XVII LEGISLATURA
ATTI DI INDIRIZZO
Risoluzione in Commissione:
La XI Commissione,
premesso che:
Nel luglio 2013 l'azienda NSN (Nokia Solution Network) ha avviato una nuova procedura di mobilità per 226 lavoratori prima della conclusione dell'accordo annuale di gestione esuberi del 29 ottobre 2013 e senza aver presentato un piano industriale al Ministro dello sviluppo economico;
il 24 settembre 2013, presso la sede del Ministero del lavoro e delle politiche sociali si è svolto l'incontro tra i sindacati e direzione aziendale di NSN alla presenza dell'amministratore delegato;
l'incontro si è tenuto in quanto la multinazionale ha attivato la procedura di licenziamento per 226 addetti, non tenendo debitamente in conto che vi è un accordo in essere che scade il 31 ottobre 2013. L'intervento del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha ribadito l'efficacia dell'accordo ministeriale dello scorso anno e quindi NSN ha dovuto prenderne atto;
tale accordo risalente al 29 ottobre 2012, prevedeva una gestione della crisi attraverso l'utilizzo della cassa integrazione guadagni straordinari per 12 mesi per un massimo di 377 dipendenti con l'utilizzo di uscite incentivate anche attraverso lo strumento della mobilità per un massimo di 349 dipendenti, con il presupposto che le uscite concorrono alla diminuzione del numero delle collocazioni in cassa integrazione guadagni straordinari;
l'impegno firmato nell'accordo tra società e organizzazioni sindacali per il recupero delle attività svolte da società esterne e/o consulenti, non solo è disatteso in quanto continuano ad operare consulenti esterni su attività che potrebbero essere svolte da lavoratori sospesi in cassa integrazione guadagni straordinari ma ci risulta, un incremento di queste attività anche attraverso lavoratori dimissionati;
NSN ha gestito male da una parte la rotazione e dall'altra ha ridotto il quantum economico per incentivare le uscite;
a questo NSN deve aggiungere il proprio fallimento nell'operazione MICROWAVE che appesantisce ancora di più il numero degli esuberi: questa è, infatti l'ultima operazione industriale di NSN verso un processo di dismissione delle attività in Italia;
anche lo spostamento di attività verso paesi a basso costo (asiatici, est europei e Portogallo) hanno contribuito al ridimensionamento del perimetro aziendale con l'azzeramento di ruoli e posizioni;
il management italiano in questi anni non ha fatto nulla per preservare la presenza di NSN nel nostro paese: dei circa 3000 addetti del 2007 (oltre l'indotto) ne sono rimasti oggi 592;
i tempi sono strettissimi, fino ad ora le consultazioni sindacali per la vertenza in atto non hanno permesso l'individuazione di soluzioni utili ad impedire il licenziamento dei lavoratori ed il ridimensionamento aziendale che potrebbe avvenire dal prossimo 1o novembre 2013;
molte altre multinazionali delle telecomunicazioni lasciano il nostro Paese, seppure con tempi e modalità differenti, lasciando all'Italia le gravi ripercussioni occupazionali e di depauperamento delle competenze e conoscenze. Senza investimenti sulla ricerca nei settori delle nuove tecnologie intelligenti non esiste sviluppo;
il consiglio regionale della Lombardia ha presentato in data 21 ottobre 2013 una mozione urgente n. 122/2013 che impegna l'assessore competente a sollecitare l'intervento del Ministro dello sviluppo economico e a sostenere le ragioni dei lavoratori operando per uno sbocco positivo sui problemi legati al futuro dell'azienda in Italia. Inoltre impegna l'assessore competente a favorire e sostenere l'accordo per l'applicazione dei contratti di solidarietà;
l'Italia è un Paese rilevante per i fatturati di NSN: negli ultimi decenni l'innovazione tecnologica è stata travolgente, ponendoci ai primi posti nel mondo per lo sviluppo della telefonia mobile, un progresso che è destinato a continuare per diversi anni e che potrebbe contribuire positivamente all'incremento del prodotto interno lordo come più volte confermato dalle ricerche e da indagini di diversi enti, per i quali gli investimenti nel settore costituiscono un eccezionale motore di crescita sociale ed economica;
il settore delle telecomunicazioni produce direttamente il 5 per cento del prodotto interno lordo dell'unione europea e ha un valore di mercato di 660 miliardi di euro l'anno;
l'Italia si è impegnata a rispettare gli obiettivi dell'Agenda digitale EU2020, tra cui figurano la copertura entro tale data del 100 per cento della popolazione europea con connessioni dotate di capacità pari ad almeno 30 megabit al secondo e del 50 per cento delle famiglie con servizi che garantiscano una capacità di oltre 100 megabit al secondo;
il decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, ha istituito la cabina di regia per l'attuazione dell'agenda digitale italiana, cui è stato affidato il compito di accelerare il percorso di realizzazione della medesima agenda in raccordo con le strategie europee, predisponendo una serie di interventi normativi mirati;
l'obiettivo principale della politica industriale del Governo dovrebbe essere quello di elevare la competitività delle imprese italiane sul territorio nazionale e a livello internazionale. A tale fine è di cruciale importanza la diffusione massima delle tecnologie digitali, il sostegno alla internazionalizzazione attiva delle imprese e lo sforzo combinato di imprese, Università e pubblica amministrazione per la ricerca e sviluppo e per la progettazione di nuovi prodotti e servizi;
il superamento del digital divide «di lungo periodo» costituisce la nuova frontiera del servizio universale e resta un obiettivo primario della politica di sviluppo economico e sociale del Governo; in questo ambito vi è l'impegno a creare un quadro normativo e di contesto che favorisca lo sviluppo e la diffusione di tutte le tecnologie a disposizione. Vanno in questa direzione i provvedimenti finalizzati alla informatizzazione della Pubblica Amministrazione, in particolare al livello dei comuni, nonché il supporto alla creazione e diffusione dell'innovazione tecnologica legata alle telecomunicazioni come peraltro previsto in «Industria 2015» per l'apparato produttivo nel suo complesso, per i quali si prevedono nei prossimi 6-8 anni investimenti per un valore tra i 6 e i 10 miliardi di euro;
il «Progetto strategico Agenda digitale italiana» è una delle novità principali del decreto «Semplifica Italia». Sulla base della strategia definita nel 2010 dalla Commissione europea «Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva», l'Agenda mira a rendere liberamente disponibili i dati delle pubbliche amministrazioni; si propone di incentivare la trasparenza, la responsabilità e l'efficienza, del settore pubblico; punta ad alimentare rinnovazione e stimolare la crescita economica;
il termine ultimo per la realizzazione è il 2020. Entro questa data dovranno essere portati a compimento tanti, e diversi, obiettivi. Tra questi, l'uso sociale della tecnologia, la realizzazione delle reti di nuova generazione e, più in generale, l'alfabetizzazione digitale;
i tempi sono strettissimi, fino ad ora le consultazioni sindacali per la vertenza in atto non hanno permesso l'individuazione di soluzioni utili ad impedire il licenziamento dei lavoratori ed il ridimensionamento aziendale che potrebbe avvenire dal 1o novembre 2013,
impegna il Governo:
ad aprire un tavolo con le multinazionali del settore telecomunicazioni;
ad introdurre uno strumento incentivante per le aziende che decidono di investire nel nostro Paese, concedendo sgravi fiscali a fronte di investimenti e della garanzia che il costo sociale dell'eventuale delocalizzazione sia a carico dell'azienda;
ad affrontare con la massima urgenza la situazione di «Nokia solutions network» (NSN), di concerto con l'azienda valutandone il piano industriale e verificando l'esistenza di condizioni per evitare il licenziamento di lavoratori in tutta Italia; concertando con l'azienda un contratto di solidarietà;
a convocare immediatamente presso il dicastero il management finlandese di «Nokia solution network» (NSN): il CEO, l'EVP Mobile Broadband, l'EVP CEF Human Resources e l'Amministratore Delegato di NSN Italia chiedendo conto dell'evolversi delle ultime operazioni economico industriali inerenti al gruppo in questione in Italia.
(7-00161) «Bechis, Catalano, Nicola Bianchi, De Rosa, Parentela, Cristian Iannuzzi, Baldassarre, De Lorenzis, Lupo».
ATTI DI CONTROLLO
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
l'articolo 19 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012 n. 134, ha istituito l'Agenzia per l'Italia Digitale, le cui funzioni venivano esplicitate puntualmente all'articolo 20 del medesimo decreto;
l'articolo 21 del medesimo decreto ha definito gli organi direttivi dell'Agenzia, con particolare riferimento alla figura del direttore generale da nominarsi entro trenta giorni dalla sua entrata in vigore;
con l'articolo 22 del medesimo decreto sono state soppresse la DigitPA e l'Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione e trasferiti alla costituenda Agenzia per l'Italia Digitale il personale, le risorse finanziarie e strumentali e i rapporti giuridici attivi e passivi dei due enti soppressi;
l'Agenda digitale italiana inizia il suo percorso ancor prima, ossia nel marzo del 2012, con l'istituzione della cabina di regia per definire le linee strategiche principali del programma di digitalizzazione del Paese, culminato a dicembre 2012 con l'approvazione del decreto «Crescita 2.0», che rappresenta il riferimento per i contenuti dell'Agenda digitale italiana e successivamente rivista con l'approvazione del cosiddetto decreto-legge «Fare»;
nel mese di ottobre 2012 è stato selezionato il direttore generale della costituenda Agenzia e in data 16 gennaio 2012 (ovvero oltre 5 mesi dopo la scadenza dettata dal decreto-legge n. 83 del 2012) è stato notificato all'interessato, da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il decreto di nomina del direttore generale dell'Agenzia per l'Italia Digitale;
il comma 4 dell'articolo 21 del medesimo decreto ha impegnato il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministri competenti (sviluppo economico, istruzione università e ricerca, pubblica amministrazione e semplificazione, economia e finanze) ad approvare entro 45 giorni lo statuto dell'Agenzia per l'Italia Digitale in conformità ai principi e criteri direttivi previsti dall'articolo 8, comma 4, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300;
dal complesso della normativa summenzionata risulta evidente il ruolo determinante conferito all'AGID (Agenzia per l'Italia digitale), ai fini dello sviluppo dell'innovazione tecnologica come fattore strutturale di crescita sostenibile, favorendo lo sviluppo di un sistema economico-sociale basato sulla condivisione delle informazioni pubbliche, su standard aperti e interoperabili, e su una marcata diffusione delle nuove tecnologie digitali, il tutto garantendo un alto livello di sicurezza informatica;
nel mese di maggio 2013 si è appreso da numerose fonti di stampa che la Presidenza del Consiglio avrebbe ritirato lo statuto dell'Agenzia, già predisposto nel marzo 2013 e in corso di registrazione presso la Corte dei conti, a seguito di rilievi sollevati della Corte dei Conti stessa;
conseguentemente a tutt'oggi, ad oltre dieci mesi dalla scadenza dei termini previsti dalla normativa vigente, lo statuto dell'Agenzia per l'Italia Digitale non risulta ancora approvato, il che comporta l'impossibilità da parte dell'Agenzia stessa di esercitare i compiti ad essa attribuiti, se non limitatamente alle operazioni di ordinaria amministrazione e gestione delle attività degli enti soppressi DigitPA e Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione;
da tale paralisi deriva anche l'ulteriore ritardo del nostro Paese rispetto all'attuazione degli obiettivi assegnati all'Agenzia per l'Italia Digitale, con significative ripercussioni sulla «roadmap» per l'Agenda Digitale, ritardo ancora recentemente stigmatizzato dal Commissario europeo per l'Agenda digitale, Neelie Kroes, come si evince da tutti i dati rilevati dagli enti preposti nazionali (ISTAT) ed europei, oltre che da numerose ricerche internazionali;
uno dei compiti di maggiore rilievo affidati dalla normativa vigente all'Agenzia per l'Italia Digitale è la realizzazione del CERT della pubblica amministrazione, struttura di prevenzione, individuazione e contrasto degli attacchi informatici indirizzati verso i siti istituzionali, finalizzata a garantire l'integrità e l'efficienza dei sistemi informatici e di trasmissione dati dell'amministrazione pubblica;
su tale specifico aspetto, alla luce dell'attuale situazione, risulterebbe che da quasi 3 anni il CERT della pubblica amministrazione, affidato all'allora DigitPA, non è operativo, il che ha provocato, in aggiunta alle diverse dichiarazioni di ammonimento da parte della signora Neelie Kroes, Commissario dell'Unione europea per l'Agenda Digitale, anche l'apertura di una procedura di infrazione;
proprio in questi giorni il nostro Paese è al centro di un dibattito molto delicato sulla vicenda delle intercettazioni effettuate dalle strutture di intelligence degli USA nei principali Paesi dell'Unione europea; l'articolo titolato «Sicurezza informatica di Palazzo Chigi in mano ad i Privati» apparso il 28 ottobre 2013 sul «Il Fatto quotidiano» dà inoltre conto delle modalità gestionali dei sistemi informatici della Presidenza del Consiglio con contenuti, che ove risultassero confermati, assumerebbero dei contorni a dir poco inquietanti;
come appalesato nel corso degli attacchi informatici, perpetrati recentemente nel corso delle manifestazioni NO TAV del 19 ottobre 2013 ai danni dei siti istituzionali di alcuni Ministeri ed enti istituzionali, la realizzazione del CERT della pubblica amministrazione non è ulteriormente differibile –:
quale sia il reale stato dell’iter di approvazione dello statuto dell'Agenzia per l'Italia Digitale e quali siano le ragioni del perdurare di un ritardo in totale contraddizione sia con gli obiettivi del Governo, sia con le necessità più volte sottolineate, anche dalla stessa Presidenza del Consiglio, circa l'urgenza di dare vigore alle politiche di digitalizzazione per il Paese, nell'ambito della Agenda digitale europea.
(2-00292) «Marco Di Stefano, Mariastella Bianchi, Blazina, Bonaccorsi, Paola Bragantini, Borghi, Brandolin, Campana, Cova, Crivellari, Pelillo, Ferro, Fioroni, Garavini, Gasbarra, Giuliani, Lorenzo Guerini, Marroni, Martella, Mazzoli, Miccoli, Orfini, Pes, Picierno, Rotta, Tidei, Vaccaro, Velo, Burtone, Grassi, Argentin, Bazoli, Madia, Pierdomenico Martino».
Interrogazione a risposta scritta:
AMENDOLA e PAOLUCCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
dal mese di settembre 2013 i sentieri di Ginostra – minuscola frazione dell'isola di Stromboli nell'arcipelago delle Eolie, inserita dall'Unesco come patrimonio dell'umanità e riserva naturale orientata – in seguito alle recenti piogge, versano in uno stato di totale degrado, in particolare la stradina che conduce dal centro abitato alla pista eliportuale di protezione civile;
per tale stradina, già quasi impraticabile prima delle piogge, sono stati più volte, in passato, richiesti interventi delle amministrazioni locali da parte dei residenti ed in particolare dal consulente dell'amministrazione comunale di Lipari, Gianluca Giuffrè. Allo stato attuale risulta impossibile raggiungere la pista degli elicotteri. Qualora si presentasse un'emergenza di carattere medico-sanitario o un problema di evacuazione, come nel 2002, legato all'attività dello Stromboli (Ginostra si trova ai piedi di un vulcano attivo) sarebbe molto difficile poter accedere alla pista;
la stessa prefettura di Messina, con una nota del 18 settembre 2013 ha chiesto al comune di Lipari di effettuare opportuni accertamenti e di adottare idonei provvedimenti per l'immediata messa in sicurezza e ripristino della strada a tutela della pubblica e privata incolumità. Oltretutto, un enorme masso, recentemente, si è staccato dal costone che sovrasta l'area portuale di Ginostra e minaccia di scendere a valle da un momento all'altro finendo sull'unica strada d'accesso al villaggio –:
quali interventi straordinari si intendano promuovere al fine di ripristinare il sentiero che conduce all'elipista di protezione civile e quello d'accesso al villaggio dell'isola di Stromboli al fine di assicurare la tutela della pubblica incolumità nonché di garantire ai cittadini di Ginostra la possibilità di essere soccorsi in caso di emergenza. (4-02439)
AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE
Interrogazione a risposta in Commissione:
FOSSATI, MOLEA e COCCIA. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
le NOIF (Norme organizzative interne FIGC) disciplinano il «vincolo» dei calciatori/calciatrici dilettanti con gli articoli 32 e 32-bis in particolare, l'articolo 32 al comma 1 prescrive che: «I calciatori “giovani”, dal 14o anno di età anagraficamente compiuto, possono assumere con la società della Lega nazionale dilettanti per la quale sono già tesserati vincolo di tesseramento sino al termine della stagione sportiva entro la quale abbiano anagraficamente compiuto il 25o anno di età, acquisendo la qualifica di “giovani dilettanti”». Al comma 1-bis si statuisce inoltre: “Ai calciatori giovani dilettanti, al fine di permettere, anche avuto riguardo alle disposizioni FIFA, lo svolgimento di attività tanto di calcio a undici, tanto di calcio a cinque, è consentita la variazione di attività nei limiti e con le modalità fissate dall'articolo 118 delle NOIF, ed al comma 2 si dice che: «calciatori con la qualifica di “giovani dilettanti” assumono, al compimento anagrafico del 18o anno, la qualifica di «non professionista»;
il Parlamento europeo attraverso la risoluzione del 2 febbraio 2012 sulla «Dimensione europea dello sport» (2011/2087(INI)) ai dal 71 al 74 sostiene con forza:
a) che ai fini di uno sviluppo sostenibile del movimento sportivo in Europa e della diffusione della sua influenza positiva sugli individui e la società, è necessario formare i giocatori a livello locale e investire nell'educazione allo sport, reputa pertanto necessario garantire che lo sport ad alto livello non incida sullo sviluppo dei giovani sportivi, sugli sport amatoriali e sul ruolo essenziale delle organizzazioni sportive di base;
b) il proprio impegno a favore della norma di formare i giocatori localmente («home-grown player rule») e ritiene che potrebbe fungere da modello per altre leghe professionali in Europa, sostiene il proseguimento degli sforzi, da parte degli organi direttivi sportivi, intesi a incoraggiare la formazione dei giovani giocatori locali entro i limiti del diritto dell'Unione, in modo da rafforzare l'equilibrio competitivo nell'ambito delle gare e il sano sviluppo del modello sportivo europeo;
c) che la valorizzazione di nuovi talenti rappresenti una delle attività principali delle società sportive e che un'eccessiva dipendenza dal trasferimento dei giocatori possa minare i valori dello sport;
d) l'importanza delle indennità di formazione, poiché queste rappresentano un efficace meccanismo di protezione dei centri di formazione e una giusta redditività del capitale investito;
il punto 12.2 dei Principi Fondamentali degli Statuti delle Federazioni Nazionali e delle Discipline Sportive Associate (deliberati dal Consiglio Nazionale del Coni il 2 febbraio 2012 e approvati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri il 7 giugno 2012) in forza del quale il vincolo sportivo è a tempo determinato e gli statuti dovranno prevederne la congrua e ragionevole durata, la quale dovrà tenere in considerazione il problema dell'abbandono precoce all'attività sportiva, in quanto sempre più riguarda i nostri giovani nella fase post-adolescenziale delle loro vite ed il vincolo è anche una delle cause di abbandono dell'attività agonistica;
il punto n. 8 dei principi generali ed inderogabili della Carta olimpica (vera e propria norma fondamentale di tutto l'ordinamento sportivo internazionale), ai sensi del quale la pratica sportiva è un diritto dell'uomo (....); ogni individuo deve avere la possibilità di praticare uno sport in base alle proprie necessità;
all'articolo 1 della legge n. 91 del 1981: tale norma dispone testualmente che «l'esercizio dell'attività sportiva, sia essa svolta in forma individuale o collettiva, sia in forma professionistica o dilettantistica, è libero» e di conseguenza tutte le disposizioni federali (di secondo livello, in quanto di grado regolamentare) non possono essere in contrasto;
l'articolo 24, secondo comma, del codice civile, ai sensi del quale l'associato può sempre recedere dall'associazione se non ha assunto l'obbligo di farne parte per un tempo determinato;
la normativa italiana vigente in materia di società sportive e associazioni sportive dilettantistiche non tutela sufficientemente l'importante funzione svolta da questi soggetti per la disciplina del fenomeno sportivo per il riconoscimento e la promozione sociale dello sport dilettantistico, come invece succede negli altri Paesi europei e come viene espressamente richiamato all'articolo 165 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
è necessario porre i presupposti per affrontare adeguatamente temi, ritenuti prioritari anche in sede europea, come la promozione dell'attività fisica a vantaggio della salute, l'istruzione e la formazione, l'inclusione sociale nello sport compreso lo sport per i disabili e la parità dei sessi nello sport ed in quest'ottica impegnarsi a valorizzare il ruolo delle associazioni sportive senza scopo di lucro;
sarà fondamentale introdurre un importante riconoscimento del volontariato sportivo attraverso il riconoscimento delle associazioni sportive dilettantistiche come organizzazioni promotrici dello stesso ai fini della legge quadro sul volontariato e degli strumenti giuridici connessi, alleggerendo la troppo gravosa responsabilità dei presidenti ed introducendo strumenti di agevolazione fiscale per consentire la maggiore diffusione possibile dello sport dilettantistico e dell'attività motoria;
in questo contesto il concetto di «vincolo» per calciatori e calciatrici risulta essere, oltre che in contrasto a principi sostenuti nella normativa europea e, in parte, anche a quella italiana, uno strumento funzionale soltanto a supplire ad un deficit di regolamentazione dello sport dilettantistico, che non trova appropriate protezioni normative e un adeguato supporto in relazione alla importante funzione che svolge per la qualità della vita dei giovani atleti –:
quali iniziative intenda adottare, nel quadro di un rafforzamento dello sport di base, per la crescita dei giovani atleti sul territorio e per agevolarne al massimo la permanenza nel mondo dello sport, nonché per cercare di valorizzare il lavoro quotidiano di chi spende grande parte della propria vita per la diffusione dello sport tra le giovani generazioni, favorendo, per quanto competenza, l'abolizione del sistema del «vincolo» per calciatori e calciatrici dilettanti in modo da rendere libera l'attività sportiva degli atleti come, del resto, già succede nelle stragrande maggioranza degli Stati europei. (5-01404)
AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
Interrogazione a risposta orale:
MARZANA, D'UVA, GRILLO, LOREFICE, FICO, VILLAROSA, CURRÒ, LUIGI GALLO, DI BENEDETTO, BRESCIA, COLONNESE, SIMONE VALENTE, BATTELLI e BUSTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
sulla Gazzetta Ufficiale della regione siciliana, parte I, n. 29, dell'8 luglio 2005, nell'allegato A, veniva pubblicato l'elenco indicativo dei comuni siciliani con parchi, riserve, SIC (siti di importanza comunitaria);
in tale elenco veniva identificato, tra gli altri, come SIC ITA090007 anche il sito Cavagrande del Cassibile che insiste nel territorio di Avola, Noto e Siracusa, e di zone di interesse comunitario come la Cava delle Cinque Porte e Cava e Bosco Baulì, e Cava Contessa-Cugno Lupo (ITA 090021), ovvero di zone di altissimo pregio naturalistico e archeologico, nonché ricche di piccoli affluenti e torrenti sotterranei;
la direttiva 92/43/CEE, adottata con decreto del Presidente della Repubblica n. 357 dell'8 settembre 1997, all'articolo 4, prevede che la Commissione – sulla base degli elenchi trasmessi dagli Stati membri – adotta un elenco dei siti di importanza nei quali si riscontrano uno o più tipi di habitat naturali prioritari, e che, in seguito, lo Stato membro deve riconoscere questi siti come zone speciali di conservazione, il più rapidamente possibile ed entro un termine massimo di sei anni, e assoggettarle alle misure di conservazione necessarie;
nonostante siano stati inseriti nell'elenco dei siti di interesse comunitario della regione biogeografica mediterranea, approvato dalla Commissione europea con decisione del 19 luglio 2006, il dipartimento regionale dell'ambiente ha rilasciato, con DDG n. 765 del 21 dicembre 2012, l'autorizzazione integrata ambientale alla So Ambiente srl con sede legale in via Zunica 61 Agrigento, per il progetto di realizzazione di un impianto di recupero e di smaltimento di rifiuti in C.da Stallaini;
successivamente, con DDG n. 173 del 19 febbraio 2013, il dipartimento regionale dell'acqua e dei rifiuti, revocava la suddetta autorizzazione integrata ambientale, ai sensi dell'articolo 11, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 252 del 1998, «Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle informazioni antimafia», in base ai contenuti dell'informativa prot. 2803 con data 18 dicembre 2013;
tuttavia il consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana ha accolto il ricorso della ditta richiedente SO Ambiente avverso il provvedimento di revoca della sopracitata autorizzazione integrata ambientale;
l'area di progetto si trova a soli 350 metri dai SIC riserva naturale orientata Cava Grande del Cassibile, a 50 metri da un affluente del Cassibile, è contigua ad una zona ad alto valore ecologico come si evince nella carta regionale valori ecologici ed interessa oltre al territorio del comune di Noto, quello di Avola e di Canicattini Bagni;
l'area in questione è regolata dal piano paesaggistico «Rilievi e tavolato ibleo» ambito 14-17, adottato con decreto ARTA n. 98 del 10 febbraio 2012 che include l'area tra due zone di particolare tutela (una zona di livello di tutela 2 e una zona con livello di tutela 3) come descritto dall'articolo 32, comma 2, punto 12d dello stesso piano paesaggistico, in base al quale si stabilisce che in queste aree (tra cui C/da Stallaini, sede dell'area di progetto) non è consentito realizzare discariche;
in data 14 marzo 2012, la terza commissione consiliare del comune di Noto si riunisce per trattare l'argomento della discarica di Stallaini ed esprime parere negativo all'unanimità dei presenti, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 48 «Norme transitorie e finali» del Piano paesaggistico regionale;
in data 8 agosto 2013, il consiglio comunale di Noto, convocato in seduta urgente, ha deciso all'unanimità dei presenti di opporsi con ogni mezzo al progetto della discarica in C.da Stallaini e ha redatto un documento firmato da tutti i consiglieri comunali, indirizzato al presidente della regione, con cui si è dato mandato al sindaco di procedere alla diffida nei confronti dell'assessorato regionale territorio e ambiente, dell'assessorato regionale all'energia, all'assessorato ai beni culturali, ognuno per le proprie competenze, dal rimettere nuovi atti autorizzativi per la realizzazione della discarica in questione e dall'adottare, per le motivazioni sopra riferite, atti di revoca, in autotutela, di quelli già emessi;
stessa decisione è stata sostenuta anche da parte del consiglio comunale di Avola che, riunitosi in seduta il 26 agosto 2013, ha confermato il pieno appoggio a quanto deciso dal comune di Noto;
la Costituzione, all'articolo 9, comma 2, sancisce che la Repubblica «Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione»;
sarebbe opportuno in tale contesto che vengano assunti tutti i provvedimenti di natura amministrativa e legale al fine di giungere nel più breve tempo possibile alla revoca in via definitiva dell'autorizzazione alla SO Ambiente per la realizzazione dell'impianto di smaltimento –:
se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
se, in che modo e con quali tempi, si intenda procedere al riconoscimento del sito di importanza comunitaria quale «zona di conservazione speciale», al fine di adottare misure di conservazione e un piano di gestione appropriati alla specificità dei siti menzionati. (3-00425)
Interrogazioni a risposta scritta:
CRIVELLARI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
il territorio della Pianura padana è per la sua stessa natura più soggetto al rischio inquinamento dovuto alle cosiddette «polveri sottili»;
in questa zona del Paese, come noto, si concentrano la maggior parte degli impianti industriali e produttivi oltre ad alcune tra le più grandi città italiane;
Rovigo e la sua provincia ne risultano parte integrante, essendo poste nell'estremo lembo orientale;
stando a quanto riportato dalle cronache locali nella seconda metà di ottobre si sono registrati nel capoluogo ben sei sforamenti dei limiti imposti dalle legge, il tutto nell'arco di soli otto giorni;
detti sforamenti del limite massimo di emissioni tollerate si sono verificati in una finestra temporale che ha visto il Nordest del Paese interessato da una vasta perturbazione meteo, fenomeno che allarma ulteriormente atteso che in presenza di precipitazioni le polveri dovrebbero teoricamente diminuire anziché aumentare –:
come il Governo intenda intervenire per porre freno a una situazione ormai al di là della sostenibilità e che genera problemi e disagi alle persone che vedono a rischio sempre maggiore la propria salute anche in relazione alla possibilità dell'apertura di procedure di infrazione nei confronti dell'Italia. (4-02438)
RICCIATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
si apprende da un libro-inchiesta di Gianluca Di Feo «Veleni di Stato» (Edizioni Rizzoli 2009) che nel luglio 1944, 1316 tonnellate di iprite sono finiti nei fondali davanti alle coste marchigiane, in particolare davanti alle baie di Fano, Pesaro e Gabicce all'interno di 4300 bombe d'aereo C500T catturate dalla Luftwaffe in una base di Urbino;
tali materiali sono altamente tossici e con l'erosione degli involucri metallici degli ordigni, dovuti alla ossidazione causata dall'acqua marina, è altamente probabile che tali veleni siano rilasciati nell'ambiente marino, con grave pregiudizio per l'ambiente, la fauna e le persone; il testo citato è ampiamente documentato;
dopo la pubblicazione di tale inchiesta, un gruppo di cittadini appartenenti a vario titolo ad associazioni e partiti politici, di Pesaro, hanno iniziato un lungo percorso di analisi, propedeutico a comprendere il fenomeno;
tale attività di ricerca ha contribuito alla pubblicazione del rapporto «Armi chimiche, una eredità ancora pericolosa. Mappatura, monitoraggio e bonifica dei siti inquinati dagli ordigni della seconda guerra mondiale» a cura di Legambiente del Coordinamento nazionale bonifica armi chimiche (C.N.B.A.C.), presentato nel febbraio 2012;
il testo citato e il rapporto, riportano la circostanza che, durante il secondo conflitto mondiale, l'unità comandata dal maggiore Meyer nascose nel deposito di Urbino notevoli quantità di ordigni, ma il 19 dicembre 1943 su ordine di Hitler, tali materiali dovevano essere spostati in Germania. L'immediata evacuazione del deposito di Urbino ebbe avvio con dei camion diretti a Fano e a Pesaro. Tuttavia, essendo prossima l'offensiva sulla Linea Gotica da parte delle forze Alleate, per evitare che gli ordigni finissero nelle mani di questi ultimi, i camion contenenti gli ordigni chimici furono svuotati in mare da squadre speciali;
da allora si stima che 84 tonnellate di armi chimiche mortali, conservate da involucri difettosi, abbiano poi rilasciato lentamente nelle acque dell'Adriatico le sostanze tossiche;
nella seduta della Camera dei deputati del 20 novembre 1951, in risposta a una interrogazione dell'onorevole Capalozza, il Sottosegretario alla Marina mercantile, Onorevole Tambroni, confermava la presenza di tale arsenale nei fondali e individuava anche le coordinate dei siti ove si sarebbero trovate almeno una parte delle bombe, ma da allora nulla si è fatto per la bonifica dell'area, né tantomeno è stato oggetto di discussione in ambito parlamentare;
il sindaco di Pesaro, Luca Ceriscioli, in data 10 marzo e 30 aprile 2010 ha inviato al Ministro della difesa due lettere per sollecitare spiegazioni e provvedimenti sopra in oggetto;
in data 21 giugno 2010 l'allora sottosegretario alla difesa, Onorevole, Giuseppe Cossiga, rispose al sindaco sostenendo che il dicastero aveva «promosso i pertinenti approfondimenti» e che le ricerche e le bonifiche dell'area sono state portate a termine tra il 1945 e il 1950;
il 12 aprile 2011 un deputato della XVI legislatura, l'onorevole Oriano Giovannelli, depositava interrogazione a risposta scritta (4-11571) per chiedere se i Ministri della difesa e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ritenessero di dover monitorare con urgenza la situazione descritta;
in data 7 agosto 2012 nella sua risposta (allegato B della seduta 678) il Ministro della difesa pro tempore Di Paola, dichiarava la competenza del suo Dicastero sono in via concorsuale rispetto al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, rinnovando la disponibilità della difesa a valutare le eventuali richieste di concorsi che perverranno dalle autorità competenti;
nella risposta all'interrogazione citata, lo stesso Ministro della difesa, da conto di una nota dell'Istituto superiore per la prevenzione e la ricerca ambientale (ISPRA) – trasmessa dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – nella quale si dava evidenza di come la bonifica delle aree di affondamento sia una ipotesi di difficile attuazione, sia dal punto di vista tecnico che economico;
nella stessa nota l'ISPRA avrebbe preso in considerazione la costituzione di un gruppo di esperti ad hoc con il compito di stabilire priorità e modalità di intervento (prospezione, indagini ambientali e bonifica necessarie) per affrontare la problematica –:
se sia stato costituito il gruppo di esperti e se siano state individuate priorità e modalità di intervento;
qualora ciò non fosse avvenuto, se il Ministro interrogato non ritenga di più rapida soluzione individuare, all'interno del Ministero o nelle Agenzie ad esso sottoposte, professionalità idonee ad esperire le valutazioni indicate nella citata nota dell'ISPRA;
se non ritenga di dover indicare un termine entro il quale le attività di bonifica, qualunque sia lo strumento individuato dagli esperti e scelto dal Ministro, debbono avere inizio. (4-02446)
GIOVANNA SANNA, MURA, PES, MARROCU, FRANCESCO SANNA, SCANU e CANI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
la miniera aurifera di Furtei, situata in Sardegna a circa 40 chilometri da Cagliari, in prossimità del Graben del Campidano, ha cessato l'attività estrattiva da cinque anni, senza che in questo periodo di tempo siano stati realizzati gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale;
la società titolare delle relative concessioni minerarie è la Sardinia Gold Mining spa (SGM) in liquidazione, costituita in origine dalla società Australiane Mediterranean Gold Mines PTY Ltd, dalla Euro Minino PTY Ltd e dalla Progemisa spa, ed attualmente controllata dal gruppo canadese Buffalo Gold Ltd, con una partecipazione al 10 per cento della regione Sardegna;
nel periodo dal 2001 al 2003 presidente della SGM è stato il dottor Ugo Cappellacci, attuale presidente della regione Sardegna;
nel dicembre 2008 è stata dichiarata dalla società concessionaria la cessazione dell'attività estrattiva, lasciando aperti e tuttora irrisolti gravi problemi di sicurezza e gravissimi rischi di inquinamento ambientale; in particolare incombe il pericolo di inquinamento del terreno e delle falde costituito dalla diga dei fanghi tossici dove per tanti anni sono state scaricate le soluzioni di cianuro utilizzate per la separazione dell'oro dalla roccia nel processo di «lisciviazione»;
la regione Sardegna, che ha proceduto alle predette concessioni minerarie senza alcuna procedura di Via e che ha recepito la direttiva europea n. 85/337/CEE in materia di Via per le attività estrattive soltanto nel 2008 (con l'articolo 8 della legge regionale n. 15 del 2008), non ha ancora adottato le misure di sua competenza per imporre alla società concessionaria la realizzazione dei lavori di messa in sicurezza e di bonifica ambientale –:
quali iniziative di verifica e di controllo il Ministro intenda porre in essere, anche per il tramite del Comando Carabinieri per la tutela dell'ambiente, al fine di accertare i rischi e i danni ambientali determinati dall'attività mineraria di Furtei. (4-02449)
BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO
Interrogazione a risposta scritta:
PINNA, ARTINI e GALLINELLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
fino al 2001 nella regione Sardegna l'apertura di filiali e succursali di agenzie di viaggio era disciplinata dalla legge regionale n. 13 del 1988. Tale normativa prevedeva che l'apertura delle filiali e delle succursali di agenzie di viaggio fosse subordinata al medesimo procedimento di autorizzazione previsto per l'apertura e l'esercizio delle agenzie di viaggio. Conseguentemente ogni filiale o succursale doveva essere dotata di un direttore tecnico proprio, dunque distinto rispetto a quello dell'agenzia principale, e doveva prestare all'ente che rilasciava l'autorizzazione apposita garanzia finanziaria (deposito cauzionale o fidejussione);
la materia era regolata in maniera analoga nelle altre regioni d'Italia;
la situazione è mutata con le sentenze della Corte costituzionale n. 362 del 1998 – con cui si è dichiarata l'illegittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge della regione Lombardia del 16 settembre 1996, n. 27 (Disciplina dell'attività e dei servizi concernenti viaggi e soggiorni. Ordinamento amministrativo delle agenzie di viaggio e turismo e delega alle Province contro la regione Lombardia) – e n. 54 del 2001 – con cui si dichiara l'illegittimità costituzionale della legge della regione Sardegna 13 luglio 1988, n. 13 (Disciplina in Sardegna delle agenzie di viaggio e turismo), nella parte in cui subordina l'apertura di succursali e filiali delle agenzie di viaggio e turismo al conseguimento di autorizzazione dell'assessore regionale del turismo, con le modalità e condizioni stabilite per l'apertura delle agenzie;
infatti, la Consulta ha stabilito che le agenzie di viaggio sono configurate dalla legge secondo la nozione di impresa desumibile dagli articoli 2082 e 2555 del codice civile. Pertanto, le filiali, le sedi secondarie o le altre articolazioni territoriali dell'attività produttiva non costituiscono per l'ordinamento giuridico italiano entità distinte dall'azienda, né centro autonomo di imputazione di interessi economici differenti rispetto a quelli che fanno capo all'imprenditore;
ne consegue che l'ambito territoriale di operatività delle agenzie di viaggio dipende dalle capacità imprenditoriali delle stesse. La libera apertura di filiali delle agenzie autorizzate deriva direttamente dal principio di libertà dell'iniziativa economica previsto all'articolo 41 della Costituzione. Inoltre, sulla base dell'articolo 120 della Carta costituzionale le regioni non possono porre ostacoli allo svolgimento delle attività professionali; da ciò, secondo la Corte costituzionale, deriva che non può essere imposta un'autorizzazione per ogni articolazione territoriale dell'agenzia di viaggi e tantomeno può essere negata l'efficacia ultraregionale dell'autorizzazione;
a seguito della suddetta sentenza, n. 54 del 2001, la Giunta regionale sarda è intervenuta con la delibera n. 28/28 del 16 giugno 2004 con cui si stabilisce che, essendo l'agenzia di viaggio un'impresa da considerarsi nella sua unitarietà, l'apertura di filiali e succursali non necessita di apposita autorizzazione né di distinto direttore tecnico. Diversamente, nel caso in cui si tratti di sedi secondarie a gestione autonoma o facenti capo ad un'impresa distinta rispetto a quella del titolare dell'autorizzazione si dovrà seguire la procedura di rilascio dell'autorizzazione, compresa la nomina del direttore tecnico. Un analogo adeguamento della normativa è stato attuato nelle altre regioni;
tuttavia, se da un lato l'intervento della Corte e i successivi adeguamenti delle normative regionali hanno attuato il principio della libertà d'iniziativa economica e del libero svolgimento delle attività professionali, dall'altro lato le dichiarazioni della Consulta, unitamente alla riforma del Titolo V della Costituzione (e nello specifico al passaggio della materia del turismo dalle competenze concorrenti alla competenza regionale esclusiva, articolo 117 Cost.) hanno contribuito a creare un vuoto normativo;
tale situazione di incertezza non è stata risolta con l'emanazione della Riforma della legislazione nazionale del turismo (successivamente abrogata dal decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79). La suddetta legge del 29 marzo 2001, n. 135, stabiliva l'abrogazione della precedente legge quadro sul turismo (17 maggio 1983, n. 217, Legge quadro per il turismo e interventi per il potenziamento e la qualificazione dell'offerta turistica), a decorrere dall'entrata in vigore del decreto di cui disponeva all'articolo 2. Tale decreto avrebbe dovuto stabilire i principi e gli obiettivi per la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico italiano. Tuttavia, il DPCM avrebbe dovuto essere emanato entro tre mesi dall'entrata in vigore della legge n. 135 del 2001, e invece ha visto la luce solo il 13 settembre 2002, in tal modo si è creato un vuoto normativo e una disomogeneità di regolamentazione tra regioni, che in virtù della riforma dell'articolo 117 della Costituzione rivendicano la potestà esclusiva sulla materia;
a tal riguardo si segnala come il vuoto normativo determinatosi è suscettibile di dare luogo a situazioni di abuso. In molti casi, infatti, sotto le mentite spoglie di una filiale o succursale si cela una vera e propria agenzia autonoma affrancata che tuttavia usufruisce dei vantaggi delle agenzie a gestione diretta;
sono molte le «finte» succursali o filiali che presentano caratteri ibridi avendo specificità proprie delle agenzie a gestione diretta e peculiarità delle agenzie a gestione indiretta o delle agenzie in franchising: l'agenzia principale apre delle filiali (unità locali) dandone comunicazione agli enti competenti (regione o provincia). La filiale è gestita in alcuni network da società terze. Tali società sono titolari del contratto di locazione della sede in cui svolgono l'attività di agenzia di viaggi e sono intestatarie delle utenze; per la vendita e l'acquisto dei servizi turistici utilizzano invece la partita IVA dell'agenzia principale, salvo poi emettere a quest'ultima fattura di gestione in modo da caricare sulla propria contabilità i guadagni ottenuti. L'agenzia principale ricava dalla società terza introiti tipici del rapporto di affiliazione commerciale (franchising): fee d'ingresso e canone periodico fisso o commisurato ai ricavi;
il sistema descritto consente ad alcuni network di aprire agenzie di viaggi eludendo la normativa e con costi inferiori rispetto sia alle filiali a gestione indiretta, che dovrebbero essere gestite da soci o dipendenti e avere intestati i contratti di locazione e le utenze, sia alle agenzie in franchising, su cui gravano i costi per il direttore tecnico e, in alcune regioni o province, anche per le garanzie finanziarie. D'altro canto però l'agenzia terza, oltre a essere investita totalmente del rischio d'impresa, non ha gli strumenti per monitorare la gestione patrimoniale e finanziaria dell'agenzia principale, ciò significa che in caso di chiusura o di fallimento dell'agenzia principale la filiale ne seguirebbe le sorti senza potersi opporre –:
se, al fine di colmare il vuoto legislativo determinatosi e di tutelare i consumatori e il valore della libera concorrenza, ritenga opportuno assumere un'iniziativa normativa volta a riformare la disciplina contrattuale del codice civile al fine di evitare il verificarsi di fenomeni quale quello descritto in premessa. (4-02445)
ECONOMIA E FINANZE
Interpellanza:
Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
il comma 10 dell'articolo 19 della legge 28 dicembre 2005, n. 262 (legge finanziaria 2066) prevede che: «con regolamento da adottare ai sensi dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, è ridefinito l'assetto proprietario della Banca d'Italia, e sono disciplinate le modalità di trasferimento, entro tre anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, delle quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia in possesso di soggetti diversi dallo Stato o da altri enti pubblici»;
dalla data di entrata in vigore della citata disposizione sono passati otto anni, tuttavia non è stato compiuto alcun passo in avanti per dare attuazione alla disposizione legislativa;
il capitale della Banca d'Italia ammonta a tutt'oggi all'anacronistica cifra di 156 mila euro, a fronte di riserve iscritte a bilancio, per il 2012, di 22,6 miliardi di euro, a differenza degli utili netti riportati nello stesso esercizio che invece ammontano a 2,5 miliardi;
l'evidente discordanza nei dati contabili ha portato fin dalla primavera di quest'anno ad ipotizzare, sulla base dei normali parametri di borsa (price earning e valore di libro), in una chiave assolutamente prudenziale, un valore effettivo del suddetto capitale pari a circa 25 miliardi di euro, ipotizzando un moltiplicatore degli utili di gran lunga inferiore rispetto ai possibili valori di mercato;
ristabilire le giuste proporzioni non comporterebbe, a giudizio dell'interpellante, soltanto un immediato vantaggio per le finanze pubbliche, dovuto al pagamento, da parte degli azionisti privati, delle imposte per la rivalutazione dei cespiti delle quote di capitale in loro possesso, tassabili al 16 per cento, ma determinerebbe anche un corrispondente aumento del loro patrimonio netto;
tale operazione risulta, a giudizio dell'interpellante, ulteriormente necessaria, in considerazione del fabbisogno di capitale richiesto, ai fini di una patrimonializzazione delle banche italiane in vista di Basilea III e degli stress-test che, sotto l'egida del Single Supervisory Mechanism, saranno avviati nel corso del 2014;
se la rivalutazione dei cespiti delle quote di capitale fosse stata compiuta nei tempi originariamente proposti (prima dell'estate 2013) ne sarebbe derivata un'attenuazione del credit crunch, con immediato beneficio per le famiglie e le imprese, grazie all'allentamento di quella morsa finanziaria che ha contribuito, non poco, a peggiorare la performance dell'economia italiana rispetto al resto dell'Eurozona;
le entrate aggiuntive al bilancio dello Stato, grazie alla rivalutazione dei partecipanti al capitale la Banca d'Italia, avrebbe poi consentito di migliorare l'azione a favore di famiglie e imprese, a partire dalla eliminazione della seconda rata dell'Imu;
nel mese di settembre è stato nominato dalla Banca d'Italia un Comitato di esperti per definire l'effettivo valore del proprio capitale e, quindi, poter procedere al relativo aumento destinato a scattare, almeno in termini di competenza economica, nel 2014;
gli effetti derivanti dalla suddetta disposizione introdurranno, a giudizio dell'interpellante, ulteriori ritardi e complicazioni per la gestione della finanza pubblica, in considerazione delle evidenti carenze di adeguate risorse necessarie ad affrontare gli impegni assunti dal Presidente del Consiglio dei ministri, nel corso della presentazione alle Camere del programma di Governo;
secondo quanto risulta da organi di informazione il suddetto Comitato ha terminato i suoi lavori e prodotto un report che sarebbe stato consegnato al Ministro interpellato;
tale documento conclusivo risulta tuttora sconosciuto al Parlamento ma, secondo le indiscrezioni di stampa, le ipotesi di rivalutazione indicate dal Comitato dei saggi sono ben inferiori alle cifre sopra richiamate, senza peraltro che siano stati indicati, nel documento stesso, criteri e modalità sottostanti alla logica seguita per le valutazioni;
la doverosa e corretta informazione presso le sedi istituzionali, a giudizio dell'interpellante, non lede assolutamente il principio dell'indipendenza della Banca d'Italia, ma al contrario consente al Parlamento, come sempre è avvenuto, di conoscere e approfondire le politiche economiche e monetarie della Banca centrale, anche al fine di accrescere la trasparenza e l’accountability delle politiche perseguite –:
se intenda confermare il contenuto del report esposto in premessa e, in caso affermativo, quali siano i criteri e le modalità utilizzate dal Comitato per la definizione delle ipotesi di rivalutazione delle quote del capitale della Banca d'Italia, anche al fine di poterne valutare le relative conseguenze in vista dell'esame dei provvedimenti in materia di finanza pubblica;
nel caso in cui le cifre ipotizzate dal Comitato siano significativamente inferiori ai valori reali di mercato quali iniziative intenda infine adottare, nell'ambito delle proprie competenze, per tutelare e salvaguardare gli interessi generali e l'economia del Paese.
