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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 4 marzo 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    nel 1994 il ricercatore oceanico Charles Moore fonda la «Algalita Marine Research Foundation», una fondazione per la ricerca sugli ecosistemi marini;
    nel 1997 Charles Moore scopre la presenza nel nord dell'oceano Pacifico di una grande chiazza di immondizia (great pacific garbage pacth), ossia un enorme accumulo di spazzatura galleggiante composto soprattutto da materiale di plastica;
    l'isola di plastica, ribattezzata il «sesto continente» dall'oceanografo, è approssimativamente situata fra il 135o e il 155o meridiano ovest e fra il 35o e il 42o parallelo nord;
    l'estensione del «sesto continente» non è nota con esattezza, ma sia le ricerche della fondazione che le ricerche della Marina degli Stati Uniti, stimano che l'estensione può andare dai 700.000 chilometri quadrati fino a più di 10 milioni di chilometri quadrati, cioè un'area più grande della Spagna a un'area più estesa degli Stati Uniti, ovvero tra lo 0,41 per cento e il 5,6 per cento dell'oceano Pacifico;
    questa immensa massa di rifiuti è composta per oltre l'80 per cento da materiali di plastica che negli ultimi decenni si è triplicata. La massa di rifiuti è divisa in due grandi blocchi che vengono tenuti insieme dal «vortice subtropicale del nord Pacifico» (North Pacific Subtropical Gyre), una lenta corrente oceanica che si muove in senso orario a spirale, consentendo ai rifiuti galleggianti di aggregarsi tra loro;
    i materiali di plastica maggiormente presenti nella grande chiazza di rifiuti sono le buste di plastica, il cui accumulo si è formato a partire dagli anni ’50;
    l'esistenza della grande chiazza di rifiuti fu preconizzata in un documento pubblicato nel 1988 dalla National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) degli Stati Uniti. Le predizioni erano basate su risultati ottenuti da diversi ricercatori con base in Alaska che, fra il 1985 e il 1988, misurarono le aggregazioni di materiali plastici nel nord dell'oceano Pacifico;
    una chiazza similare di detriti è presente anche nell'oceano Atlantico, in una zona compresa/fra le latitudini di 22o Nord e 38o Nord, corrispondente all'incirca al mar dei Sargassi;
   nel giugno del 2006 un programma ambientale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite ha stimato che ci sono una media di 20.000 frammenti di plastica presenti in ogni chilometro quadrato di superficie oceanica e, nelle aree più contaminate la media passa a 400.000 frammenti di plastica;
    la plastica si sta accumulando anche nei nostri mari e, recentemente, sono state riscontrate due grosse correnti di plastica tra Cagliari e le Isole Egadi e tra La Spezia e l'arcipelago toscano;
    la plastica non si degrada, ma si foto degrada in pezzi sempre più piccoli fino alle dimensioni dei polimeri che la compongono, la cui ulteriore biodegradazione è molto difficile. La plastica e i suoi frammenti agiscono come spugne assorbendo tutti gli inquinanti chimici dispersi in acqua come i metalli pesanti, gli inquinanti organici persistenti (POP's) tra cui gli insetticidi clorurati di prima generazione (dieldrin, DDT, toxafene, clordano), prodotti chimici industriali come i bifenili policlorurati (PCB) e sottoprodotti industriali come la diossina;
    la contaminazione antropogena, che ha causato il crearsi del «sesto continente», ha consentito l'alterazione della catena alimentare nel senso che le particelle di plastica assomigliano allo zooplancton (il rapporto è 6 a 1) e le meduse e i calamari che se ne cibano vengono a loro volta mangiati da altri pesci;
    oltre alla compromissione della catena alimentare, vi è anche quella dell'ecosistema marino che vede delfini, foche, tartarughe, balene, per un totale di 100.000 l'anno, morire soffocati, strozzati o per danni irreparabili all'apparato digestivo causati dall'ingestione di sacchetti di plastica, reti da pesca in plastica e detriti plastici vari;
    ogni anno nel mondo vengono consumati dai 500 ai 1000 miliardi di sacchetti di plastica con una media di utilizzo che va dai 10 ai 20 minuti. Nei Paesi industrializzati il consumo pro capite di sacchetti di plastica va dai 200 ai 400 all'anno;
    in Europa si stima che vengono usati 100 miliardi di sacchetti di plastica ogni anno. Per produrre una quantità simile di buste si consumano 700.000 tonnellate di petrolio con l'emissione in atmosfera di 1,4 milioni di tonnellate di anidride carbonica all'anno;
    in Italia si producono circa 220 mila tonnellate di buste di plastica all'anno (l'equivalente di 500 mila tonnellate di petrolio) con un'emissione in atmosfera di circa 200 mila tonnellate di anidride carbonica;
    si stima che il consumo annuo in Italia di buste di plastica sarebbe all'incirca di 20 miliardi di sacchetti e in discarica finiscono circa 2 milioni di tonnellate di plastica;
    i tempi di degrado delle buste di plastica variano da decine a centinaia di anni a seconda dello spessore e delle condizioni ambientali. In acqua si stima che la plastica si degradi in un tempo che va dai 450 anni a quasi 1000 anni;
    ogni anno nel mondo si producono circa 154 miliardi di bottiglie di plastica (PET) la cui produzione richiede il consumo di 13,8 miliardi di litri di petrolio con la conseguente immissione in atmosfera di circa 10 miliardi di tonnellate di anidride carbonica;
    in Italia si consumano circa 15 miliardi di bottiglie in PET e solo il 20 per cento di queste viene riciclato, mentre la restante parte finisce in discarica;
    il comma 1129 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006 (finanziaria 2007) afferma che: «...ai fini della riduzione delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera, del rafforzamento della protezione ambientale e del sostegno alle filiere agro industriali nel campo dei biomateriali, è avviato, a partire dall'anno 2007, un programma sperimentale a livello nazionale per la progressiva riduzione della commercializzazione di sacchi per l'asporto delle merci che, secondo i criteri fissati dalla normativa comunitaria e dalle nome tecniche approvate a livello comunitario, non risultino biodegradabili.»;
    il comma 1130 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006 (finanziaria 2007) afferma che: «...il programma di cui al comma 1129, definito con decreto del Ministro dello Sviluppo Economico, di concerto con il Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e con il Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, è finalizzato ad individuare le misure da introdurre progressivamente nell'ordinamento interno al fine di giungere al definitivo divieto, a decorrere dal 1° gennaio 2010, della commercializzazione di sacchi non biodegradabili per l'asporto delle merci che non rispondano entro tale data, ai criteri fissati dalla normativa comunitaria e dalle norme tecniche approvate a livello comunitario»;
    il comma 21-novies dell'articolo 23 del decreto-legge n. 78 del 2009 («decreto anticrisi»), convertito con modificazioni, dalla legge n. 102 del 3 agosto 2009, ha prorogato il termine del definitivo divieto della commercializzazione di sacchi non biodegradabili per l'asporto di merci al 1o gennaio 2011;
    i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello sviluppo economico pro tempore in data 18 marzo 2013 (Gazzetta Ufficiale del 27 marzo 2013) hanno emanato un decreto interministeriale con il quale si individuano le caratteristiche tecniche dei sacchi per l'asporto merci e, in particolare, per i sacchetti di plastica che però, per mancanza di una precisa normativa, hanno continuato a circolare nell'utilizzo quotidiano. Il decreto interministeriale chiarisce e definisce una precisa normativa che incrementa, così dovrebbe, l'uso di quelli ecofriendly, che dovrebbe contribuire alla strategia nazionale per la decarbonizzazione dell'economia (piano di azione nazionale per la riduzione dei livelli di emissione di gas ad effetto serra approvato in data 8 marzo 2013 dal Comitato interministeriale per la programmazione economica, CIPE). Il provvedimento è stato concepito per stimolare lo sviluppo della filiera produttiva, incentivare la chimica verde e mettere l'Italia in linea con la normativa comunitaria in materia;
   il decreto interministeriale definisce le categorie di sacchi per l'asporto di merci – destinate sia all'uso alimentare che non alimentare – e la commercializzazione, specificando il tipo di sacchetti che possono essere utilizzati. Tra questi rientrano quelli monouso biodegradabili e compostabili conformi alla norma armonizzata Uni En 13432:2002 e quelli riutilizzabili in carta, in tessuti di fibre naturali, fibre di poliamminide e materiali diversi dai polimeri. I consumatori devono essere informati sull'idoneità dei sacchi per l'asporto delle merci attraverso una dicitura, riportata sia nei monouso che nei riutilizzabili;
    il mancato rispetto di quanto previsto dal combinato disposto delle norme summenzionate, è sanzionato dall'articolo 2 del decreto-legge n. 2 del 25 gennaio 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 28 del 24 marzo 2012. Il decreto stabilisce anche le caratteristiche chimico-fisiche dei sacchetti per l'asporto che possono circolare, ossia: due tipi monouso biodegradabili e compostabili (ai sensi della norma armonizzata Uni En 13432:2002), oppure riutilizzabili con maniglia esterna di spessore superiore a 200 micron (uso alimentare) e 60 micron (altri usi). In aggiunta, i sacchi realizzati con polimeri non conformi alla norma armonizzata devono contenere una percentuale di almeno il 10 per cento di plastica riciclata, che sale al 30 per cento per quelli ad uso alimentare. Dal 1o gennaio 2013 la commercializzazione dei sacchi non conformi è punita con una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.500 a euro 25.000;
   l'applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria per la commercializzazione degli shopper non biodegradabili per l'asporto, è stata prorogata alla data del 31 dicembre 2013 dall'articolo 2 comma 4 dal decreto-legge n. 2 del 25 gennaio 2012. L'articolo 34, comma 30, del decreto-legge n. 179 del 18 ottobre 2012 ha modificato il termine del 31 dicembre 2013 rimandando il tutto, così come recita il comma: «...a decorrere dal sessantesimo giorno dall'emanazione dei decreti di natura non regolamentare di cui al comma 2...»;
    in data 27 marzo 2013 viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto ministeriale del 18 marzo 2013 che definisce le caratteristiche tecniche dei sacchetti monouso biodegradabili e compostabili e di quelli riutilizzabili che possono circolare. Le norme diventano efficaci dopo la pronuncia di compatibilità con la normativa europea in materia – direttiva 94/62/CE – da parte della Commissione europea;
    in data 13 giugno 2013 la Commissione europea doveva esprimersi sulla compatibilità delle norme italiane sui «bioshopper». La Commissione europea proroga di 90 giorni la decisione da assumere;
    in data 13 settembre 2013 è scaduto il termine entro il quale la Commissione europea doveva esprimersi sulla compatibilità delle norme italiane sui «bioshopper» con la direttiva 94/62/CE. Il decreto e le relative sanzioni previste dal decreto-legge n. 2 del 25 gennaio 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 28 del 24 marzo 2012 sono «congelate»;
    in data 4 novembre 2013 la Commissione europea ha licenziato una proposta di direttiva che modifica la direttiva madre sugli imballaggi (94/62/CE) con lo scopo di ridurre ed eliminare il consumo di sacchetti di plastica in materiale leggero (sotto i 50 micron). Gli Stati membri possono raggiungere l'obiettivo anche vietando la circolazione dei sacchetti in deroga all'articolo 18 della direttiva del 1994 che contrariamente stabilisce che la circolazione degli imballaggi nell'Unione non può essere limitata;
    in data 21 novembre 2013 il Commissario europeo all'ambiente, Janez Potocnik, rispondendo a una interrogazione parlamentare, dichiara che la Commissione europea non si è ancora espressa sulla compatibilità delle norme italiane con la «direttiva imballaggi» (94/62/CE);
    in data 14 gennaio 2014 il Parlamento europeo approva una risoluzione che invita la Commissione a modificare la «direttiva imballaggi» (94/62/CE) per arrivare a eliminare o ridurre drasticamente al 2020 i sacchetti di plastica monouso che non siano riutilizzabili, biodegradabili e compostabili;
    risulta ai firmatari del presente atti di indirizzo che la disciplina normativa e sanzionatoria prevista dal decreto-legge n. 2 del 25 gennaio 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 28 del 24 marzo 2012, di fatto non è operativa;
    la Commissione europea a fronte dell'eccessivo inquinamento dei fiumi e dei mari causato dalla plastica, conosciuto come «marine litter», ha avviato una consultazione pubblica, che è stata aperta fino al 18 dicembre 2013, nel quadro della revisione degli obiettivi previsti dalle direttive su rifiuti, imballaggi e discariche, dove pescatori, cittadini, associazioni ed esperti hanno potuto proporre soluzioni al problema nell'ottica della riduzione dei rifiuti e del perseguimento di qualunque strategia per raggiungere questo risultato. Gli utenti sono stati chiamati ad esprimersi anche sull'efficacia delle misure intraprese finora per la lotta al «marine litter». Le risultanze serviranno alla Commissione europea per fissare il primo obiettivo per contenere i rifiuti dei mari e dei fiumi e lavorare per la futura riduzione. Questa campagna precede ed è propedeutica alla formulazione di un obiettivo di riduzione quantitativa per i rifiuti marini che dovrebbe tradursi in una Comunicazione da parte della Commissione europea prevista per il 2014;
    il «rapporto rifiuti urbani 2013» dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, ISPRA, descrive nella sezione «Gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio» che vi è, rispetto al biennio 2010-2011, un forte calo dell'immesso al consumo degli imballaggi in legno e carta, pari rispettivamente a 143 mila tonnellate (-6,2 per cento) e 146 mila tonnellate (-3,3 per cento), per i quali le applicazioni predominanti sono quelle commerciali ed industriali. Anche l'acciaio fa registrare una diminuzione, pari a 46 mila tonnellate (-9,5 per cento), la plastica e il vetro presentano, invece, contrazioni più ridotte, pari a 23 mila tonnellate e 39 mila tonnellate (rispettivamente -1,1 per cento e -1,7 per cento). Quindi, è molto meno marcata la riduzione degli imballaggi primari legati tipicamente ai consumi alimentari;
    l'Istituto di chimica e tecnologia dei polimeri, ICTP, del Consiglio nazionale di ricerca, CNR, di Pozzuoli (Napoli) ha messo a punto tecniche per l'utilizzo di materie prime di origine vegetale, non utilizzate per scopi alimentari, come le bucce dei pomodori San Marzano, da cui è stato ottenuto un film biodegradabile, biocompatibile e non tossico da utilizzare per le pacciamature delle piante, ossia quel processo di protezione e aiuto alla crescita delle piante nella fase più delicate dello sviluppo con alcuni strati di plastica stesi al suolo. Si pensi, che nel mondo vengono usate ogni anno circa 700 mila tonnellate di plastiche pacciamanti e che il loro destino è quello di un difficile riciclo, in quanto contaminate da terra e sostanze organiche, o di finire nel terreno compromettendo la fertilità del suolo. Il vantaggio socio-ambientale non è soltanto quello di essere composto da sostanze organiche; esso può essere utilizzato anche sotto forma di spray e non ha bisogno di essere rimosso, funzionando da ammendante del suolo perché si decompone a contatto con l'acqua piovana – mantenendo le performance per tempi confrontabili ai tradizionali additivati – dopo un certo periodo non lasciando tracce e inquinanti;
    in Italia l'azienda Bio-on ha realizzato e brevettato la prima bioplastica PHAs (Polidrossialcanoati) al mondo completamente e naturalmente biodegradabile in acqua e al suolo. Si tratta della Minerv-PHA, un polimero biologico per la cui produzione si utilizzano gli scarti della lavorazione della barbabietola e della canna da zucchero i quali anziché rappresentare un costo di smaltimento, diventano una risorsa economica con risvolti positivi sull'ambiente e l'ecosistema. Questo tipo di bioplastica è resistente al calore fino a 200o C, è impermeabile ai gas e ai liquidi e ha prestazioni meccaniche eccellenti. I seguiti applicativi di questo polimero biologico sono diversi, si va dalla possibilità di utilizzarlo come substrato per i circuiti elettrici o, combinato con opportune nano cariche può diventare un conduttore di elettricità con prospettive straordinarie prima su tutte quella di ridurre drasticamente l'impatto che il fenomeno conosciuto e-waste ha sull'ambiente con i suoi 50 milioni di tonnellate di rifiuti prodotti ogni anno nel mondo dall'elettronica. Alcuni ricercatori dei dipartimenti di ingegneria delle Università di Modena e Reggio Emilia stanno studiando la possibilità di incorporare circuiti elettrici ed elettronici in substrati plastici, al fine di ottenere un'elettronica flessibile, leggera, facilmente integrabile e sostenibile. La bioplastica PHAs può essere utilizzata anche per rigenerare un tessuto umano, in particolare per realizzare la struttura di supporto (scaffold) di colture di cellule ossee; strutture grazie alle quali è possibile rigenerare un osso umano. In laboratorio è stato dimostrato, empiricamente, che questo tipo di bioplastica, opportunamente combinata con particelle di ceramica o vetrose osteoinduttive in strutture altamente porose, sia adatto alla costruzione di scaffolds compositi privi di citotossicità;
    negli Stati Uniti l'azienda Ecovativedesign ha brevettato un sistema che permette di realizzare sostanze simili al polistirolo e alle schiume plastiche attraverso la coltura di funghi. Le spore dei funghi vengono fatte crescere direttamente su scarti vegetali in stampi della forma desiderata. Nel giro di una settimana, senza bisogno di acqua, luce o sostanze chimiche, l'intreccio dei miceti produce una speciale plastica sostenibile. I primi contenitori in bioplastica sono già in vendita e la loro applicazione per il momento è quella dei contenitori, per esempio i gusci salva bottiglie, ma è imminente il lancio di materiali per l'edilizia e le carrozzerie delle auto;
    una studentessa turca, Elif Bilgin, è riuscita a mettere a punto un processo con cui è possibile produrre dalle bucce di banane una bioplastica dall'alto valore tecnologico e ambientale. Dopo due anni di perfezionamento della tecnica la studentessa è riuscita ad ottenere polimeri funzionali che, grazie al contenuto di amido e cellulosa contenuti nella buccia possono essere utilizzati per creare materiali isolanti elettrici e protesi mediche. La studentessa è stata proclamata vincitrice nel 2013 del più importante premio internazionale «Science in Action» della Scientific American;
    gli esempi nel mondo di nuove scoperte nel campo della tecnica e della scienza applicati al campo della chimica verde potrebbero avere quale risvolto positivo sugli ecosistemi della società, quello di ridurre drasticamente il fenomeno dell'inquinamento causato dalla plastica prodotta da fonte fossile con la progressiva scomparsa a lungo-lunghissimo termine;
    le continue ricerche sulla bioplastica, all'interno dei nuovi scenari socio-economici che offre la «bioeconomia», potrebbero contribuire in modo significativo ad una vera e propria nuova rivoluzione della chimica con la possibilità di riqualificare vaste aree deindustrializzate del Paese, generare nuova occupazione, qualità ambientale e cultura;
    il «cluster tecnologico nazionale della chimica verde» è stato creato nell'ambito della Comunicazione (2011)809 della Commissione europea che istituisce il programma quadro di ricerca e innovazione «Horizon 2020», sotto la priorità «Bioeconomy». Il cluster intende sviluppare a livello nazionale la promozione delle bioindustrie europee a basse emissioni di carbonio, efficienti sotto il profilo delle risorse, sostenibili e competitive. Le attività si concentrano sulla promozione della bioeconomia con la trasformazione dei processi e dei prodotti industriali convenzionali in prodotti e processi biologici efficienti nell'uso delle risorse e dell'energia, con lo sviluppo di bioraffinerie che utilizzano biomassa, rifiuti biologici e biotecnologici sottoprodotti derivati dalla produzione primaria e l'apertura di nuovi mercati attraverso il sostegno alla standardizzazione, alla regolamentazione e alle attività dimostrative/sperimentali e altri, tenendo conto delle conseguenze della bioeconomia sull'utilizzazione del terreno e delle modifiche di destinazione del terreno,

impegna il Governo:

   ad avviare un monitoraggio rispetto alla presenza dell'accumulo anche nei mari italiani delle due grosse correnti di plastica situate tra Cagliari e le isole Egadi e tra La Spezia e l'arcipelago toscano e, conseguentemente, a porre in essere tutte le azioni volte alla bonifica e alla tutela ambientale dell'ecosistema marino;
   ad avviare indagini epidemiologiche sull'eventualità del rischio di contaminazione della catena alimentare ad opera delle due grosse correnti di plastica;
   a sollecitare e farsi promotore nelle istituzioni internazionali di un programma mondiale di monitoraggio della great pacific garbage pacth e della chiazza similare di detriti presente anche nell'oceano Atlantico, in una zona corrispondente all'incirca al Mar dei Sargassi, al fine di conoscere la reale entità e il suo grado di evoluzione e, conseguentemente, avviare i protocolli internazionali con cui procedere alla bonifica del «sesto continente»;
   in sede comunitaria, a far sì che venga trasmessa all'Italia l'espressione della compatibilità delle norme italiane sui «bioshopper» alle norme dell'Unione europea, a fronte del fatto che il termine entro il quale la Commissione europea doveva esprimersi è scaduto il 13 settembre 2013 e, contestualmente, a far sì che nel semestre europeo di presidenza dell'Italia, venga rivista la «Direttiva imballaggi» (94/62/CE) alla luce delle nuove scoperte tecniche-scientifiche sulle bioplastiche a impatto zero e delle applicazioni che queste possono trovare negli indotti delle attività produttive;
   a incentivare lo sviluppo di «chemical» da fonti rinnovabili, con particolare riferimento all'utilizzo di prodotti di scarto dell'industria agroalimentare, residui forestali locali, o comunque a materie prime vegetali coltivate in terreni marginali o abbandonati dall'agricoltura;
   a porre in essere ogni iniziativa di competenza finalizzata ad adottare – entro la data di inizio del prossimo semestre europeo – un «piano nazionale per la bioeconomia», già istituito in Europa da Germania, Olanda, Danimarca, Irlanda, Repubblica Ceca ed in via di definizione in Francia, che introduca un nuovo sistema di politica industriale-ambientale teso a favorire la riqualificazione ed il rilancio delle aree del Paese deindustrializzate, a sostenere la ricerca universitaria, l'innovazione pubblica e privata, i processi di internazionalizzazione e le reti di imprese, e, infine, a incoraggiare la domanda e l'offerta di bioprodotti.
(1-00352) «Migliore, Franco Bordo, Palazzotto, Lacquaniti, Zan, Pellegrino, Zaratti, Ferrara».


   La Camera,
   premesso che:
    la Banca di Sviluppo del Consiglio d'Europa (CEB), creata nel 1956, è la più antica tra le istituzioni finanziarie internazionali europee e l'unica a vocazione esclusivamente sociale e nasce per fornire aiuti volti a risolvere la problematica dei rifugiati, il suo campo d'azione si è progressivamente esteso ad altri settori, per contribuire in maniera sempre più incisiva al rafforzamento della coesione sociale in Europa;
    la CEB è lo strumento finanziario della politica di solidarietà del Consiglio d'Europa;
    La CEB, quale Banca multilaterale di sviluppo, attraverso prestiti partecipa al finanziamento di progetti sociali, risponde a condizioni di emergenza, concorre al miglioramento delle condizioni di vita e alla coesione sociale nelle regioni meno avvantaggiate del continente europeo;
    la CEB accorda i suoi prestiti in Europa, ai paesi membri; basa la propria attività su fondi e riserve propri e non riceve dagli Stati membri alcun aiuto o sovvenzione; la CEB non finanzia direttamente gli individui;
    i campi d'intervento, stabiliti dal consiglio d'amministrazione riguardano ambiti sociali ben precisi: rafforzamento dell'integrazione sociale, gestione ambientale, sostegno alle infrastrutture pubbliche a vocazione sociale, sviluppo del capitale umano;
    la CEB è composta da 41 stati membri appartenenti al Consiglio d'Europa, tra i quali l'Italia è socio fondatore con la maggiore percentuale di partecipazione al capitale sociale 16,735 per cento, insieme alla Francia e alla Germania;
    nonostante ciò, l'Italia risulta essere tra gli ultimi beneficiari, in termini di finanziamento di progetti, tra tutti gli Stati che hanno avuto accesso ai crediti della CEB;
    sebbene le politiche di coesione sociale siano un asse portante della strategia Europea ed una esigenza fondamentale per il nostro Paese, l'Italia non ha avuto nessun progetto finanziato nell'ultimo triennio;
    un corretto utilizzo della CEB, quale strumento finanziario specificamente votato alle politiche sociali, potrebbe contribuire a risolvere emergenze contingenti di particolare allarme sociale e fortemente sentite sia dalla cittadinanza che dalle istituzioni più sensibili italiane ed europee;
    essa potrebbe essere una valida leva finanziaria per sviluppare un piano di investimenti per le PMI che comporti la creazione di posti di lavoro per la riduzione della disoccupazione giovanile; per risolvere le emergenze costituite dalla fatiscenza degli edifici scolastici, degli edifici carcerari, degli edifici che ospitano i rifugiati e i senzatetto;
    vista la specifica finalizzazione ambientale degli interventi, i finanziamenti erogati dalla CEB possono contribuire alla reale concretizzazione del piano di bonifiche ambientali, che riporti la speranza a quelle popolazioni doppiamente colpite dagli effetti dell'inquinamento selvaggio: colpite nella salute e nella sicurezza agroalimentare dei prodotti territoriali,

impegna il Governo:

ad attivarsi al fine di promuovere e fornire adeguata assistenza presso tutti i soggetti potenzialmente destinatari dei finanziamenti erogati dalla Banca di Sviluppo del Consiglio d'Europa, per una migliore conoscenza della stessa quale istituto finanziario vocato al finanziamento di progetti di coesione sociale, al fine di permettere l'utilizzo anche di questo ulteriore importante strumento per la riduzione della disoccupazione giovanile, il miglioramento delle condizioni residenziali scolastiche, carcerarie e di rifugiati e senzatetto, e la bonifica delle porzioni di Paese criminalmente inquinate.
(1-00353) «Pannarale, Migliore, Ricciatti, Di Salvo, Scotto, Marcon, Fava, Boccadutri, Aiello, Lacquaniti, Melilla, Ferrara, Matarrelli».


   La Camera,
   premesso che:
    nelle settimane a cavallo tra il mese di gennaio e febbraio scorsi, un'eccezionale ondata di maltempo ha colpito diverse regioni del Paese, e in particolare il Veneto e l'Emilia Romagna;
    in Veneto le persistenti piogge sommate alle precipitazioni nevose, verificatesi a partire dal 30 gennaio, hanno causato interruzione delle comunicazioni, interruzione della viabilità, esondazioni di fiumi, allagamenti di terreni agricoli, centri abitati, causando gravissimi danni a cose, persone, infrastrutture e opere pubbliche, ma soprattutto alle economie locali (con un danno di oltre 10 milioni solo in agricoltura, secondo Coldiretti);
    vi sono state strade e case sott'acqua nei comuni localizzati lungo l'asta del Bacchiglione, del Bisatto e del Fratta Gorzone, dove i livelli hanno superato quelli raggiunti nell'alluvione del 2010;
    tra le situazioni più difficili, nel padovano, si segnalano in particolare i comuni di Bovolenta, Battaglia Terme, Montegrotto Terme e Selvazzano;
    le ingentissime precipitazioni hanno saturato fin quasi al collasso le opere di difesa idraulica – che dovranno essere ripristinate con la massima urgenza – causato centinaia di frane con numerose interruzioni della viabilità in tutte le zone montane, pedemontane e collinari; peraltro le tracimazioni delle rete idraulica secondaria hanno già determinato l'evacuazione di centinaia di persone e diffusi danni ad abitazioni, imprese, esercizi commerciali ed edifici pubblici;
    altrettanto pesanti saranno le conseguenze finanziarie sui bilanci di molti enti locali che hanno dovuto e dovranno affrontare ingenti spese non programmate per garantire il ritorno alla normalità;
    il 3 febbraio 2014, con decreto del presidente della giunta regionale n. 15/2014, la regione Veneto ha dichiarato lo stato di crisi per le suddette eccezionali avversità atmosferiche;
    anche con riguardo all'Emilia Romagna, le forti piogge che hanno interessato la regione dal 17 gennaio scorso, hanno prodotto l'allagamento di circa diecimila ettari di territorio, sia agricolo che urbanizzato con danni calcolabili nell'ordine di decine di milioni di euro;
    in particolare il 19 gennaio, a seguito dell'apertura di una falla sull'argine del fiume Secchia in una fase di piena del fiume stesso, il territorio della provincia di Modena ha subito una fortissima inondazione, che ha coinvolto in particolare i centri abitati di Bastiglia e Bomporto e alcune frazioni della città di Modena, oltre ad una vasta area comprendente insediamenti agricoli e industriali;
    quasi mille sono state le persone sfollate tra Sorbara, Albareto, Bastiglia e Bomporto; e moltissime sono state le aziende agricole, vitivinicole e le attività produttive colpite, oltre a molte infrastrutture;
    va peraltro considerato che la zona colpita è la medesima che era già stata interessata dagli eventi sismici del maggio del 2012;
    la Gazzetta di Modena del 4 marzo 2014, riporta i dati allarmanti diffusi dalla CISL sulla cassa integrazione nelle zone alluvionate. Sono coinvolti 1.175 lavoratori. A oggi risultano 450 lavoratori in cassa integrazione in deroga, 25 in «cigo» edilizia, 600 lavoratori in «cigo» industria e 100 in sospensione fondo artigianato. Le circa 200 aziende interessate dalla cigo sono piccole e medie imprese meccaniche, tessili e della chimica. A questi numeri vanno aggiunti gli addetti dell'agricoltura. Sono quindi necessarie risorse aggiuntive per la cig in deroga che scade il 31 marzo;
    il 31 gennaio 2014, il Consiglio dei ministri ha deliberato lo stato di emergenza in conseguenza dei suddetti eventi alluvionali verificatisi nei giorni dal 17 al 19 gennaio, nella provincia di Modena;
    è utile riportare le dichiarazioni rese il 21 gennaio 2014 all'agenzia Ansa dal consigliere nazionale dei geologi Paride Antolini: «quello che sta accadendo nella bassa pianura emiliana a nord di Modena e Bologna deve farci riflettere profondamente sulla capacità di gestire il territorio da parte della società moderna. Un sindaco che, giustamente, invita i suoi ad andarsene indica l'impotenza dei nostri sistemi contro gli eventi della natura che occorre avere il coraggio di definire normali e prevedibili. Perché 3-400 mm di pioggia che cadono su un bacino idrografico moltiplicati per l'estensione del suo bacino fanno milioni di metri cubi d'acqua che devono essere smaltiti dai corso d'acqua principale. Quando gli argini del fiume cedono questi volumi si riversano necessariamente sui terreni limitrofi che nel corso delle ere geologiche sono sempre stati di pertinenza del fiume stesso, per il suo “divagare”. Se la pianificazione pregressa non ha tenuto conto di questo, non c’è manutenzione degli alvei che tenga. Occorre pensare a nuove forme di riduzione del rischio, magari ricorrendo a tecnologia e innovazione, modellistica, monitoraggi e gestione informatica dei dati in tempo reale»;
    ancora una volta, puntualmente, bastano un giorno o due di forti piogge, che il nostro Paese si trovi a dover fare i conti con smottamenti, frane, crolli di infrastrutture, argini che non riescono più a trattenere l'impatto con le acque, e allagamenti che troppo spesso assumono le proporzioni di calamità;
    questi drammatici effetti prodotti da eventi naturali sono quasi sempre acuiti e drammaticamente amplificati da una gestione dissennata dei suoli, e dall'assenza di una rigorosa politica di pianificazione, manutenzione e prevenzione territoriale;
    come riportato nel recente «5o Piano per la Riduzione del Rischio Idrogeologico», redatto dall'Associazione nazionale bonifiche e irrigazioni (ANBI), dal 2002 al 2014 nel nostro Paese si sono registrati circa 2.000 eventi alluvionali che hanno determinato 293 morti oltre a ingenti danni. Sei milioni di persone abitano in un territorio ad elevato rischio idrogeologico; 22 milioni di persone in zone a medio rischio; 1.260,000 edifici minacciati da frane e di questi 6.121 sono edifici scolastici e 531 ospedali. A determinare tale situazione hanno certamente contribuito più fattori: da un lato, il mutato regime delle piogge, particolarmente accentuato nella sua variabilità negli ultimi anni; dall'altro, l'impetuosa urbanizzazione, il consumo del suolo, l'omessa manutenzione del sistema idraulico del Paese, lo spopolamento delle montagne, la riduzione del terreno agricolo;
    è ormai improcrastinabile un adeguato impegno finanziario del governo al fine di poter finalmente finanziare con adeguate risorse un Piano pluriennale di interventi per la difesa del suolo e il contrasto al dissesto idrogeologico nel nostro Paese, consentendo contestualmente la loro effettiva spendibilità, troppo spesso impedita a causa dell'obbligo del rispetto del Patto di stabilità interno da parte delle regioni e degli enti locali;
    peraltro il taglio di risorse alle regioni e agli enti locali, sommato all'obbligo del rispetto del Patto di stabilità interno a cui sono tenuti, rende molto difficile per essi poter finanziare e realizzare anche i piani di manutenzione esistenti,

impegna il Governo:

   a deliberare, così come avvenuto per l'Emilia-Romagna, lo stato di emergenza per l'alluvione che ha colpito la regione Veneto tra fine gennaio e il mese di febbraio scorsi;
   ad assumere al più presto la necessaria iniziativa normativa al fine di consentire l'esclusione dal Patto di stabilità interno delle spese sostenute, a valere su risorse proprie o su donazioni di terzi, dai comuni interessati dalla deliberazione dello stato di emergenza;
   ad assumere iniziative normative per modificare il comma 8-bis, dell'articolo 31, della legge n. 183 del 2011, al fine di escludere automaticamente dal patto di stabilità interno, e senza la necessaria approvazione di una specifica norma di legge, le spese sostenute dai comuni a valere su risorse proprie o su donazioni di terzi, in relazione a eventi calamitosi in seguito ai quali è stato deliberato lo stato di emergenza;
   ad assumere iniziative per sospendere i termini per gli adempimenti e per i versamenti dei tributi, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l'assicurazione obbligatoria, nonché il pagamento delle rate di adempimenti contrattuali, compresi mutui e prestiti, per i soggetti che hanno subito danni riconducibili ai suddetti eventi alluvionali, prevedendo che il pagamento dei suddetti adempimenti dopo la sospensione dei termini, sia effettuato con rateizzazioni e senza applicazione di sanzioni e interessi;
   a garantire con la massima urgenza le risorse necessarie – anche attraverso la concessione di contributi fino al 100 per cento del costo riconosciuto, per il ripristino degli immobili danneggiati – al sostegno delle attività produttive e delle popolazioni colpite;
   a garantire le risorse aggiuntive necessarie per finanziare gli ammortizzatori sociali, con riguardo alle aziende e alle attività produttive interessate dagli eventi alluvionali di cui in premessa;
   ad avviare in tempi rapidi, con priorità per le zone alluvionate di cui in premessa e per l'intero territorio nazionale, un piano di investimenti necessari alla messa in sicurezza del territorio e al riassetto idrogeologico finanziato con risorse escluse dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno.
(1-00354) «Zan, Paglia, Marcon, Ferrara, Pellegrino, Zaratti, Di Salvo, Piazzoni, Migliore».


   La Camera,
   premesso che:
    lo storico stabilimento SGL Carbon di Narni (Terni), inserito nella business unit «graphite and carbon electrodes» della multinazionale tedesca SGL Group, è l'unico dei 13 impianti al mondo che produce elettrodi in grafite per forni elettrici sito nel territorio nazionale;
    detto stabilimento rappresenta, ancor oggi, dopo 116 anni dalla sua fondazione, un elemento essenziale per la filiera siderurgica nazionale;
    nei mesi scorsi la direzione aziendale della SGL Carbon ha comunicato a sindacati e rappresentanza sindacale unitaria, a fronte della difficile situazione del mercato della grafite e della forte riduzione dei prezzi di vendita dei prodotti aziendali, la decisione di procedere alla riduzione della produzione del 50 per cento (6.000 tonnellate all'anno) sul sito narnese, riducendo un budget già esiguo rispetto al relativo potenziale produttivo;
    in data 20 novembre 2013, presso il Ministero dello sviluppo economico, si è svolto un incontro riguardante la situazione dell'azienda SGL Carbon di Narni. A tale riunione, presieduta dal dottor Castano, hanno partecipato la dottoressa Gatta del Ministero dello sviluppo economico, il dottor Mauro Montani amministratore delegato della Società, il dottor Luigi Nigrelli, direttore dello stabilimento di Narni e Giovanni Trivelli, responsabile del personale di SGL Carbon, l'assessore Vincenzo Riommi della regione Umbria ed il dottor Mauro Andrielli, il sindaco di Narni Francesco De Rebotti, l'assessore Domenico Rosati della provincia di Terni, le organizzazioni sindacali nazionali e territoriali di categoria (Uiltec-Uil, Filtec-Cgil, Femca-Cisl) e le RSU;
    come si rileva dai documenti pubblicati sul sito del Ministero dello sviluppo economico, il dottor Castano ha, in apertura di riunione, comunicato la difficoltà di immaginare che un mercato come il nostro non possa disporre di produttori di elettrodi e che, se si fosse posti di fronte alla decisione di dismettere lo stabilimento, il Governo non sarebbe stato d'accordo ed in questa eventualità avrebbe discusso direttamente con l'azienda sulle modalità di mantenere la produzione dello stabilimento in Italia;
    durante tale riunione il rappresentante dell'azienda SGL Carbon ha comunicato che in quel momento il gruppo stava affrontando una crisi a livello globale ed elaborando delle strategie per rivitalizzarlo. Era già stato chiuso uno stabilimento in Canada ed era stata decisa la riduzione del consiglio di amministrazione da 5 a 3 elementi. All'interno del gruppo si era altresì parlato di dismissioni e di chiusura di impianti ma, alla data del 20 novembre 2013, non era stato deciso nulla, nonostante la forte preoccupazione per il mercato della grafite che tendeva a non recuperare e a soffrire della concorrenza di altri Paesi come l'India e la Cina;
   le organizzazioni sindacali hanno evidenziato la necessità di far capire alla proprietà quali conseguenze avrebbe avuto la decisione di cessare la produzione, sottolineando altresì che lo Stato italiano ed i lavoratori avevano pagato la pesante riorganizzazione già avvenuta sul sito SGL di Narni, ritenendo inaccettabile la decisione di uscire dal mercato;
    anche i rappresentanti degli enti locali interessati dalla vicenda hanno confermato che sarebbe inaccettabile la riduzione della capacità produttiva e che sarebbe necessario richiamare la proprietà del gruppo al dialogo. Il sindaco di Narni, in particolare, ha evidenziato che da tempo si stava lavorando con l'azienda a livello di istituzioni locali per un progetto di centrale a biomasse, per garantire la continuità lavorativa, ma che la situazione dello stabilimento stava però diventando una questione di carattere nazionale e che l'intervento del Governo doveva essere più che rapido per garantire futuro alla società sul territorio;
    a seguito di tale incontro, sono proseguiti i contatti e i confronti tra il Governo, le istituzioni e le organizzazioni sindacali ed il board del gruppo aziendale, sino a quando – il 13 febbraio 2014 – il management della SGL Carbon ha confermato la volontà di chiudere lo stabilimento di Narni Scalo;
    in particolare, la società tedesca SGL Carbon ha annunciato ufficialmente ai sindacati la chiusura dell'impianto italiano di Narni, in Umbria, e degli uffici amministrativi di Lainate ad esso collegati. Tale decisione coinvolge 120 addetti;
    in una nota diffusa dalla stampa nazionale, infatti, la SGL Carbon ha rilevato che l'iniziativa è coerente con la strategia globale di riallineamento e di riduzione dei costi che punta a migliorare la sostenibilità e la competitività del gruppo attraverso una riorganizzazione della rete globale dei siti produttivi, precisando che le procedure di liquidazione saranno gestite dall'amministratore delegato di SGL Carbon Spa, Mauro Montani, e dall'avvocato Marco Petrucci, che avranno anche il compito di avviare un confronto con i sindacati sui 120 addetti coinvolti. Il management della SGL Carbon ha anche affermato che la decisione del gruppo non è in alcun modo legata alla qualità del personale italiano o del prodotto, entrambe eccellenti, quanto ad altri, cruciali fattori, quali i costi di produzione e l'utilizzo della capacità produttiva attuale e futura. Il mercato degli elettrodi di grafite, necessari per il riciclaggio di acciaio, è sotto pressione soprattutto per la debolezza della domanda e il calo dei prezzi. L'impianto di Narni è il secondo chiuso da SGL Carbon dopo quello canadese di Lachute. L'azienda tedesca ha avviato nel mese di agosto 2013 un piano per ridurre i costi e la produzione mondiale, rilanciare la sua struttura organizzativa e ottimizzare il portafoglio con l'obiettivo di risparmiare circa 150 milioni di euro al 2015;
    come evidenziato da numerosi atti di sindacato ispettivo presentati in Parlamento e da ultimo al Senato dall'interrogazione n. 4-01653 che hanno recepito le preoccupazioni espresse dalle stesse organizzazioni sindacali di riferimento sull'annosa questione relativa alla SGL Carbon, il mercato mondiale dell'acciaio nell'anno 2013 ha vissuto un periodo di leggera ripresa, forte della crescita della domanda da parte dei Paesi asiatici, mentre, per quanto riguarda il mercato nazionale, a fronte di una lieve ripresa della domanda di acciaio vi è stata una perdita di competitività delle imprese nazionali rispetto a quelle internazionali, con un conseguente aumento delle importazioni;
    nel quadro delineato, un ulteriore elemento critico è rappresentato dalla diminuzione dei prezzi medi di mercato dell'acciaio che ha interessato non solo il nostro Paese ma l'intera eurozona;
    le motivazioni che rendono difficile per l'Italia l'equilibrio degli scambi commerciali siderurgici devono essere rinvenute, essenzialmente, nella difficoltà per l'approvvigionamento delle materie prime e nei costi dell'energia mediamente più alti degli altri Paesi europei;
    nonostante tali difficoltà, il Parlamento europeo con la recentissima approvazione del piano dell'Unione europea per l'acciaio ha posto tra i suoi obiettivi la crescita della produzione dell'acciaio e del settore siderurgico ritenendolo trainante dal punto di vista del valore aggiunto sul prodotto interno lordo nonché sul fronte occupazionale;
    il 5 febbraio 2014, infatti, il Parlamento europeo ha concesso il via libera al «Piano europeo per l'acciaio», che punta al rilancio dell'industria siderurgica europea e introduce una certificazione di qualità per i prodotti connessi all'acciaio che sia in grado di tutelare la produzione europea da prodotti non certificati, con l'adozione di politiche di recupero degli scarti della produzione dell'acciaio, la promozione di misure per la riqualificazione, la formazione attiva e l'apprendimento permanente dei lavoratori per tutelare e garantire le competenze necessarie alla competitività del settore;
    detto «piano» può rappresentare un momento di svolta per le imprese e per i lavoratori italiani, collocandosi all'interno di una strategia complessiva che ha come scopo quello di restituire centralità all'industria e al manifatturiero europei, offrendo una soluzione per le molteplici vertenze che interessano gli stabilimenti italiani e impianti strategici e di eccellenza come il sito di SGL Carbon di Terni;
    nonostante le oggettive problematiche e le procedure di ridimensionamento che hanno riguardato la siderurgia nazionale, l'Italia resta ancora oggi il secondo produttore di acciaio dopo la Germania; in particolare, il 90 per cento dei 40 forni oggi attivi per la produzione italiana di acciaio utilizza forni elettrici che, per funzionare, hanno bisogno di elettrodi di grafite che sono prodotti solo nello stabilimento di Narni scalo;
    in realtà, la produzione di elettrodi di grafite avveniva sino all'anno 2007 anche nello stabilimento di Ascoli Piceno, sito che in quell'anno è stato chiuso con la motivazione da parte dei vertici della SGL Carbon che tale rinuncia avrebbe comportato la tenuta ed il miglioramento della produzione dello stabilimento di Narni scalo;
    invece, nonostante la limitatissima entità degli investimenti effettuati dalla SGL Carbon negli ultimi 5 anni, l'assegnazione di quantitativi di produzione di circa la metà della sua capacità, i prezzi di vendita mediamente più bassi rispetto al passato, lo stabilimento di Narni nel periodo 2008-2012 è riuscito ad ottenere utili per circa 25 milioni di euro;
    lo stabilimento di Narni ha già subìto un fermo totale dell'attività nell'anno 2009 e, nei primi tre mesi del 2010, è stato sottoscritto un piano di mobilità del personale che ha ridotto l'organico di 40 unità attestandolo alle attuali 107, e la proprietà, nonostante sia consapevole dell'alta qualità dei prodotti lavorati nello stabilimento, ha manifestato la volontà di chiuderlo per continuare la produzione degli elettrodi in altri siti;
    lo stabilimento di Narni è, come detto, l'unico presente in Italia per la produzione di elettrodi; una volta chiuso, l'intera filiera siderurgica italiana diventerebbe integralmente dipendente dal mercato estero;
    la maggiore qualità degli elettrodi prodotti dallo stabilimento è attestata, oltre che dalla maggioranza delle aziende italiane del settore, anche dalle lavorazioni da queste ultime richieste allo stabilimento di Narni volte a migliorare alcuni tipi di elettrodi costruiti da altre imprese;
    la sua produzione rientrerebbe negli standard qualitativi richiesti dalla certificazione di qualità europea di cui al piano per l'acciaio appena approvato dal Parlamento europeo;
    la chiusura dello stabilimento di Narni avrebbe anche, con molta probabilità, l'effetto di far aumentare i prezzi dei materiali circolanti così incrementando il saldo negativo tra le importazioni e le esportazioni a danno del Paese;
    la chiusura, oltre agli oggettivi problemi di bonifica che si manifesterebbero come è avvenuto in casi di simili dismissioni, avrebbe un devastante effetto per l'economia della zona poiché verrebbero a mancare oltre 200 posti di lavoro, considerando anche l'indotto, posti difficilmente riassorbibili in una regione già duramente provata da altre chiusure e delocalizzazioni,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa urgente, anche presso le competenti sedi dell'Unione europea, finalizzata a scongiurare la chiusura dello stabilimento SGL Carbon di Narni scalo, in modo da consentire il rilancio di una delle principali aziende in Europa nella produzione di elettrodi, facendolo tornare nuovamente tra gli impianti strategici e di eccellenza in forza di quanto previsto dalla certificazione di qualità europea;
    a porre in essere ogni iniziativa di competenza finalizzata ad affrontare concretamente, anche in via straordinaria, la questione suesposta relativa allo stabilimento SGL Carbon di Narni scalo;
    ad attivare ogni iniziativa utile a sostenere la continuazione della produzione di elettrodi da parte dello stabilimento SGL Carbon di Narni scalo con il coinvolgimento degli utilizzatori finali ed eventualmente di altri imprenditori disponibili a rilevarne il business, qualora la multinazionale SGL Carbon Group non receda dal proprio intento di chiudere il sito;
    a porre in essere ogni iniziativa finalizzata a far sì che la multinazionale tedesca, nella denegata ipotesi di chiusura del sito, lasci in disponibilità l'area produttiva e gli impianti della SGL Carbon.
(1-00355) «Nardi, Epifani, Di Salvo, Migliore, Verini, Sereni, Lacquaniti, Ascani, Giulietti, Galgano, Vitelli, Tinagli, Duranti, Antimo Cesaro, Airaudo, Ferrara, Scotto, Piazzoni, Melilla, Quaranta».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VI e VIII,
   premesso che:
    una famiglia su 10 si trova in condizione di povertà relativa mentre una famiglia su 20 si trova in povertà assoluta e circa il 57 per cento del totale detiene un reddito inferiore alla media;
    in questo periodo di crisi, che dura da almeno 5 anni, precarietà e disoccupazione, con affitti che incidono, in media, più del 30 per cento sul reddito totale, a cui vanno aggiunte tutte le spese relative alla casa e alle utenze domestiche che portano il totale all'80, sono sempre più numerose le famiglie e le persone che rischiano di cadere nel vortice della povertà;
    negli ultimi 20 anni contemporaneamente alle trasformazioni del mercato del lavoro, le politiche abitative hanno subito una svolta liberista con l'intento di indirizzare tutti sul libero mercato e non garantendo più nessuna copertura sociale, con il risultato che sempre più vaste aree di popolazione si sono trovate in emergenza abitativa in balia di un mercato immobiliare totalmente senza controllo;
    da qualche anno, conseguentemente, la questione abitativa ha assunto una nuova centralità: il mercato immobiliare, infatti, risponde con sempre maggiore difficoltà ai fabbisogni, non solo delle fasce sociali più deboli, ma investe una sempre più ampia «fascia grigia» fatta di persone sole, nuclei familiari monogenitori, giovani coppie, lavoratori precari, immigrati, studenti, anziani soli;
    quindi quella che viene definita come emergenza abitativa è sempre più determinata non solo dalla domanda di alloggi di chi non ha una casa in cui vivere, ma anche da chi ha una casa e paga, con sempre maggiore difficoltà, un canone di affitto o una rata di mutuo;
    da qualche anno, però, la questione abitativa ha assunto una nuova centralità: il mercato immobiliare, infatti, risponde con sempre maggiore difficoltà ai fabbisogni, non solo delle fasce sociali più deboli, ma investe una sempre più ampia «fascia grigia» fatta di persone sole, nuclei familiari monogenitori, giovani coppie, lavoratori precari, immigrati, studenti, anziani soli e altro;
    ne consegue che quella che viene definita come emergenza abitativa è sempre più determinata, così, non tanto dalla domanda di alloggi di chi non ha una casa in cui vivere, ma da chi ha una casa e paga, con sempre maggiore difficoltà, un canone di affitto (o una rata di mutuo);
   al progressivo aumento dei costi per l'acquisto e l'affitto delle case si è associato un generale impoverimento delle famiglie, con la conseguenza che è cresciuto il numero di quanti incontrano difficoltà nel sostenere le spese per il mantenimento della propria abitazione; è così cresciuta la domanda di quelle famiglie che hanno un reddito troppo alto per l'edilizia residenziale pubblica, che è ormai praticamente inesistente, ma troppo basso per accedere al mercato degli affitti e della proprietà;
    per anni, in presenza di un trend demografico stabile o in decremento, la questione abitativa è parsa piuttosto come un problema residuale, invece, dalla metà degli anni 90, alcuni fatti sono intervenuti a cambiare radicalmente la situazione:
     l'aumento vertiginoso del prezzo delle case e degli affitti rispetto ai redditi e ai consumi delle famiglie;
     la nuova domanda di case derivante dal forte aumento del numero di nuclei familiari (di dimensioni sempre più ridotte);
     una nuova e forte domanda abitativa legata ai flussi migratori;
     la progressiva scomparsa dell'edilizia residenziale sociale;
    l'emergenza si è manifestata, sul territorio, con fenomeni quali l'aumento del numero di sfratti per morosità, la crescita, nelle aree urbane, di alloggi di fortuna e baraccopoli, la crescita di disagio sociale diffuso, di processi di indebitamento e di impoverimento delle famiglie: tutti fattori che hanno contribuito a far inserire di nuovo la questione abitativa all'interno dell'agenda nazionale;
    il diritto alla abitazione rientra nella categoria dei diritti fondamentali inerenti alla persona, in forza dell'interpretazione desumibile da diverse pronunce dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu) e nelle sentenze della Corte costituzionale nn. 348 e 349 del 2007, che delineano i rapporti tra ordinamento interno e diritto sovranazionale. In forza di tale interpretazione il diritto all'abitazione rientra a pieno titolo tra i diritti fondamentali, dovendosi ricomprendere tra quelli individuabili ex articolo 2 della Costituzione, la cui tutela «non è ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico, ma, in virtù dell'apertura dell'articolo 2 della Costituzione, ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito all'interprete rinvenire nel complessivo sistema costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti per l'ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana...». «Il diritto all'abitazione è, quindi, protetto dalla Costituzione entro l'alveo dei diritti inviolabili di cui all'articolo 2 della Costituzione», (così recitano le sentenze della Corte costituzionale del 28 luglio 1983, n. 252; del 25 febbraio 1988, n. 217; del 7 aprile 1988, n. 404; del 14 dicembre 2001, n. 410; del 21 novembre 2000, n. 520; del 25 luglio 1996, n. 309 solo per citarne alcune;
    in Italia occorrono 700 mila alloggi popolari, tante sono le famiglie che ne hanno diritto, mentre la fascia del disagio abitativo riguarda almeno 4 o 5 milioni di cittadini;
    al momento, viene riportata sul nostro territorio la presenza di oltre 2 milioni di abitazioni vuote ed inutilizzate e queste, laddove si trovassero le condizioni per un loro immediato utilizzo, determinerebbero un immediato e completo abbattimento delle necessità abitative;
    le istituzioni hanno risposto al bisogno di soddisfacimento del diritto alla casa, con una nuova architettura di ingegneria finanziaria: housing sociale, project financing e altre denominazioni, per puntare, in realtà, alle risorse della Cassa depositi e prestiti e dividersi la torta dei finanziamenti pubblici, facendo scomparire i bisogni sociali reali;
    oggi l'abitazione è un lusso per tutte le persone che, con redditi bassi o occupazioni intermittenti, tentano di costruirsi un'esistenza dignitosa, un lusso concesso solo a chi può comprarla a caro prezzo;
    per rispondere ai bisogni di milioni di cittadini occorre, invece, utilizzare l'immenso patrimonio immobiliare pubblico, che va ristrutturato e riutilizzato, per essere messo a disposizione delle famiglie bisognose che, massacrate dalla crisi economica, non hanno le risorse per accedere al libero mercato della locazione;
    la legge della regione Lazio n. 55 del 1998 – sull'autorecupero del patrimonio immobiliare – disciplina questa materia, promuovendo l'autorecupero e l'autocostruzione come opzione importante e necessaria: tale normativa potrebbe essere estesa a livello nazionale, anche attraverso un tavolo di lavoro che non escluda nessuno dei soggetti che in questi anni ha portato avanti con determinazione questo obiettivo;
    l'autorecupero non può essere una risposta per tutti coloro che vivono il problema abitativo, ma può contribuire a lanciare un'idea nuova sul diritto all'abitare, attraverso progetti in bioedilizia, puntando sul risparmio energetico e sulla sicurezza nei cantieri, favorendo la creazione di posti di lavoro attraverso la creazione di cooperative di autorecupero e/o di autocostruzione, formate dagli stessi futuri inquilini e favorendo uno stop al consumo di suolo, come già proposto dal Movimento Cinque Stelle, nella proposta di legge AC 1050, «Disposizioni per il contenimento del consumo del suolo e la tutela del paesaggio»;
    l'emergenza abitativa va affrontata con grande senso di responsabilità, evitando di utilizzare un bisogno reale come l'alibi per politiche di sviluppo urbanistico, che spesso sono state esclusivamente funzionali al profitto ed alla rendita fondiaria, ma di modesta efficacia per soddisfare le esigenze dei cittadini;
    il trend di consumo di suolo nel nostro Paese è allarmante; secondo i dati elaborati dall'ISPRA nel IX rapporto sulla qualità dell'ambiente urbano, in quasi tutto il territorio italiano si è assistito ad un consumo di suolo elevato e crescente, principalmente a causa dell'espansione edilizia e urbana e della realizzazione di nuove infrastrutture, portando così alla perdita irreversibile di oltre 8 metri quadrati al secondo, il valore di superficie consumata pro-capite supera i 300 metri quadrati per abitante all'anno, mentre, in alcune aree urbane, le porzioni consumate occupano oltre la metà del territorio comunale;
    non va dimenticato che la Strategia tematica per la protezione del suolo elaborata a livello comunitario prevede, entro il 2020, politiche che tengano conto delle loro conseguenze sull'uso del suolo, con il traguardo di un incremento dell'occupazione netta di terreno pari a zero da raggiungere entro il 2050;
    è evidentemente necessario l'adeguamento, in tal senso, del quadro normativo nazionale in modo da permettere il raggiungimento di tale importante obiettivo e delle strategie delineate a livello europeo per la limitazione, la mitigazione e la compensazione dell'impermeabilizzazione e del consumo del suolo, così come previsto proprio dalla citata proposta di legge del Movimento Cinque Stelle (AC 1050);
    l'emergenza abitativa ormai non è più una questione che riguarda altri, ma investe i territori e le città in maniera sempre più pesante;
    questa situazione è aggravata dalla dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali privatizzati che stanno allontanando senza rispetto migliaia di cittadini dalle case che hanno abitato per un'intera vita e che oggi, a causa della speculazione edilizia, non sono in grado di far fronte alle nuove condizioni proposte per la vendita e per l'affitto;
    nelle giornate del 18 e del 19 ottobre 2013, a Roma, si sono tenute partecipatissime manifestazioni di piazza in cui decine di migliaia di cittadini hanno protestato contro la devastazione dei territori e per il diritto alla casa per tutti, come unico effettivo obiettivo da realizzare;
    sussiste lampante necessità di grandi investimenti pubblici per l'edilizia sociale e popolare,

impegna il Governo:

  ad assumere iniziative normative per:
   a) intraprendere o agevolare il processo per il riconoscimento del diritto all'abitare come diritto costituzionale;
   b) procedere con il censimento degli immobili vuoti ed inutilizzati su tutto il territorio nazionale al fine di acquisirne reale contezza e incidenza percentuale e territoriale e avviare un'efficace politica di riqualificazione del patrimonio immobiliare per uso abitativo, che coinvolga attivamente nel processo la popolazione avente diritto ad alloggi di edilizia residenziale pubblica;
   c) salvaguardare il patrimonio immobiliare pubblico prediligendo politiche orientate al diritto all'abitare piuttosto che politiche speculative rendendo lo stesso patrimonio e quello degli enti previdenziali pubblici immediatamente disponibile ed utilizzabile ai fini abitativi;
   d) rendere immediatamente disponibili all'abitare anche i beni riferiti al patrimonio immobiliare privato, compresi i fondi immobiliari, attualmente non utilizzati;
   e) disporre la sospensione degli sfratti per finita locazione e per morosità di qualsiasi tipo per almeno un anno e/o fino a quando non venga chiarita la corretta normativa da applicare, in relazione agli immobili di proprietà degli enti previdenziali pubblici e privatizzati di cui al decreto legislativo n. 509 del 1994 – anche se già conferiti ai fondi immobiliari SGR, a vari fini, compresa la vendita, o a fondi immobiliari di qualsiasi genere o specie ed anche se la vendita avviene tramite questi ultimi – in particolare con riferimento al patrimonio immobiliare degli enti previdenziali privatizzati;
   f) bloccare gli sfratti da morosità incolpevole, l'aumento degli affitti, i pignoramenti e gli sgomberi, per un anno al fine di consentire il passaggio di casa in casa degli inquilini e, contemporaneamente, prevedere per i proprietari degli immobili interessati la sospensione, senza applicazione di sanzioni ed interessi, per un anno, dei termini per il versamento delle imposte sui redditi derivanti dalle locazioni e dagli affitti degli immobili interessati dalla procedura di sospensione dello sfratto, ivi compresi le imposte sostitutive (cosiddetta cedolare secca) e tutti i tributi immobiliari, comunque denominati» provvedendo a tal fine, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, a stabilire le modalità telematiche per la comunicazione unica della richiesta di sospensione a tutti gli enti impositori in un'ottica di semplificazione amministrativa;
   g) incrementare e offrire ad un numero maggiore di cittadini in difficoltà economica l'accesso al fondo nazionale di sostegno per l'accesso alle case in locazione;
   h) ricavare studentati utilizzando il patrimonio immobiliare pubblico al fine di garantire l'alloggio per tutti gli studenti fuori sede, così da tutelare in modo effettivo il diritto allo studio e ridimensionare i fenomeni del «caro affitti» e degli affitti «in nero» degli alloggi per studenti con conseguente evasione fiscale;
   i) realizzare progetti per il riuso delle città secondo politiche volte al consumo di «suolo zero», nell'ottica di una concreta rigenerazione urbana, attraverso il coinvolgimento e la partecipazione della cittadinanza nelle scelte di progettazione e pianificazione nonché mediante il meccanismo dell'autorecupero, per evitare di realizzare nuove costruzioni e per risolvere aspetti di degrado ambientale presenti in molte città;
   j) per l'attuazione delle misure su esposte, utilizzare prevalentemente le risorse attualmente destinate a grandi opere e grandi eventi trasferendole in un apposito fondo con l'obiettivo di garantire il diritto all'abitare, al reddito, alla salute e alla mobilità;
   k) restituire ai comuni la gestione degli affitti e delle assegnazioni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica;
   l) effettuare una ricognizione dei fondi ex Gescal e di quelli disponibili destinati all’housing sociale, compresi i fondi europei, per finalizzarli ad una programmazione di edilizia sovvenzionata (edilizia residenziale pubblica) e a progetti di recupero e auto recupero del patrimonio sia pubblico che privato abbandonato, inutilizzato e invenduto;
   m) verificare e promuovere l'effettivo utilizzo della convenzione stipulata in data 20 novembre 2013 tra Associazione bancaria italiana e Cassa depositi e prestiti per l'utilizzo del fondo «Plafond Casa 2014» costituito da 2 miliardi di euro per la concessione di mutui a tassi agevolati e provvedere a rimuovere gli impedimenti, per lo più dovuti agli istituti bancari, che attualmente ne precludono una reale efficacia;
   n) determinare incentivi fiscali, anche legati alle compravendite immobiliari, atti a favorire la locazione degli immobili in comuni considerati ad alta «tensione abitativa» come da delibera CIPE n. 87 del 13 novembre 2003 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 40 del 18 febbraio 2004;
   o) provvedere ad una rapida e severa verifica sull'utilizzo dell'attuale patrimonio in gestione all'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC) al fine di evitare situazioni di malagestione e di incrementare la trasparenza anche tramite l'istituzione di database completi e accessibili a tutti, sull'utilizzo di fondi pubblici destinati alla conduzione nell'interesse sociale degli stessi beni, anche per tamponare l'emergenza abitativa.
(7-00283) «Daga, Alberti, Pesco, Ruocco, Cancelleri, Barbanti, Pisano, Villarosa, Lombardi, Bechis, Grillo, Busto, De Rosa, Terzoni, Mannino, Zolezzi, Segoni».


