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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 9 dicembre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    in seguito alla proposta inglese di «etichettatura semaforica», con il presente atto di indirizzo, oltre che stigmatizzare l'infondatezza scientifica di tale sistema d'informazione al consumatore e di come possa provocare effetti distorsivi sul mercato per prodotti italiani di sicura genuinità e salubrità se assunti in combinazioni dietetiche idonee e tradizionali, si vuole sottolineare la necessità di predisporre un quadro organico nell'ambito del quale definire una puntuale articolazione e un maggiore dettaglio del sistema di etichettatura, da adottare ai sensi dell'articolo 39 del regolamento (UE) n. 1169/2011, «Informazioni alimentari ai consumatori». Esso consente, infatti, agli Stati membri di adottare disposizioni che richiedono ulteriori indicazioni obbligatorie per tipi o categorie specifici di alimenti per determinate motivazioni;
    l'intenzione è di ribaltare l'approccio inglese meramente quantitativo ed evidenziare, invece, un approccio italiano o semplicemente di «buon senso» (da portare in sede europea e all'Expo 2015 «Nutrire il pianeta»), mostrando come l'informazione al consumatore si debba caratterizzare per esplicitazione di dati scientifici del prodotto e di caratteristiche che possano descriverne i processi produttivi e le qualità finali in modo accertato;
    il sistema agroalimentare italiano è una delle più importanti risorse da salvaguardare e potenziare; rappresenta l'eccellenza dei territori italiani, nella misura in cui non è solo il settore destinato alla produzione di alimenti, ma rappresenta un patrimonio unico di valori e tradizioni di cultura e qualità e di grandi potenzialità;
    a fronte di una globalizzazione alimentare che impone standard di competitività molto alta, il nostro Paese deve far leva sulle peculiarità originali delle sue produzioni agroalimentari, esaltando i tratti della tipicità, della genuinità, del legame inscindibile col territorio. Il valore della produzione può essere tutelato solo attraverso la promozione della qualità, la tracciabilità degli alimenti e l'ampliamento delle informazioni ai consumatori, anche al fine di contrastare il dilagare delle pratiche commerciali sleali nella presentazione degli alimenti, la contraffazione dei prodotti e le varietà transgeniche provenienti da Usa e Cina (in particolare, di queste ultime si ha scarsa conoscenza);
    analizzando il comparto dell'agroalimentare italiano, sia a livello nazionale sia internazionale, emerge il dato che ad essere maggiormente premiato è il prodotto genuino. In cifre, il comparto agroalimentare italiano vale più del 15 per cento di prodotto interno lordo ed ogni anno arriva a muovere 245 miliardi di euro fra consumi, export, distribuzione ed indotto, la quota del made in Italy destinata all'esportazione, secondo i dati forniti dalla Confederazione italiana agricoltori (Cia), nel 2012 ha raggiunto una percentuale record del 20 per cento; ad essere maggiormente presenti sul mercato sono i prodotti tipici. L'Italia può vantare il primato, fra i Paesi dell'Unione europea, come numero di prodotti riconosciuti con la qualifica di denominazione d'origine protetta (dop), indicazione geografica protetta (igp) e specialità tradizionale garantita (stg). La valorizzazione del patrimonio agroalimentare italiano costituisce, al pari di quello artistico-culturale ed ambientale, una grande potenzialità di sviluppo economico dell'intero Paese. Attraverso la tutela delle denominazioni di origine è possibile incoraggiare le produzioni agricole ed i prodotti, proteggendo i nomi dei prodotti, contro imitazioni ed abusi, aiutando contemporaneamente il consumatore a riconoscere e a scegliere consapevolmente le qualità anche in campo agroalimentare;
    in tema di indicazioni del prodotto agroalimentare l'Unione europea ha apportato, di recente, modifiche al regime di etichettatura dei prodotti agroalimentari. In particolare, il regolamento (UE) n. 1169 del 2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, ha modificato la precedente normativa, al fine di semplificarla e migliorare il livello di informazione e di protezione dei consumatori europei. Le nuove disposizioni che entreranno in vigore dal 13 dicembre 2014 – ad eccezione delle disposizioni relative all'etichettatura nutrizionale che entreranno in vigore a partire dal 13 dicembre 2016 – rispondono alla necessità di aumentare la chiarezza e la leggibilità delle etichette;
    il regolamento si applica a tutti gli operatori del settore alimentare in tutte le fasi della catena e a tutti gli alimenti destinati al consumo finale, compresi quelli forniti dalle collettività (ristoranti, mense, catering);
    esso introduce alcune novità di rilievo, quali l'obbligo di indicare la provenienza e l'origine dei prodotti e la leggibilità dell'etichetta, e consente agli Stati membri di adottare disposizioni ulteriori (articolo 39) per specifici motivi: la protezione della salute pubblica e dei consumatori, la prevenzione delle frodi e la repressione della concorrenza sleale, la protezione dei diritti di proprietà industriale e commerciale, la tutela delle indicazioni di provenienza e denominazioni di origine controllata;
    lo Stato membro che voglia introdurre un provvedimento nazionale dovrà notificare il progetto alla Commissione europea e attendere tre mesi per approvarlo, salvo parere negativo della stessa;
    l'Italia, Paese ricco di biodiversità, può in questa fase storica, alla luce anche delle indicazioni date dal mercato che premia il prodotto tipico e ecocompatibile, dare compiuta attuazione al richiamato regolamento sull'etichettatura, avvalendosi della facoltà di cui all'articolo 39, alla luce della necessità di valorizzazione i prodotti made in Italy e i processi ecocompatibili di produzione agroalimentare, al fine di renderli ancora più concorrenziali e appetibili;
    peraltro, atteso che numerose associazioni, fondazioni e realtà legate al mondo agricolo hanno già introdotto delle proposte utili a facilitare la lettura in etichetta da parte del consumatore e rendere il prodotto immediatamente visibile, sarà fondamentale addivenire ad un'armonizzazione a livello europeo;
    inoltre, accanto alle indicazioni previste dalla legge, è da considerare la possibilità di avvalersi della cosiddetta etichetta narrante, che fornisce informazioni precise sui produttori, sulle loro aziende, sulle varietà vegetali o sulle razze animali impiegate, sulle tecniche di coltivazione, allevamento e lavorazione, sul benessere animale, sui territori di provenienza e sul dato di non utilizzare pesticidi in dosi massicce, con limiti e regolamentazioni conformi (anche se non certificate) ai disciplinari dell'agricoltura biologica o biodinamica. Le aziende che non si certificano biologiche, ma adottano tale etichetta, sono sottoposte a controlli da parte delle autorità competenti per dimostrare la veridicità delle informazioni riportate;
    l'etichettatura concernente la presenza di organismi geneticamente modificati negli alimenti a livello europeo è disciplinata da due regolamenti: regolamento (CE) 1829/2003, su alimenti e mangimi, e regolamento (CE) n. 1830/2003 sulla tracciabilità e l'etichettatura degli organismi geneticamente modificati. L'etichetta deve chiaramente riportare la dicitura «geneticamente modificato» o «prodotto da (nome dell'ingrediente) geneticamente modificato». Ciò assume particolare rilevanza per i Paesi che, come l'Italia, tradizionalmente sono ogm free;
    per gli alimenti che contengono organismi geneticamente modificati in una proporzione non superiore allo 0,9 per cento per ciascun ingrediente non è obbligatoria l'etichettatura come organismo geneticamente modificato (nonostante tale percentuale corrisponda a circa 1 grammo di prodotto geneticamente modificato ogni chilo, una quantità molto elevata e non riconducibile ad esclusiva causa accidentale, necessitando, dunque, una chiara informazione al consumatore), purché la presenza di organismi geneticamente modificati sia accidentale o tecnicamente inevitabile;
    la normativa sull'etichettatura di alimenti e mangimi provenienti da organismi geneticamente modificati fa perno, quindi, su una soglia per la presenza accidentale di organismi geneticamente modificati. Tracce minime di organismi geneticamente modificati nei prodotti alimentari sono tollerate se la loro presenza è accidentale o se è da una contaminazione tecnicamente inevitabile nel corso della coltivazione, del raccolto, del trasporto o della lavorazione;
    gli operatori devono essere in grado di dimostrare alle autorità la natura accidentale o tecnicamente inevitabile della presenza di organismi geneticamente modificati in un prodotto alimentare;
    l'apporre un determinato marchio, arricchendo in tal modo le indicazioni in etichetta, significa consentire, pertanto, di valorizzare a pieno quei prodotti che nascono da aziende che hanno scelto di non utilizzare organismi geneticamente modificati in tutte le fasi della filiera agroalimentare, compresa la mangimistica per l'allevamento. Inoltre, significa fornire al consumatore un'informazione più completa, rassicurandolo dell'origine della mangimistica per la produzione di carne, uova, latte e derivati (l'approvvigionamento della mangimistica geneticamente modificata proviene totalmente dall'estero, essendo l'Italia ogm free, di fatto, fino al limitato caso friulano dell'estate 2013);
    nella legislazione europea vi è, pertanto, un vuoto normativo rispetto ai criteri uniformi cui ispirarsi per predisporre un'etichetta che indichi la presenza o meno di organismi geneticamente modificati anche al di sopra o al di sotto della soglia minima ed accidentale attualmente prevista;
    è da sottolineare, altresì, come tale meccanismo possa incentivare la produzione e la vendita del mangime nazionale e/o europeo da sementi tradizionali;
    inoltre, i prodotti con il marchio volontario «ogm zero» potranno favorire sul mercato tutte quelle piccole e medie aziende agricole, che per filosofia di vita non hanno usato organismi geneticamente modificati e che, per ragioni economiche o di altra natura, non possono permettersi il costo della certificazione biologica, la quale, peraltro, non esclude che possano essere etichettati come biologici prodotti contenenti la soglia minima di tracce di organismi geneticamente modificati prevista dalla normativa dell'Unione europea;
    occorre, altresì, considerare l'opportunità, in assenza di una specifica disposizione nel regolamento (CE) n. 1829 del 2003, di prevedere un'etichettatura per i prodotti derivanti dall'allevamento animale per le aziende che utilizzano mangimistica geneticamente modificata come nutrimento per gli animali stessi;
    in questo modo, informando il consumatore sull'intera filiera di produzione del prodotto agroalimentare, lo si avverte di come alcuni prodotti (come il latte o le uova) provengano da allevamenti cui sono somministrati mangimi geneticamente modificati (e implicitamente importati da Paesi che coltivano organismi geneticamente modificati massicciamente e che non rientrano in criteri ecocompatibili e con indirizzi agronomici rivolti alla tutela della biodiversità);
    si viene anche a creare un effetto incentivante per la promozione dei prodotti locali senza organismi geneticamente modificati e si rilancia la coltivazione di soia e altre leguminose in Italia (filiera prioritaria da promuovere in Italia anche attraverso la corretta allocazione dei fondi della politica agricola comune dal 2014 al 2020);
    tutte le aziende, che intendono avvalersi dell'etichetta «ogm zero» e non vogliono sottostare al regime obbligatorio d'etichettatura quali allevamenti con «presenza di organismi geneticamente modificati nel mangime animale», innescherebbero un processo di domanda del prodotto per la mangimistica privo da organismi geneticamente modificati e, conseguentemente, la promozione della filiera della coltivazione di leguminose da foraggio in Italia (filiera presente adeguatamente per il fabbisogno nazionale fino agli anni ’90);
    è prevista anche la possibilità di informare il consumatore della distanza limitata del prodotto, etichetta che permette il riconoscimento di un prodotto locale e del territorio d'appartenenza del consumatore, garantendo così il sostegno e la promozione dell'economia agricola locale e nazionale; tale etichetta «filiera corta» si può applicare volontariamente se il luogo in cui viene effettuata la vendita finale del prodotto e l'azienda di produzione (ricompresa l'attività di imballaggio iniziale, intermedio e finale) siano a una distanza ricompresa in un raggio di massimo 70 chilometri;
    se la distanza è di massimo 10 chilometri può, invece, essere apposta un'etichetta volontaria che recita «chilometro zero». Quest'ultima etichetta renderebbe il consumatore consapevole che ha la possibilità di acquistare un prodotto agroalimentare di un'azienda agricola in prossimità del suo comune d'appartenenza e con il più basso dispendio possibile di anidride carbonica,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per predisporre un'etichetta volontaria detta «etichetta narrante» esclusivamente per aziende che rispettino i disciplinari del biologico (anche se non certificate) e utilizzino quantitativi di pesticidi conformi all'agricoltura biologica, facendo sì che i controlli del rispetto dei criteri biologici per chi utilizza tale etichetta siano a carico delle autorità competenti in materia di frodi e contraffazione e che questa etichetta integri l'informazione al consumatore mediante l'applicazione sulle confezioni di ulteriori informazioni e approfondimenti sulle varietà e sulle razze protagoniste dei progetti, sulle tecniche di coltivazione, sulla lavorazione dei trasformati e sui territori di provenienza, sul benessere animale e sulle modalità di conservazione e consumo;
   ad assumere iniziative per prevedere un'indicazione in etichetta, ex articolo 39 del regolamento (UE) n. 1169/2011, che faciliti la comprensione della distanza del luogo di produzione e imballaggio da quello di vendita finale e, in particolare, a predisporre l'etichetta volontaria «filiera corta» se l'azienda di produzione (e anche quella che opera tutte le fasi di imballaggio) si trovi entro un raggio di 70 chilometri, così come ad assumere iniziative per normare l'etichetta volontaria «chilometro zero» se la distanza fra azienda produttrice (fasi d'imballaggio comprese) e luogo di vendita finale è riconducibile a un raggio di 10 chilometri;
   a predisporre e attuare e l'utilizzo di un regime più dettagliato di indicazioni in etichetta per informare i consumatori ai sensi dell'articolo 39 del regolamento (UE) n. 1169/2011, «Informazioni alimentari ai consumatori», tale da consentire di verificare, anche attraverso puntuali controlli, l'applicazione del regolamento (CE) n. 1829/2003 che indica un'etichetta obbligatoria per la soglia di presenza accidentale di organismi geneticamente modificati con un'indicazione chiara e di facile lettura, che contraddistingua gli alimenti che «contengono organismi geneticamente modificati in misura superiore allo 0,9 per cento», o diciture descriventi i casi specifici di cui al sopra citato regolamento dell'Unione europea;
   ad assumere iniziative per predisporre un'etichetta volontaria «ogm zero» per gli alimenti che non hanno utilizzato organismi geneticamente modificati in nessuna delle fasi della filiera (nemmeno per il mangime animale) e per le aziende che possano dimostrare (se richiesto per controllo con analisi PCR) alle autorità competenti di non avere nessuna presenza accidentale di organismi geneticamente modificati (0,0 per cento);
   ad assumere iniziative per predisporre un'etichetta obbligatoria «presenza di organismi geneticamente modificati nei valori della soglia di tolleranza» o «presenza di organismi geneticamente modificati < 0,9 per cento» per gli alimenti e prodotti che contengono organismi geneticamente modificati in misura minore dello 0,9 per cento (semplice criterio di analisi quantitativa PCR test presenza/assenza), ovvero con percentuali ricomprese nella soglia di tolleranza, per dare piena informazione ai consumatori e possibilità di acquisto consapevole e informato;
   ad assumere iniziative per predisporre un'etichetta obbligatoria, estendendo il contenuto del regolamento (CE) n. 1829/2003, con la dicitura «prodotto con presenza di organismi geneticamente modificati nel mangime animale» (o diciture similari) per i prodotti da allevamento animale quali carne, uova, latte e derivati nei quali è utilizzata mangimistica geneticamente modificata, allo scopo di informare chiaramente i consumatori della presenza nella catena alimentare dell'allevamento di mangimistica geneticamente modificata.
(1-00278) «Zaccagnini, Pisicchio».