(2-00293) «Brunetta».
Interrogazione a risposta orale:
BRUNETTA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241, recante «Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi» annovera, tra i principi cardine dell'attività amministrativa, i criteri di pubblicità e di trasparenza;
la Rai-Radiotelevisione italiana Spa è designata ai sensi dell'articolo 49, comma 1, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, recante «Testo Unico dei servizi media audiovisivi e radiofonici», e già dall'articolo 20, comma 1, della legge n. 112 del 3 maggio 2004, quale concessionaria – fino al 6 maggio 2016 – del servizio pubblico generale radiotelevisivo;
l'articolo 3, comma 44, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, prevede che: «Nessun atto comportante spesa (...) può ricevere attuazione, se non sia stato previamente reso noto, con l'indicazione nominativa dei destinatari e dell'ammontare del compenso, attraverso la pubblicazione sul sito web dell'amministrazione o del soggetto interessato, nonché comunicato al Governo e al Parlamento»; al medesimo articolo 3, il comma 50 dispone che: «Tutte le retribuzioni dirigenziali e i compensi per la conduzione di trasmissioni di qualunque genere presso la RAI-Radiotelevisione italiana spa sono rese note alla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi»;
l'attuale contratto di servizio 2010 – 2012, tutt'ora in vigenza in regime di prorogatio, all'articolo 27, comma 7, reca la previsione secondo la quale: «la Rai deve pubblicare gli stipendi percepiti dai dipendenti e dai collaboratori nonché informazioni, sui costi della programmazione di servizio pubblico»;
la Suprema Corte di cassazione a Sezioni unite civili, con ordinanza 28329 del 22 dicembre 2011, ha sottolineato la sottoposizione della Rai ai poteri di vigilanza e di nomina da parte dello Stato e l'assoggettabilità a responsabilità per danno erariale dei relativi impiegati – sottoposti al giudice contabile alla stregua di qualsiasi dipendente pubblico – assimilando di fatto la Rai ad un ente pubblico;
l'articolo 11 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, recante «Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni», nel definire l'ambito soggettivo di applicazione della legge, comprende le società partecipate dalle pubbliche amministrazioni e le società da esse controllate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile alle quali si applicano, limitatamente all'attività di pubblico interesse disciplinate dal diritto nazionale o dell'Unione europea, le disposizioni dell'articolo 1, commi da 15 a 33, della legge 6 novembre 2012, n. 190. Il medesimo articolo prevede inoltre che le autorità indipendenti di garanzia, vigilanza e regolazione provvedono all'attuazione di quanto previsto della normativa vigente in materia di trasparenza secondo le disposizioni dei rispettivi ordinamenti;
il citato decreto legislativo n. 33 del 2013 è intervenuto confermando la linea della massima trasparenza all'interno delle amministrazioni pubbliche. Infatti l'articolo 15 prevede che le pubbliche amministrazioni pubblichino e aggiornino le informazioni relative ai titolari di incarichi amministrativi di vertice e di incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, nonché di collaborazione e consulenza (gli estremi dell'atto di conferimento dell'incarico; il curriculum vitae; i dati relativi allo svolgimento di incarichi o la titolarità di cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dalla pubblica amministrazione o lo svolgimento di attività professionali; i compensi, comunque denominati, relativi al rapporto di lavoro, di consulenza o di collaborazione, con specifica evidenza delle eventuali componenti variabili o legate alla valutazione del risultato);
il Garante per la protezione dei dati personali, in un parere del 30 giugno 2010, reso proprio alla Rai in ordine alla divulgazione dei dati relativi ai compensi erogati dalla medesima società, ha rammentato che «la normativa di protezione dei dati personali non può ritenersi ostativa alla pubblicazione, da parte della Rai, dei compensi erogati, sempre che risultino osservati i principi stabiliti dall'articolo 11 del Codice e purché venga osservata la specifica modalità di divulgazione attraverso il sito web»;
sullo stesso tema si è pronunciata per competenza anche l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che ha trasmesso, lo scorso 7 luglio 2010, al Ministero dello sviluppo economico e alla Commissione di Vigilanza RAI una propria segnalazione in merito, sottolineando le «implicazioni di carattere concorrenziale», riconoscendo tuttavia l'esigenza di accountability del servizio pubblico radiotelevisivo e l'importanza di assicurare la trasparenza dei costi connessi alla gestione dei servizi pubblici, il cui finanziamento è a carico dei cittadini;
va rilevato inoltre che la Rai è sottoposta a penetranti poteri di vigilanza da parte della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi e alla verifica dell'adempimento dei compiti affidata all'Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni, nonché al controllo della Corte dei conti ai sensi dell'articolo 2 della legge 21 marzo 1958, n. 259, trattandosi di ente «cui lo Stato contribuisce in via ordinaria» e, dal 2010, a seguito del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 marzo 2010, ai sensi dell'articolo 12 della stessa legge, configurandosi, con riguardo alla fusione per incorporazione nella RAI-Holding spa la fattispecie tipica dell'apporto statale al patrimonio in capitale;
il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, così come modificato dalla legge di conversione 30 ottobre 2013, n. 125, recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni», (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 255 del 30 ottobre 2013), all'articolo 2, comma 11, estende definitivamente alla società concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo, relativamente ai singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo, l'obbligo di comunicare al dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio e al Ministro dell'economia e finanze il costo annuo del personale utilizzato;
per la società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, viene quindi introdotta una disposizione specifica: per quest'ultima infatti, che già comunque sarebbe rientrata nell'ambito delle «società non quotate partecipate o direttamente o indirettamente, a qualunque titolo, dalle pubbliche amministrazioni» (e che quindi sarebbe stata comunque soggetta agli obblighi di comunicazione del costo del personale), viene specificato che la comunicazione deve essere relativa ai «singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo»;
a differenza delle altre società che rientrano nella disposizione di cui all'articolo 2, comma 11, del suddetto decreto convertito in legge, la RAI, quindi, dovrà specificare, in virtù di una precisa norma, il costo dei singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo;
si tratta di un «onere aggiuntivo» per la società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, che però non comporta nuovi o maggiori oneri per finanza pubblica. Per questo motivo l'emendamento che ha introdotto tale avere ha avuto il nulla osta della Commissione bilancio –:
quali misure, nell'ambito della propria competenza, intendano assumere con urgenza i Ministri interrogati al fine di dare piena e immediata attuazione alle previsioni normative in tema di trasparenza che riguardano la Rai, in particolare alla luce della recente approvazione della disposizione di cui all'articolo 2, comma 11, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, così come modificato dalla legge di conversione 30 ottobre 2013, n. 125.
(3-00426)
Interrogazioni a risposta in Commissione:
FRAGOMELI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
i comuni della Provincia di Lecco hanno conferito a «Idrolario S.r.l.» la gestione del servizio idrico integrato e, di conseguenza, sulla base dell'articolo 153 del Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, gli stessi hanno affidato alla società gestore le infrastrutture idriche in concessione d'uso gratuito;
l'articolo 115, comma 6 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 stabilisce che il conferimento e l'assegnazione di beni degli enti locali alle società partecipate sono esenti da imposizioni fiscali, dirette e indirette, statali e regionali;
i comuni per realizzare tali beni, poi ceduti, hanno contratto mutui che incorporano il valore di tali beni;
la cessione di tali beni non può che avvenire se non con l'accollo dei mutui che fanno parte degli impianti la cui cessione è esente da ogni imposta per legge (Cfr. sentenza della Commissione tributaria provinciale di Pesaro – sezione 1 – n. 325/01/11 pronunciata il 9 novembre 2011 e depositate in segreteria in data 6 dicembre 2011) –:
se il Ministro non ritenga opportuno chiarire che le rate di mutuo, rappresentando la manifestazione finanziaria conseguente all'assegnazione di beni degli enti locali alle società partecipate, sono soggette alla medesima disciplina di cui all'articolo l'articolo 115, comma 6 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e pertanto che le somme ricevute dai comuni, a titolo di rimborso dell'ammontare delle rate di mutuo sostenute dal medesimo ente, debbano costituire meri trasferimenti di denaro irrilevanti ai fini IVA ex articolo 2, comma 3°, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 633 del 1972 come è peraltro confermato dalla risposta dell'Agenzia delle entrate – direzione regionale per il Veneto del 4 luglio 2005 prot. 907-11526/2005 su interpello del comune di Livinallongo del Col di Lana, provincia di Belluno. (5-01408)
FRAGOMELI e GINATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
secondo Cassa depositi e prestiti spa, – come riportato nella risposta fornita in data 11 settembre 2013 dal Ministro dell'economia e delle finanze ad una precedente interrogazione in Commissione – l'indennizzo previsto per l'estinzione anticipata dei prestiti ordinari concessi dalla medesima in favore degli enti locali, e regolati a tasso fisso, ha la finalità di recuperare i costi connessi al disallineamento tra i tassi dell'originaria provvista necessaria ai fini della concessione del finanziamento ed i tassi di mercato vigenti al momento del rimborso anticipato;
pertanto a fronte di una riduzione dell'indennizzo per estinzione anticipata da parte degli enti locali – associata a una elevata richiesta di rimborso di prestiti – potrebbero verificarsi significative conseguenze per la società in termini di redditività ed equilibrio economico-patrimoniale;
nella medesima risposta viene indicata la possibilità che l'estinzione dei prestiti a tasso fisso senza indennizzo, o con indennizzo non superiore allo 0,50 per cento, per mutui in essere a tassi superiori a quelli vigenti sul mercato creerebbe un'asimmetria rispetto al fatto che Cassa depositi e prestiti resta obbligata a corrispondere elevati tassi di interesse nei confronti dei risparmiatori che hanno sottoscritto i buoni postali che costituiscono fonte della provvista della medesima società con i quali concede prestiti agli enti locali;
la determinazione di indennizzi per estinzione anticipata a livelli predefiniti non superiori allo 0,50 per cento potrebbe condurre alla completa sostituzione dei prestiti a tasso fisso con quelli a tasso variabile, ovvero l'aggiornamento dei tassi fissi di interesse a livelli più elevati, proprio per tener conto dei possibili oneri conseguenti ad un'eventuale estinzione anticipata degli stessi richiesta dagli enti locali mutuatari;
Cassa depositi e prestiti ha precisato che, per quanto concerne i prestiti che presentano quale modalità di calcolo dell'indennizzo quello previsto dal decreto Ministero dell'economia e finanze 20 giugno 2003, una eventuale revisione dello stesso – che comporti la corresponsione di indennizzi inferiori a quelli attualmente previsti – determinerebbe la necessità di reintegrare la società per i minori introiti che si verrebbero a creare in conseguenza della revisione stessa;
sembrerebbe pertanto impossibile rimodulare le penalità di estinzione dei mutui in quanto la provvista necessaria al finanziamento dei mutui degli enti locali risulta essere costituita da buoni postali con tassi di interesse estremamente elevati –:
se il Ministro non ritenga opportuno fornire le motivazioni che hanno determinato l'utilizzo di buoni postali di elevata onerosità nell'ambito del finanziamento dei mutui contratti dagli enti locali e la ragione alla base della disparità di trattamento tra enti locali e soggetti privati nel calcolo delle penalità di estinzione dei mutui;
quale sia la percentuale di utilizzo dei più onerosi buoni postali rispetto ai depositi a minore remuneratività e il tasso medio di restituzione;
quale sia l'onere finanziario ascrivibile ad una riduzione, almeno ad un valore pari al 5 per cento, del tasso delle penalità di estinzione dei mutui contratti dagli enti locali. (5-01410)
GIUSTIZIA
Interrogazione a risposta in Commissione:
ZAMPA e BONAFÈ. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
il decreto legislativo istitutivo, n. 26 del 2006 (come modificato dalla legge n. 111 del 2007) afferma che la Scuola superiore della magistratura è «una struttura didattica autonoma, con personalità giuridica di diritto pubblico, piena capacità di diritto privato e autonomia organizzativa, funzionale e gestionale, negoziale e contabile» ed ha «competenza esclusiva in materia di aggiornamento e formazione dei magistrati»;
tali competenze, prima svolte dal Consiglio superiore della magistratura, sono state ereditate dalla Scuola e restano caratterizzate dal loro essere rivolte ai componenti dell'ordine giudiziario, assistiti in quanto tali da particolari garanzie di indipendenza;
la legge ha avuto cura di collocare la Scuola in posizione di piena autonomia, ancorché essa sia collegata, ma non in rapporto di subordinazione, da un lato con il Consiglio superiore della magistratura, dall'altro con il Ministro della giustizia e il relativo dicastero, competente per costituzione sui servizi relativi alla giustizia;
la scuola non è sottoposta dalla legge a poteri di vigilanza di alcun Ministero, nemmeno di quello della giustizia, fermi restando invece i poteri di direttiva e di controllo esercitati dal Governo e in ispecie dal Ministro dell'economia e delle finanze sulla gestione finanziaria e contabile dell'ente;
all'articolo 1 comma 4 della legge si dispone che; «Per il raggiungimento delle proprie finalità, la scuola si avvale di personale, che alla data di entrata in vigore del presente decreto, risulti già nell'organico del Ministero della giustizia, ovvero comandato da altre amministrazioni, in numero complessivamente non superiore a 50 unità»;
all'articolo 37 comma 2 che «All'attuazione di quanto previsto dall'articolo 1, comma 4, si provvede con le risorse umane del Ministero della giustizia, all'uopo utilizzando le risorse finanziarie a tale scopo già destinate e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica»;
il pagamento delle retribuzioni è interamente a carico del Ministero;
fino ad oggi sono state assegnate 8 unità di personale alla sede di Roma e 6 unità a Scandicci;
l'utenza della Villa di circa 280 utenti al giorno con frequentissima rotazione e i numerosissimi adempimenti relativi al settore internazionale fanno sì che la scuola necessiterebbe di altro personale;
per la Scuola non è prevista la possibilità di utilizzare il denaro ad essa assegnato per il pagamento di retribuzioni o accessori alla retribuzione –:
se e come i Ministri interessati intendano adoperarsi per prevedere l'assegnazione alla scuola di ulteriori unità di personale e per consentire alla scuola di pagare gli straordinari effettivamente svolti dal personale attualmente occupato.
(5-01400)
Interrogazioni a risposta scritta:
MOLTENI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
per effetto della riforma della geografia giudiziaria di cui al decreto legislativo 7 settembre 2012 n. 155 dal 13 settembre i tribunali di Cantù, Erba e Menaggio sono stati soppressi e accorpati a quello di Como;
a seguito di tale accorpamento il tribunale di Como ha registrato numerosi e gravi problemi dovuti alla inadeguatezza e penuria degli spazi disponibili all'interno del palazzo di giustizia e all'eccessivo carico di lavoro, poiché alle già circa cinquemila cause civili che tratta ogni anno, si sono aggiunti anche gli oltre mille fascicoli provenienti dai sopra indicati tribunali soppressi;
in aggiunta ai problemi sopra evidenziati, come si apprende anche da recenti articoli apparsi sui quotidiani locali, la situazione del tribunale di Como è peggiorata e ormai al collasso altresì per la carenza di personale amministrativo;
pare sia stata recentemente stipulata una convenzione tra provincia di Como, tribunale e procura per «l'utilizzo di lavoratori in mobilità iscritti nelle relative liste della provincia di Como da parte degli uffici giudiziari» per sopperire alla carenza di personale amministrativo del palazzo di giustizia comasco che, già precedentemente all'accorpamento, era sottodimensionato del 30 per cento;
ancora prima, il tribunale di Como e la procura della Repubblica, con due note rispettivamente dell'8 e 4 ottobre, avevano denunciato la «grave carenza di personale amministrativo ed ausiliario di supporto alla normale operatività delle strutture giudiziarie» e l’«impossibilità degli uffici giudiziari stessi di avere le sostituzioni del personale da parte del ministero competente» nonché «di poter finanziare i costi relativi all'inserimento di personale in mobilità»;
sarebbe almeno 28 le unità richieste per far fronte alle carenze di organico del settore amministrativo, di cui 16 unità per il tribunale e 12 per la procura della Repubblica;
i problemi gravissimi sopra evidenziati, oltre a comportare gravi disagi per gli operatori, soprattutto impediscono ai cittadini il legittimo diritto di cui all'articolo 111 della Costituzione di un regolare e giusto processo –:
se il Ministro sia a conoscenza della situazione gravissima in cui versa il tribunale e la procura della Repubblica di Como, quali iniziative intenda adottare per consentire il regolare svolgimento dell'attività giudiziaria del palazzo di giustizia comasco e la piena e regolare funzionalità dei relativi uffici giudiziari. (4-02430)
GRIBAUDO, MADIA e PARIS. — Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
il numero di detenuti è in costante aumento nelle carceri italiane ed è ormai arrivato a 65.891 unità, a fronte di circa 47.040 posti disponibili secondo i dati ufficiali (tuttavia corretti al ribasso dall'Osservatorio indipendente dell'associazione Antigone, secondo la quale i posti realmente disponibili sarebbero 37 mila, con un rapporto di 100 ogni 180 detenuti). Una sproporzione più volte denunciata dal Capo dello Stato, che è stata recentemente oggetto di sanzione da parte dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, con sentenza depositata in data «8 gennaio 2013, per la riconosciuta incompatibilità dell'attuale sistema carcerario italiano con l'articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, in riferimento alla proibizione di trattamenti inumani e degradanti. Sempre secondo la Corte l'Italia si collocherebbe infatti al terzo posto in questa classifica negativa, dopo Serbia e Grecia. Al confronto di questi numeri, l'esiguo numero di psicologi esperti ai sensi dell'articolo 80 della legge n. 354 del 1975, circa 380 a livello nazionale, che prestano servizio nelle carceri con una presenza media di 30 ore mensili, progressivamente ridottasi nel tempo e oramai insufficiente a fronte: a) delle esigenze di osservazione (legge n. 354 del 1975); b) del trattamento inteso come «riabilitazione e sostegno» (circolare del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria – DAP n. 0181045-2007 sull'accoglienza); c) della valutazione sulla pericolosità (articoli 4-bis e 14-bis della legge n. 354 del 1975 – circolare DAP 3619/6069 del 2009). Secondi dati riferiti dal Garante dei diritti del Lazio, il 50 per cento dei detenuti assume psicofarmaci e solo il 10 per cento può contare su un sostegno psicologico. Il numero di detenuti morti intra moenia arrivato a 2.212 unità dal 2000 al 2013, di cui 792 per suicidio, 40 dall'inizio del corrente anno (fonte: Centro Studi Ristretti Orizzonti – aggiornamento al 14 ottobre 2013). Un dato che si mantiene costantemente alto come emerge anche dalla serie storica degli «Eventi critici negli istituti penitenziari, anni 1992-2012» del Ministero della giustizia (aggiornamento al 31 dicembre 2012). Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o aprile 2008 con cui il personale medico della amministrazione penitenziaria è transitato sotto il Servizio sanitario nazionale e che, sopprimendo i relativi ruoli tra i quali quello dello psicologo, non ha tuttavia permesso il passaggio al Servizio sanitario nazionale degli esperti ma solo dei pochissimi psicologi che erano dipendenti in base alle tipologie di contratto e non alle funzioni effettivamente svolte. Sono nate da ciò varie questioni di «incompatibilità», per effetto dal trasferimento al Servizio sanitario nazionale di alcune funzioni svolte dagli esperti psicologi (visita nuovo ingresso, prevenzione del suicidio e disagio) senza che al contempo fosse riconosciuto a questi ultimi il detto passaggio al Servizio sanitario nazionale. In tal modo, infatti, si è spesso determinata una sovrapposizione di interventi per la quale il detenuto è costretto a relazionarsi in vari momenti con uno psicologo del Servizio sanitario nazionale per la visita di primo ingresso, con un diverso psicologo del SerT qualora tossicodipendente, con un terzo psicologo dell'amministrazione se «definitivo», per l'osservazione e l'eventuale ammissione alle misure alternative. Tutto ciò ad evidente discapito della continuità e della coerenza dell'assistenza psicologica, di osservazione e di trattamento ai sensi del detto articolo 80 della legge n. 354 del 1975. Le «prime osservazioni» sulla circolare 3645/6095 dell'11 giugno 2013 rese dalla Società italiana psicologia penitenziaria il 24 giugno 2013 sottolineano da parte degli psicologi penitenziari in particolare le esigenze relative: a) alla creazione di un’«area funzionale» di psicologia penitenziaria che migliori gli interventi e riconosca l'esperienza trentennale di queste figure; b) ad una stabilizzazione e continuità contrattuale; c) ad un aumento significativo del monte ore «per offrire un servizio dignitoso ed eticamente accettabile sia per i detenuti sia per gli operatori». Nel protocollo d'intesa siglato il 5 dicembre 2005 tra Ministero della giustizia – DAP, CNP e AUPI si era concordato: a) il riconoscimento del ruolo, con il superamento di fatto delle 64 ore mensili; b) un impegno per la rideterminazione degli organici e per un monte ore più adeguato; c) la previsione di un servizio o presidio per una migliore organizzazione dell'intervento, anche attraverso proposte normative; d) un impegno a rivedere i compensi orari, pur nella considerazione delle risorse disponibili; e) un impegno a non disperdere la professionalità, a «non vanificare le legittime aspettative di futura stabilizzazione» a tempo indeterminato e a favorire la stabilità delle convenzioni annuali. Nelle dette «prime osservazioni sulla circolare 3645/6095» si richiedeva anche la costituzione di «un gruppo di lavoro con tempi ristretti e definiti per trovare le soluzioni più opportune e coerenti tra il protocollo d'intesa del 2005 con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o aprile 2008, sospendendo la circolare stessa in attesa degli esiti del gruppo di lavoro. A tale specifica richiesta non risulta ad oggi giunta esplicita risposta. Nella risposta del Capo dipartimento amministrazione penitenziaria è possibile leggere «l'auspicabile necessità di un consistente aumento di budget a disposizione facendo leva sul significativo sovraffollamento delle nostre strutture», ma tuttavia che «le aspettative di transito al Servizio sanitario nazionale non possono allo stato essere soddisfatte» l'ufficio legislativo del Ministero della giustizia ha già espresso un iniziale parere negativo relativamente alla possibilità di procedere all'assunzione dei professionisti già in organico fino ad esaurimento in deroga a concorsi pubblici, ipotesi che pure era emersa in occasione dell'incontro fra il vice capo dipartimento vicario e una delegazione dei detti professionisti –:
quali misure intenda intraprendere per affrontare il potenziamento del personale civile nelle carceri, ed in particolare degli psicologi esperti ai sensi della legge n. 354 del 1975, specie alla luce del rilevante sovraffollamento;
quali misure si intendano assumere per la stabilizzazione del rapporto lavorativo degli esperti psicologi e per un significativo aumento dell'esiguo monte ore;
quale sia l'orientamento nei confronti della creazione di un gruppo di lavoro per l'armonizzazione del protocollo d'intesa 2005 con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o aprile 2008, anche con riferimento alla possibile creazione di una specifica «area funzionale» di psicologia penitenziaria atta ad evitare la parcellizzazione degli interventi (colloqui di primo ingresso, prevenzione del suicidio, sostegno agli imputati, prevenzione del disagio, interventi negli «eventi critici», osservazione della personalità) e i problemi di «incompatibilità». (4-02436)
INFRASTRUTTURE E TRASPORTI
Interrogazioni a risposta in Commissione:
TINO IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
il servizio ferroviario lungo la linea Sicignano degli Alburni-Lagonegro fu sospeso nel marzo del 1987 con l'introduzione di autoservizi sostitutivi su gomma;
tale linea, che ha una lunghezza di circa 78,4 chilometri, interessa un bacino di 22 comuni, con circa 9.000 abitanti;
questi comuni sono tutti nella provincia di Salerno, ad eccezione di Lagonegro situato in provincia di Potenza;
negli anni successivi la linea non è stata ripristinata;
peraltro nel corso degli anni sono stati realizzati studi tecnici ed economici per il ripristino dell'esercizio ferroviario sulla linea Sicignano-Lagonegro, particolarmente atteso dalle comunità e dalle amministrazioni locali e rilevante per il sistema dei collegamenti nella intera zona;
nella legge 29 dicembre 2003, n. 376, è stata prevista l'erogazione di un contributo triennale (per complessivi 18 milioni di euro) in favore delle Ferrovie dello Stato spa per gli interventi finalizzati al ripristino della tratta ferroviaria Sicignano-Lagonegro;
in ogni caso tale tratta non risulta mai essere stata formalmente dismessa, attraverso lo specifico procedimento previsto e tipizzato dalla normativa vigente;
è da ritenersi, invece, che questa linea ferroviaria è stata interrotta, sia pure da diversi anni, in attesa di decisioni definitive;
la questione di tale tratta ferroviaria è già stata sollevata dall'interrogante nella XVI Legislatura con la interrogazione n. 5-01635 del 15 luglio 2009, con risposta del rappresentante del Governo pro tempore il successivo 12 novembre;
una nuova interrogazione n. 5-00118 è stata presentata, il 14 maggio 2013, dall'interrogante nell'attuale legislatura;
in risposta a tale ultimo atto di sindacato ispettivo, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nella seduta della IX Commissione dell'11 luglio 2013, ha affermato che «nello scorso mese di maggio RFI ha avviato un nuovo studio di fattibilità che sarà completato entro il prossimo mese di ottobre»;
occorre che la indicata scadenza del prossimo mese di ottobre sia effettivamente rispettata per evitare altri ritardi ed altri gravi perdite di tempo e per rendere, invece, finalmente possibile un progetto idoneo, funzionale e con costi più ridotti rispetto a quelli francamente eccessivi e troppo alti, fino ad oggi ipotizzati;
sembra che RFI spa abbia commissionato tale nuovo studio di fattibilità per valutare l'intervento da effettuare con il minor costo possibile, al fine di ripristinare la tratta ferroviaria Sicignano-Lagonegro, come hanno sollecitato tutti i sindaci del comprensorio con specifici atti deliberativi e come da tempo stanno facendo tanti cittadini riuniti anche in un comitato molto attivo e determinato;
nella risposta resa dal Ministero in Commissione IX, nella sedute dello scorso 15 ottobre e con riferimento alla ulteriore interrogazione n. 5-00965 dell'esponente, si è confermato che «lo studio sarà completato entro il corrente mese di ottobre» –:
quale sia l'effettiva situazione della linea ferroviaria Sicignano-Lagonegro interrotta dal 1987 ed, in particolare, quando sarà effettivamente ultimato tale studio di fattibilità, essenziale ed assolutamente determinante per attivare, in concreto, un progetto adeguato, ma dai costi contenuti, per ripristinare questa linea ferroviaria così rilevante per tutte le comunità interessate, e quali siano gli effettivi e precisi contenuti e le specifiche previsioni del predetto studio di fattibilità. (5-01402)
NARDUOLO, NACCARATO, MIOTTO, CRIVELLARI e GINATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
la conclusione dei lavori dell'autostrada A31 Valdastico Sud riveste particolare importanza al fine di rendere agevole il trasporto di persone e merci rompendo l'isolamento viario di una vasta zona del Basso Veneto, in particolare il basso vicentino e la bassa padovana;
una parte importante della pianificazione territoriale intercomunale di un intera area della bassa padovana si è costruita partendo dal presupposto che fosse realizzato in tempi certi il tratto autostradale in questione. Allo scopo sono nate diverse iniziative, anche pubbliche, come ad esempio la società di trasformazione urbana «Parco del Fiumicello», partecipata dai comuni di Montagnana, Santa Margherita d'Adige, Megliadino San Fidenzio e Megliadino San Vitale, dalla provincia di Padova e dalla camera di commercio nonché dalla società «Zona industriale Padova» ZIP;
nel 2005, all'epoca di inizio dei lavori, veniva indicato nel 2010 l'anno di apertura dell'intera autostrada. Un comunicato stampa dell'ANAS del 22 novembre 2008 e successive dichiarazioni da parte del dottor Ciucci (Anas) mettevano in evidenza l'intenzione di aprire l'autostrada per lotti sequenziali. I lotti 1, 2, 3 (interconnessione con il tratto di Valdastico già esistente in zona Vicenza) per un totale di 7,5 chilometri e i lotti 9, 10, 11, 12, 13, 14 per un totale di 18 chilometri, si prevedeva di aprirli nel 2009. Pochi mesi dopo era prevista l'apertura dei lotti 15, 16, 17 (interconnessione con la strada statale 434 Transpolesana in zona Rovigo). Per quanto riguarda i lotti rimanenti, si prevedeva di terminare i lavori entro dicembre 2010;
il ritardo nei lavori di realizzazione e, quindi, nella conseguente consegna dell'opera è attribuito a diversi fattori: dal ricorso al TAR nel 2005 delle associazioni Italia Nostra e WWF nonché della fondazione britannica «The Landmark Trust», all'alluvione del 2010 sino all'inchiesta che il 3 luglio 2013 ha portato la procura distrettuale antimafia di Venezia ad emettere, a firma del pubblico ministero Rita Ugolini, 27 avvisi di garanzia ipotizzando i reati di falso ideologico e traffico illegale di rifiuti in forma organizzata;
alla data odierna solo i primi due tratti in provincia di Vicenza (dall'interconnessione con l'autostrada A4 sino allo svincolo Montegaldella-Longare e da quest'ultimo svincolo sino ad Albettone-Barbarano) sono già realizzati e aperti al traffico ed è stato indicato il termine di dicembre 2014 per la definitiva consegna dell'opera, cioè ben quattro anni dopo le previsioni iniziali;
nel frattempo le iniziative sopracitate soffrono la mancata apertura dei tratti di autostrada rimanenti mettendo a rischio capitali pubblici già investiti di non poca entità e precludendo l'eventuale sviluppo economico del territorio –:
se il Ministro sia a conoscenza dell'intera situazione e se l'ultima previsione dei tempi di realizzazione e apertura dell'opera (dicembre 2014) potrà essere rispettata. (5-01407)
ZAN. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
la metropolitana di superficie (SFMR) è un progetto nato il 4 febbraio del 1988 con un protocollo d'intesa firmato dalla regione Veneto, l'Ente ferrovie dello Stato e il Ministero dei trasporti – direzione generale della motorizzazione civile e dei trasporti in concessione;
il progetto esecutivo dell'opera viene approvato nel 1999 dalla giunta regionale veneta;
nel progetto sono stati investiti circa 650milioni di euro ma molte delle stazioni fino ad ora costruite sono totalmente cadute nel degrado;
in tutto il triangolo territoriale che dovrebbe riguardare il servizio Padova, Venezia, Treviso, sono state costruite stazioni ferroviarie e parcheggi, ma dopo quasi vent'anni non vi è traccia del servizio della Metropolitana di Superficie;
il sistema ferroviario metropolitano regionale da anni viene rimandato;
questa risorsa inutilizzata spalancherebbe le porte alla nuova visione di mobilità sostenibile in ambito urbano, e quindi al trasporto intelligente. È stimato che ci sarebbe un alto bacino di utenza per questo servizio. Le previsioni di variazione della ripartizione modale (cioè della percentuale di utenti che cambierà sistema di trasporto) prevede un aumento di passeggeri su treno del 74,2 per cento una riduzione dei viaggiatori su auto del 7,7 per cento e una riduzione dei viaggiatori su bus del 32,3 per cento. Altri studi prevedono che il 18 per cento degli attuali spostamenti automobilistici privati si trasferirà con i treni della SFMR;
in data 19 ottobre 2013, a Vigonza, uno dei comuni coinvolti da questa rete ferroviaria, si è tenuta una manifestazione organizzata dal circolo di Sel di Cadoneghe, Vigonza e Vigodarzere (tre comuni altamente sensibili e toccati dal problema dei trasporti pubblici) a cui hanno partecipato il Partito democratico, il Movimento Cinque Stelle, e a cui hanno aderito sigle sindacali come Filt Cgil trasporti ed altre. Proprio la stazione di Busa di Vigonza è la perfetta rappresentazione di come i soldi pubblici siano stati investiti in una stazione praticamente ultimata (mancano panchine e pensiline) completamente caduta in degrado ed utilizzata come luogo di spaccio e prostituzione;
la regione Veneto è da anni che continua a professare un continuo impegno in questa operazione, ma le promesse non sono mai state mantenute, basti pensare che l'assessore regionale ai trasporti Chisso, aveva assicurato che la metropolitana sarebbe partita i primi giorni di settembre (ennesima fantomatica data di partenza del servizio) e per l'ennesima volta non è stata mantenuta la parola –:
cosa intenda fare il Ministro interrogato per quanto di sua competenza per accelerare le procedure per l'attuazione del progetto esposto in premessa alla luce del protocollo d'intesa firmato nel lontano 1988. (5-01411)
INTERNO
Interrogazioni a risposta in Commissione:
CAPARINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
il comparto armiero italiano ha chiuso il 2012 con un +11 per cento rispetto all'anno precedente: armi lunghe da caccia, corte sportive, repliche, la ripresa dei mercati esteri (dove viene collocato più del 90 per cento della produzione) interessa tutti i segmenti, ma soprattutto le lavorazioni a maggiore valore aggiunto. Il comparto vanta 250 milioni di fatturato e 108 imprese per oltre 3 mila addetti concentrati in Valtrompia, in provincia di Brescia, finalmente si sta lasciando alle spalle anni bui, con la media di armi provate ormai attestata sulle 700 mila unità;
