XVII LEGISLATURA
ATTI DI CONTROLLO
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro della giustizia, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia;
la legge 4 maggio 1983, 184 «Diritto del minore ad una famiglia» e successive modificazioni, prevede l'affidamento del minore ad una famiglia o ad una persona singola in grado di garantirgli il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno nel caso in cui il minore sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo o, qualora questo non sia possibile, l'inserimento in una comunità di tipo familiare o in un istituto di assistenza pubblico e privato;
la condizione dei minori allontanati dalla famiglia di origine con provvedimento di un'autorità giudiziaria è in Italia e nel resto del mondo oggetto di discussioni e confronti spesso aspri;
la legge n. 184 del 1983 prevede altresì il diritto del minore alla propria famiglia, precisando «le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la responsabilità genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto»;
l'articolo 2 della legge n. 219 del 2012 cha ha conferito la delega al Governo per la modifica delle disposizioni in materia di filiazione e di dichiarazione dello stato di adottabilità ha introdotto tra i numerosi principi e criteri direttivi dettati dal comma 1 la specificazione della nozione di abbandono morale e materiale del figlio, con riguardo all'irrecuperabilità delle capacità genitoriali, fermo restando che le condizioni di indigenza non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia (lettera n);
il decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 «Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell'articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219», pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 5 dell'8 gennaio 2014, che entrerà in vigore il 7 febbraio 2014, emanato in attuazione della suddetta delega, ha introdotto modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, tra le quali l'introduzione dell'articolo 79-bis che prevede che il giudice segnali ai comuni le situazioni di indigenza di nuclei familiari che richiedono interventi di sostegno per consentire al minore di essere educato nell'ambito della propria famiglia;
in una risoluzione del 2009 (Linee guida relative all'accoglienza eterofamiliare dei minori, adottate dall'Assemblea generale delle Nazioni unite il 18 dicembre 2009 con risoluzione A/RES/64/142, pubblicata il 24 febbraio 2010), le Nazioni Unite impegnano gli Stati con ogni mezzo (finanziario, psicologico e organizzativo) a preservare il rapporto del minore con la sua famiglia di origine e ad impedire che il bambino ne debba uscire e, in tal caso, ad agevolarne il rientro dettando criteri ben precisi sull'affidamento temporaneo, quali: che il minore sia tenuto in luoghi vicini alla sua residenza abituale; che si ponga attenzione a che il minore non sia oggetto di abuso o sfruttamento; che l'allontanamento si prospetti temporaneo e si cerchi di preparare il rientro in famiglia al più presto possibile; che il dato della povertà familiare non sia da solo sufficiente a giustificare l'allontanamento del minore; che i motivi d'ordine religioso, politico ed economico non siano mai causa principale dell'invio di un minore fuori famiglia; che sia preferita, ove possibile, l'assegnazione ad un ambiente familiare rispetto all'istituto (soprattutto sotto i tre anni d'età). In tutti i casi, comunque, si richiede il coinvolgimento del minore nelle decisioni che lo riguardano;
in Italia durante la fase transitoria pre-affidataria, il bambino viene accolto presso comunità di tipo famigliare (cosiddette «case famiglia»), con sede in civili abitazioni, per la durata dell'impedimento o del periodo di difficoltà, con l'obiettivo principale di trovare successivamente una collocazione familiare;
nel provvedimento di affidamento familiare devono essere indicate specificatamente le motivazioni e la durata dell'affidamento, che deve essere rapportabile al complesso di interventi volti al recupero della famiglia d'origine. Tale periodo non può superare la durata di ventiquattro mesi ed è prorogabile, dal tribunale per i minorenni, qualora la sospensione dell'affidamento rechi pregiudizio al minore;
nei fatti, in Italia, tale pratica giuridica sottopone il minore ad un lungo ed estenuante iter prima dell'affidamento dando luogo al fenomeno dei cosiddetti «allontanamenti facili»;
secondo la prassi che vige negli affidamenti temporanei, da quando il giudice tutelare assegna il minore alla casa famiglia al termine delle verifiche da parte degli uffici competenti e si dispone l'affidamento, trascorrono addirittura anni (la media si aggira intorno ai 3 anni), dando origine a vergognose lunghissime permanenze nelle case famiglia con ripercussioni gravissime sulla salute e sulla formazione del minore;
recenti stime attestano che il numero di bambini fuori famiglia è oscillato in Italia negli ultimi anni tra le 25 e 30 mila unità rispetto agli anni passati, e che l'affidamento temporaneo è cresciuto intorno al 24 per cento;
in Italia non esiste un sistema di monitoraggio strutturato a livello istituzionale che rilevi dati omogenei e confrontabili, né tanto meno una mappatura degli istituti residenziali di accoglienza, sulla qualità di tali strutture, sulla qualifica del personale, sul valore dei servizi erogati e sulla progettualità dell'affido;
la mancanza di rilevazioni periodiche e di una vera e propria organizzazione a livello istituzionale hanno portato, in molti casi, alla necessità di proporre valori di stima per molte realtà regionali, evidenziando serie difficoltà nel reperire informazioni trasparenti sul fenomeno dei bambini fuori dalla famiglia e sulle loro condizioni di vita nelle comunità residenziali di accoglimento, rendendoli dei bambini invisibili;
stime recenti fanno riferimento a più di 1.800 centri, con alcune regioni, come l'Emilia, il Lazio, la Lombardia e la Sicilia, che registrano una concentrazione di 300 strutture. Una discreta differenziazione, in termini quantitativi, si riscontra anche fra le regioni del Sud: in assoluto, la regione che presenta il maggior numero delle strutture è la Sicilia con 63 Istituti per minori. In definitiva, emerge che in Italia ci sono oltre 30 mila minori ospitati presso strutture di accoglienza;
dal rapporto elaborato dall'istituto degli Innocenti con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali pubblicato nel 2011 emerge un quadro complesso e variegato dei bambini fuori famiglia le cui risultanze risentono delle difficoltà di copertura territoriale dei monitoraggi attivi;
in assenza di informazioni attendibili su ciò che avviene nelle case famiglia, i minori passano dalla condizione di «allontanati» a quella di «abbandonati», spesso senza possibilità di avere contatti col mondo esterno;
a quanto ci è dato sapere, poco meno di un bambino su 10 presenta una qualche forma di disabilità certificata o un motivo grave per giustificare un allontanamento dalla famiglia: infatti oltre il 50 per cento degli inserimenti in struttura è dovuto soprattutto ad inadeguatezza/incapacità genitoriale o assenza di una rete famigliare adeguata o problemi giudiziari di uno o entrambi i genitori: motivi che consentirebbero di agire in prima istanza attraverso un'adeguata azione domiciliare dei servizi sociali;
l'allontanamento del minore dalla famiglia e la sua conseguente istituzionalizzazione rappresenta un vero e proprio trauma per il bambino che nella maggior parte dei casi viene strappato nel giro di pochi giorni dal nucleo familiare senza che sia predisposto un percorso psicologico di sostegno, e deve attendere mesi, e spesso anni, per essere reinserito;
sono numerosissime le segnalazioni pervenute in questa e nelle precedenti legislature alla Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, da parte di privati e associazioni no profit, che denunciano il cosiddetto fenomeno degli «allontanamenti facili», quasi tutti conseguenza di analisi frettolose di separazioni conflittuali o di difficoltà economiche familiari;
altrettanto numerose risultano le denunce da parte di genitori nei riguardi delle strutture in cui versano i figli «ospitati», nella maggior parte dei casi edifici inospitali, con carenze igienico-sanitarie e inagibili o peggio ancora denunce di casi di maltrattamenti e abusi sui minori;
il controllo dei «flussi» impone un'azione urgente dal punto di vista della sicurezza negli Istituti dove spesso si celano casi di maltrattamenti, adescamento e pedofilia, prima che diventino casi di cronaca nera come quello relativo alla cooperativa Forteto, dopo trentanni oggi finalmente sotto inchiesta;
ogni minore ospitato in una casa-famiglia costa mediamente intorno ai 200 euro al giorno, una retta che viene erogata fino a quando il minore risiede nella struttura;
la Federcontribuenti stima in 2 miliardi di euro la spesa pubblica annua destinata a sostenere gli affidamenti di minorenni;
sussiste un «turnover» di bambini allontanati, per cui abbiamo circa 10.000 dimessi a fronte di un pari numero di nuovi ingressi nelle case famiglia;
da quanto è emerso, anche a seguito di recenti inchieste giornalistiche, il fenomeno degli «allontanamenti facili» ha assunto sempre più la connotazione di un vero e proprio giro d'affari dove i minori rappresentano merce di scambio per lucrare sui fondi destinati all'accoglienza residenziale dei minori;
le residenze protette possono rappresentare una risorsa importante per la tutela del minore in difficoltà, ma a condizione che la permanenza del bambino venga gestita, contrariamente a quanto avviene nella realtà, in modo trasparente e con criteri precisi, avendo come obiettivo quello di preservare, il minore da traumi psicologici e assicurargli una collocazione familiare in tempi ragionevoli;
è affidato alle Regioni – previa verifica dei requisiti minimi fissati dalla legge nazionale – il compito di controllare di propria iniziativa e sotto la propria responsabilità le case famiglia già esistenti e autorizzare l'eventuale apertura delle nuove, che devono soddisfare anche requisiti specifici oltre a quelli standard, stabiliti dalle singole regioni di appartenenza;
di fatto, anche sotto il profilo amministrativo, non esiste alcun controllo sulla gestione delle case famiglia e sul corretto utilizzo delle risorse loro assegnate esclusivamente a favore degli «ospiti»;
in Italia, rispetto ad altri paesi europei, si ravvisano troppe deleghe affidate ai vari ministeri: la mancanza di un unico soggetto con piena e totale competenza in materia, o almeno titolare di poteri di coordinamento, genera inevitabilmente incertezza e confusione –:
se alla luce di quanto emerso, i Ministri interpellati intendano assumere iniziative per avviare un censimento finalizzato alla rilevazione esatta delle residenze protette presenti su tutto il territorio nazionale al fine di tracciare la mappatura delle stesse;
se non ritengano altresì necessario introdurre, di concerto con le singole realtà regionali, un sistema di rilevazione sistematica dei dati sulla condizione dei bambini fuori famiglia ed un monitoraggio periodico sulle strutture residenziali di accoglienza, istituendo un apposito registro degli affidamenti temporanei, attivo invece in molti Paesi europei;
se risultino avviate indagini a seguito delle numerose denuncie nelle quali si segnalavano negligenze e condotte asseritamente illecite degli operatori;
se non ritenga necessario assumere iniziative normative per istituire, anche riconsiderando l'attuale assetto delle competenze costituzionali, nuovi e più rigorosi meccanismi di controllo per garantire la sicurezza e la protezione dei minori nelle comunità prevedendo l'istituzione di organi di vigilanza (anche indipendenti) per individuare meccanismi di verifica della validità e della utilità dei progetti di affido previsti per ciascun minore;
se non si ritenga opportuno, ogniqualvolta ne emergono i presupposti, inviare apposite ispezioni del comando dei carabinieri per la tutela della salute onde verificare la sussistenza delle condizioni di idoneità igienica dei luoghi adibiti a casa famiglia e degli istituti residenziali di accoglienza presenti sul territorio italiano;
come intendano procedere, nell'ambito delle rispettive competenze, per promuovere nelle opportune sedi di confronto con le regioni e gli enti locali il regolare controllo sulla costante sussistenza da parte delle comunità censite dei requisiti previsti per legge adeguati alle necessità educative-assistenziali dei bambini e degli adolescenti ospitati e verificare che il rendiconto delle spese da esse sostenute sia pubblicizzato e giustificato;
quali misure tempestive intendano adottare, in raccordo con gli enti pubblici coinvolti, per rendere trasparente la gestione dei fondi pubblici stanziati per l'accoglienza dei minori nelle strutture residenziali e il loro effettivo e corretto stanziamento da parte delle amministrazioni locali;
se non valutino opportuno, nell'ambito di una generale riflessione sullo stato delle politiche sociali e familiari in Italia, assumere iniziative normative per ridefinire i ruoli e le competenze di chi è deputato alla tutela del minore fuori dalla famiglia (il giudice tutelare e gli assistenti sociali in primo luogo) al fine di migliorare le procedure di affidamento familiare e disincentivare la odiosa prassi degli allontanamenti «non giustificati» e i continui «spostamenti» dei minori da una struttura all'altra, nonché favorire programmi di supporto a sostegno della genitorialità da attivare all'interno della famiglia stessa, incentivando l'ascolto del minore interessato;
se intendano intraprendere, nella prospettiva di una prossima realizzazione del piano nazionale di azione per l'infanzia e l'adolescenza, misure strategiche ed iniziative normative, anche di revisione dell'attuale quadro costituzionale di ripartizione delle competenze, tali da superare l'attuale frammentazione delle competenze tra più organi statali, regionali e locali, al fine di garantire la corretta tutela dei minori in difficoltà e una migliore distribuzione delle risorse economiche sul territorio, per ridare dignità ad un istituto giuridico importante come quello dell'affido temporaneo.
