzato per la costruzione. Tutto ciò è stato denunciato alla procura di Nola che però avrebbe delegato il locale comando di polizia municipale per le verifiche del caso. Nel frattempo, gli organi di informazione si interessano alla vicenda;
   a distanza di due anni, l'immobile si erge imperterrito a testimonianza che il potere economico, universalmente riconosciuto ai proprietari, estende la propria influenza a tutti i livelli, attraverso un sistema trasversale che riguarda le istituzioni. Peraltro, circostanze analoghe e, per così dire parallele, riguardano un edificio realizzato con il contributo dei fratelli Pellini, sito in via Spiniello, laddove, al piano terra, il complesso ospita un asilo infantile. Resa edotta la procura di Nola, al momento non è emerso alcun riscontro concreto;
   è doveroso sottolineare che i componenti della Pellini Holding amano esibirsi con un velivolo di proprietà di una società di aereotrasporti (Eliservice, riconducibile agli stessi) sorvolando gli edifici e la locale linea ferroviaria in volo radente e compiendo esibizioni e performance acrobatiche all'interno del centro abitato, con le quali dimostrerebbero l'abilità del pilota di turno;
   nonostante che tali «acrobati» siano stati fotografati e denunciati dai relatori, la procura di Nola propone l'archiviazione. Nuovamente inoltrata l'istanza di prosecuzione delle indagini, il pubblico ministero Onorati è costretto ad emettere la delega di indagini affidando le stesse alla locale stazione dei Carabinieri di Acerra. Decorsi due anni, all'esito delle indagini, viene richiesta una nuova archiviazione;
   nel frattempo, proseguono le acrobazie aeree, che vengono nuovamente fotografate, mentre atterrano in un campo adiacente il locale cimitero. È stata inoltrata una nuova denuncia, corredata anche in tal caso di riscontri fotografici, di cui ancora non si conoscono gli esiti;
   i fratelli Pellini risultano talmente «accreditati» presso le istituzioni, che nel corso del procedimento (che li ha visti imputati e condannati per traffico illecito di rifiuti) hanno convocato come «testi» di parte la dottoressa Giovinazzi (dirigente dell'ARPAC) ed il responsabile dell'ASL territorialmente competente, il dottor Leone;
   il procedimento giudiziario di primo grado che ha visto imputati i fratelli Giovanni, Salvatore e Cuono Pellini avrebbe riguardato, secondo quanto sostenuto dalla stampa, il «più grande traffico di rifiuti tossici mai scoperto nell’hinterland partenopeo». L'accusa sarebbe stata quella di aver smaltito illecitamente, insieme ai loro presunti complici, un milione di tonnellate di rifiuti speciali tra il 2002 e il 2005. Si sarebbe trattato di un «irreparabile danno ambientale» per cui il pubblico ministero della Direzione Distrettuale Antimafia, la dottoressa Maria Cristina Ribera, ha chiesto la condanna a 18 anni di reclusione per i tre principali imputati, 7 anni per l’ex comandante dei carabinieri della stazione di Acerra, Giuseppe Curcio, e 5 per l’ex capo dell'ufficio tecnico del comune di Acerra, Pasquale Petrella;
   la storia di uno dei più grandi traffici di rifiuti degli ultimi venti anni sarebbe stata scoperta per caso. Infatti, i carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico di Roma, impegnati in controlli di routine in alcune ditte di smaltimento rifiuti ad Acerra, avrebbero accidentalmente scoperto tra le contrade di campagna l'esistenza di una misteriosa cava che non avrebbe dovuto esistere. Si sarebbe trattato di un errore poi rivelatosi una fortuna e dal quale sarebbe partito il via alle indagini. I militari avrebbero osservato entrare nel sito vari camion carichi di rifiuti tossici, che venivano poi interrati insieme ai rifiuti, secondo quello che è stato definito il «sistema Pellini»: un business illecito reso possibile grazie alle connivenze dei tre fratelli acerrani con alcuni dipendenti comunali e di uomini appartenenti alle forze dell'ordine e realizzato con il metodo del «giro di bolla» (ovvero la modifica dei documenti di accompagnamento di rifiuti senza che vi sia alcun trattamento degli stessi). Pare che, negli ultimi mesi di attività, le ditte riconducibili ai fratelli Pellini riuscissero a guadagnare in questo modo fino ad un milione di euro a settimana;
   il traffico illecito avrebbe riguardato migliaia di tonnellate di sostanze altamente tossiche tra le quali diossina, fanghi e polveri di camini industriali, scarti di acciaierie e amianto, prelevate dagli stabilimenti chimici di Porto Marghera e da altri impianti sparsi nel Centro-Nord. Rifiuti che sarebbero stati portati ad Acerra transitando, secondo i magistrati napoletani, attraverso dei siti di stoccaggio del tutto inadeguati a prevenire l'inquinamento dei terreni e delle falde idriche. Infine i micidiali veleni, in grado di sviluppare tumori, sarebbero stati sversati nei campi e nei Regi Lagni o peggio, trasformati in finto concime. Un «compost» che invece di far crescere le colture ha annientato la produttività dei terreni;