sugli ottimi numeri incide una grossa commessa ottenuta negli Usa dal peso massimo del distretto Beretta: «Nelle scorse settimane abbiamo avuto conferme — spiegano Francesco Bettoni, presidente della Camera di Commercio di Brescia e Nicola Perrotti, presidente dell'Anpam — sia allo Shot Show di Las Vegas, la principale rassegna del settore, sia all'Iwa di Norimberga. Non è solo la ripresa del mercato americano a trainare la produzione: i nostri fucili stanno trovando ottimi riscontri anche sul mercato sudafricano, russo, su quello brasiliano e del medio oriente, oltre che sui tradizionali bacini europei»;
l'Autorità nazionale per il controllo delle esportazioni extraeuropee delle armi sportive, da caccia e civili voluta dal Ministero dell'interno in applicazione del regolamento n. 258 del 2012 dell'Unione europea non riesce a sostenere le richieste del comparto armiero e si è trasformato in un collo bottiglia che impedisce la regolare attività commerciale;
«La situazione è molto preoccupante — dichiara al Bresciaoggi del 6 novembre il sindaco di Gardone Michele Gussago —. L'autorità di controllo è stata istituita a Roma ma non è ancora attiva e ciò ha comportato una situazione di stallo pericolosa. Anche perché nel frattempo le strutture territoriali che hanno funzionato fino a pochi giorni fa, ovvero le questure, hanno perso la competenza al rilascio delle autorizzazioni per le esportazioni extraeuropee di armi sportive e civili (per quelle militari si seguono altre procedure). È assolutamente giusto avere regole da seguire, ma non è possibile mettere in ginocchio l'economia — aggiunge il sindaco —. Le aziende del settore non possono fare magazzino, sono autorizzate solo per un quantitativo stabilito e poi l'unica soluzione è lo stop della produzione: l'eccesso di stoccaggio comporta il ritiro della licenza di fabbricazione. Se consideriamo poi che la concorrenza si basa sulla velocità di fornitura è ovvio che si rischia di perdere grosse fette di mercato. Stimiamo che la mancata esportazione extraeuropea comporti una perdita di 15 milioni di euro a settimana in merci da spedire»;
il consorzio armaioli italiani e l'Associazione nazionale produttori armi e munizioni stanno interloquendo col Ministero dell'interno al fine di individuare una soluzione;
da tempo le organizzazioni di rappresentanza sindacale hanno segnalato al Viminale la preoccupante situazione in cui versa la questura di Brescia, i cui presidi attualmente disponibili non sono sufficienti (per mezzi e organici) a far fronte alle esigenze della città;
in passato il Viminale, attraverso una sua nota, ha dato seguito ad una sollecitazione avanzata dalla segreteria provinciale di Brescia del SAP, ammettendo di fatto che la «questura di Brescia è sotto organico» e che «servono rinforzi» riconoscendo inoltre che «Brescia ha esigenze di incremento dei livelli di sicurezza» ed ancora che «si registra una particolare attenzione, per un eventuale ulteriore rinforzo del dispositivo esistente nel territorio bresciano» –:
quali iniziative intenda intraprendere per gestire la fase transitoria e mettere in grado le questure, dotandole di adeguato personale, di rilasciare le necessarie autorizzazioni fintanto che l'Ance non sarà pienamente operativa. (5-01401)
TULLO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
il contrasto giusto e legittimo a tutte le forme di violenza negli stadi e in generale durante lo svolgimento di manifestazioni sportive è stato spesso dettato dall'emergenza e attuato con strumenti di carattere punitivo, non provando ad affiancare da parte dei diversi soggetti interessati una politica di prevenzione, educazione e dialogo con le tifoserie organizzate;
in quest'ambito e situazione con il decreto-legge n. 41 del 2007, convertito con modificazioni, dalla legge 41 del 2007 è stata introdotta la cosiddetta tessera del tifoso (TDT), in molte occasioni non sono mancate prese di posizione anche da parte degli stessi operatori della sicurezza rispetto alla validità dello strumento a disposizione, anche l'ex capo della polizia dottor Manganelli, durante un'intervista del 18 luglio 2013 pur rivendicando la necessità di affrontare un'emergenza che si era registrata ed aveva portato all'introduzione della (TDT) auspicava ad un ritorno alla normalità superando la stessa;
in particolare l'articolo 9 della legge d'istituzione della (TDT) contrasta fortemente con la filosofia della nostro ordinamento che prevede sanzioni amministrative e penali tese all'educazione e al recupero dei soggetti che commettono reati;
nel corso di questi anni attraverso anche a provvedimenti dell'Osservatorio nazionale manifestazioni sportive si sono tentate modifiche interpretative e regolamentari, ma che lasciano invariata la filosofia della norma e in tal caso forse si sono anche registrate lacune e difficoltà d'interpretazione e applicazione, ad esempio con l'utilizzo dei voucher, per la acquisizione dei biglietti;
in occasione della partita Livorno/Sampdoria, in programma nella città toscana il 19 ottobre 2013, novantatré tifosi Genovesi, in possesso del biglietto per l'evento sportivo regolarmente acquistati attraverso la procedura del Voucher, sono stati fermati prima di entrare allo stadio, dopo una verifica legata al possesso della (TDT) hanno fatto rientro a Genova, e ciò come riportato dalla stampa cittadina e da molti testimoni è avvenuto senza particolari momenti di tensione e tantomeno episodi violenti;
nei giorni passati la questura di Livorno ha annunciato la misura del DASPO nei confronti dei tifosi coinvolti, assumendo provvedimenti in alcuni casi anche di periodi di allontanamento dagli stadi per due o tre anni –:
se a distanza di oltre cinque anni dall'introduzione della (TDT) non si ritenga di fare un bilancio complessivo e se non si ritenga opportuno superare tale strumento;
se si possa valutare comunque di assumere iniziative per abrogare o modificare l'articolo 9 del decreto 41 del 2007, per rendere esplicita la possibilità del soggetto sottoposto a misura di DASPO di poter richiedere la (TDT) una volta scontato il periodo di divieto;
se non si ritenga che a fianco a misure tese a prevenire e punire comportamenti violenti di qualsiasi natura non sia giunto il momento di affiancare politiche di dialogo e compartecipazione delle tifoserie organizzate per una piena responsabilità delle stesse in relazione alle misure da adottare, anche attraverso un tavolo che veda coinvolti tutti i soggetti interessati (Ministeri, Coni, Federcalcio, Società, Stampa, Tifoserie);
se sia a conoscenza dell'episodio di Livorno del 19 ottobre 2013, e quali considerazioni siano state addotte in relazione all'assunzione di misure così pesanti rispetto a come i fatti sembrano essere accaduti. (5-01406)
Interrogazioni a risposta scritta:
GRILLO, DI VITA, MARZANA, BATTELLI, BRESCIA e LUPO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
nel luglio 2013 vennero approvati due progetti (PON sicurezza Sicilia) finalizzati ad aumentare la sicurezza e la legalità in alcune regioni del Sud fra cui la Sicilia;
un progetto, denominato «Sistema» prevedeva l'apertura e l'istituzione di due orchestre giovanili a Catania e a Palermo;
un altro, «Legalit-ARS», prevedeva l'avvio di percorsi formativi ai mestieri dello spettacolo dal vivo;
nel sito del Ministero dell'interno vi sono le linee guida per la presentazione dei progetti inerenti il PON 2007/2013;
all'esito del progetto non risulta esperito alcun bando né per i privati né per soggetti diversi;
peraltro le associazioni, le fondazioni, gli enti giuridici non sono stati messi a conoscenza tramite azioni di informazione e comunicazione dalla prefettura;
gli unici beneficiari del PON sicurezza Sicilia 2013 sono risultati l'associazione siciliana amici della musica (Palermo) e il teatro Bellini (Catania);
appare legalmente non corretto assegnare fondi e cospicue risorse senza bando pubblico;
appare eticamente non corretto non interessare enti o associazioni che da anni operano nel sociale contro la mafia e per la legalità;
negli statuti dei vincitori non pare essere previsto lo svolgimento di attività sulla legalità;
non si comprende la «Scala» di Milano, scelta come partner con delega alla gestione, quale attinenza abbia sul PON sicurezza Sud-Sicilia –:
quale sia il motivo dell'assegnazione al Teatro Bellini di Catania di tali Fondi europei, essendo essi destinati a soggetti privati;
se tali finanziamenti siano stati assegnati per aiutare una reale operatività sul territorio o per ripianare i bilanci dissestati degli enti assegnatari;
se in autostrada si ritenga opportuno revocare il provvedimento di finanziamento prima richiamato;
se si intenda riformulare il bando in modo chiaro per gli operatori privati e pubblici che da decenni operano alla diffusione della legalità contro la mafia.
(4-02431)
NACCARATO, MIOTTO e NARDUOLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
dopo la mezzanotte di lunedì 4 novembre uno dei camion della ditta Francescon di Maserà in provincia di Padova è stato dato alle fiamme da ignoti che hanno scagliato bottiglie piene di materiale incendiario sul veicolo e sulla siepe di recinzione del parcheggio;
nell'ultimo mese la ditta Francescon è stata oggetto di altri due attentati incendiari;
gli episodi hanno causato danni ingenti e hanno generato fortissima preoccupazione per i titolari dell'impresa;
la piccola azienda di Maserà possiede quattro camion per il trasporto di alimentari in tutta Italia e conta tre dipendenti;
le dinamiche dei fatti richiamano le modalità tipiche delle azioni intimidatorie e hanno destato forti preoccupazioni nella comunità locale e allarme presso la cittadinanza –:
se il Ministro sia al corrente dei fatti esposti in premessa;
quali concrete iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, intenda porre in essere per agevolare l'individuazione dei responsabili, fare luce sulla matrice dei fatti descritti e per prevenire il ripetersi di tali episodi. (4-02434)
MARCO DI MAIO e LATTUCA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
la provincia di Forlì-Cesena ha inviato in data 5 luglio 2013 una richiesta in cui si domandava il rafforzamento dei presidi dei vigili del fuoco presenti nella provincia;
nella realtà provinciale di Forlì-Cesena esistono delle richieste a cui non è stata data una risposta adeguata, esse riguardano:
a) la riqualificazione della sede centrale di Forlì, che copre la città e i comuni limitrofi, con il passaggio da S2 a S3;
b) l'elevazione della sede distaccata di Cesena da D2 a D3 poiché la squadra agisce fino al comune di Cesenatico compreso;
c) la riqualificazione del distaccamento di Cesenatico da volontario a permanente in quanto la zona è coperta esclusivamente da vigili del fuoco volontari che diventano insufficienti nel periodo estivo quando la popolazione aumenta a causa dell'alto livello del flusso turistico;
d) il passaggio del distaccamento di Bagno di Romagna da misto a permanenti;
il comune di Bagno di Romagna ha inviato una comunicazione il 2 agosto 2013 in cui richiedeva il passaggio da distaccamento misto a distaccamento permanente del presidio presente a San Piero in Bagno (FC);
detto presidio è presente fin dagli anni 90 e il comune di Bagno di Romagna negli anni si è fatto carico delle spese di affitto dei locali. Il distaccamento copre una superficie pari a 700 chilometri quadrati che per vastità e caratteristiche, richiede la presenza di un presidio permanente dei vigili del fuoco. Nella zona sono presenti svariate aree industriali e grandi impianti civili come l'autostrada E45 e la Diga di Ridracoli. Inoltre è un punto di riferimento per gli altri comuni della zona, in particolare per i comuni di Santa Sofia, Sarsina, Mercato Saraceno e Verghereto;
sono stati ricollocati, in provincia e in zone limitrofe, 56 vigili del fuoco a causa della temporanea chiusura dello scalo aeroportuale di Forlì –:
quale risposta intenda fornire alle questioni relative al territorio della provincia di Forlì-Cesena descritte in premessa;
come intenda agire affinché si trovi risposta positiva alla richiesta di rivedere e rafforzare l'intera dislocazione e classificazione del Corpo dei vigili del fuoco sul territorio provinciale. (4-02435)
GIANCARLO GIORGETTI, PRATAVIERA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI e RONDINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
i provvedimenti normativi adottati negli ultimi due anni da parte del Governo italiano e finalizzati ad abbassare gli elevati livelli di spesa pubblica si sono concentrati soprattutto sugli Enti locali, e sui comuni in special modo, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero senza valutare adeguatamente le politiche di gestione virtuose e senza altresì valutare adeguatamente come il concorso degli enti locali alla creazione del deficit dell'amministrazione pubblica nazionale sia stato inferiore rispetto a quello creato da livelli di governo centrale;
il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, ha disposto la riduzione delle risorse destinate ai Comuni per un importo pari a 2 miliardi e 250 milioni di euro per l'anno 2013, così che la situazione della finanza pubblica locale risulta pertanto estremamente complessa, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione dei trasferimenti erariali, sia per il fatto che le amministrazioni locali, proprio per sopperire a tali deficit, in numerosi casi ricorreranno all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU;
il dipartimento delle politiche fiscali del Ministero dell'economia e delle finanze ha diffuso (31 maggio 2013) le nuove quantificazioni del gettito dell'IMU 2012 ad aliquota di base, unitamente alle conseguenti rettifiche delle attribuzioni del Fondo di sperimentale di riequilibrio, e che la revisione delle stime del gettito Imu ad aliquota di base è stata effettuata, come disposto dalla legge di stabilità 2013 utilizzando, oltre che i pagamenti IMU comprensivi del saldo di dicembre, i dati relativi ai regimi di imposta deliberati dai singoli comuni raccolti e classificati dall'IFEL;
è evidente un rilevante scostamento tra l'ammontare complessivo della stima dell'IMU standard, valutata dal Ministero dell'economia e delle finanze in 12,252 milioni di euro, e il gettito standard effettivamente incassato dai Comuni, pari a circa 11.703 milioni di euro (-549 milioni di euro), e che tale scostamento comprende, per un importo di oltre 300 milioni di euro, il gettito virtuale dell'IMU sugli immobili di proprietà comunale che non può in alcun modo essere considerato una risorsa sulla quale operare variazioni «compensative» a favore dello Stato;
permane ancora, inoltre, una sostanziale differenza tra la provvisoria valutazione ISTAT dell'ICI 2010 – adottata dal Governo ai fini della quantificazione delle compensazioni ICI-IMU – e la valutazione revisionata dall'ISTAT nel maggio 2012, più elevata per ben 464 milioni di euro, e che fa non considerazione del nuovo ammontare dell'ICI comporta per i comuni una perdita complessiva di 464 milioni di euro, e che la diversa quantificazione sopra descritta ha determinato, a livello di singolo comune, delle variazioni inattese del fondo al ribasso che, a bilancio 2012 chiuso, condizionano l'equilibrio dell'esercizio 2013;
la difficoltà attuale degli enti locali è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente variabile ed incerto, soprattutto con riferimento al gettito della imposta municipale propria, e che questo ha portato al differimento del termine per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013;
il predetto termine, secondo il Testo unico degli enti locali, è infatti di norma fissato al 31 dicembre dell'anno precedente l'esercizio finanziario, ed è stato differito per il 2013 una prima volta al 30 giugno dell'anno ad opera dell'articolo 1, comma 381, della legge di stabilità 2013 e, successivamente, al 30 settembre del medesimo anno dall'articolo 10, comma 4-quater35 del 2013;
il decreto legge 102 del 2013 reca una ulteriore proroga, rispetto a quelle già precedentemente intervenute, del termine per la deliberazione del bilancio di previsione 2013 degli enti locali, fissandolo alla data del 30 novembre 2013, facendo così coincidere tale adempimento con l'approvazione dell'assestamento di bilancio, e che l'ulteriore proroga deriva dalla necessità di consentire agli enti locali di acquisire maggior certezza sull'entità delle proprie entrate, in considerazione delle numerose modifiche legislative apportate in corso d'anno nella materia;
il decreto-legge n. 54 del 2013 ha sospeso – per l'anno 2013 – il versamento della prima rata dell'IMU, in scadenza il 16 giugno, per determinate categorie immobiliari e che, secondo quanto previsto dal decreto-legge stesso, tale sospensione operava nelle more di una complessiva riforma della disciplina dell'imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare, da realizzare sulla base di alcuni principi;
il decreto-legge 102 del 2013 tratta complessivamente una modifica sostanziale all'applicazione dell'imposta IMU così come era prevista per l'anno 2013 dalla legge di stabilità 2013, nonché ne disciplina le modalità di rimborso verso i comuni, stabilendo con precisione l'ammontare della compensazione dovuto agli enti locali in ragione della sospensione operata ai sensi del decreto-legge n. 54 quantificata in 2.327,3 milioni di euro per l'anno 2013 e di 75,7 milioni a decorrere dall'anno 2014;
la compensazione disposta copre solo parzialmente le risorse incassate dai Comuni per il gettito IMU complessivo incassato nel 2012 che, ad aliquota standard del 4 per mille, ammontava per il comparto a circa 3,8 miliardi di euro, e che gli effetti del provvedimento intervengono di fatto a poco più di due mesi dalla fine dell'esercizio di bilancio 2013, e che mentre i Comuni che hanno già approvato il bilancio di previsione ed impegnato, quando non spese, le risorse iscritte in funzione del gettito IMU previsto ad inizio anno, i Comuni che devono ancora predisporre i bilanci preventivi non hanno ad oggi conoscenza precisa delle risorse che saranno loro a disposizione come ristoro per il mancato incasso dell'Imposta Municipale Propria, e che questo potrebbe comportare gravi situazioni di squilibrio economico finanziario nel caso in cui il rimborso non fosse in linea con le previsioni attese;
i comuni possono modificare le predette aliquote di base (sia per l'abitazione principale che per gli altri immobili), in aumento o diminuzione, entro margini stabiliti dalla legge, ma che alla luce delle evidenti difficoltà di redigere i bilanci previsionali, e che tale situazione è peraltro resa più complessa dal fatto che a fronte della vigente normativa sugli immobili D il cui gettito da quest'anno sarà Interamente riversato nelle casse dell'erario, è presumibile supporre come, proprio a fronte di un mancato incasso come quello derivante ai Comuni dal tributo sugli edifici D, numerosi Enti locali saranno costretti ad aumentare le aliquote su tutto gli altri immobili al fine di compensare il gettito oggi mancante dalle disposizioni dello Stato centrale, determinando così un aumento della pressione fiscale a carico dei cittadini –:
se non ritenga opportuno, alla luce del complesso quadro normativo vigente e dell'incertezza relativamente alle risorse economiche a disposizione degli enti locali:
a) assumere iniziative affinché la quota effettiva di rimborso da parte dello Stato verso ogni singolo comune a ristoro della soppressione dell'IMU sia determinata in modo non inferiore a quanto accertato effettivamente a consuntivo sul gettito 2012 derivante dall'applicazione dell'imposta municipale sui medesimi immobili sui quali opera attualmente la soppressione della medesima imposta, così che la norma non determini, rispetto al precedente esercizio, alcuna riduzione sui bilanci degli enti;
b) chiarire con precisione, e comunque con congruo anticipo rispetto alla data del 30 novembre, le risorse a disposizione di ogni comune per il fondo sperimentale comunale per l'anno 2013, provvedendo alle dovute spettanze, sia per quanto concerne il fondo sperimentale comunale che la compensazione IMU, specificando altresì se i dati riferiti al Fondo di riequilibrio 2012 presenti sul sito dal Ministero dell'interno debbano considerarsi consolidati e quali iniziative si intenda adottare qualora l'ammontare di tali risorse risulti inferiore a quanto previsto incassare dal medesimo comune, stante le proprie proiezioni. (4-02450)
ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA
Interrogazione a risposta in Commissione:
BOSSA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
il Presidente del Consiglio dei ministri, Enrico Letta ha più volte richiamato la necessità di condurre una battaglia contro la dispersione scolastica;
tra le altre cose, ha detto che: «sul Sud vogliamo vincere la grande battaglia contro la dispersione scolastica (...) perché al Sud l'intensità di ogni problema è moltiplicato all'ennesima potenza»;
la dispersione scolastica è molto elevata nella scuola secondaria di secondo grado quando alla già complessa età dell'adolescenza rischiano, a volte, di sommarsi anche una serie di problemi personali, come la disabilità, su cui la scuola si dimostra a volte incapace di interventi adeguati anche a causa delle carenze di organico;
negli ultimi anni la stabilizzazione dei docenti di sostegno è avvenuta quasi esclusivamente nella scuola dell'infanzia, primaria e scuola secondaria di primo grado, in favore di docenti con pochi anni di esperienza e conseguente basso punteggio;
il precariato storico, invece, si colloca soprattutto alle scuole superiori di secondo grado, dove non sempre si riesce a garantire la continuità didattica e su cui non risultano adeguati livelli di stabilizzazione;
ne è un esempio il caso delle immissioni in ruolo degli ultimi 3 anni disposte dal Csa di Roma;
la mancata continuità didattica comporta una non ottimale allocazione delle risorse in quanto l'intervento di sostegno efficace è quello che si sviluppa ad opera dello stesso insegnante di sostegno rivolto ai medesimi alunni disabili, lungo tutto il percorso delle superiori, circostanza non attuabile con l'attuale precariato;
appare necessaria la stabilizzazione degli insegnanti specializzati e di sostegno che insegnano nelle scuole pubbliche statali di secondo grado, che negli anni hanno accumulato esperienza, professionalità, titoli e punteggio –:
se e come il Governo intenda procedere per l'eventuale stabilizzazione di insegnanti specializzati che insegnano nelle scuole pubbliche statali di secondo grado, che negli anni hanno accumulato esperienza, professionalità, titoli, punteggio, la cui discontinuità nuoce gravemente al diritto allo studio, alimentando la dispersione scolastica. (5-01405)
Interrogazione a risposta scritta:
VACCA, DEL GROSSO, COLLETTI, LUIGI GALLO, SIMONE VALENTE, BRESCIA e BATTELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
nell'articolo 18, commi da 8 a 8-sexies, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 convertito dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 recante «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», è prevista l'attuazione dei piani di edilizia scolastica per il triennio 2014-2016;
in particolare, il comma 8-quater stabilisce che l'assegnazione delle risorse agli enti locali è effettuata dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sulla base di graduatorie che le regioni sono state tenute a trasmettere entro il 15 ottobre 2013;
a tal fine gli enti locali hanno presentato alle regioni entro il 15 settembre 2013 progetti esecutivi immediatamente cantierabili di messa in sicurezza, ristrutturazione e manutenzione straordinaria degli edifici scolastici;
lo stanziamento per l'annualità 2014 è pari a euro 150.000.000,00 e tali risorse sono ripartite tra le regioni sulla base del numero degli edifici, scolastici e degli alunni presenti in ciascuna regione e della situazione del patrimonio edilizio scolastico;
alla regione Abruzzo sono stati assegnati complessivamente euro 4.000.000,00;
tali risorse finanziano progetti di interventi sugli edifici scolastici riguardo alla messa in sicurezza, alla ristrutturazione e alla manutenzione straordinaria;
tali risorse sono finalizzate ad attuare misure urgenti in materia di riqualificazione e di messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche statali, con particolare riferimento a quelle in cui è stata censita la presenza di amianto, nonché di garantire il regolare svolgimento del servizio scolastico;
la giunta della regione Abruzzo ha stabilito di finanziare prioritariamente gli interventi di messa in sicurezza degli edifici scolastici e a seguire in subordine quelli di ristrutturazione e di manutenzione straordinaria;
nell'ambito delle categorie sopra citate le istanze di finanziamento sono poste in ordine di graduatoria in funzione decrescente del numero di alunni ospitati nell'edificio rivelabile dalla dichiarazione del dirigente allegata all'istanza;
la determinazione dirigenziale della regione Abruzzo pubblicata sul BURAT e sul sito web della giunta ragionale contiene i criteri con cui sono stati individuati i beneficiari del contributo economico nonché una tabella contenente le istanze ammissibili al contributo;
nella tabella citata, allegato C, è presente una classificazione della tipologia di intervento contenuto nelle istanze ovvero la messa in sicurezza degli edifici scolastici, la ristrutturazione e la manutenzione straordinaria e questa suddivisione determina in maniera prioritaria la concessione o meno del contributo;
dagli atti pubblicati dalla regione Abruzzo non è possibile evincere in che modo e con quali criteri è stata attribuita all'una o all'altra istanza la tipologia di intervento;
ad oggi non risulta pubblicato il decreto con cui il Ministero assegna agli enti locali i finanziamenti in base alla graduatorie presentate dalle regioni;
nella regione Abruzzo il 60 per cento dei fondi sono destinati ad edifici scolastici di una sola provincia ossia quella di Teramo;
la città di Teramo, che disporrà di ben 2 finanziamenti su 7 progetti finanziati nell'intera regione Abruzzo è stata, in passato, amministrata dall'attuale presidente della giunta regionale;
nella tabella di ripartizione dei fondi si evince che il criterio del numero di alunni ospitati nell'edificio non è rispettato soprattutto per il primo classificato in cui si finanziano «edifici vari relativi a scuole dell'infanzia» ubicati in vari indirizzi –:
se il Ministro intenda avviare una verifica delle graduatorie che la regione Abruzzo ha trasmesso al Ministero circa l'effettiva corrispondenza della graduatoria regionale alle finalità del finanziamento in oggetto. (4-02447)
LAVORO E POLITICHE SOCIALI
Interrogazioni a risposta scritta:
DI LELLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
la riforma del mercato del lavoro (legge n. 92 del 2012) ha previsto l'abrogazione, a decorrere dal primo gennaio 2017, dell'iscrizione alle liste di mobilità;
esistono due diverse liste di mobilità che fanno capo rispettivamente alla legge n. 223 del 1991 e alla legge n. 236 del 1993. In particolare quest'ultima si riferisce ai lavoratori licenziati da aziende con meno di quindici dipendenti, ed è applicabile in virtù di provvedimenti normativi appositi che ne prorogano di anno in anno le previsioni;
l'iscrizione alle liste di mobilità per i lavoratori licenziati da aziende con meno di quindici dipendenti, ed i conseguenti incentivi (sgravi contributivi) per le aziende che li assumono, sono stati prorogati fino a tutto il 31 dicembre 2012 dapprima con il decreto-legge n. 185 del 2008 e successivamente con la legge n. 183 del 2011;
in sede di approvazione della legge n. 228 del 2012 (legge di stabilità) sono stati prorogati alcuni ammortizzatori sociali e si attendeva la proroga per il 2013 della cosiddetta «piccola mobilità» destinata, per l'appunto, alle aziende con meno di quindici dipendenti;
la legge di stabilità però non ha prorogato le previsioni del comma 13 dell'articolo 19 del decreto-legge n. 185 del 2008, comportando di fatto l'impossibilità per i suddetti lavoratori di iscriversi alle liste di mobilità dal 1o gennaio 2013. Parimenti non sono stati rifinanziati gli incentivi per le aziende che assumono;
questo ha determinato che: dal 1o gennaio 2013, i lavoratori licenziati da aziende con meno di quindici dipendenti non saranno più iscritti alle liste legge n. 236 del 1993, che le aziende che assumeranno lavoratori iscritti in via residuale a tali liste non avranno più diritto agli sgravi contributivi; che le aziende che hanno assunto nel 2012 lavoratori iscritti alle liste n. 236 del 1993 potranno fruire dello sgravio fino a scadenza naturale del contratto ma non per le proroghe stipulate nel 2013 (esempio assunto 1o novembre 2012 fino al 30 aprile 2013 e successivamente prorogato al 30 giugno 2013: sgravio dal 1o novembre 2012 al 30 aprile 2013 – nessuno sgravio dal 1o maggio 2013 al 30 giugno 2013);
quanto sopra viene confermato dalla circolare INPS n. 137 del 2012 che prevede: «Gli incentivi per l'assunzione dei lavoratori iscritti nelle liste di mobilità a seguito di licenziamento individuale rimangono attualmente applicabili alle assunzioni, proroghe e trasformazioni effettuate entro il 31 dicembre 2012, ai sensi dell'articolo 33, comma 23, legge 12 novembre 2011, n. 183 (cosiddetta legge di stabilità); l'applicazione degli incentivi per le assunzioni, trasformazioni o proroghe effettuate fino al 31 dicembre 2016 è subordinata alle eventuali proroghe legislative della disposizione citata»;
lo stesso concetto viene riaffermato nella circolare INPS 13/2013 del 28 gennaio 2013 che così recita: «Disposizioni in favore dell'occupazione – Mancata proroga della possibilità di iscrizione nelle liste di mobilità per i lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo: Per l'anno 2013 non è stata prorogata la possibilità di iscrizione nelle liste di mobilità dei lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo, per i quali non ricorrono le condizioni per l'attivazione delle procedure di mobilità. Manca anche la copertura degli oneri per il finanziamento delle relative misure incentivanti; ne consegue che, per l'anno 2013, non sarà possibile fruire delle agevolazioni previste dalla legge n. 223 del 1991. Al riguardo, si forniscono le seguenti precisazioni. Non essendo possibile l'iscrizione nelle liste per i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo decorrenti dal 1o gennaio 2013, consegue che, per eventuali iscrizioni – comunque avvenute – gli incentivi non possono essere riconosciuti. In relazione agli altri aspetti connessi alla mancata proroga della norma è stato richiesto parere al Ministero del lavoro e delle politiche sociali; si fa pertanto riserva di successive indicazioni. Rimangono in vigore l'iscrizione nelle liste di mobilità dei lavoratori oggetto di licenziamento collettivo e gli incentivi previsti per la loro assunzione dagli articoli 8, commi 2 e 4, e 25, comma 9, della legge n. 223 del 1991, secondo quanto già illustrato con la circolare n. 137 del 2012»;
con la circolare n. 150 del 25 ottobre 2013, l'Inps, a parziale scioglimento delle riserve contenute nella circolare n. 13 del 2013, ha fornito chiarimenti inerenti gli incentivi per l'assunzione dei lavoratori iscritti nelle liste di mobilità ai sensi dell'articolo 4, comma 1, del decreto-legge n. 148 del 1993. Queste le puntualizzazioni comunicate nello specifico dall'ente: l'Inps, premettendo che la posizione espressa discende da chiarimenti intervenuti con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e che la normativa relativa alla cosiddetta «piccola mobilità» (quella concernente i lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo dalle imprese dimensionate fino a quindici dipendenti) non è stata prorogata nel 2013, osserva che: a) gli incentivi previsti (sotto forma di contribuzione agevolata al 10 per cento) per le assunzioni effettuate da datori di lavoro entro il 31 dicembre 2012, cessano a tale data; b) non sono riconosciute le agevolazioni per le proroghe e le trasformazioni di contratti stipulati entro il 2012 e avvenute nel corso del 2013; c) non sono riconosciute come soggette a incentivo le assunzioni di lavoratori della «piccola mobilità» avvenute nel corso del 2013; d) i datori di lavoro che effettuano assunzioni, proroghe e trasformazioni relative afferenti lavoratori già licenziati per giustificato motivo oggettivo da piccole imprese, possono usufruire dell'incentivo già annunciato, a suo tempo, dal Ministro Fornero e contenuto nel decreto direttoriale n. 264 del 19 aprile 2013, del dirigente generale delle politiche attive e passive del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (nei limiti massimi ivi prefigurati) per un importo pari a 190 euro mensili per 12 mesi. Il decreto rimanda, per la piena operatività dell'agevolazione, ad una circolare Inps non ancora emanata, sicché, al momento, il beneficio non può essere «goduto»; e) mancato differimento delle agevolazioni per i lavoratori provenienti dalla «piccola mobilità» incide anche sugli incentivi per l'apprendistato dei lavoratori in mobilità (articolo 7, comma 4, del decreto legislativo n. 167 del 2011), qualora l'istituto, peraltro poco utilizzato, riguardi gli stessi: attualmente, si è in attesa di approfondimenti concordati con il dicastero del lavoro e, di conseguenza, non vengono rese note disposizioni applicative –:
quali iniziative urgenti, il Ministro interrogato abbia intenzione di assumere al fine di far chiarezza, in tempi rapidi, in merito alla questione sopra esposta dal momento che molte imprese si trovano attualmente nella condizione di dover far fronte ad un ingente esborso economico per coprire i costi dei contributi non versati e nella prospettiva, per l'immediato futuro, di avere oneri maggiori che non avrebbero assunto se la normativa in materia fosse stata chiara. (4-02432)
BALDASSARRE, BECHIS, CIPRINI, COMINARDI, RIZZETTO, ROSTELLATO e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
la multinazionale svedese Electrolux è un'azienda leader mondiale nel settore dell'elettrodomestico e delle apparecchiature per uso professionale;
la Electrolux ha dichiarato di voler ridefinire il proprio assetto produttivo, prevedendo delocalizzazioni verso Polonia e Ungheria di una notevole parte della sua produzione che attualmente si svolge nei quattro stabilimenti italiani: Susegana (Treviso), Porcia (Pordenone), Forlì e Solaro (Milano);
secondo quanto riportato dal Sole 24 Ore in data 25 Ottobre 2013, Electrolux comunica di aver messo sotto osservazione le fabbriche italiane, facendo presagire una riduzione di circa duecento posti di lavoro italiani senza poter escludere l'ipotesi di chiusure degli stabilimenti stessi;
la produzione di frigoriferi di nuova generazione «Cairo 3» sarà realizzata a Jàszberèny (Ungheria), la lavorazione di lavatrici della categoria «Prometeo» sarà realizzato a Olawa (Polonia), la produzione di lavastoviglie da 45 cm sarà realizzata a Zarow (Polonia);
il gruppo svedese Elecrolux sta valutando di avviare alcune indagini interne al fine di definire la competitività dei singoli stabilimenti, l'andamento delle varie produzioni, il trend dei volumi prodotti e venduti e altresì dei prezzi e delle spese;
fonti sindacali commentano i suddetti annunci di investigazione rilevando una volontà da parte di Electrolux di chiudere definitivamente le produzioni italiane –:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti suddetti;
se i Ministri interrogati, per quanto di propria competenza, intendano convocare urgentemente tutti i soggetti interessati per una analisi sulle vicende suddette e per individuare possibili interventi volti a salvaguardare i livelli occupazionali dei soggetti interessati;
se i Ministri interrogati, per quanto di propria competenza, intendano individuare strategie di politica industriale volte al rilancio delle produzioni suddette.
