XVII LEGISLATURA
COMUNICAZIONI
Missioni valevoli nella seduta del 29 ottobre 2013.
Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Archi, Baldelli, Baretta, Berretta, Nicola Bianchi, Bindi, Bocci, Boccia, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Bray, Brunetta, Caparini, Capezzone, Carinelli, Carrozza, Castiglione, Censore, Cicchitto, Cirielli, D'Alia, Dambruoso, De Girolamo, Dell'Aringa, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Epifani, Gianni Farina, Fassina, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Fraccaro, Franceschini, Frusone, Gebhard, Giachetti, Alberto Giorgetti, Gozi, Kyenge, La Russa, Legnini, Leone, Letta, Lorenzin, Lupi, Marazziti, Giorgia Meloni, Merlo, Meta, Migliore, Mogherini, Moretto, Orlando, Pes, Picchi, Gianluca Pini, Pisicchio, Pistelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Sani, Santelli, Sereni, Speranza, Tabacci, Tancredi, Tinagli, Vito.
(Alla ripresa pomeridiana della seduta).
Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Archi, Baldelli, Baretta, Berretta, Nicola Bianchi, Bindi, Bocci, Boccia, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Bray, Bressa, Brunetta, Caparini, Capezzone, Carinelli, Carrozza, Castiglione, Censore, Cicchitto, Cirielli, D'Alia, Dambruoso, De Girolamo, Dell'Aringa, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Epifani, Gianni Farina, Fassina, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Fraccaro, Franceschini, Frusone, Gebhard, Giachetti, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giorgis, Gitti, Gozi, Kyenge, La Russa, Legnini, Leone, Letta, Lorenzin, Lupi, Marazziti, Melilla, Giorgia Meloni, Merlo, Meta, Migliore, Mogherini, Moretto, Orlando, Pes, Picchi, Gianluca Pini, Pisicchio, Pistelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Sani, Santelli, Sereni, Sisto, Speranza, Tabacci, Tancredi, Tinagli, Toninelli, Vito.
Annunzio di proposte di legge.
In data 28 ottobre 2013 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
CARBONE: «Introduzione dell'articolo 416-quater del codice penale, concernente la pena accessoria della decadenza dalla potestà dei genitori a seguito di condanna per associazione di tipo mafioso, di cui all'articolo 416-bis del medesimo codice, o per taluni delitti commessi avvalendosi delle condizioni ivi previste» (1736);
GUERRA: «Modifiche al testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e altre disposizioni concernenti i comuni di minore dimensione demografica, l'esercizio associato delle loro funzioni, nonché le unioni di comuni e la fusione dei medesimi» (1737);
FRANCO BORDO e PALAZZOTTO: «Ripristino dell'efficacia delle disposizioni dei commi 1093 e 1094 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, concernenti l'opzione per la determinazione del reddito su base catastale da parte delle società agricole» (1738);
NASTRI: «Introduzione dell'articolo 605-bis del codice penale, in materia di sequestro di persona di età minore di dodici anni» (1739);
NASTRI: «Disposizioni per la trasformazione delle banche popolari quotate nei mercati regolamentati in società per azioni di diritto speciale» (1740);
PALMIZIO: «Norme per la promozione, il riconoscimento e lo sviluppo delle confraternite enogastronomiche e delle associazioni consimili» (1741);
GIORGIA MELONI ed altri: «Modifica all'articolo 10 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, in materia di separazione tra le banche commerciali e le banche d'affari» (1742).
Saranno stampate e distribuite.
Annunzio di un disegno di legge.
In data 28 ottobre 2013 è stato presentato alla Presidenza il seguente disegno di legge:
dal Ministro degli affari esteri:
«Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica islamica dell'Afghanistan in materia di prevenzione e contrasto al traffico illecito di stupefacenti, sostanze psicotrope e loro precursori, fatto a Roma il 2 giugno 2011» (1743).
Sarà stampato e distribuito.
Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.
A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
I Commissione (Affari costituzionali):
CAON ed altri: «Modifiche all'articolo 71 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in materia di elezione del sindaco e del consiglio comunale nei comuni con popolazione sino a 15.000 abitanti» (1200).
XI Commissione (Lavoro):
GRIMOLDI: «Disposizioni per la formazione degli insegnanti della scuola primaria in materia di emergenza sanitaria e di tecniche di primo soccorso» (1095). Parere delle Commissioni I, V, VII e XII;
GRIMOLDI: «Delega al Governo per l'adozione di norme in materia di tutela previdenziale e antinfortunistica in favore del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco» (1113). Parere delle Commissioni I, V e XII.
XII Commissione (Affari sociali):
BOSSA ed altri: «Istituzione del “Giorno del gioco” dedicato al gioco come strumento di valore sociale ed educativo per l'infanzia» (1220). Parere delle Commissioni I, V e VII.
XIII Commissione (Agricoltura):
LOCATELLI ed altri: «Disciplina dell'attività di panificazione e norme per la tutela del pane nazionale di alta qualità» (1375). Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, X (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), XI, XII e XIV.
Commissioni riunite VI (Finanze) e XII (Affari sociali):
MONGIELLO ed altri: «Disposizioni in materia di gioco d'azzardo, per la trasparenza e il controllo del mercato dei giochi nonché la prevenzione e il contrasto della ludopatia» (1196). Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, VII, VIII, IX, X (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento) e XIV.
Sentenze della Corte costituzionale.
La Corte costituzionale ha depositato in cancelleria le seguenti sentenze che, ai sensi dell'articolo 108, comma 1, del Regolamento, sono inviate alle sottoindicate Commissioni competenti per materia, nonché alla I Commissione (Affari costituzionali), se non già assegnate alla stessa in sede primaria:
Sentenza n. 239 del 7 – 11 ottobre 2013 (Doc. VII, n. 155), con la quale:
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 38, comma 1, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni dall'articolo 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 134, promossa dalla regione Basilicata, in riferimento agli articoli 114 e 123 della Costituzione;
dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 38, comma 1, del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge n. 134 del 2012, promossa dalla regione Basilicata, in riferimento all'articolo 117 della Costituzione e al principio di leale collaborazione:
alle Commissioni riunite VIII (Ambiente) e X (Attività produttive);
Sentenza n. 246 del 21 – 24 ottobre 2013 (Doc. VII, n. 158), con la quale:
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 5, commi 1 e 2, della legge della regione Umbria 4 aprile 2012, n. 7 (Disposizioni collegate alla manovra di bilancio 2012 in materia di entrate e di spese – Modificazioni ed integrazioni di leggi regionali), promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento all'articolo 9 della Costituzione;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 5, commi 1 e 2, della medesima legge della regione Umbria n. 7 del 2012, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento all'articolo 117, commi primo e secondo, lettera s), della Costituzione:
alle Commissioni riunite VIII (Ambiente) e X (Attività produttive);
Sentenza n. 252 del 23 – 28 ottobre 2013 (Doc. VII, n. 161), con la quale:
dichiara inammissibili i conflitti di attribuzione promossi dalla Provincia autonoma di Bolzano nei confronti dello Stato, in relazione al decreto di sequestro n. 0002941-17/10/2012-PR–BZ-U15-P adottato dalla procura regionale presso la sezione giurisdizionale della Corte dei conti per il Trentino-Alto Adige, sede di Bolzano, il 17 ottobre 2012, e alla richiesta di documentazione n. 0000457-22/02/2013-PR–BZ-U15-P, adottata dalla stessa procura regionale presso la sezione giurisdizionale della Corte dei conti per il Trentino-Alto Adige, sede di Bolzano, il 21 febbraio 2013:
alla II Commissione (Giustizia);
La Corte costituzionale ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 30, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, copia delle seguenti sentenze che, ai sensi dell'articolo 108, comma 1, del Regolamento, sono inviate alle sottoindicate Commissioni competenti per materia, nonché alla I Commissione (Affari costituzionali), se non già assegnate alla stessa in sede primaria:
con lettera in data 17 ottobre 2013, Sentenza n. 241 del 9 – 17 ottobre 2013 (Doc. VII, n. 156), con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale degli articoli 7, comma 4, 16, 27 e 28 della legge della regione Abruzzo 10 gennaio 2013, n. 2, recante «Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2013 e pluriennale 2013-2015 della regione Abruzzo (Legge finanziaria regionale 2013)»;
dichiara la cessazione della materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell'articolo 19 della legge della regione Abruzzo n. 2 del 2013, promossa, in riferimento agli articoli 81, quarto comma, e 117, terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri:
alla V Commissione (Bilancio);
con lettera in data 24 ottobre 2013, Sentenza n. 245 del 21 – 24 ottobre 2013 (Doc. VII, n. 157), con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 51, comma 1, della legge della regione Liguria 12 agosto 2011, n. 23, recante «Modifiche alla legge regionale 2 gennaio 2007, n. 1 (Testo unico in materia di commercio) anche in attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato interno»:
alla X Commissione (Attività Produttive);
con lettera in data 25 ottobre 2013, Sentenza n. 250 del 21 – 25 ottobre 2013 (Doc. VII, n. 159), con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale degli articoli 13, comma 1, e 14, comma 1, della legge della regione Abruzzo 10 gennaio 2013, n. 3 (Bilancio di previsione per l'esercizio finanziario 2013 – Bilancio pluriennale 2013-2015) nella parte inerente all'imputazione della spesa ai capitoli 323500 (U.P.B. 15.02.003) e 321920 (U.P.B. 15.01.002) del bilancio di previsione 2013;
dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell'articolo 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla Costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1 della legge della regione Abruzzo n. 3 del 2013 nella parte in cui contabilizza, nell'entrata del bilancio di competenza e di cassa dell'esercizio 2013, il saldo finanziario positivo presunto dell'esercizio 2012 nella misura di euro 9.000.000,00;
dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell'articolo 27 della legge n. 87 del 1953, l'illegittimità costituzionale dell'articolo 4 della legge della regione Abruzzo n. 3 del 2013 nella parte in cui contabilizza, nella spesa del bilancio di competenza e di cassa dell'esercizio 2013, il saldo finanziario positivo presunto dell'esercizio 2012 nella misura di euro 9.000.000,00;
dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell'articolo 27 della legge n. 87 del 1953, l'illegittimità costituzionale dell'articolo 11 della legge della regione Abruzzo n. 3 del 2013 nella parte in cui applica al bilancio di previsione 2013 il saldo finanziario positivo presunto dell'esercizio 2012 nella misura di euro 9.000.000,00:
alla V Commissione (Bilancio);
con lettera in data 28 ottobre 2013, Sentenza n. 251 del 23 – 28 ottobre 2013 (Doc. VII, n. 160), con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 22 della legge della regione Veneto 28 dicembre 2012, n. 50 (Politiche per lo sviluppo del sistema commerciale nella regione del Veneto) nella parte in cui non prevede la verifica di assoggettabilità per i centri commerciali di medie dimensioni;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 17, 18 e 19 della legge della regione Veneto n. 50 del 2012, promossa, in relazione all'articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 26 della legge della regione Veneto n. 50 del 2012, promossa, in relazione all'articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri:
alle Commissioni riunite VIII (Ambiente) e X (Attività produttive).
Trasmissione dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con lettera in data 24 ottobre 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 5, comma 4, del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, il decreto interministeriale concernente l'adozione del piano di rientro per l'estinzione dei debiti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per obbligazioni relative a somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali, riferito all'anno 2013.
Questo decreto è trasmesso alla V Commissione (Bilancio), alla VIII Commissione (Ambiente), alla IX Commissione (Trasporti) e alla X Commissione (Attività produttive).
Trasmissione dal Ministro degli affari esteri.
Il Ministro degli affari esteri, con lettere del 25 e del 28 ottobre 2013, ha trasmesso due note relative all'attuazione data alla risoluzione conclusiva Manlio DI STEFANO n. 8/00005, accolta dal Governo ed approvata dalla III Commissione (Affari esteri) nella seduta del 26 giugno 2013, concernente la ratifica del Trattato sul commercio delle armi e, per la parte di propria competenza, all'ordine del giorno DA VILLA ed altri n. 9/1197/18, accolto dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 21 giugno 2013, concernente iniziative volte a sostenere l'esportazione italiana e l'attrazione in Italia di investimenti esteri diretti.
Le suddette note sono a disposizione degli onorevoli deputati presso il Servizio per il Controllo parlamentare e sono trasmesse alla III Commissione (Affari esteri), competente per materia.
Atti di controllo e di indirizzo.
Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.
INTERPELLANZA E INTERROGAZIONI
Iniziative volte a garantire l'invio a domicilio da parte dell'Inps della documentazione reddituale, in particolare in considerazione della situazione dei pensionati – 2-00015; 3-00011
A) Interpellanza e interrogazione
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
fino al 2012, l'Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps) nei primi mesi dell'anno effettua massive operazioni di invio postale della certificazione unica dei redditi ai soggetti per i quali assolve funzione di sostituto d'imposta;
relativamente all'obbligo di trasmettere la certificazione unica dei redditi relativa all'anno d'imposta 2012 per la dichiarazione dei redditi da assolvere nel 2013, l'Inps renderà disponibile il cud soltanto in modalità telematica;
infatti, la legge 24 dicembre 2012, n. 228, cosiddetta legge di stabilità 2013, all'articolo 1, comma 114, ha previsto che, a decorrere dall'anno 2013, «gli enti previdenziali rendono disponibile la certificazione unica dei redditi di lavoro dipendente, pensione e assimilati in modalità telematica. È facoltà del cittadino richiedere la trasmissione del cud in forma cartacea. Dall'attuazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica»;
dunque, gli enti previdenziali non inviano più il cud ai pensionati in formato cartaceo, se non su espressa richiesta dell'interessato;
a motivo di ciò, l'Istituto nazionale della previdenza sociale ha reso disponibile la certificazione unica dei redditi di lavoro dipendente, pensione e assimilati (cud) sul proprio sito istituzionale www.inps.it, nella sezione servizi online – servizi al cittadino;
ai sensi di quanto disposto dal sopra menzionato articolo 1, comma 114, della legge di stabilità 2013, per tutti coloro che ne faranno esplicita richiesta, inoltre, sarà possibile ottenere il cud in formato cartaceo attraverso uno dei canali alternativi descritti in dettaglio nella circolare n. 32 del 26 febbraio 2013, tra i quali: le agenzie Inps, recandosi agli sportelli veloci dedicati al rilascio del cud; le postazioni informatiche self-service, disponibili presso le strutture territoriali dell'Istituto; la posta elettronica, inviando una mail da un indirizzo di posta elettronica certificata cec-pac; i centri di assistenza fiscale; gli uffici postali appartenenti alla rete «sportello amico», a pagamento; solo da ultimo gli enti di patronato;
molte famiglie sono sprovviste di computer e, soprattutto gli anziani, spesso non hanno la necessaria dimestichezza con i sistemi informatici;
di conseguenza, si è di fatto generata una situazione di confusione e maggiore difficoltà per quelle fasce di popolazione che non hanno la possibilità o la capacità di connettersi a internet e stampare dal sito dell'Inps il modello cud, utilizzando il proprio codice pin (rilasciato per metà via mail e per metà con un sms sul telefonino);
inoltre, ad essere colpite saranno particolarmente le categorie più deboli, gli anziani ed i disabili, i quali dovranno affrontare spostamenti a volte assai faticosi, se non impossibili, e spese non previste per ottenere una documentazione necessaria ai fini fiscali;
il pagamento del servizio di rilascio dei cud da parte degli uffici postali – i cui sportelli costituiscono interfaccia abituale per molti cittadini, soprattutto anziani, per lo svolgimento di altre operazioni (incasso assegni delle pensioni, depositi e altro) – appare, da un lato, inspiegabile, data la necessità di ottenimento della documentazione ai fini fiscali di tutti i cittadini; dall'altro, iniquo rispetto alla previsione gratuita di ottenimento dello stesso documento attraverso canali alternativi;
la novità telematica per il rilascio della certificazione fiscale non è stata accompagnata da una campagna informativa tale da illustrare chiaramente al cittadino le modalità messe a sua disposizione per venire in possesso della forma cartacea del cud;
a riguardo, solo con il messaggio n. 5024 del 22 marzo 2013, l'Inps ha evidenziato che, oltre ai canali e agli strumenti già indicati in precedenza, per ottenere il cud i cittadini possono avvalersi del servizio offerto dagli enti di patronato, in forma assolutamente gratuita. L'erogazione del servizio è, infatti, ammessa su specifica richiesta del cittadino interessato e dietro apposito mandato, il quale, unitamente ad una copia del documento del richiedente, dovrà essere conservato dal patronato ed esibito a richiesta dell'Inps;
si contesta, inoltre, anche la scelta di non inviare più al domicilio l'obism creando molto disagio; esso non riguarda l'obbligo di ottemperare agli adempimenti fiscali, ma è comunque un documento che permette al pensionato o a chi gli presta assistenza fiscale e previdenziale di avere certezza sugli importi mensili e della tredicesima mensilità, anche rispetto a questo –:
se il Ministro interpellato sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa e quali siano i suoi orientamenti in merito alla situazione;
se non ritenga opportuno adoperarsi per mettere in atto un'adeguata campagna informativa in tempi celeri che permetta di fare chiarezza in merito alle modalità di rilascio del cud, anche al fine di ripristinare un clima di serenità tra le categorie più deboli, gli anziani ed i disabili;
se, infine, non intenda assumere specifiche iniziative affinché sia garantito il servizio di rilascio del cud a titolo assolutamente non oneroso per l'utente quale che sia l'istituto, l'ente o il soggetto abilitato al rilascio di una documentazione indispensabile ai fini fiscali per tutti i cittadini.
(2-00015) «Gnecchi, Lenzi, Maestri, Incerti, Boccuzzi, Nicoletti, Fabbri, Petitti, Mosca, Damiano, Bobba, Rosato, Ginefra, Mongiello, D'Incecco, Amato, Bossa, Murer, Berretta, Naccarato, Rampi, Giampaolo Galli, Verini, Tullo, Giacobbe, Carocci, Cenni, Giovanna Sanna, Rocchi, Lattuca, Fregolent, Pes, Scalfarotto, Bellanova, Miotto, Peluffo».
ZAPPULLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
la notizia del mancato invio a domicilio da parte dell'Inps della certificazione dei redditi da lavoro dipendente, pensione e assimilati attraverso il cud, conseguente alle disposizioni della legge di stabilità che hanno previsto per le pubbliche amministrazioni l'utilizzo del canale telematico per l'invio di comunicazioni e certificazioni al cittadino, sta destando preoccupazione e disorientamento tra i pensionati italiani, chiamati a doversi far carico di procedure complesse, farraginose ed onerose per ottenere la documentazione di cui hanno potuto sinora beneficiare per gli adempimenti fiscali;
si tratta di una misura che scarica sugli utenti, in particolare su una categoria debole come i pensionati, gli effetti dei tagli di spesa per le pubbliche amministrazioni;
la disponibilità e la consuetudine nell'utilizzo dei canali telematici rappresentano per molti pensionati un ostacolo insormontabile, soprattutto per coloro che appartengono alle classi di età più avanzate. Secondo una ricerca del 2011 sulla diffusione dell’«online» in Italia, condotta dalla società Audiweb, preso a riferimento un giorno medio di accessi alla rete, solo il 14,3 per cento degli utenti è rappresentato da cittadini di età tra i 55 e i 74 anni e lo 0,6 per cento da cittadini di età superiore a 74 anni –:
quali iniziative si intendano adottare al fine di limitare quanto più possibile i disagi per i pensionati italiani derivanti dall'applicazione di dette disposizioni;
se non ritenga di dover attivare una diffusa iniziativa di comunicazione che consenta di avvalersi dei servizi – da intendersi in ogni caso a titolo completamente gratuito – alternativi alla comunicazione telematica;
se non ritenga che possa essere data applicazione graduale a tale procedura, garantendo comunque ai pensionati più anziani il mantenimento dell'invio a domicilio della documentazione relativa alla loro condizione reddituale. (3-00011)
Chiarimenti in merito alla sostituzione di un componente del consiglio direttivo dell'Anvur, anche nell'ottica di un'adeguata rappresentanza degli atenei del Mezzogiorno e dell'area delle scienze umane – 3-00048
B) Interrogazione
BINETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
la professoressa Fiorella Kostoris, attualmente componente del consiglio direttivo dell'Anvur, dovrebbe essere nominata presidente della Covip (Commissione di vigilanza sui fondi pensione);
la proposta di nomina era stata già trasmessa al Parlamento per l'espressione del prescritto parere nella XVI legislatura;
dovrà, pertanto, venire successivamente nominato il nuovo settimo componente del consiglio dell'Anvur, attingendo al più ampio elenco già selezionato ai sensi dell'articolo 7, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 1o febbraio 2010, n. 76;
nel febbraio 2011, al momento della nomina dell'attuale consiglio (che dura in carica 4 anni e non è rieleggibile), vi furono diffuse critiche, ignorate dal Ministro dell'epoca, per la mancanza nel consiglio stesso di esponenti accademici provenienti dagli atenei del Mezzogiorno e dall'area delle scienze umane;
la nuova situazione consente di cominciare a riequilibrare almeno in parte la composizione dell'organo, fermo restando che, immutati gli altri sei, la nuova componente dovrà essere necessariamente donna –:
se, al momento della sostituzione della professoressa Fiorella Kostoris, intenda inserire nel consiglio direttivo dell'Anvur un'esponente accademica proveniente dagli atenei del Mezzogiorno e dall'area delle scienze umane, come largamente auspicato dal mondo universitario al momento della nomina dell'attuale consiglio. (3-00048)
Misure a favore dei docenti di sostegno al fine di garantire la tutela del diritto allo studio e all'integrazione scolastica per gli alunni con disabilità – 3-00281
C) Interrogazione
BINETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
manca ancora qualche giorno all'avvio dell'anno scolastico, che comincerà il 5 settembre 2013 in Alto Adige e via via in tutte le altre regioni, ma già da oggi riaprono le segreterie degli istituti e docenti e personale amministrativo torneranno al lavoro, tra i tanti problemi che ancora affliggono il mondo scolastico, primo fa tutti quello delle risorse;
uno dei problemi più pesanti del mondo della scuola è quello della scarsità di docenti in ruolo, sottolineato con forza dai sindacati: proprio a ridosso del suono della prima campanella, nei giorni scorsi, il Ministero dell'economia e delle finanze ha finalmente dato il via libera all'assunzione di 11.200 docenti;
un piccolo «esercito» di insegnanti che, nelle intenzioni del Ministro interrogato, garantirà l'ordinato avvio delle lezioni in tutte le scuole italiane, anche se le assunzioni sono, di fatto, ancora ampiamente insufficienti;
ma il problema che si intende segnalare con particolare attenzione è quello degli insegnanti di sostegno, troppo pochi rispetto al numero degli alunni con problemi e, soprattutto, troppo esposti ad una rotazione che non consente di creare la giusta relazione con ragazzi che ne avrebbero estremo bisogno;
la precarietà, unità alla instabilità del posto di lavoro, rappresenta una difficoltà aggiuntiva per coloro che avrebbero intenzione di dedicare il proprio impegno e la propria professionalità a un ambito così delicato come quello dell'attività di sostegno nella scuola, a diversi livelli;
a rendere ancora più complessa una situazione, che rischia di ledere gravemente la tutela del diritto allo studio per gli studenti con disabilità, si aggiunge l'ulteriore criticità profilata dalle recenti dichiarazioni del Ministro interrogato in merito all'ipotesi di nuovi tagli sulle cattedre del sostegno;
l'insegnante di sostegno è un insegnante specializzato che viene assegnato alla classe in cui è inserito il soggetto diversamente abile, in piena contitolarità con gli altri docenti; l'insegnante di sostegno ha un ruolo determinante nel processo di integrazione del soggetto disabile e rappresenta una risorsa competente sotto il profilo didattico, con un forte ruolo di mediazione sotto quello relazionale;
la sua assegnazione è essenziale per attuare «forme di integrazione a favore degli alunni portatori di handicap» e «realizzare interventi individualizzati in relazione alle esigenze dei singoli alunni, anche nello spirito della Costituzione, articolo 3: È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli (...) che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana (...)»;
l'alunno portatore di handicap, proprio in quanto «pone alla scuola una domanda più complessa di aiuto educativo e di sostegno didattico», necessita più di ogni altro di una particolare attenzione a educativa volta a realizzare un progetto individualizzato unitario, che, pur nella differenziazione dei tre ordini di scuola – materna, elementare e media –, consenta un'esperienza scolastica di ampio respiro, priva di fratture e sempre coerente con gli individuali bisogni educativi e ritmi di apprendimento;
per corrispondere all'esigenza di continuità tra i tre ordini di scuola, con specifico riferimento all'integrazione degli alunni portatori di handicap, è necessario, quindi, valorizzare il contributo che può derivare dalla collaborazione tra gli operatori delle diverse istituzioni scolastiche, per il coordinamento e l'integrazione dei rispettivi interventi;