(2-00373) «Brambilla, Binetti, Amato, Fucci, Argentin, Biondelli, Grassi, Gigli, Piepoli, Ravetto, Calabria, Santelli, Chiarelli, Matarrelli, Castiello, Palmizio, Archi, Picchi, Polverini, Petrenga, Marti, Sammarco, Bossi, Scopelliti, Buonanno, Rondini, Fedriga, Vargiu, Palese, Latronico, Borghesi, Nastri, Totaro».
Interrogazione a risposta orale:
SANTELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
dovrebbero arrivare in Italia due navi danesi che giungono dalla Siria con 350 tonnellate di armi chimiche;
tali navi siriane sarebbero state rifiutate sia dalla Francia che dall'Albania;
l'Italia avrebbe, invece, dato risposta positiva alla richiesta americana;
il porto scelto dal Governo italiano per ospitare il passaggio del carico sarebbe quello di Gioia Tauro –:
se realmente il Governo italiano abbia dato disponibilità al passaggio del carico per un porto situato sul territorio italiano;
se tale porto sarebbe realmente stato individuato in quello di Gioia Tauro.
(3-00564)
Interrogazione a risposta in Commissione:
DE ROSA, TRIPIEDI, TERZONI, BUSTO, DAGA, ZOLEZZI, MANNINO e SEGONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
il comitato provinciale Monza e Brianza per l'acqua pubblica, ora comitato beni comuni di Monza e Brianza, ha presentato ricorso straordinario al Presidente della Repubblica avverso il provvedimento del 1o dicembre 2011 del Consiglio di amministrazione dell'ufficio d'ambito territoriale omogeneo della provincia di Monza e Brianza con il quale si imponeva alle patrimoniali di sottoscrivere uno schema di convenzione con Brianzacque;
per tale ricorso, il cui numero di R.G. è 98/2013, il giorno 13 febbraio 2013, si è tenuta adunanza al Consiglio di Stato, seconda sezione, per la discussione;
la relazione n. 46976 del 10 dicembre 2010 del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, firmata e spedita al Consiglio di Stato, pur non riconoscendo la legittimazione ad agire da parte del ricorrente, nel merito dichiara fondate le istanze del Comitato come segue: «È altresì condivisibile quanto sostiene il ricorrente, con il secondo motivo del ricorso, in ordine alla mancanza, da parte di Brianzacque srl, dei requisiti giuridici per essere affidataria diretta della gestione del servizio idrico integrato (...). Il conferimento in proprietà delle reti idriche, ad una società per azioni, anche se a capitale interamente pubblico, trasformerebbe le reti medesime in patrimonio aziendale privato e le renderebbe pertanto soggette a trasferimento in favore di un terzo o ad azioni esecutive, con violazione degli articoli 822, 823 e 824 del codice civile;
il Comitato beni comuni Monza e Brianza ha inviato anche alla Autorità garante della concorrenza e del mercato medesima istanza e che l'istruttoria dell'autorità ha di fatto confermato le tesi del Comitato;
il 17 ottobre 2012 l'Autorità garante della concorrenza e del mercato si è convocata in adunanza e si è espressa in questi termini: «l'affidamento in house a Brianzacque è avvenuto in assenza dei necessari requisiti per tale forma di affidamento», «questi ultimi, infatti, devono logicamente essere integrati dalla società a ciò individuata, al momento stesso in cui le viene conferito l'affidamento del servizio senza che il possesso integrale degli stessi possa essere rimandato ad un momento successivo nel tempo.»;
successivamente l'AGCM, con nota del 12 febbraio 2013 ha comunicato di aver riaperto una pratica per verificare l'applicabilità delle disposizioni di cui alla legge n. 287 del 1990, ovvero la possibilità di procedere, tramite l'Avvocatura dello Stato, alla presentazione del ricorso avverso i provvedimenti adottati dalla provincia di Monza e Brianza;
con nota del 3 maggio 2013 l'AGCM comunicava che: «ogni ulteriore atto di proroga del termine di conclusione del necessario processo di riorganizzazione di Brianzacque integrerebbe una violazione dei principi e delle norme di concorrenza» da rispettarsi, ai sensi della giurisprudenza europea, per un legittimo ricorso all'affidamento in house e sarebbe, pertanto suscettibile di un intervento della stessa Autorità ai sensi dell'articolo 21-bis della legge n. 287 del 1990;
sul bollettino dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato n. 44 dell'11 novembre 2013 veniva poi pubblicata ulteriore segnalazione relativa all'illegittimo affidamento del servizio idrico avvenuto a favore di Brianzacque srl;
l'AGCM: o segnala gli effetti distorsivi della concorrenza che derivano dai vari atti con cui nel tempo il Servizio idrico integrato è stato oggetto di affidamento diretto a Brianzacque senza che ne ricorressero le condizioni, o ribadisce che i requisiti richiesti dalla giurisprudenza europea per ammettere affidamenti diretti devono preesistere all'affidamento, o auspica che, a fronte delle perduranti irregolarità del regime di affidamento diretto del Servizio idrico integrato alla società Brianzacque, questa società, nel rigoroso rispetto del termine del 31 dicembre 2013, possa conformarsi al modello dell’in house providing;
nell'ambito del processo di riorganizzazione che ha portato all'affidamento del servizio a Brianzacque i progetti di fusione che prevedono l'incorporazione delle patrimoniali socie di Brianzacque in questa società (la fusione di ALSI in Brianzacque è appena stata approvata dalle rispettive assemblee), comportano che la stessa acquisisca la proprietà di reti e impianti del servizio idrico; ciò appare in palese violazione dei principi espressi dalla Corte costituzionale con sentenza n. 320/2011, con la quale si chiarisce che il vincolo della proprietà pubblica non può essere trasferito a una società che, pur avendo la totalità delle quote nelle mani degli enti, è un organismo di diritto privato e non può essere proprietaria delle reti che sono demaniali e inalienabili (contrasto con i principi espressi dalla Corte costituzionale con sentenza n. 320/2011 e con l'articolo 150, comma 3, del Codice dell'Ambiente);
con la delibera di fusione «inversa» di ALSI SpA in Brianzacque srl si determina inoltre l'estinzione di ALSI SpA, patrimoniale cosiddetta «conforme», in un soggetto nato per essere esclusivamente erogatore del servizio. Tale atto, oltre ad essere secondo gli interrogati illegittimo per il fatto che conferisce il patrimonio ad un soggetto non avente i requisiti per esercitare in house la gestione del sistema idrico integrato, dato che non ha nemmeno la metà del capitale di diretta proprietà dei comuni soci (violazione articolo 150, comma 3 del Codice dell'Ambiente), determina la confusione del consistente patrimonio di ALSI SpA in Brianzacque, che ha un consistente saldo debitorio. Basti pensare che ALSI SpA ha debiti pari al 33 per cento del patrimonio netto, mentre Brianzacque pari al 104 per cento del patrimonio netto (quasi uno stato di default). In tale quadro si segnala anche l'arresto dell'ex presidente Raho e di un funzionario di Brianzacque per episodi di corruzione legati all'inchiesta clean city;
vi è il rischio di applicazione di sanzioni interdittive previste dal decreto legislativo n. 231 del 2001 nei confronti di Brianzacque per atti compiuti dai suoi organi;
in data 3 gennaio 2014 il Consiglio di Stato in relazione al ricorso n. 98/2013 ha richiesto al Ministero di trasmettere copia del fascicolo relativo al contenzioso alla autorità garante della concorrenza e del mercato assegnando 60 giorni di tempo affinché l'Autorità emetta un parere circa la legittimità dell'affidamento a Brianzacque srl;
è necessario evitare che la costante violazione di legge posta in essere dall'ATO di Monza e Brianza determini una irreversibile situazione tale per cui i beni idrici attualmente classificati come beni demaniali in quanto appartenenti alla ALSI SpA definita «patrimoniale conforme» – giacché costituita, prima del 2008, ai sensi dell'articolo 113, comma 13 del TUEL, ovvero prima dell'implicita abrogazione della citata norma, conseguente all'entrata in vigore dell'articolo 23-bis, comma 5, del decreto-legge n. 112 del 2008, come rileva la Corte Costituzionale con sentenza n. 320/2011, – vengano confusi, per effetto di fusione societaria, nel patrimonio della Brianzacque srl soggetto non avente i requisiti di legge per essere considerata in house e che non può detenere, alla luce dei principi espressi con la suddetta sentenza della Corte costituzionale, la proprietà di reti e impianti, posto che è evidente come il principio di buon andamento, trasparenza ed economicità dell'azione amministrativa sia palesemente violato dall'ATO di Monza e Brianza –:
se il Ministro, stante l'asserita condivisione nel merito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare circa le ragioni chieste a tutela da parte del Comitato acqua pubblica (ora Comitato Beni Comuni Monza e Brianza) non ritenga, di rivedere le proprie posizioni circa la legittimazione attiva del Comitato, oltre a fornire adeguata collaborazione e supporto all'Autorità garante per la concorrenza e il mercato ove richiesto. (5-01906)
Interrogazione a risposta scritta:
DEL GROSSO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
su proposta del Presidente del Consiglio, il 27 dicembre scorso il Consiglio dei ministri ha prorogato di sei mesi l'incarico di commissario straordinario del Governo, «inviato speciale» presso il Governo indiano per la trattazione della vicenda dei due fucilieri appartenenti al reggimento della Marina Militare «Brigata San Marco», conferito a Staffan De Mistura –:
quale sia l'impegno di spesa totale assunto dal Governo per l'incarico conferito nel cosiddetto «decreto Mille proroghe» all'inviato speciale Staffan De Mistura e quali siano ad oggi le spese totali di retribuzione e le spese accessorie dello stesso inviato speciale fin dall'inizio del mandato, al fine di risolvere la contesa dei due Marò con l'India. (4-03200)
AFFARI ESTERI
Interpellanza:
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri, il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, per sapere – premesso che:
Mario Pescante, membro del Cio, in occasione del Consiglio Nazionale del Coni riunito a Milano ha dichiarato, a proposito degli imminenti giochi olimpici invernali a Sochi: «È assurdo che un Paese invii in Russia quattro lesbiche solo per dimostrare che in quel Paese i diritti dei gay sono calpestati. Lo facciano in altre occasioni», in polemica con l'annunciato invio, da parte degli Usa, di una rappresentanza americana alla cerimonia inaugurale composta da quattro lesbiche;
lo stesso Pescante, schierandosi palesemente contro la strumentalizzazione, a suo dire, da parte della politica internazionale delle prossime Olimpiadi invernali, ha anche aggiunto: «I Giochi non possono essere l'occasione e il palcoscenico per rivendicare diritti che lo sport sostiene quotidianamente. E meno male che 2700 anni fa si fermavano anche le guerre per i Giochi. Ora assistiamo a atti di terrorismo politico. Su questo farò un intervento al Cio;
non in sintonia con quanto affermato da Pescante, il presidente del Comitato italiano paralimpico, Luca Pancalli, ha dichiarato: «Che i giochi olimpici siano un momento di amplificazione per temi sociali e importanti è nell'ordine delle cose, è fisiologico, è talmente importante l'evento che non mi meraviglio si coinvolgano anche fattori extra sportivi, è sempre stato così anche in passato. Non ci vedo nulla di sbagliato o problemi di sorta, se si colgono le occasioni per accendere riflettori su tematiche sociali importanti, credo sia fisiologico»;
è doveroso ricordare che il presidente russo, Vladimir Putin, ha da tempo reso noto il suo pensiero in merito alla «manifestazione» di atteggiamenti omosessuali in pubblico dichiarando, tra le altre: «Intendo difendere il nostro popolo da certi pseudovalori che i nostri cittadini fanno fatica spesso ad accettare, da alcuni gruppi sociali aggressivi che vogliono imporre il loro punto di vista su altri Paesi»;
a parere degli interroganti, quelle di Pescante sono affermazioni gravi non solo in relazione al rispetto dei diritti dei gay e a ciò che, invece, lo sport può rappresentare nel rispetto dei diritti civili e umani, ma anche in relazione all'immagine del nostro Paese nel consesso internazionale;
l'associazione Arcilesbica ha commentato le parole di Pescante: «Lo sport non è a priori veicolo di civiltà: lo è se chi lo rappresenta e lo vive si fa carico veramente e con coerenza del suo potere di accoglienza, valorizzazione delle differenze, inclusione, conoscenza e libertà. Chi non capisce questo non solo non rappresenta il vero spirito della sport, ma non può rappresentare e lavorare nemmeno a una grande manifestazione di civiltà come dovrebbero essere i giochi Olimpici»;
tali dichiarazioni, ad avviso degli interroganti, contrastano pesantemente con la posizione assunta dall'Italia sul rispetto dei diritti umani nel mondo –:
se i Ministri interpellati ritengano di intervenire con riferimento alle dichiarazioni di Mario Pescante lesive dell'immagine del nostro Paese nel mondo al fine di chiarire che la posizione italiana non è in alcun modo rappresentata da quanto dichiarato dal Presidente Pescante.