(4-02433)
PIAZZONI e PILOZZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
nel settembre 2006 il Consorzio di cooperative sociali riabilitazione e reinserimento (Ri.Rei) è subentrato nella gestione dei Centri residenziali, Semi-residenziali ed ambulatoriali di riabilitazione utenti ai sensi dell'articolo 26 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, situati nella regione Lazio;
in data 9 dicembre 2010 il Consorzio Ri.Rei ha avviato una procedura di mobilità riguardante inizialmente 214 lavoratori, ridotti successivamente a 164 e posti poi in cassa integrazione guadagni straordinaria su proposta della regione Lazio;
in data 3 maggio 2011 il consorzio Unisan ha proceduto, con atto formale, all'affitto del ramo di azienda della riabilitazione e reinserimento Ri.Rei, comprendente il centro residenziale e Semi-Residenziale A. Boggi, sito in località Santa Severa, i centri siti a Roma in Via Sbricoli e Via Maiorana ed i servizi generali ex Ri.Rei di Via Casal De Merode presenti nel territorio di competenza delle ASL RM/F e RM/D;
come affittuario del suddetto ramo d'azienda, il consorzio Unisan è subentrato nei contratti di lavoro in essere con tutti i dipendenti, anche quelli relativi a 55 lavoratori posti in cassa integrazione guadagni straordinaria, afferenti alle strutture interessate;
in data 13 giugno 2012 il consorzio Unisan apriva un'ulteriore procedura di mobilità per 14 lavoratori, posti successivamente anch'essi in cassa integrazione guadagni straordinaria a seguito dell'accordo regionale siglato in data 14 settembre 2012, a cui seguivano una ulteriore procedura di mobilità avviata in data 10 aprile 2013, secondo quanto stabilito dall'Accordo quadro regione Lazio-parti sociali, del 21 dicembre 2012 e culminata nell'attivazione della proroga della cassia integrazione guadagni straordinaria in deroga, a seguito di ulteriore accordo siglato in data 13 maggio 2013;
la riduzione del personale sopra descritta ha portato ad un peggioramento delle condizioni lavorative dei dipendenti, con negazione dei diritti contrattuali tra cui il diritto alle ferie (vengono garantiti solo 15 giorni di ferie estive), ai permessi retribuiti ex lege, al recupero delle festività non godute. Inoltre, per garantire un'assistenza adeguata, è divenuto usuale il ricorso ai doppi turni, e se ciò non bastasse, si sono registrati notevoli ritardi nel pagamento degli stipendi ai dipendenti;
tutto ciò ha causato, a detta dei lavoratori, un costante degrado della qualità alberghiera, e dell'assistenza ai pazienti delle strutture: è stata segnalata, ad esempio, la distribuzione ai degenti di acqua erogata da fonti interne, in luogo della normale fornitura di acqua minerale sigillata in bottiglia, la precarietà del sistema di distribuzione dell'acqua corrente, mancando spesso l'acqua calda, così come diverse criticità sono state evidenziate rispetto al servizio mensa, e rispetto all'igiene personale degli ospiti, ma anche in tema di sicurezza dei lavoratori –:
se il mancato reintegro a seguito della riqualificazione professionale del personale, così come stabilito dall'accordo regionale citato in premessa, non costituisca inadempimento e giustifichi la necessità di verificare se altri soggetti, pubblici o privati, possano subentrare all'attuale gestore dei centri, garantendo maggiori tutele ai lavoratori e agli ospiti della struttura;
se ritenga opportuno verificare il rispetto degli standard di qualità sanitaria e di igiene, così come stabilito dalla normativa regionale, nazionale e comunitaria, e altresì, se venga rispettata la normativa in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro. (4-02440)
DI GIOIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
con l'Accordo in conferenza unificata tra Governo e regioni del 12 febbraio 2009 sono state concordate le modalità di gestione congiunta degli ammortizzatori sociali in deroga e con la legge n. 2 del 2009 (di conversione del decreto-legge n. 185/2008) si è provveduto a sistematizzare la disciplina di tali ammortizzatori con riferimento a importanti profili;
il sistema degli ammortizzatori sociali in deroga – a partire dal 2009 – è stato disciplinato in specifici accordi con le regioni;
per effetto della legge 28 giugno 2012, n. 92, «Disposizioni in materia del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita», il quadro di riferimento normativo risulta modificato, prevedendosi un nuovo sistema di ammortizzatori sociali che entrerà pienamente a regime nel 2017 e che in questo contesto, per consentire la graduale transizione verso il regime delineato dalla riforma, l'articolo 2, comma 64, della legge 92 del 2012 ha confermato, per il periodo 2013-2016, la possibilità per il Ministero del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, di concedere ammortizzatori sociali in deroga, sulla base di specifici accordi governativi e per periodi non superiori a dodici mesi, nei limiti delle risorse finanziarie a tal fine destinate;
l'Intesa Stato regioni del 26 novembre 2012 sugli ammortizzatori sociali in deroga e politiche attive 2013, sulla base dell'esperienza positiva realizzatasi nel quadriennio precedente, ha confermato l'opportunità che anche in questa nuova fase la competenza per i trattamenti in deroga sia demandata alle regioni e alle province autonome, ad eccezione delle domande relative ad imprese localizzate in più Regioni, prevedendosi che le autorizzazioni siano effettuate sulla base delle risorse disponibili nonché sulla base delle certificazioni rilasciate dall'INPS sull'effettivo tiraggio della spesa;
l'Intesa ha previsto per il 2013 l'assegnazione di 150 milioni di euro alle domande relative alle imprese localizzate in più regioni e di 650 milioni di euro alle regioni e alle province autonome;
il piano di riparto tra le regioni e le province autonome, definito secondo il criterio dell'andamento storico della spesa per gli ammortizzatori in deroga nel quadriennio 2009-2012, come risultante dai dati certificati dall'Inps, ha riguardato l'80 per cento dello stanziamento, rinviando la ripartizione della quota rimanente del 20 per cento ad una ulteriore decisione del coordinamento delle regioni;
l'assessore al Welfare della regione Puglia, Elena Gentile, in data 14 febbraio 2013 ha sottoscritto l'accordo trasmesso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali che ha assegnato alla regione Puglia per l'anno 2013 risorse per un ammontare pari ad euro 61.853.298,03 comprensiva della quota di trattamenti di integrazione e del riconoscimento della contribuzione figurativa ai lavoratori;
tale cifra è risultata del tutto insufficiente a garantire le necessità con il risultato che sono state fatte delle scelte tra l'istituzione regionale e le parti sociali (i sindacati più rappresentativi) che hanno penalizzato, in buona sostanza, molti iscritti nelle liste di mobilità che hanno denunciato di essere stati esclusi non essendo adeguatamente rappresentati dalle organizzazioni sindacali;
migliaia di operai, con un'età che va dai 30 ai 63 anni, anche tra coloro che hanno perso il lavoro nel 2012, non sono stati ammessi con la conseguenza che moltissime famiglie non hanno più alcuna entrata economica;
a ciò si aggiunge che ai lavoratori esclusi dalla mobilità in deroga per il 2013 non è stato neanche riconosciuto il diritto al sostegno al reddito;
molti di questi lavoratori sono in un'età prossima alla pensione e si ritrovano senza lavoro e senza nessun tipo di sostegno;
oltre 250 lavoratori, impiegati con ditte appaltatrici all'interno dell'ILVA di Taranto, licenziati tra il mese di gennaio sino al mese di aprile 2012 da imprese che hanno dichiarato fallimento, si trovano, a tutt'oggi, senza lavoro, senza mobilità, senza sussidio e senza pensione –:
come si intenda, in accordo con la regione Puglia, intervenire affinché migliaia di famiglie non siano costrette alla disperazione più totale stante una situazione oggettivamente drammatica;
se non si ritenga necessario ed urgente prevedere l'assegnazione di ulteriori risorse per il finanziamento degli ammortizzatori in deroga o comunque per trovare, con la dovuta urgenza, una soluzione per tutti i lavoratori che sono stati licenziati ed espulsi dal mercato del lavoro nella regione Puglia. (4-02442)
GIULIETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
con decreto del 16 settembre 2013 il direttore generale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha autorizzato per il periodo 20 febbraio 2013 al 27 luglio 2013 la corresponsione del trattamento di integrazione salariale in favore dei lavoratori dipendenti della Nestlè Italiana spa – unità di Perugia, per i quali è stato stipulato in data 19 febbraio 2013 un contratto di solidarietà che stabilisce la riduzione massima dell'orario di lavoro settimanale – previsto dal contratto collettivo nazionale del settore industrie alimentaristi applicato secondo le modalità indicate nel predetto contratto di solidarietà nei confronti di un numero massimo di lavoratori pari a n. 816 un'Italia, su un organico complessivo di n. 3.330 un'Italia, previa verifica da parte dell'INPS dell'inquadramento aziendale;
con il medesimo decreto si stabiliva che l'INPS non è autorizzato a corrispondere il particolare beneficio previsto dall'articolo 6, comma 4, legge n. 608 del 1996, dal momento che le relative disponibilità finanziarie non sono più disponibili;
la Nestlè italiana – unità di Perugia (Perugina) ha utilizzato quest'anno come ammortizzatore sociale il contratto di solidarietà anziché la cassa integrazione come nel biennio precedente;
il contratto di solidarietà è nettamente più vantaggioso per i lavoratori in termini di sacrificio economico e l'INPS ha riconosciuto all'azienda il contratto di solidarietà, ma, essendo finite le risorse, non le riconosce le agevolazioni previste dalla legge n. 608 del 1996;
nel 2014, restando ferme le attuali difficoltà legate alla situazione economica, l'azienda dovrà nuovamente attivare un ammortizzatore sociale e per i lavoratori la cassa integrazione è molto più pesante del contratto di solidarietà –:
quali iniziative il Governo intenda assumere per il rifinanziamento dei benefici previsti dalla legge n. 608 del 1996, articolo 6, comma 4, che favorirebbero l'utilizzo dei contratti di solidarietà da parte delle aziende e inciderebbero in maniera importante nella condizione economica di tante lavoratrici e lavoratori. (4-02443)
RIZZETTO, CIPRINI, BECHIS, ROSTELLATO, TRIPIEDI, COMINARDI, BALDASSARRE, MUCCI, PRODANI e CURRÒ. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
si denuncia ormai da anni il gravissimo danno procurato all'erario dello Stato dalla legge 11 giugno 1974, n. 252, meglio conosciuta come «Legge Mosca» sulla Regolarizzazione della posizione assicurativa dei dipendenti dei partiti politici, delle organizzazioni sindacali e delle associazioni di tutela e rappresentanza della cooperazione;
tale legge ha concesso il riconoscimento di un regime contributivo agevolato a persone che hanno prestato, presuntivamente, attività lavorativa alle dipendenze di partiti politici, sindacati, istituti di patronato e associazioni del movimento cooperativo;
di fatto, si è trattato di una legge che ha privilegiato una «casta» di quasi 40.000 persone che hanno beneficiato di una pensione garantita, anche qualora non sia stata prestata alcuna attività lavorativa;
in particolare, uno dei paradossi dei provvedimento legislativo in questione, si individua nella norma prevista all'articolo 2, comma 2, che ha stabilito quale requisito per godere del beneficio pensionistico, una mera dichiarazione indirizzata all'Inps rilasciata proprio dai presunti «datori di lavoro», e, dunque, da sindacati, partiti politici e cooperative, che sotto la loro responsabilità hanno attestato il periodo di incarico, la qualifica lavorativa e la retribuzione percepita in base alle tabelle retributive in vigore presso le rispettive organizzazioni;
è chiaro che ciò ha reso agevole ai predetti organi di dichiarare anni – in molti casi decenni – di falsa attività di lavoro, consentendo l'illegittimo riconoscimento di benefici previdenziali agevolati. Di fatti, nel corso del tempo, numerose vicende giudiziarie hanno coinvolto i beneficiari della legge Mosca, accertando che per godere del trattamento pensionistico molti hanno spacciato per lavoro le attività di semplice volontariato, con la complicità dei sindacati, partiti politici e cooperative di appartenenza;
non vi è dubbio, che tale legge ha rappresentato una vera e propria truffa ai danni dello Stato, con un carico per l'Inps di oltre 25.000 miliardi di lire, pari a circa 12,5 miliardi di euro;
ciò che reca ulteriore sgomento è che, nel tempo, ogni azione proposta allo scopo di adottare concreti provvedimenti per far luce su questa scandalosa vicenda è stata impedita dall'immobilità della classe politica che ha preferito «insabbiare» i gravi fatti verificatisi –:
se i Ministri intendano adottare le opportune iniziative per accertare l'elenco di coloro che hanno ottenuto il benefico previdenziale previsto dalla legge 11 giugno 1974, n. 252;
se intendano assumere iniziative per accertare in concreto le procedure espletate per il riconoscimento delle pensioni agevolate;
se intendano intraprendere azioni per il recupero delle risorse economiche ottenute a titolo di contributi dai beneficiari della legge qualora si accerti l'illegittimità di tali contributi ai danni dell'INPS. (4-02444)
CASTRICONE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
con il decreto-legge n. 201 del 6 dicembre 2011, il cosiddetto «Decreto salva Italia», convertito con modificazioni dalla legge n. 214 del 27 dicembre 2011, dal 1o gennaio 2012 l'Inpdap è confluito, con tutti i rapporti in essere e con tutto il suo patrimonio nell'Inps;
tra i rapporti confluiti vi è quello relativo alla Casa Albergo «La Pineta», avviato dall'Inpdap nel 1995 a Pescara per l'offerta di ospitalità a pensionati autosufficienti iscritti al fondo di previdenza e credito per dipendenti civili e militari dello Stato e di altri enti, confluiti nel Fondo credito per effetto del decreto ministeriale n. 45 del 2007;
sulla gestione della casa albergo La Pineta di Pescara, già in data 30 luglio 2013 l'onorevole Gianni Melilla, ha presentato, una interrogazione (atto camera 4-01491) allo stesso Ministro del lavoro e delle politiche sociali;
gli interroganti condividono gli obiettivi affermati nell'interrogazione richiamata ed in particolare quelli dell'aumento dell'offerta di assistenza dell'INPS, sia complessivamente a livello nazionale, che specificamente nelle case albergo di Pescara e di Monte Porzio Catone (Roma), obiettivi ripetutamente ed apertamente espressi dallo stesso CIV – Consiglio di indirizzo e vigilanza dell'Inps, ad esempio con la deliberazione del 21 febbraio 2012 nella quale auspicava il rilancio della gestione a fini di integrazione e socializzazione per gli ospiti e di tutela dei rapporti di lavoro per i dipendenti;
la nostra società sta subendo infatti un'evoluzione demografica che vede aumentare con progressione particolarmente significativa da un lato la dimensione della componente anziani e dall'altro le difficoltà nell'erogazione di prestazioni di assistenza, sia nella fase dell'autosufficienza, che in quella dell'inabilità;
mentre le competenze per le «RA residenze assistite» e per le «RSA – residenze sanitarie assistite» sono proprie dei livelli istituzionali regionali e sub-regionali, le competenze per le case albergo, o più in generale per i centri di ospitalità per persone anziane autosufficienti, restano di livello nazionale e spetta al Ministro in oggetto vigilare sulla quantità e sulla qualità dei servizi, resi alla collettività, nonché operare perché siano disponibili le risorse necessarie per garantire i livelli e la qualità dei servizi stessi;
la casa albergo La Pineta di Pescara ha caratteristiche di grande rilievo come:
a) una dimensione di oltre 7.000 metri quadrati di superficie edificati e di circa 16.000 metri quadrati di pineta e giardino, integrati nel Parco D'Avalos della città, in un contesto urbano ed ambientale straordinario, caratterizzato dalla collocazione, oltre che dalla citata area verde di grande rilievo ambientale, nelle immediate vicinanze del mare;
b) la disponibilità di camere da letto con bagni riservati delle quali 95 singole e 12 doppie, nonché di spazi per servizi ed attività di relazione adeguate al numero massimo di 119 ospiti potenziali;
c) la gestione dei servizi affidata ad imprese private e società cooperative con un totale di 79 addetti alle varie funzioni con diverse qualifiche, oltre a tre dipendenti diretti dell'Inps;
vi è ormai da tempo una grave crisi nella gestione della casa albergo di Pescara manifestata con diversi elementi succedutisi nel tempo quali:
l'aumento su base ISEE (Indicatore della situazione economica equivalente) delle rette poste a carico degli ospiti, introdotto con deliberazione del presidente Inpdap n. 299 del 2011 dal luglio 2011, la quale ha prodotto per alcuni ospiti aumenti vicino al raddoppio della retta;
la denuncia, rimasta inascoltata, degli eccessi di tali aumenti presentata dalle organizzazioni sindacali CGIL, CISL, UIL al CIV INPS in data 23 luglio 2012 con puntuali critiche della richiamata deliberazione del presidente Inpdap n. 299 del 2011;
il calo, certamente connesso ai predetti aumenti, del numero degli ospiti, che al 31 dicembre 2010 erano 113 ed al 31 agosto 2013 erano scesi a 97;
la mancata tutela dei diritti dei lavoratori in occasione di vari passaggi dalla gestione da uno ad altro soggetto concessionario, senza il rispetto delle anzianità maturate e con liquidazione del TFR, evitando il trasferimento e l'aggiornamento annuale dello stesso su valori cumulati;
i ripetuti inadempimenti, da parte almeno una delle concessionarie dei servizi, dell'obbligo di tempestiva erogazione delle retribuzioni, con conseguenti dubbi sul regolare adempimento dei connessi obblighi in materia contributiva e di accantonamenti;
la precarietà che sembra avvertirsi nei rapporti di lavoro da parte degli addetti, che cominciano a temere di dover verificare la possibilità di trovare diverse soluzioni di impiego, difficili, ma ritenute necessarie se la crisi, che si avverte da tempo, dovesse aggravarsi;
la mancata pubblicazione di bilanci specifici della gestione Inpdap, ora Inps della casa albergo in argomento;
la ripetuta interruzione nella prestazione di servizi interni ed esterni, gratuiti ed a pagamento, come la fornitura di giornali, le prestazioni di parrucchiere, la balneazione estiva, il servizio di lavanderia e la fisioterapia;
la mancata pubblicazione alla data di sottoscrizione della presente interrogazione, del bando 2013 per gli aspiranti ospiti della casa albergo La Pineta, che, impedendo di manifestarsi alla domanda di ospitalità, sembra prefigurare concretamente la volontà di non protrarre la prestazione dei servizi già a partire dalla prossima annualità, ignorando gli obblighi connessi con la sottoscrizione per accettazione, da parte degli ospiti, del regolamento interno, che all'articolo 4 definisce inequivocabilmente «a tempo indeterminato» il rapporto connesso;
il quadro che va delineandosi, nel contraddire ormai apertamente le linee contenute nella delibera Inpdap n. 127 del 27 maggio 2010 che affermava senza incertezze il riferimento ai princìpi di tutela delle funzioni assistenziali verso le fasce anziane della popolazione, sembra esprimere una volontà di mancata trasparenza nei rapporti, in un contesto che non prefigura neppure la garanzia di soluzioni alternative di gestione, come obbligo elementare in ogni caso di elaborazione di ipotesi di abbandono del servizio –:
se sia fondata l'ipotesi, da più parti paventata, secondo la quale l'Inps si appresterebbe a deliberare la chiusura delle case albergo, con gravi ed irrecuperabili danni ai lavoratori addetti ed ai pensionati assistiti invece di incrementare le positive esperienze maturate in passato e tuttora in corso a Pescara ed a Monte Porzio Catone (Roma);
quali misure urgenti il Ministro intenda adottare per evitare il progressivo deterioramento dei servizi prestati presso le predette strutture rendendo al tempo stesso impraticabile qualsiasi soluzione alternativa rispetto all'attuale sistema di gestione;
se il Ministro ritenga opportuno intervenire affinché l'Inps elabori e ponga in atto un piano nazionale di utilizzo di tutti gli immobili ricevuti da altri enti ed in particolare dall'Inpdap e dall'Enam, diretto allo sviluppo delle prestazioni assistenziali per anziani autosufficienti, evitando la prosecuzione di gestioni autonome o private non coerenti con gli obiettivi delineati ed in particolare se il Ministro ritenga doveroso intervenire affinché l'Inps elabori e renda noti i piani di gestione dei servizi assistenziali da prestare nel breve, medio e lungo termine, in particolare presso le case albergo di Pescara e Monte Porzio Catone. (4-02448)
POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI
Interpellanza:
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
le coltivazioni di alberi di ulivo rivestono straordinaria importanza per l'assetto ambientale e per l'economia della Puglia, in relazione alla diffusa caratterizzazione del paesaggio storico regionale, al valore inestimabile delle varietà, degli esemplari presenti sul territorio e alla qualità delle produzioni olearie che ne derivano;
in particolare, il patrimonio olivicolo del Salento, con i suoi quasi 10 milioni di alberi, è oggi esposto ad un rischio di un danno incalcolabile per l'economia del territorio, che comporterebbe anche il mutamento paesaggistico di un'area del nostro Paese da sempre associata alle immense distese di ulivo;
è stato riscontrato nell'area ionico-salentina un fenomeno di disseccamento rapido delle piante che si manifesta con danni estesi alle chiome, imbrunimenti interni del fusto e rapida compromissione delle piante, con caratteristiche espansive che determinano una notevole preoccupazione negli operatori del settore e nelle autorità locali;
l'Osservatorio fitosanitario della regione Puglia, d'intesa con altri enti ed istituzioni scientifiche, ha effettuato un approfondito monitoraggio del fenomeno e della sua localizzazione, riscontrando attacchi parassitari alle piante, con particolare riferimento al «Rodilegno giallo» (Zeuzera pyrina) e ad un agente patogeno da quarantena denominato «Xylella fastidiosa»;
l'agente patogeno da quarantena è stato inoltre riscontrato, nell'area, anche su piante di mandorlo, oleandro e querce, coltura arborea molto diffusa nel territorio salentino;
nella «zona focolaio» tutte le piante di ulivo dovranno essere estirpate per evitare ulteriori contagi, si pensi che l'estensione di tale zona è di 8000 ettari e che la densità media di ulivi per ettaro nel Salento è di 80 unità, ossia rispetto all'infezione risultano compromessi già oltre 600 mila alberi d'ulivo;
la «Xylella fastidiosa» è un batterio – sino ad ora non diffuso in Europa e non riscontrato su piante come gli olivi – di tipo patogeno inserito nell'elenco A1 della EPPO, l'Organizzazione intergovernativa responsabile della cooperazione europea per la salute delle piante, cioè inserito nella lista nera dei batteri da quarantena, necessariamente da isolare a causa della sua portata infettiva e distruttiva;
l'agente patogeno è invece presente soprattutto in Asia e in America del Nord dove ha provocato malattie su numerose specie di piante, tra cui vite, agrumi, mandorle e caffè, rappresentando una seria minaccia per le realtà agricole sia in termini del paesaggio e dell'ecosistema che per le gravissime perdite di raccolti;
la situazione manifestatasi in Puglia, per la sua estensione e gravità, rischia di allargarsi fuori dai confini regionali, assumendo, per la portata delle conseguenze in termini ambientali ed economici, rilievo nazionale tale da rendere necessario un intervento del Governo, anche in considerazione dell'obbligatorietà che impone la normativa comunitaria in caso di ritrovamento di agenti patogeni da quarantena;
in passato l'Unione europea ha contestato allo Stato italiano l'inadeguata applicazione delle misure dirette a impedire la diffusione di diversi organismi nocivi, prescritte dalla normativa europea e l'omessa notifica della presenza, o della comparsa, di organismi nocivi sul proprio territorio;
la regione Puglia ha già avviato il protocollo tecnico-amministrativo previsto dalle normative vigenti, per quanto di competenza, investendo il Ministero delle politiche alimentari e forestali e la Commissione europea;
per tamponare l'emergenza sono necessari decine di milioni di euro e che, i quaranta esperti inviati da Roma per censire gli ulivi oramai compromessi, hanno definito insufficienti le risorse economiche per far fronte all'epidemia dell'agente patogeno da quarantena;
l'intero Fondo di solidarietà nazionale, pari a 18 milioni di euro, non basterebbe a fronteggiare la sola urgenza;
si rende pertanto necessaria e urgente sia l'adozione di misure tecniche di gestione delle colture olivicole nell'area interessata, con particolare riferimento al divieto di movimentare materiale vegetale proveniente da potature di piante infette, sia l'adozione di misure preventive sulle piante non compromesse e di trattamenti mirati accompagnati da strategie di controllo degli agenti patogeni, oltre all'immediato avvio dell'opportuna attività di ricerca;
sono necessari interventi economici, e non solo, a sostegno di un tessuto socio-economico che subirà, nella migliore delle ipotesi, un forte rallentamento se non addirittura un arresto a causa del fenomeno infettivo in atto;
il danno ecosistemico ed economico che l'agente patageno sta causando al territorio pugliese si rifletterà, negativamente, sul raccolto delle olive nel prossimo anno e, a cascata, su tutto l'indotto agroindustriale che da esso deriva;
l'olio extravergine d'oliva di Puglia rappresenta una delle eccellenze alimentari più significative del territorio nazionale e consente all'Italia di poter primeggiare a livello mondiale in questo settore;
quali risorse finanziarie e in che tempi il Ministro interpellato intenda stanziare per gli interventi di ricerca, per l'isolamento dell'agente patogeno e per gli interventi di sostegno socio-economico ai territori colpiti dall'agente patogeno da quarantena;
quali misure immediate s'intendano adottare per affiancare le azioni già messe in campo dalla regione Puglia al fine di evitare il contagio verso il resto d'Italia o, addirittura, verso l'Europa.
(2-00291) «Pannarale, Fratoianni, Duranti, Sannicandro, Matarrelli, Franco Bordo, Palazzotto, Aiello, Costantino».
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE
Interrogazione a risposta in Commissione:
TINO IANNUZZI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
il decreto legislativo 13 aprile 2013 n. 39, recante «Norme in tema di inconferibilità e di incompatibilità di incarichi presso pubbliche amministrazioni ed enti privati in controllo pubblico», ha giustamente introdotto un regime normativo più rigoroso e severo per eliminare ogni conflitto di interessi ed ogni sovrapposizione di ruoli e di poteri nell'assunzione e nell'esercizio di funzioni pubbliche e di responsabilità elettive;
tale decreto legislativo è stato finalmente varato, dopo tanti rinvii e dopo tanti ritardi, per evitare negative confusioni di ruoli, pregiudizievoli per la imparzialità ed il prestigio delle istituzioni pubbliche e per la attuazione dei principi prioritari di trasparenza e di libertà di scelta dei cittadini;
in questo spirito, assolutamente condivisibile, il decreto legislativo n. 39 del 2013, all'articolo 14, ha fissato giustamente la incompatibilità fra gli incarichi di direttore generale, di direttore amministrativo e sanitario delle aziende sanitarie locali, da un lato, e le cariche di componente delle giunte e dei consigli di comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, al fine di eliminare commistioni gravi e pregiudizievoli di poteri e di ruoli pubblici;
tuttavia sono sorte incertezze e perplessità sull'ambito ed i limiti di applicazione della nuova normativa;
è necessario che le cause di incompatibilità si riferiscano a situazioni di obiettiva commistione e confusione di ruoli, riguardando fattispecie nelle quali effettivamente vengano esercitati poteri di gestione e di amministrazione nelle organizzazione delle attività sanitarie, in quanto tali non compatibili con cariche elettive nelle amministrazioni locali;
le disposizioni di cui all'articolo 14 del decreto legislativo n. 39 del 2013 sono insuscettibili di applicazione analogica o estensiva che vulnererebbero il diritto di elettorato passivo, oggetto di pregnante tutela costituzionale;
esse, invece, vanno interpretate rigorosamente nei limiti della loro formulazione letterale, senza inammissibili estensioni;
occorre chiarire e fugare ogni dubbio circa la portata applicativa di questa normativa;
in particolare, è opportuno, pertanto, chiarire, con atti ministeriali ufficiali, che le cause di incompatibilità di cui al citato articolo 14 non si riferiscono ai dirigenti medici di unità operativa di strutture complesse delle aziende sanitarie locali (i primari ospedalieri di un tempo), che non sono titolari di alcun potere di amministrazione attiva e di gestione, ne hanno alcun ruolo in ordine alla conduzione ed alla selezione del personale sanitario, né tantomeno, in ordine alla destinazione ed all'utilizzo delle risorse finanziarie disponibili nelle aziende medesime;
questo chiarimento si impone per evitare l'ingiusto depauperamento del futuro quadro degli amministratori locali, e per scongiurare inevitabili contenziosi –:
se il Ministro intenda adottare – una iniziativa diretta a precisare l'ambito di applicazione dell'articolo 14 del decreto legislativo n. 39 del 2013 di recentissima entrata in vigore – per chiarire che non sussistano cause di incompatibilità fra gli incarichi di Dirigente medico di unità operativa delle strutture complesse delle aziende sanitarie locali e le cariche di componente delle giunte e del consiglio, e, quindi, di sindaco di comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, per tutte le obiettive e fondate motivazioni e considerazioni sopraevidenziate. (5-01409)
SALUTE
Interrogazione a risposta in Commissione:
ELVIRA SAVINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
con tragica sistematicità nel nostro Paese si verificano incidenti, spesso dalle conseguenze mortali, che vedono coinvolti adulti, bambini e lattanti vittime di banali soffocamenti domestici;
secondo i dati ufficiali della Società italiana di pediatria, ogni anno in Italia 50 bambini perdono la vita per soffocamento da corpo estraneo. Tale percentuale rappresenta il 27 per cento del totale dei decessi accidentali di minori;
il decesso non sopraggiunge quasi mai per l'ingerimento accidentale del «corpo estraneo» (ad esempio gomme da masticare, caramelle, cibo, monete, giochi ed altri piccoli oggetti di uso quotidiano), ma per gli esiziali effetti ingenerati dalle errate manovre di intervento praticate da soccorritori inesperti nella concitazione dei primi momenti;
tra gli incidenti domestici di varia natura l'inalazione di corpo estraneo costituisce un evento tuttora ai primi posti tra quelli che accadono nei primi anni di vita. Ciò è legato al fatto che i bambini hanno la tendenza a portare alla bocca tutti gli oggetti che li interessano, spesso corrono mentre mangiano ed anche perché masticazione e deglutizione non sono ancora perfettamente coordinate;
basterebbe però sapere come comportarsi quando un bambino da segni di soffocamento in modo da evitare eventi dagli esiti spesso tragici, che colpiscono 50 famiglie ogni anno: le persone presenti al momento dell'incidente devono cercare aiuto, ma devono esse stesse, prima dell'arrivo di un soccorso specializzato, essere in grado di praticare le manovre salvavita basilari per la disostruzione perché ogni minuto, ogni secondo in quelle circostanza risulta davvero prezioso;
oggi nel nostro Paese pochissimi genitori conoscono le manovre salvavita, fondamentali nei primi momenti che seguono un incidente legato al soffocamento per ingestione. Molti di questi incidenti infatti potrebbero non essere letali se solo i genitori o le persone preposte conoscessero alcune semplici gesti da mettere in pratica, come ad esempio la «manovra di heimlich»;
la Croce rossa italiana ha da tempo ideato un progetto nazionale ad hoc volto a divulgare, diffondere, informare ed insegnare, a titolo completamente gratuito, le corrette manovre di disostruzione pediatrica da corpo estraneo e di rianimazione cardiopolmonare pediatrica ad esse collegate, in linea con i protocolli internazionali che, peraltro, vengono aggiornati ogni cinque anni;
tra queste attività di divulgazione, informazione ed insegnamento rientrano la fornitura di materiale didattico (manuali, opuscoli, dvd, poster) ed un ciclo di lezioni interattive, gratuite ed aperte al pubblico, svolte da un team di esperti e qualificati medici volontari del Soccorso della Croce rossa italiana;
i destinatari del progetto sono soprattutto i genitori, i nonni, il personale docente, gli assistenti all'infanzia, i capi scout, gli istruttori e operatori dello sport, i bagnini di salvataggio, gli assistenti sociali di minori con disabilità;
la sicurezza dei bambini dunque dipende anche da quanto vengono informati e responsabilizzati gli adulti –:
se il Ministro interrogato, al fine di sensibilizzare i cittadini sugli incidenti domestici causati dal soffocamento da ingerimento, non ritenga necessario realizzare, in collaborazione con la Croce rossa italiana, nell'ambito del servizio pubblico televisivo, una adeguata campagna informativa relativa alle corrette manovre di disostruzione delle vie respiratorie, in particolare in età pediatrica, anche con la promozione di corsi obbligatori e di cicli di lezioni interattive rivolti ad insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado, agli operatori nell'ambito delle colonie estive, degli oratori e nei corsi pre-parto».
