Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 185 di venerdì 7 marzo 2014

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI

  La seduta comincia alle 9,05.

  ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Baretta, Bindi, Biondelli, Bocci, Boccia, Michele Bordo, Boschi, Brunetta, Casero, Castiglione, Antimo Cesaro, Cicchitto, Dambruoso, De Girolamo, Dellai, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Ferranti, Fico, Fontanelli, Franceschini, Galan, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Lotti, Lupi, Giorgia Meloni, Migliore, Orlando, Pes, Gianluca Pini, Pisicchio, Pistelli, Realacci, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Sisto, Speranza, Valeria Valente, Velo, Vito e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente sessantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

  Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio di petizioni (ore 9,10).

  PRESIDENTE. Invito il deputato segretario a dare lettura delle petizioni pervenute alla Presidenza, che saranno trasmesse alle sottoindicate Commissioni.

  ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretario, legge:
   SALVATORE ACANFORA, da Roma, chiede:
    il ritiro dalla circolazione delle monete da 1 e 2 centesimi (539) – alla V Commissione (Bilancio);
    l'abolizione del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (540)alla I Commissione (Affari costituzionali);
    la riduzione delle spese militari, anche tramite riduzione del numero degli alti ufficiali (541) – alla IV Commissione (Difesa);
    l'abolizione della patente a punti (542) – alla IX Commissione (Trasporti);
    l'abolizione del ticket sui farmaci (543) – alla XII Commissione (Affari sociali);
   BRUNO JACOMELLI, da Castagnole delle Lanze (Asti), chiede la creazione, nell'ambito delle Forze di polizia, di nuclei di esperti in materia di emissioni pericolose tramite apparecchi elettronici (544) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
   ANTONIO MINARDI, da Piane Crati (Cosenza), chiede agevolazioni tariffarie e fiscali per i percettori di redditi medio-bassi (545) – alle Commissioni riunite VI (Finanze) e X (Attività produttive);
   MAURIZIO BELLINI, da Roma, e GIUSEPPE DI SALVO, da Ragusa, chiedono interventi in favore dei laureati in Pag. 2Scienze infermieristiche in servizio nella Polizia di Stato (546) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
   IOLE NATOLI, da Milano, e numerosissimi altri cittadini chiedono l'introduzione del principio della «prossimità neonatale» ai fini dell'attribuzione del cognome dei figli (547) – alla II Commissione (Giustizia);
   ANTONIO MONTANO, da Guardia Perticara (Potenza), chiede misure a tutela dei querelati per diffamazione a mezzo stampa in caso di riconoscimento della loro innocenza (548) – alla II Commissione (Giustizia);
   RAFFAELE CARCANO, da Roma, e numerosissimi altri cittadini chiedono la denuncia del Concordato lateranense e dei successivi accordi con la Santa Sede, l'abrogazione degli articoli 7 e 8 della Costituzione, con l'introduzione espressa del principio della laicità dello Stato, e l'adozione di una normativa organica in tema di tutela della libertà di coscienza (549) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
   BORIS ZANAROLI, da Reggio Emilia, e numerosissimi altri cittadini chiedono:
    la riforma della legge elettorale con l'introduzione di un sistema uninominale maggioritario a doppio turno, la scelta dei candidati attraverso elezioni primarie e la decadenza dei parlamentari che aderiscono a un gruppo politico diverso da quello di elezione (550) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
    l'istituzione di un'Assemblea costituente ai fini della trasformazione dell'Italia in una Repubblica federale (551) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
    una disciplina organica per l'attuazione dell'articolo 49 della Costituzione, anche con l'attribuzione della responsabilità giuridica ai partiti politici e l'abolizione del finanziamento pubblico (552) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
    misure diverse per la riduzione dei costi del sistema dei partiti e per la riduzione e riqualificazione della spesa pubblica nel suo complesso (553) – alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e V (Bilancio);
   IGOR CELOTTO, da Prata di Pordenone (Pordenone), e numerosi altri cittadini chiedono:
    iniziative per la fuoriuscita dell'Italia dall'euro, per la sospensione dei trattati dell'Unione europea che limitano la sovranità nazionale e per l'azzeramento del debito pubblico nei confronti degli organismi finanziari internazionali (554) – alle Commissioni riunite III (Affari esteri) e V (Bilancio);
    l'inserimento in Costituzione del diritto di resistenza all'oppressione (555) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
   STEFANO CASTENETTO, da Tarcento (Udine), e numerosi altri cittadini chiedono la tempestiva adozione di interventi per il trasferimento allo Stato della proprietà delle quote di partecipazione della Banca d'Italia (556) – alla VI Commissione (Finanze);
   STEFANO CONTINI, da Roma, e numerosi altri cittadini chiedono:
    iniziative per la fuoriuscita dell'Italia dai trattati dell'Unione europea e per la reintroduzione della sovranità monetaria italiana (557) – alle Commissioni riunite III (Affari esteri) e V (Bilancio);
    il trasferimento allo Stato della proprietà delle quote di partecipazione della Banca d'Italia (558) – alla VI Commissione (Finanze);
   LUCA COLOMBINI, da Tolmezzo (Udine), e numerosi altri cittadini chiedono l'introduzione del reddito di cittadinanza (559) – alle Commissioni riunite XI (Lavoro) e XII (Affari sociali);
   NADIYA STOYKO, da Roma, chiede interventi a sostegno delle istanze di ampi settori del popolo ucraino per istituzioni democratiche e rappresentative (560)alla III Commissione (Affari esteri).