   La Camera,
   premesso che:
    alla fine del 2012 il fatturato complessivo del settore agroalimentare ha raggiunto i 130 miliardi di euro, con un'occupazione globale di 405.000 addetti distribuiti in 6.250 piccole, medie e grandi aziende. L'industria alimentare italiana – che insieme ad agricoltura, indotto e distribuzione rappresenta la prima filiera economica del Paese – acquista e trasforma circa il 72 per cento delle materie prime nazionali. Inoltre, è ambasciatrice del made in Italy nel mondo, dal momento che il 76 per cento dell’export alimentare è costituito da prodotti industriali di marca. L’export ha raggiunto complessivamente i 24,8 miliardi di euro mentre l’import si è fermato a 18,7 miliardi di euro, con un saldo positivo della bilancia commerciale di ben 6,1 miliardi di euro, cresciuto di quasi il 40 per cento nel 2012;
    il ruolo dell'industria alimentare come galleggiante anticiclico si è rivelato anche sul fronte dell'occupazione in una fase di crescente perdita di posti di lavoro come quella attuale;
    tuttavia, quando le crisi assumono connotati vasti e duraturi come quella attuale non esistono «isole felici». Così, al di là della grande solidità dimostrata dal settore a livello produttivo e occupazionale, va detto che la crisi dei consumi interni ha colpito il settore in modo molto pesante e aggiuntivo rispetto alla media dei consumi del Paese. Certo, alcuni comparti industriali (da quello automobilistico a quelli legati ai prodotti per l'edilizia) stanno subendo ben più vistose e pesanti perdite delle vendite, ma pochi sanno che i consumi alimentari, sull'arco 2007-2012, sono scesi di 10 punti percentuali e hanno cominciato la loro rapida discesa già nel 2007-2008, a inizio crisi;
    il calo dell'alimentare si lega alla perdita di capacità di acquisto delle famiglie a causa della disoccupazione e della crescita della pressione fiscale. Ma, quel che è più grave, è sceso anche il target qualitativo dei prodotti acquistati. Il prezzo è diventato la principale variabile di scelta del consumatore;
    il settore agroalimentare è uno dei settori strategici su cui investire per rilanciare lo sviluppo del Paese attraverso, da un lato, la valorizzazione del prodotto italiano di qualità e, dall'altro, la repressione di dinamiche di tipo contraffattivo che ne minano la reputazione e la diffusione;
    a danno dell'agroalimentare si deve registrare, infatti, un allarme contraffazione. Le frodi alimentari colpiscono made in Italy e qualità, oltre a rappresentare una minaccia per la salute;
    il business dell'agroalimentare è sempre più appetibile per la criminalità organizzata e l'industria della contraffazione: si stima, infatti, che il volume d'affari complessivo dell'agromafia sia quantificabile in circa 14 miliardi di euro (solo due anni fa questa cifra si attestava intorno ai 12,5 miliardi di euro);
    l'Italia, ancora oggi, non si contraddistingue per un sistema penale in grado di affrontare con strumenti adeguati i reati che, rispetto alla pericolosità di altri crimini, appaiono di gravità minore. Pertanto, per quanto riguarda gli illeciti riscontrati nel settore agroalimentare, solo laddove è possibile contestare anche il reato di associazione per delinquere, si procede con misure cautelari di rilievo, mentre per altri reati, come quello di sofisticazione, non essendo riferiti alla mafia nel codice penale, hanno brevissimi tempi di prescrizione. Le organizzazioni criminali, dall'importazione dei prodotti agroalimentari alle successive operazioni di trasformazione, distribuzione e vendita, ampliano la propria attività anche a causa dell'inadeguatezza del sistema dei controlli che presenta alcune debolezze nelle modalità di intervento delle indagini. È opportuna, quindi, l'esigenza di lavorare sulle normative, aumentare le ispezioni e inasprire le sanzioni e le pene al fine di garantire la trasparenza e la sicurezza in tutti i passaggi della filiera;
    è necessario, altresì, sottoporre il problema dei crimini alimentari all'opinione pubblica, in modo tale da sensibilizzare ed «educare» i consumatori a prestare attenzione alla scelta dei prodotti da consumare; si potrebbe, quindi, favorire la circolazione della conoscenza dei processi produttivi, prendendo in considerazione l'origine dei prodotti, le modalità di produzione e di conservazione degli alimenti;
    mentre nel mercato interno agisce soprattutto la contraffazione, sui mercati internazionali il Paese deve difendersi dalle imitazioni, che sono diventate una vera spina nel fianco, visto che il made in Italy nel campo alimentare è il più copiato in assoluto;
    un'adeguata azione di sensibilizzazione dovrebbe riguardare, infatti, i mercati esteri, per abituare i consumatori stranieri a saper distinguere tra un vero prodotto italiano da uno di imitazione, ovvero da iniziative ingannevoli che richiamano l'italianità;
    un significativo ausilio in tal senso è sicuramente costituito dalla previsione di sistemi di etichettatura e tracciabilità capaci di rendere più trasparenti le varie fasi del processo produttivo in modo da raccontare la storia di un prodotto dalla scelta dei sistemi di coltivazione o di allevamento, alle diverse fasi di elaborazione, fino alla vendita al dettaglio;
    diventa essenziale conoscere, quale criterio di orientamento per l'acquisto dei consumatori, l'origine del prodotto che, nel caso dell'alimento, essendo in gioco un valore come quello della salute, assume il ruolo di garanzia di rango costituzionale;
    in tal senso appare urgente dare immediata attuazione alla legge 3 febbraio 2011, n. 4, recante «Disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari», attraverso l'emanazione dei decreti interministeriali di cui al comma 3 dell'articolo 4;
    occorre, altresì, promuovere un impegno in sede europea al fine di arrivare all'approvazione definitiva della proposta di regolamento sulla sicurezza dei prodotti di consumo che impone l'indicazione obbligatoria del Paese di vera produzione su una serie di beni importati da Paesi terzi (regolamento sul cosiddetto made in);
    per combattere la piaga delle imitazioni, dunque, è necessario coordinare l'attività dell'Italia con quella dell'Unione europea, ma anche con quella del World Trade Organization (WTO), cercando di superare problemi e resistenze;
    una delle criticità più evidenti è rappresentata dal fenomeno dell’italian sounding, che consiste nella commercializzazione di prodotti non italiani con l'utilizzo di nomi, parole e immagini che richiamano l'Italia, inducendo, quindi, ingannevolmente a credere che si tratti di prodotti italiani;
    più di recente si è diffusa una forma più raffinata di italian sounding, legale seppur nei fatti ingannevole: la tendenza a rilevare note aziende agroalimentari italiane, in modo tale che non soltanto il nome suoni italiano ma venga associato all'azienda che dal momento della sua nascita e per anni ha messo sul mercato il prodotto;
    l’italian sounding sottrae notevoli potenzialità alle esportazioni nazionali e, sconfinando raramente nell'illecito, risulta difficilmente perseguibile;
    a livello internazionale purtroppo la tutela dall’italian sounding e quella delle denominazioni di origine e dei prodotti di qualità in generale non ha registrato significativi passi avanti;
    la sempre maggior transnazionalità del fenomeno contraffattivo impone, quindi, un forte impegno, a livello europeo e internazionale, per giungere alla definizione di un quadro di regole comuni che risponda a principi di reciprocità ed efficacia;
    a livello nazionale, inoltre, occorre mantenere un fronte unitario, che veda coinvolti tutti gli attori istituzionali ed il mondo delle imprese, attraverso una più forte ed intensa collaborazione;
    la difesa delle produzioni tipiche non può prescindere, quindi, dal contrasto alla contraffazione e da un'informazione chiara e trasparente ai consumatori,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di rivedere la normativa vigente in materia di contraffazione, in particolare quella relativa ai prodotti agroalimentari, al fine di assicurare la trasparenza e la sicurezza in tutti i passaggi della filiera;
   a predisporre tempestive iniziative volte alla sensibilizzazione dei consumatori, con particolare riguardo all'attenzione per i prodotti da consumare, alla presa in considerazione dell'origine dei prodotti, alle modalità di produzione e alla conservazione degli alimenti;
   ad emanare i decreti interministeriali di cui al comma 3 dell'articolo 4 della legge 3 febbraio 2011, n. 4, recante «Disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari»;
   a promuovere in sede europea le opportune iniziative al fine di arrivare alla definitiva approvazione della proposta di regolamento sulla sicurezza dei prodotti di consumo (regolamento sul cosiddetto made in).
(1-00279) «Faenzi, Russo, Catanoso, Fabrizio Di Stefano, Riccardo Gallo».


   La Camera,
   premesso che:
    l’italian sounding e la contraffazione dei prodotti alimentari made in Italy provocano nel nostro Paese un ingente danno alle imprese e la perdita di migliaia di posti di lavoro;
    a quanto si apprende anche da organi di stampa il fatturato del falso made in Italy, compreso quello relativo al fenomeno dell’italian sounding, ha superato i 60 miliardi di euro nel solo agroalimentare;
    il danno per le possibili esportazioni del nostro Paese si evidenzia con particolare gravità soprattutto nei mercati emergenti, dove spesso il «falso» è più diffuso del «vero»;
    secondo quanto riportato dal rapporto Agromafie del 2013 si valuta che il giro d'affari della criminalità raggiunga i 14 miliardi di euro, con un incremento pari al 12 per cento rispetto a due anni fa. Si deve, infatti, tenere presente che proprio l'agricoltura e l'alimentare sono considerate oramai aree prioritarie di investimento dalla criminalità organizzata che, purtroppo, in molte zone controlla non solo la distribuzione, ma talvolta anche la produzione di diversi prodotti alimentari;
    la problematica coinvolge sia i prodotti italiani «generici» sia i prodotti ad indicazione geografica, è effettivamente molto complessa e ha diversi filoni lungo cui si sviluppa: la contraffazione vera e propria; i falsi prodotti a denominazione di origine protetta o a indicazione geografica protetta; i fenomeni imitativi di nomi per prodotti che nulla hanno a che vedere con i veri prodotti italiani (i cosiddetti italian sounding). Su tutti questi fronti è necessario intervenire in maniera coerente ed organica;
    in Europa, alcuni Paesi continuano a chiedere rigore in determinati settori, in particolare nelle politiche economiche e di bilancio. Non è, però, accettabile che l'Unione europea segua questa linea di condotta solo rispetto ad alcuni settori, mostrandosi, invece, distratta su altri. Il Governo ha il dovere di chiedere che sulla tutela della qualità e dell'origine dei prodotti si applichi lo stesso atteggiamento e il medesimo rigore che l'Europa richiede sulle politiche di bilancio. La qualità e la protezione dell'origine dei prodotti sono un patrimonio fondamentale per diversi Paesi europei e, in particolare, per il nostro Paese, per cui non è possibile accettare di sacrificare questa ricchezza e disperdere tale patrimonio;
    è necessario quindi che l'Unione europea garantisca il massimo impegno nella difesa e nel riconoscimento delle indicazioni geografiche italiane nell'ambito dei negoziati bilaterali e multilaterali a livello internazionale. Questa problematica dovrà essere considerata tra le priorità dell'Unione europea in sede negoziale;
    il sistema agroalimentare italiano, nonostante la contraffazione, garantirà nel 2013 un ulteriore incremento dell’export che crescerà dell'8 per cento, raggiungendo la cifra di 34 miliardi di euro. Si tratta di una fondamentale risorsa per il nostro Paese che deve essere tutelata adeguatamente. In particolare, ciò è possibile solo attraverso politiche ed interventi mirati a salvaguardare la promozione della qualità e della tracciabilità degli alimenti lungo tutta la filiera, fino al consumatore finale;
    appare necessario intervenire per rendere pubblici i riferimenti di quelle società che risultano eventualmente coinvolte in pratiche commerciali ingannevoli o comunque scorrette e finalizzate ad usare in maniera impropria il marchio made in Italy;
    in Europa continua a persistere un'impostazione che tende a ritenere incompatibile con le regole del mercato unico la difesa della qualità collegata in particolare all'individuazione e alla localizzazione della zona di origine del prodotto o delle parti qualificanti del suo processo produttivo. Infatti, ad eccezione delle regole che sono state fissate per alcuni settori e per le denominazioni di origine, per tutti gli altri prodotti si è preferito affermare un diverso principio, per cui l'indicazione obbligatoria è resa tale solo nel caso in cui la sua omissione possa indurre il consumatore in errore circa l'effettiva provenienza del prodotto alimentare, così come delineato dall'articolo 3 della direttiva 2000/13/CE. Principio confermato dal regolamento (UE) n. 1169/2011;
    appare necessario riflettere sulla necessità di superare tale impostazione, anche alla luce del fatto che tutelare l'origine del prodotto alimentare coincide, nel caso italiano, con la doverosa rivendicazione di tutela di un patrimonio enogastronomico e culturale unico al mondo;
    nella XVI legislatura è stata approvata dal Parlamento la legge 3 febbraio 2011, n. 4, sull'etichettatura, con la finalità di difendere e promuovere il sistema produttivo italiano, per il quale la qualità è una caratteristica fondamentale collegata intrinsecamente alle origini territoriali del prodotto, che proprio per questo legame indissolubile devono essere correttamente e chiaramente comunicate al consumatore. Sono state riscontrate, tuttavia, alcune difficoltà nella fase attuativa della richiamata legge per questioni essenzialmente legate alla compatibilità tra le stringenti disposizioni nazionali fortemente volute e condivise dalla grande maggioranza del Parlamento e le norme europee che invece prevedono, al riguardo, principalmente regimi facoltativi per salvaguardare il cosiddetto principio di libera circolazione delle merci e di libero mercato;
    appare necessario che il Governo italiano continui ad impegnarsi affinché questa dicotomia venga superata affermando in Europa il necessario rigore sulla tutela della «qualità» e dell’«origine»;
    ai fini di una maggiore tutela del consumatore e della prevenzione delle frodi, esiste la possibilità per un Paese membro dell'Unione europea di attuare le «ulteriori disposizioni» citate dall'articolo 39 del regolamento (UE) n. 1169/2011, in particolare, per ciò che attiene alla tutela delle denominazioni di origine controllate e delle indicazioni di provenienza dei prodotti agroalimentari, nonché alla repressione di fenomeni diffusi di concorrenza sleale;
    il 5 dicembre 2013, in sede europea, il Comitato permanente per la catena alimentare ha espresso il definitivo parere favorevole, anche grazie ad una forte sollecitazione del Governo italiano, sullo schema di regolamento di esecuzione, che implementa quanto disposto dal richiamato regolamento (UE) n. 1169/2011, dettando le prescrizioni sulle indicazioni obbligatorie in etichetta, rispetto all'origine e al luogo di provenienza per le carni suine, per il pollame e per le carni ovicaprine. In particolare, si stabilisce che l'indicazione «origine italia» può essere utilizzata solo se l'animale è nato, allevato e macellato in Italia;
    tuttavia, è necessario migliorare ed ampliare il quadro di trasparenza e rintracciabilità delle informazioni attraverso l'introduzione di norme chiare, semplici ed efficaci che consentano al consumatore un'immediata visibilità delle informazioni, in particolare per l'origine dei prodotti;
    in tal senso, le recenti norme introdotte dalla Commissione europea nel settore dell'olio di oliva, grazie anche all'incisiva attività di continua sensibilizzazione svolta dal Governo, sono da considerarsi un primo passo positivo nella direzione di una maggiore trasparenza e garanzia sulle informazioni e per l'origine,