(5-01399)
Interrogazioni a risposta scritta:
GRILLO, DI VITA, DALL'OSSO, CECCONI, LOREFICE, MANTERO e ZOLEZZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
con lettera del Ministro interrogato prot. 0047498 del 25 ottobre 2013, indirizzata ad AIFM, AIMN, AINR, AIRO, SIRM, SNR, è stato insediato per il 29 ottobre 2013 il tavolo ministeriale relativo all'area radiologica;
con lettera prot. 0047495 del 25 ottobre 2013 il Ministro ha invitato al medesimo tavolo i rappresentanti delle organizzazioni e federazioni sindacali;
è provato scientificamente come l'eccessiva esposizione alle radiazioni ionizzanti aumenta gli effetti dannosi alla salute, causando nel lungo periodo danni somatici o genetici stocastici (esempio leucemie, tumori, lesioni midollari nei bambini, lesioni al cristallino o alla tiroide);
il decreto-legge n. 187 del 2000 attua la direttiva Euratom 97/43 per la protezione dalle radiazioni ionizzanti a seguito di esposizioni in ambito sanitario;
la SIRM il 2 luglio 2007 con proprio «Atto medico radiologico» elenca analiticamente la corretta procedura e gli atti clinici propedeutici all'esame radiografico;
con l'avvento delle apparecchiature TC ed in particolare dei dispositivi multidetettore (MSCT) l'esposizione alle radiazioni è divenuta maggiore;
la dose assorbita dal paziente a causa di un esame MSCT è doppia rispetto a quella che si aveva con le obsolete TC a strato singolo (esempio TC testa = 300 radiografie);
l'inosservanza di procedure idonee alla radioprotezione causa aumento del rischio di danno biologico;
lo sviluppo di neoplasie radio-indotte incrementa la spesa sanitaria;
l'elevato numero di esami radiologici, spesso poco utili se non inutili, produce intasamento delle liste di attesa;
se non presente il medico radiologo e/o il fisico sanitario, la prestazione viene acquisita con ridotte garanzie per il paziente, esponendolo impropriamente a dosaggi non dovuti o non necessari;
la direzione generale sanità a pagina 6 del decreto 8531 (1o ottobre 2012) redatto dal GAT acconsente alla non presenza del radiologo o del neuro radiologo nei CTZ, CTS e PST, parrebbe in violazione delle disposizioni degli articoli 3 e 5 del decreto legislativo n. 187 del 2000;
alcune regioni hanno redatto analoghi documenti che di fatto legittimano l'acquisizione degli esami con radiazioni in assenza del radiologo, in disaccordo con le disposizioni degli articoli 3 e 5 del decreto legislativo n. 187 del 2000;
secondo recenti stime, ogni anno in Italia vengono eseguiti circa 100 milioni di prestazioni di imaging di cui almeno 60 milioni con radiazioni ionizzanti. In media due per cittadino, bambini esclusi;
è necessario, al fine di eseguire un esame a regola d'arte e di scegliere la metodica diagnostica a minore esposizione di radiazioni ionizzanti, nelle unità di radiologia delle strutture sanitarie pubbliche e private italiane, sia piccole sia grandi che si rispetti in modalità H24 la presenza del radiologo e/o del neuro radiologo durante l'esecuzione degli esami radiodiagnostici –:
se ritenga di emanare nel merito una circolare esplicativa ancor più incisiva e vincolante come da decreto legislativo n. 187 del 2000 con sanzioni in caso di violazioni;
se sia vero che la tessera sanitaria individuale abbia anche il compito di archiviare il cumulo della dose assorbita durante l'esecuzione di esami diagnostici con radiazioni ionizzanti;
se, al fine di garantire la salute dei cittadini il Ministro intenda migliorare e rendere obbligatorio durante l'esecuzione di tali esami l'uso costante della tessera per archiviare la dose assorbita a futura conoscenza. (4-02437)
COVA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
presentato una interrogazione a risposta scritta (n. 4-00388) sulla dichiarazione di provenienza e destinazione degli animali (Mod. IV);
l'interrogante ha ricevuto risposta scritta datata 25 ottobre 2013 n. 0005843-P-25/10/2013;
dalla risposta viene confermato l'obbligo di barrare la casella nel caso di animali trattati nei novanta giorni precedenti anche in caso di rispetto dei tempi di sospensione;
la dichiarazione del rispetto dei tempi di sospensione è garanzia della salubrità e sanità delle carni destinate al consumo umano –:
quale sia il motivo per indicare nel modello IV tutti i trattamenti effettuati anche in caso di superamento dei tempi di sospensione nei 90 giorni antecedenti;
perché venga indicato un termine di 90 giorni e non un termine diverso, e da dove derivi tale quantificazione dei giorni;
perché non sia sufficiente segnalare il mancato superamento dei tempi di sospensione nel Mod. IV;
se questo Ministro non ritenga superfluo che si debbano segnalare anche trattamenti che sono stati effettuati ma non hanno più ricadute sulla salute umana;
se il Ministro interrogato non ritenga di aggiornare il modello IV togliendo il limite dei 90 giorni. (4-02451)
SVILUPPO ECONOMICO
Interrogazione a risposta in Commissione:
CATALANO, DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI, PARENTELA, D'UVA, BECHIS, ROSTELLATO e COZZOLINO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
sono sempre più frequenti le truffe da cellulari via SMS;
tra le altre, si segnala la circostanza in cui tramite messaggi vengono attivati abusivamente servizi a pagamento non richiesti, che comportano una riduzione del credito degli utenti, spesso ignari;
lo stato attuale della tecnologia di telecomunicazione consente di implementare applicazioni in grado di evitare agli utenti l'utilizzo di servizi non espressamente richiesti e/o pagamenti attraverso credito residuo;
le condotte di cui sopra non rispettano il principio della trasparenza dell'offerta dei servizi, stabilito dal Codice delle comunicazioni elettroniche (CCE, articoli 70 e 71 sui contenuti contrattuali e la trasparenza delle informazioni) e nella delibera 326/10/CONS «Misure di tutela degli utenti dei servizi di comunicazione mobili e personali»;
la direttiva 83/2011/CE introduce una tutela più avanzata dei consumatori in materia di acquisto di beni e servizi, a riprova del valore economico della sicurezza e della legalità delle transazioni ai fini dello sviluppo del mercato –:
se non intenda promuovere, almeno in termini di codice etico, le raccomandazioni di cui alla direttiva succitata, in attesa del recepimento formale del medesima previsto per il 13 dicembre 2013, ai fini della successiva applicazione a partire da giugno 2014;
se non intenda assumere iniziative volte a favorire l'implementazione di dispositivi tecnologici in grado di bloccare queste attività illecite. (5-01403)
Interrogazioni a risposta scritta:
CIRIELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
il polo industriale di Taranto non è solo Ilva. Ci sono realtà moderne e sostenibili che lavorano nel settore delle energie pulite e rinnovabili e che vanno sostenute con decisione per garantire un futuro occupazionale alla città e uno sviluppo alternativo a un territorio fino ad oggi devastato da politiche industriali vecchie e miopi;
in particolare, il comune di Taranto è, ormai da tempo, al centro di una preoccupante e delicata vicenda riguardante la paventata chiusura di una delle attività della multinazionale danese Vestas Wind Systems, che nella sola città italiana conta circa 700 dipendenti distribuiti tra Vestas Nacelles, Vestas Blades e Vestas Italia;
come riportato da organi di stampa locali e nazionali, nell'ultimo incontro presso il Ministero dello sviluppo economico dell'11 ottobre 2013, la Vestas ha confermato l'intenzione di dismettere entro fine anno l'attività di Vestas Nacelles, l'impresa addetta alla costruzione di turbine eoliche, in quanto la macchina prodotta a Taranto, la «V90», non avrebbe più mercato;
la multinazionale danese ha avviato, altresì, la procedura di mobilità per licenziare 127 dipendenti, procedura che si chiuderà proprio sotto Natale;
numerose e massicce sono state le iniziative e le mobilitazioni di cittadini, esponenti politici e del mondo dell'associazionismo, per scongiurare gli annunciati licenziamenti e altrettanto numerosi gli appelli dei sindacati per pensare, invece, ad un piano di rilancio della produzione;
in occasione di un'assemblea dei lavoratori, l'assessore regionale al lavoro, Leo Caroli, ha fatto, altresì, presente che la regione sarebbe disponibile a mettere a disposizione di Vestas Wind Systems un milione di euro per la formazione dei lavoratori in azienda e di essere pronta anche a sostenere un investimento perché macchine nuove giungano a Taranto per produrre turbine V112 al posto di quelle V90 considerate obsolete;
a parere dell'interrogante, appare indispensabile trovare la giusta soluzione a una problematica che assume un rilievo, non solo locale, bensì nazionale;
la multinazionale danese, infatti, è l'unica realtà che si occupa di eolico a livello industriale sul territorio italiano e perderla significherebbe andare a colpire in maniera pesantissima tutto il comparto del rinnovabile non solo in Puglia, ma in tutta Italia;
il nostro Paese rischia, pertanto, di perdere una battaglia d'immagine, occupazionale e sociale importantissima: d'immagine, perché il comparto eolico è l'altra faccia della medaglia di una città straziata dall'inquinamento e dall'impatto sanitario dell'industria siderurgica; occupazionale, perché la chiusura della fabbrica di turbine non rappresenta una catastrofe solo per i lavoratori direttamente coinvolti, ma anche per le famiglie delle attività satellite che orbitano attorno al tessuto aziendale; sociale, perché, con la fuga di Vestas, la città di Taranto subirà un duro colpo, non avendo alternative lavorative di rilievo;
anche la richiesta di intervento avanzata dal sindaco di Taranto per scongiurare l'annunciata chiusura di una delle tre aziende Vestas è caduta nel vuoto, non ricevendo concrete risposte da parte delle istituzioni;
la Vestas è il simbolo di un'azienda verde, l'esempio della produzione di energia pulita, l'industria virtuosa che non inquina e con un fatturato in attivo;
la concomitanza di questi eventi favorevoli non giustifica, pertanto, la decisione di chiudere la sede produttiva della Vestas Nacelles, caratterizzata, tra l'altro, da una qualificata competenza di maestranze già formate;
il Ministero dello sviluppo economico ha convocato un nuovo incontro con le parti sociali per l'11 novembre 2013 e, ci si augura che, in questa occasione, si arrivi finalmente a un ripensamento delle decisioni annunciate dalla multinazionale danese, che tenga conto anche degli aspetti produttivi, occupazionali e sociali su cui ricadrebbe la paventata chiusura –:
se i Ministri interroganti siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, ritenuta la risoluzione della problematica prioritaria per le sorti del territorio tarantino, quali provvedimenti ritengano opportuno adottare per porre fine al processo di desertificazione del tessuto produttivo di quello che fu uno dei principali poli industriali del Mezzogiorno, anche attraverso un progetto di riconversione industriale. (4-02429)
SORIAL. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
il signor Daniele Mario Zanetti ha lavorato alla GIORINOX SPA di Lumezzane dal 1976 al 2001 (anno in cui è andato in pensione), ed è morto dopo 4 cicli di chemioterapia e 26 cicli di radio, il 27 giugno 2012, di mesotelioma pleurico, malattia dovuta all'esposizione all'amianto;
con il termine amianto o asbesto vengono indicati una serie di minerali naturali a struttura fibrosa che si originano da rocce madri non necessariamente fibrose, la cui definizione normativa è fornita dall'articolo 23 del decreto legislativo n. 277 del 1991, ora abrogato dal decreto legislativo n. 81 del 2008;
la sua natura fibrosa è alla base delle proprietà tecnologiche, ma allo stesso tempo è anche la causa principale della sua nocività, provocando nell'essere umano gravi patologie a carico prevalentemente dell'apparato respiratorio; la pericolosità, infatti, deriva dalla capacità dei materiali di amianto di rilasciare fibre potenzialmente inalabili, nonché dell'estrema suddivisione a cui tali fibre possono giungere;
l'amianto è una delle sostanze più devastanti nella storia moderna del mondo del lavoro visto l'utilizzo massiccio che ne è stato fatto;
in Italia è stata pronunciata una storica sentenza dal tribunale di Torino, prima sezione penale, n. 565 del 13 febbraio 2012, nei confronti della multinazionale Eternit e dei suoi vertici, che non lascia dubbi sulla pericolosità della fibra killer, sentenza che è stata parzialmente riformata in appello il 3 giugno 2013, con l'aumento di due anni rispetto alla pena inflitta in primo grado al magnate svizzero Stephan Schmidheiny;
le malattie provocate dall'esposizione all'amianto, quindi il mesotelioma e le malattie asbesto correlate, sono ancora senza cure;
verso la fine degli anni ottanta viene immessa sul mercato un nuovo tipo di pentola denominata «a doppio fondo» poiché con un fondo aggiuntivo di alluminio che veniva saldato con una saldo brasatrice che veniva equipaggiata di dischi di isolamento termico in amianto;
di solito le aziende compravano questi dischi già sagomati secondo le loro tipologie di prodotto, ma la Giorinox, per contenere i costi, decise di lavorare l'amianto internamente all'azienda, ricavando i dischi da lastre rettangolari di amianto, motivo per cui il signor Daniele Mario Zanetti risulterà l'unico ammalato di mesotelioma a Lumezzane, anche se vi erano tantissime altre aziende che producevano prodotti identici;
la ditta non si preoccupa di fornire ai lavoratori interessati il giusto equipaggiamento antinfortunistico né di dotare i macchinari di aspiratori o di prevedere la lavorazione in umido (già prevista in aziende come la Eternit, visto che le operazioni di tornitura sono le più pericolose perché generano moltissima polvere);
dai fatti si desume che nessuno informò i dipendenti del reale rischio che stavano correndo manipolando quel minerale;
nel ’92 l'amianto viene bandito e la Giorinox inizialmente si adegua, ma l'operaio Daniele Mario Zanetti, con il surrogato, non può raggiungere le prestazioni dei dischi composti da amianto, così il titolare riesce a reperire delle nuove lastre che serviranno per continuare la vecchia lavorazione per diversi anni;
non vi sono informazioni in merito sulla situazione presente dell'azienda, che è ancora attiva;
sembra che per diversi anni gli operai di quella fabbrica siano stati esposti ad un pericolo quotidiano: l'amianto non veniva utilizzato tutti i giorni, ma gli ambienti erano contaminati in modo permanente. Lo scarto, le polveri venivano smaltite insieme alla tornitura normale o sparse sul territorio circostante (visto che spesso, con le pistole aria, le polveri venivano soffiate fuori dallo stabilimento);
esiste, ed è di difficile valutazione, il rischio che tutto ciò possa aver provocato a molte famiglie di questi operai e i danni futuri sulla salute: il mesotelioma è una malattia piuttosto rara con tempi di latenza che durano decenni ed è per questo motivo i parenti stretti del signor Daniele Mario Zanetti sono costretti a sottoporsi a controlli periodici essendo di fatto persone a rischio, contaminate dall'amianto che il padre portava inconsapevolmente a casa;
nel diagramma del Registro nazionale dei mesoteliomi del 2006 sul confronto tra gli andamenti della produzione di amianto, i casi di T.P.P. e i casi di asbestosi, emerge che il picco massimo di utilizzo a livello nazionale dell'amianto è coinciso con il periodo di massima industrializzazione in Italia (anni Settanta e Ottanta). I casi di asbestosi seguono l'andamento del picco di amianto e cominciano a declinare circa 20 anni dopo il picco di massimo utilizzo del minerale. Al contrario, i casi di patologie tumorali (T.P.P.), quali il mesotelioma, sono in ascesa costante e il picco non è stato ancora raggiunto (si prevede che esso si verifichi nel periodo compreso tra il 2015 e il 2020);
per i motivi esposti sopra, risulta evidente l'esigenza di realizzare un registro dei tumori nel quale possano essere raccolti i dati sulla mortalità riconducibili a patologie tumorali legate all'amianto che la ditta sembrerebbe aver diffuso sul territorio circostante;
dagli accertamenti sanitari effettuati dall'azienda ospedaliera Spedali Civili di Brescia, dall'11 ottobre 2011 al 19 gennaio 2012 di pneumologia per mesotelioma pleurico di sospetta origine professionale del signor Daniele Mario Zanetti, emerge che «la durata dell'esposizione (circa 26 anni) e l'intervallo di tempo trascorso tra inizio dell'esposizione ad amianto e la diagnosi di neoplasia (circa 36 anni) sono compatibili con l'eziologia professionale del mesotelioma» e che «sono state escluse altre possibili cause di mesotelioma» e fornito il giudizio diagnostico finale di «mesotelioma pleurico destro nella cui genesi l'esposizione occupazionale ad amianto durante l'attività lavorativa di produzione di pentole ha svolto un ruolo causale»;
con certificato rilasciato il 24 maggio del 2012, l'Inail ha riconosciuto al signor Daniele Mario Zanetti la malattia professionale causata da esposizione all'amianto;
oggi è in corso un processo civile al tribunale del lavoro di Brescia;
e un magistrato del tribunale penale ha aperto un indagine preliminare configurando il reato di omicidio colposo;
nel processo civile in corso e la società Cignano s.r.l. ha dichiarato di aver fornito alla GIORINOX SPA le lastre di amianto (materiale definito «Electroasbesto») che necessitavano, come dichiara l'amministratore della Cignano, «di ulteriore lavorazione» e che «lavorazioni di questo genere comportano un'esposizione continua a polveri prodotte dalla lavorazione per tutta la durata dell'operazione e il conseguente inquinamento del luogo nel quale si opera. Per questo motivo è assolutamente necessario svolgerle in locali adeguatamente areati dotati di sistemi di aspirazione forzata, oltre ad un adeguato equipaggiamento antinfortunistico» –:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, accertata la gravità della situazione, se non ritengano opportuno intervenire al fine di verificare il rispetto delle norme in materia di sicurezza sul lavoro da parte della GIORINOX SPA di Lumezzane;
di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se si intendano assumere le iniziative di competenza, qualora non ne siano già state avviate, per addivenire a un rapido accertamento di eventuali danni causati e per stanziare specifiche risorse idonee allo scopo di porre in sicurezza l'area dove venivano gettati i rifiuti di amianto al fine di tutelare l'ambiente e il diritto alla salute della popolazione circostante;
quali provvedimenti si intendano adottare al fine di tutelare i diritti dei cittadini e salvaguardare la loro salute in materia di protezione da sostanze tossiche e pericolose, in particolare nell'ambito lavorativo;
quali iniziative urgenti si vogliano intraprendere per consentire e incentivare il monitoraggio dei casi di tumori nella zona interessata dalla ditta, mediante la creazione di appositi registri, che possano consentire di predisporre efficaci politiche di prevenzione e di lotta alla malattia stessa. (4-02441)
Apposizione di firme a mozioni.
La mozione Scuvera e altri n. 1-00108, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Giammanco.
La mozione Nicchi e altri n. 1-00232, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Zan.
Apposizione di una firma ad una interrogazione.
L'interrogazione a risposta in Commissione Airaudo n. 5-01186, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Di Salvo, Placido.
Pubblicazione di un testo riformulato, cambio di presentatore, apposizione di firme e modifica dell'ordine dei firmatari ad una mozione.
Si pubblica il testo riformulato della mozione n. 1-00194, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 84 del 25 settembre 2013 a prima firma Villarosa, che deve intendersi presentata dal deputato Sorial e sottoscritta anche dai deputati Fraccaro, Nuti, Rostellato e Cecconi. Contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine dei firmatari deve intendersi così modificato: Sorial, Fraccaro, Villarosa, D'Incà, Nuti, Rostellato, Cecconi, Castelli, Currò, Caso, Cariello, Brugnerotto, Barbanti, Ruocco, Cancelleri, Pisano, Pesco.
La Camera,
premesso che:
la questione delle «pensioni d'oro» è oggetto di accese discussioni sia fra i cittadini sia fra le forze politiche, senza che ad oggi si sia pervenuti ad una proposta risolutiva;
un primo tentativo di intervenire con un prelievo straordinario di solidarietà è stato bocciato dalla Consulta che, con la sentenza 116 del 2013 depositata il 5 giugno 2013, ha dichiarato incostituzionale il comma 22-bis dell'articolo 18 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, recante «Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria», convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, che aveva introdotto un «contributo di perequazione» nella misura del 5 per cento sulla quota di assegno eccedente i 90.000 euro, del 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro e del 15 per cento per la parte eccedente 200.000 euro;
in precedenza la Corte costituzionale, con la sentenza n. 223 del 2012 aveva già «bollato» e reso incostituzionale il prelievo sugli stipendi pubblici elevati, in quanto giudicato: «un intervento impositivo irragionevole discriminatorio ai danni di una sola categoria di cittadini», poiché i provvedimenti colpivano i soli dipendenti pubblici, e non anche i lavoratori autonomi o privati, o i pensionati pubblici, lasciando indenni le altre categorie previdenziali;
come si legge in ambedue le sentenze della Corte costituzionale: «Il risultato di bilancio avrebbe potuto essere ben diverso e più favorevole per lo Stato, laddove il legislatore avesse rispettato i principi di eguaglianza dei cittadini e di solidarietà economica», viceversa in conseguenza della sentenza della Consulta, lo Stato dovrà restituire circa 84 milioni di euro, con conseguenze negative sull'opinione pubblica;
permangono i presupposti di eccezionalità della situazione economica, che avevano indotto il Governo, allora in carica, ad adottare il citato prelievo solidale, anzi oggi rispetto al 2011 la recessione si è acuita e la situazione dei conti pubblici italiani è peggiorata a causa del trend negativo di crescita del prodotto interno lordo;
a maggior ragione necessitano maggiori risorse da destinare al sostegno delle fasce più deboli e resta inaccettabile che circa il 44 per cento dei pensionati italiani, quindi oltre 7 milioni di cittadini, riceve oggi dall'Inps un assegno inferiore a mille euro mensili e, nel 13 per cento dei casi, tale assegno non supera l'importo di 500 euro, mentre sussistono pensioni d'oro di importi mensili superiori a 20.000 euro fino al caso eclatante di euro 90.000 mensili;
il Ministro Enrico Giovannini ha espresso aperture in merito ad un ventilato prelievo sulle pensioni che superino una determinata soglia di importo, sostenendo che tale intervento «non porterebbe molti soldi, ma sarebbe una misura di giustizia sociale» (Intervista sul Corriere della Sera);
il Ministro ha dichiarato altresì la necessità di reperire risorse da destinare ai trattamenti pensionistici minimi;
è inaccettabile giustificare giuridicamente i trattamenti pensionistici elevati di oltre 20 volte il trattamento minimo in quanto autorizzati da disposizioni di legge antecedenti, perché i suddetti presupposti giuridici non sono più adeguati al contesto economico attuale di grave depressione economica e le decisioni assunte in passato oggi minano il «patto sociale» fra i cittadini e consentono uno spreco di «risorse pubbliche» con grave danno sia per i pensionati che percepiscono il trattamento minimo, sia per le giovani generazioni colpite da tassi di disoccupazione ai massimi storici;
è auspicabile, invece, sottoporre a valutazione i trattamenti pensionistici di elevato importo per evidenziare la quota di pensione imputabile agli effettivi contributi versati e la quota imputabile al sistema di calcolo retributivo, al fine di assumere decisioni politiche sulle cause degli eccessivi privilegi concessi prima della riforma del sistema pensionistico;
un eventuale intervento normativo deve essere finalizzato a creare una maggiore equità nell'erogazione dei trattamenti di quiescenza, senza generare situazioni di disparità di trattamento non conformi ai princìpi della Costituzione;
per l'anno 2013 l'importo minimo del trattamento corrisponde a euro 495,43 mensili;
è opportuno consentire una equa e solidale progressività dell'imposizione sui redditi da pensione, applicando aliquote progressive in base alle classi di pensione mensile contenute nelle tabelle ufficiali dell'ISTAT per l'anno 2012;
da proiezioni effettuate, si potrebbe realizzare un maggior gettito non inferiore a 1.142.061.790 milioni di euro, da destinare all'aumento dell'importo dei trattamenti minimi, applicando le seguenti aliquote:
a) da 1 fino a 6 volte il minimo: aliquota 0,1 per cento;
b) da 6 fino a 11 volte il minimo: aliquota 0,5 per cento;
c) da 11 fino a 15 volte il minimo: aliquota 5 per cento;
d) da 15 fino a 20 volte il minimo: aliquota 10 per cento;
e) da 20 fino a 25 volte il minimo: aliquota 15 per cento;
f) da 25 fino a 31 volte il minimo: aliquota 20 per cento;
g) da 31 fino a 39 volte il minimo: aliquota 25 per cento;
h) da 39 fino a 50 volte il minimo: aliquota 30 per cento;
i) oltre 50 volte il minimo: aliquota 32 per cento,
impegna il Governo:
previa valutazione dei contenuti della sentenza della Corte costituzionale n. 116 del 3 giugno 2013, a valutare l'opportunità di assumere iniziative per prevedere, per un periodo limitato di tre anni, sui redditi da pensione lordi annui un contributo solidale suppletivo applicando le indicate aliquote progressive differenziate in base alle classi di importo mensile percepito, al fine di riconoscere un aumento di 518 euro all'anno della pensione minima (ora consistente in euro 6.440,59 all'anno) di cui, in relazione agli ultimi dati aggiornati Istat 2011, potrebbero beneficiare circa 2.219.482 pensionati;
a valutare l'opportunità di revisionare i trattamenti pensionistici erogati per prestazioni lavorative di elevato importo, al fine di adeguare i trattamenti medesimi alla effettiva contribuzione da parte del lavoratore beneficiario in quiescenza, riducendo la quota di trattamento acquisita in base al sistema retributivo, fissando per ciascuna forma di sistema un tetto massimo di pensione erogabile, onde evitare disparità eccessive nell'erogazione delle pensioni tali da rendere il sistema iniquo ed oramai inaccettabile per i molti cittadini che vivono alle soglie della povertà e percepiscono pensioni minime di importo tale da non consentire nemmeno lo svolgimento di una vita dignitosa.
(1-00194)
(Nuova formulazione) «Sorial, Fraccaro, Villarosa, D'Incà, Nuti, Rostellato, Cecconi, Castelli, Currò, Caso, Cariello, Brugnerotto, Barbanti, Ruocco, Cancelleri, Pisano, Pesco».
Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.
I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
interpellanza Della Valle n. 2-00028 del 29 aprile 2013;
interrogazione a risposta orale Antimo Cesaro n. 3-00353 del 1° ottobre 2013;
interpellanza urgente Giancarlo Giorgetti n. 2-00269 del 29 ottobre 2013.
INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA
AIELLO, COSTANTINO e DANIELE FARINA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
a settembre 2012 è stato chiuso l'istituto penitenziario «Luigi Daga» di Laureana di Borrello (Reggio Calabria);
la struttura era considerata tra i migliori istituti di pena del nostro Paese, uno dei pochi nel quale trovava concretezza il fine rieducativo della pena;
tale istituto rappresentava una reale possibilità di riscatto per i detenuti ivi ristretti che, una volta entrati in carcere, intraprendevano un percorso rieducativo significativo, grazie alle numerose attività che avevano luogo nello stesso;
in relazione alla vicenda del carcere di Laureana, è nato spontaneamente un comitato cittadino che ha intrapreso iniziative anche di natura istituzionale per chiederne l'immediata riapertura;
la decisione relativa alla chiusura dell'istituto sarebbe scaturita dalla necessità di personale di polizia penitenziaria negli altri circuiti carcerari della regione Calabria;
tale motivazione, a parere dell'interrogante, non può certo esser considerata ragionevole in quanto, ad esempio, sono pendenti numerose domande di trasferimento da parte di agenti della polizia penitenziaria che, dal nord del nostro Paese, chiedono di essere spostati in istituti penitenziari del sud Italia che, se accolte, ben potrebbero risolvere la problematica questione della carenza di personale;
a febbraio 2013, il Ministro della giustizia pro tempore, la professoressa Paola Severino, appena avuto contezza dell'importanza sociale ed educativa del carcere di Laureana, aveva dato indicazioni al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria per la riapertura dell'istituto che avrebbe dovuto verificarsi il 30 aprile scorso;
ad oggi non si hanno notizie circa l'esecuzione della decisione relativa alla riapertura del carcere Luigi Daga di Laureana –:
di quali informazioni il Ministro interrogato disponga riguardo alla situazione esposta in premessa;
se il Ministro non ritenga di intervenire con urgenza in relazione alla situazione del carcere di Laureana di Borrello, in particolare rendendo esecutivo il provvedimento che aveva fissato alla data del 30 aprile 2013 il giorno della relativa riapertura. (4-00689)
Risposta. — Rispondo all'interrogazione in esame – relativa all'istituto penitenziario di Laureana di Borrello – facendo presente che la struttura era stata temporaneamente chiusa il 27 settembre 2012 allo scopo di poter disporre di unità di Polizia penitenziaria indispensabili per assicurare la traduzione dei detenuti impegnati nei maxi processi presso le aule di giustizia dei tribunali di Palmi e di Reggio Calabria.
Nel periodo estivo, infatti, la carenza di personale aveva determinato in taluni casi la mancata traduzione di alcuni detenuti in udienza e ciò che aveva suscitato segnalazioni dell'autorità giudiziaria e proteste dell'avvocatura, riprese dagli organi di informazione.
Il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha dovuto rinviare per qualche tempo la riapertura dell'istituto, originariamente prevista per il mese di aprile di quest'anno, in conseguenza delle necessità operative connesse all'apertura della nuova casa circondariale di Arghillà (Reggio Calabria).
Dal 28 settembre 2013 la casa di reclusione «Luigi Daga» di Laureana di Borrello – struttura destinata ad ospitare detenuti di ridotta pericolosità sociale – è stata riaperta. Attualmente la struttura ospita un primo contingente di venti detenuti, provenienti dalla casa circondariale di Arghillà, ai quali se ne aggiungeranno altri venti entro la fine del corrente mese. In seguito, ulteriori detenuti saranno assegnati all'istituto di Laureana di Borrello sino al raggiungimento della capienza complessiva di 68 unità.
Inoltre, con decorrenza dal 26 settembre 2013 è stata disposta, a seguito di interpello regionale, l'assegnazione alla struttura di Laureana di Borrello di dieci unità di polizia penitenziaria in aggiunta alle cinque unità già ivi impiegate per la vigilanza.
Il Ministro della giustizia: Anna Maria Cancellieri.
BONOMO, GADDA, PATRIARCA, BARGERO, CRIMÌ, NARDUOLO, MAURI, QUARTAPELLE PROCOPIO, BRAGA, BORGHI, MATTIELLO, FREGOLENT, ROSSOMANDO, PASTORINO, RAMPI, GIORGIS, BOBBA e PAOLA BRAGANTINI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
la legge n. 190 del 2012 riguardante le «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione» prevede varie norme anche in attuazione dell'articolo 6 della Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dalla Assemblea generale dell'ONU il 31 ottobre 2003 e ratificata ai sensi della legge 3 agosto 2009, n. 116, e degli articoli 20 e 21 della Convenzione penale sulla corruzione, fatta a Strasburgo il 27 gennaio 1999 e ratificata ai sensi della legge 28 giugno 2012, n. 110;
le «linee di indirizzo» previste dalla legge n. 190 del 2012, che avrebbero dovuto guidare l'azione del Dipartimento della funzione pubblica per la predisposizione del Piano nazionale anticorruzione, sono state pubblicate soltanto il 19 marzo 2013;
entro il 29 marzo, regioni ed enti locali (ed organismi dipendenti) avrebbero dovuto approvare il piano triennale di prevenzione della corruzione 2013-2015;
la Corte dei conti stima che la corruzione nella pubblica amministrazione costi ogni anno all'Italia circa 60 miliardi, cioè mille euro a persona;
l'Italia è al 69esimo posto nella classifica mondiale sulla corruzione (fonte: transparency international);
in attuazione della legge 190, nel mese di marzo il Governo ha approvato il «Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni»;
ad oggi non si ha notizia delle intese Stato-regioni ed enti locali volte a definire gli adempimenti, da parte degli enti territoriali, per una «piena e sollecita attuazione delle disposizioni» della legge;
nel mese di marzo, l'Associazione nazionale comuni italiani ha emanato alcune disposizioni per i comuni sollecitandoli, comunque, a fare qualcosa per dimostrare di voler applicare la detta legge;
vari consigli comunali hanno dunque approvato dei provvedimenti provvisori per adempiere comunque agli obblighi previsti dalla legge n. 190 del 2012 ma restano in attesa di poter varare provvedimenti definitivi, con relativo spreco di tempo e risorse già carenti per la continua azione degli organi centrali –:
quando sia prevista la Conferenza unificata Stato-regioni ed enti locali per definire gli adempimenti, da parte degli enti territoriali, per una «piena e sollecita attuazione delle disposizioni» della legge n. 190 del 2012 «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione»;
quali altri atti siano necessari e quando sono effettivamente previsti per dare piena attuazione alla suddetta legge. (4-01704)
Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in oggetto indicato, si chiedono chiarimenti in merito ai tempi e alle modalità di attuazione delle disposizioni contenute nella legge 6 novembre 2012. n. 190, recante «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione», soprattutto in riferimento all'applicazione della normativa da parte degli enti territoriali.
Com’è noto, l'articolo 1, commi 60 e 61, della citata legge stabilisce che la conferenza unificata attraverso intese definisca gli adempimenti delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano e degli enti locali volti alla piena e sollecita attuazione delle disposizioni in argomento, ciò con particolare riguardo alla definizione del piano triennale di prevenzione della corruzione e all'adozione di norme regolamentari relative all'individuazione degli incarichi vietati ai dipendenti pubblici e del codice di comportamento.
Al riguardo, si rappresenta che a seguito della predetta Intesa sancita il 24 luglio 2013 in sede di conferenza unificata, la Civit (Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche) l'11 settembre 2013 ha approvato il piano nazionale anticorruzione predisposto dal dipartimento della funzione pubblica: lo stesso è stato, poi, pubblicato sul sito internet del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione.
Il piano, elaborato sulla base delle direttive contenute nelle linee di indirizzo del comitato interministeriale, contiene gli obiettivi strategici governativi per lo sviluppo della strategia di prevenzione a livello centrale e fornisce indirizzi e supporto alle amministrazioni pubbliche per l'attuazione della prevenzione della corruzione e per la stesura del relativo piano triennale.
Secondo il contenuto del piano nazionale, ciascuna amministrazione dovrà adottare e comunicare al dipartimento, entro il 31 gennaio 2014, il proprio piano triennale di prevenzione, che di regola include anche il programma triennale per la trasparenza e l'integrità.
Pertanto, con l'approvazione del piano nazionale prende concretamente avvio la fase di attuazione del punto fondamentale della legge anticorruzione attraverso la pianificazione della strategia di prevenzione a livello decentrato.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione: Gianpiero D'Alia.