   come sarebbe emerso nel corso del processo, dopo essersi resi conto di quanto avveniva nelle campagne, alcuni contadini avrebbero preferito rivolgersi direttamente al boss Pasquale Di Fiore, sperando di porre fine all'attività illecita, invece che denunciare tutto alle forze dell'ordine; lo scempio generato dalle attività dei Pellini avrebbe interessato oltre al territorio dell'acerrano, anche altri comuni del napoletano come Giugliano, Qualiano, Bacoli, Villaricca e Caivano, comuni nei quali le analisi dell'ARPAC hanno rilevato, tra l'altro, la presenza di inquinanti quali cadmio, mercurio, alluminio, rame, zinco, idrocarburi, oli minerali e solventi. Il risultato più immediato, come sostenuto dall'accusa, sarebbe stata la nascita di animali malformati e la morte di quelli che pascolavano sulle terre inquinate. Proprio ciò che è accaduto – come si vedrà – alle pecore di proprietà della famiglia del giovane pastore Alessandro Cannavacciuolo, il quale, coraggiosamente, non ha esitato a mettere a rischio la propria vita denunciando gli sversamenti abusivi nella zona di Acerra. Nel latte degli animali dei Cannavacciulo sono stati trovati 51 picogrammi di diossina a fronte di limite massimo tollerato dalla legge di 3 picogrammi;
   sono stati questi i primi effetti del «disastro ambientale» che, come ha affermato il pubblico ministero Ribera, è stato «voluto dagli imputati» e che purtroppo continuerà a produrre i suoi drammatici effetti nel corso dei prossimi anni. A quanto sembra infatti non tutti i terreni in cui sarebbero avvenuti gli sversamenti illeciti sono stati individuati e le domande sul futuro di questo territorio stanno diventando via via sempre più inquietanti, soprattutto dopo il pentimento di uno degli imprenditori vicini ai Pellini: «Spesso quando si andava di fretta, non si perdeva tempo a scaricare i bidoni dal camion», ha raccontato l'uomo, «lo si sotterrava direttamente con il carico di rifiuti. La gran parte dei rifiuti, tipo l'amianto, veniva triturato e mischiato con il cemento. Con quel cemento è stata costruita persino una scuola materna ad Acerra»;
   nel corso delle udienze, il pubblico ministero Maria Cristina Ribera ha definito gli appartenenti al «sistema Pellini» come dei «camorristi del traffico di rifiuti legati al clan Belforte di Marcianise», di cui secondo l'accusa facevano parte 28 persone tra cui due responsabili dell'ufficio tecnico del comune di Acerra e tre carabinieri. Uno di loro era l’ex maresciallo Salvatore Pellini, arrestato nel 2006 assieme ai suoi fratelli, Cuono e Giovanni, al termine di una lunga indagine portata a termine dal NOE di Roma e dal comando provinciale dei carabinieri di Napoli. Prima di mettere le manette ai polsi ad alcuni loro colleghi, gli investigatori hanno ricostruito le tappe della fulminea carriera criminale dei Pellini: partendo da una piccola officina, la famiglia avrebbe costruito grazie all'immondizia tossica un vero e proprio impero economico del valore di 27 milioni di euro; secondo quanto dichiarato dal pubblico ministero, «nei casi che abbiamo investigato vi sono delle società tutte collegate tra di loro che emettono e utilizzano fatture per operazioni inesistenti in modo da creare finti costi e abbattere i grandissimi utili. Così questi imprenditori evitavano anche di pagare le tasse triplicando i loro guadagni»;
   i proventi, sistematicamente reinvestiti in attività imprenditoriali lecite, avrebbero permesso ai fratelli acerrani di mantenere un tenore di vita altissimo che comprendeva persino l'utilizzo di un elicottero personale. Lo stesso elicottero che – come si è visto – fino ad oggi ha continuato a sorvolare i palazzi di Acerra e le sue campagne devastate dall'ecomafia;
   il processo di primo grado concernente i fatti appena esposti si è concluso lo scorso 30 marzo con una condanna che ha però lasciato «insoddisfatti» l'accusa e gli ambientalisti; infatti, il giudice Sergio Aliperti, della sesta sezione penale, non ha riconosciuto per gli imputati i reati di disastro ambientale e di associazione aggravata dal metodo mafioso, disponendo anche il dissequestro delle discariche finite nel mirino dell'inchiesta denominata «Carosello Ultimo Atto». Queste le condanne: i fratelli acerrani Giovanni, Cuono e Salvatore Pellini, i primi due a 6 anni di reclusione e il terzo, un sottufficiale dei carabinieri, sospeso dall'Arma, a 4 anni. Condannato a 4 anni e 6 mesi, sempre per traffico illecito, Giuseppe Buttone, cognato del boss di Marcianise Domenico Belforte. Sono stati poi condannati per falso ideologico due carabinieri, accusati di aver depistato le indagini e quindi anch'essi sospesi dall'Arma. Si tratta di Giuseppe Curcio, ex comandante della stazione di Acerra, e di Vincenzo Addonisio, al quale la procura di Nola aveva delegato la prima fase dell'inchiesta. Curcio ha avuto 4 anni. Per Addonisio condanna a 3 anni e 6 mesi. Assoluzione perché il fatto non sussiste, invece, per due ex dirigenti dell'ufficio tecnico del comune di Acerra, il geometra Pasquale Petrella e l'architetto Amodio Di Nardi, riabilitati dal tribunale dopo essere stati accusati dal pubblico ministero della Direzione Distrettuale Antimafia Maria Cristina Ribera, di aver rilasciato una serie di autorizzazioni illegittime finalizzate alla realizzazione delle discariche dei fratelli Pellini. Il reato di disastro ambientale è stato considerato estinto per intervenuta prescrizione;
   ad arricchire il territorio acerrano di rifiuti di qualsiasi genere, provenienza e tipologia, non si dedicano solo gli imprenditori locali, dal momento che anche il complesso industriale ex Montefibre nel corso degli anni ha «custodito» all'interno del sito i propri sottoprodotti, che sono stati interrati all'interno delle cosiddette aree dismesse;