impegna il Governo:

   a sollecitare la Commissione europea affinché, nel quadro di quanto stabilito nel regolamento (UE) n 1169/2011, l'Unione europea si doti di norme efficaci, rigorose, chiare e trasparenti in materia di origine dei prodotti, prevedendo l'obbligatorietà dell'indicazione dell'origine dei prodotti anche per quei settori attualmente non contemplati dalla regolamentazione vigente;
   a farsi promotore presso le sedi europee competenti di una decisa iniziativa in merito alla necessità che, nell'ambito dell'etichettatura dei prodotti agro-alimentari, venga garantita la massima trasparenza, chiarezza e comprensibilità delle informazioni, ivi compresa, in primo luogo, quella di origine;
   ad attivarsi affinché, a tutti i livelli, nazionale, comunitario e internazionale, si attivi una chiara e rigorosa politica di difesa delle produzioni italiane, al fine di contrastare con maggiore determinazione ed efficacia il fenomeno dell’italian sounding;
   ad adottare le opportune iniziative finalizzate ad una più intensa ed efficace politica della promozione e diffusione in Italia e all'estero dei prodotti agroalimentari italiani, con un incremento delle risorse finanziarie attualmente destinate e con una maggiore attenzione rivolta alla qualità dei prodotti, favorendo la semplificazione degli oneri burocratici per le imprese e per le amministrazioni.
(1-00280) «Dorina Bianchi, Bosco».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta scritta:


   NUTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   come riportato da numerosi articoli di stampa, Paola Severino, Ministro della giustizia durante il precedente Governo presieduto da Mario Monti, è stata indicata come difensore legale della società multinazionale Apple nel contenzioso contro l'Italia per una presunta frode fiscale relativa ad un imponibile stimato in oltre un miliardo di euro in soli due anni;
   l'ex Ministro Severino, a parere dell'interrogante, in base a quanto disposto nell'articolo 2 sulla legge 20 luglio 2004, n. 215, non potrebbe, per la durata di circa 12 mesi dal termine della carica di Governo, esercitare nei confronti di società aventi fini di lucro attività professionali o di lavoro autonomo di qualunque natura, anche se gratuite, in materie connesse con la carica precedentemente detenuta;
   è alquanto ovvio secondo l'interrogante che, ai sensi della legge sopra richiamata, l'esercizio della professione di avvocato rientri pienamente all'interno dei casi di incompatibilità con la carica di Ministro della giustizia;
   a parere dell'interrogante è inoltre assolutamente inopportuno difendere una società multinazionale in giudizio contro lo Stato italiano, di cui fino a pochi mesi orsono Severino era una rappresentante istituzionale di primaria importanza;
   tuttavia, nonostante la legge provveda a disciplinare puntualmente i casi di incompatibilità, le sanzioni in caso di violazione sono praticamente nulle: infatti, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, oltre ad un procedimento formale nei confronti del soggetto ritenuto eventualmente colpevole, non può erogare nessuna sanzione pecuniaria o amministrativa, né tantomeno obbligare il soggetto giudicato colpevole a sanare i casi di incompatibilità accertati;
   come riportato in un articolo del Corriere della Sera del 25 novembre 2013 firmato da Sergio Rizzo, in passato i Ministri dello Stato italiano erano usi a tenere un atteggiamento che sicuramente può essere definito molto più istituzionale, anche a seguito della fine del mandato governativo: in particolare, nell'articolo si fa riferimento a Vittorio Emanuele Orlando, già deputato, Presidente della Camera dei deputati, Presidente del Consiglio dei ministri e Ministro dell'interno, il quale, una volta terminati i propri incarichi governativi, riprese l'attività forense preannunciando ai propri clienti che non avrebbe mai potuto accettare di patrocinare cause contro gli interessi dello Stato –:
   se non ritenga opportuno mettere in atto tutte le iniziative anche normative, tese a conferire più poteri all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, al fine di renderne più efficace l'attività sanzionatoria e di controllo, nel processo di accertamento dei casi di incompatibilità di cui alla legge 20 luglio 2004, n. 215.
(4-02889)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

III Commissione:


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   in ragione delle sue rilevanti difficoltà economiche e sociali, la Repubblica Democratica del Congo è da tempo al centro dell'interesse di chi intende sottrarne i bambini ad un destino di sofferenza e miseria;
   le famiglie italiane desiderose di adottare un bambino od una bambina congolese non mancano;
   la generosità delle famiglie italiane che hanno già perfezionato le pratiche necessarie all'ottenimento dell'affidamento ha incontrato un ostacolo grave nella decisione del Governo congolese di sospendere per dodici mesi a partire dal 25 settembre 2013 le autorizzazioni all'espatrio dei minori, non si sa bene perché;
   sembrava, comunque, che dall'applicazione di questa misura draconiana fossero sottratte le famiglie che avevano al 25 settembre 2013 perfezionato tutto l’iter richiesto all'ottenimento dell'affidamento e del permesso di espatrio dei minori congolesi adottati;
   invece, diverse famiglie italiane recatesi in Congo sono ancora bloccate, non potendo partire per l'Italia con i bambini congolesi adottati;
   non ha sortito alcun effetto apprezzabile, anzi pare addirittura aver complicato la vicenda, la visita fatta dal Ministro per l'integrazione, Cécile Kyenge, recatasi recentemente a Kinshasa, capitale del suo Stato d'origine, per perorare la causa delle famiglie italiane, sottolineando la serietà del regime italiano delle adozioni internazionali, oltreché per pronunciarsi su alcune vicende interne congolesi, in particolare la situazione drammatica delle donne nel Kivu –:
   quali misure il Governo italiano intenda e possa adottare per spingere il Governo della Repubblica Democratica del Congo a risolvere la crisi determinata dal rifiuto di concedere il permesso di espatrio ai bambini congolesi adottati dalle famiglie italiane che avevano perfezionato gli adempimenti richiesti entro il 25 settembre 2013. (5-01682)


   MANLIO DI STEFANO, DI BATTISTA, SIBILIA, SPADONI, SCAGLIUSI, DEL GROSSO, TACCONI e GRANDE. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   l'Unione europea ha annunciato le nuove linee guida che dovrebbero impedire alle università, ai progetti e alle compagnie israeliane che hanno base nelle colonie di ricevere i finanziamenti europei come stabilito con il voto del Parlamento europeo del 18 luglio scorso;
   le linee guida votate dall'Unione europea avevano trovato l'immediata soddisfazione dei palestinesi, i quali continuano (anche dopo l'avvio dei nuovi colloqui di pace) a vedersi sottrarre parti del territorio per la costruzione di nuovi insediamenti;
   l'obiettivo delle linee guida è assicurarsi che le stesse istituzioni dell'Unione europea rispettino l'obbligo di non riconoscere la sovranità dello stato di Israele sui Territori Palestinesi occupati militarmente dal 1967, territori che includono la Cisgiordania, Gerusalemme Est, la Striscia di Gaza e le Alture del Golan;
   questo significativo cambio di politica è il risultato dell'impegno di studenti e professori universitari che hanno a lungo portato avanti campagne contro i progetti di collaborazione finanziati dall'Unione europea con le compagnie che operavano nelle illegali colonie israeliane, ma anche all'efficacia di una lettera inviata lo scorso anno all'Alto Rappresentante della politica estera dell'Unione europea Catherine Ashton, firmata da oltre 250 accademici di tutta Europa;
   il Comitato britannico per le Università in Palestina (BRICUP www.bricup.org.uk) e la francese Associazione delle Università per il rispetto del diritto internazionale in Palestina (AURDIP - www.aurdip.fr) hanno, attraverso i loro ricercatori, predisposto e inviato all'Alto rappresentante della politica estera dell'Unione europea, Catherine Ashton, una nuova lettera in cui si legge, tra l'altro: «Come ricercatrici e ricercatori e accademici, molti dei quali sono stati beneficiari di finanziamenti per la ricerca della UE, invitiamo la stessa ad attuare le sue nuove linee guida in modo completo per garantire che i progetti, le imprese e le istituzioni situate in insediamenti illegali israeliani non siano ammessi ai finanziamenti per la ricerca dell'unione Europea»;
   si tratta di più di 500 accademici, inclusi i ricercatori di oltre 13 Stati membri dell'Unione europea;
   il Segretario di Stato Usa, John Kerry, ha chiesto all'Unione europea di posticipare l'entrata in vigore del divieto per i Paesi membri di finanziare organizzazioni e imprese israeliane nei territori occupati adducendo il rischio di fallimento possibile dei nuovi negoziati, ma, proprio per tale ragione, le organizzazioni in solidarietà con la Palestina temono che Israele e Stati Uniti stiano attuando una sorta di moral suasion nei confronti dell'Unione europea affinché questa ritiri le nuove linee guida, o le «annacqui» fino al punto in cui perdano di significato, di fronte alle intense negoziazioni per la partecipazione di Israele ad Horizon 2020, il prossimo programma di ricerca e sviluppo finanziato dall'UE, iniziate lo scorso 12 settembre 2013;
   durante la visita in Italia del premier Netanyahu, il 2 dicembre 2013, sono stati firmati importanti accordi con il nostro Paese in materia di pubblica sicurezza, di protezione civile, di cooperazione su acqua ed energia, di istruzione, di produzione cinematografica e altro, ma non risulta sia stato affrontato e sostenuto questo argomento –:
   quale sia la posizione del nostro Paese in ordine a quanto esposto in premessa e come intenda adoperarsi affinché finalmente l'Unione europea possa dimostrarsi all'altezza delle proprie responsabilità in materia di diritti umani internazionali soprattutto dopo un voto del Parlamento europeo. (5-01683)


   SCOTTO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   da fonti di stampa, tra cui il Corriere della sera e La Repubblica, del 9 dicembre 2013 si apprende che a settembre il Governo congolese ha bloccato le adozioni per un anno per via di molte irregolarità riscontrate in alcuni paesi;
   fra questi Paesi non figura l'Italia;
   ciononostante il Governo congolese ha bloccato nel Paese numerose famiglie italiane dopo l'assegnazione dei figli;
   nello specifico, sono 26 coppie che hanno adottato 32 bambini in Congo, i quali nonostante le rassicurazioni della Cai si trovano bloccati a Kinshasa senza poter ottenere il visto di uscita per i bambini dalla DGM;
   con il passare dei giorni le difficoltà per i 52 italiani stanno aumentando, sia per il protrarsi della permanenza lontani dai posto di lavoro, sia per il blocco della situazione che al momento non sembra trovare soluzione;
   in particolare preoccupano le condizioni di salute dovute alle precarie condizioni igieniche e il continuo contatto con la malaria che potrebbe aggravare la già critica situazione –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover intervenire rapidamente per tutelare i nostri concittadini garantendo non solo la loro incolumità ma che anche il diritto a riportare in Italia i bambini adottati. (5-01684)


   AMENDOLA e QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   Roberto Berardi, un imprenditore italiano che lavorava in Guinea Equatoriale è rinchiuso nel carcere di Bata da ormai dieci mesi in condizioni igieniche ed umane decisamente critiche, senza poter ricevere visite, cure mediche e cibo sufficienti. Ha contratto già 5 volte la malaria;
   Berardi è stato arrestato il 18 gennaio scorso con l'accusa di frode fiscale e condannato a 2 anni e 4 mesi di carcere o al pagamento di 1,2 milioni. I motivi della detenzione sono assolutamente poco chiari e sono connessi all'attività lavorativa di imprenditore edile iniziata in questo Paese nel 2011 attraverso la società Ebola Construction di cui socio di maggioranza era Teodorìn Nguema Obiang Mangue, figlio del presidente della Guinea Equatoriale Teodoro Obiang Nguema Mbasogo;
   la Repubblica di Guinea Equatoriale è guidata da Teodoro Obaing Nguema Mbasogo che prese il potere nel 1979 in seguito ad un colpo di Stato procedendo poi a una riforma della Costituzione concedendo al presidente estesi poteri politici come la possibilità di sciogliere la Camera dei rappresentanti o dichiarare legale il solo Partito democratico della Guinea Equatoriale di cui lo stesso Mbasogo fa parte;
   la Repubblica di Guinea Equatoriale è uno dei paesi più repressivi dell'Africa, secondo l'ultimo rapporto di Amnesty International «le libertà di espressione e di stampa sono limitate, gli attivisti politici e le persone critiche nei confronti del governo subiscono vessazioni, arresti arbitrari e detenzioni»;
   la Francia ha spiccato un mandato di cattura internazionale nei confronti di Teodorìn Obiang per appropriazione indebita di fondi pubblici e riciclaggio di denaro e negli Stati Uniti è in corso un processo contro di lui;
   le condizioni di Roberto Berardi destano legittime preoccupazioni nella famiglia che in queste settimane chiede a gran voce al nostro Governo di intervenire;
   parrebbe a mezzo stampa che la Farnesina avrebbe dichiarato che l'assistenza consolare e l'azione di sensibilizzazione è avvenuta attraverso l'ambasciata italiana in Camerun e per il tramite del Console spagnolo a Bata. Inoltre, l'ambasciata avrebbe sensibilizzato il Nunzio Apostolico in Camerun, accreditato anche in Guinea Equatoriale ad intervenire presso il presidente della Repubblica Teodoro Obiang;
   la famiglia di Roberto Berardi non ha ricevuto ancora nessun aggiornamento in merito all'evolversi di questi contatti –:
   quali esiti hanno prodotto sinora le trattative diplomatiche con la Repubblica di Guinea della Farnesina e del Nunzio Apostolico e quali ulteriori iniziative il Governo intenda assumere per garantire il pieno sostegno a Roberto Berardi in merito alla protezione consolare del condannato riguardo tutte le forme di assistenza previste dal nostro ordinamento, incluse le visite al detenuto, oltre che la puntuale informazione ai famigliari sulla sua situazione medico-sanitaria. (5-01685)