Pag. 3

Nomina dei componenti della Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo e annunzio della sua convocazione.

  PRESIDENTE. Comunico che la Presidente della Camera ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo, istituita con deliberazione della Camera del 25 settembre 2013, i deputati Davide Baruffi, Franco Bordo, Mario Borghese, Francesco Cariello, Mario Caruso, Mario Catania, Susanna Cenni, Marco Donati, Mattia Fantinati, Filippo Gallinella, Vincenzo Garofalo, Lorena Milanato, Colomba Mongiello, Alessandra Moretti, Gianluca Pini, Fabio Rampelli, Paolo Russo, Giovanni Sanga, Angelo Senaldi, Elisa Simoni, Luigi Taranto.
  Comunico inoltre che la Commissione è convocata per giovedì 13 marzo 2014, alle ore 14, presso la sede di palazzo San Macuto, per procedere alla propria costituzione.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Vendola ed altri; Bellanova ed altri: Disposizioni in materia di modalità per la risoluzione consensuale del contratto di lavoro per dimissioni volontarie (A.C. 254-272-A) (ore 9,15).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato n. 254-272-A: Disposizioni in materia di modalità per la risoluzione consensuale del contratto di lavoro per dimissioni volontarie.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 6 marzo 2014.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 254-272-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la XI Commissione (Lavoro) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire la relatrice, onorevole Patrizia Maestri.