   La III Commissione,
   premesso che:
    a più di tre anni dall'inizio delle proteste che portarono alla caduta del regime di Gheddafi, la Libia attraversa ancora una difficile fase di transizione. L'autorità centrale da diversi mesi cerca faticosamente di affermarsi sul vasto e sottopopolato territorio libico, a causa delle divisioni politico-sociali interne e del confuso quadro istituzionale;
    l'obiettivo di costruire un sistema istituzionale dotato di un Parlamento forte non ha ancora conseguito i risultati sperati e rimane un impegno imprescindibile quello di aumentare la legittimazione degli organi di rappresentanza agli occhi tanto dei cittadini comuni che delle parti politiche, attraverso un miglioramento della situazione economica e soprattutto della sicurezza personale (le registrazioni alle elezioni per l'assemblea costituente, tenutesi il 20 febbraio 2014, sono state solo poco più di un terzo rispetto al 3 milioni di iscritti alle elezioni del 2012);
    all'ormai annosa problema del reinserimento o smantellamento delle milizie conseguente alla guerra civile del 2011 se ne sono sommati di nuovi: il Paese è divenuto piuttosto rapidamente il teatro operativo di formazioni di vario genere, da quelle estremiste e di natura apertamente jihadista a quelle di matrice tradizionale e locale a semplici bande criminali, le quali riescono talvolta a sostituirsi ad attività tipiche dello Stato come il controllo territoriale o l'assistenza sociale, secondo quanto evidenziato anche in un rapporto dell'aprile 2013 dell'ISPI redatto per l'Osservatorio di politica internazionale di Senato della Repubblica, Camera dei deputati e Ministero degli affari esteri;
    a partire dal 2012 si è osservata una preoccupante escalation delle azioni terroristiche, culminata a settembre dello stesso anno con l'attacco all'ufficio di rappresentanza americano di Bengasi, costato la vita all'ambasciatore statunitense Chris Stevens e ad altri tre funzionari;
    diverse forze centrifughe, locali (singole città o minoranze) o regionali (specialmente in Cirenaica), hanno acquisito sempre maggior rilevanza. Dall'estate del 2013, questa situazione sta comportando una preoccupante crisi nel settore dell'industria energetica. Diversi gruppi di miliziani e le guardie preposte al controllo degli impianti energetici, per diverse ragioni, economiche e politiche, hanno imposto lo stop delle infrastrutture energetiche determinando il collasso delle esportazioni libiche, a gennaio 2013 ridotte a meno di un terzo dei livelli pre-guerra. Diverse analisi (FMI, Word Bonk, Economist Intelligence Unit, Morgan Stanley) fanno ritenere che per il 2014 la produzione complessiva si possa assestare, nella più ottimistica delle previsioni, non oltre la metà di quella pre-guerra, alimentando i timori di un rischio default per il paese;
    occorre arrestare una possibile dinamica di polarizzazione del quadro politico secondo linee di divisione già affermatisi negli Stati dell'area – e che renderebbe molto difficile un percorso politico condiviso, volto alla stesura di una costituzione e al prosieguo di un parallelo processo di riconciliazione nazionale;
    il popolo libico non solamente era reduce da 42 anni di regime dittatoriale, ma è stato per lo stesso tempo privo di istituzioni credibili e funzionanti in modo moderno proprio per volontà di Muammar Gheddafi che ha sempre preferito uno Stato debole nel quale non si creassero pesi contrapposti al proprio potere;
    più complessivamente la situazione regionale, con l'intervento francese in Mali, il rovesciamento del Governo di Mohammed Morsi in Egitto e lo stato di guerra permanente in Siria, sta ulteriormente complicando il quadro di stabilizzazione di quest'area regionale e, in particolare, della Libia;
    al G8 del 18 giugno 2013, tenutosi a Lough Erne in Irlanda del Nord, sono state abbozzate le linee guida di un aiuto occidentale, centrato in particolare sulla formazione per alcune migliaia di poliziotti e militari in diversi Paesi (Italia, Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Turchia), ed è stato informalmente dato incarico al Governo italiano di ricoprire un ruolo guida nelle relazioni con il governo di Tripoli, a cominciare dall'organizzazione della conferenza internazionale sul sostegno alla Libia che si tiene nella capitale italiana il 6 marzo 2014),

impegna il Governo:

   a proseguire nel programma di sostegno e addestramento delle forze armate libiche con lo scopo di accrescere la capacità libica di garantire la sicurezza e il controllo sul proprio territorio;
   a contribuire con le proprie capacità a rafforzare un processo di riconciliazione nazionale, quanto più inclusivo possibile, che tenga conto della rilevanza degli attori interni (fazioni politiche, gruppi autonomisti, rappresentanti regionali, locali e tribali, figure religiose) e che possa concorrere ad una risoluzione pacifica delle controversie interne;
   a contribuire nei limiti delle proprie possibilità a stabilizzare il Paese prendendo in considerazione azioni diplomatiche multilaterali con altri attori internazionali capaci di influire sulla stabilità del Paese a cominciare dall'occasione offerta dalla conferenza internazionale sul sostegno alla Libia del 6 marzo 2014;
    a proseguire e a supportare attività di cooperazione, iniziative diplomatiche e della società civile volte a rafforzare il processo di institution bullding messo in atto dalla comunità internazionale, e in particolare dalle Nazioni Unite e dall'Unione europea, con lo scopo di rafforzare il quadro organico istituzionale del Paese, evitandone una sua divisione o frammentazione.
(7-00280) «Quartapelle Procopio, Amendola, Gentiloni Silveri, Manciulli, Chaouki, Cassano, Fitzgerald Nissoli».


   La VI Commissione,
   premesso che:
    il comma 586 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013) prevede che, al fine di contrastare l'erogazione di indebiti rimborsi di imposte dirette a favore di tutte le persone fisiche che hanno presentato il modello 730, l'Agenzia delle entrate, entro sei mesi dalla scadenza dei termini previsti per la trasmissione della dichiarazione (30 giugno), effettua controlli preventivi, anche documentali, sulla spettanza delle detrazioni per carichi di famiglia in caso di rimborsi superiori a 4.000 euro: tale controllo è previsto anche qualora l'importo di 4.000 euro fosse costituito da crediti d'imposta derivanti da dichiarazioni dei redditi relativi ad anni precedenti;
    l'allungamento del termine di rimborso delle somme spettanti ai contribuenti che ne hanno fatto richiesta con il modello 730, qualora le stesse siano superiori a 4.000 euro, comporterebbe un grave disagio economico anche per i numerosi contribuenti ai quali spettino detrazioni per carichi di famiglia che si sono avvalsi dell'opportunità, offerta dal decreto-legge n. 63 del 2013, di portare in detrazione dall'IRPEF le spese sostenute nel 2013 per gli interventi di ristrutturazione e di efficientamento energetico degli edifici, nella misura, rispettivamente, del 50 e del 65 per cento, in quanto la formulazione del citato comma 586 comporta che la previsione si estenderebbe a tutti i casi di rimborso di ammontare superiore a 4.000 euro cui concorrano anche solo in parte le predette detrazioni per carichi di famiglia;
    inoltre, la norma del comma 586 presenta, ad avviso dei firmatari del presente atto, alcuni profili di incostituzionalità, in particolare per contrasto con l'articolo 3 della Costituzione, il quale stabilisce, tra l'altro, che tutti i cittadini sono uguali di fronte alle legge, senza distinzione di condizioni personali e sociali;
    la previsione di cui al comma predetto 586 introduce infatti un'ingiustificabile discriminazione di carattere personale tra i contribuenti, che vengono, sotto questo profilo, distinti in due categorie, a seconda che l'ammontare del rimborso da loro richiesto sia inferiore o superiore alla soglia di 4.000 euro: in tal modo, chi vanta un credito fino a 4.000 euro potrà ottenere il rimborso entro il mese di luglio dell'anno di presentazione del modello 730, mentre coloro che vantano un credito anche di un solo euro superiore a tale limite vedranno dilatarsi la tempistica del rimborso loro spettante, senza alcuna certezza circa i termini di effettiva erogazione dello stesso;
    le previsioni contenute nel citato comma 586 determineranno ritardi nell'erogazione dei rimborsi spettanti ai cittadini, i quali non si vedranno più accreditare nel mese di luglio (per i lavoratori dipendenti) o di agosto (per i pensionati) il credito da loro vantato nei confronti del fisco, ma dovranno attendere il controllo preventivo dell'Agenzia delle entrate che, ai sensi dal comma 587 della medesima legge di stabilità 2014, non sarà chiamata a rispettare alcun termine per erogare il rimborso dovuto;
   un ulteriore profilo di incostituzionalità di tale disposizione, secondo i firmatari del presente atto, riguarda appunto la mancata previsione di un termine entro il quale l'Amministrazione finanziaria deve procedere ai rimborsi, segnalandosi a tale proposito come la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 280 del 2005, abbia dichiarato l'incostituzionalità dell'articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 (successivamente modificato), nella parte in cui non prevede un termine, a pena di decadenza, entro il quale il concessionario della riscossione deve notificare al contribuente la cartella di pagamento delle imposte liquidate ai sensi dell'articolo 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, affermando in tal modo il principio indefettibile secondo cui devono essere stabiliti tempi certi nei rapporti tra amministrazione finanziaria e cittadini,

impegna il Governo:

ad assumere le necessarie iniziative normative per sopprimere il comma 586 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2014, ristabilendo la certezza nell'erogazione dei rimborsi tributari spettanti ai contribuenti prevista dalla normativa previgente, ovvero per stabilire tempi certi entro cui l'amministrazione finanziaria dovrà effettuare i controlli previsti dal predetto comma 586 e procedere ai rimborsi.
(7-00282) «Ribaudo, Causi, Culotta, Moscatt, Ventricelli, Rocchi, Rostan».


   La VIII Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 6-bis del codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (decreto legislativo n. 163 del 2006) aveva previsto che, dal 1o gennaio 2013, la documentazione comprovante il possesso dei requisiti di carattere generale, tecnico-organizzativo ed economico-finanziario per la partecipazione alle procedure disciplinate dal codice fosse acquisita esclusivamente presso la Banca dati nazionale dei contratti pubblici, istituita presso l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture;
    il predetto termine è stato differito, da ultimo, al 1o luglio 2014 da una disposizione inserita nel corso dell'esame parlamentare del decreto-legge n. 150 del 2013, definitivamente approvato dal Senato nella seduta del 26 febbraio 2014;
    l'acquisizione della documentazione comprovante la verifica dei requisiti presso la Banca dati nazionale dei contratti pubblici era stata prevista per finalità di semplificazione con vantaggi per tutti gli attori del sistema dei contratti pubblici; in proposito, la relazione illustrativa che accompagnava il decreto legge n. 5 del 2012, con il quale è stato introdotto il citato articolo 6-bis, sottolineava come dall'istituzione della Banca dati derivasse una riduzione degli oneri informativi per la partecipazione alle gare di appalto con un conseguente risparmio stimato per le piccole e medie imprese in circa 140 milioni di euro l'anno;
    nonostante le finalità perseguite dal sistema, alcuni operatori del settore hanno evidenziato una serie di problemi emersi nella sua applicazione;
    il periodo di applicazione sperimentale, che si è di fatto protratto per tutto il 2013, ha fatto, inoltre, registrare un basso numero di test da parte della pubblica amministrazione;
    le difficoltà di applicazione riscontrate potrebbero avere effetti negativi sugli investimenti programmati dalle amministrazioni;
    il tema della semplificazione e dematerializzazione delle procedure relative ai contratti pubblici ha una rilevanza di carattere generale e trasversale;
    sarebbe auspicabile che tale tema rappresentasse uno degli obiettivi principali di ogni revisione e adeguamento della disciplina dei contratti pubblici recata dal codice e dal regolamento attuativo;
    l'esigenza dì tale revisione complessiva e organica del Codice, finalizzata alla accelerazione della realizzazione delle opere pubbliche e alla riduzione degli oneri amministrativi e burocratici per le imprese, è stata più volte sottolineata dall'VIII Commissione, non solo in precedenti atti di indirizzo ma anche in occasione dell'esame in sede consultiva di disposizioni riguardanti la materia dei contratti pubblici, da ultimo anche nel parere approvato in relazione al succitato decreto-legge n. 150 del 2013;
    tale revisione è resa oggi urgente dalla recente definitiva approvazione della nuova normativa europea in materia di appalti pubblici e concessioni,

impegna il Governo

   ad adottare le necessarie iniziative, per quanto di competenza, affinché il sistema della banca dati nazionale dei contratti pubblici sia reso pienamente interoperabile con i servizi informatizzati delle stazioni appaltanti fruitrici e allo stesso tempo alimentatrici del sistema stesso, senza che ciò comporti – per queste ultime – costi di adeguamento;
   ad avviare con tempestività una ricognizione delle principali problematiche, non solo normative, ma anche organizzative e amministrative, che potranno essere opportunamente affrontate e risolte in occasione dell'adeguamento della disciplina italiana alla lettera e alle finalità delle nuove direttive europee;
   a identificare, in questo contesto, un insieme organico di obiettivi di riduzione di oneri amministrativi, anche attraverso la soppressione di procedure, apparati e istituti, rivelatisi di basso rendimento ai finì della efficienza complessiva del sistema, basando tale azione su una attenta considerazione dei costi – diretti e indiretti – a carico sia della finanza pubblica che delle imprese e dei corrispondenti benefici conseguiti.
(7-00285) «Mariani, Borghi, Braga, Bratti, Arlotti, Gadda, Dallai, Morassut, Mazzoli, Tino Iannuzzi, Giovanna Sanna».


   La X Commissione,
   premesso che:
    gli obiettivi nazionali ed internazionali impongono un aumento dello sfruttamento di sistemi per la produzione di energia da fonte rinnovabile rispetto all'utilizzo dei combustibili fossili;
    con i termini sinonimi «vento troposferico» e «vento d'alta quota», si indicano quelle correnti ventose disponibili ad un'altitudine superiore a 500 metri dal livello del suolo;
    lo studio scientifico «Geophysical limits to global wind power» (Kate Marvel, Ben Kravitz, Ken Caldeira), riconosciuto a livello internazionale e pubblicato nell'agosto 2012 su Nature, costituisce una prova inconfutabile della validità del vento troposferico quale vero e proprio giacimento di energia rinnovabile;
    non esistono significative limitazioni per ciò che concerne l'installazione di impianti per lo sfruttamento del vento d'alta quota, sia on-shore che off-shore;
    gli impianti per la produzione di energia elettrica da vento troposferico comportano solo un trascurabile impatto ambientale;
    numerose start-up in tutto il mondo, hanno sviluppato e sviluppano tuttora differenti tecnologie per captare la potenza del vento troposferico e sfruttarla al fine di produrre energia;
    lo sviluppo dei sistemi di generazione elettrica da vento troposferico richiede ricerca ad alto livello e genera un notevole indotto lavorativo specializzato;
    le tecnologie citate sono ad elevato EroEI (energy return on energy investment) e dunque energeticamente vantaggiose e comportano un trascurabile impatto in termini di inquinamento ambientale;
    colossi multinazionali come Google hanno dimostrato concreto interesse, nello specifico acquisendo la start-up Makani Power a seguito di un investimento di più di quindici milioni di dollari;

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per riconoscere il vento troposferico o d'alta quota quale fonte di energia rinnovabile;
   a promuovere opportune iniziative, anche agevolando l'accesso al credito per gli investimenti e ridimensionando la quota di imponibile sul credito di imposta per attività di ricerca e sviluppo, al fine di lanciare attività imprenditoriali che sviluppino tecnologie per sfruttare il vento troposferico.
(7-00281) «Della Valle, Petraroli, Manlio Di Stefano, Da Villa, Tancredi, Alberti, De Lorenzis, Pesco».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    la presenza di fitofarmaci si riscontra in circa la metà della frutta e della verdura coltivate nel nostro Paese;
    nonostante che tale presenza sia contenuta entro soglie accettabili di limite massimo (di residuo LMR) ed assunzione giornaliera accettabile (ADI), l'ambiente circostante alle coltivazioni risulta tuttavia parzialmente contaminato;
    l'elenco relativo alle sostanze attive, di cui all'allegato I della direttiva 91/414/CEE è costantemente aggiornato dalla Commissione europea che, nel corso del tempo, ha depennato alcune molecole ritenute pericolose per la salute umana e per l'ambiente. Attualmente su 1.000 principi attivi disponibili, l'agricoltura italiana dispone di appena circa 350 sostanze attive per la lotta fitopatologica;
    i limiti massimi di residui, espressi in mg/kg di sostanza attiva di prodotto vegetale, vengono fissati al momento dell'autorizzazione con criteri internazionalmente condivisi, al fine di garantire un'esposizione accettabile da parte dei consumatori. Il corretto impiego dei prodotti fitosanitari secondo le modalità riportate nelle etichette autorizzate assicura il rispetto di tali limiti. I limiti massimi di residui sono disciplinati con decreti ministeriali che indicano i valori armonizzati a livello comunitario e, ove non disponibili, i valori fissati a livello nazionale;
    dalle segnalazioni di diversi agricoltori operanti nella Terra di Bari – ancorché il problema risulti interessare tutto il territorio nazionale – si apprende che le coltivazioni di erbe aromatiche destinate alla vendita in vaschette nella grande distribuzione organizzata, a seguito di analisi di laboratorio, presentano un residuo di principio attivo contenuto in fitofarmaci, tra i quali il pendimetalin (erbicida selettivo ad azione sistemica che controlla diverse malerbe annuali inibendone la germinazione dei semi e lo sviluppo dei germinelli), il propizamide (erbicida selettivo che esplica la sua azione per assorbimento radicale distruggendo le malerbe nella prima fase del loro sviluppo) e il propamocarb (fungicida sistemico appartenente alla classe chimica degli azotorganici-carbammati, impiegato contro fitomiceti che attaccano le colture alle radici, al colletto e alla parte aerea di ortaggi e piante ornamentali);
    i valori residuali riscontrati nei campioni analizzati, pur rientrando nei limiti di legge previsti dal regolamento 149/2008/CEE, contengono principi attivi di impiego non autorizzati in Italia sulla coltura di erbe fresche. Ma ciò che apparentemente potrebbe sembrare un vantaggio per la salute dei consumatori italiani è, in realtà, ammesso in Italia, entro certi limiti, per la coltivazione di insalate e delle altre verdure consumate crude. Sulle cosiddette erbe fresche (rosmarino, salvia, menta e altro), invece, quegli stessi principi attivi sono vietati seppur ammessi a livello comunitario;
    i limiti massimi dei residui, stabiliti per ciascuna combinazione sostanza attiva/prodotto, stabiliti dall'Ue sono fissati e valutati in modo tale da non costituire un rischio per la salute del consumatore;
    è plausibile che alcuni fitofarmaci che contengono i suddetti principi attivi, utilizzati su altre colture della zona, potrebbero essere stati portati nei campi a causa di abbondanti piogge; le colture di erbe fresche, così inquinate, risultano non vendibili, causando notevoli perdite economiche ai coltivatori e penalizzano un contesto già fortemente provato come l'agricoltura;
    non si comprende la motivazione in base alla quale gli stessi principi attivi non sono ammissibili per la coltivazione di alcune colture mentre lo sono per altre,

impegna il Governo

a valutare la necessità di predisporre una adeguata armonizzazione delle normative in materia di fitofarmaci, al fine di applicare alle coltivazioni di erbe fresche cosiddette minori le disposizioni riguardanti le verdure crude, uniformando l'applicazione del regolamento 149/2008/CEE.
(7-00284) «L'Abbate, Grillo, Gagnarli, Lupo, Gallinella, Benedetti, Massimiliano Bernini, Parentela, Silvia Giordano, Cecconi, Baroni, Dall'Osso».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   in data 13 giugno 2013 gli organi di stampa hanno dato notizia dell'avvenuta pubblicazione di tre opuscoli dal titolo «Educare alla diversità a scuola», prodotti a cura dell'istituto Beck e dell'UNAR, ufficio afferente al Dipartimento per le pari opportunità che dipende dalla Presidenza del Consiglio dei ministri;
   gli opuscoli sono stati pubblicati sotto l'egida e con il logo della «Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Pari Opportunità»;
   il contenuto di tali opuscoli si proponeva esplicitamente di «rendere le scuole più aperte e accettanti, scuole delle pari opportunità, che consentano e favoriscano lo sviluppo sano di tutti i ragazzi, indipendentemente dal loro orientamento sessuale; di fornire agli insegnanti gli strumenti per approfondire le varie tematiche legate all'omosessualità, così da diventare essi stessi educatori dell'omofobia»;
   in realtà le «pari opportunità» secondo gli autori dei tre volumetti consisterebbero nell'insegnare a tutti gli alunni, dalle elementari alle superiori, che la famiglia padre-madre-figli è solo uno «stereotipo da pubblicità», che i due generi maschio e femmina sono un'astrazione, che leggere romanzi in cui i protagonisti sono eterosessuali è una violenza, che la religiosità è un disvalore, arrivando al ridicolo di censurare le favole in quanto appiattite sulla presentazione di solo due sessi e non già di sei generi o a proporre problemi di matematica che partono da situazioni in cui operano nuovi modelli di famiglie omosessuali;
   i tre opuscoli si collocano in continuità con precedenti iniziative rieducative dello stesso UNAR, dirette ai professionisti dell'informazione, al personale della scuola e agli studenti di ogni ordine e grado;
   il significato ideologico di tali precedenti iniziative era stato già segnalato con un'interpellanza dei firmatari del presente atto rivolta al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e depositata in data 14 gennaio 2014 alla quale aveva dato risposta il Sottosegretario pro tempore Marco Rossi-Doria in data 17 gennaio 2014;
   come per le precedenti iniziative dirette agli studenti, anche quella oggetto di tale atto scavalcava ad avviso degli interpellanti deliberatamente la libertà e le scelte educative delle famiglie dei ragazzi; di fronte alle proteste e alla richieste di spiegazioni, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha sostenuto di non sapere nulla dell'iniziativa dell'UNAR e, in particolare, di non aver richiesto e in alcun modo approvato la produzione del materiale didattico predisposto dall'UNAR; la mancanza di ogni preventivo confronto con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca è stata confermata dal vice-ministro pro tempore Guerra;
   il Sottosegretario all'istruzione, all'università e alla ricerca pro tempore Gabriele Toccafondi ha dal canto suo dichiarato in data 15 febbraio 2014 che «Il fatto che gli opuscoli sulla diversità siano stati redatti dall'UNAR e diffusi nelle scuole senza l'approvazione del Dipartimento Pari Opportunità da cui dipende, e senza che il ministero dell'istruzione ne sapesse niente, è una cosa grave, chi dirige UNAR ne tragga le conseguenze» ed ha aggiunto «L'UNAR sembra voler imporre un'impronta culturale a senso unico destando preoccupazione e confusione su tutto il sistema educativo. Una materia così delicata richiede particolare attenzione ai contenuti e al linguaggio utilizzati, a maggior ragione visto che si rivolge a ragazzi di tutte le fasce di età»;
   il Vice Ministro pro tempore Maria Cecilia Guerra, titolare della delega per le pari opportunità, ha dal canto suo smentito decisamente la paternità dell'iniziativa, dichiarando di ignorarne addirittura l'esistenza, ed ha stigmatizzati il comportamento del direttore dell'UNAR, Marco De Giorgi, criticandone la decisione dallo stesso presa in totale autonomia, giudicando «Non accettabile che materiale didattico su questi argomenti sia diffuso dagli insegnanti da un Ufficio del Dipartimento Pari Opportunità senza alcun confronto con il Miur»;
   risulta che il direttore dell'UNAR sia stato già oggetto di una «nota formale di demerito» da parte del dipartimento delle pari opportunità, per aver diffuso materiale mai prima approvato e addirittura sconosciuto a chi di dovere –:
   quali iniziative intenda assumere il Presidente del Consiglio dei ministri per rispondere all'allarme educativo creato in molte famiglie dalle iniziative dell'UNAR;
   in qual modo intenda muoversi per ricondurre l'UNAR ai suoi compiti istituzionali evitando per il futuro che tale ufficio possa occuparsi di rieducare gli italiani e in particolare gli studenti al politically correct di quello che agli interpellanti appare il «pensiero unico» delle associazioni LGBT;
   se non ritenga opportuno sostituire urgentemente il direttore dell'UNAR, che secondo gli interpellanti ha abusato della delega ricevuta, sostituendosi all'autorità politica in iniziative che coinvolgono aspetti molto rilevanti della vita sociale e ambiti molto delicati del processo educativo delle giovani generazioni;
   chi abbia autorizzato la spesa di fondi europei generata dalle iniziative del predetto direttore dell'UNAR e, nel caso essa non fosse stata autorizzata, quali iniziative si intendano assumere nei confronti dello stesso funzionario;
   se non intenda risolvere immediatamente il contratto con l'istituto Beck, in essere dal 2012 per evidente uso a fini ideologici del rapporto con la pubblica amministrazione.
(2-00427) «Gigli, Dellai, Binetti, Sberna, Iori, Patriarca».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   in questi anni la Sardegna e i sardi hanno pagato, e continuano a pagare, un prezzo altissimo per le gravissime e reiterate discriminazioni democratiche, economiche, infrastrutturali e sociali che lo Stato e l'Europa hanno esercitato contro la più isolata regione insulare dell'Unione;
   sia lo Stato che l'Europa hanno sistematicamente ignorato la condizione insulare della Sardegna e hanno a giudizio dell'interrogante ripetutamente danneggiato con provvedimenti gravemente discriminatori la rappresentanza democratica, l'economia e la società sarda;
   il 25 maggio 2014, si svolgeranno le elezioni europee;
   si tratta di un'occasione unica e irripetibile per far sentire forte e chiara la voce della Sardegna e dei sardi;
   la discriminazione più rilevante sul piano democratico è, infatti, quella dell'esclusione della Sardegna dal Parlamento europeo considerato che l'accorpamento con la Sicilia ne preclude per il rapporto elettorale qualsiasi possibilità di accesso;
   si tratta di una discriminazione grave sul piano democratico, insostenibile su quello sostanziale, considerato che l'Europa, in concorso con lo Stato, ha messo in atto provvedimenti che a giudizio dell'interrogante ledono l'appartenenza stessa della Sardegna al contesto europeo;
   si tratta di quella che all'interrogante appare una palese discriminazione democratica;
   l'attuale legge elettorale europea distorce e nega in modo ineludibile l'uguaglianza e la libertà del diritto di voto dei cittadini sardi e provoca una palese distorsione della foro rappresentanza come cittadini dell'Unione accertata proprio in forza delle precedenti elezioni europee;
   si tratta di norme che appaiono palesemente non conformi ai principi e alle norme Costituzionali che traggono principalmente origine dalle modifiche introdotte con la legge n. 10 del 2009, nella disciplina previgente sull'elezione del Parlamento europeo, nonché dalle modifiche legislative nazionali e comunitarie entrate in vigore successivamente all'adozione della legge n. 18 del 1979, che evidenziano, al di là di ogni ragionevole dubbio, l'incompatibilità della normativa attuale in materia, con quelle costituzionali e comunitarie anche in relazione alle norme speciali e derogatorie previste per alcune minoranze linguistiche;
   tale lesione dei principi fondamentali della rappresentanza democratica costituisce un vulnus di rilevanza tale da minare alla radice la stessa appartenenza della Sardegna all'Unione europea, essendo il popolo sardo privato del più elementare diritto di rappresentanza diretto;
   il principio di uguaglianza alla base della stessa Unione europea viene, dunque, violato e ignorato nel caso della regione insulare della Sardegna che, proprio per le sue peculiarità insulari e culturali – linguistiche, avrebbe avuto diritto al riconoscimento della propria specialità sia sul piano della rappresentanza democratica che economica e sociale. La legge sulla elezione della delegazione italiana al Parlamento europeo n. 18 del 1979, è stata modificata con la legge n. 10 del 2009, mediante l'introduzione di norme che, secondo l'interrogante in contrasto con la Costituzione e i Trattati TFUE e TUE, limitano gravemente il diritto di voto dei cittadini residenti in Sardegna, che invece dovrebbe essere garantito sia costituzionalmente che dalle norme sovranazionali;
   la mancanza di un potere-diritto di rappresentanza nel Parlamento europeo costituisce elemento che determina di fatto l'esclusione della Sardegna dallo stesso contesto dell'Unione europea determinando di fatto quella che all'interrogante appare una condizione statutale indipendente;
   si rende indispensabile porre al Governo la seguente condizione:
   per questa ragione si rende indispensabile un'immediata e urgente modifica del contesto normativo che consenta alla regione Sardegna, prima delle elezioni europee del 25 maggio, un'adeguata rappresentanza nel contesto del futuro Parlamento europeo. Tale condizione risulta inderogabile e non negoziabile proprio perché si intende altrimenti promuovere un'azione tesa a favorire un'astensione collettiva del popolo sardo dalle prossime elezioni europee con l'avvio di procedure tese a riconoscere la condizione statutale di fatto indipendente della Sardegna dal contesto europeo;
   si configura una palese discriminazione economica nei confronti della Sardegna;
   tutti i provvedimenti economici e sociali adottati dall'Unione europea con il concorso dello Stato italiano che hanno riguardato e riguardano la Sardegna ignorano reiteratamente e in modo grave la condizione insulare della regione;
   tutti i parametri econometrici di riparto di risorse e definizione di politiche comunitarie hanno deliberatamente escluso la misurazione e la compensazione del divario insulare;
   tale atteggiamento oltre che discriminatorio risulta minare alle fondamenta il principio di uguaglianza tra cittadini appartenenti all'Unione europea;
   si tratta di un reiterato comportamento che si è manifestato sin dal 2004 quando in fase di valutazione dei parametri di coesione si è forzatamente ritenuto di dover valutare solo ed esclusivamente il parametro artificiosamente determinato del PIL medio europeo che ha ignorato la condizione insulare e rapporto all'interno di quello stesso prodotto interno lordo di fatturati che, come nel caso della Saras, risultavano del tutto estranei al contesto sardo. Quell'atto, teso ad escludere la valutazione sia della condizione insulare che del parametro occupazionale, ha in modo lesivo e grave collocato la Sardegna fuori da un contesto di «obiettivo uno», accorpando l'isola a contesti del tutto diversi sul piano delle condizioni infrastrutturali; economiche, sociali e di contesto geografico;
   tale atteggiamento supportato da atti conseguenti ha provocato danni economici e sociali di rilevante entità a partire da un taglio netto di risorse economiche con ricadute sociali ed occupazionali senza precedenti;
   lo stesso riparto di risorse per la prossima programmazione europea 2013-2020 esclude qualsiasi tipo di compensazione insulare e conferma la discriminazione economica che colloca la Sardegna di fatto fuori dal contesto del riequilibrio e della coesione europea;
   si ritiene necessario sottoporre tale condizione al Governo nazionale:
   la Commissione europea, con lo Stato italiano, devono introdurre con effetto immediato nella programmazione 2013-2020 parametri di misurazione e compensazione economica, infrastrutturale e fiscale del divario insulare al fine di inserire la Sardegna a pieno titolo e a pari condizioni nel piano di coesione europea. Tale condizione, inderogabile e non negoziabile, deve verificarsi sin dal prossimo provvedimento economico al vaglio del Parlamento e deve essere ratificata prima delle elezioni europee da parte della stessa Commissione europea;
   si configura in modo evidente una discriminazione infrastrutturale verso la Sardegna;
   il Governo con reiterati provvedimenti di natura economica ha adottato un piano infrastrutturale nazionale che prevede l'esclusione della Sardegna da qualsiasi contesto infrastrutturale strategico adducendo come motivazione il mancato inserimento della Sardegna nell'ambito dei 4 corridoi europei;
   con l'atto finale del documento economia e finanza 2012 approvato il 26 aprile 2012 viene, infatti, enunciato, declinato e adottato un disegno pianificatorio che disattende precisi disposti costituzionali e comunitari relativi al diritto all'equità, alla coesione e all'unitarietà dell'Unione e della Stato;
   in particolar modo il Def afferma quanto segue: «In questa prospettiva, le priorità d'intervento nazionali coincidono con il sottoinsieme delle infrastrutture strategiche comprese nella rete essenziale transeuropea di trasporto TEN-T, con il duplice vantaggio di abbinare un valore aggiunto di crescita europea al valore aggiunto di crescita italiana e di utilizzare al meglio i cofinanziamenti europei per le stesse infrastrutture. L'obiettivo è di realizzare, progressivamente, le tratte italiane dei quattro corridoi “Adriatico-Baltico”, “Mediterraneo”, “Helsinki – La Valletta” e “Genova – Rotterdam”, partendo dai principali colli di bottiglia, costituiti dai nodi urbani (Roma, Bologna, Genova, Milano, Napoli, Torino, Venezia e Palermo), portuali marittimi (Ancona, Bari, Genova, Gioia Tauro, La Spezia, Livorno, Palermo, Ravenna, Taranto, Trieste e Venezia) e fluvio-marittimi (Cremona, Mantova, Ravenna, Trieste e Venezia), aeroportuali (Roma Fiumicino, Milano Linate e Malpensa, Venezia Tessera, Bergamo Orio al Serio, Bologna Borgo Panigale, Genova Sestri, Napoli Capodichino, Palermo Punta Raisi e Torino Caselle) interportuali (Ancona, Bari, Bologna, Cervignano, Firenze, Genova, Livorno, Milano, Napoli, Novara, Orbassano, Padova, Pomezia e Verona) e di valico alpino (Fréjus Domodossola, Chiasso, Brennero, Tarvisio, Trieste) e dagli archi congestionati della rete transeuropea di trasporto essenziale (Ten-T core network) concordati in sede di revisione delle reti TEN-T e del “meccanismo per collegare l'Europa” (Connecting Europe Facility)»;
   tale puntuale definizione di interventi strategici esclude in qualsiasi modo la Sardegna e risulta a giudizio dell'interrogante totalmente eluso e palesemente violato l'articolo 22 della legge n. 42 del 2009, con particolare riferimento alla lettera g) relativa alla misurazione e alla compensazione del divario insulare che richiama gli interventi previsti nell'ambito dell'articolo 19 della Costituzione;
   alla mancata attuazione di tale provvedimento e alla reiterazione di tale discriminazione evidente si deve aggiungere la rilevazione effettuata da un soggetto terzo, l'istituto Tagliacarne, che rileva attraverso l'atlante delle infrastrutture elementi di comparazione assolutamente emblematici dell'assenza di coesione e unità nazionale ed europea: per quanto riguarda le reti energetiche: indice 100 per l'Italia; 64,54 per il Mezzogiorno; 35,22 per la Sardegna; per quanto riguarda le reti stradali indice 100 per l'Italia; 87,10 per il Mezzogiorno; 45,59 per la Sardegna; per quanto riguarda le reti ferroviarie: indice 100 per l'Italia; 87,81 per il Mezzogiorno; 15,06 per la Sardegna; per quanto riguarda l'analisi delle infrastrutture economico sociali: indice 100 per l'Italia; 84,45 per il Mezzogiorno; 56,16 per la Sardegna;
   tali dati, inoltre, non tengono conto del divario insulare, che risulta indefinito proprio per l'assenza strutturale di tale parametro nell'ambito di una corretta pianificazione territoriale e di coesione nazionale ed europea;
   un divario che rende il dato macroscopico tale da evidenziare una vera e propria emergenza nazionale ed europea sul piano della coesione economica ed infrastrutturale, minando i presupposti fondamentali della stessa Carta costituzionale e i trattati europei in termini di coesione e uguaglianza tra cittadini;
   risulta evidente la non conformità alla Costituzione relativamente agli articoli 2-3-4-5; appare all'interrogante palesemente violato il disposto dell'articolo 2 della Costituzione che affida alla «Repubblica» il compito di riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. I provvedimenti dello Stato e della Commissione europa ignorano tale disposto sia sul piano del diritto ad un'equa ripartizione di interventi e risorse tese al riequilibrio territoriale e infrastrutturale che su quello dei doveri inderogabili di solidarietà economica e sociale; è sostanzialmente violato l'articolo 3 della Costituzione che ha riconosciuto a «tutti i cittadini pari dignità sociale»;
   l'articolo 3, n. 1, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (Gazzetta Ufficiale legge n. 158, pagina 77, e – rettifiche – Gazzetta Ufficiale del 2004, legge n. 229, pag. 35, e Gazzetta Ufficiale del 2005, legge n. 197, pagina 34), così dispone: «La presente direttiva si applica a qualsiasi cittadino dell'Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché ai suoi familiari ai sensi dell'articolo 2, punto 2, che accompagnino o raggiungano il cittadino medesimo»; risulta evidente che l'esclusione della Sardegna da qualsiasi piano infrastrutturale strategico costituisce, proprio per la sua aggravante condizione insulare, un grave impedimento alla mobilità e che pertanto per il pieno esercizio del predetto diritto risulta indispensabile un piano adeguato di infrastrutturazione teso proprio all'eliminazione sia sul piano infrastrutturale che economico di quel divario;
   si rende indispensabile porre la seguente condizione:
   risulta improcrastinabile e indifferibile l'adozione di una serie di atti tesi ad attuare un riequilibrio sostanziale infrastrutturale, da adottarsi prima delle elezioni europee, che preveda:
    a) una ridefinizione dei corridoi europei al fine di inserire anche le regioni insulari, con particolare riferimento alla Sardegna, all'interno di siffatti corridoi di trasporto e mobilità con l'inserimento a pieno titolo e con compensazione e incentivi economici del sistema portuale sardo nelle autostrade del mare;
    b) un'equa ripartizione delle risorse statali e comunitarie con parametri oggettivi eliminando quelle evidenti e assolutamente inique ripartizioni che danneggiano in modo irreversibile la regione Sardegna e non tengono conto della condizione insulare;
    c) l'adozione di un decreto attuativo relativamente alla questione insulare in relazione alla lettera g) dell'articolo 22 della legge n. 42 del 2009 al fine di prevedere un piano di misurazione e riequilibrio del divario insulare;
   si registra una evidente discriminazione energetica ai danni della Sardegna;
   la condizione insulare costituisce un grave condizionamento alla liberalizzazione del mercato elettrico della Sardegna. Tale situazione è riscontrata nella decisione della Commissione europea relativa al caso Alcoa dove si afferma:
   «i prezzi all'ingrosso dell'elettricità in Italia sono fra i più elevati in Europa, e i prezzi in Sardegna sono fra i più elevati in Italia. Il mercato dell'energia elettrica in Sardegna presenta una serie di problemi (alcuni dei quali, tuttavia, sono comuni al resto d'Italia) che possono essere riassunti come segue: prezzi elevati, forte grado di concentrazione del mercato, potere di mercato degli operatori dominanti, capacità di produzione eccedentaria nel segmento ad alto costo, relativa inefficienza delle centrali di produzione che stanno diventando obsolete, assenza di accesso all'infrastruttura del gas naturale, carenza di interconnessione»;
   la Commissione europea per quanto riguarda la natura del problema di concorrenza in Sardegna rileva quanto segue: «I prezzi elevati in Sardegna sono il frutto di una combinazione di fattori: l'insufficiente interconnessione, la struttura dei costi del portafoglio di generazione e il potere di mercato dei due principali generatori»;
   assumendo a riferimento i livelli dei prezzi del 2005, secondo l'autorità garante per l'energia elettrica e il gas – nel 2009 i prezzi nel continente sono aumentati – a seconda della zona – fra lo zero e il 5 per cento, mentre i prezzi in Sardegna sono aumentati del 36 per cento. Dette differenze nei livelli dei prezzi – secondo l'Autorità garante per l'energia elettrica e il gas – non sono riconducibili interamente a differenze nella struttura di costo del rispettivo parco produttivo quanto, piuttosto, al potere di mercato unilaterale di cui godono i produttori in Sardegna;
   il fatto che in Sardegna non si possa ottenere un prezzo concorrenziale soltanto leggermente superiore al costo di produzione marginale del produttore è da imputarsi – secondo le dichiarazioni riportate dalla Commissione europea – al comportamento dell'operatore dominante, che può fissare il prezzo in Sardegna e non ha alcun interesse commerciale a vendere ad un prezzo inferiore, sapendo che nessuno può acquistare altrove l'elettricità di cui ha bisogno. Inoltre, in situazione di duopolio (ENEL e E.ON) entrambi gli operatori possono avere interesse ad applicare un prezzo superiore al prezzo economicamente ottimale, onde evitare di creare «un cattivo precedente» nel resto d'Italia. Considerato il notevole potere di mercato conservato dall'ex monopolista ENEL, la relazione alla Commissione europea conclude che non vi è alcuna differenza sostanziale fra il prezzo (18/20 euro megawattora) accordato ad Alcoa in una situazione di monopolio (approvato dalla Commissione nella decisione Alumix) e la tariffa applicabile nelle attuali, alquanto imperfette, condizioni di mercato;
   mentre in tutta Europa i Governi di vari Stati membri incoraggiano la conclusione di contratti di fornitura a lungo termine orientati ai costi tra i consumatori industriali elettro-intensivi e i produttori di energia elettrica, tenuto conto del fatto che i mercati elettrici non funzionano adeguatamente, tutto ciò è precluso in Sardegna per quella che all'interrogante appare una grave commistione di interessi tra le forze politiche di centrodestra e centrosinistra e l'Enel;
   in gran parte dei Paesi europei i contratti bilaterali costituiscono la soluzione adottata per affrontare il problema ed in particolare le misure adottate nei vari Paesi rendono possibili tariffe regolamentate;
   si rende indispensabile porre la seguente condizione al Governo nazionale:
   occorre l'immediata e improcrastinabile adozione, prima delle elezioni europee, di un provvedimento teso a garantire il riequilibrio del costo elettrico in Sardegna garantendo prezzi pari alla media europea secondo le varie tipologie di consumo, domestiche ed elettrointensive, al fine di eliminare strutturalmente le condizioni speculative e di monopolio che hanno provocato e provocano un danno economico ed occupazionale senza precedenti alla Sardegna. Tale condizione prevede l'eliminazione radicale della posizione «dominante» dei produttori elettrici in Sardegna anche attraverso il commissariamento gestionale degli impianti sardi al fine del ripristino di normali condizioni di mercato. In questa direzione la Commissione europea deve esplicitamente e preventivamente adottare procedure che consentano per le regioni insulari l'adozione di parametri oggettivi per la determinazione del prezzo massimo ammissibile con la definizione di un onere di servizio pubblico energetico;
   è evidente la discriminazione agricola ai danni della Sardegna;
   l'attuale riparto dei fondi destinati ai due pilastri della Politica agricola comune costituisce la più evidente discriminazione ai danni dell'agricoltura e della zootecnica sarda;
   la mancata gestione dei pagamenti uniformi a livello regionale costituisce il vulnus della mancata coesione e uguaglianza di trattamento tra le varie aree del Paese e dell'Europa. Non aver tenuto in alcuna considerazione parametri oggettivi di riequilibrio territoriale e insulare ha fatto sì che l'obiettivo del contributo integrativo al reddito sia stato rivolto non alle aree deboli ma a quelle più avvantaggiate sia sul piano strutturale che infrastrutturale, oltre che al posizionamento sul mercato;
   le attuali rilevanti disparità (da 50 a 500 euro/ha) costituiscono la più evidente conferma di una logica che tende a confermare le discriminazioni pregresse per renderle di fatto un consolidato storico destinato ad ampliare in modo irreversibile il divario tra aree forti e deboli del sistema agricolo nazionale ed europe;
   le risorse del piano di sviluppo rurale a livello nazionale sono passate dai 17.661 miliardi di euro del precedente periodo di programmazione ai 18.619 stabiliti per il 2014-2020, con un incremento del 5,42 per cento circa, alla Sardegna, aggiuntivamente al divario pregresso, rispetto al Psr precedente, appena l'1,25 per cento. Non così per regioni come Emilia Romagna o Lombardia, che registrano un incremento superiore ai 130 milioni di euro. Il cofinanziamento statale per la Sardegna è oggi di 476,260 milioni, mentre la volta scorsa era di 620,015 milioni. Il minore impegno dello Stato si traduce in un onere per la regione di ben 204,111 milioni di euro; mentre per il Psr 2007-2013 aveva erogato 97,339 milioni di euro, che rappresentavano il 7,53 per cento della spesa totale, mentre oggi deve accollarsi il 15,60 per cento;
   tale evidente discriminazione non tiene in alcun modo conto dei costi sia dei trasporti che dell'energia, del costo della risorsa idrica e dei carburanti, tutti inficiati in modo rilevante dal gap insulare. A questo si aggiungono regolamenti e disposizioni comunitarie sia sul piano dei contingentamenti che della tutela dei mercati che inficiano peculiarità e caratteristiche del comparto agricolo zootecnico sardo;
   tale condizione di discriminazione si registra nelle politiche ambientali con un gravame di vincoli spropositato rispetto alle esigenze di governo del territorio e alle reali esigenze di tutela del territorio;
   l'imposizione di regole di dimensione europea, a partire da quelle di natura venatoria, eludono il principio di pianificazione ambientale legata alle reali condizioni territoriali di una regione insulare che registra peculiarità non assimilabili ad altri contesti;
   analogo discriminatorio atteggiamento viene messo in atto con provvedimenti vessatori verso l'attività di pesca tutta indirizzata a favorire marinerie diverse da quella sarda, con gravi ed evidenti discriminazioni a partire dal riparto delle quote del «tonno rosso» che hanno totalmente escluso la Sardegna;
   si rende indifferibile porre al Governo la seguente condizione:
   la condizione improcrastinabile e irrinunciabile è la ridefinizione, prima delle elezioni europee, di una nuova politica agricola che modifichi sostanzialmente in chiave di riequilibrio e uguaglianza il riparto dei fondi della PAC a partire dalla convergenza interna dei pagamenti diretti ridefinendo modalità e tempi. In tal senso si deve procedere alla regionalizzazione dei pagamenti stessi anche attraverso la definizione di una soglia minima di pagamenti (400 euro – 0,5 ha) da perseguire attraverso un nuovo riparto risorse tra regioni e una parte di cofinanziamento nazionale;
   si configura l'evidente discriminazione sulla mobilità da e per la Sardegna;    
   la Sardegna è ancora oggi l'unica regione europea dove si prevede un doppio trattamento tra residenti e non residenti per quanto riguarda il naturale e universale diritto alla mobilità;
   sia per il trasporto marittimo che aereo vigono norme e disposizioni a giudizio dell'interrogante di dubbia legittimità, incostituzionali e contrarie al diritto comunitario relativamente alla mobilità dei passeggeri con le quali viene arbitrariamente chiesta la residenza per poter usufruire o per veder negato il diritto alla continuità territoriale;
   in totale violazione del principio di non discriminazione riaffermato dalla decisione della Commissione n. 2007/332/CE, del 23 aprile 2007, e, nell'ambito delle competenze attribuite ai singoli soggetti istituzionali dalla normativa vigente, è necessario prevedere che a tutti i cittadini residenti nel territorio nazionale ed europeo che intendano effettuare voli da e per la Sardegna sia applicata la tariffa sottoposta ad onere di servizio pubblico, in modo da garantire il rispetto del principio di riequilibrio territoriale in relazione all'insularità della regione;
   risultano secondo l'interrogante del tutto inapplicate e violate le disposizioni comunitarie in materia che disciplinano in modo esaustivo e puntuale il significato di continuità territoriale esplicitando che l'obiettivo è quello di collegare in modo efficace e permanente territori altrimenti non collegati;
   il regolamento europeo 1008/2008 in particolare dispone: «previa consultazione con gli altri Stati membri interessati e dopo aver informato la Commissione, gli aeroporti interessati e i vettori aerei operanti sulla rotta, uno Stato membro può imporre oneri di servizio pubblico riguardo ai servizi aerei di linea effettuati tra un aeroporto comunitario e un aeroporto che serve una regione periferica o in via di sviluppo all'interno del suo territorio o una rotta a bassa densità di traffico verso un qualsiasi aeroporto nel suo territorio, qualora tale rotta sia considerata essenziale per lo sviluppo economico e sociale dello regione servita dall'aeroporto stesso. Tale onere è imposto esclusivamente nella misura necessaria a garantire che su tale rotta siano prestati servizi aerei di linea minimi rispondenti a determinati criteri di continuità, regolarità, tariffazione o capacità minima, cui i vettori aerei non si atterrebbero se tenessero conto unicamente del loro interesse commerciale»;
   il richiamo al modo non discriminatorio esplicita la volontà del legislatore europeo di affermare il concetto di collegamento tra territori escludendo qualsiasi tipo di discriminazione tra cittadini europei;
   tale discriminazione è, invece, perpetrata a scapito dei cittadini non residenti per la continuità territoriale aerea, nel periodo 15 giugno 15 settembre, e per quella marittima, per la media e alta stagione, a scapito dei cittadini residenti chiamati a pagare un prezzo superiore del 30 per cento rispetto ai non residenti;
   si rende indispensabile porre al Governo la seguente condizione:
   è improcrastinabile e irrinunciabile uniformare, con apposito provvedimento di natura statale ed europeo, la continuità territoriale marittima e aerea, da e per la Sardegna, merci e passeggeri al principio di uguaglianza e non discriminatorio. Tale atto deve essere finalizzato a garantire e favorire la libera circolazione di merci e passeggeri nell'intero ambito europeo con l'utilizzo di parametri certi e codificati di costi e compensazioni eventuali in linea con il costo chilometrico ferroviario;
   occorre sancire la piena attuazione del principio di continuità territoriale compresa l'autonomia della regione sarda a definire, proprio per la sua condizione insulare e speciale, accordi di qualsiasi natura, commerciali o di marketing, economici e finanziari, con le compagnie che attuino politiche attive di sviluppo tese sia alla crescita economica che occupazionale. Tali azioni di coomarketing devono dimostrare l'efficacia e la valenza economica di tali investimenti con effettiva e duratura ricaduta sul territorio regionale, sia in termini di crescita che di occupazione –:
   se e come il Governo intenda dare risposte, con atti concreti e iniziative conseguenti, alle condizioni poste nel presente atto di sindacato ispettivo;
   se intenda dare risposte compiute e in quali tempi, necessariamente prima dell'indizione delle elezioni europe, al fine di scongiurare azioni sia sul piano giudiziario che su quello politico tese a rigettare tale atteggiamento, ad avviso degli interpellanti vessatorio, dello Stato e dell'Europa verso la Sardegna e i sardi.
(2-00432) «Pili, Pisicchio».


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   con l'interpellanza urgente n. 2-00353 presentata dal sottoscritto l'8 gennaio 2014, è stata messa in evidenza la necessità dell'attuazione della norma di cui all'articolo 2, comma 11, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni», (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, serie generale 30 ottobre 2013, n. 255);
   la suddetta disposizione ha integralmente sostituito, a decorrere dal 1o gennaio 2014, l'articolo 60, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che, nella precedente formulazione, prevedeva che gli enti pubblici economici e le aziende che producono servizi di pubblica utilità, nonché gli enti e le aziende di cui all'articolo 70, comma 4, sono tenuti a comunicare alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica – e al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, il costo annuo del personale comunque utilizzato, in conformità alle procedure definite dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   l'intervento operato dal decreto-legge n. 101 del 2013, integra in primo luogo l'ambito soggettivo di riferimento del suddetto articolo 60, estendendo la platea dei soggetti tenuti al rispetto dell'obbligo di comunicazione previsto, anche alle società non quotate partecipate direttamente o indirettamente, a qualunque titolo, dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, diverse da quelle emittenti strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati e dalle società dalle stesse controllate, e dalla società concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo;
   detto intervento opera, inoltre, sul contenuto informativo dell'obbligo stesso, in particolare per la società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, andando a specificare che il costo annuo del personale comunque utilizzato ed oggetto della comunicazione deve ritenersi riferito ai singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo;
   in virtù di tale disposizione, pertanto, anche la Rai, in quanto società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, è tenuta a comunicare alla Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento della funzione pubblica – e al Ministero dell'economia e delle finanze il costo annuo del personale comunque utilizzato, con riferimento ai singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo, in conformità a specifiche procedure definite d'intesa con i predetti dicasteri;
   in risposta all'interpellanza presentata, nel corso della seduta dell'assemblea della Camera dei deputati di venerdì 10 gennaio 2014, il senatore Giovanni Legnini Sottosegretario pro tempore alla Presidenza del Consiglio dei ministri, in relazione alla concreta attuazione della disposizione di cui al citato articolo 2, comma 11, del decreto-legge 31 agosto 2013, ha fatto presente che «il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato ha già predisposto una prima bozza di documento di lavoro per la definizione delle procedure di acquisizione dei dati utili a soddisfare le necessità informative previste dalla norma che, peraltro, riguarda una pluralità di soggetti»;
   il sottosegretario Legnini ha poi dichiarato che, «sulla base di tale bozza di documenti nella giornata del 9 gennaio 2014, è stata svolta la prima riunione di coordinamento tra rappresentanti del dipartimento della ragioneria generale dello Stato e del dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio con il quale è stato avviato il percorso attuativo della norma per verificare le modalità di rilevazione più idonee all'interno del suddetto sistema conoscitivo che, comunque, con riferimento alla Rai, in ordine alla quale la norma prescrive l'acquisizione di informazioni di maggior dettaglio (ovvero il costo annuo dei singoli rapporti di lavoro), richiederà una specifica modalità di trattazione»;
   in conclusione, il Sottosegretario ha precisato che «la disciplina normativa che è stata puntualmente richiamata sarà attuata, come è doveroso fare, entro i tempi tecnici strettamente necessari e con le procedure che sono state richiamate»;
   il sottoscritto, il 4 febbraio 2014 ha depositato un'ulteriore interpellanza n. 2-00400, relativa ai «tempi e modalità di attuazione della normativa in tema di trasparenza della RAI, con particolare riferimento alla comunicazione del costo annuo del personale utilizzato», con la quale sono stati chiesti aggiornamenti circa il percorso attuativo della medesima disposizione di cui al sopra citato decreto 101 del 2013;
   in risposta all'interpellanza presentata, nel corso della seduta dell'Assemblea della Camera dei deputati di venerdì 7 febbraio 2014, Luigi Casero, Viceministro dell'economia e delle finanze pro tempore, ha rappresentato «l'impegno del Governo ad una rapida attuazione della nuova normativa», facendo altresì presente «che il Ministero dell'economia e delle Finanze, congiuntamente al Dipartimento della funzione pubblica, in attuazione delle disposizioni sopra richiamate, ha provveduto a richiedere alla Rai la trasmissione dei dati previsti nei tempi più brevi consentiti, e comunque non oltre il 31 marzo 2014»;
   il Viceministro Casero ha poi dichiarato che «considerato il vasto universo di riferimento, essendo i soli dipendenti dell'azienda circa 12 mila, si è convenuto con il Dipartimento della funzione pubblica di raccogliere informazioni con differente livello di dettaglio a seconda della tipologia del personale»;
   il Viceministro dell'economia e delle finanze pro tempore ha inoltre affermato che «per poter rispondere in modo dettagliato alla richiesta e permettere la pubblicazione di questi dati, il Ministero dell'economia e delle finanze ha ritenuto comunque opportuno richiedere ed acquisire l'avviso dell'Autorità garante della privacy e dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato su alcuni aspetti interpretativi della norma»;
   è appena il caso di sottolineare che sia il Garante per la privacy che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato hanno già espresso nel 2010 un parere, in tema di total disclosure, per i profili di competenza;
   il Garante per la protezione dei dati personali, fin dal parere del 30 giugno 2010, reso proprio alla Rai in ordine alla divulgazione dei dati relativi ai compensi erogati dalla medesima società, ha rammentato che «la normativa di protezione dei dati personali non può ritenersi ostativa alla pubblicazione, da parte della RAI, dei compensi erogati, sempre che risultino essere osservati i principi stabiliti dall'articolo 11 del codice e purché venga osservata la specifica modalità di divulgazione attraverso il sito web»;
   sullo stesso tema, anche l'Autorità garante della concorrenza e del mercato si è già pronunciata, per competenza, il 7 luglio 2010, trasmettendo, al Ministero dello sviluppo economico e alla Commissione di vigilanza Rai, una propria segnalazione in merito; l'Autorità ha sottolineato le implicazioni di carattere concorrenziale, riconoscendo tuttavia l'esigenza di accountability del servizio pubblico radiotelevisivo e l'importanza di assicurare la trasparenza dei costi connessi alla gestione dei servizi pubblici, il cui finanziamento è a carico dei cittadini;
   il 5 settembre 2013 è stato inaugurato, con conferenza stampa dell'interpellante, il sito internet www.raiwatch.it che sin dal principio ha dichiarato l'intento di monitorare, nella sua completezza, l'attività svolta dalla Commissione parlamentare per l'indirizzo e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, pubblicando altresì le interrogazioni e più in generale tutti i quesiti posti alla Rai, dai parlamentari componenti della Commissione stessa e le relative risposte fatte pervenire dalla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo;
   lo scorso 15 gennaio, il tribunale di Bologna, accogliendo un ricorso urgente (ex articolo 700 del Codice di procedura civile) presentato dalla Rai, ha disposto l'oscuramento del suddetto sito web; l'ordinanza del tribunale di Bologna ha infatti inibito a Wicom s.r.l., provider del sito, l'uso del nome a dominio Raiwatch.it, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo e, in particolare attraverso internet e i social network, disponendo il trasferimento provvisorio del nome a dominio Raiwatch.it a favore di Rai;
   si ritiene utile rappresentare che è tuttora attivo sul web un sito internet analogo, per finalità e contenuti a quello oscurato sulla base del ricorso della Rai, caratterizzato anch'esso dalla dicitura «Rai» nel proprio dominio: www.cambiamolarai.it riconducibile al senatore Maurizio Rossi; non si comprende, pertanto, in base a quali criteri e politiche aziendali, Rai abbia avanzato ricorso soltanto contro raiwatch.it; a tal riguardo, sembra configurarsi, a parere dell'interpellante, una vera e propria azione di intimidazione da parte della Rai nei confronti del sottoscritto interpellante, al quale si riconduce l'attività del sito oscurato raiwatch.it;
   la Rai, concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo continua a non ottemperare agli obblighi di legge sulla trasparenza, come stabilito, solo da ultimo, dal decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, secondo cui la Rai è tenuta a comunicare alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica – e al Ministero dell'economia e delle Finanze il costo annuo del personale comunque utilizzato, con riferimento ai singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo, in conformità a specifiche procedure definite d'intesa con i predetti dicasteri;
   infatti tali obblighi di pubblicità e di trasparenza si desumono da una corposa normativa a cui va aggiunta la previsione, contenuta nel contratto di servizio 2010-2012, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 147 del 27 giugno 2011, siglato tra il Ministero dello sviluppo economico e Rai e tuttora in vigore in prorogatio al cui articolo 7, comma 27, si prevede che «La Rai pubblica sul proprio sito web gli stipendi lordi percepiti dai dipendenti e dai collaboratori nonché informazioni, anche tramite il mezzo televisivo, eventualmente con rinvio al medesimo sito web nei titoli di coda, e radiofonico, sui costi della programmazione di servizio pubblico»;
   la medesima società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo si è resa protagonista nei giorni scorsi di un ulteriore spiacevole episodio che ha visto coinvolto il giornalista Sigfrido Ranucci, inviato di «Report», trasmissione condotta dalla giornalista Milena Gabanelli in onda su RaiTre;
   nei confronti del giornalista è stata annunciata il 22 febbraio 2014, da parte del sindaco di Verona, Flavio Tosi, una denuncia per diffamazione a mezzo stampa, accompagnata da una registrazione audio-video e dalle relative trascrizioni, dalle quali si evincerebbe il tentativo perseguito dal giornalista di «Report» di costruire una puntata della trasmissione ad hoc, con la finalità di dimostrare ipotetiche connessioni tra il sindaco di Verona e ambienti della criminalità organizzata, tutto ciò con chiari intenti diffamatori;
   il filmato audio – video è stato realizzato da Sergio Borsato, ex militante leghista, contattato dal giornalista Ranucci, presumendo che fosse in possesso di documenti compromettenti riguardanti Flavio Tosi; il giornalista, citando fantomatiche indagini della magistratura in corso, ha fatto altresì riferimento alla possibilità che venisse corrisposto un compenso all'ex militante leghista, anche attraverso risorse provenienti, in qualche misura, dalla Rai;
   l'inviato di «Report», che si ricorda essere trasmissione del servizio pubblico radiotelevisivo ha, in tal modo, posto in essere una condotta gravissima, ad avviso dell'interpellante, in totale spregio di qualsiasi norma deontologica propria della professione del giornalista, finalizzata piuttosto a costruire artatamente una tesi completamente falsa e denigratoria, tesa a danneggiare il sindaco di Verona Flavio Tosi a livello personale, oltre che politico, anche attraverso l'offerta di denaro pubblico;
   la Corte di Cassazione con sentenza n. 16236/2010, ha precisato che, quando si tratta del cosiddetto «giornalismo di inchiesta» – il quale provvede ad attingere direttamente l'informazione – gli obblighi del giornalista, connessi al generale limite della verità oggettiva della notizia pubblicata, si sostanziano nel rispetto dei principi etici e deontologici dell'attività professionale, quali risultano dalla relativa legge (articolo 2 della citata legge n. 69 del 1963) e dalla Carta dei doveri del giornalista, ai quali si aggiunge il rispetto della riservatezza, secondo quanto stabilito dalle regole deontologiche in tema di trattamento dei dati personali; restano, comunque, validi i limiti generali costituiti dall'interesse pubblico alla conoscenza del fatto e la correttezza formale dell'esposizione –:
   se il Governo sia a conoscenza di tutte le circostanze esposte in premessa e se non ritenga lesivi del principio di trasparenza e della libertà di informazione, nonché della vocazione istituzionale a servire l'interesse pubblico da parte dell'azienda, come sanciti anche dal contratto di servizio:
    a) le iniziative della Governance Rai (espressione anche dell'azionista pubblico) volte, ad avviso dell'interpellante, al boicottaggio, fino ad ottenere l'oscuramento del sito internet citato in premessa, di tutte le iniziative costituzionalmente protette volte a diffondere conoscenze sulla situazione e le policies dell'azienda radiotelevisiva;
    b) la mancata attuazione delle norme relative agli obblighi di pubblicazione dei dati stabiliti per la società Rai SpA;
   se il Governo non ritenga opportuno assumere tutte le iniziative urgenti di propria competenza, al fine di rendere esecutivi, a norma di legge, gli obblighi di trasparenza in capo alla Rai, per dare completo avvio alla pubblicazione dei singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo;
   se il Governo intenda assumere specifiche iniziative normative per disciplinare in maniera più puntuale e rigorosa l'attività giornalistica, in particolare quella relativa al giornalismo d'inchiesta, anche attraverso la previsione di opportune sanzioni disciplinari, per evitare il ripetersi di episodi gravi come quello esposto in premessa.
(2-00434) «Brunetta».

