Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 22 gennaio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    in data 24 novembre 2011 la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio pronunciava la sentenza nei confronti di società concessionarie di gioco d'azzardo e di alti dirigenti dell'Amministrazione autonoma monopoli di Stato nelle persone di Giorgio Tino e Antonio Tagliaferri;
    la procura regionale del Lazio riteneva responsabili i dirigenti dell'Amministrazione autonoma monopoli di Stato di non avere attivato i poteri di vigilanza e controllo attribuiti dalla normativa vigente e dalla convenzione di concessione per prevenire o perlomeno ridurre la lesione dell'interesse pubblico al controllo sul gioco d'azzardo;
    il dottor Tagliaferri, direttore generale della direzione giochi, veniva accusato di non avere provveduto alla escussione delle garanzie costituite dai concessionari ai fini del loro tempestivo adempimento degli obblighi di servizio relativi all'attivazione della rete;
    il dottor Tagliaferri veniva indicato, dalla procura regionale del Lazio come responsabile della mancata costituzione della commissione tecnica che aveva il compito di definire le procedure e i criteri per la rilevazione, il calcolo e l'arrotondamento delle penali, necessaria per valutare la corrispondenza ai livelli previsti dalla convenzione di concessione del servizio di conduzione della rete svolto dai concessionari;
    rispetto alle criticità rilevate rispetto agli obblighi di attivazione della rete da parte dei concessionari l'Amministrazione autonoma monopoli di Stato costituì un tavolo permanente solo dal 4 ottobre 2004 data che a detta della procura regionale del Lazio è ritenuta troppo tardiva rispetto alle necessità;
    la sentenza della Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, viene emessa ad oltre un anno dal deposito della sentenza – ordinanza n. 2152 del 2010;
    nella citata sentenza 2152/2010 si è definita la causa dei giudizi che si sono basati sul danno erariale conseguente alla ritardata attivazione, derivante dall'omessa realizzazione dei previsti collegamenti della rete, nonché dall'inefficace funzionamento del sistema di gestione e controllo del gioco in denaro e quindi all'impossibilità di verificare la conformità del gioco con vincite in denaro alla normativa in vigore con conseguente sperpero delle risorse impiegate in tali finalità;
    infatti l'azione della procura non è stata rivolta solo nei confronti dei concessionari ma anche di dirigenti del Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato responsabili del ritardo nell'irrogazione delle sanzioni;
    la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, ha reputato la sussistenza di un consistente danno a carico dell'erario causato dal mancato svolgimento del servizio pubblico di controllo sul gioco d'azzardo, il mancato controllo ha quindi vanificato il servizio pubblico affidato in concessione alle dieci società ed ha reso impossibile «una più efficiente ed efficace azione di prevenzione e contrasto dell'uso illegale di apparecchi e congegni da divertimento e intrattenimento nonché per favorire il recupero del fenomeno dell'evasione fiscale»;
    la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, ha quindi accertato che il controllo pubblico non c’è stato almeno nel periodo tra il gennaio 2005 e gennaio 2007, ma per quanto ha potuto accertare gravissime carenze sussistevano anche all'epoca della sentenza ovvero al novembre 2011;
    l'articolo 17 della concessione stabilisce che «durante la concessione AAMS esercita i poteri di vigilanza e controllo e di ispezione sul concessionario con specifico riferimento all'esecuzione di tutte le attività e funzioni pubbliche trasferite» inoltre lo stesso articolo 17 stabilisce che l'Amministrazione autonoma monopoli di Stato può procedere unilateralmente ai controlli e alle ispezioni con accessi senza preavviso presso le sedi dei concessionari ivi comprese quelle dove è ubicato il sistema di elaborazione;
    il collegio della Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio afferma che il dottor Antonio Tagliaferri è, senza dubbio, responsabile delle omissioni di controllo e di contestazione. Responsabile quindi degli omessi controllo e del rilascio di nulla osta all'esercizio in numero superiore a quelle programmato nella convenzione. Se questi si fosse adoperato, sin dal primo periodo, affinché le società concessionarie rispettassero il programma, le connessioni avrebbero funzionato tempestivamente e la trasmissione dei dati tra gli apparecchi e il sistema centrale sarebbe stata regolare. Invece, a detta del citato collegio il dottor Tagliaferri ha consentito una gestione spregiudicata da parte delle concessionarie consentendo il rilascio di un numero di nulla osta spropositato rispetto alle macchine che avrebbero dovute essere collegate alla data del 31 ottobre 2004;
    anche nei primi mesi del 2005 quando ormai era risultato evidente che il controllo pubblico non veniva esercitato e che non era possibile conoscere i dati effettivi delle giocate il dottor Tagliaferri non è né intervenuto né si è adoperato per correggere una situazione di gravissima illegalità;
    il dottor Tagliaferri abdicando per lungo tempo i suoi poteri-doveri di vigilanza e controllo ha consentito che la situazione di illegalità si consolidasse a tal punto che per garantire le entrate per l'erario si è prodotta una modifica legislativa alla normativa di riferimento con la legge 27 dicembre 2006 n. 296;
    l'attività investigativa della guardia di finanza, sulla quale si è basata l'azione della procura regionale, non ha evidenziato solo uno sperpero di risorse pubbliche ma ha messo in luce gravissime illegalità che hanno escluso quasi del tutto l'esercizio del controllo pubblico sul gioco fondamentale per il contrasto all'uso illegale di apparecchi e congegni di cui all'articolo 22 della legge n. 289 del 2000;
    per i motivi esposti in data 24 novembre 2011 la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio condannava il dottor Antonio Tagliaferri al pagamento della somma di euro 2.598.750,00;
    con l'articolo 7, comma 10 del decreto-legge 13 settembre 2012 n. 158 presso l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato veniva istituito un osservatorio finalizzato alla valutazione le misure più efficaci per contrastare la diffusione del gioco d'azzardo e il fenomeno della dipendenza grave;
    con determina del vicedirettore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli veniva indicata la composizione dell'Osservatorio di cui all'articolo 7 comma 10 del decreto legge 13 settembre 2012 n. 158, tra questi figura come componente supplente il dottor Tagliaferri, dirigente generale dell'Agenzia delle dogane e dei Monopoli per la presidenza dell'Osservatorio, proprio il dottor Tagliaferri condannato dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio la sussistenza di un consistente danno a carico dell'erario causato dal mancato svolgimento del servizio pubblico di controllo sul gioco d'azzardo, mancato controllo che ha vanificato il servizio pubblico affidato in concessione alle dieci società ed ha reso impossibile «una più efficiente ed efficace azione di prevenzione e contrasto dell'uso illegale di apparecchi e congegni da divertimento e intrattenimento nonché per favorire il recupero del fenomeno dell'evasione fiscale»,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per revocare dall'incarico di componente supplente dell'Osservatorio istituito dall'articolo 7, comma 10 del decreto-legge 13 settembre 2012 n. 158, il dottor Antonio Tagliaferri dirigente generale dell'Agenzia delle dogane e dei Monopoli di Stato;
   a valutare ogni iniziativa di competenza per una diversa destinazione del dottor Antonio Tagliaferri;
   ad assumere iniziative per l'annullamento della determina dirigenziale del dottor Luigi Magistro vice direttore dell'Agenzia delle dogane – Area monopoli, con la quale vengono individuati gli esperti che compongono l'Osservatorio istituito dall'articolo 7, comma 10 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito con modificazioni dalla legge 8 novembre 2012, n. 189.
(1-00321) «Baroni, Mantero, Ferraresi, Cecconi, Dall'Osso, Di Vita, Grillo, Lorefice, Silvia Giordano, Simone Valente, Corda, Basilio, Rizzo, Frusone, Micillo, Marzana, Chimienti, Cancelleri, Tripiedi, Alberti, Agostinelli, Pinna, Pesco, Colonnese, Vacca, Fico, Cariello, Luigi Gallo, Tofalo, Sibilia, De Rosa, Lupo, Fraccaro, Liuzzi, Brescia, D'uva, Battelli, Ruocco, Pisano, Villarosa, Caso, Nuti, Dadone, Cozzolino, Castelli, Businarolo, Cominardi, Bechis, Brugnerotto, Ciprini, Artini, Bonafede, Colletti, Parentela, Nesci, Spessotto, Spadoni, Grande, Di Benedetto, De Lorenzis, Paolo Nicolò Romano, Cristian Iannuzzi, Nicola Bianchi, Terzoni, Zolezzi, Segoni, Daga, Gallinella, Massimiliano Bernini».


   La Camera,
   premesso che:
    ad oggi, una moltitudine di piccole e medie imprese italiane versa in una situazione di gravissimo disagio finanziario, a causa del mancato pagamento di crediti maturati a vario titolo, in Libia per forniture di beni e servizi effettuate nei confronti di amministrazioni ed enti libici;
    a riguardo, sussistono due flussi di crediti rimasti insoluti, ossia quelli conseguenti alla sospensione dei pagamenti da parte della Libia con l'approvazione dell'embargo entrato in vigore il 5 aprile 1992, ratificato anche dal Governo italiano, nonché quelli antecedenti alla crisi politico-istituzionale che ha colpito la Libia nel febbraio 2011;
    per quanto concerne il primo flusso di crediti, ossia quelli sorti in periodo precedente al 1992, si rileva che, nell'anno 2002, è stata istituita una commissione mista italo-libica, formata da rappresentanti della Banca Ubae e da funzionari del Ministero delle finanze libico, incaricata di verificare e certificare tali crediti delle società italiane;
    nel mese di novembre dello stesso anno, le imprese hanno consegnato la documentazione comprovante i crediti, affinché la commissione Ubae predetta potesse effettuarne l'accertamento;
   nel mese di febbraio 2003, alla presenza del Ministro degli Affari esteri, dei rappresentanti dell'Ubae, del Ministero del Tesoro libico e dell'Ali (Associazione libico italiana) sono stati illustrati i risultati raggiunti dalla procedura di verifica dei crediti;
    nel mese di aprile 2003, è stato richiesto agli enti libici di confermare i crediti esaminati, nonché di comunicare eventuali posizioni debitorie delle aziende italiane nei confronti degli enti libici medesimi, al fine di valutare la possibilità di eventuali compensazioni, ma, sebbene pervenute le dichiarazioni di riconoscimento di debito da parte degli enti libici, il contenzioso è rimasto irrisolto in quanto le promesse di pagamento avanzate non hanno avuto alcun seguito;
    nell'agosto del 2008, è stato siglato il noto Trattato di amicizia tra l'Italia e la Libia, poi recepito con legge dello Stato italiano, ma, inspiegabilmente, con lo stesso non è stato previsto un accordo risolutorio della questione relativa al pagamento dei crediti delle imprese italiane;
    nel tempo, alcuni crediti sono stati estinti attraverso delle transazioni, sia direttamente che indirettamente, mediante indennizzi del Sace e, peraltro, è stata a suo tempo avanzata una proposta delle autorità libiche di transigere definitivamente il contenzioso in oggetto attraverso un pagamento parziale al Governo italiano, il quale, tuttavia, non ritenne di doversi surrogare alle imprese creditrici per il timore di dovere fronteggiare richieste giudiziali di risarcimento danni da parte di alcune società non aderenti all'accordo transattivo;
    è stato allestito un tavolo tra i due Paesi per la risoluzione finale dei crediti pregressi, che ha comportato anche la visita di una missione libica in Italia, alla quale doveva ripetersi un ulteriore e definitivo incontro a Tripoli, tuttavia, quest'ultimo in seguito non è stato più convocato dalle autorità libiche;
    attualmente, dedotti i crediti estinti, sono circa sessanta le imprese che non hanno ancora ottenuto la liquidazione dei crediti sorti in periodo precedente all'embargo del 1992, per un importo complessivo di circa 350.000.000 di euro, rispetto al recupero dei quali l'intervento della recente crisi politico istituzionale libica ha interrotto le trattative pendenti;
    come già premesso, tale crisi che ha colpito la Libia nel febbraio 2011, oltre ad avere arrestato le trattative in corso per la riscossione dei crediti precedenti al 1992, ha determinato il blocco dei pagamenti anche di un secondo flusso di crediti, mettendo in grave difficoltà circa 132 imprese italiane che hanno operato per amministrazioni ed enti libici;
    a riguardo di queste imprese presenti in Libia, solo due erano assicurate con SACE, posto che, tutte le altre imprese operavano nella convinzione di essere tutelate dal Trattato di amicizia tra Italia e Libia per quanto concerne il rispetto dei reciproci patti;
    sebbene non sia stato possibile acquisire i crediti legittimamente maturati, gli stessi sono stati già iscritti a bilancio per l'adempimento degli obblighi civilistici e fiscali, pertanto, di fronte alla grave crisi economico-finanziaria, il danno alle imprese coinvolte è aggravato dall'impossibilità di dar corso al pagamento delle imposte, con il rischio di vedersi irrogare sanzioni anche di tipo penale;
    per un importo complessivo di circa 650.000.000 di euro, attualmente, sono circa cento le imprese che devono ancora riscuotere i propri crediti antecedenti alla crisi del 2011, dei quali il Ministro degli Affari Esteri è in possesso della documentazione giustificativa ottenuta con due censimenti effettuati, rispettivamente, degli anni 2011 e 2012;
    nel mese di aprile del 2011, la III Commissione (Affari esteri) ha approvato una risoluzione relativa ai problemi delle imprese che operavano nei Paesi del Mediterraneo in crisi, e, successivamente, nel maggio 2011, è stata presentata una proposta di legge, la n. 4394, non esaminata, a tutela delle imprese italiane coinvolte nella crisi socio-politica sviluppatasi in Libia, Tunisia ed Egitto;
    il 2 agosto 2011, sono stati presentati quattro ordini del giorno (Compagnon, UdC - 4551-19; Gidoni, LN - 4551-1; Gottardo, PdL - 4551-20; Rosato, PD - 4551-23) relativi ai crediti maturati ed alla sospensione delle imposte, accettati dal Governo Berlusconi ma che non risulta sono stati attuati;
    al Parlamento europeo, le risposte ad alcune interrogazioni (Angelilli, Cancian ed altri E-008353/2011 risposta 14 novembre 2011; Serracchiani E-007827/2011 risposta del 25 ottobre 2011; Oreste Rossi risposta del 4 gennaio 2012) presentate al Consiglio europeo affermavano la possibilità di autorizzare la liquidazione dei crediti maturati mediante l'impiego dei fondi libici congelati, in particolare, a quelle imprese che operavano con enti pubblici o ad essi equiparabili;
    il Governo Monti ha accettato l'ordine del giorno presentato il 16 dicembre 2011 (Gidoni 9/4829-A/194) e non ancora attuato, con il quale veniva impegnato «ad avvalersi della facoltà prevista dal citato articolo 9 della citata legge n. 212 del 2000 che autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze a differire con proprio decreto i termini per il pagamento dei tributi (.....)», nonché «a valutare l'opportunità di concedere indennizzi o anticipi sui crediti maturati in Libia, per la quota non riconosciuta da coperture assicurative, a favore delle imprese italiane, sia persone fisiche sia persone giuridiche, che dimostrino, mediante idonea documentazione, di essere state operanti in Libia alla data del 17 febbraio 2011»;
    per quanto concerne i crediti connessi agli eventi rivoluzionari del 2011, negli ultimi mesi del medesimo anno, su forti e continue pressioni da parte della Confindustria, Assafrica e della Camera di Commercio italolibica, è stato istituito un tavolo presso la Farnesina al quale parteciparono, oltre a tali soggetti, banca Ubae, Unicredit, e i rappresentanti dei Ministeri delle finanze, dello sviluppo economico e degli affari esteri;
    nella predetta sede, si svolsero due riunioni durante le quali la Camera di commercio italo-libica propose la costituzione di un fondo di garanzia a tutela delle imprese coinvolte, iniziativa che avrebbe evitato il tracollo di alcune aziende (eventi in seguito accaduti);
    tale richiesta nacque per contrastare le manifeste e forti resistenze del Ministero dell'economia e finanze rispetto alla adozione di temporanei strumenti di sospensione degli oneri fiscali e contributivi, proposta con l'intento di alleviare la situazione delle imprese coinvolte sino alla concreta liquidazione dei crediti;
    sebbene si raggiunse un accordo volto a dare seguito alla costituzione del fondo, vista anche la disponibilità da parte del sistema bancario presente a supportare detta iniziativa, il Ministero degli affari esteri, successivamente, non si è più adoperato per raggiungere tale obiettivo;
    nel mese di gennaio 2012, è stata sottoscritta la dichiarazione di Tripoli dall'allora Presidente del Consiglio dei ministri, Mario Monti, e il Capo del Governo provvisorio libico Abdel Rahim Al Kib, con l'obiettivo di determinare una nuova concezione dei rapporti rispetto al trattato di amicizia firmato nel 2008 e, da un punto di vista operativo, ha definito un accordo – seppure labile – fra i due Governi sul recupero dei crediti legittimi fra i rispettivi enti e imprese;
    in data 2 febbraio 2012, ha avuto risposta un'interpellanza parlamentare urgente (Gottardo – 2-01336) da parte di Staffan de Mistura, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri, il quale ha confermato che i fondi libici congelati sono stati sbloccati a seguito della fine del conflitto e, di conseguenza, non sarebbero stati più disponibili per far fronte al risarcimento delle imprese;
    ad ogni modo, il Sottosegretario di Stato, in riscontro alla predetta interpellanza, dava conto dell'impegno del Governo a risolvere, in brevi tempi, le questioni della riscossione dei crediti e della sospensione delle imposte;
    nel tempo, si sono susseguite ulteriori azioni con l'obiettivo di indurre il Governo ad adottare concreti provvedimenti per una definitiva risoluzione della questione, ma, ad oggi, le imprese risultano di fatto «abbandonate» e molte di queste non hanno ancora ottenuto la certificazione dei legittimi crediti maturati e la sospensione delle imposte in applicazione dell'articolo 9 della legge 27 luglio 2000, n. 212;
    la Camera di commercio italo-libica è da sempre impegnata per favorire una soluzione delle complesse problematiche, procedurali e finanziarie, per la liquidazione dei crediti delle imprese italiane maturati in Libia, sia quelli precedenti all'embargo del 1992 che alla crisi politico-istituzionale del 2011, tuttavia, tali sforzi sono risultati vani di fronte all'immobilità delle istituzioni;
    è urgente ed improrogabile il concreto supporto alle società che hanno operato in Libia, anche considerando che si tratta di piccole e medie imprese che sono un fondamentale patrimonio per lo sviluppo economico dell'Italia, posto che hanno investito risorse finanziarie ed umane per creare nuovi orizzonti produttivi, economici ed imprenditoriali;
    è indispensabile consentire alle stesse il rilancio della propria produttività, al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e mantenere le attività lavorative, nonché i connessi contratti che erano in corso, allontanando il rischio di essere sostituite da società straniere pronte ad approfittare della crisi finanziaria in cui versano ingiustamente tali realtà;
    negli ultimi anni, già molte di tali imprese sono fallite a causa della sofferenza finanziaria e dei danni economici patiti, pertanto, non si può rischiare l'estinzione di ulteriori realtà imprenditoriali, indispensabili per il nostro Paese poiché strategiche per uscire dalla attuale crisi economica;
    si ritiene inaccettabile che i Governi che si sono succeduti, nonostante gli impegni assunti, non si siano adoperati concretamente per sostenere le imprese creditrici, che non solo non hanno ottenuto la soddisfazione delle legittime pretese creditorie, ma neanche delle agevolazioni efficaci, tali da consentire alle stesse di potere resistere alle gravi difficoltà economiche sino alla riscossione delle somme dovute;
   è indispensabile che il Governo italiano proceda alla certificazione dei crediti non ancora vidimati e promuova una trattativa dura ed efficace con le competenti autorità libiche, per indurle a saldare i debiti pregressi, costituendo all'uopo un fondo le cui risorse economiche siano attribuite alle imprese italiane operanti in Libia a soddisfazione dei crediti accertati, consentendo alle stesse di sottrarsi al fallimento e riprendere le attività che avevano in corso nel territorio libico,

impegna il Governo:

   ad adottare, immediatamente, idonee iniziative per ottenere la liquidazione dei crediti maturati dalle imprese operanti in Libia e che hanno presentato la relativa documentazione comprovante il titolo;
   a costituire, nuovamente, un tavolo di concertazione tra il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro degli affari esteri e il Ministro dell'economia e finanze, nonché i competenti enti di rappresentanza, quali camera di commercio italo-libica, Confindustria e Assafrica, al fine di raggiungere un'intesa per la risoluzione del contenzioso in questione e per l'immediata istituzione di un fondo patrimoniale destinato a liquidare i crediti maturati dalle imprese italiane in Libia;
   ad assumere, urgentemente, idonee iniziative normative al fine di disporre la sospensione delle imposte prevedendo la posticipazione delle scadenze ad una data successiva alla liquidazione dei crediti maturati in Libia.
(1-00322) «Rizzetto, Prodani, Bechis, Baldassarre, Rostellato, Cominardi, Chimienti, Tripiedi, Pinna, Grande, Mucci».

Risoluzioni in Commissione:


   La Commissione XIII,
   premesso che:
    il dibattito sugli Organismi geneticamente modificati (OGM) riguardo il loro utilizzo nelle fasi della filiera agroalimentare, sta generando e stimolando la ricerca scientifica. Bisogna chiarire che per «organismo geneticamente modificato» si intende un organismo in cui il DNA, tramite operazioni di ingegneria genetica, è stato modificato. In esso sono stati innestati pezzi di DNA di un altro organismo, per creare esseri viventi non presenti in natura e non ottenibili tramite incroci. Poiché molte proteine e molti geni introdotti negli OGM a uso alimentare non sono mai stati consumati dagli animali o dall'uomo (esempio gene di scorpione nelle patate, batterio nel mais), non è prevedibile la risposta dell'organismo che li consuma. Ancora meno prevedibili sono le conseguenze genetiche in tutte le specie coinvolte nella catena alimentare di cui fa parte l'organismo geneticamente modificato;
    nel caso delle piante, come mais e soia, l'innesto di un gene di batterio può creare una specie resistente a un diserbante o all'attacco di un insetto o, ancora, al freddo. Più precisamente, e secondo la terminologia ufficiale, il termine OGM va applicato agli organismi nel cui DNA sono state provocate variazioni mediante processi diversi da incroci o ricombinazione genetica. Gli aspetti problematici connessi all'utilizzo degli OGM sono vari:
    a) scarsa precisione e affidabilità della tecnica di ingegneria genetica, il che può dar luogo anche a piante geneticamente modificate instabili nel tempo;
    b) rischio di selezionare popolazioni di patogeni resistenti ai pesticidi, a causa dell'eccesso nell'uso dello stesso agente antiparassitario (ad esempio il Bt);
    c) rischio di selezionare piante infestanti tolleranti agli erbicidi, a causa dell'eccesso nell'uso dello stesso agente chimico (ad esempio il glifosato);
    d) insorgenza di allergie non sempre prevedibili con gli attuali test; impoverimento dell'agrobiodiversità e della biodiversità (poche colture standardizzate);
    e) alterazione di regimi dietetici corretti (vedi la dieta mediterranea) con l'introduzione massiccia e inutile, se non dannosa, di prodotti agricoli nutrizionalmente fortificati;
    f) perdita di libertà da parte di molti agricoltori, trasformati in lavoratori dipendenti al servizio delle aziende proprietarie dei brevetti;
    g) minaccia per la sovranità alimentare delle nazioni;
    a tutto ciò si aggiunge il trasferimento genico orizzontale (TGO). L'ingegneria genetica comporta la progettazione di costruzioni artificiali di attraversare le barriere di specie e di invadere genomi. In altre parole, si migliora il trasferimento genico orizzontale – il trasferimento diretto di materiale genetico di specie non correlate. I costrutti artificiali o transgenico DNA tipicamente contengono materiale genetico di batteri, virus e altri parassiti genetici che causano malattie e geni di resistenza che rendono, appunto, le malattie infettive incurabili;
    in Italia, le fonti normative in materia di organismi geneticamente modificati vanno individuate nel decreto legislativo n. 212 del 2001, nel decreto legislativo n. 224 dell'8 luglio 2003, nel decreto ministeriale del 19 gennaio 2005, nella legge n. 5 del 2005 e nel decreto ministeriale del 18 marzo 2005;
    in particolare, il decreto legislativo n. 212 del 2001, attuativo delle direttive 98/95/CE e 98/96/CE sulla commercializzazione dei prodotti sementieri, prevede che l'iscrizione nel Registro nazionale delle vari età vegetali geneticamente modificati è soggetta a preventiva autorizzazione. La procedura prevista dal decreto legislativo n. 212 del 2001 stabilisce misure idonee a garantire che le colture derivanti da prodotti sementieri di varietà geneticamente modificati non entrino in contatto con le colture derivanti da prodotti sementieri tradizionali e non arrechino danno biologico all'ambiente circostante, tenuto conto delle peculiarità agroecologiche, ambientali e pedoclimatiche;
    il decreto legislativo n. 224 del 2003 ha invece dato attuazione alla direttiva 2001/18/CE, facendo propri i principi enunciati nella predetta e prevedendo procedure ed obblighi per chi intende operare emissioni deliberate di un organismo geneticamente modificato nell'ambiente;
    la Legge n. 5 del 28 gennaio 2005 ha introdotto nella disciplina nazionale il principio della coesistenza tramite la separazione delle filiere e quello della libertà di scelta del consumatore nella decisione del tipo di prodotto da usare: biologico, convenzionale o transgenico;
    per l'attuazione pratica della coesistenza la legge rimandava a delle norme quadro nazionali da emanarsi successivamente con decreto ministeriale d'intesa con le regioni e le province autonome. Alle stesse regioni e province autonome era demandato il compito di redigere dei piani di coesistenza in coerenza con le norme quadro;
    la legge introduceva inoltre norme relative alla responsabilità in caso di danno, alle sanzioni e al monitoraggio alla valutazione e informazione sul sistema di coesistenza adottato. Il 17 marzo 2006, a seguito di un ricorso da parte della regione Marche sulla legge n. 5 del 2005, la Corte costituzionale si è pronunciata con la sentenza n. 116 con cui ha sancito che la disciplina della coesistenza tra differenti tipi di agricoltura (convenzionale e biologica con quella che si avvale di OGM) è competenza esclusiva delle regioni e province autonome in quanto la coltivazione a fini produttivi riguarda chiaramente il «nocciolo duro» della materia agricoltura;
    pertanto spetta alle regioni l'esercizio del potere legislativo per disciplinare le modalità di applicazione del principio di coesistenza nei diversi territori regionali, notoriamente molto differenziati dal punto di vista morfologico e produttivo;
    la stessa sentenza ha però considerato legittimi i primi due articoli della legge n. 5 del 2005, lasciando inalterata la necessità di dare attuazione al principio di coesistenza al fine di non compromettere la biodiversità dell'ambiente naturale e di garantire la libertà di iniziativa economica, il diritto di scelta dei consumatori e la qualità e la tipicità della produzione agroalimentare nazionale;
    pertanto, per quanto sopra detto, considerato che non sono state iscritte varietà geneticamente modificati nell'apposito registro varietale geneticamente modificati, che non si è data attuazione alla procedura di legge per la messa in coltura, né sono state adottate disposizioni regionali in materia di coesistenza, in Italia non si dovrebbe ritenere coltivabile alcuna varietà geneticamente modificati;
    tuttavia, nella causa C-36/11, in data 6 dicembre 2012, la Corte di giustizia europea ha dichiarato che: «La messa in coltura di organismi geneticamente modificati quali le varietà del mais MON 810 non può essere assoggettata a una procedura nazionale di autorizzazione quando l'impiego e la commercializzazione di tali varietà sono autorizzati ai sensi dell'articolo 20 del regolamento (CE) n. 1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati, e le medesime varietà sono state iscritte nel catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole previsto dalla direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, emendata con il regolamento n. 1829/2003;
    l'articolo 26-bis della direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001, sull'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio, come modificata dalla direttiva 2008/27/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del marzo 2008, non consente a uno Stato membro di opporsi in via generale alla messa in coltura sul suo territorio di tali organismi geneticamente modificati nelle more dell'adozione di misure di coesistenza dirette a evitare la presenta accidentale di organismi geneticamente modificati in altre colture»;
    da quanto sopra, contrariamente a quanto previsto dalla disciplina nazionale, si evince che, al fine della messa in coltura del mais MON 810, non sarebbe necessaria la previa autorizzazione da parte degli Stati membri;
    in Italia, per come detto, nessuna regione ha adottato misure di coesistenza e, per come si legge nella sentenza, ciò non può essere d'impedimento, in via generale, alla messa in coltura di organismi geneticamente modificati, con la conseguenza che i divieti devono riguardare i singoli casi, previa valutazione degli specifici aspetti relativi alla possibilità/probabilità di contaminazione. Se, in forza della sentenza della Corte di giustizia, è venuta meno la necessità di autorizzazione, permangono tuttavia alcuni obblighi di legge specificatamente previsti dal decreto legislativo 8 luglio 2003 n. 224. In particolare, si richiama l'attenzione sull'articolo 35 comma 10 che prevede che «Chiunque, nell'ipotesi prevista dall'articolo 30, comma 2, non comunica alle regioni e alle provincie autonome competenti per territorio, entro quindici giorni dalla messa in coltura, la localizzazione delle coltivazioni OGM o non conserva per dieci anni le informazioni relative agli OGM coltivati ed alla localizzazioni delle coltivazioni, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 6000,00 a euro 12.000,00;
    per completezza si riporta anche l'articolo 36 «Sanzioni per danni provocati alla salute umana e all'ambiente, bonifica e ripristino ambientale e risarcimento del danno ambientale», che sebbene astrattamente applicabile, richiede la dimostrazione (molto complicata) che si siano verificati le situazioni di pericolo descritte o i danni di cui al comma 2;
    l'articolo prevede che «Fatte salve le disposizioni previste negli articoli 34 e 35 e sempre che il fatto non costituisca più grave reato, chi, nell'effettuazione di un'emissione deliberata nell'ambiente di un OGM ovvero nell'immissione sul mercato di un OGM, cagiona pericolo per la salute pubblica ovvero pericolo di degradazione rilevante e persistente delle risorse naturali biotiche o abiotiche è punito con l'arresto sino a tre anni o con l'ammenda sino ad euro 51.700;
    chiunque, con il proprio comportamento omissivo o commissivo, in violazione delle disposizioni del presente decreto, provoca un danno alle acque, al suolo, al sottosuolo od alle altre risorse ambientali, ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di inquinamento ambientale, è tenuto a procedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate: e degli impianti dai quali è derivato il danno ovvero deriva il pericolo di inquinamento, ai sensi e secondo il procedimento di mi all'articolo 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22;
    ai sensi dell'articolo 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349, è fatto salvo il diritto ad ottenere il risarcimento del danno non eliminabile con la bonifica ed il ripristino ambientale di cui al comma 2;
    nel caso in cui non sia possibile una precisa quantificazione del danno di cui al comma 3, lo stesso si presume, salvo prova contraria, di ammontare non inferiore alla somma corrispondente alla sanzione pecuniaria amministrativa ovvero alla sanzione penale, in concreto applicata. Nel caso in cui sia stata irrogata una pena detentiva, solo al fine della quantificazione del danno di cui al presente comma, il ragguaglio fra la stessa e la pena pecuniaria ha luogo calcolando duecentosei euro per un giorno di pena detentiva;
    in caso di condanna penale o di emanazione del provvedimento di cui all'articolo 444 del codice di procedura penale, la cancelleria del giudice che ha emanato il provvedimento trasmette copia dello stesso al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio. Gli enti di cui al comma 1 dell'articolo 56 del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, come modificato dall'articolo 22 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 258, danno prontamente notizia dell'avvenuta erogazione delle sanzioni amministrative al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, al fine del recupero del danno ambientale;
    chiunque non ottempera alle prescrizioni di cui al comma 2 è punito con l'arresto da sei mesi ad un anno e con l'ammenda da euro 2.600 ad euro 25.900;
   occorre precisare che lo Stato italiano ha inoltrato richiesta alla Commissione europea affinché quest'ultima effettui una nuova valutazione completa del Mon810 alla luce delle ultime linee guida, definisca adeguate misure di gestione che dovrebbero essere rese obbligatorie per tutti gli utilizzatori di tali Ogm e nel frattempo sospenda urgentemente l'autorizzazione alla messa in coltura di sementi di Mais Mon810 nel nostro Paese e nell'Unione europea;
   in attesa e fino alla decisione della Commissione europea in merito alla possibilità di coltivare in Italia il mais Mon 810, qualora si riscontrassero casi di piantagioni geneticamente modificati, andrà comunque verificato il rispetto delle prescrizioni di cui al decreto legislativo n. 224 del 2003, così come sopra riportate. Tutto quanto sopra esposto è stato recentemente confermato da ulteriore decisione della Corte di giustizia europea, intervenuta proprio sul caso Fidenato, soggetto che in passato aveva piantato mais MON 810 e che ha ripetuto la semina in data 14 giugno 2013. La decisione, adottata in data 8 maggio 2013, proprio con riferimento alla legittimità dell'autorizzazione prevista dall'articolo 1 comma 2 del decreto legislativo n. 212 del 2001 ribadisce quanto segue. In considerazione di quanto precede, si deve rispondere alle questioni sollevate dichiarando che il diritto dell'Unione dev'essere interpretato nel senso che la messa in coltura di OGM quali le varietà del mais MON 810 non può essere assoggettata a una procedura nazionale di autorizzazione quando l'impiego e la commercializzazione di tali varietà sono autorizzati ai sensi dell'articolo 20 del regolamento n. 1829/2003 e le medesime varietà sono state iscritte nel catalogo comune previsto dalla direttiva 2002/53. L'articolo 26-bis della direttiva 2001/18 dev'essere interpretato nel senso che non consente a uno Stato membro di opporsi alla messa in coltura sul suo territorio di tali OGM per il fatto che l'ottenimento di un'autorizzazione nazionale costituirebbe una misura di coesistenza volta a evitare la presenza involontaria di OGM in altre colture;
   quanto espresso nel comunicato stampa del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali del 15 giugno 2013 (che richiama ancora la procedura autorizzatoria prevista dall'articolo 1 decreto legislativo n. 212 del 2001), sembra pertanto in contrasto con il principio individuato dalla Corte di giustizia. Si dubita infine che tale principio possa essere superato dall'articolo 4 della legge regionale n. 136-43 Friuli Venezia Giulia approvata in data 29 marzo 2011 che prevede:
  1. È vietata sul territorio regionale la coltivazione di OGM in agricoltura.

  2. In deroga al divieto di cui al comma 1, nel territorio regionale possono essere effettuate emissioni di OGM a fini sperimentali, purché autorizzate ai sensi del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224 (Attuazione della direttiva 2001/18/CE concernente l'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati), al fine di impedire il rilascio e la diffusione di materiale genetico modificato e la conseguente commistione delle colture convenzionali e biologiche»;
   nello specifico, visto il quadro legislativo, così come riportato, è doveroso sottolineare che alimenti geneticamente modificati (GM) possono essere autorizzati nell'Unione europea soltanto dopo aver superato una rigorosa procedura di valutazione della loro sicurezza. In questa procedura un ruolo fondamentale è affidato all'EFSA: un'agenzia europea indipendente, finanziata dal bilancio dell'Unione europea operante in modo autonomo dalla Commissione europea, dal Parlamento europeo e dagli Stati membri dell'Unione europea. L'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) è stata istituita ufficialmente nel gennaio 2002, a seguito di una serie di allarmi alimentari verificatisi alla fine degli anni Novanta, come fonte indipendente di consulenza scientifica e di comunicazione sui rischi associati alla catena alimentare. L'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) è la chiave di volta dell'Unione europea per la valutazione dei rischi relativi alla sicurezza di alimenti e mangimi. L'EFSA, in stretta collaborazione con le autorità nazionali e in aperta consultazione con le parti interessate, fornisce consulenza scientifica indipendente e comunica in maniera chiara su rischi esistenti ed emergenti. Il ruolo dell'EFSA relativamente agli OGM è definito dal regolamento (CE) n. 1829/2003 e dalla direttiva 2001/18/CE. Il compito principale dell'EFSA è di valutare in maniera indipendente ogni possibile rischio derivante dagli OGM per la salute umana e animale e per l'ambiente. L'EFSA non autorizza gli OGM, in quanto questo compete alla Commissione europea e agli Stati membri in qualità di gestori dei rischi, ma ha un ruolo chiave in quanto produce consulenza specialistica per consentire alla Commissione europea, al Parlamento europeo e agli Stati membri dell'Unione europea di prendere decisioni puntuali ed efficaci in termini di gestione del rischio, grazie alle quali viene assicurata la protezione alla salute dei consumatori europei e la sicurezza del cibo e della catena alimentare. L'EFSA valuta la sicurezza di nuovi prodotti prima che si decida di autorizzarne l'immissione in commercio, così le valutazioni degli OGM da parte dell'EFSA sono effettuate sulla base dei fascicoli scientifici presentati dai richiedenti e su qualsiasi altra informazione scientifica di pertinenza;
   in data 13 dicembre 2013 il tribunale dell'Unione europea ha emesso una sentenza sul caso specifico della patata geneticamente modificata Amflora, annullando la decisone della Commissione: «La Commissione ha violato le norme procedurali per l'autorizzazione degli OGM nell'Unione» si legge nella sentenza – «Sul territorio dell'Unione europea, gli organismi geneticamente modificati (OGM) possono essere emessi nell'ambiente o immessi in commercio soltanto quando siano autorizzati, a precise condizioni e per usi determinati, previa valutazione scientifica dei rischi. Il regime di autorizzazione prevede due diverse procedure, applicabili a seconda dell'uso che si prevede di fare degli OGM. La prima (disciplinata dalla direttiva 2001/18/CE), riguarda l'autorizzazione degli OGM ai fini della loro emissione deliberata nell'ambiente: il rilascio dell'autorizzazione spetta in linea di principio allo Stato membro cui un'impresa ha notificato la richiesta. Gli altri Stati membri e la Commissione possono sollevare obiezioni in merito alla decisione di autorizzazione che si prevede di adottare;
   la seconda procedura di autorizzazione (istituita dal regolamento n. 1829/2003), per gli alimenti e i mangimi geneticamente modificati, viene svolta a livello dell'Unione. Qualora, nell'ambito della prima procedura venga sollevata un'obiezione oppure, nell'ambito della seconda procedura, venga presentata una richiesta di autorizzazione, la decisione definitiva sull'autorizzazione è adottata dalla Commissione o dal Consiglio, sulla base dei pareri scientifici dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA).In questi casi, la Commissione è assistita da due comitati, composti dai rappresentanti degli Stati membri, che esprimono il rispettivo parere tenendo conto del parere dell'EFSA. Se il parere del comitato competente è favorevole all'autorizzazione dell'OGM, la Commissione rilascia l'autorizzazione. In caso contrario, oppure in caso di mancata manifestazione del parere, la Commissione sottopone una proposta di autorizzazione al Consiglio, il quale può esprimere il proprio assenso o opporsi. Se il Consiglio non adotta alcuna decisione, la Commissione rilascia l'autorizzazione. La società BASF Plant Science GmbH ha, da un lato, per mezzo di una sua controllata, chiesto alle autorità svedesi di autorizzare l'immissione in commercio della patata geneticamente modificata Amflora, per la coltivazione e l'utilizzo a fini industriali. Poiché vari Stati membri avevano trasmesso osservazioni in merito a tale domanda, l'adozione della decisione definitiva è stata rimessa alle autorità dell'Unione. Dall'altro lato, la BASF ha essa stessa avviato dinanzi alle autorità dell'Unione una richiesta di autorizzazione relativa alla produzione di mangimi a base di tale patata, che ricomprendeva anche l'ipotesi della presenza accidentale di tracce di OGM negli alimenti destinati al consumo umano o a quello animale.[...] Nell'odierna sentenza, il Tribunale rileva innanzitutto che la Commissione, prima di adottare le decisioni impugnate, non ha sottoposto ai comitati competenti i progetti modificati di tali decisioni unitamente al parere consolidato dell'EFSA del 2009 e ai pareri minoritari. Orbene, mentre i dispositivi delle decisioni impugnate sono identici a quelli dei progetti di decisione inizialmente sottoposti ai comitati competenti e al Consiglio, lo stesso non può dirsi del fondamento scientifico sulla cui base la Commissione ha adottato tali decisioni. Pertanto, il Tribunale osserva che la Commissione, avendo deciso di chiedere all'EFSA un parere consolidato e avendo fondato le decisioni impugnate in particolare su tale parere, senza consentire ai comitati competenti di prendere posizione né sul parere né sui progetti di decisione modificati, ha violato le norme delle procedure di autorizzazione. Il Tribunale afferma inoltre che, se la Commissione avesse rispettato tali norme, gli esiti della procedura o il contenuto delle decisioni impugnate avrebbero potuto essere sostanzialmente diversi. Infatti, posto che i voti sui progetti anteriori espressi in seno ai comitati erano stati molto divisi, e che le conclusioni del parere consolidato dell'EFSA del 2009, accompagnate da pareri minoritari, avevano espresso maggiori incertezze rispetto ai precedenti pareri dell'EFSA, non si poteva escludere che i membri dei comitati potessero rivedere la loro posizione e decidere pro o contro le autorizzazioni richieste. Per di più, in presenza di un parere negativo o in assenza di parere da parte dei comitati, la Commissione sarebbe stata tenuta a sottoporre le proposte di autorizzazione al Consiglio, il quale avrebbe potuto decidere pro o contro le autorizzazioni. Solo dopo aver portato a termine detta procedura, ed in assenza di decisioni da parte del Consiglio, la Commissione avrebbe potuto adottare le sue decisioni. Il Tribunale rileva che il fatto di avere aggiunto, nei progetti delle decisioni impugnate, una motivazione riferita a un nuovo parere dell'EFSA quale fondamento scientifico, rappresenta una modifica sostanziale di tali progetti rispetto alle loro precedenti versioni. Di conseguenza, le decisioni non possono essere considerate identiche ai progetti e alle proposte anteriori. Peraltro, il parere consolidato del 2009, che presenta notevoli differenze rispetto ai pareri anteriori dell'EFSA, deve essere considerato come una nuova valutazione nel merito, e non come una mera conferma, prettamente formale, delle valutazioni dei rischi contenute nei pareri anteriori;
   un altro caso in tema di OGM è quello del mais Gml507 (Zea maysL., Linea 1507) è notizia del 16 gennaio 2014 che il Parlamento europeo con 201 voti contrari, abbia bocciato la messa in commercio invitando fra l'altro la Commissione competente, in via generale, a non rinnovare ulteriori autorizzazioni di nuove varietà di Ogm;
   in più in questi giorni, gli eurodeputati hanno chiesto alla Commissione di vietare il mais geneticamente modificato Pioneer 1507 nel mercato europeo, reputando questo prodotto resistente agli insetti ed in quanto tale potrebbe essere pericoloso per le farfalle e le falene;
   per il momento una sola varietà di mais, MON 810 di Monsanto, è autorizzata per fini commerciali nell'Unione europea. Gli eurodeputati specificano di aver deciso di opporsi all'autorizzazione del Pioneer 1507 in quanto rimasti molto sorpresi dall'atteggiamento positivo della Commissione nonostante 12 Stati membri si fossero opposti alla sua commercializzazione (solo 6 Stati membri erano a favore dell'autorizzazione). La valutazione da parte dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha messo in evidenza come le farfalle e le falene possono essere a rischio se esposte al polline del mais 1507. Per il momento Pioneer ha rifiutato di presentare i documenti riguardanti la mitigazione del rischio per queste specie in pericolo. Infine, la Commissione ha preso questa decisione di autorizzazione, sostenendo che era stata obbligata ad agire in tal senso dalla decisione delle Corte di giustizia europea dello scorso settembre. Tuttavia, la Corte ha semplicemente stabilito che la Commissione non aveva preso una decisione nei tempi prestabiliti. In materia di Ogm la proposta di regolamento (CQM(2010)375) è volta a modificare la direttiva 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di OGM sul loro territorio. Finora alcuni Stati membri hanno vietato la coltivazione di OGM invocando la clausola di salvaguardia (articolo 23 della direttiva 2001/18/CE) o le misure di emergenza (articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003) sebbene le finalità delle modeste disposizioni sia evitare eventuali nuovi rischi successivi alla concessione di autorizzazione;
   il nuovo articolo 26-ter che la proposta (quella richiamata all'inizio del paragrafo (COM(2010)375) intende inserire nella direttiva 2001/18/CE, prevede che gli Stati membri possono adottare misure nazionali volte a limitare o vietare la coltivazione di tutti o di taluni OGM in tutto il loro territorio o in parte di esso senza utilizzare la clausola di salvaguardia, dunque per motivi diversi da quelli già previsti dalle norme dell'Unione europea. La modifica si applicherebbe agli OGM autorizzati per la coltivazione a norma della direttiva 2001/18/CE o del regolamento (CE) n. 1829/2003, che disciplina anche le procedure per domande relative alla coltivazione di OGM destinati ad essere usati quali materiali di base per la successiva produzione di alimenti e mangimi. Essa si applicherebbe altresì alla coltivazione di tutte le varietà di sementi e materiali di moltiplicazione delle piante immesse in commercio a norma della legislazione dell'Unione europea pertinente;
   in questo quadro è giusto ricordare che nell'ambito internazionale vi sono due recenti decisioni da parte di giudici che bocciano l'operato della Monsanto: la prima in Argentina, dove l'8 gennaio del 2014 arriva la sentenza che dichiara «incostituzionale la costruzione degli impianti della Monsanto» e ne blocca i lavori in corso. La Monsanto ha dichiarato che farà ricorso, tuttavia nel frattempo, numerose organizzazioni ambientaliste statunitensi, in Usa, la Associated Press – la più importante agenzia di stampa del mondo – ha pubblicato a ottobre del 2013 un esaustivo rapporto nel quale si «dimostra al di là di ogni ragionevole dubbio il legame tra l'uso dei pesticidi prodotti dalla Monsanto e l'immediato peggioramento delle condizioni di salute della popolazione stanziata sul territorio dove questi prodotti sono stati usati in Argentina»;
   la seconda è quella del Nepal dell'8 gennaio la Corte Suprema del Nepal ha ingiunto al Governo di proibire le importazioni di semi geneticamente modificati, inclusi quelli prodotti da Monsanto, nota multinazionale di biotecnologia per l'agricoltura. Il divieto rimarrà in vigore sino al 16 gennaio, quando la Corte deciderà se renderlo permanente, dopo aver ascoltato le argomentazioni delle parti interessate. Nel procedimento in questione, gli imputati sono l'ufficio del Primo ministro, il Ministero dell'agricoltura e il Consiglio nazionale per la ricerca agricola,