  PATRIZIA MAESTRI, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vado a trattare un provvedimento volto a contrastare la pratica delle cosiddette dimissioni in bianco, sulla base della quale allo stesso lavoratore e più spesso alla donna lavoratrice si chiede la sottoscrizione di una lettera di dimissioni al momento dell'assunzione, e quindi nel momento in cui la loro posizione è più debole, ai fini di un suo successivo utilizzo.
  In via preliminare, occorre ricordare che, su tale materia, il legislatore è intervenuto più volte nel corso delle passate legislature; dapprima, la legge n. 188 del 2007 aveva disposto che la validità della lettera di dimissioni volontarie presentata dal prestatore d'opera, in cui si parla di lavoratori subordinati e cosiddetti lavoratori parasubordinati, e volta a dichiarare l'intenzione di recedere dal contratto di lavoro, fosse subordinata all'utilizzo, a pena di nullità, di appositi moduli predisposti e resi disponibili gratuitamente dagli uffici provinciali del lavoro e dagli uffici comunali.
  In seguito, sulla base di presunte difficoltà emerse in sede di applicazione della normativa, l'articolo 39, comma 10, del decreto-legge n. 112 del 2008 ha disposto l'abrogazione della legge n. 188 del 2007, pur lasciando impregiudicato l'impianto normativo a tutela dei lavoratori, e in particolare delle donne lavoratrici, di cui agli articoli 54 e 56 del decreto legislativo n. 151 del 2001 e all'articolo 35, comma 4, Pag. 4del decreto legislativo n. 198 del 2006, che disciplinano specifiche ipotesi relativamente alla maternità, alla presenza di figli fino a tre anni e del matrimonio. Del tema si è quindi interessata nuovamente, nel corso della XVI legislatura, la Commissione lavoro della Camera dei deputati, che aveva avviato l'esame di alcune proposte di legge senza peraltro pervenire all'adozione di un testo unificato. Sulla materia, infine, è intervenuta la legge n. 92 del 2012, la cosiddetta legge Fornero, che ha introdotto nuovi meccanismi di tutela basati sull'inasprimento e sull'allargamento dei controlli, che tuttavia si sono dimostrati farraginosi e insufficienti. Si è così registrato un aggravamento del dato relativo al fenomeno delle dimissioni in bianco, fenomeno rispetto al quale la proposta in esame mira a porre rimedio, abrogando la normativa introdotta dalla legge Fornero e prevedendo, sulla scia di quanto era originariamente previsto dalla legge n. 188 del 2007, modalità di sottoscrizione delle lettere in oggetto, utilizzando moduli con validità temporale definita e un codice di identificazione che ne impedisca la manomissione.
  Con questo provvedimento si affronta quindi un tema che praticamente riguarda l'occupazione, soprattutto quella delle donne, femminile, ma non solo. Affronta la tutela del lavoro complessivamente e il contrasto agli abusi quando i lavoratori sono più deboli, e parlo di gravidanza e di malattia. Le dimensioni di questo fenomeno si sono ampliate: l'ISTAT, nel 2010, ci parla di circa 800 mila donne in maternità che si sono dimesse per pressioni del datore di lavoro. Parliamo, quindi, di imprese che interpretano la flessibilità del lavoro e la competizione in modo scorretto: una concorrenza sleale rispetto ad imprese serie, che non utilizzano simili comportamenti.
  Con la lettera di dimissioni firmata in bianco il lavoratore è costantemente sotto un ricatto, perché sa che l'impresa può utilizzarla in qualsiasi momento, e tutto ciò è reso ancora più grave a causa della lunga e profonda crisi economica che ha distrutto il sistema economico e sociale, e ha anche ridotto il livello dei diritti e delle tutele. È una pratica ingiusta, che colpisce soprattutto il lavoro delle donne, alle quali non viene ancora riconosciuto il valore sociale della maternità – vista, quindi, come un ostacolo all'occupabilità –, donne che ancora scontano discriminazioni nelle stesse retribuzioni, donne alle quali viene solamente riconosciuta la parità punitiva dell'età pensionabile, donne che, ancora oggi, faticano a vedere realizzata la parità di genere nella legge elettorale che è in discussione in questi giorni.