il principio ispiratore della normativa in materia di integrazione degli studenti con disabilità è sempre stato quella di considerare la realizzazione del processo di integrazione scolastica quale compito di tutto il corpo docente di una classe –:
se non ritenga opportuno, anche alla luce delle considerazioni qui esposte, prevedere misure adeguate in favore dei docenti di sostegno al fine di garantire un'effettiva tutela del diritto allo studio e all'integrazione scolastica per gli alunni con disabilità. (3-00281)
MOZIONI VEZZALI, VALERIA VALENTE, RAMPELLI, CAPELLI ED ALTRI N. 1-00151, MONGIELLO ED ALTRI N. 1-00158, LAFFRANCO ED ALTRI N. 1-00159, NICCHI ED ALTRI N. 1-00215, RONDINI ED ALTRI N. 1-00219 E CECCONI ED ALTRI N. 1-00222 CONCERNENTI INIZIATIVE IN FAVORE DEI CELIACI, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLA NORMATIVA COMUNITARIA
Mozioni
La Camera,
premesso che:
la celiachia, intolleranza permanente al glutine, sostanza proteica presente in avena, frumento, farro, kamut, orzo, segale, spelta e triticale, è una patologia autoimmune con predisposizione genetica. Chi ne è affetto deve seguire una dieta senza glutine per tutta la vita, essendo, quest'ultima, l'unica terapia a oggi conosciuta. Un celiaco che assume anche solo tracce di glutine mette gravemente a rischio la propria salute;
secondo quanto previsto dal regolamento (CE) n. 41/2009 e secondo quanto definito dal Codex nel 2008, possono definirsi «senza glutine» solo gli alimenti con contenuto di glutine «20 ppm, sia che si tratti di prodotti dietetici (cioè destinati all'alimentazione particolare di specifiche categorie), sia che si tratti di prodotti di libero consumo, che, pur non essendo stati prodotti specificamente per i celiaci, possono da questi essere consumati»;
in Italia, dal 2001 i prodotti dietetici senza glutine sono contenuti in un elenco, il registro nazionale degli alimenti, redatto ed aggiornato dal Ministero della salute, che è l'unica fonte per l'erogazione gratuita degli alimenti senza glutine ai celiaci;
il Parlamento europeo, l'11 giugno 2013, ha approvato definitivamente il regolamento di esecuzione della Commissione europea n. 353/2011 che abroga il concetto di prodotto dietetico ed esclude i celiaci dalle categorie vulnerabili della popolazione con esigenze nutrizionali tutelate (lattanti, prima infanzia, fini medici speciali e persone che devono perdere peso);
la celiachia non è una «moda» alimentare: i circa 140.000 pazienti diagnosticati devono necessariamente sottoporsi a diete prive di glutine come unica terapia alla loro patologia autoimmune. Pertanto, la dieta aglutinata è, di fatto, terapia salva vita per i celiaci. Ogni anno sono effettuate 10.000 nuove diagnosi e gli studi epidemiologici, in Italia e nel mondo, confermano che l'incidenza della celiachia è di 1:100 - 150 casi;
la Commissione europea, fin dalla prima proposta del regolamento di esecuzione n. 353 nel giugno 2011, ha considerato i celiaci come meri consumatori e la dieta senza glutine come un'alimentazione comune, con l'unica necessità per i prodotti di ben evidenziare in etichetta l'assenza di glutine. Banalizzare la dieta senza glutine a dieta di moda ha portato l'Europa a non riconoscere più le esigenze nutrizionali dei celiaci;
si ritiene che a tale superficiale approccio alla celiachia e alla dieta senza glutine abbia contribuito anche la confusione tra celiachia, malattia irreversibile ed autoimmune, sensibilità al glutine non ancora meglio identificata e dieta salutista. L'equivoco è che molti, pensando di avere sensibilità al glutine, consumano cibi speciali. Ciò comporta anche una spesa considerevole: 600.000 famiglie italiane spendono circa 6 milioni di euro al mese per acquistare prodotti senza glutine di cui non hanno bisogno. Una scelta pericolosa perché può impedire di diagnosticare adeguatamente casi di vera celiachia. Secondo alcune informazioni diffuse dai media, la sensibilità al glutine sarebbe presente nel 2-6 per cento della popolazione mondiale, ma non si tratta di stime realistiche, perché i numeri derivano da studi condotti sui pazienti di ambulatori gastroenterologici, per cui selezionati e non rappresentativi della popolazione generale;
tutto ciò ha portato a un clamore mediatico che spinge molti a scorrette autodiagnosi d'intolleranza al glutine, imponendosi poi una dieta specifica e inutilmente costosa: per un prodotto per celiaci, infatti, si spendono in media tre volte di più rispetto all'analogo senza glutine. Ogni anno in Italia si spendono 250 milioni di euro per prodotti aglutinati, ma solo 190 milioni di euro sono quelli erogati gratuitamente dal Servizio sanitario nazionale per pazienti con celiachia diagnosticata;
di contro, in Italia ci sono circa 465.000 celiaci che non sanno di esserlo. Per loro l'alimentazione «fai da te» senza glutine è rischiosa, perché, assumendo cibi senza glutine, mettono a rischio la loro salute. La situazione italiana, poi, è ancora di più a rischio, in quanto, il regolamento approvato in sede europea, porterà, con decorrenza giugno 2016, all'abrogazione del decreto legislativo n. 111 del 1992, (norma nazionale di recepimento delle direttive europee sui dietetici) e del regolamento (CE) n. 41/2009, mettendo in serio rischio, quindi, il registro nazionale dei «prodotti dietetici» senza glutine, categoria abrogata dal regolamento (UE) n. 609/2013;
l'articolo 1 della legge 4 luglio 2005, n. 123, recante «Norme per la protezione dei soggetti malati di celiachia», ha riconosciuto la celiachia come malattia sociale;
la Commissione europea non ha ritenuto di dover tutelare alcune categorie sensibili e vulnerabili di consumatori, come quella dei celiaci, e ciò comporta una serie di rischi: il regolamento rimuove la speciale salvaguardia riservata ai celiaci garantita da una normativa rigorosa sui requisiti nutrizionali e sui relativi controlli;
non è possibile tutelare i pazienti celiaci, affetti da una patologia cronica con un regolamento che non garantisce gli specifici apporti nutrizionali e salutistici. Ciò è inadeguato e inammissibile;
al fine di attuare una delle più rilevanti finalità della legge n. 123 del 2005, la diagnosi precoce, è stato definito il Protocollo di diagnosi e follow up per la celiachia dal «gruppo di lavoro celiachia» presso il Ministero della salute, cui ha contribuito il Comitato scientifico nazionale dell'Associazione italiana celiachia che oggi conta circa 62.000 soci;
l'articolo 4, comma 1, della legge n. 123 del 2005 afferma che «al fine di garantire un'alimentazione equilibrata, ai soggetti affetti da celiachia è riconosciuto il diritto all'erogazione gratuita di prodotti dietoterapeutici senza glutine». Il diritto, introdotto per la prima volta con il decreto del Ministro della sanità, 1o luglio 1982, e progressivamente modificato dalla norma di attuazione, è definito con legge dello Stato;
spetta alle regioni, mediante le aziende sanitarie nazionali, l'erogazione gratuita degli alimenti ai pazienti affetti da celiachia con tetti di spesa suddivisi tra età, uomini e donne;
il Parlamento europeo, riunito a Bruxelles il 14 giugno 2012, in seduta plenaria ha adottato il Rapporto Ries che ha sostenuto l'introduzione degli alimenti per celiaci nella proposta di regolamento della Commissione, COM 353/2011, accanto agli alimenti destinati ai lattanti e ai bambini, agli alimenti destinati a fini medici speciali e a quelli destinati a diete a basso (lcd) e a bassissimo contenuto calorico (vlcd);
il 14 novembre 2012, in sede europea, si è svolto un confronto tra Commissione, Consiglio e Parlamento europeo sulla proposta di regolamento della Commissione n. 353/2011 e da suddetto confronto è emersa la versione finale del testo di regolamento;
nonostante la lunga e consistente battaglia dell'Italia (Governo e l'Associazione italiana celiachia), il regolamento n. 353/2011 è uscito dal dibattito istituzionale europeo escludendo dal campo di applicazione delle categorie di prodotti giudicati essenziali per categorie vulnerabili della popolazione i prodotti senza glutine destinati ai celiaci, e ne rimanda la regolamentazione al regolamento (UE) n. 1169/2011, il cosiddetto Food information to consumers (Fic),
impegna il Governo:
ad assumere urgenti iniziative affinché sia scongiurata l'applicazione del regolamento europeo senza l'introduzione di modifiche migliorative;
a tutelare, con misure di propria competenza, i celiaci, categoria vulnerabile della popolazione, da provvedimenti molto restrittivi;
a formulare, nell'ambito dei nuovi livelli essenziali di assistenza, una linea d'indirizzo nazionale che garantisca i tetti di spesa del decreto del Ministro della sanità dell'8 giugno 2001 e l'applicazione del principio del fabbisogno calorico sulla base dei recenti livelli di assunzione giornalieri raccomandati di energia e nutrienti per la popolazione italiana (larn) della Società italiana di nutrizione umana (Sinu);
constatato che il fabbisogno energetico dei giovani pazienti celiaci che praticano attività sportiva agonistica è superiore rispetto a chi non la pratica, a equiparare in tutte le regioni i tetti di spesa, (previa certificazione comprovante lo svolgimento dell'attività sportiva agonistica svolta dai pazienti celiaci) alla fascia superiore di erogazione di prodotti senza glutine;
a farsi carico del problema della distribuzione di prodotti in erogazione, oggi fruibili per il paziente nella sola provincia o/e regione di residenza, dato che i celiaci che si muovono per motivi di studio, lavoro o vacanza, sono attualmente costretti a portare con sé gli alimenti per il fabbisogno quotidiano;
a tener presente, in attesa dell'approvazione dei livelli essenziali di assistenza (dal 2008 è previsto il passaggio della celiachia dall'elenco delle malattie rare alle croniche), i rischi per la perdita dell'importante tutela della diagnosi che il regolamento delle malattie rare, di cui al decreto del Ministro della sanità n. 279 del 2001, prevede con l'esenzione del ticket, per una malattia il cui esame precoce richiede ancora, mediamente, 6 anni di tempo e indagini (dati della relazione annuale al Parlamento);
a promuovere la diagnosi precoce, riducendo sensibilmente i costi socio-sanitari, che dovrà essere perseguita con strumenti alternativi, già indicati dalla legge n. 123 del 2005, in considerazione di quanto previsto dal Protocollo di diagnosi e follow up, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale nel febbraio 2007 per il trattamento e follow up della celiachia;
a garantire che la normativa italiana, da sempre all'avanguardia per i diritti e le tutele dei celiaci, anche a seguito della presentazione della proposta di regolamento del Parlamento europeo concernente gli alimenti destinati ai lattanti e ai bambini e agli alimenti destinati a fini medici speciali, continui a tutelare la sicurezza del prodotto rivolto ai celiaci, per la produzione, notifica delle etichette e piano di campionamento di controllo, e mantenga anche il registro nazionale degli alimenti, quale unica fonte per l'erogazione gratuita, anche con l'attuazione della revisione del registro già discussa ai tavoli tecnici del Ministero della salute.
(1-00151) «Vezzali, Valeria Valente, Rampelli, Capelli, Cesa, Marazziti, Carrescia, Tartaglione, Iacono, Tullo, Carocci, Fitzgerald Nissoli, Zardini, D'Incecco, Binetti, D'Agostino, Rubinato, Cimmino, Antezza, Librandi, Ginoble, Melilli, Antimo Cesaro, Rabino, Vecchio, Balduzzi, Caruso, Capua, Luciano Agostini, Lodolini, Realacci, Catania, Schirò Planeta, Gigli, Mattiello, Amoddio».
La Camera,
premesso che:
sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea del 29 giugno 2013, L 181, è stato pubblicato il regolamento (UE) n. 609/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 giugno 2013, relativo agli alimenti destinati ai lattanti e ai bambini nella prima infanzia, agli alimenti a fini medici speciali e ai sostituti dell'intera razione alimentare giornaliera per il controllo del peso e che abroga la direttiva 92/52/CEE del Consiglio, le direttive 96/8/CE, 1999/21/CE, 2006/125/CE e 2006/141/CE della Commissione, la direttiva 2009/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e i regolamenti (CE) n. 41/2009 e (CE) n. 953/2009 della Commissione. Tale regolamento sarà efficace a decorrere dal 20 luglio 2016;
l'applicazione di questa norma si inserisce in un dibattito che riguarda il futuro della legislazione inerente all'etichettatura alimentare ed in tal senso, in particolare, a norma dell'articolo 20, paragrafo 2. del regolamento in questione, a decorrere dal 20 luglio 2016, verrà abrogato il regolamento (CE) n. 41/2009 riguardante la composizione e l'etichettatura dei prodotti alimentari adatti alle persone intolleranti al glutine;
abolendo il regolamento (CE) n. 41/2009 per ragioni di semplificazione, la Commissione europea ha ritenuto sufficiente includere i prodotti senza glutine e con contenuto di glutine molto basso nella disciplina più generale del regolamento (CE) n. 1924/2006; in questo modo, però, la Commissione europea non tiene conto che il regolamento (CE) n. 41/2009 costituisce una normativa specifica, adottata sulla base della direttiva 89/398/CEE, e riguarda prodotti alimentari destinati a forme di alimentazione particolare, indispensabili per persone affette da determinate patologie;
nella versione pubblicata del regolamento (UE) n. 609/2013, dal prossimo 21 luglio 2016 scomparirà dalle etichette dei prodotti alimentari la definizione di «prodotto dietetico» e si considererà la dicitura «senza glutine» come un'indicazione generica, facendo venir meno una serie di controlli di qualità;
nel nostro Stato, ai sensi del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 111, recante «Attuazione della direttiva 89/398/CEE concernente i prodotti alimentari destinati ad una alimentazione particolare», i prodotti senza glutine sono riportati in uno specifico registro nazionale di prodotti dietetici senza glutine e, in applicazione della legge 4 luglio 2005, n. 123, recante «Norme per la protezione dei soggetti malati di celiachia», essi sono erogati gratuitamente in quanto posti a carico del Servizio sanitario nazionale;
durante l’iter di approvazione del nuovo regolamento europeo, nel corso del Consiglio dei ministri della salute dell'Unione europea, svoltosi il 2 dicembre 2011, il Ministro della salute italiano pro tempore aveva tenuto a precisare che sia il Governo sia il Parlamento italiano non erano d'accordo circa l'esclusione dall'ambito di applicazione del regolamento in questione dei prodotti dietetici senza glutine, che sarebbero stati declassati ad alimenti di uso corrente, con la possibilità di riportare in etichetta l'indicazione «senza glutine» come una semplice informazione accessoria e volontaria;
nella medesima sede comunitaria, il Ministro della salute italiano pro tempore precisò, inoltre, che i celiaci rappresentano un gruppo di soggetti nutrizionalmente molto vulnerabili per l'assoluta esigenza di escludere il glutine dalla dieta per tutta la vita, il che impone la disponibilità di un'ampia gamma di prodotti dietetici sostitutivi degli alimenti con glutine, adeguati al piano e alle necessità organolettiche e nutrizionali attualmente erogati in Italia a carico del Servizio sanitario nazionale;
in effetti, gli alimenti destinati a regimi dietetici speciali e quelli rivolti a lattanti e bambini con meno di 36 mesi sono stati sottoposti ad una rigorosa disciplina europea a partire dal 1977; si tratta di regole consolidate in 35 anni di applicazione a tutela delle categorie più vulnerabili di consumatori;
va ad ogni modo fatto presente che nella versione pubblicata del Regolamento (UE) n. 609/2013, seppure è stata confermata l'abrogazione del regolamento (CE) n. 41/2009, vi sarà tuttavia il trasferimento delle indicazioni contenute nello stesso regolamento (CE) n. 41/2009 all'interno del Fic (regolamento «Food information to consumers», regolamento (UE) n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori);
come ha fatto rilevare l'Associazione italiana celiachia, anche se gli intenti espressi nelle premesse del nuovo regolamento sono quelli di mantenere le stesse condizioni garantite dal regolamento (CE) n. 41/2009 e una corretta informazione al consumatore, in particolare sulla differenza tra alimenti di consumo corrente, «per tutti», senza glutine, e gli alimenti appositamente formulati per i celiaci, le garanzie per i celiaci di un corretto trasferimento restano comunque vaghe;
la celiachia è un'intolleranza permanente al glutine ed è riconosciuta come malattia sociale, che richiede, come unica forma di terapia specifica, l'eliminazione totale del glutine dalla dieta di chi ne è affetto. Tale malattia consiste in un'intolleranza permanente alla gliadina, componente del glutine, che costituisce un insieme di proteine molto diffuso, contenuto nel frumento, nell'orzo, nella segale, nel farro, nel kamut e in altri cereali minori. Pertanto, tutti gli alimenti derivati dai suddetti cereali o contenenti glutine in seguito a contaminazione devono essere considerati tossici per i pazienti affetti da questa malattia;
per poter avere dei prodotti idonei al consumo dei celiaci è necessario che le aziende produttrici applichino un corretto piano di controllo delle materie prime e del prodotto finito; inoltre, occorre monitorare costantemente il processo produttivo, gli ambienti di lavoro, le attrezzature, gli impianti e gli operatori ed il rischio di contaminazione accidentale da glutine è spesso presente nei processi di lavorazione dell'industria alimentare;
secondo i dati riportati nella relazione annuale al Parlamento sulla celiachia, anno 2010, del Ministero della salute, in Italia, la prevalenza della celiachia, sia nei bambini che negli adulti, è attualmente stimata intorno all'1-1,5 per cento, per cui ne risulta affetta una persona su cento; i celiaci italiani, potenzialmente, sarebbero circa 600 mila, ma ne risultano diagnosticati solo 60 mila. Ogni anno vengono effettuate 5 mila nuove diagnosi ed ogni anno nascono 2.800 nuovi celiaci, con un incremento annuo del 9 per cento,
impegna il Governo:
a promuovere, in sede comunitaria e nell'ambito delle proprie competenze, tutte le iniziative necessarie a tutelare una categoria di cittadini vulnerabili, come i celiaci, dai rischi alla salute connessi all'abrogazione del regolamento (CE) n. 41/2009, secondo quanto previsto dall'articolo 20, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 609/2013;
ad attivarsi tramite gli opportuni strumenti di partecipazione, di controllo e di vigilanza in ordine all'attuazione della normativa comunitaria, affinché sia concretamente effettuato il trasferimento delle indicazioni del regolamento (CE) n. 41/2009 all'interno del regolamento (UE) n. 1169/2011 (regolamento Fic), al fine di garantire il mantenimento delle tutele riconosciute, sino ad oggi, sui prodotti dietetici per celiaci.
(1-00158) «Mongiello, Albanella, Antezza, Biondelli, Michele Bordo, Capone, Carrescia, D'Incecco, Dal Moro, De Menech, Marco Di Maio, Lacquaniti, Lodolini, Magorno, Manzi, Oliverio, Pastorelli, Piccione, Rubinato, Marguerettaz, Zardini, Mattiello, Tentori».
La Camera,
premesso che:
la celiachia, che l'articolo 1 della legge n. 123 del 2005 riconosce come «malattia sociale», è una malattia autoimmune che si manifesta nei soggetti geneticamente predisposti a seguito dell'ingestione del glutine, componente proteica presente in alcuni cereali quali grano, farro, segale ed orzo;
si stima che risulti affetto da tale patologia un individuo ogni 100/150 e, di questi pazienti, solo una parte è consapevole della malattia. Infatti, vi sono in Italia poco più di 135.000 celiaci noti (dati della relazione annuale al Parlamento sulla celiachia 2011 (ex articolo 6, legge 4 luglio 2005, n. 123), contro un numero reale valutato in circa 500.000. Negli ultimi anni, lo sviluppo delle conoscenze, la maggiore consapevolezza da parte degli operatori sanitari e la disponibilità di adeguati test sierologici, hanno permesso di individuare soggetti celiaci che altrimenti sarebbero rimasti non diagnosticati;
attualmente l'unica terapia disponibile per i soggetti affetti da celiachia è la totale e permanente esclusione dalla dieta degli alimenti contenenti glutine. Questa terapia, insieme ad una diagnosi precoce, non solo permette la scomparsa dei sintomi e delle malattie associate, ma previene lo sviluppo delle complicanze neoplastiche ed autoimmuni, che la continua e prolungata esposizione al glutine provoca nei soggetti celiaci;
la completa esclusione del glutine dalla dieta, tuttavia, non è di facile realizzazione, in quanto i cereali non permessi ai celiaci si ritrovano in moltissimi prodotti alimentari ed il rischio di contaminazione è elevato. La produzione di alimenti idonei al consumo dei celiaci necessita, infatti, di un corretto piano di controllo delle materie prime e del prodotto finito; inoltre, le aziende produttrici devono monitorare costantemente le fasi del processo produttivo, gli ambienti di lavoro, le attrezzature, gli impianti e gli operatori al fine di eliminare il rischio di contaminazione accidentale;
la normativa italiana prevede attualmente che i prodotti senza glutine siano elencati nel registro nazionale dei prodotti dietetici senza glutine (ai sensi del decreto legislativo n. 111 del 1992 «Attuazione della direttiva 89/398/CEE concernente i prodotti alimentari destinati ad una alimentazione particolare») e sono erogati gratuitamente a carico del Servizio sanitario nazionale in forza della legge n. 123 del 2005;
il 12 giugno 2013, il Parlamento europeo ha definitivamente approvato il regolamento proposto dalla Commissione (regolamento (UE) n. 609 del 2013, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea del 29 giugno 2013, L n. 181), riguardante gli alimenti destinati ai lattanti, ai bambini, ai cosiddetti «alimenti destinati a fini medici speciali» e ai sostituti dell'intera razione alimentare giornaliera per il controllo del peso. Con tale regolamento, le autorità europee hanno puntato a semplificare la materia con la cancellazione delle norme riguardanti i prodotti cosiddetti «dietetici», rivolgendo il proprio campo di applicazione ai prodotti giudicati «essenziali» per categorie «vulnerabili» della popolazione per tutelarne adeguatamente la salute;
nel corso del dibattito, che ha impegnato per venti mesi il Parlamento europeo, il Consiglio dell'Unione europea e la Commissione, coinvolgendo varie istituzioni e organizzazioni sociali interessate tra cui l'Associazione italiana celiachia, grande spazio è stato dedicato alla scelta di includere o meno gli alimenti senza glutine (oggi compresi tra i «dietetici») in questo nuovo regolamento;
al termine del confronto il testo finale del regolamento non ha incluso gli alimenti destinati ai celiaci fra quelli definiti come «essenziali per una categoria vulnerabile della popolazione», specificando, tuttavia, che i prodotti senza glutine di cui hanno bisogno, oltre a risultare chiaramente identificabili in etichetta, dovranno mantenere le stesse garanzie di sicurezza oggi previste dalla normativa vigente;
la Commissione europea ha espresso tale ferma volontà con il trasferimento degli alimenti senza glutine e con contenuto molto basso di glutine disciplinati nel regolamento (CE) n. 41/2009, ora abrogato, all'interno del regolamento Fic (Food information to consumers), cioè del regolamento (UE) n. 1169/2011 dedicato alle informazioni ai consumatori sull'etichettatura dei prodotti, che dovrebbe essere completato prima che entri in vigore il nuovo regolamento garantendo, come esprime il testo del regolamento, le stesse garanzie che oggi la norma prevede per i prodotti senza glutine;
le procedure europee prevedono che il nuovo regolamento e la normativa da esso prevista trovi completa attuazione negli stati membri nel 2016, con l'abrogazione contestuale della direttiva 92/521CEE del Consiglio, le direttive 96/8/CE, 1999/21/CE, 2006/125/CE e 2006/141/CE della Commissione, la direttiva 2009/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e i regolamenti (CE) n. 41/2009 e (CE) n. 953/2009 della Commissione. Durante tale periodo, i prodotti senza glutine o a basso contenuto di glutine continueranno ad essere regolati dalle norme attualmente vigenti;
il 2 dicembre 2011, il Ministro della salute italiano pro tempore si era fatto portavoce, nel corso del Consiglio dei Ministri della salute dell'Unione europea, della contrarietà italiana circa l'esclusione dall'ambito di applicazione del regolamento in discussione dei prodotti dietetici senza glutine, che sarebbero stati declassati ad alimenti di uso corrente, con la possibilità di riportare in etichetta l'indicazione «senza glutine» come una semplice informazione accessoria e volontaria;
la Camera dei Deputati, con l'approvazione delle mozioni n. 1-00761 e n. 1-0798, l'11 gennaio 2012, aveva impegnato il Governo a ribadire il proprio parere negativo all'abrogazione del Regolamento (CE) n. 41/2009; ad intervenire nelle competenti sedi comunitarie al fine di inserire i prodotti adatti alle persone intolleranti al glutine nella categoria degli alimenti a fini medici speciali; ad adottare le iniziative necessarie a tutelare la salute dei soggetti celiaci;
come segnalato dalle associazioni dei malati di celiachia, una corretta attuazione del regolamento comunitario deve portare, da una parte, a norme chiare per gli alimenti di consumo corrente, finalizzate ad informare correttamente il consumatore circa la presenza/assenza di glutine e, dall'altra, a dettare precise disposizioni relativamente ai prodotti destinati a quanti soffrono di intolleranza al glutine, gli «ex-dietetici», con chiare indicazioni che ne garantiscano la sicurezza e la qualità,
impegna il Governo:
a vigilare, per quanto di competenza, affinché l'inserimento dei prodotti senza glutine nel regolamento Fic (Food information to consumers, regolamento (UE) n. 1169/2011), assicuri pienamente i diritti dei celiaci;
a mettere in atto tutte le iniziative e gli opportuni strumenti previsti dal diritto comunitario, coinvolgendo tutti i livelli istituzionali, le organizzazioni imprenditoriali, le associazioni che rappresentano i cittadini affetti da celiachia e le associazioni dei consumatori già sensibilizzate a favore dei diritti dei celiaci, al fine di rafforzare le procedure di controllo ufficiale e garantire la permanenza del registro nazionale dei prodotti dietetici senza glutine introdotto dal decreto legislativo n. 111 del 1992.
(1-00159) «Laffranco, Piso, Palese, Saltamartini, Bianconi, Giammanco, Elvira Savino, Bernardo, Bosco, Fabrizio Di Stefano, Mottola, Riccardo Gallo, Galati, Alli, Faenzi, Palmieri, Parisi, Squeri, D'Alessandro, Lainati, Misuraca, Minardo, Vignali, Gregorio Fontana, Centemero, Garofalo, Polidori, Leone, Sammarco, Palmizio, Cicu, Scopelliti, Ravetto, Francesco Saverio Romano».