BUSINAROLO, FERRARESI, BONAFEDE, AGOSTINELLI, TURCO, MICILLO, SARTI, COLLETTI, FANTINATI, BRUGNEROTTO, ZOLEZZI, SCAGLIUSI, GALLINELLA e ROSTELLATO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
secondo il recente rapporto ISPRA, il consumo di suolo in Veneto è stato calcolato pari all'8,5 per cento del territorio regionale (dato relativo al 2010), contro una media nazionale al 6,9 per cento e una media dell'Europa al 2,4 per cento; a questi dati, preoccupanti in sé, bisogna aggiungere un altro rilevante elemento di riflessione: solo nella regione Veneto ci sono 400 mila immobili inutilizzati;
appare evidente che questi numeri contengono tutta l'emergenza e l'urgenza di un presidio forte da parte dello Stato in difesa del territorio da ogni possibile ulteriore consumo di suolo senza una reale motivazione di interesse pubblico; un presidio che deve essere finalizzato al contrasto dell'uso non sostenibile del suolo, alla difesa delle aree di pregio e delle aree sottoposte a vincolo ambientale nonché a tutela dell'assetto idrogeologico; azioni che devono invece stimolare e incentivare estesi piani di recupero edilizio e la riqualificazione delle aree già cementificate e, molto spesso, abbandonate;
dall'analisi del rapporto ISPRA e delle scelte amministrative compiute dai vari comuni, emerge che la maggior parte del consumo di suolo di questi anni è avvenuto «a norma di legge» – al netto dell'enorme piaga dell'abusivismo edilizio –, utilizzando, magari interpretando, norme e strumenti urbanistici comunali, provinciali, regionali dall'effetto troppo spesso disastroso;
in Veneto, a partire dal 2004, è stata introdotta la pianificazione attuativa territoriale, ma ad oggi persistono piani regolatori datati e superati, variati ed emendati negli anni e certamente non in grado di dare un sistema regolatorio efficace per garantire la tutela; troppo spesso veti incrociati tra posizioni politiche nascondono interessi privati che portano a enormi difficoltà di approvazione dei piani nei comuni, nelle province e nella stessa regione; anche l'applicazione del Piano casa in Veneto non ha avuto le attenzioni e la visione di strumento per una reale riqualificazione energetica e strutturale del costruito, mentre esempi virtuosi di applicazione possono essere invece considerati la provincia di Bolzano e la regione Toscana;
in questa situazione di elevata criticità esiste inoltre una estrema difficoltà di tutela del patrimonio storico veneto, troppo spesso assediato dal cemento: eclatante il caso di Villa Emo a Vedelago, salvata con l'intervento della società civile, eccezione rispetto allo scempio di varie Ville Venete mai concretamente valorizzate nel loro potenziale turistico, come segnalato dalla puntata di Report del 21 aprile 2013;
la cementificazione in Veneto negli ultimi 20 anni ha inoltre compromesso l'assetto idrogeologico in varie aree del territorio sul quale si stanno ripetendo con sempre maggior frequenza eventi catastrofici, come la rottura degli argini a Soave e Monteforte d'Alpone del novembre 2011 ed il tragico stato di pericolo (una vittima il 16 maggio 2013) che le popolazioni hanno vissuto anche in questo maggio 2013, l'elevatissimo numero di eventi di acqua alta a Venezia e a Chioggia, e gli altrettanto numerosi eventi franosi nelle zone collinari;
talvolta l'attribuzione di un «interesse pubblico» ad alcuni progetti, attiva meccanismi di deroga a tutti gli strumenti urbanistici e di pianificazione, con discutibili conseguenze sulla corretta gestione del territorio;
i progetti Motorcity e District Park – per la cui realizzazione è prevista l'utilizzazione di 12 milioni di metri quadrati, 4,5 dei quali solo per l'Autodromo – rappresentano proprio quella tipologia di intervento che beneficia di una corsia preferenziale derogatoria che ha consentito di collocarli in un'area agricola di pregio – attualmente destinata alla coltivazione di riso vialone nano e cereali –, con presenza di risorgive e zone umide – Vigasio Trevenzuolo;
la proposta di realizzare un autodromo – al quale nel 1999, con legge regionale, era stata attribuita «rilevanza pubblica» – ha costituito il pretesto per non rispettare gli strumenti urbanistici esistenti; il progetto si è via via ampliato, fino a diventare una vera e propria operazione speculativa, fino a diventare il più grande centro commerciale d'Europa e in grado di attirare fino a 120 mila persone;
con delibera del consiglio provinciale di Verona in data 4 giugno 2013 sono state approvate le «nuove modalità di realizzazione per stralci del sistema infrastrutturale viabilistico della zona sud-ovest del territorio provinciale», in base alle quali la realizzazione a carico dei privati delle opere stradali tra Vigasio e Trevenzuolo di quattro corsie per 9,5 chilometri, per complessivi 120 milioni di euro, può essere portata avanti a stralci in base ai tre piani di lottizzazione distinti. I tre progetti sono: il Motorcity (che prevede una pista automobilistica, un centro commerciale grande il doppio di quello costruito a Londra per le olimpiadi, un parco divertimenti, hotel, aree espositive, ed altro) promosso dalla Autodromo del Veneto Spa, il District Park (centro logistico) promosso da Res-Serenissima e il Centro Agroalimentare di Trevenzuolo, promossa da Spalt. I lavori relativi al District Park potrebbero anche partire per primi, al termine dell’iter per la revisione della Via provinciale, senza pertanto lasciar cadere gli effetti della valutazione d'impatto ambientale (VIA), valida ancora per solo un anno e mezzo;
solo di recente la regione Veneto, con l'istituzione di una commissione speciale antimafia, si è resa conto della necessità di controlli per prevenire le infiltrazioni della criminalità organizzata e i fenomeni di corruzione e di garantire la massima trasparenza in tutte le fasi delle procedure di affidamento dei lavori pubblici, ma i progetti e gli interventi in fase di realizzazione sono troppo numerosi perché se ne riesca a fare un vaglio efficace;
in questo scenario si aggiunge un'ulteriore criticità: l'uso sistematico dello strumento del project financing per realizzare opere pubbliche, con effetti discutibili dal punto di vista finanziario, di criteri di selezione imprese – ospedale e passante di Mestre, passante autostradale Nord di Verona, tunnel Schio Valdagno – di definizione delle reali esigenze pubbliche;
oltre a ipotesi di nuove edificazioni, il Veneto deve subire una intensa attività estrattiva, resa più facile dalla mancata approvazione di un piano regionale per le cave, mentre la Direttiva Europea 2008/98/Ce, recepita con il decreto legislativo n. 205 del 2010, impone, entro il 2020, il riciclo degli inerti per almeno il 70 per cento; sono inoltre assenti piani e progetti per gli interventi di recupero ambientale delle cave dismesse, la cui unica proposta di utilizzo è quella di destinarle a discariche di rifiuti –:
se alla luce di quanto descritto in premessa il Governo intenda acquisire elementi in merito alla possibile compromissione, nelle aree interessate dai progetti descritti, di valori paesaggistici protetti e se la competente soprintendenza sia stata coinvolta nelle procedure o abbia mosso rilievi in relazione ad esse.
(4-00869)
Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante chiede se questa amministrazione intenda acquisire elementi in merito alla possibile compromissione dei valori paesaggistici presenti nella regione Veneto, nel territorio interessato dalla possibile realizzazione di alcuni progetti denominati «motorcity», «district park» e «centro agroalimentare di Trevenzuolo», si comunica quanto segue.
L'unico progetto portato a conoscenza degli uffici territoriali dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, con particolare riferimento alla direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Veneto, è quello indicato nell'interrogazione come «Motorcity». Il progetto, denominato autodromo del Veneto, prevede la realizzazione di un polo commerciale, produttivo e di intrattenimento nei comuni di Vigasio e Trevenzuolo, in provincia di Verona, consistente, inter alia, in un autodromo con strutture ricettive e di ristorazione, un centro commerciale ed un polo tecnologico.
Lo stesso si inserisce nelle previsioni di cui all'articolo 88 delle norme tecniche di attuazione del Piano d'area quadrante europa («Paqe»).
L'area interessata dal progetto in questione è parzialmente soggetta alla tutela paesaggistica di cui all'articolo 142, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, per la presenza di alcuni corsi d'acqua. Non risultano provvedimenti di tutela ai sensi della parte II o III del citato decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. Tale area presenterebbe, inoltre, un potenziale interesse archeologico, su cui sono in corso i necessari approfondimenti da parte della competente soprintendenza per i beni archeologici del Veneto.
Con decreto 25 giugno 2007, n. 16, la regione del Veneto, direzione regionale progetti e investimenti, ha stabilito l'assoggettamento del progetto in questione alla procedura di valutazione di impatto ambientale («Via») di interesse regionale, ai sensi degli articoli 19 e seguenti del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 152.
Il 21 maggio 2008, la autodromo del Veneto Spa, soggetto proponente nell'ambito della procedura di Via, ha inoltrato a questa amministrazione un progetto preliminare e uno studio di impatto ambientale relativi all'intervento di cui si discute.
Nel caso di specie, la regione del Veneto ha riferito per le vie brevi che il procedimento di Via è ancora in corso.
Tenuto conto della parziale sottoposizione dell'area a tutela paesaggistica, il progetto di cui si discute deve ottenere necessariamente il parere favorevole di questa amministrazione di cui all'articolo 146, comma 5, del codice dei beni culturali e del paesaggio, che, ad oggi, non è stato ancora espresso, atteso che il soggetto proponente non risulta aver trasmesso a questa amministrazione l'istanza di Via corredata di tutti gli allegati (tra i quali il progetto definitivo dell'intervento e la relazione paesaggistica ad esso relativa), conformemente a quanto previsto dall'articolo 25, comma 3, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
Sarà cura degli uffici di questo Ministero proseguire nel lavoro di monitoraggio del territorio al fine di assicurare, nei termini di legge, il rispetto e la tutela del paesaggio.
Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo: Massimo Bray.
CENSORE, AIELLO, BATTAGLIA, BRUNO BOSSIO, COVELLO, MAGORNO e OLIVERIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
in Calabria la condizione dei lavoratori socialmente utili e di pubblica utilità è divenuta ormai insopportabile;
sebbene gli oltre 5000 Lsu-Lpu svolgano da molti anni un lavoro insostituibile negli enti locali, la loro condizione di precarietà risulta sempre più grave, tanto che in seguito alla recente sentenza della Corte costituzionale che ha «bocciato» l'articolo 55 del collegato alla manovra finanziaria 2012 della regione Calabria, i rischi per il loro futuro sono improvvisamente divenuti elevatissimi;
in seguito a ciò, in Calabria potrebbe esplodere una vera e propria «bomba sociale», anche per i gravissimi ritardi dell'amministrazione regionale che non ha mai inteso avviare un percorso virtuoso di regolarizzazione dei lavoratori precari, lasciati addirittura senza stipendi per numerosi mesi;
i lavoratori Lsu-Lpu, ad avviso degli interroganti sono di fatto trattati come «schiavi», senza stipendi e senza futuro. È stata tolta loro anche la dignità;
i lavoratori rivendicano oltre al pagamento degli arretrati, anche un piano di stabilizzazione, al fine di porre fine a questa lunga condizione di incivile precariato. Occorre ricordare che senza l'apporto degli Lsu/Lpu, viene messa in ginocchio la normale gestione dei servizi essenziali in molti enti locali. Già alcuni comuni stanno dichiarando l'impossibilità di garantire i servizi fondamentali;
da ricordare come nella scorsa legislatura, il Governo Berlusconi ha destinato 110 milioni di euro per la stabilizzazione degli Lsu di Napoli e di Palermo, lasciando del tutto dimenticati i precari calabresi, nonostante le vibrate proteste delle opposizioni parlamentari e delle forze sindacali –:
se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se conosca la sua gravità;
cosa si intenda fare per quanto di competenza, al fine di trovare una soluzione normativa che avvii il percorso della stabilizzazione dei suddetti precari;
cosa si intenda fare per garantire una copertura assicurativa ai precari impiegati nella pubblica amministrazione, i quali, benché in servizio da molti anni, risultano del tutto scoperti dal punto di vista previdenziale;
se non si intenda avviare un tavolo di concertazione con la regione Calabria, al fine di studiare un percorso che, per quanto di competenza, porti all'individuazione delle risorse finanziare che garantiscano la stabilizzazione degli Lsu-Lpu della Calabria. (4-00138)
Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, con la quale sono stati chiesti chiarimenti in merito alla condizione di precarietà nella quale versano i lavoratori socialmente utili e di pubblica utilità (lsu-lpu), con particolare riguardo a quelli che svolgono la propria attività nella regione Calabria.
A seguito dell'istruttoria avviata presso l'Istituto nazionale della previdenza sociale, si rappresenta quanto segue.
In via preliminare, va rilevato che l'Inps provvede ad erogare ai lavoratori in esame un importo mensile denominato assegno di utilizzo per prestazioni in attività socialmente utili, secondo quanto espressamente previsto dall'articolo 8, comma 3 del decreto legislativo 1o dicembre 1997, n. 468, modificato ed integrato dal decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 81.
Inoltre, l'articolo 78 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 prevede la possibilità, per il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di stipulare apposite convenzioni con le regioni, finalizzate, tra l'altro, a realizzare programmi di stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili a carico del Fondo sociale per l'occupazione e la formazione.
In merito alla situazione di tali lavoratori nella regione Calabria, risulta che l'INPS attualmente eroga l'assegno previsto dal citato articolo 8 ai lavoratori che risultano inseriti nell'apposito monitoraggio nazionale eseguito dall'Agenzia tecnica del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (Italia lavoro Spa).
L'Istituto ha inoltre comunicato che, allo stato, non risultano ritardi nel pagamento delle prestazioni dovute; eventuali ritardi sono, invero, imputabili esclusivamente alla tempistica con la quale le variazioni concernenti i lavoratori in esame sono inserite, da parte degli enti utilizzatori, nell'apposito sito web messo loro a disposizione da Italia lavoro.
Infine, l'Inps ha precisato che ha provveduto ad erogare il prescritto assegno per il termine massimo di dodici mesi stabilito dall'articolo 3 del medesimo decreto a coloro che hanno svolto lavori socialmente utili ai sensi del decreto legislativo n. 280 del 1997.
Pertanto, nel caso di impiego di lavoratori socialmente utili da parte degli enti locali oltre il termine indicato, gli oneri previdenziali devono considerarsi a carico del bilancio regionale e non più dell'apposito Fondo per l'occupazione con la conseguenza che il relativo sussidio dovrà essere corrisposto direttamente dagli enti locali o, nel caso in esame, dalla regione Calabria.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione: Gianpiero D'Alia.
CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
da notizie riportate da organi di stampa locali e nazionali, emerge un increscioso episodio di criminalità verificatosi ai danni di una famiglia di Ariano Irpino, in provincia di Avellino;
in particolare, una banda di malviventi, con volti coperti da passamontagna, il 25 maggio 2013, in pieno giorno, ha fatto irruzione nell'abitazione di un noto imprenditore edile della zona;
i tre criminali, dal forte accento napoletano, armati di pistole e coltelli, hanno tenuto in ostaggio per circa tre ore la moglie dell'imprenditore e i suoi due figli, legati alle sedie e imbavagliati con del nastro adesivo per imballaggi;
la donna è stata altresì ripetutamente colpita con un dispositivo che rilascia forti scariche elettriche per impedirle eventuali resistenze;
mentre gli ostaggi venivano tenuti sotto la minaccia delle armi da uno dei banditi, gli altri due mettevano a soqquadro la villa alla ricerca di denaro e preziosi;
la banda è riuscita a scappare assicurandosi un bottino di circa dieci mila euro in contanti e gioielli di famiglia;
le registrazioni delle telecamere di sorveglianza esterna del vicino ospedale e di alcuni istituti di credito della zona sono ora al vaglio degli investigatori del locale commissariato e della squadra anticrimine della questura di Avellino;
tali preoccupanti episodi di violenza e criminalità mettono a rischio l'incolumità dei cittadini e riducono il livello della qualità di vita dei cittadini, danneggiando oltremodo l'immagine della città –:
se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali provvedimenti intenda assumere al fine di garantire maggiore sicurezza nell'intera provincia di Avellino. (4-00629)
Risposta. — Il 24 maggio 2013 nel comune di Ariano Irpino, tre uomini, travisati e armati, si sono introdotti nella villa di un noto imprenditore del posto, al momento assente. Dopo aver immobilizzato per alcune ore la moglie e i figli, i malviventi sono riusciti ad aprire le due casseforti presenti nell'abitazione impossessandosi di alcune armi e di preziosi per un valore di circa 200.000 euro.
Le forze dell'ordine, coordinate dalla procura della Repubblica, hanno immediatamente avviato le indagini, individuando due pericolosi pluripregiudicati dell'area vesuviana quali corresponsabili del reato. I concreti elementi di reità raccolti nei loro confronti hanno consentito al pubblico ministero titolare dell'indagine di emettere un decreto di fermo, eseguito il 6 giugno 2013.
Le indagini condotte hanno reso inoltre possibile la denuncia in stato di libertà, per il reato di ricettazione, di due cittadini avellinesi – di cui uno titolare di un servizio di compro oro – e il recupero di una parte dei preziosi rubati. Sono tuttora in corso le ricerche per l'identificazione dell'ultimo componente della banda e il recupero della refurtiva.
La tempestività dei risultati raggiunti, grazie all'azione sinergica di magistratura e forze dell'ordine, ha raccolto l'apprezzamento delle istituzioni locali e ha permesso di restituire alla cittadinanza, particolarmente colpita dalla gravità dell'episodio criminale, una sensazione di sicurezza e fiducia nelle istituzioni.
Peraltro, i dati concernenti la delittuosità nella provincia di Avellino mostrano anche qualche aspetto positivo. Nel primo quadrimestre del 2013, infatti, sono stati registrati 3.090 delitti, con una flessione del 14,2 per cento rispetto allo stesso periodo del 2012.
La dotazione organica della Polizia di Stato che opera in tale giurisdizione, infine, secondo dati aggiornati al mese di giugno 2013, è costituita complessivamente da 412 unità (rispetto ad una previsione organica di 555). Concorrono al dispositivo di controllo del territorio anche 791 militari dell'Arma dei carabinieri e 235 militari della Guardia di finanza.
Il Viceministro dell'interno: Filippo Bubbico.
COVA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
il decreto del Ministero della salute 4 maggio 2006, preso atto del Regolamento (CE) n. 21/2004 del Consiglio del 17 dicembre 2003 che istituisce un sistema di identificazione e di registrazione degli animali delle specie ovina e caprina e che modifica il regolamento (CE) n. 1782/2003 e le direttive 92/102/CEE e 64/432/CEE, prevede la modifica dell'allegato 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 317 del 1996 utilizzato per la spedizione dei bovini vivi dagli allevamenti verso altri allevamenti o verso il macello;
il Mod. 4 è un documento che deve essere, obbligatoriamente, compilato in caso di trasporto di animali della specie suina, bovina, ovina, caprina, equina, bufalina ed altri animali da cortile, quali volatili e conigli;
nella sezione B «dichiarazione per il macello» del Mod. 4 vi è l'obbligo di dichiarare che:
a) gli animali non siano stati trattati o alimentati con sostanze di cui è vietato l'impiego;
b) tale trattamento non si sia verificato nei precedenti 90 giorni o fin dalla nascita;
c) qualora siano stati trattati con sostanze di cui agli articoli 4 e 5 del decreto legislativo 4 agosto 1999 n. 336, e successive modificazioni deve essere scritto;
d) siano stati osservati i previsti tempi di sospensione per i trattamenti indicati dagli articoli 4 e 5 decreto legislativo n. 336 del 1999;
la compilazione in tutte le sue parti della sezione B del Mod. 4 così come modificato da ultimo dal decreto del Ministero della salute del 2006 ha generato e genera negli allevatori una notevole confusione visto che le voci sembrano tra loro essere discordanti in particolar modo non si comprende perché se uno deve obbligatoriamente dichiarare di aver rispettato i tempi di sospensione dei farmaci debba poi barrare la casella relativa alla dichiarazione per cui gli animali non sono stati trattati con farmaci nei 90 giorni antecedenti o fin dalla nascita;
l'errata compilazione del Mod. 4 prevede sanzioni amministrative e penali –:
se il Ministro non ritenga opportuno assumere iniziative per una modifica della lettera B dell'allegato 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 317 del 1996 così come modificato dal decreto ministeriale 4 maggio 2006;
quante siano dal 2006 ad oggi le sanzioni riscontrate relative all'errata compilazione della parte B dell'allegato 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 317 del 1996 così come modificato dal decreto ministeriale 4 maggio 2006.
(4-00388)
Risposta. — La dichiarazione di provenienza e destinazione degli animali (mod. IV), di cui all'allegato del decreto del Ministero della salute 16 maggio 2007, prevede la compilazione, da parte del titolare dell'allevamento di origine, o di un suo delegato, della sezione B, relativa ai trattamenti con alimenti medicamentosi e/o specialità medicinali eventualmente eseguiti sugli animali.
La corretta compilazione di tale sezione è essenziale per la definizione, al macello, della destinazione finale dell'animale e dei prodotti da esso derivati.
Soltanto nel caso in cui l'operatore autocertifica, barrando le caselle al punto 2, che gli animali destinati alla macellazione sono stati trattati (o con sostanze di cui agli articoli 4 e 5 del decreto legislativo 16 marzo 2006, n. 158, o con alimenti medicamentosi o specialità medicinali), nei novanta giorni precedenti la macellazione o dalla nascita (qualora si tratti di animali macellati ad età inferiore ai 90 giorni), deve necessariamente barrare anche la casella al punto 3, relativa al rispetto dei previsti tempi di sospensione.
Tuttavia, le informazioni raccolte sul territorio, dalle autorità regionali e locali, nonché durante gli audit degli ispettori comunitari del Food veterinary office (FVO) e degli ispettori ministeriali, mostrano una compilazione del modello IV non sempre corretta.
Infatti, non rari sono i casi in cui, al macello, giungono animali accompagnati da modelli IV che, pur indicando l'assenza di trattamento, presentano barrata la casella di cui al punto 3 (sono stati osservati i previsti tempi di sospensione per i trattamenti con prodotti di cui al punto n. 2).
Tale anomalia rischia di rallentare il corretto svolgimento delle procedure di verifica delle informazioni determinanti l'accettazione degli animali nei locali del macello da parte sia del titolare del macello che del veterinario ufficiale.
È compito di quest'ultimo valutare, caso per caso, le irregolarità rilevate nella compilazione della sezione B del modello IV, al fine di comprenderne l'esatta natura e decidere, sulla base della loro gravità, la sanzione da comminare.
Il numero di sanzioni riscontrate relative all'errata compilazione della parte B del modello IV è un informazione disponibile presso le autorità locali ed è trasmessa agli organismi pagatori regionali e all'agenzia per l'erogazione in agricoltura (AGEA).
Il Sottosegretario di Stato per la salute: Paolo Fadda.
D'AMBROSIO. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
con il decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, con legge 6 agosto 2008 n. 133 si era riusciti a produrre un taglio di circa 7.000 leggi. Il 17 febbraio 2009 è stata, inoltre, approvata la legge di conversione n. 9 del 2009 del decreto-legge n. 200/2008, che abroga quasi 29.000 leggi ritenute oramai obsolete. Dopo questa faticosa opera di semplificazione normativa, portata a termine nel 2010 con il decreto «taglia-leggi», la produzione legislativa ha ripreso a correre. È in netta crescita la produzione di atti amministrativi e delle regole descrittive, senza che siano attuate abrogazioni esplicite. Soltanto nell'ultimo anno della XVI legislatura, sono state pubblicate 101 leggi con i contenuti più vari;
l'utilizzo sempre più insistente dei decreti-legge, fa lievitare enormemente il numero di nuovi provvedimenti, basti pensare ai decreti-legge presentati solo nel 2012: crescita, semplificazione, spending review, sviluppo. Decreti-legge contraddistinti dal così detto carattere di urgenza, che li rende esenti dall'analisi di impatto della regolamentazione, che dovrebbe valutare la necessità della norma e l'impatto sui cittadini e imprese;
il problema principale, non è solo il numero in crescita di leggi, ma la modalità confusa e disordinata con cui questa spesso avviene. Si legifera per modificare una norma senza provvedere a corpose abrogazioni finalizzate ad una reale semplificazione. Caratteristica che contraddistingue anche i decreti-legge dell'attuale Governo. È quindi necessario avviare vere misure di semplificazione degli atti che rendano più semplice ed immediata, da parte dei cittadini, la comprensione della norma, magari attraverso l'adozione di «testi unici» –:
se il Governo intenda assumere iniziative, ed in caso affermativo con quali modalità e tempistiche, rispetto alla semplificazione normativa. (4-01386)
Risposta. — Si fa riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame con cui l'interrogante chiede quali misure di semplificazione normativa il Governo intenda assumere e con quali modalità e tempistiche, al fine di rendere più semplice ed immediata, da parte dei cittadini, la comprensione delle norme.
Al riguardo, si rappresenta quanto segue.
Nel quadro delle politiche di semplificazione normativa, il meccanismo delle abrogazioni espresse o implicite è strettamente connesso ad un più ampio progetto di riordino, che si realizza attraverso misure di coordinamento e codificazione.
La fase di riordino, anzi, è quella più importante, perché è in grado di conferire coerenza all'ordinamento, un obiettivo più ampio, quindi, della sola – seppur fondamentale – certezza giuridica.
Invero, la razionalizzazione normativa, non solo facilita la comprensione ed il rispetto della normativa da parte di cittadini ed imprese, ma rafforza l'affidamento degli operatori che possono prevedere le conseguenze dei propri comportamenti e le reazioni delle amministrazioni. Un quadro regolatorio chiaro, inoltre, è in grado di ridurre i costi per i soggetti tenuti a rispettare ed attuare le norme.
I vantaggi dell'armonizzazione delle disposizioni legislative vigenti sono stati sottolineati anche dalla Commissione europea, la quale osserva come la qualità della regolazione, ovvero la creazione di un quadro normativo di riferimento semplice e coerente, «assicura il corretto funzionamento dei mercati, crea condizioni di concorrenza eque per le società e gli istituti finanziari che operano nel mercato unico e tutela i lavoratori, i consumatori, la salute e l'ambiente».
Appare, quindi, evidente l'importanza di misure di riassetto normativo che codifichino e riordinino la legislazione vigente, soprattutto in alcuni settori in cui la produzione normativa appare maggiormente stratificata.
Proprio in quest'ottica si collocano le iniziative del Governo proposte con la presentazione del disegno di legge recante «Misure di semplificazione degli adempimenti per i cittadini e le imprese e di riordino normativo» (AS 958), attualmente in corso di trattazione presso la Commissione affari costituzionali del Senato della Repubblica.
In particolare, si segnala l'articolo 1 del citato disegno di legge, con cui si delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi al fine di provvedere al riassetto ed alla codificazione delle disposizioni vigenti in materia di istruzione, università e ricerca (articolo 2) e in materia ambientale (articolo 3). Il riassetto e la codificazione riguarderanno, inoltre, le disposizioni contenute nel testo unico delle leggi sui pesi e sulle misure nonché quelle in materia di società fiduciarie e di revisione, di borse merci e, infine, di società di mutuo soccorso.
I suddetti decreti legislativi sono adottati, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e dei Ministri competenti.
Il successivo articolo 2, in relazione alla delega al Governo in materia di istruzione, università e ricerca, specifica che i decreti legislativi potranno contenere disposizioni anche modificative della disciplina vigente, al fine del riordino, dell'armonizzazione e del coordinamento delle disposizioni legislative e regolamentari in tale settore.
Analogamente, l'articolo 3, recante la delega al Governo per la codificazione in materia ambientale, prevede l'adozione di decreti legislativi, anche correttivi e integrativi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia di tutela ambientale, al fine del riassetto e della sistemazione della disciplina in modo organico e coordinato, anche mediante inserimento delle disposizioni che regolano le materie già incluse nel decreto legislativo n. 152 del 2006 e che sono collocate all'interno di altre fonti normative primarie vigenti.
Infine, il processo di codificazione per il settore ambientale è completato attraverso l'adozione di una o più raccolte organiche delle norme regolamentari vigenti nella medesima materia.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione: Gianpiero D'Alia.
D'ARIENZO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
in data 4 maggio 2013 è entrato in vigore il decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, recante «Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190»;
tra le disposizioni che potrebbero trovare applicazione nei confronti delle aziende ospedaliere figura quella dell'articolo 12, comma 3, il quale prevede che gli incarichi dirigenziali, interni e esterni, nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico di livello regionale sono incompatibili con la carica di componente di organi di indirizzo politico di enti, pubblici o privati in controllo pubblico, della medesima regione;
la disposizione in parola potrebbe essere applicabile all'azienda ospedaliera universitaria integrata Verona in quanto tale, e, in subordine, ai titolari di incarichi dirigenziali, interni ed esterni, che prestano servizio presso di essa. Nel caso specifico, un dirigente aziendale a tempo indeterminato del ruolo amministrativo riveste al contempo la carica di componente del consiglio della provincia di Verona, assunta in data anteriore al 4 maggio 2013;
l'azienda ospedaliera di Verona, ossia l'ente che, a far data dal 1° gennaio 2010, secondo le previsioni dell'articolo 3 della legge della regione Veneto 7 agosto 2009, n. 18, e dei diversi provvedimenti regionali di attuazione che ne sono seguiti, ha cessato di essere tale al fine di assumere la nuova configurazione giuridica di azienda ospedaliera universitaria integrata Verona, sulla scorta di quanto stabilito a livello nazionale dal decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517, recante «Disciplina dei rapporti fra servizio sanitario nazionale e università, a norma dell'articolo 6 della legge 30 novembre 1998, n. 419», venne a suo tempo individuata, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 gennaio 1999, in quanto in possesso di tutte le caratteristiche richieste dall'articolo 4, decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, quale ospedale di rilievo nazionale e di alta specializzazione;
occorrerebbe comprendere se l'azienda che, sia pure nella sua precedente configurazione giuridica di azienda ospedaliera tout court, ma che non ha certamente perduto le anzidette caratteristiche per il solo fatto della sua trasformazione in azienda ospedaliera integrata con l'università, è stata formalmente individuata quale ospedale di rilievo nazionale e di alta specializzazione possa considerarsi, nella ratio del legislatore del decreto legislativo n. 39 del 2013, pubblica amministrazione di livello regionale, o non rientri piuttosto tra quelle di livello nazionale, vista anche la platea di utenti che serve, molti dei quali provenienti da fuori regione Veneto;
l'altro aspetto, da risolvere subordinatamente al primo, afferisce alla definizione che l'articolo 1, comma 2, lettera j), e lettera k), decreto legislativo n. 39 del 2013, dà degli incarichi dirigenziali interni ed esterni, intendendo per tali quelli, «comunque denominati, che comportano l'esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione (...)»;
per legge (decreto legislativo n. 502 del 1992, richiamato, nelle parti non espressamente derogate, anche dal decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517, sopra citato), in un'azienda sanitaria tutti i poteri di gestione sono riservati al direttore generale, sicché se ne può immaginare l'esercizio, da parte dei dirigenti, in via derivata, per delega dello stesso direttore generale, ma non in via esclusiva, come direttamente discendenti dalla legge stessa;
ed infatti, all'istituto della delega si conforma l'attuale distribuzione delle competenze in seno all'organizzazione aziendale; lo stesso atto aziendale approvato con DDG n. 365 del 2 luglio 2010 afferma che, attraverso la delega, l'azienda «persegue il processo di valorizzazione delle attribuzioni dirigenziali trasferendo il processo decisionale al livello appropriato, con un conferimento di responsabilità connesso al compito che il Direttore Generale assegna al Dirigente» (articoli 18), ribadendo al successivo articolo 20 che il direttore generale, al quale sono riservati tutti i poteri di gestione (comma secondo), «può delegare con atto formale l'adozione di atti gestionali ai Dirigenti dell'A.O.U.I. secondo criteri e modalità previsti in apposito regolamento organizzativo aziendale» (u.co.);
ciò, del resto, sulla scorta delle indicazioni suggerite a livello regionale; nella delibera della giunta regionale del Veneto n. 3415 del 29 novembre 2002, recante «Linee guida per la predisposizione dell'atto aziendale», si legge, infatti, che il principio della separazione tra le funzioni di indirizzo e di controllo, da un lato, e quelle di attuazione e di gestione, dall'altro, si attua, in considerazione del particolare assetto istituzionale delle aziende sanitarie, ove appunto tutti i poteri di gestione sono riservati al direttore generale, con un forte sistema di deleghe, che vede, di norma, permanere in capo alla competenza del direttore generale l'adozione di tutti gli atti di programmazione aziendale e di alta amministrazione, mentre l'esercizio del potere per la realizzazione degli obiettivi aziendali programmati viene delegato ai dirigenti;
a tali indicazioni si è ispirato anche il regolamento per la disciplina dei provvedimenti denominati «determinazioni dirigenziali», approvato con DDG 22 dicembre 2008, n. 1988, in cui si stabilisce che i dirigenti adottano, in forma di determinazione, ogni provvedimento non rientrante nella competenza del direttore generale, su delega di quest'ultimo;
poiché è noto che la delega trasferisce non già la competenza, ma solo il suo esercizio, e che, nel caso di delega interorganica, il delegante conserva il potere d'agire in ordine all'oggetto della delega stessa, anche revocando o riformando l'atto del delegato, ci si chiede se nel caso ricorra quell'esercizio «in via esclusiva» delle competenze di amministrazione e gestione che il decreto legislativo n. 39 del 2013 assume a presupposto della incompatibilità tra l'espletamento di un incarico dirigenziale nella pubblica amministrazione e la contestuale copertura di una carica politica nel territorio di potenziale influenza dell'interessato –:
se il Governo possa fornire chiarimenti in merito a quanto descritto in premessa e se, anche alla luce di una lettura sistematica della legge delegata e della sua fonte, l'articolo 1, commi 49 s., della legge 6 novembre 2012, n. 190, con particolare riguardo, per quanto qui interessa, al comma 50, lettera f), che delegava il Governo a disciplinare, tra gli altri, i casi di incompatibilità tra gli incarichi di cui alla lettera d) del medesimo comma 50, compresi dunque quelli dirigenziali, già conferiti e l'esercizio di cariche negli organi di indirizzo politico, il decreto legislativo n. 39 del 2013, e, in specie, il suo articolo 19, vada inteso come relativo ad ogni situazione di incompatibilità, sia essa potenzialmente già esistente all'atto dell'entrata in vigore del decreto stesso, sia essa sopravvenuta a tale momento, ovvero se, come suggerito dai primi commenti redazionali alla nuova normativa, l'omessa previsione, in seno al capo VIII del decreto, di una norma transitoria specificamente dedicata alle situazioni di incompatibilità relative ad incarichi già conferiti all'atto della sua entrata in vigore ora sintomatica della rinuncia del Governo a dare seguito alla delega in parte qua, stante anche l'esigenza di una stretta interpretazione delle norme che possono incidere su diritti quesiti. (4-00630)
Risposta. — Si fa riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame con cui l'interrogante chiede chiarimenti in merito all'ambito soggettivo e temporale di applicazione del decreto legislativo n. 39 del 2013 in materia di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi presso le pubbliche amministrazioni.
In particolare si chiede, in relazione all'incarico di consigliere provinciale della provincia di Verona ricoperto da un dirigente amministrativo dell'Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona, se le nuove norme in materia di incompatibilità si applichino anche ai dipendenti con tale incarico e se le relative disposizioni trovino applicazione anche nei casi in cui l'incompatibilità ex decreto legislativo n. 39 del 2013 sia intervenuta in data anteriore all'entrata in vigore del citato decreto.
Al riguardo si evidenzia che il problema di diritto transitorio è stato risolto con l'articolo 29-ter del decreto-legge 21 giugno 2013, convertito con modificazioni nella legge n. 98 del 2013: tale disposizione stabilisce che: «In sede di prima applicazione, con riguardo ai casi di previsti dai capi V e VI del decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, gli incarichi conferiti e i contratti stipulati prima della data di entrata in vigore del medesimo decreto legislativo in conformità alla normativa vigente prima della stessa data non hanno effetto come causa di incompatibilità fino alla scadenza già stabilita per i medesimi incarichi e contratti».
I rapporti sorti in data antecedente all'entrata in vigore della nuova normativa restano pertanto regolati secondo la disciplina precedente.