impegna il Governo:

   a promuovere e a sostenere il processo di revisione della direttiva 2001/18/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio sull'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati, con l'obiettivo di ampliare l'autonomia decisionale degli Stati membri in merito alle coltivazioni di organismi geneticamente modificati, in ragione dell'importanza della tutela del patrimonio genico tradizionale, della biodiversità agraria, della salute dei cittadini e di interessi pubblici nazionali che non sono stati tenuti in considerazione dall'Unione europea, nella definizione delle regole di coesistenza, consentendo in materia di Ogm il principio di sussidiarietà e zone effettivamente OGM free;
   a sostenere la richiesta di una riduzione della soglia di tolleranza o meglio di portarla al criterio di presenza/assenza (0,01 per cento soglia di rilevazione) – per la presenza accidentale o tecnicamente inevitabile (quindi soglia di rilevazione) di OGM – nella produzione biologica, anche con riferimento all'impatto economico sul settore, e per tutelare la libertà dei cittadini, anche in coerenza con gli indirizzi europei sull'agricoltura biologica europea annunciati da Dacian Cioloş, in vista della ridefinizione della coesistenza;
   a tutela della libertà dei consumatori europei, con l'obiettivo di favorire ordine e chiarezza comune in tutto il territorio comunitario, a promuovere, presso le competenti istituzioni europee, la creazione di un sistema obbligatorio di etichettatura «OGM-free» per tutti gli, alimenti con tracce di OGM che non superino lo 0,01 per cento e «OGM<h0,9 per cento» che indichi la presenza in tracce di Ogm entro la soglia di tolleranza dello 09 per cento – o della soglia che eventualmente sarà ridefinita in sede europea – complementare alla norma che stabilisce l'obbligo di indicare la presenza di OGM negli alimenti;  
   a sostenere e a promuovere in sede europea nonché ad avviare un progetto di ricerca scientifica pubblica in materia agricola, biologica ed agroalimentare secondo le migliori prassi scientifiche nazionali ed internazionali, innanzitutto prevenendo di destinare una quota da 40.000 ai 90.000 euro di fondi da parte dei tre Ministeri competenti in materia di Ogm e/o eventualmente facendo in modo che sia sostenuto con fondi comunitari, per il primo studio scientifico pubblico europeo sul Tgo (trasferimento genico orizzontale, studio già effettuato nello Stato dell'Argentina) da commissionare ad un ente di rilievo nazionale (preferibilmente l'istituto zooprofilattico di Perugia, il quale si è occupato delle analisi del «caso friulano»), in collaborazione eventuale con alcune università pubbliche specializzate in materia di biodiversità agraria, mediante la sperimentazione su organismi geneticamente modificati effettuata in ambiente confinato e controllato da parte del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e del Corpo forestale Italiano.
(7-00226) «Zaccagnini, Labriola».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    l'accresciuta consapevolezza dell'impatto ambientale sull'attività agricola e la diffusa preoccupazione in merito alla scarsità di risorse, inducono a ripensare il sistema agroalimentare globale, in modo da renderlo maggiormente sostenibile nei differenti contesti territoriali e in una prospettiva di lungo termine;
    l'agricoltura sostenibile, per adeguarsi alle competizioni future, deve produrre cibo e al contempo promuovere la biodiversità, favorendo la creazione di sinergie tra le specie viventi, volte a rafforzare il profilo di resilienza degli ecosistemi e la loro autoregolazione;
    in un sistema globale, l'agricoltura sostenibile persegue inoltre, obiettivi volti a sostenere i processi di protezione del suolo dall'erosione, ottimizzare il consumo e minimizzare l'impiego di prodotti agrochimici, di fertilizzanti sintetici e di fonti energetiche, garantendo tuttavia redditi adeguati ai coltivatori a prezzi accessibili per i consumatori;
    in tale contesto, l'ampio comparto delle biotecnologie agroalimentari, comprende un insieme di tecniche e strumenti innovativi, utilizzati dai ricercatori per studiare e modificare il patrimonio genetico degli organismi, al fine di selezionare varietà vegetali adeguate per la produzione o la lavorazione di prodotti agroalimentari;
    gli organismi geneticamente modificati in tale ambito costituiscono com’è noto, una materia oggetto di discussione delicata, da diversi anni: l'ingegneria genetica suscita infatti grande interesse e al contempo profonda inquietudine, trattandosi di un dibattito scientifico, sociale e politico emotivo, polarizzato tra fautori e oppositori, che si riflette sull'opinione pubblica in posizioni altrettanto nette quanto istintive;
    all'interno della filiera agroalimentare italiana, la coesistenza ed il ruolo degli organismi geneticamente modificati, evidenzia l'esigenza da parte dei consumatori di una più chiara regolamentazione, in grado di tutelare la libertà individuale di scelta, messa a repentaglio da innovazioni biologiche spesso incontrollabili;
    il dibattito sulla diffusione degli organismi geneticamente modificati, nel settore agroalimentare in corso nel nostro Paese da anni, è stato tuttavia contraddistinto da un eccesso di ideologia e analisi non veritiere, le cui contrapposizioni politiche e scientifiche, hanno indebolito il sistema agricolo nazionale e il consolidamento di una ripresa economica;
    l'industria alimentare, che rappresenta una parte integrante dell'economia italiana, teme infatti i molteplici effetti negativi della caotica disputa sugli organismi geneticamente modificati, i cui effetti negativi di un confronto ideologico, rischiano di interrompere un processo virtuoso innestato di recente per l'agricoltura nazionale, nonostante la persistente fase economica tuttora critica;
    in tale ambito occorre ribadire come quella geneticamente modificata è un tipo di agricoltura che non risponde alle esigenze e alle caratteristiche del nostro Paese, in considerazione che i princìpi fondativi su cui si basa l'intero sistema dell'agroalimentare del made in Italy sono rivolti alla qualità, la tipicità e la valorizzazione delle colture e dei prodotti universalmente apprezzati;
    ciononostante i livelli di disinformazione, i condizionamenti ideologici spesso esagerati, attraverso l'introduzione di dogmi volti a condizionare le prospettive di crescita e di sviluppo, hanno influenzato negativamente il quadro complessivo dell'informazione sugli organismi geneticamente modificati, ignorando i mercati mondiali dai quali l'Italia importa prodotti di soia organismi geneticamente modificati necessari per la nutrizione degli allevamenti di bovini e suini;
    all'interno della suesposta cornice, nel contesto europeo, l'utilizzo delle biotecnologie agroalimentari, sono valutate con interesse, nei diversi settori di attività, come risulta sia dalle politiche d'incentivazione della knowledge based bioeconomy adottate nel corso dell'ultimo decennio, che dall'ammontare degli investimenti resi disponibili dai Programmi quadro della Commissione europea;
    dall'analisi e dai sondaggi di Eurobarometro e dalle scelte volte all'impiego delle biotecnologie e degli organismi geneticamente modificati in ambito alimentare, emerge che in Europa, i consumatori sono condizionati da un forte orientamento verso la naturalità, intesa come mancanza o ridotto intervento di manipolazione da parte dell'uomo, la quale viene strettamente correlata alla salute;
    nel corso dell'ultimo decennio, l'Europa ha vissuto una stagione di informazione orientata sugli organismi geneticamente modificati, fortemente focalizzata su di un numero limitato di rapporti non valutati scientificamente, a sostegno degli effetti negativi di questa tecnologia;
    l'uso di colture organismi geneticamente modificati ha continuato a crescere in altre parti del mondo, di pari passo con ricerche d'alto profilo su coltivazioni ingegnerizzate per produrre medicinali o vitamine, con le conseguenze che i cittadini europei sono rimasti disorientati e non possiedono le informazioni necessarie e imparziali per poter giungere ad una decisione obiettiva;
    il quadro giuridico attuale dell'Unione europea in materia organismi geneticamente modificati, ha contribuito negativamente a rendere più comprensibile ed esplicita la normativa, che sebbene ne preveda l'esistenza, non è stata in grado di risolvere adeguatamente il nodo della coesistenza, tra colture transgeniche convenzionali e biologiche;
    in considerazione della contrarietà dei consumatori all'introduzione di organismi geneticamente modificati nella filiera agroalimentare, il sistema dell'etichettatura degli alimenti, diventa inevitabilmente lo strumento giuridico privilegiato per soddisfare il diritto e la corretta informazione nei riguardi del consumatore;
    la vigente normativa comunitaria sull'etichettatura degli organismi geneticamente modificati, anche in questo caso risulta carente e in casi specifici, addirittura in contrasto con il diritto all'informazione del consumatore, rivelandosi pertanto non idonea nel garantire la piena libertà di scelta per il consumatore;
    in tale contesto, i risultati emersi dall'analisi del campionamento sui terreni limitrofi ai campi seminati con mais Mon 810, all'interno di un'azienda agricola di Vivaro in provincia di Pordenone, con lo scopo di verificare eventuali contaminazioni ambientali a carico dei terreni coltivati con mais tradizionale, hanno dimostrato in effetti un «inquinamento genetico» del mais transgenico che raggiunge anche il 10 per cento di tossicità, riproponendo il dibattito dell'uso degli organismi geneticamente modificati in campo agricolo;
    l'inquinamento rilevato dal Corpo forestale dello Stato, a seguito della semina di mais organismi geneticamente modificati privo di tracciabilità, ma dichiarato per l'appunto geneticamente modificato, in due appezzamenti localizzati nella regione Friuli Venezia Giulia, nonostante il decreto interministeriale del luglio 2013, che vieta in modo esclusivo la coltivazione nel territorio nazionale, di mais geneticamente modificato appartenente alla varietà Mon 810, rileva la necessità di revisionare in tempi rapidi la disciplina in materia;
    la regolamentazione degli organismi geneticamente modificati nell'Unione europea, risulta attualmente frammentata, spesso ambigua e contraddittoria, se si valuta che se da un parte, la Commissione europea nel novembre 2013, ha riaperto la procedura di autorizzazione per la coltivazione del mais transgenico TC1507, commercializzato dalla Pioneer, dall'altra il Parlamento europeo di Strasburgo, ha votato recentemente una risoluzione che chiede al Consiglio dell'Unione europea (istituzione che rappresenta i Governi nazionali) di bloccare l'autorizzazione del suddetto mais, ritenuto dannoso per le farfalle e le falene;
    i risultati emersi dalla consultazione pubblica a livello europeo nel settembre 2013, promossa dal Commissario europeo all'agricoltura, Dacian Ciolos, secondo cui il 96 per cento dei cittadini europei (su un totale di 45 mila risposte), hanno fiducia prevalentemente nel biologico, rafforza inoltre l'esigenza da parte dell'Italia, di predisporre interventi qualificanti in occasione della prossima presidenza italiana nell'Unione europea;
    per il nostro Paese, il 2014 rappresenta una scadenza decisiva per l'agricoltura sostenibile, il sostegno a quella biologica, la realizzazione di aree OGM-free e al contempo l'innovazione genetica nella ricerca scientifica; l'anno in corso dovrà definire infatti questioni importanti per il settore, risolutive per assicurare all'Italia una posizione di leader sui mercati europei e mondiali e competere con Paesi come la Francia, che mira a raddoppiare la produzione di prodotti biologici entro il 2017;
    i recenti episodi come quello accaduto in Friuli Venezia Giulia, hanno dimostrato come la semplice introduzione di organismi geneticamente modificati, seppure confinata in campi sperimentali di limitata estensione, possa rappresentare la causa anche dopo anni, di un'inattesa ed estesa contaminazione, che non investe solo il mercato locale ma anche le esportazioni;
   la predetta vicenda conferma pertanto, la necessità del legislatore di riformare i criteri di regolazione e controllo, della coesistenza tra le coltivazioni geneticamente modificate e quelle tradizionali;
    le linee guida sulla coesistenza tra colture organismi geneticamente modificati e colture convenzionali, occorre ricordare, sono dettate dal punto di vista normativo dall'Unione europea, sul principio di precauzione e sono costituite dalla direttiva 2001/18/CE e da due regolamenti (1829 e 1830/2003/CE), che disciplinano l'autorizzazione e l'etichettatura/tracciabilità degli alimenti e dei mangimi costituti o derivati da organismi geneticamente modificati e dalla raccomandazione 556/2003;
    all'interno del predetto regolamento 1829/2003, tuttavia non s'interviene sull'etichettatura volontaria e si propone una ulteriore distinzione all'interno della categoria degli alimenti che non superano la soglia dello 0,9 per cento, determinando rischi di confusione e causa di errori tra i consumatori, in considerazione che l'etichetta induce a ritenere che il prodotto senza la dicitura: «OGM-free», contiene in realtà organismi geneticamente modificati;
    nel marzo del 2011, con la modifica approvata alla suddetta direttiva, finalizzata al raggiungimento di un giusto equilibrio tra il mantenimento del sistema di autorizzazione dell'Unione europea e l'esigenza di garantire agli Stati membri la libertà di affrontare gli aspetti nazionali, regionali o locali specifici legati alla coltivazione degli organismi geneticamente modificati, si sono aggiornati i criteri giuridici e legislativi, in coerenza con il principio di precauzione, che resta la nozione centrale di riferimento, per la stessa istituzione europea, per l'introduzione di nuove varietà vegetali transgeniche;
    in precedenza occorre ricordare che nel novembre 2010, l'Unione europea ha ridefinito le linee strategiche e gli indirizzi di policy, secondo i quali orientare le scelte future in materia di agricoltura e in tale contesto il documento della Commissione: «la PAC verso il 2020: rispondere alle future sfide dell'alimentazione, delle risorse naturali e del territorio», ha fornito un'importante chiave di lettura dello scenario attuale, con particolare riferimento al riconoscimento e all'identificazione di quelle che sono considerate le principali sfide e gli obiettivi prioritari per il settore agricolo attuale e futuro;
    all'interno del suesposto quadro descrittivo, il contesto giuridico culturale europeo, è definito verso un riconoscimento trasversale, da parte dei Paesi membri, in cui emerge una non preclusione pregiudiziale verso le biotecnologie in ambito agroalimentare, quanto piuttosto un'attenta prudenza e riflessione sugli sviluppi futuri degli organismi geneticamente modificati;
    le perplessità maggiori derivano semmai, dalla sostenibilità della posizione dell'Unione europea in un contesto internazionale, ancora in movimento, dove le mosse e gli interventi dei grandi player internazionali, non sono del tutto definite;
    mentre gli Stati Uniti, l'Argentina ed il Brasile, hanno infatti imboccato con decisione il percorso del transgenico, forti di una industria che occupa una posizione di primo piano nel settore, altre grandi realtà produttrici di Paesi emergenti, s'interrogano infatti sulle scelte future da compiere;
    il quadro regolatore in considerazione di quanto esposto, necessita pertanto di ulteriori interventi innovativi ed efficaci, per tutelare i diritti dei consumatori, sia attraverso una maggiore e più chiara informazione come in precedenza evidenziato, scevra da ogni tipo di pregiudizio, che nell'ambito dello sviluppo di partnership pubblico-privato nell'ambito della ricerca biotecnologica;
    l'evento universale di Expo 2015, rappresenta a tal proposito l'occasione per affrontare in modo complessivo, attraverso un approccio laicista, sia la conferma del primato delle qualità dei prodotti agroalimentari italiani nel mondo, che il ruolo futuro delle biotecnologie agroalimentari sia in termini tecnici, (con riferimento al ruolo nel supportare la sostenibilità ambientale, sociale ed economica) che in termini geopolitici essendo consapevoli che le biotecnologie influenzeranno i futuri assetti del settore agroalimentare;
    la ricerca biotech in Italia è ormai inesistente essendo non più finanziata, in quanto il nostro Paese ha ancora competenze residuali rimaste indietro all'ultimo decennio; il rischio evidente di conseguenza, risulta essere la mancanza di proposte e di valutazione di nuove forme di conoscenza tecnica e scientifica, nell'arco del prossimo ventennio, di fronte alle nuove tecnologie transgeniche sviluppate da altre nazioni;
    la consapevolezza che nel mondo le coltivazioni degli organismi geneticamente modificati siano in crescita: dall'80 per cento del cotone utilizzato per la moda made in Italy, all'utilizzo di soia organismi geneticamente modificati impiegato su 130 milioni di ettari, pari al 9 per cento della coltivazione mondiale (una cui rilevante quantità di prodotti è importata dal nostro Paese per nutrire il bestiame), conferma l'esigenza anche in occasione di Expo 2015, di non trascurare una tecnologia adottata in moltissimi Paesi dal punto di vista della ricerca scientifica;
    un documento del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali dello scorso anno, ha evidenziato infatti che senza mangimi organismi geneticamente modificati, la filiera delle carni italiane sarebbe compromessa;
    la ricerca di produttività in campo agricolo, occorre fra l'altro rilevare, rappresenta inoltre, un obiettivo troppo spesso giustificato dall'adozione di soluzione standardizzate, che non considerano il contesto geografico e sociale in cui vengono applicate;
    il fattore della produttività in molte aree del pianeta e la tecnologia, abbinate ad altre componenti di rilievo quali: una migliore organizzazione del lavoro, l'applicazione di pratiche agronomiche efficaci e sostenibili, migliori infrastrutture, moderni impianti di irrigazione, possono costituire pertanto una risposta efficace in alcune circostanze;
    il tema della sostenibilità risulta essere pertanto molto articolato e riguarda la destinazione della produzione agricola, la distribuzione geografica del cibo, gli stili di vita e di consumo e anche la ricerca mirata ad un aumento della produttività, tuttavia sempre all'interno di una logica sostenibile sia economica che sociale;
    alla tutela e alla valorizzazione del sistema agroalimentare italiano, come fattore principale di protezione e salvaguardia dalle colture organismi geneticamente modificati, occorre in definitiva favorire in parallelo, anche le iniziative in campo scientifico e delle tecniche della ricerca nel campo organismi geneticamente modificati;
    il Parlamento italiano, nel luglio del 2013 in merito alla diffusione in agricoltura di organismi geneticamente modificati, con particolare riferimento all'esercizio della clausola di salvaguardia, nel corso dell'esame delle mozioni fra cui quella a prima firma Faenzi n. 1-00128, ha approvato in maniera unitaria e trasversale un testo che indirizza il Governo a rinnovare l'impegno in sede comunitaria affinché possa essere approvata, con opportuni miglioramenti, la nuova normativa proposta dalla Commissione europea, perseguendo «con tutta la necessaria energia negoziale, un radicale miglioramento della normativa comunitaria in materia di coltivazione di sementi transgeniche e di immissione in commercio di organismi geneticamente modificati ispirata a determinati criteri»;
    ulteriori sollecitazioni in sede comunitaria in considerazione dei profili di criticità che insistono sulla materia, appaiono pertanto necessari soprattutto in prossimità della presidenza italiana nel secondo semestre del 2014,

impegna il Governo:

   ad intervenire in sede europea, attraverso una rivisitazione dell'attuazione della direttiva 2001/18/Ce recepita dal decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224, al fine di sostenere l'autonomia decisionale dei Paesi membri, in merito alle coltivazioni di organismi geneticamente modificati, in considerazione del valore economico e produttivo che assume il sistema agroalimentare made in Italy a livello internazionale;
   a favorire lo sviluppo di partnership pubblico-privato nell'ambito della ricerca scientifica e biotecnologica e dell'innovazione nel settore agricolo, biologico e agroalimentare, al fine di rafforzare il ruolo di collettore, tra scienza e ricerca e decisioni politiche e azioni governative e in caso di organismi geneticamente modificati, nel pieno rispetto del principio di precauzione;
   a migliorare la legislazione europea con riferimento al sistema di etichettatura e tracciabilità degli organismi geneticamente modificati, che risulta carente e in casi specifici, addirittura in contrasto con il diritto all'informazione del consumatore, rivelandosi pertanto non idonea nel garantire la piena libertà di scelta per il consumatore;
   a perfezionare i criteri di regolazione e di controllo della coesistenza tra le coltivazioni organismi geneticamente modificati e quelle tradizionali, attraverso la riduzione della soglia di tolleranza della presenza di organismi geneticamente modificati, nella produzione agricola e biologica e ad avallare le esigenze dei cittadini europei, che hanno manifestato la netta preferenza nel consumare cibo biologico e sano;
   a prevedere in sede europea la creazione di un sistema obbligatorio di etichettatura «OGM-free» per tutti gli alimenti con tracce di organismi geneticamente modificati (che non superino lo 0,9 per cento) o della soglia che eventualmente sarà ridefinita in sede europea in modo complementare alla norma che stabilisce l'obbligo di indicare la presenza di organismi geneticamente modificati negli alimenti;
   a prevedere nel corso del semestre di presidenza italiana dell'Unione europea, iniziative volte a prevedere nel corso dell'esposizione universale di Expo 2015, adeguate campagne informative in grado di valorizzare sia le eccellenze dei prodotti agroalimentare italiani che la rilevanza della filiera scientifico-tecnologica che ruota intorno agli organismi geneticamente modificati evitando una concezione protezionistica che conduce all'auto-emarginazione.
(7-00227) «Faenzi, Catanoso, Fabrizio Di Stefano, Riccardo Gallo, Russo».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   La sottoscritta chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   sono passati già tre mesi dal messaggio del Presidente Napolitano, 8 ottobre 2013, nel quale il presidente elencava una serie di indicazioni per fronteggiare l'emergenza carceri anche a seguito della cosiddetta «sentenza pilota» della Corte Europea di Strasburgo dell'8 gennaio 2013;
   nel provvedimento si condannava l'Italia ad adottare entro il 28 maggio tutte le misure necessarie per rendere dignitosa la permanenza nelle celle dei detenuti;
   si tratta di un'urgenza contabile, così potrebbe essere definita, come per lo spread ai tempi di Monti, causata dal timore di ulteriori sanzioni che la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo sta per comminarci, piuttosto che dalla necessità di ridare dignità ai detenuti. Sono tante le carceri italiane ad essere sorvegliate, inoltre il nostro debito con l'Europa, e soprattutto con la responsabilità di rieducare e di restituire alla società persone in grado di iniziare un nuovo cammino è destinato ad aumentare;
   ad oggi poco o quasi nulla è stato fatto, sta di fatto che le celle continuano ad ospitare 15.000 detenuti oltre la capienza regolamentare;
   vi sono stati solo alcuni decreti del Ministro di giustizia orientati alla chiusura di alcune case circondariali;
   tra questi vi è il decreto del Ministro della giustizia dell'11 febbraio scorso che, nel definire i criteri della riorganizzazione delle carceri, prevede la chiusura delle sedi penitenziarie di Modica, Mistretta e Nicosia;
   un taglio indiscriminato che elimina realtà particolari, senza considerare ancora una volta la dignità umana, perché con il trasferimento dei detenuti verrebbe meno qualsiasi rapporto con i familiari senza dimenticare l'impegno svolto da molti nel ripristino delle strutture in questione, in particolare quella di Modica;
   inoltre con la nuova rivoluzione delle carceri che garantisce ai detenuti otto ore al giorno libere fuori dalla cella, ci saranno oltre duecento pregiudicati nello stesso cortile con la metà degli agenti che dovrebbero sorvegliarli;
   la convenzione di Strasburgo del 1983 sottoscritta dal nostro Paese, prevede inoltre il rimpatrio dei detenuti stranieri in virtù degli accordi bilaterali, strumento che a distanza di 24 anni dalla ratifica nessuno incentiva;
   mancano accordi bilaterali con Marocco, Tunisia e Romania, Paesi di origine dei detenuti in cima alla classifica delle presenze;
   con l'attuazione di questa norma l'Italia risparmierebbe circa 500 milioni di euro;
   i detenuti stranieri potrebbero scontare gran parte della loro pena nei loro paesi d'origine, il che non vorrebbe dire «fare deportazioni di massa», ma eviterebbe all'Italia di spendere un miliardo all'anno per tenere gli stessi nelle carceri italiane;
   di contro i detenuti italiani all'estero non superano invece le tremila unità;
   secondo i dati del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap), nelle carceri italiane si contano oggi 22.770 detenuti stranieri, un terzo della popolazione carceraria, con un costo medio per detenuto, calcolato dalla direzione bilancio del Dap, di 124,6 euro al giorno;
   sino ad oggi nessuno ha incentivato questo strumento per svuotare le carceri, e, i detenuti trasferiti, sono così pochi che non vengono neppure conteggiati nelle statistiche sulla giustizia italiana;
   se si desse seguito agli accordi di rimpatrio lo Stato, risparmierebbe 568 milioni di euro l'anno, importo che equivale al costo reale del mancato rimpatrio, o se si vuole il conto del risparmio virtuale;
   dunque circa un milione e mezzo al giorno se si moltiplicasse il suddetto costo unitario per i 12.509 detenuti stranieri che scontano una condanna già definitiva, gli unici sui quali può ricadere l'ipotesi di un trasferimento –:
   alla luce dei fatti esposti in premessa, quali siano le motivazioni che hanno spinto il Governo italiano ed in particolare il Ministro interpellato a chiudere alcune case circondariali piuttosto che altre;
   se e con quali misure il Ministro interrogato intenda intervenire, per fronteggiare l'emergenza carceri, in vista del termine del 28 maggio 2013 fissato dalla Corte europea di Strasburgo, per evitare all'Italia la multa di un miliardo di euro all'Europa;
   quale sia il dato, materialmente impossibile da trovare, di quanti abbiano usufruito della possibilità e diritto di scontare la pena nel proprio Paese di origine, come prevede la convenzione di Strasburgo del 1983, che l'Italia ha ratificato e inserito nel proprio ordinamento dal 1989 e via via allargato con una serie di accordi bilaterali e perché non si è provveduto a concludere accordi con i Paesi che più pesano sul conto delle carceri;
   perché sino ad oggi questo strumento non è stato mai utilizzato, e se sia presa in considerazione la sua effettiva applicazione evitando di ricorrere alla scusante della questione di ordine etico-morale, poiché va ricordato che dal 2002 nessuno ha sbarrato la strada ai voli di Stato per il rimpatrio dei clandestini che la Bossi-Fini ha reso del tutto simili alla deportazione coatta.
(2-00381) «Grillo».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GRILLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante è venuta a conoscenza dei fatti di seguito esposti riguardo al sistema penitenziario della regione Sicilia posta in terza posizione nella black list delle carceri maggiormente affollate, dopo Lombardia e Campania;
   nella medesima regione si contano trenta strutture penitenziarie di cui venticinque per gli adulti e l'ospedale psichiatrico e quattro istituti per minori, aggiudicandosi come la regione con il maggior numero di strutture penitenziarie, il che comporta una frammentazione eccessiva del personale del Corpo di polizia penitenziaria;
   non va assolutamente meglio per i dirigenti direttori di istituti, i quali su 26 istituti penitenziari vi sono solo 17 direttori, mentre vi è un direttore effettivo per le carceri con decreto di chiusura;
   quelle delle carceri siciliane è dunque una situazione prossima al collasso, uno status quo riconducibile sia alla grave carenza di organico di polizia penitenziaria sia al contestuale sovraffollamento di detenuti;
   come se non bastasse a breve chiuderanno anche le carceri di Mistretta, Modica e Nicosia e l'ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto, perché dichiarato fuorilegge, e rispettivamente i circa duecento reclusi e 188 internati verranno trasferiti in altre strutture, ad oggi ancora ignote;
   l'emergenza del sovraffollamento, acuita dalla presenza di molti extracomunitari che non avendo un permesso di soggiorno non godono del decreto svuota carceri, ha portato nei primi nove mesi del 2013 al suicidio di tre detenuti, impiccatisi, inalandosi gas e strozzandosi, ed in alcuni casi anche al suicidio di alcuni agenti di polizia penitenziaria, sottoposti a forte stress;
   nelle prigioni siciliane ci sono circa 7.000 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 5.500, come il Pagliarelli alla periferia di Palermo con i suoi 1.301 internati a fronte di una capienza regolamentare di 816;
   gli agenti della penitenziaria sono costretti a turni di otto ore invece di sei;
   in Sicilia la polizia delle carceri può contare su 4.120 agenti, mentre per legge, per far fronte agli oltre 7.000 detenuti ci vorrebbero circa altri 800 agenti;
   in particolare al Pagliarelli ne servirebbero altri 150, all'Ucciardone manca il 50 per cento del personale, stesso discorso ad Augusta, carcere per gli ergastolani, dove a sorvegliare gli internati dovrebbero esserci altri 200 uomini;
   inoltre con la nuova rivoluzione delle carceri che garantisce ai detenuti otto ore al giorno libere fuori dalla cella, ci saranno oltre duecento pregiudicati nello stesso cortile con la metà degli agenti che dovrebbero sorvegliarli;
   il vicesegretario generale dell'Osapp, sindacato del settore, Domenico Nicotra, afferma che vogliono addirittura ripristinare gli idranti per sfollare i detenuti. Dunque si tornerà indietro di 40 anni, e sottolinea: «Quello siciliano è un carcere che cade a pezzi, su 100 mezzi di trasporto della polizia penitenziaria solo 10 funzionano. Alcuni agenti sono costretti a fare migliaia di chilometri ogni giorno per recuperare con il solo furgone funzionante decine di detenuti nelle varie prigioni»;
   il sovraffollamento riguarda dunque tutti gli istituti della Sicilia, comportando un disagio dei detenuti ormai spenti ed esasperati, che vivono in condizioni disumane a causa dei minimi insufficienti spazi che provocano dure costrizioni tali da impedire di vivere una quotidianità rispettosa della dignità umana;
   centinaia di storie e di ricorsi giungono ai vari legali, senza contare le lettere che giungono all'ufficio del garante dei detenuti per denunciare le condizioni disagiate in cui vivono;
   in particolare nel carcere di piazza Lanza di Catania, in cui 10 detenuti vivono per 22 ore al giorno in una cella di 16 metri quadri con annesso servizio igienico e sono costretti a turnare per stare in piedi, senza contare chi dorme su un materasso collocato su un tavolino, chi su letti a castello a quattro livelli e il più alto posto a 55 centimetri dal soffitto. Materassi che vengono usati senza soluzione di continuità da tutti e senza disinfestazione. Bagni in cui non funziona lo scarico dell'acqua né tantomeno l'impianto di riscaldamento;
   costituisce una sentenza pilota quella della Corte europea di Strasburgo che affronta il problema strutturale del disfunzionamento del sistema penitenziario italiano condannando l'8 gennaio 2013 l'Italia per la violazione dell'articolo 3 della convenzione dei diritti dell'uomo «per trattamenti inumani e degradanti», in accoglimento del ricorso di detenuti che avevano meno di tre metri quadrati come proprio spazio personale. Infatti secondo le normative europee, sia lo spazio vitale indicato, sia le condizioni di mancanza di acqua calda per lunghi periodi, di mancanza di ventilazione e di luce, considerate nel loro insieme, costituiscono una violazione degli standard minimi di vivibilità determinando una situazione di vita degradante per i detenuti;
   da ultimo, ulteriore disagio comporta la mancanza nelle carceri anche di aspirine, antibiotici, visite mediche e terapie sanitarie;
   la Sicilia è l'unica regione in Italia ad oggi a non aver ancora recepito il decreto del 1o aprile 2008 emanato dal Presidente del Consiglio dei ministri che prevede il passaggio della sanità penitenziaria al sistema sanitario nazionale;
   tale mancanza si traduce nella assurda possibilità che un detenuto che richieda un farmaco da Bologna a Reggio Calabria, riceverà la prescrizione in apposito ricettario in tempi brevi, mentre varcato lo stretto, il carcerato che ha bisogno di un medicinale deve richiederlo all'istituto penitenziario, il quale in assenza di disponibilità economica comporterà per il detenuto un'attesa di giorni, settimane, e forse addirittura mesi;
   altresì non migliore è la situazione per il medico del lavoro, in particolare nelle carceri di Catania e Giarre, i quali sono pagati venti euro a prestazione, ma se nel giorno di visita non si presenta nessun paziente questi non riceveranno alcun compenso anche se hanno speso l'intera giornata all'interno della struttura penitenziaria. Passando al servizio sanitario nazionale è proprio il tempo che verrebbe remunerato;
   infine vi è la scelta dei medici che lavorano dentro le strutture penitenziarie. Ad oggi non c’è incompatibilità fra il lavoro svolto in una struttura pubblica e quello svolto negli istituti penitenziari, questo provoca un ulteriore danno ai giovani medici in cerca di occupazione poiché si vedono ridotte le possibilità di posti di lavoro a vantaggio di coloro che hanno già un lavoro, senza contare che il medico che lavora anche in carcere dopo aver affrontato una guardia di 24 ore non potrà avere mai una resa ottimale, non si dimentichi quanto le carceri siano ambienti usuranti per tutto il personale che vi lavora –:
   se e quali siano le informazioni a disposizione dei Ministri interrogati in merito ai fatti innanzi rappresentati e se questi corrispondano al vero;
   quale siano i dati aggiornati del sovraffollamento degli istituti penitenziari della Sicilia, in considerazione della capienza regolamentare di ciascun istituto;
   se il Ministro di giustizia abbia valutato quali siano le possibili strutture alternative che possano accogliere i circa 200 reclusi che verranno trasferiti dalle carceri in chiusura di Mistretta, Modica e Nicosia e quale sarà il destino dei 188 internati dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto;
   se sia noto quanti siano i detenuti che hanno usufruito della cosiddetta legge «svuota carceri», varata nel 2010, e successive modifiche ed integrazioni, sino alla data odierna e quante siano le istanze in tal senso giacenti presso gli uffici di sorveglianza competenti ed allo stato non ancora evase, e a cosa sia dovuto l'eventuale ritardo nel disbrigo degli atti;
   se il Governo non ritenga di dover intervenire con urgenza, per migliorare la situazione della casa circondariale di Pagliarelli attualmente con circa 500 internati in più rispetto alla capienza regolamentare;
   quali siano altresì le decisioni, se vi sono, per far fronte all'esigenza di integrare il personale di polizia penitenziaria nei vari istituti ed in particolare al Pagliarelli, all'Ucciardone e all'Augusta, al di sotto circa del 50 per cento del personale previsto per legge;
   se con sistematicità e quando vengano effettuate le visite negli istituti penitenziari della Sicilia da parte delle competenti autorità sanitarie locali e quali siano i loro giudizi circa le condizioni igienico-sanitarie e di sicurezza, con particolare riguardo alla casa circondariale di Piazza Lanza di Catania;
   quale sia la cifra destinata ogni anno, negli ultimi 5 anni, alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle strutture penitenziarie siciliane;
   se il Governo abbia ricevuto direttamente dai direttori dei carceri delle segnalazioni circa le condizioni in cui versano gli istituti penitenziari siciliani nettamente in contrasto con quanto stabilito dalla legge, nonché della grave carenza del personale degli agenti di polizia penitenziaria in servizio presso dette strutture;
   quale sia il numero di ricorsi presentati alla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, dai detenuti costretti a scontare la pena avendo meno di tre metri quadrati come proprio spazio personale, per violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali;
   se in ottemperanza alla sentenza Torreggiani emessa dalla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo contro l'Italia, gli istituti penitenziari siciliani abbiano attivato quelle che sono le misure delle celle idonee per i detenuti in attuazione anche alle direttive impartite dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria;
   se in ragione di quanto in precedenza, il Ministro Guardasigilli abbia valutato la possibilità di intervenire per razionalizzare al massimo, le poche risorse umane ed economiche disponibili e semmai di integrarle per evitare che il sistema penitenziario siciliano, e più in generale quello italiano, esploda con evidenti ripercussioni per la sicurezza pubblica;
   se non ritengano, i Ministri richiamati, legittimo ed utile effettuare il prima possibile visite ispettive mirate presso le case circondariali siciliane al solo scopo di comprendere quale sia l'attuale situazione esistente così da poter intervenire in maniera opportuna dando giusto seguito alle varie segnalazioni giunte attraverso il presente atto ispettivo parlamentare. (5-01954)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DAGA, TERZONI, DE ROSA, SEGONI, BUSTO, MANNINO, ZOLEZZI, FRUSONE, VIGNAROLI, BARONI, CRISTIAN IANNUZZI, RUOCCO e LOMBARDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con decreto prefettizio n. 77775/1129/10/2013 dell'11 aprile 2013, pubblicato sull'Albo pretorio on line, nelle more dell'emanazione del decreto presidenziale di scioglimento, è stata disposta la sospensione del consiglio comunale di Tivoli ed è stato nominato commissario prefettizio per la provvisoria amministrazione dell'ente con i poteri spettanti al consiglio comunale, alla giunta e al sindaco, la dottoressa Alessandra De Notaristefani di Vastogirardi, viceprefetto. Col medesimo decreto è stata nominata subcommissario prefettizio la dottoressa Sonia Boccia – viceprefetto aggiunto;
   Villa Adriana fu una residenza reale extraurbana a partire dal II secolo. Voluta dall'imperatore Adriano, si trova presso Tivoli, in provincia di Roma. Realizzata gradualmente nella prima metà del II secolo a pochi chilometri dall'antica Tibur, la struttura appare un ricco complesso di edifici estesi su una vasta area, che doveva coprire circa 120 ettari, in una zona ricca di fonti d'acqua a 17 miglia romane dall'Urbs;
   nel 1999 il complesso archeologico di Villa Adriana è stato inserito nell'elenco dei siti patrimonio mondiale dell'umanità dell'UNESCO; nel momento dell'iscrizione l'UNESCO, oltre a definire il perimetro del bene iscritto alla lista del patrimonio mondiale ha stabilito, con un accordo internazionale con la Repubblica Italiana, anche la buffer zone, ossia una zona «cuscinetto» di protezione per l'area archeologica di Villa Adriana;
   contestualmente all'inserimento, l'Italia si impegnava a tutelare la buffer zone, a rispetto dell'area archeologica e in particolare a sottoporre preventivamente all'UNESCO i progetti, relativi alla suddetta area di protezione, che avrebbero potuto trasformare il paesaggio circostante la villa stessa;
   come riportato da alcuni articoli di giornale, è in atto un progetto di sviluppo edilizio chiamato «Comprensorio di Ponte Lucano» capofila del progetto la Impreme S.p.A del costruttore Massimo Mezzaroma che insiste sulla cosiddetta buffer zone e quindi rischierebbe di far perdere lo status di patrimonio mondiale dell'Umanità alla suddetta villa dell'imperatore Adriano;
   il Consiglio regionale del Lazio con delibera n. 41 del 31 luglio 2007 dispone che i comuni sono sollecitati a collaborare al processo di formazione del Piano territoriale paesaggistico regionale «...a fornire alla regione, prima della redazione del PTPR, la situazione reale ed aggiornata del territorio in cui incidono ed operano vincoli paesaggistici e gli stessi PTP vigenti, ai fini di una loro eventuale modifica e necessariamente ai fini di un loro inserimento nel nuovo Piano in corso di redazione...». Le proposte/osservazioni dei comuni «...se accolte e parzialmente accolte, trovano adeguata collocazione nel PTPR mediante specifiche rappresentazioni e disposizioni...»;
   rispetto al PTPR nella fase di elaborazione di tale piano, la regione Lazio e gli altri enti ed istituzioni di competenza, avevano manifestato la volontà di voler instaurare sulla zona della «Nathan» gli anzidetti due ulteriori vincoli «paesaggio naturale» e di «paesaggio naturale agrario», in aggiunta alle prescrizioni di tutela ivi già esistenti;
   il consiglio comunale di Tivoli si era opposto a tale implementazione vincolistica, sostenendo in sintesi: che i predetti vincoli non erano compatibili con le previsioni del piano regolatore comunale e che andavano esclusi in toto; che su una parte dell'area insistevano già insediamenti abitativi e doveva, in ogni caso, essere rettificata la perimetrazione indicata per gli anzidetti nuovi vincoli;
   la delibera regionale dichiara significativamente il proprio intento di voler rispettare lo spirito informatore ed il dettato del Codice dei beni culturali e paesaggistici (decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modifiche). In ossequio ed in conformità con tale normativa, conferma che il piano paesaggistico è ispirato «...al principio di minor consumo del territorio... con particolare attenzione alla salvaguardia dei siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell'UNESCO e delle aree agricole...»;
   inoltre la delibera regionale evidenzia in modo non equivoco, né equivocabile, che la previsione di tutela vincolistica è stata rimossa solo per le zone già andate soggette ad edificazione. La sussistenza dei vincoli di inedificabilità viene invece ribadita su tutta l'area residua, per la quale è evidenziato che è stata incontrovertibilmente respinta la proposta comunale di eliminare i suddetti vincoli;
   nonostante quanto detto in precedenza, il consiglio comunale di Tivoli con delibera n. 74 del 6 dicembre 2011 ha approvato in via definitiva il piano di lottizzazione «comprensorio di Ponte Lucano» dando il via libera ad una prima edificazione di 120.000 metri cubi di cemento a cui ne seguiranno successivamente altri 60.000, all'interno dell'area buffer zone stabilita con l'accordo internazionale;
   tale piano di lottizzazione non è stato preventivamente sottoposto all'UNESCO prima della sua approvazione;
   l'approvazione è avvenuta senza il nulla osta della direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio, a quanto risulta agli interroganti, pervenuto solo successivamente all'approvazione;
   il nulla osta favorevole della direzione non sembra agli interroganti tenere conto del precedente parere negativo della soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per il Lazio e della evidente violazione degli impegni internazionali sottoscritti dall'Italia, che prevedevano una preventiva comunicazione del progetto all'organizzazione internazionale;
   anche il nulla osta favorevole della soprintendenza archeologica per il Lazio non sembra agli interroganti prendere in considerazione il mancato adempimento degli impegni internazionali sottoscritti dall'Italia in sede UNESCO;
   il 5 gennaio 2012 il Direttore del World heritage center dell'Unesco ha inviato una missiva all'ambasciatore Maurizio Enrico Serra, capo della delegazione permanente italiana presso l'Unesco, esprimendo preoccupazione per l'approvazione da parte del comune di Tivoli della lottizzazione «comprensorio di Ponte Lucano» (meglio nota come «Nathan»);
   nella sessione numero 36 del World heritage commitee, che si è riunito tra il 24 giugno e il 6 luglio 2012 a San Pietroburgo, la vicenda della lottizzazione è stata analizzata dall'Unesco che ha concluso la propria analisi con la seguente valutazione: «Si richiede, allo Stato membro di informare il Whc in tempo utile rispetto a qualsiasi progetto di sviluppo pianificato nell'area buffer, includendo anche il progetto di sviluppo edilizio del «comprensorio di Ponte Lucano», per il quale deve fornire inoltre una valutazione sull'impatto in relazione al paragrafo 172 delle linee guida, prima di mettere in atto qualsiasi impegno irreversibile»;
   il comitato aveva anche stabilito un limite di tempo oltre il quale l'Italia non poteva andare, intimando al nostro Paese «di inviare al Whc entro il 1o febbraio 2014 un report aggiornato sullo stato di conservazione del sito»;
   in data 17 aprile 2013 è stata presentata un interrogazione 4-00091 a prima firma del senatore Bartolomeo Pepe del MoVimento 5 Stelle riguardante il tema in oggetto;
   in data 26 giugno 2013 nella seduta n. 051 è stata presentata un'ulteriore interrogazione a risposta scritta 4-00427 a prima firma dal senatore Bartolomeo Pepe del MoVimento 5 Stelle riguardante sempre il tema in oggetto –:
   se il Ministro per i beni e le attività culturali non ritenga che la mancata tutela di questa area, oltre ad essere grave in sé, danneggia anche l'immagine del patrimonio naturale, culturale e turistico italiano, con il rischio concreto della cancellazione del sito della villa dell'imperatore Adriano dal patrimonio mondiale dell'umanità dell'Unesco, nel caso in cui non siano rispettati i parametri minimi di gestione dettati dall'organizzazione internazionale;
   se il Ministro abbia predisposto il report aggiornato sullo stato di conservazione del sito;
   se il Ministro intenda immediatamente verificare la correttezza dell’iter approvativo del progetto con specifico riferimento alla tutela del bene in essere;
   quali iniziative il Ministro intenda assumere per garantire il rispetto degli impegni internazionali che proteggono l'area archeologica di Villa Adriana, essendo stata disattesa, a quanto risulta agli interroganti, la precisa prescrizione che impone di sottoporre preventivamente all'Unesco i progetti che hanno effetto rilevante sull'area;
   quali iniziative intenda intraprendere al fine di tutelare l'integrità di un patrimonio culturale e paesaggistico a valenza universale, annoverato tra i siti Unesco e come tale oggetto di un accordo internazionale che obbliga lo Stato italiano alla tutela e alla conservazione che potrebbe essere comprovante dal piano di lottizzazione «comprensorio di Ponte Lucano»;
   se abbia provveduto ad informare, come da procedura, il World heritage commitee della lottizzazione «comprensorio di Ponte Lucano» e, in caso contrario, quali iniziative urgenti voglia adottare al riguardo dell'ennesima speculazione edilizia in atto nella zona protetta da vincolo paesaggistico. (4-03244)