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRATAVIERA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   sempre più spesso le notizie riportate dagli organi di stampa raccontano storie di famiglie in grave crisi economica ed emergenza abitativa;
   alcuni giornali locali del Veneto, in questi giorni hanno raccontato l'ennesima storia di dolore e disperazione vissuta da una delle tante famiglie che sono rimaste vittima della crisi economica che ha colpito il nostro Paese. Una donna, residente a Mirano (in provincia di Venezia), madre di due gemelli di nove mesi, in emergenza abitativa alle prese con uno sfratto imminente e senza prospettive lavorative per il futuro (la donna è impiegata part time per una ditta di pulizie, 2 ore al giorno per uno stipendio mensile di 250 euro, con un contratto di lavoro in scadenza) ha lanciato il suo grido di allarme facendo presagire che la condizione che sta vivendo se non trova una soluzione potrebbe portare ad un epilogo drammatico;
   questa storia è solo l'ultima di una serie di vicende identiche che mettono in mostra situazioni reali di grave emergenza dovute alla crisi economica;
   la perdurante crisi economica ha prodotto l'impoverimento di un'ampia parte della popolazione che non raggiunge «uno standard di vita minimamente accettabile» legato a un'alimentazione adeguata, a una situazione abitativa decente e ad altre spese basilari come quelle per la salute, i vestiti e i trasporti. Negli ultimi anni si è assistito, ad un incremento sempre crescente di tale fenomeno in segmenti della popolazione prima ritenuti immuni: il Nord – dove le persone in povertà assoluta sono aumentate dal 2,5 per cento (2005) al 6,4 per cento (2012) – e le famiglie con due figli (dal 4,7 per cento al 10 per cento);
   l'introduzione del federalismo fiscale, pur rappresentando un cambiamento epocale che segna finalmente una netta inversione di rotta in merito alle politiche sociali, nei fatti subisce un inspiegabile rallentamento nella sua effettiva applicazione;
   fermo è il convincimento che l'autonomia impositiva regionale e locale disegnata dalla nuova legge delega sul federalismo fiscale, diretta a superare la logica dei trasferimenti vincolati ad alto tasso di burocrazia e a basso tasso d'incidenza sullo sviluppo reale, apra una nuova stagione anche per le politiche fiscali e a tutela dei cittadini e della famiglia;
   una nuova autonomia regionale e locale guidata in base ai principi di coordinamento che sono elencati nella legge delega. Tra questi, quello del favor familiae: «individuazione di strumenti idonei a favorire la piena attuazione degli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione, con riguardo ai diritti e alla formazione della famiglia e all'adempimento dei relativi compiti»;
   si tratta di principi altamente innovativi che connotano questa riforma del federalismo fiscale nella direzione di un maggiore riconoscimento fiscale dei carichi familiari e quindi nella direzione di una maggiore attuazione di quel favor familiae che orienta dettato costituzionale;
   al fine, quindi, di contrastare la diffusa povertà, è necessario che si sviluppi una rete di interventi diretti a sostenere l'attività di welfare territoriale, facendo sì che il Governo metta a disposizione delle regioni e dei comuni maggiori risorse finanziarie da destinare alle politiche sociali, con l'obiettivo di sviluppare programmi ed interventi straordinari finalizzati ad una reale presa in carico dei cittadini e delle famiglie più bisognose;
   in un momento drammatico, come quello che il Paese sta vivendo è doveroso che il legislatore e il Governo siano capaci di tutelare quel sistema di garanzia che si fonda sul rispetto dei principi e valori che rappresentano il motore di un Paese civile. La politica di solidarietà deve essere inquadrata in un'azione ampia, finalizzata a garantire la coesione sociale come condizione stessa dello sviluppo –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare, nel breve periodo, per far sì che le famiglie colpite dalla grave crisi economica che vivono particolari condizioni di emergenza sociale dovute alla personale condizione economica, abitativa, e occupazionale possano essere al centro di interventi mirati alla loro presa in carico e quali misure ed interventi strategici intenda adottare, nel lungo periodo, per rilanciare l'economia del Paese. (4-03780)


   NESCI, DIENI, NUTI e PARENTELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il Presidente del Consiglio dei ministri ha nominato con delibera propria del 30 luglio 2010, ai sensi dell'articolo 4, comma 2, del decreto-legge n. 159 del 2007, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 222 del 2007, e successive modificazioni e integrazioni, il presidente pro-tempore della regione Calabria Giuseppe Scopelliti quale commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro del debito sanitario della regione Calabria, affiancato da due sub-commissari nominati dal Governo;
   il piano di rientro si è fin da subito dimostrato molto problematico ed ha portato nel corso degli anni numerosi insuccessi, così come mostrato dalle periodiche verifiche relative all'attuazione di tale piano, oltre a enormi difficoltà in ambito sanitario per la cittadinanza;
   da ultimo, nel settembre 2013, tramite un comunicato stampa, il Ministero dell'economia e delle finanze rendeva noto che il tavolo per la verifica degli adempimenti e il Comitato permanente per la verifica dell'erogazione dei livelli di assistenza, nelle riunioni dell'8 aprile e del 17 aprile 2013, avevano constatato che nel 2012 la Calabria, assieme al Molise, non aveva raggiunto gli obiettivi fissati nei rispettivi piani; per tale motivo i cittadini calabresi avrebbero subìto per l'anno di imposta 2013 la maggiorazione automatica dell'addizionale Irpef e dell'aliquota Irap, rispettivamente dello 0,30 per cento e dello 0,15 per cento;
   l'articolo 2, comma 84, della legge n. 191 del 2009 prevede che, qualora il presidente della regione nominato commissario ad acta per la redazione e l'attuazione del piano non adempia in tutto o in parte all'obbligo derivanti dal piano stesso, indipendentemente dalle ragioni dell'inadempimento, il Consiglio dei ministri, adotta tutti gli atti necessari ai fini della predisposizione del piano di rientro e della sua attuazione. Nei casi di riscontrata difficoltà in sede di verifica e monitoraggio nell'attuazione del piano, il Consiglio dei ministri, nomina uno o più commissari ad acta di qualificate e comprovate professionalità ed esperienza in materia di gestione sanitaria per l'adozione e l'attuazione degli atti indicati nel piano e non realizzati;
   la sanità calabrese è stata sottoposta negli ultimi mesi a importanti pesanti indagini penali da parte della Guardia di finanza e della direzione distrettuale antimafia, come ad esempio le indagini relative all'azienda sanitaria provinciale di Cosenza;
   tali indagini hanno evidenziato comportamenti criminosi da parte di politici e dirigenti calabresi, oltre a danni erariali per svariati milioni di euro, così come è stato più volte documentato nelle relazioni annuali prodotte della Corte dei Conti della Calabria –:
   se non intenda assumere iniziative normative per revocare l'incarico di Commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro a Giuseppe Scopelliti;
   se non intenda attivare tutti i poteri che la legge conferisce, con particolare riferimento all'articolo 2, comma 84, della legge n. 191 del 2009, al fine di nominare un nuovo commissario ad acta per il piano di rientro. (4-03800)


   REALACCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'anno europeo dell'economia verde, proclamato dall'Unione europea per il 2014 e che vedrà il secondo semestre di turno di Presidenza del Consiglio dell'Unione a guida italiana, è una straordinaria occasione per rilanciare la competitività delle nostre imprese e l'economia a partire dalla green economy. In Italia, come evidenziato dal rapporto Green Italy 2013 redatto da Fondazione Symbola ed Unioncamere, già oggi esiste un'Italia green che è fatta dal 22 per cento delle imprese, che crea occupazione e ricchezza in settori legati alla green economy, tanto che il 38 per cento delle assunzioni complessive programmate nel 2013 si deve a queste realtà. Grazie a questa «Green Italy» sono stati prodotti oltre 100 miliardi di euro di valore aggiunto e vengono impiegati 3 milioni di green job;
   la crisi drammatica che ora sembra segnare il passo e pare restituire deboli segni di ripresa ha però causato in Italia nel settore dell'edilizia la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro e la chiusura migliaia di aziende. Essa può però essere definitivamente sconfitta grazie a un chiaro cambio di passo, puntando su innovazione, qualità, efficienza energetica degli edifici e consolidamento antisismico degli immobili;
   la risoluzione n. 8.00014 (già n. 7-00090), votata all'unanimità dalle Commissioni ambiente e finanze della Camera dei deputati, ha già impegnato il Governo a stabilizzare ed estendere incentivi fiscali per gli interventi di ristrutturazione ed efficientamento energetico degli edifici, il cosiddetto «ecobonus». Si impegna inoltre a garantire agli interventi di riqualificazione energetica e di messa in sicurezza antisismica del patrimonio immobiliare un effettivo vantaggio rispetto alle altre agevolazioni per l'edilizia, tenendo fermo l'attuale parametro che prevede una differenza di 15 punti percentuali fra eco-bonus e agevolazione riconosciuta per gli ordinari interventi di ristrutturazione. La risoluzione prevede altresì che siano ampliati i soggetti fruitori dell'eco-bonus, includendo tra aventi diritto anche gli interventi di riqualificazione energetica del patrimonio di edilizia residenziale pubblica, quelli relativi alla riqualificazione energetica di edifici interi, gli interventi di consolidamento antisismico degli edifici ricadenti in aree ad alta pericolosità sismica che, per ragioni di tipo amministrativo, non rientrano ancora nelle zone 1 e 2 di cui all'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3274 del 20 marzo 2003, e gli interventi di consolidamento antisismico dei beni immobili strumentali e delle strutture alberghiere;
   il  credito di imposta per gli interventi di ristrutturazione ed efficientamento energetico degli edifici, secondo quanto elaborato da un recente dossier dell'istituto Cresme promosso dalla VIII Commissione ambiente della Camera dei deputati in sede di indagine conoscitiva sulla green economy nella XVII legislatura, hanno prodotto a fine 2013 investimenti per 19 miliardi di euro, qualificando il sistema imprenditoriale del settore, riducendo i consumi energetici, l'inquinamento e le bollette delle famiglie e garantendo 189.088 posti di lavoro diretti e 283.638 occupati, considerando anche l'indotto;
   detto ciclo economico corrisponde in termini di prodotto interno lordo nazionale ad una cifra superiore a un punto percentuale e rappresenta una boccata di ossigeno per un settore importante come l'edilizia, che dall'inizio della crisi ha perso oltre 500 mila addetti considerando l'indotto e ha visto chiudere circa 12 mila imprese;
   l'Unione europea, con la nuova programmazione dei fondi europei 2014-2020, anche nell'ambito del già citato «2014 – Anno europeo della green economy», vuole spingere proprio verso la «qualità del costruire» e verso costruzioni energeticamente efficienti. Con le direttive 2012/27 e 2010/31 ha fissato la visione e le scelte da intraprendere per fare dell'efficienza energetica la chiave per una riqualificazione diffusa e ambiziosa anche del patrimonio edilizio italiano. Sulla base delle risorse previste nell'ambito del nuovo quadro finanziario comunitario per l'Italia, considerando i vincoli per la destinazione a interventi in materia di energia e clima e i cofinanziamenti, le risorse che si possono mobilitare per l'efficienza energetica e la rigenerazione urbana sono pari ad almeno 7 miliardi di euro. Fondi utili a riqualificare finalmente il patrimonio edilizio esistente con interventi per l'efficienza energetica e la sicurezza antisismica, migliorando la qualità dell'abitare e dimezzando i consumi e le spese in bolletta per i cittadini. Tra una casa costruita bene ed una costruita con criteri dal punto di vista del risparmio energetico passa una bolletta energetica pari a 1.500 euro l'anno: una cifra molto superiore all'Imu pagata in media sulla prima casa dagli italiani nel 2012 che era pari a 235 euro;
   per la riqualificazione del patrimonio edilizio pubblico, in particolare, la predetta direttiva stabilisce, con una norma di effetto rivoluzionario, che dal gennaio 2014, ogni anno siano realizzati interventi di ristrutturazione in almeno il 3 per cento delle superfici coperte utili totali degli edifici riscaldati e/o raffreddati di proprietà pubblica per rispettare almeno i requisiti minimi di prestazione energetica della direttiva 2010/31 con l'obiettivo di svolgere: «Un ruolo esemplare degli edifici degli Enti pubblici»;
   in vista degli obiettivi previsti dal cosiddetto «Pacchetto clima-energia 20/20/20» (2009/29/Ce), la direttiva 2012/27/Ue chiede agli Stati membri di risparmiare energia fissando obiettivi nazionali di efficienza energetica e di prevedere un piano d'azione a partire dagli edifici esistenti, da presentare ogni tre anni: nel 2014 (termine fissato nel mese di aprile), nel 2017 e nel 2020. Con la decisione 2013/242/Ue la Commissione europea ha peraltro stabilito un modello da seguire per la redazione dei piani di azione, specificando le informazioni che gli Stati membri sono tenuti a fornire sulle misure adottate o pianificate per attuare gli elementi principali della direttiva sull'efficienza energetica: il primo fra tutti gli elementi è costituito dall'efficienza energetica del patrimonio edilizio esistente;
   i dati del «Rapporto Riuso03» del Cresme, promosso da Ance, CNAPPC e Legambiente, presentati nel febbraio 2014, evidenziano un dato allarmante relativamente al consumo energetico degli edifici pubblici: secondo Consip la spesa energetica è maggiore di 5 miliardi di euro annui, di cui 1,3 miliardi imputabili alle sole scuole. Come è noto, gran parte del patrimonio edilizio italiano è di qualità scadente e lontano dagli standard antisismici e di efficienza energetica indispensabili nel nostro Paese e sono spesso ancora gli edifici pubblici a registrare un insufficiente standard di sicurezza e di qualità; oltre la metà delle scuole italiane è stata costruita prima del 1974, anno dell'entrata in vigore della prima normativa antisismica;
   da ultimo è utile ricordare che, in passato, si è talvolta assistito ad una non organica ed efficace distribuzione delle competenze e delle responsabilità rispetto a chi si debba occupare di efficienza energetica tra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Ministero dello sviluppo economico, Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Disfunzione amministrativa che ha portato a perdere ingenti somme di denaro messe a disposizione per i sopraccitati scopi a favore dell'ambiente nella precedente programmazione di fondi strutturali europei –:
   quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intendano mettere in campo i Ministri interrogati per favorire politiche ambientali coerenti con gli impegni internazionali in materia assunti dall'Italia; se non ritengano utile assumere iniziative per stabilizzare, da subito, il credito di imposta del 65 per cento a favore degli interventi di efficientamento energetico e di consolidamento antisismico degli edifici, ampliando la platea dei possibili fruitori del cosiddetto ecobonus e rendendolo applicabile anche a favore dei soggetti fiscalmente incapienti;
   se i Ministri interrogati non ritengano utile promuovere, nelle prossime iniziative di programmazione economica e politica ambientale che il Governo intende varare, nel quadro della normativa recata dalla legge di stabilità 2015, l'allentamento dei vincoli del patto di stabilità interno per la realizzazione da parte degli enti locali di interventi di efficientamento energetico e di messa in sicurezza antisismica degli edifici pubblici, a partire dalle scuole e dagli ospedali;
   se i Ministri interrogati intendano chiarire i contenuti del citato «piano di azione nazionale per l'efficienza energetica» a favore del patrimonio edilizio esistente che l'Italia deve presentare in sede europea entro aprile 2014, anche in vista del semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea. (4-03812)


   COLONNESE, FICO, SILVIA GIORDANO, TOFALO, CANCELLERI, LIUZZI, NICOLA BIANCHI, DE ROSA, MANNINO e CRISTIAN IANNUZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   risulta agli interroganti che in data 5 giugno 2013 un cittadino, avvocato Roberto Ionta, inoltrava formale denuncia alla Commissione delle comunità europee affermando che lo Stato italiano, aderendo al «Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'Unione europea» (detto «Fiscal Compact») violava l'articolo 126, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e il protocollo n. 12, articolo 1, nonché l'articolo 17 del regolamento n. 1175 del 2011;
   lo Stato italiano, infatti, aderendo al fiscal compact, dallo stesso ratificato nel 2012, che prevede il rapporto deficit/prodotto interno lordo allo 0,5 per cento e il rientro entro venti anni del rapporto debito/prodotto interno lordo al 60 per cento, non rispetta i dettami del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, come integrato dal Trattato di Lisbona, nonché il regolamento n. 1175 del 2011;
   difatti il Trattato di stabilità cui l'Italia ha aderito con ratifica del 2012 non ha la stessa valenza giuridica e non può derogare e/o abrogare il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, come integrato dal Trattato di Lisbona, e i parametri di Maastricht e il patto di stabilità e crescita (trattato di Amsterdam) che prevedono il rapporto deficit/prodotto interno lordo al 3 per cento, previsti anche nel regolamento n. 1175 del 2001;
   il Trattato di stabilità è un mero accordo intergovernativo mai votato in Parlamento europeo e non ratificato da tutti e ventotto i membri dell'Unione europea (non ratificato da Regno Unito e Repubblica Ceca) pertanto, non fa parte, come anche in esso indicato, del corpus normativo dell'Unione europea e di conseguenza non ha la medesima valenza giuridica del diritto comunitario che quindi non può essere derogato neanche temporaneamente e/o abrogato dallo stesso. Un esempio già verificatosi è quello della Costituzione europea che non fu ratificata da Francia e Paesi Bassi e non trovò applicazione nell'Unione;
   l'Italia, quindi, alla luce di quanto sopra esposto, rispettando e applicando il Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'Unione europea incorrerebbe secondo gli interroganti nella violazione del trattato sul funzionamento dell'Unione europea che, si ripete, all'articolo 126, paragrafo 2, prevede il rapporto dei disavanzi pubblici rimandando poi al protocollo allegato n. 12 sulla procedura per disavanzi eccessivi che all'articolo 1 prevede proprio il rapporto disavanzo/prodotto interno lordo al 3 per cento, che l'Italia è tenuta a rispettare. L'Italia violerebbe anche l'articolo 17 del regolamento n. 1175 del 16 novembre 2011 del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1466/97; l'articolo 17 prevede infatti il rapporto del 3 per cento rispetto al prodotto interno lordo della posizione di bilancio statale, regolamento che deve pertanto rispettare quale norma di grado superiore nel diritto comunitario e direttamente vincolante per l'Italia rispetto al fiscal compact;
   in data 25 luglio 2013, Matteo Salto, in qualità di capo unità aggiunto di politiche fiscali e analisi (DG ECFIN) della Commissione europea, in risposta all'istanza del cittadino suddetto, pur riconoscendo la differenza di valore tra accordo e normativa europea, rigettava la denuncia adducendo motivazioni secondo gli interroganti lacunose e contraddittorie;
   con legge costituzionale il 20 aprile 2012 n. 1 è stato introdotto nella Costituzione il principio dell'equilibrio strutturale delle entrate e delle spese di bilancio;
   in una recente intervista Giuseppe Guarino, professore emerito nell'università degli studi di Roma «La Sapienza», ha definito il fiscal compact «una scorciatoia» per l'applicazione dell’austerity in Italia malgrado sussistano motivazioni giuridiche che prevedono l'obbligo per il Governo italiano di liberarsi dagli attuali vincoli che gravano sulla politica di bilancio ed esigere finanche «che sia la Commissione dell'Unione europea ad attestare pubblicamente che il limite valido all'indebitamento annuo è quello del 3 per cento e non altro»;
   nel 2009 era stata aperta la procedura per deficit eccessivo (Edp) contro l'Italia, dopo che i conti pubblici avevano sforato il tetto del 3 per cento del rapporto deficit/prodotto interno lordo fissato dai parametri di Maastricht. Nel maggio 2013 la Commissione europea chiudeva la procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia e dopo pochi giorni accordava a Francia, Spagna e Portogallo il permesso di derogare dall'obiettivo fino al 2015 incluso –:
   quali siano le motivazioni giuridiche, oltre che politiche ed economiche, che giustifichino l'applicazione in Italia del Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'Unione europea, nonostante esso, ad avviso degli interroganti, non rispetti i valori stabiliti nel TFUE e nel regolamento n. 1175/2011;
   quali posizioni intenda assumere il Governo rispetto al Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'Unione europea e se provvederà ad inoltrare la richiesta di deroga del rapporto deficit/prodotto interno lordo fissato dal fiscal compact. (4-03817)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PORTA, AMENDOLA, TIDEI, GIANNI FARINA, FEDI, GARAVINI e LA MARCA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   per tutelare i diritti previdenziali dei lavoratori emigrati l'Italia ha stipulato nel corso degli anni numerose convenzioni bilaterali di sicurezza sociale con i Paesi di maggiore emigrazione; tali convenzioni hanno garantito in materia di sicurezza sociale la parità di trattamento dei lavoratori che si spostavano da un Paese all'altro, l'esportabilità delle prestazioni previdenziali e soprattutto la totalizzazione dei contributi ai fini del perfezionamento dei requisiti contributivi minimi previsti dalle varie legislazioni per la maturazione di un diritto a prestazione;
   in America Latina l'Italia ha stipulato convenzioni bilaterali di sicurezza sociale con Argentina, Brasile, Uruguay e Venezuela, mentre invece non è stata ancora ratificata la convenzione con il Cile già firmata dai due Paesi contraenti nel lontano 1998 e approvata in quello stesso anno dal Parlamento cileno;
   a 15 anni di distanza dalla firma della convenzione e dall'approvazione del Parlamento cileno, il Governo e il Parlamento italiani non hanno ancora onorato gli impegni internazionali assunti con il Cile, con il popolo di quel Paese e soprattutto con le migliaia di cittadini italiani ivi residenti;
   attualmente quindi tra Italia e Cile non esistono accordi che regolano i rapporti in materia sicurezza sociale – si tratta di una lacuna che finora non ha consentito a migliaia di cittadini italiani residenti in Cile e di cittadini cileni residenti in Italia (o rientrati in Cile dopo la fine della dittatura) di maturare un diritto a prestazione pensionistica sebbene essi abbiano versato i contributi assicurativi sia in Italia che in Cile;
   nel marzo del 2011 durante la visita di Stato in Cile del Presidente del consiglio pro tempore Berlusconi, il Presidente della Repubblica del Cile ha evidenziato l'interesse a una rapida conclusione del processo di ratifica da parte italiana dell'accordo in materia di sicurezza sociale, sottoscritto a Santiago il 5 marzo 1998, nella consapevolezza che la sua entrata in vigore sarà di utilità per numerosi cittadini di entrambi i Paesi;
   in occasione della recente rielezione di Michelle Bachelet, il Ministro degli affari esteri pro tempore Emma Bonino ha sostenuto che sarebbe andata alla cerimonia di insediamento a marzo 2014 per farle le sue felicitazioni e per rafforzare il rapporto bilaterale tra Italia e Cile già saldo e vitale;
   tuttavia, nella seppur apprezzabile strategia di internazionalizzazione del Paese che ha perseguito il Governo precedente ed in particolare il Ministro pro tempore Bonino, a causa del drastico ridimensionamento delle cosiddette politiche emigratorie che da alcuni anni si sta determinando, rischiano di offuscarsi le potenzialità legate alla presenza degli italiani nel mondo e tende a restringersi la rete di relazioni che essa ha assicurato nel tempo, con grave danno del Paese soprattutto in questo passaggio di gravi difficoltà economiche e sociali;
   l'abbandono della gestione delle convenzioni bilaterali di sicurezza sociale non consente di esercitare una doverosa tutela dei diritti e un rigoroso controllo dei doveri socio-previdenziali di una parte non marginale delle comunità italiane, costituita da anziani che spesso vivono in realtà dove i sistemi di protezione sociale non assicurano livelli di tutela adeguati e dai nuovi soggetti migranti i quali sono protagonisti di una mobilita internazionale fonte di carriere lavorative ed assicurative frammentate che necessitano di nuovi e più adeguati strumenti di tutela previdenziale, fiscale e sanitaria;
   è quindi di primario interesse nazionale fare in modo che non si indeboliscano i rapporti con la diffusa e articolata presenza degli italiani nel mondo e che non vengano a mancare in un momento di seria difficoltà gli apporti derivanti dalla nostra diffusa diaspora; nello stesso tempo, è ineludibile dovere etico riconoscere alla nostra emigrazione il contributo storico dato in momenti difficili al Paese e non ignorare i compiti di tutela e di solidarietà verso coloro che sono in seria difficoltà, a partire dalla tutela previdenziale e sanitaria;
   nei giorni scorsi, dopo ben oltre dieci anni di inattività in materia di stipula di convenzioni bilaterali di sicurezza sociale il Consiglio dei ministri pro tempore su proposta del Ministro degli affari esteri Emma Bonino, ha finalmente approvato i disegni di legge per il rinnovo della convenzione di sicurezza sociale con il Canada e la stipula delle convenzioni con Giappone, Israele e Nuova Zelanda, mentre purtroppo, ancora una volta, è rimasto escluso il Cile;
   la convenzione quando entrerà in vigore si applicherà per quanto riguarda l'Italia alla legislazione concernente: l'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti, comprese le gestioni speciali per i lavoratori autonomi; ai regimi sostitutivi dell'assicurazione generale obbligatoria e alle forme obbligatorie di previdenza gestite da persone giuridiche private concernenti i lavoratori dipendenti ed autonomi; all'assicurazione per malattia; mentre per quanto riguarda il Cile al nuovo sistema di pensioni di vecchiaia, invalidità e superstiti, basato sulla capitalizzazione individuale; ai regimi di pensione di vecchiaia, invalidità e superstiti gestiti dall'Istituto de Normalizacion Previsional, e, in maniera limitata, ai regimi di assistenza sanitaria –:
   quali iniziative urgenti il Governo intenda intraprendere per onorare gli impegni presi con il Cile ed approvare e presentare al più presto il disegno di legge di ratifica e di esecuzione della convenzione bilaterale di sicurezza sociale tra Italia e Cile, firmata nel 1998 e approvata nello stesso anno dal Parlamento cileno, al fine di completare il quadro degli accordi bilaterali di sicurezza sociale stipulati dall'Italia con i maggiori Paesi di emigrazione ed in particolare di tutelare finalmente i lavoratori italiani emigrati in Cile ed i lavoratori cileni emigrati in Italia, consentendo così a coloro i quali hanno versato contributi nell'assicurazione generale obbligatoria italiana e nell'assicurazione cilena, anche in anni remoti, di non perdere la contribuzione versata e di maturare un diritto ad una prestazione socio-previdenziale italiana e/o cilena. (5-02254)


   SCOTTO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la «scuola di gomme» del campo beduino di Khan Al Ahmar, nell'area C dei territori occupati palestinesi, è una scuola costruita con oltre duemila pneumatici grazie ad un progetto di «Arcò – Architettura e Cooperazione», in collaborazione con la ong «Vento di Terra»;
   si tratta di una scuola progettata in architettura bioclimatica;
   l'edificio, «non permanente» dal punto di vista strutturale, è stato realizzato con pneumatici, argilla e legno per non contravvenire ai regolamenti militari israeliani che vietano la costruzione non autorizzata di edifici in area C;
   i muri sono fatti di pneumatici riempiti di terra e la copertura in lamiera sandwich sorretta da travi in lamellare; il tutto è stato realizzato in sole 2 settimane con un primo ridottissimo budget;
   grazie ai fondi successivi la scuola è stata completata con tutte le finiture e dotata di un impianto fotovoltaico;
   i lavori sono stati realizzati in autocostruzione dagli abitanti del villaggio, coordinati da «Arcò – Architettura e Cooperazione»;
   costruita nel 2009, questa scuola mantiene una temperatura stabile nelle aule sia in inverno che in estate;
   la scuola, che è stata dotata di un impianto fotovoltaico grazie al contributo della cooperazione italiana, ora ospita cinque classi elementari;
   il progetto è stato realizzato con finanziamenti europei, e fondamentale è stato il ruolo della cooperazione italiana;
   il campo beduino di Khan al Ahmar tra Gerusalemme e Gerico, ospita oggi cento bambini della comunità Jahalin, espulsa dal Negev nel 1950;
   circa 250 persone hanno vissuto per decenni nel campo su un terreno appartenente al villaggio di Anata;
   l'insediamento di Kfar Adumim si trova a soli due chilometri dal sito;
   l'area in questione è parte dei territori palestinesi occupati dal 1967, dunque gli insediamenti sarebbero illegittimi;
   circondati da insediamenti israeliani ed esclusi da ogni servizio di base, i beduini vivono in condizioni di estrema marginalità, tanto che molti bambini, prima della costruzione della «scuola di gomme», avevano abbandonato gli studi;
   il progetto ha beneficiato di un'ampia copertura mediatica ed è apparso sui maggiori network internazionali, ma ciononostante la «scuola di gomme» è al centro di una complessa vicenda legale;
   come per tutte le altre comunità beduine tra Gerusalemme Est e Gerico, infatti, l'amministrazione civile si rifiuta di permettere ai residenti di Khan Al Ahmar di costruire e connettere le infrastrutture in quanto l'area non ha un piano approvato;
   il mancato rilascio di permessi di costruzione appare collegato alla volontà da parte della politica israeliana di evacuare la popolazione palestinese della zona per far spazio a nuovi insediamenti;
   perciò la scuola, che attualmente ospita circa 128 alunni, di cui la maggioranza sono bambine tra i 6 ed i 13 anni, è stata costruita senza permesso;
   l'amministrazione civile israeliana ha emesso ordini di demolizione contro di essa e contro decine di altre strutture;
   i residenti di Kfar Adumim hanno presentato per tre volte petizioni all'Alta Corte di Giustizia chiedendo che gli ordini di demolizione non fossero effettuati: le prime due petizioni hanno ricevuto risposta negativa, e lo scorso novembre è stato presentato un altro ricorso;
   il 27 febbraio 2014 è avvenuto un fatto di estrema gravità;
   l'amministrazione civile israeliana ha infatti confiscato attrezzature di gioco donate quello stesso giorno dal Governo italiano alla scuola in questione;
   un rappresentante del consolato italiano aveva accompagnato due camion, uno dei quali trasportante il cemento e l'altro un'altalena a tre posti ed uno scivolo con un tunnel e due scale;
   gli ispettori dell'amministrazione civile, affermando che l'installazione era illegale, hanno sequestrato tutto il materiale;
   il rappresentante del nostro consolato ha cercato inutilmente di ribaltare la decisione;
   il tutto è avvenuto sotto lo sguardo disperato dei bambini e delle bambine della scuola, che avevano accolto il dono del Governo italiano con infinito entusiasmo;
   un rapporto del «BIMKOM – Planners for Planning Rights» afferma che circa 300 strutture in liquidazione sono state costruite illegalmente;
   l'amministrazione civile non ha voluto rispondere ad una richiesta di commento –:
   quali iniziative siano già state assunte in merito e quali azioni si intendano intraprendere al riguardo;
   se non ritenga doveroso intervenire presso le autorità israeliane per garantire la sopravvivenza della «scuola di gomme» e la possibilità di reinstallare le attrezzature ricreative regalate dal Governo italiano. (5-02257)

Interrogazione a risposta scritta:


   SPADONI, BALDASSARRE, SCAGLIUSI, MANLIO DI STEFANO, NICOLA BIANCHI e COZZOLINO. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 6, comma 1, della legge 27 dicembre 2013, n. 148, Bilancio di previsione dello Stato per Vanno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016, autorizza l'impegno e il pagamento delle spese del Ministero degli affari esteri, per l'anno finanziario 2014, in conformità all'annesso stato di previsione (tabella 6);
   secondo la tabella 6 della legge di bilancio 2014, l'importo totale delle spese sostenute dalla direzione generale per la cooperazione allo sviluppo (Dgcs) ammontano a 294.351.600 euro nel 2013, mentre le spese totali del Ministero degli affari esteri sono per lo stesso anno 1.837.166.090 euro;
   il bilancio della direzione generale per la cooperazione allo sviluppo costituisce il 16,022 per cento di quello complessivo del Ministero degli affari esteri;
   per il solo funzionamento della direzione generale per la cooperazione allo sviluppo sono stati spesi 38.868.473 euro sui 294.351.600 euro totali, che comprendono quindi anche i progetti di cooperazione;
   lo stanziamento di euro 38.868.473 per il solo funzionamento della direzione generale per la cooperazione allo sviluppo costituisce il 2,1157 per cento della spesa totale del Ministero degli affari esteri, salvo le previste variazioni ai sensi del comma 6 dell'articolo 6 della citata legge –:
   quale sia l'esatta ripartizione delle voci di spesa afferente al capitolo 2001 (Competenze fisse e accessorie al personale al netto dell'imposta regionale sulle attività produttive) della tabella 6 della legge di bilancio 2014, ovvero quali oneri siano coperti nello specifico e quali mansioni il personale al punto 1 e 3 del capitolo 2001 rivestono nell'ambito della direzione generale per la cooperazione allo sviluppo e all'estero. (4-03793)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PRODANI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano Il Piccolo di Trieste il 6 febbraio 2014 ha pubblicato un articolo intitolato «A2A, Altran vuole la revisione dell'Aia» in cui si riporta l'intenzione del sindaco di Monfalcone (Gorizia), Silvia Altran, di richiedere al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare la revisione dell'AIA (autorizzazione integrata ambientale) vigente per la vicina centrale termoelettrica A2A;
   questa decisione dell'amministratore locale è giustificata dalla necessità di inserire nell'autorizzazione, in scadenza nel 2017, studi programmati da parte delle istituzioni di cui alcuni sono già in corso, per approfondire l'impatto ambientale e l'inquinamento del territorio generato dall'attività dell'impianto industriale;
   tra i rilevamenti programmati, spiccano quelli affidati dalla regione Friuli Venezia Giulia all'ARPA (Agenzia regionale per la protezione ambientale) – in collaborazione con l'università di Trieste – sulla qualità dell'aria che si concluderà in primavera;
   l'indagine prevede, oltre all'utilizzo di apparecchiature per la rilevazione su basi chimico-fisiche, anche l'uso dei licheni epifiti come bioindicatori, per verificare il livello delle emissioni in atmosfera soprattutto dei metalli pesanti;
   di interesse anche lo studio che a breve sarà avviato dall'Osservatorio epidemiologico regionale sulla salute della popolazione locale e che riguarderà nell'immediato l'incidenza di malattie nella popolazione femminile;
   il 25 febbraio 2014 il sindaco di Monfalcone ha inviato una lettera al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in cui si chiarisce che è stata inoltrata una nota, indirizzata al coordinatore della commissione istruttoria AIA, per chiedere l'integrazione del «piano di monitoraggio e di controllo» dell'autorizzazione rilasciata nel 2009 alla centrale A2A;
   desta preoccupazione la vicenda dello studio di biomonitoraggio lichenico sui metalli pesanti commissionato nel 1999 a Elettrogen da Enel, che gestiva l'impianto a carbone, concluso nel 2001 e depositato al comune di Monfalcone;
   già all'epoca i rilevamenti di questo studio hanno segnalato la presenza di arsenico e cadmio al limite delle concentrazioni naturali oltre ad altre sostanze estremamente pericolose;
   questo studio, come confermato nel novembre 2013 dalla direzione generale per le valutazioni ambientali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, non è stato preso in considerazione per il rilascio dell'AIA;
   sulla questione il sottoscritto ha già presentato l'interrogazione a risposta in commissione 5-01242 per la quale non ha ancora ricevuto risposta;
   nel mese di giugno 2013 l'ARPA del Friuli Venezia Giulia ha pubblicato il «Biometraggio dell'inquinamento da gas fitotossici nella Regione Friuli Venezia Giulia tramite licheni come bioindicatori»;
   questo studio – basato sull'analisi della biodiversità dei licheni che vivono sulla scorza degli alberi, organismi sensibili ai diversi gas tossici – si fonda sul campionamento eseguito in 72 stazioni, distribuite in tutta la regione, tra marzo 2011 e ottobre 2012;
   i valori peggiori, sostiene il documento, si concentrano in prossimità della centrale termoelettrica di Monfalcone (Gorizia), presso la Ferriera di Trieste e Muggia (Trieste);
   i dati, infatti, non lasciano adito a dubbi: lo studio riporta sette classi di alterazione dei licheni, l'ultima equivale al cosiddetto «deserto lichenico», cioè un'anomalia molto alta indice di un fortissimo inquinamento: Monfalcone è nella classe 6 «alterazione alta»;
   secondo i tecnici dell'ARPA l'origine delle alterazioni ambientali registrate a Monfalcone è legata alle emissioni della centrale a carbone del gruppo A2A;
   il 28 settembre 2013 TARPA ha presentato a Palmanova (Udine) i risultati del «monitoraggio degli inquinanti di aria, acqua e suolo in FVG», articolato su due casi studio: la zona della centrale di Monfalcone e il dragaggio del Canale di Coron;
   riguardo Monfalcone, i dati di media annuale sul rilevamento di alcune sostanze tossiche – come il biossido di zolfo, il biossido di azoto e PM10 – mostrano il raggiungimento di quantità importanti ma non il superamento della soglia limite fissata per legge –:
   se, alla luce delle novità emerse, il Ministro interrogato intenda approfondire i risultati degli studi summenzionati e avviare al più presto la procedura di revisione dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA) della centrale termoelettrica di Monfalcone;
   quali misure urgenti saranno adottate a salvaguardia della salute dei lavoratori e della popolazione locale. (5-02247)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, SEGONI, TERZONI, ZOLEZZI, CANCELLERI, DI BENEDETTO, D'UVA, DI VITA, GRILLO, LOREFICE, LUPO, MARZANA, NUTI, RIZZO, VILLAROSA, BARBANTI, DIENI, NESCI e PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'esposizione alle polveri contenute nelle fibre d'amianto è all'origine di gravi patologie dell'apparato respiratorio, come l'asbestosi, i tumori della pleura (il mesotelioma pleurico) e il carcinoma polmonare, e di neoplasie che colpiscono anche altri organi;
   nonostante la messa al bando della produzione e della lavorazione, disposta con la legge n. 257 del 1992, l'amianto costituisce un problema pubblico con implicazioni molto rilevanti per quel che concerne la tutela della salute, la tutela dell'ambiente e la sicurezza del lavoro;
   i rischi per la salute dei cittadini non riguardano – esclusivamente – i lavoratori, e i loro famigliari, coinvolti nella produzione e nella lavorazione dell'amianto, ma anche tutte le persone che, per periodi significativi, possono essere state esposte alle polveri contenute nelle fibre d'amianto, usate comunemente per la coibentazione degli edifici, per la produzione di tegole, tubazioni, vernici e canne fumarie;
   la mappatura degli impianti industriali attivi o dismessi, degli edifici pubblici e privati e dei siti all'interno dei quali si riscontra la presenza di amianto ovvero l'utilizzo di materiali che lo contengono costituisce, dunque, un'operazione prioritaria e propedeutica all'avvio dei necessari interventi di bonifica;
   a questo scopo, la legge 23 marzo 2001, n. 93, all'articolo 20, ha autorizzato una spesa di 14 miliardi di lire, per la realizzazione di una mappatura completa della presenza di amianto sul territorio nazionale e degli interventi di bonifica urgente, stabilendo che con un successivo decreto del Ministro dell'ambiente si sarebbe provveduto all'emanazione di un apposito regolamento attuativo;
   con il successivo decreto ministeriale del 18 marzo 2003, n. 101, è stato emanato il regolamento per la realizzazione di una mappatura delle zone del territorio nazionale interessate dalla presenza di amianto, con il quale si è provveduto, non solo, a definire i criteri e gli strumenti per la realizzazione della citata mappatura, ma anche a individuare i soggetti competenti, e a determinare i criteri e le modalità per l'accesso al finanziamento previsto;
   il decreto ministeriale 101 del 2003, all'articolo 1, stabilisce che le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano procedono all'effettuazione della mappatura e a trasmettere annualmente i risultati della stessa mappatura e i dati relativi agli interventi effettuati;
   il decreto ministeriale, allo stesso articolo 1, stabilisce che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio attribuisce, con proprio decreto, le risorse per la mappatura a favore delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, destinando a questo scopo la metà delle somme stanziate;
   lo  stesso decreto ministeriale del 18 marzo 2003, n. 101, all'articolo 3, stabilisce che la mappatura delle zone interessate dalla presenza dell'amianto deve assicurare – avvalendosi di Sistemi informatici impostati su base territoriale – la gestione anagrafica dei punti, dei dati del sito e dei monitoraggi effettuati, le rappresentazioni geografiche della diffusione territoriale dei siti con presenza di amianto e la georeferenziazione dei siti;
   l'articolo 5 del decreto ministeriale 101 del 2003 stabilisce, ai fini della copertura finanziaria, che le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano trasmettono annualmente al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio una relazione sullo stato di avanzamento degli interventi finanziati e sulle somme effettivamente erogate;
   al decreto ministeriale 101 del 2003 è stata allegata, tra le altre cose, una tabella di ripartizione, tra le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, dei 5.321.086 euro a disposizione per la realizzazione della mappatura, in base alla quale le somme spettanti per gli anni 2000-2001-2002, alle regioni Calabria e Sicilia sono, rispettivamente, euro 251.155,26 e euro 362.844,85;
   con l'intento di fare una relazione sullo stato delle attività legate alla gestione dei problemi sanitari ed ambientali connessi all'amianto, che sono state condotte, e di ridefinire le linee di intervento per un'azione coordinata delle amministrazioni statali e territoriali, nel marzo del 2013, è stato adottato il piano nazionale amianto;
   nel piano nazionale amianto, all'interno della sezione dedicata «Macroarea tutela ambientale» viene richiamato l'obiettivo generale del Piano stesso: «migliorare la tutela della salute e la qualità degli ambienti di vita e di lavoro in relazione al rischio rappresentato dall'esposizione ad amianto»;
   per il raggiungimento di questo obiettivo generale, nel piano nazionale amianto, vengono individuati 6 sub-obiettivi, il primo dei quali consiste nel «miglioramento della resa delle azioni già messe in campo»;
   in relazione al citato sub-Obiettivo 1, il piano menziona le disposizioni della legge 93 del 2001 e del decreto ministeriale n. 101 del 2003 in base alle quali «è stata posta in capo al Ministero dell'ambiente della tutela del territorio e del mare la realizzazione, di concerto con le Regioni, della mappatura completa della presenza di amianto sul territorio nazionale»;
   per quanto concerne lo stato di avanzamento delle attività prevista dalla legge n. 93 del 2001, nel piano sono state evidenziate la mappatura di circa 34.000 siti interessati dalla presenza di amianto in 19 regioni e la mancata trasmissione di dati da parte della Calabria e della Sicilia –:
   se sia a conoscenza del mancato adempimento, da parte della Calabria e della Sicilia, dell'obbligo di trasmettere i risultati della mappatura;
   se le regioni Calabria e Sicilia, successivamente all'adozione del piano nazionale amianto nel mese di marzo del 2013, abbiano provveduto a trasmettere i risultati della mappatura e i dati relativi agli interventi effettuati, come previsto dal decreto ministeriale 101 del 2003;
   se e in quale modo intenda procedere all'acquisizione dei risultati della mappatura delle zone del territorio nazionale, comprese all'interno dei confini della regione Calabria e della regione siciliana, interessate dalla presenza di amianto;
   se le somme di euro 251.155,26 e di euro 362.844,85, ripartite rispettivamente a beneficio della Calabria e della Sicilia per il triennio 2000-2002, siano state effettivamente assegnate alle due regioni citate, e se ne sia stato documentato l'impiego con le modalità previste dal citato articolo 5 del decreto ministeriale 101 del 2013;
   se le regioni Calabria e Sicilia abbiano trasmesso, e con quale cadenza temporale, la relazione sullo stato di avanzamento degli interventi finanziati e sull'utilizzo delle somme effettivamente erogate a valere sui fondi previsti dall'articolo 20 della legge 193 del 2001. (4-03778)


   COLONNESE e SILVIA GIORDANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   attraverso la direttiva 2001/42/CE viene inserita la valutazione ambientale strategica, caratterizzata da un processo valutativo integrato che affronta diversi temi, tra cui quello della salute. Essa richiama con maggior precisione i principi espressi nelle normative precedenti riguardo alla protezione della salute umana, allo sviluppo sostenibile, alla necessità di valutare piani e programmi e il fondamentale principio di precauzione;
   con la direttiva 2003/35/CE, la Unione europea ribadisce che ha l'obiettivo di migliorare la qualità dell'ambiente e di proteggere la salute umana. Viene inoltre garantita e favorita, fornendo indicazioni dettagliate sulle modalità, la partecipazione del pubblico nei processi decisionali in campo ambientale e la giustizia nei confronti di chi subisce un danno ambientale, per contribuire a tutelare il diritto di vivere in un ambiente adeguato ad assicurare la salute e il benessere delle persone;
   la direttiva 2003/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 maggio 2003, che contribuisce all'attuazione degli obblighi derivanti dalla convenzione di Aarhus (entrata in vigore nel 2001), prevede la partecipazione del pubblico nell'elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale e modifica le direttive del Consiglio 85/337/CEE e 96/61/CE relativamente alla partecipazione del pubblico e all'accesso alla giustizia. La procedura di valutazioni di impatto sulla salute risulta pertanto fondamentale per poter capire quali potrebbero essere gli effetti di una decisione pubblica attraverso anche un coinvolgimento della popolazione nel processo di valutazione dei rischi per la salute;
   la procedura valutazione d'impatto sulla salute pone al centro della complessità sociale la protezione e la promozione della salute della popolazione, affinché le politiche garantiscano il benessere complessivo degli individui, delle comunità e la sostenibilità del loro ambiente ispirandosi ai valori fondamentali quali democrazia, equità e facendo un uso etico delle prove scientifiche;
   si sono sviluppati tre modelli di valutazione d'impatto sulla salute: il primo, adottato nei Paesi anglosassoni, noto come modello Merseyside, si basa su di un modello di salute di tipo socio-economico che tiene conto della molteplicità e dell'interazione dei determinanti di salute e mira alla ricostruzione di informazioni sul benessere generale della comunità; il secondo, sviluppatosi in Germania, è strettamente legato al concetto biomedico di salute e alla ricerca quantitativa; il terzo si è sviluppato in seguito all'inchiesta sulle diseguaglianze di salute riportata nel rapporto Acheson e considera la sanità nel suo complesso, estesa quindi verso l'equità nella distribuzione degli effetti e all'eguaglianza nel diritto alla salute, mirante ad attribuire legittimità alle decisioni collettive;
   il piano sanitario strategico europeo 2001-2006 ha adottato formalmente le valutazioni di impatto sulla salute come metodo per assicurare la promozione della tutela della salute, all'interno della programmazione strategica delle politiche comunitarie;
   dalla ricerca condotta dall'OMS e pubblicata nel 2007 sull'istituzionalizzazione della valutazioni di impatto sulla salute nell'Unione europea, risulta che solo in pochi Paesi è una pratica comune. Attualmente la valutazioni di impatto sulla salute è utilizzata in Europa, Canada, Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda –:
   se intendano assumere iniziative normative affinché venga regolata in maniera opportuna la valutazione d'impatto sulla salute procedendo ad integrarla all'interno delle procedure di VIA e VAS. (4-03779)


   AIELLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in Calabria per oltre un quindicennio il ciclo integrato dei rifiuti è stato gestito da una struttura commissariale;
   il 16 aprile 2014 è stata pubblicata sul bollettino ufficiale della regione Calabria la legge regionale 12 aprile 2013, n. 18, avente ad oggetto «Cessazione dello stato di emergenza nel settore rifiuti. Disciplina transitoria delle competenze regionali e strumenti operativi». In particolare, l'articolo 1 della legge regionale n. 18 del 2013 definisce le modalità di gestione della fase di transizione dal regime emergenziale al regime ordinario, nelle more dell'applicazione della disciplina in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica di cui al decreto-legge n. 138 del 2011;
   il provvedimento di cui al punto precedente fa seguito all'ordinanza n. 57 del 14 marzo 2013 con cui il capo dipartimento della protezione civile, dopo sedici anni di gestione commissariale, ha definito le modalità per il passaggio di consegne dal commissario delegato per l'emergenza rifiuti alla regione in merito alle iniziative di coordinamento del servizio rifiuti in Calabria;
   nonostante la «cessazione dello stato di emergenza» sancita per legge dalla regione Calabria la situazione dei rifiuti in Calabria è tale da determinare il continuo rinnovo della dichiarazione dello stato di emergenza, che ha finora prodotto scarsissimi risultati, a fronte di un autentico disastro economico ed ambientale;
   in questi giorni l'emergenza rifiuti ha prodotto una quasi totale paralisi dell'attività di raccolta, tale da comportare la presenza di tonnellate di rifiuti in strade e piazze di molte città calabresi; gravissima è l'emergenza che riguarda la città di Cosenza dove il problema rifiuti si sta trasformando in vera e propria emergenza igienico-sanitaria al punto da spingere due consiglieri comunali della città, Roberto Sacco e Giovanni Cipparrone, a intraprende una forma di protesta estrema come lo sciopero della fame;
   proprio per scongiurare il rischio di una emergenza sanitaria, il prefetto ha convocato i sindaci per individuare le soluzioni più adeguate a superare dette criticità;
   tra i poteri esercitati dal dipartimento politiche per l'ambiente della regione Calabria, vi è anche quello di autorizzare, senza alcun pretrattamento, anche discariche private nate e autorizzate per svolgere altro tipo di attività e di accogliere altri tipi di rifiuti, creando notevolissimi disagi tra le popolazioni interessate, le quali hanno già minacciato proteste popolari per evitare che i loro territori siano ancora una volta quelli maggiormente penalizzati dalle scelte delle amministrazioni pubbliche;
   contemporaneamente si è autorizzato lo stoccaggio di rifiuti solidi urbani presso aree non autorizzate, per le quali mancano i permessi sanitari e per le quali è evidente un pericolo per la salute pubblica; tali aree sono state segnalate nel comune di Celico (provincia di Cosenza) –:
   quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, si intendano urgentemente mettere in atto per contribuire ad affrontare efficacemente l'attuale fase emergenziale nel ciclo dei rifiuti calabresi, e scongiurare i seri rischi per la salute pubblica legati alla presenza sul territorio di rifiuti. (4-03814)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con legge regionale n. 19 del 1997, la regione Puglia ha individuato 33 aree naturali protette, tra le quali la Foce dell'Ofanto;
   il parco regionale sul fiume Ofanto, è stato istituito nell'anno 2007 con legge regionale n. 37, a seguito della creazione di una rete ecologica di zone speciali protette denominata rete «Natura 2000» per la conservazione della biodiversità;
   il parco regionale Fiume Ofanto è suddiviso in zona 1, di rilevante interesse naturalistico, nella quale è considerato prevalente l'interesse di protezione ambientale e la zona 2, di interesse naturalistico, paesaggistico e storico-culturale, in cui all'interesse della protezione ambientale si affianca quello della promozione di un modello di sostenibilità e di riduzione degli eventuali impatti delle attività presenti;
   nel corso degli anni, la massiccia attività dell'uomo è stata invasiva sino a comportare lo stravolgimento dell'assetto geomorfologico ed idrogeologico dell'ambiente naturale; gli interventi di antropizzazione comportano l'abbassamento degli argini, la distruzione del bosco ripariale e tutto l’habitat presente, per far posto a colture principalmente di vigneti, la creazione di piattaforme di cemento per l'attraversamento del fiume e delle aree golenali, la realizzazione di costruzioni, di sbarramenti e di nuove strade di accesso alla foce; inoltre il prelievo diretto di acqua dal fiume per l'irrigazione agricola reca un conseguente impatto dannoso sulle specie ittiche; infine nella zona risulta esservi presenza di rifiuti abbandonati abusivamente;
   per tentare di mettere ordine alla situazione creatasi con l'occupazione e coltivazione delle aree golenali demaniali, nel 2005 la procura di Trani ha avviato l'operazione «Fiume rubato» culminata con la confisca delle aree e l'irrogazione delle pene pecuniarie ai responsabili, nonché l'ordinanza di ripristino delle aree;
   ad oggi, colture e costruzioni abusive risultano ancora presenti –:
   quali iniziative si intendano adottare, per quanto di competenza, anche promuovendo una verifica da parte del Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente al fine di verificare lo stato delle aree coinvolte. (4-03818)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   a Como l'ex Cineteatro Politeama di piazza Cacciatori delle Alpi, gioiello liberty inaugurato nel 1910 e struttura pionieristica nell'uso del cemento armato, con copertura apribile progettata dal celebre architetto Federico Frigerio, un monumento vincolato dalla Soprintendenza territorialmente competente con decreto del 12 ottobre 1987, è in preda al degrado;
   inaugurato il 14 settembre del 1910 con la Bohème di Puccini, il Politeama ha visto premi Nobel come Luigi Pirandello, che si esibì qui negli anni Trenta con la sua compagnia, il jazzista Duke Ellington e Filippo Tommaso Marinetti, ma anche spettacoli leggeri ma di spessore, come la rivista del grande Macario, le canzoni della mala di Ornella Vanoni fino a un giovane Adriano Celentano, con l'apertura infine alle realtà della cultura più popolare, dal circo al cinema, come era reso possibile dall'innovativa struttura, una delle prime in Italia;
   chiuso una prima volta nel 1985 perché non rispondeva più alle norme di sicurezza, il Politeama riaprì nel 1988, anche se solamente platea e balconata erano rimasti accessibili, perdendo i due terzi dei posti a sedere, ma il colpo di grazia arrivò all'inizio del nuovo millennio alla morte del proprietario, Alfredo Gaffuri, che lasciò il pacchetto di maggioranza della Politeama srl, il 78,4 per cento delle quote, al comune di Como, mentre il resto della proprietà rimase frazionato tra 69 soci privati: infatti a distanza di tanti anni l'amministrazione della città deve ancora precisarne il destino, mentre il degrado avanza inesorabilmente;
   recentemente l'assessore al patrimonio di Palazzo Cernezzi, Marcello Iantorno, ha avuto modo di affermare che dopo aver completato la pulizia dell'immobile, ora la società Politeama deve avviare la fase di raccolta di idee e proposte, che richiederanno studi preliminari e l'individuazione delle modalità operative, con una incertezza relativa ai tempi di attuazione;
   oltre all'obbligo del recupero di tale struttura vincolata, è fortemente sentita dalla cittadinanza l'esigenza di rispondere a tante richieste della Como che ama e che pratica le arti, dal conservatorio, che da anni reclama spazi e che aveva già predisposto un progetto di recupero del Politeama assieme allo stesso Politecnico, ai tanti gruppi giovanili musicali privi di luoghi di incontro, passando per tutti i cinefili rimasti orfani delle storiche sale cittadine;
   secondo calcoli prudenziali, il monumento richiede per tornare a essere operativo sia come palcoscenico sia come contesto ricettivo per il commercio e per il turismo un investimento importante dell'ordine di 5-8 milioni di euro –:
   quali iniziative il Ministero intenda assumere, attraverso i propri uffici decentrati, per provvedere a verificare lo stato di degrado del Politeama di Como, vincolato a norma di legge, e per assicurare, stante l'urgenza degli interventi, che il suo restauro avvenga in tempi certi e celeri, anche sostenendo la promozione del confronto fra le realtà direttamente coinvolte, quali l'amministrazione comunale e i palchettisti, eventualmente promuovendo, nelle more delle iniziative di chi vi dovrebbe direttamente provvedere, il coinvolgimento e il concorso di altre realtà culturali locali sensibili all'intervento, come la «Famiglia Comasca», nonché le forze imprenditoriali e culturali della città, dall'Unione industriali alla camera di commercio, fatto che consentirebbe di fare finalmente squadra e di definire la volontà politica dell'intervento, elemento che permetterebbe inoltre una interlocuzione, anche finanziaria, con la stessa regione, che già si è dimostrata sensibile ad interventi nel settore in altri importanti teatri, luoghi di crescita della cultura e dell'identità delle collettività locali. (4-03791)


   REALACCI e BONACCORSI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da alcune agenzie di stampa locale e nazionale, dai maggiori canali di social media e da un articolo pubblicato da Il Fatto Quotidiano online del 25 febbraio 2014 – comprensivo di chiaro video dimostrativo – che il giardino seicentesco, del meraviglioso Palazzo Spada, in piazza Capo di Ferro a Roma, è oggetto di lavori di eradicamento e movimentazione del relativo sottosuolo per la creazione di un parcheggio sotterraneo e alcuni locali di servizio da rendere disponibili al Consiglio di Stato;
   come poi si evince dall'articolo ed anche dal sopraccitato video online alcune fontane originali di Palazzo Spada sono ad oggi in corso di smantellamento per far posto alle ruspe. Nel luogo dei lavori non è presente alcun cartello informativo sulla natura del cantiere come informazione per i tanti turisti, oltreché a tutela della sicurezza sul lavoro;
   Palazzo Spada è uno splendido edificio di inestimabile valore storico e a architettonico, sottoposto a vincolo artistico (ex legge n. 1089 del 1939), nel quale hanno sede sia il Consiglio di Stato sia l'omonima Galleria Spada. Fu costruito nel 1540 per il cardinale Girolamo Capodiferro. Il palazzo fu comprato nel 1632 dal cardinale Bernardino Spada, il quale incaricò Francesco Borromini di modificarlo secondo i nuovi gusti barocchi. Borromini creò, tra l'altro, il raro capolavoro di trompe-l'oeil della falsa prospettiva nell'androne dell'accesso al cortile, in cui la sequenza di colonne di altezza decrescente e il pavimento che si alza generano l'illusione ottica di una galleria lunga 37 metri (mentre è di 8); in fondo alla galleria, in un giardino illuminato dal sole, si trova una scultura che sembra a grandezza naturale, mentre in realtà è alta solo 60 centimetri. Per creare la sua falsa prospettiva, Borromini fu aiutato da un matematico, Padre Giovanni Maria da Bitonto. Le decorazioni scultoree in stucco manieristiche della facciata del palazzo, ispirate a quelle di Palazzo Branconio dell'Aquila, e del cortile, con sculture all'interno di nicchie incorniciate da ghirlande di fiori e frutta, grottesche e scene di significato simbolico in bassorilievo fra le piccole finestre del mezzanino, ne fanno la più ricca e bella facciata del Cinquecento romano. Nel cortile sono collocate le statue di Ercole, Marte, Venere, Giunone, Giove, Proserpina, Minerva, Mercurio, Anfitrite, Nettuno e Plutone. Il palazzo ospita anche una colossale scultura di Pompeo Magno, ritenuta essere quella ai cui piedi cadde Giulio Cesare. Fu trovata sotto le mura di confine di due case romane nel 1552: doveva essere decapitata per soddisfare le pretese di entrambe le famiglie, ma il cardinale Capodiferro, chiamato a dirimere la questione, intercedette a favore della scultura presso papa Giulio III, che la comprò, donandola poi al cardinale Capodiferro. Palazzo Spada è stato acquistato, con tutti gli arredi e la galleria, dallo Stato Italiano nel 1927;
   oggi, come già detto, tra false prospettive create da Francesco Borromini, quadri di Tiziano, Caravaggio e Rubens, fregi, colonne, stucchi e statue barocche ci si imbatte in qualcosa di più inaspettato e mal segnalato: ovvero un cantiere aperto per smantellare un giardino seicentesco posto in fondo al cortile principale;
   a Palazzo Spada sono state girate tra le più intense scene del film pluripremiato e premio Oscar 2014 «La Grande Bellezza» di Paolo Sorrentino –:
   se il Ministro sia a conoscenza della questione; se intenda chiarire se i lavori di realizzazione di locali e parcheggi interrati ad uso del Consiglio di Stato siano provvisti della dovuta autorizzazione da parte della competente Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per il comune di Roma Capitale e del Lazio e con quali prescrizioni a tutela del giardino e dell'intero palazzo Spada; se sia prevista, a chiusura del cantiere, la ricostruzione del giardino come era e dove era e il ragionevole smantellamento del parcheggio di servizio al Consiglio di Stato collocato nell'antistante piazza Capo di Ferro, che peraltro visibilmente interrompe la visione della facciata di Palazzo Spada e del Ninfeo delle Mammelle, proseguo della scena artistica seicentesca della detta piazza; da ultimo, se il Ministro, per quanto di competenza e per tramite degli uffici territoriali del dicastero, non ritenga utile promuovere con il comune di Roma Capitale un tavolo tecnico al fine di implementare fattivamente un progetto organico per la salvaguardia dal degrado, dall'incuria, dalla criminalità organizzata il centro storico di Roma, già patrimonio UNESCO, rivalorizzandolo, stante il continuo peggioramento delle sue condizioni di vivibilità e il calo turistico che subisce. (4-03794)