Per quanto riguarda l'ambito soggettivo di applicazione della nuova normativa si rappresenta che la Civit con delibera n. 58 del 2013, nel fornire chiarimenti con particolare riferimento all'applicazione del decreto legislativo in questione al settore sanitario, ha ritenuto che anche le aziende ospedaliere di rilievo nazionale o interregionale di cui all'articolo 6 della legge n. 419 del 1998 devono essere incluse nell'espressione «aziende sanitarie locali», rientranti nell'ambito soggettivo di applicazione del decreto legislativo, in quanto ricomprese tra le strutture preposte all'organizzazione e all'erogazione di servizi sanitari.
In merito poi alla questione dell'inclusione o meno degli incarichi dirigenziali amministrativi presso le aziende ospedaliere tra «gli incarichi dirigenziali interni ed esterni» soggetti alla disciplina sull'incompatibilità, di cui al decreto legislativo n. 39 del 2013, si rileva, in via preliminare, che nelle aziende sanitarie tutti i poteri di gestione sono riservati al direttore generale che può delegarne l'esercizio ai dirigenti (ex articolo 3 del decreto legislativo n. 502 del 1992). Infatti il direttore generale adotta l'atto aziendale con cui sono individuate le strutture operative dotate di autonomia gestionale o tecnico-professionale, soggette a rendicontazione analitica, e nomina i responsabili delle strutture operative dell'azienda.
Al riguardo rilevano anche le disposizioni dell'articolo 26 del decreto legislativo n. 165 del 2001 che prevede le modalità di accesso alla qualifica di dirigente amministrativo del Servizio sanitario nazionale.
Ciò posto, appare evidente che gli incarichi dirigenziali di responsabilità di strutture amministrative delle aziende sanitarie come definite dall'atto aziendale rientrino tra gli «incarichi dirigenziali interni ed esterni» presso le pubbliche amministrazioni e, in quanto tali, soggetti alla disciplina sull'incompatibilità prevista dal decreto legislativo n. 39 del 2013; tali incarichi sebbene attribuiti nell'ambito del servizio sanitario nazionale sono infatti assimilabili, nel loro svolgimento, all'esercizio delle funzioni e delle attribuzioni proprie della responsabilità dirigenziale previste nel capo II del testo unico del pubblico impiego (decreto legislativo n. 165 del 2001).
Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione: Gianpiero D'Alia.
DI LELLO. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
in data 4 maggio 2013 è entrato in vigore il decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, recante «Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190»;
ai sensi dell'articolo 2 comma 1 del citato decreto legislativo le disposizioni in esso contenute si applicano agli incarichi conferiti nelle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001: «Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale»;
sembra dunque che ancora ad oggi assuma un rilievo centrale il principio dell'esclusività del rapporto di lavoro del pubblico dipendente, il quale ha, per la verità, radici antiche, legate ad un quadro normativo ispirato ad una concezione autoritativa del rapporto intercorrente tra amministrazione e pubblico dipendente;
manifestazione tipica di tale autorità era il dovere di fedeltà il quale si estrinsecava nel divieto dei pubblici dipendenti di costituire rapporti di lavoro con altri soggetti pubblici e/o privati, di svolgere attività industriali e commerciali, di assumere cariche in società costituite a fini di lucro, nonché, l'esercizio di attività professionali;
il principio di esclusività del rapporto di impiego del dipendente pubblico, affonda le proprie radici nelle norme contenute nella Carta costituzionale e segnatamente nel principio di imparzialità, di buon andamento, di efficienza della pubblica amministrazione (articolo 97 della Costituzione), di fedeltà alla nazione (articolo 98 della Costituzione) ma ciò non toglie che questo debba essere anche esteso all'assunzione di incarichi elettivi;
l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 39 del 2013 ha già determinato alcune prese di posizione in particolare il caso si riferisce all'ufficio scolastico regionale della Puglia che, lo scorso 6 giugno, con una nota ha comunicato a tutti i dirigenti scolastici della regione che, con l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 39 del 2013, gli incarichi dirigenziali da loro svolti saranno del tutto incompatibili con cariche elettive all'interno dei consigli e delle giunte comunali, provinciali e regionali, intimandoli di cessare immediatamente dalle cariche elettive eventualmente ricoperte, ventilando l'adozione di provvedimenti disciplinari e la denuncia al responsabile anticorruzione;
in tal senso l'articolo 12 del decreto legislativo n. 39 del 2013 presenta margini di ambiguità interpretativa ed in particolare appaiono fonte di criticità i commi 3 e 4 che stabiliscono incompatibilità fra «gli incarichi dirigenziali, interni ed esterni, nelle pubbliche amministrazioni (...) e quelli di componente della giunta o del consiglio di una regione, una provincia, un comune»;
il testo potrebbe, dunque, prestarsi ad interpretazioni contraddittorie che andrebbero ad incidere su un diritto costituzionalmente garantito (articolo 51 della Costituzione) che, in tal modo, sarebbe negato ad un'intera categoria professionale –:
se non ritenga opportuno intervenire per fornire una interpretazione autentica delle norme sia per quanto riguarda l'ambito di applicazione sia per quanto riguarda le incompatibilità tra incarichi al fine di tutelare i diritti costituzionali. (4-01463)
Risposta. — Si fa riferimento all'atto di sindacato ispettivo indicato in esame, con il quale sono stati sollevati dubbi interpretativi sulla portata di alcune disposizioni contenute nel decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, in tema di inconferibilità e di incompatibilità (articolo 12, comma 3 e 4).
In via preliminare, si la presente che il sistema, disegnato dal decreto legislativo n. del 2013, è volto a prevenire fenomeni di corruttela e di conflitto di interesse, impedendo a chi ricopre incarichi amministratisi di vertice e incarichi dirigenziali – che comportano poteri di vigilanza o controllo sulle attività svolte dagli enti di diritto privato regolati o finanziati dall'amministrazione che conferisce l'incarico – l'assunzione o il mantenimento, nel corso dell'incarico, di incarichi in enti di diritto privato regolati o finanziati dall'amministrazione di appartenenza.
I dubbi interpretativi, sorti in sede di prima applicazione, riguardano i casi di incompatibilità degli incarichi dirigenziali, interni e esterni, nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico di livello regionale, provinciale e comunale.
L'articolo 12 del decreto legislativo n. 39 del 2013 prevede infatti, al comma 3, che tali incarichi siano incompatibili con la carica di componente della giunta o del consiglio della regione; con la carica di componente della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione della medesima regione; con la carica di presidente e amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte della regione. Il comma 4 estende le medesime incompatibilità a livello provinciale e comunale.
Nel merito, si segnala che sulla questione è intervenuto il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», convertito, con modificazioni, nella legge agosto 2013, n. 98.
L'articolo 29-bis del citato decreto, recante disposizioni transitorie in materia di incompatibilità, stabilisce in particolare che «le disposizioni di cui all'articolo 13, comma 3, primo periodo, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, non si applicano alle cariche elettive di natura monocratica relative ad organi di governo di enti pubblici territoriali con popolazione tra 5.000 e 20.000 abitanti, le cui elezioni sono state svolte prima della data di entrata in vigore del medesimo decreto».
L'articolo 29-ter del citato decreto, recante disposizioni transitorie in materia di incompatibilità, inoltre, stabilisce che «In sede di prima applicazione, con riguardo ai casi previsti dalle disposizioni di cui ai capi V e VI del decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, gli incarichi conferiti e i contratti stipulati prima della data di entrata in vigore del medesimo decreto legislativo in conformità alla normativa vigente prima della stessa data non hanno effetto come causa di incompatibilità fino alla scadenza già stabilita per i medesimi incarichi e contratti».
Per quanto riguarda, pertanto, il momento dell'entrata in vigore delle nuove disposizioni, va osservato che il regime delle nuove incompatibilità può trovare applicazione esclusivamente a partire dal primo rinnovo dei consigli di amministrazione successivo alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 39 del 2013 (4 maggio 2013).
Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione: Gianpiero D'Alia.
FORMISANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
il problema degli «esodati» è sorto nell'ormai lontano dicembre 2011, allorquando, con la cosiddetta «Riforma Fornero» (articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici – detto «Salva Italia»), centinaia di migliaia di famiglie sono precipitate, senza alcuna colpa, nell'angoscia e nel terrore del loro futuro poiché rischiano di rimanere senza retribuzione e senza pensione;
già adesso, per decine di migliaia di famiglie, il timore si è trasformato in tragica realtà;
il Presidente del Consiglio dei ministri nel discorso con il quale richiedeva la Fiducia per il nuovo Governo nello scorso aprile ha affermato che: «(...) con i lavoratori –Esodati” la comunità ha rotto un patto, e la soluzione strutturale di questo problema è un impegno prioritario di questo governo !»;
da allora, però, non sono state indicate prospettive concrete per la soluzione di una questione sempre più grave;
è di assoluta urgenza, infatti, individuare idonei percorsi legislativi che traggano dall'angoscia i lavoratori interessati e le loro famiglie;
per fare questo, però, è necessario preventivamente conoscere, finalmente, nel dettaglio e con precisione, quali siano i numeri delle persone coinvolte;
infatti, l'unico dato attendibile è stato fornito dall'INPS, nella persona del suo direttore generale, dottor Nori, nella seduta alla Commissione lavoro della Camera l'11 aprile 2012, ribadito poi con nota stampa pubblicata da tutti i quotidiani il giorno dopo, 12 aprile 2012;
l'INPS indicò, infatti, in 390.200 il numero di esodati complessivi, esclusi i licenziati senza accordi;
le situazioni giuridiche dei cosiddetti «esodati» sono molteplici e diversificate e per affrontare in modo corretto la questione è importante avere un quadro preciso delle varie tipologie e di quanti siano gli appartenenti da salvaguardare per ogni categoria di lavoratori;
si possono individuare sette grandi categorie di esodati:
a) i lavoratori in mobilità in base ad accordi antecedenti il 31 dicembre 2011, cessati dal lavoro entro il 31 dicembre 2012, che con le vecchie regole avrebbero maturato il diritto alla pensione entro il 2017, indipendentemente se la maturazione fosse avvenuta entro la fine della mobilità;
b) i lavoratori messi in mobilità sulla base di accordi sottoscritti, in qualsiasi sede, entro il 31 dicembre 2011, cessati a partire dal 1° gennaio 2013, che con le norme precedenti avrebbero maturato il diritto al pensionamento entro la fine della mobilità;
c) i lavoratori collocati in mobilità lunga prima del 31 dicembre 2011, con accordi regolarmente notificati all'INPS;
d) i lavoratori autorizzati, alla data del 31 dicembre 2011, alla contribuzione volontaria per i quali, sulla base delle norme precedenti alla cosiddetta «Riforma Fornero», sarebbe avvenuta la maturazione del diritto entro 6 anni;
e) i titolari di prestazioni straordinarie a carico dei fondi di solidarietà di settore di cui all'articolo 2, comma 28, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, nonché i lavoratori per i quali sia stato previsto da accordi collettivi stipulati entro la medesima data il diritto di accesso ai predetti Fondi di solidarietà.
f) i lavoratori licenziati, ovvero cessati con procedure diverse da quelle precedenti, alla data del 30 giugno 2012 per i quali i requisiti raggiunti alla data della cessazione avrebbero fatto intervenire il raggiungimento dei requisiti pensionistici entro 5 anni dalla data del 31 dicembre 2011; e di questi, quanti si basano su accordi individuali o collettivi di esodo e quanti sono licenziamenti senza accordi, come fallimenti e altro;
g) i dipendenti pubblici che avevano in corso l'istituto dell'esonero alla data del 31 dicembre 2011 –:
se il Governo intenda presentare un disegno di legge sulla materia, in aggiunta alle proposte di legge di iniziativa parlamentare già in esame presso le Commissioni competenti, essendo in grado di quantificare le risorse necessarie e la loro distribuzione negli anni e di precisare i tempi degli interventi definiti, come ricordato sopra, dal Presidente del Consiglio come assolutamente prioritari;
se il Presidente del Consiglio e il Ministro interrogati abbiano avuto modo di conoscere il numero preciso degli esodati appartenenti a ogni singola categoria di lavoratori, con esclusione di quelli già salvaguardati, premessa indispensabile al fine di avere un quadro articolato e completo della situazione e per essere certi che l'intervento allo studio per fare fronte al fenomeno copra tutti i soggetti interessati. (4-01541)
Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con cui si chiede di conoscere quali iniziative sono state assunte nei confronti dei lavoratori esodati, e, prima ancora, di avere notizie precise sull'effettiva consistenza del fenomeno, si rappresenta quanto segue.
Al fine di fornire un quadro articolato e completo della situazione attuale in ordine alle questione dei lavoratori esodati, di seguito si forniranno alcuni dati quantitativi relativi ai tre interventi di salvaguardia sinora avviati.
Il primo intervento di salvaguardia.
Sulla base delle previsioni normative dei decreti «Salva Italia» e «Milleproroghe» e nei limiti delle risorse in essi stanziate, la platea dei salvaguardati è stata inizialmente stimata in 65.000 soggetti in possesso dei requisiti indicati nel decreto interministeriale in data 1o giugno 2012 (Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell'economia e finanze) per ciascuna delle categorie individuate dalle norme di riferimento.
Inizialmente, in considerazione del vincolo stringente delle risorse disponibili, si è reso necessario procedere secondo una scala di priorità, individuando nelle situazioni di immediata criticità alcune fra le più bisognose di tutela; a tal fine, ad esempio, l'intervento nei confronti della platea dei «collocati in mobilità lunga» è stato circoscritto a coloro che fossero già cessati dal lavoro alla data di entrata in vigore del decreto «Salva Italia».
Le tipologie di lavoratori ed i criteri di ammissione al beneficio sono:
CATEGORIE | CRITERI DI AMMISSIONE ALLA SALVAGUARDIA |
a) n. 25.590 lavoratori collocati in mobilità ordinaria ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni e integrazioni. | – Accordi sindacali stipulati anteriormente il 4 dicembre 2011;
– Data cessazione attività entro il 4 dicembre 2011; – Perfezionamento requisiti entro il periodo di fruizione dell'indennità di mobilità (articolo 7, commi 1 e 2, legge n. 223 del 1991). |
b) n. 3.460 lavoratori collocati in mobilità lunga ai sensi dell'articolo 7, commi 6 e 7, della legge 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni e integrazioni. | – Accordi collettivi stipulati entro il 4 dicembre 2011;
– Data cessazione attività entro il 4 dicembre 2011. |
c) n. 17.710 titolari di prestazione straordinaria a carico dei Fondi di solidarietà di settore di cui all'articolo 2, comma 28, della legge 23 dicembre 1996, n. 662. | – Titolari di assegno straordinario alla data del 4 dicembre 2011.
Nonché – Titolari di assegno straordinario da data successiva al 4 dicembre 2011, con accordi collettivi stipulati entro il 4 dicembre 2011, se l'accesso alla prestazione risulta autorizzato dall'INPS, fermo restando che gli interessati rimangono a carico dei Fondi fino al compimento di almeno 62 anni di età. |
d) n. 10.250 lavoratori che, prima del 4 dicembre 2011 sono stati autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione. | – Autorizzazione antecedente alla data del 4 dicembre 2011;
– non rioccupati dopo l'autorizzazione; – almeno un contributo volontario accreditato o accreditabile al 6 dicembre 2011; – decorrenza massima pensione entro il 6 dicembre 2013. |
e) n. 950 lavoratori che alla data del 4 dicembre 2011 hanno in corso l'istituto dell'esonero dal servizio di cui all'articolo 72, comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni con legge 6 agosto 2008, n. 133. | – Esonero in corso al 4 dicembre 2011 ovvero provvedimento di concessione emesso ante 4 dicembre 2011. |
f) n. 150 lavoratori che alla data del 31 ottobre 2011 risultano essere in congedo per assistere figli con disabilità grave ai sensi dell'articolo 42, comma 5, del testo unico di cui al decreto-legge 26 marzo 2001, n. 151. | – In congedo al 31 ottobre 2011; beneficio solo per pensione con 40 anni di contribuzione;
– perfezionamento requisito contributivo di 40 anni entro 24 mesi dalla data di inizio del congedo. |
g) n. 6890 lavoratori il cui rapporto di lavoro si è risolto entro il 31 dicembre 2011;
– in ragione di accordi individuali sottoscritti anche ai sensi degli articoli 410, 411 e 412-ter del codice di procedura civile; – in applicazione di accordi collettivi di incentivo all'esodo stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale. |
Data cessazione entro il 31 dicembre 2011;
– non rioccupati in qualsiasi altra attività lavorativa dopo la cessazione del rapporto di lavoro; – decorrenza massima pensione entro il 6 dicembre 2013. |
Nel contempo si ponevano le basi per ampliare, attraverso l'adozione di successivi interventi normativi, la platea dei salvaguardati e le corrispondenti risorse.
L'8 maggio 2013 sono stati pubblicati sul sito dell'Inps, su indicazione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, in un ottica di massima trasparenza istituzionale, i dati relativi alla prima salvaguardia.
Dai dati a consuntivo resi noti dall'Inps – e sulla base dello stato di avanzamento delle pratiche, ormai quasi completo – emerge che, in relazione alla prima platea di 65 mila lavoratori, il totale di certificazioni rilasciate dai competenti uffici ammonti a circa 62 mila, con una riduzione del 4,6 per cento rispetto al dato inizialmente stimato.
Gli scostamenti più significativi (in riduzione) riguardano, in particolare:
a) i cosiddetti «prosecutori volontari» (con una platea stimata di 10.250 a fronte di 7.960 certificazioni effettivamente rilasciate);
b) i cosiddetti «cessati» in base ad accordi di incentivo all'esodo (con una platea stimata di 6.890 a fronte di 3.888 certificazioni rilasciate).
Nella tabella sotto riportata vengono sintetizzati i dati forniti dall'Inps, aggiornati al 10 giugno 2013:
Tipologia salvaguardati | Platea prevista | Certificazioni | Variazione percentuale delle certificazioni rispetto al previsto |
a) lavoratori in mobilità ordinaria | 25.590 | 26.181* | |
b) lavoratori in mobilità lunga | 3.460 | 2.565 | |
c) titolari di prestazione straordinaria | 17.710 | 17.143 | |
d) prosecutori volontari | 10.250 | 7.960 | |
e) lavoratori pubblici esonerati dal servizio | 950 | 1.226* | |
f) lavoratori in congedo per assistere figli disabili gravi | 150 | 87 | |
g) lavoratori cessati in base ad accordi individuali o collettivi di incentivo all'esodo | 6.890 | 3.888 | |
Non classificabili | – | 2.950** | |
TOTALE | 65.000 | 62.000 | – 4,6 per cento |
* Il superamento del contingente previsto nel decreto per questa categoria è stato possibile per la disponibilità di posti nelle altre categorie e comunque nel rispetto del limite dei 65 mila beneficiari.
** Certificazioni in corso di definizione o postalizzazione.
Il secondo intervento di salvaguardia.
Con il decreto-legge n. 9 del 2012, denominato «Spending review», si è aumentato di 55.000 unità il numero dei salvaguardati (il relativo decreto interministeriale, sottoscritto l'8 ottobre 2012, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 21 gennaio 2013). L'ampliamento della platea si è realizzato attraverso una serie di misure di diversa portata a seconda della categoria di riferimento.
Così ai fini della salvaguardia dei lavoratori in mobilità è stato fissato al 31 dicembre 2011 il termine per la sottoscrizione degli accordi in sede governativa; è stato aumentato di 1.600 unità il numero dei possibili salvaguardati tra i beneficiari di prestazioni a carico dei fondi di solidarietà; è stato elevato di un anno il termine entro il quale la maturazione dei requisiti per la pensione consentiva l'applicazione delle vecchie regole nei confronti dei prosecutori volontari e dei destinatari di accordi di esodo.
Il termine per la presentazione delle istanze di ammissione al beneficio scadeva il 21 maggio 2013.
Le tipologie di lavoratori ed i criteri di ammissione al beneficio sono:
CATEGORIE | CRITERI DI AMMISSIONE ALLA SALVAGUARDIA |
a) n. 40.000 lavoratori per i quali le imprese hanno stipulato in sede governativa accordi finalizzati alla gestione delle eccedenze occupazionali con utilizzo di ammortizzatori sociali. | – Accordi stipulati in sede governativa entro il 31 dicembre 2011;
– cessazione dall'attività lavorativa e collocamento in mobilità ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge n. 223 del 1991 in data precedente, pari o successiva al 4 dicembre 2011; |
– perfezionamento dei requisiti pensionistici entro il periodo di fruizione dell'indennità di mobilità ai sensi dell'articolo 7, commi 1 e 2, della legge n. 223 del 1991, ovvero, ove prevista, della mobilità lunga ai sensi dell'articolo 7, commi 6 e 7, della legge n. 223 del 1991. | |
b) n. 1.600 lavoratori per i quali era previsto da accordi l'accesso ai Fondi di solidarietà di settore di cui all'articolo 2, comma 28, della legge n. 662 del 1996. | – Accordi stipulati alla data del 4 dicembre 2011;
– titolari di prestazione straordinaria a carico dei Fondi di solidarietà di settore di cui all'articolo 2, comma 28, della legge n. 662 del 1996 da data successiva al 4 dicembre 2011; – permanenza a carico dei Fondi di solidarietà di settore fino a 62 anni di età. |
c) n. 7.400 lavoratori autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione. | – Autorizzazione antecedente alla data del 4 dicembre 2011;
– non rioccupati dopo l'autorizzazione; – con almeno un contributo volontario accreditato o accreditabile alla data del 6 dicembre 2011; – decorrenza della pensione entro il 6 gennaio 2015. |
d) n. 6.000 lavoratori che hanno risolto il rapporto di lavoro:
– in ragione di accordi individuali sottoscritti anche ai sensi degli articolo 410, 411 e 412-ter del codice di procedura civile; – in applicazione di accordi collettivi di incentivo all'esodo stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale. |
– Data di risoluzione del rapporto di lavoro entro il 31 dicembre 2011;
– non rioccupati in qualsiasi altra attività lavorativa successivamente alla data di risoluzione del rapporto di lavoro; – decorrenza della pensione entro il 6 gennaio 2015. |
Il terzo intervento di salvaguardia.
Nell'ambito della «legge di stabilità per il 2013» è stata prevista una terza salvaguardia, a tutela di un ulteriore numero di soggetti rientranti tra i lavoratori in mobilità, i prosecutori volontari e i destinatari di accordi di esodo, secondo una progressione di spesa che prevede stanziamenti di risorse fino al 2020.
In particolare, per i lavoratori collocati in mobilità è stata inclusa la fattispecie della mobilità in deroga; per i prosecutori volontari e per i destinatari di accordi di esodo è stata considerata l'ammissibilità della «rioccupazione» a determinate condizioni; è stata introdotta la categoria dei prosecutori volontari collocati in mobilità alla data del 4 dicembre 2011.
Il decreto ministeriale 22 aprile 2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 123 del 28 maggio 2013, ha fissato in n. 10.130 il limite massimo numerico dei beneficiari di detta salvaguardia, nonché le relative modalità di attuazione.
Le istruzioni relative alle modalità di presentazione delle domande all'Inps (il cui termine è fissato al 25 settembre 2013) sono contenute nel messaggio dell'istituto n. 8824 del 30 maggio 2013.
Le tipologie di lavoratori ed i criteri di ammissione al beneficio sono:
CATEGORIE | CRITERI DI AMMISSIONE ALLA SALVAGUARDIA |
a) Lavoratori cessati dal rapporto di lavoro entro il 30 settembre 2012 e collocati in mobilità ordinaria o in deroga a seguito di accordi governativi o non governativi, stipulati entro il 31 dicembre 2011. | – perfezionamento dei requisiti utili al trattamento pensionistico entro il periodo di fruizione dell'indennità di mobilità ordinaria o in deroga, e in ogni caso entro il 31 dicembre 2014. |
b) Lavoratori autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione entro il 4 dicembre 2011 con almeno un contributo volontario accreditato o accreditabile alla data del 6 dicembre 2011 ancorché abbiano svolto, successivamente al 4 dicembre 2011, qualsiasi attività, non riconducibile a rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato dopo l'autorizzazione alla prosecuzione volontaria. | – conseguimento successivamente alla data del 4 dicembre 2011 di un reddito annuo lordo complessivo riferito a tali attività non superiore a euro 7.500;
– perfezionamento dei requisiti utili a comportare la decorrenza del trattamento pensionistico entro il trentaseiesimo mese successivo alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 201 del 2011 (6 gennaio 2015). |
c) Lavoratori che hanno risolto il rapporto di lavoro entro il 30 giugno 2012, in ragione di accordi individuali ovvero di accordi collettivi di incentivo all'esodo stipulati entro il 31 dicembre 2011, ancorché abbiano svolto, dopo la cessazione, qualsiasi attività non riconducibile a rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato. | – conseguimento successivamente alla data del 30 giugno 2012 di un reddito annuo lordo complessivo riferito a tali attività non superiore a euro 7.500;
– perfezionamento dei requisiti utili a comportare la decorrenza del trattamento pensionistico entro il trentaseiesimo mese successivo alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 201 del 2011 (6 gennaio 2015). |
d) Lavoratori autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione entro il 4 dicembre 2011 e collocati in mobilità ordinaria alla predetta data, i quali, in quanto fruitori della relativa indennità, devono attendere il termine della fruizione della stessa per poter effettuare il versamento volontario. | – perfezionamento dei requisiti utili a comportare la decorrenza del trattamento pensionistico entro il trentaseiesimo mese successivo alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 201 del 2011 (6 gennaio 2015). |
Il numero complessivo dei salvaguardati si attesta, attualmente, su 130.000 unità.
Nella stessa «legge di stabilità», con l'intento di garantire il finanziamento di ulteriori misure in favore delle categorie di lavoratori da salvaguardare, è stato istituito un apposito Fondo presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, le cui modalità di utilizzo saranno stabilite con decreto di natura non regolamentare del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con i Ministri del lavoro e delle politiche sociali e dell'economia e delle finanze.
Nel fondo in questione, la cui dotazione, per l'anno 2013, ammonta a 36 milioni di euro, confluiranno anche le eventuali economie accertate a consuntivo e aventi carattere pluriennale rispetto agli oneri programmati a legislazione vigente per l'attuazione dei decreti interministeriali del 1o giugno 2012, 8 ottobre 2012 e 22 aprile 2013.
In tal modo verrà assicurata una ri-destinazione stabile nel tempo delle risorse finanziarie appostate ai fini della risoluzione del problema, con integrale ri-utilizzo degli eventuali risparmi per le medesime finalità.
Infine (e con notazione di non minore importanza) segnalo che di recente il Governo ha introdotto una ulteriore, importante misura di salvaguardia per un cospicuo numero di lavoratori: mi riferisco alla previsione di cui all'articolo 11 del decreto-legge n. 102 del 2013, il quale ha esteso la salvaguardia pensionistica in favore di ulteriori 6.500 lavoratori colpiti da atti di licenziamento prima di aver potuto conseguire i nuovi requisiti pensionistici. Si tratta di un'ulteriore dimostrazione del costante impegno del Governo a rinvenire soluzioni stabili e complete a fronte della grave problematica segnalata dall'interrogante.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Enrico Giovannini.
LEVA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
l'ente Poste italiane in data 28 febbraio 1998 è stato trasformato in società per azioni;
in base all'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1032 del 23 dicembre 1973, per tutti i dipendenti pubblici l'indennità di buonuscita è calcolata avendo a riferimento l'ultima retribuzione percepita dal lavoratore prima della sua collocazione in quiescenza;
avendo a riferimento l'ultima retribuzione percepita, il calcolo dell'indennità della buonuscita garantisce la sua costante rivalutazione per effetto degli aumenti contrattuali e degli avanzamenti di carriera dei lavoratori;
per i lavoratori postelegrafonici, l'articolo 53, comma 6, della legge n. 449 del 30 dicembre 1997 (legge finanziaria 1998) stabilisce che «a decorrere dalla data di trasformazione dell'Ente poste italiane in società per azioni al personale dipendente dalla società medesima spettano il trattamento di fine rapporto di cui all'articolo 2120 del codice civile e, per il periodo lavorativo antecedente, l'indennità di buonuscita maturata, calcolata secondo la normativa vigente prima della data di cui all'alinea del presente comma»;
detta liquidazione viene effettuata in base all'interpretazione letterale del comma 6 di cui sopra, facendo riferimento alla retribuzione percepita al 28 febbraio 1998, data di trasformazione dell'ente in società per azioni;
il sopra citato sistema di calcolo, che «congela» la buonuscita al valore maturato al 28 febbraio 1998 indipendentemente da quando il lavoratore andrà in pensione, determina un evidente e grave danno economico ai lavoratori interessati, e cioè a tutti i dipendenti di Poste assunti prima di tale data, che sono la grande maggioranza degli attuali dipendenti, ma impedisce anche, la conseguente rivalutazione della buonuscita stessa;
in questi anni i lavoratori collocati in quiescenza hanno prodotto un notevole contenzioso giudiziario per la rivalutazione della buonuscita sulla base dell'ultima retribuzione percepita prima della quiescenza stessa;
il contenzioso giudiziario ha avuto sino ad ora esito favorevole per i lavoratori, ma, nonostante le sentenze avverse, le dinamiche di liquidazione adottate continuano a fondarsi sull'interpretazione restrittiva dell'articolo 53 della suindicata legge;
ai dipendenti di Poste italiane non viene concessa neanche l'anticipazione del 75 per cento della buonuscita così come avviene per altri lavoratori e alla richiesta, più volte reiterata dagli stessi, di essere messi a conoscenza dell'esatto ammontare del valore della buonuscita maturato al 28 febbraio 1998, non è stato dato alcun tipo di riscontro da parte degli uffici competenti;
la cifra complessiva destinata alle predette liquidazioni è confluita in un fondo chiuso presso l'Ipost, affidato a una gestione commissariale denominata «gestione commissariale fondo buonuscita per i lavoratori di Poste italiane»;
nel corso della passata legislatura, per iniziativa del Partito Democratico, in data 6 novembre 2012, fu approvata un'apposita risoluzione in Commissione XI (8-00208) volta proprio a definire un percorso per il superamento di questa annosa ingiustizia ai danni dei lavoratori delle Poste –:
se si ritenga opportuno assumere nel più breve tempo possibile ogni utile azione che consenta ai lavoratori di Poste italiane spa di usufruire di un costante aggiornamento del valore dell'indennità di buonuscita, nonché per assicurare il diritto alla corresponsione della buonuscita di detti lavoratori, pur in costanza di rapporto di lavoro. (4-00512)
Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame inerente il trattamento di quiescenza spettante al personale dipendente di Poste italiane spa, si rappresenta quanto segue.
Preliminarmente, è opportuno ricordare che il processo di privatizzazione di, Poste italiane spa ha avuto inizio con l'emanazione del decreto-legge n. 390 del 1993 (dapprima reiterato con il decreto-legge n. 487 del 1993 e successivamente convertito dalla legge n. 71 del 1994) che ha segnato l'avvio del passaggio dell'amministrazione delle poste e telecomunicazioni nell'ente pubblico economico Poste italiane.
Il provvedimento ha, tra l'altro, previsto che, a decorrere dal 1o agosto 1994, al trattamento di quiescenza di tutto il personale in servizio presso l'ente Poste italiane provvedesse l'istituto postelegrafonici, applicando la normativa prevista per il personale statale.
Successivamente, l'articolo 2, comma 27, della legge n. 662 del 1996 (Finanziaria per l'anno 1997) ha differito al 1o gennaio 1998 il termine per la definitiva privatizzazione dell'amministrazione delle poste e delle comunicazioni. Tale termine è stato poi ulteriormente prorogato al 1o marzo 1998 a seguito di delibera C.I.P.E. del 18 dicembre 1997.
In ragione del completamento del procedimento di privatizzazione, l'articolo 53, comma 6, lettera a), della legge n. 449 del 1997 (Finanziaria per l'anno 1998) ha disposto che al personale dipendente di Poste italiane spa spetta, per il servizio prestato a decorrere dal 28 febbraio 1998 (data di trasformazione dell'ente poste italiane in società per azioni) il trattamento di fine rapporto (T.F.R.), di cui all'articolo 2120 del codice civile, e, per il periodo lavorativo antecedente, l'indennità di buonuscita maturata, calcolata secondo la normativa vigente anteriormente alla suindicata data.
Dal dettato normativo discende, pertanto, che:
i dipendenti cessati dal servizio entro il 28 febbraio 1998 hanno diritto a percepire esclusivamente l'indennità di buonuscita, calcolata in conformità alla disciplina di cui al decreto del Presidente della Repubblica 1032 del 1973 (Testo Unico delle norme in materia di prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato);
i dipendenti cessati dal servizio dopo il 28 febbraio 1998, avranno diritto a percepire l'indennità di buonuscita, per il periodo dalla data di assunzione al 28 febbraio 1998, nonché, per il periodo dal 1o marzo 1998 alla data del collocamento a riposo, il T.F.R., ai sensi dell'articolo 2120 del codice civile come modificato dalla legge n. 297 del 1982.
Per questi ultimi, pertanto, l'anzianità di servizio maturata fino al 28 febbraio 1998 rileverà ai fini del calcolo previsto per la liquidazione dell'indennità di buonuscita, mentre l'anzianità maturata dal 1o marzo 1998 alle dipendenze di Poste italiane spa, sino al collocamento a riposo, inciderà sul calcolo del T.F.R., secondo la disciplina privatistica di cui all'articolo 2120 del codice civile e successive modificazioni ed integrazioni.
Si ricorda, infine, che il comma 6 dell'articolo 53 della legge n. 449 del 1997 ha disposto la soppressione della gestione separata istituita presso l'istituto postelegrafonici (IPOST) per l'erogazione dell'indennità di buonuscita alla cui liquidazione provvede una gestione commissariale.
Tanto premesso, con riferimento a quanto rilevato dall'interrogante in ordine alla individuazione di soluzioni volte a consentire un costante aggiornamento del valore dell'indennità di buonuscita nonché una corresponsione della stessa pur in costanza del rapporto di lavoro, si precisa quanto segue.
L'indennità di buonuscita dovuta al personale postelegrafonico, relativa alla parte del rapporto avente natura pubblicistica, è disciplinata, in via generale, dal decreto del Presidente della Repubblica 1032 del 1973 e, per quanto qui interessa, dalla suindicata legge n. 449 del 1997 che, nel confermare che la stessa buonuscita va calcolata in base alla normativa in vigore alla data della trasformazione dell'ente Poste italiane in società per azioni, non prevede alcuna forma di rivalutazione dell'indennità in argomento.
Del resto, anche l'interpretazione letterale dell'articolo 53 della legge n. 449 del 1997 conduce a tale conclusione in quanto la norma, facendo esclusivo riferimento all'indennità «maturata», stabilisce che la prestazione debba essere calcolata sulla base dei valori retributivi utili in vigore al 28 febbraio 1998.
Al riguardo, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 366 del 2006, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 53, comma 6, lettera a) della legge n. 449 del 1997, nella parte in cui non prevede alcuna forma di indicizzazione (o di adeguamento monetario) nel tempo per l'indennità di buonuscita.
Con tale pronuncia, infatti, il giudice delle leggi ha sancito la sostanziale legittimità costituzionale del sistema disciplinato dall'articolo 53 della legge n. 449 del 1997 rilevando altresì che «il danno derivante dal differimento dell'erogazione dell'indennità di buonuscita rispetto al momento della sua determinazione, trova compensazione nella previsione dell'unicità del rapporto e nel rispetto delle anzianità maturate, con i conseguenti riflessi sui livelli delle retribuzioni e, quindi, sulla base di calcolo della quota da determinare ai sensi dell'articolo 2120 c.c.».
In ordine al contenzioso giudiziario avente ad oggetto la rivalutazione della indennità di buonuscita sulla base dell'ultima retribuzione percepita prima della quiescenza, occorre precisare che la Corte di cassazione, sulla scorta delle argomentazioni svolte dalla Consulta nella sentenza n. 366 del 2006, ha suffragato la legittimità di calcolo dell'indennità di buonuscita sulla base della retribuzione maturata al 28 febbraio 1998, momento a partire dal quale il dipendente postale matura il diritto al trattamento di fine rapporto.
La Suprema Corte, in particolare, con sentenza del 17 settembre 2009, ha respinto sia la richiesta di computo dell'indennità di buonuscita sulla base del trattamento retributivo in atto al momento della risoluzione del rapporto di lavoro, sia il riconoscimento in favore della indennità di interessi e rivalutazione monetaria.
In ordine ai tempi di corresponsione dell'indennità di buonuscita ai dipendenti di Poste Italiane spa, va precisato che – alla data del 28 febbraio 1998, non risulta maturato alcun diritto all'indennità di buonuscita in favore del lavoratore, in quanto il rapporto di lavoro è proseguito, sia pure sotto una veste giuridica diversa, con il medesimo datore di lavoro.