(2-00372) «Spadoni, Di Vita, Di Battista, Manlio Di Stefano, Cecconi, Grande, Sibilia, Baroni, Del Grosso, Silvia Giordano, Scagliusi, Dall'Osso, Tacconi, Grillo, Lorefice, Mantero».
Interrogazione a risposta scritta:
MERLO e BORGHESE. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
l'Italia oggi nel mondo è rappresentata attraverso le strutture consolari e le ambasciate che svolgono un ruolo importante per la cooperazione politica, la promozione delle relazioni economiche, la cooperazione allo sviluppo, la cooperazione culturale e scientifica e per i servizi ai cittadini residenti all'estero;
nel luglio 2013 il Ministero degli affari esteri, al fine di proseguire una razionalizzazione della rete consolare estera, ha elaborato uno studio di rivisitazione della rete stessa, strutturato in tre fasi, che prevedeva la soppressione progressiva di numerose sedi;
per l'attuazione di questo piano il Ministero avrebbe dovuto chiedere ai sensi della legge 6 novembre 1989, n. 368, articolo 3, comma 1, un parere obbligatorio al Consolato generale degli italiani all'estero (CGIE). Parere ancora non richiesto;
solo poche settimane fa, in occasione dell'Assemblea Plenaria del CGIE tenutasi a Roma, il Ministro, pro tempore, degli affari esteri aveva solennemente riconfermato l'impegno suo e del Ministero per la tutela dei diritti degli oltre 4 milioni di italiani residenti all'estero;
recentemente, oltre alle chiusure già previste dallo studio di rivisitazione, è stata annunciata la soppressione di altre sedi, tra le quali l'Ambasciata italiana a Santo Domingo e il Consolato di Montevideo, declassato a Cancelleria;
l'ambasciata d'Italia a Santo Domingo garantisce servizi per una circoscrizione consolare che comprende anche diverse isole dei Caraibi, fra cui Giamaica, Antigua, Bermuda. La Repubblica Dominicana, da sola, riceve oltre 100 mila turisti italiani ogni anno, un numero destinato a crescere. In essa vivono circa 50 mila italiani, di cui quasi 10 mila regolarmente iscritti all'Aire. I rapporti fra Repubblica Dominicana e Italia sono in costante crescita;
in caso di chiusura dell'ambasciata d'Italia a Santo Domingo, per ottenere i servizi consolari (visti, passaporti, carte d'identità, certificazioni etc.) probabilmente bisognerebbe rivolgersi alle Ambasciate d'Italia a Panama o a Caracas;
la chiusura del Consolato di Montevideo rappresenterebbe un unicum nel piano di riorientamento della rete consolare disposta dal Ministero degli affari esteri, in quanto, colpirebbe la capitale di uno Stato;
è opportuno sottolineare la qualità del lavoro svolto dalla nostra rete diplomatica consolare italiana spesso sotto dimensionata rispetto ad una crescente domanda di assistenza e tutela da parte dei nostri concittadini all'estero –:
se il Ministro, alla luce di quanto in premessa, non ritenga di dover sospendere la riorganizzazione della rete consolare italiana così come fin qui delineata e di dover avviare, nelle opportune sedi, un confronto con quanti, istituzionalmente, si occupano delle problematiche relative ai cittadini italiani residenti all'estero (Associazioni, Comites e Consolato generale degli italiani all'estero);
per quale motivo sia stato secondo gli interroganti palesemente disatteso il dettato del comma 1 dell'articolo 3 della legge n. 368 del 1989 che prevede un parere obbligatorio del Consolato generale degli italiani all'estero sugli orientamenti del Governo in materia di riforma dei servizi consolari;
se il declassamento del consolato di Montevideo a cancelleria comporti una riduzione del personale impiegato, già considerato insufficiente rispetto alle necessità di un bacino di utenza di circa 120 mila connazionali. (4-03189)
AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
Interrogazioni a risposta scritta:
LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
i consorzi di bonifica si configurano come enti di diritto pubblico economico dotati di propria personalità giuridica, proprio patrimonio e proprio personale dipendente, il quale è sottoposto al rapporto d'impiego di diritto privato. Essi trovano il fondamento giuridico della propria costituzione nel regio decreto 13 febbraio 1933, n. 215, recante «nuove norme per la bonifica integrale»;
tali consorzi di bonifica ricevono annualmente tributi dai cittadini. Si tratta di tributi speciali che il consumatore di un bene o l'utente di un servizio è tenuto a pagare indipendentemente da una specifica richiesta, come corrispettivo di un vantaggio che gli è derivato dal compimento di un'attività di interesse generale da parte dell'ente pubblico. Tuttavia, come da costante giurisprudenza è emersa la necessità che tali contributi, per essere legittimamente inviati ai contribuenti, debbano prima di tutto indicare la motivazione sottesa agli stessi, nonché il tipo di vantaggio fondiario direttamente e strettamente incidente sull'immobile oggetto di contribuzione. L'onere della prova è a carico dell'ente impositore;
la necessità di un vantaggio, quale presupposto per la contribuzione, è stata affermata da diverse sentenze della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (Cass. S.U. 6 febbraio 1984 n. 877, Cass. 8 luglio 1993 n. 7511 e Cass. S.U. n. 8960 del 1996), le quali hanno stabilito che, ai fini della contribuzione, gli immobili devono conseguire un incremento di valore direttamente riconducibile alle opere di bonifica ed alla loro manutenzione;
sulla base di quanto detto, non è ben chiara l'attualità del regio decreto 13 febbraio 1933, n. 215, concepito quando c'era un'altra Italia, e che non può essere considerato ancora attuale, soprattutto a fronte dell'attuale dibattito politico italiano laddove la maggioranza si propone di ridurre o eliminare l'IMU e sulla stessa proprietà per una parte degli italiani viene tenuta questa tassa, che altro non è che una patrimoniale iniqua;
peraltro, anche sulla necessità di eliminare i consorzi di bonifica integrale, nel tempo si sono spese un po’ tutte le parti politiche, sono state presentate interrogazioni, disegni di legge in proposito senza che però sia mai stato adottato alcun incisivo provvedimento in merito. Anzi, le regioni, che oggi hanno la competenza in materia, tendono più ad approvare normative «salva-consorzi» senza procedere ad una seria analisi della loro utilità relativamente ai costi per la pubblica amministrazione e per i cittadini –:
quali siano, per gli aspetti di competenza, le intenzioni del Governo a questo proposito;
se il Ministro non ritenga utile, nell'ambito delle sue competenze, adoperarsi al fine di superare un quadro normativo molto risalente nel tempo e obsoleto, anche alla luce del fatto che non si capisce bene quale sia l'utilità della presenza di più enti sullo stesso territorio regionale, a cui vengono affidate le medesime competenze relative alla salvaguardia del territorio, ad esempio autorità di bacino, genio civile, province, consorzi, comunità montane, parchi;
quale sia l'utilità di tali consorzi alla luce del costante peggioramento della sicurezza idrogeologica del territorio italiano in conseguenza del quale modesti eventi meteorologici causano danni a cose e/o persone con gravissime ricadute sul piano dei costi umani e materiali;
se non si possano recuperare dalla soppressione di questi enti, sulla cui gestione interna peraltro molto vi sarebbe da osservare, almeno una parte delle risorse necessarie per porre in essere l'ormai ineludibile azione di risanamento del dissesto idrogeologico in cui versano decine di migliaia di chilometri quadrati del nostro territorio, ciò è reso ancora più doveroso dalla grave situazione di contingenza economica che impone una drastica eliminazione degli sprechi nella pubblica amministrazione. (4-03198)
PARENTELA, NESCI, BARBANTI, DIENI, BUSTO, TOFALO, GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI e L'ABBATE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
da circa un mese è nato sul territorio un comitato spontaneo popolare contro la discarica dal nome «NO discarica Battaglina» che sta manifestando insieme ai sindaci di tutti i comuni limitrofi la volontà contraria all'opera in oggetto. Il 9 gennaio 2014 infatti, insieme a migliaia di cittadini hanno sfilato pacificamente nel centro storico di Borgia contro quella che se realizzata sarebbe la più grande discarica in Europa;
con delibera n. 52 del 7 novembre 2007 il comune di Borgia (Cosenza) concedeva alla SIRIM Srl l'uso del suolo necessario alla realizzazione di un'impianto denominato Isola Ecologica di recupero e smaltimento rifiuti «Battaglina» – originariamente comprendente un centro di raccolta per rifiuti differenziati con annessa discarica per rifiuti non pericolosi di 2.938.210 mc – allo stato attuale per effetto di prescrizioni della regione Calabria l'opera cantierata si riduce esclusivamente alla realizzazione della suddetta discarica, la quale potrebbe ricevere, considerata l'emergenza e l'ordinanza regionale n. 41 del 10 maggio 2013, ogni tipologia di rifiuti;
l'area in questione gode di bel panorama in cui si può ammirare il mar Tirreno, il golfo di S.Eufemia, il mar Ionio, la piana di Lamezia Terme, la città di Catanzaro e aree rurali. Ricade in una zona boscata interessata dalla macchia mediterranea, da eucalipti derivante da rimboschimento eseguito negli anni 60 oltre a grandi querce naturali e dalla prenza del corbezzolo, detto anche albatro, che è un cespuglio o un piccolo albero tipico e caratteristico appartenente alla famiglia delle ericaceae. Tale area è stata danneggiata da incendio e risulta essere distante dal torrente a valle solo 150 metri. L'area è sottoposta a vincolo ex legge n. 353 del 2000 in merito agli incendi boschivi, è compresa in zona sismica categoria 1 e ricade anche in zona agricola;
ad oggi non risulta essere stato rilasciato alcun nulla osta chiaro ed univoco da parte degli enti rispettivamente competenti in merito agli esistenti diritti di uso civico, vincoli paesaggistici come previsto ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modificazioni, vincoli idrogeologici e forestali sui suoli oggetto di intervento;
le particelle catastali interessate dall'intervento sono state oggetto fin dagli anni 60 da una massiccia attività di rimboschimento per la mitigazione del rischio idrogeologico ad opera dei consorzi di bonifica raggruppati di Catanzaro. A seguito di tale attività era stato stilato verbale di collaudo con annesso piano di coltura e conservazione da parte dell'assessorato agricoltura e foreste ispettorato ripartimentale delle Foreste Cz e successivo verbale di consegna dei terreni dai consorzi di bonifica al comune di Borgia (Cz) – l'articolo 9 del Piano con esplicito richiamo alla legge n. 326 del 1923 aveva impresso ai suoli il vincolo idrogeologico;
in data 30 settembre 1996 con apposito verbale i suoli erano stati riconsegnati al Comune di Borgia (Cosenza) con obbligo di conservarne la destinazione colturale nel rispetto della richiamata legge n. 326 del 1923 e del Piano di coltura e conservazione;
l'area interessata dall'intervento era stata inoltre percorsa dal fuoco in data 7 agosto 2007 con ciò sostanziandosi ex lege anche il vincolo di cui all'articolo 10 comma 1 legge n. 353 del 2000 – divieto di cambio di destinazione per la durata di anni quindici e divieto di edificabilità decennale;
secondo il codice dei beni culturali e paesaggistici, all'articolo 142, comma 1, lettera g), sono aree tutelate per legge e di interesse paesaggistico i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come definiti dall'articolo 2, commi 2 e 6, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227;
ciononostante, con convenzione del 10 luglio 2008 e con successivo permesso di costruire n. 2/2010 il comune di San Floro nel cui demanio ricadono i suoli in oggetto autorizzava la realizzazione dell'opera;
ad oggi non risulta essere stato rilasciato alcun nulla osta chiaro ed univoco da parte degli enti rispettivamente competenti in merito agli esistenti diritti di uso civico, vincoli paesaggistici come previsto ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modificazioni, vincoli idrogeologici e forestali sui suoli oggetto di intervento;