   ricevuto il rapporto confidenziale da ex addetti ai lavori, i relatori presentano specifica denuncia corredata di testimonianze ed allegati. Anche in tal caso, la procura delega gli agenti della Polizia provinciale, che sono costretti ad intervenire riservandosi però di individuare i punti all'interno del parco Montefibre «a distanza di sicurezza» dichiarando di non disporre del mandato che li autorizzi al sopralluogo diretto tramite accesso interno;
   mentre la procura non giunge ad alcuna conclusione e nella maggior parte dei casi archivia le segnalazioni, i relatori diventano obiettivo di minacce. In questo caso, Alessandro Cannavacciuolo più volte è risultato oggetto di particolari attenzioni telefoniche, concentrate in particolar modo nelle ore notturne, quando squillavano contemporaneamente tutte le utenze telefoniche, sia i portatili che l'utenza fissa domestica. Non è stata risparmiato nemmeno l'esercizio commerciale, la cui serranda di accesso è stata dipinta con vernice di colore rosso sangue, provvedendo in altri casi a bloccare la stessa con del collante chimico. Tutto ciò rappresenta un chiaro messaggio teso a dissuadere il Cannavacciuolo dai propri impegni nell'ambito sociale. Peraltro, in più occasioni si è andati oltre i semplici avvertimenti, in quanto alle intimidazioni verbali si sono sostituite le vie di fatto; in particolare, Alessandro Cannavacciuolo, una sera del novembre 2008, mentre era alla guida del suo ciclomotore, veniva improvvisamente avvicinato da un fuoristrada condotto da Giovanni Pellini che tentava di metterlo fuori strada, così come risulta dalla denuncia presentata in data 19 dicembre 2008 alla stazione dell'Arma dei Carabinieri di Acerra; in altre circostanze, obiettivo delle azioni delittuose risultavano gli agnelli del gregge del Cannavacciuolo interrati vivi e finiti a colpi di lupara, altri mostruosamente decapitati e deposti a fianco di buche molto simili a bare, ricavate nel terreno adiacente ai capi massacrati. Anche in questo caso, l'intervento delle forze dell'ordine si è risolto in un nulla di fatto;
   anche il signor Antonio Montesarchio è stato oggetto di analoghi «interessamenti telefonici»;
   su diversi siti sarebbero state lanciate alcune petizioni on line al Ministro dell'interno finalizzate a richiedere che ad Alessandro Cannavacciuolo sia assegnata una forma di protezione da parte dello Stato. Secondo l'interessato, ad oggi sarebbero state raccolte circa 30.000 firme a sostegno di questa causa;
   la situazione di gravissima contaminazione ambientale delle campagne dell'acerrano, ove si producono frutta e ortaggi destinati al mercato nazionale e internazionale, sarebbero state denunciate dallo stesso Alessandro Cannavacciuolo mediante intervista anche nel corso di un servizio della trasmissione Le Iene andata in onda sul canale televisivo Italia Uno nella serata di martedì 15 ottobre 2013 –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei gravissimi fatti sopra illustrati;
   quali provvedimenti i Ministri interrogati intendano assumere a tutela dei cittadini Antonio Montesarchio e Alessandro Cannavacciuolo che con grande spirito civico e incuranti delle pesanti minacce ricevute proseguono nella loro encomiabile attività di denuncia dei gravissimi illeciti descritti nella relazione i cui contenuti si sono sopra riportati;
   se i Ministri interrogati non ritengano di dover intervenire con gravissima urgenza per impedire che in zone così contaminate prosegua la coltivazione di frutta e verdura che rischia di produrre gravissimi danni ai cittadini consumatori ignari del gravissimo pericolo ai quali sono esposti;
   quali provvedimenti i Ministri interrogati intendano assumere per arginare i gravi fatti denunciati nella presente interrogazione. (4-02232)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   TAGLIALATELA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Fondovalle del Calore Salernitano è un asse stradale a scorrimento veloce che agevola il collegamento tra le aree interne del Cilento e la Valle del Sele, e rappresenta sia un'infrastruttura strategica per il territorio provinciale, sia un'opera di grande valorizzazione del patrimonio paesaggistico e culturale dei comuni dell'area cilentana;
   nel corso della conferenza di servizi svoltasi il 10 aprile 2002, la Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio, acquisite tutte le autorizzazioni e i nulla osta necessari, aveva espresso parere favorevole di compatibilità paesaggistica e, pertanto, erano stati avviati i lavori di realizzazione di un primo stralcio funzionale che interessava i comuni di Castelcivita ed Aquara;
   in data 13 marzo 2012 la Soprintendenza, che fino ad allora non aveva interferito con la realizzazione delle opere, ha chiesto l'accesso alla documentazione, in quanto convinta che l'inizio dei lavori fosse avvenuto a parere paesaggistico già scaduto;
   l'autorizzazione paesaggistica regolarmente acquisita in sede di conferenza di servizi, come previsto dall'articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, a quanto consta all'interrogante, era ancora valida al momento della predisposizione, da parte degli uffici provinciali, della citata richiesta documentazione;
   l'articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, al comma 2, stabilisce, infatti, che «dall'avvio dei lavori decorre il termine di validità di cinque anni dell'autorizzazione (paesaggistica) prevista dall'articolo 16 del regio decreto 3 giugno 1940, n. 1357», pertanto, l'autorizzazione era valida fino al 31 luglio 2012;
   l'intera infrastruttura era stata, tra l'altro, già recepita dal piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP), approvato dalla provincia ed esaminato, senza osservazioni, dalla stessa Soprintendenza;