Interrogazione a risposta scritta:


   ZARATTI e PIAZZONI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   tra mercoledì 27 e giovedì 28 novembre 2013 sono stati fermati dalla polizia di Varsavia 149 connazionali, che si erano recati nella capitale polacca per assistere all'incontro di calcio tra la squadra della Lazio e il Legia Varsavia, in programma per la sera di giovedì 28 novembre;
   dopo i procedimenti con rito abbreviato, svoltisi sabato 30 novembre, nei confronti dei tifosi in stato di fermo presso diversi commissariati della città, ventidue dei centoquarantanove connazionali sono stati trattenuti mentre tutti gli altri sono stati liberati, dopo il pagamento di un'ammenda, a fronte in molti casi dell'assunzione di responsabilità per reati mai commessi;
   i connazionali trattenuti, accusati di adunata sediziosa e aggressione a pubblico ufficiale, sono stati processati per direttissima e condannati a pene non definitive di alcuni mesi o sottoposti ad indagini preliminari con due mesi di custodia cautelare;
   numerose testimonianze dirette dei nostri connazionali coinvolti hanno posto in evidenza le condizioni lesive della dignità della persona alle quali sono stati costretti durante la loro detenzione e l'assenza di minimi diritti di garanzia per la difesa nei giudizi ai quali sono stati sottoposti –:
   in quali forme e tempi l'ambasciata italiana a Varsavia si sia attivata per garantire assistenza ai connazionali coinvolti nella vicenda;
   se e quando il Ministro degli affari esteri sia intervenuto presso le autorità polacche per chiedere immediati ed urgenti chiarimenti sul comportamento delle forze dell'ordine e sul trattamento riservato ai nostri connazionali;
   se siano stati concessi dalle autorità polacche permessi a favore dell'ambasciata e dei parenti a visitare in carcere i connazionali fermati;
   quali azioni intenda il Governo intraprendere perché venga disposto l'immediato rientro nel nostro Paese dei ventidue cittadini italiani ancora trattenuti a Varsavia. (4-02883)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PARENTELA, DIENI, NESCI e BARBANTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il sito archeologico di Kaulonia, colonia della Magna Grecia, sorge nei pressi di Punta Stilo, nel territorio del comune di Monasterace, in provincia di Reggio Calabria;
   fondata da coloni achei intorno all'VIII secolo a.C., così come attestato dal ritrovamento di protokotylai e kotylai Aetos 666. La colonia raggiunse il suo massimo splendore nel corso del VI secolo a.C., sotto influenza della città di Kroton;
   il centro urbano principale a livello del mare, era cinto da mura ed era provvisto di area sacra caratterizzata dalla presenza di un tempio dorico, di cui oggi restano visibili le fondamenta. Alla realizzazione del tempio parteciparono persino maestranze provenienti da Siracusa, come dimostrato dall'alta qualità di calcare siceliota utilizzato nelle strutture. Antistante al tempio, e dunque all'area sacra, si trovava il centro abitato; oggi l'area è coperta dal mare, fenomeno che testimonia la progressiva erosione della costa;
   l'area di scavo, attualmente si estende tra il mar Ionio ad est e la ferrovia Taranto-Reggio Calabria ad ovest, mentre a nord è delimitata dal torrente Assi e l'area di casamatta a sud. Durante gli scavi del 2003 sono stati riportati alla luce i resti della cosiddetta «Casa del Personaggio Grotesco» ed una strada di 6,65 metri; databili tra il VII ed il IV secolo a.C.. di III secolo a.C. sono invece i resti di un ampio edificio, il cui perimetro non può essere stabilito in quanto sottostante all'attuale strada statale 106;
   la vita del sito è attestata ancora fino al VI-VII secolo d.C. dai ritrovamenti di una necropoli. Nel 2013 il professor Francesco A. Cuteri e la sua équipe riportarono alla luce un mosaico pavimentale di circa 35 metri quadrati, un mosaico policromo si articola in 9 quadrati e una rosetta posta in corrispondenza dell'ingresso dell'ambiente. La datazione del mosaico, al momento il più grande dell'Italia meridionale è da ritrovarsi intorno al IV secolo a.C., e doveva decorare il piano di calpestio di uno degli ambienti del complesso termale. È sempre nel 2013 che durante la sistemazione di alcuni materiali provenienti dagli scavi viene ritrovata una tavoletta bronzea databile al V secolo a.C. in alfabeto acheo composta di ben 18 linee, ad oggi il più lungo testo mai ritrovato in Magna Grecia;
   in concomitanza con la mareggiata che ha investito la costa ionica calabrese tra i giorni 1 e 2 dicembre 2013, la Soprintendenza per i beni archeologici della Calabria, in data 2 dicembre, ha constatato l'aggravarsi dell'erosione del litorale prospiciente il Parco archeologico dell'antica Kaulonia, odierna Monasterace Marina, in particolare nelle zone del tempio dorico e del complesso termale ellenistico, il cui famoso mosaico rende unico il sito di Monasterace nell'Italia meridionale;
   nella stessa giornata, la Soprintendenza ha chiesto alla professoressa Maria Pia Bernasconi del Dipartimento di ecologia, biologia e scienza della terra dell'università della Calabria, che in precedenza si è occupata dello studio geologico dell'antica Kauloh e di altri siti magnogreci costieri calabresi, di eseguire un sopralluogo per valutare i danni arrecati dall'evento di burrasca e per proporre eventuali rimedi d'emergenza;
   l'esperto, lo stesso 2 dicembre 2013; ha eseguito il sopralluogo richiesto, e contestualmente, ha redatto una relazione inviata alla Soprintendenza e al commissario del comune, nella quale si conferma la gravità della situazione e si rileva che l'erosione si è manifestata con il distacco di una parte del deposito terrazzato che ha lasciato un sottile diaframma di terreno tra i resti archeologici ed il mare; anche più a nord, in particolare tra l'area del tempio e la casamatta si sono rilevati altre frane molto gravi; pertanto il protrarsi della mareggiata, o un'altra successiva potrebbe comportare la perdita dell'area termale;
   infine, la professoressa Bernasconi suggerisce un primo intervento, in emergenza, con la messa in posto di grossi blocchi a ridosso del deposito terrazzato su cui insiste l'antico insediamento, nel tratto compreso tra la casamatta ed il tempio dorico;
   per quanto sopra esposto e considerando che si è solo all'inizio della stagione invernale, durante la quale episodi di forti mareggiate possono facilmente ripetersi, a parere degli interroganti, sarebbe necessario l'accoglimento della richiesta a salvaguardia di un patrimonio storico-culturale di rilevante importanza;
   il sindaco di Monasterace Maria Carmela Lanzetta, in data 3 dicembre 2013, lancia un appello al Ministero dei beni culturali e del turismo, alla prefettura di Reggio Calabria, alla regione Calabria assessorato ai beni culturali, alla provincia di Reggio Calabria assessorato ai beni culturali, per segnalare con urgenza che l'area archeologica sta franando sotto i colpi delle fortissime piogge e delle mareggiate, con lo scivolamento a mare dell'area del tempio e dell'abitato, proprio nel momento in cui sono stati portati alla luce importanti scoperte grazie alla campagna scavi che, da quindici anni, stanno conducendo la Normale e l'Università di Pisa, il gruppo di archeologi guidati sul campo dal professor Francesco Cuteri e l'università di Firenze. Nell'appello è stato detto che la provincia di Reggio Calabria dispone di un finanziamento di circa euro 2.000.000 (duemilionieuro) proprio per la protezione dell'area archeologica –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e se non ritenga opportuno intervenire con estrema urgenza affinché sia salvaguardato un patrimonio storico-culturale di rilevante importanza;
   se risulti la motivazione per la quale non vengano spesi i due milioni di euro per la protezione dell'area archeologica e cosa intenda fare affinché sia protetta e valorizzata l'area archeologica di cui in premessa, nel rispetto dell'articolo 9 della Costituzione italiana. (5-01680)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRAMBILLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   fonti di stampa, in particolare Il Giornale del 25 novembre 2013, riferiscono la vicenda dell'abbandono di un neonato da parte della madre, donna non coniugata né convivente con il padre del bambino;
   secondo la fonte citata, la donna in questione, dopo aver scoperto di essere incinta, ha interrotto ogni contatto con il padre del bambino facendo perdere le proprie tracce, ovvero cambiando domicilio, numero di cellulare ed ogni elemento utile per essere rintracciata;
   di fronte al muro di silenzio costruito dalla madre, il padre biologico del bambino non si è arreso ed ha deciso di rivolgersi ad un legale, l'avvocato Roberto De Maio, per riuscire a riprendere i contatti;
   la donna ha risposto attraverso il suo legale dichiarando che in «merito alla presunta paternità, lei non ha nulla da dire»;
   l'avvocato De Maio si rivolge, quindi, al tribunale dei minori, dove, dopo un mese di indagini di polizia giudiziaria, viene riconvocato dal giudice, il quale spiega che non solo non può dire nulla, ma non può spiegare nemmeno le ragioni del silenzio;
   l'avvocato De Maio, considerato lo svolgimento dei fatti, deduce che le ragioni del silenzio sono legate con grande probabilità al mancato riconoscimento del nascituro da parte della madre, circostanza questa che costringe ex lege (articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000) al silenzio totale non solo il giudice del tribunale dei minori, ma anche l'ufficiale di stato civile, l'ospedale e tutti coloro che in un modo o nell'altro vengono in contatto con la puerpera;
   la madre, infatti, quando partorisce ha la facoltà di non riconoscere il bambino (anche se è coniugata) e di chiedere un anonimato che costringe tutti alla segretezza, imponendo alle istituzioni di farsi carico del nascituro, di cui la madre si libera completamente, in nome dell'esigenza di salvaguardare chi al momento del parto abbia manifestato la precisa volontà di non essere menzionata nell'atto di nascita;
   in questo modo neanche il padre può richiedere il riconoscimento e l'affidamento del neonato, possibilità che gli viene negata dal mancato riconoscimento da parte della madre;
   la legge attribuisce, dunque, alla madre il diritto discrezionale di riconoscere o meno un figlio, anche a scapito dei diritti dei terzi, in particolare di quelli del padre biologico;
   l'ordinamento giuridico italiano e tutti gli strumenti di diritto internazionale sottolineano l'importanza della famiglia naturale e della necessità che essa rappresenti il riferimento preferenziale del minore;
   le Carte internazionali esprimono una concezione del rapporto genitoriale orientata al favor minoris: l'articolo 6 della Dichiarazione dei diritti del fanciullo, approvata dall'Assemblea generale dell'Onu il 20 novembre 1959, prevede che «il fanciullo, nei limiti del possibile, deve crescere sotto la custodia e la responsabilità di genitori», l'articolo 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989, ratificata dalla legge 27 maggio 1991, n. 176, dispone che il figlio, fin dalla nascita ha, «per quanto possibile, il diritto di conoscere i propri genitori» ed ancora l'articolo 9 della medesima Convenzione contempla che «gli Stati vigilano affinché il fanciullo non sia separato dai suoi genitori contro la sua volontà, a meno che le autorità competenti non decidano (...) che questa separazione è necessaria nel preminente interesse del minore»;
   sempre secondo quanto riportato dalle fonti di stampa, il bambino non riconosciuto dalla madre sarebbe stato già dichiarato adottabile dal tribunale dei minori e, dunque, nel caso in cui venisse trovata una famiglia dalla quale essere accolto, il padre naturale non potrebbe più fare nulla;
   il procedimento d'adozione ha sempre carattere sussidiario e da ciò consegue che esso possa avere inizio solo ove la famiglia naturale non sia in grado, con certezza e in modo perpetuo, di adempiere i suoi compiti, il padre, ad oggi, sulla base delle dichiarazioni rese dal legale, sarebbe intenzionato a presentare un'istanza di sospensione del procedimento di adozione finalizzata al perfezionamento della richiesta di riconoscimento e affidamento –:
   se e quali iniziative anche di carattere normativo nell'ambito delle proprie competenze, il Ministro intenda intraprendere perché possano essere gestiti casi come quello in questione e casi simili ove, contrariamente alla madre, il padre biologico intenda riconoscere il proprio figlio e sia stato impossibilitato ad esprimere tempestivamente la volontà genitoriale, per assicurare la tutela dell'interesse prevalente del bambino come riconosciuto dalle Convenzioni internazionali. (4-02882)