il comune di San Floro con delibera n. 2 del 3 gennaio 2014 esprime la volontà all'unanimità di sospendere il permesso a costruire n. 2 del 2010 ai sensi della legge n. 24 del 1990 ed in particolare degli articoli 7 comma 2 e 21-quater comma 2, stabilendo un termine di sospensione non inferiore di 120 gg –:
se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ritenga opportuno, alla luce dei fatti esposti in premessa, valutare di inserire oltre ai 185 interventi previsti in accordo con la regione Calabria il 25 novembre 2010 per il programma finalizzato alla programmazione ed al finanziamento di interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio idrogeologico nella regione calabrese, anche il territorio oggetto dell'interrogazione situato in località Battaglina nel comune di San Floro (Cosenza), come era stato previsto dalla legge n. 3267 del 1923 con l'obbligo di conservarne la destinazione colturale;
se il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, nell'ambito delle proprie competenze, sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali provvedimenti intenda adottare per il rispetto dei vincoli paesaggistici, che a parere degli interroganti, risultano essere stati aggirati nel corso delle copiose procedure autorizzative che hanno portato alla realizzazione della discarica «Battaglina». (4-03201)
DIFESA
Interrogazione a risposta scritta:
QUARANTA, AIRAUDO, LAVAGNO e DI SALVO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
Piaggio Aero Industries è una delle più importanti aziende di produzione aeronautiche italiane che oggi impiega circa 1300 lavoratori. Fondata nel 1884 a Genova Sestri Ponente è passata dalla produzione di materiale ferroviario degli albori alla costruzione e progettazione di aerei di ultima generazione;
nel 1998 cambiano gli asset del Gruppo che passano dalla famiglia Piaggio ad un gruppo di imprenditori con a capo l'ingegner Piero Ferrari, tuttora presidente. Successivamente acquistano capitale azionario la Mubadala Devolpment, società di investimenti di Abu Dhabi (2006) e la Tata Limited, società britannica del gruppo Tata Group (2009). Piaggio Aero conclude un aumento di capitale da 190 milioni, Tata Limited detiene il 44,5 per cento delle azioni, la Mubadala Development Company di Abu Dhabi il 41 per cento;
l'8 gennaio nella sede di Confindustria Genova, Piaggio Aero annuncia il nuovo piano industriale che prevede: 165 esuberi (117 a Genova e 48 a Finale Ligure), 207 lavoratori esternalizzati (108 a Genova e 99 a Finale Ligure) e lo spostamento entro fine 2014 delle attività produttive nel nuovo impianto di Villanova Albenga, mentre a Genova e Finale Ligure resterebbe solo la manutenzione, gestita attraverso una società controllata, ma di fatto esternalizzando;
questa scelta, che vede coinvolti oltre mille lavoratori, mette a rischio l'attività e il futuro degli impianti di Genova e Finale Ligure. Il tutto accade nonostante l'azienda avesse sottoscritto con gli enti locali un accordo di programma che prevedeva a fronte della variazione di destinazione d'uso delle Aree di Finale Ligure, il mantenimento di due siti produttivi: Genova e quello nuovo di Villanova d'Albenga mantenendo gli stessi occupati. Ora l'azienda dice che chiuderà quello di Genova entro il 2015 e ridurrà quello di Finale, disattendendo di fatto gli accordi presi;
al momento inoltre è in atto un'operazione che coinvolge anche il Governo italiano (Ministero della difesa) per costruire il nuovo pattugliatore, un velivolo complesso e strategico che garantirebbe lavoro e potrebbe fare guadagnare all'azienda nuove quote di mercato –:
quali iniziative intendano intraprendere i Ministri interrogati nell'ambito delle proprie competenze, per avviare urgentemente un confronto tra gli azionisti Mudabala Development Company e Tata Limited, lavoratori e parte politica per ridiscutere il piano industriale presentato al fine di scongiurare la chiusura degli stabilimenti di Genova e Finale Ligure e la perdita di posti di lavoro. (4-03192)
GIUSTIZIA
Interrogazioni a risposta scritta:
LOREFICE, GRILLO, DI VITA, DALL'OSSO e MARZANA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
il 13 settembre 2013 è entrato in vigore il decreto legislativo n. 152 del 2012 in materia di riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari ai fini di un maggior risparmio e funzionalità, che ha comportato la chiusura, insieme ad altri 31 tribunali, del foro di Modica e il suo accorpamento a quello di Ragusa;
l'8 agosto 2013 con decreto del Ministro Cancellieri vengono concessi al tribunale di Modica solo 2 anni di tempo, invece di 5 come previsto per altri tribunali d'Italia, per smaltire le sole cause civili pendenti;
molte sono state le iniziative intraprese da avvocati, comitati di cittadini e da alcuni deputati e senatori, in opposizione alla chiusura del suddetto tribunale. Quando la legge delega era ancora in discussione esisteva già il «Comitato anti soppressione del tribunale di Modica» che si batteva in sua difesa, e che è stato sciolto poco dopo l'approvazione della riorganizzazione degli uffici giudiziari.
durante un Consiglio comunale aperto della città iblea è stato istituito il «Comitato pro tribunale di Modica»;
a seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo l'Ordine degli avvocati di Modica e il Comune hanno presentato ricorso al TAR contro l'accorpamento;
il 23 settembre 2013 durante un incontro tra il Ministro della giustizia Cancellieri, il capo dipartimento Billitteri, il Comitato pro tribunale, il sindaco di Modica, il presidente del consiglio comunale, i deputati Lorefice, Minardo e la senatrice Padua si è discusso delle criticità sollevate dai professionisti del settore e dai cittadini in merito alla chiusura del tribunale;
è stato altresì istituito il gruppo di lavoro per il monitoraggio della riforma in seno al Ministero della giustizia;
il 3 ottobre il presidente del tribunale di Ragusa e il procuratore della Repubblica hanno inviato una lettera al sindaco di Ragusa e per conoscenza al Ministero della giustizia segnalando le criticità strutturali degli edifici ragusani;
il Comitato pro tribunale di Modica ha inviato una lettera alla Corte dei conti segnalando il mancato risparmio previsto con la chiusura del Foro di Modica, ed evidenziando che la stessa chiusura paradossalmente comporta costi maggiori (circa 2 milioni di euro) in quanto lascia inutilizzata una struttura antisismica realizzata a norma di legge nel 2004, dotata di ampi parcheggi, tunnel di sicurezza, etc. È stato altresì evidenziato che a Ragusa lo spazio è ristretto in quanto anche la sezione di Vittoria è stata accorpata, e che l'organico è sotto di 31 unità. I maggiori oneri riguardano anche i rimborsi di euro 150 mensili ai magistrati giustificati dalla maggiore distanza da questi percorsa per raggiungere la nuova sede di lavoro (non si comprende però il motivo per cui anche gli altri dipendenti non ne usufruiscano);
il 15 novembre il comitato è stato ricevuto dalla commissione di monitoraggio;
nel parere espresso il 03 dicembre 2013 al Governo la Commissione giustizia del Senato «ritiene opportuno rivedere la scelta della soppressione del tribunale di Modica», invitando il Governo a rivedere tutte quelle soppressioni che comporterebbero paradossalmente inefficienza, spreco e disservizio. Auspica altresì che nelle sedi soppresse siano istituite sezioni distaccate o Uffici giudiziari dei tribunali accorpanti per la celebrazione dei procedimenti che appartenevano alla competenza del tribunale soppresso;
nello stesso parere la Commissione giustizia rinvia alle «Linee guida sulla revisione della geografia giudiziaria per favorire le condizioni di accesso ad un sistema giudiziario di qualità» redatte il 21 giugno 2013 dalla Commissione europea per l'efficienza della giustizia del Consiglio d'Europa che, da un lato riconoscono il valore dell'accesso alla giustizia in termini di vicinanza dei tribunali ai cittadini, e dall'altro prescrivono che dover presenziare ad esempio «ad un'udienza fissata la mattina presto per una persona anziana, o per una persona che non guida o non è dotata di mezzo proprio, in assenza di adeguati mezzi di trasporto pubblico, rappresentano tutte situazioni problematiche che possono influire sul diritto di equo accesso alla giustizia»;
il comma 397 della legge di stabilità 2014, prevedendo l'aggiunta di un comma all'articolo 8 del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155, statuisce la possibilità, qualora le regioni si facciano carico delle spese, che gli immobili adibiti a servizio degli uffici giudiziari periferici e delle sezioni distaccate soppressi vengano utilizzati per l'esercizio di funzioni giudiziarie nelle relative sedi –:
se sia a conoscenza di quanto riportato in premessa in merito alle vicende descritte;
se possa accertare che le sedi del tribunale di Ragusa siano state sottoposte a verifica di sicurezza imposta dall'ordinanza del Presidente del Consiglio n. 3274 del 20 marzo 2003;
se non ritenga opportuno rivedere la scelta operata relativa alla soppressione del Tribunale di Modica, alla luce del parere espresso dalla Commissione giustizia del Senato il 3 dicembre 2013, delle linee guida redatte dalla Commissione europea, del parere favorevole per la non chiusura di Nicosia e Mistretta, due tribunali che presentano gli stessi requisiti del tribunale di Modica, ed in considerazione del fatto che il sottosegretario alla giustizia Berretta ha espresso la necessità di non chiudere il presidio di Nicosia e di aprire un nuovo tribunale dei Nebrodi;
se non ritenga, in subordine, opportuno valutare la possibilità di istituire a Modica la sede distaccata del Tribunale di Ragusa, tenuto conto della disponibilità mostrata dal Governatore della Sicilia di farsi carico delle spese di gestione e manutenzione degli immobili e di retribuzione del personale di servizio, così come previsto dal comma 397 della legge di stabilità, e tenuto altresì conto della nuovissima e antisismica struttura del palazzo di giustizia di Modica, costruita appositamente per svolgere tale funzione e la cui chiusura non risponderebbe alla logica della spending review. (4-03187)
PANNARALE, DURANTI, FRATOIANNI, MATARRELLI e SANNICANDRO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
da una nota dell'Osservatorio permanente sulle morti in carcere, gli interroganti hanno appreso del decesso del signor Alberico Di Noia, cittadino di Zapponeta, in provincia di Foggia, avvenuto nella casa circondariale di Lucera, in data 15 gennaio 2014;
questi era ristretto in tale istituto di pena dal 2012;
da quanto si apprende dalla suddetta nota, il detenuto si sarebbe suicidato impiccandosi nella cella ove si trovava in isolamento;
tuttavia il signor Di Noia non versava in condizioni di salute fisiche e mentali tali da far presagire un evento così tragico;
secondo la nota dell'Osservatorio, l'uomo era in cella da solo tecnicamente «in osservazione» da cinque giorni, poiché aveva avuto un alterco con un agente di polizia penitenziaria;
nella giornata in cui è deceduto, probabilmente, l'uomo sarebbe stato trasferito in un'altra struttura penitenziaria;
alla famiglia è stato negato di potere vedere la salma del loro congiunto; i genitori, peraltro, sono a conoscenza della morte di un loro figlio, senza aver ricevuto alcun altra informazione;
dall'inizio del 2014, l'episodio drammatico in oggetto rappresenta già il terzo suicidio in cella; nel 2013 si sono tolti la vita 49 detenuti –:
di quali informazioni disponga il Ministro circa le cause che hanno portato alla morte del detenuto Di Noia;
se confermata l'ipotesi del suicidio, se sia noto quali siano state le motivazioni che hanno portato il detenuto al tragico gesto, e se in qualche modo poteva essere evitato;
se nel carcere di Lucera siano rispettati i livelli essenziali di assistenza per i detenuti;
quali iniziative intenda intraprendere affinché tali tragici episodi non abbiano a ripetersi. (4-03190)
VERINI, PELUFFO, ASCANI, GIULIETTI e SERENI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