  Sappiamo che esiste un problema di occupazione femminile in Italia, se, a gennaio 2013, essa si attesta ad una percentuale del 46,4 per cento, quasi 13 punti in meno rispetto alla media europea. Questo provvedimento potrebbe, quindi, aiutare ad aumentare quel 46,4 per cento. Non va, però, dimenticato che nella proposta di legge in esame, comunque, rientra anche una volontà di semplificazione, che aiuterebbe concretamente imprese e lavoratori attraverso modalità che vado quindi ad illustrare.
  Il testo unificato in esame si compone di un solo articolo, suddiviso in sette commi. Segnalo, in primo luogo, che il comma 1 prevede che, fatto salvo quanto stabilito dall'articolo 2118 del codice civile, la lettera di dimissioni volontarie deve essere sottoscritta, pena la sua nullità, dalla lavoratrice, dal lavoratore, dalla prestatrice d'opera o dal prestatore d'opera su appositi moduli resi disponibili gratuitamente dalle direzioni territoriali del lavoro, dagli uffici comunali e dai centri per l'impiego.
  Il comma 2 prevede l'ambito di applicazione del provvedimento, che riguarda qualsiasi contratto inerente ai rapporti di lavoro subordinato, nonché il contratto di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, il contratto di collaborazione di natura occasionale, il contratto di associazione in partecipazione, nonché il contratto di lavoro instaurato dalle cooperative con i propri soci.
  Il comma 3 disciplina il contenuto e le caratteristiche dei moduli di dimissioni di Pag. 5cui al comma 1, che sono realizzati secondo direttive definite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. La nuova disciplina intende assicurare una semplificazione degli oneri amministrativi connessi alla risoluzione del contratto per dimissioni volontarie, salvaguardando, tuttavia, l'esigenza di garantire la certezza dell'identità del lavoratore richiedente e il rispetto del termine di validità del modulo di dimissioni. Infine, il comma 6 indica le norme che vengono abrogate, mentre il comma 7 reca la clausola di invarianza finanziaria.
  Quindi, questo provvedimento non ha costi aggiuntivi. Faccio presente che sul testo unificato in oggetto sono stati espressi i pareri favorevoli delle Commissioni I, II e X, mentre la Commissione XII e la Commissione per le questioni regionali hanno espresso parere favorevole con una osservazione. Faccio notare, inoltre, che la V Commissione non ha espresso il prescritto parere sul testo unificato in oggetto, avendo deliberato, nella seduta del 5 marzo 2014, di richiedere al Governo, ai sensi dell'articolo 17, comma 5, della legge n. 196 del 2009, la predisposizione, entro il termine di dieci giorni, di una relazione tecnica volta a quantificare gli eventuali oneri derivanti dal provvedimento.
  A fronte della decisione della Conferenza dei presidenti di gruppo di ieri, che ha confermato l'avvio della discussione sulle linee generali del provvedimento nella giornata di oggi, la Commissione ha deciso, comunque, di conferire al relatore il mandato a riferire favorevolmente in Assemblea, anche in considerazione del fatto che, con ogni probabilità, la relazione tecnica non potrà che confermare l'assenza di nuovi oneri per la finanza pubblica.
  A questo punto, tuttavia, l'esame in Assemblea potrà chiarire definitivamente gli ulteriori passaggi istruttori, soprattutto sui profili di carattere finanziario, la cui analisi sarà demandata, per l'appunto, al Comitato dei nove ed alla stessa Commissione bilancio. Il Comitato dei nove potrà inoltre valutare le osservazioni contenute nei pareri resi dalle Commissioni ed alcuni miglioramenti alla stesura formale del testo.
  In proposito, mi limito ad osservare che vi sono ancora margini per risolvere delle questioni ancora aperte, confidando nella disponibilità dei gruppi a confrontarsi con lealtà e spirito di collaborazione, in vista di possibili miglioramenti del testo. Un provvedimento – concludo – che ha una finalità doppia, ripeto, da un lato, quella di semplificare una procedura che era stata resa complessa dall'ultima legge Fornero, ma anche quella sostanzialmente, di essere un deterrente ed un contrasto alla pratica ingiusta ed odiosa che, ancora oggi, colpisce tante lavoratrici e tanti lavoratori nel nostro Paese con le dimissioni in bianco (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