   RIZZETTO e PRODANI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in base alla nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, ai sensi del decreto legislativo n. 155 del 2012, è stata disposta la chiusura del Tribunale di Tolmezzo, accorpato al tribunale di Udine;
   le autorità locali hanno ritenuto la soppressione del Tribunale di Tolmezzo inadeguata ed illogica poiché il risparmio di spesa invocato a giustificazione della chiusura non è reale, a causa della necessità di nuove strutture centrali per ospitare gli uffici da sopprimere nonché per i costi relativi agli spostamenti giornalieri di detenuti, magistrati e polizia giudiziaria considerando la presenza a Tolmezzo di un carcere di massima sicurezza;
   inoltre, la disposta chiusura determina un danno ai servizi delle città e alle popolazioni residenti nei territori marginali, come la montagna friulana;
   in data 3 dicembre 2013 è stato emesso parare dalla 2a Commissione permanente giustizia che, tra l'altro, si esprime sul ripristino di alcuni tribunali soppressi ed ha ad oggetto lo «schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative, correttive e di coordinamento delle disposizioni di cui ai decreti legislativi 7 settembre 2012, n. 155 e 7 settembre 2012, n. 156, tese ad assicurare la funzionalità degli uffici giudiziari (n. 36)»;
   in particolare, si legge nel parere «...si ritiene opportuno rivedere la scelta della soppressione del Tribunale di Tolmezzo che contava su una competenza territoriale di notevole ampiezza (oltre 2.169 chilometri quadrati), relativa, peraltro, anche al confine di Stato e che interessava comuni con rilevanti distanze dal tribunale accorpante»;
   tuttavia, nel dispositivo del provvedimento, tra i tribunali che la Commissione ritiene di dovere ripristinare – «in considerazione della specificità territoriale del bacino di utenza e dell'incidenza eccessiva sui costi dell'amministrazione della giustizia che sarebbero indotti dalla loro soppressione» – non viene indicato quello di Tolmezzo;
   è, dunque, evidente che tale parere è contraddittorio laddove nel corpo dell'atto evidenzia la necessità di riformare la soppressione del Tribunale di Tolmezzo, per poi non menzionare quest'ultimo nel dispositivo tra i tribunali che devono essere ripristinati;
   il parere della commissione, che va rettificato inserendo il Tribunale di Tolmezzo tra quelli da riabilitare, ad ogni modo, conferma la necessità di ripristinare lo stesso per la competenza territoriale di notevole estensione, altresì, nel disporne la chiusura, non è stato tenuto conto delle ingenti spese che conseguono, come i costi di locazione dei nuovi locali da destinare al personale trasferito nel capoluogo friulano;
   si mette, inoltre, in rilievo che l'accorpamento con il tribunale di Udine vanifica l'ingente spesa di ristrutturazione del tribunale di Tolmezzo, sostenuta con soldi pubblici e che è costata ben oltre 4 milioni di euro;
   il parere della 2a Commissione permanente giustizia ad avviso degli interroganti pone il tribunale di Tolmezzo in una posizione ibrida poiché non si esplicita nel dispositivo la richiesta del suo ripristino pur avendo motivato la necessità di riformarne la disposta chiusura –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato in merito a quanto segnalato;
   se non ritenga che la soppressione del tribunale di Tolmezzo costituisca una scelta illogica ed in contrasto con criteri di spending rewiew, considerando gli oltre 4 milioni di euro spesi per la sua ristrutturazione, i costi per l'affitto dei nuovi locali per il personale trasferito, l'eccessiva vastità del territorio del tribunale risultante dall'accorpamento nonché la presenza a Tolmezzo di un carcere di massima sicurezza;
   se il Ministro intenda disporre ulteriori e necessarie iniziative affinché venga ripristinato il tribunale di Tolmezzo. (4-02886)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   VACCA, COLLETTI e DEL GROSSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 14 dicembre 2013 scade il mandato del Presidente della Regione Abruzzo Gianni Chiodi e dell'intero consiglio regionale abruzzese;
   l'articolo 5 della legge n. 165 del 2 luglio del 2004 prescrive che gli organi elettivi delle regioni durano in carica per cinque anni e che il quinquennio decorre per ciascun consiglio dalla data delle elezioni;
   come stabilito dall'articolo 86 dello statuto della regione Abruzzo le elezioni per il rinnovo del consiglio regionale e il Presidente della giunta sono indette entro tre mesi dalla scadenza della legislatura secondo le modalità stabilite dalla legge elettorale regionale;
   come stabilito dalla legge elettorale regionale le elezioni devono svolgersi non oltre tre mesi dalla scadenza della legislatura;
   il presidente del consiglio regionale e della giunta regionale dell'Abruzzo hanno posto ai vertici del Ministero dell'interno un quesito sull'accorpamento delle elezioni regionali abruzzesi con quelle europee;
   il Ministero dell'interno ha posto il quesito sull'abbinamento delle elezioni regionali in Abruzzo con quelle europee all'Avvocatura dello Stato;
   l'Avvocatura considera che «qualora venisse impugnato il provvedimento che indice lo svolgimento del le elezioni regionali nella stessa data in cui si terranno le elezioni europee, la questione di costituzionalità dell'articolo 6 della legge regionale abruzzese, nella parte in cui non fa salve l'applicazione dell'articolo 7 del decreto legge n. 98 del 2011, potrebbe essere sollevata in via incidentale dal giudice adito. Allo stesso modo, in quello stesso giudizio di impugnazione, potrebbe anche essere sollevato, per le opposte ragioni sopra illustrate, anche la questione di incostituzionalità dell'articolo 7, secondo comma del decreto-legge n. 98 del 2011, nella parte in cui non fa salva la compatibilità con i rispettivi ordinamenti»;
   la stessa avvocatura dello Stato nel proprio parere, ritenendo prevalente l'interpretazione secondo la quale le elezioni regionali dovrebbero essere celebrate negli stessi giorni in cui si terranno le elezioni europee consiglia alla regione Abruzzo come soluzione idonea a fugare ogni residuo dubbio sull'abbinamento delle elezioni di modificare il primo comma dell'articolo 6 della legge regionale n. 9 del 2013 –:
   in base a quale principio o norma giuridica, pur modificando la legge elettorale della regione Abruzzo, come da suggerimento dell'Avvocatura dello Stato, possono essere svolte le elezioni regionali contemporaneamente alle elezioni europee nelle date comprese tra il 22 e il 25 maggio 2014, considerando che lo statuto della regione Abruzzo fissa entro tre mesi dalla scadenza del mandato l'indizione delle elezioni per il rinnovo del Presidente della Giunta e del Consiglio regionale; e se dunque una legge ordinaria dallo Stato, per giunta attuata attraverso un decreto-legge convertito, possa derogare una norma statutaria regionale, tenendo presente il principio costituzionale dell'autonomia statutaria delle regioni nonché gli articoli 117 e seguenti della Costituzione, ravvisandovi, in caso, una palese incostituzionalità dell'eventuale decreto di spostamento delle elezioni. (3-00510)

Interrogazione a risposta scritta:


   NUTI e BUSINAROLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sul sito internet della Commissione europea, nella pagina web dedicata al programma SOLID, relativo ai finanziamenti dedicati all'immigrazione, sono elencati i fondi destinati all'Italia per l'intera durata del programma, dal 2007 al 2013;
   i fondi sono suddivisi in quattro diversi strumenti operativi, ognuno dei quali destinato a fini specifici: fondo europeo per i rifugiati, fondo europeo per i rimpatri, fondo europeo per l'integrazione di cittadini di Paesi terzi, fondo europeo per le frontiere esterne;
   l'insieme dei finanziamenti di cui sopra, stando ai dati reperibili sulla pagina web dedicata al programma SOLID, per il quadriennio 2007-2010 ammonta a 163.616.227,87 euro, mentre per il triennio 2011-2013 ammonta a 315.138.691,63 euro;
   tali fondi sono già stati oggetto di attività di controllo da parte degli interroganti, nello specifico tramite l'interrogazione a risposta immediata in Commissione - n. 5-01325, depositata in data 30 ottobre 2013, durante la seduta n. 108, avente per oggetto la quota dei fondi di cui sopra ricevuta dall'Italia, il suo impiego concreto e l'ammontare restituito all'Unione europea;
   si richiama in questa sede il fatto che anche per quanto riguarda i finanziamenti impiegati e non restituiti, come emerso da articoli di stampa, alcuni tra i progetti approvati risultavano da anni in attesa di essere completati (con il conseguente rischio di perdere i finanziamenti stanziati), oppure mai effettivamente iniziati, destinati a settori completamente diversi dall'immigrazione o di dubbia utilità ed efficacia;
   nella risposta fornita dal Sottosegretario all'Interno, Domenico Manzione, all'atto di sindacato ispettivo sopra citato, il Governo, oltre a non aver indicato i principali soggetti beneficiari di tali progetti con i relativi finanziamenti ottenuti, ha fornito dati sui fondi ricevuti che appaiono completamente difformi da quelli resi pubblici dall'Unione europea;
   in particolare il Governo dichiara di aver ricevuto, tramite il programma SOLID nei suoi diversi strumenti operativi, circa 246 milioni di euro per il quadriennio 2007-2010, restituendone quasi 22 milioni, e circa 501 milioni di euro per il triennio 2011-2013;
   la differenza, per l'intera durata del programma 2007-2013, tra quanto dichiarato dal Governo in risposta all'atto di sindacato ispettivo citato e quanto reso pubblico dalla Commissione europea tramite la pagina web dedicata al programma SOLID, ammonterebbe sulla base di una semplice somma fatta dagli interroganti a più di 268,2 milioni di euro;
   sul sito istituzionale del Ministero dell'interno, nelle pagine dedicate ai quattro strumenti operativi del programma SOLID, sono elencate le finalità dei fondi stessi e delle somme ricevute per il periodo 2007-2013: tali dati risultano anch'essi in sintonia con quanto pubblicato dalla Commissione europea e dagli interroganti dichiarato nell'atto di sindacato ispettivo citato;
   inoltre, come si evince dai dati forniti sia dal Governo che dalla Commissione europea, l'ultimo triennio 2011-2013 comprende circa i due terzi dei fondi stanziati dall'intero programma settennale: è quindi fondamentale essere a conoscenza dell'utilizzo di questi fondi, in particolare dei soggetti che ne hanno usufruito e per quali importi, e in quale parte questi fondi sono già stati restituiti all'Unione europea;
   analizzando invece le percentuali fornite dal Governo sull'utilizzo di questi fondi, si può notare come la percentuale più bassa riguarda il fondo per i rifugiati, il quale peraltro ha una dotazione più contenuta rispetto al complesso del programma SOLID. Allo stesso modo, è evidente come le risorse dell'intero programma SOLID siano state distribuite, per l'Italia, in maniera da privilegiare le iniziative concernenti misure di repressione e controllo rispetto alle politiche di integrazione dei cittadini;
   si ricorda, inoltre, che l'utilizzo dei fondi di cui sopra è vincolato al cofinanziamento da parte del soggetto destinatario, per almeno il 50 per cento del costo del progetto approvato, salvo alcuni casi in cui la percentuale può essere elevata a 75 per cento –:
   per quali motivi gli importi resi noti in risposta all'atto di sindacato ispettivo n. 5-01325 citato in premessa siano difformi da quanto pubblicato sul sito della Commissione europea e del Ministero dell'interno;
   quali siano i soggetti che hanno usufruito del finanziamento ricompresi all'interno del programma europeo SOLID e per quali importi complessivamente per l'intera durata del programma;
   in che misura e per quali importi lo Stato italiano e i soggetti beneficiari dei finanziamenti europei di cui in premessa abbiano contribuito al costo dei progetti approvati a titolo di cofinanziamento.
(4-02888)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   DADONE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il «cultore della materia» è una figura accademica abilitata a far parte delle commissioni di esame e laurea nelle università italiane in virtù dell'articolo 42, secondo comma, del regio decreto 4 giugno 1938, n. 1269, recante il «Regolamento sugli studenti, i titoli accademici, gli esami di Stato e l'assistenza scolastica nelle università e negli istituti superiori», per quanto i relativi requisiti e le procedure di nomina non siano fissate dalla ridetta norma, bensì del tutto rimessi all'autonoma determinazione dei singoli Atenei, e più in particolare, delle singole Facoltà o Dipartimenti;
   in alcune università, i cultori sono pertanto nominati dal consiglio di facoltà o di dipartimento, su segnalazione del docente del settore scientifico-disciplinare interessato, per l'attribuzione del titolo a laureati e studiosi che abbiano mostrato un forte impegno e una conoscenza approfondita, accompagnati da studi e pubblicazioni specifiche, nella medesima materia;
   a tal fine, onde prefigurare al meglio le figure che possono essere destinatarie di tale attribuzione a carattere accademica, alcuni atenei oppure singole facoltà o dipartimenti, si sono dotati di appositi regolamenti per la determinazione dei requisiti di nomina e la relativa procedura di attribuzione del titolo da parte dell'organo collegiale della Facoltà o del Dipartimento, prevedendo in genere almeno il possesso del diploma di laurea magistrale o specialistica, unitamente a specifici titoli e pubblicazioni nella materia relativa;
   in altri Atenei, di fatto la grande maggioranza, risulta invece del tutto assente tale predeterminazione dei requisiti, di talché la nomina avviene da parte del consiglio di facoltà o di dipartimento sulla scorta di non meglio precisati criteri con relativa possibilità di abusi nell'attribuzione del titolo a soggetti privi di idonei e sufficienti requisiti;
   risulta perciò imprescindibile che tutti gli atenei italiani e relativi dipartimenti si dotino di un regolamento per l'attribuzione del titolo di cultore della materia nei vari settori scientifici-disciplinari oggetto di insegnamento nei corsi attivati onde assicurare che la nomina di cultore della materia avvenga esclusivamente a favore di soggetti con titoli di studio, di ricerca e professionali adeguati e documentati in relazione alla materia –:
   se il Ministro interessato sia a conoscenza dei fatti sopra richiamati;
   se intenda assumere iniziative normative per pervenire all'introduzione del formale obbligo per gli atenei di predeterminare i requisiti e le procedure di nomina dei cultori della materia attraverso apposite disposizioni regolamentari adottate dai competenti organi universitari;
   se intenda assumere ogni iniziativa di competenza per pervenire a un rafforzamento del principio meritocratico nella vita degli atenei italiani in modo da evitare fenomeni di attribuzione dell'incarico di cultore della materia in assenza di congrui titoli curriculari come descritto in premessa.
(4-02887)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   DORINA BIANCHI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Presidente della giunta regionale della Calabria nella qualità di commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dei disavanzi sanitari n. 48 del 16 maggio 2013, pubblicato su BUR del 16 maggio 2013 n, 10, è stato approvato il protocollo d'intesa tra la regione Calabria e l'Università degli Studi «La Sapienza» di Roma concernente l'attivazione, nelle aziende sanitarie provinciali e ospedaliere del servizio sanitario regionale dei corsi di laurea delle professioni sanitarie – obiettivo PdR: G031s11;
   le sedi per lo svolgimento delle attività didattiche dei corsi di laurea di cui al suddetto protocollo sono l'Università «La Sapienza» e l'ASP e TAO di Cosenza;
   in sede di prima applicazione i corsi di laurea delle professioni sanitarie sono individuati in classe SNT/1 CdL infermieristiche, Cosenza 20 posti; classe SNT/4 CdL tecniche della prevenzione, Cosenza 10 posti;
   per gli anni a seguire il numero degli studenti da accogliere sarà concordato e programmato annualmente in relazione alla capacità di ricezione delle strutture disponibili; atteso che allo stato attuale la migrazione universitaria calabrese nel settore formativo delle professioni sanitarie vede il 55 per cento circa degli studenti residenti in Calabria costretti a iscriversi a corsi di laurea delle professioni sanitarie nei diversi atenei extraregionali;
   la conseguenza di tale stato di disagio dei giovani calabresi fa sì che l'adozione del su citato protocollo oltre a risultare strategico per l'attuazione delle linee d'intervento già previste nel piano di rientro del disavanzo del settore sanitario ha, quale primario se non esclusivo obiettivo, quello di offrire la possibilità agli studenti calabresi iscritti all'ateneo romano, di frequentare e ultimare i medesimi studi, compresa la fase pratica e di tirocinio, direttamente in Calabria, sì da radicare in loco le basi di un futuro lavorativo e occupazionale;
   il presidente della giunta regionale della Calabria in qualità di Commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario, non ha inteso ad oggi siglare il protocollo d'intesa non presentandosi agli incontri fissati del 15 maggio 2013 e del 26 giugno 2013 per la relativa sottoscrizione già formalmente concordata con il magnifico Rettore de «La Sapienza» professor Luigi Frati, presso la sede romana della regione Calabria in piazza Campitelli;
   l'assente volontà politica del Governatore Scopelliti, oltre a dare grave nocumento all'immagine dell'istituzione regionale, danneggia gravemente l'interesse pubblico tenuto conto oltretutto di come la domanda formativa di nuovo personale parasanitario sia crescente. Ciò consegue ad un fabbisogno di personale dello stesso comparto drammaticamente aumentato, la cui carenza, determinata proprio dal blocco del turn over in sanità da oltre tre anni, rischia di bloccare l'operatività di diverse strutture assistenziali;
   sulla base delle recenti rilevazioni del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in materia di migrazione universitaria degli studenti calabresi iscritti ai corsi di laurea delle professioni sanitarie appare gravemente pregiudicato il raggiungimento degli obiettivi di pubblico interesse e di miglioramento dell'offerta sanitaria che sono alla base del protocollo d'intesa con l'università «La Sapienza» –:
   quali siano le ragioni per cui il commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi nel settore sanitario non si sia presentato ai reiterati appuntamenti previsti con il magnifico rettore Luigi Frati per la sottoscrizione del protocollo d'intesa in oggetto;
   quali iniziative il Commissario intenda adottare per pervenire con immediatezza, all'adozione del protocollo d'intesa in oggetto già da tempo formalmente concordato con il magnifico rettore dell'università «La Sapienza». (3-00511)