   BARUFFI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi diverse parti del Paese sono state investite da nubifragi;
   tra queste la provincia di Modena, che ha visto progressivamente ingrossarsi, fino alla soglia di allerta, i due fimi che la attraversano, Secchia e Panaro;
   nel corso della piena, nella giornata di domenica 19 gennaio, l'argine destro del fiume Secchia, in località San Matteo del comune di Modena, ha riportato una rottura tanto imprevista quanto significativa, le cui cause dirette sono ancora da accertare;
   alla rottura dell'argine è conseguito un violento e devastante sversamento d'acqua che ha investito dapprima le campagne circostanti, poi i centri limitrofi, segnatamente di Bastiglia e Bomporto;
   l'emergenza, che ha coinvolto diverse località minori della bassa pianura modenese, a nord del comune capoluogo, è tuttora in corso e la regione Emilia-Romagna sta provvedendo a formulare richiesta di stato di emergenza per le zone colpite dall'alluvione;
   non è ancora possibile definire un bilancio dei danni prodotti dalle inondazioni, stante la gestione dell'emergenza in corso, ma i danni riguardano il sistema infrastrutturale pubblico e di pubblico interesse, il patrimonio edilizio privato, le attività economiche del territorio (produttive, agricole, commerciali, di servizio);
   ad oggi una persona risulta dispersa;
   l'alluvione ha investito diversi centri già colpiti dal sisma del 20 e 29 maggio 2012;
   sono diverse migliaia le persone sfollate dalle proprie abitazioni e almeno mille quelle ospitate direttamente da centri di accoglienza allestiti da protezione civile e comuni;
   per molte famiglie persiste e persisterà nei prossimi giorni l'impossibilità materiale di raggiungere la propria abitazione;
   analogamente sarà impossibile per diversi giorni raggiungere molti capannoni, centri agricoli, negozi o uffici invasi allagati;
   incombono, già a partire dai prossimi giorni, diverse scadenze fiscali, tra cui la «mini Imu», a cui famiglie e imprese non potranno far fronte per impedimento materiale;
   nell'attesa di poter stimare un bilancio dei danni alle strutture pubbliche e private, alle abitazioni e alle imprese, risulta ora dirimente sospendere ogni adempimento di ordine fiscale e burocratico, nonché i mutui, in scadenza –:
   quali iniziative si intendano assumere al fine di sospendere immediatamente – anche in raccordo con regione, provincia e comuni – ogni adempimento fiscale, contributivo e assicurativo relativo a persone fisiche e giuridiche, nonché i mutui, per i centri interessati dall'alluvione almeno fino a quando non sarà ripristinata una condizione di accettabile normalità per famiglie e imprese del territorio alluvionato. (4-03262)


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il scorso 27 dicembre 2013, nonostante gli sbandierati proclami sul risparmio della spesa pubblica corrente e sulla sua revisione, il Ministero dell'economia e delle finanze ha indetto un concorso a 179 posti di personale amministrativo di III area – F1 (G.U. serie speciale n.102 del 27 dicembre 2013);
   è tuttora vigente il decreto-legge 101 del 2013, il quale ribadisce la possibilità per le pubbliche amministrazioni, mediante accordi che possono essere sottoscritti finanche ex-post rispetto alla data d'indizione della procedura concorsuale, di utilizzare graduatorie di precedenti pubblici concorsi, facoltà peraltro già prevista dalla legge 350 del 2003 ;
   un elemento necessario per attivare tali dettami normativi è che il profilo e la categoria professionale del posto che si intende coprire sia corrispondente ai posti per i quali è stato bandito il concorso la cui graduatoria si intende utilizzare;
   come ribadito anche dal Consiglio di Stato (4329/2012 e n. 6560/2012), l'utilizzo delle graduatorie trova causa nell'obiettivo di ridurre la spesa pubblica evitando l'indizione di nuovi concorsi ed attua i principi di economicità ed efficienza dell'azione amministrativa, tenuto conto del costo e dei tempi per l'esperimento delle procedure concorsuali;
   in materia di concorsi pubblici, di assunzione dei vincitori degli stessi e di scorrimento delle graduatorie degli idonei per coprire gli spaventosi vuoti d'organico nelle forze di polizia e nel comparto Ministero, l'interrogante ha presentato numerosi atti di sindacato ispettivo in questa legislatura come nella precedente;
   il tenore delle risposte dei vari Ministri interrogati, da ultimo il Ministro della difesa Mauro, è stato quello di una attenzione per la problematica, di una condivisione nelle soluzioni prospettate dell'interrogante;
   il problema risiede, a giudizio dell'interrogante, nella mancata volontà da parte dei Ministri interrogati di provvedere in tal senso e nel continuare a bandire nuovi concorsi nonostante la vigenza di graduatorie con migliaia di ragazzi che attendono fiduciosi un posto di lavoro che hanno meritato per aver superato numerose e difficoltose prove d'esame;
   è di pochi giorni fa la dichiarazione pubblica del Ministro dell'interno con cui si annuncia l'approvazione di una norma che consentirebbe di procedere a nuove assunzioni, in deroga al blocco del turn-over, a motivo dell'Expo-2015 con una spesa prevista di molto superiore ai 100 milioni di euro;
   ora a molti sono note le vicissitudini di quanti, non senza fatica e sforzo, hanno superato una selezione pubblica ed attendono da anni l'immissione in servizio;
   emblematico caso di cattiva-amministrazione, a giudizio dell'interrogante, è la vicenda del concorso bandito dal Ministero della difesa a 111 posti di collaboratore di amministrazione area III fascia retributiva F1;
   il bando risale al 27 luglio 2007 (G.U. s.s. 59), la graduatoria viene approvata il 20 dicembre 2009 e pubblicata sulla G.U. del 25 marzo 2010;
   soltanto nell'ottobre del 2011 il Ministero della difesa inoltra alla Presidenza del Consiglio dei ministri la richiesta di autorizzazione all'assunzione dei vincitori;
   da tale momento la procedura rimane bloccata grazie all'introduzione della cosiddetta «revisione della spesa» ed al blocco delle assunzioni stabilito dal Governo Monti;
   ciò nonostante, mentre in nome del taglio alla spesa pubblica, veniva decretata di fatto la fine della legittima aspettativa dei vincitori di questo concorso, presso la Presidenza del Consiglio si continua ad assumere mediante chiamate dirette e tramite concorsi banditi ed espletati in tempi record (26 funzionari amministrativi area III F1);
   è appena il caso di chiedersi come mai, in tempi di ben note ristrettezze e di sbandierati intenti di favorire l'occupazione e ridurre le spese, non si sia pensato ad attingere da graduatorie esistenti, atteso che tale facoltà era già prevista dalla legge 350 del 2003;
   ad oggi, la speranza di assunzione dei 111 vincitori di concorso del Ministero della difesa, come di tante altre graduatorie pubbliche, pare ancora più aleatoria in quanto, a prescindere dal blocco del turn over, confermato dalla recente legge di stabilità, il decreto-legge 101 del 2013 ha stabilito il divieto di effettuare assunzioni anche per le qualifiche ed aree in cui c’è vacanza in organico, fino al pareggiamento degli esuberi;
   ora, nonostante nell'organico dell'area III del Ministero della difesa vi sia una carenza di 179 unità (tra cui i 111 in questione), gli esuberi sarebbero migliaia;
   un discorso a parte merita la polizia di Stato dove le carenze d'organico sono state certificate dal Capo della Polizia in persona;
   per le carenze d'organico del Ministero di giustizia, sempre il decreto-legge 101 del 2013 ha previsto la possibilità di colmare le vacanze nei ruoli del personale amministrativo degli uffici giudiziari, non soltanto attraverso il passaggio in essi dei soprannumerari di altre amministrazioni (cosa non sempre di facile realizzazione atteso che in molti casi ciò comporterebbe lo spostamento di residenza per nuclei familiari interi), ma anche mediante l'assorbimento di vincitori di altri concorsi pubblici per analoghe professionalità;
   ciò consentirebbe a quella fascia di laureati, ormai trenta/quarantenni, che ha scelto di indirizzare la propria preparazione verso l'inserimento nella pubblica amministrazione, di poter vedere realizzate le proprie speranze di sistemazione e, soprattutto, di ottenere il riconoscimento di un proprio sacrosanto diritto, conquistato non certo facilmente –:
   se il Governo abbia intenzione di rendere obbligatorio per le pubbliche amministrazioni, e per il Ministero dell'economia e delle finanze nel caso di specie, l'utilizzo, prioritariamente all'espletamento di nuove procedure concorsuali, delle graduatorie di altre amministrazioni, nel rispetto delle professionalità richieste;
   quali ulteriori iniziative, di natura regolamentare e legislativa, si intendano assumere per risolvere le problematiche esposte in premesse. (4-03274)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:


   MERLO e BORGHESE. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   già da qualche tempo il Movimento Associativo Italiani all'estero sta denunciando la chiusura di diverse sedi istituzionali che stanno mettendo in grave disagio i connazionali lì residenti;
   nella vecchia circoscrizione di Manchester risiedono circa 60mila connazionali, di cui oltre 45mila sono iscritti all'AIRE. L'area di Manchester è, dopo Londra, la zona di maggiore accoglienza di nuova emigrazione come risulta dai dati ufficiali del HM Revenue and Customs della Gran Bretagna per il numero di italiani richiedenti il national insurance number (codice fiscale);
   la vecchia circoscrizione di Manchester si estende per circa 64435 chilometri quadrati pari a Lombardia-Piemonte e Liguria messi assieme. Un connazionale che deve raggiungere Manchester da Newcastle deve percorrere 230 chilometri e in tal senso la distanza di percorrenza si raddoppia a 460 chilometri, come Napoli-Firenze, quando i connazionali dovranno spostarsi sul consolato di Londra se lo sportello consolare chiuderà i battenti come programmato per giugno 2014;
   la chiusura dello sportello comporterà gravissimi disagi per tutte le fasce sociali deboli come anziani e portatori di handicap, poiché saranno costretti a spostamenti infrasettimanali, per i quali saranno necessari l'utilizzo di vari mezzi di trasporto. Inoltre, saranno costretti a impiegare mezza giornata o anche più di tempo con difficoltà a spostarsi autonomamente e non saranno in grado di utilizzare il computer per dialogare con un consolato virtuale distante 350-450 chilometri. In assenza di familiari che possano aiutarli con il computer e/o accompagnarli e prendersi carico delle spese, saranno costretti con molta probabilità a rinunciare ai servizi consolari;
   il carico del costo del biglietto ferroviario e le spese per andare presso gli sportelli del consolato di Londra si potrebbe aggirare intorno i 300 euro a persona che risultano un ingente somma per chi vive di pensione o deve andarci con famiglia; da una prima analisi dei dati risulta che il costo reale dello sportello consolare è di circa 25 mila sterline annue che deriva dall'affitto e le spese varie quali assicurazione, luce gas e altro. I salari degli addetti sono stati esclusi poiché in ogni caso essi dovranno essere assorbiti altrove;
   dall'ultima riunione del Comites di Manchester, dove ha partecipato il rappresentante locale, è emerso che il Comites recentemente aveva informato l'ambasciatore con una lettera inviata in data 12 dicembre 2013 che dalla data di istituzione del 10 ottobre 2011, l'ufficio consolare di Manchester ha espletato i seguenti servizi:
   a) 4000 passaporti;
   b) 400 pratiche notarili;
   c) 600 pratiche di stato civile e cittadinanza;
   d) 1100 pratiche di assistenza sociale, pensioni, servizi funerari e codici fiscali;
   pur condividendo l'esigenza di innovare e semplificare per ridurre i costi, gli interroganti ritengono che il provvedimento riguardante la chiusura dello sportello consolare di Manchester non possa essere ricondotto al piano generale di razionalizzazione della rete estera. Basti pensare che solo per rinnovo passaporto, al costo di 70.70 (sterline), produce circa 280 mila sterline e se si aggiungono le 34 (sterline) di tassa annuale, l'ammontare totale copre notevolmente l'attività dello sportello almeno per i prossimi dieci anni;
   non si riesce ancora a comprendere quale sia stata la causa che ha indotto il Ministero a procedere alla chiusura dello sportello consolare di Manchester che oltre ad essere ampiamente in attivo è un punto di riferimento di una comunità di 60 mila connazionali che saranno messi in condizioni di grave disagio quando a giugno 2014 lo sportello in oggetto chiuderà –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti evidenziati nelle premesse e quali siano i suoi orientamenti;
   quali siano state le valutazioni economiche e politiche che hanno indotto il Ministro interrogato a programmare la chiusura dello sportello consolare di Manchester;
   se non ritenga di dover ascoltare i rappresentanti del Comites locale e del Consiglio generale degli italiani all'estero prima di rendere operativa la decisione di chiudere lo sportello di Manchester nel mese di Giugno 2014. (4-03247)

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interrogazione a risposta scritta:


   GREGORI, TIDEI, FERRO, MICCOLI, MARRONI, FASSINA, CARELLA e MARCO DI STEFANO. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi giorni si è parzialmente risolta la vicenda dei lavoratori socialmente utili del Lazio, stabilizzati con convenzione regionale da parte della precedente amministrazione Polverini;
   i lavoratori, in gran parte non pagati da mesi o pagati con anticipazione delle comunità montane e dei comuni utilizzatori degli stessi, non saranno mandati a casa. Infatti è stato sottoscritto un accordo tra Governo e regione Lazio per la riapertura del bacino e quindi entro il mese di febbraio dovrebbero ripassare a carico dell'Inps percependo l'indennità prevista;
   si tratta di una soluzione che garantisce a 900 famiglie di percepire un minimo di sostegno economico, ma non può essere certo la soluzione definitiva. Infatti i lavoratori rientrati nel bacino ritornerebbero nella situazione di uomini e donne che svolgono prestazioni per i comuni e le comunità montane senza diritto a nessun contributo previdenziale;
   sembra pertanto fondamentale che lo Stato intervenga per svuotare definitivamente il bacino e consenta una stabilizzazione definitiva di questi lavoratori che per molti anni hanno sopperito a mancanze di personale in tante amministrazioni pubbliche –:
   se i Ministri interrogati intendano intervenire, per quanto di competenza, verificando la possibilità di iniziative normative atte ad una stabilizzazione effettiva dei lavoratori di cui in premessa;
   se s'intenda altresì valutare la possibilità di convocare un tavolo di confronto con le autorità regionali e le comunità montane al fine di elaborare soluzioni condivise e congiunte a tutela dei lavoratori citati. (4-03255)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   AGOSTINELLI, CECCONI, TERZONI e BONAFEDE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Comune di Monsano ha, subito, per circa trent'anni, una delle più pesanti operazioni a livello europeo di inquinamento delle falde acquifere da cromo esavalente, a partire dalla fine degli anni sessanta e fino al 2001;
   il danno ambientale che da fonti stampa risulta essere stato causato dallo sversamento nei fossi di sostanze tossiche causato da un'industria del settore della cromatura dei metalli - la RCD prima e la SIMA Industrie del gruppo Venturi poi - è gravissimo ed ha interessato dapprima la zona di Sant'Ubaldo e poi negli anni, un'area molto più vasta fino a Marina di Montemarciano;
   il cromo esavalente, che viene utilizzato nell'industria per via delle sue proprietà anti ruggine, è considerato altamente tossico e sulla base di evidenze sperimentali ed epidemiologiche è stato classificato dalla IARC come cancerogeno per l'uomo (classe I) (così come lo sono l'amianto e il nichel sostanze ben note e tuttora utilizzate), ed è attivo anche a concentrazioni molto basse e provoca tumori nelle prime vie aeree, dello stomaco e del polmone, se non adottate necessarie misure di prevenzione;
   il cromo esavalente sversato nelle falde acquifere, come nel caso della zona di Monsano (An), crea un danno incalcolabile e difficile da circoscrivere;
   questo composto, infatti, è solubile e persistente in acqua e, potendo facilmente raggiungere la falda acquifera, lo si può trovare anche a distanza di tempo e di luogo;
   La RfD («Reference dose»), che corrisponde al quantitativo di sostanza che può essere assunto per tutta la vita per via orale senza rischi di cancerogenesi, anche negli individui sensibili) per Cr(VI) è di 5 microg/giorno, per kg di peso corporeo.
  Il cromo esavalente causa tumore ai polmoni, e gli effetti più noti sono, oltre alla perforazione del setto nasale, una serie di disturbi di tipo rinitico che poi possono degenerare in tumori ai polmoni e allo stomaco;
   se ne deduce facilmente che non si deve bere l'acqua che contiene cromo esavalente. Questa sostanza, oltre ad essere cancerogena, come detto, ha anche proprietà mutagene, il che vuol dire che può modificare il DNA. Il rischio di avere dei figli malformati, o comunque patologie di tipo malformativo e tumorale non è solo ipotizzato ma costatato in particolare in alcune zone in cui le piante sono state innaffiate con acqua inquinata da cromo esavalente. Ebbene i frutti e le piante così coltivate presentano delle palesi anomalie nello sviluppo. In rete ci sono immagini molto interessanti che sono state girate a Tezze (Vi), dove si vedono delle margherite che anziché essere tonde sono lunghe e strette. Il dottor Roberto Topino, medico del lavoro, e un suo collaboratore, Roberto Bava sulle conseguenze dell'esposizione al cromo esavalente che hanno fornito in una intervista il loro parere sul cromo esavalente hanno dichiarato che l'unico amianto, nichel e cromo esavalente che non fanno male sono quelli che non ci sono;
   da dichiarazioni rilasciate dai soggetti interessati, a mezzo stampa, risulta che la situazione estremamente critica di Monsano ha consentito di attingere al Fondo per la promozione dello sviluppo sostenibile, destinata alle aree ad elevato rischio di crisi ambientale (AERCA) dichiarate tali a decorrere dal 2000 per uno stanziamento complessivo di 3 milioni e 510 mila euro per 6 progetti presentati dal comune di Ancona e dal comune di Monsano per la bonifica, appunto, dei siti inquinati. Tra le aree a rischio sono comprese quella di Ancona, Falconara e Bassa Valle dell'Esino.
  Ciò posto, il Consiglio regionale delle Marche nel 2005 ha approvato il Piano per il risanamento dell’ AERCA con la conseguente sottoscrizione dell'intesa istituzionale tra la stessa regione, la provincia di Ancona ed i Comuni di Ancona, Falconara Marittima, Montemarciano, Chiaravalle, Monte San Vito, Monsano, Jesi, Agugliano e Camerata Picena.
  In questa fase la regione ha coordinato le attività dei diversi enti potenziali beneficiari del finanziamento provvedendo, tra l'altro, all'attestazione di conformità al piano delle istanze presentate.
  per il Comune di Monsano il progetto di recupero e bonifica dell'area ex RCD prevedeva un contributo del Ministero dell'ambiente di 450 mila euro;
   per procedere alla realizzazione dell'intervento, risulta all'interrogante, che il Ministero dell'ambiente abbia sottoscritto un'intesa con il comune di Monsano e con la regione Marche attribuendole un ruolo di regia. Un documento che definiva ruoli, modalità e tempistiche per la realizzazione, nonché gli aspetti finanziari del progetto che, secondo quanto preventivato, avrebbe avuto un costo complessivo di 924 mila euro. Considerata l'urgenza di procedere alla mitigazione di tale criticità, la regione Marche avrebbe stanziato un finanziamento di oltre 181 mila euro finalizzato alla progettazione ed alla immediata realizzazione delle indagini preliminari;
   e ancora, sempre fonti stampa, (Vivere Jesi del 23/01/209) «La Provincia di Ancona – ha detto l'assessore provinciale Marcello Mariani, ricordando che Monsano è l'unico comune della provincia ad avere la certificazione ambientale Emas – ha il ruolo di accertare il completamento degli interventi di bonifica, messa in sicurezza, nonché la conformità degli stessi al progetto approvato e si è già impegnata con un contribuito di 218 mila euro.» «La quota invece a carico del Comune di Monsano ammonta a 74 mila euro. Gli interventi – come ha spiegato il progettista Gianni Napoleone – sono divisi in tre stralci funzionali, oltre ad una fase propedeutica per acquisire elementi di analisi e mettere a punto attività sperimentali.
  Il Comune ha già iniziato le opere con l'avvio delle procedure per la realizzazione dello stralcio iniziale del progetto, necessaria ai fini della progettazione esecutiva e quindi all'appalto. Le opere avrebbero dovuto concludersi entro il 2010 –:
   a quanto ammontino effettivamente e con esattezza i finanziamenti statali erogati;
   quali opere di bonifica ad oggi siano state effettuate;
   se e quali controlli si intendano attuare, data la gravità dell'inquinamento verificatosi, per accertare che le stesse garantiscano la messa in sicurezza delle popolazioni interessate;
   se è stata mai effettuata una seria ed approfondita indagine epidemiologica per valutare e quantificare gli effetti sulla salute dei cittadini eventualmente procurati dall'inquinamento da cromo esavalente e, nel caso, se sia intenzione del Ministro della salute di procedere per quanto di competenza, al fine di avviare tale studio epidemiologico, indicando anche una presumibile tempistica. (5-01957)


   MARIASTELLA BIANCHI, BORGHI, BOBBA, BRAGA, BRATTI, MARIANI, ARLOTTI, CARRESCIA, COMINELLI, DALLAI, DECARO, GADDA, GINOBLE, MANFREDI, MARRONI, MAZZOLI, MORASSUT, MORETTO, GIOVANNA SANNA e ZARDINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   dopo quasi 25 anni dalla chiusura del programma nucleare, il processo di messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi e della dismissione delle centrali nucleari italiane è ancora lontano dal vedere una soluzione;
   a oggi le scorie nucleari ammontano a più di 30.000 metri cubi, di cui 25.200 a bassa e media attività e 7.200 metri cubi ad alta attività. A questi si aggiungeranno oltre 50.000 metri cubi provenienti dalle operazioni di smantellamento e bonifica delle installazioni nucleari. La maggior parte di questi rifiuti radioattivi si trovano nelle ex centrali nucleari (Carso, Garigliano, Latina e Trino Vercellese) e negli impianti di ricerca (Saluggia, Trisaia Rotondella, Casaccia, Saluggia, Ispra). Inoltre, è atteso il rientro in Italia di alcune decine di metri cubi di combustibile radioattivo spedito in Gran Bretagna e in Francia per essere riprocessato. Oltre ai rifiuti di tipo energetico, ci sono altri 4.000 metri cubi provenienti da applicazioni mediche, industriali e di ricerca;
   la mancanza di un deposito nazionale di scorie impedisce ad oggi lo smantellamento definitivo degli impianti nucleari esistenti sul territorio nazionale e la messa in sicurezza dei territori che ospitano le centrali dismesse e i siti di stoccaggio temporaneo dei materiali radioattivi;
   il pieno decommissioning delle centrali nucleari dismesse è inoltre necessario per garantire la piena tutela ambientale di queste aree e la salute delle popolazioni che li abitano; la mancata identificazione di un sito di deposito perpetuerà il problema di una adeguata sistemazione dei rifiuti radioattivi continuamente prodotti dall'industria, dalla ricerca o dalle attività sanitarie;
   in Italia, gli impianti interessati da questo processo sono otto: Impianto Eurex di Saluggia; Centrale di Trino; Impianto FN di Bosco Marengo; Centrale di Caorso; Impianti OPEC e IPU Casaccia - Roma; Centrale di Latina; Centrale Garigliano di Sessa Aurunca; Impianto ITREC Trisaia di Rotondella;
   si stima che le attività di decommissioning delle vecchie centrali nucleari italiane produrranno complessivamente, nei prossimi 15-20 anni, 12.000 nuovi occupati;
   le attività di smantellamento di impianti nucleari possono rappresentare un fattore di crescita e competitività per il nostro Paese anche sul piano internazionale: si calcola che entro il 2050 nel mondo oltre 400 reattori nucleari dovranno essere smantellati con investimenti globali stimati 165 miliardi di euro per le sole attività di decommissioning e 600 miliardi di euro per il completamento delle bonifiche;
   il decreto legislativo n. 31 del 2010 ha disciplinato il riassetto della disciplina dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi prevedendo la costruzione di un parco tecnologico all'interno del quale collocare un deposito nazionale destinato allo smaltimento a titolo definitivo dei rifiuti radioattivi a bassa e media attività derivanti da attività industriali, di ricerca e medico-sanitarie e dalla pregressa gestione di impianti nucleari ed all'immagazzinamento, a titolo provvisorio di lunga durata, dei rifiuti ad alta attività e del combustibile irraggiato provenienti dall'esercizio di impianti nucleari, compresi i rifiuti derivanti dalla pregressa gestione di impianti nucleari;
   il parco tecnologico sarà sede di attività di ricerca, formazione e sviluppo delle tecnologie connesse alla gestione dei rifiuti radioattivi e alla radioprotezione;
   lo stesso decreto legislativo stabilisce che la SOGIN debba definire una proposta di Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee alla localizzazione del parco tecnologico e del deposito, tenendo conto dei criteri indicati dall'Aiea e dall'Agenzia per la sicurezza nucleare;
   con il decreto legge 6 dicembre 2011, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, l'Agenzia per la sicurezza nucleare è stata soppressa ed i relativi compiti sono stati in via temporanea attribuiti all'ISPRA compresi quelli circa la predisposizione dei criteri tecnici di localizzazione del deposito nazionale di rifiuti radioattivi; è ora avviato il percorso di recepimento della direttiva 2011/70/Euratom che prevede l'istituzione di una autorità di regolamentazione per la gestione e lo smaltimento del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi;
   nel luglio del 2012 il Governo aveva stabilito che entro la fine dello stesso anno l'Ispra avviasse le attività di definizione dei suddetti criteri tecnici, anche in considerazione dell'urgenza di avviare i lavori per la costruzione del deposito nazionale, al fine di consentire alla Sogin di procedere alla definizione di una proposta di Carta nazionale delle aree idonee, come stabilito dalle disposizioni del decreto legislativo 31 del 2010;
   in riscontro a tale richiesta il predetto istituto ha preannunziato che avrebbe avviato nel mese di settembre i lavori di elaborazione dei suddetti criteri, in modo da completare tale attività entro il 30 dicembre 2012;
   l'ISPRA ha in seguito dichiarato, nel settembre 2013, di avere predisposto una prima bozza del documento sui criteri, ritenendo necessario svolgere, prima della loro emanazione ed in linea con le prassi internazionali in campo nucleare, un confronto tecnico con le autorità di sicurezza nucleare di paesi che hanno già realizzato o stanno esercendo strutture analoghe, nonché di sottoporre i criteri elaborati ad una revisione internazionale condotta dall'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA);
   ad oggi da parte dell'Ispra non è stata data comunicazione circa l'elaborazione definitiva di detti criteri –:
   se il ministro sia in grado di fornire informazioni circa la predisposizione dei criteri di localizzazione del deposito nazionale per le scorie radioattive e del parco tecnologico;
   quali misure intenda assumere affinché si arrivi in breve tempo alla definizione di una proposta per l'individuazione delle aree idonee alla costruzione del deposito nazionale e del parco tecnologico. (5-01959)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIULIETTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la funzione istituzionale della SIAE consiste nell'attività di intermediazione per la gestione dei diritti d'autore, concedendo le autorizzazioni per l'utilizzazione delle opere protette, riscuotendo i compensi per i diritti d'autore e ripartendo i proventi che ne derivano;
   la legge 9 gennaio 2008, n. 2, ha modificato la configurazione giuridica della SIAE, riconoscendo la natura di «ente pubblico economico a base associativa» a fronte dell'attività imprenditoriale retribuita nel campo dell'intermediazione dei servizi esercitata, a scopo di lucro, da questo organismo;
   la gestione dei servizi attinenti alla tutela del diritto d'autore e dei diritti connessi dovrebbe essere informata ai princìpi della massima trasparenza nella ripartizione dei proventi tra gli aventi diritto;
   i criteri di ripartizione dei proventi spettanti ai titolari dei diritti d'autore sono annualmente predeterminati dalla commissione per la musica interna alla SIAE, ma nel tempo sono stati sollevati diversi dubbi circa la ripartizione degli stessi, che avviene in maniera proporzionale al numero di vendite delle opere degli iscritti, cioè secondo una percentuale calcolata sul loro fatturato e non su una valutazione reale dell'utilizzo delle opere al di là della vendita nei negozi;
   nel caso in cui un concerto sia ad ingresso libero, la SIAE esige il 10 per cento delle sponsorizzazioni e, nel caso in cui non ci fossero sponsor, la SIAE esige una cifra forfettaria;
   un comune o un'associazione culturale che volesse organizzare una serata di musica in piazza o in luogo pubblico per i cittadini, senza biglietto d'ingresso e senza sponsor, sarebbe costretto comunque a pagare una tassa alla SIAE;
   quali iniziative intenda intraprendere al fine di:
    a) incentivare la nascita di nuove società di gestione collettive per i diritti d'autore, riconoscendo la loro attività economicamente rilevante a prescindere dallo stato giuridico e dalle modalità di funzionamento, con il duplice fine di garantire una maggiore scelta di rappresentazione per gli autori e gli editori e, al contempo, di garantire un mercato concorrenziale ed una pluralità di operatori in direzione di una maggiore efficienza nella gestione, secondo una logica di trasparenza dei costi e dei servizi;
    b) valutare la possibilità di intervenire con una riorganizzazione e razionalizzazione della SIAE anche mediante la sua trasformazione in società per azioni;
    c) intervenire con apposite iniziative normative al fine di abbassare la percentuale spettante alla SIAE da parte dei comuni e associazioni culturali che organizzano iniziative a titolo gratuito per la cittadinanza;
    d) provvedere ad una semplificazione in materia di documentazione amministrativa anche attraverso il riconoscimento delle autocertificazioni e delle dichiarazioni sostitutive per le prestazioni gratuite, ai fini contributivi (ENPALS) e dei diritti d'autore (SIAE). (4-03261)


   DE LORENZIS, SPESSOTTO, LIUZZI, DELL'ORCO, BRESCIA, CATALANO, LOREFICE e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'Automobile Club d'Italia è un ente pubblico non economico che per proprio statuto si occupa delle tematiche della mobilità, è sottoposto alla vigilanza del Ministero per i beni e le attività culturali ed ha un organico di circa 3000 dipendenti pubblici;
   il presidente dell'ACI è Angelo Sticchi Damiani, che risulta essere stato condannato dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale del Lazio, con sentenza n. 2021/05, recentemente confermata anche in appello, a risarcire l'ente stesso per un danno erariale di 21.986,30 euro per una storia di sponsorizzazioni gonfiate a società private, effettuate «con deprecabile superficialità e approssimazione», per i Campionati automobilistici italiani nel triennio 1998-2000;
   con Sticchi Damiani è stato condannato anche l'attuale vice presidente, Pasqualino De Vita, ed altre cinque persone, tutti componenti del Comitato esecutivo ai tempi dei fatti esaminati e ritenuti «gravemente colpevoli» per un danno totale all'ACI di circa 154 mila euro (il 10 per cento del danno arrecato);
   nonostante la sentenza esecutiva il presidente non ha ancora risarcito l'ACI del danno erariale subito;
   si apprende da organi di stampa che Sticchi Damiani sia stato anche oggetto di procedimenti penali a suo carico e che solo in corte di appello (Bari n. 665 del 4 maggio 2011) sia stato prosciolto dai reati ascritti;
   nonostante tali difetti dei requisiti di eleggibilità, ai sensi dello statuto dell'ente e della direttiva del CONI n. 450 del 20 dicembre 2011, è stato ugualmente nominato presidente dall'assemblea dell'ACI, con successivo parere favorevole, ottenuto con un solo voto di differenza, emesso dalla IX Commissione permanente della Camera il 6 marzo 2012 sull'errato presupposto che la sentenza in appello in tema di danno erariale sarebbe stata favorevole allo Sticchi Damiani –:
   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative dirette, anche alla luce dei fatti e delle sentenze descritti in premessa, per valutare se sussistano i presupposti per rimuovere Angelo Sticchi Damiani e Pasqualino De Vita dalla funzione di presidente e vice presidente dell'ACI e conseguentemente nominare un commissario straordinario che sovrintenda alle attività dell'ente nelle more delle nuove elezioni. (4-03267)


   BALDASSARRE, D'AMBROSIO, DE LORENZIS, SCAGLIUSI, L'ABBATE e BRESCIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il «Ciolo» è una località turistica pugliese che attrae ormai migliaia di turisti ogni anno per la sua particolare bellezza e suggestione paesaggistica, caratterizzata da un canyon percorribile attraverso vari sentieri ricoperti da vegetazione e una piccola spiaggia ai piedi di tutta questa immensa bellezza naturale;
   l'11 settembre 2008 i tecnici dell'autorità di bacino della Puglia sono stati invitati da tecnici comunali a verificare la situazione del Ciolo segnalando la «presenza di costoni rocciosi fortemente fratturati»;
   successivamente il Ciolo veniva inserito nel piano di assetto idrogeologico (PAI) della regione Puglia e veniva classificato come PG3, ovvero a pericolosità geomorfologica «molto elevata»;
   a seguito di questa classificazione, nel 2010, la regione Puglia concesse un primo finanziamento di 500 mila euro e successivamente un secondo nel 2011 di un milione di euro;
   il comune di Gagliano del Capo sta coordinando un progetto di messa in sicurezza del costone del Ciolo, che prevede la perforazione del costone con 1817 fori per una profondità complessiva di 4,7 km per poi fissare reti e funi metalliche che imbriglieranno 6500 metri quadrati della roccia e si procederà ad imbracare 15 grandi massi ritenuti a rischio di distaccamento, per un valore totale dell'appalto di euro 1 milione e 500 mila;
   a parere degli interroganti appare chiaro che, per il Ciolo, essendo una zona turistica salentina di rara bellezza con un alto valore paesaggistico e geologico, la prima cosa da tutelare è il paesaggio e non appare chiaro quali siano le valutazioni che hanno portato la scelta di utilizzare reti metalliche non essendo l'unico mezzo e strumento utilizzabile nel caso si riscontri una reale necessità di messa in sicurezza;
   un intervento di tale portata danneggerà il paesaggio e il turismo del posto in maniera irrimediabile, a fronte di soluzioni meno invasive che potrebbero essere messe in atto attraverso interventi mirati, anche da parte di associazioni volontarie che si sono già rese disponibili;
   durante l'assegnazione del primo appalto, l'amministrazione, ha seguito un iter alquanto dubbio e poco trasparente, avendo eseguito il sorteggio di 5 aziende su 100 che avevano fatto domanda per parteciparvi, non facendo quindi nessuna valutazione di merito per le aziende partecipanti e senza considerare «l'offerta migliore»;
   il progetto, ad oggi, ha ottenuto tutte le autorizzazioni da parte di: autorità di Bacino, provincia di Lecce, regione Puglia, soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici, unione dei comuni «Terra di Leuca», Parco naturale «Costa Otranto – Santa Maria di Leuca e Bosco Tricase»;
   sono stati presentati degli esposti alla procura della Repubblica di Lecce, che ha prontamente aperto una indagine;
   ad oggi, i sostituti procuratori Elsa Valeria Mignone e Antonio Negro, hanno aperto un fascicolo con l'accusa contro ignoti per i reati di falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici e deturpamento di bellezze naturali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suddetti e quali urgenti interventi intenda intraprendere al fine di valutare tutte le procedure di appalto e realizzazione di un intervento di tale portata naturalistica e paesaggistica;
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario approfondire le problematiche che emergano dalla relazione suddetta, assumendo iniziative per valutare i presupposti per sospendere i lavori che rischiano di distruggere in maniera irreparabile una delle bellezze della costa salentina. (4-03268)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS, SCAGLIUSI, L'ABBATE e LOREFICE. — Al Ministro della difesa, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Dussmann Service fa parte del gruppo Dussmann Group, network internazionale di servizi specialistici per enti pubblici ed aziende. Il gruppo conta circa 60.000 dipendenti in 21 nazioni. Dal sito ufficiale della Dusman Service, che ha sede operativa a Capriate S. Gervasio (Bergamo) in via Papa Giovanni XXIII, 4 24042 Capriate S. Gervasio (Bergamo), si apprende che l'azienda ha un organico di 11.000 dipendenti, distribuiti su tutto il territorio nazionale suddivisi tra personale di sede e personale d'appalto. Dallo stesso sito si apprende che l'ultimo fatturato nel 2011 di circa 310 milioni di euro;
   la Dussmann Service srl presta servizio di ristorazione e sanificazione anche presso le caserme della marina militare di Taranto e provincia tra cui anche quello acquisito tramite appalto presso il sito della marina militare «Maricentro»;
   la Dussmann Service srl ha inviato il 23 ottobre 2013, una raccomandata alle sigle sindacali, alla provincia di Taranto e per conoscenza alla regione Puglia, contenente un preavviso di licenziamento collettivo per riduzione del personale di 20 unità lavorative operanti presso la mensa di «Maricentro» nel settore di ristorazione. I lavoratori coinvolti sono suddivisi in persone con il ruolo di capo cuoco partita, 2 persone con il ruolo di secondo cuoco mense e 15 addetti ai servizi mensa;
   le cause sono da ricondursi alla ristrutturazione della mensa che avrà una durata dei lavori presunta di 400 giorni e quindi, conseguentemente, della cessazione delle attività svolte da parte della Dussmann nella suddetta mensa, in conseguenza della determinazione definita da parte del comando militare di procedere con la sospensione sine-die del servizio di ristorazione ivi svolto;
   il Ministero della difesa, nel corso di questi ultimi tre anni ha ridotto le risorse da destinare alla marina militare di Taranto per la pulizie delle caserme e delle aree di pertinenza nonché per i servizi di ristorazione;
   il 17 dicembre 2013, presso la direzione territoriale del lavoro di Taranto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, si è svolto un incontro in merito alle problematiche occupazionali relative ai lavoratori impegnati nell'appalto di servizi di mense e ristorazione presso «Marticentro» a Taranto e che ha visto partecipare la Dussmann Service srl, i sindacati e la Marina militare italiana;
   nel suddetto incontro, il dipartimento militare marittimo ha comunicato che è in corso un approfondimento per comprendere se ci siano delle alternative che permetterebbero di utilizzare il servizio di ristorazione nella struttura di «Marispedal» a Taranto per quanto riguarda il confezionamento, mentre per quanto riguarda la distribuzione, presso i locali della palazzina logistica di «Maricentro». In attesa dell'approfondimento si è deciso di prorogare l'attività della mensa con le stesse modalità fino ad ora svolte, fino alla data 31 gennaio 2014, spostando sino a questa data, la cantierizzazione dell'attuale mensa;
   da fonti sindacali si viene a sapere che il 31 dicembre 2013 c’è stata una comunicazione della marina militare in cui si annuncia che la mensa sarebbe stata inagibile già dal 1o gennaio 2014;
   allo stato attuale, i 20 lavoratori e lavoratrici, hanno concordato con l'azienda una sospensione del lavoro non retribuita sino al 31 gennaio 2014, al fine di scongiurare l'imminente licenziamento in attesa e con la speranza che la marina militare renda partecipi i lavoratori delle intenzioni sul futuro dell'attività di ristorazione;
   la Dussmann Service srl ha fatto sapere ai lavoratori che il 31 marzo 2014 cesseranno anche le attività di ristorazione svolte nella mensa di «Mariscuola» sempre su richiesta della marina militare a causa dell'internalizzazione del servizio, situazione che si traduce con il licenziamento di altre 24 lavoratori e lavoratrici dipendenti Dussmann. Anche il servizio di «sanificazione» sarebbe a rischio per la cessazione dell'attività per i dipendenti dell'azienda privata sopra citata che porterebbe a circa 350 lavoratori/lavoratrici a perdere il lavoro;
   il tutto avviene in una città, Taranto, nota non solo per le problematiche ambientali causate da industrie e attività insalubri ma anche per un alto tasso di disoccupazione che ha superato nel 2012 il 44,5 per cento tra disoccupazione e inoccupazione a causa della mancanza di alternative economiche e occupazionali rispetto al «duopolio» Marina Militare-Industria –:
   cosa intendono fare i Ministri interrogati per salvaguardare l'occupazione e il reddito dei dipendenti a rischio licenziamento e quali e quanti altri casi di rischio licenziamento si prefigurano a Taranto nel 2014 nei settori che prestano servizi per le forze armate;
   se i Ministri interrogati, in merito alla internalizzazione parziale o completa dei servizi delle forze armate che oggi sono appaltati a ditte esterne, prevedano che questi servizi siano erogati da personale attualmente impiegato nelle forze armate ovvero intendano procedere alla redazione di eventuali concorsi pubblici per l'assunzione di ulteriore personale e, in quest'ultima ipotesi, se abbiano già valutato quanti lavoratori saranno impiegati per svolgere tali funzioni;
   quale sia il numero totale di dipendenti di aziende private che in appalto a Taranto e provincia prestano servizio presso o per conto delle strutture militari e quante e quali aziende private sono coinvolte nel fornire servizi alla difesa e quale sia la spesa complessiva che il Ministero/i impiegano per tali appalti;
   se i Ministri interrogati sono a conoscenza di proposte o progetti alternativi alla grande industria al fine di diversificare e ampliare il numero di attività economiche a Taranto. (5-01942)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la normativa che regola i requisiti fisici minimi per l'accesso alle Forze armate, in termini di altezze, è l'articolo 587 del decreto del Presidente della Repubblica 90 del 15 marzo del 2010;
   questi requisiti sono derogati dalla normativa a tutela dei familiari delle vittime del dovere e dei componenti dei Gruppi sportivi delle varie Armi;
   prima dell'introduzione del servizio militare volontario, vale a dire con la leva obbligatoria maschile, i limiti minimi di altezza per poter essere arruolati erano di 150 centimetri;
   il criterio dell'altezza minima piuttosto che quello della massa corporea, utilizzato dall'Esercito degli Stati Uniti d'America e da molti eserciti nazionali europei, a giudizio dell'odierno interrogante, non ha un valore medico-scientifico;
   nella scorsa legislatura, il nostro ramo del Parlamento approvò a larghissima maggioranza il testo unificato delle proposte di legge Cicu-Schirru che intervenivano in materia nel senso auspicato anche dall'odierno interrogante;
   la fine della legislatura, però, non permise l'approvazione anche dal Senato per cui si è costretti a riprendere nuovamente l’iter parlamentare;
   la legge 31 dicembre 2012, n. 244, ha disposto il conferimento di una delega al Governo per il complessivo riordino dell'ordinamento militare con significative implicazioni sia sulla dotazione strumentale che su quella organica del personale militare e civile preposto al medesimo settore;
   nella scorsa legislatura, la Commissione difesa della Camera dei deputati, nel corso dell'approfondito esame istruttorio della norma di cui sopra, ha potuto appurare che il requisito dell'altezza è privo di un reale riscontro scientifico. Mentre il requisito della «massa corporea» ha dei parametri che la scienza medica ritiene più affidabili;
   in questa Legislatura è stata depositata una proposta di legge, la n. 145 dell'onorevole Cicu, che interviene in tal senso e che trova pienamente favorevoli gli interroganti;
   il Governo attuale non ha ancora provveduto ad attuare la delega ex-lege 244 del 2012;
   un intervento governativo in materia costituirebbe un concreto riconoscimento nei confronti di moltissimi giovani di poter godere degli stessi diritti e degli stessi doveri nei riguardi dell'Ordinamento costituzionale e militare;
   ad oggi, ad essere danneggiati vi sono anche i ragazzi che frequentano le scuole militari. A detti ragazzi dopo aver superato con merito un concorso per accedere a queste scuole, dopo molti anni di faticosa attività culturale e fisica, dopo aver conseguito un diploma di scuola superiore e tutto a carico del bilancio dello Stato, viene poi negato loro il diritto di poter proseguire nella carriera militare a causa di un requisito anacronistico, ingiusto e discriminatorio;
   quali iniziative normative intenda adottare il Governo per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-03250)