  FRANCA BIONDELLI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Cinzia Maria Fontana. Ne ha facoltà.

  CINZIA MARIA FONTANA. Signor Presidente, signore rappresentanti del Governo, colleghe e colleghi, la relatrice, onorevole Maestri, ha non solo ampiamente illustrato i contenuti del provvedimento oggi in esame, ma anche i percorsi e i passaggi che, sul tema delle dimissioni in bianco, hanno interessato i lavori parlamentari della XV, XVI e XVII legislatura. Ero qui alla Camera nel 2007, quando approvammo, praticamente all'unanimità (430 voti favorevoli su 433 votanti), la legge n. 188. C'era, in quella discussione, un filo conduttore che attraversò gli interventi di tutti i gruppi, e cioè che con Pag. 6quel provvedimento si metteva un altro tassello per garantire l'esercizio concreto dell'articolo 35 della Costituzione, in base al quale la Repubblica deve tutelare il lavoro, che invece, con la vergognosa pratica delle dimissioni in bianco, subiva un'inaccettabile, insopportabile e palese violazione.
  Il regolamento applicativo fu approvato nel gennaio 2008, a Camere sciolte, e la legge non poté perciò esplicare i suoi effetti, visto che, pochi mesi dopo, con l'insediamento del Governo Berlusconi, venne immediatamente abrogata. Forte fu, negli anni successivi, la sollecitazione derivante dal Paese a dare un segnale di civiltà per contrastare una pratica odiosa come quella delle dimissioni in bianco.
  Nel 2012 abbiamo reintrodotto, all'interno della legge Fornero sul mercato del lavoro, una serie di disposizioni che puntavano all'inasprimento e all'allargamento dei controlli, con un meccanismo a valle di condanna amministrativa, con un doppio percorso, uno alternativo all'altro. Questo meccanismo risulta però farraginoso, insufficiente ed aggirabile. Da queste considerazioni, quindi, scaturisce la proposta del testo unificato oggi all'esame dell'Aula, testo unificato di due proposte di legge, una del gruppo di SEL ed una del nostro gruppo, il PD, a prima firma della collega Bellanova, oggi sottosegretario proprio al Ministero del lavoro.
  Il testo unificato si pone l'obiettivo di prevenire a monte l'abuso della firma in bianco.
  Vorrei sgombrare subito il campo da alcuni equivoci, che rischiano di farci fare una discussione sbagliata e distorta e di creare incomprensioni fra di noi su un tema su cui il consenso dovrebbe essere invece il più alto possibile.
  Primo equivoco: la norma sarebbe vessatoria nei confronti dei datori di lavoro, perché complicherebbe la vita delle imprese. Voglio qui contestare fermamente questa tesi, che non incarna, anzi distorce lo spirito reale del provvedimento.
  In primo luogo, per una ragione di fondo: perché considero oggi veramente fuori luogo e fuori tempo che una norma di buonsenso, di tutela e di giustizia verso chi è più debole venga vissuta come contrapposizione all'impresa.
  In secondo luogo, perché anche questo è un servizio alle imprese sane, che sono tante e che, applicando correttamente le leggi e i contratti, subiscono la concorrenza sleale di coloro che abbattono i costi, evadendo obblighi e responsabilità sociali. Insomma, uno strumento di giustizia per i lavoratori e per le stesse imprese.
  Secondo equivoco: la norma introdurrebbe rigidità ed ulteriore burocrazia. Al contrario, io qui voglio evidenziare che la proposta, nel prevedere l'utilizzo di semplici moduli numerati facilmente scaricabili da Internet da parte del lavoratore per evitare inutili procedure burocratiche, va proprio nella direzione della semplificazione e del superamento di un meccanismo tortuoso e poco chiaro come è quello oggi in vigore. È semmai nel decreto attuativo, che il Ministero deve disporre, che chiediamo di prestare particolare attenzione alla procedura affinché abbia proprio l'obiettivo vero di una semplificazione.
  Terzo equivoco: la norma avrebbe un sapore squisitamente ideologico. Voglio sottolineare che le dimissioni in bianco sono, prima di tutto, una pratica illegale che va contrastata come tale attraverso norme che ne evitino l'abuso. Una pratica illegale tanto più ignobile in quanto colpisce lavoratrici e lavoratori attraverso un abuso di potere e una lesione della loro dignità. Tra questi poi colpisce in misura maggiore le donne e, in particolare, le donne che scelgono la maternità. Dovremmo quindi considerare ideologia difendere il valore sociale della maternità e il valore sociale del lavoro delle donne (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Sinistra Ecologia Libertà) ?
  Per noi questo provvedimento va considerato, molto semplicemente, come un'ulteriore politica pubblica che promuove la buona e giusta occupazione, che affronta un tema di civiltà e lo affronta con un approccio preventivo e non punitivo repressivo. Auspico veramente che nel Pag. 7prosieguo dei lavori si trovi la convergenza più ampia di tutti i gruppi parlamentari per arrivare all'approvazione di una norma di civiltà, una norma che può solo tenerci in sintonia con le esigenze profonde di dignità del mondo del lavoro.
  Concludo sottolineando che considero un bel segnale, un segnale positivo che questa Camera abbia deciso di avviare la discussione sulle linee generali alla vigilia della giornata dell’ 8 marzo (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Titti Di Salvo. Ne ha facoltà.