La Camera,
premesso che:
la celiachia è un'intolleranza permanente al glutine, sostanza proteica presente in avena, frumento, farro, kamut, orzo, segale, spelta e triticale. Nel soggetto affetto, il consumo di questi cereali provoca una reazione avversa dovuta all'introduzione di prolamine e gliadine con il cibo all'interno dell'organismo e provoca gravi danni alla mucosa intestinale, tra cui l'atrofia dei villi intestinali. Fortunatamente, negli ultimi anni, il numero delle diagnosi è aumentato grazie alla sempre maggior attenzione che i medici di famiglia hanno rivolto all'intolleranza al glutine;
nella popolazione italiana, che dai dati Istat risulta essere di oltre 60 milioni, il numero di celiaci effettivamente diagnosticati nel 2011 sono 135.800, ancora troppo pochi rispetto al numero di celiaci presumibilmente presenti in Italia, se si considera che le stime di questa patologia parlano di circa 600 mila casi. Tali dati provengono dalle regioni e dalle province autonome di Trento e Bolzano che, ogni anno, provvedono a raccoglierli dalle asl e a trasmetterli al Ministero della salute;
dal confronto dei dati 2011 con quelli del 2010, risulterebbero oltre 13 mila nuove diagnosi. Se si guarda le diagnosi in valori percentuali, si vede che la media dell'incremento nazionale è del 19 per cento. La tendenza negli anni si conferma così in forte e in costante aumento;
curare la celiachia significa escludere dal proprio regime alimentare alcuni degli alimenti più comuni, come pane, pasta, biscotti e pizza, e spesso eliminare ogni minima traccia di glutine dalla dieta. Questo incide notevolmente sulle abitudini quotidiane e sulla dimensione sociale del celiaco, rendendo necessarie un'adeguata educazione alimentare e appropriate garanzie da parte delle aziende che commercializzano prodotti contenenti glutine;
attualmente i prodotti per celiaci senza glutine (con glutine inferiore a 20 parti per milione), sostitutivi di quelli che normalmente contengono glutine tra i propri ingredienti (pane, pasta, prodotti da forno, pizza e altri), sono considerati «prodotti dietetici» e godono, quindi, di una specifica normativa che ne garantisce la sicurezza per il consumatore celiaco in termini di assenza di glutine;
in Italia, questi prodotti sono elencati nel registro nazionale dei prodotti dietetici senza glutine (decreto legislativo n. 111 del 1992) ed erogati gratuitamente ai celiaci dal Sistema sanitario nazionale (legge n. 123 del 2005);
il recente regolamento (UE) n. 609/2013 del 12 giugno 2013 prevede che dal 20 luglio 2016 sia abrogato il regolamento (CE) n. 41/2009, relativo alla composizione e all'etichettatura dei prodotti alimentari adatti alle persone intolleranti al glutine, che stabilisce i criteri per la composizione e l'etichettatura dei prodotti dietetici destinati ai soggetti intolleranti al glutine, nonché le condizioni per poter indicare l'assenza di glutine in alimenti di uso corrente;
la distinzione tra persone sane e persone con problemi di salute impone una differente disciplina, e se per le persone sane può valere la disciplina generica di tutela del consumatore, per quelle con problemi di salute occorre una disciplina specifica che – per quanto riguarda le persone affette da celiachia – è individuata proprio dal suddetto regolamento (CE) n. 41/2009, ora oggetto di prossima abrogazione dal regolamento (UE) n. 609/2013. Dal 21 luglio 2016, con l'abrogazione di detto regolamento (CE) n. 41/2009, scomparirà, quindi, dalle etichette la dicitura «prodotto dietetico»;
il medesimo regolamento (UE) n. 609/2013, finalizzato a introdurre elementi di semplificazione, indebolisce, quindi, quanto fatto fino ad oggi a favore dei celiaci. Come suesposto, verrà, infatti, cancellata dalle etichette dei prodotti alimentari la definizione di «prodotto dietetico», riducendo a un'etichetta generica la dicitura «senza glutine» e rimuovendo, così, la speciale protezione riservata ai celiaci garantita da una normativa stringente sui requisiti nutrizionali specifici e sui controlli relativi. Insomma, un «passo indietro» rispetto alla tutela oggi riconosciuta dall'ordinamento italiano;
si segnala, comunque, che in relazione agli alimenti «senza glutine» e «con contenuto di glutine molto basso», il regolamento (UE) n. 609/2013 prevede, nella sua premessa, la necessità di un trasferimento delle disposizioni del suindicato regolamento (CE) n. 41/2009 che norma attualmente la materia e abrogato dal luglio 2016, nell'ambito del regolamento (UE) n. 1169/2011, cosiddetto Fic (Food information to consumers), sulle informazioni alimentari al consumatore;
infatti, il regolamento (UE) n. 609/2013, al considerata n. 41, prevede la necessità che al suddetto regolamento (UE) n. 1169/2011 (Fic), debbano essere trasferite le norme sull'uso delle diciture «senza glutine» e «con contenuto di glutine molto basso» quali contenute nel regolamento (CE) n. 41/2009, al fine di assicurare almeno lo stesso livello di protezione per le persone intolleranti al glutine attualmente previsto dal medesimo regolamento (CE) n. 41/2009;
il medesimo considerata chiarisce, inoltre, che «il trasferimento delle norme dovrebbe essere completato prima che entri in applicazione il presente regolamento», e che si «dovrebbe inoltre valutare come garantire che le persone intolleranti al glutine siano adeguatamente informate della differenza tra un alimento espressamente prodotto, preparato o trasformato al fine di ridurre il tenore di glutine di uno o più ingredienti contenenti glutine e gli altri prodotti alimentari ottenuti esclusivamente da ingredienti naturalmente privi di glutine»;
rimane, comunque, il fatto che restano troppo vaghe le garanzie per i celiaci di un effettivo e corretto trasferimento al suddetto regolamento (UE) n. 1169/2011 delle norme garantite dal regolamento (CE) n. 41/2009, ai fini del mantenimento delle tutele loro riconosciute, sino ad oggi, in tema di prodotti dietetici per celiaci;
sempre nell'ambito di questa patologia, va, inoltre, considerato che, con la definizione dei prossimi nuovi livelli essenziali di assistenza, la celiachia dall'elenco delle malattie rare passa a quello della patologie croniche. Allo stato attuale la patologia è, infatti, inserita nell'elenco delle malattie rare;
fra i diritti riconosciuti a quanti sono affetti dalle patologie inserite nell'elenco delle malattie rare, il decreto ministeriale 18 maggio 2001, n. 279, prevede l'esenzione per il sospetto diagnostico e per il percorso di diagnosi dei parenti. È, quindi, necessario che nel prossimo passaggio da malattia rara a malattia cronica venga confermato nei livelli essenziali di assistenza il diritto, a tutt'oggi riconosciuto, dell'esenzione per il sospetto diagnostico. E questo anche in considerazione del fatto che per accertare la celiachia occorrono ancor oggi sei anni di percorso diagnostico;
si rammenta altresì che, ad oggi, a seguito della diagnosi del medico specialista, il celiaco ha diritto ai prodotti dietetici senza glutine, indispensabili per la sua dieta, fino al raggiungimento di un tetto di spesa mensile, fissato oggi dal decreto del Ministero della salute del 4 maggio 2006;
una volta ricevuto in assegnazione un budget mensile per l'acquisto di prodotti per celiaci, il cittadino è tenuto a rifornirsi nelle farmacie o nei negozi convenzionati situati sul territorio dell'asl di residenza o, nel migliore dei casi, della sola provincia o regione di appartenenza. Vi è, quindi, l'impossibilità per il celiaco di poter acquistare «gratuitamente» (in quanto rimborsati dal Servizio sanitario nazionale) i prodotti al di fuori del proprio territorio,
impegna il Governo:
ad attivarsi nelle opportune sedi comunitarie, al fine di garantire una disciplina specifica a tutela delle persone affette da celiachia, mantenendo le garanzie finora a loro riservate dal regolamento (CE) n. 41/2009, abrogato dal 2016 dal regolamento (UE) n. 609/2013, riguardo la composizione e l'etichettatura dei prodotti dietetici destinati ai soggetti intolleranti al glutine, garantendo che nel regolamento (UE) n. 1169/2011, cosiddetto Fic (Food information to consumers) sia, tra l'altro, inserita una chiara distinzione in merito all'etichettatura dei prodotti senza glutine di consumo corrente e quegli alimenti specificamente destinati ai celiaci;
a prevedere che nei nuovi livelli essenziali di assistenza, che prevedono il passaggio della celiachia dall'elenco delle malattie rare a quello delle patologie croniche, venga confermato per la celiachia quanto tutt'oggi previsto dal decreto ministeriale n. 279 del 2001 sulle malattie rare, ossia l'esenzione per il sospetto diagnostico, e ciò anche alla luce del fatto che per accertare la celiachia occorrono ancor oggi fino a sei anni di percorso diagnostico;
a valutare le iniziative normative più idonee a garantire il diritto alla persona affetta da celiachia a potersi rifornire gratuitamente dei prodotti dedicati, entro il tetto di spesa previsto dalla normativa vigente, anche al di fuori dell'ambito regionale;
ad attivare efficaci interventi di sensibilizzazione e di informazione degli operatori sanitari per riconoscere i sintomi ai fini di una diagnosi precoce e accurata, a vantaggio della salute stessa dei pazienti interessati dalla patologia celiaca.
(1-00215) «Nicchi, Pellegrino, Piazzoni, Aiello, Di Salvo, Migliore».
La Camera,
premesso che:
la celiachia (detta anche morbo celiaco o sprue celiaca) è un'intolleranza permanente alla gliadina, contenuta nel glutine, ovvero un insieme di proteine a loro volta contenute nel frumento, nell'orzo, nella segale, nel farro e in altri cereali minori. La celiachia rende tossici – nei soggetti affetti o predisposti – tutti gli alimenti derivati dai suddetti cereali o contenenti glutine in seguito a contaminazione; è una patologia autoimmune sempre più diffusa tra la popolazione – con circa 135 mila nuovi casi ogni anno – e che si manifesta in età sempre più giovane. È la cosiddetta intolleranza al glutine, una sostanza che si forma dall'unione di due proteine per mezzo dell'acqua;
la malattia celiaca non ha una trasmissione genetica mendeliana, ma è presente un certo grado di predisposizione nei parenti degli affetti. L'intolleranza al glutine genera gravi danni alla mucosa intestinale, quali l'atrofia dei villi intestinali;
nel celiaco ingerire glutine attiva in maniera anomala il sistema immunitario che risponde rifiutando il glutine e danneggiando quindi l'intestino. La celiachia non è causata esclusivamente dal glutine, ossia dal fattore ambientale, ma anche da alcuni fattori genetici. La celiachia è, infatti, una delle malattie genetiche più frequenti. In particolare, il complesso HLA-DQ2 e HLA-DQ8 è fortemente associato alla malattia celiaca;
il Parlamento europeo ha approvato nel mese di giugno 2013 un regolamento che, di fatto, «declassa» i celiaci dai gruppi di consumatori le cui esigenze nutrizionali vanno particolarmente tutelate;
il dibattito, che ha impegnato per 20 mesi il Parlamento europeo, il Consiglio dell'Unione europea e la Commissione europea, è stato in larga misura dedicato alla scelta di includere o meno gli alimenti senza glutine (oggi compresi tra i «dietetici») in questo nuovo regolamento. Alla fine di un lungo confronto, i tre organi di governo europei hanno raggiunto un compromesso, votato a larga maggioranza dall'assemblea di Strasburgo: le persone affette da celiachia non sono comprese tra quelle considerate categoria «vulnerabile» dall'Unione europea, ma i prodotti senza glutine di cui hanno bisogno, oltre a risultare chiaramente identificabili in etichetta, dovranno mantenere le stesse garanzie di sicurezza oggi previste dalla normativa vigente;
il regolamento punta a semplificare la materia con la cancellazione delle norme riguardanti i prodotti cosiddetti «dietetici», rivolgendo il proprio campo di applicazione ai prodotti giudicati «essenziali» per categorie «vulnerabili» della popolazione per tutelarne la salute;
trasferire la tutela dei consumatori celiaci, portatori di una specifica patologia, a un regolamento generale che interessa la generalità dei prodotti alimentari destinati al comune consumatore, è inappropriato e inaccettabile;
la disposizione approvata va ad impattare sui prodotti destinati ad alcune categorie vulnerabili della popolazione, che comprendono i lattanti, i bambini nella prima infanzia, chi ha bisogno di alimenti per i cosiddetti «fini medici speciali» e perfino chi deve perdere peso, ma non i celiaci;
l'Associazione italiana celiachia con forza ricorda che la celiachia non è una «moda» alimentare e i 135.000 pazienti italiani diagnosticati devono necessariamente sottoporsi a diete prive di glutine come unica terapia alla loro patologia autoimmune,
impegna il Governo:
a tutelare i celiaci e le loro famiglie, attraverso lo stretto monitoraggio della definizione degli atti delegati e di esecuzione successivi all'approvazione del regolamento (UE) n. 609/13, che, come noto, esclude gli alimenti senza glutine dalle categorie di prodotti ritenuti essenziali per categorie vulnerabili della popolazione, tra cui, quindi, non annovera i celiaci;
ad assicurare il mantenimento delle garanzie di sicurezza degli alimenti destinati ai celiaci, secondo quanto oggi previsto dal decreto legislativo n. 111 del 1992 e dal regolamento (CE) n. 41/2009, che verranno superati a decorrere dal 20 luglio 2016 per effetto dell'applicazione del regolamento (UE) n. 609/13, che abrogherà il concetto di «prodotto dietetico», di cui alla direttiva quadro 2009/39/CE, anch'essa superata dal regolamento (UE) n. 609/13;
a garantire, per quanto di competenza, che la normativa italiana, da sempre all'avanguardia per i diritti e le tutele dei celiaci, mantenga pari garanzia per la sicurezza del prodotto specificamente rivolto ai celiaci (ex dietetico), per la produzione, la notifica delle etichette e il piano di campionamento di controllo e mantenga anche il registro nazionale degli alimenti, quale unica fonte per l'erogazione gratuita, anche con l'attuazione della revisione del registro già discussa ai tavoli tecnici del Ministero della salute;
a garantire il mantenimento delle tutele oggi riconosciute ai celiaci, secondo quanto previsto dalla legge n. 123 del 2005 agli articoli 4 e 5;
a garantire i tetti di spesa del decreto del Ministro della sanità dell'8 giugno 2001 (cosiddetto decreto Veronesi) e l'applicazione del principio del fabbisogno calorico sulla base dei recenti livelli di assunzione giornalieri di nutrienti della Società italiana di nutrizione umana;
a farsi carico dell'annoso problema della circolarità dei prodotti in erogazione, oggi disponibili per il paziente nella sola regione di residenza, cosa che costringe i celiaci che si spostano per studio o lavoro per brevi periodi a portare con sé gli alimenti per il fabbisogno quotidiano;
a tener presenti, in attesa dell'approvazione dei livelli essenziali di assistenza (dal 2008 è previsto il passaggio della celiachia dall'elenco delle malattie rare alle croniche), i rischi per la perdita dell'importante tutela della diagnosi che il regolamento delle malattie rare prevede (con esenzione dal ticket), per una malattia il cui esame precoce richiede ancora, mediamente, 6 anni di tempo e indagini (dati della relazione annuale al Parlamento);
a promuovere la diagnosi precoce (che riduce i costi sanitari inutili, i costi sociali e l'esposizione dei sospetti celiaci alle complicanze del ritardato ricorso alla dieta) che dovrà essere perseguita con politiche di «case-finding», ritenute dalla comunità scientifica più efficaci dello screening di massa;
a promuovere la revisione e l'aggiornamento del protocollo di diagnosi e follow up (pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 7 febbraio 2008) per il trattamento della celiachia e la sua diffusione.
(1-00219) «Rondini, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera».
La Camera,
premesso che:
la celiachia, definita anche «sprue» o enteropatia da glutine, è una malattia immuno-mediata scatenata dall'ingestione di glutine che, in soggetti geneticamente predisposti, determina un processo infiammatorio che porta a lesioni della mucosa dell'intestino tenue, con conseguente malassorbimento e manifestazioni extraintestinali;
il glutine è un complesso proteico presente in alcuni cereali (frumento, segale, orzo, avena, farro, spelta, kamut e triticale). La prolamina è una delle frazioni proteiche che costituiscono il glutine ed è la responsabile dell'effetto tossico per il celiaco. La prolamina del frumento viene denominata gliadina, mentre proteine simili, con il medesimo effetto sul celiaco, si trovano anche in orzo, segale, farro, spelta, kamut, triticale ed avena; il consumo di questi cereali provoca una reazione avversa nel celiaco dovuta all'introduzione delle prolamine con il cibo all'interno dell'organismo. L'intolleranza al glutine genera gravi danni alla mucosa intestinale quali l'atrofia dei villi intestinali. Con dieta aglutinata si definisce il trattamento della celiachia basato sulla dieta di eliminazione di tutti i cereali contenenti glutine;
la celiachia è una malattia multifattoriale, irreversibile, autoimmune ed a componente autoimmune, riconosciuta dall'articolo 1 della legge n. 123 del 2005 come malattia sociale;
le persone soggette geneticamente a celiachia devono escludere dalla loro dieta i prodotti alimentari che contengono glutine in modo rigoroso e per tutta la vita;
solo una rigorosa dieta priva di glutine, ad oggi l'unica terapia nota per il trattamento della celiachia, associata ad una diagnosi precoce consente ai celiaci di evitare le complicanze, anche gravi, derivanti dall'assunzione di glutine, siano esse neoplastiche che autoimmuni;
il decreto legislativo n. 111 del 1992 ha fissato le procedure di verifica della produzione, di notifica delle etichette e poi di controllo dei prodotti alimentari senza glutine che sono inseriti nell'apposito registro nazionale degli alimenti, istituito dal decreto del Ministro della sanità dell'8 giugno 2001 (cosiddetto decreto Veronesi) e gestito dal Ministero della salute;
a causa dei prezzi molto alti dei prodotti senza glutine – a titolo di esempio 500 grammi di farina costano 6 euro e 500 grammi di pasta 4,20 euro – dal 1982 in Italia è riconosciuta ai celiaci l'erogazione gratuita di prodotti loro essenziali per la garanzia del diritto alla salute;
la legge n. 123 del 2005 ha ribadito tale diritto, all'articolo 4, rimandando al Ministero della salute la definizione dei limiti massimi di spesa, stabiliti successivamente con decreto emanato nel 2006, nella misura fissata dal decreto del Ministro della sanità dell'8 giugno 2001, nonostante che i prezzi degli alimenti senza glutine siano aumentati dal 2001 del 17 per cento circa;
i prodotti alimentari dietetici privi di glutine sono a carico del sistema sanitario; in realtà, i prodotti alimentari senza glutine hanno prezzi insostenibili e il contributo del Sistema sanitario nazionale è abbondantemente insufficiente rispetto ai bisogni delle persone celiache;
sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea del 29 giugno 2013 è stato pubblicato il regolamento (UE) n. 609/2013; il citato regolamento entrerà in vigore a partire dal 20 luglio 2016;
il regolamento (UE) n. 609/2013 dispone che dal 20 luglio 2016 sia abrogato il concetto di «prodotto dietetico» e tutta la normativa specificatamente formulata a tutela della sicura produzione di alimenti per celiaci, rimandando la regolamentazione dei prodotti senza glutine al regolamento (UE) n. 1169/2011, il cosiddetto Fic (Food information to consumers) dedicato alle informazioni al consumatore;
il rischio è che dal 20 luglio 2016 si riduca la garanzia di sicurezza dei prodotti specificatamente formulati per i celiaci, venendo meno tutte le procedure di cui al decreto n. 111 del 1992, che sarà abrogato lasciando alla libera decisione dei produttori le modalità attraverso cui assicurare quanto affermato in etichetta;
appare grave la decisione del Parlamento europeo e del Consiglio di non includere i prodotti alimentari per celiaci tra quelli essenziali e indispensabili a cittadini sicuramente vulnerabili;
le associazioni dei malati di celiachia hanno sottolineato come sia necessario giungere ad un'attuazione del regolamento (UE) n. 609/2013 che, da una parte, detti norme chiare e trasparenti sulla modalità di etichettatura dei prodotti alimentari che distinguano quelli specificatamente formulati per celiaci da quelli senza glutine, ma destinati alla generalità del mercato e dei consumatori e, dall'altra, determini disposizioni che garantiscano sia un elevato livello di qualità che l'assoluta garanzia di assenza di glutine dagli alimenti;
in relazione al provvedimento attuativo del regolamento (UE) n. 609/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio sarebbe necessario il coinvolgimento formale delle associazioni dei malati di celiachia;
è necessario, quindi, che tutta la popolazione sia sensibilizzata a non sottovalutare gli eventuali sintomi, a rivolgersi agli specialisti e a sottoporsi ai test diagnostici in modo da arrivare ad una diagnosi corretta e precoce;
in Italia i malati di celiachia accertati sono circa 135.800, ma stime autorevoli parlano di un numero di malati inconsapevoli superiore a quattro volte il numero dei malati accertati. La relazione inviata al Parlamento sulla celiachia con dati al 31 dicembre 2011 afferma che l'incremento annuale dei casi accertati è di circa il 20 per cento;
la relazione sulla celiachia al Parlamento stima in 6 anni il tempo necessario per arrivare alla diagnosi di celiachia in Italia; si registrano continui quanto inutili accessi al Sistema sanitario nazionale per eseguire esami e test non utili alla corretta diagnosi, mentre sarebbero necessarie, da una parte, un'efficace e capillare campagna informativa e, dall'altra, iniziative finalizzate alla diagnosi precoce della malattia con politiche di «case-finding»;
dalla relazione sulla celiachia al Parlamento si evince, altresì, che le mense di cui all'articolo 4 della legge n. 123 del 2005, sulla base dei dati del 2011 rapportati con quelli degli scorsi anni, dopo una significativa diminuzione del 2010, hanno superato il dato rilevato nel 2009, raggiungendo quota 37.858 strutture di cui 28.248 risultano mense scolastiche, 3.578 mense ospedaliere e 6.032 mense annesse alle pubbliche amministrazioni; in tale contesto appare positivo l'aumento delle mense scolastiche e ospedaliere, mentre è assolutamente negativa la diminuzione del 20 per cento delle mense nelle pubbliche amministrazioni,
impegna il Governo:
a garantire che la normativa italiana, anche successivamente all'entrata in vigore del regolamento (UE) n. 609/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, tuteli integralmente la sicurezza dei prodotti alimentari e preveda la chiarezza e la trasparenza delle etichette relative ai prodotti alimentari destinati ai malati di celiachia;
a garantire il coinvolgimento diretto delle associazioni dei malati di celiachia anche in relazione ai provvedimenti attuativi del regolamento (UE) n. 609/2013;
ad attivarsi affinché i prodotti alimentari senza glutine siano inseriti nel regolamento (UE) n. 1169/2011 (Food information to consumers), in modo che siano pienamente tutelati i diritti dei malati di celiachia;
a rafforzare e a rendere ancora più efficaci e continuativi i controlli sui prodotti alimentari destinati ai malati di celiachia;
a promuovere una vasta e capillare campagna informativa, destinata anche a sostenere iniziative finalizzate alla diagnosi precoce della malattia;
a promuovere tutte le iniziative di propria competenza affinché le mense nelle pubbliche amministrazioni invertano il trend di riduzione riscontrato nell'ultima relazione al Parlamento;
ad assumere iniziative per garantire la circolarità dei prodotti in erogazione, che oggi sono disponibili solo nella regione di residenza del celiaco, fatto che costringe coloro che per motivi di studio o di lavoro sono obbligati a spostarsi, a portare con sé gli alimenti per il fabbisogno quotidiano;
a evitare che il passaggio della celiachia dall'elenco delle malattie rare alle malattie croniche, previsto dal 2008, comporti la perdita della tutela della diagnosi prevista dal regolamento sulle malattie rare, tenuto conto che la celiachia è una malattia per la quale l'esame precoce richiede almeno 6 anni di tempo e indagini continue;
a promuovere, d'intesa con le regioni, la revisione e l'aggiornamento del protocollo di diagnosi e follow up, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 7 febbraio 2008, per il trattamento della celiachia e la sua diffusione attraverso l'inserimento dello stesso nei piani sanitari regionali.
(1-00222) «Cecconi, Lupo, Baroni, Benedetti, Paolo Bernini, Dall'Osso, Di Vita, Gagnarli, Gallinella, Silvia Giordano, Grillo, L'Abbate, Lorefice, Mantero, Parentela».