   nonostante ciò, in data 8 maggio 2012, la Soprintendenza ha ordinato la sospensione cautelare dei lavori di tutto il primo stralcio, in corso di realizzazione sia nel comune di Castelcivita sia nel comune di Aquara, sebbene il tratto viario ricadente in quest'ultimo comune sia dotato di autonomia funzionale e non sottoposto ad alcun vincolo paesaggistico;
   i lavori, che a seguito di alterne vicende avevano già subito un pesante arresto tra il 2006 e il 2010, quando con l'insediamento della recente amministrazione erano stati affidati alla nuova impresa aggiudicatrice, ma che a quella data risultavano finalmente ultimati per l'ottanta per cento sono stati quindi sospesi ad opera del direttore (come da verbale del 9 maggio 2012) e ad oggi risultano ancora essere sospesi;
   a tale sospensione facevano seguito vari dinieghi di pareri sulle numerose azioni messe in campo dalla provincia di Salerno per consentire la ripresa dei lavori;
   la provincia di Salerno, pertanto, ricorreva al TAR (n. registro generale 1079/2012) per l'annullamento del predetto provvedimento di sospensione dei lavori emesso dalla Soprintendenza e in data 2 agosto 2012, considerata la rilevanza dell'intervento, la complessità delle opere da realizzare e lo stato dei luoghi, richiedeva alla Soprintendenza che la problematica venisse trasferita all'attenzione della direzione generale dell'allora Ministero per i beni e le attività culturali (direzione generale del paesaggio o comitato di settore), in quanto organo superiore in grado di effettuare valutazioni di carattere più generale e complessivo rispetto a un'opera strategicamente rilevante per l'intero territorio;
   a fronte dell'accoglimento di tale ultima richiesta veniva istituito un tavolo tecnico con la partecipazione dei rappresentanti della provincia di Salerno, dei comuni di Castelcivita ed Aquara, della Soprintendenza BAP di Salerno e della direzione generale del Ministero per i beni e le attività culturali;
   disposto un sopralluogo, venivano concordate le prescrizioni per le modalità di completamento dell'opera, da formalizzarsi, al più presto, con apposito provvedimento che la Soprintendenza avrebbe dovuto trasmettere alla provincia di Salerno, ma a cui, invece, non ha mai dato seguito;
   con ordinanza del 22 novembre 2012, il TAR di Salerno sospendeva l'esecuzione dell'impugnato provvedimento della Soprintendenza BAP di Salerno ed ordinava alla stessa Soprintendenza di pronunciarsi entro dieci giorni;
   in ottemperanza all'ordinanza del TAR, la Soprintendenza esprimeva parere contrario rispetto alle istanze di accertamento di compatibilità e di autorizzazione paesaggistica presentate dalla provincia di Salerno e proponeva l'indizione di apposita conferenza di servizi, stabilita dalla provincia di Salerno per il giorno 17 dicembre 2012;
   in tale seduta, il Soprintendente faceva presente che, a seguito di un approfondimento giurisprudenziale, aveva maturato il convincimento dell'inapplicabilità dell'istituto della sanatoria ambientale alle opere pubbliche, confermando così il parere contrario, già espresso in precedenza;
   il 25 giugno 2013 il TAR accoglieva il ricorso della provincia e per l'effetto annullava i provvedimenti negativi della Soprintendenza;
   la sentenza del TAR ha confermato la regolarità dell'azione tecnico-amministrativa messa in campo dalla provincia di Salerno, evidenziando, in primis, che il parere favorevole reso sull'intero progetto nel corso della conferenza dei servizi del 2002, al momento dell'ordinanza di sospensione dell'8 maggio 2012, aveva ancora validità e che, pertanto, i lavori erano stati iniziati entro i termini di validità del suddetto parere;
   le opere, si legge nella sentenza, sono state realizzate nel quinquennio di validità dell'autorizzazione, che decorre dall'inizio dei lavori (nel caso specifico dall'agosto 2007 all'agosto 2012) e sui presunti abusi commessi, il collegio ha osservato che «il tracciato realizzato è conforme a quello progettato e all'epoca autorizzato dalla Soprintendenza. Le difformità – si precisa – hanno riguardato due viadotti, per numero di pile e materiali utilizzati, ma si tratta di discrasie giudicate sanabili, che per il Tar non possono giustificare il blocco dei lavori»;
   se l’iter non subirà ulteriori rallentamenti potrebbero, tra l'altro, essere riassunti presto i venti operai che a inizio giugno la ditta aggiudicataria dell'appalto è stata costretta a licenziare, a causa della scadenza della cassa integrazione e dell'assenza di altri cantieri su cui poter dirottare le maestranze;
   la sentenza emessa dal tribunale amministrativo rende adesso più vicino il ritorno al lavoro e con esso il completamento del primo lotto di una strada che, una volta completa, collegherà Campagna e tutta la Valle del Sele a Vallo della Lucania e alle altre località cilentane;
   l'interrogante auspica che la Soprintendenza prenda atto di quanto stabilito dal TAR e, in ottemperanza del principio di leale cooperazione tra amministrazioni pubbliche, collabori per l'adozione degli atti finalizzati all'immediata ripresa dei lavori –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, e quali iniziative ritenga opportuno adottare per individuare eventuali responsabilità nella condotta della Soprintendenza, che ha portato, a giudizio dell'interrogante, a un sicuro danno per la provincia di Salerno.