si è appreso dalla stampa nazionale (articoli di Carmine Gazzanni del 7 gennaio 2014 sul sito «espresso.repubblica.it» e di Beppe Giulietti dell'8 gennaio 2014 sul sito «Ilfattoquodiano.it») che dall'8 all'11 agosto 2013 la testata giornalistica Tuttoggi.info si è occupata delle inchieste in corso sulla Banca Popolare di Spoleto (BPS), commissariata dopo una ispezione della Banca d'Italia e che tale inchiesta vede rinviate a giudizio 34 persone per reati che vanno dalla mediazione usuraria all'ostacolo alla vigilanza, dall'associazione a delinquere fino alla bancarotta fraudolenta;
la testata giornalistica citata si è occupata della vicenda con un'inchiesta giornalistica in tre puntate redatte in collaborazione dal direttore di Tuttoggi.info, Carlo Ceraso, e dal giornalista del Giornale dell'Umbria Massimo Sbardella;
il giudice per le indagini preliminari Daniela Caramico D'Auria in data 20 dicembre 2013, dopo la querela presentata a novembre da Giovannino Antonini, ex dominus della BPS, ha disposto il sequestro preventivo mediante «oscuramento» delle pagine del sito sulle quali erano pubblicati articoli contenenti brani di intercettazioni di vari indagati;
il codice di procedura penale, all'articolo 329, pone un divieto di pubblicazione solo per gli atti coperti da segreto istruttorio;
nell'ordinanza di sequestro lo stesso magistrato ha dichiarato che «le intercettazioni pubblicate negli articoli» sono «atti non più coperti da segreto», avendo il pubblico ministero emesso avviso di conclusione delle indagini in data 29 maggio ed essendo quindi stati già stati trasmessi alle parti interessate e coinvolte; la motivazione del provvedimento sarebbe pertanto quella di tutelare il diritto alla riservatezza;
il provvedimento fa inoltre riferimento ai rischi che deriverebbero da tale pubblicazione, ed in particolare alla possibilità di influire in modo indebito sulle decisioni che potranno essere assunte dal giudice di merito;
gli interroganti ritengono che si rischi la lesione del diritto costituzionale della stampa ad informare e di quello dei cittadini ad essere informati – segnatamente su una materia così sensibile come quella riguardante un importante istituto di credito quotato in Borsa – e una delle funzioni fondamentali dell'informazione nei sistemi democratici, ovvero il potere di controllo;
gli interroganti ritengono che potrebbe configurarsi una condotta non conforme alle prescrizioni del codice di procedura penale e che potrebbe creare un gravissimo precedente che potrebbe intimidire in futuro il giornalismo d'inchiesta e la cronaca giudiziaria –:
se intenda verificare i presupposti per porre in essere un'iniziativa ispettiva ai fini dell'eventuale esercizio di poteri di competenza. (4-03196)
INTERNO
Interrogazioni a risposta scritta:
LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
sono giunte all'interrogante alcune segnalazioni concernenti una divergenza interpretativa sulla quale sarebbe opportuno un intervento del Ministro interrogato;
tale segnalazioni si riferiscono ad una mancata omogeneità della corretta applicazione del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, convertito dalla legge 9 agosto 2013, n. 99, nell'ambito degli sportelli unici immigrazione presso le prefetture italiane;
nello specifico, è stato segnalato al deputato interrogante da più operatori del settore una mancata omogeneità comportamentale tra i diversi sportelli unici per l'immigrazione operanti sul territorio nazionale;
infatti, mentre alcuni, come quello di Napoli, applicherebbero correttamente le norme, altri, tra cui risultano al deputato interrogante quelli di Padova e Salerno, sembrerebbero non applicare correttamente le disposizioni di legge, provocando l'insofferenza degli operatori del settore ed inutili contenziosi che rischiano di vedere l'Amministrazione soccombere;
troppo spesso nei «rigetti» e «prerigetti» delle pratiche afferenti la regolarizzazione di cui al decreto legislativo n. 109 del 2012, così come modificato dal decreto-legge n. 76 del 2012 convertito dalla legge n. 99 del 2013, in evidentissimo contrasto normativo, si menzionano tra le cause ostative al rilascio dei permessi di soggiorno l'attesa di occupazione (ai sensi dei nuovi commi 11-bis e 11-ter, dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 109 del 2012, come disposti dall'articolo 9, comma 10, del suddetto decreto-legge n. 76) e/o il mancato adempimento di incombenze riconducibili alla responsabilità e competenza dei datori di lavoro;
a questo proposito, occorre segnalare che la normativa citata stabilisce che non siano imputabili alla parte debole del rapporto di lavoro (il lavoratore) le responsabilità del datore di lavoro che non provvede al pagamento di quanto dovrebbe per aver avuto alle dipendenze un dipendente extracomunitario irregolare;
pertanto, avanzata l'istanza di regolarizzazione, dovrebbe senz'altro essere fatta salva la posizione di tali lavoratori. Infatti, a coloro i quali dimostrino la loro presenza almeno al 31 dicembre 2011 nel territorio italiano, dovrebbe essere rilasciato permesso di soggiorno per attesa occupazione, così come previsto dall'articolo 11, comma 22, del testo unico sull'immigrazione n. 286 del 1998 e successive modifiche e integrazioni;
tutto ciò si evince chiaramente dagli indirizzi politici disposti, voluti e decisi dal legislatore, così come si può evidentemente desumere dalla relazione tecnica al decreto-legge n. 76 del 2013, in particolare nella parte riferita al comma 10 dell'articolo 9, laddove si specifica che si tratta «di disposizione diretta a garantire i soggetti per i quali, a seguito della dichiarazione di emersione ai sensi del decreto legislativo n. 109 del 2012, la stessa dichiarazione sia stata rigettata a causa di inadempienze del datore di lavoro. La disposizione precisa, inoltre, che nei casi di cessazione del rapporto di lavoro oggetto di una dichiarazione di emersione non ancora definita, ove il lavoratore sia in possesso del requisito della presenza al 31 dicembre 2011, la procedura di emersione si considera conclusa in relazione al lavoratore, al quale è rilasciato un permesso di attesa occupazione ovvero, in presenza della richiesta di assunzione da parte di un nuovo datore di lavoro, un permesso di soggiorno per lavoro subordinato. In tale ipotesi, comunque, il datore di lavoro che ha presentato la dichiarazione di emersione resta responsabile per il pagamento delle somme dovute sino alla data di comunicazione della cessazione del rapporto di lavoro e in ogni caso si procede alla verifica dei requisiti prescritti per legge in capo al datore di lavoro che ha presentato la dichiarazione di emersione. Dalla disposizione non conseguono nuovi o maggiori oneri atteso che, comunque, il computo degli oneri connessi all'emersione di tali soggetti sono già stati computati nell'ambito del citato decreto legislativo n. 109 del 2012»;
pertanto, ai lavoratori nelle condizioni sopra descritte che si presentino allo sportello unico per l'immigrazione in possesso del passaporto e della prova della presenza in Italia al 31 dicembre 2011 deve essere rilasciato il permesso di soggiorno per attesa occupazione;
del resto, nel modello ministeriale di convocazione indirizzato al lavoratore da parte degli sportelli unici per l'immigrazione di tutta Italia, ai sensi del decreto-legge n. 76 del 2013, vengono espressamente richiesti unicamente i predetti documenti;
sarebbe pertanto opportuno che il Ministero dell'interno vigili affinché tale corretta applicazione della normativa vigente venga seguita da tutte le prefetture territoriali, mettendo in evidenza che l'obiettivo della legge è quello di proteggere i lavoratori (in quanto parte debole del rapporto di lavoro) affinché non si verifichino casi di rifiuto del rilascio del permesso di soggiorno attesa occupazione in seguito a inadempienze datoriali;
occorre peraltro sottolineare che, in presenza di una normativa di carattere eccezionale e derogatorio dal regime ordinario, come la procedura di emersione da lavoro irregolare, siano del tutto inopportune interpretazioni estensive e/o restrittive in mancanza di riferimenti testuali –:
se il Ministro interrogato non intenda diramare le opportune direttive affinché da parte degli sportelli unici per l'immigrazione vi sia una corretta ed omogenea applicazione delle norme disposte con il decreto-legge n. 76 del 2013, così come convertito dalla legge n. 99 del 9 agosto 2013. (4-03188)
ZAMPA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
il 9 dicembre 2013 è stata approvata dalla Camera dei deputati la mozione 1/00156, che impegna il Governo «a ripensare gli attuali strumenti di gestione dell'immigrazione irregolare che risultano inefficaci (per quanto attiene all'effettività dei provvedimenti di espulsione) e costosi – tenendo conto che l'aumento dei costi è incongruo rispetto agli obiettivi – e ad abbattere i tempi di permanenza nei centri di identificazione ed espulsione, oggi inaccettabili per durata e inutili, oltre il periodo iniziale, all'effettiva identificazione delle persone trattenute; ...ad intervenire sulla disciplina di permanenza, per evitare il trattenimento nei centri di identificazione ed espulsione di coloro che hanno bisogno di protezione, come le vittime di tratta, i minori, i richiedenti asilo»;
è stato soppresso, con decreto del Ministero dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, il Centro di identificazione ed espulsione di Modena, così come comunicato dalla prefettura il 23 dicembre scorso e che la garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della regione Emilia Romagna, Desi Bruno, ha dichiarato che «la chiusura del centro di Identificazione ed Espulsione di Modena ad opera del Ministero degli Interni è un fatto positivo e costituisce la presa d'atto di una situazione non più sostenibile per le persone trattenute e per coloro che vi lavoravano»;
il centro di identificazione ed espulsione di Bologna (CIE) è stato definito dal sindaco della città, Virginio Merola, «un cuore di tenebra»;
contro il rischio di una imminente riapertura della struttura, associazioni, centri sociali, sindacati, comitati e amministratori della città di Bologna si sono ritrovati, il 12 dicembre 2013, sotto la sede della prefettura per esprimere un netto rifiuto all'ipotesi di riapertura del CIE;
il 18 dicembre 2013, nella giornata internazionale dei diritti dei migranti e dei rifugiati, davanti alla struttura, temporaneamente chiusa per ristrutturazione, si è svolta una manifestazione contro la riapertura del centro e si sono verificati scontri tra i manifestanti e le forze dell'ordine, a riprova del fatto che la città di Bologna vive in modo conflittuale la presenza sul suo territorio di questa struttura percepita come un luogo di detenzione che non risolve, ma accentua, i motivi di conflitto;
il centro di identificazione ed espulsione di Bologna è stato in passato e più volte teatro di numerosi episodi di tensione, di tentativi di fuga, di incendi e di manifestazioni di grande disagio non solo delle persone trattenute ma anche del personale di Polizia e del personale in servizio presso la struttura –:
se corrispondano al vero le notizie secondo le quali sarebbe prossima la riapertura del centro di identificazione ed espulsione di Bologna e sarebbe già stato predisposto un bando di gara;
se non si ritenga invece di chiudere definitivamente anche questa struttura, come già fatto a Modena. (4-03197)
ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA
Interrogazione a risposta orale:
CAUSIN. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
nella legge di stabilità il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha inserito nel sistema CONSIP la gara d'appalto di pulizia scolastica a ditte esterne;
la gara d'appalto è stata divisa in 13 lotti su tutto il territorio nazionale, l'appalto durerebbe quattro anni e il costo ammonterebbe a 1,2 miliardi;
a dicembre 2013 risultavano assegnati ben dieci lotti e sei al centro e nord Italia, ad aziende che fanno capo alla lega delle Cooperative Manutencoop e CNS;
appalti assegnati perché concorrenziali rispetto ad altre offerte ricevute;