MOZIONI AIRAUDO ED ALTRI N. 1-00164, ALLASIA ED ALTRI N. 1-00220, COSTA ED ALTRI N. 1-00221, PRODANI ED ALTRI N. 1-00223 E BENAMATI N. 1-00225 CONCERNENTI INIZIATIVE PER IL RILANCIO DEL SETTORE MANIFATTURIERO
Mozioni
La Camera,
premesso che:
l'industria manifatturiera rappresenta il comparto economico più esposto alla concorrenza internazionale già da lungo tempo. Ciò trova causa nelle caratteristiche tecniche delle varie industrie, nelle quali non vi sono situazioni di monopolio naturale, e, comunque, nei processi di liberalizzazione del commercio dei beni avvenuti, in sede comunitaria, fin dal 1957 e sostanzialmente progrediti negli anni Settanta e Ottanta e, in sede internazionale, con l'Accordo generale sulle tariffe ed il commercio (Gatt) del 1947 e l'istituzione dell'Organizzazione mondiale del commercio del 1994;
la progressiva riduzione dei dazi e delle altre restrizioni tecniche agli scambi ha determinato il contesto istituzionale adatto perché si potesse realizzare il libero gioco dei mercati internazionali nel selezionare i produttori più efficienti in grado di offrire i prodotti migliori e più economici;
la ragione di un simile contesto istituzionale poggia sul processo di specializzazione e divisione internazionale del lavoro e lo favorisce contribuendo ad adeguarlo nel tempo. Di qui i vantaggi comparati nel commercio internazionale per ciascuno dei Paesi che partecipano a tali organizzazioni e la storia economica contemporanea ha dimostrato la verità di queste affermazioni: il benessere misurato in termini di crescita del prodotto interno lordo dei Paesi che aderiscono alle organizzazioni di libero scambio nel mondo e, in particolare, all'Unione europea, è andato sempre crescendo, almeno fino ad oggi;
l'attuale crisi non dovrebbe rimettere in discussione i risultati raggiunti negli ultimi cinquant'anni;
il processo di divisione internazionale del lavoro, alimentato dall'operare della concorrenza nel quadro del commercio internazionale, ha consentito nel nostro Paese la selezione di comparti industriali vitali e duraturi nei quali si sono affermate, come protagoniste principali, le piccole e medie imprese che hanno trovato nei distretti industriali un luogo di sviluppo particolarmente favorevole;
accanto a queste sussistono, e non vanno trascurate, realtà imprenditoriali anche di grandi dimensioni operanti come player di rilievo mondiale nei settori meccanici, aeronautici, dei sistemi spaziali e satellitari, delle apparecchiature militari, dell'ottica, dell'alimentare, delle costruzioni e della moda;
in ogni caso, il modello delle piccole e medie imprese che esportano ha rappresentato, e rappresenta tuttora, un pilastro, stabile nel tempo, dell'organizzazione industriale del Paese, sia in termini di numero di addetti che in termini di contributo al prodotto interno lordo e di capacità di creazione di valore aggiunto;
l'affermazione, a partire dalla fine degli anni Cinquanta, di questo modello industriale fondato sulle esportazioni fu dovuta non solo all'esistenza di radicate tradizioni di eccellenza in alcuni settori (tessile, ceramica, arredamento, scarpe e pellami, moda e meccanica di precisione), ma anche a precise scelte di politica economica orientate a fornire quantomeno un quadro infrastrutturale idoneo a consentire lo sviluppo di simili attività;
successivamente, si sono però cominciati a manifestare i segni di una sofferenza specifica di tali settori da ricondurre, in una prima fase, non tanto alla pressione concorrenziale esterna, ma essenzialmente a inefficienze del sistema economico interno;
si pensi ai costi dell'energia che queste imprese hanno dovuto sopportare, nel corso del tempo, comparativamente maggiori di quelli pagati dai loro concorrenti specie comunitari; si pensi ai costi indotti dal sistema burocratico sempre più farraginoso, ai costi imposti dal sistema fiscale, non solo in termini di carico complessivo in senso stretto, ma anche di gestione dei rapporti amministrativi con il fisco; si pensi, ancora, al progressivo deterioramento della dotazione infrastrutturale del Paese (vie e mezzi di trasporto, logistica in generale); si consideri l'assenza di reti di collegamento tra la formazione professionale, la ricerca e le imprese, tanto più necessarie proprio perché le imprese del settore possono non raggiungere quella massa critica per esperire da sole attività di questo tipo; infine, si consideri l'insieme delle politiche industriali degli anni Settanta e Ottanta sostanzialmente a sostegno delle grandi imprese;
l'insieme di questi fattori ha causato evidenti svantaggi competitivi alle imprese italiane del settore. Inoltre, questi impedimenti hanno assunto ormai carattere strutturale e, nella crisi, aumentano il proprio peso e ad essi si è aggiunto il problema dell'accesso al credito;
per un certo periodo, gli svantaggi competitivi sono stati in parte compensati dalle periodiche svalutazioni della lira;
da quando, però, non è stato più possibile ricorrere a questo strumento, a causa del progredire dell'integrazione monetaria europea, l'industria manifatturiera italiana non è stata in grado di mantenere il passo e si è assistito ad una lenta ma inesorabile diminuzione della quota delle esportazioni nazionali sui volumi delle esportazioni mondiali;
a questo esito ha contribuito, da ultimo, l'affermazione sulla scena del commercio internazionale di nuovi agguerriti protagonisti come, ad esempio, l'India e la Cina (quest'ultima entrata formalmente nell'Organizzazione mondiale del commercio solo nel 2001). Questi Paesi beneficiano di due ordini di vantaggi: hanno la possibilità di applicare alle merci importati tariffe doganali comparativamente più alte di quelle che possono essere imposte sulle merci che essi esportano. Possono contare su costi di produzione inferiori essenzialmente a causa del minor costo del lavoro e, in genere, dei processi produttivi, che spesso non soggiacciono al rispetto dei medesimi standard di tutela ambientale e della salute che, invece, sono imposti alle imprese comunitarie;
tra gennaio ed aprile 2013, sono 4.218 le aziende in Italia che hanno chiuso a causa della crisi. Ben 58 di queste aziende hanno dichiarato fallimento proprio nella data dell'8 aprile 2013. Si tratta del 13 per cento in più di aziende chiuse nello stesso periodo del 2012, dopo che l'anno appena passato ha segnato il triste record di fallimento di 34 aziende al giorno, cioè 1000 al mese, per un totale di 12.442 imprese che si sono arrese alla crisi;
nel 2013 si è, quindi, passati da 34 aziende chiuse al giorno alla media di 43 imprese al giorno che dichiarano fallimento;
le 4.218 aziende fallite di gennaio-aprile 2013 vanno ad aggiungersi ai 45.280 fallimenti registrati fra il 2009 e il 2012;
tali cifre dipingono un quadro ancora più fosco se si pensa che nel 2007 è intervenuta una riforma della legge fallimentare che ha escluso dall'ambito di applicazione le imprese più piccole, ma il risultato, nonostante il crollo iniziale dei numeri, è stato quello di tornare ai livelli precedenti al 2007;
l'industria soffre, dunque, in qualunque settore di ogni regione italiana;
la Lombardia, il Veneto, il Lazio e la Campania nel 2012 sono le regioni con il numero più alto di società fallite tra il 2009 ed il 201,2 secondo i dati Cerved, ma le regioni più sofferenti, se si tiene conto del rapporto tra le società fallite e quelle con bilanci in attivo, sono il Friuli Venezia Giulia e le Marche. E il trend di fallimenti sembra peggiorare nel 2013;
la classifica stilata da Il Sole 24 Ore del numero di fallimenti regione per regione dal 2009 al 2012 (Dati Cerved group) indica: 2.817 imprese fallite in Lombardia (in aumento nel 2012), 1342 imprese nel Lazio (in aumento nel 2012), 1076 imprese in Veneto (in calo nel 2012), 1014 imprese in Campania (in calo nel 2012), 952 imprese in Piemonte (in aumento nel 2012), 866 imprese in Toscana (in calo nel 2012), 856 imprese in Emilia Romagna (in calo nel 2012), 648 imprese in Sicilia (in aumento nel 2012), 573 imprese in Puglia (in calo nel 2012), 434 imprese nelle Marche (in aumento nel 2012), 307 imprese in Abruzzo (in aumento nel 2012), 289 imprese in Calabria (in aumento nel 2012), 266 imprese in Liguria (in aumento nel 2012), 265 imprese in Friuli Venezia Giulia (in aumento nel 2012), 260 imprese in Sardegna (in aumento nel 2012), 222 imprese in Umbria (in aumento nel 2012), 144 imprese in Trentino Alto Adige (in aumento nel 2012), 52 imprese in Basilicata (in calo nel 2012), 44 imprese in Molise (in calo nel 2012) e 15 imprese in Valle d'Aosta (in aumento nel 2012);
secondo la classifica stilata da dati Cerved group, le 10 province con il più alto numero di fallimenti sono: Milano (4.378), Roma (3.622), Napoli (2.081), Torino (1.932), Brescia (1.200), Bergamo (1.039), Bari (1.036), Treviso (995), Firenze (941) e Padova (829). Mentre le province con la più alta incidenza di fallimenti risultano essere: Pordenone (5,9 per cento), Teramo (5,3 per cento), Ancona (4,9 per cento), Vibo Valentia (4,8 per cento), Verbano (4,5 per cento), Mantova (4,5 per cento), Rovigo (4,4 per cento), Catanzaro (4,3 per cento), Crotone (4,2 per cento), Udine (4,2 per cento);
numerosissime, inoltre, le aziende in crisi operanti nel settore manifatturiero in Italia. Nel Nord-Italia, in Lombardia ad esempio: la Schneider di Guardamiglio, la Giannoni di Santangelo Lodigiano, la MAC, la Bessel, la E.R.C. la Bettini, la Bonaiti, l'azienda Eicasting, la RSI, la VMC, la Riva Acciaio, l'Algat, l'Alko Kober, la Beco, la Camusso Tubi, la Castelli Pietro, la Defremm, la Helman, la Lucchini, la M.D.S., la Faip, la Koch, la Manni Sipre, la Carlo Colombo, la Faital, la S.I.B., la CAME, la Doppio Vetro, la ATP, la Coven, la Autorotor, la Stiliac, la Veryflon, l'azienda Anghinetti, la VA.RE.L, la LTE Solution, l'ORT Italia (settore metalmeccanico), la Brandt Italia (settore elettrodomestico), l'Alnor (profilati in alluminio), Rubinetterie Flero-Teorema (rubinetterie), Consorzio Agrario, ex Polenghi ora Newalat, Spumador, Cantine Soldo, Azienda Agricola Lombarda, Caseificio Meneghini (settore agroalimentare), Coop. Serramenti Dolcini di Codogno (serramenti), Zucchi, Dresser Cubo gas, Dresser misuratori, valt logistic, techinick, alexia, Altex, Calzificio il Gabbiano, Tintoria Europea, Tintoria Sonia (settore tessile), Scarne Mastaf, CF Gomma, Fapes, Bienne, Dinoplast, Taba, Luben Plast, Fb Tecnopolymeri (settore della gomma-Plastica), Invatec, Dott, Tamoil, Coim, Solchim, Abibes (chimica), Sedileexport (legno), Monier, Fornaci Laterizi Danesi (laterizi) Nicma, Compass (indotto Iveco), Cabloelettrica, subfornitore della Fiat (elettrica), Brasilia (macchine da caffè), Sea, Riello, Herte, Siderval, ring mill, fic, valtecne (imprese varie). Nel Centro-Italia, e segnatamente in Abruzzo: la Pilkington (settore vetro), Ex Air One Manutenzione di Pescara, ex Micron (Microprocessori) di Avezzano, il Polo elettronico dell'Aquila (nel settore informatico), la Golden lady e la Sixty (nel settore tessile), la Solvay (nel settore chimico), la Real Aromi (produzione di liquori), la Honda (moto), la Cartiera di Chieti (produzione di carta). E, infine, in Campania, come la FOS-Fibre ottiche, la Treofan, l'Alcatel, l'azienda Amato, per non parlare del comparto ceramica, del comparto dell'agroindustriale (Conservieri-Pastifici-Scatolifici e trasformazione prodotti agricoli), del comparto metalmeccanico (Brollo-Landys e Gir-Ideal Standard Fatmel) e, infine, del settore tessile (MCM);
venendo poi alla regione Puglia, si segnala come in quattro anni, dal 2009 al 2013, si siano perse, solo in questa regione, ben 2.360 attività manifatturiere, pari all'11,7 per cento in meno. Ne esistevano 20.146 e, oggi, sono solo 17.786, rappresentando il 23,6 per cento circa della totalità delle imprese artigiane (circa 75.376). È questo quanto emerge dalla prima indagine congiunturale sull'artigianato manifatturiero, condotta dal Centro Studi di Confartigianato Imprese Puglia, secondo cui il settore vacilla sotto i colpi della crisi, le aziende chiudono, la produzione è quasi ferma, la domanda interna è scarsa, le esportazioni frenano e l'erogazione del credito è sempre più rarefatta. In particolare, le ditte e le società che si occupano di confezioni di articoli di abbigliamento sono crollate del 27,9 per cento. Prima erano 2.668, oggi sono solo 1.923, con un saldo negativo di 745 unità. Le fabbriche di mobili sono diminuite del 24 per cento (da 915 a 695). Il saldo è negativo di 220 unità. In questo comparto sono comprese numerose attività che rappresentano quasi tutte le tipologie di mobili (soggiorno, letto, cucina, ufficio, materassi ed altri), con una prevalenza per le poltrone e i divani. L'industria del legno e dei prodotti in legno e sughero conta 401 attività in meno, pari al 17,3 per cento in meno (da 2.313 a 1.912). Il settore comprende imprese che svolgono attività molto diverse tra loro: si tratta, in prevalenza, di produzioni di infissi o altri manufatti di falegnameria destinati all'edilizia a cui si affiancano altre lavorazioni che vanno dal taglio e la piallatura del legno, alla produzione di semilavorati sino alla fabbricazione di imballaggi. Segue l'industria tessile che ha perso 110 imprese, con un tasso negativo del 16,9 per cento (da 652 a 542). Le fabbriche di «altri prodotti della lavorazione di minerali» sono diminuite del 9,7 per cento: da 1.276 a 1.152. Ce ne sono 124 in meno. Si contano 329 fabbriche di prodotti in metallo (esclusi i macchinari) in meno rispetto a quattro anni fa (da 3.504 a 3.175). In termini percentuali, il 9,4 in meno. Ciò racchiude, prevalentemente, le unità che operano nella produzione di elementi da costruzione affiancate da lavorazioni di trattamento e rivestimento del metallo; poco significativa la metallurgia. Nello stesso quadriennio (2009-2013), la stampa e riproduzione di supporti registrati scende di 65 unità, pari al 7,6 per cento (da 857 a 792). Le altre industrie manifatturiere si sono contratte, in media, del 6,7 per cento (da 2.003 a 1.869). Questo settore è residuale rispetto ai precedenti e, di conseguenza, è molto variegato: le produzioni più significative sono quelle della lavorazione di minerali non metalliferi (vetro, ceramica, pietre) e della carto-tecnica (stampa e lavorazione della carta e del cartone). Da segnalare anche le produzioni di attrezzature mediche e dentistiche, le lavorazioni di gioielleria e oreficeria, l'installazione, manutenzione e riparazione di macchinari industriali. Nel complesso, in collusione, gli indicatori congiunturali più rappresentativi dell'artigianato (produzione, ordinativi e fatturato) evidenziano segni negativi, con un netto peggioramento negli ultimi trimestri. Le difficoltà di mercato hanno indotto numerose imprese ad avviare processi di trasformazione orientati verso produzioni a valore aggiunto maggiore. Negli altri casi, invece, si assiste ad una riduzione dell'attività produttiva in termini di volume della produzione e addetti impiegati. La provincia di Bari, se confrontata con le altre, ha sofferto in modo più intenso gli effetti della recessione. Le imprese manifatturiere del capoluogo regionale, infatti, sono diminuite del 13,9 per cento (da 9.209 a 7.926). Segue Lecce che ha perso 569 attività (-11,2 per cento), Foggia 252 unità (-9,8 per cento), Brindisi 157 aziende (-9,6 per cento) e Taranto 99 società (-6 per cento);
accanto al preoccupante fenomeno dei fallimenti e delle crisi aziendali che stanno fiaccando il sistema delle imprese italiane, un nuovo fenomeno, per certi aspetti più allarmante, sta emergendo con evidenza: ovverosia il numero in costante crescita delle aziende che scelgono la via della liquidazione volontaria. Un fenomeno entrato con prepotenza dall'autunno 2012 nelle analisi del Cerved, il leader nel settore business information, che ha rilevato come nel 2012 le chiusure di aziende con i conti in ordine siano state 45mila con un incremento del 16 per cento sul 2011. Quel che allarma è la progressione costante degli imprenditori che, di fatto, rinunciano ad andare avanti con la loro attività e gettano la spugna;
in sostanza, ci si trova in presenza di aziende che hanno bilanci in ordine, come per esempio la Cagiva recentemente acquistata dagli austriaci, che non hanno ferite aperte sul fronte dell'eccessivo indebitamento e che, ciononostante, chiudono per svariati motivi legati alle difficoltà connesse al passaggio generazionale, alla volontà di aprire all'estero, ma anche e sopratutto a ragioni che derivano dalla sfiducia generalizzata degli imprenditori per le prospettive future;
la debolezza del sistema industriale italiano dipende da molteplici fattori quali; gli eccessivi costi dell'energia; un sistema fiscale farraginoso e tendenzialmente spostato sulle imprese e sulle famiglie; un'insufficiente dotazione infrastrutturale con particolare riguardo ai settori del trasporto, della logistica e della banda larga; una burocrazia lenta e ridondante; uno scarso collegamento tra formazione, ricerca e imprese; un costo elevato dei servizi bancari, delle assicurazioni, delle professioni e dei servizi in genere; un mercato del lavoro ancora troppo caratterizzato da un'occupazione scarsamente posizionata nei settori tecnologici e della green economy, nonché infine il permanere di forti squilibri territoriali;
ciò che impedisce realmente una sensibile ripresa del nostro Paese è per altro dovuta alla limitata incidenza dell'intervento pubblico;
con riferimento al settore energetico: l'Italia deve stare al passo con gli ambiziosi obiettivi europei individuati nel pacchetto clima-energia e, dato che il Paese soffre di un gap consistente dovuto all'elevato costo dell'energia rispetto ad altri competitori europei, in tale contesto le micro e piccole imprese hanno un ulteriore svantaggio nei confronti delle imprese di più grandi dimensioni. Inoltre, il costo dell'energia è stato segnalato come elemento strutturale di debolezza anche del mercato dei filati e delle calze, laddove in Italia si paga circa il 20-30 per cento in più degli altri concorrenti e rispetto alla Francia quasi il doppio;
per il rilancio del settore manifatturiero, particolarmente sentito è indubbiamente il tema del credito. Le banche sono, infatti, determinanti per rendere la crisi meno profonda e duratura, ma non si considera ancora raggiunto l'obiettivo di conciliare il necessario equilibrio economico e patrimoniale con il sostegno finanziario alle imprese. I punti più critici sono innanzitutto la quantità di credito, che attualmente viene allocata sull'economia reale, soprattutto sulle medie e piccole imprese e anche sulle famiglie, e il costo di tale credito;
sul versante della fiscalità è stata da più parti sottolineata l'esigenza di misure eccezionali sul piano della riduzione del carico fiscale e contributivo, volte a garantire la sopravvivenza delle piccole e medie imprese;
con riferimento alle problematiche relative all'effettiva implementazione dei distretti industriali nel nostro Paese, appare quanto mai necessario approvare provvedimenti volti ad agevolare le filiere produttive, in particolare per alcuni comparti, quali, ad esempio, il tessile-abbigliamento-calzaturiero, che risentono di situazioni di crisi «settoriali» precedenti a quella internazionale iniziata nella seconda metà del 2008;
per quanto riguarda l'occupazione, il tema centrale è il sostegno al reddito in caso di perdita del lavoro e, più in generale, l'adozione di un progetto nazionale innovativo per il medio termine, nell'ambito del quale si possano individuare alcune priorità che puntino innanzitutto all'obiettivo primario della stabilità sociale e della valorizzazione della persona nel quadro di un intervento reale per il rilancio del Paese nel contesto europeo e internazionale, di cui la nota vicenda Ilva rappresenta un banco di prova di altissimo profilo, dalla cui risoluzione dipenderà il futuro non solo dell'Italia, ma probabilmente dell'intera costruzione europea di cui l'Italia è parte integrante, con l'annunciato piano europeo per l'acciaio ed il rilancio del settore manifatturiero;
l'Italia è, inoltre, un Paese debole sotto il profilo dell'innovazione tecnologica, come emerge da alcune statistiche dell'Unione europea, soprattutto nei settori ad alta e medio-alta tecnologia. Un'ulteriore caratteristica distintiva del mondo italiano dell'innovazione è stata individuata nella debolezza della finanza specializzata per l'innovazione, una carenza di venture capital, per la quale si auspica un ruolo di maggior rilievo;
dovrebbe essere, inoltre, sottolineata l'importanza strategica della ricerca e della formazione, per puntare sulla qualità dei prodotti e non sul semplice abbattimento dei costi di produzione; si propone, pertanto, la valorizzazione della ricerca universitaria, con particolare riferimento al trasferimento tecnologico e ai rapporti pubblico/privato;
per quanto attiene alle problematiche relative alla semplificazione normativa, deve essere sottolineata la necessità di procedere sulla via della semplificazione normativa e amministrativa, attraverso uno snellimento burocratico effettivo ed efficace, prevedendo una fase finale in cui sia chiara la responsabilità della decisione, anche contro le indicazioni provenienti da altri enti;
è emerso peraltro, e specie in questo ultimo decennio, il ruolo chiave della chimica per lo sviluppo economico e per il benessere, poiché dalla chimica sono rese disponibili in continuazione sostanze, prodotti, materiali innovativi e nuove soluzioni tecnologiche per tutti i settori economici. L'Italia, come previsto dall'Unione europea, deve promuovere un'industria chimica orientata alla sostenibilità. Per conseguire questo obiettivo, è necessario sostenere sia l'innovazione e la ricerca, che la qualità normativa e una corretta implementazione e applicazione della medesima. La chimica di base vive forti difficoltà, non solo a livello italiano, ma anche europeo. In Italia è stata incrementata la chimica fine, la chimica delle specialità, la chimica di formulazione, fondamentali perché più vicine al mercato. È, tuttavia, necessario intervenire per eliminare alcuni condizionamenti che pesano sulla chimica italiana per restituire competitività alle imprese attraverso: una politica industriale finalizzata a introdurre normative meno penalizzanti e in linea con quelle europee, la riduzione del costo dell'energia, le infrastrutture e il sostegno alla ricerca e, infine, l'avvio veloce di progetti di ricerca, con l'eliminazione delle barriere normativo-burocratiche che bloccano i programmi delle imprese;
il settore delle macchine soffre di debolezze strutturali che rendono difficile la sperimentazione di idee coraggiose. È, dunque, indispensabile operare per rafforzare il sistema fieristico e di promozione all'estero, attraverso il coordinamento delle diverse iniziative, dando vita a un sistema di cooperazione comunitario, che aggreghi imprese costruttrici di beni strumentali, ma anche utilizzatori, centri di ricerca e università, finalizzato alla condivisione della conoscenza già esistente e allo sviluppo di nuove soluzioni tecnologiche;
per quanto, infine, riguarda l'industria farmaceutica, si ritiene, in primo luogo, necessario incrementare gli investimenti delle imprese internazionali nel nostro Paese, un settore che non delocalizza ma, al contrario, può creare sviluppo,
impegna il Governo:
ad adottare un programma nazionale che punti al rilancio del settore manifatturiero attraverso l'adozione di molteplici iniziative volte a:
a) realizzare una politica energetica più concorrenziale, in linea con le direttive dell'Unione europea, fondata sull'efficienza e sul risparmio energetico, sulla diversificazione delle fonti, sulla riduzione dei combustibili fossili, sullo sviluppo delle fonti rinnovabili, sul potenziamento delle infrastrutture;
b) riallocare le energie lavorative sui livelli più alti della filiera produttiva e sui livelli più raffinati dal punto di vista tecnologico;
c) ottenere un effettivo snellimento burocratico, in un contesto caratterizzato da un eccesso di leggi, scarsità o duplicazione dei controlli, sovrapposizione di competenze;
d) ridurre il carico fiscale e contributivo per liberare risorse da destinare alla produzione e al lavoro;
e) sostenere concretamente la domanda interna procedendo velocemente alle liberalizzazioni dei settori protetti;
f) allentare il patto di stabilità interno per rilanciare, in particolare, il settore dell'edilizia, garantendo, al contempo, un migliore utilizzo dei fondi strutturali europei;
g) modernizzare il sistema produttivo con lo sviluppo delle tecnologie ambientali e dei servizi sociali, settori che possono offrire interessanti sbocchi occupazionali;
h) adottare con urgenza specifiche misure di rilancio della politica industriale, affinché Finmeccanica modifichi la propria strategia industriale attraverso investimenti ed anche con trasferimento di tecnologie dal militare al civile, fermando qualsiasi ipotesi di cessione degli asset civili, a partire da AnsaldoBreda, Ansaldo STS, Ansaldo Energia e BredaMenariniBus, così da garantire che le scelte della società vadano nella direzione dello sviluppo e del rilancio produttivo dei settori e degli stabilimenti che rappresentano un'importantissima risorsa strategica per il Paese;
i) adottare con urgenza specifiche misure volte a riqualificare il trasporto pubblico, utilizzando BredaMenariniBus e Irisbus, evitandone la chiusura, come polo di sviluppo della mobilità pubblica, nonché a porre in essere ogni atto di competenza volto a far sì che la Fiat condivida e persegua pienamente e chiaramente con l'Esecutivo ed il Paese impegni concreti in Italia in termini di investimenti, prodotti, allocazioni di risorse e tutela dell'occupazione, al fine di non rischiare di perdere, come nel caso di Finmeccanica, importanti segmenti di produzione industriale in Italia;
ad adottare specifiche iniziative normative volte a:
a) rivedere la disciplina che prevede l'annullamento dell'imposizione fiscale per le attività che superano la soglia dei duecentomila kilowattora al mese, a discapito delle attività che operano al di sotto di tale soglia;
b) sostenere la competitività delle imprese nazionali con una politica mirante a una maggiore differenziazione delle fonti energetiche e a ridurre, in particolare, il differenziale di costo del gas naturale (metano), rispetto ai competitori europei, che penalizza pesantemente le imprese industriali energivore;
c) favorire la concorrenzialità nel mercato del gas e nell'accesso alle reti, per garantire una maggiore pluralità e differenziazione sul lato dell'offerta, in modo da ridurre il costo del gas, principale materia prima di molte industrie manifatturiere, in particolare di quella delle ceramiche;
d) rendere più moderne e trasparenti le relazioni tra banche e imprese, consentendo alle singole aziende di beneficiare di condizioni dipendenti dalla propria qualità creditizia, senza dover scontare inefficienze di altri;
e) garantire la sopravvivenza delle piccole e medie imprese anche tramite:
1) la sospensione degli acconti fiscali;
2) il versamento dell'iva a fattura incassata, in particolare nei contratti di subfornitura;
3) l'abolizione dell'Irap o, in subordine, la diminuzione della percentuale di acconto dell'Irap, la deducibilità totale degli oneri finanziari ai fini Irap, la previsione della deducibilità totale o parziale dell'Irap dall'Ires e dall'Irpef;
4) l'aumento della deducibilità degli interessi passivi ai fini Ires;
5) la revisione del patto di stabilità interno al fine di liberare risorse per gli investimenti degli enti locali;
6) gli sgravi fiscali per gli investimenti sui beni strumentali compresi la ricerca e l'innovazione;
7) il ridimensionamento della portata degli studi di settore, riguardo agli accertamenti automatici nei quali debbono concorrere più elementi, rivedendo i metodi di calcolo ed i moltiplicatori per tener conto del peggioramento dell'andamento dell'economia;
f) tutelare le risorse umane, adottando provvedimenti premianti non solo verso le aziende che assumono, ma anche verso le aziende che mantengono inalterati i livelli occupazionali;
g) sostenere il made in Italy, anche attraverso l'adozione di apposite iniziative, anche normative, volte ad introdurre l'etichettatura dei prodotti made in Italy con obbligo di codice a barre e certificazione igienico-sanitaria e di sicurezza dei prodotti provenienti da Paesi non facenti parte dell'Unione europea, incentivando, al contempo, l'aggregazione tra imprese al fine di intervenire sull'assetto dimensionale del tessuto produttivo;
h) intervenire sull'Unione europea per promuovere, su scala mondiale, l'adozione di standard di reciprocità a livello sociale e ambientale, per evitare fenomeni di dumping, e affinché gli Stati membri del WTO rimuovano le barriere non tariffarie che ostacolano l'accesso ai mercati;
i) promuovere un tessile «etico» per rilanciare i distretti del tessile attraverso il sostegno alle imprese che producono tipi di tessuto senza emissione di gas ad effetto serra, l'innovazione e la formazione, con particolare riguardo alla realizzazione dei «tecnopoli»;
l) destinare maggiori risorse agli ammortizzatori sociali, con particolare riferimento ad interventi di prolungamento della cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, alla cassa integrazione in deroga, soprattutto per le imprese artigiane, e ai contratti di solidarietà;
m) rendere più spedite le procedure di accesso da parte delle imprese agli strumenti di sostegno del reddito;
n) sostenere la domanda interna di consumo attraverso un'ampia defiscalizzazione dei redditi di lavoro e del salario di produttività;
o) adottare maggiori interventi a favore dei giovani alla prima occupazione e del reimpiego di chi ha perso il lavoro, soprattutto attraverso iniziative di formazione;
p) ridimensionare nel settore dell'innovazione tecnologica gli incentivi individuali, modesti ma diffusi, spostando le risorse pubbliche sulla costruzione di grandi reti di collaborazione con radicamento locale;
q) rafforzare la finanza specializzata per l'innovazione, anche attraverso l'azione delle fondazioni bancarie più radicate nei territori;
r) promuovere costantemente la ricerca universitaria con maggiori potenzialità di ricadute sull'innovazione economica, per aumentare le attività di spin off e il numero di imprese coinvolte nei processi innovativi con le università;
s) prevedere incentivi premiali per le università che investono maggiormente nei rapporti con l'economia locale;
t) promuovere la ricerca di frontiera con finanziamenti adeguati, concessi con rigorosa valutazione di merito;
u) favorire la competizione tra progetti di aggregazione costruiti volontariamente da imprese e mondo dell'università;
v) collegare maggiormente le università meridionali con le imprese, evitando la distribuzione a pioggia dei fondi europei;
z) prevedere incentivi fiscali per il trasferimento tecnologico a beneficio delle imprese che investono in azioni di trasferimento di conoscenza scientifica e tecnologica di origine pubblica;
aa) prevedere finanziamenti o cofinanziamenti di nuovi centri realizzati anche in partnership pubblico-privato, dotati di strutture di trasferimento tecnologico e di trasferimento di conoscenza ed operanti per la massimizzazione dei risultati della ricerca;
bb) fare chiarezza nel campo delle società spin-off, superando la legge finanziaria per il 2008 che, all'articolo 3, comma 27, ha vietato alle amministrazioni pubbliche di costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessari per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, e di mantenere o assumere partecipazioni direttamente o indirettamente, anche di minoranza, in tali società;
cc) modificare il codice della proprietà industriale al fine di consentire una migliore gestione dell'invenzione nella ricerca pubblica, tutelando gli inventori e aumentando la capacità di trasferimento, in linea con quanto accade negli altri Paesi;
dd) rendere efficienti i procedimenti amministrativi, evitando il meccanismo dello spoil system che crea una stretta dipendenza dell'alta dirigenza dal potere politico, puntando alla separazione tra responsabilità politica e responsabilità amministrativa;
ee) disciplinare ed affrontare in modo organico e risolutivo il fenomeno della cosiddetta obsolescenza programmata dei prodotti commerciali, ovvero quel fenomeno in forza del quale un bene tecnologico – hardware o software – è deliberatamente progettato dal produttore per durare solo per un determinato periodo, al fine di imporre la sua sostituzione con un nuovo prodotto, più efficiente e funzionale, la cui carica innovativa viene pianificata in precedenza;
ad attuare quanto previsto dal presente atto di indirizzo anche attingendo eventualmente alle seguenti fonti di finanziamento:
a) la tassazione progressiva sui grandi patrimoni immobiliari oltre gli 800.000 euro;
b) l'aumento delle aliquote del prelievo erariale unico sugli apparecchi da intrattenimento;
c) l'aumento dei canoni di concessioni radiotelevisive;
d) l'incremento del 15 per cento dell'aliquota dei capitali scudati;
e) l'aumento della ritenuta sui redditi delle rendite finanziarie fino al 23 per cento;
f) il definanziamento dei costi del programma F35, nonché i costi del programma di acquisto dei sommergibili, considerato che con riferimento a questi ultimi, dal Documento programmatico pluriennale per la difesa per il triennio 2013-2015, è previsto un impegno di spesa pari a circa 190 milioni di euro per l'anno 2013, a circa 152 milioni di euro per l'anno 2014 e a circa 113 milioni di euro per l'anno 2015, e che l'onere complessivo del programma è di circa 1.885 milioni di euro;
g) l'adozione di nuove disposizioni per l'emersione di materia imponibile e contributiva con riferimento agli immigrati privi di permesso di soggiorno;
h) l'eventuale soppressione di alcune misure di agevolazione fiscale eccessive e, comunque, non idonee ad incidere negativamente dal punto di vista redistributivo sul prelievo dei soggetti interessati, avviando, sin da subito, una seria ricognizione e revisione delle spese fiscali attuali, anche alla luce del fatto che l'ammontare complessivo degli effetti dei 263 regimi agevolativi indicato nell'allegato A del bilancio di previsione del 2013 è pari a 156.231 milioni di euro per il 2013, a 156.168 milioni di euro per il 2014 e a 155.423 milioni di euro per il 2015.