   PELLEGRINO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Palmanova (UD), conosciuta come «la città stellata», è una città fortificata, eretta dai veneziani alla fine del XVI Secolo nel cuore della pianura friulana come estremo baluardo della Serenissima Repubblica di Venezia a difesa dei suoi confini orientali contro le incursioni dei Turchi e per arginare le mire espansionistiche territoriali degli Arciducali, ossia degli Arciduchi e Imperatori d'Asburgo;
   città concepita come macchina da guerra, la sua progettazione e quindi la sua forma fu determinata da motivi di ordine militare, per questo fu dotata di tre cerchie di fortificazioni: due furono realizzate durante il dominio veneto, la terza fu invece opera dei Francesi di Napoleone I;
   Palmanova è nota in tutto il mondo per la sua unicità e per essere un esempio di architettura militare rinascimentale ispirata ai canoni della città ideale nella sua perfetta simmetria di stella a nove punte;
   la città, per il suo valore culturale e storico è stata dichiarata Monumento nazionale nel 1960 e, proprio nel 2014, dovrebbe avere dall'UNESCO il riconoscimento di patrimonio dell'umanità entrando nella World heritage list, dopo che Palmanova, nel 2011, è stata inserita nella candidatura transnazionale «Le opere di difesa veneziane tra XV e XVII secolo»;
   la storia di Palmanova è legata al ruolo militare della fortezza e a quello di emporio commerciale di riferimento per tutto il bacino della bassa friulana ma, nel corso del ventesimo secolo, dopo la caduta del muro di Berlino e la smilitarizzazione dei confini orientali, Palmanova ha lentamente perso la propria identità con il venir meno della presenza militare e, per la città, è iniziato il percorso verso il conseguimento di un nuovo ruolo, attraverso il riconoscimento della vocazione culturale e turistica della fortezza veneziana;
   con decreto del Ministro delle infrastrutture n. 2295, del 26 marzo 2008, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 115 del 17 maggio 2008, venne attivato un programma innovativo in ambito urbano denominato «Programma di riqualificazione urbana per alloggi a canoni sostenibile» (PRUACS), finalizzato ad incrementare la disponibilità di alloggi da offrire in locazione a canone sostenibile nonché a migliorare l'equipaggiamento infrastrutturale dei quartieri caratterizzati da condizioni di forte disagio abitativo;
   il 10 luglio 2008, con la deliberazione della giunta regionale della regione autonoma Friuli Venezia Giulia n. 1367, è stato indetto il bando di gara per l'assegnazione dei fondi disponibili a favore del «Programma di riqualificazione urbana per alloggi a canone sostenibile» (PRUACS);
   in esito al bando, con deliberazione n. 1838 del 6 agosto 2009, la Giunta Regionale della regione autonoma Friuli Venezia Giulia ha individuato il programma di riqualificazione urbana presentato dal comune di Palmanova denominato «Quartiere Santa Giustina» quale iniziativa ammissibile per l'assegnazione dei fondi statali e regionali disponibili ai fini del già citato «Programma di riqualificazione urbana per alloggi a canone sostenibile», prenotando contestualmente la spesa corrispondente alla quota di finanziamento statale;
   il costo complessivo dell'intervento «Quartiere Santa Giustina» è pari ad euro 8.790.000,00 e verrebbe sostenuto dai soggetti cofinanziatori dell'intervento e cioè dalla regione autonoma Friuli Venezia Giulia, con complessivi euro 7.672.127,07 (dei quali euro 5.901.636,21 derivanti da specifici trasferimenti statali per l'attuazione del programma di riqualificazione in argomento e euro 1.770.490,86 quali fondi regionali) e dal comune di Palmanova con complessivi euro 1.117.872,93 provenienti dal bilancio comunale;
   nel 2013, con l'articolo 9, comma 17 della L.R.F.V.G. 26 luglio 2013 n. 6, l'amministrazione regionale è stata autorizzata a destinare il contributo, in precedenza concesso all'azienda territoriale per l'edilizia residenziale (ATER) di Udine, a favore del Comune di Palmanova per la realizzazione degli interventi di cui al «Programma di riqualificazione urbana per alloggi a canone sostenibile», oggetto dell'Accordo di programma stipulato in data 24 febbraio 2011 tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la regione autonoma Friuli Venezia Giulia;
   il 6 dicembre 2013, con delibera n. 2293, la giunta della regione autonoma Friuli Venezia Giulia ha approvato lo schema di Convenzione con il comune di Palmanova, quale ente ammesso a finanziamento, e con l'azienda territoriale per l'edilizia residenziale (ATER) di Udine, proprietaria delle aree, che svolgerà le funzioni di stazione appaltante, quale soggetto attuatore incaricato di attivare e gestire l'iniziativa;
   il quartiere Santa Giustina di Palmanova, inaugurato il 1 luglio 1960, è un complesso immobiliare composto da 11 edifici realizzato con i fondi Ina-Casa nell'ambito del cosiddetto «Piano Fanfani» per l'edilizia popolare (1949-1963);
   detto quartiere fu realizzato nell'area di fuoco di fronte al rivellino intitolato al nobile veneziano Barbarigo;
   dal punto di vista urbanistico il quartiere Santa Giustina può essere considerato una di sorta di «ciste» edilizia, completamente avulsa dal contesto urbano, che ha corrotto, deturpandola, la linea delle cerchie fortificate di Palmanova che, prima di questo intervento edilizio, si presentava ben preservata e leggibile;
   come molti interventi di edilizia popolare realizzati in quel periodo, detto quartiere è un tipico esempio di dispersione insediativa e ha sempre sofferto della sua separatezza, se non isolamento, dal contesto sociale di Palmanova tant’è che nella vulgata popolare il quartiere veniva comunemente denominato «Pekino»;
   con lo sviluppo economico e insediativo del comune di Palmanova il Quartiere Santa Giustina è stato progressivamente abbandonato e, attualmente, 9 condomini sono disabitati da alcuni anni e l'area è stata recintata in quanto fatiscente e pericolante;
   allo stato attuale il vero problema del comune di Palmanova non è sicuramente quello dell'emergenza abitativa ma, semmai, quello della presenza nel suo centro storico di importanti insediamenti militari dismessi e abbandonati oltre che di aree sdemanializzate;
   circa un terzo del centro storico di Palmanova è interessato da ex caserme e da vaste aree demaniali da anni inutilizzate, vuote e in stato di degrado come, ad esempio tra le tante, la caserma Ederle, di circa 55mila metri quadri (un sesto della superficie complessiva della «città stellata»), o la Caserma Montezemolo, di circa 52mila metri quadri –:
   se i Ministri interrogati non ritengano più utile e credibile finalizzare i fondi statali e regionali già disponibili dal «Programma di riqualificazione urbana per alloggi a canone sostenibile» all'abbattimento definitivo del Quartiere Santa Giustina, oggi in stato di abbandono e fatiscenza, e, assieme, al recupero sociale e urbano, anche ai fini abitativi, delle ex caserme che insistono nel centro storico del comune di Palmanova;
   come il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo ritenga di intervenire al fine di favorire il ripristino dell'area di fuoco di fronte al rivellino Barbarigo, oggi occupata dal quartiere Santa Giustina cioè da un volume edilizio incongruo e disarmonico rispetto al contesto in cui si colloca e che, se portato a termine il progetto di recupero presentato, inserirebbe anche un elemento di mistificazione urbanistica rispetto nel tessuto storico-urbanistico della città;
   quali siano gli intendimenti del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo in merito all'importante patrimonio storico monumentale, da anni in abbandono, nel centro storico di Palmanova. (4-03816)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'ondata di avvistamenti di oggetti volanti non identificati (OVNI) avvenuta nel 1978, l'allora Presidente del Consiglio Giulio Andreotti designò l'Aeronautica militare quale organismo istituzionale deputato a raccogliere, verificare e monitorizzare le segnalazioni inerenti gli OVNI;
   l'attività di controllo e di osservazione costante, attualmente è svolta dal reparto generale sicurezza dello Stato Maggiore dell'Aeronautica, la cui struttura, si occupa di questa materia per garantire adeguati livelli di sicurezza del volo nazionale, custodendo al contempo, le segnalazioni degli avvistamenti, in genere quelli provenienti da testimoni che hanno denunciato l'avvenimento alle forze dell'ordine;
   il medesimo reparto, a seguito delle indicazioni ricevute, avvia con l'ausilio del servizio meteo e dei comandi operativi, un'indagine tecnica, al fine di verificare se l'oggetto misterioso avvistato, sia un pallone sonda meteorologico, un velivolo convenzionale, un aeroplano tracciato dai radar o, comunque un fenomeno noto, oppure un evento non conosciuto e pertanto classificato oggetto volante non identificato (OVNI), ovvero un UFO, dall'acronimo inglese unidentified flying object o unknown flying object;
   dai faldoni «declassificati» custoditi presso il suesposto reparto generale sicurezza, pubblicati recentemente da un libro, «Ufo i dossier italiani», emerge un quadro inedito, secondo il quale nell'anno 2013, ci sono stati 7 avvistamenti registrati, per un totale di 56 negli ultimi 4 anni e con una forte espansione di 22 casi nell'anno 2010 e un calo nell'anno 2011 pari a 17 avvistamenti, mentre 10 sono quelli registrati nell'anno 2012;
   l'attività di verifica e di indagine tecnica da parte dell'Aeronautica militare è finalizzata all'accertamento dell'esistenza di una correlazione con eventi umani e/o fenomeni naturali in grado, se necessario, di coinvolgere anche altri organi competenti presenti sul territorio nazionale;
   il compito di ricerca non intende stabilire se vi siano altre forme di vita intelligente provenienti da altri pianeti, ma si limita a individuare se è stata possibile, oppure no, una giustificazione tecnica o naturale ad un determinato avvistamento nello spazio aereo;
   l'Aeronautica militare, fornendo ulteriori precisazioni, ribadisce che non è previsto alcun compito da parte del reparto generale sicurezza dello Stato Maggiore, nell'esprimersi sull'attendibilità degli avvistamenti, avendo tuttavia riscontrato nello spazio aereo nazionale nel passato, oggetti volanti non identificati di varie forme, da semplici oggetti luminosi a vere e proprie «flottiglie» di OVNI, ricevendo addirittura la segnalazione di un «umanoide», presente nel nostro Paese;
   le fonti, secondo quanto riportato dalla stessa Aeronautica militare, rilevano che gli avvistamenti in tutta Italia, provengono da «privati cittadini», forze dell'ordine, piloti e perfino preti, i quali attraverso la compilazione di uno specifico e dettagliato modulo, determinano l'avvio dell'indagine;
   l'interrogante segnala che, oltre ai riferimenti numerici degli avvistamenti, in precedenza riportati, vi è tuttavia un ulteriore aspetto del fenomeno i cui dati raccolti dall'Aeronautica militare, andrebbero resi noti e riconducibili alle segnalazioni pervenute da piloti civili e militari e da militari dell'Esercito nonché, dai controllori di volo ed altre fonti attendibili di coinvolgimento di piloti civili e militari, di avvistamenti e addirittura inseguimenti per intercettazione di velivolo sconosciuto introdottosi negli spazi aerei italiani;
   nel corso del recente passato, gli organi di stampa hanno addirittura citato episodi in cui i velivoli della Aeronautica militare, sono stati inseguiti da OVNI o avvenimenti di mancata collisione denunciati dai piloti delle compagnie aeree italiane e straniere che operano sul territorio italiano, con oggetti volanti dalla natura sconosciuta;
   nella maggioranza dei casi, i piloti hanno segnalato dei velivoli aventi luci di posizione completamente differenti da quelle in uso da parte di aerei da trasporto passeggeri, aerei postali o militari ed hanno descritto evoluzioni effettuate da questi OVNI che nulla hanno a che vedere con l'odierna conoscenza in campo aeronautico;
   a giudizio dell'interrogante, occorre rendere noto all'opinione pubblica, eventuali ulteriori informazioni oltre a quelle di recente divulgate, al fine di far conoscere in modo completo e definito, anche attraverso il coinvolgimento della società della ricerca scientifica e accademica, la natura di un fenomeno, il cui mistero dura da decenni e che alla base pone la domanda dell'esistenza di altre civiltà extraterrestri –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se intenda rivelare i documenti declassificati, ed in possesso presso il reparto generale sicurezza dell'Aeronautica militare, relativi agli avvistamenti di oggetti volanti non identificati – OVNI, avvenuti nel corso degli ultimi anni nel nostro Paese;
   se intenda altresì rendere noti ulteriori documenti relativi a segnalazioni, pervenute da parte di piloti militari o civili, di avvistamenti di OVNI, all'interno dello spazio aereo italiano, che stando a quanto pubblicato dagli organi di stampa nel corso del recente passato, hanno addirittura citato avvenimenti di mancata collisione;
   se intenda infine confermare l'attenzione da parte del Governo, sul fenomeno degli oggetti volanti non identificati ed in caso affermativo, quale sia il sistema organizzativo operante in Italia. (4-03820)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dell'interno, il Ministro per gli affari regionali, per sapere – premesso che:
   con l'articolo 10, comma 4-ter, della legge 6 giugno 2013, n. 64, è stata prorogata, fino all'anno 2014, l'efficacia dell'articolo 2, comma 8, della legge 24 dicembre 2007, n. 44, in base al quale i proventi della riscossione dei contributi per il rilascio dei permessi di costruire e delle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, possono essere destinati, fino al 50 per cento al finanziamento di spese correnti, e per una quota non superiore ad un ulteriore 25 per cento esclusivamente per spese di manutenzione ordinaria del verde, delle strade e del patrimonio comunale;
   l'articolo 4 della legge 14 gennaio 2013, n. 10, recante «Norme per lo sviluppo degli spazi verdi», sulla stessa materia, stabilisce che «le maggiori entrate derivanti dai contributi per il rilascio dei permessi di costruire e dalle sanzioni previste dal testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, sono destinate alla realizzazione di opere pubbliche di urbanizzazione, di recupero urbanistico e di manutenzione del patrimonio comunale in misura non inferiore al 50 per cento del totale annuo»;
   l'articolo 2, comma 8, della legge 24 dicembre 2007, n. 44, autorizza i comuni a utilizzare – fino al 75 per cento – delle entrate in conto capitale (i contributi per il rilascio del permesso di costruire e delle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380), per coprire delle spese correnti, secondo la ripartizione 50 per cento e 25 per cento indicata sopra, mentre l'articolo 4 della legge n. 10 del 2013 prevede che almeno la metà delle entrate derivanti dalla riscossione dei cosiddetti oneri concessori venga destinata al finanziamento di spese in conto capitale, quali sono quelle per la realizzazione di opere pubbliche di urbanizzazione e di recupero urbanistico;
   in relazione alla presenza all'interno dell'ordinamento delle norme citate nei punti precedenti, il consigliere comunale di Milano Marco Cappato ha presentato un'interrogazione all'assessore competente, per sapere se nella predisposizione dei documenti di bilancio di previsione per il 2013 fossero state tenute in considerazione le disposizioni contenute nell'articolo 4 della legge n. 10 del 2013;
   nella risposta fornita al consigliere comunale il 4 febbraio 2014, l'assessore competente ha dato conto del fatto che l'amministrazione si fosse avvalsa «della facoltà offerta dall'articolo 10, comma 4-ter della legge n. 64 del 2013, relativa alla proroga fino al 2014 della possibilità di utilizzare i proventi della riscossione dei contributi per il rilascio dei permessi di costruire a finanziamento della parte corrente del bilancio (...)», senza fare alcuna menzione dell'articolo 4 della legge n. 10 del 2013;
   il conflitto tra le due disposizioni normative sembra esser stato risolto, da parte dell'amministrazione comunale di Milano, giudicando, in modo implicito, soccombente rispetto all'articolo 2 comma 8 della legge n. 244 del 2007 la disposizione contenuta nell'articolo 4 della legge n. 10 del 2013, che non ha trovato, dunque, applicazione;
   l'orientamento dell'amministrazione comunale di Milano, ove applicato in via sistematica da tutte le amministrazioni locali, porterebbe a una sostanziale disapplicazione dell'articolo 4 della legge n. 10 del 2013 per gli anni 2013 e 2014;
   il susseguirsi di previsioni legislative senza un effettivo coordinamento delle disposizioni incidenti sulla stessa materia, può determinare un'applicazione differenziata delle norme concernenti la destinazione delle risorse rivenienti dalla riscossione del contributi per il rilascio dei permessi di costruire, rispetto alle quali è, invece, indispensabile che le determinazioni degli enti locali siano omogenee su tutto il territorio nazionale –:
   se intendano fornire – nelle more di una non più rinviabile ridefinizione organica della disciplina dei cosiddetti oneri concessori che ne impedisca l'utilizzo per la copertura delle spese correnti – i chiarimenti e le istruzioni necessarie, ai fini della predisposizione degli atti di competenza degli enti locali in materia di bilancio concernenti la destinazione dei contributi per il rilascio dei permessi di costruire e delle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, in modo da assicurare una omogenea e univoca applicazione della normativa statale vigente in materia, e una piena applicazione delle disposizioni contenute nell'articolo 4 della legge n. 10 del 2013.
(2-00429) «Mannino, Busto, Daga, De Rosa, Segoni, Terzoni, Zolezzi».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   CAPEZZONE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il regime tributario della cedolare secca nel caso di affitto di immobili ad uso turistico presenta taluni margini di incertezza, qualora il proprietario dell'immobile si avvalga di un'agenzia di mediazione immobiliare;
   in tali casi il rapporto tra il proprietario e l'agenzia immobiliare si articola sostanzialmente secondo tre diverse tipologie:
   a) mandato con rappresentanza conferito all'agenzia dal proprietario dell'immobile da affittare;
   b) mandato senza rappresentanza conferito all'agenzia dal proprietario dell'immobile da affittare;
   c) stipula di un contratto di locazione tra il proprietario e l'agenzia di mediazione e successiva stipula di un contratto di sublocazione tra la medesima agenzia di mediazione e il cliente finale che utilizza l'immobile per uso abitativo;
   mentre nella prima ipotesi (quella del mandato con rappresentanza), il regime della cedolare secca è sicuramente applicabile, negli altri due casi la disciplina in materia non appare chiara, inducendo dunque il proprietario a non avvalersi di questo regime di favore;
   infatti l'indirizzo interpretativo assunto dall'Agenzia delle entrate attraverso la circolare n. 26 del 1o giugno 2011, pur ammettendo che il regime della cedolare secca può applicarsi alle locazioni con finalità turistiche, non ha fatto la necessaria chiarezza sul punto, limitandosi ad affermare che non osta all'esercizio dell'opzione per la cedolare secca da parte del locatore l'intervento di un'agenzia che operi come «mero intermediario» tra locatore e conduttore: in particolare, l'utilizzo della dizione «mero intermediario» ha creato incertezze presso i contribuenti e gli operatori del settore;
   in tale situazione si rischia che, pur in presenza del medesimo negozio giuridico (affitto di un immobile ad uso abitativo da parte di una persona fisica), la tassazione possa risultare diversa a seconda della tipologia di rapporto intercorrente tra l'agenzia di mediazione immobiliare e il proprietario;
   ritenere che il regime della cedolare secca possa essere applicato solo nel caso in cui tra il proprietario e l'agenzia si instauri un rapporto di mandato con rappresentanza, violerebbe la ratio e la lettera della normativa sulla cedolare secca, la quale, all'articolo 3 del decreto legislativo n. 23 del 2011, richiede solo che il locatore sia una persona fisica, che l'immobile locato abbia uso abitativo e che la locazione non sia effettuata nell'esercizio di un'attività d'impresa, o di arti e professioni (senza invece porre alcun limite rispetto alla natura del conduttore dell'immobile), determinerebbe una irrazionale discriminazione tra i proprietari, condizionando il regime tributario applicabile in base alla configurazione formale del rapporto con l'agenzia, oltre a creare inaccettabili distorsioni della concorrenza a seconda della qualificazione giuridica del rapporto tra agenzia e cliente;
   in tale contesto occorre dunque stabilire con nettezza che il regime della cedolare secca è applicabile alle locazioni relative ad immobili ad uso turistico a prescindere dalle modalità attraverso le quali è regolato il rapporto tra proprietario e agenzia immobiliare (mandato con/senza rappresentanza e sublocazione), in quanto risultino comunque rispettati i requisiti normativi relativi alla qualifica soggettiva del locatore (persona fisica che non effettui la locazione nell'esercizio di attività di impresa, di arti o professioni), ed all'uso dell'immobile (abitativo);
   tale questione assume maggiore importanza se si considera che la recente normativa statale in materia turistica consente, ai sensi dell'articolo 12, comma 5, lettera c), del decreto legislativo n. 79 del 2011, alle agenzie di mediazione immobiliare che svolgono la loro opera nel settore delle locazioni turistiche, di avvalersi liberamente delle tre predette modalità operative (mandato con/senza rappresentanza e sub locazione) –:
   quali iniziative intenda assumere al fine di chiarire in modo incontrovertibile che i contribuenti possono avvalersi del regime tributario della cedolare secca per i redditi derivanti da locazioni di immobili con finalità turistiche anche nei casi in cui il proprietario dell'immobile si avvalga dell'opera delle agenzie immobiliari sia attraverso mandato con rappresentanza, sia attraverso mandato senza rappresentanza e sia attraverso lo strumento della sub locazione. (5-02262)


   BUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   organi di stampa di questi giorni riportano la notizia secondo la quale i cittadini che hanno installato sulla propria abitazione un impianto fotovoltaico superiore ai 3 kWp saranno costretti ad aggiornare la rendita catastale come se avessero costruito dei nuovi vani, in relazione al valore del proprio impianto;
   a seguito della circolare n. 36/E dell'agenzia delle entrate del 19 dicembre 2013, sono state infatti definite nuove modalità di determinazione degli ammortamenti per le imprese titolari di impianti fotovoltaici, e i soggetti interessati devono ripensare le scelte effettuate in passato per adeguarsi a quanto sostenuto ora dall'Agenzia;
   si dovrà fare particolare attenzione innanzitutto all'ammortamento, distinguendo tra bene mobile ed immobile: si rientra nel primo caso solo quando l'impianto è modesto e non ha autonoma rilevanza catastale e solo quando si rientra in questa fattispecie può essere mantenuta l'aliquota di ammortamento del 9 per cento prevista sino ad ora;
   nel caso in cui l'impianto debba essere fiscalmente qualificato come «unità immobiliare», vanno esaminati i vari casi pratici, uno dei più semplici è quando l'impianto è «a terra» sia il terreno sia la costruzione sono di proprietà dell'impresa, così che, in tal caso, sostiene l'Agenzia delle entrate, l'aliquota corretta di ammortamento fiscale è, dal 2013, il 4 per cento, con scorporo del 30 per cento, mentre se l'impianto, non bene mobile, è stato realizzato, con integrazione parziale o totale, su un fabbricato di proprietà dell'impresa, per l'Agenzia si è in presenza di costi da capitalizzare a quello dell'immobile e da ammortizzare unitamente ad esso, così che nella maggior parte dei casi si applicherà l'aliquota del 3 per cento;
   secondo i dati forniti da Legambiente, gli impianti incentivati presenti oggi, solo nella regione del Veneto, mediamente raggiungono i 5,6 kWp e quindi sono soggetti alla novità legislativa, così che ora, per i cittadini che hanno scelto le rinnovabili, inizia un complesso procedimento per capire se dovranno aggiornare la propria rendita catastale, ovvero, riprendendo in mano la documentazione del loro impianto, ricostruire la spesa complessiva sostenuta fino al momento dell'allacciamento con la rete elettrica nazionale, calcolare con svariati coefficienti se il valore del loro impianto (per altro ragguagliato ai valori del 1989) supera o meno il 15 per cento del valore catastale dell'immobile e poi affrontare il catasto –:
   se la circolare dell'Agenzia delle entrate abbia valutato i negativi effetti che l'applicazione delle nuove disposizioni avrebbe sul settore del fotovoltaico, già duramente colpito dalla crisi economica, e se non si ritenga altresì opportuno, alla luce del fatto che sono numerosi gli impianti domestici per la generazione di energia elettrica da fotovoltaico che esprimono una potenza superiore ai 3kWp, rivedere quanto oggi previsto dalla citata circolare dell'Agenzia delle entrate, rivedendo tale soglia ad un valore maggiore al fine di evitare gli aggravi fiscali a carico dei contribuenti che hanno installato impianti fotovoltaici. (5-02263)


   GEBHARD, SCHULLIAN, ALFREIDER, PLANGGER e OTTOBRE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Corte di Cassazione, con la sentenza della terza sezione penale n. 2614 del 2014 sul caso di un contribuente che aveva omesso un versamento IVA adducendo la mancanza di liquidità a causa della crisi economica, sembra confermare l'orientamento già anticipato nel precedente grado di giudizio, dalle sezioni unite della stessa Corte (sentenza n. 37424/2013), secondo cui la crisi di liquidità del contribuente può portare all'esclusione delle sanzioni penali, purché il contribuente sia in grado di provare puntualmente la reale ed effettiva impossibilità incolpevole all'adempimento fiscale;
   la legge recante «Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita», prevede, all'articolo 8, principi e criteri direttivi per la revisione del sistema sanzionatorio penale, che deve essere attuata secondo criteri di predeterminazione e proporzionalità, dando rilievo alla configurazione del reato tributario per i comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e utilizzo di documentazione falsa;
   nell'attuale e persistente contesto economico, anche alla luce della recentissima sentenza della Corte di Cassazione, appare indifferibile una modifica normativa che escluda le sanzioni penali in caso di crisi di liquidità di un contribuente, pur mantenendo il regime sanzionatorio di natura fiscale –:
   se ritenga opportuno prevedere l'esclusione del reato di omesso versamento dell'IVA in caso di crisi di liquidità del contribuente, riconducibile ad una situazione accertata di crisi economica globale o aziendale, in sede di esercizio della delega di cui all'articolo 8 del testo unificato sulla «Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita», approvato definitivamente dal Parlamento e in attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. (5-02264)


   CAUSI e MARCHI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. – per sapere – premesso che:
   l'articolo 3 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, ha introdotto, dal 2011, il regime opzionale di tassazione sostitutiva dei redditi fondiari derivanti dai contratti di locazione di immobili ad uso abitativo – cosiddetta «cedolare secca sugli affitti»;
   in particolare, a norma del comma 2 del citato articolo 3, il canone di locazione relativo ai contratti aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo e le relative pertinenze locate congiuntamente all'abitazione, può essere assoggettato, in base alla decisione del locatore, ad un'imposta sostitutiva dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e delle relative addizionali, nonché delle imposte di registro e di bollo sul contratto di locazione;
   sul canone di locazione annuo stabilito dalle parti la cedolare secca si applica in ragione di un'aliquota del 21 per cento; è inoltre prevista un'aliquota ridotta per i contratti di locazione a canone concordato relativi ad abitazioni ubicate nei comuni con carenze di disponibilità abitative e nei comuni ad alta tensione abitativa individuati dal Cipe; a decorrere dall'anno di imposta 2013 per tali ultimi contratti l'aliquota è pari al 15 per cento, come stabilito dall'articolo 4 del decreto legge 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124;
   la scelta per la cedolare secca implica la rinuncia alla facoltà di chiedere, per tutta la durata dell'opzione, l'aggiornamento del canone di locazione, anche se è previsto nel contratto, inclusa la variazione accertata dall'Istat dell'indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati dell'anno precedente;
   secondo i dati dell'Agenzia delle entrate, complessivamente, negli anni 2011 e 2012, a fronte di circa 2.800.000 nuovi contratti di locazione registrati, ne risultano circa 800.000 con opzione per la cedolare secca (circa il 27 per cento);
   rispetto ad una previsione di entrate pari a circa 2,7 miliardi di euro nel 2011 e di 3,8 miliardi di euro nel 2012, il gettito complessivo della cedolare è stato di 875 milioni di euro nel 2011 (di cui 772 milioni da canoni di mercato e 103 milioni da canoni concordati) e un miliardo nel 2012;
   sempre secondo i dati forniti dall'Agenzia delle entrate, considerato che l'imponibile complessivo supera i 4,2 miliardi di euro, se questo reddito fosse stato tassato con il regime Irpef, il gettito erariale sarebbe stato di circa 1,5 miliardi di euro - considerando oltre all'Irpef e alle imposte di registro anche il gettito delle addizionali incassato da regioni e comuni, calcolato con un'aliquota complessiva dell'1,5 per cento; la differenza di gettito tra i due regimi sarebbe di circa 600 milioni di euro;
   l'incremento dell'aliquota base della cedolare secca comporterebbe una riduzione del vantaggio fiscale previsto per i proprietari immobiliari in ogni caso tale da mantenere il regime comunque più vantaggioso rispetto alla tassazione ordinaria Irpef e alle relative addizionali, e consentirebbe di incrementare il gettito erariale al fine di destinare tali maggiori entrate a politiche di contrasto alle tensioni abitative –:
   quale sia la stima degli effetti in termini reali di un incremento dell'aliquota base della cedolare secca dal 21 al 23 per cento. (5-02265)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 29 gennaio 2014 il Parlamento ha approvato in via definitiva il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 133 del 2013, recante, tra l'altro, disposizioni urgenti per la Banca d'Italia che al contempo ne rivalutano il capitale sociale e ne modificano lo statuto, trasformandola in una «public company» ad azionariato diffuso;
   il provvedimento ha immediatamente suscitato forti perplessità di natura tecnica e, soprattutto, politica, al punto da dover superare la prova di diverse questioni pregiudiziali presentate dalle opposizioni che sottolineavano, tra l'altro, il mancato rispetto delle disposizioni comunitarie relative ad interventi che coinvolgano l'assetto delle banche centrali, soprattutto riguardo ai tempi riservati per la valutazione della compatibilità col diritto dell'Unione europea;
   il 22 novembre 2013, la Banca centrale europea (BCE), competente a formulare un parere in virtù degli articoli 127 e 282 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e dell'articolo 2, della decisione del Consiglio 98/415/CE del 29 giugno 1998 relativa alla consultazione della Banca centrale europea da parte delle autorità nazionali sui progetti di disposizioni legislative, ha ricevuto da parte del Ministero dell'economia e delle finanze una richiesta di parere relativa al suddetto decreto-legge che avrebbe emanato dopo alcuni giorni ed esattamente il 27 novembre 2013;
   in data 27 dicembre 2013 il Consiglio direttivo della Banca centrale europea esprimeva un parere, peraltro firmato dall'ex governatore di Bankitalia Mario Draghi, che veniva a giudizio dell'interrogante erroneamente interpretato dal Governo Letta come un sostanziale «via libera» ed una mera presa d'atto che rimandava a successivi approfondimenti, ma che nella realtà sottolineava testualmente che: «anche in casi di estrema urgenza, le autorità nazionali non sono esonerate dall'obbligo di consultare la BCE e di accordarle un tempo sufficiente a consentire che il suo parere sia tenuto in considerazione, come stabilito dagli articoli...» e che «Inoltre, l'articolo 3, della Decisione 98/415/CE obbliga gli Stati membri a sospendere il processo di approvazione di un progetto di disposizioni legislative in attesa della ricezione del parere della BCE»; nello stesso parere si eccepiva che «La BCE ha ricevuto la richiesta di consultazione il 22 novembre 2013, mentre il decreto-legge è stato approvato il 27 novembre 2013. Poiché l'approvazione di disposizioni normative prima della pronuncia del parere della BCE o della scadenza del termine stabilito equivale a un caso di non consultazione, la BCE desidera richiamare l'attenzione del Ministero circa il rispetto della procedura di consultazione, tenuto conto, in particolare, della rilevanza della normativa per la Banca d'Italia e l'Eurosistema»;
   si manifestò da subito, sia in ambito parlamentare sia tra l'opinione pubblica, la preoccupazione che il provvedimento, pur se finalizzato al condivisibile obiettivo di rafforzare la patrimonializzazione delle maggiori banche italiane, potesse generare, laddove si fosse aperto un prevedibile contenzioso sull'ammissibilità dell'operazione, dubbi con riferimento all'effettiva solidità degli stati patrimoniali delle stesse;
   nonostante la non incidenza della rivalutazione delle quote di Bankitalia sui bilanci degli istituti azionisti per l'anno in corso, le suddette incertezze risulterebbero tanto più problematiche e fondate in un anno caratterizzato da importanti stress-test a livello internazionale;
   negli ultimi giorni numerose testate giornalistiche hanno dato ampio risalto alla notizia, peraltro confermata dal Ministero dell'economia e delle finanze, di una lettera che la Commissione europea avrebbe recapitato allo stesso, nella quale la suddetta operazione di ricapitalizzazione delle quote della Banca d'Italia si potrebbe configurare come aiuto di Stato, condizione che, qualora accertata, ne inficerebbe la legittimità, l'efficacia e la stessa sussistenza –:
   se non ritiene di dover mettere il Parlamento a conoscenza della suddetta lettera e di ogni altro atto ad essa collegato, e quali iniziative intende assumere al fine di definire con la massima celerità una vicenda che, a tutela della solidità dell'intero sistema finanziario italiano, non potrebbe trascinarsi oltremodo.
(5-02266)


   PESCO, VILLAROSA, ALBERTI, CANCELLERI, RUOCCO, BARBANTI e PISANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dal documento pubblicato dalla Banca d'Italia in data 3 febbraio 2014, titolato «Conseguenze per la Banca d'Italia della legge 29 Gennaio 2014 n. 5» è possibile evincere quanto segue:
    «La Banca d'Italia era e resta un istituto di diritto pubblico, che svolge funzioni pubbliche su cui nessun soggetto privato mai ha potuto, né mai potrà, esercitare alcuna influenza»;
   «Le riserve nel patrimonio della Banca si accumulano anno dopo anno grazie ai proventi dell'attività classica di una banca centrale, il “battere moneta”. In quanto derivanti da una tipica attività di interesse pubblico, queste riserve (così come le altre poste patrimoniali presenti nei conti della Banca d'Italia, incluso ovviamente l'oro) non sono di proprietà dei partecipanti, i quali possono vantare diritti solo in relazione al capitale in senso stretto della Banca, diritti assegnati loro dalla Legge Bancaria del 1936»;
   la rivalutazione delle quote della Banca d'Italia, ai sensi del decreto-legge 30 novembre 2013, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 gennaio 2014, n. 5, è stata effettuata mediante utilizzo delle riserve statutarie della medesima;
   le quote di partecipazione al capitale erano distribuite tra banche ed enti di assicurazione e previdenza, per la maggior parte divenuti dagli anni Novanta di natura privata;
   la privatizzazione delle suddette banche ed enti di assicurazione e previdenza ha implicato una modifica rilevante della natura giuridica ed economica dei soggetti medesimi, facendo venir meno tutti i relativi aspetti di natura pubblica e ponendo l'attenzione esclusivamente sullo scopo di lucro, motivo per il quale sembra inappropriato riconoscere a tali soggetti diritti sulle riserve statutarie della Banca d'Italia, in quanto trattasi di risorse pubbliche;
   nel parere della banca centrale europea del 27 dicembre 2013 relativa all'aumento di capitale della Banca d'Italia (CON/2013/96) al punto 3.4 si chiede che vengano forniti ulteriori dettagli sui presupposti quantitativi alla base della valutazione;
   la relazione dei tre saggi che si sono occupati di rivalutare il valore delle quote della Banca d'Italia ha evidenziato quanto segue: «è necessario modificare le norme che disciplinano la struttura proprietaria per chiarire che i partecipanti non hanno diritti economici sulla parte delle riserve della banca rinveniente direttamente o indirettamente (quindi anche dalle riserve) dal diritto di “signoraggio”»;
   l'articolo 3 del regio decreto-legge 21 dicembre 1927, n. 2325, recitava:
    1. La Banca d'Italia è autorizzata a computare al suo attivo, in lire italiane, sulla base aurea fissata all'articolo 1, tutte le sue riserve in oro, o in divise estere su paesi nei quali sia vigente la convertibilità dei biglietti di Banca in oro.
    2.  Le plusvalenze emergenti dalla rivalutazione delle riserve della Banca d'Italia vanno accreditate allo Stato. Tali plusvalenze debbono essere destinate:
     a) alla estinzione del debito in biglietti della Banca d'Italia emessi per conto dello Stato;
     b) al regolamento delle differenze di prezzo in lire-carta, rispetto alla parità aurea fissata con l'articolo 1, attribuito alle riserve auree ed equiparate già dei Banchi di Napoli e di Sicilia, trasferite alla Banca d'Italia all'atto della unificazione della emissione del biglietti nella Banca medesima in conformità alle disposizioni dell'articolo 2 del R.D.L. 6 maggio 1926, n. 812;
     c) al regolamento delle differenze di prezzo in lire-carta, rispetto alla parità aurea suindicata già attribuito alla somma di dollari 90 milioni ceduti dallo Stato alla Banca d'Italia contro riduzione di lire 2.500 milioni del debito del regio tesoro verso la Banca medesima, a tenore dell'articolo 1 del R.D.L. 7 settembre 1926, n. 1506;
     d) al regolamento delle differenze di prezzo in lire-carta, rispetto alla parità aurea suddetta, in ordine ai prezzi di acquisto attribuiti alle altre divise estere su paesi nei quali esiste la convertibilità dei biglietti di banca in oro, trasferiti dallo Stato o dall'istituto nazionale per i cambi con l'estero alla Banca d'Italia»;
   non sono chiare le norme ed i diritti in base ai quali i suddetti soggetti privatizzati, quindi non più pubblici come previsto originariamente, entrano in possesso delle quote della Banca d'Italia e percepiscano i relativi dividendi;
   non si comprende se i partecipanti al capitale della Banca d'Italia possano vantare eventuali ed ulteriori diritti;
   non sono ben chiari quali diritti sono, invece, preclusi ai suddetti partecipanti;
   l'assenza di una chiarezza sul piano normativo delle problematiche esposte implicherebbe la necessità di sospendere l'acquisto, da parte di Banca d'Italia, delle quote eccedenti il limite del 3 per cento fissato dal decreto-legge n. 133 del 2013, al fine di evitare di attribuire diritti apparentemente non perfettamente giustificati sul piano normativo ai partecipanti «privati» al capitale della Banca d'Italia;
   da fonti stampa si apprende che il commissario europeo per la concorrenza abbia, di recente, inviato al Ministero dell'economia e delle finanze una lettera con una richiesta di chiarimento, al fine di capire se la rivalutazione delle quote di partecipazione implichi un aiuto di Stato per i soggetti partecipanti al capitale della Banca d'Italia i quali riceveranno benefici dalla patrimonializzazione della rivalutazione e della vendita delle medesime quote –:
   se reputi opportuno intervenire e quali soluzioni, anche di carattere normativo, intenda adottare, per tutelare l'interesse pubblico evitando che alcuni soggetti giuridici privati, che attraverso fusioni e privatizzazioni hanno nel tempo sostituito gli enti di derivazione di diritto pubblico nel possesso delle quote del capitale sociale della banca centrale nazionale, possano entrare in possesso anche di parte delle riserve della Banca d'Italia tramite il meccanismo, contenuto nel decreto-legge n. 133 del 2013, composto da rivalutazione delle quote e successivo riacquisto delle stesse, per la parte eccedente il limite del 3 per cento da parte della banca centrale nazionale a vantaggio esclusivo dei menzionati soggetti economici privati. (5-02267)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CARRA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 74 del 2012 ha dettato disposizioni urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del 20 e del 29 maggio 2012, che hanno interessato il territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo;
   si tratta di territori che hanno faticosamente avviato il processo di ricostruzione post-sisma tra infinite difficoltà dovute anche alla incertezza circa i tempi e le modalità di trasferimento alle gestioni commissariali delle risorse previste dallo stesso decreto-legge 74 del 2012 per gli anni 2013 e 2014;
   su questi stessi enti locali che si trovano a dover gestire una situazione delicatissima, graverà anche il peso rilevantissimo dei tagli previsti dalla spending review;
   i commi 6 e 7 dell'articolo 16 del decreto-legge 95 del 2012 recano una riduzione dei fondi sperimentali di riequilibrio, ovvero dei fondi perequativi dei comuni e delle province per, rispettivamente, 2.000 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014 e 2.100 milioni a decorrere dall'anno 2015 e 1.000 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014 e 1.050 milioni a decorrere dall'anno 2015;
   complessivamente, sempre secondo i dati dell'Ifel, i tagli effettuati in tutti i comuni interessati dal terremoto del 2012 ammonterebbero ad oltre 30 milioni di euro;
   in particolare, nel territorio della provincia di Mantova, l'ufficio studi dell'Associazione nazionale dei comuni, prevede una riduzione di trasferimenti di quasi 8 milioni di euro, esattamente 7 milioni e 814mila euro. Si va dai due milioni e mezzo di Mantova, ai 440mila di Curtatone o Porto Mantovano, ai 413 di San Benedetto Posolo per fare alcuni esempi;
   a questo si aggiunga che, nonostante le deroghe al patto di stabilità interno stabilite dall'articolo 1, commi 353-355, della legge n. 147 del 2013 volte a favorire la ricostruzione nelle zone colpite dal sisma, in particolare, nelle province nei comuni dell'Emilia Romagna, della Lombardia e del Veneto per un importo complessivo di 25,5 milioni di euro nel 2014, gli obiettivi di quest'ultimo risultano ancora insostenibili per gli enti locali del cratere;
   questa situazione rischia di generare la paralisi delle attività di ricostruzione post-sisma –:
   se i Ministri interrogati non ritengano necessario assumere iniziative normative per eliminare il taglio ai trasferimenti previsti dai commi 6 e 7 dell'articolo 16 del decreto-legge 95 del 2012 per gli enti locali colpiti dagli eventi sismici del 20 e del 29 maggio 2012 e riconsiderare per questi ultimi la disciplina del patto di stabilità interno al fine di allentare gli obiettivi e non impedire le spese per investimento finalizzate alla ricostruzione. (4-03781)


   GUIDESI, ALLASIA, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Campania, ha adottato la deliberazione del 20 gennaio 2014 n. 12/2014 nel quale analizza la situazione finanziaria del comune di Napoli alla luce della procedura di riequilibrio finanziario pluriennale ex articolo 243-bis del TUEL;
   il documento messo a punto dalla Corte dei conti rileva una situazione finanziaria di perdurante dissesto con una situazione debitoria; la situazione debitoria è critica da almeno un decennio e il comune è stato già costretto a un enorme piano di svalutazione dei propri crediti per rendere il bilancio più aderente alla reale situazione; ma anche dopo questa maxi-svalutazione, a fine 2013 i magistrati avevano richiesto ulteriori delucidazioni visto che il rendiconto «continuava a presentare una rilevante massa dei residui attivi del titolo I e III (imposte quali Tarsu e Imu e multe, ndr)» per 1,24 miliardi. Precisazioni che dal comune non sono arrivate, almeno per quanto riguarda «la capacità di riscossione» di quei crediti del proprio bilancio tra il 2011 e il 2013, arrivato ad un disavanzo di amministrazione di 783 milioni di euro. Ad oggi però per i magistrati contabili «l'insussistenza potenziale» dei residui attivi – cioè i crediti relativi a imposte, trasferimenti o multe che in futuro rischiano di volatilizzarsi – è di ulteriori 431 milioni di euro;
   elemento particolarmente grave dei rilievi dei giudici contabili è dato dalla constatazione che una delle fonti principali del dissesto è costituita dalla incapacità dell'amministrazione di procedere alla riscossione fiscale di sua competenza, determinando un tasso di evasione da parte dei cittadini partenopei assolutamente patologica: tra il 2009 e il 2011 i tributi propri, così come le multe per infrazioni al codice della strada, sarebbero stati evasi per più del 50 per cento. Tra il 2009 e il 2011 i tributi propri, ovvero IMU, ICI, Tarsu, non sono stati pagati affatto da della metà dei napoletani. Tali entrate pesano per l'88 per cento delle entrate correnti;
   a non essere riscosse sono anche le multe stradali. Scrive infatti la Corte dei conti che «le percentuali di cancellazioni presentano un andamento più consistente negli ultimi 5 anni» avvicinandosi al 30 per cento per una «fisiologica e coerente» difficoltà di riscossione delle contravvenzioni. Un trend che, secondo la Corte, potrebbe solo peggiorare nei prossimi anni;
   le multe e le tasse sui rifiuti, secondo quanto rilevato dalla Corte dei conti, continuano a loro volta a non essere pagate, imponendo così un'ulteriore verifica del bilancio cittadino da parte dei giudici, non convinti dall'intervento del comune, il quale si è ostinato negli ultimi anni a inserire in bilancio crediti che risalivano addirittura al 1993, pur di «ripianare», in modo artificioso, i conti;
   la deliberazione della Corte stigmatizza inoltre il costo del personale del comune, che sarebbero state riportate con valori sottostimati nel bilancio presentato, come sottolineano ancora i giudici; mancano nella voce del personale dai 52 milioni del 2014 ai quasi 100 del 2022 e ciò «non può non destare forte preoccupazione». Un errore che «costituisce non solo un indice di una difficoltà dell'ente a rispettare le ottimistiche quanto irrealistiche previsioni, ma soprattutto incide in modo preoccupante sugli equilibri» del bilancio;
   il comune di Napoli ha proposto un piano di riequilibrio che dovrebbe essere lo strumento per fare uscire il comune dal dissesto, ma il piano è stato rigettato dalla Corte che doveva validarlo, e che ne contesta l'intera impostazione. Quel piano è basato quasi esclusivamente sulle dismissioni immobiliari: dovrebbero generare 730 milioni di euro di ricavi, che coprirebbero quasi tutto il disavanzo dichiarato. Ma secondo i magistrati la mancanza di un dettagliato cronoprogramma «esprime l'assenza, da parte dell'Ente, di un effettivo controllo delle operazioni poste in essere e di quelle da intraprendere». Nel piano scritto dal comune il valore del patrimonio è stimato sei volte sopra quello inventariale: ciò lascia ampi dubbi sul fatto che effettivamente si riesca a realizzare quanto atteso;
   l'unica reazione del sindaco di Napoli alle notizie di stampa che riportano i contenuti della deliberazione della Corte dei conti, che attesta, ad avviso degli interroganti, la palese incapacità dell'amministrazione comunale di assolvere i propri doveri, tra cui quello di riscuotere i tributi e rendere più efficiente l'amministrazione, è stata quella di invocare un «salvanapoli» da parte del Governo, ad imitazione dei decreti «salvaroma» che sono stati ritirati per ben due volte dal Governo e che, a giudizio degli interroganti, si sono caratterizzati per la palese immoralità delle misure che avrebbero premiato cattive gestioni amministrative –:
   quali siano le intenzioni del Governo rispetto alla richiesta del sindaco di Napoli di intervenire da parte del Governo a sostegno del bilancio dell'ente partenopeo. (4-03790)


   PILI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il nuovo Isee fa rientrare nel computo del reddito anche provvidenze economiche quali assegni di cura, pensioni sociali e altro, che andrebbero a ledere i diritti degli invalidi e delle persone con disabilità;
   l'8 febbraio 2014 è ufficialmente entrato in vigore, dopo un lungo iter, il nuovo ISEE;
   sulle novità introdotte dal nuovo indicatore della situazione economica e reddituale diverse sono state le critiche da più parti, poiché tra le novità più rilevanti c’è il fatto che nel computo del reddito personale (sul quale si valuta o meno il diritto a condizioni agevolate per varie prestazioni) vengono ora inclusi anche tutte le forme di supporto in denaro agli invalidi civili, ciechi e sordomuti, quali assegni di cura, forme di sostegno per assistenza domiciliare, pensioni sociali e altro;
   sulla questione è partito un ricorso collettivo nazionale contro l'amministrazione statale proposto da alcune associazioni, che sta raccogliendo numerosi consensi;
   l'Anffas Onlus – Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale, ha svolto una costante opera di analisi, monitoraggio e informazione su questo ambito, e continua a segnalare le criticità ancora presenti, che «rischiano di mettere in serio pericolo il rispetto dei diritti e le condizioni di vita di migliaia di cittadini con disabilità e loro famiglie nel nostro Paese»;
   il nuovo ISEE dovrebbe essere uno strumento per favorire l'equità tra i cittadini; in realtà, finisce per considerare come redditi indennità e provvidenze che già non riescono a colmare il divario esistente – anche in termini economici e di rischio povertà – tra i cittadini con e senza disabilità e finisce per limitare l'accesso a servizi essenziali e peggiorare le condizioni di vita delle persone con disabilità;
   è indispensabile ripristinare il diritto, considerata la convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità ratificata con legge in Italia dal 2009;
   si tratta di richieste fondamentali per la vita delle persone con disabilità e delle loro famiglie, una vita che merita pari diritti e opportunità e non continue vessazioni;
   l'ISEE è un livello essenziale delle prestazioni e di conseguenza non può essere derogato dalla legislazione regionale le cui competenze in materia non possono discostarsi dal livello già individuato se non per creare condizioni migliorative ed, inoltre, gli enti erogatori non possono usare dei criteri diversi ed ulteriori rispetto a quello dell'ISEE per regolamentare l'accesso alle prestazioni sociali agevolate;
   è inammissibile che si possano condizionare i servizi a supporto della frequenza scolastica degli alunni con disabilità o stranieri alle condizioni economiche della famiglia dell'alunno. L'istruzione è un diritto costituzionale di tutti e non può essere negato o limitato. Ugualmente, non possono essere determinati dalle condizioni economiche i supporti a sostegno dell'inserimento lavorativo –:
   se non ritenga il Governo di promuovere iniziative normative urgenti tese a non computare nella condizione economica del richiedente e della sua famiglia, utile per la determinazione dell'ISEE, gli emolumenti economici ricevuti da uno qualsiasi dei componenti il nucleo familiare per invalidità e/o condizione di disabilità o non autosufficienza, abrogando quindi, sul punto, l'articolo 5 del decreto-legge n. 201 del 2011 (cosiddetto «Decreto Salva Italia»), considerato che sarebbe assurdo ed infondato pensare che tali emolumenti siano una fonte di arricchimento per la famiglia;
   se non ritenga il Governo di promuovere iniziative normative urgenti tese ad eliminare dalla definizione di «prestazioni sociali agevolate», di cui all'articolo 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, la previsione che esse siano «limitate a coloro in possesso di particolari requisiti di natura economica», considerato che non si può limitare in base alla sola condizione economica l'accesso a servizi essenziali per la qualità di vita ed il rispetto dei diritti umani dei cittadini (come un centro diurno può essere, ad esempio, per una persona con disabilità);
   se non ritenga il Governo di promuovere iniziative normative urgenti tese ad eliminare nell'articolo 6 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri il rinvio al successivo articolo 7 che prevede il calcolo dell'ISEE familiare, salvo straordinarie situazioni, per i minori con disabilità non autosufficienti fruitori di prestazioni socio-sanitarie, evitando così una possibile disparità tra maggiorenni con disabilità frequentanti, ad esempio, centri diurni (che per usufruire di tale servizio potrebbero dichiarare solo l'ISEE derivante dalla somma delle condizioni economiche proprie e dell'eventuale coniuge e/o figli e non dei genitori o dei fratelli) e minori con disabilità fruitori dello stesso servizio per i quali si dovrebbe dichiarare una condizione economica pari a quella dell'ISEE familiare;
   se non ritenga il Governo di promuovere iniziative urgenti tese a eliminare dall'articolo 2 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri le previsioni (del tutto contrastanti con il dichiarato valore del nuovo calcolo dell'ISEE quale livello essenziale delle prestazioni), secondo le quali rimangono comunque «salve le competenze regionali in materia di formazione, programmazione e gestione delle politiche sociali e socio-sanitarie» e la possibilità per gli enti locali di selezionare, con ulteriori criteri rispetto a quello dell'ISEE, il novero dei beneficiari per l'accesso alle suddette prestazioni anche «tenendo conto delle disposizioni regionali in materia e delle attribuzioni regionali specificatamente dettate in tema di servizi sociali e socio-sanitari»;
   se non ritenga il Governo di promuovere iniziative urgenti tese ad introdurre direttamente nel nuovo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri la previsione di una o più soglie (anche calcolate in termini percentuali rispetto all'ISEE finale) al di sotto delle quali le prestazioni sociale agevolate siano sempre erogate ed a titolo gratuito;
   se non ritenga il Governo di promuovere iniziative urgenti tese ad eliminare dall’«Elenco delle prestazioni sociale agevolate condizionate all'ISEE», allegato al decreto ministeriale 8 marzo 2013 recante «Definizione delle modalità di rafforzamento del sistema dei controlli dell'ISEE», le prestazioni inerenti il servizio socio – educativo scolastico e il supporto all'inserimento lavorativo;
   se non ritenga il Governo di promuovere iniziative urgenti tese a prevedere un meccanismo di indicizzazione delle spese e franchigie, che, come componenti negative, concorrono, ai sensi dell'articolo 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, a determinare, abbassandola, la situazione reddituale finale del richiedente e sua famiglia;
   se non ritenga il Governo di promuovere iniziative urgenti tese ad reinserire nella scala di equivalenza di cui all'Allegato 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (con cui si individua il dividendo finale rispetto alla somma delle situazioni economiche, reddituali e patrimoniali, dei singoli componenti il nucleo familiare) la maggiorazione del dividendo pari a 0,50 per cento per ogni componente con invalidità superiore al 66 per cento. (4-03802)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta immediata:


   GIANCARLO GIORGETTI, INVERNIZZI, MOLTENI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GRIMOLDI, GUIDESI, MARCOLIN, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la Corte di cassazione ha confermato la condanna a sei anni e due mesi di reclusione per Antonio Monella, l'imprenditore edile di Arzago d'Adda che nella notte tra il 5 e il 6 settembre 2006 sparò dalla finestra di casa con un fucile da caccia regolarmente detenuto per mettere in fuga i ladri che si erano introdotti nella sua abitazione, uccidendone uno, un albanese di 19 anni, Helvis Hoxa, che stava cercando di rubare l'auto dell'impresario parcheggiata nel cortile della sua villetta;
   dopo otto anni di calvario giudiziario per tutta la famiglia di Antonio Monella, la Corte di cassazione ha, dunque, confermato la sentenza emessa a fine giugno 2012 dalla corte d'appello di Brescia per omicidio volontario, non riconoscendo in capo all'imprenditore edile la legittima difesa, ma anzi condannandolo, oltre alla pena detentiva, a un risarcimento di 150.000 euro in favore dei familiari del criminale albanese;
   la Corte di cassazione ha già trasmesso alla procura di Brescia il dispositivo della sentenza affinché il procuratore generale emetta il provvedimento di carcerazione, che verrà notificato, dunque, nei prossimi giorni;
   tutta la famiglia Monella sta vivendo ore d'angoscia, in quanto il padre Antonio potrebbe essere arrestato da un momento all'altro e l'unica speranza ora è quella della concessione della grazia da parte del Presidente della Repubblica Napolitano, che i legali dell'imprenditore hanno già richiesto;
   Antonio Monella è una persona conosciuta e stimata all'interno della comunità di Arzago, tanto che sia cittadini che esponenti politici, in una comunione di intenti trasversale al di là dei diversi schieramenti, si stanno ora mobilitando a favore della richiesta di grazia per Antonio Monella, una persona che non ha fatto altro che difendere la propria casa e la vita della propria famiglia da una banda di delinquenti che lo volevano rapinare;
   già nell'aprile 2004 la Lega Nord aveva presentato una proposta di legge per modificare le norme in materia di legittima difesa, eccessivamente penalizzanti a fonte dell'aumento e dei sempre più afferrati episodi di furti in abitazione e in esercizi commerciali, finché nel 2006, grazie all'impegno sempre del gruppo della Lega Nord, venne approvata la legge n. 59, «Modifica all'articolo 52 del codice penale in materia di diritto all'autotutela in un privato domicilio», che, però, i giudici non hanno voluto riconoscere al caso di Antonio Monella;
   anche recentemente, come si apprende dalle notizie di stampa, sono sempre di più i casi di assoluzione per vicende simili a quelle occorse ad Antonio Monella, nei quali i giudici hanno riconosciuto la legittima difesa e assolto con formula piena chi ha difeso la propria incolumità, quella della famiglia o la propria abitazione nel corso di furti o rapine;
   ad esempio, proprio poco più di un mese fa, il 23 gennaio 2014 è stato, infatti, assolto il commerciante di Caravaggio che aveva sparato dalla finestra di casa per intimidire un ladro che aveva tentato di rubare nella sua ditta, uccidendolo;
   a fronte dell’escalation di furti, dell'aumento esponenziale dei reati predatori in generale e del peggioramento della condizioni di sicurezza dei cittadini, anche a causa di continue politiche che agli interroganti appaiono premiali nei confronti dei detenuti, il 20 febbraio 2014 il gruppo consiliare della Lega Nord in regione Lombardia ha presentato un progetto di legge sulla legittima difesa, per tutelare, invece, i cittadini esasperati che difendono l'incolumità propria o dei familiari da ladri e delinquenti –:
   quali siano gli intendimenti del Ministro interrogato, nell'ambito delle proprie competenze e nel rispetto delle prerogative degli altri soggetti istituzionali coinvolti, in ordine alla richiesta di concessione della grazia ad Antonio Monella, già avanzata dai legali di parte e sostenuta da numerosi esponenti politici locali.
(3-00665)


   DI GIOIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la legge 14 settembre 2011, n. 148, all'articolo 1, comma 2, ha previsto la delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione di una pluralità di uffici giudiziari su tutto il territorio nazionale;
   il Governo ha ridefinito, secondo propri criteri, l'assetto territoriale degli uffici giudiziari soprattutto in base alla necessità di razionalizzazione della spesa, provocando, in alcuni casi, ulteriori ritardi nell'espletamento della giustizia, nonché enormi disagi tra i cittadini dei territori interessati;
   con decreto del 19 settembre 2013, l'allora Ministro della giustizia costituì un gruppo di lavoro con lo specifico compito di monitorare lo stato di realizzazione della riforma e di proporre soluzioni organizzative e normative per superare eventuali criticità, scelta questa presa in virtù delle molte proteste che si erano espresse sul territorio nazionale da parte dei cittadini e degli operatori del settore;
   con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale del decreto legislativo 19 febbraio 2014, n. 14, che ridisegna la geografia giudiziaria nel nostro Paese, è entrato ufficialmente in vigore l'ultimo atto della riforma iniziata nel settembre del 2012;
   con questa riforma sono stati chiusi 30 tribunali e altrettante procure della Repubblica, 270 sezioni distaccate di tribunale e quasi 700 uffici del giudice di pace;
   il decreto legislativo, entrato in vigore il 28 febbraio 2014, ha concesso alcune deroghe, ripristinando, fino al 31 dicembre 2016, le sezioni distaccate di tribunale di Ischia, Lipari e Portoferraio;
   a settembre 2013 altri tribunali minori avevano ottenuto una proroga dal Ministro pro tempore Anna Maria Cancellieri, e cioè: Chiavari, Lucera, Rossano Calabro, Sanremo, Alba, Bassano del Grappa (chiusura rinviata al 2018), Pinerolo e Vigevano;
   altre decisioni simili si sono date per i tribunali abruzzesi, visto l'impossibilità di ripristinare le sedi rese impraticabili dal terremoto del 2009;
   in molte situazioni il tribunale amministrativo regionale ha determinato, con proprie sentenze, la riapertura di sedi territoriali, a dimostrazione di scelte non sempre efficienti e razionali;
   tutto ciò dovrebbe quantomeno far riflettere sulle scelte operate, visto che in alcuni casi, come a Lucera e a Rossano Calabro, si è privato un vastissimo territorio, a forte presenza criminale, di presidi di legalità;
   anche sul fronte del presunto risparmio economico è esemplare la decisione che il comune di Foggia ha dovuto prendere per assolvere i nuovi impegni, con la stipula di un contratto di affitto con la società CO.IM.srl, allo scopo di dare una terza sede decentrata al tribunale della stessa città per accorpare il tribunale di Lucera e le sedi distaccate di Apricena e Rodi Garganico;
   tale contratto avrà una durata di sei anni, non riguarderà tutto lo stabile e corrisponderà a una cifra di 773.430 euro all'anno oltre l'iva, per una somma complessiva di 4.640.580 euro, che peseranno sul bilancio comunale dal 2015 al 2019;
   una minima parte di questi costi sarà rimborsata dal Ministero della giustizia e l'altra peserà sulle tasche dei cittadini di Foggia;
   nel caso specifico, la decisione che ha portato alla chiusura del tribunale di Lucera per ridurre i costi della giustizia, rischia di diventare un'enorme beffa, perché non solo arrecherà enormi danni ai cittadini del territorio che saranno costretti a lunghi spostamenti, ma riverserà nuovi costi sui cittadini di Foggia, che già vivono in una realtà duramente colpita dagli effetti della crisi economica –:
   a quanto ammonti la cifra che il Ministero della giustizia assegnerà al comune di Foggia in seguito al contratto di affitto stipulato e se non si ritenga opportuno, alla luce delle considerazioni sopra esposte, adottare iniziative volte a rivedere, soprattutto nelle situazioni dove la chiusura dei tribunali è stata sospesa o rinviata, le decisioni prese, stante il fatto che, anche da un punto di vista di risparmi di spesa, ciò rischia di gravare sulle tasche dei cittadini incolpevoli. (3-00666)


   CIRIELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 4 marzo 2014 l'Aula della Camera dei deputati è stata impegnata nel dibattito sulla relazione della II Commissione (giustizia) sulle tematiche oggetto del messaggio del Presidente della Repubblica, trasmesso alle Camere il 7 ottobre 2013, in merito alla questione carceraria;
   i provvedimenti in materia di giustizia sin qui approvati, seppur numerosi, si sono concentrati esclusivamente sulla questione della deflazione della popolazione carceraria, lasciando aperti numerosi altri temi, non ultimi tra i quali quelli relativi alla questione della lentezza dei processi e dei costi che i cittadini devono sostenere per veder riconosciuti e tutelati i propri diritti nelle aule dei tribunali;
   nelle scorse settimane alcuni organi di stampa hanno riportato la notizia dell'imminente varo di una legge di riforma del processo civile, prioritariamente finalizzata allo smaltimento dei processi arretrati, che in Italia, ad oggi, si concretizzano in oltre cinque milioni di giudizi pendenti;
   posto che adottare una riforma nel campo della giustizia civile con l'unico obiettivo di decongestionare la mole dei procedimenti accumulatisi rischia di non dedicare attenzione sufficiente ad altri aspetti del problema, la normativa in arrivo, inoltre, secondo molti legali porterà ad una compressione dei diritti della difesa;
   il testo del provvedimento di riforma, nel frattempo annunciato alla Camera dei deputati, prevede, infatti, che il cittadino, all'atto della condanna, ottenga il solo dispositivo e che, laddove intenda ottenere anche le motivazioni, dovrà anticipare parte delle spese per l'appello;
   il testo del disegno di legge, quindi, secondo l'interrogante realizza una palese violazione del diritto alla difesa, in spregio alle tutele costituzionali ad essa accordate e in danno dei cittadini onesti che si rivolgono ai tribunali per vedersi riconoscere la violazione dei propri diritti –:
   se le notizie riportate in premessa corrispondano al vero e come intenda intervenire al fine assicurare un corretto funzionamento della giustizia nel nostro Paese, senza danneggiare i diritti dei cittadini. (3-00667)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LAURICELLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la situazione di carenza di personale amministrativo in servizio presso il Ministero della giustizia sta diventando sempre più drammatica, al punto da rischiare di compromettere la piena funzionalità di un settore delicatissimo del sistema Paese come, appunto, quello della giustizia;
   da tempo le organizzazioni sindacali hanno lanciato l'allarme evidenziando come la differenza tra la pianta organica complessiva, al netto dei tagli operati dal decreto legge n. 112 del 2008, e quella effettivamente in servizio sfiori quasi il 20 per cento, con circa 8000 unità mancanti;
   questa carenza di personale amministrativo, se proiettata nel medio periodo, rischia di pregiudicare la funzionalità di molti uffici, con conseguenti ripercussioni negative per il Paese, a partire dalla difficoltà materiale di poter celebrare udienze;
   tale andamento, tra l'altro, risulta aggravato anche dal perdurare del blocco del turn over e dalla fisiologica fuoriuscita di personale per i raggiunti requisiti previdenziali;
   nel corso degli ultimi anni si è anche registrato, a fronte di un incremento dei magistrati in servizio, una diminuzione dei dipendenti, passando dai 50 mila dipendenti per 7500 magistrati della metà degli anni ’90, ai circa 36 mila dipendenti per 9000 magistrati attualmente in servizio;
   con questi rapporti diventa, quindi, irrealizzabile ogni obiettivo di smaltimento dei processi pendenti e un conseguente e preoccupante allungamento dei tempi processuali con grave danno per l'amministrazione della giustizia e per i cittadini tutti;
   è noto che il settore della giustizia è uno dei settori chiave anche per la capacità di attrarre investimenti e quindi per la ripresa economica in una fase congiunturale difficile come quella che l'Italia si trova ad affrontare;
   in questo quadro vanno altresì affrontati anche i temi relativi alla scadenza prevista per il 31 dicembre 2014 delle circa tremila unità, si tratta di lavoratori in cassa integrazione, mobilità, LSU, chiamati dagli enti locali a prestare servizio presso gli uffici giudiziari sotto il profilo di «tirocini formativi» e che spesso assumono ruolo chiave per la funzionalità degli stessi uffici;
   neppure le procedure di mobilità esterna, anche quelle poste in essere ai sensi dell'articolo 3 del decreto legge 31 agosto 2013, n. 101 convertito, dalla legge 30 ottobre 2013 n. 125, sono riuscite a dare una risposta efficace al tema in questioni, atteso che non comprende i dipendenti degli enti locali;
   infatti, persino l'utilizzo dei dipendenti in sovrannumero presso altre amministrazioni non è riuscito a fronteggiare le strutturali carenze di personale presso gli uffici giudiziari;
   inoltre per fare un esempio a fronte del bando di mobilità per la giustizia per 296 posti sono state presentate circa 1800 domande di cui però i 4/5 non erano utilizzabili perché provenienti dagli enti locali;
   di fronte al quadro qui esposto diventa indispensabile intervenire, con la massima urgenza, per assicurare piena operatività della macchina giudiziaria;
   fino ad oggi, ad esempio, si è registrata una eccessiva rigidità che ha impedito di allargare le procedure di mobilità esterna anche al personale proveniente dagli enti locali che, invece, potrebbe rappresentare una risposta efficace ai problemi evidenziati in premessa –:
   se e quali iniziative di tipo amministrativo o normativo il Governo, in considerazione della drammatica situazione riportata nelle premesse, intenda assumere per consentire di aprire procedure di mobilità esterna anche per i dipendenti in sovrannumero degli enti locali, al fine di poter affrontare la carenza di personale amministrativo nell'ambito degli uffici giudiziari. (5-02253)

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Saverio Saccardo, Raffaele Esposito, Feliciano De Rosa e Raffaele Fatigati sono quattro operai della provincia napoletana che nel 2000 furono assunti con contratti di proroga dall'agenzia interinale Worknet;
   tramite la «Worknet» i suddetti operai hanno lavorato, dal 2003 al 2006, per il grande stabilimento aeronautico della Avio, a Pomigliano d'Arco, in provincia di Napoli;
   tutti loro hanno lavorato per la Avio attraverso la proroga di contratti (nel caso di Saverio Saccardo addirittura 35 contratti);
   essi erano impiegati nel reparto revisioni, dov’è concentrata la maggior parte dei giovani lavoratori assunti tramite società interinali;
   ad un certo punto, improvvisamente, l'azienda non li ha più richiamati in fabbrica;
   i quattro lavoratori, rilevando una serie di vizi procedurali nei contratti di somministrazione, si sono di conseguenza rivolti ad un giuslavorista, ottenendo nel novembre del 2012 dal tribunale di Nola il reintegro immediato a tempo indeterminato per la nullità dei contratti di lavoro a termine;
   ciononostante l'azienda si è categoricamente rifiutata di permettere loro l'ingresso nella fabbrica, ed anzi nel febbraio del 2013 ha licenziato due di loro, ovvero Feliciano De Rosa e Raffaele Esposito;
   quest'ultimo ha ottenuto giudiziariamente l'annullamento del licenziamento, mentre il 20 marzo arriverà la decisione del tribunale in merito alla posizione di De Rosa;
   da più di un anno, ovvero da quando è avvenuto il reintegro giudiziario, l'azienda non eroga gli stipendi, né il risarcimento dei danni riconosciuti, cioè i salari arretrati a partire dalla data di scadenza dell'ultimo contratto interinale fino alla sentenza che ha disposto le assunzioni;
   ai quattro lavoratori l'azienda ha offerto un lavoro come operai di terzo livello (il più basso) alla Age di Torino, ad oltre 900 chilometri di distanza da mogli e figli;
   i fatti narrati sono riportati anche, tra gli altri, nell'articolo pubblicato dal quotidiano online «Il Mediano» dal titolo «L'Avio licenzia operai fatti assumere dal giudice» del 17 febbraio 2013, nell'articolo pubblicato dal quotidiano online «Il Mediano» dal titolo «Avio, operai assunti e subito licenziati: ieri sciopero della Fiom» del 20 febbraio 2013, nell'articolo pubblicato dal quotidiano online «Marigliano.net» dal titolo «Pomigliano D'Arco, l'Avio non rispetta la sentenza e non reintegra gli operai» del 4 febbraio 2014 e nell'articolo pubblicato dal quotidiano online «Rete News 24» dal titolo «Operai Avio, giudice ordina: «Vanno reintegrati». Ma l'azienda vuole trasferirli da Pomigliano d'Arco a Torino» del 15 febbraio 2014 –:
   se non si intendano assumere iniziative anche normative, per rafforzare la tutela dei diritti dei lavoratori in modo da impedire il ripetersi di situazioni come quella di cui in premessa. (4-03775)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   lo stabilimento FGA di Pratola Serra (Avellino) costituisce uno dei quattro stabilimenti italiani dediti alla produzione di motori del gruppo FIAT per il settore auto, specializzato su quelli di cilindrata 1600cc e superiore. Gli altri stabilimenti sono quello di Termoli, Foggia che rifornisce IVECO e VM di Imola che produce i motori per Maserati. A questi si deve aggiungere lo stabilimento Ferrari di Maranello (Modena) dotato di un proprio reparto di produzione motori;
   nel novembre 2012 lo stabilimento, di proprietà della società FMA s.r.l. con l'intero gruppo Fiat Powertrain Technologies (FPT) s.p.a. è stato assorbito, attraverso trasferimento di ramo d'azienda, da Fiat Group Automobiles (FGA) s.p.a. Più precisamente, lo stabilimento FMA è stato oggetto di fusione con FPT a decorrere dal 31 dicembre 2012;
   ad oggi, lo stabilimento in questione è composto da 6 reparti di lavorazione, di cui uno recente (UTE biella, UTE albero di distribuzione, UTE basamento, UTE testa cilindri 16 valvole, UTE albero motore, UTE basamento in alluminio), 4 reparti di montaggio (short block e long block, biking per l'asservimento materiale, UTE montaggio teste cilindri), dal reparto VQM (verifica qualità motori) e da una serie di divisioni/attività di servizio che attengono alla manutenzione, all'ENECO (energia e controllo) e alle attività di sorveglianza;
   la produzione dei motori è andata progressivamente diminuendo: già tra il 2007 e il 2008 la produzione si è ridotta di un terzo passando da 520.000 motori a 350.000. Dal 2009 al 2013 il volume dei motori assemblati è stato in media di circa 190.000 l'anno. Nel 2013 la produzione di circa 180.000 motori è stata superiore del 21,2 per cento a quella dell'anno precedente quando i motori assemblati sono stati circa 150.000, il volume più basso di produzione dal 2000, considerando che l'entrata in produzione vera e propria dello stabilimento è avvenuta solo nel 1998 (a maggio del 2013 è stata raggiunta la produzione di 7 milioni di motori). Si consideri, inoltre, che fino al 2002 lo stabilimento ha lavorato su 18 turni, dal 2003 su 15;
   i motori prodotti nel 2013 (circa 180 mila) sono stati destinati per circa il 65 per cento (nel 2010 tale valore era del 30 per cento) a stabilimenti esteri della FIAT in Europa (Turchia, Ungheria, Serbia) oltre a quello Chrysler di Toluca in Messico dove è assemblata la Fiat Freemont; per il restante 35 per cento agli stabilimenti italiani di Cassino (per Fiat Brava, Alfa Romeo Giulietta e Lancia Delta), di Mirafiori (per Alfa Romero Mito) e per la SEVEL di Atessa che viene rifornita anche dallo stabilimento di Foggia per le cilindrate maggiori per la Maserati di Modena. In questo quadro va osservato che rispetto al 2010 la percentuale di motori destinati allo stabilimento di Cassino è passata dal 46,3 per cento al 28,9 per cento, quella dei motori destinati alla Turchia dal 23 per cento al 27,5 per cento;
   si osserva che in nessun caso lo stabilimento di Pratola Serra è unico fornitore, fatta eccezione per i motori della Fiat Freemont assemblata nello stabilimento messicano della Chrysler e i motori dell'Alfa Romeo 4C. Nello stabilimento di Termoli si realizza il motore versione ibrida 1400cc per i modelli assemblati a Cassino e Mirafiori e per il modello 500L in Serbia. Va poi notato che le produzioni indicate per lo stabilimento di Cassino riguardano modelli a fine ciclo di produzione;
   all'inizio del 2014 i dipendenti dello stabilimento ammontano a 1.850, un numero inferiore rispetto a un anno fa di 30 unità, da imputare al trasferimento di 7 impiegati a Elasis e all'uscita di 23 operai: dieci per dimissioni volontarie, dodici per trasferimento (FGA di Grugliasco e VM di Imola) e uno per decesso;
   l'occupazione indiretta legata alle aziende esterne presenti nello stabilimento si è progressivamente ridotta dal 2008 a oggi, per via della chiusura di alcune aziende (esempio ASTEC), per la re-internalizzazione in FMA di alcune attività cedute in precedenza a società esterne (Ceva Logistics, Tecnogamma, Lomar), per la riduzione degli addetti delle aziende ancora presenti nel sito o il loro trasferimento a Torino (esempio: Fiat Service). Nel complesso si è passati, quindi, tra il 2008 e il 2013 da 770 addetti a 418 (-44,4 per cento);
   in questo quadro, i dipendenti di Ceva Logistics sono ritornati (re-internalizzati) in FGA come le attività in precedenza cedute a Tecnogamma e Lomar, quelli della Logi Services sono stati assorbiti da De Vizia Transfer, già presente nel sito, attraverso un contratto di servizio, ma con un'ulteriore riduzione degli addetti; sempre la De Vizia ha rilevato le attività e i dipendenti della Delivery&Mail; le attività prima cedute alla ASTEC sono state riassorbite dalla FIAT, ma con questo le due aziende hanno dato avvio a una procedura di mobilità per i 90 dipendenti in forza (mobilità la cui scadenza è coincisa con la fine di gennaio di quest'anno). Nel complesso, nel luglio 2010 gli addetti delle aziende terziarizzate incidevano per il 26,5 per cento dell'occupazione complessiva del sito, nel dicembre 2013 per il 18,4 per cento;
   relativamente al parco fornitori la situazione non si presenta molto dissimile da quella già analizzata in anni passati. La fabbrica di Pratola Serra rimane uno stabilimento di assemblaggio di componenti che provengono in larga prevalenza da fuori regione (in particolare da Piemonte e Lombardia) e dall'estero, mentre continua a ridursi l'apporto delle produzioni degli stabilimenti localizzati in Campania, fino al punto di poter affermare che se ieri questo era particolarmente debole oggi si può considerare sostanzialmente inesistente. Secondo l'ultima rilevazione (dicembre 2013) in possesso degli interpellanti, sulle 160 aziende fornitrici della FMA (17 in meno rispetto al 2010), quelle localizzate in Campania (ovvero almeno con uno stabilimento) si sono ridotte a 4, contro le 10 del luglio 2010 e le 14 del 2003;
   in generale, se il numero di aziende è complessivamente diminuito, la perdita maggiore si è verificata proprio tra le aziende con stabilimenti nel Mezzogiorno e in misura minore nel resto del Centro nord e all'estero, dove il principale Paese in cui hanno sede il maggior numero di imprese fornitrici (21 aziende su 42) rimane la Germania;
   il termine della cassa integrazione straordinaria (CIGS) per ristrutturazione, iniziata il 18 giugno 2012, è fissato per il 16 novembre 2014. Nel complesso, considerando anche il ricorso alla cassa integrazione ordinaria (CIGO) nel 2011, i giorni complessivamente lavorati nell'ultimo triennio (2011-2013) sono stati 88 nel 2011, 55 nel 2012 e 65 nel 2013;
   la perdita sul piano salariale è molto rilevante considerato che i giorni lavorati sono stati solo il 38 per cento nel 2011, il 24 per cento nel 2012 e il 28 per cento nel 2013 rispetto a quelli previsti dal contratto;
   osservando, inoltre, l'andamento del reddito dichiarato attraverso l'analisi dei CUD, prendendo a riferimento un lavoratore di 3o livello non coniugato e senza figli a carico (e quindi senza assegni familiari), il reddito percepito è andato progressivamente diminuendo fino al 23 per cento rispetto al valore del reddito pre-crisi del 2007, 16.000 euro contro 21.000 euro;
   se si somma le riduzioni di salario determinate dalla cassa integrazione guadagni dal 2008 ad oggi, si calcola una perdita di circa 30.000 euro. La perdita risulta, poi, ancora più rilevante se si considera che nel 2007 la paga oraria base era di 8,8 euro, mentre oggi è di circa 10 euro;
   l'unico investimento di rilievo che ha riguardato lo stabilimento negli ultimi anni è stato il nuovo reparto per il basamento in alluminio che ha sostituito il reparto «testa cilindri 2 valvole» la cui produzione era legata ai motori euro 3. Questo investimento, di circa 2 milioni di euro, è iniziato nella primavera del 2013 e dovrebbe completarsi nella primavera del 2014. Il nuovo reparto comprende l'installazione di 4 macchine che dovrebbero essere gestite da 7 operatori per un numero complessivo di 21, considerati i tre turni di produzione e 2 manutentori per turno: la capacità produttiva è di 150 pezzi/giorno per 35 mila pezzi l'anno (considerando un calendario di 232 giornate lavorative). Il nuovo basamento sarà utilizzato per i motori 1800cc benzina dell'Alfa Romeo 4C, della Maserati e della Giulietta;
   questo investimento evidenzia, comunque, una riduzione del numero di addetti rispetto al reparto testa cilindri 2, dove gli addetti erano 30 per turno impegnati su più macchine. La ragione sta nell'installazione di macchine meno complesse che svolgono più operazioni e che, quindi, risparmiano sull'impiego di manodopera. Questo investimento, come altri che stanno avvenendo nel resto degli stabilimenti della FIAT, produce dunque una riduzione del fabbisogno di manodopera, ma anche un aumento dei carichi di lavoro (qui nelle attività di controllo/gestione macchina) e/o dell'intensità della prestazione sulle linee di montaggio delle fabbriche dedicate all'assemblaggio delle vetture. Negli altri reparti ci sono stati piccoli investimenti sui nuovi macchinari per consentire l'allestimento dei motori 1800cc a benzina, ma nulla di più;
   per lo stabilimento FGA di Pratola Serra (Avellino) si conferma una situazione particolarmente critica, dovuta alla sottoutilizzazione delle capacità produttive dello stabilimento stesso;
   il calo periodico della produzione si è accompagnata anche ad una riduzione dell'organico del sito che ha colpito le aziende terze a cui in passato erano state affidate delle attività da parte di FIAT;.
   si conferma, inoltre, la forte perdita salariale per i dipendenti, determinata dall'ampio ricorso alla cassa integrazione: solo negli ultimi sei anni la perdita è quantificabile in media in 30.000 euro per lavoratore;
   la capacità produttiva dello stabilimento si è ormai attestata al 30 per cento delle capacità produttive e le prospettive rimangono assai poco chiare, se si considera che molto del destino dello stabilimento è affidato al successo del nuovo motore con basamento in alluminio (1800cc) e in considerazione del fatto che la capacità produttiva per questo motore è prevista in 35.000 unità all'anno che corrispondono ad un mese di produzione dello stabilimento;
   appare chiaro che per poter portare a saturare gli impianti occorre una produzione di quantità che possa raggiungere i 500 mila motori all'anno;
   a ciò si aggiunga, come altra criticità, che alcuni motori oggi in produzione sono destinati a modelli di autovetture a fine ciclo di vita, come quelli assemblati nello stabilimento di Cassino;
   più in generale, come si legge nel documento programmatico della Fiom per il XXVI Congresso dell'organizzazione, si impone sempre di più la necessità di una politica industriale da anni assente, di cui il soggetto pubblico deve essere promotore, finanziatore e garante. «La gravità e la profondità della crisi chiamano in causa l'intero modello di sviluppo e la sua gestione privatistica che sta determinando la desertificazione industriale del paese e che in questi anni ha dimostrato di sprecare risorse peggiorando le condizioni di vita dei lavoratori e dei cittadini, mettendone a rischio la salute e praticando una pericolosa distruzione ambientale. In questa situazione solo un soggetto pubblico può garantire un diverso modello di sviluppo caratterizzato dalla tutela e dalla valorizzazione del lavoro e dei beni inalienabili della comunità. Per dar vita a una nuova politica industriale è urgente un piano straordinario d'investimenti pubblici e privati che parta dal valorizzare il patrimonio di conoscenze e professionalità che hanno fatto la storia della nostra manifattura, sottraendole alla speculazione finanziaria. Una particolare attenzione deve essere posta al Mezzogiorno che sta pagando il prezzo più alto della crisi e delle politiche liberiste, perché nel Sud la deindustrializzazione è già in atto e per questo dal Sud bisogna ripartire nella realizzazione di piani industriali “di settore” di cui il lavoro umano sia il fulcro, il mezzo e il fine nella creazione di valore»;
   è da considerarsi assurdo che la politica industriale di questo Paese venga di fatto portata avanti con i salari e i diritti dei lavoratori che attraverso le loro fatiche dovrebbero garantire gli investimenti necessari e pagare di tasca propria il prezzo del loro lavoro;
   la legge di stabilità 2014, recentemente entrata in vigore, ha disposto per l'anno 2014 uno stanziamento di 50 milioni di euro volto al finanziamento dei trattamenti di integrazione salariale per i contratti di solidarietà;
   la disposizione, a differenza degli ultimi interventi in materia, non ha, però, previsto la proroga della norma che consentiva l'innalzamento dell'integrazione salariale del 20 per cento, prescrivendo un aumento limitato – nella misura del 10 per cento – che attesta l'ammontare dell'importo al 70 per cento del trattamento perso a seguito della riduzione dell'orario di lavoro;
   tale scelta provocherà ricadute negative su migliaia di lavoratori già coinvolti da procedure di diminuzione del reddito;
   si rende necessario un ulteriore intervento in materia di contratti di solidarietà, con l'obiettivo di incrementarne l'ammontare del trattamento di integrazione salariale, con particolare riferimento a quello dei lavoratori con redditi più bassi –:
   se il Governo, alla luce di quanto descritto in premessa, non concordi nel ritenere che il rilancio dello stabilimento di Pratola Serra sia legato imprescindibilmente all'attivazione di una seria politica di rilancio degli investimenti e la produzione di motori ibridi benzina/Gpl e benzina/metano e quali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo;
   se e quali iniziative il Governo intenda assumere sul piano occupazionale al fine di evitare il progressivo trasferimento di ulteriore personale dallo stabilimento di Pratola Serra su altri stabilimenti, il che significherebbe solo depotenziare lo stabilimento stesso nella sua capacità produttiva;
   quali iniziative intenda intraprendere il Governo al fine di tutelare i lavoratori a rischio, anche attivando un tavolo di confronto che coinvolga pienamente i rappresentanti dei lavoratori, la dirigenza aziendale e i Ministeri competenti e che individui ogni possibile soluzione volta ad evitare ripercussioni negative sugli attuali livelli occupazionali;
   se e quali iniziative il Governo intenda porre in essere al fine di tutelare concretamente i lavoratori dipendenti dello stabilimento in questione e, in particolare, se si intenda utilizzare lo strumento dei contratti di solidarietà, nel momento in cui diventi impossibile garantire l'effettiva rotazione dei dipendenti stessi con la cassa integrazione guadagni straordinaria;
   quali urgenti iniziative intenda adottare al fine di prevedere disposizioni che, incrementando l'ammontare del trattamento di integrazione salariale e ripristinando la percentuale di riferimento prevista antecedentemente all'approvazione della legge di stabilità 2014, tengano conto concretamente delle esigenze dei lavoratori;
   se il Governo non concordi sull'opportunità di sostenere un programma di riqualificazione delle maestranze, anche utilizzando le risorse finanziarie e i fondi di Prestimpresa, e quali iniziative di competenza intenda assumere per sostenere il comparto industriale in questione;
   quali iniziative il Governo intenda assumere, anche attraverso un tavolo di confronto con i rappresentanti degli enti locali interessati, al fine di favorire la localizzazione di fornitori nell'area di insediamento dello stabilimento di Pratola Serra, in considerazione del fatto che la fornitura di componenti per l'assemblaggio di motori è rimasta prevalentemente localizzata fuori dal Mezzogiorno o all'estero.
(2-00428) «Airaudo, Giancarlo Giordano, Di Salvo, Ferrara».

Interrogazioni a risposta immediata:


   BERGAMINI e PALESE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'amministratore delegato della compagnia di Abu Dhabi Etihad, James Hogan, è convinto che la compagnia di bandiera italiana Alitalia possa tornare alla redditività e riprendere slancio grazie ad un'iniezione di 300 milioni di euro e all'acquisto di una quota tra il 40 e il 49,9 per cento da parte della compagnia araba;
   l'Italia è considerata il terzo mercato europeo per il traffico in uscita e ciò la rende attraente per la compagnia araba che avrebbe la possibilità di potenziare la propria rete nel Sud Europa a completamento dei rapporti con Air Berlin, ampliando l'alleanza commerciale di code sharing con Air France-Klm, già legata ad Alitalia e che forse potrebbe ripensarci dopo la mancata sottoscrizione della ricapitalizzazione e la riduzione della partecipazione dal 25 per cento al 7 per cento;
   Carlo Messina, l'amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, la banca principale azionista di Alitalia (20,59 per cento), nonché principale creditore, si augura che la trattativa tra le due compagnie aeree si concluda e, a fronte della richiesta della compagnia araba di una ristrutturazione del debito di Alitalia, insieme alle altre banche creditrici, ha concesso un ulteriore finanziamento per circa 165 milioni di euro e un allungamento, fino a giugno 2015, delle linee di credito in essere;
   la due diligence posta in essere dalla Etihad avrebbe, tuttavia, dovuto già concludersi oggi ed è, invece, stata procrastinata a fine marzo 2014 per valutare la possibilità per la compagnia italiana di ristrutturare il pesante debito che la stessa ha con le banche, realizzando un abbattimento dello stesso per almeno 400 milioni di euro;
   dalle ultime dichiarazioni dell'amministratore delegato di Etihad non appare, tuttavia, scontato che la due diligence debba necessariamente avere un esito positivo, visto che il top manager ha quantificato al 50 per cento la possibilità che il matrimonio tra le due compagnie venga celebrato;
   la compagnia Etihad non sta valutando soltanto il pesante debito di Alitalia verso le banche, ma anche il costo del lavoro: l’Alitalia dovrebbe ottenere economie per 128 milioni di euro, di cui 90 milioni di euro sono stati ottenuti grazie agli ammortizzatori sociali per tutto il personale e altri 48 milioni di euro sarebbero conseguenti al taglio degli stipendi sopra i 40 mila euro e al blocco degli scatti di anzianità;
   la compagnia tedesca Lufthansa ha attaccato il progetto di alleanza tra Etihad e Alitalia in quanto lo reputa un aiuto di Stato mascherato che comporta un aggiramento delle regole europee della concorrenza e, dal momento che Etihad non intende comprare azioni dai soci attuali, ma sottoscrivere un aumento di capitale, nell'acquisto di quest'ultimo, dovrebbe rispettare il tetto azionario del 50 per cento stabilito per le compagnie extraeuropee;
   è necessario non trascurare il fatto che l'accordo con la compagnia araba non può prescindere dal rafforzamento degli scali aeroportuali, prevedendo un piano d'azione che non penalizzi gli aeroscali milanesi, in particolare deve essere valorizzato l'aeroporto di Malpensa, che rappresenta lo scalo strategico per il Nord-Est, senza tuttavia trascurare l'aeroporto di Linate, che deve restare uno scalo aperto al più alto numero di connessioni europee –:
   quale sia la reale situazione della trattativa tra la compagnia italiana Alitalia e la compagnia araba Etihad e, in senso più ampio, se il Governo abbia intenzione di attivarsi per controllare che tale accordo non comporti delle ricadute sulla gestione degli aeroporti italiani e garantisca la tutela delle rotte nazionali.
(3-00662)


   TULLO, BERRETTA, BONACCORSI, BRANDOLIN, BRUNO BOSSIO, CARDINALE, CARELLA, CASTRICONE, COPPOLA, CRIVELLARI, FERRO, GANDOLFI, PIERDOMENICO MARTINO, MAURI, MOGNATO, MURA, PAGANI, PAOLUCCI, ROTTA, BASSO, CAROCCI, GIACOBBE, MARIANI, MARCO MELONI, PASTORINO, VAZIO, MARTELLA, ROSATO, DE MARIA e BARGERO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con la legge finanziaria per il 2010 e la successiva delibera Cipe n. 48 del novembre 2010 è stato autorizzato l'avvio dei lavori per la realizzazione del Terzo Valico dei Giovi, tratta AV/AC Milano-Genova, per un costo complessivo di 6.200 milioni di euro, da realizzare sulla base della convenzione tra Rete ferroviaria italiana spa e il contraente generale Consorzio collegamenti integrati veloci (Cociv) integrata nel novembre 2011;
   il Terzo Valico dei Giovi rappresenta un'opera fondamentale della rete transeuropea dei trasporti (TEN-T), in particolare nell'ambito del corridoio plurimodale tirrenico Nord Europa, e un collegamento strategico alta velocità-alta capacità tra Genova e Milano; con il Terzo valico dei Giovi si realizza, inoltre, un valico con una galleria di 39 chilometri, che consente, tra l'altro, al porto di Genova di interagire con il retroporto;
   le risorse assegnate dal Cipe, con delibera n. 85 del 6 dicembre 2011, per la realizzazione del secondo lotto costruttivo non funzionale, per complessivi 1.100 milioni di euro, nel marzo del 2013, con successiva delibera Cipe sono state ridotte, per 240 milioni di euro, per essere destinate allo schema di contratto di programma 2012-2014 (parte servizi) tra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Rete ferroviaria italiana spa;
   il Governo, in risposta all'interrogazione n. 5/00056, nel giugno 2013, nel confermare il rilievo strategico dell'opera e la riduzione del finanziamento del secondo lotto costruttivo da 1.100 milioni di euro ad 860, prevedeva il reintegro di tali somme con il terzo lotto costruttivo, incrementando i 1.270 milioni di euro già previsti con ulteriori 240 milioni di euro, in modo da garantire il rispetto dei tempi dell’iter procedurale amministrativo e il cronoprogramma di realizzazione dell'opera;
   nell'ottobre del 2013 il decreto-legge n. 102 del 2013, con l'articolo 15, prevedeva una riduzione di 100 milioni di euro dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 7-ter, comma 2, del decreto-legge n. 43 del 2013, che disponeva uno stanziamento decennale per 120 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2024, per il potenziamento della rete ferroviaria nazionale, che prevedeva, tra le priorità, la realizzazione del Terzo Valico dei Giovi;
   il Programma delle infrastrutture strategiche, aggiornato in ottobre con la nota di variazione al documento di economia e finanza, prevedeva la realizzazione del Terzo Valico dei Giovi, in base ad una definita sequenza di lotti costruttivi: il primo lotto dell'opera – in fase di realizzazione – per un costo di 718 milioni di euro, interamente coperto; il secondo lotto, con un costo di 860 milioni di euro (anch'esso totalmente coperto); i lotti terzo, quarto, quinto e sesto i cui costi ammontano, rispettivamente, a 1.510 milioni, 1.340 milioni, 1.200 milioni e 650 milioni di euro, per i quali deve essere ancora individuata la copertura finanziaria;
   l'8o rapporto per la VIII Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici sull'attuazione della «legge obiettivo» segnala, tra i fondi che sono stati oggetto di riprogrammazione nell'ultimo anno, il fondo infrastrutture stradali e ferroviarie relativo ad opere di interesse strategico con una dotazione complessiva, al netto delle riduzioni, al 31 ottobre 2013, di 3.310 milioni di euro, dei quali 1.529 attualmente assegnati ad opere strategiche; nel 2012 le assegnazioni a opere del programma infrastrutture strategiche (pis) a valere su tale fondo erano pari ad oltre 3 miliardi di euro; la decurtazione di tale fondo ha inciso essenzialmente sui fondi destinati alla tratta ferroviaria AV/AC Terzo Valico dei Giovi, ridotti per 1.003 milioni sui 1.100 assegnati, con una decurtazione del 91 per cento delle risorse assegnate alla tratta ad alta velocità Milano-Genova;
   da notizie di stampa Mauro Moretti, amministratore delegato di Trenitalia, in un recente incontro presso l'Università Bocconi di Milano ha espresso riserve sulla realizzazione del collegamento ferroviario ad alta velocità Genova-Milano, ritenendo sufficiente il collegamento autostradale di 150 chilometri tra i due capoluoghi –:
   quale sia lo stato di avanzamento lavori del Terzo Valico dei Giovi, tratta AV/AC Milano-Genova, e quali iniziative il Governo intenda assumere per accelerare la realizzazione di tale opera strategica prevista dal contratto di programma tra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Rete ferroviaria italiana spa.
(3-00663)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FRACCARO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   negli anni 1993-1995, in Germania è stato emanato un pacchetto di disposizioni, fra cui la fondamentale direttiva «Condizioni speciali per la circolazione di veicoli ferroviari leggeri (LNT) in promiscuità con veicoli ferroviari», per disciplinare la circolazione delle automotrici leggere e dei tram-treno sulle ferrovie tedesche;
   in Olanda è stata svolta un'attività da ProRail (il gestore dell'infrastruttura ferroviaria di quel Paese, ovvero la «RFI olandese») e dagli altri enti coinvolti relativamente alla valutazione dell'applicabilità del sistema tram-treno in Olanda con lo sviluppo di un progetto pilota: il «RijnGouweLijn» Gouda-Alphen, attuato nel 2003;
   con provvedimento del dipartimento per i trasporti, la navigazione e i sistemi informativi e statistici, è stato istituito un gruppo di lavoro composto da rappresentanti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie, ASSTRA, CONFINDUSTRIA, Rete ferroviaria italiana e UNIFER, incaricato di predisporre le «Linee guida per i sistemi tram treno». Questo gruppo di lavoro, già nel luglio 2012, ha concluso le proprie attività, emanando delle linee guida;
   il sistema tram treno è stato studiato in diverse regioni italiane e considerato alla base del sistema di mobilità sostenibile per ridurre i costi sociali dovuti ad esternalità, quali incidentalità, inquinamento atmosferico e acustico o impatto sul paesaggio;
   in materia sono stati emanati: il regolamento (CE) n. 352/2009, relativo all'adozione di un metodo comune di determinazione e di valutazione dei rischi di cui all'articolo 6, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/49/CE del Parlamento europeo e del Consiglio; la norma CEI EN 50126 relativa alle applicazioni ferroviarie, tranviarie, filotranviarie, metropolitane, specificazione e la dimostrazione di affidabilità, disponibilità, manutenibilità e sicurezza (RAMS), pubblicata nel marzo 2000; le linee guida ANSF del 12 maggio 2011 per l'applicazione del regolamento (CE) n. 352 del 2009 della Commissione europea del 24 aprile 2009 –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e se ritenga opportuno approvare le «Linee guida per i sistemi tram treno» predisposte dal predetto gruppo di lavoro, nonché adottare disposizioni ministeriali che potrebbero costituire il riferimento ufficiale per la promozione della progettazione e realizzazione del sistema tram treno in diverse regioni italiane, promuovendo, di concerto con gli altri Ministeri competenti, sistemi di mobilità sostenibili, basati sul tram treno. (5-02250)


   BOSCO e GAROFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   gli interroganti rilevano che oramai con cadenza settimanale, i quotidiani locali, riportano notizie di continui ed insistenti disservizi del trasporto ferroviario regionale in Sicilia;
   le inefficienze riguardano in modo sostanziale l'intera offerta trasportistica ferroviaria praticata nell'isola e spaziano dai ritardi nella circolazione, alla soppressione del numero delle corse, al sovraffollamento delle carrozze, spesso vetuste e fatiscenti, utilizzate quotidianamente dai numerosi pendolari, i cui impianti di condizionamento e riscaldamento malfunzionanti, contribuiscono negativamente alla qualità della mobilità;
   gli interroganti evidenziano, in particolare, come da quanto pubblicato dalla stampa siciliana, una serie di criticità derivanti dalle condizioni del trasporto ferroviario si rilevano sulle linee Trapani-Alcamo via Milo e Caltagirone-Gela, le cui riduzioni delle corse ferroviarie decise da Trenitalia, a causa dall'attività di manutenzione, hanno di fatto ridotto ai minimi termini, il servizio per la medesima direttrice;
   disfunzioni ed inefficienze ulteriori si segnalano anche nei continui ritardi della circolazione del treno regionale veloce n. 3832 Palermo-Messina e sulla tratta Cefalù-Patti; le denunce da parte del Comitato dei pendolari di Sant'Agata di Militello, evidenziate in diverse occasioni nel corso dell'anno 2013, hanno determinato addirittura la diffida e la messa in mora della società Trenitalia;
   dalle numerose segnalazioni del medesimo Comitato, è emerso che Trenitalia ha perfino stabilito la partenza allo stesso orario, ma in direzioni opposte di due treni regionali: n. 3832 Palermo-Messina in precedenza riportato e n. 3833 Messina-Palermo, senza considerare tuttavia che la tratta non risulta essere a doppio binario;
   i rappresentanti del Comitato stesso citano, in aggiunta alle criticità riportate in precedenza, ulteriori soppressioni a partire dal 1o febbraio 2014, di sei treni sulla tratta Siracusa-Gela, la cui inadeguatezza funzionale rende estremamente disagevoli i collegamenti fra le città, con gravi ripercussioni nei confronti dei pendolari;
   gli interroganti evidenziano come, in considerazione delle complessità in precedenza esposte, la situazione complessiva dell'intero sistema ferroviario siciliano, possa raffigurarsi obiettivamente di natura emergenziale, se si esaminano le numerose inadempienze da parte della società di trasporti Trenitalia, in corso oramai da anni sull'intera rete ferroviaria isolana;
   le riduzioni dell'offerta commerciale da parte della medesima società stanno infatti determinando, oltre alle suesposte inefficienze, anche effetti negativi, causati dal processo di «desertificazione» di alcune aree geografiche siciliane ad alto potenziale turistico;
   il peggioramento della qualità del trasporto ferroviario siciliano arrivato oramai a livelli insostenibili, confermato anche dalla Federazione trasporti della Cisl, richiede, a giudizio degli interroganti, una serie di interventi urgenti e necessari, sia nell'ambito della valutazione dell'esatta attribuzione delle risorse finanziarie previste dalla legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità per il 2014), che con particolare riferimento alla definizione della sottoscrizione del contratto di servizio fra regione e Trenitalia, la cui stipula non risulta tuttora essere avvenuta –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se non convenga che le numerose e frequenti segnalazioni riportate sia dai quotidiani locali siciliani, che dai Comitati dei pendolari, la cui rappresentanza numerica sempre più nutrita, testimonia le rilevanti criticità del sistema trasportistico ferroviario esistenti nell'Isola, impongano una serie di misure rapide in grado di migliorare il livello degli standard qualitativi dell'offerta da parte di Trenitalia, divenuto inaccettabile per un Paese che rappresenta l'ottava potenza economica mondiale;
   se siano state intraprese iniziative volte a definire la ripartizione territoriale delle risorse assegnate alla società Rete ferroviaria italiana previste dalla legge di stabilità n. 147 del 2013 (legge di stabilità per il 2014), per la manutenzione straordinaria della rete ferroviaria e, in caso affermativo, a quanto ammontino gli stanziamenti attribuiti alla regione siciliana, le cui condizioni di arretratezza esigono una rapida inversione di tendenza;
   quali iniziative infine intenda intraprendere, nell'ambito delle proprie competenze, nei riguardi di Trenitalia, al fine di interrompere un processo di degrado e di inefficienza costante del servizio di trasporto ferroviario in Sicilia, la cui inadeguatezza funzionale si estende nella quasi totalità dell'isola, come di evince da quanto esposto in premessa. (5-02251)


   GASPARINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   quotidianamente molte famiglie si trovano ormai ad affrontare numerosi problemi legati all'emergenza abitativa, acuiti dalla perdurante crisi economica e dal suo grave impatto sul mondo del lavoro, al punto che per moltissime persone è diventato difficile riuscire a garantirsi anche beni fondamentali come la casa;
   in particolare, con il perdurare della crisi sarebbero in aumento le situazioni di morosità incolpevole: solo nel 2012 sarebbero state emesse circa 70 mila nuove sentenze di sfratto, con un incremento rispetto all'anno precedente, di oltre il 6 per cento e, rispetto al periodo antecedente la crisi (2007), del 55 per cento;
   tra i territori che hanno registrato problemi di emergenza abitativa c’è in particolare l'area metropolitana milanese, dove gli sfratti stanno diventando sempre più numerosi, con la conseguente impossibilità per molti cittadini di trovare una soluzione alternativa;
   secondo alcuni dati atti a rappresentare la drammatica situazione di Milano e provincia, nella sola area di Milano vi sarebbero più di 10 mila famiglie sotto sfratto, mentre tra Milano e la provincia vi sarebbero oltre 17 mila sfratti in atto da case private, per i quali sarebbe stata già avanzata richiesta di concessione della forza pubblica. Di questi ultimi, 11.615 sarebbero sfratti per morosità, un numero tre volte maggiore di quello relativo agli sfratti per finita locazione, che sarebbe pari a 4.810;
   con il cosiddetto provvedimento milleproroghe recentemente approvato si è cercato parzialmente di attenuare una difficile situazione che rischia di esplodere, ed è stata decisa la proroga degli sfratti per finita locazione e solo per chi ha un reddito ISEE molto basso, mentre la grande quantità di sfratti, alla quale non è stata offerta risposta, riguarderebbe situazioni che non rientrano in questa casistica –:
   se e quando i Ministri interrogati intendano dare attuazione, per quanto di loro competenza, alle disposizioni di cui all'articolo 6 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102, così come convertito dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, laddove si prevede l'istituzione di un fondo di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015, anche prevedendo di dare maggiore flessibilità ai comuni nella scelta delle modalità di erogazione dei fondi a loro destinati, così offrendo una risposta alla difficile questione dell'emergenza abitativa che metta i comuni nella condizione di contribuire al pagamento dell'affitto, e di scongiurare gli sfratti, nei casi più disagiati. (5-02252)


   DISTASO, SISTO e ELVIRA SAVINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il CIPE con la delibera 18 novembre 2010, n. 81 (Gazzetta Ufficiale n. 95 del 2011), ha dato parere favorevole in ordine all'8o allegato infrastrutture alla decisione di finanza pubblica che include, nella tabella 1 «Aggiornamento del Programma infrastrutture strategiche luglio 2010», la voce «Bari nodo ferroviario e metropolitana»;
   il CIPE con delibera 3 agosto 2011, n. 62 (Gazzetta Ufficiale n. 304 del 2011), ha individuato, tra le infrastrutture strategiche nazionali del piano nazionale per il Sud, l'intervento «Bari sud (Bari centrale – Bari Torre a mare)» con un costo di 391 milioni di euro interamente disponibili;
   il 2 agosto 2012 è stato sottoscritto il «Contratto istituzionale di sviluppo (CIS) per la realizzazione della direttrice ferroviaria Napoli-Bari-Lecce-Taranto, che ha per oggetto, tra l'altro, la progettazione, la realizzazione, fino all'entrata in esercizio, tra l'altro, del «Nodo di Bari: Bari sud (Bari centrale – Bari Torre a mare)» con un costo di 391 milioni di euro interamente disponibili, di cui 100 milioni di euro a valere sulla riduzione del tasso di cofinanziamento statale dei programmi comunitari e 291 milioni di euro a valere su risorse già disponibili nel contratto di programma 2007-2011 – aggiornamento 2010-2011 tra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Rete ferroviaria italiana Spa;
   il CIPE con delibera 26 ottobre 2012, n. 62 (Gazzetta Ufficiale n. 39 del 2012), ha approvato con prescrizioni il progetto preliminare del nodo di Bari: Bari Sud (Tratta Bari centrale – Bari Torre a Mare);
   il nodo ferroviario di Bari costituisce un punto fondamentale del sistema ferroviario nazionale in quanto interessato dall'itinerario merci del corridoio adriatico (Gioiatauro-Taranto-Bari rete dell'Italia settentrionale/nord Europa) nonché dalla convergenza sul nodo di numerose linee dedicate essenzialmente al servizio ferroviario regionale e metropolitano;
   gli interventi programmati sul nodo, di natura infrastrutturale e tecnologica, sono finalizzati a:
    a) aumentare la capacità del sistema di trasporto metropolitano portandolo a standard quantitativi e qualitativi adeguati;
    b) realizzare linee dedicate ai flussi di traffico merci in grado di evitare conflitti e interferenze con flussi di traffico metropolitano, regionale e di lunga percorrenza;
    c) migliorare l'integrazione intermodale e intramodale, risolvendo anche alcune criticità di tipo territoriale;
    d) elevare il grado di rinnovo tecnologico e di automazione e comando controllo degli impianti;

   il CIS prevedeva che il progetto definitivo fosse predisposto da RFI e approvato dal CIPE entro marzo 2013 –:
   se sia stato predisposto il progetto definitivo da parte di RFI del nodo di Bari, Bari Sud (tratta Bari centrale – Bari Torre a Mare), e in quali tempi il Ministro lo sottoporrà al CIPE per la sua approvazione. (5-02255)


   NICOLA BIANCHI, CRISTIAN IANNUZZI e SPESSOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il sistema dei trasporti ferroviari in Sardegna raggiunge apici di inefficienza e di arretratezza che ricordano l'Italia di molti decenni fa e che non sono affatto degni di un Paese considerato moderno e sviluppato. Ogni giorno i numerosi cittadini sardi che devono spostarsi dal Nord al Sud dell'isola o viceversa per ragioni di lavoro o personali, se decidono di non utilizzare mezzi propri, sono costretti ad affrontare viaggi infiniti e disagi inverosimili;
   la rete ferroviaria della Sardegna, non elettrificata, è gestita dal gruppo Ferrovie dello Stato Italiane, attraverso le aziende RFI (Rete ferroviaria italiana) e Trenitalia spa, e dalla società ARST spa. La rete ha un'estensione totale di poco più di 1.000 chilometri di lunghezza, con una densità ferroviaria di 18 metri al chilometro quadrato, pari a un terzo della media nazionale che si aggira intorno ai 55 metri al chilometro quadrato. La rete principale dell'isola, sotto il controllo di RFI, è composta da quattro linee ferroviarie che percorrono i 432 chilometri a scartamento ordinario, di cui soltanto 51 sono a doppio binario. La società ARST, invece, gestisce le cinque linee della rete secondaria, a scartamento ridotto, e le linee turistiche. Il parco rotabili della direzione regionale Sardegna (gruppo Ferrovie dello Stato) è costituito da 16 locomotive diesel, 33 automotrici leggere ALn 663/668 e 49 carrozze e otto Minuetto;
   il treno più veloce tra Sassari e Cagliari, secondo il sito internet di Trenitalia, è il regionale 3951 che parte alle 6:45 da Sassari e arriva a Cagliari alle 9:36, impiegando 2 ore e 51 minuti. Il più lento, nella medesima tratta, impiega 3 ore e 43 minuti ed è regionale 3957, che parte alle 18:43 da Sassari e arriva a Cagliari alle 22:26. Gli altri treni impiegano più di tre ore per lo stesso percorso che è di 260 chilometri complessivi, ma i tempi reali di percorrenza molto spesso si allungano e si causano conseguenti notevoli disagi per i viaggiatori;
   da anni, almeno dal 2005, come dimostrano diverse fonti di stampa, è stata espressa da più voci nelle sedi istituzionali regionali e nazionali l'intenzione di porre rimedio alla difficile situazione dei trasporti ferroviari della Sardegna. È iniziata nel 2007 la lunga, travagliata e inconclusa vicenda che riguarda i nuovi treni diesel ad assetto variabile che dovrebbero permettere ai sardi di raggiungere Cagliari da Sassari e viceversa in 127 minuti. Nel dicembre del 2007 la regione autonoma della Sardegna ha pubblicato un invito a presentare manifestazione di interesse a partecipare all'indagine conoscitiva e di mercato per aziende produttrici di treni pendolanti diesel. In seguito a tale richiesta di disponibilità sono state individuate per la produzione dei treni pendolanti due aziende, entrambe spagnole: la società TALGO e la società CAF;
   nel 2008 la regione autonoma della Sardegna, dopo aver indetto una procedura negoziata senza previa pubblicazione di bando, ha invitato le stesse due aziende spagnole a presentare un'offerta per l'affidamento della fornitura di cinque complessi diesel ad assetto variabile con l'opzione per l'acquisto di ulteriori tre complessi. I finanziamenti derivavano da fondi statali (CIPE 3/2006; risorse di cui all'articolo 1, comma 1031, della legge n. 296 del 2006 e decreto del Ministero dei trasporti n. 4223/2007; legge n. 402 del 1994) e regionali per un importo a base d'asta pari a 50 milioni di euro al netto dell'IVA oltre ad euro 1.565.483,54 per oneri per la sicurezza;
   alla fine del 2008, dopo l'esclusione per irregolarità dell'unica offerta presentata, quella della TALGO, l'assessorato ai trasporti della regione Sardegna ha indetto una gara pubblica. Da allora la vicenda, i cui protagonisti sono stati la regione Sardegna e le due citate aziende produttrici di treni pendolanti diesel, la TALGO e la CAF, che si sono contese «a suon di ricorsi» l'appalto per la fornitura dei treni, ha continuato il suo iter nelle aule della giustizia amministrativa;
   nel gennaio del 2011 si è concluso il controverso percorso giudiziario relativo all'appalto degli otto treni pendolanti. Con sentenza n. 127/2011 il Consiglio di Stato ha sospeso l'esecuzione della sentenza del Tar della Sardegna, n. 1553/2010, che annullava l'aggiudicazione da parte della CAF della gara e rendeva inefficace il contratto di fornitura stipulato con la Regione nell'aprile del 2010;
   concluso l’iter giudiziario ed accertato che l'azienda produttrice dei treni pendolanti per la Sardegna dovesse essere la CAF, gli organi di stampa locali hanno annunciato di anno in anno l'arrivo imminente dei treni, che però, trascorsi ormai più di tre anni dalla sentenza del Consiglio di Stato citata e circa quattro anni dal contratto di fornitura, ancora non sono stati messi in funzione e presumibilmente, almeno in parte, ancora non sono stati prodotti o sottoposti a collaudo;
   i finanziamenti complessivi per l'intera operazione ammonterebbero a circa 57 milioni di euro, di cui 54 milioni provenienti da fondi statali e tre milioni da fondi regionali –:
   se il Ministro non ritenga opportuno, nell'ambito delle proprie competenze e alla luce dei finanziamenti statali di cui sopra già stanziati, intervenire al fine di garantire ai cittadini sardi la fruizione di adeguati ed efficienti servizi ferroviari;
   quali iniziative il Ministro intenda intraprendere, sempre nell'ambito delle proprie competenze e nelle sedi che riterrà più opportune, per assicurarsi che le risorse stanziate vengano utilizzate per la messa in funzione, al più presto, dei treni di cui in premessa;
   se non ritenga necessario fare chiarezza sulle condizioni che hanno determinato il procrastinarsi della data di consegna degli otto treni diesel ad assetto variabile al fine eventualmente di valutare una revisione delle modalità di erogazione dei contributi di cui in premessa. (5-02268)


   TIDEI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'aumento dei pedaggi autostradali entrato in vigore a partire dal 1o gennaio 2014, tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, l'Aiscat (Associazione italiana società concessionarie autostrade e trafori) e le varie concessionarie autostradali è stato perfezionato un accordo in virtù del quale si prevedono agevolazioni sul pedaggio autostradale fino ad un massimo del 20 per cento per i pendolari che effettuano, con un'autovettura o un qualsiasi altro veicolo di classe A, il pagamento del pedaggio mediante Telepass;
   il sistema delle agevolazioni, che si applica dal 1° febbraio 2014 sino al 31 dicembre 2015, nello specifico consiste in una riduzione progressiva del pedaggio che va da un minimo dell'1 per cento per i pendolari che effettuano 21 transiti al mese fino al 20 per cento per coloro che effettuano transiti mensili pari a 40. Oltre il quarantesimo transito e sino al quarantaseiesimo si applica la riduzione del 20 per cento; mentre per i transiti eccedenti il quarantaseiesimo non si applica alcuna riduzione prevedendosi il pagamento della tariffa intera. Sino a 20 transiti non si applica alcuno sconto;
   l'applicazione degli sconti sui pedaggi autostradali è riconosciuta esclusivamente ai clienti Telepass che abbinano i propri dispositivi a veicoli di classe A, ovvero a veicoli di altezza fino a 130 centimetri;
   esiste una distinzione tra i cosiddetti sistemi autostradali chiusi e quelli aperti. I primi si caratterizzano per il fatto che l'utente dell'autostrada paga il pedaggio in base alla distanza percorsa e in base ad ulteriori elementi come la classe di appartenenza del veicolo e le caratteristiche dell'infrastruttura autostradale, ovvero se si tratta di autostrada di pianura o di montagna. Nei sistemi autostradali aperti l'utente paga ad ogni stazione o barriera una somma fissa a prescindere dalla distanza percorsa;
   relativamente alla tratta Civitavecchia-Roma, che rientra tra i sistemi autostradali aperti, le stazioni di esazione che i pendolari debbono attraversare per recarsi a destinazione sono due (Aurelia-Civitavecchia Nord/Sud; Maccarese-Torrimpietra-Fregene Roma ovest) con chilometraggio inferiore ai 50 chilometri. Tuttavia, la riduzione tariffaria viene applicata soltanto su una delle due stazioni che deve essere individuata dall'utente ai fini dell'applicazione del predetto sconto tariffario. È evidente che per i suddetti pendolari lo sconto viene applicato solo sulla metà del costo complessivo che essi sostengono per il viaggio. Ciò comporta un ingiusto svantaggio per pendolari della tratta Civitavecchia-Roma, e più in generale per i pendolari dei sistemi autostradali aperti, i quali differentemente dai pendolari dei sistemi chiusi non vedono applicarsi la riduzione tariffaria sull'intero tragitto;
   i pendolari diretti a Civitavecchia Nord, a causa della ulteriore spesa di 1,20 euro pari a circa 50 euro mensili, per evitare tale esborso sono costretti ad uscire a Civitavecchia Sud attraversando così la città di Civitavecchia. Ciò se da un lato consente ai suddetti pendolari di ottenere un risparmio di natura economica, per la città di Civitavecchia rappresenta un grave peggioramento in termini di maggior traffico e di deterioramento della qualità ambientale;
   lo sconto viene calcolato al termine del mese in cui vengono realizzati i transiti nel rispetto del ciclo trimestrale di fatturazione. Tuttavia, se si supera l'importo di 258,23 euro dei pedaggi in tre mesi, la fatturazione di Autostrade per l'Italia spa dei pedaggi passa da trimestrale a mensile con una maggiorazione sul canone mensile relativo al possesso del dispositivo Telepass di 2,52 euro, passando, infatti, da 1,26 euro a 3,78 euro (la fatturazione del canone è di competenza Telepass spa);
   l'agevolazione tariffaria prevista, con riferimento ai sistemi autostradali chiusi, riguarda utenti muniti di Telepass che effettuano percorrenze di una determinata tratta autostradale con percorso massimo di 50 chilometri, nell'arco di un mese per non più di due volte al giorno –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno, in accordo con Autostrade per l'Italia spa, società concessionaria della summenzionata tratta, superare, relativamente al percorso Civitavecchia-Roma, il meccanismo di applicazione della riduzione tariffaria previsto, a favore di un nuovo meccanismo volto a determinare uno sconto tariffario da applicarsi su entrambe le barriere di esazione presenti nella predetta tratta;
   se non ritenga il caso di adottare per i pendolari un abbonamento semestrale o annuale, semplice e di maggior significato economico rispetto al sistema di sconti introdotto in base al quale difficilmente si può arrivare, come detto sopra, al tetto del 20 per cento di sconto;
   se non ritenga opportuno disporre apposite iniziative, insieme con Autostrade per l'Italia spa volte a prevedere una nuova qualificazione per il tratto Civitavecchia Sud-Civitavecchia Nord, che definisca tale tratto alla stregua di una tangenziale, la cui percorrenza avvenga a titolo gratuito;
   se non ritenga necessario rivedere verso l'alto l'importo di 258,23 euro relativo al pedaggio trimestrale, superato il quale si passa da una fatturazione trimestrale ad una fatturazione mensile. Posto che tale importo è invero fermo da oltre un decennio mentre nel frattempo le tariffe autostradali sono aumentate significativamente e, con la fatturazione digitale, attualmente è possibile contenere considerevolmente i costi per la produzione di fattura su supporto cartaceo;
   se non ritenga opportuno intervenire di concerto con le Società autostradali concessionarie al di fine ampliare il tetto di 50 chilometri relativo alla percorrenza autostradale nei sistemi chiusi, in quanto tale tetto appare del tutto incongruente con il concetto stesso di pendolarismo, considerato che se si pensa al tragitto percorso dai pendolari da Civitavecchia all'ingresso di Roma, i chilometri sono non meno di 70 di cui solo circa 50 su autostrada (Civitavecchia Nord-Barriera Roma Ovest), ed è evidente che gli utenti di tale percorso non possono che essere considerati pendolari a tutti gli effetti, indipendentemente dai chilometri autostradali percorsi, ciò vale per molte altre tratte che interessano il territorio nazionale.
(5-02269)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 9 agosto 2013 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 231 del 2 ottobre 2013 ha avviato il processo di trasmissione informatizzata dei dati relativi al rinnovo delle patenti;
   il successivo decreto del 15 novembre 2013 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 289 del 10 dicembre 2013 e la circolare esplicativa della motorizzazione civile del 17 dicembre 2013 diramavano le relative disposizioni procedurali e stabilivano che dal 9 gennaio 2014 fossero disponibili i sistemi informatici necessari alla trasmissione dell'estratto dei contenuti della relazione per l'accertamento dei requisiti di idoneità psico-fisica previsti per il rinnovo di validità della patente di guida;
   il relativo manuale operativo contenente le indicazioni tecniche da osservare da parte delle aziende sanitarie (ad esempio, l'acquisizione di foto e firma) è stato trasmesso in concomitanza con l'entrata in vigore della nuova procedura e solo trenta giorni prima della sua prevista obbligatorietà;
   dall'8 febbraio 2014 non sono più ammesse comunicazioni di rinnovo di validità della patente difformi da quelle previste dai provvedimenti ministeriali varati nel dicembre 2013;
   la perentorietà dell'entrata in vigore di tali procedure ha costretto numerose aziende sanitarie ad individuare velocemente i fabbisogni strumentali e ad acquistare nuove attrezzature elettroniche, al fine di ottemperare ai nuovi vincoli normativi;
   molte aziende sanitarie – già dotate di strumenti informatici per il trattamento dati – hanno chiesto al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti l'attivazione della cooperazione applicativa tra i propri sistemi informatici ed il programma proposto dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ricevendo tuttavia inizialmente un diniego da parte del CED del Ministero, motivato dal fatto che la procedura realizzata non consente la cooperazione applicativa con altri sistemi informatici;
   dopo che alcune regioni hanno rilevato l'esistenza di un evidente contrasto tra la nuova normativa e gli obblighi previsti dal codice dell'amministrazione digitale, la direzione generale della motorizzazione è stata costretta a prevedere, con la citata circolare del 17 dicembre 2013, la possibilità di operare in modalità di cooperazione tra gli applicativi informatici delle amministrazioni coinvolte, esplicitando le modalità di avvio delle necessarie procedure di integrazione informatica;
   ad oggi, tuttavia, non risulta all'interrogante che la direzione della motorizzazione abbia fornito le credenziali e la documentazione necessarie per l'avvio della cooperazione applicativa, cosa che, se confermato, sarebbe in contrasto con gli obblighi previsti dagli articoli 41 e 68 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, in materia di procedimento e fascicolo informatico e di analisi comparativa delle soluzioni;
   il rispetto di quanto previsto dal codice dell'amministrazione digitale, oltre a rappresentare un obbligo e non una discrezione per qualsiasi amministrazione nazionale o regionale, consente alle amministrazioni sanitarie di operare secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità;
   le nuove modalità imposte dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti per l'acquisizione delle fotografie e della firme e di collegamento al portale web per l'immissione dei dati richiedono una ripetizione di operazioni manuali che inevitabilmente assorbe ulteriori risorse umane (medici o amministrativi) delle aziende sanitarie, già pesantemente limitate dalle indicazioni di spending review, rischiando di generare gravi disservizi e allungamenti delle liste di attesa;
   tale situazione è stata ulteriormente aggravata da frequenti blocchi del sistema informatico ministeriale. In particolare, non essendo prevista la possibilità di trasmissione dei dati con sistemi alternativi, risulterebbe che i pubblici operatori delle commissioni mediche locali (su indicazione di operatore ministeriale), in alcuni casi siano stati costretti ad utilizzare le proprie connessioni telematiche personali, pur di garantire i diritti dei cittadini, in quanto il portale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti non accettava la connessione con la casella pubblica della ASL.
   oltre a queste criticità di tipo organizzativo, la nuova normativa starebbe ingenerando il rischio di pratiche illegittime per ciò che attiene al trattamento dei dati personali, in quanto gli Uffici territoriali della motorizzazione civile hanno fornito, nella maggioranza dei casi, un unico codice d'accesso ed una unica password ad ogni commissione medica locale e un unico codice d'accesso ed una unica password per tutti i medici monocratici appartenenti alla stessa azienda sanitaria;
   le credenziali di accesso e lo stesso pin sono pertanto forzatamente condivisi da tutti gli operatori appartenenti alla medesima struttura, mentre il pin dovrebbe invece essere un personal identification number;
   appare evidente che un unico identificativo, password e pin, condiviso da più operatori amplifica la possibilità di autenticazioni non autorizzate, anche da parte di utenze estranee alle ASL, con alto rischio di falsificazioni nel rinnovo delle patenti di guida e costituisce comunque una pratica non conforme a quanto previsto dal codice in materia di protezione dei dati personali (articoli da 33 a 36 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196);
   gli operatori delle aziende sanitarie stanno faticosamente cercando di ovviare alle pesanti difficoltà operative e alle illegittimità venutesi a creare a seguito della nuova normativa sopra richiamata, nonché di adoperarsi per prevenire i notevoli disagi per l'utenza –:
   se non ritenga opportuno, al fine di evitare ulteriori disagi ai cittadini, assumere iniziative immediatamente per disporre la sospensione ed il successivo differimento del termine dell'8 febbraio 2014, avviando contemporaneamente un tavolo di lavoro con le regioni che:
    a) permetta di definire le modalità operative che consentano il pieno rispetto delle norme sul trattamento dei dati personali;
    b) garantisca la possibilità degli scambi informatici previsti dal codice dell'amministrazione digitale;
    c) dia tempo alle amministrazioni sanitarie di raggiungere la necessaria operatività organizzativa e strutturale. (4-03798)