(4-02229)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il questore di Roma con ordinanza del 14 ottobre 2013 aveva vietato che le funzioni relative alle esequie e al trasporto della salma di Erik Priebke avvenissero nel territorio della provincia di Roma in forma pubblica e solenne, nonché lo svolgimento di qualunque manifestazione pubblica;
   l'amministrazione di Albano ha appreso solo da fonti giornalistiche che nella giornata del 15 ottobre 2013 la Confraternita Lefebvriana San Pio X di Albano aveva dato disponibilità ad eseguire le esequie dell'ex ufficiale SS e criminale di guerra responsabile dell'eccidio delle Fosse Ardeatine;
   contrariamente a quanto previsto dal regolamento di polizia mortuaria (decreto del Presidente della Repubblica n. 285 del 1990) alle ore 15,00 del giorno 15 Ottobre, non era pervenuta al sindaco di Albano, Nicola Marini, alcuna comunicazione circa il transito della salma di Priebke sul territorio comunale;
   il sindaco ha emesso per la data del 15 ottobre 2013, ordinanza di divieto di transito di salme sul territorio comunale, basandosi sull'articolo 54, comma 4, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali riguardante la possibilità per il sindaco di adottare provvedimenti contingibili e urgenti onde evitare eventi pregiudizievoli per l'incolumità pubblica e la sicurezza della civica comunità;
   il prefetto Pecoraro con ordinanza del 15 ottobre 2013 ha ordinato il rito funebre in forma privata presso la Confraternita San Pio X. Ha inoltre ordinato al sindaco Marini di eseguire la suddetta ordinanza, revocando dunque l'ordinanza emessa dal primo cittadino di Albano;
   secondo le dichiarazioni rese dal sindaco Marini agli organi di informazione «per tutto il lasso di tempo in cui l'amministrazione ha stazionato presso la Confraternita San Pio X non ha mai ricevuto alcuna informazione o indicazione ufficiale di quanto stava avvenendo all'interno»;
   le esequie del criminale di guerra Erik Priebke sarebbero dovute avvenire in forma privata presso la Confraternita San Pio X del comune di Albano laziale; sarebbe invece stato consentito l'accesso a circa cento partecipanti, evidentemente non, soltanto familiari di Priebke che a quanto risulta dalla stampa in buona parte sarebbero stati tenuti lontano dalle forze dell'ordine. Durante la cerimonia e il trasporto della salma sono avvenuti scontri tra cittadini che manifestavano la loro indignazione e neonazisti intervenuti per il rito che hanno «salutato» la salma e inneggiato al boia delle fosse Ardeatine. Tra i suddetti neonazisti riusciva ad avere accesso al luogo delle esequie anche il pluricondannato Maurizio Boccacci;
   risultava peraltro che l'unica via laterale al perimetro della Confraternita, da cui i gruppi di estrema destra sono potuti arrivare in loco con tutto quello che ne è conseguito, non fosse vigilata;
   il comune di Albano è stato insignito dopo il conflitto mondiale della medaglia d'argento al merito civile per il suo ruolo durante la Resistenza al nazifascismo con la seguente motivazione: «Centro strategicamente importante, situato nelle vicinanze di Roma, fu sottoposto a violentissimi e devastanti bombardamenti e ad efferate azioni di guerra da parte degli opposti schieramenti che provocarono centinaia di vittime e di feriti, in particolare tra gli sfollati ospitati nel Collegio di Propaganda Fide, nonché ingenti danni al patrimonio edilizio. La popolazione offrì un'ammirevole prova di generoso spirito di solidarietà, prodigandosi nel recupero dei morti e nel soccorso dei feriti. Splendido esempio dei più elevati sentimenti di solidarietà umana e di elette virtù civiche»;
   dopo gli scontri ad Albano Laziale, che hanno di fatto sospeso le esequie del capitano nazista, il feretro è stato portato all'aeroporto militare di Pratica di mare. Sulla vicenda risultano essere stati avviati contatti con l'ambasciatore di Germania in Italia, i cui esiti non sembrano, tuttavia, aver condotto ad una soluzione della complessa vicenda –:
   di quali elementi disponga il Ministro in merito ai fatti accaduti;
   quali valutazioni intenda esprimere il Ministro interrogato, alla luce di quanto premesso, comportamento del prefetto Giuseppe Pecoraro, nel relazionarsi con le autorità di Albano e nel gestire una situazione che poteva potenzialmente nuocere all'ordine pubblico, come poi è nei fatti stato;
   di quali elementi disponga in particolare in ordini ai fatti e alle situazioni che hanno consentito a gruppi di estremisti, alcuni dei quali pluricondannati, di arrivare in treno per tempo ad Albano e di entrare nel luogo delle esequie funebri del criminale di guerra Erik Priebke, col palesato intento di compiere apologia di nazifascismo.