(1-00164)
(Nuova formulazione) «Airaudo, Lacquaniti, Ferrara, Giancarlo Giordano, Migliore, Di Salvo, Matarrelli, Placido, Aiello, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Fava, Fratoianni, Kronbichler, Lavagno, Marcon, Melilla, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piazzoni, Pilozzi, Piras, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zan, Zaratti».
La Camera,
premesso che:
il settore manifatturiero ha un ruolo di traino dell'economia del Paese, inglobando l'eccellenza della piccola e media impresa italiana che è rappresentata da oltre 450 mila artigiani e piccoli imprenditori, i quali danno lavoro a quasi 2 milioni di addetti e realizzano un valore aggiunto di 60 miliardi di euro;
le piccole e medie imprese, a causa del prolungarsi della crisi, sono in uno stato di profonda sofferenza; molte di loro sono ormai condannate alla chiusura a causa della scarsa liquidità di cui dispongono, anche per le difficoltà di accesso al credito bancario, e della forte pressione fiscale, che è fra le più alte d'Europa;
il 2012 è stato finora l'anno più duro della crisi per il numero di imprese che hanno chiuso: tra fallimenti, che sono stati oltre 12 mila, cioè più di mille al mese, 34 al giorno, liquidazioni (90 mila), procedure non fallimentari (2 mila), sono state 104 mila le aziende italiane chiuse; solo nel primo trimestre 2013 sono state avviate 3.500 procedure di fallimento, il 12 per cento in più rispetto al precedente anno;
il tessuto delle attività manifatturiere italiane è tra i più performanti d'Europa; in particolare, la Lombardia ed il Nord-Est presentano il valore aggiunto manifatturiero pro capite più alto in assoluto rispetto ai maggiori Paesi dell'Unione europea e, nello stesso tempo, sono aree capaci di generare un valore aggiunto pro capite nei rimanenti settori dell'economia (costruzioni, servizi ed altri) tra i più elevati rispetto ai concorrenti europei;
la perdita di competitività delle imprese manifatturiere ha, quindi, ricadute importanti sull'economia del Paese e, in particolare, sull'occupazione. I dati sulle forze lavoro tracciano un quadro in deterioramento del mercato del lavoro, dove si riduce la crescita dell'occupazione che si associa ad un ulteriore aumento della disoccupazione;
nel manifatturiero esiste una vera e propria emergenza occupazionale; in quattro anni, dal 2009 al 2012, gli addetti sono diminuiti del 2,9 per cento, con picchi per settore che si registrano nel calzaturiero, nel chimico e nel comparto tessile. Sono, invece, positivi i dati relativi alle esportazioni che stanno attraversando una fase di espansione;
sia a livello europeo, sia a livello nazionale e regionale, si afferma che per fare fronte alla crisi in atto, una delle misure da sostenere sia l'incremento delle attività di ricerca e sviluppo tecnologico, prevedendo una linea privilegiata per il sostegno alle azioni messe in atto dalle imprese che si orientano in questa direzione;
gli effetti della crisi stanno mettendo in grande difficoltà soprattutto le piccole e medie imprese del manifatturiero che svolgono attività di ricerca e di sperimentazione; queste imprese, ad elevatissimo investimento in forza lavoro specializzato e dotate di grandi patrimoni immateriali costituiti da brevetti, modelli e marchi, si sostengono con forti anticipazioni di risorse finanziarie da parte degli istituti di credito. Pertanto, è opportuno creare le condizioni affinché non venga meno il canale di finanziamento nei loro confronti;
in Europa il contributo del settore manifatturiero al prodotto interno lordo si aggira intorno ad una media del 15,2 per cento; l'obiettivo indicato dalla Commissioni europea è quello di raggiungere il 20 per cento nei prossimi sette anni, sia per migliorare la produttività dell'Unione europea rispetto agli Stati Uniti ed il Giappone, sia per mantenere i vantaggi competitivi acquisiti in alcuni settori più complessi e di elevata qualità;
a livello europeo è in fase di studio la possibilità di una revisione dei vincoli del patto di stabilità, finalizzata ad escludere dai suddetti vincoli gli investimenti destinati allo sviluppo delle infrastrutture, dell'innovazione e della ricerca, al fine di liberare risorse in favore dell'economia reale, oggi schiacciata da un'eccessiva politica del rigore;
l'Italia potrebbe fornire un contributo importante al raggiungimento degli obiettivi europei, impegnandosi a contrastare l'attuale declino dell'industria manifatturiera e riposizionando le imprese di settore sulla strada della crescita e dello sviluppo;
per le imprese manifatturiere, particolarmente sentito è il tema del credito. L'accesso al credito negli ultimi anni è, infatti, diventato sempre più problematico, determinando un vero e proprio ristagno economico che sta compromettendo la possibilità, da parte delle imprese, di improntare nuovi investimenti e, conseguentemente, di programmare la propria crescita non solo economica, ma anche e soprattutto tecnologica, con gravi ripercussioni sulla competitività delle aziende italiane rispetto a quelle europee;
un ulteriore ostacolo alla crescita competitiva delle imprese è rappresentato dal fenomeno dei ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. Rispetto alla media europea, in Italia occorre più tempo per essere pagati, infatti il ritardo medio è di 28 giorni. Il periodo medio di pagamento è di 57 giorni per i privati, di 88 giorni per le imprese e di ben 135 per la pubblica amministrazione;
il perpetuarsi del fenomeno dei ritardi di pagamento rischia di generare danni irreparabili all'economia del Paese; è, quindi, necessaria l'adozione di efficaci strumenti di contrasto a tale fenomeno, anche attraverso l'istituzione di un fondo rotativo volto a garantire ai creditori una maggiore tutela contro i ritardi e le incertezze di pagamento;
nel settore manifatturiero si è ultimamente accentuato un ulteriore fenomeno destabilizzante che si riverbera negativamente sull'intera tenuta del sistema produttivo ed occupazionale del Paese. Si tratta di un aspetto indotto dal processo della globalizzazione e noto come dislocazione dei processi produttivi, ovvero dell'organizzazione del processo produttivo su scala mondiale. Tale fenomeno non interessa più, come in passato, le sole imprese multinazionali, ma si estende ormai a tutte le imprese e prende il nome di delocalizzazione;
si assiste, così, ad un trasferimento vero e proprio di attività o di fasi della produzione dai luoghi di origine verso Paesi come Marocco, Tunisia, Libia, Turchia, Egitto, Romania, Bulgaria, Moldavia, Carinzia e Slovenia, in vista di potere produrre a costi sempre più bassi;
il sistema produttivo italiano subisce gravi lesioni dal processo di delocalizzazione che sta portando ad un lento e profondo depauperamento delle risorse economiche ed occupazionali presenti sul territorio; particolarmente colpite e penalizzate dagli effetti della delocalizzazione sono le zone distrettuali del lombardo-veneto e del Piemonte, soprattutto riguardo al settore manifatturiero dell'industria della moda, dell'abbigliamento e del tessile;
in queste circostanze sarebbe necessario attuare una nuova politica di tutela delle realtà distrettuali nei settori interessati dai processi di delocalizzazione tramite la concessione di agevolazioni e riduzioni degli oneri amministrativi e dei carichi fiscali e sociali, ma ad ogni modo legati al rispetto di specifiche condizioni, tra cui la permanenza nei luoghi d'origine, l'assunzione di forza lavoro locale, l'assegnazione di commesse ad imprese dell'area d'appartenenza;
lo sviluppo di particolari settori del manifatturiero, dal comparto moda, all'arredamento, all'elettronica e ai beni di largo consumo è, inoltre, minacciato dalla presenza sui mercati internazionali di prodotti contraffatti provenienti principalmente dai Paesi del sud-est asiatico, come la Cina;
le economie di questi Paesi da tempo minacciano l'Italia e l'Europa con politiche commerciali aggressive favorite da bassissimi costi di produzione, anche legati alla violazione dei diritti umani e dei più elementari standard di sicurezza del lavoro, della salute e dell'ambiente;
dalla relazione approvata, in data 22 gennaio 2013, dalla Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale, istituita presso la Camera dei deputati nella XVI legislatura, si apprende che il mercato del falso nel nostro Paese genera un fatturato di 7 miliardi e 109 milioni di euro. Le perdite per il bilancio dello Stato in termini di mancate entrate fiscali sono calcolate in 5 miliardi e 281 milioni di euro, mentre sono oltre 130 mila i posti di lavoro sottratti all'economia reale;
nella XVI legislatura, in Parlamento è stata più volte evidenziata, in particolare dal gruppo della Lega Nord, la necessità di adottare, in ambito nazionale ed europeo, più stringenti disposizioni per la tutela delle imprese italiane ed europee dalla concorrenza sleale, attraverso l'adozione di azioni europee antidumping e la protezione della denominazione e dei marchi di origine;
un traguardo è stato raggiunto con l'approvazione della legge 8 aprile 2010, n. 55, recante «Disposizioni concernenti la commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri» che, introducendo un sistema di etichettatura a garanzia della qualità del made in Italy, rappresenta un valido strumento di contrasto alla contraffazione. La suddetta legge, fortemente ostacolata dall'Europa, non ha ancora trovato definitiva applicazione;
il rilancio del settore manifatturiero viene perseguito anche attraverso la realizzazione di un'organica strategia per la riduzione dei costi dell'energia, i quali rappresentano una delle principali cause dello svantaggio competitivo dell'Italia rispetto agli altri Paesi europei;
particolare attenzione deve essere, infine, rivolta all'ammodernamento dell'apparato amministrativo del Paese che appare ancora troppo inefficiente e farraginoso, quantificandosi in un costo annuo per le imprese, specie per quelle di dimensioni più piccole, di circa 26 miliardi di euro, pari a circa 1,5 punti di prodotto interno lordo;
la recente revisione dello «spesometro» rappresenta un ulteriore onere a carico dei contribuenti, determinando una sperequazione tra il sistema fiscale nazionale e quello dei principali Paesi europei e, allo stesso tempo, rallentando la ripresa economica delle imprese;
la mancanza di interventi per la realizzazione di un'organica politica industriale, che appare necessaria per uscire dalla recessione e, al contempo, per inaugurare una nuova fase di crescita dell'economia italiana, contribuisce ad aggravare la crisi in cui versa il settore manifatturiero del Paese, creando incertezza sul futuro di tante piccole imprese,
impegna il Governo:
ad attivare un'organica azione di difesa e di sostegno delle imprese del settore manifatturiero, con particolare riferimento ai distretti industriali, ricomprendendo in tali azioni l'osservanza da parte dei beneficiari di impegni diretti alla loro permanenza nei luoghi d'origine, al mantenimento e all'incremento della forza lavoro locale, all'assegnazione di lavori e all'eventuale esternalizzazione di processi produttivi ad imprese appartenenti all'indotto in cui esse operano;
a perseguire l'obiettivo del rilancio del settore manifatturiero, anche attraverso l'attivazione di iniziative dirette:
a) alla sottoscrizione di accordi con il sistema del credito per la concessione di prestiti temporanei ed a tassi agevolati volti a mantenere in vita le imprese in difficoltà;
b) all'introduzione di rateazioni più lunghe e più flessibili ai fini dell'assolvimento da parte delle piccole e medie imprese dei propri debiti tributari e contributivi;
c) alla semplificazione degli adempimenti amministrativi;
d) alla riduzione dei carichi fiscali (iva ed imposte sulla produzione) e degli oneri sociali;
e) la concessione di contributi per gli investimenti diretti alla ristrutturazione ed all'ammodernamento, soprattutto in campo tecnologico;
f) all'adozione di misure per la riduzione del costo dell'energia, riportandolo sui livelli degli altri Paesi dell'Unione europea, con particolare riferimento ai settori con elevati consumi energetici;
g) alla tutela del made in Italy, anche intervenendo per assicurare l'applicazione della vigente normativa che introduce un sistema di etichettatura obbligatoria sull'origine e sul luogo in cui avviene ciascuna fase di lavorazione dei prodotti in commercio;
ad adottare efficaci strumenti di contrasto al fenomeno dei ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, attraverso l'adozione di misure per l'istituzione di un fondo rotativo che abbia il fine di garantire ai creditori una maggiore tutela contro i ritardi e le incertezze di pagamento;
ad assumere iniziative dirette a rivedere gli attuali vincoli del patto di stabilità interno, escludendo dagli stessi gli investimenti in innovazione, sviluppo e ricerca così da favorire una rapida ripresa dell'economia reale;
a promuovere, in ambito nazionale e comunitario, iniziative di contrasto alla concorrenza sleale subita dalle imprese italiane ed europee, anche attraverso azioni antidumping, volte a contrastare l'ingresso nell'Unione europea di prodotti provenienti dalla Cina che siano il frutto di forme di lavoro illegale, nocivi per l'ambiente e la salute dei consumatori;
ad intensificare e rendere più efficaci i controlli sulle attività esercitate dalle imprese cinesi sul territorio nazionale in relazione alla conformità dei prodotti alla vigente normativa sulla tutela del lavoro, sulla sicurezza, sulla salvaguardia della salute umana e dell'ambiente, nonché alla regolarità degli adempimenti richiesti in materia amministrativa, fiscale e contributiva, per l'esercizio dell'attività di impresa;
a rilanciare il settore manifatturiero anche incentivando l'occupazione di giovani di età inferiore a trentacinque anni, ancora inoccupati, ovvero disoccupati da più di ventiquattro mesi;
ad adottare misure di armonizzazione dell'attuale sistema fiscale nazionale con i più moderni sistemi fiscali vigenti in altri Paesi europei, promuovendo, altresì, una semplificazione degli adempimenti a cui sono sottoposte le piccole e medie imprese per sostenerne la ripresa economica.
(1-00220) «Allasia, Busin, Giancarlo Giorgetti, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Caon, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».