   AGOSTINELLI, TERZONI e CECCONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la società ANAS s.p.a., in qualità di soggetto concedente, con avviso pubblicato in GUCE n. GU/S 126 del 4 luglio 2007, ha reso noto di affidare, ai sensi degli articoli 152 e ss. e dell'articolo 175 del decreto legislativo n. 163 del 2006, in concessione le attività di progettazione, realizzazione e successiva gestione del collegamento viario tra il porto di Ancona la A14 e la S.S. 16;
   a valle di tale procedura di gara, il consiglio di amministrazione di ANAS s.p.a. del 23 aprile 2008 ha dichiarato di pubblico interesse, ai sensi dell'articolo 154 del decreto legislativo n. 163 del 2006, la proposta presentata dall'ATI costituita tra le società Impregilo S.p.A., Astaldi s.p.a., Pizzarotti s.p.a. e Itinera s.p.a. (Promotore);
   l'offerta economica del promotore prevedeva la realizzazione dell'opera per un ammontare complessivo di euro 480 milioni di euro circa in totale autofinanziamento e senza alcun contributo pubblico;
   il CIPE, con delibera n. 9/2011 del 5 maggio 2011 ha approvato con prescrizioni, lo schema di convenzione presentato dal promotore;
   con tale delibera il CIPE ha richiesto, tra l'altro, di aggiungere un articolo 9-bis, che regoli gli istituti del recesso, oltre che della revoca e della risoluzione della convenzione, specificando che i mutamenti sostanziali del quadro legislativo e regolatorio non devono essere inclusi tra le possibili cause legittimanti la corresponsione di indennizzo;
   inoltre, la medesima delibera ha previsto che entro trenta giorni dall'aggiudicazione definitiva della concessione in argomento, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti provvederà a comunicare al CIPE l'esito della gara e a trasmettere copia del piano economico finanziario aggiornato in relazione agli esiti della stessa;
   in data 1o ottobre 2012, per effetto di quanto disposto dall'articolo 11, comma 5, del decreto-legge n. 216 del 2011 e successive modificazioni e integrazioni, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è subentrato ad ANAS s.p.a. nelle funzioni di concedente;
   con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti n. 341 del 1o ottobre 2012, in attuazione della predetta disposizione normativa, è stata istituita presso il medesimo Ministero la struttura di vigilanza sulle concessioni autostradali (in seguito «Struttura) il cui responsabile è stato individuato nell'architetto Mauro Coletta;
   in data 12 settembre 2013 la struttura procedeva all'aggiudicazione definitiva della concessione in oggetto all'ATI costituita tra le società Impregilo s.p.a., Astaldi s.p.a., Pizzarotti s.p.a. e Itinera s.p.a.; in data 2 dicembre 2013 l'ATI aggiudicataria della concessione ha costituito, ai sensi dell'articolo 156 del decreto legislativo n. 163 del 2006 la società di progetto Passante Dorico s.p.a., che è subentrata all'ATI;
   in data 18 dicembre 2013 è stata sottoscritta tra la struttura del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la società di progetto la convenzione in oggetto che, tra i suoi allegati, include sia il piano economico-finanziario che lo studio trasportistico offerti in sede di gara nel 2007;
   in primo luogo, ad avviso degli interroganti si evidenzia che la struttura del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ha proceduto alla sottoscrizione del contratto di concessione ma non risulta agli interroganti sia stata data preventiva comunicazione, nei trenta giorni successivi all'aggiudicazione definitiva della concessione di costruzione e gestione in argomento, al CIPE dell'esito della gara; non risulta inoltre se si sia proceduto alla trasmissione della copia del piano economico finanziario aggiornato in relazione agli esiti della stessa. In secondo luogo, la struttura del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – nonostante siano passati ben sette anni dalla presentazione del piano economico-finanziario dell'aggiudicatario della concessione – non ha ritenuto di procedere, prima della sottoscrizione della convenzione, ad un aggiornamento dei contenuti economico-finanziari del piano economico-finanziario al fine di verificare la permanenza dell'interesse pubblico a procedere alla realizzazione dell'opera senza gravare sulla finanza pubblica;
   al riguardo gli interroganti evidenziano come a causa del perdurare degli effetti della crisi economica, rispetto alle previsioni contenute nel piano economico-finanziario, redatto nel 2007, ed allegato alla convenzione sottoscritta in data 18 dicembre 2013, sono drasticamente peggiorate sia le condizioni richieste dal mercato finanziario per il finanziamento dell'opera che, soprattutto, i volumi di traffico che hanno subito per l'area interessata all'opera una contrazione oscillante tra il 30 per cento ed il 50 per cento;
   tali oggettivi fattori secondo gli interroganti avranno inevitabilmente come conseguenza l'impossibilità di garantire l'equilibrio economico-finanziario originario con conseguente aggravio sui saldi di finanza pubblica e che lo Stato potrà essere chiamato a sostenere la realizzazione dell'opera con contributi pubblici;
   in terzo luogo, la struttura del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ha inopinatamente ed incautamente sottoscritto una clausola, non prevista nella convenzione sottoposta al parere del CIPE, a discapito dell'interesse pubblico ed a tutto vantaggio del concessionario privato, che comporterà sicuramente un aggravio sulla finanza pubblica;
   infatti l'articolo 9-bis inserito nella convenzione sottoscritta, prevede che «Il Concessionario avrà diritto ad un indennizzo/risarcimento a carico del Concedente in ogni caso di recesso e/o comunque cessazione anticipata del rapporto di Convenzione pur indotto da atti e/o fatti estranei alla volontà del Concedente, anche di natura straordinaria e imprevedibile»;
   tale indennizzo sarà pari alla sommatoria tra:
    a) il valore delle opere realizzate, più gli oneri accessori;
    b) le penali e gli altri costi sostenuti o da sostenere in conseguenza della risoluzione;  
    c) un indennizzo, a titolo di risarcimento del mancato guadagno, pari al 10 per cento del valore delle opere ancora da eseguire;
   considerato che in sede di approvazione del progetto definitivo dell'opera, il piano economico-finanziario, inserendo sia i costi finanziari che le stime di traffico aggiornate oltre che l'adeguamento dei costi di costruzione, ad avviso degli interroganti, non avrà il proprio equilibrio finanziario, lo Stato potrebbe essere «costretto», in virtù di tale clausola convenzionale, ad accollarsi l'esborso o di un consistente contributo pubblico – qualora riterrà di procedere alla realizzazione dell'opera – oppure di un indennizzo da riconoscere al concessionario per recesso stimabile in almeno euro 50 milioni (10 per cento del valore delle opere da realizzare) –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suesposti e se intenda sottoscrivere il decreto di approvazione della convenzione in questione, incautamente sottoscritta, ad avviso degli interroganti, dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, se intenda preliminarmente verificare la fattibilità dell'operazione, con conseguente aggiornamento del piano economico-finanziario e dei volumi di traffico, e previa esclusione di qualsiasi impatto negativo sui saldi di finanza pubblica attuali e futuri e quale opinione ha maturato nei confronti della clausola indicata all'articolo 9-bis;
   se risulti agli atti se la struttura del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti abbia comunicato o meno al Ministero dell'economia e delle finanze l'esito della gara e abbia trasmesso la copia del piano economico finanziario aggiornato in relazione all'esito della stessa, cosa espressamente prevista dalla delibera CIPE n. 9/2011, considerato che sono passati ben sette anni dalla presentazione del piano economico finanziario dell'aggiudicatario della concessione e, qualora ciò non sia avvenuto, se tali irregolarità possano inficiare la Convenzione e/o produrre effetti negativi sulla finanza pubblica. (4-03809)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CHAOUKI e AMENDOLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dal quotidiano La Repubblica, in data 21 febbraio 2014 che la Corte Suprema inglese, riconosce come fondate le accuse di violazione dei diritti umani che quattro profughi, tre eritrei e un iraniano, due uomini è due donne, rivolgono all'Italia;
   i quattro, arrivati illegalmente in Europa, sono stati individuati dalle guardie di frontiera e rinchiusi in un centro per immigrati, in attesa di essere trasferiti nel Paese d'origine, in questo caso l'Italia, cui sarebbe poi spettato il compito di decidere il loro destino finale;
   come riportato dal quotidiano: «Le accuse rivolte dai quattro all'Italia sono gravissime. Le donne dicono di essere state violentate. Una afferma di essere rimasta traumatizzata dall'esperienza sofferta e di pensare al suicidio all'idea di doverci tornare. L'iraniano ha raccontato di avere subìto torture a Teheran che lo hanno lasciato gravemente disturbato dal punto di vista psicologico e in necessità di ricevere cure mediche che – sostiene – non gli verrebbero date in Italia»;
   e ancora: «La Corte Suprema ha deliberato che il nostro Paese “si presume sicuro” per immigrati che cerchino asilo. Ma ha aggiunto che il Ministero degli interni britannico dovrà indagare se queste accuse che affermino il contrario siano “chiaramente prive di fondamento”»;
   gli interroganti hanno già denunciato altre volte violenze ai danni di profughi e migranti, e questa decisione inglese non fa che confermare le preoccupazioni in merito al rispetto dei diritti umani e alla qualità dell'accoglienza nel nostro Paese –:
   se sia a conoscenza dei fatti riportati e se non ritenga urgente, per quanto di competenza, procedere ad una approfondita verifica della vicenda, al fine di intervenire rapidamente per garantire un'accoglienza dignitosa a profughi e rifugiati politici in fuga da guerre e la tutela dei diritti umani. (5-02248)

Interrogazioni a risposta scritta:


   AMATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in una nota il segretario generale provinciale del CO.I.SP Chieti paventa, nell'ambito delle procedure di riorganizzazione e di razionalizzazione della spesa, la soppressione del posto di polizia ferroviaria della stazione Vasto-San Salvo e della eliminazione della sottostazione della polizia stradale di Vasto;
   la stazione ferroviaria di Vasto-San Salvo rappresenta per l'Abruzzo, dopo Pescara, la stazione più grande della dorsale adriatica;
    in un momento caldo per l'azione delle forze dell'ordine nel territorio di confine sud dell'Abruzzo che ha visto, nel tempo e di recente, portare a conclusione con successo complesse e articolate operazioni di pubblica sicurezza, privare il territorio di presidi operativi di legalità indebolisce ad avviso dell'interrogante irrazionalmente la presenza dello Stato lì dove con abnegazione e fatica si è attuata una resistenza costante alla infiltrazione della criminalità organizzata e al suo radicamento nel tessuto sociale;
   il confine sud dell'Abruzzo rappresenta una delle porte di ingresso a elevato rischio per il traffico e lo spaccio di droga;
   sussistono forti preoccupazioni dei rappresentanti istituzionali e sindacali del territorio che sottolineano come la presenza della polizia ferroviaria e della polizia stradale di istanza territoriale, svolgendo un'azione diretta per la sicurezza, ha un ruolo fondamentale nel costruire quella immagine di «bellezza globale e fruibilità turistica» della territorio costiero del vastese, il cui contributo alla economia del turismo dell'Abruzzo è nodale –:
   se l'azione di riduzione paventata dal COISP abbia delle basi concrete nel percorso di riorganizzazione e razionalizzazione della spesa;
   e, qualora fosse vero, quali siano i criteri adottati per la rimodulazione a livello nazionale e con quali modalità di negoziazione/concertazione si intenda procedere con i rappresentanti istituzionali e sindacali dei livelli territoriali. (4-03777)


   GREGORIO FONTANA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da alcune notizie riportate sulla stampa (ad esempio l’Eco di Bergamo e Corriere della Sera 27 febbraio 2014) risulta che secondo un piano predisposto dal dipartimento di pubblica sicurezza presso il Ministero dell'interno sarebbero stati individuati una serie di presidi territoriali della polizia di Stato a rischio chiusura nei prossimi mesi. In questo contesto si è paventata tra l'altro la possibilità di sopprimere il commissariato di Treviglio, anche in relazione al deficit di organico attualmente ad esso destinato;
   la provincia di Bergamo soffre da sempre, in particolare la bassa bergamasca, di un pesante deficit di organico delle forze di polizia, con un rapporto tra cittadini e rappresentanti delle forze dell'ordine tra i più bassi d'Italia;
   la zona della bassa pianura bergamasca è una realtà in forte espansione, con particolare riferimento al completamento di alcune grandi opere, quali la Brebemi, che interesseranno direttamente la città di Treviglio, e che avranno in essa il punto nevralgico di snodo tra Brescia e Milano;
   al commissariato di Treviglio fanno capo 38 comuni della bassa bergamasca e di conseguenza la sua chiusura lascerebbe completamente sguarnita una grande area in forte espansione –:
   quali siano le chiare e reali intenzioni del Ministro per quel che riguarda la chiusura di alcuni commissariati sul territorio nazionale, con particolare riferimento a quello di Treviglio e più in generale quali misure intenda adottare per rafforzare i ridotti organici delle forze dell'ordine in provincia di Bergamo.
(4-03783)


   FUCCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la stampa locale ha dato risalto ai dati contenuti, in riferimento al periodo 1o luglio 2012-30 giugno 2013, nella relazione sull'amministrazione della giustizia della Corte d'appello di Bari in merito alla provincia di Barletta-Andria-Trani;
   risalta l'aumento su base annua dei numeri in merito alle rapine denunciate (da 494 a 564), ai furti nelle abitazioni (da 353 a 513), ai reati commessi da cittadini stranieri (da 1204 a 1297), alle truffe che sono quasi raddoppiate (da 716 a 1.385), l'unico dato in controtendenza è quello relativo ai furti (da 7.743 a 5.376);
   questi dati sono la dimostrazione del fatto che la presenza della criminalità, come già più volte denunciato dall'interrogante sia nella passata che nella presente legislatura con altri atti di sindacato ispettivo, resta un pericolo forte per la sicurezza nella provincia di Barletta-Andria-Trani –:
   quali iniziative di competenza ritenga di assumere per garantire, in primo luogo attraverso dotazioni economiche e strumentali più adeguate alle forze dell'ordine, politiche più incisive per la prevenzione e la repressione della criminalità nella sesta provincia pugliese. (4-03784)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 8-bis del decreto legislativo n. 195 del 1995 rubricato «Consultazione delle rappresentanze del personale», in riferimento al personale del comparto sicurezza (decreto-legge n. 121 del 1981) e difesa, prevede che le organizzazioni sindacali e le sezioni del COCER di cui all'articolo 2 siano convocate presso la Presidenza del Consiglio dei ministri in occasione della predisposizione del documento di programmazione economico-finanziaria e prima della deliberazione del disegno di legge di bilancio per essere consultate;
   alcune organizzazioni sindacali dei vigili del fuoco lamentano all'interrogante che non esiste analoga norma in favore del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonostante la similitudine ordinamentale dei vari Corpi, tutti con rapporto di lavoro in regime di diritto pubblico ai sensi dell'articolo 3 del decreto-legge n. 165 del 2001 e tutti riconosciuti destinatari della norma sulla specificità lavorativa ai sensi dell'articolo 19 della legge n. 183 del 2010;
   secondo quanto riferiscono le medesime organizzazioni sindacali, anche a causa di quanto sopra, sovente si determinano disparità di trattamento e sperequazioni tra i vigili del fuoco e gli altri Corpi dello Stato, a danno dei primi –:
   se il Ministro interrogato non ritenga che analoga attenzione debba essere riservata anche alle rappresentanze sindacali del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, al fine di garantire a tale Corpo ed ai suoi appartenenti parità di attenzione istituzionale rispetto agli altri Corpi dello Stato, anche per peculiari attività di soccorso pubblico direttamente ricadenti sulla sicurezza della popolazione;
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover promuovere un'iniziativa normativa che riconosca analogo diritto di consultazione anche alle rappresentanze del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. (4-03787)


   PELUFFO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende dalla stampa nazionale e locale (ad es: «Il Giorno» ed. Sud Milano del 12 e del 20 febbraio 2014), nella zona a Sud di Milano sono occorsi incendi di apparente origine dolosa ai danni di alcuni esercizi commerciali: il 7 febbraio a Locate di Triulzi (Mi) è andato a fuoco il bar-panetteria «La Dolce Vita», il 19 febbraio è toccato al bartabacchi «Jolly», nel centro di Melegnano (Mi);
   secondo quanto riportato dalla stampa, i primi esiti delle indagini hanno rilevato in entrambi i casi la presenza di liquido infiammabile al l'interno dei locali, mentre nulla è ancora emerso per quanto riguarda i presunti autori degli incendi;
   altri attentati caratterizzati da modalità vicine a quelle della criminalità organizzata sono avvenuti negli ultimi mesi in altri comuni della stessa area geografica: Binasco, Vernate, Rozzano. Di questi, sei sono quelli contro le attività commerciali della famiglia Passafaro; quattro a Binasco, uno a Trezzano e uno a Vernate. Inoltre a Rozzano si sono registrati due attentati contro attività di consiglieri comunali (autori e mandanti sono stati individuati e arrestati). Nella stessa area sono stati dati alle fiamme un numero rilevante di autovetture e camion: il numero di episodi registrati è in costante aumento dal 2010 a oggi –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra menzionati;
   se non si ritenga opportuno intraprendere specifiche iniziative al fine di prevenire l'estendersi delazione della criminalità organizzata, ad esempio potenziando la presenza di forze dell'ordine nell'area interessata dagli avvenimenti.
(4-03795)


   LAVAGNO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in occasione dell'esposizione universale «Expo Milano 2015» è stata autorizzata una capacità assunzionale del 55 per cento del turnover, per il comparto sicurezza–difesa nella polizia di Stato, in virtù del fatto che un evento di tale dimensione della manifestazione necessariamente un incremento delle forze dell'ordine presenti nella città protagonista della manifestazione, senza che questa concentrazione pregiudichi il livello di sicurezza nelle altre aree del Paese;
   all'interno della legge di stabilità per il 2014 (legge n. 147 del 2013) sono state previste importanti risorse economiche anche per le dotazioni di mezzi e la logistica, e per le strutture e i servizi;
   le unità da assumere, per essere effettivamente disponibili entro la data di inizio dell'evento, dovrebbero iniziare il corso di allievi agenti entro e non oltre il mese di aprile 2014; pertanto non sussistono i normali tempi tecnici per avviare una nuova procedura concorsuale (questa, infatti, terminerebbe a fine 2014 e renderebbe operativi i nuovi agenti nel dicembre 2015);
   a tal proposito, si ricorda che vi sono, ad oggi, diverse graduatorie di merito in corso di validità nelle quali risultano essere disponibili candidati idonei immediatamente arruolabili tra cui: 512 candidati idonei non vincitori, oltre alle seconde aliquote e VFP4 idonei dell'ultimo concorso per l'arruolamento di 964 allievi agenti, bandito lo scorso marzo 2013;
   l'arruolamento di detto personale consentirebbe il rispetto dei tempi necessari all'attuazione del protocollo e garantirebbe un risparmio di spesa per l'amministrazione, rispetto ad altre e diverse soluzioni, in quanto non si renderebbero necessarie le visite mediche di controllo –:
   se il Ministro interrogato intenda procedere con le assunzioni dei candidati idonei non vincitori, delle seconde aliquote e VFP4 idonei dell'ultimo concorso per l'arruolamento di 964 allievi agenti, al fine di consentire l'impiego di queste nuove forze dell'ordine in occasione dell'esposizione universale Expo Milano 2015 e quali tempi preveda per l'avvio ai corsi degli allievi. (4-03796)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 27, ai commi 7-9, della legge 4 novembre 2010, n. 183, prevedeva l'adozione di alcune misure che avrebbero posto rimedio alla pesante discriminazione che colpisce il personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, tuttora intitolato a percepire provvidenze nettamente inferiori a quelle spettanti in caso di infortunio grave ai loro colleghi vigili permanenti, anche quando addetto alle medesime mansioni ed esposto agli stessi rischi, demandando tuttavia al Governo il compito di emanare entro il termine di 18 mesi dalla sua entrata in vigore i decreti delegati attuativi;
   il termine di cui sopra è spirato nel maggio 2012 senza che la delega di cui al citato articolo 27, commi 7-9, della legge 4 novembre 2010, n. 183, venisse esercitata dal Governo, vanificando quindi le previsioni concernenti il riallineamento dei benefici economici spettanti al personale volontario dei vigili del fuoco vittima di infortuni gravi;
   rispondendo ad un'interrogazione parlamentare presentata a questo proposito dal deputato Davide Caparini, la 5-00586 del 20 novembre 2013, il Sottosegretario pro-tempore competente per materia, Giampiero Bocci, aveva auspicato il differimento del termine di delega scaduto nel più breve tempo possibile, senza tuttavia che a tale apertura seguissero iniziative concrete, malgrado fossero successivamente varati dal Consiglio dei ministri diversi provvedimenti che avrebbero permesso di inserire disposizioni adatte a conseguire lo scopo –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per dare attuazione ai principi previsti all'articolo 27, commi 7-9, della legge 4 novembre 2010 n. 183, estendendo il trattamento economico previsto per il personale permanente del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, in caso di infortunio grave durante l'esercizio del servizio di soccorso, anche al personale della componente volontaria. (4-03797)


   NUTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, in breve ANBSC, è stata istituita con il decreto legge 4 febbraio 2010, n. 4, convertito dalla legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, legge 31 marzo 2010, n. 50;
   l'articolo 1, comma 2, di tale normativa stabilisce che l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata è posta sotto la vigilanza del Ministero dell'interno;
   la sede principale dell'Agenzia è stata disposta per legge a Reggio Calabria e, nel corso degli anni, sono state aperte sedi a Palermo, Napoli, Milano e Roma;
   la sede di Roma risulta, sin dalla sua istituzione nel luglio del 2010, essere sita in via dei prefetti, n. 22, in un edificio di proprietà della provincia di Roma, a cui l'Agenzia paga un canone di locazione mensile pari a 21 mila;
   tale situazione è stata confermata dallo stesso direttore dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata in scadenza di mandato, prefetto Giuseppe Caruso, anche in occasione di una audizione formale dinnanzi alla Commissione bicamerale d'inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere avvenuta il 18 gennaio 2012;
   il prefetto Caruso, al pari dei suoi predecessori, ha spesso lamentato la mancanza di fondi adeguati con cui poter far funzionare l'Agenzia in maniera più produttiva ed efficace;
   secondo gli ultimi dati disponibili riferiti al gennaio 2013, vi sarebbero nel comune di Roma 225 immobili sottoposti a confisca definitiva, di cui solo 130 consegnati;
   risultano dunque esserci circa un centinaio di immobili all'interno del comune di Roma tra cui appare, difficile all'interrogante non individuarne uno che non sia adatto ad ospitare la sede romana dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata;
   si ricorda in questa sede che, secondo quanto riportato in un articolo de «Il Tempo» del 3 marzo 2014, anche la sede della direzione investigativa antimafia è sita in un immobile per il quale viene pagato un canone di locazione pari a 770 mila euro annui;
   all'interrogante sembra quantomeno inopportuno, vista la presenza di un numero elevato di immobili confiscati alla criminalità organizzata e destinabili, continuare a pagare canoni di locazione così elevati da parte delle strutture della pubblica amministrazione in generale, e di quelle articolazioni che, in particolare, conducono quotidianamente a vario titolo una difficile battaglia contro la mafia, quali la direzione investigativa antimafia e l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata –:
   se non intenda attivarsi, per quanto di propria competenza, anche ai sensi della legge istitutiva dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, al fine di promuovere il trasferimento della sede romana dell'Agenzia in un locale confiscato o comunque in una unità immobiliare in usufrutto gratuito. (4-03799)


   D'ARIENZO. —Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'Amministrazione della Polizia di Stato sta ultimando lo studio per la revisione dei presidi e degli uffici della polizia di Stato su tutto il territorio nazionale a causa della carenza degli organici – assestata a circa 95.000 unità – e del fatto che in futuro non ci saranno ingressi di nuove unità rispetto al turnover programmato;
   la riorganizzazione segue due direttrici fondamentali: la prima, interna alla Polizia di Stato che vedrà una razionalizzazione dei presidi di polizia stradale, ferroviaria, postale e di frontiera. L'altra, concertata con il comando generale dei carabinieri, finalizzata ad una rivisitazione sul territorio della dislocazione dei commissariati di Polizia, dei carabinieri – in particolare le compagnie – e dei reparti speciali;
   in particolare, per quanto concerne il primo versante, per le squadre nautiche si prevede la soppressione di tutte quelle oggi esistenti, per la polizia ferroviaria la revisione del dispositivo complessivo e per la polizia postale si vogliono, invece, mantenere le sole sedi presenti presso le corti d'appello;
   pare che siano interessati 267 uffici di polizia in tutta Italia ed anche centinaia di caserme dei carabinieri;
   per la provincia di Verona ciò significa chiudere la squadra nautica di Peschiera del Garda (8 poliziotti), la polizia postale di Verona (16 poliziotti) e la polizia ferroviaria di Legnago (10 poliziotti). Non è ancora conosciuta la ripercussione sulle caserme veronesi dell'Arma dei carabinieri;
   inoltre, è in corso di valutazione la definizione di tre maxi poli per la formazione di base. In questo ambito è senz'altro coinvolta l'esistenza stessa della scuola di formazione di Peschiera del Garda;
   la riorganizzazione proposta deprime la sicurezza dei cittadini, in particolare sul Lago di Garda. È impensabile che un territorio come quello, con 21 milioni di presenze annuali, venga privato di questo importante presidio di sicurezza quale quello della polizia nautica di Peschiera. Chiuderà anche la polizia nautica di Riva del Garda. In pratica, la sicurezza del Lago di Garda, area di oltre 250 Km/q, sarà garantita esclusivamente dalla sola motovedetta dell'Arma dei carabinieri in servizio presso Torri del Benaco;
   è assurdo chiudere il presidio della polizia nautica di Peschiera d/G che non solo è centrale nel «Patto per la sicurezza del Lago di Garda», ma che «spende poco»: le moto d'acqua sono state comprate dai comuni, i locali presso cui operano i poliziotti in servizio, tutti specializzati, con ottima professionalità, tra i quali anche i sommozzatori, sono stati concessi in comodato gratuito dal comune di Peschiera del Garda e alla stessa stregua anche le imbarcazioni sono ormeggiate gratuitamente nel porto arilicense. Insomma nessun costo logistico se non quello per il carburante delle imbarcazioni;
   la capitaneria di porto di Salò, sulla quale ricadranno oggettivamente i compiti e le funzioni non ha le corrispondenti qualifiche e l'addestramento di sicurezza necessari, perché specializzata solo in ricerca e soccorso e non ha sommozzatori e la stessa guardia di Finanza di Salò non potrà sopperire all'esigenza;
   è assurdo chiudere anche la sezione della polizia postale di Verona in un momento in cui i reati informatici sono uno dei più allarmanti fronti sui quali si combatte la lotta alla criminalità. Senza alcuna indicazione sulla ricollocazione di quel personale specializzato, che dopo anni di esperienza ha maturato professionalità specifiche, appare una scelta sbagliata, per Verona e per i poliziotti interessati;
   la chiusura della polizia ferroviaria di Legnago riduce numericamente il personale che comunque garantisce la sicurezza della città con una funzione di deterrenza anche solo in ragione della loro presenza costante;
   siamo di fronte a un piano che per Verona è disarticolato, manca completamente una visione generale – ivi compresa la riorganizzazione dei comandi compagnie del Carabinieri – e, quindi, l'unico esito è la penalizzazione della presenza delle forze di pubblica sicurezza sul nostro territorio, mentre non viene in alcun modo affrontata, ad esempio, la razionalizzazione della ventina di dipartimenti esistenti a livello centrale, che resteranno, integralmente –:
   se il Ministro dell'interno non ritenga di rivedere lo studio sui presidi e gli uffici della Polizia di Stato di Verona e, nel dettaglio, se condivida che:
    a) occorre mantenere la Squadra Nautica di Peschiera d/G;
    b) sia doveroso destinare il personale della polizia ferroviaria di Legnago alla Sezione della Polizia Stradale di Legnago;
    c) il personale della polizia postale sia ricollocato in un ambito investigativo della questura di Verona, all'interno del quale il personale specializzato possa proseguire l'importantissima azione di contrasto alla criminalità informatica fino ad oggi condotta con eccellenti risultati;
   se e quali sono le compagnie dei carabinieri della provincia di Verona eventualmente interessate dal progetto di razionalizzazione dei presidi di sicurezza in argomento. (4-03807)


   COZZOLINO, TONINELLI, DIENI e DADONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano l'Unità, in un articolo del 3 marzo 2014, dal titolo «Viminale, tagli per oltre duecento posti di polizia», da notizia di un piano elaborato dal Ministero dell'interno volto alla chiusura di 267 presidi di polizia su tutto il territorio nazionale;
   tale piano ha come finalità quella di ridurre le spese sostenute dal ministero, nell'articolo di stampa si parla di un risparmio atteso di circa 600 milioni di euro, nell'ambito del processo di razionalizzazione della spesa che riguarda la pubblica amministrazione;
   a quanto si apprende sembra che i più colpiti dai tagli dovrebbero essere le strutture di polizia stradale, ferroviaria, nautica e di frontiera;
   dalle anticipazioni riportate è possibile ipotizzare il rischio di una riduzione di sicurezza per quanto riguarda il controllo della circolazione stradale e il controllo delle stazioni ferroviarie, ma non essendo noto il progetto sul quale si sta lavorando non è possibile escludere che la riorganizzazione dei posti di polizia che si vuole attuare possa comportare ulteriori e più gravi problemi alla garanzia della sicurezza e dell'ordine pubblico su tutto il territorio nazionale;
   tra le anticipazioni riportate ve n’è una che, oltre a sembrare in controtendenza con l'operazione di riduzione dei costi che si vuole operare, appare di per se di difficile comprensione. Tra i presidi che verranno ridotti figurano infatti anche quelli della polizia di frontiera ma al tempo stesso si apprende che si vorrebbe trasformare il posto di polizia di Bardonecchia in una sorta di super commissariato procedendo ad un notevole aumento dell'organico attuale, operazione che lascerebbe presupporre la volontà di ammassare risorse umane con l'unica finalità di utilizzarle nei confronti del movimento no Tav;
   la spending review è un obiettivo certamente importante al quale ogni ministero, e tra questi anche il Ministero dell'interno deve partecipare, ma in un settore delicato quale quello della sicurezza e del contrasto alla criminalità si dovrebbe procedere ad una razionalizzazione e ad una riorganizzazione delle risorse disponibili, piuttosto che a dei tagli alle strutture e ai presidi esistenti. In questo senso stupisce che il numero unico di pronto intervento tra le varie forze di polizia operanti sul territorio nazionale di fatto non sia ancora operativo sul territorio nazionale –:
   se corrisponda al vero l'esistenza di un piano di tagli alle strutture di pubblica sicurezza oggi esistenti come quello riportato dall'articolo citato in premessa e quale sia nel dettaglio tale piano di riorganizzazione;
   quali siano i criteri con cui il Ministro starebbe procedendo all'opera di riorganizzazione dei presidi di polizia volta ad una riduzione della spesa totale sostenuta dal Ministero dell'interno;
   se corrisponda al vero la notizia riportata in merito all'aumento dell'organico del commissariato di Bardonecchia e quali siano le eventuali motivazioni che portano ad operare in tal senso;
   quali atti intenda porre in essere il Ministro, per la parte di competenza, al fine di dare attuazione al numero unico di pronto intervento 112, come da molti anni già avviene in tanti paesi dell'Unione Europea. (4-03813)


   NESCI, DIENI, NUTI e PARENTELA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella relazione annuale riferita all'anno 2013 del presidente della Corte dei Conti della Calabria, Cristina Astrali Zorzi, si evidenziava come nella provincia di Cosenza sono state accertate violazioni e illeciti per 7 milioni di euro, con particolare incidenza nel campo sanitario, ove sono stati scoperti indebiti conferimenti di incarichi professionali, di indennità, di somme non dovute a strutture private, di proroga di rapporti lavorativi a tempo determinato, da parte dell'azienda sanitaria provinciale di Cosenza;
   in particolare, l'azienda sanitaria provinciale di Cosenza è stata oggetto di indagini da parte della Guardia di finanza, chiuse nel settembre del 2013, che hanno evidenziato un danno erariale, durante il periodo 2008-2012, di quasi 5 milioni di euro;
   una parte dell'indagine sopra menzionata è stata stralciata e trattata separatamente in quanto emergerebbero delle responsabilità politiche, legate a politici regionali, tra cui spicca il nome di Andrea Gentile – figlio del senatore del Nuovo Centro Destra Antonio Gentile, nominato sottosegretario alle infrastrutture e ai trasporti del Governo presieduto da Matteo Renzi e poi dimessosi quale sono contestati i reati di abuso d'ufficio, falso ideologico e associazione a delinquere;
   a questo proposito, si ricorda che data 19 febbraio si è verificato un episodio, a parere degli interroganti, di enorme gravità per la libertà di stampa nel nostro Paese: il direttore del quotidiano «L'Ora della Calabria», Luciano Regolo, non ha potuto pubblicare l'edizione del proprio quotidiano previsto per tale giornata in quanto contenente una notizia ritenuta scomoda da parte dell'editore e dello stampatore, cioè la notizia relativa ai reati contestati ad Andrea Gentile;
   la Guardia di finanza ha notificato, in data 17 febbraio 2014, al direttore generale dell'azienda sanitaria provinciale di Cosenza, Gianfranco Scarpelli, un provvedimento di interdizione dai pubblici uffici per la durata di due mesi; tale Gianfranco Scarpelli era stato nominato dal presidente della regione Calabria e commissario della stessa, Giuseppe Scopelliti, che, ad oggi, non ha ancora proceduto a rimuovere Scarpelli dalla posizione ricoperta;
   tramite decreto del Ministero dell'interno del 4 dicembre 2012, il prefetto di Cosenza è stato delegato ad esercitare i poteri d'accesso di accertamento di cui all'articolo I, comma 4, del decreto legge 6 settembre 1982, n. 629, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726, nei confronti dell'azienda sanitaria provinciale di Cosenza;
   la relazione finale disposta del prefetto di Cosenza relativa all'attività svolta dalla commissione d'accesso è stata trasmessa in data 24 luglio 2013 al Ministero dell'interno: all'interno di tale relazione si evidenziava, come riportato da «il quotidiano della Calabria» in data 22 febbraio 2014, che «soprattutto nel campo della gestione del personale vi sono state forme di illegalità che hanno consentito l'assunzione e il permanere in servizio di soggetti non solo “vicini”, ma addirittura organici a clan malavitosi. Ulteriori episodi sintomatici quanto meno di una scarsa “attenzione” all'esigenza del rigoroso rispetto della legalità, sono quelli legati ai rapporti con alcune cliniche convenzionate»;
   la direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, oltre aver acquisito la relazione della commissione d'accesso, sta svolgendo indagini volte ad approfondire le vicende malavitose connesse alla sanità cosentina che, secondo alcune notizie trapelate e riportate su alcuni articoli di stampa, non riguarderebbero solo le «consulenze d'oro» attribuite dall'azienda sanitaria cosentina ad avvocati «vicini» al Sottosegretario del Nuovo Centro Destra Antonio Gentile, ma andrebbero oltre le conclusioni della commissione d'accesso e riguarderebbero un arco temporale maggiore e altri politici cosentini;
   l'articolo 146 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, stabilisce che quanto disposto agli articoli 143, 144 e 145 del medesimo decreto legislativo, relativi allo scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare, si applica anche agli organi comunque denominati delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere, alle aziende speciali dei comuni e delle province e ai consigli circoscrizionali;
   la giustizia amministrativa – tra cui la sentenza del Consiglio di Stato sezione VI, del 4 agosto 2006, n. 4765 – ha ribadito quanto previsto dalla normativa sopra citata –:
   se non intenda attivare tutti i poteri di cui dispone per accertare che non vi siano state infiltrazioni da parte della criminalità organizzata all'interno dell'azienda sanitaria provinciale di Cosenza e disporre nuovamente la commissione d'accesso, alla luce di quanto elencato in premessa (incluse le indagini della direzione distrettuale antimafia di Cosenza), ovvero valutare in maniera più attenta ed approfondita ogni dettaglio contenuto nella relazione già prodotta dalla commissione d'accesso, ed eventualmente procedere allo scioglimento degli organi dell'azienda sanitaria provinciale di Cosenza e al suo commissariamento. (4-03821)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   l'Agenzia spaziale italiana (ASI), ente pubblico con il compito di promuovere, sviluppare e diffondere la ricerca scientifica e tecnologica applicata al campo spaziale e aerospaziale è al centro delle cronache recenti per le vicende giudiziarie che hanno investito l'ex presidente Enrico Saggese, posto agli arresti domiciliari a seguito di un'inchiesta giudiziaria della procura di Roma;
   l'inchiesta in questione, stando alle notizie riportate dalle principali testate giornalistiche nazionali, ricostruirebbe una serie di irregolarità in merito a rapporti contrattuali che legano l'Agenzia spaziale ed alcune società riconducibili, più o meno direttamente, all'ex presidente o ad altri soggetti a lui vicini;
   dalle carte dell'inchiesta emergerebbe inoltre un preoccupante quadro di viaggi dispendiosi e familistici finanziati con risorse dell'Agenzia, una serie di auto nomine e di assunzioni motivate esclusivamente da rapporti personali con l'ex presidente ASI. In merito, occorre rilevare come il 23 ottobre 2013, con sentenza n. 703/2013 la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la regione Lazio, abbia condannato Enrico Saggese al pagamento di una sanzione per il conferimento di un incarico di consulenza in assenza dei prescritti requisiti di legge;
   a seguito delle dimissioni presentate da Saggese il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha provveduto a nominare un commissario straordinario per la gestione corrente dell'Agenzia spaziale. L'ex presidente ASI permane tuttavia in carica come presidente del CIRA, il Centro italiano di ricerche aerospaziali con sede a Capua. Tale situazione appare quantomeno anomala alla luce delle vicende sopra citate, considerando come la nomina alla presidenza del CIRA sia di competenza del consiglio di amministrazione dell'Agenzia spaziale italiana e come il Centro di ricerca in questione sia stato oggetto di perquisizioni nell'ambito dell'inchiesta citata, gravando su di esso il sospetto di un diretto coinvolgimento nello scandalo;
   alla luce del quadro sopra descritto appare evidente come i controlli deputati all'organismo interno dell'Agenzia – il cui compito, tra l'altro, è quello di provvedere all'analisi preventiva e successiva della congruenza e/o degli eventuali scostamenti tra le missioni affidate dalle norme, gli obiettivi operativi prescelti, le scelte effettuate, le risorse umane, finanziarie e materiali assegnate, nonché nell'identificazione degli eventuali fattori ostativi, delle eventuali responsabilità per la mancata o parziale attuazione dei possibili rimedi – si siano rivelati quanto meno inefficaci;
   la gestione dell'Agenzia spaziale italiana è, inoltre, da tempo, oggetto di rilievi critici da parte della Corte dei conti, rilievi esplicitati puntualmente nella relazione sulla gestione finanziaria dell'Agenzia per l'esercizio 2012;
   nella citata relazione la Corte ha sottolineato l'esigenza che l'Agenzia ponga una particolare attenzione al contenimento per la spesa ed alla razionalizzazione dei costi della gestione, evitando di incidere negativamente sui programmi spaziali che costituiscono i compiti istituzionali dell'Agenzia. Rileva la Corte, inoltre, come permanga l'esigenza per l'Agenzia di attenersi alle indicazioni del Ministro vigilante in tema di designazioni per la nomina negli organi di gestione delle società partecipate e di fornire i chiarimenti richiesti in ordine alle anomalie e alle illegittimità rilevate nel dicembre 2012 dall'Autorità di vigilanza dei lavori pubblici per il conferimento di incarichi e consulenze e per l'affidamento dei lavori relativi all'esecuzione di opere di completamento della nuova sede dell'ASI;
   stando sempre a quanto contenuto nella più volte citata relazione della Corte dei conti si evidenzierebbero legittime perplessità sullo speciale trattamento economico percepito dal personale, erogato negli anni in maniera ampia e generalizzata, senza alcun effettivo riscontro della realizzazione degli obiettivi programmati. D'altro canto permane irrisolto il contenzioso del personale dell'Agenzia in materia di rapporto di lavoro, relativo nello specifico alle procedure di stabilizzazione, all'inquadramento e al riconoscimento di mansioni superiori, all'esclusione da bandi di concorso;
   l'Agenzia spaziale italiana è un asset strategico e di rilevanza assoluta per il ruolo svolto – in proprio o in collaborazione con le principali agenzie spaziali internazionali – nella gestione delle missioni spaziali e per la stretta collaborazione con le imprese italiane attive in tale settore. Alla luce di quanto enunciato in premessa appare necessario provvedere rapidamente ai controlli del caso, per accertare con assoluta trasparenza l'accaduto e garantire una nuova e adeguata governance all'Agenzia –:
   se non ritenga opportuno nominare in tempi rapidi il nuovo presidente dell'Agenzia spaziale italiana;
   quali azioni intenda intraprendere, all'interno dell'Agenzia e del Ministero per accertare eventuali omissioni nella tutela dell'ASI dopo la citata sentenza della Corte dei conti;
   se non intenda verificare eventuali omissioni e negligenze da parte dell'organismo di controllo dell'Agenzia spaziale e se non ritenga opportuno sollecitare la sostituzione dei membri del collegio di revisione dei conti attualmente in carica;
   quali iniziative intenda intraprendere per verificare l'esistenza di eventuali incompatibilità negli organismi decisionali delle società controllate dall'ASI;
   se non ritenga opportuno verificare la posizione di Enrico Saggese come presidente del Centro italiano di ricerche aerospaziali.
(2-00430) «Piazzoni, Pilozzi».

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   risulterebbe che in data 25 febbraio 2014 siano stati restituiti a Firenze assegni per oltre 6 milioni di euro complessivi, a titolo di rimborso per i medici che hanno frequentato le scuole di specializzazione post-laurea, ma a cui lo Stato italiano non ha riconosciuto la borsa di studio prevista dalle direttive europee in merito;
   oltre al capoluogo toscano, simili iniziative si sono svolte in altre città italiane, come Milano, Roma, Torino, Genova e Venezia, con l'erogazione di assegni per un totale di 25,5 milioni di euro nel giro di un solo anno, a fronte di oltre 327 milioni riconosciuti ai professionisti sanitari dai Tribunali di tutta Italia;
   la consegna degli assegni, completamente esentasse, è un tassello importante di una vicenda che rischia di costare in tutto alle casse pubbliche 4 miliardi di euro secondo una stima per difetto, basti pensare che soltanto in Toscana, sarebbero ancora 5 mila i camici bianchi in attesa di un rimborso;
   sulla vicenda si è espresso anche presidente dell'Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri di Firenze, Antonio Panti: «Sono lieto per i singoli medici che oggi hanno visto riconosciuto un diritto a lungo negato e hanno potuto ricevere un compenso che premia l'impegno e la dedizione con cui hanno svolto la specializzazione»;
   sono ancora migliaia i «camici bianchi» che ancora devono ottenere quanto loro dovuto ed il 20 marzo 2014 partirà un'altra azione collettiva di rimborso per tutti i medici specializzati tra il 1982 e il 2006;
   si tratta di vicenda risalente agli inizi degli anni Ottanta, quando furono promulgate le direttive europee (75/362/CEE, 75/363/CEE e 82/76/CEE) che imponevano a tutti gli Stati di membri di corrispondere il giusto compenso ai medici durante gli anni della scuola di specializzazione in medicina e che si è conclusa con una sentenza di condanna a carico della Presidenza del Consiglio dei ministri e dei ministeri competenti, obbligati a pagare questa consistente somma in favore dei «camici bianchi», per il ritardo con cui sono state percepite le norme comunitarie che prevedevano l'obbligo di retribuire gli specializzandi –:
   quali siano i suoi orientamenti al riguardo e quali iniziative intenda adottare per giungere ad una soluzione che eviti inutili e costosi contenziosi per l'amministrazione finora soccombente in ogni giudizio presentato in merito. (3-00655)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARZANA, LUIGI GALLO, BRESCIA, VACCA, D'UVA, DI BENEDETTO, BATTELLI, SIMONE VALENTE e CHIMIENTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 297 del 16 aprile 1994, articolo 197, ha stabilito che «(...) il titolo conseguito nell'esame di maturità a conclusione dei corsi di studio (...) dell'istituto magistrale abilita, all'esercizio della professione ed all'insegnamento nella scuola elementare (...)»;
   il decreto-legge n. 104 del 12 settembre 2013 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 128 dell'8 novembre 2013, con l'abolizione del comma 4-bis dell'articolo 1 legge n. 62 del 2000, ha riconosciuto al titolo di diploma magistrale pieno valore abilitante per l'insegnamento nella scuola paritaria aprendo, di fatto, la strada anche al riconoscimento del pieno valore abilitante nelle scuole statali;
   la Commissione europea, in data 31 gennaio 2014, si è pronunciata sulla petizione avanzata da un docente italiano in merito alla conformità alla direttiva 2005/36 del diploma di maturità magistrale per poter insegnare negli stati dell'Unione europea (nel caso specifico Gran Bretagna). La Commissione, dopo aver analizzato la legislazione italiana, ha chiarito che il diploma magistrale costituisce qualifica piena all'insegnamento «fully qualified to teach in Italy», mentre il concorso a cattedre rappresenta soltanto una procedura di reclutamento nella scuola statale «the competition was just a recruitment procedure to get a permanent position in State schools»;
   il Consiglio di Stato, sezione seconda, all'Adunanza di sezione del 5 giugno 2013, in riferimento al ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, numero affare 04929/2012, con parere n. 03813/2013 dell'11 settembre 2013, così si è espresso: «(...) Illegittimo (...)] il decreto ministeriale n. 62 del 2011, nella parte in cui non parifica ai docenti abilitati coloro che abbiano conseguito entro l'anno 2001-2002 la c.d. abilitazione magistrale, inserendoli nella III fascia della graduatoria di istituto e non nella II fascia. (...). La disposizione è affetta da evidente eccesso di potere, in quanto contrastante con tutte le disposizioni di legge e di rango secondario, che sanciscono la natura abilitante del titolo conseguito negli istituti magistrali a seguito di regolare corso di studio. In altri termini, prima dell'istituzione della laurea in Scienza della formazione, il titolo di studio attribuito dagli istituti magistrali al termine di corsi triennali e quinquennali sperimentali di scuola magistrale e dei corsi quadriennali e quinquennali sperimentali di istituto magistrale (per la scuola dell'infanzia) o al termine dei corsi quadriennali e quinquennali sperimentali dell'istituto magistrale (per la scuola primaria) dovevano considerarsi abilitanti, secondo l'articolo 53 R.D. 6 maggio 1923, n. 1054, in combinato disposto con l'articolo 197 d.l. 16 aprile 1994, n. 297. Ciò è sancito inoltre dal decreto ministeriale 10 marzo 1997, dall'articolo 15, co. 7, del d.P.R. 23 luglio 1998, n. 323, ed infine, recentemente, ai fini dell'ammissione al concorso a cattedre, dal d.d.g. n. 82 del 24 settembre 2012. Pertanto sotto questo profilo il ricorso deve essere accolto ed annullato il decreto ministeriale n. 62 del 2011, nella parte in cui esclude dalla II fascia delle graduatorie di circolo e di istituto gli aspiranti in possesso di maturità magistrale abilitante conseguita entro l'anno scolastico 2001-2002»;
   considerato che, in precedenza, rispetto al parere emesso dal Consiglio di Stato l'amministrazione conservava margini di discrezionalità potendo discostarsene, con l'intervento della legge n. 69 del 18 giugno 2009, articolo 69, che modifica in parte l'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 1199 del 24 novembre 1971, il Ministro competente deve adottare atti conformi al parere del Consiglio di Stato –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno intervenire celermente, a seguito del parere del Consiglio di Stato, al fine di modificare il provvedimento dichiarato illegittimo, consentendo l'inserimento nella seconda fascia di istituto dei docenti di scuola dell'infanzia e di scuola primaria in possesso dei titoli conseguiti entro l'anno scolastico 2001-2002, riconoscendo il pieno valore dell'abilitazione all'insegnamento in tali ordini di scuola e conseguentemente annullare l'attivazione dei corsi PAS per i suddetti docenti. (5-02249)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   secondo vari articoli su quotidiani nazionali, l'abilitazione scientifica nazionale per la stagione 2012-2013 per la certificazione dei meritevoli all'insegnamento negli 80 Atenei Italiani, si sta rivelando un pozzo di malaffare;
   dei concorsi locali, l'abilitazione nazionale ha assorbito molte disfunzioni, e ricercatori e docenti insigni non sono stati ammessi a vantaggio di perfetti sconosciuti dai curriculum vitae gracili;
   molte le incongruenze segnalate pubblicamente come ad esempio ad ortopedia (medicina), non sono passati scienziati di fama mondiale come il vulcanologo Augusto Neri, il climatologo Antonio Navarra, la letterata italiana Maria Serena Sapegno, l'esperto di criminalità organizzata Isaia Sales;
   si segnalano casi di curriculum gonfiati e di valutazioni illogiche;
   una lettera di 30 accademici di storia dell'arte sostiene che «il sistema di riconoscimento del merito in base a parametri oggettivi si è trasformato in un concorsone destinato a premiare gli accoliti e gli amici degli amici. I commissari hanno abilitato coloro con i quali hanno collaborato o che hanno pubblicato nelle riviste dirette da loro stessi»;
   molte commissioni ne sono talmente consapevoli che hanno chiesto di riaprire al Ministero dell'istruzione le buste per autotutela –:
   se dinanzi ad una situazione così delicata non ritenga di intervenire con urgenza per ripristinare trasparenza e fugare ogni dubbio sulle pesanti e gravissime accuse che gettano discredito sul sistema universitario italiano. (4-03774)


   DELLA VALLE, DE LORENZIS, MASSIMILIANO BERNINI, LIUZZI, PETRAROLI, DE ROSA e MANLIO DI STEFANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il settore delle LENR (Low Energy Nuclear Reactions, reazioni nucleari a bassa energia) suscita grande interesse a livello internazionale ed è ambito di ricerca di numerosi laboratori nel mondo;
   l'Italia è, con Giappone e Stati Uniti, tra i Paesi che sin dai primi anni Novanta hanno approfondito questo genere di studi, tramite gli enti di ricerca nazionali competenti;
   sono oggi attivi diversi gruppi presso le università italiane, ENEA ed INFN per contribuire ad un'indagine teorica e sperimentale sulle reazioni nucleari a bassa energia;
   le reazioni nucleari a bassa energia sono fenomeni non ampiamente conosciuti e non tutti i parametri che ne possano garantire la riproducibilità sono stati sino ad oggi individuati e compresi a fondo;
   numerose novità sono state presentate, attraverso pubblicazioni scientifiche, negli ultimi anni nella ricerca sulle LENR;
   alcuni brevetti sono già stati concessi;
   sono stati annunciati dispositivi per la produzione di energia da fenomeni LENR pronti per il mercato;
   una volta appurata l'esistenza delle LENR si arriverebbe ad una sconvolgente ridefinizione della fisica nucleare;
   l'Italia potrebbe avere un ruolo fondamentale, data la sua storia, in questo ambito di ricerca –:
   quali siano i suoi orientamenti circa l'attività di ricerca internazionale sulle LENR e dunque l'interesse dimostrato da università e realtà imprenditoriali;
   se ritenga opportuno assumere iniziative per stanziare adeguati finanziamenti per le attività in corso presso le università e gli enti di ricerca pubblici italiani nel settore LENR;
   se intenda promuovere nuove ricerche nel settore LENR. (4-03785)


   LUIGI GALLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le quote utili all'assunzione di personale scolastico con diritto di riserva sono stabilite dal comma 1 dell'articolo 3 della legge 22 marzo 1999, 68;
   l'iscrizione alle liste di collocamento obbligato, per i portatori di handicap con diritto di riserva «N», è consentita solo nel caso sussista la condizione di disoccupazione del richiedente;
   lo status di disoccupato deve essere dichiarato, al proprio centro per l'impiego provinciale, entro trenta giorni dall'ultima prestazione di lavoro effettuata;
   i portatori di handicap, con diritto di riserva «N», dovranno allegare alla domanda di aggiornamento della posizione in graduatoria, l'iscrizione al «collocamento obbligatorio» del proprio centro per l'impiego provinciale;
   il diritto alla riserva dei posti prescinde dalla sussistenza dello stato di disoccupazione all'atto dell'assunzione, come evidenziano l'articolo 16, comma 2, legge 22 marzo 1999, n. 68, e l'articolo 1, comma 2, del regolamento esecutivo di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 ottobre 2000, n. 333;
   capita frequentemente che, nel periodo in cui vige la presentazione della domanda di iscrizione in graduatoria, l'interessato sia occupato su una supplenza e, pertanto, non possa essere considerato in stato di disoccupazione, se non a seguito di auto licenziamento con rinuncia dell'ultimo mese di retribuzione;
   il docente che riterrà opportuno presentare l'auto licenziamento, al fine di preservare il diritto di riserva, provocherà una interruzione della continuità didattica –:
   come intenda affrontare tali problematiche;
   se sia possibile prevedere, in via straordinaria, per l'aggiornamento delle graduatorie previste nel 2014, che il titolare di riserva possa indicare di possedere il diritto alla riserva entro i tempi stabiliti e perfezionare la propria posizione al termine delle attività didattiche. (4-03786)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il CIRA (Centro italiano ricerche aerospaziali) è una società consortile per azioni a maggioranza pubblica: l'Agenzia spaziale italiana, la regione Campania e il Consiglio nazionale delle ricerche detengono il 68 per cento delle azioni, mentre la restante parte delle azioni è posseduta dalle principali industrie aerospaziali italiane;
   con la legge 184 del 1989 e successive modifiche ed integrazioni al CIRA sono state affidate la realizzazione e gestione del PRORA (programma nazionale di ricerche aerospaziali), per dotare il Paese di infrastrutture di ricerca e di competenze altamente qualificate per favorire la crescita di competitività del sistema Paese in un settore altamente strategico come quello aerospaziale;
   con la legge 46 del 1991 è stato previsto per il CIRA finanziamento statale con un contributo annuo alle spese di gestione;
   lo Stato italiano ha investito nel PRORA, dalla nascita ad oggi, circa un miliardo di euro in infrastrutture di ricerca e in crescita di competenze uniche al mondo, un patrimonio prezioso di proprietà dello Stato gestito e manutenuto dal CIRA stesso;
   il CIRA è ente vigilato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   i Paesi industrializzati, e tra questi tutti i paesi europei, finanziano e sostengono enti pubblici di ricerca dedicati al settore aerospaziale;
   l'ingegner Enrico Saggese, presidente del CIRA, dimessosi nei giorni passati dall'incarico di presidente dell'ASI (Agenzia spaziale italiana) a seguito di procedimenti giudiziari a suo carico, relativi tra l'altro alle modalità di affidamento di incarichi professionali a soggetti esterni, è stato ora posto agli arresti domiciliari;
   in merito allo stesso CIRA la sezione del controllo sugli enti della Corte dei Conti, con determinazione n. 40/2013 del 29 maggio 2013, ha evidenziato criticità circa le procedure CIRA di assunzione del personale e l'affidamento a soggetti esterni di incarichi professionali di studi, ricerca e consulenza;
   sempre relativamente al CIRA, la sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato della Corte dei Conti, con delibera n. 18/2013/G del 30 dicembre 2013, ha chiesto al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca di assumere entro sei mesi misure consequenziali a sanare le criticità rilevate e che sono riconducibili alla necessità di aggiornamento e ripensamento del PRORA, alle problematiche di controllo sulla sua realizzazione, alle modalità di finanziamento dello stesso e della sua gestione da parte della società CIRA;
   appare improrogabile ed urgente, per non disperdere il patrimonio di competenze CIRA ed assicurarne lo sviluppo, ripensare posizionamento e governance del Centro, avendo ben chiaro l'interesse pubblico della missione e delle attività svolte –:
   se il Ministro intenda intervenire tempestivamente affinché, di concerto con il commissario ASI, venga assunta, a tutela del CIRA e dei lavoratori, ogni iniziativa di competenza nei confronti degli attuali vertici del Centro (consiglio di amministrazione, direzione) e degli organi di controllo;
   se condivida la necessità di intervenire in merito al programma nazionale di ricerche aerospaziali per assicurare totale trasparenza ed efficienza nella gestione e la riduzione dei costi;
   quali eventuali altri indirizzi intenda seguire il Ministro, anche in risposta alla delibera della Corte dei Conti, per assicurare lo sviluppo del Centro. (4-03789)


   BOCCADUTRI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 12 del decreto ministeriale n. 45 dell'8 febbraio 2013, adottato dal Ministro pro tempore Profumo, stabilisce che «l'ammissione al dottorato comporta un impegno esclusivo e a tempo pieno»;
   sulla base di questa norma, le università italiane, tra cui l'università di Bologna, hanno provveduto a modificare i regolamenti d'ateneo; conseguentemente, a partire dal XXIX ciclo, non sarà possibile per i dottorandi svolgere alcun lavoro ulteriore;
   la suddetta norma, già di per sé profondamente discriminatoria, interessa non solo i vincitori di borsa di studio, ma anche coloro che non ricevono alcun tipo di sostegno economico;
   in questo modo, nei fatti, si impedisce a soggetti non dotati di un reddito familiare di accedere alla ricerca; l'incompatibilità, graverebbe, infatti, su praticanti avvocati, commercialisti, geologi;
   il rischio ulteriore è che molti giovani talenti abbandonino la ricerca scientifica, per dedicarsi alla libera professione –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda assumere per abrogare la suddetta norma e garantire ai soggetti in formazione che si iscrivono dal XXIX ciclo in poi la possibilità di svolgere un'attività lavorativa oltre alla ricerca scientifica. (4-03792)