al rientro dalle festività natalizie, molte strutture scolastiche sono rimaste chiuse su decisione dei dirigenti scolastici, sindaci ed ULS locali per carenza di pulizia con conseguenze negative sia sul regolare svolgimento dell'attività didattica sia sulla salute degli alunni –:
quali iniziative di competenza il Ministro intenda intraprendere affinché sia garantito il diritto allo studio come assicurato dalla Costituzione. (3-00563)
Interrogazioni a risposta scritta:
MARCON. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
fra venerdì 10 e lunedì 13 gennaio 2014 numerose scuole della provincia di Venezia sono rimaste chiuse a causa delle inadeguate condizioni igieniche, le quali avrebbero rappresentato un rischio concreto per la sicurezza degli alunni;
il servizio di pulizia di tali istituti è stato affidato all'azienda Manutencoop, attraverso un appalto organizzato dal Ministero della pubblica istruzione; dinamica di esternalizzazione dei servizi ereditata dalla gestione Gelmini, durante la quale si è scelto di anteporre i criteri economici, che determinano un seppur minimo risparmio, a quelli di qualità dei servizi medesimi. Prassi che contribuisce inevitabilmente a produrre tali situazioni emergenziali;
elemento determinante delle gravissime condizioni igieniche venutesi a creare nei suddetti istituti è stata tuttavia una ulteriore diminuzione degli stanziamenti da parte del Ministero, imponendo tagli sull'orario di lavoro dei singoli operatori fino all'80 per cento;
si sono verificati casi in cui, per far fronte all'emergenza, amministratori locali, dirigenti scolastici e genitori degli alunni si sono dovuti attivare con soluzioni inusuali come la, fornitura a spese proprie di detergenti ed altri materiali, l'impiego di lavoratori socialmente utili, piuttosto che lo svolgimento in prima persona del lavoro di pulizia;
sebbene le strutture scolastiche siano ormai state riaperte, numerosi comitati ed associazioni di genitori piuttosto che di lavoratori della Manutencoop hanno dato vita a presìdi e ad altre forme di protesta pacifica per manifestare il comprensibile senso di abbandono da parte dello Stato che gli uni e gli altri hanno vissuto a causa di questa vicenda –:
come intenda procedere il Ministro interrogato per garantire in futuro lo stanziamento di risorse sufficienti al mantenimento nelle scuole di condizioni igieniche adeguate al regolare svolgimento delle attività didattiche;
se il Governo intenda, alla luce di tali risultati, rivedere i criteri di assegnazione degli appalti di questo genere. (4-03191)
VACCA, BRESCIA, D'INCÀ, NUTI e LUIGI GALLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011, n. 222, sul regolamento concernente il conferimento dell'abilitazione scientifica nazionale per l'accesso al ruolo dei professori universitari, a norma dell'articolo 16 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, stabilisce che le procedure per il conseguimento dell'abilitazione si svolgono presso le università individuate, mediante sorteggio effettuato, per ciascun settore concorsuale, nell'ambito di una lista di quelle aventi strutture idonee ad ospitare la Commissione di abilitazione e dotate delle necessarie risorse finanziarie;
per ciascuna procedura di abilitazione l'università nomina, ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, un responsabile del procedimento che ne assicura il regolare svolgimento nel rispetto della normativa vigente relative alle fasi della procedura successiva alla scelta della sede;
per l'espletamento delle procedure dell'abilitazione scientifica nazionale è necessario costituire le commissioni nazionali, per ciascun settore, composte da cinque membri;
con decreto, il direttore generale del Ministero costituisce un'apposita lista composta, per ciascun settore concorsuale, dai nominativi dei professori ordinari del settore concorsuale di riferimento, che hanno presentato domanda per esservi inclusi;
quattro dei membri della commissione sono individuati mediante sorteggio all'interno della lista medesima;
per la procedura per il conseguimento dell'abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore universitario di prima e seconda fascia per il settore concorsuale 14/D1 (sociologia dei processi economici, del lavoro, dell'ambiente e del territorio) è stato sorteggiato membro della commissione il Professor Carlo Trigilia;
il 28 aprile 2013 con decreto del Presidente della Repubblica 28 aprile 2013 il professor Trigilia è nominato Ministro senza portafoglio del Governo Letta;
l'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, stabilisce l'aspettativa obbligatoria dei professori universitari per situazioni di incompatibilità per la durata della nomina alla carica di Ministro;
lo stesso articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, per quanto concerne l'esclusione dalla possibilità di far parte delle commissioni di concorso, salva le situazioni di incompatibilità che si verificano successivamente alla nomina dei componenti della commissione;
la presenza di un Ministro della Repubblica, quale membro della commissione per l'abilitazione scientifica nazionale, potrebbe alterare, anche involontariamente, gli equilibri e l'imparzialità della commissione pregiudicandone anche i giudizi sui concorrenti;
la presenza del professor Trigilia ha anche, evidentemente, condizionato la scelta della sede in cui la commissione ha svolto la sua ultima riunione in quanto, come si evince dai verbali, il giorno 20 novembre 2013 si è riunita a Roma in Largo Chigi 19, anziché presso la sede dell'università di Macerata;
non si può certamente considerare le sedi istituzionali del Governo come luogo neutro in cui svolgere la riunione ufficiale della commissione –:
come sia possibile che un Ministro della Repubblica possa far parte della commissione di un concorso senza che si ravvisi una incompatibilità d'ufficio codificata da una norma in quanto, anche involontariamente, la propria presenza, in virtù dell'importante ruolo ricoperto, potrebbe pregiudicare la neutralità degli altri commissari;
se non ritenga opportuno avviare un'iniziativa per modificare la norma che salva le situazioni di incompatibilità che si verificano successivamente alla nomina dei componenti delle commissioni dei concorsi. (4-03193)
NUTI, DI BENEDETTO, DI VITA, LUPO, MANNINO e NESCI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, tramite il decreto direttoriale 13 marzo 2013, n. 436, pubblica un avviso per la presentazione di progetti all'interno del bando «Start Up»;
tale bando si propone di definire gli interventi per «la promozione di ricerca e innovazione stimolando la capacità, in particolare attraverso applicazioni dell'ICT, di tradurre, aumentare e valorizzare i giacimenti di informazione, conoscenza, cultura e competenze del territorio in soluzioni concrete di diretto impatto sulle potenzialità competitive delle regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia»;
il bando prevede 4 linee di intervento: 1 «Big Data», dotata di 8 milioni di euro, 3 «Cultura ad impatto aumentato», dotata di 14 milioni di euro; 3 «Social Innovation Cluster», dotata di 7 milioni di euro, 4 «Contamination Labs», dotata di 1 milione di euro; per un totale di 30 milioni di euro per l'intero Bando «Start Up»;
gli esiti della valutazione dei progetti inviati vengono resi pubblici tramite due decreti direttoriali del 19 luglio 2013, n. 1417 e 1418: sono stati 91 i progetti che hanno superato la prima valutazione, per un valore complessivo di oltre 68,5 milioni di euro;
a questi soggetti è stato chiesto di presentare gli ultimi due bilanci approvati, una richiesta che, trattandosi di imprese da poco avviate, non raramente può costituire un ostacolo per le start-up, da sottoporre all'attenzione di istituti bancari convenzionati con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca al fine di effettuare una istruttoria finanziaria;
a seguito dell'esito dell'istruttoria finanziaria, è stata prodotta una ulteriore graduatoria pubblicata tramite il decreto direttoriale 12 novembre 2013, n. 2145, con la quale venivano ammessi al finanziamento solo 39 progetti (ricompresi nelle Linee 1, 2 e 3, escludendo la Linea 4) per un valore complessivo di 24 milioni di euro, «sprecando» quindi circa 6 milioni di euro;
tuttavia, in data 24 dicembre 2013 è stato emesso un nuovo decreto direttoriale, inviato ai vincitori del Bando solo il 7 gennaio 2014, cioè due settimane dopo, con cui si comunicava l'ammissione al finanziamento: in allegato erano elencati i requisiti per accedere al finanziamento, tra cui ad avviso degli interroganti spiccava per assurdità la richiesta di apporto di «mezzi freschi» per importi irragionevoli, pena l'esclusione dalla graduatoria;
da una disamina più attenta degli importi richiesti, emerge come l'apporto dei mezzi freschi corrisponda all'importo di cofinanziamento previsto dal bando: in altre parole, per ottenere dei fondi, a titolo di cofinanziamento, bisogna prima trovare altrettanto denaro in altre forme;
questo tipo di problema si era già verificato in passato, come ad esempio per il Bando «FIT Start-up» promosso dal Ministero dello sviluppo economico, mostrando come questa sia una pratica diffusa e non una eccezione;
ricordiamo in questa sede l'allarmante situazione economica e sociale in cui versa il nostro Paese e il Mezzogiorno in particolare, incluse le 4 regioni interessate dal bando oggetto del presente atto di sindacato ispettivo (Sicilia, Campania, Puglia e Calabria); i dati sulla disoccupazione giovanile rendono ben chiara questa situazione: a livello nazionale ha superato abbondantemente il 40 per cento mentre in alcune aree meridionali ha superato l'allarmante soglia del 50 per cento;
il settore delle start-up innovative, costituisce oggi nel nostro Paese un segmento dell'economia fondamentale per garantire ai nostri brillanti giovani l'opportunità di avviare un'attività propria, e i bandi come quello in oggetto dovrebbero fornire vantaggi reali e non tradursi in quella che potremmo definire una chiara presa in giro –:
se, venuto a conoscenza dei fatti esposti in premessa, non intenda intervenire per rendere meno stringenti i requisiti necessari per l'ottenimento dei finanziamenti e, più in generale, per rendere veramente fruibili le possibilità offerte dal bando Start up del Ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca;
se non intenda abbandonare la pratica diffusa anche per i bandi rivolti alle imprese start-up di richiedere apporti di mezzi freschi per importi talmente irragionevoli da rendere vano l'aiuto offerto dal bando stesso;
se non intenda utilizzare i 6 milioni di euro non destinati per sostenere anche altri progetti inclusi nelle graduatorie allegate ai due decreti direttoriali del 19 luglio 2013, n. 1417 e 1418. (4-03195)
LAVORO E POLITICHE SOCIALI
Interrogazioni a risposta in Commissione:
AIRAUDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
il commissario straordinario Piero Nardi ha inviato al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e alle segreterie nazionali di Fim, Fiom e Uilm, la richiesta per la Cassa integrazione straordinaria per 12 mesi per tutti i dipendenti del gruppo Lucchini. Il commissario chiede l'utilizzo degli ammortizzatori per tutti i dipendenti a causa della «crisi occupazionale determinatasi per effetto dell'attuazione del programma relativo» alla procedura concorsuale (Lucchini è in amministrazione straordinaria dal 21 dicembre 2012) e il provvedimento riguarderà 2.698 persone;
in particolare, si tratta dei 2.002 addetti di Piombino, dei 94 di Condove (Torino), degli 85 di Lecco, dei 485 della Ferriera di Servola (Trieste) e dei 32 degli uffici amministrativi di Brescia;
«La contrazione dell'attività lavorativa – spiega il commissario al Ministero – sarà attuata mediante sospensione a zero ore settimanali e/o a orario ridotto, in relazione al carico di lavoro e compatibilmente con le esigenze aziendali», con ricorso a rotazione;
il gruppo Lucchini ha chiuso il 2012 con ricavi per 938,9 milioni, in calo del 22 per cento sul 2011, e una perdita di 168,7 milioni, che segue il rosso per 59,5 accumulato a fine 2011. Nel primo semestre le perdite sono state di circa 60 milioni. Le diverse ipotesi sul tavolo del commissario comporteranno impatti di entità diversa sulla forza lavoro del gruppo;