   TOFALO, NICOLA BIANCHI, DE ROSA, MANNINO e LOREFICE. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   le servitù militari secondo la legge n. 898 del 1976 e successive modifiche hanno una durata quinquennale e pagano un indennizzo al comune, in seguito, vengono prorogate dal comando militare Campania nel nostro caso con il parere del comitato paritetico costituito da sette elementi istituiti dal presidente del consiglio della regione decreto del Presidente della Giunta n. 157 del 29 maggio 2012;
   la direttiva CEE del 21 maggio 1992 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, specifica precisi indirizzi di tutela e salvaguardia delle zone interessate;
   nello specifico, la zona in questione, foce Sele, rientra in un sito di interesse comunitario (SIC) e le leggi quadro, anche se permettono la delega, regolamentano con precisi indirizzi la tutela e il rispetto del territorio posto a vincolo proibendone l'alterazione o la distruzione dello stato dei fatti naturali, ma aiutando invece il ritorno allo stato dei fatti naturale;
   in altre zone d'Italia, intorno ai poligoni di tiro, si sono sviluppate malattie terminali gravi, quali leucemie, tumori o «la sindrome di Quirra», attualmente oggetto di una inchiesta accuse gravi quali «omissioni, abuso d'ufficio, falso ideologico e ostacolo all'accertamento del disastro ambientale»;
   il territorio è a forte richiamo turistico soprattutto per le bellezze ambientali e naturali e il costante utilizzo di determinati sistemi armamentari potrebbe alterarne inevitabilmente e irreversibilmente lo stato dei fatti –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sovraesposti e si intendano assumere iniziative per la delocalizzazione dell'area attualmente preposta ad esercitazioni militari. (4-03251)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FRAGOMELI, PELILLO, LORENZO GUERINI, PASTORINO e LODOLINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale 30 luglio 1999, n. 311 recante «Regolamento recante norme per l'individuazione delle modalità e delle condizioni cui è subordinata la detrazione degli interessi passivi in dipendenza di mutui contratti per la costruzione dell'abitazione principale prevede agli articoli 1-2 e 3:
    1. Gli interessi passivi e relativi oneri accessori, nonché le quote di rivalutazione dipendenti da clausole di indicizzazione, pagati a soggetti residenti nel territorio dello Stato o di uno Stato membro della Comunità europea, ovvero a stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti, in dipendenza di mutui garantiti da ipoteca e contratti per la costruzione dell'unità immobiliare da adibire ad abitazione principale si detraggono, ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e fino alla concorrenza del suo ammontare, per un importo pari al 19 per cento dell'ammontare complessivo non superiore a 5 milioni di lire. Per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente dimora abitualmente.
    2. La detrazione di cui al comma 1 si applica relativamente ai contratti di mutuo stipulati, a partire dal 1o gennaio 1998, ai sensi dell'articolo 1813 del codice civile, ed assistiti da ipoteca, e compete limitatamente agli interessi e relativi oneri accessori, nonché alle quote di rivalutazione dipendenti da clausole di indicizzazione riferibili all'importo del mutuo effettivamente destinato alla costruzione dell'immobile.
    3. La detrazione è ammessa a condizione che i lavori di costruzione abbiano inizio nei sei mesi antecedenti o successivi alla data di stipula del contratto di mutuo da parte del soggetto che sarà il possessore a titolo di proprietà o altro diritto reale dell'unità immobiliare da costruire e che quest'ultima sia adibita ad abitazione principale entro sei mesi dal termine dei predetti lavori.
    2. 1. Il diritto alla detrazione viene meno a partire dal periodo d'imposta successivo a quello in cui l'immobile non è più utilizzato per abitazione principale; non si tiene conto delle variazioni dipendenti da trasferimenti per motivi di lavoro.
    2. La mancata destinazione ad abitazione principale dell'unità immobiliare entro sei mesi dalla data di conclusione dei lavori di costruzione della stessa comporta la perdita del diritto alla detrazione e da tale data decorre il termine per la rettifica della dichiarazione dei redditi da parte dell'amministrazione finanziaria.
    3. La detrazione non spetta se i lavori di costruzione dell'unità immobiliare non sono iniziati nei sei mesi antecedenti o successivi alla data di stipula del contratto di mutuo; la detrazione non spetta, altresì, se i detti lavori non sono ultimati entro il termine stabilito dalla concessione edilizia per la costruzione dell'immobile o in quello successivamente prorogato e da tale data inizia a decorrere il termine per la rettifica della dichiarazione dei redditi da parte dell'amministrazione finanziaria. Il diritto alla detrazione non viene meno se i termini previsti nel precedente periodo non sono rispettati per ritardi imputabili esclusivamente all'amministrazione comunale nel rilascio delle abilitazioni amministrative richieste dalla vigente legislazione edilizia.
    3. 1. Per fruire della detrazione di cui all'articolo 1 è necessario conservare ed esibire o trasmettere anche in copia, a richiesta degli uffici finanziari, le quietanze di pagamento degli interessi passivi relativi al mutuo, il contratto di mutuo ipotecario dal quale risulti che lo stesso è assistito da ipoteca e che è stato stipulato per la costruzione dell'immobile da destinare ad abitazione principale, le abilitazioni amministrative richieste dalla vigente legislazione edilizia, nonché copia delle fatture o ricevute fiscali comprovanti le spese effettivamente sostenute per la costruzione dell'immobile stesso.»;
   la circolare n. 38/E del 28 settembre 2012 dell'Agenzia delle entrate avente per oggetto chiarimenti relative all'articolo 2, comma 1, 2, 3 e 3-bis, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (cosiddetto «Decreto semplificazioni fiscali e Decreto semplificazioni tributarie»), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, introduce una particolare forma di ravvedimento operoso (cosiddetto remissione in bonis) volto ad evitare che, mere dimenticanze relative a comunicazioni ovvero, in generale, ad adempimenti formali non eseguiti tempestivamente precludano al contribuente, in possesso dei requisiti sostanziali richiesti dalla norma, la possibilità di fruire di benefici fiscali o di regimi opzionali;
   secondo l'interpretazione dell'Agenzia delle entrate, la previsione in esame, in presenza di alcuni presupposti di natura sostanziale, intende «salvaguardare il contribuente in buona fede e la sua scelta di assolvere l'adempimento richiesto tardivamente»;
   alcuni cittadini interessati dall'accensione di un mutuo di lungo periodo per la ristrutturazione della propria abitazione si sono visti negare il diritto alla detrazione degli interessi passive sul suddetto mutuo poiché non avevano completato nei sei mesi dalla data di conclusione dei lavori, il passaggio di residenza nell'abitazione suddetta –:
   se il ravvedimento operoso (cosiddetto remissione in bonis) come citato dalla Circolare suddetta dell'Agenzia delle entrate possa applicarsi anche nel caso specifico suesposto, diversamente cosa intende fare per scongiurare che quei cittadini titolari di mutuo perdano il diritto di detrarre gli interessi passivi per meri ritardi procedurali. (5-01934)


   MELILLA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Banca Tercas di Teramo, fino a poco tempo fa la più importante d'Abruzzo, è crollata, con un grave danno per i risparmiatori, gli azionisti e l'intera economia abruzzese, a seguito di una gestione dissennata da parte dei suoi organi amministrativi e del direttore generale arrestato nello scorso dicembre 2013 con accuse gravissime;
   la Banca d'Italia ha sanzionato duramente il presidente, il vicepresidente e il consiglio di amministrazione della Tercas a seguito di una ispezione che nel 2011 svelò una realtà talmente preoccupante dal richiedere un intervento di gestione straordinaria;
   la Banca d'Italia ha particolarmente censurato il comportamento del consiglio di amministrazione Tercas per aver rinunciato ad esercitare una azione di controllo degli indirizzi strategici e dei principali atti di gestione dell’ex direttore generale Antonio Di Matteo;
   esemplare nella sua negatività, per Banca d'Italia, è stata la scelta del consiglio di amministrazione del cambio del regolamento con cui fu consentito all’ex direttore generale di sottoscrivere le quote del fondo immobiliare Diaphora –:
   se non intenda, nell'ambito scrupoloso delle sue funzioni e nel rispetto dovuto alle competenze di vigilanza della Banca d'Italia e di controllo di legalità della Magistratura, fornire ogni elemento a disposizione sulla situazione determinata dal crollo della più importante Banca abruzzese. (5-01956)

Interrogazione a risposta scritta:


   CATALANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Banca del Mezzogiorno, di cui al decreto legge n. 112 del 2008, è stata creata, nell'ambito del piano per il Sud, con l'obiettivo di dare sostegno all'economia del Meridione;
   la missione della Banca del Mezzogiorno è sostenere i progetti di sviluppo delle piccole e medie imprese aumentando la disponibilità di credito a medio – lungo termine;
   l'offerta Banca del Mezzogiorno è riservata alle micro, piccole e medie imprese con sede legale in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, titolari del conto corrente BancoPosta in proprio o del conto corrente BancoPosta impresa;
   si apprende dalla Stampa, in un articolo dal titolo: «Banca del Mezzogiorno, nuovo flop italiano» pubblicato su Yahoo Finanza che, «[...] dopo più di un anno dall'inaugurazione, [...] l'ultima operazione deliberata dal consiglio di amministrazione è un finanziamento da 80 milioni in favore di aziende calabresi. Ma quel denaro, come riportato da MF, non si sa bene a chi spetti. Sono stati deliberati anche stanziamenti di piccolo calibro per un'azienda di serbatoi di gas lucana che lavora con Gazprom. [...] Nei primi mesi di attività, la banca ha finanziato soprattutto investimenti a medio e lungo termine, così come faceva MedioCredito Centrale (Mcc), acquistato dalla società di Massimo Sarmi (al costo di 136 milioni di euro) per formare la Banca del Sud. Per la precisione, il nome è Banca del Mezzogiorno, poiché “Banca del Sud” era già attiva a Napoli dal 2006. [...] Nonostante la Banca del Mezzogiorno non conceda credito alle start up meridionali, la sua struttura continua inesorabilmente a crescere. A fine 2012, infatti, i dipendenti erano saliti a 223 rispetto alle 183 unità di fine 2011, con ben 43 nuove assunzioni. I crediti verso la clientela, a fine dell'anno scorso, erano 175 milioni, di cui 140 milioni dell'ambito della “nuova operatività” della banca, rispetto ai 131 milioni di fine 2011. Il 2012, comunque, si è chiuso con un utile di 7,1 milioni e per la prima volta dalla sua nascita, l'istituto di Massimo Sarmi ha partecipato, lo scorso gennaio, per l'asta Bce per operazioni di rifinanziamento a tre mesi»;
   è stato stabilito che la banca operi come istituzione finanziaria di secondo livello, sostenendo progetti di investimento nel Mezzogiorno e promuovendo in particolare il credito alle piccole e medie imprese;
   in particolare, è tenuta a favorire: la nascita di nuove imprese, l'imprenditorialità giovanile e femminile, l'aumento dimensionale e l'internazionalizzazione, la ricerca e l'innovazione al fine di creare maggior occupazione;
   si apprende dalla stampa, in un articolo pubblicato su Linkiesta.it, dal titolo: «Perché Banca del Mezzogiorno finanzia la Fiat ?» che «[...] BdM, però, da banca di secondo livello, non si è mai trasformata nel «gigante da 7.500 sportelli» sognato da Tremonti poiché la trattativa con istituti popolari e banche di credito cooperativo è fallita per i dubbi sulla storia bancaria di Poste (sul piatto il controllo fino al 60 per cento), e si è appoggiata su appena 250 sportelli postali del Sud, in particolare nei 76 della Sicilia (66 Campania, 49 Puglia, 23 Abruzzo, 18 Calabria, 16 Sardegna, 3 Basilicata). Da qui arrivano il capo settore credito Pietro Cirrito, ex Banco di Sicilia e Credito Siciliano, gran parte delle convenzioni coi Confidi, i consorzi di enti locali e associazioni di categoria di cui si serve per supportare le aziende (Fideo Confcommercio Sicilia, Assoconfidi-Sicilia, Confeserfidi e Interconfidi Med), e delle domande accolte al Sud (6.168 operazioni) dal Fondo centrale di Garanzia per le Pmi (legge 662/1996), gestione pubblica principale ereditata dall'ex Mcc. [...] Interpellate da Linkiesta, sia BdM che Poste non hanno fornito chiarimenti sul tipo d'imprese sostenute. BdM, infatti, è stata creata per le piccole e medie imprese e collegata ai Confidi di fatto più per le medio-piccole. Ma, come rivelato dal Corriere, dei 750 milioni di euro del budget 2013 solo il 20 per cento è destinato a chi, stando ai criteri europei, ha dai 10 ai 250 occupati, fatturati da 2 a 50 milioni di euro o bilanci annui sotto i 43 milioni. Sul credito al Sud, rischi permettendo, è anche il contrario di quanto dicono Istat, Unioncamere-Istituto Tagliacame e Svimez, la Bce sulle piccole e medie imprese nell'area euro: per le italiane calano fatturati e profitti, aumentano oneri finanziari, costo del lavoro e problemi a reperire risorse dalle banche in primis per la scarsa liquidità dovuta ai ritardati pagamenti di enti pubblici. [...] tra le 400 imprese già finanziate da Sarmi ci sono colossi come Ansaldo, Fiat e Fincantieri, ma anche big di settore come Grimaldi Lines, De Cecco e Acquedotto Pugliese (Aqp), la SpA della Regione Puglia che gestisce l'impianto idrico più grande d'Europa. Vagliati (e poi scartati) pure Astaldi, Enav ed Enel. Ma che ci fa AqP con 452 milioni di euro di fatturato e 1.937 occupati nel 2011 accanto alla piccola ditta che chiede anche 25mila euro per nuove attrezzature ? Come risulta a Linkiesta, ha ottenuto da BdM un mutuo da 30 milioni di euro per gli investimenti infrastrutturali del Piano d Ambito 2010-2018: una spesa di circa 1,5 miliardi di euro coperta anche da un prestito diretto da 150 milioni di euro della Bei.»;
   dal momento della sua nascita, la Banca del Mezzogiorno è stata oggetto di attenzione dell'attività parlamentare, con atti di sindacato ispettivo anche nella legislatura precedente, e della stampa, proprio per la forte aspettativa suscitata da un progetto così importante;
   il rilancio economico del Mezzogiorno è fondamentale ai fini di una ripresa generalizzata della crescita di tutto il Paese;
   una significativa quota dell'imprenditorialità del Sud e soprattutto gli operatori più piccoli e delocalizzati sono esclusi dal credito bancario dei grandi istituti nazionali e necessitano quindi di interventi di supporto per crescere e svilupparsi;
   i piccoli imprenditori del Sud pagano uno spread aggiuntivo, rispetto a quelli del Nord, a causa della politica commerciale da tempo applicata dai grandi istituti bancari;
   risulterebbe all'interrogante che la Banca del Mezzogiorno avrebbe allargato l'orizzonte dei finanziamenti a grandi aziende –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   se non intenda intervenire ai fini di una verifica dell'avanzamento dell'attività della Banca in relazione agli obiettivi prefissati;
   a che punto sia l'attivazione delle strutture periferiche finalizzate all’ intercettazione delle esigenze di piccoli imprenditori, tradizionalmente esclusi dal sistema di credito ordinario, in riferimento, in particolare, agli sportelli preposti di Poste Italiane (da cui la Banca è controllata al 100 per cento) e al contributo delle banche di credito cooperativo;
   quale sia la distribuzione geografica delle facilitazioni concesse;
   quali siano gli operatori che hanno potuto effettivamente utilizzare le agevolazioni e per quale tipologia di beni;
   quali siano i driver individuati per innescare la crescita e quali le azioni prioritarie programmate per le diverse aree e, in particolare, per l'occupazione giovanile. (4-03259)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


   DI BATTISTA, BUSINAROLO e AGOSTINELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 09 gennaio 2014 sette persone sono state arrestate dai carabinieri del Noe di Roma nell'ambito dell'inchiesta sulla gestione dei rifiuti del Lazio;
   tra le persone tratte agli arresti domiciliari, oltre a Manlio Cerroni vi sono anche altre sei persone tra imprenditori e funzionari pubblici: l'ex presidente della regione Lazio Bruno Landi, Luca Fegatelli, fino al 2010 a capo della direzione regionale energia, Francesco Rando e Piero Giovi, Raniero De Filippis, ex dirigente della regione Lazio, e Pino Sicignano, direttore della discarica di Albano Laziale;
   tra i reati contestati dalla magistratura vi sono quelli di associazione a delinquere finalizzata e al traffico illecito di rifiuti e truffa;
   l'interrogante ha appreso da organi di stampa che una richiesta di arresto per i predetti soggetti era stata già depositata il 21 marzo 2013 dalla procura di Roma ma il relativo fascicolo, custodito nell'ufficio del giudice per le indagini preliminari Massimo Battistini, veniva sottratto;
   in seguito al furto del faldone, i pubblici ministeri Alberto Galanti, Maria Cristina Palaia e Simona Maisto venivano costretti a formare di nuovo il fascicolo nonché a chiedere, con nuovo provvedimento, le misure cautelari personali presso il domicilio;
   i pubblici ministeri, nella seconda richiesta di arresto, evidenziano come «la sottrazione degli atti del fascicolo depositato presso codesto ufficio gip dell'originale della richiesta di misura cautelare, come da denuncia resa in data 16 luglio 2013, pur essendo allo stato commesso da soggetti ignoti, deve con ogni probabilità ricondursi alla sfera di influenza esercitata dagli odierni indagati, la cui “onnipresenza” all'interno della pubblica amministrazione è conclamata da una serie infinita di riscontri»;
   pertanto la condotta di sottrazione del faldone, riguardante l'inchiesta sul traffico illecito di rifiuti, appare essersi estrinsecata grazie all'intervento del personale del Ministero della giustizia o comunque sotto la loro custodia e responsabilità;
   l'articolo 12 della Legge 1311/1962 (rubricato «Inchiesta amministrativa») prevede che «il Ministro può avvalersi dell'ispettorato generale per l'esecuzione di inchieste sul personale appartenente all'ordine giudiziario e su qualsiasi altra categoria di personale dipendente dal Ministero di grazia e giustizia»;
   la gravità dell'accaduto non può che minare il buon funzionamento dell'amministrazione della giustizia ed in particolare dell'attività giudiziaria –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in narrativa e se siano state avviate indagini in merito alla sottrazione del fascicolo;
   alla luce delle vicende descritte e della loro gravità, se il Ministro interrogato abbia proceduto o intenda procedere, anche ai sensi l'articolo 12 della legge n. 1311 del 1962, ad una inchiesta amministrativa sui fatti di cui in premessa fornendo le risultanze della medesima. (3-00582)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

II Commissione:


   COLLETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 18 settembre 2009, Nicola Ribisi, trentaquattrenne di Palma di Montechiaro (AG), è stato arrestato con l'accusa di associazione di tipo mafioso ed è stato successivamente condannato con rito abbreviato alla pena di 5 anni e 4 mesi di reclusione;
   Nicola Ribisi è stato condannato assieme allo zio Ignazio Ribisi, già ergastolano per delitti di mafia ed intento a dirigere dal carcere le attività illecite della famiglia;
   le indagini, partite dal ritrovamento di alcuni «pizzini» nell'ultimo covo di Bernardo Provenzano, si erano sviluppate grazie alle dichiarazioni dei pentiti Giuseppe Sardino e Maurizio Di Gati. Secondo Sardino, Nicola Ribisi sarebbe stato il braccio destro del boss Giuseppe Falsone, all'epoca numero uno di cosa nostra ad Agrigento;
   all'inizio di gennaio 2014, il magistrato di sorveglianza di Agrigento ha accolto l'istanza di liberazione anticipata «per buona condotta» presentata dal difensore di Ribisi, ed ha concesso il beneficio introdotto dall'articolo 4 del decreto-legge n. 146 del 23 dicembre 2013 (il cosiddetto «svuota carceri») che prevede uno sconto di pena di cinque mesi per ogni anno di condanna da scontare in carcere;
   grazie allo sconto confezionato dal recente decreto «svuota carceri», Nicola Ribisi, esponente della mafia di Agrigento, è già tornato in libertà –:
   se il Ministro della giustizia voglia riferire il numero ed i nomi dei condannati ex articolo 416-bis del codice penale («Associazione di tipo mafioso») che hanno ottenuto, nel passato, la liberazione anticipata ex articolo 54 dell'ordinamento penitenziario (legge n. 354 del 26 luglio 1975) e quanti altri ne beneficeranno grazie all'aumento dello sconto introdotto dal decreto svuota carceri, nonché quanti condannati per 416-bis del codice penale usciranno nelle prossime settimane grazie al decreto «svuota carceri». (5-01965)


   PIEPOLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il sistema penitenziario è interessato da rilevanti criticità in merito al sovraffollamento delle carceri, questione che ha comportato peraltro la condanna dell'Italia, da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo, con la sentenza dell'8 gennaio 2013 (caso Torreggiani et alii) per violazione dell'articolo 3 (Proibizione della tortura) della Cedu;
   secondo quanto riportato nel paragrafo 29 della sentenza di cui al punto precedente, alla data del 13 aprile 2012, le carceri italiane accoglievano 66.585 detenuti, con un tasso di sovraffollamento pari al 148 per cento;
   tali criticità hanno interessato in più riprese l'attività di Governo e Parlamento, che in ogni caso non sono bastate per il nostro Paese ad evitare che tale sentenza venisse poi confermata dalla Grand Chambre in data 28 maggio 2013;
   si apprende con favore l'iniziativa di estensione dei posti letto che dovrebbe comportare il raggiungimento del tetto di 52.500 posti entro maggio, data in cui il nostro Paese sarà nuovamente sotto esame dell'Unione europea;
   l'articolo 4 del decreto-legge n. 146 del 2013 introduce una misura temporanea destinata ad incrementare i flussi in uscita dal carcere, estendendo da 45 a 75 giorni per semestre (per il periodo che va dal 1o gennaio 2010 al 24 dicembre 2015) la detrazione di pena concessa con la liberazione anticipata di cui all'articolo 54 dell'ordinamento penitenziario;
   in data 8 gennaio 2014, Giovanni Tamburino, direttore del dipartimento penitenziario, si è dichiarato favorevole alla liberazione anticipata speciale, dichiarando che «questa misura ha buona efficacia ed è la meno lesiva delle esigenze di sicurezza e giustizia», considerando che trattasi non di un'estinzione della pena, bensì di «una riduzione concessa sul presupposto di una sua effettiva espiazione»;
   tale norma, la cui ratio è sicuramente quella di agevolare il cosiddetto «svuotamento» delle carceri affinché si rientri al più presto entro i limiti stabiliti, può però favorire anche la fuoriuscita di detenuti che si sono macchiati di reati gravissimi ed in merito ai quali si ritiene doveroso richiedere in questa sede delucidazioni e rassicurazioni;
   dalla lettura di autorevoli quotidiani, infatti, si è appreso in questi giorni che Luca Delfino, condannato in via definitiva per aver ucciso con 40 coltellate Maria Antonia Multari a Sanremo nell'agosto del 2007, grazie all'applicazione di quanto previsto dall'articolo 4 del decreto-legge n. 146 su richiamato, nonché di una perizia psichiatrica a suo favore, potrebbe avere la possibilità di uscire dal carcere dopo soli otto anni, a fronte di una condanna complessiva di 20 anni;
   tale norma su richiamata può trovare applicazione anche in molti casi similari, non essendo delimitato l'ambito di applicazione a determinate fattispecie ed avendo come limite esclusivamente la valutazione di «meritevolezza» del beneficio da parte del magistrato di sorveglianza;
   pur nella profonda convinzione che l'applicazione del diritto penale debba avere come finalità la rieducazione del reo, di cui al comma terzo dell'articolo 27 della Costituzione, come inoltre sottolineato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 204 del 1974, i cui princìpi hanno poi ispirato la legge n. 354 del 1975, non si può non essere seriamente turbati dall'eventualità che però detenuti che si sono macchiati di efferati ed odiosi delitti possano usufruire della liberazione anticipata speciale –:
   quali iniziative intenda il Ministro mettere in atto al fine di evitare che possano verificarsi le preoccupanti eventualità citate in premessa. (5-01966)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BONAFEDE, BUSINAROLO, COLLETTI e TURCO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nella XIV legislatura il Parlamento ha approvato a larghissima maggioranza la legge 8 febbraio 2006, n. 54, recante disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli, la cui principale portata innovativa di questo testo, in linea con l'orientamento dei Paesi dell'Unione Europea, risiede nel riconoscere che «anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale»;
   un rapporto, dunque, non ideale e astratto, ma chiamato ad avere concretezza nel riconoscimento al figlio di pari opportunità nel riferirsi ai due genitori – gravati da identiche responsabilità genitoriali – anche nella loro frequentazione, di principio paritetica, tanto che qualsiasi riferimento a un solo genitore «convivente», «collocatario», «domiciliatario» e simili è stato accuratamente cassato dal legislatore e che alcune sentenze già iniziano a stabilirne il doppio domicilio (ad esempio, Ordinanza TO Firenze, 4 aprile 2012);
   all'interno della stessa logica, per iniziativa al femminile, all'interno della nuova legge quadro per le pari opportunità per la donna e sull'esempio del Belgio, il Senato francese in data 17 settembre 2013 approva la «residence partagée paritaire», che prevede un uguale impegno per i genitori nei confronti del figlio, che ospitano in ugual misura;
   questa previsione di legge e queste visibili e uniformi tendenze del diritto di famiglia europeo hanno trovato per ora un non adeguato riscontro nella giurisprudenza italiana che in prevalenza continua a promuovere il modello monogenitoriale, investendo una figura non prevista dalla legge, il «genitore collocatario», del compito di provvedere a tutto, ricevendo dall'altro del denaro quale unico contributo alle necessità dei figli, a dispetto delle sopra ricordate prescrizioni, ma anche del più generale diritto del minore alla bigenitorialità, enunciato a parole, ma non accolto nella sostanza;
   queste disfunzioni, ripetutamente segnalate al Parlamento, sono già divenute oggetto di iniziative di legge ordinaria, sia nella precedente legislatura che nella attuale, e sono stati acquisiti gli importanti contributi di decine di soggetti esperti della materia, fino al punto di elaborare e approvare in Commissione giustizia del Senato (XVI Legislatura) emendamenti migliorativi del testo attuale, in grado di garantire al minore i diritti riconosciutigli dalla legge n. 54 del 2006;
   il decreto legislativo 28 dicembre 2013 n. 154, dal significativo titolo «Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione a norma dell'articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219», attiva una quantità di interventi a modifica degli articoli del codice civile in materia di affidamento dei figli di genitori separati, che, se non adeguatamente interpretati, rischiano di introdurre, o legittimare, applicazioni distorte delle norme già vigenti, ripercuotendosi in modo ulteriormente riduttivo e penalizzante sul regime di vita di minori.
   in riferimento alle citate preoccupazioni si segnala l'intervento sull'articolo 155 terzo comma del Codice civile che nella versione novellata aggiunge agli obblighi della coppia separata quello di concordare la «residenza abituale» dei figli, termine utilizzato tipicamente nel contesto della sottrazione di minore (Convenzione dell'Aja, 1980) e che per valutazione unanime della dottrina (ex multis G. De Marzo, in «Minori oltre confine», Milano, Wolters Kluwer Italia, 2009) non ha carattere di concetto giuridico, ma solo di nozione di fatto, con tutte le relative ambiguità. Dunque definizione non univoca, ma soggettiva, che comporta la valutazione del «luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, anche di fatto, ha il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, derivanti dallo svolgersi in detta località la sua quotidiana vita di relazione» (Cass. Civ. 22507, del 19 ottobre 2006). Visione costantemente condivisa e confermata dalla Suprema Corte, in particolare con l'ordinanza a sezioni unite n. 3680 del 17 febbraio 2010, mentre il grado di opinabilità e incertezza che ne discende può essere esemplificato dalla giustapposizione tra Cass. 3798/2008 e Cass. 13936/2009, che valutano con criteri opposti il radicamento della prole (review in N. Di Lorenzo, «La nozione di residenza abituale del minore vittima di sottrazione internazionale», Quaderni Europei, Univ. Catania, Online working paper il 50, marzo 2013);
   la conseguenza dell'introduzione dell'obbligo di cui al citato decreto legislativo, ove inteso nel contesto di cui sopra, sarebbe quella che nel codice civile lo stesso termine, residenza, sia da intendere in modo diverso da un articolo all'altro, visto che la «residenza» così come definita all'articolo 43 del Codice civile è indubbiamente quella anagrafica. D'altra parte, sostenere che è la presenza dell'attributo di «abituale» a cambiarne il senso significa concludere che l'ascendente, per individuare il giudice al quale rivolgersi per far rispettare il suo diritto di contatto con i nipoti (articolo 317-bis novellato) debba prendersi la responsabilità di valutare una situazione di fatto, in modo del tutto aleatorio, anziché giovarsi del dato anagrafico certo, visto che anche tale articolo fa riferimento alla residenza abituale;
   in particolare, come osservato in dottrina (M. Maglietta, in «Quotidiano del Diritto», 14 gennaio 2014), una applicazione dell'articolo 337-ter comma 3 che volesse far prendere impegni sulla base di situazioni «di fatto» presenterebbe probabili profili di incostituzionalità in aggiunta a ingestibili difficoltà operative. Per queste seconde, non si vede come individuare criteri certi nell'identificare il «radicamento» del figlio nel caso usuale della separazione tra cittadini italiani che semplicemente avranno due abitazioni diverse in genere nella medesima città, in assenza di frontiere e confini di stato. Né è comprensibile l'obbligo imposto a una coppia in separazione, e spesso in lite, di assumere concordemente una decisione ove questa rappresenti ben più di un atto amministrativo, reversibile in qualunque momento, come l'iscrizione all'anagrafe, ma un impegno di fondo, dando carattere di stabilità ad una opzione che, proprio perché la famiglia si è appena disgregata, ha di per sé i caratteri dell'incertezza;
   sul piano della costituzionalità è da rammentare l'articolo 45 comma 3 del Codice civile, che recita: «Il minore ha il domicilio nel luogo di residenza della famiglia o quello del tutore. Se i genitori sono separati (...) o comunque non hanno la stessa residenza, il minore ha il domicilio del genitore con il quale convive». Un articolo compatibile con il diritto alla bigenitorialità introdotto dall'affidamento condiviso se, essendo il figlio affidato a entrambi i genitori con i quali ha equilibrati contatti, senza «genitori collocatari», ne segue semplicemente che ha doppio domicilio. Non così se si obbligano i genitori – ai sensi dell'articolo 337-ter – a indicare una «residenza abituale». In questo caso verrebbe stabilito a priori un rapporto privilegiato di appartenenza, che non potrà ovviamente riferirsi ai luoghi – che nelle situazioni ordinarie non sono portatori di particolari valenze di tradizione e cultura – ma alle persone. In altre parole, verrà stabilito quale sarà il «genitore collocatario»: uno solo, contro il diritto alla bigenitorialità, riconosciuto al minore dalla legge n. 54 del 2006 quale diritto indisponibile, che gli discende dall'articolo 30 della Costituzione;
   il decreto legislativo in parola si propone esplicitamente di rispettare il diritto del minore a un rapporto simmetrico con i genitori, operando «nel pieno rispetto della bigenitorialità» e pertanto l'obbligo per i genitori a indicare un unico luogo, ovvero genitore, presso il quale il figlio sia radicato affettivamente e concretamente, non corrisponde alla volontà del legislatore;
   occorre, a parere degli interroganti, prendere atto di una insuperabile incompatibilità del concetto di residenza abituale – ove gli si voglia dare il senso previsto dalla Convenzione dell'Aja, ovvero quello indicato dalla suprema corte (3680/2010) – con l'articolo 30 della Costituzione, per la incoerenza con il rilievo sistematico centrale che nell'ordinamento dei rapporti di filiazione, fondato su detta norma costituzionale, assume l'esigenza di protezione dell'interesse dei minori, e a maggior ragione dei loro diritti, così come descritti dalla legge n. 54 del 2006;
   si rileva come la possibilità per il giudice di valutare se l'ascolto del minore è utile o «manifestamente superfluo», di cui agli articoli 336-bis e 337-octies del citato decreto legislativo, appare contraria all'interesse del minore, nonché al suo diritto ad essere sentito in ogni questione che lo riguardi, sancito da convenzioni internazionali come, in particolare, la Convenzione europea sull'esercizio dei diritti di fanciulli, ratificata dall'Italia con legge 20 marzo 2003 n. 77;
   sotto l'aspetto sostanziale, pur riconoscendo la bontà dello scopo di evitare al minore una situazione di disagio psicologico, si nota infatti che il giudice non ha elementi per giudicare che l'ascolto sia superfluo prima di averlo effettuato, né può giovare quale efficace filtro la condizione dell'accordo raggiunto dai suoi genitori, ben potendosi ipotizzare situazioni di conflitto di interessi con essi;
   ricordato a tal proposito che il ruolo di «parte del processo» di separazione in senso sostanziale più volte riconosciuta ai figli, anche minori (recentissimamente, gennaio 2014, una ordinanza della sezione IX del TO Milano, est. Buffone), si rammenta, inoltre, la pronuncia della Corte Cost. n. 1 del 16 gennaio 2002, la quale, con riferimento all'articolo 37, comma 3, della legge 26 aprile 2001, n. 149, così si esprimeva: «Per i provvedimenti di cui ai commi precedenti, i genitori e il minore sono assistiti da un difensore, anche a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge». Da cui si deduce come essa presupponga che entrambi i genitori (ed il minore) siano «parti» del procedimento di cui all'articolo 336 del codice civile, e in quanto «parti» abbiano diritto di avere notizia del procedimento e di parteciparvi;
   le soluzioni adottate a livello internazionale per disciplinare tale diritto lo configurano diversamente, senza lederne la sostanza, laddove, ad esempio, il codice civile francese all'articolo 3881 afferma l'obbligatorietà dell'ascolto nel caso in cui il minore ne faccia domanda, mentre nel caso in cui il minore rifiuti di essere sentito il giudice potrà valutare la bontà delle sue ragioni –:
   se non ritenga opportuno provvedere ad assumere iniziative per sanare le suddette disfunzioni affermando, quale interpretazione autentica del decreto legislativo n. 154 del 2013, che «residenza abituale», per i motivi sopra esposti, ha ovunque nel codice civile – e comunque sicuramente agli articoli 316, 317-bis e 337-ter – il mero significato di residenza anagrafica, assumendo iniziative per escludere esplicitamente dalla possibilità che possano avere rilievo in sede giudiziaria, in relazione ai profili descritti nelle premesse, i concetti di «collocazione privilegiata», «domiciliazione prevalente» e conseguentemente dei concetti di «genitore convivente» o «collocatario», o «domiciliatario» e simili;
   se non ritenga opportuno superare, o evitare, quella che gli interroganti giudicano una violazione di diritto, assumendo iniziative per fornire una interpretazione autentica del decreto legislativo che affermi che la facoltà del giudice di non ascoltare il minore non abbia effetto nel caso in cui il minore faccia richiesta di essere sentito. (5-01943)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DI GIOIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   un uomo di 38 anni, Alberico di Noia, detenuto nel carcere di Lucera si è tolto la vita impiccandosi in una cella di isolamento;
   l'uomo si trovava in isolamento da cinque giorni dopo avere avuto un alterco con una guardia penitenziaria;
   l'alterco avrebbe avuto origine dal divieto, opposto dalla guardia carceraria, al detenuto di regalare una caramella al figlio che era andato a trovarlo in carcere insieme alla madre;
   l’’uomo che sembrerebbe avere avuto sempre un ottimo comportamento in carcere si sarebbe alterato poiché usualmente gli veniva concesso di dare una caramella al figlio;
   il Di Noia, si trovava in carcere dal marzo 2012, con l'accusa di tentata estorsione nei confronti di una donna;
   nel prossimo mese di febbraio, secondo quanto riportano notizie di stampa, era stata fissata una udienza per decidere se affidare o meno il detenuto ai servizi sociali;
   gli avvocati del Di Noia hanno sostenuto che al loro difeso era stata diagnosticata una tachicardia che lo rendeva incompatibile con il sistema di isolamento e i familiari hanno, a loro volta, denunciato che per 36 ore sarebbe stato loro impedito di vedere il loro congiunto e che, quando hanno potuto visionare il corpo senza vita, avrebbero notato una tumefazione sul lato destro del volto che non sarebbe riconducibile ad ipostasi;
   quello del Di Noia è, dall'inizio dell'anno, il terzo suicidio in cella, che si vanno ad aggiungere ai 49 che hanno deciso di togliersi la vita nel 2013;
   quali iniziative intenda, per quanto di competenza, intraprendere al fine di arrivare all'accertamento dei fatti sopra esposti e dissipare tutti i dubbi sulle dinamiche che hanno portato alla morte di Alberico Di Noia;
   quali ulteriori provvedimenti si intendano prendere al fine di evitare, per quanto possibile, i suicidi nelle carceri che sono la palese dimostrazione dello stato di abbandono e disagio in cui vivono i detenuti costretti a scontare la propria pena o, peggio ancora, lunghi periodi di carcere preventivo, in condizioni disumane di sovraffollamento. (4-03264)


   CAMPANA e MARIANO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 25 dicembre 2013 le interroganti si sono recate in visita alla casa circondariale di Brindisi accompagnate dalla direttrice dell'Istituto Anna Maria Dello Preite;
   durante la visita abbiamo avuto modo di verificare l'assenza di sovraffollamento poiché lo spazio per i detenuti rispetta le indicazioni europee, anche se gli spazi all'aperto sono davvero scarsi. I detenuti sono circa 200, hanno un'età media di circa 25 anni, buona parte di loro sono di origine albanese e maghrebina. Circa il 50 per cento di loro è ancora in attesa del giudizio definitivo;
   all'interno del carcere si tengono molte iniziative e laboratori volti al reinserimento lavorativo gestite da associazioni di volontariato, ma gli spazi a disposizione sono scarsi e un'intera ala della casa circondariale è inagibile;
   le interroganti hanno riscontrato la carenza degli educatori rispetto al numero dei detenuti –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   come il Governo intenda intervenire al fine di ripristinare l'area del carcere oggi inutilizzata;
   se il Governo abbia in essere accordi con le associazioni produttive al fine di indirizzare in maniera adeguata all'offerta del mercato del lavoro la formazione all'interno dei carceri italiani. (4-03265)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:


   BORGHI, CARRA, BONOMO, REALACCI, FREGOLENT, BRAGA, MARIANI, BELLANOVA, ARLOTTI, DALLAI, PETITTI, COMINELLI, MANFREDI, MAZZOLI, GADDA, GIOVANNA SANNA, ZARDINI, MIOTTO, VERINI, ROSATO, CENNI, BOBBA, GRASSI, GUERRA, GIULIETTI, MARANTELLI, ROSTAN, TULLO, RIGONI, INCERTI, STUMPO, MAESTRI, GIACOBBE, GRIBAUDO, ALBANELLA, TENTORI, BIONDELLI, BARGERO, LODOLINI, FRAGOMELI, BARUFFI, PETRINI, TERROSI, MARZANO, MARCHETTI, D'INCECCO, VALIANTE, MARCHI, MARIASTELLA BIANCHI, AMODDIO, ANTEZZA, CIMBRO e CAPONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge cosiddetto «del Fare» n. 69 del 2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 98 del 2013, prevede, tra le misure per il rilancio delle infrastrutture, il «Primo Programma 6000 Campanili» – una norma sblocca cantieri e di manutenzione delle reti e del territorio – con un fondo specifico di 100 milioni di euro dedicato integralmente ai piccoli comuni con popolazione fino ai 5000 abitanti;
   il giorno 9 ottobre 2013 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto ministeriale n. 317 del 30 agosto 2013, con il quale è stata approvata la Convenzione relativa al Programma 6000 campanili;
   in data 9 gennaio 2014 il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Maurizio Lupi, ha firmato il decreto recante la graduatoria dei comuni ammessi a finanziamento del richiamato programma;
   l'elevato numero di richieste pervenute, unitamente alla scelta di premiare unicamente l'ordine di arrivo dei progetti e non la qualità e l'importanza degli stessi, ha fatto sì che a 24 secondi dall'apertura del termine per la presentazione delle domande tutte le risorse fossero già state allocate;
   l'adozione del solo criterio di ordine temporale di presentazione dei progetti crea gravi distorsioni e iniquità nella suddivisione delle risorse del Programma: importanti regioni del Paese sono scarsamente se non addirittura per nulla rappresentate e altre sono presenti in maniera non proporzionata al peso dei piccoli comuni nel complesso della platea comunale;
   si impone, evidentemente, la necessità di una revisione di questa modalità, che affida al caso e alla buona sorte il compito di attribuire importanti e quanto mai necessarie risorse pubbliche;
   peraltro la graduatoria dei comuni ammessi e non finanziati non è stata ancora resa pubblica;
   i cosiddetti comuni periferici, quelli montani in primo luogo, hanno scontato nella circostanza un forte gap competitivo a causa dell'inadeguatezza delle linee informatiche, mentre i comuni di pianura hanno potuto usufruire dell'efficienza della banda larga;
   sembra che siano in arrivo ulteriori dotazioni finanziarie per i piccoli comuni, destinate esclusivamente alle regioni del Sud, con il concreto rischio che alla casualità nell'attribuzione delle risorse si aggiunga anche la sperequazione territoriale –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di garantire la completa attuazione del «Programma 6000 Campanili», attraverso un aumento e una rimodulazione delle risorse, eventualmente introducendo, per quanto riguarda la ripartizione dei fondi, un criterio di suddivisione su base regionale, anche riducendo il contributo relativo ad ogni singolo progetto, o utilizzando per i comuni ammessi al Programma, inseriti nelle aree ad obiettivo convergenza, i fondi destinati in via esclusiva alle suddette aree, per non penalizzare i comuni già svantaggiati dalla loro posizione geografica, e di rendere pubblica quanto prima la graduatoria dei comuni ammessi al programma e non finanziati. (5-01945)