  TITTI DI SALVO. Signor Presidente, è già stato detto dall'ottima relazione della relatrice e dall'intervento dell'onorevole Cinzia Fontana – ma io ci tengo a ribadirlo – che cosa sono le dimissioni in bianco. Infatti, un grande movimento di opinione su questo argomento, il lavoro fatto da molte parlamentari in queste aule dal 2007, ha ottenuto un risultato. Il primo risultato è affermare nel senso comune che cosa sono le dimissioni in bianco e che cosa non devono più essere.
  Le dimissioni in bianco sono una lettera che viene fatta firmare al momento dell'assunzione, cioè quando una persona è particolarmente debole, e quella lettera di dimissioni rimarrà nei cassetti di chi l'ha fatta firmare per tutta la durata del rapporto di lavoro.
  Ci tengo a sottolineare questo punto perché non è soltanto un fatto definitorio, ma perché le dimissioni in bianco non caratterizzano, secondo un abuso, il momento dell'assunzione ma tutto il rapporto di lavoro e lo condizionano fino alla fine. Non è soltanto un atto, un abuso che determina e configura l'assunzione di quella persona, ma configurerà le modalità con cui quella persona potrà con minore libertà, avendo sulle spalle una spada di Damocle, esercitare il suo rapporto di lavoro. Questo comportano per le lavoratrici e i lavoratori le dimissioni in bianco, e per le imprese comportano, invece, un altro fatto estremamente negativo: anche questo va definito per bandire dalla nostra discussione un argomento veramente privo di senso, e cioè che impedire un ricatto sia un danno per le imprese. È, invece, un vantaggio per le imprese sane, perché utilizzare le dimissioni in bianco come modalità attraverso cui si può interrompere un rapporto di lavoro, modalità illegale, vuol dire esercitare una concorrenza sleale nei confronti di quelle imprese sane che di questo abuso fanno senz'altro a meno.
  Chiarito di cosa stiamo parlando, vorrei soffermarmi su un secondo punto. È stato già detto come questo argomento sia stato affrontato nel tempo, sicuramente dal 2007. Ma, per la verità, anche prima alcune Ministre hanno provato ad affrontare l'argomento: penso al Ministro Turco, penso al Ministro Prestigiacomo, che, nel codice delle pari opportunità, hanno provato ad affrontare un problema che continuava a manifestarsi, quello di strane dimissioni volontarie date da donne vicino alla data della maternità o del matrimonio. E come si è affrontata, in quel caso, la situazione ? La si è affrontata chiedendo una verifica successiva al fatto attraverso un'azione di ispezione dell'Ispettorato del lavoro. Ma qui è il punto.
  È evidente che tentare di correggere successivamente un abuso, un ricatto che è già avvenuto non ha la medesima efficacia, non coglie il problema che dicevamo prima e, cioè, l'esercizio di un rapporto di lavoro che non può essere contrapposto a libertà, dignità e diritti. Cioè, non è che una persona per lavorare deve essere costretta a piegare la testa e firmare una dimissione volontaria finta, sapendo, per tutto il tempo che lavorerà, che quella lettera verrà tirata fuori. Correggere dopo, provare a correggere dopo l'abuso non risolve questo problema.
  Allora, le dimissioni in bianco si possono correggere nel modo che è stato detto e descritto dalla relatrice, che noi abbiamo provato, già nel 2007, a definire: un modulo, a costo zero, scaricabile da Internet, attraverso cui chi dovesse scegliere di dimettersi volontariamente dal posto di lavoro comunica questa decisione. Quindi, Pag. 8le dimissioni volontarie, secondo questo testo e quello del 2007, dovranno essere scritte non su carta bianca, ma su un modulo che non si può contraffare, perché ha una numerazione progressiva e, quindi – l'uovo di Colombo –, non si può esercitare l'abuso di cui si diceva.