è stato pubblicato il 27 dicembre 2013 il bando per la vendita del Gruppo siderurgico in amministrazione straordinaria. In realtà i bandi sono tre. Il primo, il più importante, riguarda il complesso aziendale di Piombino, lo stabilimento di Lecco e Lucchini Servizi (contratti di manutenzione). Gli altri due bandi riguardano Gsi Lucchini, attiva nella produzione di sfere forgiate di macinazione per l'attività mineraria, e Vertek, verticalizzazione di barre e vergelle con lavorazioni a freddo;
le offerte delle aziende interessate dovranno arrivare entro il 20 gennaio 2014. Poi per la formalizzazione di un possibile acquirente il commissario Piero Nardi avrà sei mesi di tempo. Entro un mese si potrà conoscere il futuro delle Acciaierie o quantomeno si potrà sapere se il mercato è interessato al polo piombinese. Il bando individua alcuni criteri per la vendita. In via preferenziale saranno accettate le offerte che prevedono l'acquisto di tutti i complessi aziendali Lucchini e Lucchini Servizi negli stabilimenti di Piombino e Lecco. Quindi nel primo caso si prevede che l'acquirente rilevi le fabbriche così come sono e continui l'attività compreso il ciclo integrale. In seconda ipotesi si prevede riconversione in acciaierie elettrica con impianto di produzione di ghisa (corex) dello stabilimento di Piombino e di Lecco;
terza ipotesi impegno a realizzare nel sito di Piombino un forno elettrico con capacità produttive in linea con il mercato attualmente servito da Lucchini e da Lucchini Servizi, quindi sola acciaierie elettrica. Quarta ipotesi solo centro di laminazione e come ultima possibilità la vendita in parti dei singoli elementi produttivi dei complessi aziendali di Piombino e Lecco. Ordine di preferenze anche per Vertek (stabilimenti presenti a Piombino e a Condove). Anche qui si predilige la vendita insieme dei due stabilimenti o in subordine la vendita dei singoli complessi aziendali. Dalle gare resta fuori il ramo d'azienda Lucchini Trieste e Servola, per cui è in corsa Arvedi –:
se non ritenga urgente la convocazione di un tavolo presso il Ministero dello sviluppo economico al fine di trovare sbocchi e soluzioni alla vicenda del Gruppo Lucchini da troppo tempo in fase di stallo e ricco di incertezze sul futuro;
se non ritenga di adoperarsi per evitare lo «spacchettamento» del Gruppo che porterebbe alla perdita di occupazione cosa che preoccupa specialmente nel sito di Condove;
quali iniziative intenda sostenere d'intesa con le parti sociali per arrivare alla definizione di un piano per la siderurgia italiana volto a mantenere gli attuali livelli occupazionali. (5-01903)
CATALANO, NICOLA BIANCHI e MANNINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
la signora E.C. residente a Trani, è stata assunta in Poste Italiane (Postel) presso l'Area Sud 1 UP CORATO C., per il periodo 2 ottobre 2006-31 ottobre 2006, con contratto di lavoro a tempo determinato, con qualifica di impiegato e con inquadramento nel Livello D di cui al vigente sistema di classificazione professionale per il personale di Poste italiane spa, per lo svolgimento di attività di addetto alla sportelleria;
successivamente è stata assunta con contratto di lavoro a tempo determinato, a tempo parziale, di tipo verticale pari al 75 per cento dell'orario contrattuale per il periodo 11 luglio 2007-29 settembre 2007, con qualifica di impiegato nel livello D, nel ruolo di sportellista presso l'Area Sud 1 UP BARLETTA 3;
in seguito a diversi tentativi di ottenere la possibilità di svolgere il telelavoro, ha presentato, il 5 settembre 2010, domanda di trasferimento presso la filiale di Bari per gravi motivi familiari;
la necessità di trasferimento è motivata dalle condizioni di salute di suo padre che, come risulta da referto medico del 17 settembre 2010, necessita di assistenza perché invalido, e di sua figlia che, come risulta da referto medico con medesima data, risulta affetta, a causa della lontananza dalla madre, unico genitore, da bulimia;
il disagio su esposto ha arrecato problemi di salute alla stessa signora che, per il periodo 18 ottobre 2012-10 novembre 2012, è stata ricoverata presso la casa di cura psichiatrica Villa Serena;
la tutela dei soggetti portatori di handicap giustifica, ai sensi della legge n. 104 del 1992, deroga al normale svolgimento della prestazione lavorativa ed ai criteri ordinari che disciplinano i trasferimenti della categoria di personale di appartenenza;
l'indisponibilità al trasferimento nega un preciso diritto al lavoratore e danneggia ulteriormente una situazione familiare già delicata;
risulterebbe all'interrogante che in Postel non esisterebbe una graduatoria per la mobilità –:
se non intenda intervenire per favorire, nei limiti di competenza una maggiore sensibilità per le problematiche su esposte, presso imprese, come Poste italiane spa, a totale partecipazione pubblica. (5-01907)
Interrogazioni a risposta scritta:
BALDASSARRE, RIZZETTO, ROSTELLATO, CIPRINI, CHIMIENTI, COMINARDI, TRIPIEDI e BECHIS. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
il decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, ha previsto all'articolo 14, comma 1, lettera e), l'implementazione della dotazione organica del personale ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nella misura di 250 unità da destinare nelle regioni del centro-nord;
è necessario garantire in un tema così delicato, quale quello dei controlli relativi alla sicurezza sul lavoro, la più assoluta trasparenza in merito alla organizzazione ed ottimizzazione delle risorse in organico –:
sulla base di quali dati ed analisi sia stata prevista la determinazione di cui al decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, ha previsto all'articolo 14, comma 1, lettera e);
quale sia la reale situazione delle piante organiche sul territorio nazionale in relazione al numero di ispettori del lavoro ed ispettori tecnici. (4-03194)
NUTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
dal 1984 ad oggi, sistematicamente quasi ogni anno, i governi che si sono succeduti, di qualsiasi colore politico, hanno concesso svariate centinaia di milioni di euro per il pagamento di progetti in cui erano impiegati lavoratori socialmente utili;
questa categoria, così come, in parte, la categoria dei lavoratori precari nella pubblica amministrazione, sono a parere degli interroganti una categoria spesso sfruttata da esponenti politici, i quali promettevano periodi più o meno brevi retribuiti a carico della finanza pubblica in cambio del voto. In altre parole, si tratta del cosiddetto voto di scambio, di cui le nostre cronache sono sfortunatamente piene;
per fare alcuni esempi recenti, si riporta in questa sede: la legge di stabilità per il 2013 (legge 24 dicembre 2012, n. 228), all'articolo 1, comma 265, che stanzia 110 milioni, la legge di stabilità per il 2012 (legge 12 novembre 2011, n. 183), all'allegato elenco 3 relativo all'articolo 33, così come le precedenti legge di stabilità per il 2011 (legge 13 dicembre 2010, n. 220), all'allegato elenco 1, relativo all'articolo 1, comma 40, e legge finanziaria per il 2010 (legge 23 dicembre 2009, n. 191) all'elenco 1 relativo all'articolo 2 comma 250, che destinano risorse per 111 milioni euro, tramite collegati decreti del Presidente del Consiglio dei ministri;
l'elenco potrebbe dilungarsi sino al 1984, quando, tramite il decreto-legge 2 agosto 1984, n. 409, si stanziavano per la prima volta fondi in favore del comune e della provincia di Napoli per «l'esecuzione di lavori socialmente utili» (nello specifico 27 miliardi di lire). Secondo alcuni calcoli, parziali, svolti dall'interrogante, dal 1984 ad oggi sono stati stanziati più di 2,5 miliardi di euro per il finanziamento dei progetti socialmente utili, senza contare le svariate centinaia di milioni di euro destinate negli anni a stabilizzazioni ed incentivi di tipo diverso;
oltre ai finanziamenti provenienti dallo Stato, in alcune regioni si è provveduto alla creazione di ulteriori categorie riconducibili ai lavori socialmente utili, quali ad esempio i lavoratori dediti ad attività socialmente utili, cosiddette ASU;
per troppi anni si è proceduto all'assunzione di questi soggetti nei settori più disparati, con particolare incidenza negli enti pubblici locali, ad avviso degli interroganti e secondo fonti di stampa, spesso a scopo politico-elettorale, producendo una situazione in cui molti enti si trovavano ad impiegare lavoratori socialmente utili in evidente sovrannumero, destinando dunque parte di essi a non svolgere alcuna mansione;
i decreti legislativi 1o dicembre 1997, n. 468, e 28 febbraio 2000, n. 81, hanno segnato una fondamentale inversione di tendenza, in quanto hanno disposto la graduale riduzione della platea dei lavoratori socialmente utili attraverso una serie di importanti incentivi tesi a svuotare il bacino lavori socialmente utili, al costo di svariate centinaia di milioni di euro;
analizzando i dati riportati nelle relazioni semestrali che il Ministro del lavoro e delle politiche sociali dovrebbe presentare alle Camere in base all'articolo 9, comma 6, del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 280, si può facilmente osservare come il numero degli LSU sia costantemente diminuito negli anni, dal 1999 ad oggi: stando all'ultima relazione disponibile, relativa al primo semestre 2012 (dati aggiornati al 30 giugno 2012), poco più di 15.000 lavoratori socialmente utili, mentre alla fine degli anni ’90 erano più di 100.000;
tuttavia, stando a quanto previsto nelle leggi di stabilità e finanziarie degli ultimi anni, oltre ai vari provvedimenti inclusi in altri provvedimenti, gli stanziamenti disposti in favore dei lavoratori socialmente utili sono rimasti sostanzialmente uguali, e spesso esclusivamente in favore del comune e della provincia di Napoli, del comune di Palermo, del comune di Sciacca (per quanto riguarda gli stanziamenti in favore dei comuni con meno di 5.000 abitanti);
secondo quanto riportato dalla ragioneria generale dello Stato, al comune e alla provincia di Napoli e al comune di Palermo ci sarebbero stati negli anni 2010, 2011 e 2012, con oscillazioni minime di anno in anno, circa 1.480 unità. Per gli stessi anni, i provvedimenti legislativi riportati in premessa, hanno stanziato a questi enti locali 110 milioni di euro. Facendo un semplice e rapido calcolo, arrotondato per difetto, risulta che, per ogni anno considerato, lo Stato ha destinato a ciascun lavoratore socialmente utile circa 74.320 euro, pari a 6.190 euro al mese;
per quanto riguarda invece lo stanziamento di 1 milione di euro previsto, inizialmente dal comma 82, articolo 3, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 e sistematicamente rinnovato ogni anno sino ad oggi, si evince dai provvedimenti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che tali fondi sono stati destinati in maggioranza al comune di Sciacca, un paese di 41.000 abitanti in provincia di Agrigento, da ultimo tramite decreto direttoriale – direzione generale per le politiche attive e passive del lavoro datato 27 maggio 2013, in cui tale comune siciliano riceveva 969.696,97 euro, cioè quasi il 97 per cento dello stanziamento complessivo, per 32 LSU, più di 30.300 euro per unità all'anno, cioè più di 2.500 euro per unità al mese;
secondo gli ultimi dati ISTAT disponibili, tra disoccupati e inoccupati, vi sono in Italia ben oltre 5 milioni di persone, mentre coloro che vivono in stato di povertà assoluta ammontano a 4,8 milioni. L'OCSE rende invece noto che la disoccupazione giovanile nel nostro Paese supera in maniera preoccupante il 40 per cento. Di fronte a queste cifre, è ancora più palese la necessità di investire fondi in favore delle fasce più deboli e povere, invece di continuare a finanziare a pioggia categorie di persone privilegiate, in quanto vantavano rapporti con la classe politica in grado di garantire posti di lavoro, seppur precari –:
quale sia il numero dei soggetti appartenenti alla categoria dei lavoratori socialmente utili, di pubblica utilità ovvero – appartenenti a categorie similari create nel tempo a livello regionale, per i quali risulta accesa una posizione contributiva presso L'INPS, sia con riferimento ai lavori socialmente utili ed alle altre categorie finanziate con risorse statali per i quali questa posizione non risulta, per il periodo dal 2000 ad oggi, suddivisi per ente utilizzatore;
nel corso degli anni, quanti siano stati i fondi anche statali destinati per le proroghe dei progetti socialmente utili, di pubblica utilità o similari, e quanti i fondi destinati agli incentivi per ridurre il bacino degli appartenenti a questa categoria;
quali siano gli enti utilizzatori che hanno percepito questi fondi statali, in che misura queste risorse sono state destinate al pagamento degli stipendi dei lavoratori socialmente utili/LPU e se il governo abbia notizia di eventuali ulteriori destinazioni;
per quali motivi, nonostante la riduzione del bacino dei lavoratori socialmente utili negli ultimi 15 anni, il livello dei finanziamenti sia rimasto sostanzialmente uguale nel corso degli anni e vi è perfino un folto gruppo di lavoratori socialmente utili che ancora deve percepire svariate mensilità arretrate. (4-03199)
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE
Interrogazione a risposta in Commissione:
GRILLO. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
sono 4.557 le auto blu a disposizione, al 1o dicembre 2013, delle amministrazioni regionali e locali;
di queste 758 sono in Sicilia e 508 in Campania come da anticipazione del rapporto Formez PA-funzione pubblica sul parco auto degli enti locali che sarà pubblicato nei prossimi giorni sul sito del Dipartimento della funzione pubblica;
nonostante i tagli la Sicilia è al top per auto blu a disposizione;
sul sito http://www.siciliainformazioni.com/tag/auto-blu si legge testualmente: «Le norme adottate da questo e dal precedente governo – spiega il Ministro per la P.A. e la Semplificazione, Gianpiero D'Alia – hanno portato e porteranno risultati positivi anche nelle realtà locali, dove resta però ancora concentrato il più alto numero di auto blu. Oggi, anche grazie alla nuova disciplina introdotta dal DI 101, siamo nelle condizioni di avere una panoramica totale della situazione, che ci permette di individuare gli abusi in ogni parte d'Italia: ora bisogna ragionare sull'introduzione di strumenti ancor più stringenti per far cambiare registro a quelle amministrazioni che continuano a sperperare eludendo il cambiamento»;
il sindaco di Trapani, Vito Damiano ha usato l'auto di servizio per recarsi allo stadio;
l'ex assessore regionale all'Economia, Gaetano Armao esponente pro tempore della giunta guidata da Raffaele Lombardo, avrebbe approfittato dell'auto blu per portare la fidanzata e la tata della figlia in giro per Palermo;
a tal proposito sul sito http://www.siciliainformazioni.com/tag/auto-blu il ministro della Pubblica Amministrazione Giampiero D'Alia un mese fa aveva definito l'abuso delle auto blu come un'usanza scandalosa e odiosa;
lo stesso Ministro precisa: «Dai dati che noi abbiamo nell'ultimo anno sul censimento del rapporto sulle auto blu e sulle auto di servizio, possiamo dire che il numero si è ridotto in tutta Italia. In Sicilia, invece, è ancora troppo alto il rapporto tra auto blu e auto di servizio. Ci sono troppe auto blu, un'usanza odiosa soprattutto in questo momento di crisi»;
a discapito di ogni buona intenzione ed affermazione aumenta il parco delle auto blu in Sicilia: sette all'Ars e cinque alla Presidenza della regione. Il potenziamento è stato reso possibile grazie a due procedure indette nel mese di dicembre dall'assessorato delle autonomie locali e della funzione pubblica e dall'Assemblea regionale siciliana per la fornitura rispettivamente di cinque e sette auto senza conducente per un periodo di 48 mesi. Le prime – si tratta di «grandi berline» blindate – saranno destinate all'autoparco regionale presso il dipartimento della funzione pubblica e del personale, ad eccezione di un mezzo che arriverà fino a Bruxelles, a quell'ufficio alle dirette dipendenze del presidente della regione;
l'importo complessivo presunto della fornitura delle auto destinate all'assessorato – come da avviso pubblicato sul sito della regione lo scorso 13 gennaio – è di 960 mila euro oltre iva, che sommati ai costi posti a base di gara per sette autovetture di rappresentanza per l'autoparco dell'Ars, lievita a una spesa complessiva superiore al milione e 300mila euro –:
se il Ministro sia a conoscenza di quanto disposto e acquistato dalla regione Siciliana;
se il Ministro fosse stato informato preventivamente della pubblicazione del bando da parte dell'assessorato regionale competente, e se sia intervenuto in merito;
se il Ministro come dichiarato nel mese di maggio 2013 abbia discusso in sede di conferenza Stato regioni del tema e quali riscontri abbia avuto dei rappresentanti della regione Siciliana. (5-01905)
Interrogazione a risposta scritta:
VALLASCAS, NICOLA BIANCHI e PINNA. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
la giunta regionale della Sardegna, con deliberazione n. 48/23 dell'11 dicembre 2012 ha approvato un piano per il superamento del precariato, attraverso la riaperta della procedura di stabilizzazione a domanda del personale precario per gli anni 2010-2012, stabilendo il contingente di posti per categoria ed i requisiti di ammissibilità, ai sensi delle vigenti leggi regionali, elencate per esteso nella delibera;
in calce alla procedura del suddetto programma di reclutamento era espressamente indicato che; «le disposizioni di cui all'articolo 2, comma 1, della legge regionale 26 giugno 2012, n.13 e all'articolo 2, commi 2 e 3, della legge regionale 13 settembre 2012, n.17, sono oggetto di impugnativa davanti alla Corte costituzionale. Qualora le stesse dovessero essere dichiarate incostituzionali, l'Amministrazione procederà in conformità al nuovo quadro giuridico»;
le disposizioni citate sono tra quelle ai sensi delle quali si svolgeva la procedura di reclutamento, e sulle quali il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso la questione di legittimità costituzionale;
con Sentenza n. 277/2013, depositata il 22 novembre 2013, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di una serie di disposizioni contenute in diverse leggi della regione Sardegna, ma, per quanto interessa in questa sede, è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2 della legge 26 giugno 2012, n. 13, nonché dell'articolo 2, commi 1, 2, 3 e 5 della legge della regione autonoma Sardegna n. 17 del 2012; a chiusura della procedura di reclutamento, il 23 dicembre 2013 è stato pubblicato l'elenco del personale risultato stabilizzato: ad avviso dell'interrogante le modalità individuate per rendere pubblici i risultati della procedura nonché l'elenco risultano, se non maliziose, vistosamente in difetto di trasparenza, in quanto essi non comparivano nella home page, né in forma di link chiaramente e immediatamente e visibile, scelta che, ad avviso dell'interrogante, può aver contribuito a rallentare eventuali azioni impugnative;
a seguito della sentenza, non vi è stato annullamento della procedura di reclutamento – ritrovatasi, ad avviso dell'interrogante, priva del fondamento giuridico in base al quale era stata attivata – in quanto l'amministrazione ha ritenuto di applicare le norme di una precedente procedura, risalente al 2009, basata sull'articolo 36, comma 2, della legge regionale n. 2 del 2007;
risulta all'interrogante che ciò abbia comportato il ripescaggio del vecchio bando, nonché un rimpasto delle domande di stabilizzazione, sulla base della legge n. 3 del 3 agosto 2009, articoli 3, commi 2 e 5, nonché della legge n. 12 del 13 giugno 2012;
la procedura di reclutamento deliberata nel 2012 prevedeva, tra i requisiti, la maturazione di almeno 30 mesi di attività lavorativa anche non continuativa nel periodo 29 maggio 2202 – 30 giugno 2011 (presso qualunque ente territoriale o pubblica amministrazione ai sensi dall'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165/2001), ma l'elenco della graduatoria pubblicata tiene immotivatamente conto del termine finale del 18 agosto 2009 –:
quali eventuali iniziative di competenza il Ministro ritenga opportuno assumere in relazione a quanto indicato in premessa alla luce del dettato costituzionale e della legislazione vigente, nello specifico della legge n. 228 del 24 dicembre 2012, «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato», che all'articolo 1, comma 401, limita il ricorso all'istituto della stabilizzazione dei lavoratori precari all'interno della pubblica amministrazione, mediante la modifica dell'articolo 35 del decreto legislativo n. 165 del 30 marzo 2001, «Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche». (4-03186)
SALUTE
Interrogazione a risposta in Commissione:
GRILLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
il 23 aprile 2008 la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) veniva riconosciuta tra le patologie croniche invalidanti;
in pari data il Presidente del Consiglio dei ministri Romano Prodi e i Ministri della salute, Livia Turco, e dell'economia, Tommaso Padoa Schioppa, firmavano il decreto del presidente del Consiglio dei ministri contenente i nuovi Livelli essenziali di assistenza (LEA) erogati dal Servizio sanitario nazionale, contenenti anche la revisione del decreto ministeriale n. 329 del 1999 sulle malattie croniche e invalidanti (decreto ministeriale del 28 maggio 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 226 del 25 settembre 1999 e successive modifiche);
tra le novità più rilevanti per la pneumologia, la BPCO dal II al IV stadio (GOLD) e la Sarcoidosi dal II stadio, vennero inserite tra le patologie esonerate dal pagamento di alcune prestazioni diagnostiche;
in assenza del nuovo decreto più volte annunciato, ma tutt'oggi non emanato, i Livelli essenziali di assistenza del Servizio sanitario nazionale restavano invariati rispetto al 2006;
di conseguenza le novità introdotte nel decreto firmato ad aprile 2008 dal Governo Prodi, non rientrano in atto nelle prestazioni da erogare da parte del Sistema sanitario nazionale;
le novità inerenti la BPCO, introdotte nel decreto firmato ad aprile 2008 dal Governo Prodi a tutt'oggi sono cancellate in quanto i Livelli essenziali di assistenza del Servizio sanitario nazionale restano invariati rispetto al 2006 –:
se il Ministro interrogato intenda promuovere le opportune iniziative, anche di carattere normativo, al fine di reintrodurre la BPCO tra le patologie erogate dal Sistema sanitario nazionale nei Livelli essenziali di assistenza. (5-01904)
Apposizione di una firma ad una interpellanza.
L'interpellanza urgente Costa n. 2-00370, pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta del 14 gennaio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Saltamartini.
Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.
Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Catalano e altri n. 4-03182 del 16 gennaio 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01907.
ERRATA CORRIGE
L'interrogazione a risposta scritta Mannino n. 4-03034 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 143 del 21 dicembre 2013.
Alla pagina 8314, prima colonna, alla prima riga, deve leggersi «l'articolo 7 del decreto n. 693 del» e non «l'articolo 7 del decreto n. 683 del».
Alla pagina 8314, prima colonna, della riga ventitreesima alla riga venticinquesima, deve leggersi «tra le prescrizioni relative all'impianto, fissate dal decreto n. 693 del 2008, all'articolo 7, è stato inserito l'obbligo, per il» e non «tra le prescrizioni relative all'impianto, fissate dal decreto m. 683 del 2009, all'articolo 7 è stato inserito l'obbligo per il».
Alla pagina 8314, prima colonna, dalla riga trentanovesima alla riga quarantesima, devi leggersi «decreto n. 693 del 2008, non è stata realizzata» e non «decreto n. 693 del 2008, non è stata realizzata».
Alla pagina 8314, prima colonna, dalla riga quarantaseiesima alla riga quarantasettesima, deve leggersi «elencate nel decreto n. 693 del 2008, nonostante – in data 18 gennaio 2011 – sia» e non «elencate nel decreto n. 683 del 2009, nonostante – in data 18 gennaio 2011 – sia».