   DE ROSA, TERZONI, MASSIMILIANO BERNINI, LOREFICE, BECHIS e DE LORENZIS. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la società SAT, Società autostrada tirrenica p.a., è stata autorizzata alla realizzazione dell'autostrada tirrenica, da Rosignano a Civitavecchia;
   tale corridoio autostradale appare non solo non necessario, ma dannoso per lo sviluppo economico, per il turismo e per l'ambiente della zona della Maremma. Esso, infatti, produrrà un impoverimento certo dei residenti e di un ambiente, ad oggi, unico, ben conservato, armonico, poco urbanizzato;
   non si guadagnerà in velocità di scorrimento degli automezzi, in quanto già oggi, sulla statale «Aurelia», i 115 chilometri di variante da Rosignano a Grosseto si percorrono a 110 chilometri orari; con un'autostrada a 130 chilometri orari si guadagnerebbero, in via ipotetica, una manciata di minuti, ma le previste 4 barriere vanificheranno il magro guadagno, e nel periodo estivo renderanno caotico il traffico dei turisti;
   l'Unione europea nel suo libro bianco non chiede che il corridoio TEN1(Berlino-Palermo) sia fatto con autostrada a pedaggio (in Germania non lo sono), chiede solo che ci sia «continuità di larghezza di carreggiata», e questo è assicurato, almeno nel tratto Rosignano-Grosseto Sud, dalla Variante Aurelia, bella superstrada, quattro corsie con guardrail, larga a sufficienza, sicura, collaudata dall'ANAS per 110 chilometri orari, già pagata con i fondi statali e gratuita;
   cosa diversa sono i 106 chilometri a sud di Grosseto, che da anni gridano vendetta per la pericolosità e i morti. È da lì che si sarebbe dovuto iniziare se realmente si avesse avuto a cuore la sicurezza dei cittadini, non iniziando da dove la strada è già sicura;
   il progetto CIPE 2008 era approvato dalle amministrazioni e dalla SAT, non dalle associazioni ambientaliste e soprattutto, nella sua prima stesura, era stato bocciato dalla Commissione dell'Unione europea per la concorrenza, in quanto prevedeva il cosiddetto «accollo» da parte dello Stato: 3,8 miliardi a favore di SAT nel 2046, alla fine della concessione. Cioè a fronte di un'opera che sarebbe costata a SAT 3,8 miliardi, lo Stato, al momento di riprenderla, avrebbe rimborsato tutto l'investimento iniziale e così SAT, per 35 anni, avrebbe incassato il pedaggio;
   i cittadini pagheranno di tasca propria l'infrastruttura, tre volte. Prima, con la variante già pagata negli anni; poi durante i 35 anni gestionali col pedaggio; infine, restituendo alla SAT in toto i costi dell'opera;
   il progetto CIPE definitivo non parla più di accollo, e per questo la SAT l'ha rigettato, variando in pochi mesi le cifre sul traffico e presentando un progetto di Autostrada in sede Aurelia, ad un costo ben inferiore di 2,2 miliardi di euro;
   pagare il pedaggio su di un bene già pubblico è incomprensibile. La variante è già esistente e la società SAT non farà altro che allargarla in qualche tratto e installare i caselli per la riscossione, oltre che recintarla lungo i lati del percorso;
   il pedaggio, se applicato ai residenti, rappresenterebbe una nuova, iniqua tassa sui cittadini, un pedaggio tra l'altro, esoso, tra i più cari d'Europa, 18 centesimi per chilometro (1,80 euro ogni 10 chilometri di tratta);
   il progetto non prevede interventi nelle gallerie o sui viadotti, a riprova che la variante va già bene così com’è, e che, a giudizio degli interroganti, si vuole realizzare un'autostrada che di fatto produce benefici solo per SAT; un mancato adeguamento di carreggiata per le gallerie e per i viadotti crea una larghezza della carreggiata variabile (oggi non presente) aumentando i rischi e venendo ad essere in chiaro contrasto con quanto chiesto dall'Unione europea;
   il Progetto ANAS 2001 prevedeva la messa in sicurezza e raddoppio dell'Aurelia stessa a sud di Grosseto, progetto fatto sotto il Governo Amato ed approvato dalla commissione ministeriale per la valutazione di impatto ambientale e da tutte le parti sociali, ambientalisti compresi;
   tale soluzione avrebbe avuto il merito di consegnare una strada Aurelia sicura, gratuita per tutti – turismo incluso – e poco impattante sul territorio. Tale progetto ANAS 2001 si è dimostrato essere inoltre la soluzione più vantaggiosa in termini di analisi costi-benefici nello studio fatto nel 2004 dai professori Marco Ponti e Andrea Boitani, che non sono due ambientalisti ma architetti, docenti di economia dei trasporti del Politecnico e della Cattolica di Milano;
   le continue promesse di esenzione al pagamento del pedaggio non hanno trovato alcuna approvazione da parte del CIPE dato che manca, a tutt'oggi, ogni e qualsiasi valutazione di carattere economico-finanziario della loro sostenibilità e di colui che se ne accolla il costo;
   sulla società SAT esiste inoltre un gigantesco conflitto d'interessi: Antonio Bargone, presidente SAT è anche commissario governativo straordinario per l'Autostrada Tirrenica che la stessa SAT deve costruire, cioè fa il controllore di sé stesso –:
   se il Governo sia consapevole dell'ennesimo enorme errore strategico infrastrutturale che secondo gli interroganti si sta commettendo e quali iniziative intenda adottare per mostrarsi effettivamente vicino ed utile al proprio territorio ed ai propri cittadini, gli unici verso i quali una classe dirigente ha degli obblighi. (5-01946)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BIASOTTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in Liguria negli ultimi trenta giorni le precipitazioni che si sono verificate equivalgono a quasi un anno medio di piogge sulla regione, queste si vanno ad aggiungere alle precipitazioni verificatesi nei mesi scorsi che fanno segnare un livello di aumento pari al 60 per cento in più rispetto alle medie stagionali;
   in questi giorni sul territorio ligure si sono verificate più di cento frane che hanno colpito fortemente la viabilità e il sistema dei collegamenti della regione a cui si vanno ad aggiungere 200 persone sfollate e una vittima;
   nella provincia di Imperia si registrano, per citarne alcune, frane tra Colle d'Oggia e Colle S. Bartolomeo, Vessalico, Torria di Chiusanico, Poggialto, Colle Lupi di Dolcedo, sulla strada per Pantasina, Canneto di Prelà, S. Agata e sulla Strada a Costa d'Oneglia, per infiltrazioni è stata chiusa la pista ciclabile dell'Area 24, a Diano Marina; nello Spezzino si registrano frane nelle frazioni della Val di Vara, nelle strade di Follo, Rocchetta, Calice, Beverino, Pignone, Carrodano, Borghetto, e interruzioni sulle provinciali che collegano a Vernazza e Monterosso; nel Savonese vi sono interruzioni dell'Aurelia tra Andora, Laigueglia e Capo Mele, a Colla Micheri, a Punta Murena, ad Alassio, tra Ceriale e Borghetto, sulla provinciale 6 a Casanova Lerrone, sulla provinciale 13 tra Andora, Stellanello e Testico, sulla provinciale 18 tra Andora e Testico, a Castelvittorio, nell'entroterra genovese si registra una situazione critica nella fontanabiona, già colpita nel mesi precedenti dal crollo del ponte di Carasco, cui vanno ad aggiungersi le frane di questi giorni, tra cui possiamo citare, le Ferriere, a Borzonasca, Uscio, Bavari;
   i collegamenti ferroviari sono pesantemente compromessi sia a ponente che a levante, per cui si è temuto l'isolamento della regione;
   a Ponente venerdì sera tra Andora e Cervo una frana ha fatto deragliare un treno intercity Milano-Ventimiglia, deragliamento che non ha fatto registrare, fortunatamente, vittime ma che rende necessario un intervento per la rimozione del treno e la messa in sicurezza della parete;
   attualmente la linea ferroviaria risulta interrotta a causa del suddetto deragliamento ed è tornato attuale il dibattito sul collegamento con la Francia che, nonostante la valenza internazionale, avviene ancora su un binario dove, in quasi mezzo secolo dall'avvio dei primi cantieri, su un totale di 150 chilometri necessari per il raddoppio del binario se ne sono realizzati 103;
   a Levante, appena alle porte di Genova, si è verificata una frana a Capolungo, Nervi, aprendosi uno squarcio sull'Aurelia proprio sopra la galleria ferroviaria dove avvengono i collegamenti con Roma e con tutto il Levante Ligure;
   ad ora, dopo i sopralluoghi, si sono riaperti entrambi i binari ma si registrano ritardi pesanti sulla linea a causa dei necessari rallentamenti, atti a diminuire l'impatto delle vibrazioni, cui sono sottoposti i convogli, nonché la soppressione di alcune fermate;
   l'impatto delle frane sull'Aurelia ligure, soprattutto a Ponente, fa temere un pericolo chiusura per sei mesi, necessari per gli interventi, con pesanti ripercussioni non solo sul sistema dei collegamenti ma anche dal punto di vista economico essendo l'Aurelia una delle maggiori attrattive turistiche della regione;
   il sistema dei collegamenti regionali, sia esso viario che ferroviario, risulta pesantemente colpito e compromesso con pesanti ripercussioni dal punto di vista economico che vanno ad aggiungersi alla situazione non facile dovuta dal periodo di crisi che sta attraversando il Paese;
   la regione Liguria ha chiesto lo stato di emergenza e sta cercando di spostare una serie di risorse per intervenire sulle emergenze ma il Presidente Burlando ha dichiarato che è necessario il sostegno da parte del Governo centrale;
   l'assessore regionale Paita ha chiesto un incontro urgente con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per predisporre un piano con cui affrontare l'emergenza in Liguria;
   a detta degli esperti il territorio non è in grado di assorbire altre precipitazioni –:
   quali siano le iniziative poste in atto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per il ripristino della linea ferroviaria Milano-Ventimiglia e del traffico ferroviario sulla linea interessata dalla frana di Capolungo e quali siano, più in generale, le iniziative, a carattere emergenziale e a carattere continuativo, che il Governo intenda intraprendere e le risorse che saranno messe a disposizione per affrontare l'emergenza infrastrutturale della Liguria. (5-01944)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATALANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   negli uffici postali dei comuni della provincia di Varese sono sempre più frequenti i disservizi;
   in particolare, si registrano forti ritardi nelle consegne a causa della mancanza di portalettere ed impiegati;
   l'aumento delle code e dei tempi di attesa sarebbe provocato dalla riorganizzazione del servizio di smistamento e del recapito;
   i sindaci dei comuni interessati hanno dichiarato la loro intenzione di affidare i servizi di corrispondenza massiva ad eventuali operatori privati, e di presentare un esposto alla procura della Repubblica;
   la scarsa qualità del servizio offerto da Poste Italiane si traduce in un oggettivo danno economico per i comuni e i cittadini –:
   se non intenda intervenire ai fini di un miglioramento della qualità del servizio offerto. (4-03243)


   MISURACA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la notte del 6 gennaio 2014 ha ceduto un muro di contenimento sulla ss 643 che collega il comune di Polizzi Generosa a quello di Castellana Sicula e alla strada statale n. 120, entrambe in provincia di Palermo. Il muro ha invaso metà carteggiata, ma a scopo preventivo è stata disposta la chiusura totale della strada, con notevoli disagi ed inconvenienti;
   la SS 643, è l'unica via di accesso che collega i paesi delle Alte Madonie ai presidi sanitari, in particolare all'ospedale di Petralia Sottana, alle scuole, ai posti di lavoro; diverse imprese hanno dovuto cessare o ridurre fortemente l'attività in quanto dipendenti e imprenditori sono impossibilitati a raggiungere il proprio posto di lavoro, con evidenti danni economici;
   sono stati effettuati diversi sopralluoghi, cui hanno partecipato vigili del fuoco, Protezione civile, Anas e tecnici comunali e sono stati ravvisati ulteriori pericoli di crollo di un altro muro, attiguo al precedente, che dovrà essere messo in sicurezza;
   i tavoli tecnici non hanno portato ad alcuna soluzione operativa, destinata al rapido ripristino della viabilità; nessuno vuole assumersi le responsabilità e l'onere di avviare i lavori; è stata aperta una strada-trazzera, non asfaltata, in forte pendenza, sprovvista di ogni protezione e già difficile da percorrere con il buon tempo, che diviene impercorribile durante le piogge;
   la conseguenza è che un territorio montano abitato, da circa 4200 persone è di fatto isolato. Gravi difficoltà si registrano nel rifornimento delle merci, che cominciano a scarseggiare. Anche funzioni elementari, come il rifornimento di carburante sono divenute complesse: l'unico distributore di Polizzi in funzione è al di la del muro di contenimento che ha ceduto, come pure il distributore di Castellana Sicula; di conseguenza il più vicino punto di rifornimento si trova a Buonfornello a 50 chilometri;
   la popolazione, che peraltro aveva da tempo segnalato le crepe del muro ed il rischio crollo, è in stato di agitazione e ha già effettuato un'assemblea cittadina, avviando successivamente un sit-in permanente dinanzi al comune –:
   se non ritenga opportuno attivare immediatamente l'ANAS per il ripristino della circolazione su almeno metà della carreggiata della strada statale 643, interessata da un crollo nei pressi del comuni di Polizzi Generosa (PA);
   se non ritenga opportuno farsi promotore del concerto di tutti gli enti pubblici coinvolti, a cominciare dalla regione siciliana, ai fini della messa in sicurezza e del ripristino della normale circolazione sulla strada statale 643, individuando le risorse necessarie allo scopo. (4-03245)


   VACCARO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a partire dal 1o gennaio 2014 risultano applicati gli adeguamenti automatici dei pedaggi autostradali, con un incremento medio delle tariffe del 3,9 per cento, con punte dell'8,28 per cento (Strada dei parchi), del 12,9 per cento (nell'autostrada Venezia-Trieste) e del 15 per cento (autostrada Torino-Aosta);
   non è risultata immune da aumento automatico la tangenziale di Napoli, che ha fatto registrare un rincaro delle tariffe pari al +1,89 per cento rispetto al 2013, dato che risulta ben superiore al tasso di inflazione, dell'1,3 per cento, in media, stimato nel 2013, uno dei valori più bassi degli ultimi anni; nondimeno il rincaro dei pedaggi contrasta anche con l'andamento della domanda: il traffico autostradale è in netto calo negli ultimi sei anni;
   va considerato inoltre che l'aumento dei pedaggi si aggiunge ad altri rincari tariffari, i cui termini percentuali sono stimati nell'ordine del 16,7 per cento nel solo ultimo quinquennio, periodo di riferimento della grave crisi economica e all'accertato aggravio della pressione fiscale;
   non può sottacersi che questi rincari colpiscono principalmente i pendolari, con conseguenti gravi ripercussioni economiche, e sul tessuto produttivo del Paese, già segnato dalla profonda crisi del trasporto pubblico locale, fenomeno quest'ultimo evidente in particolar modo in Campania, con conseguenti aumenti dei costi su materie prime e prodotti finiti, rischiando di compromettere i timidi segnali di ripresa che pur si intravedono;
   di certo grave e pesante risulta l'aggravio di costi per i pendolari, che già sono penalizzati dalla grave inefficienza di collegamenti modali – come le ferrovie – alternativi alla mobilità su gomma e in un momento di particolare crisi del settore in una regione come la Campania;
   appare necessario definire un sistema di adeguamento delle tariffe autostradali vincolato agli investimenti effettivamente realizzati dai concessionari ed è essenziale rendere trasparenti i meccanismi di adeguamento delle tariffe e i rapporti contrattuali stipulati in passato tra lo Stato e le concessionarie, che gestiscono in regime di monopolio infrastrutture essenziali come le autostrade; è, altresì, urgente garantire più stringenti controlli di gestione, in particolare per evitare ingiustificati aumenti tariffari;
   va rilevato, peraltro, che nel caso in esame gli aumenti sono indiscriminati e non sono stati previsti neppure meccanismi di mitigazione dell'incidenza dei rincari, come invece previsto per la Napoli-Salerno a partire dall'anno 2011, attraverso l'introduzione di una tariffa dei pedaggi differenziata, il cui costo è calcolato a seconda dell'ingresso al casello, e quella del pedaggio unico per gli automobilisti provvisti di telepass;
   in tal caso, la misura in questione determinerebbe l'innegabile effetto di ridurre l'incidenza degli aumenti previsti, poiché i rincari opererebbero in proporzione ai chilometri effettivamente percorsi e, sotto altro profilo, avrebbe l'effetto di bloccare l'aumento per chi è in possesso del telepass il cui pedaggio sarebbe ancorato ad un valore fisso e predeterminato –:
   quali iniziative intenda assumere per contrastare tali rincari e per ridurre le conseguenze dell'aumento dei pedaggi sulle imprese di trasporto, sui pendolari, sul sistema produttivo, sui consumatori, anche tenuto conto dell'esigenza di garantire l'effettiva e tempestiva realizzazione degli investimenti sulla rete autostradale e di migliorare l'efficienza, la rapidità e la qualità dei collegamenti e del servizio di trasporto;
   ai fini che precedono, se ritenga di sollecitare l'introduzione di un pedaggio differenziato, da applicare anche alla tangenziale di Napoli, che si fondi sul criterio dei chilometri effettivamente percorsi e che renda unitaria la tariffa per i possessori di telepass. (4-03252)


   DI BATTISTA, NICOLA BIANCHI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, DELL'ORCO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dal 1o ottobre 2012 le attività di vigilanza sull'esecuzione dei lavori di costruzione delle opere date in concessione e di controllo della gestione delle autostrade, che erano in capo ad Anas, e il personale dell'ispettorato di vigilanza sulle concessioni autostradali dell'Anas, sono stati trasferiti al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in base all'articolo 36 del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011 e dell'articolo 11, comma 5, del decreto-legge n. 216 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 14 del 2012;
   veniva quindi istituita, nell'ambito del dipartimento per le infrastrutture, gli affari generali ed il personale, la struttura di vigilanza sulle concessioni autostradali» con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti n. 341 del 1o ottobre 2012;
   ai sensi dell'articolo 2 comma 1, lettera b) del predetto decreto ministeriale la struttura ha compiti di «vigilanza e controllo sui concessionari autostradali, inclusa la vigilanza sull'esecuzione dei lavori di costruzione delle opere date in concessione e il controllo della gestione delle autostrade il cui esercizio è dato in concessione»;
   la Società autostrade per l'Italia spa, facente parte del gruppo Atlantia spa, che ne possiede il 100 per cento del capitale sociale e che fa riferimento, come principale azionista, alla famiglia Benetton, è concessionaria di gran parte della rete autostradale italiana ed in particolare è concessionaria dell'Autostrada A16 Napoli-Canosa in virtù di apposita concessione rilasciata da ANAS spa in data 12 ottobre 2007 approvata per legge 6 giugno 2008, n. 101 (scadenza al 31 dicembre 2038);
   il giorno 26 novembre 2013, veniva bloccato l'accesso all'Autostrada A16 Napoli-Canosa, nei diversi caselli autostradali del tratto compreso tra Avellino Ovest e Baiano in entrambi i sensi di marcia, in quanto, a seguito di una breve e lieve nevicata ed in assenza di mezzi spala-neve e spargi-sale, la Società autostrade per l'Italia spa non era in grado di far fronte alla situazione;
   tutto ciò ha provocato gravissimi disagi per gli automobilisti, bloccati per ore, sia all'interno della stessa autostrada sia all'entrata dei diversi caselli autostradali;
   nel medesimo tratto autostradale, che va da Napoli a Canosa di Puglia, per circa 200 chilometri, sono presenti da lunghissimo tempo, ben dieci interruzioni per lavori di presunta manutenzione autostradale che provocano gravi disagi per gli automobilisti, nonché seri pericoli per la sicurezza stradale degli stessi;
   sempre nel tratto tra Avellino Ovest e Baiano, è inoltre avvenuto a fine luglio 2013 uno dei più gravi e drammatici incidenti stradale della storia d'Italia, con circa 40 morti, in cui veniva coinvolto un pullman turistico;
   da organi di stampa l'interrogante è venuto a conoscenza che tre persone sono state iscritte nel registro degli indagati della procura di Avellino per lo schianto del bus dal viadotto di quel tratto della A16: si tratterebbe di Gennaro Lametta, titolare della ditta proprietaria del pullman e fratello del conducente Ciro, deceduto nello schianto, e di due appartenenti alla società autostrade;
   le ipotesi di reato per le quali procede la procura sono di concorso in omicidio colposo plurimo e disastro colposo;
   le indagini, coordinate dal procuratore di Avellino, Rosario Cantelmo, sono concentrate anche sulle condizioni della barriera new jersey di cemento che non ha retto all'impatto con il pullman e pertanto potrebbero interessare il coinvolgimento della concessionaria società autostrade per l'Italia spa;
   il procuratore di Avellino Rosario Cantelmo ha altresì disposto il sequestro dell'intero tratto autostradale della Napoli-Canosa dove è precipitato il pullman per consentire a un perito di eseguire i sopralluoghi necessari –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
   quali urgenti iniziative intenda assumere per porre rimedio ai disagi subiti dagli automobilisti che attraversano il suddetto tratto autostradale e quali azioni intenda porre in essere per la loro sicurezza;
   se non ritenga opportuno, alla luce dei gravi fatti descritti in precedenza, procedere con la revoca della concessione alla società autostrade per l'Italia spa.
(4-03253)


   CARRESCIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'impianto di manutenzione treni diesel Trenitalia Spa di Fabriano, è stato sempre considerato strategico e punto nevralgico delle tratte Ancona-Roma con servizio Fabriano-Civitanova, Fabriano-Pergola e Fabriano-Ancona-Porto D'Ascoli, che da sempre ha svolto diverse attività manutentive, dalle revisioni cicliche dei rotabili alle più sofisticate operazioni riguardanti gli organi più complessi delle locomotive diesel;
   negli ultimi anni questo importante polo manutentivo ha subito pesanti tagli a livello di unità lavorative in quanto l'azienda sta effettuando una politica di ridimensionamento spostando le più importanti lavorazioni verso le officine di Ancona;
   la nuova riorganizzazione aziendale, respinta a livello sindacale, dal luglio 2013 evidenzia la volontà di effettuare ulteriori tagli, mettendo in serio pericolo l'esistenza dell'officina stessa con spostamenti di operatori verso le officine di Foligno e Ancona, ridimensionando e riducendo anche le turnazioni lavorative che coprivano in materia eccellente i disagi provocati dall'inefficienza dei treni elettrici, in condizioni meteo proibitive, monitorando costantemente i treni in arrivo e in partenza con personale esperto, suddiviso in squadre che garantivano riparazioni di manutenzione e di conseguenza l'efficienza, la sicurezza e il servizio dei treni stessi;
   è forte la preoccupazione che queste decisioni mettano seriamente a rischio il servizio ferroviario locale per i cittadini, in quanto i treni subiscono soppressioni e ritardi a discapito dell'utenza anche pensando al periodo invernale dove per la riduzione dei rientri in officina è forte il rischio di malfunzionamenti e quindi di soppressione dei treni per gli impianti frenanti a causa del gelo; in queste scelte, non da ultimo, c’è la situazione degli addetti degli appalti ferroviari delle pulizie, già in contratto di solidarietà, che con la riduzione delle ore di lavoro dell'impianto e delle unità lavorative Trenitalia, provocheranno esuberi e rischi di licenziamento con conseguente perdita del posto di lavoro, con l'aggravamento della situazione già drammatica del comprensorio fabrianese;
   il consiglio comunale di Fabriano, il 9 gennaio scorso, ha approvato un ordine del giorno chiedendo: a) ai livelli istituzionali di prestare la massima attenzione alla riorganizzazione in atto all'interno delle Ferrovie dello Stato; b) a sostenere e valorizzare il ruolo e la presenza di questa prestigiosa officina fondamentale per garantire un livello di servizio adeguato per l'utenza; c) ad attivare tutte le azioni necessarie affinché la centralità del nodo ferroviario fabrianese non subisca nessun ridimensionamento essendo rimasto l'unico vero nodo ferroviario all'interno dell'Appennino sulla tratta Ancona-Roma e con le diramazioni per Pergola-Urbino e Civitanova Marche –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto evidenziato nell'interrogazione e quali iniziative intenda assumere per evitare che il paventato ridimensionamento dell'impianto di manutenzione treni diesel Trenitalia Spa di Fabriano crei ulteriori disservizi per gli utenti e determini altre situazioni di crisi occupazionale in un comprensorio, come quello del fabrianese, già in forte difficoltà. (4-03256)


   LABRIOLA. —Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si sono apprese nei giorni scorsi, dagli organi di stampa, due notizie che potrebbero rivelarsi fondamentali per lo sviluppo e per il futuro dell'intero territorio jonico;
   la prima riguarda la presunta intenzione della Cityline Swiss, compagnia aerea svizzera di Lugano, di operare sull'aeroporto Grottaglie di Taranto. In tal senso la Compagnia avrebbe sottoposto ad Aeroporti di Puglia un programma di voli che, a partire dal 14 aprile 2014, consentirebbe il collegamento fra l'aeroporto di Taranto-Grottaglie e Roma-Fiumicino, Parma, la Sicilia e la Romania;
   l'altra notizia riguarda il fatto che sarebbe intenzione del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, l'inserimento dell'aeroporto «M. Arlotta» di Grottaglie nel piano nazionale degli aeroporti. In tal senso il ministro stesso avrebbe presentato in Consiglio dei ministri l'informativa che dà il via all'iter per la realizzazione del nuovo piano nazionale degli aeroporti, inserendo l’«Arlotta» di Grottaglie fra i 26 aeroporti di interesse nazionale, con l'intento di creare le condizioni di uno sviluppo organico dell'intero settore. Di conseguenza, diventa sempre più concreta la possibilità di riaprire ai voli civili di linea tutta l'aerostazione Taranto-Grottaglie;
   tali notizie, se corrispondessero al vero, potrebbero essere un volano per lo sviluppo turistico dell'arcipelago ionico di Taranto e per uno sviluppo delle attività economiche e commerciali che risentono molto della crisi che sta investendo il Paese;
   nel disegno del nuovo piano, l'Italia è suddivisa in 10 bacini e comprende 11 aeroporti strategici di stampo internazionale e 26 aeroporti di interesse nazionale;
   l'Arlotta di Taranto-Grottaglie rientra fra quelli di carattere nazionale che dovranno rispettare due precise condizioni, non richieste invece per gli scali che garantiscono la continuità territoriale. La prima riguarda il ruolo ben definito che esso dovrà svolgere all'interno del bacino. Lo scalo dovrà infatti disporre di una sostanziale specializzazione, come ad esempio essere destinato al traffico merci, essere un city airport e altro. Tale specializzazione dovrà essere comunicata nel piano industriale da presentare entro tre mesi dall'approvazione del piano nazionale. La seconda condizione riguarda il raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario dell'aeroporto in tempi ridotti;
   a seguito delle notizie di cui sopra vi è stata l'immediata precisazione di Aeroporti di Puglia in merito alla riapertura ai voli di linea dello scalo di Taranto/Grottaglie. attraverso i propri avvocati. Il documento è stato inviato anche all'Enac, ai rappresentati della regione, alla prefettura, alla procura della repubblica, alla camera di commercio di Taranto, alle forze politiche ed alle parti sociali che in questi giorni sono intervenuti sulla vicenda;
   in primo luogo Aeroporti di Puglia sostiene che «la proposta, da parte della Compagnia Aerea Cityline Swiss di Lugano, per il tramite l'intermediazione del Tour Operator Esafly di Taranto, di attivare alcuni nuovi collegamenti da e per l'Aeroporto di Grottaglie riguarda, allo stato, due soli voli (Parma-Taranto il venerdì e Taranto-Parma la domenica), programmati a partire dal 18.4.2014, per i quali, comunque, allo stato attuale, non risulta pervenuta all'Enac alcuna ufficiale comunicazione da parte del vettore. Peraltro, in atti, risulta tutta una precedente serie di richieste di collegamenti da/per gli aeroporti pugliesi da parte del medesimo Tour Operator Esafly e del vettore svizzero mai concretizzatesi. Solo a gennaio 2013 è stato operato 1 (uno) volo charter per Lourdes con la C.A. Trade-Air Zagabria (Croazia);
   Aeroporti di Puglia sostiene di non aver «mai frapposto alcun ostacolo all'esercizio dell'attività di aviazione commerciale destinata al traffico passeggeri da/per gli aeroporti in gestione, né, con particolare riferimento all'aeroporto di Grottaglie, che ha una vocazione specificatamente cargo ed industriale, ha mai applicato diritti o tariffe di ammontare spropositato, essendo i corrispettivi richiesti, come per legge, strettamente correlati ai costi per l'offerta del servizio»;
   sempre nella stessa nota Aeroporti di Puglia, infine, respinge le accuse secondo le quali avrebbe ostacolato il rilancio dell'aeroporto di Taranto. «Ancora una volta – scrivono gli avvocati anche se questa è un aspetto che attiene alle politiche di gestione – è vero il contrario. È noto che, nell'ambito della programmazione regionale (Piano Regionale dei Trasporti) ed aziendale (Master Plan di Aeroporti di Puglia S.p.A.), all'aeroporto di Grottaglie è stata attribuita una funzione prevalente di polo del traffico aereo cargo-logistica. Proprio tale lungimiranza programmatica ha consentito alla Puglia di vincere la competizione territoriale per la localizzazione dello stabilimento Alenia-Boeing. Anche il Documento programmatico «Puglia Corsara, Programma per lo sviluppo delle infrastrutture strategiche e della piattaforma logistica della Puglia» conferma quanto sopra, indicando i nuovi percorsi di sviluppo. Per l'Aeroporto di Grottaglie, quindi, si rende sempre più necessario sviluppare la vocazione di aeroporto al servizio di un distretto industriale aeronautico finalizzato all'attrazione di investimenti specifici del settore, in considerazione delle peculiari condizioni e potenzialità logistiche esistenti.... Al contempo, la società Aeroporti di Puglia ha avviato un confronto collaborativo con ENAC e le altre Istituzioni competenti per rafforzare le prospettive di sviluppo dell'Aeroporto di Grottaglie, secondo la destinazione definita nel Piano Nazionale degli Aeroporti nell'ambito del quale, è bene rammentarlo, solo grazie alla collaborazione tra Aeroporti di Puglia ed ENAC è stato inserito l'aeroporto Arlotta di Grottaglie, con destinazione cargo ed industriale» –:
   se trovino conferma le notizie di stampa in ordine all'inserimento nel nuovo piano industriale dell'aeroporto Grottaglie di Taranto e, se questo dovesse risultare fondato, quali siano le indicazioni che il Ministro abbia intenzione di rivolgere alla regione Puglia e agli altri enti interessati in ordine all'elaborazione del business plan. (4-03266)


   CATANOSO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   come si può evincere dalle agenzie di stampa nazionali e di settore, come la specializzata AVIONEWS, la compagnia Ryanair, da lunghissimo tempo, ha stretto accordi definiti di «co-marketing» con numerose società di gestione aeroportuale ed enti locali in tutto il territorio nazionale ottenendo significative risorse per svolgere la propria attività;
   tali accordi, che a giudizio dell'odierno interrogante e dell'associazione professionale dei piloti italiani Anpac costituiscono una grave distorsione della concorrenza, secondo quanto previsto dal decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, devono, adesso, essere ricondotti a criteri di trasparenza ed aperti alla possibilità di accesso a tutte le compagnie interessate attraverso gare pubbliche;
   l'Anpac ha manifestato grande soddisfazione per gli esiti di questo decreto che, ancorché tardivo, pone un argine alla «unfair competition» nell'ambito del trasporto aereo con regole che garantiscono pari opportunità a tutti i vettori;
   l'associazione vigilerà come l'odierno interrogante sull'applicazione delle norme e porrà in atto tutte le azioni necessarie affinché il sistema del trasporto aereo italiano, analogamente a quanto accade in tutta Europa, sia sgombrato da asimmetrie competitive sia dal punto di vista dei finanziamenti non trasparenti che sui differenti oneri sul costo del lavoro;
   l'interrogante ha appreso dall'agenzia di stampa aeronautica AVIONEWS di imminenti scadenze dei contratti di «co-marketing» stipulati con il vettore Ryanair da parte di svariati soggetti istituzionali e privati;
   l'attività, secondo quanto riportato dagli organi di stampa, interesserebbe da un lato la regione Puglia e la società Aeroporti di Puglia con un contratto in scadenza nel 2014 e dall'altro la società di gestione aeroportuale di Trapani Birgi (Airgest) che, unitamente alla camera di commercio locale con funzione di regia con i comuni vicini, si appresterebbe a rinnovare il contratto con Ryanair addirittura entro la fine di gennaio 2014;
   questa pratica, sviluppatasi in tutto il territorio nazionale da ben oltre dieci anni, con risultati devastanti sul piano della libera concorrenza e con risultati sul piano della salute dei vettori nazionali che sono sotto gli occhi di tutti, è finalmente regolamentata;
   si ritiene necessario un tempestivo intervento affinché i principi espressi nel decreto siano rispettati e si proceda da parte dei soggetti istituzionali, o comunque finanziati da risorse pubbliche, a regolari procedure di gara secondo quanto previsto dal succitato decreto;
   si ritiene inoltre essenziale che Enac eserciti con rigore e determinazione la dovuta azione di controllo sulle società di gestione aeroportuali –:
   quali iniziative intende assumere il Ministro interrogato affinché sia esercitata e garantita la necessaria vigilanza degli organi competenti per ottemperare al citato decreto n. 145 del 2013 e risolvere le problematiche esposte in premesse.
(4-03273)


   RIZZETTO e PRODANI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è stato approvato dalla giunta regionale del Friuli Venezia Giulia, con delibera n. 2926 del 30 dicembre 2008, il testo dell'avviso indicativo di project financing per la «realizzazione e gestione di un impianto di collegamento a fune fra Pontebba e il comprensorio sciistico di Pramollo – Nassfeld e valorizzazione turistica dell'area», stabilendo quale termine finale per la ricezione delle proposte il giorno 29 maggio 2009;
   il predetto avviso prevede più interventi infrastrutturali volti alla valorizzazione turistica del versante italiano del comprensorio Pramollo – Nassfeld ed, in particolare, un impianto funiviario, di un demanio sciabile con relativo impianto di innevamento, nonché parcheggi di interscambio e di servizio con relativo adeguamento della viabilità;
   la commissione incaricata di valutare le offerte ha svolto i lavori in un arco temporale che va dal mese di novembre 2009 a quello di giugno 2011, al termine del quale l'offerta presentata dalla società Doppelmayr Italia Srl è stata giudicata quella maggiormente soddisfacente rispetto ai contenuti dell'avviso indicativo;
   ad oggi, sembra che tale società sia anche l'unica che potenzialmente potrebbe eseguire l'opera, con evidente svantaggio per la regione nella ricerca di un soggetto attuatore a mezzo di procedure concorsuali, competitive e trasparenti;
   con conferenza di servizi, del 23 aprile 2012, gli uffici regionali hanno enunciato prescrizioni e raccomandazioni in merito al progetto dell'impianto in questione;
   tale progetto prevede un impegno – diretto o tramite terzi – da parte del soggetto promotore, all'ampliamento della capacità ricettiva con la realizzazione o ristrutturazione di nuovi 600 posti letto da realizzarsi nel comune di Pontebba, corredato da garanzie finanziarie in relazione agli obblighi realizzativi di almeno 300 posti letto disponibili al momento dell'apertura dell'impianto e degli ulteriori 300 posti resi disponibili nei tre anni successivi;
   il progetto preliminare di tale procedura è gravato sulla sola regione autonoma Friuli Venezia Giulia, senza oneri diretti per il Land Carinzia;
   il finanziamento del progetto è subordinato all'obbligo di affidare la gestione della funivia alla Bergbahnen Pramollo AG 9620 Nassfeld o ad una società ad essa collegata e formata da locali gestori di impianti, che attualmente svolgono questo incarico;
   negli obblighi di gestione assunti dalla Bergbahnen Pramollo AG sono previsti la manutenzione ordinaria e straordinaria dell'impianto a fune, incluse le infrastrutture associate (piste da sci, impianti di innevamento artificiale), per tutta la durata della concessione, ossia minimo 20 anni, nonché il pagamento di 75.000 euro a partire dalla messa in funzione dell'impianto di risalita da parte della Bergbahnen Nassfeld Pramollo AG alla società responsabile del progetto, con l'indicizzazione per 20 anni come previsto dalla legge italiana;
   tale investimento, da parte della Bergbahnen Pramollo AG, è garantito da una fidejussione del concessionario pari a 10 milioni di euro;
   si mette in evidenza che, per quanto riguarda la viabilità, fin dalla presentazione del progetto in questione, non sussiste uno studio del traffico che rilevi eventuali criticità negli orari di massima punta né sono state previste eventuali opere di difesa contro possibili esondazioni, considerando che la proposta di viabilità di accesso al costruendo parcheggio è posta in prossimità del Rio degli Uccelli;
   non sono state acquisite inoltre valutazioni di incidenza, rispetto alla presenza di siti SIC e ZPS nelle vicinanze della zona interessata dall'intervento e di aree di collegamento ecologico tra i siti Natura 2000;
   con propria nota, rif. SPTT/B.7.10 (n. 8683/2012), il servizio pianificazione territoriale ha segnalato che nel progetto «non è stata rappresentata nei succitati elaborati grafici la rimanente parte del tracciato del collegamento a fune tra Pontebba e il comprensorio sciistico di Pramollo-Nassfeld, il tracciato delle piste da sci e dell'impianto di innevamento nella zona di Pramollo»;
   sono state rilevate numerose interferenze (e quindi possibili situazioni di pericolo) durante la conferenza di servizi da RFI e Terna, in merito alla futura coesistenza di funivia, tralicci e linee elettriche esistenti;
   nella stessa sede, RFI ha statuito che relativamente al progettato posizionamento della stazione a valle, non sono tecnicamente autorizzabili le costruzioni in area asservita ad elettrodotto RFI per un determinato spazio, in base a decreti prefettizi;
   come riportato nelle premesse della delibera di giunta regionale, n. 1349 del 2012, per quanto riguarda gli aspetti geologici, «la documentazione presentata per il progetto consentiva solo una mera ricognizione delle problematiche geologiche presenti sul territorio e non consentiva di definire se ci fosse o meno la compatibilità dell'intervento proposto con la situazione urbanistica comunale vigente»;
   nella stessa delibera si evidenzia che, la relazione geologica-geotecnica-nivologica a corredo degli elaborati è stata redatta con finalità diverse da quelle definite dalla legge regionale n. 27 del 1988, analizzando con carattere di preliminarietà le interferenze tra le opere previste e le pericolosità esistenti di un territorio che è idrogeologicamente «molto fragile» e marcato da una diffusa pericolosità;
   in considerazione della rilevata fragilità del territorio, sono notevoli le implicazioni e conseguenze ambientali che si determinerebbero a causa della realizzazione delle opere oggetto del project financing e di quelle a corredo, in particolare, rispetto all'approvvigionamento idrico e lo smaltimento delle acque reflue nell'area di Pramollo/Nassfeld;
   la soprintendenza per i beni culturali e paesaggistici del Friuli Venezia Giulia – ufficio distaccato di Udine – si è dovuta astenere dal rilasciare alcun parere poiché non ha mai ricevuto il progetto in formato cartaceo e non ha avuto i tempi necessari per emettere la propria valutazione;
   la richiesta della soprintendenza per i beni culturali e paesaggistici del Friuli Venezia Giulia di rinviare i lavori della conferenza di servizi anche solo per pochi giorni, è stata bocciata dalla maggioranza degli Enti presenti, e, pertanto, la giunta regionale è pervenuta a deliberare un atto di fondamentale importanza (la dichiarazione di pubblico interesse all'attuazione del project financing) in assenza del necessario parere di tale ente;
   con delibera della giunta regionale n. 1505 del 2013 è stato dato mandato alla direzione centrale infrastrutture, mobilità, pianificazione territoriale e lavori pubblici di indire la procedura selettiva ai sensi dell'articolo 153, comma 15, del decreto legislativo 163 del 2006 e successive modifiche e integrazioni, ponendo a base di gara il progetto preliminare presentato da Doppelmayr Italia Srl;
   il costo dell'intervento, quale risulta dal piano economico finanziario asseverato, ammonta a euro 82.591.307,00, di cui euro 79.544.809,00 per costi di realizzazione, spese tecniche, investimenti, nonché euro 3.046.498,00 per IVA;
   inoltre, per tale somma, la parte pubblica rappresenterà una compartecipazione del 67,9 per cento dell'intero costo dell'opera, IVA compresa, mediante la provvista stimabile in euro 48.000.000,00 derivante dall'accensione di un mutuo coperto da un finanziamento pluriennale di euro 3.500.000 per anni 20;
   nell'attuale periodo di crisi economica, si ritiene che le ingenti somme necessarie per la realizzazione dell'opera, di contro, dovrebbero essere impiegate per la conservazione idro-geologica della montagna nonché la promozione di azioni necessarie per valorizzare il turismo montano sul versante italiano;
   nella citata delibera n. 1505 del 2013, la giunta regionale ha determinato che l'amministrazione regionale non assumerà ulteriori o maggiori oneri rispetto a quelli correlati alla compartecipazione finanziaria già sopra specificata, tralasciando tutti gli oneri derivanti dalle condizioni poste dagli enti partecipanti alla conferenza dei servizi del 14 marzo 2013 (innalzamento linee elettriche, ripristini ambientali, costi per la progettazione necessaria per il rilascio del nulla-osta idraulico, della VAS e della VIA, e altro);
   si evidenzia che, i potenziali soggetti che assumerebbero la gestione delle infrastrutture turistiche rappresentano la classe imprenditoriale austriaca e a beneficiare dell'opera sarebbe in prevalenza l'indotto austriaco, di conseguenza, al territorio italiano rimarrebbe, a suo danno, l'ulteriore inquinamento da trasporto nonché l'onere di far fronte alla mobilità degli utenti del comprensorio sciistico;
   inoltre, per motivi di opportunità economica, si ritiene irragionevole, per la realizzazione del progetto, la cessione di un terreno in quota con la relativa destinazione d'uso e capacità edificatoria, del valore commerciale minimo di quattro milioni di euro –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti in questione;
   se non ritengano di acquisire elementi, in considerazione del fatto che il progetto sembra sia stato adottato in base ad un procedimento amministrativo approvato in assenza di studi relativi alle conseguenze sulla viabilità, alle problematiche geologiche del territorio interessato, alla presenza di siti SIC e ZPS nonché in mancanza del parere della soprintendenza per i beni culturali e paesaggistici del Friuli Venezia Giulia. (4-03275)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   CARRESCIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dal luglio 2011 ad oggi nel comune di Senigallia ed in alcuni ad esso limitrofi si sono verificati diversi incendi dolosi che hanno provocato ingenti danni a numerose aziende agricole;
   i fatti sono stati segnalati anche nell'interrogazione n. 4/01364 presentata dal sottoscritto onorevole Piergiorgio Carrescia in data 23 luglio 2013 ma a tutt'oggi rimasta, nonostante il tempo trascorso, senza risposta;
   come ricordato nel precedente atto ispettivo gli inquirenti ritengono che «la pista dolosa, battuta dai militari della Compagnia di Senigallia che sta coordinando le indagini, è tutt'altro che trascurata»;
   il 12 gennaio 2014 un vasto incendio ha semidistrutto nella notte un grosso capannone agricolo di oltre 400 metri quadrati, adibito a ricovero mezzi nel comune di San Costanzo;
   proprietario della struttura un imprenditore agricolo titolare di un'azienda agraria di circa 50 ettari, in gran parte adibiti alla coltivazione di grano e sorgo;
   per domare l'incendio sono state necessarie quasi tre ore di lavoro, durante le quali i pompieri e i militari hanno effettuato anche una prima ricostruzione di ciò che può essere accaduto e sembra che l'ipotesi più probabile sia quella dell'origine dolosa, anche perché su una delle porte dello stabile sarebbero stati rinvenuti segni di effrazione;
   i danni, ancora da quantificare, sono sicuramente ingentissimi, nell'ordine di diverse centinaia di migliaia d'euro, perché il capannone, sul tetto del quale era installato anche un impianto fotovoltaico, è in condizioni molto critiche e gran parte dei mezzi ricoverati al suo interno ha subito conseguenze molto serie;
   questo episodio, in un territorio prossimo a quelli in cui si erano verificati gli incendi precedenti ha destato di nuovo grande preoccupazione fra gli imprenditori agricoli per il ripetersi di questi inquietanti fenomeni senza che si sia ancora giunti all'individuazione dell'autore o degli autori dei fatti;
   pur comprendendo le difficoltà di organico in cui si dibattono sia l'Arma dei carabinieri sia la polizia di Stato è innegabile che il potenziamento delle dotazioni umane e dei mezzi delle forze di sicurezza consentirebbe non solo di dare risposte certe e in tempi brevi alle indagini investigative relative all'inquietante fenomeno degli incendi nelle aziende agricole ma anche di garantire una maggiore sicurezza ai cittadini e alle imprese –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente dei fatti;
   quali misure il Ministro intenda adottare, alla luce di quanto esposto in premessa, al fine di garantire la sicurezza delle aziende agricole di quei territori e del loro patrimonio;
   se il Ministro intenda o meno sollecitare iniziative opportune del Commissario per il coordinamento delle iniziative anti-racket ed anti-usura. (4-03241)