Interrogazione a risposta scritta:


   BUSINAROLO, ROSTELLATO, COZZOLINO, DA VILLA, LOREFICE, BRUGNEROTTO, ARTINI e DE LORENZIS. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il servizio sanitario nazionale rimborsa i propri fornitori, per il tramite di regioni ed ASL, con svariati mesi di ritardo; tra i fornitori si annoverano anche quelle strutture private che operano in regime di convenzionamento con lo Stato;
   il paziente signor Mario (nome di fantasia, ndr) che si reca una mattina in un ospedale veronese per effettuare delle analisi di routine, con una ricetta scritta su due fogli, legge un avviso esposto in bacheca il quale precisa che, a seguito dei tagli imposti alle rimesse del servizio sanitario nazionale, il numero dei pazienti accettati non può essere superiore ai 100 per ogni giornata. E per quel giorno alle ore 08:30, la disponibilità è esaurita. In quel momento viene accettato il paziente n. 58, quindi ancora 42 persone in coda;
   il signor Mario si avvicina all'unico sportello libero, dedicato all'accettazione dei pazienti paganti e scopre che come utenti del servizio sanitario nazionale il ticket per le analisi, comprensivo dei 20 euro per i due fogli della ricetta, è pari a 54 euro;  
   senza il supporto del servizio sanitario nazionale, con esborso da parte dei pazienti, il costo delle medesime analisi ammonterebbe ad euro 46, ossia la quota del tariffario regionale aumentata del 10 per cento con immediata accettazione prima ancora delle 42 persone in attesa. Il tutto nello stesso ospedale, con gli stessi specialisti e le stesse strumentazioni, già pagati con risorse pubbliche;
   questo meccanismo distorto dipende dal ticket di 10 euro sulle visite specialistiche ripristinato con il decreto-legge n. 98 del 2011, in sede di conversione con la legge n. 111 del 2011 (Finanziaria), introdotto già dal 2007 e poi abolito nel 2008. Il ticket viene applicato su ogni ricetta per prestazioni di diagnostica e specialistica, ossia la cosiddetta «ricetta rossa» prescritta dal proprio medico curante che, per legge, può contenere fino a un massimo di otto indagini diagnostiche della stessa specialità oppure otto esami di laboratorio;
   la convenienza dipende dal numero di esami: per le analisi del sangue ad esempio se invece di otto esami per ricetta il paziente ha necessità di controllare solo 2 o 3 valori ematochimici, la convenienza di effettuare il prelievo privatamente al di fuori del Servizio pubblico è ancor maggiore;
   ciò contribuirebbe al «sorpasso della convenienza» del privato sul pubblico. È così che presso le strutture private accreditate gli esami costano meno;
   il ticket introdotto è stato declinato in modo diverso dalle varie regioni italiane:
    alcune regioni hanno rifiutato il ticket (Valle d'Aosta, provincia di Trento e Bolzano);
    alcune regioni hanno accolto i 10 euro in modo indiscriminato (Friuli, Liguria, Lazio, Abruzzo, Molise, Puglia, Calabria, Sicilia);
    alcune regioni hanno modulato il ticket in base al reddito (Emilia Romagna, Umbria, Toscana, Veneto, Marche);
    alcune regioni hanno modulato il ticket in base alla complessità della prestazione (Lombardia, Piemonte, Basilicata, Campania);
   la Corte costituzionale, con sentenza n. 187 del 16 luglio 2012, ha bloccato i ticket già in programma per il 2014, riguardanti varie prestazioni sanitarie attualmente non soggette a contributi economici e ha affermato che lo Stato può decidere unilateralmente solo su quelle materie di sua competenza esclusiva. In base alla sentenza, infatti, è incostituzionale l'articolo 17, comma 1, lettera d), della legge n. 111 del 2011, nella parte in cui prevede che le misure di compartecipazione siano introdotte con regolamento da emanare ai sensi della legge n. 400 del 1988 su proposta dei ministri della salute e dell'economia. Le misure di compartecipazione – spiega la Consulta – devono essere aggiuntive rispetto a quelle eventualmente già disposte dalle regioni e sono finalizzate ad assicurare, nel rispetto del principio di equilibrio finanziario, l'appropriatezza, l'efficacia e l'economicità delle prestazioni;
   sembra che il servizio sanitario nazionale negli ultimi anni si stia orientando verso un sistema sanitario privato, tale da costringere il cittadino ad acquistare la prestazione sanitaria direttamente dal privato, clinica o ambulatorio che sia;
   la struttura privata dal canto suo ha convenienza a tenere i prezzi dei servizi leggermente inferiori ai ticket imposti dalla legge, visto che il cittadino paga subito, mentre quanto dovuto dallo Stato viene incassato dopo mesi o anni;
   il paziente può accedere ad una prestazione sanitaria ad un prezzo inferiore se si reca presso una struttura di una regione diversa da quella in cui risiede;
   è prevedibile che il capitolo di entrate del bilancio pubblico relativo alle prestazioni sanitarie andrà via via diminuendo a favore della sanità privata, con ovvie e pesantissime ripercussioni sullo Stato sociale e l'assistenza alle fasce deboli, nonché sugli investimenti da dedicare all'intero sistema sanitario nazionale –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e delle loro conseguenze per l'intero sistema sanitario nazionale;
   a quanto ammonti l'entità dei ticket, suddivisi tra strutture pubbliche e strutture private accreditate, pagati annualmente dai cittadini che, credendo nella bontà della parola ticket come strumento per favorire il paziente, accedono alle prestazioni come utenti del servizio sanitario nazionale;
   quali interventi intenda mettere in atto per modificare il modus operandi a cui ci si riferisce in premessa, per garantire ai pazienti i tempi di accesso ai servizi sanitari, il livello dei costi e gli standard qualitativi degli stessi. (4-02885)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DANIELE FARINA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da fonti giornalistiche e a mezzo di comunicato delle organizzazioni sindacali si apprende che:
    la società Agile Srl è in amministrazione controllata a seguito di un iter gestionale e finanziario complesso, e rispetto a cui il Tribunale di Roma ha riscontrato, a luglio 2013, con sentenza di primo grado, diverse fattispecie di reato;
    la società non ha presentato la richiesta relativa alla Cassa integrazione straordinaria, i cui termini sono scaduti il 6 dicembre 2013;
    la procedura di licenziamento avviata da Agile Srl in data 24 settembre 2013 coinvolge 820 lavoratori, di cui 215 si trovano nel solo territorio del comune di Pregnana milanese;
    la mancata richiesta da parte di tale società ha avuto luogo nonostante il parere positivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali circa la prosecuzione della cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga per la restante parte dell'anno 2013 e l'ipotesi di prosecuzione anche per l'anno 2014;
    la gestione commissariale di Agile Srl ha ritenuto, dunque, come illustrato, di non presentare formale richiesta di cassa integrazione guadagni straordinaria, con ciò configurando un'azione, a giudizio dell'interrogante, irresponsabile e totalmente sorprendente –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano intraprendere affinché la vicenda di Agile Srl rimanga nell'alveo fino ad oggi tracciato tramite un percorso impegnativo che ha visto coinvolti il Governo, le istituzioni locali, nonché i sindacati, e il cui venir meno rischia, evidentemente, di tradursi in un grave ed ingiustificato danno ai numerosi lavoratori coinvolti, nonché all'intero territorio. (5-01681)

Interrogazione a risposta scritta:


   PRODANI e CRIPPA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 14 novembre 2013 il Sottosegretario allo Sviluppo economico Claudio De Vincenti ha risposto nella X Commissione Attività produttive di Montecitorio all'interrogazione 5-01068 depositata dal primo firmatario del presente atto il 25 settembre 2013;
   l'atto di sindacato ispettivo verteva sulla richiesta di conoscere quali e quante siano le partecipazioni societarie della Simest spa ad aziende comunitarie ed extracomunitarie e se fra queste ne risultino alcune incompatibili con le direttive adottate il 9 marzo 2012 dall'allora Ministro dello sviluppo economico (MISE) del Governo Monti, Corrado Passera, che vietano il sostegno economico sui mercati esteri a imprese che attuino «pratiche sleali o ingannevoli comunque riconducibili al cosiddetto italian sounding»;
   nella risposta il Sottosegretario ha fatto presente che l'azienda Simest – un tempo controllata dal MISE, ora società per azioni a maggioranza di Cassa depositi e prestiti (CDP) – ha ottenuto «l'impegno dalle imprese del settore agroalimentare ad evitare riferimenti tali da poter indurre in errore il consumatore sull'origine geografica/Paese di produzione del prodotto, a provvedere ad indicare l'origine locale nell'etichetta del prodotto ed a non utilizzare nomi o marchi protetti o che richiamino produzioni italiane tipiche»;
   riguardo alle partecipazioni dell'azienda controllata dalla Cassa depositi e prestiti, effettuate con capitale proprio su cui delibera il consiglio di amministrazione dell'azienda, De Vincenti ha fatto presente che «si è provveduto a dare indicazioni al Presidente di Simest ed al suo Amministratore delegato»; al 31 dicembre dell'esercizio finanziario relativo al 2012, «il fondo di Venture Capital, gestito da Simest, detiene n. 191 partecipazioni in Paesi extra UE, mentre Simest detiene n. 237 partecipazioni in società in Paese extra UE e n. 10 Paesi in UE»;
   nella risposta fornita è indicato solo il numero delle partecipazioni legate alla gestione del fondo di Venture Capital, mentre sarebbe utile conoscerle tutte nel dettaglio –:
   se intenda attivarsi presso la Simest per ottenere un elenco circostanziato in cui siano indicati i nominativi e i dati principali (settore produttivo di riferimento e suddivisione del capitale societario) di tutte le società partecipate dalla Simest stessa, sia con capitale proprio che tramite il fondo di Venture Capital;
   se non si ritenga opportuno che la lista delle aziende partecipate e beneficiarie di Simest (con l'indicazione di informazioni fondamentali come le relative quote azionarie e i bilanci) sia di pubblica consultazione. (4-02884)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Morassut e altri n. 1-00011, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 marzo 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sberna.

  La mozione Zampa e altri n. 1-00156, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Baruffi.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Mannino e altri n. 5-00811, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 31 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Marzana.