Diversamente, l'immediato pagamento al 28 febbraio 1998 dell'indennità in parola sarebbe stato possibile solo previa interruzione del rapporto di lavoro e previa costituzione, a decorrere dal 1o marzo 1998, di una nuova posizione giuridica ed economica, con conseguente pregiudizio per il lavoratore.
Si precisa inoltre che anche nei confronti del personale dipendente di Poste italiane spa trovano piena applicazione le disposizioni di cui alla legge n. 148 del 2011 (manovra bis di agosto) che ha modificato la previgente disciplina sui termini temporali per la corresponsione dei trattamenti di fine servizio (comunque denominati) dei dipendenti pubblici.
La nuova disciplina eleva a ventiquattro mesi il termine originariamente previsto (sei mesi) per la corresponsione del trattamento dalla cessazione del rapporto di lavoro e introduce anche per le tipologie di pensionamento in precedenza escluse dal differimento della buonuscita (cessazione dal servizio per raggiungimento dei limiti di età o di servizio; collocamento a riposo d'ufficio per motivi inerenti l'anzianità massima di servizio) un termine dilatorio di sei mesi.
Per ciò che concerne l'impossibilità per i dipendenti di Poste italiane spa. di ottenere un'anticipazione dell'indennità di buonuscita l'istituto ha precisato che l'articolo 26, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica n. 103 del 1973 ha espressamente previsto che in materia di indennità di buonuscita non si fa luogo alla corresponsione di acconti.
Occorre ricordare, in proposito, che la Corte costituzionale, con sentenza n. 9/2000, ha ritenuto conforme al dettato costituzionale il decreto del Presidente della Repubblica n. 1032 del 1973 nella parte in cui non prevede la possibilità di accordare ai richiedenti anticipazioni sull'indennità di buonuscita.
Le dotazioni iniziali del Fondo si sono infatti progressivamente esaurite e, allo stato, la gestione commissariale provvede alla liquidazione dell'indennità di buonuscita attingendo dal bilancio dello Stato.
In base a quanto suesposto, emerge che il pertinente quadro normativo, di cui la stessa Consulta ha affermato la conformità a Costituzione, non consente di accedere alle pur comprensibili istanze sottese al presente atto di indirizzo.
Si osserva al riguardo che, pur volendo tenere nella più adeguata considerazione tali istanze, il loro pieno accoglimento comporterebbe l'allocazione di ingenti risorse finanziarie, la cui possibilità di reperimento deve essere valutata alla luce dell'attuale difficile quadro congiunturale.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Enrico Giovannini.
MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
in data 8 aprile 2013, il tratto dell'autostrada A9 compreso tra Saronno e Turate è stato teatro di una rapina svoltasi con le tecniche di un vero e proprio attacco complesso, da parte di un commando composto da non meno di dieci uomini, che hanno interrotto il traffico con l'intraversamento di due camion, facendo uso di fumogeni ed armi da fuoco automatiche, fortunatamente senza fare vittime;
i rapinatori avevano preventivamente provveduto anche a recidere un tratto di guard-rail, in modo tale da poter sfuggire con le loro tre auto ad eventuali posti di blocco allestiti ai caselli più vicini;
per rallentare le azioni di soccorso ai portavalori attaccati, due furgoni blindati della società Battistolli, i membri del commando hanno altresì disseminato di chiodi il manto autostradale;
la rapina ha fruttato un bottino di entità compresa tra i 5 ed il 15 milioni di euro, che non è l'unico costo sopportato dalla società per questo attacco, dovendosi computare nel conto anche i disagi e le perdite economiche conseguenti all'interruzione per diverse ore della circolazione stradale sulla A9 nel tratto interessato dalla rapina;
stando alle ricostruzioni apparse sulla stampa, le rapine autostradali con la tecnica dell'intraversamento di mezzi pesanti non costituirebbero fatto inusuale in Lombardia –:
quali misure preventive il Governo ritenga di dover adottare per rafforzare in tempi brevi la sicurezza sulle autostrade lombarde e contrastare più efficacemente queste nuove tecniche di rapina. (4-00190)
Risposta. — L'8 aprile 2013, un commando di almeno 10 persone ha assaltato due furgoni portavalori della società Battistolli che trasportavano denaro contante, oggetti in oro e oro fino in barre, per un valore complessivo di oltre sedici milioni di euro. Il furto è avvenuto sull'autostrada A9, in prossimità dell'uscita di Turate nel Comasco.
I rapinatori, tutti con il viso coperto da un passamontagna, hanno sbarrato la strada in entrambe le direzioni di marcia utilizzando camion rubati e chiodi a tre punte disseminati lungo il manto stradale. Bloccati i portavalori, hanno esploso numerosi colpi di mitragliatore per impedire alle guardie giurate presenti al loro interno di intervenire. Hanno quindi aperto con un flex il portellone posteriore di uno dei due furgoni e si sono impossessati dei valori in esso contenuti, per un totale di circa 11 milioni di euro.
Al termine dell'operazione, i rapinatori si sono allontanati a bordo di alcune autovetture – anch'esse rubate e poi rinvenute in un'area industriale dismessa, distante poche centinaia di metri dal luogo della rapina – utilizzando, come via di fuga, un varco precedentemente aperto nella recinzione dell'autostrada.
I disagi causati ai cittadini dall'interruzione della circolazione lungo il tratto autostradale interessato sono stati notevoli e si sono protratti per l'intera giornata.
L'intervento delle Forze dell'ordine è stato immediato e le indagini, anche di natura tecnica, sono seguite da un gruppo di lavoro costituito «ad hoc», composto da esperti del Servizio centrale operativo del dipartimento di pubblica sicurezza e delle squadre mobili delle questure di Como e di Milano.
In Lombardia non risultano, tuttavia, altri furti a furgoni portavalori effettuati con le modalità sopra descritte, rispetto al totale di 12 rapine (consumate o tentate) compiute su tutto il territorio nazionale dal 1o gennaio 2010 al 13 maggio 2013.
Nel quadro delle iniziative finalizzate all'ottimizzazione delle azioni di prevenzione e di contrasto dei reati contro il patrimonio in genere, si rappresenta che la Polizia di Stato continuerà ad effettuare, periodicamente, mirati servizi operativi «ad alto impatto», anche con il supporto di equipaggi dei reparti prevenzione crimine.
Il Viceministro dell'interno: Filippo Bubbico.
PIAZZONI, PALAZZOTTO e FRANCO BORDO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 12 del decreto-legge n. 95 del 6 luglio 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, ha soppresso l'Istituto Nazionale Ricerca Alimentazione e Nutrizione, INRAN;
l'ente INRAN è sottoposto alla vigilanza del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e, per effetto della soppressione le funzioni e i compiti, in precedenza affidati all'ente INRAN, sono stati affidati al Consiglio per la ricerca in agricoltura (CRA);
il comma 3 del succitato articolo 12 stabilisce che: «con uno o più decreti di natura non regolamentare del Ministro per le politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono individuate le risorse umane, strumentali e finanziarie trasferite al CRA»;
il succitato decreto-legge al comma 6 individuava nel direttore generale dell'ente INRAN, la funzione di direttore delegato allo svolgimento delle attività di ordinaria amministrazione sui conti correnti già intestati all'ente soppresso che dovrebbero rimanere aperti fino alla data di emanazione del decreto o dei decreti di natura non regolamentare;
in data 18 marzo 2013 è stato emanato dal Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e la funzione pubblica, il decreto di natura non regolamentare;
il trasferimento dei compiti e delle funzioni al CRA, a partire dalla data del 7 luglio 2012, ha comportato la soppressione dei relativi organi di governo dell'ente INRAN ossia: il Presidente, il Consiglio di amministrazione e il Collegio dei revisori dei conti;
ad oggi, in più occasioni gli organi di vertice del CRA (presidente, consiglio di amministrazione e collegio dei revisori dei conti) sollecitati anche dalle organizzazioni sindacali di categoria del comparto ricerca, hanno più volte evidenziato di non avere mai ricevuto dall'autorità vigilante specifiche indicazioni relativamente all'esercizio dei compiti e delle funzioni nella fase transitoria;
agli interroganti non risulta alcun atto contabile che consenta, con trasparenza, di valutare la gestione finanziaria e contabile dell'esercizio posto sotto la responsabilità del direttore delegato per il periodo che va dal 7 luglio 2012 al 31 dicembre 2012 e dal 1° gennaio 2013 ad oggi;
l'allegato 3 del citato decreto di natura non regolamentare si riferisce esclusivamente alla situazione contabile al 7 luglio 2012;
dallo stesso allegato 3, in relazione all'allegato 1 relativo alle risorse umane trasferite, non è dato sapere l'esatto importo trasferito a questo titolo;
l'allegato 3 del decreto di natura non regolamentare evidenzia una significativa incidenza dei residui attivi riferibili ad anni precedenti, pari ad oltre il 70 per cento del totale e da quanto è dato desumere dai bilanci pubblicati molti di questi crediti potrebbero essere in gran parte non esigibili perché riferibili ad esercizi pregressi, ossia fino al 2003;
risulta agli interroganti che nell'insieme, la situazione finanziaria e contabile dell'ente INRAN sottoposto alla vigilanza del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, è caratterizzata da un quadro di trasferimenti di cassa, diretti e indiretti, da parte dell'autorità vigilante che sarebbero di dubbia solidità;
il contesto suddescritto rischia di determinare nel CRA una condizione di profonda instabilità finanziaria, tale da poterne compromettere in prospettiva il raggiungimento degli obiettivi istituzionali oggi ampliati dalla integrazione di ulteriori competenze;
i motivi di preoccupazione sono anche in gran parte direttamente e indirettamente evidenziati dalla relazione sulla attività di verifica amministrativo-contabile svolta dal 1° marzo 2012 al 20 aprile 2012 a cura dei Servizi ispettivi della Ragioneria Generale dello Stato;
il 30 aprile 2013 risultano in scadenza tutti i contratti a termine del personale precario senza che al momento esistano garanzie certe rispetto alla possibilità di rinnovo, nonostante la quasi totalità del personale sia titolare di elevate competenze scientifiche e pienamente operativo nell'ambito di attività già finanziate per i prossimi anni;
esiste una puntuale relazione sulla verifica amministrativa-contabile riguardante l'ente INRAN, eseguita da un dirigente dei Servizi ispettivi di finanza pubblica del Ministero dell'economia e delle finanze, inviata all'autorità vigilante in cui si stigmatizzano una serie di irregolarità amministrative-contabili –:
quali iniziative il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali intenda assumere per far sì che in tempi rapidi, l'attuale e unico responsabile della gestione finanziaria del soppresso ente INRAN, dottor Salvatore Petroli, concluda la sua attività definendo la rendicontazione della sua gestione dal 7 luglio 2012 al 18 marzo 2013, data di emanazione del decreto di natura non regolamentare;
quali atti il Governo intenda porre in essere affinché i trasferimenti finanziari a carico del CRA, per le competenze relative ai costi del personale a tempo indeterminato di cui all'allegato 1 del decreto di natura non regolamentare, siano con certezza adeguati alla totalità delle esigenze contrattuali del comparto ricerca secondo quanto previsto dall'articolo 1 del decreto di natura non regolamentare;
quali iniziative il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali intenda adottare in relazione al cospicuo «parco progetti», oggi acquisito dal CRA dal soppresso ente INRAN, per garantire i rinnovi contrattuali del personale espressamente collegato a quelle risorse finanziarie. (4-00278)
Risposta. — In riferimento all'interrogazione in oggetto, concernente alcune problematiche connesse alla soppressione dell'Inran, ai sensi dell'articolo 12 del decreto- legge n. 95 del 2012, convertito con modificazioni in legge n. 135 del 2012, con trasferimento di compiti e funzioni al Consiglio per la ricerca e sperimentazione in agricoltura (Cra), ritengo opportuno premettere che la mia Amministrazione trasferisce a quest'ultimo, con cadenza trimestrale, le risorse finanziarie recate dall'apposito capitolo di bilancio 2084, (p.g. 1), «Spese di natura obbligatoria da assegnare al Consiglio per la Ricerca e Sperimentazione in Agricoltura», destinate ai costi del personale a tempo indeterminato nonché, in unica soluzione, (p.g. 2), quelle destinate al «Rimborso degli oneri connessi agli accertamenti medico-legali», relativi al personale dell'ente stesso.
Come precisato al comma 18 del citato articolo 12, dall'attuazione delle disposizioni del medesimo articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato.
Le risorse, indicate dalla legge di stabilità, sono articolate per il triennio 2013-2015 dalla relativa tabella 12 (riguardante la ripartizione in capitoli del bilancio di previsione dello Stato), come di seguito indicato:
anno 2013 – euro 91.030.106,00;
anno 2014 – euro 89.245.752,00;
anno 2015 – euro 89.216.002,00.
Tali importi sono comprensivi, per singolo anno, dei fondi che negli anni precedenti venivano concessi all’ex Inran dalla mia Amministrazione.
Riguardo alle iniziative sul «parco progetti» del soppresso Inran, ora acquisito dal Cra, preciso che nell'ambito del capitolo di bilancio 7303, p.g. 1 («Contributi al Cra, Istituti Universitari o altri Organismi specializzati, per programmi finalizzati e coordinati di ricerca da attuare anche mediante l'acquisizione o messa a disposizione delle necessarie attrezzature tecnico-scientifiche secondo le priorità stabilite dalla programmazione agricola nazionale»), dal 2007 ad oggi, al soppresso istituto sono stati concessi complessivi euro 27.103.789,20 per la realizzazione di 13 progetti di ricerca, in corso di svolgimento.
Rispetto all'importo complessivo sono stati già corrisposti, a titolo di anticipazioni e liquidazioni parziali, euro 21.593.385,36. La differenza (pari ad euro 5.510.403,84) sarà saldata a conclusione delle iniziative ancora in essere (n. 12). Peraltro alcuni di questi progetti, onde consentirne il completamento, sono stati prorogati per l'anno in corso ed altri anche per l'anno 2014.
Evidenzio infine che, sul capitolo di bilancio 7301, p.g. 1 («Contributi al C.R.A. per l'adeguamento ed il potenziamento delle strutture immobiliari e delle attrezzature tecnico scientifiche») a favore dell’ex Inran sono stati concessi contributi per euro 2.026.226,00 di cui, euro 702.069,35, a titolo di anticipazione. La differenza (euro 1.324.156,65) sarà corrisposta dopo la presentazione delle relative rendicontazioni.
Quanto sopra sintetizzato conferma che sono state messe in atto tutte le azioni necessarie a consentire la conclusione delle attività inerenti i progetti in questione nonché il proseguimento dei contratti di natura flessibile del personale ad essi assegnato, ovviamente, secondo le procedure stabilite dalle normative del comparto.
In ultimo, per quanto riguarda la posizione giuridica del direttore generale del soppresso istituto, si fa presente che ai sensi del comma 6 del succitato articolo 12, ha le funzioni di delegato ope legis allo svolgimento delle attività di ordinaria amministrazione per garantire la continuità dei rapporti già in capo all'Inran, fino all'emanazione dei decreti interministeriali previsti e per un termine comunque non superiore a dodici mesi. Tuttavia, il comma 4 del medesima articolo, riguardante il trasferimento del personale dell'Inran al Cra con l'imposizione di una riduzione del 10 per cento sul complessivo, specifica che il personale di ricerca è esente dalla decurtazione e che «per i restanti rapporti gli enti incorporanti subentrano nella titolarità fino alla loro naturale scadenza». Ciò premesso, il Cra ha rivolto un apposito quesito al Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri per avere una certezza interpretativa del combinato disposto dei commi 4 e 6 succitati, laddove l'articolato farebbe propendere per il mantenimento del rapporto giuridico del direttore generale dell'ente soppresso fino al termine contrattualmente già previsto (naturale scadenza), mentre la funzione delegata è da ritenersi estinta allo scadere dei termini espressamente indicati dal suddetto comma 6.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali: Nunzia De Girolamo.
PILI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
il decreto 11 marzo 2013 ha disposto la ripartizione della quota complessiva di cattura del tonno rosso per la campagna di pesca 2013. (Gazzetta Ufficiale n. 97 del 26 aprile 2013);
nel 2013 la quota di tonno rosso sarà pari a 1.950,42 tonnellate, 162 tonnellate in più rispetto alla campagna di pesca 2012;
alla pesca sportiva (ricreativa) sono assegnate 40 tonnellate, corrispondenti al 2,051 per cento della quota nazionale con un aumento di 5 tonnellate rispetto alle 35 dello scorso anno;
l'incremento dipende dalla decisione della ICCAT ( Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell'Atlantico), di aumentare la quota globale di pesca a 13.400 tonnellate annue e dal fatto che nella Unione europea l'Italia ha finito di scontare tagli di quote degli anni precedenti;
con il decreto si è proceduto ad una ripartizione del totale ammissibile di cattura (TAC) attribuito all'Italia con il predetto regolamento (UE) n. 40/2013, tra i diversi sistemi di pesca autorizzati, tenendo conto del numero di unità autorizzate per ciascuno di essi al fine di conseguire e mantenere adeguati livelli di sostenibilità economica e di redditività;
alla base del decreto sarebbe stata posta, secondo quanto riporta il dispositivo, l'opportunità di valorizzare la continuità dell'esercizio dell'attività di pesca del tonno rosso, in quanto strettamente connesso al principio di tradizionalità alla base del sistema di contingentamento;
il decreto richiama l'urgenza di provvedere alla ripartizione del contingente complessivo assegnato all'Italia tra diversi sistemi di pesca stanti le scadenze fissate dalla normativa comunitaria e la necessità di consentire il formale avvio della campagna 2013;
il decreto dispone che il contingente complessivo, pari a 1.950,42 tonnellate, assegnato dall'Unione europea all'Italia, per la campagna di pesca 2013, sia ripartito tra i sistemi di pesca come segue:
SISTEMA per cento Tonnellate
circuizione (PS) 74,406 1.451,23;
palangaro (LL) 13,587 265,00;
tonnara fissa (TRAP) 8,460 165,00;
pesca sportiva (SPOR) 2,051 40,00;
quota non divisa (UNCL) 1,496 29,19;
le nuove disposizioni applicative per la campagna di pesca del tonno rosso per l'anno 2013 sono l'ennesimo provvedimento calato dall'alto che rischia di penalizzare sempre di più la categoria dei pescatori sardi, già messa a dura prova da una crisi senza precedenti;
viene reiterato un continuo aumento dei costi di produzione e una serie di altre incombenze burocratiche come quelle previste dal regolamento controlli che tratta la piccola pesca artigianale in maniera uguale alla grande pesca oceanica dei mari del nord;
la rilevanza della pesca per l'economia della Sardegna e le difficoltà che sta affrontando questo settore meritano un'attenzione eccezionale;
risulta gravissimo il fatto che delle 1.950 tonnellate di quota assegnata a livello nazionale, la Sardegna non abbia, allo stato attuale, alcuna quota per la cattura del tonno, a parte quella esigua in capo alle tonnare fisse;
l'unica possibilità per i pescatori sardi era quella di effettuare le catture accessorie sulla base di una quota non divisa a livello nazionale;
in base alle nuove direttive questo diventa praticamente impossibile e sta creando, aggiunto a tutte le altre problematiche, una forte tensione sociale che potrebbe sfociare in azioni eclatanti;
si tratta di una situazione divenuta ormai insostenibile che spinge verso l'esasperazione e l'illegalità l'intera categoria;
le organizzazioni di categoria AGCI AGRITAL Sardegna, l'Associazione ARMATORI Sardegna CONFCOOPERATIVE FEDERCOOPESCA e Lega Pesca Sardegna hanno sollecitato iniziative opportune nei confronti del Governo italiano affinché possano essere trovate soluzioni al grave problema –:
se non ritenga il Ministro di dover intervenire con urgenza al fine di porre fine a questa gravissima discriminazione della pesca sarda e dei suoi operatori;
se non ritenga di dover urgentemente audire i rappresentanti delle categorie al fine di definire gli atti necessari per ripristinare una equa ripartizione anche in considerazione delle quote aggiuntive;
se non ritenga di dover provvedere a distinguere la piccola pesca artigianale dalla grande pesca oceanica dei mari del nord. (4-00656)
Risposta. — Con riguardo all'interrogazione in oggetto mi preme, anzitutto, far presente che la ripartizione della quota complessiva di cattura del tonno rosso per la campagna di pesca 2013 è stata determinata sulla base di parametri tecnici, tra i quali, la piena sostenibilità economica dei vari sistemi di cattura, stabiliti rigorosamente dall'apposita commissione internazionale per la conservazione dei tonnìdi (ICCAT).
In ragione del ridotto contingente di cattura assegnato all'Italia dall'Unione europea, sulla base delle decisioni della suddetta commissione internazionale, negli ultimi 3-4 anni la quota nazionale è stata ripartita con percentuali più favorevoli alla cosiddetta «pesca artigianale» e, quindi, ai sistemi maggiormente tradizionali come il «palangaro» e la «tonnara fissa».
In tal senso, considerando che storicamente quasi tutta la flotta italiana autorizzata alla pesca del tonno rosso con il sistema palangaro è costituita da 30 imbarcazioni che operano in alcune specifiche realtà ed in particolare in zone marittime siciliane, la quota di cattura, predeterminata a livello sovranazionale, è stata soprattutto assegnata a tali imbarcazioni, sia per la campagna di pesca del 2013 che per le precedenti.
Tale modalità di gestione della quota nazionale discende dal decreto ministeriale 27 luglio 2000 con il quale sono stati fissati i criteri per l'individuazione delle imbarcazioni italiane che tradizionalmente svolgevano la pesca del tonno rosso e per le quali gli armatori potevano dimostrare che erano effettivamente dediti da anni a tale attività in base alle statistiche sul pescato, alle fatturazioni commerciali e ad ogni altra documentazione valutabile.
Questa individuazione fu resa necessaria in ragione dell'introduzione da parte dell'ICCAT del contingentamento delle catture con l'obiettivo di tutelare il tonno rosso quali specie ittica pregiata e che vive solamente in Mediterraneo.
Dall'istruttoria svolta in base al predetto decreto non risultarono presenti imbarcazioni delle marinerie sarde in possesso dei requisiti di attività tradizionale. Pertanto, la flotta sarda, così come anche quella di altre regioni italiane non ha potuto conseguire la quota di cattura del tonno rosso.
La politica comunitaria ed internazionale non consente agli Stati membri di incrementare la consistenza, in termini numerici e di stazza, della flotta finora autorizzata; ciò in quanto lo stock di tonno rosso è ritenuto ancora a livelli tali da imporre la prosecuzione di una rigida azione di conservazione.
Il mantenimento dei limiti imposti dagli organismi sovranazionali, così come attuato dalle disposizioni nazionali, ha trovato, tra l'altro, ampio supporto anche sotto il profilo, della correttezza dell'agire amministrativo. Le sentenze del T.A.R. Lazio e i pareri resi dal Consiglio di Stato, nello specifico ambito di contenzioso, sono stati sempre favorevoli all'amministrazione.
Per quanto riguarda la possibilità prevista dalla vigente normativa, comunitaria e nazionale, di poter effettuare, con imbarcazioni non espressamente autorizzate, le cosiddette «catture accessorie» (by-catch) nel rispetto di percentuali e quantitativi determinati, preciso che quelle conseguite quest'anno dalle marinerie sarde ammontano a circa 10 tonnellate e, pertanto, equivalgono ad un terzo del contingente «indiviso (UNCL)» di cui al decreto ministeriale 11 marzo 2013.
Sottolineo che le associazioni di categoria sono state sempre coinvolte, sin dal suindicato primo decreto di contingentamento del 2000, nei processi decisionali nazionali e negli sviluppi negoziali internazionali e comunitari, attraverso gli appositi tavoli consultivi allora previsti e convocati ex lege.
È, quindi, evidente che ci sia la più ampia conoscenza dei dettagli tecnici di gestione del settore nonché la piena consapevolezza delle motivazioni dei limiti imposti nel tempo. Tuttavia, sono sempre ben disponibile ad ogni confronto con le rappresentanze di categoria nella volontà di attuare un'amministrazione partecipata e trasparente, attraverso i miei uffici e tavoli tematici di concertazione, per ogni settore di mia competenza.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali: Nunzia De Girolamo.
ZAN, ZACCAGNINI, DI SALVO e MIGLIORE. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
l'Unione europea svolge un ruolo fondamentale in materia di legislazione agroalimentare occupandosi degli aspetti normativi di tutta la filiera agroalimentare e dettando regolamenti e direttive per gli Stati membri così da ampliare ancora di più la tutela del consumatore e del cittadino europeo;
tale visione riflette il concetto di human security che è parte della più ampia eccezione di global security, per cui, ogni cittadino europeo è titolare del diritto di sicurezza, proveniente per lo più da ambiti esterni (global security) ma anche quale soggetto di sicurezza individuale nell'accezione più ampia del termine, da minacce multiformi, come quella provocata dal degrado dell'ambiente o dalla scarsità o dalla scarsa qualità delle risorse agroalimentari (human security);
l'azione comunitaria si muove secondo alcune direttrici principali quali: a) la protezione della vita e della salute dei cittadini; b) la protezione degli interessi dei consumatori, tenendo conto della tutela dell'ambiente, realizzando la libera circolazione nell'Unione dei prodotti alimentari;
sono due i principi applicati su cui si fonda la sicurezza agroalimentare: a) la non commercializzazione dei prodotti pericolosi per la salute; b) la tracciabilità dei prodotti alimentari, degli alimenti per animali, degli animali produttori di carne e derrate alimentari e di qualsiasi altra sostanza introdotta nei prodotti alimentari, dove viene accertata la provenienza in tutte le fasi di produzione, trasformazione e distribuzione;
per migliorare ulteriormente il livello di sicurezza agroalimentare, su mandato del Consiglio europeo di Helsinki del dicembre del 1999, nel 2000 il commissario David Byrne, responsabile per la politica dei consumatori della UE presenta a Bruxelles il «Libro Bianco» sulla sicurezza agroalimentare, in cui uno dei punti principali della politica europea in materia consiste nell'aver distinto le azioni politiche dalle analisi scientifiche prevedendo la creazione di un'apposita Authority – l'EFSA (European Food Security Authority – Autorità europea per la Sicurezza Alimentare) separando quindi la funzione di indirizzo della Commissione da quella di controllo e di analisi del rischio dell’Authority, per cui la politica sulla sicurezza agroalimentare è di competenza della Commissione svolgendo invece l’Authority compiti di analisi del rischio e di verifica scientifiche;
l'EFSA, ha sede in Italia, a Parma, con il compito di curare gli aspetti di consulenza scientifica, di valutazione e di gestione del rischio dei prodotti alimentari, con tre compiti fondamentali: a) collaborare con esperti di tutti gli Stati membri b) condividere dati e risultati di studi scientifici, c) armonizzare i sistemi nazionali per la valutazione del rischio;
la principale attività dell’Authority consiste nel fornire consulenza scientifica in merito a qualsiasi tema riguardante la sicurezza alimentare e animale e i pareri sono utilizzati dagli organi che devono successivamente mettere a punto gli aspetti legislativi e le politiche di sicurezza di settore;
le politiche europee di sicurezza alimentare si basano sul principio di precauzione che è uno strumento essenziale per fronteggiare quelli che sono definiti rischi di natura alimentare, prevenendo una soluzione certa ai rischi incerti, per cui l'impegno dell'Unione europea in questo settore strategico per la salute e il benessere dei cittadini è minimizzare il più possibile i rischi tendendo al più alto livello di sicurezza;
la suddetta autorità, dopo lo scandalo della mucca pazza (bse) del 2000/2001 è stata vista come una garanzia contro la violazione del principio della tracciabilità dei prodotti agroalimentari;
purtroppo l'Autorità stessa è invece accusata da numerose organizzazioni di agricoltori e consumatori di scarsa indipendenza come ben evidenziato proprio nella rubrica «Madre Terra» nel numero del settimanale il Punto di venerdì 8 marzo, presente anche nella rassegna stampa della Camera dei deputati;
nonostante l'obbligo europeo l'Italia ad anni di distanza non ha ancora provveduto a dotarsi dell'Autorità Nazionale per la sicurezza agro-alimentare anche per il mancato accordo tra i ministeri competenti;
la gravità della situazione è confermata dai recenti casi di contraffazione dei prodotti alimentari con carne di cavallo non dichiarata in etichetta, di prodotti di frutticoltura (ciliegie e kiwi) e di animali in cui sono stati utilizzati sostanze ormonali illecite, di produzioni di olio extra vergine di oliva di qualità non rispondente all'etichetta:
quali iniziative i Ministri interrogati intendano intraprendere:
a) per promuovere, anche attraverso le opportune azioni in ambito UE, il potenziamento della funzione di terzietà dell'Autorità europea di sicurezza alimentare – EFSA, rispetto alle multinazionali agroalimentari, per la salvaguardia degli interessi dei consumatori europei;
b) per valutare l'opportunità e la necessità dell'istituzione in Italia di un'Agenzia di tutela delle produzioni agroalimentari sia per gli aspetti di sanità che di qualità dell'alimento, con il compito di coordinare le azioni dei diversi organismi dipendenti dai due Ministeri, attraverso un nuovo organismo centrale di raccolta delle informazioni e impulso delle indagini e controlli;
c) per accertare le responsabilità della sostanziale presenza del Ministero delle politiche agricole in tutta la prima fase di emergenza relativa alla presenza di carne di cavallo non dichiarata in etichetta proprio mentre ciò causava sconcerto nei consumatori ed un crollo della vendite anche di prodotti assolutamente di qualità ma non distinguibili da quelli truffaldini. (4-00020)
Risposta. — In riferimento all'interrogazione in oggetto riguardante l'opportunità di potenziare la funzione di terzietà dell'autorità europea di sicurezza nazionale (EFSA) e l'eventuale istituzione di un'apposita agenzia di tutela delle produzioni agroalimentari, anche in considerazione dei casi di rilevata presenza, in alcuni prodotti alimentari, di carne di cavallo non dichiarata in etichetta, vorrei anzitutto precisare che i ritrovamenti in questione sono tutti relativi ad importazioni di prodotti carnei provenienti da Paesi dell'est o, comunque, frutto di triangolazioni commerciali. Al momento, non è stata, infatti, ravvisata alcuna presenza di carne di cavallo in prodotti carnei di origine nazionale.
La problematica appare, quindi, riconducibile al più ampio fenomeno di contraffazione agroalimentare il cui contrasto necessita di un'intensificazione dell'attività di controllo, in particolare sulla carne importata; in accordo con il principio e le norme stabilite dalla normativa alimentare generale dell'Unione europea.
L'ispettorato centrale della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari, organo ufficiale di controllo della mia amministrazione, in coordinamento con il comando carabinieri politiche agricole e alimentari (NAC) e il corpo forestale dello Stato, è intervenuto tempestivamente anche nell'intento di prevenire il verificarsi di casi analoghi a quelli in questione.
In particolare, in collaborazione con l'amministrazione sanitaria, sono stati intensificati i controlli di rintracciabilità nell'ambito delle produzioni a base di prodotti carnei ed avviato un programma straordinario di ispezioni sulla conformità delle carni fresche e dei prodotti a base di carne ai disciplinari di produzione e sull'origine delle carni utilizzate, ivi compresa l'eventuale presenza, nei prodotti trasformati, di carni di specie diverse da quelle dichiarate in etichetta.
In relazione a quanto accaduto, oltre a disporre prontamente a livello nazionale tutte le azioni necessarie, ho ritenuto opportuno ribadire, anche attraverso la delegazione italiana presso le varie sedi istituzionali europee, l'importanza di rafforzare i sistemi di tracciabilità e di comunicazione delle informazioni sui prodotti alimentari ai consumatori, segnalando la necessità di un sistema più efficace nel garantire la massima trasparenza dell'etichette.
In occasione del Consiglio dell'Unione europea del 25 febbraio 2013, l'Italia aveva già esortato la Commissione europea a prevedere la copertura finanziaria per rafforzare le attività di controllo, sollecitando anche l'adozione di un quadro normativo più chiaro e comprendente l'obbligo dell'indicazione d'origine per tutti i prodotti agro-alimentari. Tale richiesta è stata condivisa da molte delegazioni (Portogallo, Regno Unito, Austria, Germania, Spagna, Francia, Finlandia, Lussemburgo, Slovenia, Lituania, Grecia e Irlanda) che, convenendo sull'utilità dell'indicazione del Paese di origine anche per le carni e i prodotti carnei, hanno contribuito ad ampliare il numero degli Stati membri favorevoli rispetto alle posizioni palesate nel pregresso negoziato sulle informazioni al pubblico dei prodotti alimentari.
La Commissione europea – che al momento ha escluso qualsiasi rischio per la salute pubblica dovuto all'aggiunta di carne equina nei predetti preparati alimentari – si è resa disponibile ad accogliere la richiesta, assumendo l'impegno a relazionare in proposito al Consiglio e al Parlamento europeo in tempi brevi, pur conservando un atteggiamento cauto riguardo all'auspicata indicazione di origine anche per le carni e i prodotti carnei.
Benché non di diretta competenza della mia amministrazione, segnalo che una prima importante revisione della politica in materia di sicurezza alimentare, sia dal punto di vista organizzativo che normativo, è stata realizzata partendo da una netta distinzione tra le funzioni di gestione e quelle di valutazione del rischio alimentare. Mi riferisco al cosiddetto «pacchetto igiene», di cui il regolamento Comunità europea n. 178 del 2002 che ha posto le basi per garantire un elevato livello di tutela della salute umana in relazione agli obiettivi di sicurezza alimentare.
A tale fine, infatti, oltre ad istituire l'Efsa, con funzioni di consulenza e assistenza scientifica nel campo della valutazione del rischio sulla sicurezza della catena alimentare, il citato regolamento prevede il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati, dal produttore al consumatore, permettendo loro di acquisire piena fiducia nei processi decisionali fondati su evidenze scientifiche e valutati da istituzioni indipendenti, sia in ambito europeo che nazionale.
Avendo di mira tali obiettivi, l'Efsa, le istituzioni europee e gli Stati membri si sono impegnati ad adottare specifiche misure basate sull'analisi del rischio e sui dati scientifici disponibili e rivolte alla tutela della salute.
Il legislatore comunitario, peraltro si è preoccupato che l'autorità fosse sottoposta a periodiche valutazioni esterne indipendenti, in relazione alle attività espletate e ai risultati conseguiti, con riguardo anche alla capacità di essere indipendente e terza nei confronti degli stakeholder del mondo dell'agroindustria.
Al riguardo evidenzio che la società Ernst and Young nel 2012, dopo aver interpellato oltre 100 stakeholder (tra cui 5 organizzazioni non governative – NGO's – e 9 organizzazioni dei consumatori); ha ritenuto la suddetta autorità imparziale e dotata di uno dei sistemi più solidi ed avanzati per garantire l'indipendenza.
Segnalo, inoltre, che l'Efsa è espressamente chiamata ad agire in stretta collaborazione con gli organi nazionali competenti aventi analoghe funzioni.
Per quanto riguarda, infine, l'ipotesi di creazione di un'agenzia per la tutela delle produzioni agroalimentari che coordini l'azione delle varie amministrazioni competenti alle indagini e ai controlli sulla sicurezza e qualità degli alimenti, comunico che è stato approvato dal Consiglio dei ministri del 26 luglio 2013, in via preliminare, il disegno di legge recante «disposizioni in materia di sperimentazione clinica dei medicinali, di riordino delle professioni sanitarie e formazione medico specialistica, di sicurezza alimentare».
Tale disegno di legge comprende la delega al Governo per il riassetto, in conformità con le norme comunitarie, delle disposizioni vigenti in materia di sicurezza degli alimenti nonché per la razionalizzazione del sistema operativo di controllo, proprio attraverso l'individuazione di più adeguate modalità e procedure di collaborazione tra le autorità competenti, a livello centrale e periferico, anche ai fini del «Piano integrato di controllo nazionale pluriennale» previsto dal regolamento (CE) n. 882 del 2004.
Il disegno di legge è attualmente all'attenzione della conferenza unificata e, dopo l'approvazione definitiva del Consiglio dei ministri, approderà in Parlamento per l'esame e le proposte emendative o integrative che saranno ritenute opportune nel rafforzare, attraverso l'articolato, la volontà condivisa di creare un più efficace e coordinato sistema di garanzia della sicurezza e della qualità alimentare.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali: Nunzia De Girolamo.