   BRUNO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   fino al 2007 la carenza dell'enzima G6PDH, il cosiddetto «favismo», era causa di esclusione dai concorsi per forze armate e forze di polizia;
   la carenza di G6PDH è il più comune deficit enzimatico umano presente in oltre 400 milioni di persone nel mondo, nella maggior parte dei casi è asintomatico; l'incidenza della patologia in Italia è molto bassa: colpisce il 6 per cento di persone al Sud Italia e appena l'1 per cento nell'Italia settentrionale, con un picco del 18 per cento in Sardegna;
   tale carenza, pur alterando la struttura dei globuli rossi e causando l'ossidazione dell'emoglobina, non è di per sé sufficiente a determinare una vera e propria crisi emolitica e può essere affrontata con opportune e semplici terapie. Inoltre, i casi acuti sono assai rari;
   a seguito di accertamento da parte di apposita commissione tecnico scientifica del Ministero della difesa, veniva accertato che suddetta carenza di G6PDH, non poteva essere causa di inidoneità fisica, poiché, di fatto, non implica nessuna limitazione nell'attività lavorativa;
   il Ministero della difesa recepiva con decreto del 30 agosto 2007 tale parere;
   la legge n. 109 del 2010 ha disposto definitivamente la non esclusione ai fini dell'arruolamento ai concorsi per Forze armate e Forze di polizia, dei soggetti fabici;
   a seguito di questa legge i vari Corpi hanno adeguato i requisiti fisici richiesti per l'arruolamento;
   la volontà politica alla base dell'emanazione della legge era chiaramente improntata alla necessità di sanare un'inaccettabile forma di discriminazione a danno di tantissimi giovani rimasti esclusi dalla possibilità di un concreto sbocco professionale presso le Forze armate;
   solo il Corpo nazionale vigili del fuoco – che basa i requisiti di ammissione sul decreto del Ministero dell'interno, n. 78 del 2008 – non è riuscito ancora ad adeguarsi alla legge del 2010;
   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, dunque, anche in occasione degli ultimi concorsi banditi potrebbe escludere per inidoneità fisica dei giovani, altrimenti in possesso di tutti i requisiti, perché affetti da favismo, discriminandoli quindi sulla base di una patologia che non è ostativa, invece, per esempio, nei concorsi per ufficiali dell'esercito (che nei loro bandi richiamano la legge n. 109 del 2010);
   tutto ciò sarebbe ovviamente causa di un più che probabile contenzioso giudiziario in cui difficilmente l'amministrazione pubblica coinvolta potrebbe far valere le proprie ragioni –:
   se il Ministro non ritenga opportuno assumere iniziative per equiparare i requisiti fisici per l'arruolamento al Corpo dei vigili del fuoco a quelli degli altri Corpi di polizia e Forze armate e quindi sanare al più presto questa lacuna normativa che rischia di diventare fortemente discriminatoria a partire dalle procedure concorsuali non ancora completate. (4-03246)


   CATANOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   tutti i poliziotti che, unitamente a coloro che stavano frequentando prima dell'entrata in vigore della legge n. 197 del 1995 il corso di formazione per sovrintendenti ex Lege n. 121 del 1981, oppure che avevano vinto il relativo concorso ed attendevano la chiamata per il corso, ed ancora tutti coloro che avevano ultimato i corsi numerati dal 10o al 14o, e più specificatamente tutti coloro che all'entrata in vigore della succitata legge n. 197 del 1995 non avevano maturato neppure un giorno di anzianità nel grado di sovrintendente hanno beneficiato di «discutibili» meccanismi, a giudizio dell'interrogante e del sindacato Autonomi di polizia, per avere accorciata la carriera e trovarsi in pochi anni alla qualifica per la quale abbisognavano ancora parecchi anni di servizio;
   coloro che, avevano maturato pochi mesi di anzianità di servizio nella qualifica di vice sovrintendente ex legge n. 121 del 1981 hanno beneficiato della riduzione di anni 3 per il passaggio dalla nuova qualifica di vice ispettore a quella di ispettore capo (da vice ispettore a ispettore dopo anni 2 e da ispettore a ispettore capo dopo anni 5);
   analogamente a chi già si trovava nella qualifica di sovrintendente con alle spalle quasi 8 anni di anzianità (giova ricordare che da vice sovrintendente a sovrintendente si transita dopo anni 3 di anzianità di servizio e da sovrintendente a sovrintendente principale dopo 5 anni);
   tutti costoro, in brevissimo tempo, hanno raggiunto i loro colleghi più anziani, i quali si sono visti azzerati l'anzianità pregressa e immessi al 1o settembre 1995 al grado di ispettore, come se da sovrintendenti avessero maturato solamente anni 2 di anzianità. Per quanto riguarda i sovrintendenti principali ed i sovrintendenti capo, questi sono stati immessi nell'unico ruolo di ispettore capo R.E., ruolo esaurimento;
   alla fine degli anni ’80 i carabinieri, dopo vari ricorsi al TAR del Lazio, al Consiglio di Stato, alla Corte costituzionale, onde ottenere riconosciuto il trattamento economico pari a quello degli ispettori della polizia di Stato ex legge n. 121 del 1981, con sentenza n. 277 del 3 dicembre 1991 hanno ottenuto la perequazione del trattamento economico dei loro sottufficiali con i predetti ispettori;
   i sovrintendenti della polizia di Stato, equiparati ai sensi della legge n. 121 del 1981 per funzione, grado ed altro ai sottufficiali dell'Arma dei carabinieri, ai sensi della legge n. 216 del 1992 hanno percepito gli stipendi parimenti agli ispettori;
   il dipartimento di polizia di Stato, ritrovandosi nella condizione di remunerare due gradi con lo stesso trattamento economico, per evitare un eventuale ricorso da parte dei sovrintendenti che volevano a questo punto riconosciuto anche il grado e la rivendicazione degli ispettori che non volevano essere equiparati ad una qualifica inferiore (si ricorda che la legge n. 121 del 1981 recitava che tale grado doveva prettamente svolgere attività investigativa, mentre con la donazione del grado a una moltitudine di ex marescialli e brigadieri del disciolto Corpo guardie di P.S., ben presto il grado fu ricoperto da ispettori che svolgevano ben altro dalle investigazioni) ha fatto emanare il decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 197, a giudizio dell'interrogante in contrasto con la legge n. 121 del 1981 e la legge n. 216 del 1992 di cui sopra;
   il legislatore previde che nell'arco di anni 4 questi ultimi sarebbero stati inquadrati all'apice del nuovo ruolo, esattamente nella qualifica di ispettore superiore SUPS e ben presto anche in quella di sostituto commissario, che è avvenuto entro l'anno 2000 (si veda il beneficio di uno sconto di un quinto del periodo di anzianità residuo per l'ammissione agli scrutini di promozione secondo l'articolo 13, comma 3, del decreto-legge n. 197 del 1995 ed ai concorsi con contingenti di 1000 posti l'anno per un periodo di quattro anni). Tutto ciò in contrasto alle più elementari norme procedurali in materia di progressione di carriera;
   in tal modo, gli ex-Ispettori ex-lege n. 121 del 1981, per raggiungere l'apice della loro carriera (ispettore capo), avrebbero impiegato più di vent'anni;
   per i sovrintendenti, invece, è stato riservato un trattamento, a giudizio dell'interrogante, avvilente e deprimente: il grado spaccato a metà, una parte immessa nel ruolo a esaurimento e una parte con l'anzianità «defraudata» e con una sospirata carriera, poiché se fossero riusciti ad ottenere il grado di ispettore superiore con l'entrata in vigore della legge n. 193 del 2003, dal 2005, tutti costoro avrebbero avuto bisogno di anni 15 per essere scrutinati sostituti commissari;
   che tutto ciò avesse la parvenza di un «iter diabolicus» lo si è intuito con le disposizioni correttive e integrative del decreto-legge n. 78 del 31 marzo 2000, e con l'emendamento volto a remunerare con il trattamento economico previsto per l'ispettore superiore SUPS tutti gli ispettori capo che non riescono a raggiungere tale qualifica dopo 10 anni di anzianità nel grado;
   molti poliziotti, vista questa confusione normativa, giuridica ed economica, nel 1999 presentavano un'istanza tesa ad ottenere il giusto riconoscimento dell'anzianità pregressa utile per l'ammissione allo scrutinio per la promozione al grado di ispettore capo a partire dal 1998 e non dal 2000 come prevedeva la legge n. 197 del 1995. Il Ministero dell'interno risponde che «il decreto sul riordino delle carriere prevede altresì disposizioni di carattere transitorio e speciale in ordine alla progressione in carriere»;
   gli ispettori capo R.E., in vista dello scavalco in ordine funzionale degli ispettori capo ordinari, che arrivò nell'anno 2000, ed al rigetto del loro ricorso avanzato anzitempo presso il TAR Lazio, lo stesso anno organizzano una plateale dimostrazione di protesta presso il Ministero, ottenendo, grazie all'interessamento di qualche organizzazione sindacale, il giusto e meritato riconoscimento, che doveva essere, invece, di tutti i sovrintendenti;
   il 31 marzo 2000 viene emanato il decreto legislativo n. 78 nel quale viene riconosciuto l'annullamento dell'unico ruolo di ispettore Capo R.E., e tutti quelli che rivestivano tale qualifica sono stati inseriti nel ruolo ordinario di ispettore capo al 31 agosto 1995 mantenendo l'anzianità pregressa;
   per sanare un errore se ne compie uno ben peggiore. Questi poliziotti sono stati inseriti nel ruolo ordinario prima dell'entrata in vigore della legge n. 197 del 1995, come se fossero già ispettori del ruolo legge n. 121 del 1981. Ma non finisce qui, poiché nello stesso decreto si inserisce una modifica ai criteri con cui si sarebbe proceduto allo scrutinio per la qualifica di ispettore capo, cioè dal merito comparativo al merito assoluto, per potere permettere alla data del 1o settembre 2000 di fare transitare in questa qualifica più di 5.000 ispettori capo, in prospettiva all'emanazione del primo concorso per la qualifica di ispettore superiore SUPS (che per dovere di cronaca uscì il 18 febbraio 2003, circa tre anni più tardi, per potere permettere agli ex ispettori capo R.E. di essere nominati ispettore superiore SUPS);
   negli anni a seguire tra i sovrintendenti che avevano maturato alcuni anni di anzianità (e questi sono da individuarsi tra coloro che avevano frequentato i corsi di formazione dal 3o al 7o) e tra quelli successivi al 1995 non vi è stata più alcuna differenza, poiché ben presto sono riusciti a giungere alla meta della qualifica di ispettore capo con solo 7 anni;
   in virtù dell'articolo 13, comma 4, del decreto-legge n. 197 del 1995 sono stati valutati solamente anni 2 di sconto, cosa che è stata fatta per coloro che non avevano maturato nemmeno un giorno nella qualifica; si è stati inseriti nella qualifica di ispettore quando già si percepiva il livello retributivo di ispettore; la progressione di carriera dei carabinieri (decreto-legge n. 198 del 1995), così come quella per le altre Forze di polizia, ha visto transitare nel grado di maresciallo capo (ispettore capo) i marescialli capo non iscritti a promozione, i marescialli ordinari e i brigadieri iscritti per la promozione;
   per la legge n. 121 del 1981 il grado di sovrintendente racchiudeva le due qualifiche di brigadiere e di maresciallo ordinario, senza prevedere che durante l'anzianità maturata (anni cinque) vi fossero scrutini o qualcosa di simile o che il predetto periodo di anni 5 fosse diviso a metà per ciascuna qualifica. Per la precisione, la legge n. 121 del 1981 non prevedeva che dopo due anni e mezzo di anzianità maturata nel gradi di sovrintendente si paragonava al brigadiere e dopo altri due anni e mezzo si paragonava al maresciallo ordinario: si era e si rimaneva, dal primo giorno di promozione all'ultimo prima di transitare al grado successivo, sovrintendente;
   il legislatore con l'articolo 7 del decreto-legge n. 193 del 2003 ha ritenuto di allungare ancora il periodo di anzianità finalizzata al conseguimento della qualifica di sostituto commissario per evitare che tutti gli ex-sovrintendenti oggi ispettori capo che ancora non hanno raggiunto il grado superiore, né attraverso il concorso entro il 2005, né attraverso lo scrutinio per anzianità, raggiungessero gli ex ispettori di cui alla legge n. 121 del 1981;
   a giudizio dell'interrogante si dovrebbe inserire questo personale, al 31 agosto 1995 come avvenuto agli ex ispettori capo R.E., con il riconoscimento dell'anzianità pregressa nel grado di sovrintendente e con gli stessi benefici economici, per ottenerne la qualifica di ispettore capo dal 13 luglio 1998 (e non dal 1o settembre 2000), la qualifica di ispettore superiore SUPS a seguire dalla data ultima di quando è stato scrutinato l'ultimo ispettore Capo R.E. (circa l'anno 2003), e visto che questi ultimi sono stati scrutinati sostituti commissari il 1o gennaio 2010, che si prosegua allo scrutinio anche per tale qualifica –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per procedere ad un riordino delle carriere nel senso indicato in premessa. (4-03270)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VII Commissione:


   BUONANNO, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni si stanno verificando pesanti disservizi nella gestione delle pulizie nelle scuole a causa del nuovo appalto per i bidelli delle cooperative;
   l'attività didattica non è di fatto garantita dalle precarie situazioni igieniche all'interno di alcuni plessi scolastici;
   questo si è verificato perché il Ministero ha assegnato l'appalto con un ribasso di circa il 40 per cento per il personale ausiliario che lavora nelle scuole tramite cooperativa, persone che fanno lo stesso lavoro dei bidelli statali, ma con un trattamento economico e contrattuale diverso;
   con un tale ribasso la prima conseguenza negativa ha riguardato l'orario di lavoro che è stato dimezzato e così anche lo stipendio; con il poco tempo a disposizione i bidelli non riescono ad assicurare un adeguato servizio di pulizia negli istituti scolastici né, tantomeno, una qualche tipo di sorveglianza;
   le scuole, i sindacati hanno incontrato la Manutencoop, la nuova cooperativa di Bologna che ha vinto l'appalto ministeriale, per cercare di organizzare adeguatamente il servizio, ma ci sono notevoli difficoltà per renderlo efficiente, vista la drastica riduzione delle ore di lavoro addirittura nei termini dell'80-90 per cento;
   è evidente che con il limitato personale delle cooperative non si riesce a garantire lo stesso servizio che esisteva fino ad un mese fa –:
   quando il Ministro intenda revocare l'appalto assegnato a Manutencoop, in modo che l'attività didattica, ad oggi pregiudicata dalle precarie condizioni d'igiene all'interno dei plessi scolastici, possa proseguire regolarmente e se nel pianificare innovazioni organizzative di così ampia portata intenda riservare maggiore attenzione nel valutare le conseguenze e le ricadute sull'utenza scolastica, al fine di non scaricare sulla collettività e sulle famiglie il peso di decisioni poco ponderate. (5-01947)


   CAPUA, MOLEA e VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale n. 38 del 10 gennaio 2002 ha disciplinato le scuole superiori per mediatori linguistici, nate dalla trasformazione delle preesistenti scuole superiori per interpreti e traduttori;
   si tratta di più di 30 realtà, considerate eccellenze formative, presenti su tutto il territorio nazionale, istituite dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca che, al termine dei corsi triennali corrispondenti a 180 crediti formativi universitari, rilasciano titoli di studio equipollenti a tutti gli effetti ai diplomi di laurea rilasciati dalle università al termine dei corsi delle lauree universitarie in Scienze della mediazione linguistica;
   giova ricordare che le suddette scuole non comportano alcun onere da parte dello Stato, non godono di alcun finanziamento pubblico, né percepiscono alcuna forma di sovvenzione da parte del Fondo ordinario annuale delle università;
   l'accesso alle scuole per mediatori linguistici avviene dopo aver conseguito un diploma di scuola secondaria superiore, che presuppone anche una adeguata preparazione linguistica di base;
   tuttavia il suddetto regolamento non consente attualmente alle scuole di rilasciare anche il diploma magistrale di mediatore linguistico equipollente alle lauree magistrali rilasciate dalle università italiane; l'attuale diploma rilasciato non consente agli iscritti delle scuole superiori per mediatori linguistici il proseguo degli studi altrove in quanto sono solo una decina complessivamente nel territorio nazionale le lauree magistrali in interpretariato e traduzione attivate, con pochissimi posti disponibili;
   ad oggi, con il diploma di mediatore linguistico è possibile accedere solo alla magistrale di interpretariato (classe di laurea LM-94) non consentendo ai propri iscritti il proseguo dei percorsi universitari specialistici secondo le normative che disciplinano le classi di laurea L-12 (ex decreto ministeriale n. 270 del 2004) ovvero l'accesso a corsi di laurea magistrale secondo i regolamenti didattici previsti dalle singole autonomie universitarie;
   si rileva infine che la professione del mediatore linguistico comporta un continuo aggiornamento professionale scientifico e l'obbligo da parte dei professionisti a doversi specializzare in alcune aree e settori strategici particolarmente richiesti dal mercato del lavoro;
   al momento il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca non autorizza le scuole abilitate ad offrire percorsi di alta formazione e aggiornamento professionale, indispensabili per la professione degli interpreti e traduttori e il mantenimento delle competenze professionali maturate –:
   se non ritenga opportuno adottare iniziative, anche di tipo normativo, volte ad eliminare le criticità citate in premessa al fine di consentire a coloro che operano in un settore formativo particolarmente sensibile di inserirsi in contesti lavorativi internazionali e dinamici. (5-01948)


   VACCA, LUIGI GALLO, MARZANA, BRESCIA, SIMONE VALENTE, BATTELLI, DI BENEDETTO e D'UVA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   dalla riapertura della scuola dopo la pausa natalizia alcuni istituti veneti si sono venuti a trovare in situazioni igieniche non idonee; da articoli di stampa del 10 gennaio 2014 si apprende che circa 70 scuole sono a rischio chiusura perché troppo sporche in quanto la mancanza di igiene potrebbe mettere a rischio la sicurezza dei bambini;
   alcuni sindaci sono stati costretti a chiudere le scuole per operare disinfestazioni straordinarie, come ad esempio a Mira (Venezia), e in altri comuni limitrofi;
   già nella giornata di venerdì 10 gennaio i parlamentari del gruppo m5s della Commissione Cultura della Camera dei deputati Simone Valente, Gianluca Vacca e Sergio Battelli si sono recati a Mira, dove il sindaco è stato costretto a chiudere le scuole per verificare personalmente le condizioni igieniche delle scuole;
   la situazione trovata nelle scuole di Mira e di alcuni comuni limitrofi è risultata inaccettabile in quanto molte aule risultavano senza pulizia da prima delle vacanze natalizie;
   tale situazione sembrerebbe causata dalla diminuzione dei fondi ministeriali per le pulizie a cui conseguirebbe una contrazione delle ore di pulizie che la Manutencoop – società esterna a cui è affidata il servizio di pulizie degli istituti – ha a disposizione per svolgere i servizi;
   la Manutencoop ha appalti in tutto il nord Italia e tale situazione potrebbe verificarsi, oltre che nella provincia di Venezia, anche in altre regioni;
   il deputato Luigi Gallo, in data 8 gennaio 2014, ha presentato una interpellanza urgente riguardante i lotti di appalti di servizi concessi attraverso la gestione Consip, di cui beneficia anche Manutencoop, chiedendo al Governo quali provvedimenti intendeva adottare per rivedere il modello di organizzazione e gestione della Consip, affinché l'organismo di vigilanza, costituito all'interno della Consip, dotato di autonomi poteri di controllo, risultasse in grado di vigilare sul funzionamento, sull'efficacia e sull'osservanza del «Modello di organizzazione e gestione»;
   l'affidamento dei servizi di pulizia ed altri servizi tesi al mantenimento del decoro e della funzionalità degli immobili, per gli istituti scolastici di ogni ordine e grado e per i centri di formazione della pubblica amministrazione è suddivisa in tredici lotti ed il criterio di aggiudicazione adottato è basato sulla offerta economicamente più vantaggiosa in cui l'offerta tecnica ha un valore massimo di 60 punti mentre l'offerta economica ha un valore massimo di 40 punti; mentre l'importo massimo complessivo di tutti i lotti è pari a 1.795.860.000,00 di euro, IVA esclusa;
   nei mesi precedenti, sia in occasione della discussione sul decreto-legge n. 69 del 2013 che sul decreto-legge n. 104 del 2013, i parlamentari del Movimento 5 Stelle avevano presentato delle proposte emendative che contrastavano la politica delle esternalizzazioni proponendo, invece, l'assunzione di collaboratori scolastici direttamente alle dipendenze dello Stato;
   tale proposta risultava sostenibile dal punto di vista dei costi in quanto, per stessa ammissione del Governo, la spesa massima che si sarebbe sostenuta attraverso l'assunzione diretta di 11.851 collaboratori supplente, sapendo che lo stipendio lordo di un collaboratore scolastico supplente è pari a euro 23.581 compresa l'indennità di vacanza contrattuale, sarebbe risultata pari a 280,2 milioni l'anno a fronte di una spesa per le società esterne pari a 390 milioni l'anno;
   la politica delle esternalizzazioni che, spesso, non porta ad ottenere conseguenti economie di gestione, sono vantaggiose solo per quelle società, talvolta legate ai partiti, che devono realizzare profitti a discapito dei servizi pubblici e degli stessi lavoratori –:
   come il Governo intenda rimediare all'emergenza venutasi a creare nelle scuole venete, e se intenda rivedere il sistema della gestione dei servizi di pulizia alla luce dell'evidente fallimento e dei maggiori oneri che lo Stato deve sostenere rispetto ad una gestione diretta che comprenda l'assunzione dei collaboratori scolastici. (5-01949)


   DI LELLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del direttore generale per il personale scolastico n. 82 del 24 settembre 2012 sono stati indetti concorsi a posti e cattedre, per titoli ed esami, finalizzati al reclutamento del personale docente nelle scuole dell'infanzia, primaria, secondaria di I e II grado;
   i direttori generali dei competenti uffici scolastici regionali erano responsabili dello svolgimento dell'intera procedura concorsuale e dell'individuazione dei vincitori;
   carenze organizzative hanno caratterizzato la gestione del concorso alcune particolarmente gravi come quelle dell'ufficio scolastico regionale del Lazio che a ridosso del termine ultimo per la definizione della graduatorie di merito affermava di non essere in grado di pubblicare nessuna delle graduatorie delle varie classi di concorso. Sono state inoltre riscontrate differenze di comportamento da regione a regione sullo stesso bando di concorso;
   con riferimento al predetto concorso nelle graduatorie di merito concorsuali compilate dalle commissioni giudicatrici degli uffici scolastici regionali il numero dei vincitori idonei è superiore al numero di posti previsti nel bando;
   il decreto legislativo del 16 aprile 1994, n. 297, articolo 400, comma 17, e articolo 399, comma 1, stabilisce che i docenti saranno immessi in ruolo per il 50 per cento dalle graduatorie ad esaurimento e per l'altro 50 per cento dalle graduatorie di merito scaturite da concorso, facendo scorrere queste ultime fino all'espletamento del concorso successivo;
   il Ministro con una nota operativa del 20 agosto 2013, contrariamente a quanto stabilito all'articolo 399, comma 1, del testo unico della scuola ha chiesto agli uffici scolastici regionali di effettuare le chiamate in graduatoria di merito solo fino al numero di posto previsti dal bando e di assegnare gli altri eventuali posti con chiamate dalle graduatorie ad esaurimento;
   attraverso le ultime procedure concorsuali si è messa in atto una dura selezione delle eccellenze del nostro Paese e si è giunti ad un elenco di docenti la cui preparazione è stata certificata nel modo più inoppugnabile;
   la sentenza del Consiglio di Stato n. 6247 del 27 dicembre 2013 avvalorerebbe la necessità di far scorrere le graduatorie di merito degli idonei a fronte di un piano di assunzioni –:
   quali azioni il Ministro intenda intraprendere per riconoscere, con effetto immediato, agli idonei del concorso qualora non abilitati il titolo abilitante per entrare almeno nella seconda fascia delle graduatorie di istituto. (5-01950)


   SANTERINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 25 marzo 2013, n. 81 ha istituito il Percorso formativo abilitante speciale (PAS, anche detto TFA Speciale) per consentire a docenti precari con almeno 3 anni di servizio, sprovvisti però della relativa abilitazione, di accedere a tali Corsi Abilitanti senza prevedere alcuna prova di selezione;
   con decreto del dirigente generale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca 25 luglio 2013, n. 58, è stata disposta l'attivazione di corsi speciali per il conseguimento dell'abilitazione all'insegnamento per ogni scuola di ordine e grado;
   per quanto concerne i percorsi formativi abilitanti speciali per la scuola dell'infanzia e scuola primaria, all'articolo 1 del su citato decreto, si richiede, come titolo di studio, il solo diploma di scuola magistrale o di istituto magistrale o di titolo di studio sperimentale dichiarato equivalente, conseguiti entro l'anno scolastico 2001/2002;
   si apprende che coloro che hanno conseguito un diploma di cui al punto precedente sostengono presso il Ministero la richiesta che tale titolo venga considerato a tutti gli effetti abilitante, richiamando peraltro pareri espressi nelle sedi europee, ritenendo quindi illegittima la richiesta di un percorso abilitante ulteriore;
   tale percorso formativo, dal punto di vista formale, tende ad equiparare il livello di competenze di coloro che lo frequentano a quello raggiunto da coloro che sono in possesso della laurea di cui alla classe di laurea LM-85-bis (scienze della formazione primaria), e titoli equivalenti, corsi della durata quinquennale che comprendono specifici percorsi disciplinari nelle scienze socio-psico-pedagogiche, laboratori e tirocini;
   il 25 ottobre 2013 la Conferenza universitaria nazionale di scienze della formazione dichiara «l'indisponibilità ad attivare i PAS per la Scuola dell'infanzia e per la Scuola primaria, così come previsti, in quanto rappresentano un grave vulnus per la qualità della formazione in genere e la sua credibilità, anche presso le giovani generazioni, in particolare a 15 anni dall'istituzione del Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria che ha sancito la necessità di una formazione universitaria specifica per l'insegnamento in tali ordini scolastici e dopo che diverse possibilità “speciali” sono già state offerte nel corso degli anni per assicurare la possibilità di abilitarsi a chi non era in possesso di tale requisito» –:
   quali iniziative, anche di natura normativa, intenda il Ministro porre in essere al fine di garantire quella qualità indispensabile per accedere all'insegnamento nella scuola dell'infanzia e nella scuola primaria, facendo fronte alle sfide del miglioramento della formazione a livello europeo. (5-01951)


   ROCCHI, COSCIA, BELLANOVA, MARTELLA, MALPEZZI, CAROCCI, GHIZZONI, ASCANI, BLAZINA, BOSSA, COCCIA, D'OTTAVIO, LA MARCA, MALISANI, MANZI, NARDELLA, NARDUOLO, ORFINI, PES, PICCOLI NARDELLI, RACITI, RAMPI e ZAMPA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni si sta determinando una vera e propria emergenza pulizia nelle scuole emersa, in diverse aree territoriali, con lo stato di agitazione dei lavoratori transitati alle ditte appaltatrici della nuova gara CONSIP. La situazione emergenziale rischia di allargarsi nei prossimi giorni in tutta Italia; molti dirigenti scolastici si sono trovati improvvisamente, ad anno scolastico iniziato, in una situazione di grave difficoltà poiché, con il listino dei prezzi delle ditte da una parte e gli esigui fondi dall'altra si trovano a fare scelte difficili che riguardano non solo la garanzia di pulizia ed igiene degli ambienti scolastici, ma, spesso, la vigilanza stessa dei minori e i servizi essenziali ad alunni disabili. Si tratta di contrazioni che portano anche ad interrompere la continuità nella pulizia e custodia, tali da consigliare la chiusura di plessi. In tal senso, la repentina e non negoziabile contrazione dei servizi ha generato forte allarme nelle famiglie tanto che, per tamponare la situazione, in alcune province, sono dovuti intervenire i prefetti;
   al disagio delle scuole e delle famiglie si aggiunge quello dei lavoratori che operano presso le ditte appaltatrici il cui reddito arriva a contrazioni medie di oltre il 60 per cento;
   la drammaticità di questa situazione trova la sua origine nei drastici tagli al settore avvenuti negli ultimi anni; con il decreto-legge n. 112 del 2008 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, infatti, sono state operate le prime riduzioni ai servizi esternalizzati per le pulizie degli edifici scolastici che, nel tempo, hanno visto un calo di oltre 1 terzo. Infatti, nel 2011 si destinavano circa 600 milioni per le pulizie assegnate all'esterno e nel 2013 sono stati stanziati per questo capitolo poco più di 400 milioni;
   circa l'assegnazione delle risorse non sono chiari i criteri in base ai quali alle scuole è stata trasmessa una comunicazione di attribuzione di fondi per servizi aggiuntivi di pulizia e, dopo alcuni giorni, una errata corrige che attribuiva risorse notevolmente ridimensionate per le medesime finalità;
   da settembre 2013 è partito il processo per le assegnazioni dei servizi esternalizzati attraverso una gara europea lanciata da Consip, la piattaforma digitale degli acquisti della pubblica amministrazione, procedura che aveva come obiettivo dichiarato l'ottimizzazione di servizi già resi dalle storiche ditte esterne (soprattutto al centro nord) o a convenzioni con cooperative di ex lavoratori socialmente utili (al sud) e non certo, come purtroppo è avvenuto, l'esplosione di tanti disservizi e penalizzazioni per i lavoratori ritrovatisi di fronte ad un improvviso taglio delle ore di lavoro, tale da rendere impossibile la garanzia di adeguati livelli di igiene dei locali scolastici;
   le procedure si sarebbero dovute concludere entro il 31 dicembre 2013 ma ad oggi non si conosce né l'esito delle assegnazioni né i termini degli appalti stessi;
   alla complessa situazione delineata si aggiunge anche lo stato di agitazione dei lavoratori socialmente utili (LSU) impiegati nei servizi di pulizia per i quali nella legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità) prevede un iter che consenta di andare verso il definitivo superamento delle situazioni di precarietà nel loro impiego ma che, ad oggi, appare ancora in definizione –:
   come il ministro interrogato intenda intervenire per il ripristino del corretto servizio di pulizia e di vigilanza nelle istituzione scolastiche e porre fine a questa grave situazione di incertezza per i lavoratori delle ditte appaltatrici, e per i lavoratori socialmente utili. (5-01952)


   COSTANTINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   a partire dall'anno accademico 2007-2008 e per i successivi tre anni la Commissione regionale pari opportunità (CRPO) della regione Piemonte, su sollecitazione del Centro interdisciplinare di ricerche e studi delle donne (CIRSDe), ha promosso mediante convenzioni con i rettori delle università piemontesi quattro corsi di «Storia delle donne e di genere», che sono stati attivati nelle Facoltà di Lettere dell'università di Torino e dell'università del Piemonte Orientale (Vercelli), e nella Facoltà di Scienze politiche dell'università del Piemonte orientale (Alessandria);
   nel 2011, con l'insediamento del nuovo consiglio regionale e della nuova Giunta, la CRPO è decaduta senza aver rifinanziato i corsi del CIRSDe;
   pur essendo il costo di ciascun progetto attivato di circa 6.000 euro, una cifra esigua, neppure le università hanno ritenuto di farsi carico di assicurarne la continuità, adducendo a motivazione il taglio delle risorse assegnate alle università dalla cosiddetta riforma Gelmini;
   nello stesso anno 2011 anche le risorse assegnate alla nuova CRPO sono state ridotte di oltre il 57 per cento, da 150 mila a 64 mila euro, mentre risultano del tutto azzerate nel 2012 e per l'anno 2013 non è certo uno stanziamento di appena 30 mila euro;
   i corsi di «Storia delle donne e di genere» hanno raccolto un grande interesse da parte di studentesse e di studenti, registrando la partecipazione di circa 600 studenti, 400 esami registrati e quindici tesi discusse. Inoltre, i corsi hanno coinvolto quattro docenti a contratto: due all'università di Torino, due all'università del Piemonte Orientale, rispettivamente a Vercelli e Alessandria;
   nella primavera del 2012 le studentesse del collettivo Alter Eva di Torino hanno lanciato un appello contro la chiusura dei corsi e raccolto numerose firme, presentate al Senato accademico dell'università di Torino a conclusione di un seminario autogestito e di una giornata di studi; il Senato accademico ha garantito che avrebbe preso in considerazione la richiesta, ma finora nulla è avvenuto;
   il patrimonio di sapere accumulato dagli studi delle donne e di genere rappresenta una preziosa risorsa culturale collettiva, anche grazie a una consolidata tradizione interdisciplinare che ha prodotto nuovi oggetti di ricerca e paradigmi interpretativi innovativi, diventati un punto di riferimento imprescindibile per tutto il dibattito teorico internazionale;
   la prospettiva di genere non è una specializzazione eccentrica che meriti tutt'al più di sopravvivere in una sorta di riserva culturale, a disposizione soltanto di quelle donne interessate a coltivarla e applicarla, separata di fatto dagli altri insegnamenti universitari, oltre che sostanzialmente assente dagli studi primari. Si tratta di un campo di sapere e di un'impostazione metodologica che meriterebbe di pervadere tutte le discipline, di trovare spazio e riconoscimento presso l'intera comunità scientifica, anche perché, solo a partire da una nuova formazione e consapevolezza riguardo al ruolo delle donne nella storia, nel sapere, nella società e al riconoscimento della discriminazione, sarà possibile diffondere una vera cultura della parità dei sessi in grado di prevenire anche il cancro della violenza degli nomini sulle donne;
   la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, chiamata comunemente Convenzione di Istanbul e ratificata dal Parlamento italiano con la legge n. 77 del 27 giugno 2013, recita all'articolo 4 (Educazione), comma 1: «Le Parti intraprendono, se del caso, le azioni necessarie per includere nei programmi scolastici di ogni ordine e grado dei materiali didattici su temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati, il reciproco rispetto, la soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, la violenza contro le donne basata sul genere e il diritto all'integrità personale, appropriati al livello cognitivo degli allievi»;
   la vicenda illustrata mostra, invece, la fragilità delle strategie perseguite nel tentativo di rendere accessibili gli studi di genere all'interno dell'offerta formativa universitaria: colmarne l'assenza con interventi sporadici non è sufficiente, perché si scontra con le tendenze conservative dell'università italiana, aggravate e legittimate dall'idea che in tempi di crisi e scarsità di risorse gli studi di genere siano superflui;
   la chiusura dei tre corsi attivati presso l'università di Torino e l'università del Piemonte orientale ha comportato un impoverimento dell'offerta formativa, una marcia indietro nell'ambito dell'educazione alla cittadinanza e non ha consentito il rinnovo dei quattro contratti di docenza annuale (due da sessanta ore, due da trenta ore) –:
   se il Ministro interrogato non ritenga, data l'importanza di simili iniziative educative per l'affermazione delle pari opportunità, di farsi promotrice di progetti per la diffusione degli studi di genere e sessuali nelle università, anche attraverso l'assegnazione di risorse finalizzate a tali insegnamenti, nonché di contribuire al loro inserimento strutturale nei curricula universitari. (5-01953)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RAMPI e MOSCA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il territorio della provincia di Monza e Brianza consta di una popolazione superiore a 860.000 abitanti che lo colloca al quarto/quinto posto tra quelle Lombarde ed al ventesimo su scala nazionale, mentre se si prende in considerazione la sola città di Monza, questa risulta la terza città della Lombardia, dopo Milano e Brescia;
   all'interno del territorio provinciale, le istituzioni scolastiche statali sono 103 a cui fanno capo più di 343 punti di erogazione e tra queste si distinguono pregevoli eccellenze a livello nazionale; in aggiunta, per il settore paritario si devono considerare 117 scuole dell'infanzia, 22 scuole primarie, 19 secondarie di primo grado e 32 secondarie di secondo grado, il che porta a un complesso di 548 punti di erogazione del servizio e ad un totale di alunni che è prossimo alle 120.000 unità;
   due terzi degli esistenti uffici scolastici provinciali in Italia risultano sotto dimensionati rispetto a quello di Monza e Brianza, ma ciò nonostante godono di propri codici meccanografici ben distinti;
   l'istituzione a Monza di un ufficio scolastico decentrato, quale articolazione sub-provinciale dell'ufficio scolastico regionale è contenuta nel DDG Lombardia 3683 dell'8 ottobre 2001, articolo 8;
   dal 20 maggio 2002, assume la figura e le funzioni di uno sportello decentrato del centro servizi amministrativi (CSA) di Milano;
   nel 2004 l'organizzazione ministeriale dettata dal decreto ministeriale 1594 del 28 luglio 2004 a firma del Ministro pro tempore Moratti, tenne conto dell'avvenuta approvazione della legge n. 146 del 11 giugno 2004 con la quale si prevedeva espressamente un autonomo centro servizi amministrativi di Monza;
   il 7 settembre 2006 la direttiva ministeriale recante la firma del Ministro pro tempore Fioroni, reintroduceva la denominazione di «uffici scolastici provinciali» individuando nella dimensione provinciale l'ambito di attività degli esistenti centro servizi amministrativi e tra questi l'ufficio di Monza, il quale dalla citata direttiva trasse maggiore impulso per lo svolgimento di attività di supporto alle scuole e di rapporto con le realtà locali già dimensionate in previsione della nuova provincia;
   il successivo decreto di organizzazione decreto ministeriale 11 aprile 2008: «Riorganizzazione dell'Ufficio scolastico regionale per la Lombardia» – Ministro pro tempore Fioroni, prevedeva espressamente (articolo 5.4) l'ufficio scolastico provinciale di Monza, che è stato quindi istituito col successivo decreto del direttore generale per la Lombardia (DDG Lomb. n. 758 del 4 agosto 2008 – articolo 5);
   alla luce di quanto sopra, se non avvenisse l'immediato distacco dei codici istituzionali, si verrebbero a creare una serie di gravi disservizi che finirebbero col limitare notevolmente il servizio che da anni l'ufficio scolastico territoriale offre alle scuole: gestione dell'organico con relativi movimenti del personale docente e non, pratiche pensionistiche, consulenza per attività di rete, progetti comunitari, alternanza scuola lavoro, rapporti con gli enti locali, con l'ASL, organizzazione e gestione dell'attività sportiva scolastica esami di stato, servizio legale, scuole paritarie;
   oltre all'apprezzamento dei servizi forniti dall'ufficio scolastico provinciale di Monza e Brianza, soprattutto per le sinergie che è stato possibile attivare con le realtà del territorio ed i comuni, gli interroganti sono costretti ad evidenziare il grave «disagio» che i dirigenti scolastici, il personale e le famiglie hanno più volte manifestato rispetto a situazioni che a causa dei codici meccanografici ancora indistinti da Milano, vedono Monza e Milano sovrapporsi nelle varie operazioni o atti amministrativi che interessano le istituzioni scolastiche del territorio monzese –:
   quali iniziative urgenti si intendano assumere in merito. (5-01940)


   RAMPI, MALPEZZI, COVA, SENALDI, BAZOLI, CIMBRO, PREZIOSI, CARNEVALI, CINZIA MARIA FONTANA, MARANTELLI, COMINELLI, MOSCA e QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   come è noto a seguito dell'annullamento della prova scritta del concorso a dirigente scolastico è rimasto vacante in Lombardia quasi il 50 per cento delle posizioni di dirigenza;
   per la qualità e l'efficienza della scuola tale situazione rappresenta un danno grave;
   occorre garantire certezza dei tempi e delle modalità correzione delle nuove prove scritte in modo da garantire una definitiva e sollecita soluzione del problema –:
   quali iniziative siano in corso per garantire una definitiva soluzione della ben nota e triste vicenda del concorso relativamente ai dirigenti scolastici della Lombardia. (5-01941)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RIGONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   i dirigenti scolastici attualmente gestiscono una grande mole di lavoro in termini quantitativi e qualitativi, accresciuta di circa un quarto rispetto agli anni precedenti;
   sono state infatti nel tempo introdotte nelle scuole numerose normative, dalla dematerializzazione di tutti gli atti agli adempimenti relativi alla trasparenza, agli appalti, all'anticorruzione, sempre a retribuzione invariata e né va dimenticato che l'osservanza di tali adempimenti è poi concretamente sorretta da un regime sanzionatorio che colpisce personalmente ed esclusivamente il dirigente;
   dal 2007 vige inoltre un'inconcepibile violazione del principio costituzionale: cioè la parità di lavoro e di responsabilità in quanto i dirigenti scolastici possono essere retribuiti seconda tre diversi livelli stipendiali, a seconda della via per cui sono stati assunti nella funzione;
   la prolungata moratoria contrattuale blocca ogni prospettiva di allineamento delle retribuzioni a quelle degli altri dirigenti di seconda fascia come ad esempio quelli dei Ministeri, ciascuno dei quali coordina poche unità di personale e va esente da tutti gli oneri di rappresentanza;
   si apprende che il Ministero dell'economia e delle finanze, attraverso l'ufficio di controllo sul bilancio presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, avrebbe bloccato e sospeso i relativi contratti integrativi regionali sottraendo circa 16 milioni di euro dal Fondo per la retribuzione di posizione, risorse già appartenenti alla categoria ed all'area contrattuale di riferimento (in quanto parte della retribuzione dei dirigenti andati in pensione) –:
   se il Ministro interrogato non ritenga intervenire a tutela delle funzioni di dirigente reintegrando il Fondo per la retribuzione di posizione e di risultato di almeno 16 milioni di euro e se intenda altresì, sbloccare i 5 milioni di euro che l'amministrazione si era impegnata a stanziare già nel 2010, all'atto della firma del Contratto di lavoro e prima del blocco delle retribuzioni. (4-03254)


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità 2014, all'articolo 1, comma 178, proroga al 28 febbraio 2014 la conclusione dei contratti delle ditte esterne che si occupano di pulizie presso la scuola pubblica: 24.000 addetti, ex Lsu;
   si tratta, a parere degli interroganti, di un mero rinvio — tra l'altro non adeguatamente finanziato — di un problema che va avanti da troppi anni e che non risolverà la situazione di tanti lavoratori che si trovano in condizione di totale precarietà e incertezza. La causa potrebbe essere ricercata nella ostinata tendenza alle esternalizzazioni dei servizi perpetrata negli ultimi decenni dalle strutture pubbliche che hanno appaltato servizi all'esterno facendosi carico consapevolmente di lavoratori meno tutelati;
   lo stesso comma della legge di stabilità prevede l'attivazione di un tavolo interministeriale tra i dicasteri competenti, la cui prima assemblea si è svolta il 16 gennaio 2014 alla presenza dei sindacati Fisascat Cisl, Fisalcams Cgil e la Uiltrasporti;
   la necessità ribadita durante l'incontro è evidentemente quella di una stabilizzazione dei lavoratori, al duplice fine di garantire i lavoratori stessi ma anche un servizio essenziale come quello del mantenimento della salubrità negli edifici scolastici –:
   se non ritenga urgente individuare una soluzione per il mantenimento occupazionale e del reddito di almeno una parte dei lavoratori ex-Lsu, e per garantire altresì l'erogazione dei servizi scolastici di pulizia;
   quali iniziative si intendano intraprendere per una diversa collocazione, anche all'interno degli enti pubblici locali, dei lavoratori ritenuti in eccesso al fine di scongiurare l'ipotesi del licenziamento;
   se si intenda gradualmente eliminare il ricorso alle esternalizzazioni puntando al contrario all'internalizzazione dei servizi di pulizia degli istituti scolastici pubblici. (4-03260)


   LAFORGIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nel corso di queste settimane sono stati pubblicati gli esiti relativi all'acquisizione dell'Abilitazione scientifica nazionale, come previsto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 222 del 2011, prodotti da circa metà delle commissioni coinvolte;
   le commissioni hanno l'obbligo di esprimere un giudizio collegiale fondato sulla valutazione analitica dei titoli e delle pubblicazioni scientifiche presentati da ciascun candidato, previa sintetica descrizione del contributo individuale alle attività di ricerca e sviluppo svolte. Come previsto dall'articolo 8, comma 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 222 del 2011;
   il giudizio collegiale analitico previsto dalla legge italiana ha la funzione di garantire i candidati riguardo l'effettiva lettura e analisi delle pubblicazioni scientifiche presentate il cui tetto massimo, compreso tra 12 e 18, è definito per ogni settore disciplinare e fascia di abilitazione dal decreto ministeriale n. 76 del 2012, agli allegati C ed E.;
   la pubblicazione del giudizio collegiale analitico è l'unica modalità che si ha per conoscere le pubblicazioni presentate dal candidato e il giudizio che è stato dato loro dalla commissione, in una procedura pensata dal legislatore per essere totalmente trasparente. Permette inoltre di verificare di fatto se la commissione ha applicato gli stessi criteri di giudizio a tutti i candidati;
   oltre metà delle commissioni non ha rispettato la norma: si evidenziano numerosi casi in cui sono riscontrabili giudizi telegrafici di una decina di righe, con casi limite di sole tre righe e tre parole (05/B1 – zoologia e antropologia), nei quali non viene dato alcun giudizio analitico sui titoli e le pubblicazioni presentate dal candidato. Quest'ultimo, quindi, non è nelle condizioni di comprendere per quale motivo ha ricevuto un giudizio favorevole all'abilitazione ovvero, soprattutto, un giudizio non favorevole, impedendo de facto la totale trasparenza del concorso. Nasce inoltre il sospetto che la mancanza di un giudizio collegiale analitico sia legata alla non lettura di tutte le pubblicazioni, soprattutto quando anche i giudizi dei singoli commissari risultano telegrafici;
   la legge prevede che gli eventuali ricorsi siano a carico dei candidati per l'Abilitazione scientifica nazionale. In questo quadro normativo la pubblicazione dei giudizi collegiali in cui si evidenziano elementi di illegittimità avvantaggia coloro che hanno violato la legge, visto il costo dei ricorsi al TAR che impedisce a chi ha retribuzioni basse, come i ricercatori a tempo indeterminato e quelli precari, di permettersi l'assistenza legale per segnalare violazioni che sono evidenti;
   si dovrebbe procedere ad un'analisi approfondita dei verbali delle commissioni, richiedendo, laddove venisse riscontrata un'irregolarità evidente, come nel caso della presenza di giudizi collegiali telegrafici e non analitici, la riscrittura in modo conforme alle norme del verbale stesso, così da garantire a pieno la regolarità della procedura di abilitazione, la credibilità dell'università italiana a livello, internazionale, la dignità dei candidati e l'onorabilità delle nostre istituzioni –:
   quali iniziative di competenza si intendono assumere laddove venissero riscontrati comportamenti illegittimi delle commissioni che, si noti, dovranno anche valutare l'Abilitazione scientifica nazionale 2013;
   se non si renda necessario l'invio di una ulteriore circolare dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca alle commissioni, dopo quella protocollata il 25 maggio 2013 a firma del direttore generale Daniele Livon, che specifichi come l'assenza di una valutazione comparativa non significhi lasciare alle commissioni la libertà di usare criteri e modalità di giudizio diverse a seconda del candidato, determinando evidenti disparità di trattamento. (4-03272)


   CENTEMERO, RUSSO, CARFAGNA e ROTONDI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la scuola è il luogo della formazione libera e critica di ogni singolo cittadino, in quanto luogo naturale del confronto dialettico; i responsabili dell'istruzione devono quindi necessariamente approcciarsi agli studenti con un atteggiamento aperto, multiculturale e non ideologico, perché l'offerta formativa non può in alcun modo essere orientata ideologicamente o, peggio, politicamente e di parte;
   il 24 gennaio 2014 è in programma presso l'istituto scolastico liceo statale «Enrico Medi» di Cicciano in provincia di Napoli, in occasione della consegna dei premi agli alunni meritevoli 2012/2013, un convegno su «Merito e legalità», dove sono previsti interventi di autorevoli relatori rappresentanti istituzionali della Chiesa, della procura della Repubblica di Nola e dell'arma dei carabinieri; al medesimo convegno, sarebbe prevista anche la presenza di un parlamentare del Partito democratico;
   gli interroganti ritengono particolarmente utile il confronto, proprio in una scuola, di esponenti del mondo politico di varia estrazione, proprio per garantire l'indispensabile pluralismo di idee e posizioni necessario alla formazione della coscienza libera e critica degli studenti. Non si comprendono però i criteri e le ragioni che hanno indotto il dirigente scolastico a chiedere ad un autorevole esponente del Partito democratico di intervenire, escludendo di fatto la rappresentanza di tutte le altre forze politiche, e privando i giovani studenti che parteciperanno all'iniziativa del confronto tra posizioni diverse, a vantaggio dell'espressione di un solo pensiero peraltro privo di una specifica caratteristica di unicità;
   infatti, il parlamentare invitato non riveste alcun ruolo unico: in quanto parlamentare ve ne sono altri 944, se deputato ve ne sono altri 629, se componente della commissione antimafia ve ne sono altri 39;
   si profila così a giudizio degli interroganti una evidente discriminazione ed un grave esercizio di parziale formazione culturale –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti suddetti, e se intenda adottare le opportune iniziative per impedire un simile comportamento discriminatorio ed evidentemente di parte;
   se il Ministro intenda verificare se tali episodi non si siano già ripetuti in passato a tutto danno di una completa e non parziale formazione, con grave nocumento delle centinaia di studenti e famiglie che non hanno nessun interesse nell'indottrinamento di parte;
   se non si ritenga, ad horas, di porre in essere, nell'ambito della propria competenza, un'attività ispettiva per verificare quali siano le motivazioni che hanno indotto siffatti comportamenti, onde evitare di rendere l'istruzione pubblica una sorta di teatrino elettorale, ponendo in grave imbarazzo l'intera comunità educante;
   se sia a conoscenza dell'eventuale organizzazione, da parte del dirigente scolastico dell'Istituto citato, di altre iniziative, consentendo così ad altre formazioni politiche di rappresentare nelle medesime forme di diffusione la propria posizione;
   se non ritenga che un istituto dalle grandi tradizioni non rischi in questo modo di diventare una sorta di «succursale» di sezioni di partito con evidente disappunto delle famiglie e soprattutto con uno scadimento di autorevolezza e terzietà;
   quali siano, nell'ambito della propria competenza, le misure che si intendano adottare anche al fine di verificare l'idoneità del dirigente che organizza manifestazioni di contenuto ad avviso degli interroganti elettorale nell'ambio delle attività curricolare degli studenti, peraltro a spesa di tutti i contribuenti. (4-03277)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   BORGHI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 26 del mese di luglio 2006, alle ore 10.00, presso la sede del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Servizi integrati infrastrutture e trasporti per il Piemonte e la Valle d'Aosta in corso Bolzano n. 44 a Torino, è stato stipulato un accordo di programma per la realizzazione della modifica del tracciato di via Madonna di Campagna al servizio della nuova sede unica della questura del Verbano Cusio Ossola;
   ad oggi i lavori del richiamato progetto sono in fase di conclusione ma numerose problematiche sono riscontrate tra i residenti della zona. In particolare è fortissimo il disagio per la copertura esterna dell'edificio che riflette il sole creando notevoli problemi ai residenti che devono vivere tutto il giorno con le finestre chiuse;
   inoltre il riflesso causato dalla copertura crea un notevole pericolo per tutti gli automobilisti che utilizzano la trafficata arteria stradale confinante con la nuova questura in quanto si trovano «accecati» dal bagliore creato dal riflesso del sole;
   altra problematica di notevole importanza è l'allagamento, a seguito dei lavori svolti, di alcune zone a ridosso della nuova costruzione;
   nella giornata del 17 maggio 2012 l'architetto Bruno Bracchi della Architetti Associati SRL, progettista della richiamata nuova questura di Verbania, scriveva al signor Provveditore delle OO.PP. del Piemonte e della Valle d'Aosta dottor architetto Roberto Daniele lamentando gravi difformità tra il progetto oggetto di valutazione con quanto realizzato dalla ditta vincitrice dall'appalto;
   tra le lamentele fatte l'architetto Bruno Bracchi sostiene «del mio progetto, quindi, è rimasto fondamentalmente l'impianto volumetrico, quasi tutto il resto è stato rovinato»;
   l'opera richiamata è costata diversi milioni di euro e negli scorsi giorni l'interrogante ha avuto un incontro con i residenti della zona limitrofa alla nuova questura e, ad oggi, le problematiche risultano non essere state risolte e nemmeno affrontate –:
   se a fronte di quanto sopra esposto, i Ministri non ritengano di intervenire per fare chiarezza sulle responsabilità da cui sono derivati i numerosi disagi richiamati, unitamente alle eventuali gravi difformità tra il progetto e l'esecuzione dello stesso a fronte della lettera dell'architetto Bruno Bracchi;
   se i Ministri non ritengano di intervenire presso il provveditorato delle OO.PP. per trovare una soluzione definitiva al problema del riflesso causato dalla copertura dell'edificio e dell'allagamento delle zone limitrofe allo stesso. (3-00583)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PIAZZONI, PILOZZI e ZARATTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nelle scorse settimane, diversi articoli di stampa hanno raccontato delle intenzioni del presidente dell'INPS, Antonio Mastrapasqua, di far partecipare l'Inps, tramite una delle società che gestisce il patrimonio immobiliare dell'ente previdenziale, in un affare immobiliare con il costruttore Luca Parnasi e la sua «Parsitalia»;
   in particolare, nell'articolo uscito sul «Fatto Quotidiano» del 4 dicembre 2013, a firma del giornalista Marco Palombi, viene descritto come, sulla base di un presunto accordo del 31 luglio, il Presidente Mastrapasqua voglia far partecipare l'ente da lui diretto in un progetto immobiliare denominato «EcoVillage», ideato e condotto proprio dal Parnasi, dietro la cessione di un palazzo nel centro di Roma in via Pianciani di proprietà INPS, valutato 65 milioni di euro che verrebbe ceduto a Parnasi unitamente ad una somma di denaro;
   dalla lettura dell'articolo, si evince che l'immobile di via Pianciani, che l'Inps cederebbe per entrare nell'affare immobiliare, è attualmente in uso da parte della provincia di Roma, che ne avrebbe anche il diritto di prelazione da esercitare entro il 2014 al prezzo di 70 milioni di euro;
   sempre dalla stampa, si deduce che l'iniziativa imprenditoriale non si è ancora conclusa anche per l'espressa contrarietà del direttore generale dell'Inps, Mauro Nori, il quale avrebbe, per iscritto, espresso i suoi dubbi circa la convenienza economica dell'iniziativa imprenditoriale appena descritta;
   l'Inps è oggi un ente la cui stabilità economica e finanziaria risulta costantemente in bilico e, data anche la sua natura e funzione, non si comprende la motivazione di voler investire in un progetto immobiliare dai risvolti economici e finanziari, vista l'incertezza e la crisi del mercato immobiliare nazionale, tutta da dimostrare;
   in altri termini, l'lnps, investendo nel progetto immobiliare EcoVillage, metterebbe a repentaglio ingenti risorse finanziarie, oltre che privarsi di un importante elemento del suo asset immobiliare;
   inoltre, l'investimento di cui si parla, l'EcoVillage della società Parsitalia, si caratterizza per andare, letteralmente, a devastare una delle ultime aree agricole nel quadrante sud di Roma, nell'area del comune di Marino, già pesantemente antropizzata, appesantita da un rilevante traffico veicolare, che certo subirebbe i danni di un progetto che prevede, a detta dei Comitati subito costituiti nel comune di Marino, circa 15.000 nuovi residenti con tutto il corollario di autoveicoli, inquinamento, consumi idrici legati –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e, in tal caso, quali iniziative urgenti intenda assumere al fine di evitare che l'Inps intraprenda quelle che agli interroganti appaiono speculazioni immobiliari potenzialmente dannose per la stabilità finanziaria dell'ente;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per limitare tutte quelle attività svolte dall'ente previdenziale che esulano dai compiti istituzionali dello stesso.
(5-01955)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   GAGNARLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   i roccoli sono impianti per mezzo dei quali, grazie alle reti da uccellagione, peraltro severamente proibiti dalla direttiva «uccelli» 2009/147/CE, vengono catturati piccoli uccelli migratori e consegnati ai cacciatori, per essere inanellati ed utilizzati come «richiami vivi» durante l'attività venatoria;
   la cattura e la detenzione dei richiami vivi è una condizione di forte violenza sugli uccelli che provoca gravi danni fisici e prefigura diversi profili di illegalità, più volte richiamati persino dalla Commissione europea;
   nella notte tra il 10 e l'11 dicembre 2013, nell'impianto di cattura Zovetto in località Monte Zovetto nel comune di Roana (VI) è stato catturato un raro esemplare di «Civetta capogrosso» (Aegolius funereus). Il povero animale è rimasto intrappolato per tutta la notte, morendo di stenti e per assideramento;
   la civetta capogrosso è una specie superprotetta sia dalla legge sulla caccia n. 157 del 1992 sia dalla convenzione di Washington, la CITES, che dalla Direttiva Uccelli 2009/147/CE;
   in particolare, nel corso dell'indagine EU-Pilot 1611/10/ENVI con la nota del 10 dicembre 2010 indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei ministri dell'Italia, la Commissione europea ha rilevato che la pratica di autorizzazione alla cattura di richiami vivi con reti, non rispetta la direttiva «Uccelli» 2009/147/CE, perché esistono alternative naturali di prelievo degli stessi, le deroghe non sono applicate in condizioni rigidamente controllate come richiesto dalla direttiva, e le reti usate per le catture non garantiscono la selettività;
   la mancanza di selettività delle reti da uccellagione utilizzate è stata tristemente dimostrata dalla morte della «civetta capogrosso» specie rara e protetta da normative nazionali, comunitarie ed internazionali;
   nonostante i moniti dell'Unione europea ed i continui pareri negativi dell'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), Istituto tecnico scientifico dello Stato, le province e la regione veneto continuano ad autorizzare impianti di cattura muniti delle reti da uccellagione, mezzo di cattura non selettivo, vietato dall'articolo 8 della direttiva «Uccelli» 2009/147/CE spendendo denaro pubblico, circa 200 mila euro solo nel 2013;
   l'utilizzo dei richiami vivi rappresenta una pratica ormai inaccettabile anche dal punto di vista culturale, in una società contemporanea sempre più attenta alle esigenze della natura ed al rispetto degli animali;
   l'articolo 13 della cosiddetta legge europea 2013 bis, in corso di esame in Commissione, è volto a superare i rilievi formulati dalla Commissione europea nell'ambito del caso EU Pilot 1611/10/ENVI, avviato per ritenuta difformità della normativa italiana relativa alla cattura degli uccelli da utilizzare come richiami vivi, rispetto alle disposizioni della direttiva 79/409/CEE, come modificata dalla direttiva 2009/147/CE. Ad avviso della Commissione europea infatti, la normativa italiana non prevede in maniera espressa l'obbligo di rispettare le rigorose prescrizioni stabilite all'articolo 9 della direttiva nell'esercizio dell'attività di cattura di uccelli da utilizzare come richiami vivi. Pertanto si rende necessario, secondo la Commissione, «modificare la legge 157/92 affinché risulti chiaro che la cattura di uccelli da utilizzare come richiami vivi possa avvenire esclusivamente se autorizzata in maniera conforme a tutti i requisiti di cui all'articolo 9 della suddetta direttiva» –:
   cosa intenda fare il Ministro interrogato, nell'ambito delle sue competenze e nelle more dell'approvazione del disposto della legge europea 2013 bis, affinché in tutto il territorio nazionale vengano rispettati i dettati dalla direttiva europea 79/409/CEE, come modificata dalla direttiva 2009/147/CE, circa il divieto di ogni forma di utilizzo degli uccelli come richiami vivi e di ogni impianto con reti di uccellagione non selettivi, finalizzato alla loro cattura ed allevamento sempre ai fini del mero utilizzo come richiami vivi. (4-03263)

SALUTE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
XII Commissione:


   RONDINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che al Ministero della salute sia già stata predisposta la lista per la chiusura per i piccoli ospedali con meno di 120 posti letto, inseriti nel nuovo patto per la salute. Se regioni e Governo daranno il via libera per la maggior parte sarà l'ora di chiudere i battenti;
   da anni leggi finanziarie, decreti e piani regionali rappresentano la necessità di chiusura dei nosocomi, ma in 175 secondo il piano rimangono a rappresentare altrettanti monumenti allo spreco;
   le cronache spesso ci riportano di ospedali sia con un numero basso di posti letto sia di altri che risultano sotto utilizzati;
   ci sono strutture con 15-20 posti letto utilizzati anche meno di 3 giorni su 10. Per non parlare del personale. Se si mette a confronto il tasso di utilizzo reale dei pochi posti a disposizione ed il numero di chi ci lavora, si scopre che intorno a un letto in media si affaccendano sette, otto tra medici e infermieri;
   la lista in realtà sarebbe composta di 222 mini-nosocomi con meno di 120 posti letto, ma dall'elenco saranno da eliminare i servizi psichiatrici di diagnosi e cura, che in realtà ospedali non sono; gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, perché fanno ricerca; i centri per «post acuti», che servono per chi dopo un ricovero non è in grado di tornare a casa ma ha bisogno di cure meno intensive;
   alla fine delle esclusioni la lista è composta di 175 ospedaletti (per un totale di oltre 12 mila posti letto), tra i quali figurano anche alcuni collocati in zone disagiate, isole o montagne;
   appaiono macroscopici alcuni errori dovuti a dati non aggiornati circa le dimensioni e le destinazioni attuali delle strutture indicate: l'ospedale di Leno, provincia di Brescia, 16 letti e 68 dipendenti sempre nel 2010. Se i dati fossero aggiornati ci si sarebbe accorti che la struttura è stata già riconvertita da regione Lombardia a centro psichiatrico;
   altri esempi di strutture erroneamente inserite sono: l'ospedale di Varese dove regione Lombardia sta investendo 40 milioni di euro al fine di farne un polo di eccellenza pediatrica, l'ospedale di Melzo che dopo la completa ristrutturazione, costata circa 25 milioni di euro, porterà la riapertura di un'ala portando la capienza ad oltre 170 posti letto;
   appare inoltre macroscopicamente inusuale l'attività del Ministero che, secondo le disposizioni di legge, dovrebbe solo occuparsi di programmazione e non di imporre alle regioni ristrutturazioni che, secondo quanto previsto dal titolo V della Costituzione sono di esclusiva competenza per materia –:
   se il Ministro alla luce di quanto esposto non intenda rivedere in modo sostanziale gli studi che hanno portato alla compilazione della lista delle chiusure, essendo gli stessi datati e non più rispecchianti la situazione attuale, almeno per quanto riguarda la metà degli ospedali lombardi, soprattutto tenendo come riferimento i dettami costituzionali. (5-01935)


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   dal 4 dicembre ogni cittadino italiano potrà curarsi all'estero a spese dello Stato. Fino ad oggi, chi avesse avuto bisogno di cure mentre era fuori dall'Italia per motivi di studio o di lavoro avrebbe potuto usufruire della tessera sanitaria europea di assicurazione malattie, ma solo per situazioni non programmate: dall'accesso alle cure di base al pronto soccorso e altro;
   d'ora in poi invece i pazienti potranno andare all'estero anche con lo specifico obiettivo di farsi curare: il tutto a spese dello Stato di origine, che potrebbe chiedere un'autorizzazione preventiva solo in tre casi: cure che comportino il ricovero ospedaliero di almeno una notte; cure che richiedano una assistenza sanitaria altamente specializzata e costosa; nel caso infine che si richieda l'intervento di un particolare operatore per alcuni casi specifici;
   l'autorizzazione può anche essere rifiutata se si ritiene che esistano rischi particolari oppure se il servizio o l'intervento richiesto può essere erogato nel proprio Paese entro un termine giustificabile dal punto di vista clinico;
   le lunghe, lunghissime liste d'attesa attualmente presenti nella maggioranza delle strutture pubbliche anche per accertamenti diagnostici ormai di routine come una TAC o una risonanza magnetica, o per alcune visite specialistiche legate alle più comuni patologie cardio-vascolari, è possibile che creino dei flussi «migratori» verso i Paesi vicini in grado di assicurare un'assistenza di qualità in tempi ragionevolmente più brevi;
   d'altra parte la normativa europea «Sanità senza frontiera» potrebbe creare anche dei flussi verso l'Italia, i cui servizi godono di una ben meritata fama, se non fosse per l'esasperante lentezza delle code a cui i pazienti debbono sottoporsi e che spesso li obbliga a spostarsi verso l'attività intra moenia per ottenere risposte concrete entro tempi determinati –:
   cosa intenda fare il Ministro per ridurre le liste di attesa, che finiranno con favorire lo spostamento dei pazienti italiani verso l'estero con conseguente aumento dei costi complessivi del Servizio sanitario nazionale e quali urgenti iniziative intenda porre in essere per favorire l'inversione dei flussi orientandoli verso l'Italia e quindi creando anche nuove risorse economiche per la sanità e nuovi posti di lavoro per i giovani medici italiani. (5-01936)


   LENZI, BELLANOVA, MURER, CASATI, CAPONE, BENI, AMATO, IORI, PICCIONE, SCUVERA, GRASSI, BIONDELLI, PATRIARCA, MIOTTO, SBROLLINI, CARNEVALI e D'INCECCO. —Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   come è emerso anche dalla trasmissione televisiva «Presadiretta» condotta da Riccardo Iacona e Liza Boschin con la collaborazione di Marco Piazza andata in onda lunedì 13 gennaio alle ore 21.05 su Rai TRE il cosiddetto «Metodo Stamina» la terapia a base di cellule staminali del professor Davide Vannoni che promette di curare innumerevoli gravi malattie sta dividendo il pubblico e i media;
   in particolare nella vicenda Stamina si è generato un conflitto evidente tra autorità sanitaria e ricerca da una parte e la logica giuridica dall'altra, infatti in questo momento i dirigenti di uno dei più importanti ospedali pubblici italiani, gli «Spedali Civili di Brescia» si trovano nella paradossale situazione di rischiare incriminazioni penali se proseguono nei trattamenti eseguiti su disposizioni di altri magistrati, con eventuali altre conseguenze civili e penali se non adempiono;
   secondo i dati forniti dagli stessi «Spedali Civili di Brescia» aggiornati al 30 dicembre 2013 vi sono:
    a) 34 pazienti in trattamento;
    b) 138 pazienti in lista di attesa;
    c) 6 pazienti con ordine di prosecuzione oltre le 5 infusioni;
    d) 44 pazienti da trattare in collaborazione con Cell factory;
    e) 433 ricorsi ai giudici del lavoro di cui 147 respinti e 69 in attesa di decisione e 217 accolti;
   in caso di accoglimento, i magistrati, sulla base di una prescrizione fatta in generale dal dottor Andolina, obbligano la dirigenza degli Spedali civili di continuare con il «metodo Stamina» imponendo quindi ad un medico ortopedico di eseguire il carotaggio dal midollo osseo del donatore, ai tecnici di laboratorio di fare i necessari controlli e poi di lasciare alla biologa di Stamina di procedere, in segreto, alla manipolazione delle cellule che poi un altro medico, sia egli neurologo o pediatra dovrà procedere all'infusione senza per altro essere a conoscenza di che cosa stia iniettando al paziente;
   da parte sua il Comitato etico dell'azienda, chiamato a pronunciarsi ai sensi dell'articolo 1, comma 4, lett. c) del decreto ministeriale 5 dicembre 2006 ha ritenuto di «non poter esprimere parere favorevole al trattamento con medicinali per terapie avanzate a base di cellule staminali mesenchimali in collaborazione e secondo la metodica di “Stamina Foundation Onlus” per i nuovi pazienti»;
   il Comitato etico provinciale, con specifico riferimento ai nuovi pazienti, ha confermato il parere negativo già espresso dal Comitato etico dell'azienda;
   allo stato attuale l'unica fonte che legittima il «trattamento Stamina» è l'ordine di un giudice che con un proprio atto si sostituisce a decisioni che spettano agli organi tecnico scientifici nonostante la stessa Corte Costituzionale con sen. 26 maggio 1998 n. 185 in riferimento al «multi trattamento Di Bella», per alcuni profili simile alla vicenda «Stamina», ha chiarito che essa «non è chiamata, né potrebbe esserlo, a sostituire il proprio giudizio alle valutazioni che, secondo legge, devono essere assunte nelle competenti sedi, consapevole com’è dell'essenziale rilievo che, in questa materia, hanno gli organi tecnico-scientifici» –:
   per quali motivi fino ad oggi il Ministro interrogato non abbia mai fatto ricorso avverso le sentenze di quei giudici del lavoro che, nonostante le evidenze scientifiche e la mancanza di un protocollo medico, hanno con una loro sentenza obbligato gli spedali civili di Brescia a somministrate il metodo Stamina e se non ritenga opportuno da ora in avanti intervenire in sede giurisdizionale al fine di tutelare effettivamente il diritto alla salute così come previsto dall'articolo 32 della nostra Costituzione. (5-01937)


   GRILLO, CECCONI, BARONI, DALL'OSSO, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   entro il dicembre 2015 deve essere emanato il decreto del Ministero della salute sulla ridefinizione dei prodotti omeopatici sulla base di quanto concordato in un incontro tra Aifa, Ministero della salute e Omeoimprese avvenuto nell'ottobre del 2013;
   la questione rischia di incidere in maniera pesante e di mettere in crisi una realtà imprenditoriale che in Italia fattura 300 milioni di euro l'anno, ovvero il terzo mercato europeo dopo Francia e Germania, che occupa 4.000 lavoratori tra dipendenti e indotto, un settore economico che anche in un periodo di crisi economica ha una crescita valutabile intorno al 5 per cento l'anno ed è uno dei pochi settori che continua ad assumere;
   sembrerebbe che a rallentare l’iter di emanazione del decreto di ridefinizione dei prodotti omeopatici derivi da contrasti tra l'Aifa e il Ministero della salute, in particolare per quanto riguarda alle tariffe per il rinnovo dei prodotti che dovrebbero essere equiparate alla media europea e alla compilazione semplificata dei dossier per ogni farmaco omeopatico;
   i prodotti del settore interessati sono circa 11.000 e per la stragrande maggioranza sono in commercio da circa 25 anni;
   motivo del contendere più precisamente sembra che sia riferibile al costo da parte delle aziende che quando era molto oneroso, in quanto assimilato alla registrazione di nuovi farmaci, veniva introitato al 50 per cento dall'Aifa e al 50 per cento dal Ministero della salute, mentre ora che le tariffe sono state ridimensionate in quanto intese come rinnovo, e non registrazione, di farmaci già in commercio, l'Aifa rivendica di introitare integralmente le tariffe di rinnovo;
   gli stessi dipendenti delle aziende di prodotti omeopatici, hanno espresso con lettera al Ministro della salute e al Presidente del Consiglio dei ministri Enrico Letta, la loro forte preoccupazione per il rischio di perdita del posto di lavoro se non si procede alla emanazione del decreto per la registrazione di prodotti in commercio almeno dal 1995;
   gli stessi pazienti e i medici, ritengono inaccettabili azioni dilatorie che li penalizzerebbero nella scelta terapeutica e che rischia di imporre loro la rinuncia alla continuità di cura;
   gli interroganti ritengono inammissibile e miope che mentre il Paese è attraversato da una gravissima crisi economica, vi possano essere intralci burocratici o contrasti tra enti che di fatto provocano fibrillazioni e il rischio di crisi in un comparto che al contrario è in pieno sviluppo –:
   se il Ministro della salute non intenda procedere in tempi brevissimi alla emanazione del decreto relativo alla ridefinizione dei prodotti omeopatici sulla base di quanto concordato nella riunione presso il Ministero della salute tenutasi nel primi giorni del mese di ottobre, evitando che un settore produttivo in crescita, a causa di questo ritardo, rischi lo stato di crisi con pesanti ricadute in termini di perdita di posti di lavoro o di cassa integrazione. (5-01938)


   MONCHIERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   desta enorme preoccupazione quanto accaduto, in Piemonte, a Domodossola, ad una donna incinta che ha viaggiato per sette ore in ambulanza con le doglie prima di arrivare in ospedale. La donna, al sesto mese di gravidanza, si è rivolta all'ospedale San Biagio di Domodossola. Aveva in corso un parto gemellare prematuro, ma l'ospedale ha ritenuto che la gravità del caso suggerisse un punto nascita di secondo livello. Risulterebbe che essendo impegnata in un trasporto urgente l'ambulanza medicalizzata dell'ospedale, è stato chiesto l'intervento del 118;
   un'ambulanza è partita da Verbania per risalire sino a Domodossola e poi correre all'ospedale di Alessandria: 170 chilometri di autostrada, troppi per uno dei gemelli che è morto dopo il parto con taglio cesareo, mentre rimane sotto osservazione il fratello;
   la regione Piemonte ha subito avviato un'indagine, puntualizzando però che «Nonostante la riforma abbia previsto la chiusura del punto nascita di Domodossola, perché al di sotto dei requisiti minimi previsti dall'Oms e dall'accordo Stato-regione del 2010, oggi questa struttura risulta ancora aperta a seguito di un pronunciamento non definitivo del Tar»;
   il punto nascita di Domodossola — la cui chiusura era stata oggetto di forti tensioni — era dunque attivo, il medico ginecologo ha esaminato il caso e seguendo i protocolli ha trasferito la madre in ospedale di secondo livello;
   la drammatica conclusione della vicenda evidenzia, tuttavia, che protocolli e standard organizzativi non hanno consentito di dare alla puerpera l'assistenza necessaria –:
   di quali elementi disponga in merito agli avvenimenti citati in premessa e, in particolare, riguardanti la decisione di trasferire la paziente da Domodossola ad Alessandria con un percorso troppo lungo rispetto all'urgenza dell'intervento e quali eventuali iniziative intenda assumere.
(5-01939)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MONGIELLO, DI GIOIA, MICHELE BORDO, CERA e SANNICANDRO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto zooprofilattico sperimentale della Puglia e della Basilicata, con sede a Foggia appartiene al sistema dei 10 Istituti zooprofilattici sperimentali presenti sul nostro Paese;
   tale istituto è uno dei più antichi e prestigiosi, la sua nascita risale infatti al 1908 come sezione distaccata della neonata stazione sperimentale per lo studio delle patologie e l'applicazione di strategie profilattiche delle malattie infettive del bestiame istituita a Napoli per volere del Reale istituto di incoraggiamento alle scienze naturali;
   l'Istituto è un ente sanitario di diritto pubblico dotato di un autonomia gestionale, tecnica ed amministrativa, che opera nell'ambito del Servizio sanitario nazionale, in materia di igiene e sanità pubblica veterinaria, quale strumento tecnico-scientifico dello Stato e delle regioni Puglia e Basilicata;
   l'Istituto zooprofilattico sperimentale delle regioni Puglia e Basilicata attualmente consta di due centri di referenza: il Centro di referenza nazionale per l'antrace (Ce.R.N.A.) ed il Centro di referenza nazionale per la radioattività;
   da alcuni anni l'ente versa in una gravissima condizione di disordine amministrativo-gestionale e risale allo scorso mese di settembre 2013 una nota del Ministero della salute fornita ad un atto di sindacato ispettivo presentato presso il Senato della Repubblica (Atto n. 3-00322), in cui si sottolinea specificamente tale stato di criticità;
   lo stesso Ministero della salute indica che l'Istituto zooprofilattico sperimentale della Puglia e della Basilicata presenta un assetto interno difforme rispetto ai restanti Istituti zooprofilattici sperimentali operanti nel territorio nazionale, in conseguenza del mancato adeguamento alla normativa statale di riordino, di cui al decreto legislativo del 30 giugno 1993, n. 270;
   ciò ha contribuito a determinare anomalie e disfunzioni nell'organizzazione e nel funzionamento dell'ente tanto che il competente Ministero della salute ha provveduto ad effettuare ripetuti interventi per sollecitare l'attuazione della riforma introdotta dal legislatore nel 1993 e la conseguente adozione dei provvedimenti di nomina dei nuovi organi istituzionali dell'ente;
   inoltre, poiché in data 7 agosto 2012, è entrato in vigore il decreto legislativo del 28 giugno 2012, n. 106, che modifica in parte il decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 270, al fine di assicurare il pronto adeguamento alle nuove disposizioni, il Ministero, in data 28 giugno 2013, ha sottoposto al Presidente della conferenza delle regioni e delle province autonome la problematica attinente alla sollecita approvazione delle leggi regionali, attuative delle citate disposizioni;
   nel mese di luglio 2013, in ragione di tale problematicità, il Ministero ha acquisito notizie relative al verificarsi di impedimenti al regolare funzionamento di tale organo, determinati dal venir meno del numero legale dei componenti e dalla relativa mancata integrazione organica da parte delle regioni interessate. La regione Puglia ha informato il Ministero di aver avviato, a seguito dei descritti avvenimenti, il procedimento di scioglimento del consiglio di amministrazione dell'ente e di aver, contestualmente, provveduto alla nomina di un commissario straordinario;
   in proposito va ricordato che il perfezionamento dell’iter procedurale autonomamente attivato dalla regione Puglia prevede il necessario concerto della regione Basilicata, che non risultava essere stato acquisito;
   di conseguenza, il Ministero della salute, al fine di ripristinare il legittimo e funzionale assetto interno dell'ente in questione, con nota del 9 agosto 2013, ha sottoposto all'attenzione degli assessorati alla salute della regione Puglia e della regione Basilicata la necessità di provvedere alla condivisa attivazione del procedimento di scioglimento del consiglio di amministrazione dell'ente, ai sensi dell'articolo 11, commi 3 e 4, del decreto legislativo n. 106 del 2012;
   la norma appena richiamata stabilisce che, qualora ricorrano le cause dalla stessa indicate, il consiglio di amministrazione degli Istituti zooprofilattici sperimentali, anche su proposta del Ministero della salute, può essere sciolto dai presidenti delle regioni interessate, d'intesa con il Ministro della salute e con il Ministro dell'economia e delle finanze. In tal caso, i presidenti delle regioni, d'intesa con il Ministro della salute, nominano un commissario straordinario con il compito di rimuovere le irregolarità sino alla ricostituzione degli ordinari organi di amministrazione;
   allo stato attuale continua a perdurare lo stato di non conformità alla normativa vigente dell'istituto in questione ed anche le sigle sindacali sono intervenute per sollecitare un rientro urgente nella situazione di legittimità, proclamando al riguardo uno stato di agitazione dei lavoratori interessati;
   appare inderogabile un intervento risolutivo del Governo affinchè l'Istituto zooprofilattico sperimentale della Puglia e della Basilicata riacquisti un assetto funzionale e rispettoso delle norme che ne disciplinano il funzionamento e la gestione –:
   se non intenda intraprendere iniziative urgenti, se del caso con carattere di straordinarietà ed indifferibilità, volte a rimuovere le irregolarità in essere presso l'Istituto zooprofilattico della Puglia e della Basilicata sino alla ricostituzione degli ordinari organi di amministrazione ed al conseguimento di una stabile ed efficace gestione dell'ente. (5-01933)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE, LUPO, PARENTELA, CECCONI, DI VITA, BARONI, DALL'OSSO, GRILLO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la sentenza dell'8 ottobre 2013 relativa alla causa T-545/11 «Stichting Greenpeace Nederland contro la Commissione europea», dichiara annullata la decisione della Commissione europea del 10 agosto 2011, che negava l'accesso al volume 4 del progetto di relazione di valutazione della sostanza attiva Glisofato, redatto dalla Repubblica Federale di Germania;
   a fronte della recente sentenza, e richiamandosi all'articolo 32 della Costituzione, l'associazione WWF Alta Marca, facente parte del WWF Italia Onlus-Ong, ente morale riconosciuto con decreto del Presidente della Repubblica 4 aprile 1974 n. 493, individuata quale associazione perseguente finalità ambientale a norma degli articoli 13 e 18 della legge n. 349 del 1986, ha inviato alla dirigente del Ministero della salute, dottoressa Monica Capasso una lettera datata 11 dicembre 2013 con l'esplicita richiesta di accesso alla consultazione dei «coformulanti segreti» descritti nelle schede di sicurezza dei prodotti fitosanitari, gestiti dal Ministero della salute, ufficio VII;
   l'associazione, nella persona del vicepresidente del WWF Alta Marca Gilberto Carlotto, chiedeva al Ministero della salute l'accesso alle schede di sicurezza dei coformulanti segreti, gestiti dal database ufficiale, complete di tutte le informazioni (nomi, cas, quantità, classe di rischio, frasi di rischio e altro), approvati dal Ministero stesso;
   da molto tempo WWF Alta Marca si occupa di fitosanitari e del loro utilizzo, essendo l'area DOCG prosecco interessata da grandi quantità di pesticidi tossico-nocivi irrorati nei vigneti; l'accesso ai coformulanti attualmente secretati, si rende necessario in quanto determinerebbe la possibilità di ulteriori verifiche e approfondimenti nell'interesse della pubblica salute e sicurezza –:
   se non ritenga necessario e improcrastinabile rispondere positivamente alla richiesta di accesso formulata dal vicepresidente WWF Alta Marca data l'importanza che riveste l'accesso alle schede di sicurezza di tali coformulanti, attualmente segreti. (4-03258)


   PALESE e FUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dal quotidiano La Repubblica del 20 gennaio 2014 (edizione nazionale – pag. 19) che in Puglia, nella notte tra il 16 e il 17 gennaio scorsi, i parenti di una donna di 69 anni di Terlizzi, affetta da mieloma multiplo ed in preda ad una crisi respiratoria, avrebbero chiamato il 118 e sarebbe arrivata un'auto con un infermiere ma priva di medico; la donna sarebbe stata trasportata al pronto soccorso dell'ospedale di Terlizzi dove i medici avrebbero detto che necessitava di ricovero in rianimazione ed essendo quell'ospedale privo del reparto di rianimazione, i medici avrebbero cercato posto negli altri ospedali pugliesi;
   sempre stando al resoconto di stampa, i familiari della donna sostengono che la loro parente sarebbe rimasta in barella per circa sei ore, che al Policlinico di Bari erano bloccati i ricoveri in rianimazione e che in nessun altro ospedale pugliese c'era un posto disponibile in rianimazione, tanto che la donna sarebbe stata intubata e trasportata a Potenza (due ore di auto) dove c'era il primo (e più vicino) posto letto utile in rianimazione. Lì la donna sarebbe arrivata in condizioni critiche e sarebbe morta dopo poche ore;
   la sanità pugliese negli ultimi anni, sotto il governo Vendola, ha portato avanti un piano di rientro basato quasi esclusivamente sui tagli ai servizi e non agli sprechi e, contemporaneamente, la stessa amministrazione guidata da Vendola ha imposto ai cittadini pugliesi centinaia di milioni di euro di tasse regionali aggiuntive destinate a ripianare il deficit sanitario;
   recentemente il Governo regionale ha reso noto di aver superato tutti gli step delle verifiche ministeriali a valere su quel piano di rientro e che adesso i conti della sanità sarebbero in attivo ma, nonostante questo, anche per il 2014 sono state confermate tutte le tasse regionali aggiuntive in vigore nel 2013 per un totale di 270 milioni di euro –:
   se il Ministro non ritenga di dover avviare tutte le iniziative di competenza necessarie per fare piena luce sulla vicenda della donna di Terlizzi e, in particolare, se sia vero e come sia possibile che in un territorio il cui ospedale è privo anche del reparto di rianimazione, un'auto del 118 arrivi senza medico a bordo; se sia vero, e come sia possibile, che erano bloccati i ricoveri nella rianimazione del policlinico; come sia possibile che una donna in prenda ad una crisi respiratoria resti sei ore in barella e non possa essere subito ricoverata in un reparto di rianimazione, in una regione in cui i cittadini pagano 270 milioni di euro l'anno di tasse regionali aggiuntive;
   se il Ministro non ritenga di dover accertare con ogni mezzo se in Puglia vengano garantiti o meno ai cittadini i livelli essenziali di assistenza e, in questo caso, i servizi salvavita. (4-03271)


   RONDINI. —Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a conclusione di un’ inchiesta coordinata dalla procura della Repubblica e dalla direzione distrettuale antimafia di Milano, sono state eseguite nel capoluogo lombardo, a Roma e a Napoli sei ordinanze di custodia cautelare a carico di funzionari pubblici e titolari d'impresa, nell'ambito delle attività di bonifica del sito di Pioltello Rodano, nella periferia est di Milano;
   gli arresti riguardano reati di corruzione e traffico illecito di rifiuti nell'ambito delle attività di bonifica dell'ex area Sisas di Pioltello Rodano;
   da quanto si apprende dai mass media, l'indagine è durata oltre due anni ed ha evidenziato varie condotte illecite che vanno dalla truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, alla corruzione, alle attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, in ordine alla aggiudicazione dell'appalto per l'esecuzione dei lavori di bonifica del sito ed allo smaltimento dei rifiuti in siti di proprietà, previa fraudolenta declassificazione degli stessi da pericolosi a non pericolosi, con l'ottenimento di ingiusti profitti;
   l'ex area Sisas occupa una superficie di 330 mila metri quadri e comprende tre discariche, denominate A, B e C, con circa 280.000 tonnellate di rifiuti industriali – compresi idrocarburi policiclici aromatici, residuo della produzione di colle e solventi contaminati con mercurio – di cui 50.000 tonnellate di nerofumo, generati dai processi produttivi;
   le notizie sopraesposte hanno amplificato le preoccupazioni per l'incolumità dei cittadini locali, in quanto sembra evidente che la bonifica del sito non è stata ancora compiuta;
   sarebbe necessario informare la popolazione locale sullo stato di contaminazione dei luoghi e sulle scadenze e tempi nei quali intenda garantire la reale bonifica del sito di Pioltello Rodano, a tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini;
   l'inchiesta mette, secondo l'interrogante, in discussione l'effettività dell'avvenuta bonifica e lascia temere che vi siano ancora rischi per la comunità di Pioltello e le comunità dei comuni limitrofi, e, inoltre, se l'inchiesta abbia rilevato irregolarità nell'attività di smaltimento e trasporto dei rifiuti tossici e se vi siano nel Paese altri siti oggi a rischio a seguito dello smaltimento non controllato di rifiuti provenienti dal sito di Pioltello Rondano –:
   se il Governo intenda assumere iniziative al fine di avviare un'indagine epidemiologica sul territorio per il tramite dell'Istituto superiore di sanità al fine di verificare la situazione della popolazione residente nell'area. (4-03276)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
X Commissione:


   LACQUANITI, PIAZZONI, PILOZZI, MATARRELLI e FERRARA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Technicolor spa è un'azienda presente in Italia sin dal 1957 e oggi opera sul territorio nazionale con due sedi a Roma, in via Tiburtina e in via Urbana, che occupano complessivamente 94 persone; l'azienda è uno dei marchi storici leader nel settore della post produzione video e audio per il settore cinematografico e televisivo e occupa un posto di rilievo nella storia dei cinema italiano;
   nel corso dei quasi 60 anni di attività infatti, la Technicolor ha concretamente contribuito alla realizzazione di film entrati nella storia del cinema italiano e mondiale: da Amarcord a Nuovo Cinema paradiso, passando per Apocalypse Now e L'ultimo Imperatore, C'era un volta in America, Per qualche dollaro in più, il Piccolo Buddha, fino ai recentissimi Caro Diario; Buongiorno presidente; La grande bellezza; Sacro GRA; Romanzo Criminale; Gomorra; This must be the place; Baciami ancora; Basilicata coast to coast; Educazione siberiana. Questi alcuni dei titoli su cui le maestranze italiane hanno messo passione, competenza e professionalità;
   nel 2001, la Holding Francese Thomson Multimedia, multinazionale francese specializzata nella produzione di sistemi video e immagini digitali, acquista la Technicolor di Roma e nel 2011 ne acquisisce il nome, a ulteriore conferma del prestigio della casa italiana;
   negli ultimi tempi, la crisi del mercato cinematografico, che vede la graduale ma progressiva sostituzione delle tradizionali pellicole con il più moderno digitale, ha portato la Technicolor spa, sedi italiane, a compiere delle drastiche riduzioni di personale: tra il 2010 e la fine del 2011, oltre 160 dipendenti sono stati posti in mobilità. L'azienda ha sostanzialmente dismesso l'attività di post produzione sulle pellicole affidando in outsourcing le commesse che continua a ricevere alla società Deluxe;
   nonostante tali ridimensionamenti di personale, in data 25 novembre 2013 l'assemblea straordinaria di Technicolor spa ha deliberato la messa in liquidazione della società italiana, nominando il liquidatore nella persona del dottor Maurizio Cisterna, e giustificando tale scelta con il notevole calo del fatturato negli ultimi 24 mesi;
   tale drastica decisione è stata comunicata ai lavoratori il 26 novembre 2013 e ufficializzate e ai sindacati ed alle istituzioni competenti con una comunicazione del 2 dicembre 2013 in cui la società, senza alcuna possibilità di discussione e/o trattativa, significa infine di aver «avviato la procedura per la richiesta di Cassa integrazione guadagni straordinaria per un periodo di 12 mesi per cessazione attività per l'intero personale non dirigente, ossia n. 94 unità, a zero ore». Un successivo incontro tra i sindacati e l'azienda non ha sostanzialmente modificato la vicenda appena descritta;
   la decisione della Technicolor rappresenta senza dubbio un dramma per le 94 famiglie coinvolte, già sopravvissute a drastici processi di ristrutturazione effettuati dall'azienda e ora dinanzi a un futuro lavorativo incerto e complicato;
   la decisione unilaterale presa dalla proprietà francese, è grave anche per ulteriori motivi: come già detto, sin dal 1957 la società è protagonista della storia del cinema italiano per tutte quelle attività di post produzione in cui l'esperienza italiana ha fatto scuola per tutto il cinema mondiale;
   di più, il magazzino della Technicolor oggi può ben definirsi parte del patrimonio culturale dell'umanità poiché custodisce decine di migliaia di pellicole protagoniste della storia del cinema mondiale. Grazie alle attività di restauro compiute negli ultimi anni, in collaborazione con diverse scuole nazionali di cinema (Centro sperimentale, Scuola Gian Maria Volontè), film storici, come Un americano a Roma, L'armata Brancaleone, Satyricon, sono stati restaurati e restituiti alla cinematografia mondiale;
   la messa in liquidazione della società pone evidentemente in pericolo questo patrimonio culturale che richiede una cura e una manutenzione particolari e costanti che solo una società solida può garantire, ponendo le istituzioni pubbliche di fronte alla necessità di intervenire non solo per tutelare i 94 lavoratori ma anche per evitare che questo immenso patrimonio possa lasciare fisicamente il nostro Paese o addirittura finire per essere abbandonato a se stesso;
   alla luce degli eventi descritti, appare ancor più sorprendente la recente decisione dell'Unione europea di concedere alla Francia la cosiddetta «exception culturelle», l'eccezione culturale francese. La Francia infatti, è stata autorizzata dagli organismi comunitari a subordinare la concessione di finanziamenti pubblici alle iniziative culturali, al mantenimento di un livello minimo di attività di produzione sul territorio francese, proprio per garantire la conservazione della cultura francese ed evitare l'esternalizzazione delle produzioni in Paesi con costi più bassi;
   mentre la Francia si attiva per la conservazione delle sue specificità culturali e proprio una azienda francese decide di chiudere la Technicolor, l'Italia rischia di perdere un altro pezzo della sua storia culturale, dopo la chiusura degli stabilimenti di Cinecittà –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno intervenire affinché, di concerto con la proprietà e i rappresentanti dei lavoratori, vengano elaborate e percorse soluzioni imprenditoriali in grado di evitare la chiusura della Technicolor spa e il prosieguo delle attività da essa svolte e non ritenga altresì prioritario agire per la salvaguardia dell'immenso patrimonio cinematografico ancora nella disponibilità della Technicolor, oggi evidentemente in pericolo in seguito alle messa in liquidazione della società stessa. (5-01960)