(2-00260) «Tidei, Carella, Ferro, Gregori, Villecco Calipari, Marco Di Stefano, Morassut, Stumpo, De Maria».

Interrogazione a risposta orale:


   OTTOBRE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nonostante siano trascorsi parecchi giorni dalla scomparsa dell'ex capitano delle Ss Erich Priebke, condannato all'ergastolo quale responsabile dell'eccidio delle Fosse Ardeatine, sulle stampa continua a tenere banco il «mistero» sulla sua sepoltura;
   le località ipotizzate, dal cimitero di Anzio al trasferimento in Germania, sono state di volta in volta smentite dalle autorità competenti;
   il legale della famiglia Priebke, Paolo Giachini, ha dichiarato all'ANSA che la salma lascerà Pratica di Mare per una località segreta nella quale verrà, finalmente, tumulata;
   nel Tgcom24 di sabato 19 ottobre 2013 è stata data la notizia che il luogo della sepoltura si potrebbe trovare in Alto Adige –:
   se tale notizia risponda al vero.
(3-00389)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GHIZZONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Centro italiano di studi sull'alto medioevo (CISAM), con sede in Spoleto, fondato nel 1952 per iniziativa di Giuseppe Ermini, poi costituito come ente di diritto pubblico con legge 20 dicembre 1957, n. 1232, è stato trasformato in fondazione, sottoposta alla vigilanza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, nell'ambito del processo di riordino degli enti pubblici nazionali ai sensi del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 419, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 maggio 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 25 giugno 2002, n. 147;
   lo statuto della Fondazione CISAM è stato approvato con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 11 ottobre 2002, n. 1365/RIC;
   l'articolo 6, comma 5, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, ha prescritto che gli organismi pubblici, anche con personalità giuridica di diritto privato, provvedano all'adeguamento dei rispettivi statuti al fine di assicurare che, a decorrere dal primo rinnovo successivo alla data di entrata in vigore del medesimo decreto, gli organi di amministrazione e quelli di controllo, nonché il collegio dei revisori, siano costituiti da un numero non superiore, rispettivamente, a cinque e a tre componenti;
   con nota del 7 aprile 2011, prot. 553, la Direzione generale per il coordinamento e lo sviluppo della ricerca del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha segnalato alla Fondazione CISAM, in quanto ente avente come scopo la promozione di attività di ricerca, l'opportunità di adeguare la propria organizzazione ai princìpi del decreto legislativo 31 dicembre 2009, n. 213, recante riordino degli enti di ricerca, e di prevedere nel proprio organico una figura di ricercatore;
   a seguito dell'istruttoria svolta mediante interlocuzioni con i competenti organi del Ministero vigilante nel corso degli anni 2011 e 2012, l'11 dicembre 2012 il consiglio di amministrazione della Fondazione CISAM ha deliberato alcune modifiche allo Statuto, presentate alla prefettura di Perugia per l'approvazione il 25 gennaio 2013; tali modificazioni riguardavano tra l'altro:
    a) la composizione del consiglio di amministrazione, con riduzione del numero dei membri da sette a cinque e attribuzione del potere di designazione di un esperto in materie fiscali e tributarie al consiglio scientifico della Fondazione, in luogo dei due esperti, rispettivamente in materie giuridico-amministrative e in materie fiscali e tributarie, designati dal Ministero vigilante in base al vigente statuto; la misura – fondata sulle ragioni giuridiche in prosieguo esposte – prendeva atto, d'altronde, del sostanziale disimpegno intervenuto, da parte del Ministero, dopo l'anno 2010, con il mancato rinnovo della convenzione prevista dall'articolo 3, comma 2, del citato decreto legislativo n. 419 del 1999 e la conseguente cessazione del contributo precedentemente erogato per la gestione;
    b) l'istituzione della figura del coordinatore scientifico, con previsione della facoltà di attribuire al medesimo un'indennità oltre al rimborso delle spese di viaggio; l'esigenza rappresentata dal Ministero circa l'introduzione di una figura specifica di ricercatore veniva così soddisfatta, in forme compatibili con la struttura e le dotazioni finanziarie dell'ente, le cui funzioni di organizzazione della ricerca si esercitano più proficuamente attraverso la promozione e il coordinamento di progetti svolti da studiosi esterni in collegamento con esso, giacché un organico di ricercatori, necessariamente esiguo date le limitate disponibilità finanziarie dell'ente, non sarebbe adeguato per realizzare con eguale efficacia le attività effettivamente svolte nella loro attuale estensione;
   la direzione generale per il coordinamento e lo sviluppo della ricerca del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con nota del 10 maggio 2013, prot. 10789, ha espresso valutazione negativa sulle due modificazioni statutarie sopra indicate;
   in particolare, il Ministero vigilante ha ritenuto che la cessazione della presenza di due membri nominati nell'organo di amministrazione dal Ministero medesimo ne affievolisca la funzione di vigilanza, e che la prevista facoltà di attribuire un'indennità al coordinatore scientifico sia incompatibile con l'orientamento precedentemente espresso dal medesimo Ministero con nota in data 1o dicembre 2010, prot. 1411, secondo cui l'incarico avrebbe dovuto essere svolto a titolo gratuito con il solo rimborso delle spese di viaggio;