La Camera,
premesso che:
il settore manifatturiero ha un ruolo di traino dell'economia del Paese, inglobando l'eccellenza della piccola e media impresa italiana che è rappresentata da oltre 450 mila artigiani e piccoli imprenditori, i quali danno lavoro a quasi 2 milioni di addetti e realizzano un valore aggiunto di 60 miliardi di euro;
le piccole e medie imprese, a causa del prolungarsi della crisi, sono in uno stato di profonda sofferenza; molte di loro sono ormai condannate alla chiusura a causa della scarsa liquidità di cui dispongono, anche per le difficoltà di accesso al credito bancario, e della forte pressione fiscale, che è fra le più alte d'Europa;
il 2012 è stato finora l'anno più duro della crisi per il numero di imprese che hanno chiuso: tra fallimenti, che sono stati oltre 12 mila, cioè più di mille al mese, 34 al giorno, liquidazioni (90 mila), procedure non fallimentari (2 mila), sono state 104 mila le aziende italiane chiuse; solo nel primo trimestre 2013 sono state avviate 3.500 procedure di fallimento, il 12 per cento in più rispetto al precedente anno;
il tessuto delle attività manifatturiere italiane è tra i più performanti d'Europa; in particolare, la Lombardia ed il Nord-Est presentano il valore aggiunto manifatturiero pro capite più alto in assoluto rispetto ai maggiori Paesi dell'Unione europea e, nello stesso tempo, sono aree capaci di generare un valore aggiunto pro capite nei rimanenti settori dell'economia (costruzioni, servizi ed altri) tra i più elevati rispetto ai concorrenti europei;
la perdita di competitività delle imprese manifatturiere ha, quindi, ricadute importanti sull'economia del Paese e, in particolare, sull'occupazione. I dati sulle forze lavoro tracciano un quadro in deterioramento del mercato del lavoro, dove si riduce la crescita dell'occupazione che si associa ad un ulteriore aumento della disoccupazione;
nel manifatturiero esiste una vera e propria emergenza occupazionale; in quattro anni, dal 2009 al 2012, gli addetti sono diminuiti del 2,9 per cento, con picchi per settore che si registrano nel calzaturiero, nel chimico e nel comparto tessile. Sono, invece, positivi i dati relativi alle esportazioni che stanno attraversando una fase di espansione;
sia a livello europeo, sia a livello nazionale e regionale, si afferma che per fare fronte alla crisi in atto, una delle misure da sostenere sia l'incremento delle attività di ricerca e sviluppo tecnologico, prevedendo una linea privilegiata per il sostegno alle azioni messe in atto dalle imprese che si orientano in questa direzione;
gli effetti della crisi stanno mettendo in grande difficoltà soprattutto le piccole e medie imprese del manifatturiero che svolgono attività di ricerca e di sperimentazione; queste imprese, ad elevatissimo investimento in forza lavoro specializzato e dotate di grandi patrimoni immateriali costituiti da brevetti, modelli e marchi, si sostengono con forti anticipazioni di risorse finanziarie da parte degli istituti di credito. Pertanto, è opportuno creare le condizioni affinché non venga meno il canale di finanziamento nei loro confronti;
in Europa il contributo del settore manifatturiero al prodotto interno lordo si aggira intorno ad una media del 15,2 per cento; l'obiettivo indicato dalla Commissioni europea è quello di raggiungere il 20 per cento nei prossimi sette anni, sia per migliorare la produttività dell'Unione europea rispetto agli Stati Uniti ed il Giappone, sia per mantenere i vantaggi competitivi acquisiti in alcuni settori più complessi e di elevata qualità;
a livello europeo è in fase di studio la possibilità di una revisione dei vincoli del patto di stabilità, finalizzata ad escludere dai suddetti vincoli gli investimenti destinati allo sviluppo delle infrastrutture, dell'innovazione e della ricerca, al fine di liberare risorse in favore dell'economia reale, oggi schiacciata da un'eccessiva politica del rigore;
l'Italia potrebbe fornire un contributo importante al raggiungimento degli obiettivi europei, impegnandosi a contrastare l'attuale declino dell'industria manifatturiera e riposizionando le imprese di settore sulla strada della crescita e dello sviluppo;
per le imprese manifatturiere, particolarmente sentito è il tema del credito. L'accesso al credito negli ultimi anni è, infatti, diventato sempre più problematico, determinando un vero e proprio ristagno economico che sta compromettendo la possibilità, da parte delle imprese, di improntare nuovi investimenti e, conseguentemente, di programmare la propria crescita non solo economica, ma anche e soprattutto tecnologica, con gravi ripercussioni sulla competitività delle aziende italiane rispetto a quelle europee;
un ulteriore ostacolo alla crescita competitiva delle imprese è rappresentato dal fenomeno dei ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. Rispetto alla media europea, in Italia occorre più tempo per essere pagati, infatti il ritardo medio è di 28 giorni. Il periodo medio di pagamento è di 57 giorni per i privati, di 88 giorni per le imprese e di ben 135 per la pubblica amministrazione;
il perpetuarsi del fenomeno dei ritardi di pagamento rischia di generare danni irreparabili all'economia del Paese; è, quindi, necessaria l'adozione di efficaci strumenti di contrasto a tale fenomeno, anche attraverso l'istituzione di un fondo rotativo volto a garantire ai creditori una maggiore tutela contro i ritardi e le incertezze di pagamento;
nel settore manifatturiero si è ultimamente accentuato un ulteriore fenomeno destabilizzante che si riverbera negativamente sull'intera tenuta del sistema produttivo ed occupazionale del Paese. Si tratta di un aspetto indotto dal processo della globalizzazione e noto come dislocazione dei processi produttivi, ovvero dell'organizzazione del processo produttivo su scala mondiale. Tale fenomeno non interessa più, come in passato, le sole imprese multinazionali, ma si estende ormai a tutte le imprese e prende il nome di delocalizzazione;
si assiste, così, ad un trasferimento vero e proprio di attività o di fasi della produzione dai luoghi di origine verso Paesi come Marocco, Tunisia, Libia, Turchia, Egitto, Romania, Bulgaria, Moldavia, Carinzia e Slovenia, in vista di potere produrre a costi sempre più bassi;
il sistema produttivo italiano subisce gravi lesioni dal processo di delocalizzazione che sta portando ad un lento e profondo depauperamento delle risorse economiche ed occupazionali presenti sul territorio; particolarmente colpite e penalizzate dagli effetti della delocalizzazione sono le zone distrettuali del lombardo-veneto e del Piemonte, soprattutto riguardo al settore manifatturiero dell'industria della moda, dell'abbigliamento e del tessile;
in queste circostanze sarebbe necessario attuare una nuova politica di tutela delle realtà distrettuali nei settori interessati dai processi di delocalizzazione tramite la concessione di agevolazioni e riduzioni degli oneri amministrativi e dei carichi fiscali e sociali, ma ad ogni modo legati al rispetto di specifiche condizioni, tra cui la permanenza nei luoghi d'origine, l'assunzione di forza lavoro locale, l'assegnazione di commesse ad imprese dell'area d'appartenenza;
lo sviluppo di particolari settori del manifatturiero, dal comparto moda, all'arredamento, all'elettronica e ai beni di largo consumo è, inoltre, minacciato dalla presenza sui mercati internazionali di prodotti contraffatti provenienti principalmente dai Paesi del sud-est asiatico, come la Cina;
le economie di questi Paesi da tempo minacciano l'Italia e l'Europa con politiche commerciali aggressive favorite da bassissimi costi di produzione, anche legati alla violazione dei diritti umani e dei più elementari standard di sicurezza del lavoro, della salute e dell'ambiente;
dalla relazione approvata, in data 22 gennaio 2013, dalla Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale, istituita presso la Camera dei deputati nella XVI legislatura, si apprende che il mercato del falso nel nostro Paese genera un fatturato di 7 miliardi e 109 milioni di euro. Le perdite per il bilancio dello Stato in termini di mancate entrate fiscali sono calcolate in 5 miliardi e 281 milioni di euro, mentre sono oltre 130 mila i posti di lavoro sottratti all'economia reale;
nella XVI legislatura, in Parlamento è stata più volte evidenziata, in particolare dal gruppo della Lega Nord, la necessità di adottare, in ambito nazionale ed europeo, più stringenti disposizioni per la tutela delle imprese italiane ed europee dalla concorrenza sleale, attraverso l'adozione di azioni europee antidumping e la protezione della denominazione e dei marchi di origine;
un traguardo è stato raggiunto con l'approvazione della legge 8 aprile 2010, n. 55, recante «Disposizioni concernenti la commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri» che, introducendo un sistema di etichettatura a garanzia della qualità del made in Italy, rappresenta un valido strumento di contrasto alla contraffazione. La suddetta legge, fortemente ostacolata dall'Europa, non ha ancora trovato definitiva applicazione;
il rilancio del settore manifatturiero viene perseguito anche attraverso la realizzazione di un'organica strategia per la riduzione dei costi dell'energia, i quali rappresentano una delle principali cause dello svantaggio competitivo dell'Italia rispetto agli altri Paesi europei;
particolare attenzione deve essere, infine, rivolta all'ammodernamento dell'apparato amministrativo del Paese che appare ancora troppo inefficiente e farraginoso, quantificandosi in un costo annuo per le imprese, specie per quelle di dimensioni più piccole, di circa 26 miliardi di euro, pari a circa 1,5 punti di prodotto interno lordo;
la recente revisione dello «spesometro» rappresenta un ulteriore onere a carico dei contribuenti, determinando una sperequazione tra il sistema fiscale nazionale e quello dei principali Paesi europei e, allo stesso tempo, rallentando la ripresa economica delle imprese;
la mancanza di interventi per la realizzazione di un'organica politica industriale, che appare necessaria per uscire dalla recessione e, al contempo, per inaugurare una nuova fase di crescita dell'economia italiana, contribuisce ad aggravare la crisi in cui versa il settore manifatturiero del Paese, creando incertezza sul futuro di tante piccole imprese,
impegna il Governo:
ad attivare un'organica azione di difesa e di sostegno delle imprese del settore manifatturiero, con particolare riferimento ai distretti industriali;
a perseguire l'obiettivo del rilancio del settore manifatturiero, anche attraverso l'attivazione di iniziative dirette:
a) a valutare la possibilità di introduzione di rateazioni più lunghe e più flessibili ai fini dell'assolvimento da parte delle piccole e medie imprese dei propri debiti tributari e contributivi;
b) ad adottare le opportune iniziative per la semplificazione del quadro normativo di riferimento al fine di restituire maggiore competitività alle imprese;
c) a valutare l'opportunità di una riduzione dei carichi fiscali (iva ed imposte sulla produzione) e degli oneri sociali;
d) a valutare la possibilità di contributi per gli investimenti diretti alla ristrutturazione ed all'ammodernamento, soprattutto in campo tecnologico;
e) ad allineare il costo dell'energia, con l'obiettivo di riportarlo ai livelli degli altri Paesi dell'Unione europea;
f) a promuovere le iniziative necessarie in sede comunitaria per adottare una normativa in materia di made in Italy, che introduca l'obbligo di indicazione di origine per tutti i prodotti per i quali non esista già una regolazione specifica in materia;
a valutare la possibilità di iniziative dirette a rivedere gli attuali vincoli del patto di stabilità interno, escludendo dagli stessi gli investimenti in innovazione, sviluppo e ricerca così da favorire una rapida ripresa dell'economia reale;
a promuovere, intervenendo sull'Unione europea, misure idonee per evitare fenomeni di dumping e affinché gli Stati membri del WTO rimuovano le barriere non tariffarie che ostacolano l'accesso ai mercati;
ad intensificare e rendere più efficaci i controlli sulle attività esercitate dalle imprese sul territorio nazionale in relazione alla conformità dei prodotti alla vigente normativa sulla tutela del lavoro, sulla sicurezza, sulla salvaguardia della salute umana e dell'ambiente, nonché alla regolarità degli adempimenti richiesti in materia amministrativa, fiscale e contributiva, per l'esercizio dell'attività di impresa;
a rilanciare il settore manifatturiero anche incentivando l'occupazione di giovani di età inferiore a trentacinque anni, ancora inoccupati, ovvero disoccupati da più di ventiquattro mesi;
ad impegnarsi in sede europea per adottare misure di armonizzazione dei sistemi fiscali nazionali, promuovendo, altresì, una semplificazione degli adempimenti a cui sono sottoposte le piccole e medie imprese per sostenerne la ripresa economica.
(1-00220)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Allasia, Busin, Giancarlo Giorgetti, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Caon, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».
La Camera,
premesso che:
il rilancio del comparto manifatturiero è elemento essenziale della ripresa dello sviluppo economico del nostro Paese. La produzione manifatturiera, infatti, pur fortemente colpita dalla crisi economica, deve continuare a rappresentare un decisivo punto di forza dell'Italia. Le grandi risorse di competenza tecnica e di capacità imprenditoriale che si esprimono nella produzione manifatturiera costituiscono un potenziale di sviluppo dell'economia, di crescita dell'occupazione e della competitività che non deve essere disperso bensì valorizzato;
se la produzione manifatturiera italiana va indietro non è perché non è competitiva o esporta poco, infatti il fatturato estero corre. La produzione manifatturiera italiana è in crisi perché si è spenta la domanda interna di consumo e di investimento e il fatturato domestico è crollato;
gli effetti della crisi economica hanno avuto e stanno avendo forti ripercussioni sul mondo del lavoro, in particolare sulle imprese manifatturiere e su quelle che svolgono attività di ricerca, sperimentazione e innovazione. Se si guarda, infatti, al numero degli addetti e si fa un paragone tra il secondo trimestre del 2012 e lo stesso periodo del 2013 viene fuori che il calo dell'occupazione è stato del 7,2 per cento nel calzaturiero, del 7 per cento nel chimico/farmaceutico e del 6,5 per cento nel comparto tessile. In quattro anni, dal 2009 al 2012, gli addetti sono diminuiti del 2,9 per cento (mentre l’export è cresciuto di oltre il 32 per cento), la produzione industriale è crollata del 25 per cento in media e, in alcuni settori, di oltre il 40 per cento dal picco pre-crisi, con circa 40 imprese manifatturiere che spariscono ogni giorno;
la struttura produttiva italiana è caratterizzata da due elementi: la presenza di pochi gruppi industriali di grandi dimensioni (nel settore della meccanica, dell'aeronautica, nel settore militare, dell'ottica e dell'alimentare, nonché nella moda e nelle costruzioni), la cui grandezza, peraltro, è mediamente inferiore a quella dei competitori esteri, e la prevalenza di imprese di piccole dimensioni accompagnata da un accentuato localismo produttivo. La rilevanza delle piccole imprese nella struttura industriale italiana emerge anche dal confronto con gli altri Paesi europei. Il tessuto delle micro, piccole e medie imprese rappresenta una realtà peculiare e consolidata: un fattore fondamentale di dinamismo e di crescita per l'economia nazionale. Si avverte, tuttavia, l'assenza nel sistema produttivo di una grande impresa capace di agire in termini di innovazione strategica o di trasferimento di innovazione ai sistemi imprenditoriali di dimensioni minori, svolgendo, in tal modo, un ruolo trainante e propulsivo. La principale caratteristica delle micro piccole e medie imprese italiane può essere individuata nella particolarità della loro forma organizzativa, che ha trovato l'espressione più completa nei distretti industriali, i quali, come le altre forme organizzative delle micro piccole e medie imprese, sono espressione di uno sviluppo imprenditoriale che nasce dal basso e riflette la capacità delle forze economiche, sociali ed istituzionali presenti in un determinato territorio di autopromuoversi, mettendo a frutto le risorse in termini di capitale umano, di materie prime e di conoscenza disponibili in ambito locale;
i distretti produttivi rappresentano uno dei maggiori punti di forza del sistema industriale italiano e si configurano come sistemi produttivi locali omogenei, caratterizzati da un'elevata concentrazione di imprese, prevalentemente di piccola e media dimensione e dall'elevata specializzazione produttiva;
è, infatti, da notare che per i principali distretti industriali italiani, il primo semestre 2013 si chiude con una crescita dell’export del +5,2 per cento rispetto al primo semestre 2012, evidenziando un andamento nettamente più favorevole rispetto dell’export manifatturiero del Paese, in calo dello 0,6 per cento. Questo indice evidenzia un altro risultato eccellente delle imprese distrettuali: se si considera l'ultimo anno iniziato a luglio 2012 e terminato a giugno 2013, l’export distrettuale è risultato ampiamente oltre i livelli pre-crisi. Occorre, quindi, riaffermare la centralità del manifatturiero e dei distretti produttivi nell'economia italiana, nonché la necessità che l'economia reale sia messa nelle condizioni di poter esprimere il suo potenziale con efficaci azioni di governo, prima fra tutte il taglio del cuneo fiscale;
la grave crisi economica internazionale in atto rischia di amplificare i problemi del sistema economico italiano connessi alla scarsa attitudine a compiere investimenti nell'attività di ricerca e di sviluppo che si spiega con le peculiari caratteristiche settoriali (limitata presenza nei settori delle tecnologie avanzate e dei materiali innovativi) e, soprattutto, dimensionali delle imprese italiane. Le grandi imprese sono, infatti, il principale motore della ricerca in tutti i Paesi avanzati, mentre i problemi della piccola e media impresa sono legati in maniera evidente ad una forte carenza di investimenti in ricerca e sviluppo in grado di alimentare quella nuova industria (tecnologie dell'informazione e della comunicazione, ricerca medica ed altre), che, in tutti i Paesi sviluppati si dimostra la carta vincente della competizione internazionale;
va, altresì, considerato che, il nostro Paese, appare in ritardo per quanto riguarda l'entità delle risorse pubbliche destinate al sostegno della ricerca e sviluppo e dell'innovazione; ciò si ripercuote negativamente sulla capacità competitiva del sistema produttivo italiano;
a tutto questo si aggiunge che l'Italia, nel settore manifatturiero, si è caratterizzata per notevoli differenze nel grado di sviluppo economico delle diverse regioni. Il divario di sviluppo tra Nord e Sud non sembra essersi sostanzialmente ridotto e la crisi economica in atto, se non affrontata con politiche adeguate, rischia di aggravare tale situazione, poiché potrebbero risentirne maggiormente proprio le regioni più deboli;
i principali problemi che causano la perdita di competitività del sistema produttivo manifatturiero sono legati al costo dell'energia, il cui differenziale di costo in Italia rispetto ai competitori europei penalizza pesantemente le imprese italiane energivore. Occorrono, quindi, politiche di sostegno della concorrenzialità nel mercato del gas e dell'accesso alle reti, per garantire una maggiore pluralità e differenziazione sul lato dell'offerta in modo da ridurre il costo del gas, principale materia prima di molte imprese manifatturiere: il costo dell'energia, infatti, è stato segnalato come elemento strutturale di debolezza ed è necessario riportarlo ai livelli degli altri Paesi europei, con particolare riferimento ai settori a più alta intensità energetica;
le imprese manifatturiere sono, altresì, esposte più di altre alla concorrenza internazionale. Già nel 1947 con il Gatt e poi con l'Organizzazione mondiale del commercio del 1994, si è assistito ad una progressiva caduta dei dazi, che ha comportato una piena e assoluta concorrenza a livello globale e una crescita del prodotto interno lordo di tutti i Paesi industrializzati. Il modello italiano è fondato sulle esportazioni, che, tuttavia, hanno risentito della grave crisi economica internazionale. È, peraltro, vero che le aziende italiane soffrono più di altre aziende europee di un deficit di sistema dovuto soprattutto a inefficienze della produzione, che dipendono, come già detto, dagli alti costi dell'energia, da una burocrazia eccessiva e lenta, da un sistema fiscale particolarmente farraginoso, dall'insufficiente dotazione infrastrutturale, dalla mancanza di una rete di collegamento fra formazione, ricerca ed imprese. A ciò si aggiunge il costo elevato dei servizi bancari e delle assicurazioni: tutti oneri che costituiscono costi di produzione tali da non consentire alle imprese italiane di competere efficacemente sulla scena europea;
è, quindi, necessario perseguire obiettivi di tutela e di aiuto del settore manifatturiero anche attraverso l'attivazione di interventi riguardanti: la sottoscrizione di accordi con le organizzazioni rappresentative del sistema del credito per la concessione di prestiti temporanei a tassi agevolati idonei a mantenere in vita le imprese in difficoltà, la semplificazione degli adempimenti amministrativi, la riduzione del carico fiscale sulle imprese (ad esempio iva e imposte di produzione) e degli oneri sociali, la concessione di una quota significativa di incentivi per gli investimenti diretti alla ricerca e all'innovazione tecnologica delle micro, piccole e medie imprese manifatturiere;
servono, quindi, azioni per la crescita. L'Italia è nata per una politica economica fondata sull'imprenditoria e da qui bisogna ripartire, valorizzando le imprese moderne e competitive. Occorre puntare sulla qualità, sulle tecnologie eco-compatibili, sulle biotecnologie, con la cooperazione di una politica energetica che abbia obiettivi realisticamente raggiungibili, come la riduzione di emissioni di anidride carbonica;
con il diffondersi dei processi di globalizzazione, l'apertura internazionale che, fino a qualche tempo fa, rappresentava per le imprese una semplice opportunità di crescita è divenuta una delle condizioni fondamentali per la loro esistenza. L'apertura internazionale è, dunque, fondamentale per la crescita economica, in particolare per l'Italia, economia manifatturiera con un prezioso patrimonio di micro, piccole e medie imprese che rappresentano il 99 per cento del tessuto produttivo, in grado di offrire sui mercati una vasta gamma di prodotti di eccellenza e di alta affidabilità per l'innovazione tecnologica che li caratterizza. È, quindi, necessario accrescere il grado di internazionalizzazione delle aziende al fine del sostegno del made in Italy, potenziando gli strumenti agevolativi esistenti, facilitando i processi di internazionalizzazione e i collegamenti con le università e i centri di ricerca;
nella scorsa legislatura la X Commissione (attività produttive) della Camera dei deputati ha svolto un'indagine conoscitiva sulla situazione e sulle prospettive del sistema industriale e manifatturiero italiano in relazione alla crisi economica internazionale, approvandone al termine il documento conclusivo il quale ha tracciato le linee di azione per risolvere le criticità del settore individuate, in particolare quelle relative alle piccole e medie imprese;
a tale proposito, tra i provvedimenti approvati nel corso della XVI legislatura, si segnalano lo statuto delle imprese (legge 11 novembre 2011, n. 180, recante Norme per la tutela della libertà d'impresa) con il quale l'Italia è stato il primo Paese ad introdurre nel proprio ordinamento il contenuto dello Small Business Act (atto sulle piccole imprese) adottato a livello comunitario e attuato con direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 maggio 2010;
lo Small Business Act sottolinea l'importanza delle micro, piccole e medie imprese, in quanto creatrici di posti di lavoro e protagoniste della crescita delle comunità locali e regionali, e il suo recepimento in Italia ha permesso di varare una serie di misure per rendere più competitive le micro, piccole e medie imprese, soprattutto in tempo di crisi;
l'approvazione dello statuto delle imprese ha costituito un passaggio fondamentale per la realizzazione di un ambiente giuridico favorevole alle imprese, in particolare per quelle micro, piccole e medie, che è la condizione essenziale per favorirne l'avvio, lo sviluppo e la competitività. In attuazione della delega contenuta nello statuto delle imprese è stato emanato il decreto legislativo 9 novembre 2012, n. 192, in materia di «Modifiche al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, per l'integrale recepimento della direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, a norma dell'articolo 10, comma 1, della legge 11 novembre 2011, n. 180»;
tuttavia, sono ancora molte le disposizioni dello statuto in attesa di essere attuate, tra le quali si ricorda la legge annuale per le micro, piccole e medie imprese;
è da ricordare anche che è necessario che la competitività, i prezzi dell'energia e il futuro dell'industria ritornino al centro dell'azione europea. La priorità del rilancio dell'industria europea è stata ribadita il 23 ottobre 2013 dai Ministri dell'industria dell'Unione europea riuniti a Parigi, in occasione della prima conferenza ministeriale degli «Amici dell'industria», i quali hanno rivolto un appello al Consiglio europeo – che si svolgerà nel febbraio 2014 e sarà dedicato alla competitività industriale – ad adottare un'ambiziosa agenda industriale per l'Europa con l'obiettivo quadro dell'aumento della quota dell'industria nel prodotto interno lordo dell'area,
impegna il Governo:
ad avviare politiche di sostegno all'attività manifatturiera attraverso tempestive iniziative, anche di carattere normativo, finalizzate a:
a) semplificare gli adempimenti amministrativi che gravano sulle imprese;
b) ridurre il carico fiscale e gli oneri sociali;
c) ridurre il costo dell'energia, riportandolo ai livelli degli altri Paesi dell'Unione europea, con particolare riferimento ai settori a più alta intensità energetica, intervenendo sulle componenti fiscali ai fini di una loro perequazione;
d) garantire la concessione, compatibilmente con i vincoli di bilancio, di una quota significativa di incentivi per gli investimenti diretti alla ricerca e all'innovazione tecnologica, con particolare riferimento alle micro, piccole e medie imprese;
e) attuare la riduzione delle aliquote contributive che pesano sul costo del lavoro, impegnandosi a reperire le necessarie risorse economiche;
f) valorizzare le forme organizzative di integrazione e cooperazione interaziendale sia sotto il profilo territoriale e del distretto produttivo, sia sotto il profilo dell'aggregazione per filiera e della rete quale espressione migliore di uno sviluppo economico che parte dal basso e rispecchia la capacità delle forze economiche, sociali ed istituzionali presenti in un determinato territorio;
g) sostenere l'internazionalizzazione delle imprese al fine di promuovere il made in Italy, potenziando gli strumenti agevolativi esistenti e facilitando i processi di internazionalizzazione e i collegamenti con le università e i centri di ricerca;
h) promuovere la sottoscrizione di accordi con le organizzazioni rappresentative del sistema del credito per la concessione di prestiti a tassi agevolati idonei a sostenere le imprese in difficoltà;
i) assicurare un sostegno all'occupazione e al reddito dei lavoratori delle imprese in difficoltà, anche attraverso l'eventuale reperimento di maggiori risorse finanziarie da destinare agli ammortizzatori sociali, con particolare riferimento ad interventi di prolungamento della cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, alla cassa integrazione in deroga (con particolare riferimento alle imprese artigiane) e ai contratti di solidarietà, rendendo, altresì, più facile l'accesso a queste procedure da parte delle imprese;
l) promuovere processi di aggregazione, anche attraverso incentivi, delle imprese al fine di intervenire sull'assetto dimensionale del tessuto produttivo;
m) dare attuazione con tempestività alle disposizioni contenute nella legge 11 novembre 2011, n. 180 (statuto delle imprese) e non ancora adottate;
n) promuovere l'effettiva applicazione della direttiva sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali e del decreto legislativo di recepimento;
o) promuovere processi di gestione delle crisi aziendali, tenendo conto degli effetti e delle ricadute sull'indotto ai fini della salvaguardia delle piccole imprese e della relativa occupazione;
p) sostenere con decisione quanto stabilito in occasione del Consiglio europeo sulla competitività del mese di settembre 2013, e successivamente ribadito il 23 ottobre 2013, con particolare riferimento all'adozione di un'agenda industriale per l'Europa, quale strumento per rivitalizzare l'industria dell'area e rafforzare la sua capacità produttiva.
(1-00221) «Costa, Vignali, Abrignani, Dorina Bianchi».