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Zampa n. 1-00156, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 61 del 30 luglio 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, «Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero», così come modificato dall'articolo 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94, ha introdotto nel nostro ordinamento il «reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato»;
    i centri di identificazione ed espulsione, istituiti dalla legge 6 marzo 1998, n. 40, e previsti dal testo unico sull'immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286), sono strutture di trattenimento degli stranieri in condizione di irregolarità, destinati all'espulsione;
    l'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, così come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, cosiddetta legge Bossi-Fini, prevede che «quando non sia possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento», «il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso» il centro di identificazione ed espulsione e che, quindi, tali strutture siano destinate al trattenimento, convalidato dal giudice di pace, dei cittadini stranieri extracomunitari irregolari e destinati all'espulsione;
    dall'8 agosto 2009, con l'entrata in vigore della legge 15 luglio 2009, n. 94 (cosiddetto pacchetto sicurezza), il termine massimo di permanenza degli stranieri in tali centri è passato da 60 giorni a 18 mesi complessivi, rafforzando così la loro natura di luoghi di permanenza obbligatoria, caratterizzandosi come luoghi di detenzione amministrativa delle e dei migranti;
    secondo i dati forniti dalla polizia di Stato, nel 2012 sono stati 7.944 (7.012 uomini e 932 donne) i migranti trattenuti in tutti i centri di identificazione ed espulsione operativi in Italia. Di questi solo la metà (4.015) sono stati effettivamente rimpatriati, con un tasso di efficacia (rimpatriati su trattenuti) del 50,54 per cento. Rispetto al 2010, il rapporto tra i migranti rimpatriati rispetto al totale dei trattenuti nei centri di identificazione ed espulsione è incrementato di appena il 2,3 per cento, mentre rispetto al 2011, l'incremento del tasso di efficacia nei rimpatri è risultato addirittura irrilevante (+0,3 per cento): si conferma, dunque, la sostanziale inutilità dell'estensione della durata massima del trattenimento ai fini di un miglioramento nell'efficacia delle espulsioni;
    il citato articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, al comma 2, dispone che in tali centri lo straniero è trattenuto «con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza e il pieno rispetto della sua dignità»;
    l'articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, specifica che le modalità del trattamento nei centri di identificazione ed espulsione «devono garantire, nel rispetto del regolare svolgimento della vita in comune, la libertà di colloquio all'interno del centro e con visitatore proveniente dall'esterno, in particolare con il difensore che assiste lo straniero, e con i ministri di culto, la libertà di corrispondenza, anche telefonica, ed i diritti fondamentali della persona» e che in tali centri devono essere presenti «i servizi sanitari essenziali, gli interventi di socializzazione e la libertà di culto» e i «servizi predisposti per le esigenze fondamentali di cura, assistenza, promozione umana e sociale»;
    all'interno dei centri di identificazione ed espulsione si sono verificate gravi violazioni dei diritti umani, come denunciato sia da inchieste ed articoli di stampa, sia dalle associazioni di volontariato e dalle associazioni per la tutela dei diritti umani, tra le quali anche Amnesty international e Medici senza frontiere, e fin dall'indagine interministeriale presentata dall'ambasciatore de Mistura nel 2007;
    in particolare, come risulta dall'indagine «Arcipelago CIE» realizzata tra febbraio 2012 e febbraio 2013 da Medici per i diritti umani e pubblicata a maggio 2013, la struttura dei centri di identificazione ed espulsione è simile a quella dei centri di internamento. «L'inattività forzosa per prolungati periodi di tempo, in spazi angusti ed inadeguati, insieme all'incertezza sulla durata e l'esito del trattenimento, rendono il disagio psichico dei migranti uno degli aspetti più preoccupanti e di più difficile gestione all'interno dei centri»;
    da un punto di vista prettamente sanitario, le indagini di Medici per i diritti umani evidenziano che: «In generale all'interno dei CIE non è previsto personale medico specialistico anche laddove sarebbe certamente necessario». I servizi sanitari, erogati in tutti i centri direttamente dagli enti gestori, non sembrano garantire in modo adeguato il diritto alla salute: permangono ostacoli rilevanti nell'accesso alle cure specialistiche e agli approfondimenti diagnostici, dovuti essenzialmente alle caratteristiche di strutture chiuse al mondo esterno dei centri di identificazione ed espulsione;
    oltre all'assistenza sanitaria, gli enti gestori sono tenuti a fornire i servizi di mediazione linguistico-culturale, l'orientamento legale e il supporto socio-psicologico. Gli standard di erogazione di tali servizi sono apparsi non omogenei tra i vari centri e nel complesso insoddisfacenti;
    in una lettera indirizzata al Ministro dell'interno pro tempore, Anna Maria Cancellieri, e datata 11 luglio 2012, gli onorevoli Livia Turco e Roberto Zaccaria hanno riferito circa le visite ispettive, effettuate da parte di alcune delegazioni di parlamentari, all'interno di diversi centri di identificazione ed espulsione presenti sul territorio italiano nel corso del mese di giugno 2012, al fine di avere una conoscenza diretta delle condizioni di permanenza dei migranti trattenuti;
    dalle visite effettuate sono emerse diverse criticità e primariamente un'altissima compressione dei diritti fondamentali: pur in presenza di un titolo di detenzione solo amministrativo, ai fini dell'identificazione, dell'espulsione o del rimpatrio, si è riscontrata la presenza di persone private della libertà personale per lunghissimi periodi di tempo, impossibilitate a svolgere alcun tipo di attività ricreativa, lavorativa, formativa;
    l'assenza di un regolamento «comune» per tutti i centri di identificazione ed espulsione presenti in Italia e la presenza di soli regolamenti adottati dalle prefetture di competenza determinano un diverso grado di flessibilità nei diritti concessi, anche sulla base della diversa interpretazione delle «ragioni di sicurezza»;
    altro dato preoccupante è costituito dalla forte eterogeneità e promiscuità delle persone presenti all'interno dei centri di identificazione ed espulsione: vi si trovano persone che hanno a lungo risieduto legalmente in Italia e che, ad un certo punto, per le ragioni più diverse, hanno perso il permesso di soggiorno (cosiddetti overstayer); richiedenti asilo che hanno inoltrato la domanda dopo essere giunti al centro di identificazione ed espulsione e che, dunque, non sono stati trasferiti in un centro di accoglienza per richiedenti asilo; ex detenuti, a fine pena, che sono stati poi trasferiti nel centro di identificazione ed espulsione in attesa di identificazione o di rimpatrio; nonché numerose persone che sono state a lungo trattenute nei centri di identificazione ed espulsione, poi rilasciate e che, nuovamente fermate, vi rientrano;
    in particolare, ha destato preoccupazione la presenza nei centri di identificazione ed espulsione di un elevato numero di ex detenuti, che dopo aver scontato pene anche di diversi anni, vengono trattenuti per ulteriori lunghi periodi di tempo all'interno dei centri di identificazione ed espulsione, nonostante una direttiva interministeriale del 30 luglio 2007, degli allora Ministri Amato e Mastella, stabilisse che, in linea con le indicazioni dell'allora rapporto De Mistura, l'identificazione per i detenuti dovesse avvenire in carcere, e non più negli allora centri di permanenza temporanea, da considerarsi come luoghi destinati più utilmente al riconoscimento di altri soggetti. Riconoscimento che, comunque, si presenta problematico e che causa un considerevole impiego di forze dell'ordine, sia per gli impegnativi compiti di sorveglianza che per quelli di accompagnamento presso i tribunali competenti;
    tutte le criticità rilevate nel corso delle visite da parte di delegazioni di parlamentari, sono fortemente aggravate dall'allungamento del termine massimo di permanenza all'interno di un centro di identificazione ed espulsione, che, senza riuscire a facilitare il problema dell'identificazione e dei rimpatri, ha finito per creare una sorta di limbo giuridico, caratterizzato dalla negazione di diritti «anche fondamentali», nel quale i trattenuti possono permanere fino a 18 mesi e al quale occorre urgentemente porre rimedio;
    nel giugno del 2012, in concomitanza con l'emersione di lacune strutturali che avevano portato alla chiusura del «Serraino Vulpitta» di Trapani e del «Malgrado tutto» di Lamezia Terme e di gravi inadempienze contrattuali emerse in numerosi centri, il Ministro dell'interno pro tempore, Anna Maria Cancellieri, ha istituito una task-force, con il compito di analizzare la situazione in cui versano i centri di identificazione ed espulsione, relativamente agli aspetti di carattere normativo, organizzativo e gestionale, al fine di elaborare proposte normative atte a migliorare l'operatività dei centri di espulsione ed assicurarne l'uniformità di funzionamento a livello nazionale;
    precedentemente, nel luglio 2006, con decreto dell'allora Ministro dell'interno, Giuliano Amato, venne istituita la Commissione De Mistura, il cui citato rapporto fu depositato il 31 gennaio 2007. Vale rilevare la diversa composizione delle due commissioni: la Commissione del 2012 è stata composta esclusivamente da funzionari del Ministero dell'interno, mentre la Commissione precedente era composta sia da membri ministeriali che da appartenenti all'associazionismo (una commissione «mista»);
    la Commissione De Mistura operò visitando tutti i centri, incontrando le prefetture, le questure, ascoltando le associazioni dei vari territori, gli enti locali e le persone trattenute; esaminò, inoltre, i documenti che le venivano sottoposti e raccolse direttamente migliaia di dati, anche attraverso l'utilizzo di apposite schede di rilevazione;
    le conclusioni della Commissione De Mistura non trovarono attuazione, né paiono esser state tenute a riferimento nell'impostazione dell'indagine 2012. Le risultanze dei due rapporti appaiono estremamente diverse, così come le conclusioni. Infatti, mentre la commissione De Mistura, dopo avere analizzato tutte le criticità presenti nei luoghi di detenzione amministrativa, concludeva per il «superamento» degli allora centri di permanenza temporanea e assistenza attraverso il loro «svuotamento», la più recente task-force ha elaborato un «documento programmatico», che, pubblicato solo ad aprile 2013, e quindi in fase di dimissioni del Governo, è volto ad implementare i centri di detenzione amministrativa, individuando le criticità prevalentemente imputabili alla condotta delle persone trattenute;
    le soluzioni prospettate nel progetto di revisione del «sistema Cie», tutto condensato in 27 pagine, più allegati, muove dal presupposto della necessità dei centri di identificazione ed espulsione e prevede numerose novità, sia dal punto di vista amministrativo che del funzionamento vero e proprio;
    in tal senso, nel cosiddetto rapporto Ruperto, si coglie una sorta di ulteriore discostamento delle prassi e delle normative sul trattenimento amministrativo in Italia, rispetto alla direttiva 2008/115/CE del Parlamento e del Consiglio, nota come «direttiva rimpatri»;
    infatti, ogni passo del rapporto apre un elemento di problematicità: ad esempio, nel prendere atto del fatto che i centri di identificazione ed espulsione operano con capienza ridotta a causa del danneggiamento dei locali causato dai trattenuti, non affronta il correlato tema per cui il forte ribasso dei corrispettivi previsti dalle convenzioni agli enti gestori ha portato ad una diminuzione del personale degli stessi;
    nel rapporto si annuncia poi che molti immigrati senza documenti potranno essere rimpatriati con maggiore velocità utilizzando non i centri di identificazione ed espulsione, ma i centri di primo soccorso e accoglienza, che, con procedimenti spesso informali, comportano il rischio del ricorso alle espulsioni cosiddette collettive – la cui pratica è da ritenersi illegittima secondo l'articolo 4 del protocollo 4 allegato alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali – in violazione degli stessi accordi di Schengen;
    altro aspetto su cui il rapporto si sofferma molto è la necessità di prevenire e contenere gli atti di ribellione, isolando in appositi spazi i rivoltosi e addirittura i «potenziali» rivoltosi, prevedendo celle speciali in carceri speciali: la grave carenza di spazi e attività ricreative all'interno dei centri di identificazione ed espulsione costituisce uno degli elementi che provoca maggior malessere tra i trattenuti. I drastici tagli nei bilanci a disposizione degli enti gestori, insieme al prolungamento dei tempi massimi di trattenimento a 18 mesi, hanno contribuito ad accrescere la tensione nei centri e a peggiorare ulteriormente le condizioni di vita dei trattenuti nel corso dell'ultimo anno;
    a questo proposito, appaiono quanto mai appropriate e attuali le considerazioni – risalenti al 2008 e contenute nel XVIII Dossier statistico immigrazione di Caritas/Migrantes –: «Proprio la prevista dilatazione della restrizione della libertà di movimento (estensione dei tempi massimi di trattenimento a 18 mesi), tuttavia, forse rivela il vero intento della norma: introdurre una lunga carcerazione preventiva per pochi malcapitati, in modo che serva come monito e deterrente per altri. In realtà, e non solo in Italia, il contrasto dell'immigrazione irregolare ormai entrata sul territorio nazionale si muove secondo logiche casuali e crudeli. (...) In definitiva, gli immigrati effettivamente espulsi sono modeste percentuali, e non sono necessariamente i più pericolosi o parassitari»;
    al riguardo, la sentenza 12 dicembre 2012, n. 1410, del tribunale di Crotone, ha stabilito che i protagonisti della rivolta nel centro di identificazione ed espulsione di Crotone – i quali, saliti sul tetto della struttura, hanno lanciato alcuni oggetti contundenti contro le forze dell'ordine – non sono colpevoli di danneggiamento e offesa a pubblico ufficiale in quanto agirono per «legittima difesa» e la reazione degli stranieri alle «offese ingiuste» è da considerarsi proporzionata. Il giudice ha, infatti, scritto che, nel caso dei centri di identificazione ed espulsione, si tratta di «strutture – nel loro complesso – al limite della decenza, intendendo tale ultimo termine nella sua precisa etimologia, ossia di conveniente alla loro destinazione: che è quella di accogliere essere umani. E, si badi, esseri umani in quanto tali, e non in quanto stranieri irregolarmente soggiornanti sul territorio nazionale; per cui lo standard qualitativo delle condizioni di alloggio non deve essere rapportato al cittadino straniero irregolare medio (magari abituato a condizioni abitative precarie), ma al cittadino medio, senza distinzione di condizione o di nazionalità o di razza»;
    precedentemente, la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 105 del 2001, ha rilevato che: «Per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia dell'immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani»;
    anche il relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti dei migranti, in un rapporto del 2010, denuncia in numerosi Stati l'uso sproporzionato della detenzione nella gestione dell'immigrazione, sottolineando come essa dovrebbe essere utilizzata solo come misura di ultima istanza;
    da ultimo, il caso Alma Shalabayeva ha mostrato come, secondo quanto dichiarato dal Presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica, in un articolo pubblicato su L'Unità del 17 luglio 2013, «accade che la politica dei respingimenti venga praticata con brutale efficienza nei confronti di migliaia di anonimi immigrati e richiedenti asilo» e come, dunque, tale caso istituzionale «potrebbe rappresentare l'occasione per ripensare a fondo la materia e per interrogarsi, in particolare, sulla legittimità di queste forme di rimpatrio: quante espulsioni espongono lo straniero al rischio di trattamenti illegali e crudeli ?»,

impegna il Governo:

   a ripensare gli attuali strumenti di gestione dell'immigrazione irregolare che risultano inefficaci (per quanto attiene all'effettività dei provvedimenti di espulsione) e costosi – tenendo conto che l'aumento dei costi è incongruo rispetto agli obiettivi – e ad abbattere i tempi di permanenza nei centri di identificazione ed espulsione, oggi inaccettabili per durata e inutili, oltre il periodo iniziale, all'effettiva identificazione delle persone trattenute;
   ad assumere iniziative per riformare l'intera disciplina dell'ingresso, del soggiorno e dell'allontanamento dei cittadini stranieri, riducendo a misura eccezionale, o comunque del tutto residuale, il trattenimento dello straniero ai fini del suo rimpatrio, a favorire l'opzione del rimpatrio volontario assistito prima di procedere a qualunque forma di allontanamento coatto e a mettere in atto programmi di assistenza al rimpatrio volontario e di reintegrazione nei Paesi di origine, assicurando una capillare informazione su questi programmi;
   ad assumere iniziative per rivisitare le norme che sanzionano l'ingresso e il soggiorno irregolare, fermo restando il diritto del Paese, secondo le norme internazionali vigenti, all'espulsione come sanzione amministrativa quando non esistano i requisiti per il soggiorno regolare o per l'accoglimento dell'istanza di protezione umanitaria;
   ad introdurre politiche migratorie atte a garantire effettive possibilità di ingresso regolare e di inserimento sociale, nonché a introdurre meccanismi di regolarizzazione ordinaria;
   ad intervenire sulla disciplina di permanenza, per evitare il trattenimento nei centri di identificazione ed espulsione di coloro che hanno bisogno di protezione, come le vittime di tratta, i minori, i richiedenti asilo;
   a evitare il trattenimento nei centri di identificazione ed espulsione di coloro che, dopo un periodo di detenzione penale, non siano già stati identificati in carcere come previsto e come è da incentivare come prassi ordinaria;
   a garantire che le pratiche necessarie ai fini dell'identificazione e delle eventuali procedure di rimpatrio avvengano nel massimo della trasparenza, garantendo ai profughi (a maggior ragione se minorenni) un'adeguata ospitalità presso centri appositi in cui sia garantita l'assistenza psicologica e legale;
   a garantire il periodico monitoraggio da parte delle prefetture delle reali condizioni di vita nei centri, verificando la congruenza dei servizi offerti con le convenzioni in essere e ad uniformare ed armonizzare i regolamenti e le convenzioni su tutto il territorio nazionale, così da assicurare unità di trattamento nei centri di identificazione ed espulsione;
   a eliminare ogni restrizione e difficoltà al normale ingresso di associazioni umanitarie e organizzazioni non governative all'interno dei centri, al fine di umanizzare le condizioni di vita, sostenere un clima di collaborazione tra tutti i soggetti coinvolti, individuare e sciogliere eventuali problemi sociali non identificabili al momento dell'ingresso, favorire, laddove possibile, il reinserimento sociale, nonché prevenire tensioni;
   ad assumere un'iniziativa normativa organica in materia di asilo nel rispetto dell'articolo 10 della Costituzione.
(1-00156)
(Seconda ulteriore nuova formulazione) «Zampa, Marazziti, Santerini, Schirò, Martella, Civati, Villecco Calipari, Murer, Mogherini, Madia, Cenni, Bellanova, Gozi, Grassi, Lenzi, Carra, D'Incecco, Tullo, Amoddio, Blazina, Incerti, Iori, Carlo Galli, Fabbri, Giuseppe Guerini, Porta, Garavini, Piccione, Cinzia Maria Fontana, Laforgia, Malpezzi, Marco Di Maio, Ghizzoni, Marzano, Pes, Gadda, Senaldi, Gribaudo, Cimbro, Gnecchi, Quartapelle Procopio, Velo, Lattuca, Moscatt, Tentori, Antezza, La Marca, Fiano, Capone, De Micheli, Chaouki, Beni, Biondelli, Baruffi».

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Rondini n. 1-00227, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 108 del 30 ottobre 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    in un momento di grave crisi in cui il nostro Paese è alla ricerca di azioni e risorse per il rilancio dell'economia e della crescita occupazionale, il made in Italy e, in particolare, quello agroalimentare, è universalmente riconosciuto come straordinaria leva competitiva «ad alto valore aggiunto», per lo sviluppo del Paese;
    l'etichettatura dei prodotti alimentari è un procedimento per cui i produttori dei cibi confezionati sono tenuti a riportare, integralmente, tutti gli ingredienti presenti nei loro preparati alimentari;
    la normativa su l'etichettatura dei prodotti alimentari nasce nel 1978 con la direttiva 79/112/CEE, recepita in Italia mediante il decreto legislativo n. 109 del 1992;
    la legislazione in materia, naturalmente, si è aggiornata nel corso del tempo, in particolare con il decreto legislativo n. 181 del 2003, che recepiva una norma europea che aveva, come obiettivo, quello dell'armonizzazione delle normative a livello europeo;
    la legge 3 febbraio 2011, n. 4, reca disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari e offre l'opportunità di anticipare l'applicazione della normativa comunitaria, introducendo l'obbligo di indicare l'esatta provenienza dell'origine degli alimenti nei settori delle carni suine, del latte e di tutti i prodotti trasformati a garanzia del corretto funzionamento del mercato e dell'adozione di scelte informate da parte dei consumatori;
    alla luce delle citate disposizioni, le finalità dell'etichettatura in sintesi sono quelle di non indurre in errore l'acquirente sulle caratteristiche del prodotto alimentare e precisamente sulla natura, sulla identità, sulla qualità, sulla composizione, sulla quantità, sulla conservazione, sull'origine o sulla provenienza, sul modo di fabbricazione o di ottenimento del prodotto stesso ovvero non attribuire al prodotto alimentare effetti o proprietà che non possiede;
    il 22 novembre 2011 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea il regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, che introduce alcuni cambiamenti in merito alla fornitura di informazioni sugli alimenti;
    scopo del regolamento è garantire un elevato livello di protezione dei consumatori in materia di informazioni sugli alimenti;
    tra le principali novità previste dalla nuova normativa comunitaria, si può ricordare, tra le tante, che diventa obbligatorio indicare alcune informazioni nutrizionali fondamentali e di impatto sulla salute, quali: il valore energetico e la quantità di grassi, acidi grassi saturi, carboidrati, zuccheri, proteine e sale. Tali indicazioni dovranno essere indicate sull'imballaggio in una tabella comprensibile, insieme e nel medesimo campo visivo;
    relativamente all'entrata in vigore, i soggetti preposti all'etichettatura dei prodotti alimentari possono usufruire di un periodo transitorio di tre anni per adeguarsi, con eccezione della novità riguardante l'indicazione dell'obbligatorietà della dichiarazione nutrizionale, la cui cogenza è prevista entro un periodo di cinque anni dall'entrata in vigore del regolamento;
    raccogliendo le sollecitazioni che hanno condotto all'approvazione del citato regolamento comunitario è stato da poco adottato nel Regno Unito un tipo di etichettatura per alimenti da supermercato che utilizza i colori del semaforo – verde, giallo e rosso – in una scala in cui il primo colore racconta che il prodotto contiene un ingrediente «sano» e l'ultimo un componente «pericoloso»;
    il sistema, che ora dovrà essere utilizzato ufficialmente da tutte le industrie e non solo in maniera discrezionale dai dettaglianti, è definito «ibrido» perché prevede un'informazione mista, composta da due parti: una tabella con le assunzioni di riferimento (ovvero in quale percentuale cento grammi di prodotto contribuiscono al raggiungimento del fabbisogno giornaliero raccomandato – meglio noto con la sigla gda, guideline daily amounts) e un'indicazione visiva «ad alto impatto» che si serve dei colori del semaforo per segnalare la presenza adeguata (verde) o in eccesso (rossa) di nutrienti critici per la salute, quali grassi, grassi saturi, sale/iodio e zuccheri;
    il colore associato viene scelto in base ai valori di riferimento indicati dalla sintetica tabella guida fornita nel 2007 dalla Food standard agency, agenzia responsabile della salubrità del cibo nel Regno Unito;
    il sistema britannico ha suscitato notevoli perplessità che si fondano sul fatto che non ci sono alimenti buoni o cattivi in assoluto, perché molto dipende dalle quantità e dalle combinazioni: in sintesi è il pasto nel suo complesso che classifica una dieta come equilibrata o squilibrata;
    i colori del semaforo prescindono dalle quantità delle porzioni, per cui una persona può paradossalmente consumare una quantità elevata di alimenti «verdi», assumendo calorie e nutrienti in quantità maggiore rispetto a porzioni più contenute di alimenti «gialli» o «rossi». Il sistema potrebbe risultare diseducativo rispetto all'attenzione verso una dieta equilibrata, dove è buona regola fare un bilancio tra energie assunte e consumate;
    il livello di informazione e consapevolezza del consumatore europeo ed italiano, in particolare, consentirà, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, di accogliere questa novità non come un pericolo ma come un'opportunità per il sistema agricolo ed agroalimentare italiano e lombardo, purché, considerato che l'obbligatorietà di questa procedura creerebbe un'eccessiva rigidità del sistema imponendo alle imprese ulteriori adempimenti, il sistema «semaforo» rimanga volontario e facoltativo;
    indubbiamente è importante che il consumatore sia informato del contenuto nutrizionale dei prodotti in vendita, ma questa informazione dovrà essere completata da quella sull'origine dei prodotti;
    il made in Italy agroalimentare si caratterizza per le sue eccellenze in termini di maggior valore aggiunto per ettaro in Europa, livello di sicurezza e sistema dei controlli alimentari, prodotti a denominazione e produzioni biologiche;
    la crescita costante dell’export testimonia l'indiscutibile ruolo dell'agroalimentare del nostro Paese e del valore attribuito al marchio made in Italy;
    l'agroalimentare made in Italy registra un fatturato nazionale superiore ai 266 miliardi di euro e rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo;
    invece che alla valorizzazione ed alla promozione del vero made in Italy, si assiste ad una vera e propria svendita dell'economia e dei territori italiani, che rischia di danneggiare irrimediabilmente il vero grande patrimonio del Paese;
    occorre prevenire e contrastare l'usurpazione del made in Italy, assicurando la qualità, la salubrità, le caratteristiche e l'origine dei prodotti alimentari, in quanto elementi funzionali a garantire la salute ed il benessere dei consumatori ed il diritto ad un'alimentazione sana, corretta e fondata su scelte di acquisto e di consumo consapevoli;
    le produzioni italiane caratterizzate dall'alta qualità costituiscono da sempre l'eccellenza del mercato agroalimentare e sono unanimemente inserite nei regimi alimentari corretti (dieta mediterranea);
    solo la tutela rigida dell'autenticità dell'indicazione di provenienza potrà consentire una scelta consapevole relativamente alle componenti di un regime alimentare equilibrato;
    pertanto, è fondamentale che il consumatore sia informato al fine di poter compiere scelte alimentari mirate e consapevoli che garantiscano uno stile di vita sano. Questa informazione dovrà essere completa: non solo il contenuto dei vari alimenti in termini di contenuto, ma anche la provenienza di questi alimenti;
    è sempre opportuno tener presente come la garanzia della provenienza dei vari prodotti tuteli la salute dei consumatori quanto, se non più, della consapevolezza sulla composizione degli stessi alimenti: è inutile conoscere il contenuto in grassi di un alimento se lo stesso è adulterato o sofisticato oppure se ne sono state falsificate le origini o le modalità di produzione;
    la commercializzazione di prodotti di imitazione, ovvero che evocano una origine ed una fattura italiana, ma senza possederne le caratteristiche, provocano un danno all'immagine del Paese, come espressione dell'identità culturale dei territori, con grave nocumento alle imprese a causa della concorrenza sleale derivante dalla sottrazione di spazi di mercato e dall'inganno a danno dei consumatori;
    molti controlli operati, soprattutto nel settore delle carni suine, hanno già evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
    l'articolo 26, comma 2, lettera b), del regolamento (UE) n. 1169/2011, oltre che inserire come obbligatoria l'indicazione di alcune informazioni nutrizionali fondamentali, impone come obbligatoria l'indicazione del Paese di origine o del luogo di provenienza per una serie di prodotti, tra cui le carni di animali della specie suina, fresche, refrigerate o congelate, rinviando l'applicazione della norma a successivi atti di esecuzione da adottare entro il 13 dicembre 2013;
    l'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nel disciplinare le relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli ed agroalimentari, vieta condotte commerciali sleali al fine di impedire che un contraente con maggiore forza commerciale possa abusarne, imponendo condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose per la controparte più debole;
    in Italia, la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno e sono oltre 26.200 gli allevamenti di suini ampiamente diffusi su tutto il territorio nazionale;
    in Italia, rispetto a 73,5 milioni di cosce suine consumate, 57,3 milioni sono di importazione, 24,5 milioni sono di produzione nazionale e 8,3 milioni vengono avviate all'esportazione;
    i dati relativi alle importazioni di cosce fresche riportano percentuali altissime riferite alla provenienza di prodotti da alcuni Stati dell'Unione europea;
    sulla base di dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (Anas) risulta che l'Italia, nel 2012, ha importato, solo dalla Germania, il 52 per cento di suini vivi e carni suine, per un totale di 535.309 tonnellate;
    da articoli apparsi sulla stampa europea è emerso che l'efficienza dell'industria della carne suina in Germania è basata su prodotti a basso costo, operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento non sostenibili, con gravi ripercussioni sulla salute dei consumatori legate all'eccessivo impiego di antibiotici,

impegna il Governo:

   a promuovere tutte le iniziative più opportune al fine di prevenire le pratiche fraudolente o ingannevoli ai danni del made in Italy o, comunque, ogni altro tipo di operazione o attività commerciale in grado di indurre in errore i consumatori e, ancora, ad assicurare la più ampia trasparenza delle informazioni relative ai prodotti alimentari ed ai relativi processi produttivi e l'effettiva rintracciabilità degli alimenti;
   ad intervenire nelle sedi opportune affinché il tipo di etichettatura per alimenti da supermercato che utilizza i colori del semaforo utilizzato nel Regno Unito trovi diffusione solo come opzione volontaria e facoltativa e venga necessariamente abbinato agli strumenti per la tutela dell'origine degli alimenti, con particolare riferimento alla tutela del made in Italy;
   a chiedere, in sede europea, il rispetto del termine del 13 dicembre 2013, imposto dal regolamento (UE) n. 1169/2011, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del Paese di origine o del luogo di provenienza, con particolare riferimento alle carne suine;
   ad emanare, nelle more dell'approvazione a livello comunitario dei suddetti provvedimenti di esecuzione, i decreti attuativi della legge n. 4 del 2011 per introdurre l'obbligo di etichettatura, in particolare delle carni suine, avviando, altresì, opportune campagne di informazione per gli organi di controllo e per i consumatori sulle normative in materia di etichettatura dei prodotti alimentari e di indicazioni di origine;
   a rendere noti e pubblici i riferimenti delle società eventualmente coinvolte in pratiche commerciali ingannevoli, fraudolente o scorrette finalizzate ad immettere sui mercati finti prodotti made in Italy ed i dati dei traffici illeciti accertati;
   a dare attuazione, con specifico riferimento al commercio delle carni suine, all'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, al fine di contrastare pratiche commerciali sleali poste in essere, ai danni degli allevatori, in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza;
   ad adottare, anche per le carni suine, un sistema analogo a quello previsto dall'articolo 10 della legge 14 gennaio 2013, n. 9, che reca norme sulla qualità e sulla trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, al fine di rendere accessibili a tutti gli organi di controllo ed alle amministra zioni interessate le informazioni ed i dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine di tutti i prodotti alimentari, nonché ad assicurare l'accesso ai relativi documenti da parte dei consumatori, anche attraverso la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche.
(1-00227)
(Nuova formulazione) «Rondini, Giancarlo Giorgetti, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera».

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Quartapelle Procopio n. 5-01651 del 4 dicembre 2013.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Vacca e altri n. 4-01570 del 5 agosto 2013 in interrogazione a risposta orale n. 3-00510;
   interrogazione a risposta scritta Parentela e altri n. 4-02848 del 5 dicembre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01680.