   quanto al primo rilievo, osserva l'interrogante che la funzione di vigilanza è assicurata sia dalla presenza, nel collegio dei revisori, di un membro effettivo designato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sia dalla regolare trasmissione dei verbali degli organi, dei bilanci di previsione e dei rendiconti al medesimo Ministero, laddove la partecipazione di rappresentanti del Ministero vigilante nell'organo di amministrazione appare esclusa dall'articolo 13 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 419, che, al comma 1, lettera b), sottopone la nomina dei componenti del consiglio di amministrazione al controllo preventivo ministeriale, rimettendola a un decreto del Ministro vigilante, imponendo tuttavia che sia esclusa dalla composizione di tale organo la presenza «di rappresentanti del Ministero vigilante o di altre amministrazioni pubbliche, di organizzazioni imprenditoriali e sindacali e di altri enti esponenziali»;
   quanto al secondo rilievo, osserva l'interrogante che – pur nella doverosa considerazione delle esigenze di contenimento della spesa imposte dalla situazione della finanza pubblica – la previsione statutaria contempla, al di là del rimborso delle spese di viaggio, una mera facoltà di prevedere un'indennità in favore del coordinatore scientifico, il cui esercizio, nell’an e nel quantum, è riservato alla responsabile discrezionalità dell'organo di amministrazione, che potrà valutare l'onerosità dell'impegno richiesto al coordinatore medesimo e la compatibilità della misura con le risorse disponibili e con i criteri della loro corretta allocazione nel rispetto delle preminenti finalità statutarie della Fondazione;
   la situazione determinatasi, anche a seguito della scadenza del mandato dell'organo di amministrazione della Fondazione CISAM, rischia – pur in presenza di «una apprezzabile prudenza gestionale», come riconosciuto dalla Corte dei conti nella determinazione e relazione della sezione del controllo sugli enti sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria della Fondazione medesima per gli esercizi 2008-2009-2010 (determinazione n. 50/2012, paragrafo 5 – conclusioni) – di produrre gravi inconvenienti per lo svolgimento dell'attività dell'ente, che promuove convegni annuali e studi interdisciplinari sulla storia e sulla cultura dell'alto medioevo (secoli V-XI), cura la pubblicazione degli atti dei convegni internazionali, svolge una vasta attività editoriale con collane e periodici (tra cui la rivista «Studi medievali» fondata nel 1904 da Francesco Novati) e ha sviluppato recentemente, accanto alla tradizionale attività nello studio delle fonti e della storia istituzionale, un nuovo e rilevante impegno nel campo dell'archeologia medievale –:
   se ritenga opportuno, alla luce di una rivalutazione delle motivazioni giuridiche e dei presupposti di fatto delle modifiche di statuto sottoposte dalla Fondazione CISAM all'approvazione dei competenti organi istituzionali, riconsiderare l'avviso espresso, allo scopo di consentire il ripristino del regolare funzionamento degli organi statutari e la produttiva continuazione dell'attività scientifica e di promozione della ricerca storica svolta dalla Fondazione medesima a livello internazionale. (5-01249)


   DI VITA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi le cronache dei giornali hanno riportato una notizia aberrante accaduta nel vicentino: un 15enne autistico è stato oggetto di quotidiani e ripetuti atti di violenze fisiche ed offese da parte di due «maestre» di una scuola media;
   i carabinieri di Vicenza, hanno documentato le scene di violenza, sevizie nonché offese, con un filmato shock. Sulla base del filmato hanno chiuso le indagini ed arrestato le due maestre Maria Pia Piron di 59 anni e «l'insegnante di sostegno» Oriana Montesin di 55 anni;
   la liberazione dall'incubo arriva per il 15enne l'8 aprile 2013; verso le 10 e 30, i carabinieri di Vicenza entrano nella scuola media, vanno diretti nella stanzetta degli orrori e pongono fine alle violenze delle insegnanti;
   risulta all'interrogante che «l'assistente di sostegno» Oriana Montesin sia stata disconosciuta dall'ordine nazionale degli assistenti, in quanto non risulta iscritta all'albo professionale degli assistenti sociali;
   gli stessi carabinieri di Vicenza hanno definito le immagini del video insopportabili;
   delle due donne solo una è ancora in carcere, l'assistente Oriana Montesin. Piron ha ottenuto i domiciliari, dopo aver scritto al giudice che intende sottoporsi ad un trattamento terapeutico ed aver versato una prima somma di 10 mila euro come risarcimento alla famiglia del ragazzo autistico. Una strada che pare voglia seguire anche l'altra indagata;
   purtroppo non è il primo caso ma solo l'ennesimo, documentato, di violenze da parte di maestre nei confronti di minori o di bambini diversamente abili, e sui quali è necessario avviare iniziative immediate ed efficaci al fine di stroncare tali atti di violenze inaccettabili nelle scuole pubbliche e private;
   il susseguirsi di atti di violenza nelle scuole nei confronti di minori e di diversamente abili, ha portato alcune associazioni di genitori di bambini autistici a richiedere con una petizione l'ausilio di mezzi audiovisivi a tutela della incolumità dei loro figli nelle scuole –:
   come sia stato possibile che un assistente sociale che non risulta iscritta all'albo professionale degli assistenti sociali abbia potuto lavorare in una scuola media in qualità di assistente di sostegno;
   quali iniziative abbiano intrapreso o intendano intraprendere perché fatti come quelli citati in premessa non abbiano più ad accadere;
   quali siano i dati in possesso dei Ministri interrogati relativi agli atti di violenza nei confronti di minori nelle scuole sia pubbliche che private e se non ritenga necessario avviare una indagine amministrativa nazionale;
   se non ritengano necessario verificare i requisiti degli insegnanti di sostegno che operano nelle scuole pubbliche e private;