La Camera,
premesso che:
il rilancio del comparto manifatturiero è elemento essenziale della ripresa dello sviluppo economico del nostro Paese. La produzione manifatturiera, infatti, pur fortemente colpita dalla crisi economica, deve continuare a rappresentare un decisivo punto di forza dell'Italia. Le grandi risorse di competenza tecnica e di capacità imprenditoriale che si esprimono nella produzione manifatturiera costituiscono un potenziale di sviluppo dell'economia, di crescita dell'occupazione e della competitività che non deve essere disperso bensì valorizzato;
se la produzione manifatturiera italiana va indietro non è perché non è competitiva o esporta poco, infatti il fatturato estero corre. La produzione manifatturiera italiana è in crisi perché si è spenta la domanda interna di consumo e di investimento e il fatturato domestico è crollato;
gli effetti della crisi economica hanno avuto e stanno avendo forti ripercussioni sul mondo del lavoro, in particolare sulle imprese manifatturiere e su quelle che svolgono attività di ricerca, sperimentazione e innovazione. Se si guarda, infatti, al numero degli addetti e si fa un paragone tra il secondo trimestre del 2012 e lo stesso periodo del 2013 viene fuori che il calo dell'occupazione è stato del 7,2 per cento nel calzaturiero, del 7 per cento nel chimico/farmaceutico e del 6,5 per cento nel comparto tessile. In quattro anni, dal 2009 al 2012, gli addetti sono diminuiti del 2,9 per cento (mentre l’export è cresciuto di oltre il 32 per cento), la produzione industriale è crollata del 25 per cento in media e, in alcuni settori, di oltre il 40 per cento dal picco pre-crisi, con circa 40 imprese manifatturiere che spariscono ogni giorno;
la struttura produttiva italiana è caratterizzata da due elementi: la presenza di pochi gruppi industriali di grandi dimensioni (nel settore della meccanica, dell'aeronautica, nel settore militare, dell'ottica e dell'alimentare, nonché nella moda e nelle costruzioni), la cui grandezza, peraltro, è mediamente inferiore a quella dei competitori esteri, e la prevalenza di imprese di piccole dimensioni accompagnata da un accentuato localismo produttivo. La rilevanza delle piccole imprese nella struttura industriale italiana emerge anche dal confronto con gli altri Paesi europei. Il tessuto delle micro, piccole e medie imprese rappresenta una realtà peculiare e consolidata: un fattore fondamentale di dinamismo e di crescita per l'economia nazionale. Si avverte, tuttavia, l'assenza nel sistema produttivo di una grande impresa capace di agire in termini di innovazione strategica o di trasferimento di innovazione ai sistemi imprenditoriali di dimensioni minori, svolgendo, in tal modo, un ruolo trainante e propulsivo. La principale caratteristica delle micro piccole e medie imprese italiane può essere individuata nella particolarità della loro forma organizzativa, che ha trovato l'espressione più completa nei distretti industriali, i quali, come le altre forme organizzative delle micro piccole e medie imprese, sono espressione di uno sviluppo imprenditoriale che nasce dal basso e riflette la capacità delle forze economiche, sociali ed istituzionali presenti in un determinato territorio di autopromuoversi, mettendo a frutto le risorse in termini di capitale umano, di materie prime e di conoscenza disponibili in ambito locale;
i distretti produttivi rappresentano uno dei maggiori punti di forza del sistema industriale italiano e si configurano come sistemi produttivi locali omogenei, caratterizzati da un'elevata concentrazione di imprese, prevalentemente di piccola e media dimensione e dall'elevata specializzazione produttiva;
è, infatti, da notare che per i principali distretti industriali italiani, il primo semestre 2013 si chiude con una crescita dell’export del +5,2 per cento rispetto al primo semestre 2012, evidenziando un andamento nettamente più favorevole rispetto dell’export manifatturiero del Paese, in calo dello 0,6 per cento. Questo indice evidenzia un altro risultato eccellente delle imprese distrettuali: se si considera l'ultimo anno iniziato a luglio 2012 e terminato a giugno 2013, l’export distrettuale è risultato ampiamente oltre i livelli pre-crisi. Occorre, quindi, riaffermare la centralità del manifatturiero e dei distretti produttivi nell'economia italiana, nonché la necessità che l'economia reale sia messa nelle condizioni di poter esprimere il suo potenziale con efficaci azioni di governo, prima fra tutte il taglio del cuneo fiscale;
la grave crisi economica internazionale in atto rischia di amplificare i problemi del sistema economico italiano connessi alla scarsa attitudine a compiere investimenti nell'attività di ricerca e di sviluppo che si spiega con le peculiari caratteristiche settoriali (limitata presenza nei settori delle tecnologie avanzate e dei materiali innovativi) e, soprattutto, dimensionali delle imprese italiane. Le grandi imprese sono, infatti, il principale motore della ricerca in tutti i Paesi avanzati, mentre i problemi della piccola e media impresa sono legati in maniera evidente ad una forte carenza di investimenti in ricerca e sviluppo in grado di alimentare quella nuova industria (tecnologie dell'informazione e della comunicazione, ricerca medica ed altre), che, in tutti i Paesi sviluppati si dimostra la carta vincente della competizione internazionale;
va, altresì, considerato che, il nostro Paese, appare in ritardo per quanto riguarda l'entità delle risorse pubbliche destinate al sostegno della ricerca e sviluppo e dell'innovazione; ciò si ripercuote negativamente sulla capacità competitiva del sistema produttivo italiano;
a tutto questo si aggiunge che l'Italia, nel settore manifatturiero, si è caratterizzata per notevoli differenze nel grado di sviluppo economico delle diverse regioni. Il divario di sviluppo tra Nord e Sud non sembra essersi sostanzialmente ridotto e la crisi economica in atto, se non affrontata con politiche adeguate, rischia di aggravare tale situazione, poiché potrebbero risentirne maggiormente proprio le regioni più deboli;
i principali problemi che causano la perdita di competitività del sistema produttivo manifatturiero sono legati al costo dell'energia, il cui differenziale di costo in Italia rispetto ai competitori europei penalizza pesantemente le imprese italiane energivore. Occorrono, quindi, politiche di sostegno della concorrenzialità nel mercato del gas e dell'accesso alle reti, per garantire una maggiore pluralità e differenziazione sul lato dell'offerta in modo da ridurre il costo del gas, principale materia prima di molte imprese manifatturiere: il costo dell'energia, infatti, è stato segnalato come elemento strutturale di debolezza ed è necessario riportarlo ai livelli degli altri Paesi europei, con particolare riferimento ai settori a più alta intensità energetica;
le imprese manifatturiere sono, altresì, esposte più di altre alla concorrenza internazionale. Già nel 1947 con il Gatt e poi con l'Organizzazione mondiale del commercio del 1994, si è assistito ad una progressiva caduta dei dazi, che ha comportato una piena e assoluta concorrenza a livello globale e una crescita del prodotto interno lordo di tutti i Paesi industrializzati. Il modello italiano è fondato sulle esportazioni, che, tuttavia, hanno risentito della grave crisi economica internazionale. È, peraltro, vero che le aziende italiane soffrono più di altre aziende europee di un deficit di sistema dovuto soprattutto a inefficienze della produzione, che dipendono, come già detto, dagli alti costi dell'energia, da una burocrazia eccessiva e lenta, da un sistema fiscale particolarmente farraginoso, dall'insufficiente dotazione infrastrutturale, dalla mancanza di una rete di collegamento fra formazione, ricerca ed imprese. A ciò si aggiunge il costo elevato dei servizi bancari e delle assicurazioni: tutti oneri che costituiscono costi di produzione tali da non consentire alle imprese italiane di competere efficacemente sulla scena europea;
è, quindi, necessario perseguire obiettivi di tutela e di aiuto del settore manifatturiero anche attraverso l'attivazione di interventi riguardanti: la sottoscrizione di accordi con le organizzazioni rappresentative del sistema del credito per la concessione di prestiti temporanei a tassi agevolati idonei a mantenere in vita le imprese in difficoltà, la semplificazione degli adempimenti amministrativi, la riduzione del carico fiscale sulle imprese (ad esempio iva e imposte di produzione) e degli oneri sociali, la concessione di una quota significativa di incentivi per gli investimenti diretti alla ricerca e all'innovazione tecnologica delle micro, piccole e medie imprese manifatturiere;
servono, quindi, azioni per la crescita. L'Italia è nata per una politica economica fondata sull'imprenditoria e da qui bisogna ripartire, valorizzando le imprese moderne e competitive. Occorre puntare sulla qualità, sulle tecnologie eco-compatibili, sulle biotecnologie, con la cooperazione di una politica energetica che abbia obiettivi realisticamente raggiungibili, come la riduzione di emissioni di anidride carbonica;
con il diffondersi dei processi di globalizzazione, l'apertura internazionale che, fino a qualche tempo fa, rappresentava per le imprese una semplice opportunità di crescita è divenuta una delle condizioni fondamentali per la loro esistenza. L'apertura internazionale è, dunque, fondamentale per la crescita economica, in particolare per l'Italia, economia manifatturiera con un prezioso patrimonio di micro, piccole e medie imprese che rappresentano il 99 per cento del tessuto produttivo, in grado di offrire sui mercati una vasta gamma di prodotti di eccellenza e di alta affidabilità per l'innovazione tecnologica che li caratterizza. È, quindi, necessario accrescere il grado di internazionalizzazione delle aziende al fine del sostegno del made in Italy, potenziando gli strumenti agevolativi esistenti, facilitando i processi di internazionalizzazione e i collegamenti con le università e i centri di ricerca;
nella scorsa legislatura la X Commissione (attività produttive) della Camera dei deputati ha svolto un'indagine conoscitiva sulla situazione e sulle prospettive del sistema industriale e manifatturiero italiano in relazione alla crisi economica internazionale, approvandone al termine il documento conclusivo il quale ha tracciato le linee di azione per risolvere le criticità del settore individuate, in particolare quelle relative alle piccole e medie imprese;
a tale proposito, tra i provvedimenti approvati nel corso della XVI legislatura, si segnalano lo statuto delle imprese (legge 11 novembre 2011, n. 180, recante Norme per la tutela della libertà d'impresa) con il quale l'Italia è stato il primo Paese ad introdurre nel proprio ordinamento il contenuto dello Small Business Act (atto sulle piccole imprese) adottato a livello comunitario e attuato con direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 maggio 2010;
lo Small Business Act sottolinea l'importanza delle micro, piccole e medie imprese, in quanto creatrici di posti di lavoro e protagoniste della crescita delle comunità locali e regionali, e il suo recepimento in Italia ha permesso di varare una serie di misure per rendere più competitive le micro, piccole e medie imprese, soprattutto in tempo di crisi;
l'approvazione dello statuto delle imprese ha costituito un passaggio fondamentale per la realizzazione di un ambiente giuridico favorevole alle imprese, in particolare per quelle micro, piccole e medie, che è la condizione essenziale per favorirne l'avvio, lo sviluppo e la competitività. In attuazione della delega contenuta nello statuto delle imprese è stato emanato il decreto legislativo 9 novembre 2012, n. 192, in materia di «Modifiche al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, per l'integrale recepimento della direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, a norma dell'articolo 10, comma 1, della legge 11 novembre 2011, n. 180»;
tuttavia, sono ancora molte le disposizioni dello statuto in attesa di essere attuate, tra le quali si ricorda la legge annuale per le micro, piccole e medie imprese;
è da ricordare anche che è necessario che la competitività, i prezzi dell'energia e il futuro dell'industria ritornino al centro dell'azione europea. La priorità del rilancio dell'industria europea è stata ribadita il 23 ottobre 2013 dai Ministri dell'industria dell'Unione europea riuniti a Parigi, in occasione della prima conferenza ministeriale degli «Amici dell'industria», i quali hanno rivolto un appello al Consiglio europeo – che si svolgerà nel febbraio 2014 e sarà dedicato alla competitività industriale – ad adottare un'ambiziosa agenda industriale per l'Europa con l'obiettivo quadro dell'aumento della quota dell'industria nel prodotto interno lordo dell'area,
impegna il Governo:
ad avviare politiche di sostegno all'attività manifatturiera attraverso tempestive iniziative, anche di carattere normativo, finalizzate a:
a) adottare le opportune iniziative per la semplificazione del quadro normativo di riferimento al fine di restituire maggiore competitività alle imprese;
b) valutare l'opportunità di ridurre il carico fiscale e gli oneri sociali fermo, restando il vaglio di compatibilità con la normativa europea sugli aiuti di Stato;
c) ad allineare il costo dell'energia con l'obiettivo di riportarlo ai livelli degli altri Paesi dell'Unione europea;
d) razionalizzare gli incentivi all'innovazione riducendo la dispersione delle risorse;
e) valutare l'opportunità della riduzione delle aliquote contributive che pesano sul costo del lavoro, impegnandosi a reperire le necessarie risorse economiche;
f) valorizzare le forme organizzative di integrazione e cooperazione interaziendale sia sotto il profilo territoriale e del distretto produttivo, sia sotto il profilo dell'aggregazione per filiera e della rete quale espressione migliore di uno sviluppo economico che parte dal basso e rispecchia la capacità delle forze economiche, sociali ed istituzionali presenti in un determinato territorio;
g) sostenere l'internazionalizzazione delle imprese al fine di promuovere il made in Italy, potenziando gli strumenti agevolativi esistenti e facilitando i processi di internazionalizzazione e i collegamenti con le università e i centri di ricerca;
h) assicurare un sostegno all'occupazione e al reddito dei lavoratori delle imprese in difficoltà, anche attraverso l'eventuale reperimento di maggiori risorse finanziarie da destinare agli ammortizzatori sociali, con particolare riferimento ad interventi di prolungamento della cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, alla cassa integrazione in deroga (con particolare riferimento alle imprese artigiane) e ai contratti di solidarietà, rendendo, altresì, più facile l'accesso a queste procedure da parte delle imprese;
i) promuovere processi di aggregazione, anche attraverso incentivi, delle imprese al fine di intervenire sull'assetto dimensionale del tessuto produttivo;
l) dare attuazione con tempestività alle disposizioni contenute nella legge 11 novembre 2011, n. 180 (statuto delle imprese) e non ancora adottate;
m) promuovere l'effettiva applicazione della direttiva sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali e del decreto legislativo di recepimento;
n) promuovere processi di gestione delle crisi aziendali, tenendo conto degli effetti e delle ricadute sull'indotto ai fini della salvaguardia delle piccole imprese e della relativa occupazione;
o) sostenere con decisione quanto stabilito in occasione del Consiglio europeo sulla competitività del mese di settembre 2013, e successivamente ribadito il 23 ottobre 2013, con particolare riferimento all'adozione di un'agenda industriale per l'Europa, quale strumento per rivitalizzare l'industria dell'area e rafforzare la sua capacità produttiva.
(1-00221)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Costa, Vignali, Abrignani, Dorina Bianchi».
La Camera,
premesso che:
l'industria manifatturiera rappresenta il settore economico di riferimento del tessuto economico italiano. Le attuali difficoltà nel mantenimento e nello sviluppo dei livelli produttivi di questo comparto rendono necessari interventi di politica industriale volti all'eliminazione delle diseconomie strutturali, legate a normative nazionali, comunitarie e internazionali che hanno contribuito, nell'arco degli ultimi vent'anni, alla perdita di competitività dell'Italia;
le politiche neoliberiste successive all'Accordo generale sulle tariffe ed il commercio (Gatt) del 1947, ratificato e perfezionato con l'istituzione del WTO (World Trade Organization) nel 1995, hanno spinto alla progressiva compressione di principi come la giusta retribuzione, il diritto alla salute dei lavoratori e il rispetto dell'ambiente, solo recentemente tornati all'attenzione mondiale;
l'attuale contesto internazionale, che vede in ascesa i Paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) nell'ambito di un'economia mondiale ampiamente delocalizzata, ha causato una rapida perdita di posizioni del nostro Paese, travolto dalla crisi economica iniziata nel 2008 e ancora in corso;
la gravità del contesto macroeconomico internazionale è testimoniata dal fatto che l'Italia nel 2013 sarà fuori dal G8 a causa dell'aumento del debito pubblico – che ha raggiunto il 133,3 per cento del prodotto interno lordo nel secondo trimestre 2013 – mentre il prodotto interno lordo non accenna ad aumentare. L'Italia, infatti, è stata superata dalla Russia, scivolando al nono posto dal sesto in cui si trovava nel 1975, quando entrò nel cosiddetto club dei grandi;
l'Italia, comunque, continuerà a partecipare ai vertici dei «grandi della Terra», ma solo per ragioni politiche, non economiche, fatto di estrema gravità;
nel corso degli anni sono state istituite una miriade di agenzie e di società pubbliche – come l'Ice (Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane), Promuovitalia, Invitalia, Simest ed altre – finalizzate a sostenere le imprese nazionali interessate al commercio estero e per l'attrazione di investimenti stranieri. Per quest'ultimo ambito, l'Esecutivo ha recentemente annunciato la nascita di una nuova società, Destinazione Italia spa, rendendo ancora più confuso il quadro di riferimento per gli investitori internazionali;
malgrado le serie difficoltà riscontrate nei mercati internazionali, le piccole e medie imprese italiane rappresentano un elemento essenziale nell'organizzazione industriale del Paese – sia per il numero di addetti che in termini di contributo al prodotto interno lordo e capacità di creazione e redistribuzione capillare di valore aggiunto – come testimoniato per l’export dalla bilancia commerciale positiva per 8,86 miliardi di euro, registrata nel 2012 dall'Ice;
le piccole e medie imprese, volano del sistema produttivo italiano, negli anni passati hanno potuto contare su assetti distributivi e su politiche monetarie domestiche di sostegno per la loro affermazione sui mercati internazionali, nonché su politiche di espansione determinate da interventi sui redditi e a favore della piena occupazione che ne hanno favorito anche la persistenza sul mercato interno;
le criticità maggiori attualmente riscontrate riguardano proprio il mercato domestico, in cui risultano evidenti le debolezze del sistema produttivo, imputabili a svariate cause come un sistema fiscale sbilanciato su imprese e famiglie, gravi ritardi infrastrutturali, la presenza invasiva della burocrazia, la stretta al credito da parte di banche ormai solo finanziarie, il pessimo funzionamento dei servizi, le poche risorse destinate alla ricerca e sviluppo, la presenza di forti squilibri tra il nord e il sud del Paese, unita agli scarsi incentivi allo sviluppo della green economy;
la mancata riforma strutturale del sistema produttivo ha aggravato la crisi economica in corso, ritardando la competitività del Paese rispetto alle altre economie emergenti e causando, nei primi quattro mesi del 2013, la chiusura di ben 4.218 le aziende, il 13 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2012, già drammatico per aver registrato la media di 34 fallimenti di imprese al giorno (fonte Cerved, gruppo specializzato nell'analisi delle imprese e nella valutazione del rischio di credito);
è necessario che siano ripristinate le condizioni affinché le realtà industriali di maggior peso e vocazione internazionale, insieme alle piccole e medie imprese allocate nei settori strategici e in altri comparti – come l'automazione meccanica, l'aeronautica, la trasformazione alimentare, il tessile, la moda, la chimica e altri ancora – possano svilupparsi in termini di innovazione nel prodotto e nei sistemi produttivi;
esistono, inoltre, ampi margini per lo sviluppo di comparti trascurati e suscettibili di forte innovazione, quali quelli della produzione automobilistica legata ai motori a basso impatto ambientale, della costruzione di materiale rotabile e automazione ferroviaria, delle biotecnologie, dell'elettronica, della farmaceutica, delle nanotecnologie, della chimica verde, delle tecnologie di recycling e quant'altro: tutti settori ad altissimo valore aggiunto che andrebbero presi in considerazione nel contesto di una pianificazione industriale mai realizzata e attuata nel nostro Paese;
le filiere devono essere ottimizzate con una seria radicazione territoriale relativa all'intero ciclo di produzione: non è razionale né economico che, ad esempio, un pantalone venga inviato negli stabilimenti di una città per fare l'orlo e poi viaggi in un'altra per l'applicazione dei bottoni;
inoltre, le imprese che lavorano nel manifatturiero sanno conquistare il mercato estero con l'alta qualità dei prodotti made in Italy che nascono in larga parte nell'artigianato e nelle piccole aziende ben radicate nei territori italiani. Ma bisogna preservare questo modello produttivo dal mercato della contraffazione che provoca ingenti danni economici e d'immagine a tali realtà. Infatti, bisogna intraprendere un'efficace politica antidumping in sede di Unione europea, per contrastare i fenomeni di concorrenza sleale oltre ad attuare, con strumenti normativi nazionali, una lotta serrata alla contraffazione sul territorio e nelle aree doganali;
un piano industriale che abbia senso deve tener conto anche della riallocazione efficiente di tutte le risorse produttive, tra le quali spicca la forza lavoro. Quest'ultima è la più importante in quanto assume, dal punto di vista economico, la duplice veste di fattore produttivo e di consumo nel mercato interno,
impegna il Governo:
ad adottare un serio piano industriale per il settore manifatturiero in base alle seguenti indicazioni:
a) assumere iniziative per allentare il patto di stabilità interno per favorire gli investimenti degli enti locali e il rilancio dei sistemi produttivi regionali;
b) semplificare gli oneri burocratici a carico delle aziende;
c) assumere iniziative per ridurre il cuneo fiscale in modo da abbassare il costo del lavoro legato alle imposte e favorire le assunzioni da parte delle aziende;
d) ridimensionare la portata degli studi di settore, rideterminando i sistemi di calcolo e i moltiplicatori da aggiornare in base all'andamento dell'economia;
e) assumere iniziative per abolire l'Imposta regionale sulle attività produttive (Irap) per le imprese con meno di 10 dipendenti e con un fatturato annuo non superiore a 2 milioni di euro;
f) riorganizzare ed efficientare agenzie e società finalizzate a sostenere la proiezione nel mercato internazionale delle imprese italiane e a favorire l'attrazione di investimenti stranieri;
g) assumere iniziative a sostegno delle industrie con un prevalente mercato interno, valorizzando prodotti e filiera totalmente italiani;
h) promuovere una normativa che vieti gli incroci azionari tra sistema bancario e sistema industriale in modo da evitare, su quest'ultimo, indebite pressioni determinate da speculazioni degli istituti di credito;
i) procedere all'abolizione dei monopoli di fatto – come quelli che vedono la primazia nei rispettivi comparti di Telecom Italia, Autostrade spa, Eni, Enel e le Ferrovie dello Stato – per garantire una reale concorrenza;
l) favorire lo sviluppo di reti d'imprese come elemento di aggregazione che consenta alle piccole e medie imprese di affrontare le sfide del mercato nazionale ed internazionale grazie alla fiscalità di vantaggio e all'accesso semplificato al credito;
m) completare alcune liberalizzazioni – come quelle relative agli ordini professionali – proposte ed auspicate nella relazione annuale 2013 dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, accompagnate da interventi che garantiscano l'equità sociale e che favoriscano, anche attraverso appropriate riforme del diritto del lavoro, nuove opportunità di inserimento per i soggetti interessati;
n) introdurre un sistema premiale per le aziende che producono con processi virtuosi finalizzati a ridurre il consumo energetico per unità di prodotto realizzato e a impiegare materie prime secondarie provenienti dalla filiera del riciclo;
o) assumere iniziative per allineare le tariffe di energia, connettività, telefonia, elettricità e trasporti agli altri Paesi europei, in modo da favorire sia gli utenti domestici che aziendali;
p) promuovere la ricerca e lo sviluppo con spiccate capacità innovative, sia in ambito universitario che privato;
q) attuare immediatamente le misure previste dall'Agenda digitale europea per contrastare il digital divide che non consente lo sviluppo delle aziende, frenando l’e-commerce e le formule alternative di impiego come il telelavoro;
r) incentivare linee produttive legate alla filiera corta, ecocompatibili e radicate nel territorio;
s) intraprendere una concreta politica antidumping in sede di politica commerciale europea, per contrastare i fenomeni di concorrenza sleale;
t) mettere in atto con gli strumenti della politica nazionale una serrata lotta alla contraffazione nelle dogane e sul territorio, in difesa dei consumatori e della produzione nazionale;
u) intervenire con iniziative urgenti per aumentare la garanzia legale sui prodotti commerciali, in modo da contrastare l'obsolescenza programmata, fenomeno in base al quale un bene tecnologico è deliberatamente progettato per durare solo un certo numero di anni.
(1-00223) «Prodani, Vallascas, Crippa, Della Valle, Da Villa, Fantinati, Mucci, Petraroli, Nuti».
La Camera,
premesso che:
l'industria manifatturiera rappresenta il settore economico di riferimento del tessuto economico italiano. Le attuali difficoltà nel mantenimento e nello sviluppo dei livelli produttivi di questo comparto rendono necessari interventi di politica industriale volti all'eliminazione delle diseconomie strutturali, legate a normative nazionali, comunitarie e internazionali che hanno contribuito, nell'arco degli ultimi vent'anni, alla perdita di competitività dell'Italia;
le politiche neoliberiste successive all'Accordo generale sulle tariffe ed il commercio (Gatt) del 1947, ratificato e perfezionato con l'istituzione del WTO (World Trade Organization) nel 1995, hanno spinto alla progressiva compressione di principi come la giusta retribuzione, il diritto alla salute dei lavoratori e il rispetto dell'ambiente, solo recentemente tornati all'attenzione mondiale;
l'attuale contesto internazionale, che vede in ascesa i Paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) nell'ambito di un'economia mondiale ampiamente delocalizzata, ha causato una rapida perdita di posizioni del nostro Paese, travolto dalla crisi economica iniziata nel 2008 e ancora in corso;
la gravità del contesto macroeconomico internazionale è testimoniata dal fatto che l'Italia nel 2013 sarà fuori dal G8 a causa dell'aumento del debito pubblico – che ha raggiunto il 133,3 per cento del prodotto interno lordo nel secondo trimestre 2013 – mentre il prodotto interno lordo non accenna ad aumentare. L'Italia, infatti, è stata superata dalla Russia, scivolando al nono posto dal sesto in cui si trovava nel 1975, quando entrò nel cosiddetto club dei grandi;
l'Italia, comunque, continuerà a partecipare ai vertici dei «grandi della Terra», ma solo per ragioni politiche, non economiche, fatto di estrema gravità;
nel corso degli anni sono state istituite una miriade di agenzie e di società pubbliche – come l'Ice (Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane), Promuovitalia, Invitalia, Simest ed altre – finalizzate a sostenere le imprese nazionali interessate al commercio estero e per l'attrazione di investimenti stranieri. Per quest'ultimo ambito, l'Esecutivo ha recentemente annunciato la nascita di una nuova società, Destinazione Italia spa, rendendo ancora più confuso il quadro di riferimento per gli investitori internazionali;
malgrado le serie difficoltà riscontrate nei mercati internazionali, le piccole e medie imprese italiane rappresentano un elemento essenziale nell'organizzazione industriale del Paese – sia per il numero di addetti che in termini di contributo al prodotto interno lordo e capacità di creazione e redistribuzione capillare di valore aggiunto – come testimoniato per l’export dalla bilancia commerciale positiva per 8,86 miliardi di euro, registrata nel 2012 dall'Ice;
le piccole e medie imprese, volano del sistema produttivo italiano, negli anni passati hanno potuto contare su assetti distributivi e su politiche monetarie domestiche di sostegno per la loro affermazione sui mercati internazionali, nonché su politiche di espansione determinate da interventi sui redditi e a favore della piena occupazione che ne hanno favorito anche la persistenza sul mercato interno;
le criticità maggiori attualmente riscontrate riguardano proprio il mercato domestico, in cui risultano evidenti le debolezze del sistema produttivo, imputabili a svariate cause come un sistema fiscale sbilanciato su imprese e famiglie, gravi ritardi infrastrutturali, la presenza invasiva della burocrazia, la stretta al credito da parte di banche ormai solo finanziarie, il pessimo funzionamento dei servizi, le poche risorse destinate alla ricerca e sviluppo, la presenza di forti squilibri tra il nord e il sud del Paese, unita agli scarsi incentivi allo sviluppo della green economy;
la mancata riforma strutturale del sistema produttivo ha aggravato la crisi economica in corso, ritardando la competitività del Paese rispetto alle altre economie emergenti e causando, nei primi quattro mesi del 2013, la chiusura di ben 4.218 le aziende, il 13 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2012, già drammatico per aver registrato la media di 34 fallimenti di imprese al giorno (fonte Cerved, gruppo specializzato nell'analisi delle imprese e nella valutazione del rischio di credito);
è necessario che siano ripristinate le condizioni affinché le realtà industriali di maggior peso e vocazione internazionale, insieme alle piccole e medie imprese allocate nei settori strategici e in altri comparti – come l'automazione meccanica, l'aeronautica, la trasformazione alimentare, il tessile, la moda, la chimica e altri ancora – possano svilupparsi in termini di innovazione nel prodotto e nei sistemi produttivi;
esistono, inoltre, ampi margini per lo sviluppo di comparti trascurati e suscettibili di forte innovazione, quali quelli della produzione automobilistica legata ai motori a basso impatto ambientale, della costruzione di materiale rotabile e automazione ferroviaria, delle biotecnologie, dell'elettronica, della farmaceutica, delle nanotecnologie, della chimica verde, delle tecnologie di recycling e quant'altro: tutti settori ad altissimo valore aggiunto che andrebbero presi in considerazione nel contesto di una pianificazione industriale mai realizzata e attuata nel nostro Paese;
le filiere devono essere ottimizzate con una seria radicazione territoriale relativa all'intero ciclo di produzione: non è razionale né economico che, ad esempio, un pantalone venga inviato negli stabilimenti di una città per fare l'orlo e poi viaggi in un'altra per l'applicazione dei bottoni;
inoltre, le imprese che lavorano nel manifatturiero sanno conquistare il mercato estero con l'alta qualità dei prodotti made in Italy che nascono in larga parte nell'artigianato e nelle piccole aziende ben radicate nei territori italiani. Ma bisogna preservare questo modello produttivo dal mercato della contraffazione che provoca ingenti danni economici e d'immagine a tali realtà. Infatti, bisogna intraprendere un'efficace politica antidumping in sede di Unione europea, per contrastare i fenomeni di concorrenza sleale oltre ad attuare, con strumenti normativi nazionali, una lotta serrata alla contraffazione sul territorio e nelle aree doganali;
un piano industriale che abbia senso deve tener conto anche della riallocazione efficiente di tutte le risorse produttive, tra le quali spicca la forza lavoro. Quest'ultima è la più importante in quanto assume, dal punto di vista economico, la duplice veste di fattore produttivo e di consumo nel mercato interno,
impegna il Governo:
ad adottare un serio piano industriale per il settore manifatturiero in base alle seguenti indicazioni:
a) assumere iniziative per allentare il patto di stabilità interno per favorire gli investimenti degli enti locali e il rilancio dei sistemi produttivi regionali, previo rinvenimento di adeguate risorse finanziarie a compensazione degli effetti peggiorativi che la stessa può determinare sui saldi di finanza pubblica;
b) ad adottare le opportune iniziative per la semplificazione del quadro normativo di riferimento al fine di restituire maggiore competitività alle imprese;
c) assumere iniziative per ridurre il cuneo fiscale in modo da abbassare il costo del lavoro legato alle imposte e favorire le assunzioni da parte delle aziende;
d) riorganizzare ed efficientare agenzie e società finalizzate a sostenere la proiezione nel mercato internazionale delle imprese italiane e a favorire l'attrazione di investimenti stranieri;
e) assumere iniziative a sostegno delle industrie con un prevalente mercato interno, valorizzando prodotti e filiera totalmente italiani;
f) procedere allo sviluppo della concorrenza sui mercati regolamentati, minimizzando le situazioni di posizione dominante;
g) favorire lo sviluppo di reti d'imprese come elemento di aggregazione che consenta alle piccole e medie imprese di affrontare le sfide del mercato nazionale ed internazionale grazie alla fiscalità di vantaggio e all'accesso semplificato al credito;
h) completare alcune liberalizzazioni – come quelle relative agli ordini professionali – proposte ed auspicate nella relazione annuale 2013 dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, accompagnate da interventi che garantiscano l'equità sociale e che favoriscano, anche attraverso appropriate riforme del diritto del lavoro, nuove opportunità di inserimento per i soggetti interessati;
i) introdurre un sistema premiale per le aziende che producono con processi virtuosi finalizzati a ridurre il consumo energetico per unità di prodotto realizzato e a impiegare materie prime secondarie provenienti dalla filiera del riciclo;
l) assumere iniziative per allineare le tariffe di energia, connettività, telefonia, elettricità e trasporti agli altri Paesi europei, in modo da favorire sia gli utenti domestici che aziendali;
m) promuovere la ricerca e lo sviluppo con spiccate capacità innovative, sia in ambito universitario che privato;
n) attuare le misure previste dall'Agenda digitale europea per contrastare il digital divide che non consente lo sviluppo delle aziende, frenando l’e-commerce e le formule alternative di impiego come il telelavoro;
o) valutare le modalità per incentivare linee produttive legate alla filiera corta, ecocompatibili e radicate nel territorio;
p) a promuovere, intervenendo sull'Unione europea, misure idonee per evitare fenomeni di dumping e affinché gli Stati membri del WTO rimuovano le barriere non tariffarie che ostacolano l'accesso ai mercati;
q) mettere in atto con gli strumenti della politica nazionale una serrata lotta alla contraffazione nelle dogane e sul territorio, in difesa dei consumatori e della produzione nazionale;
r) intervenire con iniziative urgenti per aumentare la garanzia legale sui prodotti commerciali, in modo da contrastare l'obsolescenza programmata, fenomeno in base al quale un bene tecnologico è deliberatamente progettato per durare solo un certo numero di anni.