   BENAMATI, SENALDI, MARTELLA, TARANTO e BASSO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dal 21 gennaio Fiat è proprietaria dell'intero capitale di Chrysler, il gruppo torinese ha, infatti, raggiunto l'accordo con Veba, il fondo pensioni del sindacato americano UAW, per acquisire il restante 41,5 per cento della casa di Detroit;
   per chiudere l'accordo, preannunciato dall'amministratore delegato Sergio Marchionne, sono stati complessivamente versati 3,825 miliardi di dollari, 1,750 miliardi di dollari provenienti dalle casse FIAT, 1,9 miliardi di dollari dalle casse Chrysler sotto forma di dividendo straordinario riservato ai due soci, Lingotto e Veba;
   i rimanenti 175 milioni di dollari rappresentano la prima di quattro tranche, dei complessivi 700 milioni di dollari, che ogni anno per i prossimi quattro saranno versate da Chrysler a vantaggio dei dipendenti dell'azienda;
   il consiglio di amministrazione previsto per il prossimo 29 gennaio 2014 deciderà la sede legale, la sede fiscale, la borsa di quotazione principale, nome e sede del quartier generale della nuova Fiat che ingloba Chrysler;
   l'operazione ha indubbiamente rafforzato la presenza di una azienda e di un marchio italiano nel mercato globale;
   l'acquisizione di Chrysler e la nascita di un grande polo dell'auto a base italo-americana, che si configura come uno dei maggiori attori in un settore ad alta competitività suscita speranza per l'evoluzione positiva del nuovo gruppo –:
   di quali informazioni disponga in relazione allo sviluppo futuro della nuova società e su quali siano gli intendimenti di questa relativamente alla sua presenza in Italia. (5-01961)


   VIGNALI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la crisi aziendale Alcatel-Lucent si protrae da diverso tempo;
   l'azienda ha in programma di operare una riduzione dell'organico di 580 unità, aggiuntive rispetto alle circa 400 già effettuate negli ultimi due anni;
   l'azienda pare muoversi in direzione della discussione delle competenze industriali italiane in particolare nell’ Optics, a favore di soluzioni di tipo commerciale;
   dette competenze sono frutto della presenza storica dell'italiana Telettra, che hanno consentito ad altre cartelle di eccellere a livello mondiale;
   l'indirizzo che parrebbe che l'azienda intenda seguire costituirebbe la perdita di un rilevante patrimonio nazionale, con grave danno al nostro sistema manifatturiero –:
   se il Governo abbia piena contezza del rischio della perdita di questo importante patrimonio tecnologico e quali iniziative intenda intraprendere nell'immediato. (5-01962)


   ALLASIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il fenomeno dei ritardi di pagamento della pubblica amministrazione rappresenta un vero ostacolo alla crescita competitiva delle imprese, con particolare riferimento a quelle di piccole dimensioni;
   per l'anno 2013, le risorse finanziarie rese disponibili agli enti debitori, a seguito dell'emanazione del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, ammontano a 24,4 miliardi di euro e di questi risultano pagati ai creditori 16,3 miliardi di debiti;
   il fenomeno dei pagamenti ritardati nella pubblica amministrazione, complice anche la crisi, ha acquisito negli anni un profilo drammatico, facendo emergere la necessità di adottare misure di carattere duraturo e strutturale;
   l'insuccesso delle iniziative adottate dall'esecutivo è nei tanti fallimenti di aziende; in Italia, ogni giorno, si registra la chiusura di 40 aziende. I fallimenti delle imprese sono cresciuti del 65 per cento in quattro anni, per quasi 50 mila fallimenti dall'inizio della crisi, di cui oltre 3 mila solo nei primi tre mesi del 2013. Nel primo trimestre 2013 il numero di imprese fallite ha registrato un incremento del 12 per cento rispetto al 2012;
   da un'indagine campionaria condotta dalla Banca d'Italia su imprese operanti nei settori industriali, dei servizi privati non finanziari e delle costruzioni, si evince che il totale dei debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni verso le imprese ammonterebbe, a fine 2011, a circa 90 miliardi di euro;
   in tale scenario è importante, in particolare, capire se il Ministero dello sviluppo economico abbia approfondito in maniera adeguata il grave problema rappresentato dai ritardi di pagamenti della pubblica amministrazione e quali effetti lo stesso produca sulla competitività delle imprese –:
   se il Ministro interrogato intenda fornire dati certi riguardo agli effetti dei ritardi di pagamento della pubblica amministrazione sulla produttività delle imprese e quale strategia intenda perseguire ai fini del contrasto degli stessi nelle transazioni commerciali tra imprese e pubblica amministrazione. (5-01963)


   DA VILLA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il dottor Leonardo Senni fino al 31 dicembre 2013 ha ricoperto il ruolo di capo del dipartimento energia del Ministero dello sviluppo economico (MISE);
   a partire dal 1o gennaio 2014 è stato nominato amministratore delegato di Ariston Thermo, gruppo specializzato nella produzione e vendita di caldaie e pompe di calore ad alta efficienza energetica;
   l'acquisto di questi prodotti in Italia, come riportato dalla pagina «Pompe di Calore» presente sul sito del Gestore servizi energetici (G.S.E.), è incentivato da importanti detrazioni fiscali (dal 50 per cento al 65 per cento a seconda dei casi), dal «’Conto Termico», istituito dal decreto ministeriale 28 dicembre 2012 e dai Titoli di efficienza energetica (TEE), anche conosciuti come «certificati bianchi», che rappresentano un meccanismo di incentivazione del risparmio energetico negli usi finali dell'energia;
   il fine di queste agevolazioni è quello di favorire l'adozione da parte dei clienti di strumenti ad alta efficienza energetica;
   ancora oggi, il dottor Senni compare nell'organigramma del dipartimento Energia del MISE;
   sul suo profilo pubblico del social network professionale «Linkedin», lo stesso Senni descrive la propria attività al MISE come «Responsabile nella definizione e promulgazione della politica energetica in Italia: (le mansioni sono quelle di identificare e valutare) strategie, obiettivi, le leggi, regolamenti e sistemi di incentivazione. (mi occupo di) tutti gli argomenti energetici fondamentali inclusi: luce, efficienza energetica, energie rinnovabili, petrolio e gas (raffinazione e distribuzione)»;
   è evidente che si tratti di un chiaro conflitto d'interessi, in quanto Ariston Thermo risulta essere una delle aziende leader nel settore con un fatturato globale di 1,32 miliardi di euro e con 6,9 milioni di prodotti venduti all'anno, come risulta dall'articolo pubblicato in data 11 gennaio 2014 dal giornale online www.lanotiziagiornale.it;
   l'ex capo dipartimento, come si può leggere dalla sua intervista contenuta dall'articolo del già citato quotidiano online www.lanotiziagiornale.it, dichiara che «quello del conflitto d'interessi è un tema che effettivamente mi sono posto con il Ministro e il capo di gabinetto». Alla fine, ha continuato, «abbiamo considerato che Ariston produce in Italia solo il 10 per cento del fatturato e che le pompe di calore e le caldaie, ovvero i prodotti destinatari degli incentivi, rappresentano a loro volta solo il 2 per cento del volume d'affari». Per questo, ha detto l'ex dirigente del Ministero, «ci è sembrato che l'ipotesi di conflitto d'interesse fosse minimale»;
   tale dichiarazione è messa in discussione però dallo stesso sito del gruppo Ariston Thermo, considerando che all'interno di esso vi è un'intera sezione in cui sono descritte accuratamente le modalità con le quali accedere agli incentivi esistenti per l'acquisto di prodotti come le caldaie a condensazione, pompe di calore e collettori solari termici. Ciò farebbe supporre che l'azienda punti con forza proprio su un mercato che, come può considerarsi quello domestico, non parrebbe esattamente irrilevante per l'azienda;
   premesso che l'AEEG, che svolge attività regolatoria delle tariffe energetiche, prevede per i propri componenti l'incompatibilità con altre attività lavorative nel settore energetico, durante il mandato e per i quattro anni successivi;
   un dipendente pubblico dovrebbe svolgere la sua mansione in modo imparziale e indipendente oltre che con un orientamento rivolto al pubblico interesse, motivo in più per cui questa nomina improvvisa non può che destare perplessità –:
   se ritenga il comportamento del signor Senni descritto in premessa come evidente conflitto d'interessi e quali iniziative intenda adottare al fine di evitare conflitti di interessi nei passaggi diretti di figure dirigenziali tra pubblico e privato. (5-01964)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TULLO e BASSO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   lo stabilimento ILVA di Genova Cornigliano è al centro, dopo la chiusura della cokeria di un processo di riconversione che ha visto la definizione di un accordo di programma che prevedeva inizialmente 2.700 posti di lavoro, ridotti a 2.200 nell'accordo ridefinito nel 2008 ma che in realtà sono scesi attraverso pensionamenti ed esodi a 1.740 unita;
   a seguito della crisi della siderurgia 1.450 lavoratori su 1.740 sono coinvolti in «contratti di solidarietà», durante un'incontro tra la direzione ILVA e i delegati di rappresentanze sindacali unitarie proprio in merito ai contratti di solidarietà nella giornata del 20 gennaio 2014, sono emersi da parte dell'azienda criticità tali che comporterebbero, il non rispetto in termini occupazionali degli organici previsti dall'accordo di programma e riconfermati dall'azienda nel mese di settembre 2013;
   queste affermazioni da parte dei rappresentanti della proprietà hanno creato una legittima preoccupazione dei lavoratori e delle loro famiglie, rispetto alla possibilità di nuovi esuberi e complessivamente sul futuro siderurgico di Genova/Cornigliano –:
   se il Ministro sia stato informato da parte dell'azienda della nuova situazione che potrebbe interessare lo stabilimento ILVA di Genova/Cornigliano;
   se non ritenga utile convocare in tempi rapidi i sottoscrittori dell'accordo di programma per verificare e lavorare al pieno rispetto dello stesso in particolare rispetto ai livelli occupazionali previsti. (5-01932)


   PIAZZONI e PILOZZI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la SIRTI Spa, società fondata nel 1921, è un azienda italiana leader nel settore dell'ingegneria e dell'impiantistica di rete, impegnata nello sviluppo di servizi e soluzioni per i settori delle telecomunicazioni, dei trasporti, dell'energia e degli impianti tecnologici;
   la Sirti, che ha contribuito concretamente a dotare l'Italia di infrastrutture strategiche nel comparto delle telecomunicazioni, delle energie e dei trasporti, ha conosciuto negli ultimi tempi profonde ristrutturazioni che ne hanno diminuito la forza lavorativa fino ad arrivare ai 3.850 lavoratori attuali contro i circa 13.500 dei primi anni novanta;
   tale drastica riduzione della forza lavoro, è stata operata attraverso ristrutturazioni caratterizzate da cassa integrazione guadagni straordinaria, mobilità, contratti di solidarietà, esternalizzazioni di servizi ad altre società, attraverso un duro confronto con i sindacati che hanno sempre contestato i difetti di gestione dell'azienda i cui vertici, per inciso, vennero coinvolti in tangentopoli nei primi anni novanta;
   dopo gli accordi tra sindacati, azienda e Ministero competente degli anni 2010, 2011 e 2012, con la concessione della cassa integrazione guadagni straordinaria a centinaia di lavoratori, nel 2013 la Sirti ha intrapreso ben due procedure di licenziamento collettivo (ai sensi della legge n. 223 1991): a maggio per 550 esuberi, e settembre per 139, costringendo nuovamente le organizzazioni sindacali ed il coordinamento nazionale delle RSU, ad accordi di cassa in deroga, associati ad ammortizzatori come i CDS difensivi;
   l'anno precedente l'inizio delle ristrutturazioni, il 2009, risulta agli interroganti che i vertici della Sirti decisero l'assegnazione di un dividendo straordinario in favore degli azionisti; l'azienda per «resistere» all'urto della crisi economica fece poi ricorso ai menzionati tagli al personale;
   nei giorni scorsi, precisamente l'8 gennaio, durante un ennesimo incontro tra le organizzazioni sindacali e l'azienda, la Sirti comunicava di non voler corrispondere ai lavoratori il premio di risultato (PDR), già trattenuto da ben due anni, e di voler avviare una ulteriore procedura di licenziamento per 350 lavoratori;
   nel frattempo, su alcuni quotidiani nazionali, sono apparse notizie circa il presunto interesse da parte di aziende private all'acquisto di due divisioni strategiche ancora gestite da Sirti, quella dei trasporti e quella dell'energia, notizia che però i vertici aziendali non hanno né confermato né smentito;
   la comunicazione di ulteriori tagli occupazionali, giunge all'indomani delle notizie circa il miglioramento dei conti finanziari aziendali, con l'incremento di circa 100 milioni del fatturato raggiunto nel 2013 rispetto all'anno 2012;
   a fronte dunque di un miglioramento complessivo dei conti, pagato a carissimo prezzo dai lavoratori negli ultimi anni, la Sirti non solo si rifiuta di restituire ai lavoratori i loro legittimi emolumenti, il premio di risultato citato, ma intraprende trattative per la cessione di rami strategici aziendali a presunti privati interessati e si avvia a licenziare ancora centinaia di lavoratori;
   questo atteggiamento risulta dunque incomprensibile ed evidenzia, ancora una volta, la mancanza di una politica industriale nazionale in settori fondamentali quali quelli in cui opera la Sirti;
   eventuali decisioni dell'azienda di provvedere alla vendita di rami strategici e di ridurre ulteriormente la forza lavoro, non può prescindere da una valutazione circa l'interesse pubblico e se tali scelte siano conformi agli obiettivi strategici nazionali in materia di energia, trasporti e comunicazione –:
   se sia a conoscenza della volontà da parte della SIRTI spa di provvedere alla cessione dei rami aziendali operanti nel settore dell'energia, dei trasporti e delle telecomunicazioni e alla ulteriore riduzione di personale dopo quelle già operate negli anni scorsi;
   se non ritenga opportuno intervenire affinché l'azienda provveda al pagamento delle somme spettanti ai lavoratori e non ancora corrisposte dall'azienda, e affinché possa essere valutata e approfondita con attenzione l'eventuale cessione di rami d'azienda a soggetti privati, strategici e vitali per il progresso e lo sviluppo del Paese. (5-01958)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BALDASSARRE, BECHIS, COMINARDI, ROSTELLATO, TRIPIEDI, CIPRINI, RIZZETTO, DA VILLA, PRODANI, VALLASCAS, CRIPPA, FANTINATI, MUCCI e CHIMIENTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha indetto un bando per le startup, pubblicato il 13 marzo 2013 con D.D 436, con lo scopo di «accrescere la capacità di produrre e utilizzare ricerca e innovazione di eccellenza in modo da assicurare uno sviluppo duraturo e sostenibile dei territori al fine di renderli maggiormente competitivi e attrattivi»;
   lo stanziamento previsto dal bando ammonta a 30 milioni di euro – provenienti dal programma operativo nazionale ricerca e competitività 2007/2013 – e coinvolge 4 regioni (Campania, Puglia, Calabria e Sicilia) su 4 linee di intervento: Big Data (8 milioni di euro), cultura e impatto aumentato (14 milioni di euro), Social Innovation (7 milioni di euro) e Contamination Lab (1 milione di euro);
   il 12 novembre 2013 è uscita la graduatoria dei progetti innovativi vincitori;
   il 24 luglio 2013 è stata fatta richiesta di ulteriore documentazione – non prevista dal bando iniziale – alle startup vincenti, inerente i bilanci e la sostenibilità finanziaria aziendale;
   il 7 gennaio 2014 alle startup vincenti è stato chiesto di ricapitalizzare versando nuovo capitale al fine di poter beneficiare del finanziamento del bando suddetto;
   a parere dell'interrogante emergono numerose criticità da una richiesta di tale natura in quanto il mondo delle startup avrebbe necessità di rapidità e semplificazione mentre la richiesta di ricapitalizzazione allunga le tempistiche rendendo le idee innovative ormai obsolete e in molti casi obbliga alla rinuncia del finanziamento da parte della startup vincitrice non avendo potuto fare una valutazione in tal senso ed essendo la richiesta stessa fatta in maniera poco trasparente non sussistendo tale previsione sulle linee guida del bando pubblicato;
   in alcuni casi emerge che la ricapitalizzazione richiesta sarebbe maggiore del finanziamento che si andrebbe a ricevere, rendendo il bando per le startup, non certo a sostegno dell'innovazione nel sud –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti suddetti e, per quanto di propria competenza, non ritengano opportuno porre la propria attenzione e intervenire, sulla problematica su descritta, al fine di scongiurare la perdita dei finanziamenti e la rinuncia di molte startup che avevano legittimamente partecipato al bando e erano risultate vincitrici;
   quali interventi i Ministri interrogati, per quanto di propria competenza, intendano assumere, per definire in maniera univoca, una coerente strategia in completa sinergia con il mondo delle startup e dell'innovazione, con particolare riguardo alle tempistiche e alla semplificazione, che possa permettere alle idee di svilupparsi e non diventare obsolete nell'attesa delle criticità burocratiche che spesso emergono. (4-03240)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   vi è stata la conferma di una tesi che in molti sostengono da tempo, vale a dire che la Rc auto in Italia costa di più rispetto agli altri principali Paesi europei. In particolare il salasso rispetto a Germania, Francia, Gran Bretagna e Spagna è pari a 213 euro per ogni veicolo. Come riportato dal Sole 24 Ore, secondo uno studio realizzato da The Boston Counsulting Group nel periodo 2008/2012 e diffuso dal presidente dell'Ania, nel nostro Paese il prezzo medio per cliente è di 491 euro rispetto alla media di 278 euro degli altri paesi. Rispetto all'Italia negli altri Paesi il prezzo medio dell'Rc auto è più basso del 45 per cento;
   non pare abbia prodotto grandi risparmi per i cittadini il pur utile strumento denominato «tuo-preventivatore», predisposto dallo stesso Ministero in collaborazione con l'Ivass, che confronta, in base alla loro convenienza economica, i preventivi r.c. auto di tutte le imprese presenti sul mercato –:
   quali risolutive iniziative di competenza si intendano porre in essere per impedire che l'Rc auto in Italia risulti la più onerosa rispetto agli altri principali Paesi europei. (4-03242)


   MELILLA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 5 dicembre 2013, la commissione filatelica presieduta dal Viceministro dello sviluppo economico, Antonio Catricalà, si è riunita per approvare il Piano filatelico 2014. Tale Commissione doveva essere nominata e convocata molto prima ma, per le note vicende governative, ciò non è potuto accadere e per questo si è giunti ad elaborare il sopracitato «programma» solo due settimane fa. Rispetto agli anni precedenti ciò che balza subito all'occhio è la riduzione del numero dei «temi» approvati. Infatti nel passato il Poligrafico dello Stato ha sempre stampato circa una cinquantina di tipologie di valori bollati mentre per il 2014 non ne saranno stampati più di trentanove. Si sa, la crisi economica è sempre molto presente all'interno delle famiglie italiane ed in tempi di «spending review» tutti devono pagare pegno, emissioni filateliche comprese, anche se queste ultime non rappresentano un reale costo per lo Stato se si tiene conto del fatto che tutti i francobolli saranno facilmente venduti o «piazzati» a causa non solo del loro uso che se ne farà in ambito postale ma anche in quello collezionistico. Così in maniera inversamente proporzionale, rispetto agli anni passati, molti di più sono stati i proponenti esclusi. Tra di essi vi è anche il Comitato per il «Bicentenario della prima rivolta carbonara d'Italia» presieduto dal dottor Lorenzo Valloreja, storico e giornalista abruzzese, ha rilasciato la seguente dichiarazione: «L'attuale Governo disconosce il risorgimento italiano! Al posto dei Carbonari, dei moti, della Storia, il Governo Letta preferisce la “Nutella”». Circa due anni or sono il Comitato, seguendo ha presentato presso il Ministero dello sviluppo economico una richiesta formale per l'emissione, nella primavera 2014, di un Francobollo Commemorativo che ricordasse le gesta della Prima Rivolta Carbonara d'Italia, moto che si è svolto in Abruzzo nel marzo del 1814. In tale circostanza diversi comuni del circondario di Penne (oggi provincia di Pescara, all'epoca facente parte dell'Abruzzo Ulteriore I) per quasi due mesi riuscirono ad affrancarsi dalla divinazione straniera costituendosi in una Repubblica carbonaro libera e costituzionale. Come tutte le insurrezioni preunitarie anche questa finì male e diversi patrioti pagarono con la loro vita, molti altri dovettero riparare nello Stato Pontificio per aver salva la pelle, ma questo non li esentò dall'essere carcerati da parte di Pio VII. Insomma una classica storia da irredentismo italiano. Comunque c’è anche da dire che precedentemente al 1814 ci furono già altri progetti insurrezionali, il primo nel 1811 sempre in Abruzzo ed un altro nel 1813 in Calabria, ma entrambi non furono mai messi in pratica, i carbonari in questione infatti vennero scoperti ed arrestati prima che potessero muovere un sol dito, ed ecco perché i fatti del 1814 assurgono ad una funzione primigenia, perché sono i primi a produrre dei fatti concreti. Attualmente il moto del 1814 è documentato sia attraverso materiale originale presente in alcuni Archivi di Stato, che da diverse pubblicazioni, il comitato per il «bicentenario della prima rivolta carbonara d'Italia» ha chiesto una integrazione accogliendo la sua richiesta di emissione di un francobollo nell'ambito del piano filatelico 2014 così come è stato fatto accogliendo ad integrazione un francobollo dedicato a papa Pio X –:
   se non intende accogliere la richiesta di un francobollo dedicato al bicentenario della prima rivolta carbonara d'Italia. (4-03248)


   CATANOSO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel 2000 la St insieme alle organizzazioni sindacali firma al Ministero dello sviluppo economico un protocollo d'intesa per la costruzione del modulo M6, impianto ad alto livello tecnologico, che deve rappresentare il rilancio, a livello europeo, di St Catania. A fronte di 500 milioni di euro la St si impegna a creare 1.500 nuovi posti di lavoro;
   al gruppo progettazione memorie, fiore all'occhiello della St, e a diversi professionisti inviati in giro per il mondo ad acquisire know-how, viene affidato l'avvio del nuovo gioiello produttivo;
   dopo diversi rallentamenti (dovuti soprattutto ad una cattiva gestione da parte del management, ed all'incombente crisi del comparto dei semiconduttori) nella realizzazione del modulo, le insistenti voci di una cessione del progetto M6, trovano fondamento nella realizzazione di una società, indipendente da St, in cui soltanto il 48 per cento è la quota partecipativa di St, il 45 per cento di Intel (comparto memorie, a sua volta ceduta perché in perdita);
   nel mese di luglio 2007 viene firmata la cessione di ramo d'azienda del gruppo memorie di St presente in Italia;
   552 dipendenti di Catania, 123 di Arzano, 43 di Palermo e 1.024 di Agrate, il modulo M6 (interamente costruito con denaro pubblico) venduto per 450 milioni di euro alla nuova società costituita, passano da St a Numonyx;
   tra le motivazioni a giustificazione dell'operazione di vendita di ramo d'azienda, la completa realizzazione di M6 con l'assunzione prevista da protocollo d'intesa di 650 unità (inizialmente erano 1500);
   a giudizio dell'interrogante e della Ugl-metalmeccanici, non si comprende come una multinazionale forte come St abbia incontrato delle difficoltà a far partire M6, mentre una neonata società formata da due gruppi di aziende diverse, cedute perché in perdita da anni, potesse far decollare la produzione in M6;
   ovviamente e senza alcuna sorpresa, dopo soltanto un mese dalla nascita di Numonyx, i vertici aziendali della società dichiarano al Ministero dello sviluppo economico che lo stabilimento M6 non rientra più nei piani dell'azienda, rifiutando il finanziamento previsto per il completamento del modulo di 463 milioni di euro;
   a distanza di un anno, l'azienda, invitata dalle organizzazioni sindacali al Mise per presentare i piani industriali, dichiara di dover ricorrere alla Cassa integrazione per la totalità dei lavoratori Numonyx;
   nel frattempo il personale di Palermo ed i 71 dipendenti di Catania (addetti alla produzione) rientrano in St attraverso un'altra cessione di ramo ed i dipendenti a Catania diventano 401;
   il 10 febbraio del 2010 la Numonyx viene acquisita da Micron Technology attraverso la cessione dei pacchetti azionari proprietà di St (che di fatto dismette totalmente) e da altri partner;
   negli stessi mesi Stm forma, insieme a Sharp e ad Enel, una fabbrica destinata a produrre pannelli fotovoltaici, la 3 Sun, a cui viene venduto da Numonyx il modulo M6 per 70 milioni di euro (nel 2007 Numonyx acquistava a 450 milioni) ed eredita il contratto di programma previsto;
   Micron nel gennaio 2013 conta in Italia 3.287 dipendenti che, attraverso la cessione del Fab di Avezzano e di parte di dipendenti di Agrate che ritornano in St, diventano a dicembre del 2013, 1.075 (324 a Catania);
   nel 2013 Micron acquista un altra grossa azienda del mercato memorie, Elpida, che la proietta ai vertici delle classifiche mondiali per profitto (semiconduttori) dal decimo al quarto posto, e segna, dopo trimestri di perdite, un guadagno record che viene premiato dal mercato con un aumento della singola azione del 120 per cento;
   a seguito dell'acquisizione di Elpida, la società decide di razionalizzare il personale dando l'annuncio di un taglio del 5 per cento di tutto il personale a livello mondiale, malgrado, a giudizio dell'interrogante e della Ugl-metalmeccanici, non
sussista alcuna motivazione economica;
   dall'annuncio si spostano diverse attività dall'Italia ad altre parti del mondo, e viene fissato, dopo vari incontri istituzionali, un incontro al Mise, per annunciare l'impatto in Italia della razionalizzazione decisa;
   l'esito della riunione è stato che la Micron ha annunciato tagli per il 40 per cento della forza lavoro: 128 a Catania, 223 ad Agrate, 17 ad Avezzano e 53 ad Arzano;
   questo è, a giudizio dell'interrogante e della Ugl-metalmeccanici, l'ennesimo schiaffo al nostro territorio, regionale e nazionale, un'altra eccellenza cancellata ed umiliata;
   a giudizio dell'odierno interrogante e della Ugl-metalmeccanici bisogna intervenire energicamente nei riguardi del management, ed intervenire politicamente, affinché anche nell'ottica dei finanziamenti previsti dall'Unione europea sulla micro e nanoelettronica per portare la produzione in Europa dei semiconduttori dal 10 per cento attuale al 20 per cento entro il 2020, si vincolino tali finanziamenti nella regione Sicilia (regione ancora ad obbiettivo 1) al mantenimento dell'occupazione (e possibilmente, anche alla crescita di essa) nel distretto tecnologico Etna Valley. Micron ha già dichiarato di non essere interessata a tali finanziamenti. STMicroelectronics, invece, sembra fortemente interessata, ed in ogni caso si ritiene che essa debba assumersi la responsabilità dei lavoratori Micron, considerato che essi stessi hanno «venduto» ad un'altra azienda (Micron) che ora sembra volere abbandonare il territorio;
   non si può permettere che tutto ciò accada, e che si perdano più di 1.000 posti di lavoro ad altissimo livello professionale su un settore che si ritiene debba essere considerato strategico e fondamentale per lo sviluppo italiano –:
   quali provvedimenti intenda adottare il Ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premessa e tutelare i lavoratori italiani della Micron.
(4-03249)


   NARDUOLO, MURA, PALMA, PAOLUCCI, MOSCATT, MORETTO, PASTORINO, MOGNATO, MARROCU, PES, GIOVANNA SANNA, CANI, VENTRICELLI, D'ARIENZO, MAURI, PASTORELLI, MATTIELLO, GREGORI, RIBAUDO, GALPERTI, MICCOLI, DAL MORO, MARCHI, SCUVERA, GINATO, LENZI, BERLINGHIERI, GADDA, RIGONI, VERINI, LA MARCA e LOTTI. –Al Ministro dello sviluppo economico, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:
   il servizio postale universale gestito da Poste italiane è organizzato in Centri di meccanizzazione postale che assolvono alla funzione fondamentale di smistamento della posta da distribuire ai cittadini;
   nello specifico sono presenti in Italia 19 centri di meccanizzazione postale (CMP) così distribuiti sul territorio nazionale: tre in Lombardia (Brescia, due a Milano), uno in Piemonte (Torino Romoli), uno in Liguria (Genova), tre in Veneto (Venezia, Verona e Padova), uno in Emilia Romagna (Bologna), uno in Toscana (Firenze), uno nelle Marche (Ancona), uno nel Lazio (Roma), uno in Abruzzo (Pescara), uno in Sardegna (Cagliari), uno in Campania (Napoli), uno in Calabria (Lamezia Terme), uno in Puglia (Bari), due in Sicilia (Palermo e Catania);
   i CMP sono suddivisi in due sezioni principali: il transito e lo smistamento. Nella sezione transito confluiscono i mezzi di trasporto per la corrispondenza in arrivo e partono i mezzi per la corrispondenza in uscita; nella sezione smistamento si lavora la posta in arrivo e in partenza proveniente dal transito;
   la corrispondenza meccanizzabile (il maggiore quantitativo della corrispondenza complessivamente lavorata) viene smistata attraverso l'utilizzo di impianti meccanizzati di particolare complessità, rispetto ai quali emerge immediatamente la delicatezza e l'importanza delle necessarie operazioni di manutenzione;
   alla fine degli anni ’70 Poste italiane ha esternalizzato il servizio di manutenzione degli impianti di smistamento dei CMP, attraverso l'affidamento dello stesso alla ditta Elsag del gruppo Finmeccanica (oggi confluita nella Selex ES, a partecipazione statale);
   dall'ottobre 2007 la ditta Elsag ha subappaltato il servizio di manutenzione alla Stac Italia srl per il centro-nord e alla Logos spa per il centro-sud e le isole, e a seguito di un accordo ministeriale tali ditte si erano impegnate ad assorbire il personale già presente, che contava complessivamente in 263 tecnici altamente professionalizzati;
   nel dicembre 2012 Poste italiane ha bandito una nuova gara d'appalto per il servizio di manutenzione, termine ultimo per la presentazione delle offerte marzo 2013. Nel giugno 2013, tra le due ATI che avevano partecipato alla gara, Selex ES/PH Facility e Siemens/Stac Italia, è risultata aggiudicataria la Selex ES/PH Facility, grazie al forte sconto applicato all'offerta. Stac si è appellata subito al TAR del Lazio che ha rigettato il ricorso e a settembre Poste italiane ha assegnato definitivamente l'appalto, in partenza il 1 novembre 2013, a Selex e PH Facility;
   si è appreso da fonti sindacali come fin da metà gennaio 2013, a pochi mesi dalla scadenza del contratto e ben prima che la gara fosse assegnata, il personale di Selex aveva comunicato ai lavoratori di Stac e Logos che sarebbe subentrata una nuova azienda nel subappalto (la PH Facility) e che per poter continuare a lavorare avrebbero dovuto rassegnare le dimissioni ed iscriversi alle liste delle agenzie interinali, per poi essere successivamente assunti dalla nuova azienda. L'operazione non è stata portata a termine grazie all'intervento delle organizzazioni sindacali e il subappalto alle ditte detentrici è proseguito regolarmente fino alla naturale scadenza;
   PH Facility è un'azienda operante nel campo dell'igiene e sanificazione e nel proprio sito aziendale riporta espressamente quanto segue: «Abbiamo affrontato il delicato settore delle manutenzioni specialistiche dei sistemi di automazione postale grazie alla straordinaria forza tecnologica di Selex ES, che ha progettato sistemi, aggiudicandoci insieme la gara indetta da Poste italiane». Si presume, a tal proposito, che la forza tecnologica di Selex ES annoveri anche la professionalità acquisita nel corso degli anni dai 263 tecnici specializzati;
   per poter garantire la continuità del servizio, PH Facility ha necessità di assumere personale delle ditte che l'hanno preceduta, perché nel campo della manutenzione tecnica non ha esperienza alcuna. Procede, in tal senso, alla proposta di assunzione di circa 170 dei 263 tecnici – dipendenti di Stac e Logos – adibiti alla manutenzione degli impianti dei CMP, non garantendo tuttavia i precedenti livelli occupativi e con la previsione di una serie di clausole peggiorative rispetto alle precedenti condizioni contrattuali dei lavoratori, come l'applicazione del contratto multiservizi in luogo di quello metalmeccanico ed il mancato riconoscimento dell'anzianità di servizio;
   una minoranza dei lavoratori Stac e Logos (70) ha accettato le nuove condizioni contrattuali peggiorative, anche su pressione da parte di PH Facility (come si legge nel comunicato sindacale del 6 novembre 2013 della FIOM); tuttavia la maggior parte dei dipendenti ha ritenuto non dignitose le nuove condizioni proposte ed ha iniziato una protesta che ad oggi risulta ancora attiva con presidi agli ingressi dei CMP;
   a novembre 2013, fonti giornalistiche e sindacali cominciano a riferire di numerosi e diffusi disservizi derivanti dalla giacenza di tonnellate di posta nei vari Centri di meccanizzazione italiani (si parla di circa 1200 tonnellate su tutto il territorio nazionale). Disservizi direttamente imputabili alle carenze relative al servizio di manutenzione all'indomani dell'avvicendamento delle aziende di cui si tratta. Diverse sono anche le segnalazioni di ritardi nelle consegne arrivate direttamente a Poste italiane che ha risposto, anche a mezzo tv e stampa, che tutto procede secondo gli standard di servizio e che i controlli di qualità, effettuati secondo la norma, lo confermano. Ciononostante, in rete è disponibile, fra le altre cose, un filmato che spiega come il personale di Poste possa intercettare le lettere (chiamate «lettere civetta») dando loro un canale preferenziale e falsando così i dati relativi alla qualità del servizio;
   il sindaco di Angri (provincia di Salerno) all'inizio del mese di gennaio 2014 ha presentato un esposto alla procura della Repubblica in relazione ai fatti sopra esposti ed altri utenti hanno intenzione di seguire lo stesso esempio;
   Poste italiane, al fine di superare lo stallo dovuto allo stato di agitazione di un gran numero di tecnici, ha provveduto a dividere la corrispondenza tra diversi CMP. Per esempio, per tutto il mese di novembre, la posta del CMP di Roma è stata lavorata nei centri di Napoli e Bologna. Lo stesso si è verificato a Firenze, che ha trasferito la propria corrispondenza ai CMP di Padova e Verona. La situazione, ad oggi, risulta essere la seguente: impianti che lavorano «a singhiozzo», macchine ferme, una grande quantità di corrispondenza in giacenza e non ancora smaltita;
   appare evidente che PH Facility sia subentrata nei centri di meccanizzazione postale con personale insufficiente per garantire il servizio, nonostante Selex ES abbia inviato nei vari centri proprio personale per coprire le carenze organizzative di PH Facility, e la stessa PH abbia assunto personale proveniente da agenzie interinali, privo della adeguata formazione, e aumentato esponenzialmente il ricorso allo straordinario, mettendo in discussione i livelli minimi di sicurezza di fasi di lavoro svolte attraverso il meccanismo della turnazione;
   il 12 Novembre 2013 si è svolto un incontro al Ministero dello sviluppo economico, presenti le segreterie nazionali di FIM, FIOM, UILM e la direzione aziendale di Selex ES, per ricercare delle soluzioni alla gestione del servizio di manutenzione all'interno dei CMP, ma le posizioni delle parti sono risultate distanti;
   il 9 gennaio 2014 si è tenuto un secondo incontro al Ministero, anche questo concluso con un nulla di fatto, e al quale non si sono presentati Poste Italiane e PH Facility;
   i problemi e le carenze fin qui evidenziati riguardano molteplici aspetti: relativamente al personale, sia perché viene meno la garanzia di adeguati standard di sicurezza sul posto di lavoro, sia perché gli interventi richiesti ai tecnici sono diminuiti in termini di quantità e di efficacia; relativamente al servizio postale universale, così come rappresentato anche dalla Carta della qualità di Poste italiane; relativamente all'utenza, che con grave danno si vede recapitare la posta con molti giorni di ritardo. Tali disagi, se connessi ad attività commerciali, sono ancora più dannosi, dato che, ad esempio, chi riceve in ritardo la corrispondenza inerente fatturazioni deve pagarne la relativa mora, essendo infatti difficile dimostrazione il preciso momento di consegna della corrispondenza medesima –:
   se i Ministri interessati siano a conoscenza dell'intera situazione;
   quali iniziative intendano assumere per attuare tutte le procedure necessarie al fine di fare luce sui fatti sopra descritti, in particolare verificando per quanto di competenza che gli standard di qualità del servizio postale universale corrispondano a quanto previsto dalla normativa di legge in tema di servizi pubblici e siano rispettosi della Carta della qualità del servizio postale universale;
   quali iniziative si intendano assumere affinché il tavolo di confronto con Poste italiane, Selex ES, PH Facility, Logos, Stac e le organizzazioni sindacali, possa finalmente portare ad un protocollo d'intesa che salvaguardi tutte le unità lavorative del servizio di manutenzione dei centri meccanizzati postali, valutando la possibile riallocazione presso Poste italiane del personale considerato eccedente, ferma restando la verifica che il personale applicato alla manutenzione sia effettivamente in possesso dei requisiti necessari a svolgere con professionalità l'attività richiesta, e non risultino mere unità atte solo a garantire un numero minimo di personale occupato. (4-03257)


   CATALANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dall'articolo «Mancano i postini: mamma riceve la diagnosi del tumore dopo un mese», pubblicato ne Il Gazzettino il 20 gennaio 2014, che i disservizi frequenti registrati dal servizio di Poste italiane hanno provocato danni considerevoli nel comune di Mareno di Piave;
   nello specifico, la carenza di portalettere ha fatto sì che la posta non fosse consegnata per diversi giorni;
   tra le lettere non recapitate vi era il risultato di un test oncologico, eseguito all'ospedale di Castelfranco Veneto il 19 dicembre 2013 e arrivato al paziente il 16 gennaio;
   il ritardo ha costretto il paziente a posticipare l'inizio della chemioterapia;
   Poste italiane offre un servizio pubblico e non può permettere che si registrino carenze di portalettere in nessun comune, pena la revoca del contratto di servizio;
   il servizio offerto da Poste italiane può, in casi come questo, essere di fondamentale importanza per la società;
   Poste italiane rappresenta lo Stato, e i valori cui questo si informa –:
   se non intenda intervenire ai fini di una risoluzione dei problemi di qualità del servizio già più volte denunciati dall'interrogante e se non intenda, considerata la gravità delle conseguenze del disservizio, valutare l'assunzione di iniziative, anche normative, per garantire in casi come quello di cui in premessa un indennizzo adeguato al danneggiato. (4-03269)

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Bobba e altri n. 2-00362, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 gennaio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Valeria Valente.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Rubinato n. 5-01917, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 gennaio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rotta.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Catalano n. 5-01907, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 154 del 17 gennaio 2014.

   CATALANO, NICOLA BIANCHI e MANNINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la signora E.C. residente in Puglia, già dipendente di Poste Italiane con numerosi contratti a tempo determinato (dal 3 febbraio 2006 al 31 marzo 2006 presso l'Area Sud 1 Corato; dal 2 ottobre 2006 al 31 ottobre 2006 presso Area Sud 1 Corato; dall'11 luglio 2007 al 29 settembre 2007 presso l'Area Sud 1 Barletta3, ed altri contratti con sede di lavoro sempre in provincia di Bari), successivamente, nel 2008 è stata assunta a tempo indeterminato presso Postel spa, viale Europa 175 Roma;
   in seguito al sopraggiungere di gravi e documentati problemi familiari, la dipendente ha presentato, già nel 2010, domanda di trasferimento o telelavoro in Puglia;
   tale richiesta era peraltro corredata da referti medici e certificati atti a comprovare l'oggettiva difficoltà della dipendente a capo di un nucleo familiare monoparentale e con un figlio minore a carico;
   la dipendente, esposta a gravi disagi, ha subito due ricoveri presso la Casa di Cura Villa Serena Bari dal 12 aprile 2011 al 20 aprile 2011 e dal 18 ottobre 2012 al 10 novembre 2012;
   la tutela dei soggetti portatori di handicap giustifica, ai sensi della legge 104 del 1992, di cui il dipendente usufruisce poiché sua madre è invalida al 100 per cento, la deroga al normale svolgimento della prestazione lavorativa ed ai criteri ordinari che disciplinano i trasferimenti della categoria di personale di appartenenza;
   l'indisponibilità al trasferimento, o al telelavoro, nega un preciso diritto del lavoratore, per di più non pone in essere i criteri minimi di pari opportunità nella gestione delle risorse umane, danneggiando di fatto una situazione familiare già delicata;
   risulterebbe all'interrogante che in Postel non esisterebbe una graduatoria per la mobilità –:
   se non intenda intervenire per favorire, nei limiti di competenza una maggiore sensibilità per le problematiche su esposte, presso imprese, come Poste italiane spa, a totale partecipazione pubblica. (5-01907)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta orale Costantino n. 3-00237 del 29 luglio 2013;
   interrogazione a risposta in Commissione Monchiero n. 5-01849 del 10 gennaio 2014;
   interrogazione a risposta in Commissione Vacca n. 5-01869 del 15 gennaio 2014;
   interpellanza urgente Narduolo n. 2-00379 del 21 gennaio 2014.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta orale Fragomeli e altri n. 3-00151 del 26 giugno 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01934;
   interrogazione a risposta scritta Rampi e altri n. 4-01961 del 25 settembre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01941;
   interrogazione a risposta scritta Rampi e Mosca n. 4-01968 del 26 settembre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01940.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Paglia e altri n. 4-03227 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 156 del 21 gennaio 2014. Alla pagina 8861, prima colonna, dalla riga trentasettesima alla riga quarantesima, deve leggersi: «PAGLIA, LAVAGNO, ZARATTI, ZAN e PELLEGRINO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere –» e non «PAGLIA, LAVAGNO, ZARATTI, ZAN e PELLEGRINO. – Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere –», come stampato.