   se non vi siano elementi, come nel caso della scuola media di Vicenza, per ravvisare situazioni di mancata denuncia degli abusi da parte dei responsabili delle scuole medie (5-01250)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   BURTONE. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 14 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, ha stabilito l'obbligo, per ogni amministrazione, di dotarsi di un organismo indipendente di valutazione della performance (OIV) da nominare sentita la commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (CIVIT), istituita a norma dell'articolo 13 del medesimo decreto legislativo;
   il comma 11 dell'articolo 14 sopra menzionato stabilisce che agli oneri derivanti dalla costituzione e dal funzionamento dell'OIV debba provvedersi «nei limiti delle risorse attualmente destinate ai servizi di controllo interno»;
   la lettera g) del comma 5 dell'articolo 13 del decreto legislativo citato affida alla CIVIT il compito di definire i requisiti per la nomina dell'OIV;
   il comma 3 dell'articolo 14 del decreto legislativo citato stabilisce che l'OIV è nominato «sentita» la CIVIT;
   la delibera CIVIT n. 12 del 2013, al punto 14, pretende, come condizione per l'espressione del parere, una ragguardevole mole di adempimenti procedurali burocratici a carico delle amministrazioni che ad avviso dell'interrogante – con il pretesto della trasparenza – appesantiscono e rallentano notevolmente l’iter della nomina:
    a)  trasmissione degli atti del procedimento di selezione comprensivo dei curricula di tutti i candidati;
    b) relazione motivata sulle ragioni della scelta con riferimento ai requisiti posti dalla CIVIT, nonché sugli esiti della procedura comparativa espletata;
    c)  previsione di un termine di trenta giorni per la formulazione del parere da parte della CIVIT, salva la facoltà discrezionale e inoppugnabile di sospendere indefinitamente tale termine per esigenze istruttorie;
    d) obbligo della pubblicazione sul sito dell'amministrazione di tutti gli atti sopra citati;
   una siffatta serie di adempimenti meramente formali e burocratici, mentre rende oneroso il percorso della nomina e discutibile il vantaggio in termini di controllo, interpone inutili ostacoli in termini di speditezza amministrativa;
   i compiti dell'OIV, definiti dai commi 4 e 5 dell'articolo 14 del decreto legislativo citato, sono di alta complessità tecnica e presuppongono elevate competenza e professionalità, notevolmente più impegnative di quelle occorrenti ai nuclei di valutazione per il controllo interno;
   la CIVIT, con delibera n. 4 del 2010 in data 16 febbraio 2010, ha definito criteri e requisiti per la nomina dell'OIV, senza dettare alcun indirizzo in merito al compenso da corrispondere per l'esercizio della relativa funzione;
   la medesima CIVIT, con successiva delibera n. 12 del 2013 in data 27 febbraio 2013, ha definito nuovi criteri per la nomina dell'OIV, stabilendo altresì che gli importi da corrispondere per l'esercizio della funzione debbano essere «adeguati alla complessità organizzativa delle amministrazioni»;
   mancano indirizzi, requisiti e criteri per individuare la complessità organizzativa delle amministrazioni, in rapporto alla definita notevole complessità tecnica della funzione dell'OIV –:
   se non intenda promuovere iniziative normative per semplificare e snellire l’iter della nomina dell'Organismo indipendente di valutazione, eliminando gli adempimenti preventivi alla nomina stessa e concedendo poteri di controllo e di intervento in fase successiva;
   se non intenda promuovere le iniziative di competenza, anche normative volte a precisare indirizzi, requisiti e criteri per individuare e definire la soglia adeguata dei compensi da corrispondere ai componenti dell'Organismo indipendente di valutazione – distinguendo in particolare i casi di organo collegiale o monocratico – in modo da consentire una adeguata partecipazione dei candidati, sotto il profilo sia quantitativo che qualitativo, alle procedure di selezione dei medesimi. (4-02231)

Apposizione di firme ad una mozione
e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Binetti ed altri n. 1-00209, nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Molea e, contestualmente con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Binetti, Adornato, Buttiglione, Capua, Caruso, Cera, Cesa, Antimo Cesaro, Cimmino, D'Agostino, Dambruoso, De Mita, Galgano, Gigli, Gitti, Marazziti, Matarrese, Mazziotti Di Celso, Molea, Fitzgerald Nissoli, Oliaro, Piepoli, Sberna, Sottanelli, Schirò Planeta, Tinagli, Vargiu, Vitelli».

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza Mannino e altri n. 2-00257, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Zolezzi.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Gozi e altri n. 4-02204, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Chaouki.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Oliaro n. 5-00483 del 1o luglio 2013;
   interrogazione a risposta scritta Pannarale n. 4-02227 del 18 ottobre 2013.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Di Vita n. 4-00860 del 13 giugno 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01250;
   interrogazione a risposta orale Burtone n. 3-00322 del 18 settembre 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-02231.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Cova n. 4-02210 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 99 del 17 ottobre 2013. Alla pagina 5896, prima colonna, dalla riga quarta alla riga quinta, deve leggersi: «COVA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere» e non «COVA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere», come stampato.