(1-00223)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Prodani, Vallascas, Crippa, Della Valle, Da Villa, Fantinati, Mucci, Petraroli, Nuti».
La Camera,
premesso che:
l'Italia sta pagando un prezzo molto alto alla profonda e lunga recessione il cui impatto sull'apparato manifatturiero è stato devastante;
l'Italia è ancora un grande Paese sviluppato, con un tessuto manifatturiero di livello mondiale ma numerosi indicatori evidenziano il costante arretramento nel contesto internazionale;
è dei giorni scorsi la notizia che l'Italia è scivolata dal quinto posto conquistato nel 1986 all'attuale nono posto tra i paesi del mondo con un maggior prodotto interno lordo;
dopo la Cina nel 2000 e il Brasile nel 2010, la Russia è cresciuta posizionandosi sopra il nostro Paese che, fra non più di cinque anni, rischia di essere scavalcato da Canada e India ed estromesso anche dai primi dieci;
la crisi ha distrutto una parte importante del potenziale manifatturiero, oltre il 15 per cento con una punta del 40 per cento negli autoveicoli e cali di almeno un quinto in 14 settori su 22 (dati Centro studi Confindustria);
l'Italia resta un i maggiori paesi che producono ricchezza ma perde costantemente posizioni nei confronti dei paesi emergenti, in particolare dei cosiddetti BRICS, e vede ampliare il gap nei confronti degli altri paesi maggiormente sviluppati che pure soffrono, ma in misura inferiore all'Italia, la riduzione delle loro quote percentuali di prodotto interno lordo mondiale;
tra il 2007 e il 2012, inoltre, la caduta di occupati nel manifatturiero è stata pari a 539.000 unità, superando in tal modo la caduta di 490,000 rilevata tra il 1990 e il 1994 e rischiando di superare quella registrata tra il 1980 e il 1985 (-724.000);
anche le aziende manifatturiere più sane sono a rischio a causa del credit crunch, che per l'industria ha determinato una riduzione dei prestiti del 10,1 per cento (-26 miliardi di euro) tra il 2011 e il 2013;
nel manifatturiero la disponibilità di liquidità è risalita negli ultimi mesi, ma resta molto ridotta rispetto alle esigenze operative e le aziende continuano a prevedere liquidità in calo;
l’export italiano, prima della crisi, si basava su un settore manifatturiero la cui vasta gamma di prodotti era in grado di generare un elevato valore negli scambi con l'estero; per tornare ai livelli pre-crisi, sarà necessario ricreare interi pezzi del manifatturiero nazionale che, tra delocalizzazioni, fallimenti e chiusure è diminuito tra la fine del 2007 e la fine del 2012 dell'8,3 per cento, con un saldo, tra imprese nate e imprese cessate, di -32 mila;
nonostante ciò, l'unico dato positivo viene proprio dall’export e dalla competitività delle imprese italiane sui mercati esteri, con un aumento del 5 per cento del valore delle esportazioni (nel complesso stimata a oltre 470 miliardi di euro nel 2012) e a una contrazione delle importazioni grazie ai quali, nell'anno appena concluso, il nostro Paese ha conseguito un saldo commerciale positivo di circa 10 miliardi di euro, risultato che non veniva raggiunto da circa 10 anni;
il sistema produttivo italiano si compone di pochi grandi gruppi industriali, la cui dimensione è mediamente inferiore a quella dei loro competitori esteri, ed è caratterizzato da un alto numero di piccole e medie imprese fortemente dinamiche e flessibili ma più esposte ai danni di una lunga recessione;
la presenza di grandi imprese manifatturiere capaci di competere a livello internazionale è un pilastro fondamentale della politica industriale, anche per sostenere le piccole e medie imprese e accrescere la competitività del sistema messo a dura prova dall'apertura dei mercati e dall'altissimo livello di concorrenza sul piano globale;
nonostante il rallentamento della domanda internazionale, l’export rappresenta ancora oltre la metà del fatturato delle imprese dei distretti, ad essi fa riferimento ancora oggi più di un quarto delle vendite estere;
malgrado le difficoltà, queste realtà produttive hanno realizzato un risultato complessivamente positivo nel 2012 e per il 2013 il 37,4 per cento delle imprese appartenenti alle filiere distrettuali attende un andamento crescente delle esportazioni;
alla tenuta dell’export, si accompagna tuttavia una domanda interna ancora in forte contrazione che porta a un calo stimato del fatturato complessivo a chiusura del 2012 pari a -2,8 per cento, solo in parte bilanciato dalla debole ripresa prevista nel 2013 (+1,1 cento);
sono ancora molto consistenti (47) i distretti che nei primi nove mesi del 2012 hanno superato i livelli di export registrati nel 2008, prima della crisi: di questi ben 17 appartengono al comparto abbigliamento moda, 13 al comparto alimentare e 9 all'automazione meccanica; inoltre, 20 distretti hanno aumentato l’export del 2008 più del 20 per cento, con punte dell'80 per cento per i prodotti dell'industria casearia di Parma, del 77 per cento per l'elettronica di Catania, del 35,9 per cento per la pelletteria fiorentina;
le potenzialità del manifatturiero italiano basato in larga parte sulla forza del made in, non possono far dimenticare la debolezza del sistema che si può far risalire a molteplici fattori:
gli eccessivi costi dell'energia;
un sistema fiscale farraginoso e tendenzialmente spostato sulle imprese e sulle famiglie;
un'insufficiente dotazione infrastrutturale con particolare riguardo ai settori del trasporto, della logistica e della banda larga;
una burocrazia ancora troppo lenta;
uno scarso collegamento tra formazione, ricerca e imprese;
un costo elevato dei servizi bancari, delle assicurazioni, delle professioni e dei servizi in genere;
un mercato del lavoro ancora troppo caratterizzato da un'occupazione scarsamente posizionata nei settori tecnologici e della green economy;
il permanere di forti squilibri territoriali tra Nord e Sud;
è necessario impostare un'adeguata politica industriale investendo sui settori più importanti dalla produzione di macchinari, alla meccanica di precisione, al settore dell'auto e avionico, al settore metallurgico e dell'acciaio, al settore della chimica fine e intermedia, a quello dell'abbigliamento, del mobile, all'agroalimentare;
il rilancio del settore manifatturiero è il perno di una ripresa che non potrà essere realizzata senza affrontare le debolezze strutturali e le arretratezze che limitano il dinamismo del sistema, assicurando riforme, strumenti innovativi e risorse in grado di avviare un nuovo ciclo di crescita basato sullo sviluppo dell'occupazione, sulla compatibilità ambientale e sociale, sull'internazionalizzazione dell'apparato produttivo, sull'attrazione degli investimenti esteri, riposizionando l'Italia all'interno dell'economia globale, con le proprie peculiarità imprenditoriali e creative,
impegna il Governo:
ad attuare un programma nazionale di politica industriale che punti a rafforzamento del sistema produttivo ed all'innalzamento della competitività delle imprese italiane sui mercati internazionali;
per quanto riguarda il tema energetico, a realizzare una politica più concorrenziale, in linea con le direttive dell'Unione europea, fondata sull'efficienza e sul risparmio energetico, sulla diversificazione delle fonti, sulla riduzione dei combustibili fossili, sullo sviluppo delle fonti rinnovabili, sul potenziamento delle infrastrutture;
a sostenere la competitività delle imprese nazionali puntando ad una maggiore differenziazione delle fonti energetiche e a ridurre in particolare il differenziale di costo del gas naturale (metano), rispetto ai competitori europei, che penalizza pesantemente le imprese industriali energivore;
a favorire la concorrenzialità nel mercato del gas, dell'accesso alle reti, del potenziamento della capacità di stoccaggio, per garantire una maggiore pluralità e differenziazione sul lato dell'offerta, in modo da ridurre il costo del gas principale materia prima di molte industrie manifatturiere, in particolare di quella delle ceramiche;
per quanto riguarda il tema dell'accesso al credito, ad assumere iniziative per garantire alle imprese un adeguato flusso di finanziamenti, rendendo più moderne e trasparenti le relazioni tra banche e imprese così da consentire alle singole aziende di beneficiare di condizioni dipendenti dalla propria qualità creditizia, senza dover scontare inefficienze di altri;
a rendere più spedite le procedure di accesso da parte delle imprese agli strumenti di sostegno del reddito;
per quanto riguarda la semplificazione amministrativa, a ottenere un effettivo snellimento burocratico, in un contesto caratterizzato da un eccesso di leggi, scarsità o duplicazione dei controlli, sovrapposizione di competenze;
per quanto riguarda la tutela delle produzioni nazionali, a promuovere le iniziative necessarie in sede comunitaria per adottare una normativa in materia anticontraffazione e made in che introduca l'obbligo di indicazione di origine per tutti i prodotti per i quali non esista già una regolamentazione specifica in materia;
a intervenire presso l'Unione europea per promuovere, su scala mondiale, l'adozione di standard di reciprocità a livello sociale e ambientale, per evitare fenomeni di dumping, e affinché gli Stati membri del WTO rimuovano le barriere non tariffarie che ostacolano l'accesso ai mercati;
a garantire il rafforzamento delle misure di riduzione del costo del lavoro sulle imprese e sui lavoratori, in modo da incrementare l'occupazione e i redditi disponibili;
ad affiancare a queste azioni di contesto interventi più mirati che consentano al sistema produttivo di recuperare competitività sui mercati internazionali, e in particolare a sviluppare nuove tecnologie, processi, prodotti, servizi e sistemi che possano offrire interessanti sbocchi occupazionali e di crescita economica;
a sostenere l'ingresso delle filiere produttive nazionali nelle catene del valore globali, anche attraverso il sostegno all'aggregazione di imprese;
ad adottare adeguate politiche industriali per il rilancio competitivo di alcuni grandi player strategici nazionali quali, ad esempio, Finmeccanica ed in particolare Ansaldo Breda, Ansaldo STS, Ansaldo Energia e Breda Menarini;
a intervenire in settori strategici come l’automotive al fine di consentirne un processo di transizione verso lo sviluppo di una mobilità sostenibile, rafforzando in particolare l'innalzamento tecnologico della filiera della componentistica;
a riorganizzare il sistema degli incentivi alle imprese, orientando le risorse pubbliche verso la realizzazione di grandi progetti di ricerca e innovazione industriale, anche tramite importanti interventi di domanda pubblica innovativa;
a favorire la costruzione di grandi reti e infrastrutture di ricerca con radicamento locale anche in partnership pubblico-privata;
a rafforzare la finanza specializzata per l'innovazione, anche attraverso l'azione delle fondazioni bancarie più radicate nei territori;
a promuovere la crescita di un capitale umano altamente qualificato anche tramite l'adozione di provvedimenti che ne favoriscano l'assunzione da parte del sistema delle imprese;
a garantire l'effettiva applicazione dello small business act, in particolare applicando la norma che prevede la presentazione al Parlamento di un disegno di legge annuale per le micro, piccole e medie imprese;
a sostenere la ricostruzione del tessuto produttivo delle aree colpite dal sisma del 20 e 29 maggio 2012, dove si concentra un numero rilevantissimo di imprese fortemente vocate all’export.
(1-00225)
(Nuova formulazione) «Benamati, Basso, Bini, Cani, Civati, Del Basso De Caro, Donati, Folino, Galperti, Ginefra, Impegno, Mariano, Martella, Montroni, Nardella, Peluffo, Petitti, Portas, Senaldi, Taranto, Carra».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)
La Camera,
premesso che:
l'Italia sta pagando un prezzo molto alto alla profonda e lunga recessione il cui impatto sull'apparato manifatturiero è stato devastante;
l'Italia è ancora un grande Paese sviluppato, con un tessuto manifatturiero di livello mondiale ma numerosi indicatori evidenziano il costante arretramento nel contesto internazionale;
è dei giorni scorsi la notizia che l'Italia è scivolata dal quinto posto conquistato nel 1986 all'attuale nono posto tra i paesi del mondo con un maggior prodotto interno lordo;
dopo la Cina nel 2000 e il Brasile nel 2010, la Russia è cresciuta posizionandosi sopra il nostro Paese che, fra non più di cinque anni, rischia di essere scavalcato da Canada e India ed estromesso anche dai primi dieci;
la crisi ha distrutto una parte importante del potenziale manifatturiero, oltre il 15 per cento con una punta del 40 per cento negli autoveicoli e cali di almeno un quinto in 14 settori su 22 (dati Centro studi Confindustria);
l'Italia resta un i maggiori paesi che producono ricchezza ma perde costantemente posizioni nei confronti dei paesi emergenti, in particolare dei cosiddetti BRICS, e vede ampliare il gap nei confronti degli altri paesi maggiormente sviluppati che pure soffrono, ma in misura inferiore all'Italia, la riduzione delle loro quote percentuali di prodotto interno lordo mondiale;
tra il 2007 e il 2012, inoltre, la caduta di occupati nel manifatturiero è stata pari a 539.000 unità, superando in tal modo la caduta di 490,000 rilevata tra il 1990 e il 1994 e rischiando di superare quella registrata tra il 1980 e il 1985 (-724.000);
anche le aziende manifatturiere più sane sono a rischio a causa del credit crunch, che per l'industria ha determinato una riduzione dei prestiti del 10,1 per cento (-26 miliardi di euro) tra il 2011 e il 2013;
nel manifatturiero la disponibilità di liquidità è risalita negli ultimi mesi, ma resta molto ridotta rispetto alle esigenze operative e le aziende continuano a prevedere liquidità in calo;
l’export italiano, prima della crisi, si basava su un settore manifatturiero la cui vasta gamma di prodotti era in grado di generare un elevato valore negli scambi con l'estero; per tornare ai livelli pre-crisi, sarà necessario ricreare interi pezzi del manifatturiero nazionale che, tra delocalizzazioni, fallimenti e chiusure è diminuito tra la fine del 2007 e la fine del 2012 dell'8,3 per cento, con un saldo, tra imprese nate e imprese cessate, di -32 mila;
nonostante ciò, l'unico dato positivo viene proprio dall’export e dalla competitività delle imprese italiane sui mercati esteri, con un aumento del 5 per cento del valore delle esportazioni (nel complesso stimata a oltre 470 miliardi di euro nel 2012) e a una contrazione delle importazioni grazie ai quali, nell'anno appena concluso, il nostro Paese ha conseguito un saldo commerciale positivo di circa 10 miliardi di euro, risultato che non veniva raggiunto da circa 10 anni;
il sistema produttivo italiano si compone di pochi grandi gruppi industriali, la cui dimensione è mediamente inferiore a quella dei loro competitori esteri, ed è caratterizzato da un alto numero di piccole e medie imprese fortemente dinamiche e flessibili ma più esposte ai danni di una lunga recessione;
la presenza di grandi imprese manifatturiere capaci di competere a livello internazionale è un pilastro fondamentale della politica industriale, anche per sostenere le piccole e medie imprese e accrescere la competitività del sistema messo a dura prova dall'apertura dei mercati e dall'altissimo livello di concorrenza sul piano globale;
nonostante il rallentamento della domanda internazionale, l’export rappresenta ancora oltre la metà del fatturato delle imprese dei distretti, ad essi fa riferimento ancora oggi più di un quarto delle vendite estere;
malgrado le difficoltà, queste realtà produttive hanno realizzato un risultato complessivamente positivo nel 2012 e per il 2013 il 37,4 per cento delle imprese appartenenti alle filiere distrettuali attende un andamento crescente delle esportazioni;
alla tenuta dell’export, si accompagna tuttavia una domanda interna ancora in forte contrazione che porta a un calo stimato del fatturato complessivo a chiusura del 2012 pari a -2,8 per cento, solo in parte bilanciato dalla debole ripresa prevista nel 2013 (+1,1 cento);
sono ancora molto consistenti (47) i distretti che nei primi nove mesi del 2012 hanno superato i livelli di export registrati nel 2008, prima della crisi: di questi ben 17 appartengono al comparto abbigliamento moda, 13 al comparto alimentare e 9 all'automazione meccanica; inoltre, 20 distretti hanno aumentato l’export del 2008 più del 20 per cento, con punte dell'80 per cento per i prodotti dell'industria casearia di Parma, del 77 per cento per l'elettronica di Catania, del 35,9 per cento per la pelletteria fiorentina;
le potenzialità del manifatturiero italiano basato in larga parte sulla forza del made in, non possono far dimenticare la debolezza del sistema che si può far risalire a molteplici fattori:
gli eccessivi costi dell'energia;
un sistema fiscale farraginoso e tendenzialmente spostato sulle imprese e sulle famiglie;
un'insufficiente dotazione infrastrutturale con particolare riguardo ai settori del trasporto, della logistica e della banda larga;
una burocrazia ancora troppo lenta;
uno scarso collegamento tra formazione, ricerca e imprese;
un costo elevato dei servizi bancari, delle assicurazioni, delle professioni e dei servizi in genere;
un mercato del lavoro ancora troppo caratterizzato da un'occupazione scarsamente posizionata nei settori tecnologici e della green economy;
il permanere di forti squilibri territoriali tra Nord e Sud;
è necessario impostare un'adeguata politica industriale investendo sui settori più importanti dalla produzione di macchinari, alla meccanica di precisione, al settore dell'auto e avionico, al settore metallurgico e dell'acciaio, al settore della chimica fine e intermedia, a quello dell'abbigliamento, del mobile, all'agroalimentare;
il rilancio del settore manifatturiero è il perno di una ripresa che non potrà essere realizzata senza affrontare le debolezze strutturali e le arretratezze che limitano il dinamismo del sistema, assicurando riforme, strumenti innovativi e risorse in grado di avviare un nuovo ciclo di crescita basato sullo sviluppo dell'occupazione, sulla compatibilità ambientale e sociale, sull'internazionalizzazione dell'apparato produttivo, sull'attrazione degli investimenti esteri, riposizionando l'Italia all'interno dell'economia globale, con le proprie peculiarità imprenditoriali e creative,
impegna il Governo:
ad attuare un programma nazionale di politica industriale che punti a rafforzamento del sistema produttivo ed all'innalzamento della competitività delle imprese italiane sui mercati internazionali;
per quanto riguarda il tema energetico, a realizzare una politica più concorrenziale, in linea con le direttive dell'Unione europea, fondata sull'efficienza e sul risparmio energetico, sulla diversificazione delle fonti, sulla riduzione dei combustibili fossili, sullo sviluppo delle fonti rinnovabili, sul potenziamento delle infrastrutture;
a sostenere la competitività delle imprese nazionali puntando ad una maggiore differenziazione delle fonti energetiche e a ridurre in particolare il differenziale di costo del gas naturale (metano), rispetto ai competitori europei, che penalizza pesantemente le imprese industriali energivore;
a favorire la concorrenzialità nel mercato del gas, dell'accesso alle reti, del potenziamento della capacità di stoccaggio, per garantire una maggiore pluralità e differenziazione sul lato dell'offerta, in modo da ridurre il costo del gas principale materia prima di molte industrie manifatturiere, in particolare di quella delle ceramiche;
per quanto riguarda il tema dell'accesso al credito, ad assumere iniziative per garantire alle imprese un adeguato flusso di finanziamenti, rendendo più moderne e trasparenti le relazioni tra banche e imprese così da consentire alle singole aziende di beneficiare di condizioni dipendenti dalla propria qualità creditizia, senza dover scontare inefficienze di altri;
a rendere più spedite le procedure di accesso da parte delle imprese agli strumenti di sostegno del reddito;
per quanto riguarda la semplificazione amministrativa, a ottenere un effettivo snellimento burocratico, in un contesto caratterizzato da un eccesso di leggi, scarsità o duplicazione dei controlli, sovrapposizione di competenze;
per quanto riguarda la tutela delle produzioni nazionali, a promuovere le iniziative necessarie in sede comunitaria per adottare una normativa in materia anticontraffazione e made in che introduca l'obbligo di indicazione di origine per tutti i prodotti per i quali non esista già una regolamentazione specifica in materia;
a intervenire presso l'Unione europea per promuovere, su scala mondiale, l'adozione di standard di reciprocità a livello sociale e ambientale, per evitare fenomeni di dumping, e affinché gli Stati membri del WTO rimuovano le barriere non tariffarie che ostacolano l'accesso ai mercati;
a garantire il rafforzamento delle misure di riduzione del costo del lavoro sulle imprese e sui lavoratori, in modo da incrementare l'occupazione e i redditi disponibili;
ad affiancare a queste azioni di contesto interventi più mirati che consentano al sistema produttivo di recuperare competitività sui mercati internazionali, e in particolare a sviluppare nuove tecnologie, processi, prodotti, servizi e sistemi che possano offrire interessanti sbocchi occupazionali e di crescita economica;
a sostenere l'ingresso delle filiere produttive nazionali nelle catene del valore globali, anche attraverso il sostegno all'aggregazione di imprese;
ad adottare adeguate politiche industriali per il rilancio competitivo di alcuni grandi player strategici nazionali quali, ad esempio, Finmeccanica ed in particolare Ansaldo Breda, Ansaldo STS, Ansaldo Energia e Breda Menarini;
a intervenire in settori strategici come l’automotive al fine di consentirne un processo di transizione verso lo sviluppo di una mobilità sostenibile, rafforzando in particolare l'innalzamento tecnologico della filiera della componentistica;
a riorganizzare il sistema degli incentivi alle imprese, in particolare orientando le risorse pubbliche verso la realizzazione di grandi progetti di ricerca e innovazione industriale, anche tramite importanti interventi di domanda pubblica innovativa;
a favorire la costruzione di grandi reti e infrastrutture di ricerca con radicamento locale anche in partnership pubblico-privata;
a valutare la possibilità di rafforzare la finanza specializzata per l'innovazione, anche eventualmente attraverso l'azione delle fondazioni bancarie più radicate nei territori;
a promuovere la crescita di un capitale umano altamente qualificato anche tramite l'adozione di provvedimenti che ne favoriscano l'assunzione da parte del sistema delle imprese;
a garantire l'effettiva applicazione dello small business act, valutando in particolare l'opportunità di prevedere la presentazione al Parlamento di un disegno di legge annuale per le micro, piccole e medie imprese;
a sostenere la ricostruzione del tessuto produttivo delle aree colpite dal sisma del 20 e 29 maggio 2012, dove si concentra un numero rilevantissimo di imprese fortemente vocate all’export.
(1-00225)
(Nuova formulazione – Testo modificato nel corso della seduta) «Benamati, Basso, Bini, Cani, Civati, Del Basso De Caro, Donati, Folino, Galperti, Ginefra, Impegno, Mariano, Martella, Montroni, Nardella, Peluffo, Petitti, Portas, Senaldi, Taranto, Carra».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)