   PRATAVIERA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il professor Carlo Carraro – rettore dell'università Ca’ Foscari di Venezia, uno degli atenei più prestigiosi d'Italia, con sedi sparse per il centro di Venezia – sta completando la cessione di tre palazzi storici, sedi della facoltà di lingue. La nuova sede prevista sarà Ca’ Sagredo, un edificio del 1957, meglio conosciuta come l'ex palazzina dell'Enel;
   troppo dispersive, secondo il rettore, Ca’ Bembo nel sestiere di Dorsoduro, Ca’ Cappello sul Canal Grande e palazzo Cosulich alle Zattere, affacciate sul canale della Giudecca, che però impongono agli studenti continui spostamenti da una sede all'altra per poter assistere alle lezioni della facoltà;
   all'inizio doveva essere una permuta, tre palazzi contro uno della stessa metratura complessiva, ma la Soprintendenza ha osservato che un bene di valore storico-artistico può essere permutato solo con un bene di pregio maggiore, e non è questo il caso, altrimenti, può essere venduto;
   infatti i manager dell'università hanno optato per la vendita, modificando il primo accordo; la parola «permuta» è diventata «cessione», ma la sostanza resta immutata: tre palazzi di grande pregio in cambio di uno modesto, più un'integrazione in denaro;
   la decisione ha scatenato non solo vibranti proteste, ma addirittura tafferugli, oggetto di probabili denunce, ma malgrado una lettera di contestazione di 116 docenti e la reprimenda della Soprintendenza, Carraro ha dichiarato di non recedere dalla sua decisione, senza fornire ulteriori particolari sulla trattativa. A nulla sono valse le contestazioni di uno schieramento politico molto ampio, che va da Italia Nostra al Pdl, soprattutto perché l'ex palazzina Enel ha un valore massimo di 15 milioni di euro, meno della metà del prezzo ufficializzato;
   il rettore ha invocato la legge sulla privacy per una transazione da 35 milioni di euro che dovrebbe comportare ad avviso dell'interrogante una procedura di evidenza pubblica, magari un'asta al miglior prezzo; ma probabilmente non sarà così;
   il partner dello scambio – permuta o vendita che sia – rimane quello individuato fin dall'inizio, a luglio del 2012, l'affare dovrà essere concluso entro marzo di quest'anno, come impone il verbale del luglio 2013. Ad approvare l'accordo è stato il consiglio di amministrazione di Ca’ Foscari, un organo nominato dal rettore che annovera tra i componenti Domenico Siniscalco (Morgan Stanley e Assogestioni) Andrea Valmarana, rampollo di un'antica famiglia vicentina, con incarichi nella 21 Investimenti di Alessandro Benetton, nella Save di Enrico Marchi e nella finanziaria Est Capital di Gianfranco Mossetto;
   non è del tutto chiaro chi però sia la controparte, formalmente, la futura sede cafoscarina è di proprietà di Risparmio Immobiliare Uno Energia, un fondo chiuso quotato in borsa, con quote da 80 milioni di euro e un portafoglio di dieci immobili comprati in parte dalle dismissioni dell'Enel in tutta Italia. I sottoscrittori del fondo sono ignoti. La gestione del portafoglio, sotto la vigilanza di Bankitalia, è affidata a PensPlan Invest, controllata in maggioranza dalla regione Trentino Alto Adige e per il resto da banche locali; inoltre, il patrimonio del fondo si è formato ai prezzi massimi della bolla immobiliare, tra il 2004 e il 2007, con un ampio ricorso ai finanziamenti bancari; Risparmio Uno Energia è gravato da quasi 100 milioni di euro di ipoteche con Unicredit e la Sparkasse di Bolzano, tanto che, per vendere Ca’ Sagredo, il fondo si è dovuto impegnare a trasferire l'ipoteca sulla palazzina ad altri beni di sua proprietà. Il sospetto infatti è che i tre palazzi dell'università vengano rapidamente rivenduti dal fondo, per uscire dall’impasse con le banche creditrici e messi a disposizione di iniziative turistiche. Per evitare questa possibilità, è stato chiesto al sindaco di Venezia Giorgio Orsoni e alla sua giunta, di bloccare eventuali cambi di destinazione di uso. Ma il rischio c’è, oramai russi ed emiri sono il miraggio che tiene in piedi una città che cerca disperatamente un'alternativa al turismo low cost. Per non parlare di Yuri Korablin, che ha comprato il Venezia calcio e vorrebbe costruire uno stadio e un casinò nuovo, accanto all'aeroporto di Tessera;
   l'amministrazione di Ca’ Foscari dovrà gravarsi di altri 7,6 milioni di euro fra spese di ristrutturazione (4,7 milioni), trasloco (1,2 milioni) e tasse relative;
   la valutazione di Ca’ Sagredo (33,7 milioni) è stata firmata dall'Agenzia delle entrate che ha anche convalidato la perizia sui tre palazzi di Ca’ Foscari (35,2 milioni). Il risultato indica che un metro quadrato in centro a Venezia vale poco più di 5 mila euro e non importa se l'edificio è del 1957 o di quattro secoli prima con affaccio sul Canal Grande;
   per sostenere la cessione, Carraro ha invocato la riduzione di costi che garantirebbe la sede unica all'ex Enel e le plusvalenze patrimoniali emergenti per 25 milioni di euro. L'effetto combinato dei due fattori salverebbe i conti dell'università lagunare per almeno un triennio. Ma, a guardare i bilanci depositati, sul sito cafoscarino, non sembra tirare aria di crisi sull'ateneo veneziano. Nell'ultimo esercizio disponibile, l'università vanta un patrimonio netto di 112 milioni di euro, proventi operativi in crescita a quota 142 milioni ed un utile di esercizio di 19 milioni, contro i 14 milioni del 2011;
   gli studenti e i professori, sostenuti da una raccolta di migliaia di firme internazionali prese on-line, hanno argomentato che l'ex sede dell'Enel è insufficiente ad ospitare l'accentramento dalle tre sedi in via di cessione –:
   se i Ministri siano a conoscenza della situazione descritta in premessa e delle numerose perplessità legate alla stessa;
   se intendano approfondire, per quanto di competenza, le decisioni che hanno generato la stima finanziaria delle tre sedi universitarie di grande pregio storico architettonico, che appare, eufemisticamente, fortemente inadeguata. (4-03811)


   COLONNESE, SILVIA GIORDANO e FICO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel 1985 veniva firmato il nuovo concordato tra Stato italiano e Santa Sede che definiva la religione cattolica non più religione di Stato, riconoscendo che «i principi della religione cattolica fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano» e che lo Stato si impegna a garantire l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole di ogni ordine e grado istituendo ore specifiche e separate di detto insegnamento di cui le famiglie o gli studenti possono avvalersi o non avvalersi;
   per gli studenti che non intendano frequentare l'ora di religione esiste la possibilità di non avvalersene, scegliendo una delle possibilità che ogni scuola deve offrire: attività didattiche e formative (cosiddetti insegnamenti alternativi); studio individuale assistito; studio individuale libero; uscita dall'edificio scolastico (eccezion fatta per gli alunni delle scuole materne comunali: quali hanno solo la possibilità di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica);
   le attività di chi non se ne avvale hanno pari dignità di quelle di chi se ne avvale. Una corrente di pensiero reputava che i «non avvalentisi» fossero tenuti in alternativa a frequentare delle attività organizzate dalla scuola, e pertanto non fosse loro concesso uscire dall'edificio scolastico. In contrapposizione, un'altra sosteneva che si trattasse di un insegnamento del tutto facoltativo, e quindi coloro che sceglievano di non seguirlo erano esonerati dalla frequenza. La controversia fu risolta dalla sentenza n. 203 emessa l'11 aprile 1989 dalla Corte Costituzionale, secondo cui lo studente che non si avvale è in uno stato di «non obbligo», e perciò non deve forzatamente frequentare attività alternative;
   in primis la scelta nell'ambito delle scuole superiori è di fatto rimessa ai genitori considerato che un ragazzo di 14 anni il quale si trova a seguire le lezioni di religione cattolica è indotto verso un tipo di credo in luogo di altri. In un contesto sociale chi non se ne avvale corre il rischio di essere visto come «diverso» dai suoi coetanei;
   la sentenza 203/1989 della Corte costituzionale eleva a principio supremo dell'ordinamento costituzionale il principio di laicità. La Corte costituzionale afferma che lo Stato debba porsi su un piano di equidistanza ed imparzialità rispetto a tutte le religioni. La sfera politica deve essere neutrale di fronte ad eventuali conflitti tra valori religiosi e neutrale deve rimanere nel tempo;
   la Repubblica italiana in quanto Stato laico non può avere nessuna religione ufficiale o tutelata più (o meno) incisivamente delle altre ed è inoltre chiamata a garantire la libertà di coscienza, di pensiero e di religione, di tutti gli individui, l'uguaglianza di tutti i soggetti senza distinzione di religione, nonché l'eguale libertà di tutte le confessioni religiose di fronte alla legge;
   la Repubblica italiana non dovrebbe quindi esprimere alcuna valutazione su principi di confessioni religiose; tuttavia, nell'attuale Concordato ad avviso degli interroganti si esprime tale valutazione in ordine ai principi del cattolicesimo, ponendo una netta preferenza verso tale culto, soprattutto garantendone l'insegnamento nelle scuole in esplicito contrasto con il principio di laicità –:
   come si giustifichi la persistenza dell'insegnamento della sola religione cattolica nella scuola pubblica italiana;
   quale posizione intenda assumere il Governo rispetto all'insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica italiana, se consideri l'opportunità di assumere ogni iniziativa di competenza per procedere con l'abolizione dell'insegnamento della religione cattolica sostituendola con l'introduzione di un'ora di insegnamento oggettivo e imparziale della storia di tutte le religioni, sviluppando un approccio critico stimolante per gli studenti. (4-03815)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel 2011 fu bandito un concorso per selezionare dirigenti scolastici per 355 istituti lombardi;
   il concorso prevedeva una prova preselettiva, poi due prove scritte ed una orale;
   hanno passato i test 406 candidati, già pronti a essere inseriti in graduatoria, ma in seguito al ricorso presentato da un gruppo di aspiranti presidi bocciati agli scritti il 17 luglio 2012 il Tar Lombardia ha in primo grado annullato tutte le fasi concorsuali successive alle prove preselettive;
   oggetto delle recriminazioni degli esclusi erano le buste in cui erano chiusi i nomi dei candidati: secondo i ricorrenti, gli involucri erano troppo trasparenti e, guardandoli in controluce, era possibile leggere il nome del candidato, in violazione dell'anonimato;
   così all'inizio dell'anno scolastico 2012/2013 le 355 scuole lombarde che aspettavano un preside hanno dovuto trovare un reggente che facesse le funzioni del dirigente scolastico;
   intanto è arrivata la sentenza del Consiglio di Stato, che ha accolto i ricorsi;
   i giudici hanno deciso che gli elaborati delle prove scritte fossero ricorretti da una nuova commissione, stavolta con un'effettiva garanzia dell'anonimato, e che poi si rifacessero da capo gli esami orali;
   il 13 dicembre 2013 sono usciti i risultati della seconda correzione, che ha presentato la seguente situazione: dei 590 vecchi bocciati, 260 sono stati promossi dalla nuova commissione, mentre dei 406 vecchi promossi, 310 sono stati riconfermati e 96, invece, non sono stati ammessi alla nuova prova orale;
   questi 96 hanno presentato a loro volta ricorsi al Tar della Lombardia, in cui contestano la seconda correzione per due ordini di motivi: in primo luogo, ancora la questione relativa all'anonimato, perché nel corso del 2012 gli elaborati erano stati oggetto di accesso agli atti, e quindi ne erano entrati in possesso i candidati e, potenzialmente, anche i nuovi commissari, specie considerato che alcuni aspiranti presidi avevano pubblicato online le loro prove;
   in secondo luogo venivano nei ricorsi avanzati dubbi in merito alle griglie di valutazione, perché la commissione ha deciso di usare nuovi criteri nella correzione definiti dai ricorrenti «generici ed indeterminati», metro di valutazione poco dettagliato che, a loro modo di vedere, lascia più spazio all'arbitrarietà nella correzione, cosicché i risultati, in alcuni casi, appaiono completamente ribaltati (ad esempio nove persone hanno visto precipitare la loro valutazione dal massimo dei voti, 30/30, al minimo per la sufficienza, 21/30, ed altri, promossi dalla prima commissione, sono stati bocciati per essere passati da 25/30 a 14/30, da 26/30 a 14/30, da 28/30 a 15/30 e così via);
   allo stesso modo appare clamoroso il balzo in avanti di alcuni candidati bocciati dalla prima correzione e promossi dalla seconda: dodici prove sono passate da una netta stroncatura (4/30) a una valutazione sufficiente, superando quota 21/30, ed in un caso addirittura un candidato da 0/30 è balzato a 25 punti;
   alcune delle posizioni ribaltate verso l'alto dalla seconda commissione sembrerebbero essere legate ad alcuni personaggi «eccellenti», e si tratterebbe in particolare di dieci funzionari che lavorano tra l'ufficio scolastico regionale della Lombardia ed i vari uffici territoriali, oltre a figli di nomi noti;
   il 25 febbraio 2014, mentre si concludevano gli esami orali dei nuovi promossi, al Tar della Lombardia si sarebbe dovuta tenere un'udienza sugli ultimi ricorsi, in cui i giudici amministrativi avrebbero dovuto decidere se emettere una sentenza o imporre di sospendere la redazione della nuova graduatoria, ma è stato disposto un rinvio al 1o luglio 2014;
   intanto centinaia di scuole lombarde restano in attesa di un dirigente scolastico da oltre un anno e mezzo;
   i fatti narrati sono riportati anche nell'articolo intitolato «Scuola, in Lombardia si combatte a suon di ricorsi per 355 posti da preside» e pubblicato dall'edizione online de «Il Fatto Quotidiano» del 19 febbraio 2014, nell'articolo intitolato «Concorso presidi, protestano gli ex promossi» e pubblicato dal «Corriere della Sera» del 16 febbraio 2014, nell'articolo intitolato «I ”mancati” presidi si ribellano» e pubblicato sul quotidiano «Libertà dell'11 febbraio 2014 e nell'articolo intitolato ”Presidi bocciati, scatta il ricorso al Tar” e pubblicato dal quotidiano ”Il Giorno” del 12 febbraio 2014 –:
   quali azioni intendano intraprendere, per quanto di competenza, al fine di garantire massima trasparenza sulla regolarità del concorso;
   se non ritengano opportuno valutare con estrema attenzione i singoli casi;
   quali misure intenda assumere il Miur per garantire il regolare funzionamento delle 355 scuole prive di dirigente scolastico. (4-03819)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l’«opzione donna» è un regime sperimentale che prevede – secondo l'articolo 1, comma 9, della legge n. 243 del 2003 cosiddetta Riforma Maroni – fino al 31 dicembre 2015 il pensionamento anticipato per le lavoratrici dipendenti che abbiano raggiunto 57 anni d'età, o per le autonome che ne abbiano raggiunti 58 anni (ai quali vanno aggiunti 3 mesi per effetto dell'adeguamento alla speranza di vita), con almeno 35 anni di contributi; in tal caso, chi usufruirà di tale opzione avrà la pensione calcolata interamente con il metodo contributivo;
   articolo 24, comma 14, del decreto-legge n. 201 del 2001, cosiddetta «Salva-Italia», ha previsto che le disposizioni in materia di requisiti di accesso e di regime delle decorrenze vigenti prima della data di entrata in vigore del decreto-legge medesimo continuino ad applicarsi, tra l'altro, alle lavoratrici contemplate per l'appunto dall'articolo 1 della riforma Maroni;
   sull'argomento la circolare Inps n. 35 del 14 marzo 2012 ha interpretato la norma di cui al predetto articolo 24 in maniera restrittiva, affermando che per esercitare l'opzione fosse necessario non solo maturare i requisiti entro il 31 dicembre 2015, ma anche percepire effettivamente il trattamento previdenziale, anticipando così il termine ultimo della domanda di oltre un anno;
   nello scorso novembre 2013, si ricorda, le Commissioni lavoro di Camera e Senato hanno approvato, ciascuna, una risoluzione con la quale si è impegnato il Governo «a sollecitare l'Inps (...) a rivedere il punto 7.2 della circolare n. 35 concernente la liquidazione del trattamento pensionistico per le lavoratrici in regime sperimentale, nel senso che per tali lavoratrici non deve essere applicata la finestra mobile per la decorrenza del trattamento pensionistico né le aspettative di vita, ma resta valida la semplice maturazione dei requisiti anagrafici e contributivi entro il 31 dicembre 2015 (...);
   peraltro, dalla discussione in Commissione Lavoro della Camera è emerso un orientamento del Ministro interpellato favorevole ad un riesame della circolare in questione, contrariamente alla posizione del co-vigilante Ministero dell'economia che ritiene il punto 7.2 della circolare pienamente coerente con la norma primaria oggetto di interpretazione (articolo 24, decreto-legge n. 201 del 2011 –:
   se e quali azioni abbia intrapreso da novembre ad oggi per dare seguito al dispositivo della risoluzione citata in premessa e se non convenga sull'opportunità di intervenire con provvedimenti di propria competenza per prolungare anche oltre il 2015 il regime sperimentale cosiddetta «opzione Donna», posto che sebbene tale prosecuzione possa – ad avviso della ragioneria generale dello Stato – compromettere gli effetti complessivi della riforma pensionistica operata con il decreto-legge n. 201 del 2011, convertito con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, giacché consentirebbe l'accesso a pensione ad un età ampiamente inferiore a quelle previste dalla medesima legge, è altrettanto vero che gli stessi sarebbero mitigati, se non addirittura compensati, dalle penalizzazioni derivanti dal conteggio della pensione interamente con il calcolo contributivo, anche per chi avrebbe normalmente usufruito del calcolo misto o puramente retributivo sino al 31 dicembre 2011.
(2-00431) «Giancarlo Giorgetti, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MOLTENI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è notizia pubblicata sul quotidiano La Provincia di Como del 27 febbraio 2014 quella di 9.000 pensioni a rischio nel territorio di Cantù a causa di un cavillo burocratico;
   sembrerebbe, infatti, che i novemila pensionati non si siano accorti della scadenza dell'autocertificazione Red;
   trattasi della dichiarazione annuale dei redditi posseduti attraverso la quale gli istituti previdenziali verificano la situazione reddituale dei pensionati che usufruiscono di prestazioni la cui entità ed il cui diritto è legato al reddito (pensioni integrate al minimo; maggiorazione sugli assegni sociali; reversibilità e altro);
   fino allo scorso anno provvedeva l'Inps ad inviare ai soggetti interessati la lettera «richiesta RED», con la quale si chiedeva di comunicare i dati reddituali relativi all'anno oggetto di verifica e si invitava l'interessato a rivolgersi ai Caf o agli altri soggetti convenzionati per la compilazione e la presentazione del modello Red; quest'anno invece ciò non è avvenuto;
   trattandosi di soggetti di una certa età, ovviamente il mancato recapito delle lettere di avviso da parte dell'Inps non ha indotto gli interessati ad attivarsi, con la conseguenza che adesso l'erogazione dei trattamenti per alcuni è sospesa e per gli altri a rischio di sospensione –:
   per quali motivi l'istituto non abbia inviato la lettera di avviso per la presentazione dei modelli Red 2013 ai 9.000 pensionati di Cantù;
   se il mancato invio abbia riguardato solo Cantù o anche altre città ed in tal caso quali;
   se, invero, il mancato invio sia la conseguenza di una scelta dell'Inps di cambiare le modalità operative e, in caso di risposta affermativa, se e quando ne sia stata data ampia informazione all'utenza;
   se ed in che termini, infine, il Ministro interrogato intenda intervenire sull'Istituto vigilato affinché quelli che all'interrogante appaiono cavilli burocratici non impediscano agli aventi diritto di percepire le mensilità spettanti. (5-02256)


   CRIVELLARI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – per sapere:
   Enel Distribuzione spa è società di Enel holding, principale azienda elettrica del Paese, che si occupa della distribuzione dell'energia in Italia e in diverse nazioni estere;
   la sua presenza nel territorio nazionale è organizzata in «Macroaree» e, in particolare, quella denominata «Nordest» comprende quattro regioni ovvero Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Emilia-Romagna e Marche;
   all'interno di ogni singola «Macroarea» funzionano alcuni sottoinsiemi conosciuti come «direzioni», che raggruppano un numero inferiore di regioni le quali, a livello organizzativo, sono suddivise in «zone» i cui confini coincidono con le diverse province;
   tra il 31 dicembre 2013 e il 31 dicembre 2014 si dovrebbe procedere all'esodo, nelle previsioni, di circa 3500 dipendenti della holding, tra i quali un considerevole numero della distribuzione Spa assumendone nello stesso periodo 1500 circa, riducendo quindi significativamente il numero dei dipendenti;
   la «Zona» di Rovigo conta a oggi 70 dipendenti, tra tecnici e operai, e segue la distribuzione dell'energia elettrica per tutta la rete polesana da Melara, estremo limite occidentale della provincia di Rovigo, al Delta del Po;
   detta «Zona» può contare a sua volta sulla presenza di quattro sedi decentrate ovvero Cà Tiepolo (2 operai), Adria (10), Rovigo (41 e anche sede di «Zona») e Badia Polesine (17); più nel dettaglio la sede di Rovigo segue operativamente i Comuni che vanno dal capoluogo al mare, mentre quella di Badia Polesine si occupa delle realtà dell'Alto e Medio Polesine;
   la «ristrutturazione» di Enel distribuzione, a quel che sembra in fase di definizione, prevederebbe tra le altre cose l'accorpamento e quindi la diminuzione significativa di un certo numero di «Zone» e, contestualmente, una diminuzione delle unità operative dislocate sul territorio;
   in ipotesi, in Veneto l'azienda sarebbe dunque intenzionata ad accorpare ad altre contermini le due «Zone» di Rovigo e Belluno;
   la realtà di Rovigo, in particolare, presenta specificità e problematiche che la rendono un caso del tutto particolare, da valutare con estrema attenzione, sia per la conformazione del suo territorio, sia per la situazione di incertezza che attualmente investe la centrale Enel di Polesine Camerini, situata nel comune di Porto Tolle –:
   come e in quale maniera il Governo intenda attivarsi al fine di garantire gli attuali livelli occupazionali e direttivi presenti nella «Zona» di Rovigo. (5-02261)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATALANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   come già esposto nell'interrogazione n. 5-01359 presentata dal firmatario del presente atto, nel luglio 2013, l'azienda Nokia Solution and Network (NSN) ha avviato una nuova procedura di mobilità per 226 lavoratori prima della conclusione dell'accordo annuale di gestione esuberi del 29 ottobre 2013 e senza aver presentato un piano industriale al Ministro dello sviluppo economico;
   il management italiano in questi anni a giudizio dell'interrogante non ha fatto nulla per preservare la presenza di NSN nel nostro Paese: dei circa 3000 addetti del 2007 (oltre l'indotto) ne sono rimasti oggi 592;
   molte altre multinazionali impegnate nel settore della ricerca e sviluppo in telecomunicazioni lasciano il nostro Paese;
   il settore delle telecomunicazioni produce direttamente il 5 per cento del prodotto interno lordo dell'Unione europea ed ha un valore di mercato di 660 miliardi di euro l'anno;
   in seguito alla data di presentazione dell'atto succitato, è stato siglato, il 5 dicembre 2013, un «accordo quadro» tra la società e le organizzazioni sindacali, con il quale le parti si sono impegnate a «sanare» la posizione di «mancato accordo» espressa nel verbale del 31 ottobre interessando il Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   nel caso specifico, la risoluzione approvata in Commissione n. 8/00025 impegna il Governo a verificare l'esistenza di condizioni per evitare il licenziamento dei lavoratori e alla concertazione finalizzata alla conclusione di contratti di solidarietà;
   in ambito generale, la risoluzione impegna il Governo ad aprire un tavolo tecnico con le imprese italiane e le multinazionali del settore delle telecomunicazioni, ed a valutare la possibilità di introdurre uno strumento incentivante per le aziende che decidono di investire nel nostro Paese, concedendo sgravi fiscali a fronte di investimenti e della garanzia che il costo sociale dell'eventuale delocalizzazione sia a carico dell'azienda;
   le organizzazioni sindacali, con comunicato del 20 febbraio 2014, hanno dichiarato che ad oggi «nelle prospettive di Nokia Solutions Network non vi è nessun interesse di sviluppo mirato al recupero di attività collegate ad un incremento occupazionale significativo»;
   vi è un forte rischio che, prima della conclusione dell'accordo in essere, fissata al 30 giugno, l'azienda avvii una nuova procedura di mobilità per il personale in esubero, residuo di chi non ha aderito all'esodo volontario –:
   quali siano le iniziative adottate volte a ridurre l'esodo all'estero delle aziende che operano nel settore delle telecomunicazioni;
   quali siano le misure attuate nell'ambito degli obiettivi dell'agenda digitale;
   se e come il Governo intenda dare attuazione a quanto previsto nella risoluzione succitata. (4-03801)


   COLONNESE, SILVIA GIORDANO e FICO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro della salute, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i principi proclamati nella Carta delle Nazioni Unite, redatta a New York il 13 dicembre 2006, sui diritti delle persone con disabilità, avevano fatto ben sperare su un effettivo cambiamento di atteggiamento nei confronti di quanti, nella nostra Nazione, vivono una disabilità;
   la Convenzione Onu, si sviluppa in ben 50 articoli e 18 protocolli, e viene ratificata e messa in esecuzione in Italia con l'approvazione della legge n. 18 del 3 marzo 2009, che rappresenta la norma con la quale il Governo, si assume l'impegno di adottare tutti gli atti, le azioni, le politiche necessarie per un cambio di strategia nell'affrontare le tematiche di riferimento. La Convenzione Onu focalizza l'impegno degli Stati sui diritti delle persone che vivono la disabilità, abbandona definitivamente la visione della non-disabilità come malattia, ed opera un cambiamento di natura culturale: traghettare gli interventi in favore delle persone con disabilità da una modalità settoriale e frammentaria verso un approccio globale per la costruzione di una società pienamente inclusiva e di un ambiente a misura di tutti;
   quindi dalla ratifica della legge n. 18 del 3 marzo 2009 sembra che i propositi ci siano tutti per far nascere una società che accolga ed integri tutti quei cittadini con disabilità, garantendone una vita dignitosa e al pari di quella dei cittadini normodotati;
   il cambio culturale è possibile solo attraverso una corretta e costante informazione da parte dello Stato e una presa di coscienza reale da parte di tutti. Il rispetto è obbligatorio verso chi subisce tutti i giorni la frustrazione per l'impossibilità di sentirsi autonomi, la mortificazione costante che affonda nella richiesta di aiuto per superare un semplice gradino, occorre essere consapevoli che si deve intervenire con tenacia per l'abbattimento delle barriere architettoniche, evitando da parte di incivili automobilisti, l'occupazione delle rampe d'accesso ai marciapiedi comportamenti che non rendono certo una nazione civile;
   la ratifica di una Convenzione come quella del 2009, se pur attenta alle esigenze che riguardano la parità dei diritti dei cittadini con difficoltà, non porta nessun beneficio se la stessa non viene applicata con decisione e adottata da enti come la regione o i comuni;
   l'Italia ha accettato il patto con le Nazioni Unite di occuparsi dei cittadini in difficoltà ma non prevede alcun obbligo per gli enti preposti all'applicazione delle norme della convenzione ONU e quindi nessuna sanzione per gli inadempienti;
   l'articolo 3 della Costituzione prevede che «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Il disabile non è un cittadino di seconda serie ma un cittadino che necessita di un aiuto, soprattutto senza la preoccupazione di essere un costo per lo Stato;
   la legge di stabilità 2014 prevede il finanziamento del fondo per le non autosufficienze (comma 199 e 200, articolo 1) di 275 milioni di euro per il 2014, ulteriormente incrementato di 75 milioni di euro da destinare esclusivamente in favore di interventi di assistenza domiciliare per le persone con disabilità gravi e gravissime, incluse quelle affette da sclerosi laterale amiotrofica. Altri interventi di interesse per il mondo della disabilità riguardano la proroga per il 2014 delle disposizioni del 5x1000 che prevede l'erogazione di 400 milioni di euro e il mantenimento delle agevolazioni tariffarie postali per le spedizioni di prodotti editoriali da parte delle associazioni e organizzazioni senza fini di lucro iscritte nel registro degli operatori di organizzazioni;
   le persone con disabilità di sei anni e più che vivono in famiglia in Italia nel 2004 sono due milioni e seicento mila, pari al 4,8 per cento della popolazione italiana, ma quasi la metà delle persone con disabilità, un milione e duecento mila, ha più di 80 anni –:
   quali iniziative si intendano adottare in merito alla necessità di varare misure concrete inerenti alla disabilità, in particolare in che modo intendano impegnarsi per incrementare le agevolazioni e le prestazioni possibili per la cura e la riabilitazione medica della disabilità, con attenzione anche alle famiglie cui grava quasi sempre il carico e la gestione della disabilità;
   se intenda assumere iniziative normative ulteriori inerenti gli inserimenti lavorativi delle persone disabili presso enti pubblici, aziende, cooperative e privati e con quali modalità saranno garantiti il diritto allo studio e l'utilizzo di sussidi tecnico informatici delle persone disabili;
   in che maniera intendano adoperarsi al fine di garantire l'eliminazione definitiva delle barriere architettoniche permettendo così al cittadino disabile di muoversi in autonomia con mezzi pubblici o propri;
   come si intendano assicurare opportune agevolazioni e contributi finanziari di cui può beneficiare il cittadino disabile e il suo nucleo familiare. (4-03803)


   LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – Premesso che:
   alla direzione generale per le politiche previdenziali e assicurative, istituita presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, spetta la vigilanza tecnico-finanziaria sugli enti di previdenza privati e privatizzati ex decreto legislativo n. 509 del 1994 specificamente individuati;
   in particolare, la direzione è tenuta ad esaminare i bilanci preventivi, le note di variazione e i bilanci consuntivi, formulando eventuali osservazioni e rilievi; ad approvare i regolamenti di contabilità e amministrazione e a verificare la legittimità e la congruità dei piani triennali di investimento degli enti previdenziali finalizzata al rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica; ad effettuare l'analisi dei bilanci tecnico-attuariali, finalizzata alla verifica della sostenibilità finanziaria e dell'adeguatezza delle prestazioni previdenziali, interagendo con COVIP nel controllo sulle politiche di investimento e sulla composizione del patrimonio degli enti;
   la COVIP (Commissione di vigilanza sui fondi pensione) è l'autorità amministrativa indipendente che ha il compito di vigilare sul buon funzionamento del sistema dei fondi pensione, a tutela degli aderenti e dei loro risparmi destinati a previdenza complementare;
   istituita nel 1993 con decreto legislativo n. 124 del 21 aprile 1993, la COVIP ha iniziato a operare nella sua attuale configurazione – con personalità giuridica di diritto pubblico – dal 1996;
   il decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 ha attribuito alla Commissione anche compiti di controllo sugli investimenti finanziari e sul patrimonio delle Casse professionali private e privatizzate;
   Covip è un organo collegiale i cui componenti sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, che segue a una deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;
   la funzione che è chiamata a svolgere la Commissione è essenzialmente quella di garantire ed assicurare la trasparenza e la correttezza nella gestione e nell'amministrazione dei fondi pensione; in particolare, essa è tenuta a vigilare sulla corretta gestione tecnica, finanziaria, patrimoniale e contabile dei fondi pensione e sull'adeguatezza del loro assetto organizzativo e ad assicurare il rispetto dei principi di trasparenza nei rapporti tra i fondi pensione ed i propri aderenti;
   in base alla «Carta delle attività», redatta sulla scorta della legge delega n. 243 del 2004, la Covip «verifica le linee di indirizzo della gestione e vigila sulla corrispondenza delle convenzioni per la gestione delle risorse ai criteri dettati dalla normativa; vigila sull'attuazione delle disposizioni normative e, in generale, sull'attuazione dei principi di trasparenza nei rapporti con gli aderenti, nonché sulle modalità di pubblicità; esercita il controllo sulla gestione tecnica, finanziaria, patrimoniale, contabile delle forme pensionistiche complementari, anche mediante ispezioni»;
   annualmente la COVIP presenta al Ministro del lavoro e delle politiche sociali una relazione sull'andamento del settore della previdenza complementare, sull'attività svolta e sugli indirizzi e le linee programmatiche che intende seguire; la relazione viene presentata in sede pubblica;
   inoltre, nel corso dell'anno, la COVIP si relaziona periodicamente con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali sugli atti e le questioni di maggior rilievo;
   partecipa a incontri con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Ministero dell'economia e delle finanze, collaborando, ove previsto, all'adozione dei provvedimenti regolamentari di loro competenza;
   promuove iniziative volte a favorire la realizzazione di forme di collaborazione, per l'esercizio delle attività istituzionali, con i servizi ispettivi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   trasmette i propri bilanci al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al Ministero dell'economia e delle finanze e alla Corte dei conti;
   nell'esercizio dei poteri di vigilanza informativa la COVIP può avvalersi, in relazione alle specifiche finalità degli accertamenti, del Corpo della guardia di finanza, con il quale ha sottoscritto un apposito accordo di collaborazione;
   appare chiaro il legame esistente tra la Commissione e il Ministero del lavoro e il Ministero dell'economia in relazione al controllo dei fondi pensione;
   sono ormai tristi fatti di cronaca gli investimenti scellerati realizzati da alcune Casse professionali private e privatizzate, che dovrebbero garantire la pensione ai propri iscritti e che al contrario determinano perdite ingenti a danno dei contribuenti;
   il portafoglio degli investimenti immobiliari e mobiliari di questi enti presenta sempre più spesso sbilanciamenti anomali dell’asset allocation che vede la parte illiquida sproporzionatamente maggiore della parte liquida;
   troppi soldi vengono immobilizzati nei fondi immobiliari, oggi soggetti a svalutazioni e comunque asset difficilmente vendibili, stante le condizioni di scarso appeal verso l'immobiliare e soprattutto la mancanza di denaro liquido che tormenta il comparto;
   emblematica in tal senso è la vicenda che riguarda Enasarco, la Cassa di previdenza e assistenza degli agenti di commercio, privatizzata a seguito del decreto legislativo n. 509 del 1994 e che di seguito – di prova – a ricostruire a ritroso;
   risalgono alla fine del mese di ottobre 2013 le dimissioni del vicepresidente di Enasarco, Andrea Pozzi, il quale denunciava investimenti rischiosi posti in essere dall'ente previdenziale a discapito dei suoi iscritti; nella sua lettera di dimissioni, Pozzi scrive: «Mi sono reso conto che alcuni investimenti importanti della fondazione erano in perdita e che i gestori di tali investimenti non erano adeguati»;
   già nel mese di febbraio 2013, l'ex vicepresidente aveva accusato il presidente Boco di negligenza, recriminando investimenti fatti attraverso veicoli off shore con sede in paradisi fiscali, senza peraltro darne comunicazione alla Banca d'Italia;
   in particolare Pozzi faceva riferimento al portafoglio di derivati di cui faceva parte la Cms (ex fondo Anthracite delle Isole Cayman, garantito da Lehman Brothers), trasferita nel 2011 – dopo il collasso della banca americana –, per un valore nominale di 780 milioni di euro, al comparto Res Capital Protection, della società di investimento (SICAV) Europa Plus, gestita da GWM Asset Management di Sigieri Diaz Pallavicini e di Massimo Caputi, ex rappresentante di Francesco Gaetano Caltagirone al Monte dei Paschi di Siena;
   oltre a questo, Enasarco aveva investito in altri due fondi anomali: Futura Fund Sicav – comparto Newton (in cui la cassa avrebbe investito 329 milioni di euro, perdendone circa 55), gestito da Optimum Asset Management SA, società guidata da Alberto Matta ed Europa Plus – comparto Res Opportunity;
   nella relazione di bilancio 2012 di Enasarco, le operazioni appena descritte finiscono nel capitolo «investimenti alternativi», ma dietro a questa voce si nascondono perdite potenziali da oltre 500 milioni di euro (sarebbero circa 571), ovvero la differenza tra il valore di carico degli asset (1,9 miliardi di euro) e quello di mercato (1,4 miliardi di euro); un delta negativo che per 456 milioni deriva proprio dal fondo Europa Plus Res Capital Protection e che Enasarco non ha svalutato a bilancio, perché protetto da un Btp zero coupon con scadenza nel 2039, la stessa dei derivati; per riprendere la somma investita inizialmente l'ente previdenziale dovrebbe dunque aspettare 30 anni;
   tali investimenti, se realizzati prima del 1o gennaio 2013, sarebbero stati realizzati in violazione dei limiti 1, 2 e 3, imposti dall'articolo 15 del Regolamento Enasarco per l'impiego delle risorse finanziarie – oltre ad essere contrari a principi universalmente condivisi nella gestione del risparmio previdenziale – ed in particolare violerebbero i seguenti principi:
    1) il patrimonio della Fondazione in delega ad un gestore non deve superare il 15 per cento del valore complessivo di Asset Under Management dall'intermediario stesso;
    2) la partecipazione in un unico strumento finanziario non può superare il 15 per cento del patrimonio complessivo dello strumento finanziario;
    3) ad ogni gestore complessivamente può essere attribuito in gestione un controvalore del patrimonio non superiore al 20 per cento;
   tali limiti devono essere applicati per tutte le operazioni successiva al 31 dicembre 2012. Con riferimento alla composizione del patrimonio esistente al 31 dicembre 2012 la politica di investimento adottata dovrà permettere il rispetto degli stessi nel medio periodo. In ogni caso il consiglio d'amministrazione dovrà dettare obiettivi temporali più brevi;
   GWM Asset Management supererebbe i limiti 1 e 3 del regolamento della Fondazione perché rappresenta il 24,78 per cento del valore dell'Asset Under Management del gestore contro il limite del 15 per cento ed è allocato su esso il 22,39 per cento del patrimonio Enasarco contro il limite del 20 per cento;
   Optimum Asset Management SA supererebbe il limite 1 del regolamento della fondazione perché rappresenta il 26,25 per cento del valore dell'Asset Under Management del gestore contro il limite del 15 per cento;
   i tre fondi, avendo come investitore praticamente unico la Fondazione Enasarco (al 100 per cento), al 99,999 per cento e al 99,999 per cento rispettivamente per la Futura Fund Sicav – comparto Newton, Europa Plus Res Capital Protection, Europa Plus Res Opportunity) supererebbero il limite 2 che fissa la soglia al 15 per cento, lasciando inoltre ipotizzare che questi strumenti, posseduti nella loro interezza dalla Fondazione Enasarco, siano stati costruiti «ad hoc» per essa;
   successivamente, il fondo Futura Fund Sicav (attraverso il comparto Delta) ha sottoscritto un mini bond di 22 milioni di euro, emesso da Sudcommerci srl, società domiciliata a Bari, dotata di un patrimonio netto di soli 19.360 euro e debiti per 19,8 milioni, con un rapporto tra Patrimonio Netto e debito finanziario 1:1000;
   l'ufficio finanza Enasarco ha poi rivolto un pesante j'accuse contro i gestori di Futura Fund Sicav, in particolare, nel mirino c’è Alberto Matta, presidente e amministratore delegato di Optimum, A.M.; (definire «inadeguato» (termine usato da «Pozzi») un gestore finanziario che sottoscrive obbligazioni emesse da una società con una consistenza patrimoniale di 19 mila euro e con 19 milioni di debiti intercompany (a cui si aggiungono altri 7 milioni verso una banca, oltre a garanzie a favore di terzi per altri 37 milioni, i 22 milioni dell'emissione obbligazionaria e altri 22 milioni di presunto nuovo debito bancario) appare un eufemismo);
   infine Pozzi ha sottolineato le criticità dei fondi Athena che sono andati a finanziare la Time and Life di Raffaele Mincione, finanziere romano con base a Londra, il quale dal rapporto con Enasarco avrebbe ottenuto 185 milioni di euro, una ventina dei quali persi nell'investimento in Monte dei Paschi di Siena e in altri di entità minore, mentre circa 140 milioni sarebbero stati utilizzati per la «scalata» del finanziere alla Banca Popolare di Milano;
   non mancano poi nomi altisonanti della finanza: l'investimento nei prodotti strutturati della Jp Morgan contabilizzati in fase di acquisto per 67 milioni a giugno, secondo il quadro fornito nel rapporto, sono diventati poco più di 50 milioni con un rosso di 16 milioni di euro; anche in questo caso per svincolarsi senza perdite, a prescindere da possibili proventi nel corso della vita del prodotto, bisognerà attendere il 2021;
   a questi vanno aggiunti i 20 milioni di minusvalenze generate da investimenti nel private equity (quote di fondi azionari privati);
   gli azzardi finanziari di Enasarco sono strettamente collegati alla dismissione immobiliare in atto: la Fondazione stimava il valore del patrimonio immobiliare da bilancio 2012 in circa 3 miliardi di euro, mentre oggi, dalla vendita degli immobili intende ricavare 4,5 miliardi di euro, per riuscire a colmare il miliardo e mezzo circa di investimenti in perdita effettuati;
   a questo riguardo, l'ex Presidente di Enasarco, Donato Porreca, sul numero di Il Mondo, autorevole rivista nell'informazione economica, del 7 giugno 2013, ha pubblicato una lettera aperta in cui attacca i vertici della Fondazione, muovendo delle accuse precise agli attuali vertici, non solo sugli investimenti nei titoli tossici, ma anche sulla dismissione immobiliare: «...si è frettolosamente accantonato il piano di dismissioni già predisposto ed approvato dagli organi di amministrazione e governativi per procedere al cosiddetto piano Mercurio che dopo anni e anni e dopo costi gravosi è ancora lontanissimo dalla conclusione con grave danno della fondazione, degli inquilini e degli stessi stabili privi di manutenzione ordinaria e straordinaria ...»;
   il piano Mercurio consiste nel prendere il patrimonio immobiliare dell'Ente, farlo supervalutare, conferirlo ad un fondo immobiliare di cui l'ente detiene le quote e mettere a bilancio la plusvalenza generata dalle supervalutazioni che andrà a coprire le perdite finanziarie causate dagli investimenti temerari di cui sopra;
   i fatti sin qui descritti emergono dalla semplice lettura del bilancio consuntivo 2012 di Enasarco;
   in occasione della rappresentazione degli stessi fatti, il Ministro Giovannini, in una lettera del 14 ottobre 2013 indirizzata all'onorevole Roberta Lombardi, scriveva: «Ferma restando l'autodeterminazione delle Casse nella selezione delle scelte di realizzo del fine di interesse pubblico, indubbiamente rientra nelle attribuzioni delle Amministrazioni vigilanti verificare il conseguimento del risultato ottenuto nonché la piena legittimità delle procedure intraprese, improntate a criteri di trasparenza e professionalità degli operatori (...) L'attività di vigilanza sopra richiamata non ha lasciato emergere, fino ad oggi, elementi che possano indurre a ravvisare, da parte delle Casse, la propensione ad una sistematica supervalutazione del patrimonio immobiliare, né di conseguenza può sostenersi che tale ipotizzata anomalia abbia determinato un'alterazione delle poste di bilancio, formalmente certificato da società di revisione, nonché verificato dagli organi di controllo interni agli enti e infine sottoposto al vaglio di questo Ministero e del covigilante Ministero dell'economia e delle finanze (...) Quanto (...) al caso Enasarco e alle operazioni mobiliari intraprese dall'ente, rappresento che questa Amministrazione ha da tempo posto sotto osservazione la gestione degli investimenti e le obbligazioni strutturate, coinvolgendo la Covip nell'attività di verifica e indagine ispettiva. Il referto della Commissione che ha valutato le attività finanziarie dal novembre 2006 al 2012, ha messo in evidenza alcuni profili degni di ulteriore approfondimento, senza tuttavia rilevare alcuna chiara fattispecie di illecito tali da configurare possibili responsabilità amministrative o addirittura penali (...) Le illustrate verifiche sono oggi valutabili alla luce dei generali criteri di sana e trasparente gestione, improntata a scelte prudenziali, in ragione del fine pubblico perseguito dagli enti gestori della previdenza obbligatoria»;
   il Sottosegretario pro tempore Dell'Aringa, nella sua risposta alla interpellanza rivolta alla Camera dal M5S, ha ammesso che: «Con riferimento al piano triennale 2011-2013 degli investimenti di Enasarco, preciso che esso è stato approvato con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministero del lavoro, così come disposto dalla normativa vigente che dispone, tra l'altro – per le operazioni che non hanno effetti sui saldi strutturali di finanza pubblica, tra cui le vendite dirette di immobili a privati – la mera comunicazione ai Ministeri vigilanti» –:
   se i Ministri preposti al controllo della dismissione del patrimonio immobiliare degli enti si limitino a prendere atto di una mera comunicazione;
   se – ad avviso dei Ministri interrogati – la gestione delle attività di investimento delle risorse nella disponibilità dell'ente previdenziale Enasarco possa considerarsi legittima, improntata a criteri di trasparenza, professionalità e prudenza degli operatori;
   in che cosa sia consistita l'attività di vigilanza dei Ministeri del lavoro e della previdenza sociale e dell'economia e delle finanze di concerto con la Covip, posto che, a quanto risulta all'interrogante, non è nemmeno stata rilevata la palese violazione dell'articolo 15 del Regolamento Enasarco;
   se fino ad oggi la direzione generale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali non abbia rinvenuto gravi responsabilità amministrative nella gestione delle risorse e del patrimonio di Enasarco, in particolare rispetto alle obbligazioni strutturate;
   quale sia il contenuto della relazione del 2012 che la Covip è tenuta a presentare al Ministro del lavoro e delle politiche sociali sull'attività di ispezione e verifica svolta in relazione agli investimenti effettuati da Enasarco e, più in generale, sul funzionamento del sistema dei fondi pensione;
   quali misure i Ministri interrogati intendano adottare per porre un argine alle attività di speculazione finanziaria condotte da sempre più enti previdenziali in Italia, a danno ai contribuenti;
   se, anche a seguito delle dichiarazioni dello stesso Porreca sul Piano Mercurio, si possa continuare ad affermare l'assenza di una propensione – da parte delle Casse – ad una sistematica supervalutazione del patrimonio immobiliare;
   quali provvedimenti si intendano adottare per implementare il controllo sugli investimenti effettuati dalle Casse previdenziali e, in generale, sulla gestione del risparmio pubblico;
   quali strumenti si intendano fornire per rafforzare le garanzie degli iscritti di poter usufruire delle prestazioni pensionistiche dovute dagli enti previdenziali;
   se siano sufficienti le azioni intraprese fino ad adesso da Enasarco, se l'evidente sbilanciamento degli asset possa perdurare anche nel futuro in attesa delle azioni per ora solo annunciate dalla Fondazione;
   se sia sufficiente regolare solo per gli investimenti successivi al 31 dicembre 2012 dei tetti massimi di concentrazione degli asset della Fondazione;
   se sia stata mai effettuata dalla Fondazione l'analisi «look through» sul portafoglio investito in strumenti finanziari, ossia un'analisi che entra nel merito della composizione, qualità e rischio di ciascuno dei sottostanti veicoli utilizzati (fondi di investimento e Sicav) e quale siano i contenuti di detta analisi «look-through» anche fornendo la relativa documentazione;
   se la società Mercer Italia s.r.l. abbia avuto dalla Fondazione il mandato di consulente incaricato in base ad un bando di gara o tramite assegnazione diretta quale sia l'importo della prestazione;
   cosa risulti nella documentazione relativa ai tre strumenti fondamentali per la strategia degli investimenti della Fondazione: Asset Liability Management, Asset Allocation Strategica e Asset Allocation Tattica;
   se siano stati fissati, come previsto dal codice dei principi di investimento della Fondazione Enasarco:
    a) un limite di rischio complessivo di aumento del deficit previdenziale;
    b) dei limiti di rischio specifici per asset class definiti come la massima volatilità accettabile su un periodo di un anno, tre anni, e cinque anni in termini assoluti e rispetto a benchmark liquidi e riconosciuti dal mercato;
    c) dei limiti di rischio specifici per singolo investimento definiti come la massima volatilità accettabile su un periodo di tre mesi, sei mesi e un anno;
   se sussiste documentazione relativa a questi rischi, e quale sia il contenuto di tale documentazione. (4-03804)


   PIAZZONI e ZARATTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Café de Paris Srl è un'azienda titolare dell'omonimo, storico, locale sito nel centro di Roma, attualmente oggetto di confisca (primo grado) a seguito di una lunga indagine che – sin dal 2007 – ha ricostruito la costituzione, da parte della cosca della ‘ndrangheta Alvaro, di una vera e propria holding criminale nel settore della ristorazione romana;
   il locale in questione risulta attualmente gestito da L.Q. Le Qualité’ Srl sulla base di una scrittura privata (intercorsa in data 28 maggio 2013) tra gli amministratori giudiziari – sentito il parere dell'autorità giudiziaria competente – e la suddetta società, avente oggetto il fitto dell'impresa, con conseguente cessione dei lavoratori impiegati. Occorre precisare che al momento della sottoscrizione del fitto risultava già avviata la procedura fallimentare di Café de Paris Srl, come disposto dal provvedimento del tribunale di Roma (atto n. 85/2013);
   la conclusione della procedura di cui sopra avveniva disattendendo la previsione normativa che impone di inviare comunicazione alle rappresentanze presenti in azienda e/o ai sindacati di categoria comparativamente più rappresentativi dell'intenzione di cedere la gestione aziendale a norma dell'articolo n. 2112 del c.c. Tale comunicazione dovrebbe essere inviata dal cedente o dal cessionario entro un termine minimo di 25 giorni prima della firma dell'atto come previsto dal comma 1 dell'articolo 47 della legge n.428 del 1990 e successive modificazioni;
   come previsto dallo stesso comma 1 del succitato articolo di legge, la comunicazione si rende necessaria per: informare i lavoratori e le rispettive rappresentanze della data e del motivo del trasferimento, delle eventuali conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori, delle eventuali misure previste nei confronti di quest'ultimi;
   a fronte di un tentativo unilaterale del gestore di modificare l'organizzazione del lavoro, violando quanto stabilito dal CCNL, l'11 luglio 2013 le organizzazioni sindacali dichiaravano lo stato di agitazione di tutto il personale, esprimendo forti preoccupazioni sul futuro dell'azienda e chiedendo, fin dal principio, un adeguato confronto di merito. Tali preoccupazioni risultavano fondate, tant’è che la L.Q. Le Qualité’ Srl procedeva, sempre in modo unilaterale, a demansionamenti e modifiche di turni di lavoro del personale impiegato, giungendo a sostituire quest'ultimo assumendo lavoratori di una cooperativa. In questo contesto i lavoratori e le lavoratrici segnalavano più volte irregolarità nella gestione dell'attività;
   la situazione si è ulteriormente aggravata con l'apertura di una procedura di licenziamento collettivo intrapresa in data 29 luglio 2013 e proseguita in data 19 settembre 2013, di tutto il personale acquisito con il ramo di azienda. A fronte di questa decisione, e nel pieno rispetto della normativa vigente, la Filcams Cgil richiedeva la convocazione di un incontro, al fine di poter esperire l'esame congiunto, previsto dal comma 5 dell'articolo 4 della legge n. 223 del 1991. L'organizzazione sindacale in questione non riceveva altre notizie fino alla consegna da parte di L. Q. Le Qualité Srl, delle lettere di comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro ai dipendenti, avvenuta il 22 dicembre 2013. Il giorno successivo l'intero personale del Café de Paris veniva sostituito con il personale di una cooperativa;
   considerando i fatti sopra descritti occorre, ad opinione degli interroganti, porre l'attenzione su una serie evidente di criticità manifestatesi nella recente gestione del Café de Paris;
   la mancata comunicazione preventiva ai sensi del comma 1 dell'articolo 47 della legge n. 428 del 1990, come previsto dal comma 3 del medesimo articolo di legge, costituisce ad avviso degli interroganti motivo di condotta antisindacale ai sensi dell'articolo n. 28 della legge n. 300 del 1990;
   qualsiasi deroga a quanto previsto dai commi 1 e 2 dell'articolo 47 della legge n. 428 del 1990 e dell'articolo 2112 del codice civile, può avvenire solo mediante accordo sindacale, così come previsto nel caso di aziende avviate alla procedura fallimentare o in amministrazione controllata;
   non è stato dato seguito, dopo l'apertura della procedura di licenziamento collettivo, alla convocazione, né del tavolo sindacale (da effettuarsi entro 45 giorni), né del tavolo istituzionale, così come previsto dalla legge n. 223 del 1991;
   al contrario di quanto previsto dall'articolo 8 del contratto di fitto d'azienda, l'affittuaria non avrebbe ancora raggiunto un accordo con la proprietà dello stabile in merito alla necessità di stipulare un nuovo e autonomo contratto di locazione. Lo stesso articolo 8 individuava un termine perentorio di 30 giorni entro cui cercare un nuovo accordo con la proprietà e, in assenza di quest'ultimo, imponeva all'affittuaria di lasciare i locali esclusivamente a sue spese. Alla luce di tale mancato accordo graverebbe, attualmente, sull'affittuaria un'ordinanza di sfratto;
   sulla base di quanto stabilito dall'articolo 11.7 del contratto di fitto, l'affittuaria, nei propri poteri di direzione dell'impresa, si obbligava a rispettare la normativa in materia di lavoro subordinato, oltre che ad applicare il CCNL vigente. L'obbligo previsto sembra agli interroganti disatteso sulla base della volontà di modificare unilateralmente l'organizzazione del lavoro (in contrasto a quanto previsto dal CCNL) e sulla scorta delle considerazioni sopra esposte;
   non è stata ripristinata la metratura autorizzata per l'utilizzo degli spazi esterni, come richiesto dal comune di Roma –municipio I, sulla base delle irregolarità rilevata dall'ente in merito all'autorizzazione di occupazione di suolo pubblico concessa, che prevedeva l'utilizzo di spazi notevolmente inferiori rispetto a quelli realmente utilizzati;
   pur considerando le criticità e i gravami a carico della gestione del Café de Paris, evidenziati sin dalla fase di sequestro in termini di canoni di locazione non pagati, situazione debitoria nei confronti degli enti locali, mancato rispetto delle disposizioni in materia di occupazione di suolo pubblico relativamente allo spazio esterno e tenendo altresì presente le complessità nella gestione delle aziende confiscate sin dalla fase di sequestro, quanto sopra esposto autorizzerebbe, ad opinione degli interroganti, un'auspicabile provvedimento di risoluzione unilaterale del contratto per inadempimento, così come previsto dall'articolo 1456 del codice civile, da parte del concedente nei confronti dell'affittuaria –:
   se non intendano, nell'ambito delle loro competenze e anche intervenendo per il tramite dell'Agenzia Nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, verificare l'attuale gestione del Café de Paris da parte della società L.Q. Le Qualité’ Srl, tenendo in considerazione la normativa in materia di lavoro subordinato vigente e quanto stabilito dal contratto di fitto d'azienda;
   se non intendano assumere apposite iniziative di carattere normativo per promuovere strumenti di tutela per i lavoratori occupati in attività produttive sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata. (4-03822)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ARLOTTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il settore della pesca in Italia rappresenta un comparto importante dell'economia: la produzione complessiva della pesca marittima e lagunare, comprensiva di crostacei e molluschi, si attesta a 2.247 milioni di euro (dato 2010);
   in presenza di dati che, su base decennale, attestano il peggioramento di tutte le principali variabili macroeconomiche di settore (–40 per cento le catture, –38 per cento l'occupazione, –31 per cento la redditività di impresa, +240 per cento i costi di produzione, +53 per cento il deficit della bilancia commerciale), la filiera ittica invoca, quale parte integrante dell'economia nazionale, nuove e mirate politiche di governo e di programmazione economica, tali da valorizzarne il ruolo non solo come settore produttivo primario, ma anche come risorsa ambientale, alimentare e sociale del nostro Paese;
   la pesca italiana è disciplinata principalmente dalla legge n. 963 del 1965 e dal decreto del Presidente della Repubblica n. 1639 del 1968 dal titolo «Regolamento per l'esecuzione della Legge 14 luglio 1965, n. 963, concernente la disciplina della pesca marittima»;
   in materia di pesca, l'Italia è fortemente condizionata dai regolamenti dell'Unione europea nel quadro della politica comune della pesca (PCP), basata sui principi della protezione delle risorse, adeguamento degli impianti (strutture) alle risorse disponibili, organizzazione del mercato e definizione delle relazioni con gli altri Paesi;
   il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, con un suo decreto (ai sensi della legge 14 luglio 1965, n. 963, in uno con il reg. CEE n. 1198 del 2006), ogni anno dispone il blocco temporaneo dell'attività della pesca per periodi legati alle esigenze biologiche di riproduzione e crescita delle specie marine, differenziando la decorrenza e la durata a seconda delle zone (le GSA) che l'UE, d'intesa con gli Stati membri, individua secondo comuni peculiarità fisiche e batimetriche della costa e del mare, nell'ambito di un piano operativo e di un piano di gestione nazionali (ai sensi del già detto reg. CEE 1198 del 2006), adottati e proposti all'approvazione dell'Unione europea;
   il regolamento (CE) n. 1967/2006, approvato il 21 dicembre 2006, che detta norme per lo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nel Mar Mediterraneo, mira a vietare o a sottoporre ad una regolamentazione più rigorosa gli attrezzi da pesca che risultano troppo dannosi per l'ambiente marino o che conducono al depauperamento di determinati stock, al fine di evitare il prelievo eccessivo di individui sottotaglia;
   in conseguenza di tali disposizioni, nel compartimento marittimo di Rimini su tre anni di attività la pesca delle vongole è stata esercitata complessivamente per sette mesi, mettendo in seria difficoltà i lavoratori del comparto ittico e le loro famiglie;
   nonostante il preciso rispetto da parte dei pescatori delle disposizioni che prescrivono maglie più larghe per impedire la pesca di piccoli molluschi, o la minore distanza di 0,3 per le draghe usate per la pesca di bivalvi, resta pur sempre una quota «fisiologica» di pesce e molluschi sottomisura che vengono ugualmente pescati, e che mette quotidianamente gli operatori a rischio di pesanti sanzioni di carattere anche penale –:
   se il Ministro non intenda intervenire assumendo un'iniziativa normativa che consenta ai pescatori di evitare sanzioni per il piccolo pescato che in ogni caso viene portato in superficie anche con le reti con maglie di misura disposta dalle recenti normative;
   se non sia opportuno in particolare ripristinare una tolleranza del 10 per cento sul prodotto pescato, qualunque esso sia, in deroga alla taglia minima prevista dai regolamenti per evitare che gli operatori incorrano in sanzioni. (5-02260)

RIFORME COSTITUZIONALI E RAPPORTI CON IL PARLAMENTO

Interrogazione a risposta immediata:


   NICOLA BIANCHI, DADONE, COLLETTI, MANLIO DI STEFANO, RIZZO, CASTELLI, BARBANTI, LUIGI GALLO, BUSTO, DA VILLA, TRIPIEDI, CECCONI, LUPO e COLONNESE. — Al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   il 28 febbraio 2014 il Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, ha diffuso la lista dei Viceministri e dei Sottosegretari del Governo da lui presieduto;
   tra i Sottosegretari nominati figura il nome di Francesca Barracciu, scelta come Sottosegretario per i beni e le attività culturali e il turismo;
   l'ex consigliere regionale del Partito democratico Francesca Barracciu, unica rappresentante della Sardegna nell'attuale Governo, risulta iscritta nel registro degli indagati per peculato nell'ambito dell'inchiesta della procura di Cagliari sulle cosiddette «spese pazze» dei consiglieri ed ex consiglieri regionali della Regione autonoma della Sardegna;
   in seguito alla diffusione della notizia dell'iscrizione nel registro degli indagati per peculato e alle conseguenti polemiche che il caso ha scatenato, la parlamentare europea Barracciu, nata in provincia di Nuoro, a fine dicembre 2013 ha deciso di ritirare la sua candidatura alla presidenza della regione Sardegna, lasciando il posto a Francesco Pigliaru, che poi ha vinto le elezioni regionali del 16 febbraio 2014;
   il neo presidente della regione Sardegna si è distinto per aver precisato, all'indomani della sua elezione e con riguardo alla formazione della nuova giunta regionale, che gli indagati non vi avrebbero trovato posto;
   ad avviso degli interroganti, questo criterio di tutela della integrità e della dignità delle istituzioni regionali non può non trovare applicazione, a maggior ragione, nella scelta dei componenti del Governo nazionale;
   prima della candidatura a presidente della regione Sardegna, Francesca Barracciu, laureata in filosofia e in pedagogia, ha svolto attività politica per diversi anni, militando dal 1984 nel Partito comunista italiano, passando poi nel Partito dei democratici di sinistra, nei Democratici di sinistra e, infine, nel Partito democratico. È stata consigliere comunale, assessore all'ambiente e turismo e sindaco del suo comune di nascita, Sorgono. Eletta consigliere regionale nel 2004, rieletta nel 2009, è rimasta in Sardegna fino al 17 aprile 2013, quando ha presentato le dimissioni per andare al Parlamento europeo;
   nonostante la sua lunga carriera politica, nel suo curriculum professionale risultano soltanto cinque anni di insegnamento di italiano e latino in scuole media superiori, dal 1990 al 1995, quattro anni di collaborazione presso l'istituto di formazione dell'Associazione piccole e medie industrie della Sardegna, dal 1999 al 2003, e consulenze presso pubbliche amministrazioni, enti privati e aziende per la formazione del personale e la progettazione comunitaria;
   a fronte delle ripetute esternazioni riguardo al «cambio di verso» era lecito aspettarsi un segnale forte di discontinuità e di garanzia del rispetto delle regole democratiche da parte del Governo, per preservare le istituzioni da fatti e gestioni malsani e recuperare il loro alto senso, senza il quale la democrazia muore –:
   quali iniziative intenda adottare il Governo per salvaguardare le istituzioni da nomine governative dettate dal conflitto di ruoli, dall'incompetenza e dall'inopportunità. (3-00664)

SALUTE

Interrogazioni a risposta immediata:


   ANTIMO CESARO, VARGIU, CIMMINO, D'AGOSTINO e SOTTANELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   ogni anno perdono la vita circa 60 mila persone, a volte anche adolescenti o bambini per arresto cardiocircolatorio. Senza una terapia d'urgenza solo il 5-10 per cento dei colpiti sopravvive all'arresto cardiaco improvviso. Tuttavia, sono state raggiunte percentuali di sopravvivenza superiori al 50 per cento laddove sono stati implementati con successo programmi sull'uso del defibrillatore esterno automatico. Le percentuali possono aumentare ulteriormente se si interviene sul paziente entro tre minuti dall'arresto cardiaco;
   il defibrillatore automatico esterno è una piccola attrezzatura salvavita che può salvare molte persone colpite da arresto cardiaco, una piccola macchina che non ha cifre esorbitanti, ma che, purtroppo, sembrerebbe essere finito nel dimenticatoio, pur trattandosi di una macchina molto semplice da usare;
   il mancato utilizzo di questo presidio sanitario si è reso tragicamente evidente con la morte di uno studente diciannovenne di Caserta, che ha perso la vita all'interno della facoltà di ingegneria dell'Università Federico II, stroncato da un infarto mentre affrontava un esame, senza gli opportuni e immediati soccorsi, in conseguenza della mancanza di un defibrillatore nella facoltà;
   il 24 aprile 2013 è stato emanato il decreto ministeriale, recante «Disciplina della certificazione dell'attività sportiva non agonistica e amatoriale e linee guida sulla dotazione e l'utilizzo di defibrillatori semiautomatici e di eventuali altri dispositivi salvavita», in attuazione dell'articolo 7, comma 11, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189 (cosiddetto decreto Balduzzi);
   il decreto ministeriale dispone garanzie sanitarie mediante l'obbligo di idonea certificazione medica, nonché linee guida per l'effettuazione di controlli sanitari sui praticanti e per la dotazione e l'impiego da parte di società sportive, sia professionistiche che dilettantistiche, di defibrillatori semiautomatici e di eventuali altri dispositivi salvavita;
   nonostante l'obbligatorietà da parte dei centri sportivi di possedere un defibrillatore, si rileva l'adeguamento soltanto da parte di una piccola percentuale in Italia. Si tratta di un piccolo passo verso quella che dovrebbe diventare una distribuzione capillare sul territorio dei defibrillatori, non solo nei centri sportivi, ma anche in tutte le scuole, università, uffici pubblici, centri commerciali, nonché in tutti quei luoghi pubblici dove vi è una grossa affluenza di persone –:
   se sia operativo il cosiddetto decreto Balduzzi in merito all'obbligatorietà della dotazione da parte di società sportive di defibrillatori semiautomatici e, in caso contrario, quali siano i motivi del ritardo nell'applicazione della legge e se non si ritenga, altresì, di promuovere, attraverso iniziative normative ed informative, l'effettiva dotazione di defibrillatori automatici nelle scuole, nelle università, nelle strutture commerciali e ricreative (cinema, teatri, discoteche), anche coinvolgendo i 118 locali in quanto enti abilitati al rilascio degli attestati. (3-00658)


   NARDI, NICCHI, PIAZZONI, AIELLO e DI SALVO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la sindrome fibromialgica è una forma comune di dolore muscoloscheletrico diffuso e di affaticamento (astenia), che colpisce circa 1,5-2 milioni di italiani. Il termine fibromialgia significa dolore nei muscoli e nelle strutture connettivali fibrose (i legamenti e i tendini). Questa patologia spesso confonde ai fini della diagnosi precisa, poiché alcuni dei suoi sintomi possono essere riscontrati in altre condizioni cliniche;
   la fibromialgia è una malattia dei tessuti connettivi, accompagnata da dolori molteplici e da stati di stanchezza. Le fibre, i muscoli e i tendini sono affetti da uno stato fortemente doloroso. Riguardo alle cause, si può dire che la fibromialgia è una malattia a genesi multifattoriale, ma principalmente si tratta di un'alterazione nei livelli di alcuni neurotrasmettitori, in particolare la serotonina e la noradrenalina;
   i dolori causati dalla fibromialgia sono senza confini, sia dal lato di intensità, sia dal lato di ubiquità. Possono prevalere di continuo. Possono, però, cambiare di intensità, durata, frequenza e cambiare la parte dolorante del corpo, si tratta perciò della sindrome «mi fa tutto male». In latino si parla del dolor migrans. I pazienti descrivono i dolori come bruciori, crampi muscolari, lancinanti in profondità. Dolori alle giunture della mandibola si spandono alla faccia, producendo mal di denti, mal di testa, dolori da sinusite cronica;
   veramente estesa è la sintomatologia di questa malattia: dolori al torace, al cuore, alle vie urinarie, all'inguine, alla vagina, dismenorrea. I dolori fibromuscolari sono accompagnati da cefalee posteriori, tinnitus, edema alle palpebre, anche da emicrania vera. Importanti sono poi i disturbi del sonno. I pazienti non hanno problemi nell'addormentarsi, ma il sonno è irregolare. Spesso il paziente è colto da apnea, stridore di denti, tremore di muscoli e spasmi che possono arrivare all'intensità della sindrome da restless legs;
   in molti casi si presenta anche la tipica sindrome della fatica cronica. I pazienti descrivono diversamente la fatica sentita. Alcuni sono prostrati fisicamente, altri mentalmente, con frequente impossibilità di concentrarsi;
   la patologia in esame dovrebbe essere affrontata da subito a livello multispecialistico, ma purtroppo manca un centro di riferimento al quale possano rivolgersi i molti pazienti che ne vengono colpiti;
   in Europa, secondo la dichiarazione del Parlamento europeo sulla fibromialgia, approvata il 13 gennaio 2009, circa 14 milioni di persone nell'Unione europea e l'1-3 per cento della popolazione mondiale soffrono di fibromialgia;
   nel 2008 il Parlamento europeo ha approvato una dichiarazione che dà mandato ai rappresentanti nazionali di attivarsi nei confronti dei Governi a favore della sindrome fibromialgica; la maggior parte delle nazioni riconosce la fibromialgia come una precisa entità nosologica, con conseguente riconoscimento di esenzione per tale patologia;
   attualmente nel nostro Paese sussistono i presupposti per una collocazione della fibromialgia tra le patologie croniche e invalidanti (decreto ministeriale n. 329 del 1999);
   per gli esami di monitoraggio delle patologie non riconosciute, quale è appunto la fibromialgia, lo Stato non prevede alcuna esenzione dal pagamento del ticket;
   i pazienti non possono usufruire delle prestazioni contenute nei livelli essenziali di assistenza, erogabili attraverso le strutture del servizio sanitario nazionale a titolo gratuito, ma devono farsi carico dei numerosi e spesso esosi esami a pagamento;
   la fibromialgia ha ottenuto un riconoscimento nel Trentino. La giunta provinciale di Trento con deliberazione n. 239 del 12 febbraio 2010 ha recentemente approvato un provvedimento che riconosce alle persone affette da tale patologia esenzione dalla compartecipazione alla spesa sanitaria da parte dell'utente (ticket) ai cittadini e residenti in provincia di Trento ed iscritti al sistema sanitario nazionale. Le prestazioni sanitarie sono quelle appropriate per il monitoraggio della patologia e delle relative complicanze, per la riabilitazione e per la prevenzione di ulteriori aggravamenti;
   il consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia ha approvato un ordine del giorno in cui – tra l'altro – si impegna l'assessore alla salute «ad assumere ulteriori iniziative affinché a livello parlamentare siano approvate le normative necessarie a prevedere il riconoscimento, ai lavoratori affetti da questa patologia, di permessi di astensione dal lavoro per la cura della sintomatologia, nonché per prevedere l'esenzione dal pagamento dei ticket e dei farmaci eventualmente prescritti»;
   la regione Lombardia ha inserito nel piano socio sanitario regionale la fibromialgia come malattia degna di attenzione e per la quale viene assunto un impegno formale di studio e approfondimento a favore dei diritti del malato;
   la regione Veneto ha riconosciuto questa patologia nel nuovo piano socio sanitario regionale come malattia ad elevato impatto sociale e sanitario;
   la regione Toscana ha approvato la costituzione di un tavolo tecnico di confronto e di proposta per il problema in questione –:
   se non ritenga necessario attivarsi al fine di riconoscere la fibromialgia, o sindrome fibromialgica, quale malattia progressiva e invalidante, inserendola tra le patologie che danno diritto all'esenzione dalla partecipazione alla spesa per le correlate prestazioni sanitarie, provvedendo altresì a individuare i presidi sanitari pubblici già esistenti, tra i reparti di reumatologia o immunologia, per la diagnosi e la cura della fibromialgia. (3-00659)


   SBERNA, GIGLI e BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   alcune condizioni personali e sociali, associate a determinate situazioni reddituali, danno diritto all'esenzione dalla partecipazione al costo (ticket) sulle prestazioni di diagnostica strumentale, di laboratorio e sulle altre prestazioni specialistiche ambulatoriali;
   in particolare, in base a quanto previsto dalla legge n. 537 del 1993, e successive modificazioni, (articolo 8, comma 16), hanno diritto a tale tipo di esenzione i cittadini che appartengono alle categorie di seguito elencate:
    a) cittadini di età inferiore a sei anni e superiore a sessantacinque anni, appartenenti ad un nucleo familiare con reddito complessivo lordo non superiore a 36.151,98 euro;
    b) disoccupati e loro familiari a carico appartenenti ad un nucleo familiare con un reddito complessivo inferiore a 8.263,31 euro, incrementato fino a 11.362,05 euro in presenza del coniuge ed in ragione di ulteriori 516,46 euro per ogni figlio a carico;
    c) titolari di pensioni sociali e loro familiari a carico;
    d) titolari di pensioni al minimo di età superiore a sessanta anni e loro familiari a carico, appartenenti ad un nucleo familiare con un reddito complessivo inferiore a 8.263,31 euro, incrementato fino a 11.362,05 euro in presenza del coniuge ed in ragione di ulteriori 516,46 euro per ogni figlio a carico;
   per tutte le altre famiglie che non rientrano nelle predette esenzioni, non viene riconosciuto alcun principio di equità orizzontale che tenga conto del numero dei componenti la famiglia;
   tale previsione normativa, pertanto, penalizza le famiglie con figli, in quanto a parità di reddito, la capacità contributiva di una coppia con figli è minore rispetto a quella di un single. Lo stesso svantaggio si riscontra nei confronti di una coppia unita in matrimonio (civile o concordatario) rispetto ad una coppia di fatto: alla prima si chiede il reddito familiare, alla seconda il reddito del singolo fruitore della prestazione;
   la legislazione in tema di ticket sanitari risulta essere così, ad avviso degli interroganti, in aperto contrasto con l'articolo 53 della Costituzione, che prevede che ogni tipo di imposizione tributaria debba essere informata a criteri di progressività;
   inoltre, alcune regioni hanno adottato delle delibere con le quali hanno rimodulato la normativa, creando così evidenti disparità tra regione e regione. Emblematici, da una parte, il caso delle regioni a statuto ordinario, nelle quali il nuovo meccanismo di tassazione sanitaria dimostra come le famiglie risultino essere i soggetti più colpiti, in modo particolare quelle con figli (questo perché è stato usato come parametro di riferimento il «nucleo familiare fiscale»); dall'altra, la regione Trentino-Alto Adige e le province autonome di Trento e Bolzano: dal febbraio 2012, infatti, le famiglie trentine non pagano il ticket sanitario dei figli successivi al secondo, purché inseriti nello stesso nucleo familiare –:
   se non ritenga opportuno adottare le iniziative di competenza volte a superare questa iniquità in materia di partecipazione al costo sulle prestazioni di diagnostica strumentale, di laboratorio e sulle altre prestazioni specialistiche ambulatoriali. (3-00660)


   PISO, ROCCELLA e CALABRÒ. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   è notizia di questi giorni che è stato adottato dal Governo il decreto legislativo che recepisce la direttiva 2011/24/UE in materia di assistenza sanitaria transfrontaliera, nonché la direttiva 2012/52/UE in materia di riconoscimento delle ricette mediche emesse da altro Stato membro dell'Unione europea;
   l'eliminazione degli ostacoli alla circolazione delle persone, anche ai fini dell'assistenza sanitaria, derivante dall'attuazione delle predette direttive, costituisce una sfida nonché una scommessa per la sanità italiana, volta a valorizzare le eccellenze e le professionalità sanitarie del nostro Paese, al fine di renderlo attrattivo anche per i pazienti provenienti da altri Paesi dell'Unione europea;
   con il predetto decreto legislativo è stato istituito il punto di contatto nazionale, per garantire le dovute informazioni e conoscenze sia nei confronti dei cittadini italiani che intendono beneficiare dell'assistenza sanitaria in altri Paesi dell'Unione europea, sia nei confronti dei pazienti di questi ultimi Paesi che intendano ricevere cure in Italia, relativamente agli standard di qualità e di sicurezza garantiti dai prestatori di assistenza sanitaria, nonché sulle modalità e le procedure per ricevere tale assistenza –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per garantire la più rapida attuazione di quanto previsto dal citato decreto – che va considerato come un'ulteriore misura a favore della possibilità di scelta per i cittadini – assicurando la più ampia valorizzazione, anche sotto il profilo comunicativo, delle eccellenze sanitarie presenti sul territorio nazionale, in modo da garantire che la mobilità sanitaria derivante dalla capacità attrattiva del servizio sanitario nazionale possa determinare effetti positivi per i saldi di finanza pubblica e fungere da volano per standard elevati delle prestazioni sanitarie. (3-00661)

Interrogazioni a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   dodici anni dopo la direttiva europea attualmente in vigore, il fumo rimane la principale causa prevenibile di morte in Europa: sono circa 700.000 le persone che muoiono ogni anno di tumore polmonare o presentano una grave sindrome di broncopatia ostruttiva cronica (BPCO). Nel corso degli anni, le misure adottate per scoraggiare il fumo hanno contribuito a ridurre la percentuale di cittadini dell'Unione europea che fumano dal 40 per cento nell'Unione europea -15 nel 2002 e del 28 per cento nell'Unione europea a 27 nel 2012;
   il Parlamento europeo ha approvato con 514 voti a favore, 66 voti contrari e 58 astensioni una nuova direttiva che riguarda il consumo di tabacco, e che contiene alcune precise indicazioni che ne limitano l'uso soprattutto tra i più giovani, che iniziano a fumare sempre prima; il testo dovrebbe essere approvato dal Consiglio dei ministri dell'Unione europea il prossimo 14 marzo;
   il relatore Linda McAvan (S&D, UK) nel suo intervento al Parlamento europeo ha fatto presente due fatti fondamentali: l'intensa azione di contrasto nei confronti delle lobby del tabacco e il forte contributo alla prevenzione indispensabile per tutelare le prossime generazioni, perché i giovani iniziano a fumare ben prima del loro 18 compleanno;
   a legislazione vigente le avvertenze dissuasive coprono il 30 per cento della superficie della parte anteriore della confezione e il 40 per cento del retro; il testo proposto a livello europeo praticamente raddoppia la superficie e dispone che gli avvertimenti siano in forma di immagine perché il messaggio di pericolosità sia immediatamente comprensibile anche dai più giovani – cosa che al momento non accade nella maggior parte degli Stati membri – e nello stesso senso dovrebbe favorire la prevenzione anche il divieto delle confezioni con meno di 20 sigarette, che essendo meno costose sono più accessibili ai più giovani;
   è infatti dimostrato che nella maggior parte dei casi (70-80 per cento) l'abitudine al fumo di sigaretta si instaura tra i 10 e i 14 anni; ma alcune evidenze scientifiche stanno emergendo anche riguardo al contrasto al fumo negli adolescenti: in Canada, tra il 2001 e il 2011, la prevalenza di giovani fumatori è passata dal 25 per cento al 12 per cento grazie alle politiche restrittive e al contrasto dell'immagine allettante che il fumo può esercitare tra le fasce più indifese; l'uso di immagini shock sui pacchetti ha creato un decremento dell'8 per cento nel fumo tra i ragazzi di 15-17; media, cinema e tv, in prima linea, hanno inoltre una forte responsabilità nel promuovere corretti stili di vita;
   i deputati europei hanno proposto anche una chiara regolamentazione delle e-sigarette, commercializzate come un'alternativa meno nociva per la salute o addirittura come un aiuto per smettere di fumare; vanno quindi trattate o come farmaci o come prodotti del tabacco. In quest'ultimo caso, la concentrazione di nicotina non dovrebbe superare i 20 mg/ml; l'uso delle sigarette elettroniche va escluso per i bambini e le stesse dovranno portare precise avvertenze per la tutela della salute; in ogni caso, vanno soggette alle stesse restrizioni di pubblicità dei prodotti da tabacco;
   la nuova direttiva europea vieta anche quegli aromi che nelle sigarette e nel trinciato rendono il prodotto più attraente e danno un «sapore caratterizzante»; alcuni additivi particolarmente dannosi per la salute saranno vietati, mentre il mentolo sarà vietato dal 2020;
    gli Stati membri avranno due anni per recepire la normativa –:
   quali misure si intendano assumere per un'azione di prevenzione forte ed incisiva nei confronti dei giovani;
   quali iniziative si intendano assumere per contenere la diffusione delle sigarette elettroniche nella convinzione che facciano meno danno o addirittura aiutino a smettere di fumare. (3-00656)


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   ogni anno si registrano in media 61 denunce di sinistro per ospedale e nel 2012 il costo medio per sinistro è passato a 116 mila euro rispetto ai 66 mila del 2012; ogni ospedale riceve 61 richieste di risarcimento all'anno, corrispondenti a 1 sinistro ogni 10 posti letto e quasi 1,8 ogni 10 medici;
   pur calando quindi gli errori denunciati nella sanità pubblica, questi diventano sempre più cari e di fatto sono costati 300 milioni di euro di risarcimento nel solo 2012, con un risarcimento complessivo di oltre 1,5 miliardi in 9 anni; nonostante il calo del numero dei sinistri, il loro valore economico è stato maggiore perché gli incidenti sono stati più gravi e le conseguenze più pesanti;
   le aree sanitarie più colpite risultano la ginecologia, soprattutto per quanto attiene i danni da parto, l'ortopedia con un significativo aumento degli infortuni, alcune aree che prima non registravano denunce o ne denunciavano in numero irrilevante come la neurochirurgia e la cardiochirurgia; le specialità più a rischio sono quindi ortopedia (13 per cento), pronto soccorso (12,5 per cento), chirurgia generale (10 per cento), ostetricia e ginecologia (8 per cento) e tra gli errori più reclamati ci sono quelli chirurgici (27 per cento), diagnostici (19 per cento), terapeutici (11 per cento) e cadute di pazienti e visitatori (10 per cento);
   si tratta di dati riportati dal V rapporto Medmal sui sinistri in sanità di Marsh, che analizza oltre 96 tra ASL e aziende ospedaliere pubbliche, in un arco di tempo tra il 2004 e il 2012; in questo arco di tempo il costo medio per sinistro è salito da 40 mila a 66 mila euro, con un picco registrato nel 2012, quando il valore medio del risarcimento è decisamente raddoppiato;
   tutto ciò crea un aggravio dei costi assicurativi cresciuti del 15-17 per cento; l'aumento medio dei valori assicurativi riguarda tutte le aree. Il valore assicurativo medio è passato da 3.400 a 4.000 euro per posto letto: in termini assicurativi un medico costa in media 6.841 euro, un infermiere 2.864 euro, un ricovero 106 euro, con valori molto più alti nel centro Italia. Riguardo al numero di richieste di risarcimenti danni, al primo posto c’è il nord con il 55,4 per cento seguito dal centro con il 39 per cento (14.801) e dal sud con il 6 per cento (2.298);
   rispetto alle strutture sanitarie coinvolte, quelle di primo livello hanno avuto il maggior numero di richieste di risarcimento danni (54,73 per cento), seguite da quelle di secondo livello, come gli ospedali ad alta intensità di cura o ad alta specializzazione (23,46 per cento) e gli ospedali universitari (18,8 per cento). Molto distanziate sono le strutture specialistiche monotematiche come quelle ortopediche 1,8 per cento, quelle materno infantili 1 per cento e quelle oncologiche 0,23 per cento;
   i tempi per le denunce appaiono piuttosto lunghi: circa la metà delle richieste di risarcimento danni sono avanzate entro i primi 6 mesi dall'evento critico; molte arrivano entro due anni e alcune anche entro 6 anni. Risultano concluse solo il 31 per cento delle richieste, mentre restano aperte poco più del 45 per cento di pratiche, mentre il 23 per cento rimane senza seguito –:
   cosa intende fare il Ministro per contenere i costi della medicina difensiva che rappresenta la risposta dei medici e degli ospedali all'incremento delle denunce, che richiedono importi sempre più alti, per fronteggiare un rischio clinico, al tempo stesso oggettivo e soggettivo.
(3-00657)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in queste ultime settimane si sta diffondendo sui social network un gioco tra giovanissimi che presenta aspetti molto pericolosi per la salute;
   il gioco si chiama neknomination e consiste in questo: chi viene nominato da un amico deve scolarsi della birra, dei liquori, degli amari, del vino «alla goccia» cioè tutta d'un sorso e nominare a sua volta altre persone, invitandole a compiere lo stesso;
   tutto questo viene filmato e condiviso sui social;
   il gioco prevede anche la possibilità di sottrarsi alla sfida offrendo da bere o danaro allo sfidante ma purtroppo nel meccanismo perverso della vergogna e dell'onta che in età adolescenziale sembra prevalente la maggior parte preferisce accettare la sfida e sottoporsi alla bevuta;
   all'estero il gioco è già degenerato tant’è che si iniziano a registrare anche le prime vittime come ad esempio in Inghilterra;
   il fenomeno fino ad ora sembra essere sottovalutato dalla autorità preposte –:
   se e quali iniziative il Governo prevede di attivare anche attraverso le scuole, per dissuadere i giovani da tali pratiche illustrando i possibili rischi per la salute e fermando la diffusione virale di un gioco inconsapevole tra i giovanissimi. (5-02259)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   dopo aver inviato all'Italia un parere in cui si chiedeva di adottare le misure necessarie per assicurare che la legislazione nazionale ottemperasse alla direttiva 2003/88/CE sull'orario di lavoro dei medici operanti nel servizio sanitario pubblico, la Commissione europea ha deciso di deferire il nostro Paese alla Corte di giustizia dell'Unione europea;
   come spiegato dalla Commissione, in Italia «diversi diritti fondamentali contenuti nella direttiva sull'orario di lavoro, come il limite di 48 ore stabilito per l'orario lavorativo settimanale medio e il diritto a periodi minimi giornalieri di riposo di 11 ore consecutive, non si applicano ai dirigenti operanti nel servizio sanitario nazionale»;
   la direttiva non consente agli Stati membri di escludere «i dirigenti o le altre persone aventi potere di decisione autonomo» dal godimento di tali diritti –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere in merito a quanto esposto in premessa e al fine di chiudere la procedura d'infrazione europea contro l'Italia. (4-03782)


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   malattie rare non significa malati rari o orfani, ma piuttosto vuol dire malati unici e speciali;
   in occasione della giornata delle malattie rare è stata ripetutamente sottolineata la necessità di dare grande impulso alla ricerca sui cosiddetti farmaci orfani, senza abbassare la guardia sulla loro qualità, dal momento che, se occorre garantire in tempi il più rapidi possibili l'accesso alle terapie, non bisogna rinunciare ad un sistema di controllo rigoroso per evitare che in nome della disperazione e dell'urgenza i malati possano essere esposti a farmaci inefficaci o, peggio, insicuri;
   proprio per garantire i pazienti e tutelare il loro diritto alla salute l'AIFA ha ideato strumenti preziosi come i nuovi registri di monitoraggio che permettono di «sorvegliare» costantemente i pazienti e modificare, o anche interrompere eventualmente, le terapie qualora non si dimostrino efficaci o siano rischiose;
   l'Agenzia italiana del farmaco è stata recentemente premiata a Bruxelles con l’Eurordis-European Rare Disease Leadership Award 2014, riconoscimento che la Federazione di associazioni non governative che rappresenta 614 organizzazioni di malati in 58 paesi dedica a chi ha dimostrato particolare impegno nell'affrontare i bisogni dei pazienti affetti da malattie rare;
   quest'anno Eurordis ha scelto Luca Pani, direttore generale dell'Aifa, per il sostegno dato alle malattie rare e per la capacità di adottare misure e politiche innovative, il cui impatto tangibile è stato riconosciuto anche in Europa, oltre che in Italia;
   l'Unione europea, attraverso la raccomandazione 2009/C 151/02, ha indicato agli Stati membri la necessità di adottare un piano nazionale per le malattie rare entro il 2013;
   ciò nonostante il Piano nazionale per le malattie rare è ancora in bozza, mentre dovrebbe dare unitarietà all'insieme delle azioni intraprese nel nostro Paese nel settore delle malattie rare, per rispondere alla necessità sempre più impellente di condividere, con tutti gli attori del sistema, una strategia nazionale di pianificazione delle attività –:
   perché, nonostante concrete manifestazioni di eccellenza del sistema italiano a tutela delle malattie rare, non sia ancora disponibile il nuovo piano nazionale per le malattie rare 2013-2016, che doveva essere presentato fin dallo scorso anno;
   perché non sia ancora stato nominato un rappresentante italiano nel nuovo gruppo di esperti europei sulle malattie rare, EUCERD (European Union Committee of Experts on Rare Diseases). (4-03788)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   TIDEI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   con decreto-legge n. 101 del 2013 recante: «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni», convertito con modificazioni dalla legge n. 125/2013, il legislatore prevede che la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (CIVIT), istituita con la legge n. 190 del 2012, assuma la denominazione di ANAC, ovvero Autorità nazionale anticorruzione e per la valutazione e la trasparenza delle pubbliche amministrazioni;
   al comma 5 dell'articolo summenzionato si stabilisce la composizione e la procedura di nomina dei componenti della nuova autorità. Per quanto riguarda la composizione, l'ANAC, organo collegiale, si compone del presidente e di quattro membri di notoria indipendenza e di comprovate esperienza e competenze, sia nel settore pubblico come in quello privato. Relativamente alla procedura di formazione di detto organo la legge stabilisce, oltre all'osservanza del principio delle pari opportunità di genere, che la nomina dei componenti sia effettuata con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, previo parere favorevole delle competenti Commissioni parlamentari, espresso alla maggioranza dei due terzi. Con riferimento alla proposta di nomina, si stabilisce, relativamente al presidente dell'autorità, che essa sia effettuata dal Ministro per la pubblica amministrazione di concerto con i Ministri dell'interno e della giustizia. Mentre, per quanto riguarda la nomina dei componenti essa avviene su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione;
   il successivo comma 7 del medesimo articolo sopra ricordato stabilisce che le proposte di nomina del presidente e dei componenti devono essere formulate entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto;
   la corruzione in Italia rappresenta un fenomeno dilagante con negative ripercussioni per lo sviluppo economico e sociale, così come per la piena e completa realizzazione della dignità dell'uomo;
   tra i fattori che rendono l'Italia poco attraente per gli investimenti, non solo esteri, vi è anche la ampia diffusione della corruzione e dei legami tra questa e le organizzazioni criminali. Ciò indebolisce seriamente le opportunità di crescita e di competitività del nostro Paese;
   il Rapporto anticorruzione 2014, elaborato dalla Commissione europea lo scorso 3 febbraio mette in luce la gravità e la radicata penetrazione della corruzione in Italia. Il Rapporto, che non si discosta dalle recenti valutazioni della Corte dei conti, quantifica l'impatto della corruzione sull'economia nazionale in 60 miliardi di euro, pari a circa il 4 per cento del Pil, incidendo drammaticamente su un tessuto economico già visibilmente sfibrato dalle conseguenze della grave crisi economica;
   sulla base di un sondaggio realizzato da Eurobarometro del 2013 sulla corruzione emerge che il 97 per cento dei rispondenti italiani (la seconda percentuale dell'Unione europea in ordine di grandezza) ritiene che la corruzione sia un fenomeno dilagante in Italia, contro una media dell'Unione europea del 76 per cento. Il 42 per cento dei rispondenti afferma di subire personalmente la corruzione nel quotidiano, contro una media dell'Unione europea del 26 per cento. Per quanto riguarda le imprese il 92 per cento di quelle che hanno partecipato al sondaggio ritiene che favoritismi e corruzione impediscano la libertà di concorrenza in Italia, contro una media UE del 73 per cento. Inoltre, secondo il Global Competitiveness Report 2013-2014 la distrazione di fondi pubblici dovuta alla corruzione, insieme con il favoritismo dei pubblici ufficiali e la perdita di credibilità etica della classe politica rappresentano agli occhi dei cittadini gli aspetti più dolenti della governance italiana –:
   se non ritenga opportuno, alla luce di quanto sopra esposto e noto da tempo, procedere con urgenza alla nomina del presidente dell'autorità, la cui proposta di nomina avrebbe dovuto essere formulata entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della summenzionata legge n. 125 del 2013 di conversione del decreto-legge n. 101 del 2013. (4-03808)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   in base a quanto pubblicato in un articolo a firma di Fabrizio Massaro e Sergio Rizzo sul Corriere della Sera del 2 marzo 2013, si evidenziano gravi difficoltà per Sorgenia, gruppo che fa capo alla Cir di Carlo De Benedetti e figli. Secondo Rizzo e Massaro, Sorgenia «Si trova a un passo dall'avvitamento finanziario: fra tre settimane finirà i soldi in cassa. Il debito sfiora quota 1,9 miliardi»;
   i due giornalisti nel seguito dell'articolo mettono a fuoco il problema cruciale, che riguarderebbe l'esposizione degli istituti di credito: «[...] il socio austriaco Verbund non vuole più tirare fuori un euro e Rodolfo De Benedetti, il figlio di Carlo, è disposto a mettere nel buco nero soltanto un centinaio di milioni. Il rischio di dover portare i libri in tribunale è reale. E l'eventuale fallimento non risparmierebbe le banche, la cui esposizione è vertiginosa. Tanto che queste stanno valutando la possibilità di trasformare parte dei loro crediti in capitale, ripetendo il copione già sperimentato con l'immobiliare Risanamento di Luigi Zunino e con la Tassara di Romain Zaleski. Se ne parlerà domani [quindi il 3 marzo, n.d.r.] a un vertice forse decisivo. Ben sapendo due cose. La prima: senza l'aiuto dello Stato Sorgenia rischia comunque di andare a picco, come riconosce lo stesso piano finanziario della società. La seconda: la soluzione definitiva è la cessione del gruppo energetico che fa capo a De Benedetti». In particolare, l'ipotizzato aiuto dello Stato viene ricondotto allo strumento previsto nell'ultima legge di stabilità, cioè il «capacity payment»;
   il quotidiano Il Giornale del 18 febbraio 2014, in un articolo di Marcello Zacché, in un primo riferimento ai problemi della società ipotizzava uno schema che avrebbe generalizzato il modello Sorgenia ad altri impianti di produzione elettrica a gas in crisi, ovverosia la costituzione di «una Bad Bank dell'energia, con 12.500 MegaWatt di centrali elettriche a gas, per poi chiedere allo Stato 250 milioni di sovvenzioni e togliere una fetta di capacità produttiva dal mercato [...] un impegno pubblico [...] che però andrebbe esteso anche al rimanente termoelettrico italiano (Enel, Edison, Iren, Gdf per almeno altri 25mila MW) per un totale di 7-800 milioni. Le sovvenzioni permetterebbero alle centrali di colmare il gap oggi esistente tra il rendimento (oggi al 4-5%) e il costo del capitale (7-8%). Così le banche potrebbero gestire meglio il rientro dei crediti. Il progetto sarebbe per ora solo sulla carta. Tanto che sia A2A, sia Intesa, contattate in proposito, negano l'esistenza di trattative o di dossier sul tavolo»;
   la Repubblica del 4 marzo 2014 in un articolo a firma di Luca Pagni dal titolo «Sorgenia, nulla di fatto al vertice con le banche» riporta che «gli istituti di credito (con in testa Mps, Unicredit, Intesa e Mediobanca) hanno chiesto al gruppo Cir [...] di assicurare almeno 150 milioni di nuova finanza. Una proposta che i vertici del gruppo hanno fino ad ora respinto. Anche perché con la conversione di buona parte del debito in azioni, le banche salirebbero in maggioranza, mentre Cir scenderebbe a una quota attorno al 30 per cento del capitale di Sorgenia. Al momento, Cir si è detta disponibile a iniettare non più di 100 milioni per ricapitalizzare Sorgenia. Il caso è diventato anche politico. Il gruppo Cir è stato accusato di fare pressioni per ottenere dal governo il cosiddetto Capacity Payment, una sorta di contributo pubblico alle aziende di settore per mantenere in esercizio gli impianti anche se non vengono chiamati a produrre energia. Accuse cui ha replicato con una lettera al Corriere della Sera il presidente di Cir, Rodolfo De Benedetti. Il quale ha sottolineato come il capacity sia uno strumento “in corso di azione anche in altri Paesi d'Europa” per garantire la sicurezza della rete compensando gli sbalzi della domanda e in particolare l'intermittenza delle fonti rinnovabili, non programmabili e cresciute in misura superiore alle previsioni”. Inoltre, ha ricordato come “il provvedimento riguardi determinai impianti di generazione e non le aziende” e come “le centrali coinvolte nel capacity payment siano numerose e di dimensioni anche maggiori” rispetto a quelle di Sorgenia»;
   come si apprende dagli articoli summenzionati, al fine di salvare la società energetica si vorrebbe inserire una norma che, in probabile contrasto con le norme comunitarie recentemente aggiornate dalle linee guida della Commissione europea sulla libera concorrenza e gli aiuti di Stato, imporrebbe agli utenti costi aggiuntivi in bolletta non per ripagare la disponibilità di queste centrali a produrre «in caso di emergenza» o in assenza di produzione da parte delle centrali alimentate a fonti rinnovabili e assimilate, ma per garantire il persistere della profittabilità di investimenti privati, evitando al tempo stesso la perdita del capitale privato di rischio –:
   se il modello «bad bank» e il meccanismo del «capacity payment», prospettati a favore di Sorgenia, possano costituire un sussidio e se, in quanto aiuti di Stato, violino la normativa europea in materia.
(2-00433) «Crippa, Da Villa, Prodani, Della Valle, Fantinati, Mucci, Vallascas, Petraroli, Castelli, Sorial, Caso, Brugnerotto, Cariello, Currò, D'Incà, Barbanti, Ruocco, Cancelleri, Alberti, Pesco, Pisano, Villarosa, Dadone, Toninelli, Cozzolino, Dieni, Fraccaro, Lombardi, Nuti, D'Ambrosio».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TIDEI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, cosiddetto «decreto del fare», convertito con modificazioni dalle legge 9 agosto 2013, n. 98, prevede, tra le varie misure per il rilancio dell'economia, interventi volti a favorire e ad accrescere la competitività dei crediti al sistema produttivo;
   l'articolo 2 del suddetto provvedimento stabilisce che le micro, piccole e medie imprese, possono accedere a finanziamenti, concessi dalle banche e dagli intermediari finanziari, per investimenti in macchinari, impianti, beni strumentali di impresa e attrezzature nuovi di fabbrica ad uso produttivo, nonché per gli investimenti in hardware, in software ed in tecnologie digitali;
   il predetto articolo prevede inoltre che tali finanziamenti, della durata massima di 5 anni, a partire dalla data di stipula del contratto e aventi un valore complessivo non eccedente i due milioni di euro, debbono essere garantiti da banche aderenti ad un'apposita convenzione. Tale convenzione deve essere stipulata tra il Ministero dello sviluppo economico, sentito il Ministero dell'economia e delle finanze, l'Associazione bancaria italiana (ABI) e Cassa depositi e prestiti (CDP);
   al comma 6 dell'articolo 2 di cui sopra si stabilisce che la concessione dei finanziamenti può essere assistita dalla garanzia del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, nella misura massima dell'ottanta per cento dell'ammontare del finanziamento –:
   se il Ministro non ritenga urgente sollecitare i soggetti di cui alla premessa affinché in tempi rapidi si provveda alla stipula della convenzione, necessaria per la concessione di finanziamenti alle piccole e medie imprese vitali per la competitività del sistema produttivo italiano e per la tutela dei livelli occupazionali;
   se non intenda provvedere, per quanto di sua competenza, ad accelerare i tempi per la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto attuativo richiamato al quarto punto della premessa, con il quale sono disciplinate priorità di accesso e modalità semplificate di concessione della garanzia del Fondo sui predetti finanziamenti. (5-02258)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SPERANZA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il servizio postale rappresenta un servizio pubblico essenziale per i cittadini italiani; il decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, recante «Attuazione della direttiva 97/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità dei servizi», dispone che l'autorità di regolamentazione del settore postale stabilisca gli standard qualitativi del servizio postale universale adeguandoli a quelli realizzati a livello europeo;
   la località di S. Costantino di Rivello, in provincia di Potenza, fino a poco tempo fa, poteva usufruire di un servizio postale operativo per tre giorni a settimana; tale servizio era di enorme importanza per la popolazione, soprattutto quella anziana, poiché i comuni più vicini a cui rivolgersi in caso di necessità, Rivello o Lagonegro, distano oltre 10 chilometri da S. Costantino;
   a seguito dell'attuazione del piano di riorganizzazione delle strutture, Poste Italiane ha «razionalizzato» gli uffici di molte località della Basilicata, tra cui anche quello di S. Costantino di Rivello, prevedendo l'apertura un solo giorno a settimana in luogo dei tre giorni previsti in precedenza; tale scelta si ripercuote in maniera forte sulla vita delle persone e delle attività produttive della zona;
   infatti, tale limitazione del servizio ha recato grave disagio alla popolazione, costretta ad aspettare anche ore per pagare una bolletta, soprattutto perché il suddetto ufficio ha un bacino di utenza ampio e ha, da sempre, espletato un numero molto elevato di operazioni;
   la popolazione di S. Costantino ha tentato mediante una petizione popolare di sollecitare il ripristino del servizio postale nei tre giorni settimanali ma, fino ad ora, tale istanza non ha trovato alcun riscontro, soprattutto in considerazione dei rilievi mossi da Poste Italiane sull'assenza delle condizioni di equilibrio economico del servizio reso per tre giorni a settimana;
   la razionalizzazione definitiva del presidio di S. Costantino di Rivello determinerebbe un gravissimo disagio in termini di servizi per tutta la comunità –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda assumere affinché sia garantito un orario rispondente alle esigenze della popolazione di S. Costantino di Rivello;
   se, nell'ambito delle proprie competenze, intenda portare avanti un'azione di sensibilizzazione per le problematiche relative alla località di S. Costantino di Rivello. (4-03776)


   CRISTIAN IANNUZZI, SPESSOTTO e NICOLA BIANCHI. — al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la fabbrica della Pozzi-Ginori spa, del Gruppo Sanitec, è nata a Gaeta, in provincia di Latina, nel 1735. Produce ceramiche e sanitari per il bagno ed è una delle aziende storiche del territorio del sud pontino;
   la Pozzi Ginori ha sempre sviluppato una produzione mantenendo la tecnologia il più possibile all'avanguardia. Il calo delle commesse dovuto alla crisi del settore ha modificato la strategia industriale dell'azienda che, invece di proseguire nel rinnovamento dei processi produttivi per aumentarne l'efficienza e salvaguardare l'occupazione, ha preferito ridurre i costi intervenendo sul lavoro ed i lavoratori;
   si profila un piano industriale finalizzato non al rilancio dell'azienda, ma ad un ridimensionamento della stessa, con gravi costi sul piano economico e sociale del territorio pontino, ed in particolare della città di Gaeta;
   già dal 2005 si è intrapresa una situazione di precarietà per gli operai della Pozzi Ginori a causa della riduzione dell'organico che, da un totale di 400 unità effettive a pieno regime, si è ridotto con l'inizio della cassa integrazione a 200 unità, senza la dovuta rotazione di circa 150 operai, ed un rapporto tra operaie azienda che è andato sempre più deteriorandosi nel tempo;
   è forte la preoccupazione per i cittadini di Gaeta per il diffuso sentore che l'azienda voglia trasferire la propria produzione in paesi esteri dato il costo inferiore della produzione;
   gli operai propongono all'azienda una soluzione in tre punti per ottenere un abbattimento dei costi sostanziali di produzione, in cui si innescherebbe un meccanismo virtuoso con maggiore produzione di pezzi e maggiore risparmio, e riportare la crisi occupazionale ad una netta e sensibile situazione di normalità:
    a) accordo con il comune di Gaeta e l'autorità portuale per avere in concessione una frazione demaniale all'interno del porto commerciale sia per lo scarico delle materie prime sia soprattutto per lo sdoganamento;
    b) investimento in pannelli fotovoltaici per il risparmio e la vendita di energia elettrica;
    c) realizzazione della tecnologia del software «Punto a Punto» che permetterebbe su un budget di 370.000 pezzi un notevole risparmio di 400.000 euro l'anno;
   inoltre, nell'ultimo incontro che si è svolto nella Sala Corsi della Pozzi Ginori, alcuni lavoratori hanno portato all'attenzione delle segreterie provinciali della Cgil, Cisl, Uil, Ugl ed Rsu, alcune proposte di rilancio aziendale tra cui quella di estendere i confini doganali del porto commerciale adiacente cosicché sia compreso al suo interno anche il sito produttivo della Pozzi Ginori, creando perciò una «zona franca industriale» –:
   se e quali misure urgenti e/o provvedimenti i Ministri intendano assumere per promuovere il dialogo con le parti sociali allo scopo di predisporre un piano industriale per salvaguardare il livello occupazionale sull'area industriale in questione;
   quali provvedimenti di propria competenza i Ministri intendano adottare per tutelare i dipendenti dal rischio di rimanere senza lavoro e senza garanzia di reinserimento lavorativo, visto l'attuale trend negativo del mercato. (4-03805)


   RIZZETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   gli studi cinematografici di Cinecittà, siti a Roma in via Tuscolana, 1055, a seguito della privatizzazione intervenuta nell'anno 1997, con atto di affitto di azienda, sono stati ceduti ad un gruppo di soci privati, con a capo Luigi Abete, cessione che ha comportato la nascita di Cinecittà Servizi, poi divenuta Cinecittà Studio spa;
   la società privata è stata partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze per il tramite della società ad intera partecipazione statale, Cinecittà Holding, poi divenuta Cinecittà Luce, proprietaria della superficie, degli edifici e delle attività produttive ivi svolte;
   negli anni 2007-2008, a seguito di un'operazione finanziaria, Cinecittà Studios è divenuta proprietaria delle attività produttive, costituite dalla Produzione e Post Produzione Cinematografica, mentre Cinecittà Holding è rimasta proprietaria della superficie e delle costruzioni;
   con la suddetta vendita di azienda, con passaggio dei circa 250 lavoratori interessati, è stato stipulato un contratto di affitto relativo ai locali e alla superficie degli Studios;
   in tale contratto, a quanto è dato sapere, sono rassegnati reciproci impegni di natura economica tra Cinecittà Holding e Cinecittà Studios per milioni di euro, al fine di procedere al rinnovo e messa in sicurezza degli edifici e, conseguentemente, delle attività produttive (22 teatri di posa e relative competenze), con l'obiettivo di rilanciare gli Studios in termini di competitività internazionale, inoltre, nel medesimo contratto, si prevedono i termini della concessione del marchio «Cinecittà»;
   i predetti impegni si evincono dalla relazione della Corte dei conti al Parlamento dell'anno 2010 (allegato 1, pagina 113 e seguenti) «sulla gestione finanziaria degli Enti sottoposti a controllo in applicazione della legge 21 marzo 1958, n. 259» tra i quali Cinecittà Luce spa;
   si mette in rilievo che la visione del predetto contratto di affitto è stata più volte negata dal Ministero dei beni e delle attività culturali, nonché dal Ministero dell'economia e delle finanze, sebbene la UGL Comunicazioni ne abbia più volte fatto richiesta, anche con istanza di accesso del settembre 2012, ai sensi della legge 241 del 1990, respinta adducendo che trattasi di «atto intervenuto tra soggetti privati, nel quale non è rintracciabile l'interesse alla conoscenza e del quale deve essere tutelata la riservatezza dei contenuti»;
   alla fine dell'anno 2008, il soggetto privato Cinecittà Studios ha posto in essere una procedura di cessione di ramo di azienda, costituito dalla Post produzione cinematografica e, da tale scorporamento, è nata Cinecittà Digital Factory, che interamente partecipata da Cinecittà Studios, ha successivamente visto l'entrata del socio «Medusa», per una quota pari al 15 per cento;
   parallelamente, i soci Luigi Abete, Diego ed Andrea Della Valle, nonché Aurelio De Laurentis hanno costituito la società Cinecittà Entertainment, successivamente divenuta Italian Entertainment Group (IEG) e capogruppo di una holding, nella quale è confluita Cinecittà Studios, nonché la partecipata Cinecittà Digital Factory;
   nell'ambito della holding, con a capo Italian Entertainment Group, nel tempo sono state costituite una serie di società – tra le quali, Cinecittà Parchi, Cinecittà World, Cinecittà Natura, Cinecittà Papigno, Cinecittà District Entertainment, Cinecittà Allestimenti e Tematizzazioni – le cui attività non risultano all'interrogante attinenti al settore cinematografico cui, invece, la denominazione rimanda;
   inoltre, si è appreso recentemente, a seguito di una conferenza stampa tenuta da Luigi Abete, che nel mese di giugno 2014 vi sarà l'inaugurazione del parco di divertimento «Cinecittà World», situato sulla via Pontina;
   nel corso dell'anno 2012, a causa dell'annuncio di ristrutturazione per stato di crisi delle aziende Cinecittà Studios e Cinecittà Digital Factory, si è aperta una lunga vertenza sindacale, che ha determinato uno sciopero continuativo di novanta giorni dei lavoratori;
   a riguardo, è stato presentato un piano industriale che ha previsto molteplici cambiamenti rispetto alle posizioni lavorative dei dipendenti;
   nello specifico, per Cinecittà Studios (circa 120 dipendenti) è stato previsto: il trasferimento dei dipendenti amministrativi a Italian Entertainment Group, con mutamento del CCNL di riferimento da cineaudiovisivo a turismo; l'eventuale mutamento del CCNL di riferimento del personale di servizio e vigilanza; il licenziamento del personale delle costruzioni scene al fine di riassumerlo in Cinecittà Allestimenti e Tematizzazioni, con il CCNL edili; la cessione del personale del solo reparto mezzi tecnici (6 persone), alla società Panalight, con conseguente nascita di un nuova società denominata Cinecittà Panalight;
   per il personale di Cinecittà Digital Factory (circa 90 dipendenti) sono state invece, previste la cessione degli addetti ai reparti audio e digitale per mezzo di contratto di affitto di ramo di azienda della durata di cinque anni alla società Deluxe Digital Rome, interamente partecipata da Deluxe Italia Holding, a sua volta facente parte del gruppo internazionale Deluxe Ltd; la cessione del personale del laboratorio sviluppo e stampa con contratto di affitto di tre anni, con verifica al diciottesimo mese e possibilità di recesso immediato;
   contemporaneamente all'elaborazione del piano industriale, è stato stipulato un contratto tra Cinecittà e Deluxe, a soli fini commerciali, per l'uso congiunto del marchio «Cinecittà Deluxe»;
   nonostante i lavoratori si siano duramente opposti, nel mese di settembre 2012, la società ha provveduto a formalizzare i contratti di affitto e vendita dei reparti interessati e, nel mese di dicembre 2012 è stato firmato un accordo suddiviso in due parti tra il Ministero dei beni e delle attività culturali – direzione generale del cinema, rappresentanti aziendali, nonché parti sociali, con esclusione dell'UGL;
   la prima parte del menzionato accordo prevede la conferma della destinazione del sito ad attività cinematografica, stabilendo i termini di pagamento dell'affitto, reciproci impegni per il rilancio dell'area, cui devono sottendere la soluzione di situazioni pendenti quali, ad esempio, la sanatoria della situazione di morosità della Cinecittà Studios nei confronti del Ministero, prevedendo, altresì, l'impiego di nuove risorse economiche rispetto «all'area di sviluppo di Cinecittà Studios» anziché provvedere all'ammodernamento e messa in sicurezza degli edifici e delle attività produttive ad essi collegati come precedentemente disposto nel contratto di affitto;
   nella seconda parte dell'accordo, invece di procedere alla collocazione del personale delle costruzioni scene in Cinecittà allestimenti e tematizzazioni, è stata disposta l'applicazione dei contratti di solidarietà, facendo salvi, a quanto consta all'interrogante, tutti i vertici aziendali e, in generale, quelle risorse che, a mera discrezione dell'azienda, sono considerate indispensabili all'attività; di fatto, le retribuzioni a maggior impatto sul bilancio sono rimaste integre, perfino nella parte accessoria e premiale, mentre gli stipendi degli operai sono stati decurtati del 25 per cento;
   nel mese di gennaio 2013 il Ministero dei beni e delle attività culturali ha reso noto che aveva in parte provveduto al proprio impegno economico per gli studi accatastando l'area interessata alle nuove costruzioni, già inserita nel nuovo piano regolatore e con i progetti autorizzati dal X municipio di Roma;
   in data 27 agosto 2013, è entrato in vigore il decreto emanato dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, in attuazione di quanto previsto dall'articolo 14, comma 11, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98 (convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), pertanto, Cinecittà Luce spa è stata posta in liquidazione, con operazione non ancora terminata, sotto la direzione del direttore generale per il cinema presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, dottor Nicola Borrelli, e trasferita alla Ligestra Quattro srl, società interamente controllata da Finteca-Cassa depositi e prestiti e da quest'ultima designata per procedere all'operazione di liquidazione;
   intanto, a distanza di un anno dalla firma degli accordi per l'applicazione dei contratti di solidarietà risulterebbe che l'azienda Cinecittà Studios denunci in bilancio una maggiorazione del proprio deficit economico, adducendo quale maggiore causa il costo del personale;
   per quanto concerne il personale della Post Produzione-settore laboratorio, la Deluxe sta provvedendo al recesso anticipato del contratto di affitto di ramo di azienda, con il conseguente avvio delle procedure di restituzione di ramo di azienda e l'annuncio dell'entrata in cassa integrazione guadagni straordinaria del suddetto personale da parte di Cinecittà Digital Factory;
   attualmente, dunque, si pone, in primo luogo, la necessità di attuare idonee politiche di lavoro per le risorse lavorative che operano all'interno di Cinecittà, con professionalità specifiche, nonché rispetto all'indotto complessivo degli addetti, delle professioni e delle aziende che operano in Italia nel settore della produzione cinematografica, che si stima essere di circa 8000 risorse direttamente impegnati nel settore dello spettacolo e del cinema, 12.000 aziende che lavorano nel settore della produzione di contenuti, 250.000 persone impegnate nella filiera produttiva e nelle tecnologie comunque collegate;
   inoltre, si pone il quesito di quale possa essere la destinazione del rilevante patrimonio immobiliare pubblico della disciolta Cinecittà Luce spa costituito da edifici di grande valore storico e monumentale, destinati all'intero ciclo della produzione cinematografica e televisiva, e da edifici più recenti e terreni di completamento del compendio storico degli stabilimenti;
   a parere dell'interrogante, gli studios di Cinecittà ed il relativo patrimonio, noti per eccellenza e rilievo internazionale nel settore cinematografico, sono stati oggetto di attività che appaiono speculative e che hanno giovato, unicamente, ai privati investitori coinvolti, i quali hanno promosso un business attraverso l'utilizzo del marchio «Cinecittà» per dare vita ad attività commerciali che hanno nel tempo snaturato e mortificato la reale destinazione degli Studios, danneggiando gravemente il polo cinematografico in questione;
   al riguardo, difatti, tra i vari articoli di stampa, si apprende dal sito www.dagospia.com l'articolo, del 17 dicembre 2013, intitolato: «Il falò delle vanità – Il rogo della casa del “Grande Fratello” ha scoperchiato le magagne di Cinecittà: i suoi bandi azionisti (Abete, Della Valle e De Laurentis) non investono e gli Studios cadono a pezzi»;
   è necessario recuperare, attraverso azioni immediate ed urgenti gli studi di Cinecittà attraverso politiche che consentano di rilanciare il settore cinematografico, incrementandone la competitività sul mercato nazionale ed internazionale;
   altresì, deve essere attuato un piano che regoli la tutela dei rapporti di lavoro esistenti e che, nel lungo periodo, preveda la creazione di nuovi posti di lavoro –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali siano i motivi per i quali, ad oggi, a quanto è dato sapere, non siano stati adottati provvedimenti a fronte dello stato di morosità dell'affittuario Cinecittà Studios;
   quali siano i motivi per i quali il marchio «Cinecittà» sia stato ceduto ad investitori privati per l'utilizzo a fini commerciali, in attività differenti da quella cinematografica, che anziché determinare un positivo impatto sul settore specifico, potenzialmente costituisce un danno allo stesso, in quanto ne vengono snaturati i caratteri distintivi;
   quali siano i motivi per i quali si continui ad investire risorse economiche per la costruzione di nuove strutture, non procedendo alla messa in sicurezza ed all'ammodernamento strutturale e tecnologico degli edifici esistenti, considerando che, da quanto è dato sapere, i privati investitori, con a capo Luigi Abete, si erano impegnati a investire sette milioni di euro per rilanciare la struttura e compiere le predette iniziative;
   se e quali iniziative urgenti intendano adottare i Ministri interrogati per adottare e mettere in atto un piano di recupero degli studi di Cinecittà che preveda il rilancio delle attività produttive e la valorizzazione delle strutture per ridare prestigio all'attività cinematografica, adottando altresì le necessarie misure per la salvaguardia degli attuali livelli occupazionali nonché la creazione di nuovi posti di lavoro;
   se e quali iniziative di competenza intendano promuovere, affinché si eviti il rischio di impropri utilizzi del polo cinematografico in questione a fini commerciali non connessi al rilancio dell'attività cinematografica, vincolando l'utilizzo del marchio «Cinecittà» alle sole iniziative e attività che concernono il settore cinematografico. (4-03806)


   L'ABBATE, SCAGLIUSI, CARIELLO, D'AMBROSIO, DE LORENZIS e BRESCIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   si richiamano l'interrogazione scritta 4/02307, trasformata in interrogazione a risposta in commissione 5/01687 e la relativa risposta del sottosegretario allo sviluppo economico pro tempore Claudio De Vincenti ed il conclamato interesse pubblico nella realizzazione della «Cittadella dell'Economia di Capitanata» per evitare il possibile sperpero di denaro pubblico;
   si richiamano altresì le nuove disposizioni previste dall'articolo 72 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, nonché il decreto 22 gennaio 2008, n. 37, e le disposizioni in materia di «dichiarazione di conformità degli impianti» e «certificato di agibilità»;
   sia i SAL sia le perizie di variante sulla «Cittadella dell'Economia di Capitanata», sottoscritti dal consorzio CAT e dal committente CCIAA Foggia, evidenziano come la società «Dema Impianti S.r.l.» abbia effettuato tutti i lavori di categoria OS28 ed abbia maturato una situazione creditoria nei confronti del CAT pari a oltre euro 900.000. Medesima situazione per la società «Tecnoelettra S.r.l.» che ha realizzato parte dei lavori categoria OS30, lavorando in cantiere sino alla comunicazione del fallimento del consorzio CAT (3 aprile 2013) ed incrementando la propria situazione creditoria verso CAT per circa euro 380.000;
   alla luce di questa situazione creditoria verso CAT e del fallimento del consorzio, la «Dema» in data 8 novembre 2013 e la «Tecnoelettra» in data 18 novembre 2013 avrebbero presentato, a quanto consta agli interroganti, «diffida a modificare e certificare gli impianti realizzati» di Categoria OS30 e OS28;
   la società mandataria CCC di Bologna, appreso del fallimento del consorzio CAT, in data 24 giugno 2013, per quanto risulta agli interroganti, ha chiesto al CCIAA Foggia il subentro di un'altra sua ditta consorziata, il CEIF di Forlì, che dovrebbe dare continuità ed ultimare le opere impiantistiche residue e chiedendo una proroga al 31 ottobre 2013 per l'ultimazione dei lavori. In data 7 agosto 2013, la CCIAA Foggia attesta che i lavori al SAL n. 10 (19 dicembre 2012) sono giunti al 95,06 per cento ed autorizza l'ingresso in cantiere della ditta CEIF per completare le residue lavorazioni impiantistiche –:
   se, alla data del 31 ottobre 2013, i lavori impiantistici e strutturali siano stati ultimati, visto che gli stessi sono certificati dall'ente essere già al 95,06 per cento alla data del 19 dicembre 2012 e quali società, in questo caso, abbiano certificato gli impianti realizzati dalle società «Dema» e «Tecnoelettra»;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della fase di stallo creatasi dal mancato rilascio delle certificazioni delle società che hanno eseguito i lavori, come previsto dalla normativa, e come intendano adoperarsi per garantire l'apertura della «Nuova Cittadella dell'Economia» alla luce dei finanziamenti statali dedicati a tale opera. (4-03810)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Castelli e altri n. 1-00348, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 febbraio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sibilia.

  La mozione Biondelli e altri n. 1-00351, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 febbraio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Micheli.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in commissione Rizzetto e altri n. 5-02215, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 febbraio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Spessotto.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato dell'interpellanza urgente Andrea Romano n. 2-00410, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 171 dell'11 febbraio 2014.

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   come è noto, la riforma delle circoscrizioni giudiziarie ha creato disparità e molteplici disfunzioni, senza ottenere affatto il miglioramento del servizio per i cittadini nonché il risparmio economico che erano alla base della legge 148 del 14 settembre 2011;
   il 6 febbraio 2014, una delegazione di parlamentari di Scelta Civica ha rappresentato al Guardasigilli la necessità di rafforzare, almeno per il presente, l'attività civile in atto presso il soppresso Tribunale di Alba (che la riforma ha accorpato ad Asti), in attesa che la commissione ministeriale, appositamente costituita con decreto 19 settembre 2013, potesse compiutamente valutare le difficoltà incontrate dagli operatori del settore, successivamente alla data del 14 settembre 2013;
   è opportuno ricordare che il Ministro, con decreto 13 settembre 2013, ha individuato otto tribunali che, per dimensione, carichi pendenti, specifiche situazioni territoriali, si distinguevano dalle altre sedi soppresse ed erano ritenuti meritevoli di ulteriori valutazioni;
   non sfugge al Ministro che tale provvedimento trovava la sua giustificazione nell'implicita ammissione che, nel dare attuazione alla legge n. 148 del 2011, si erano commessi alcuni errori che avevano portato ad esiti improponibili, con la soppressione di tribunali di medie dimensioni e il mantenimento di altre sedi giudiziarie con popolazione e volumi di attività di gran lunga inferiori e che tali errori erano meritevoli di correzione;
   il giorno seguente l'incontro suddetto, il presidente del tribunale di Asti, senza alcun preavviso al Consiglio dell'ordine o al sindaco di Alba – città proprietaria dell'immobile – ha revocato la disposizione di utilizzo dell'edificio già sede del soppresso tribunale per la trattazione dei giudizi civili e delle controversie di lavoro, pendenti alla data del 13 settembre 2013;
   tale decisione – sebbene assunta nell'esercizio di una funzione organizzativa normalmente attribuita a quell'ufficio – si appalesava in evidente contrasto con la procedura eccezionale intrapresa dal dicastero con il ricordato decreto del 13 settembre 2013, tanto che la sua efficacia è stata poi differita di quattro mesi;
   le procedure connesse al trasferimento del personale vengono attuate secondo tempi e modi prestabiliti, e il presidente del tribunale di Torino, con nota del 3 marzo 2014, assegna ai dipendenti interessati tre giorni per eventualmente revocare le domande di assegnazione di nuova sede, a suo tempo presentate –:
   se non ritenga di dare attuazione concreta al più volte citato decreto del 13 settembre, sospendendo le procedure di attuazione della riforma nelle otto sedi di tribunale individuate in quel provvedimento.
(2-00410)
«Andrea Romano, Monchiero, Rabino».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta orale Antimo Cesaro n. 3-00584 del 23 gennaio 2014;
   interrogazione a risposta orale Sberna n. 3-00619 del 6 febbraio 2014;
   interrogazione a risposta scritta Nardi n. 4-03536 dell'11 febbraio 2014;
   interrogazione a risposta scritta Giancarlo Giorgetti n. 4-03584 del 13 febbraio 2014;
   interpellanza Gigli 2-00414 del 19 febbraio 2014;
   interrogazione a risposta scritta Pili n. 4-03702 del 24 febbraio 2014.

ERRATA CORRIGE

  Nell'Allegato B ai resoconti della seduta del 14 febbraio 2014, alla pagina 9869, prima colonna, le righe dalla decima alla quarantasettesima si intendono soppresse.

  Interrogazione a risposta scritta Sarti e altri n. 4-03772 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 181 del 27 febbraio 2014.
  Alla pagina 10204, prima colonna, dalla riga undicesima alla riga dodicesima deve leggersi: «ad oggi, trascorsi ormai ben tre anni, la situazione urbanistica del comune» e non «ad oggi, trascorsi ormai ben cinque anni, la situazione urbanistica del comune», come stampato.
  Alla pagina 10204, prima colonna, dalla riga quarantunesima alla riga quarantaduesima deve leggersi: «di tre anni, non si è ancora determinata in merito e non «di cinque anni, non si è ancora determinata in merito –» come stampato.