  Non ha un costo, ha una funzione alta, che è quella di togliere dal tavolo l'abuso del ricatto, agisce nei confronti delle imprese sane, afferma un diritto di libertà delle persone. Se dovessi descrivere un provvedimento che ha caratteristiche migliori, non lo troverei: non ha costi, è semplice, aiuta le persone, aiuta le imprese, afferma i diritti di libertà, dice che il lavoro non può essere contrapposto ai diritti. A me sembra costituzionalmente un provvedimento perfetto, che risponde, cioè, ai criteri della Costituzione.
  Ora, ci sono opinioni diverse: sono queste opinioni che hanno portato nel tempo, prima, all'abrogazione della legge – veniva ricordato – dal Governo Berlusconi, senza che si potesse apprezzare il funzionamento della legge medesima – cioè, non era ancora entrata in vigore ed è stata abrogata – e, poi, ad una definizione del tema nella cosiddetta legge Fornero veramente complicatissima, veramente poco applicabile, ma, soprattutto, inefficace. Infatti, noi sappiamo che le dimissioni in bianco, con tutto il portato che hanno di concorrenza sleale per le imprese, di danno per la dignità delle persone, continuano ad esserci. È questo il punto. Allora, noi riproponiamo la semplicità di un modulo attraverso il quale quelle dimissioni si possano dare. Qui sta la ratio del provvedimento, poi c’è la dinamica politica.
  Io veramente faccio fatica ad immaginare – e auspico che, invece, lo si possa fare – come la razionalità di queste cose dette da me, dette da altre colleghe prima, non possa trovare un luogo di confronto privo dell'asprezza della competizione politica. Faccio veramente fatica a capire, perché è un provvedimento che non ha un costo per la collettività; peraltro, so che la Commissione bilancio ha chiesto una relazione tecnica di approfondimento, entro dieci giorni, anche in questo caso, faccio fatica ad apprezzare la proporzione tra l'oggetto della verifica e il tempo richiesto per la verifica stessa, ma non importa. Come dicevo, faccio fatica a capire perché su questo argomento non si possa, non si riesca ad andare oltre l'asprezza della contrapposizione politica del passato.
  Invito tutte le forze politiche, al di là delle bandiere che ovviamente ciascuno tiene ad alzare su questo provvedimento – lo dico per il mio gruppo parlamentare e per la mia forza politica, che ha investito su questo da sempre –, a pensare che ciò che dobbiamo avere di fronte, quando parliamo di questo argomento, e lo dico senza alzare i toni, a proposito di metterci la faccia, in questo caso è la faccia di ragazzi e ragazze che molto spesso, nel momento in cui si trovano a firmare un contratto di lavoro, hanno accanto a quel foglio l'altro foglio, quello delle dimissioni in bianco. La faccia di quella ragazza, che ho incontrato, qualche giorno fa, che lavorava in un bar e ha avuto un incidente d'auto per il quale ha riportato una frattura del bacino, alla quale, avendo firmato quella lettera al momento dell'assunzione, di fronte al fatto che la malattia ha avuto una degenza lunghissima, quella lettera è stata tirata fuori; la faccia di alcuni lavoratori immigrati (voi sapete che in alcuni uffici di regolarizzazione questi moduli di dimissioni in bianco sono stati tirati fuori, erano quasi allegati alle pratiche di regolarizzazione e sono emersi così, quasi per caso, come se si pensasse che fosse una delle pratiche) la faccia di tante ragazze, donne, terrorizzate dal fatto che se sono incinte, quel foglio possa essere tirato fuori. Voi sapete – sì le mie colleghe lo sanno, lo dico perché in questo momento in Aula siamo prevalentemente colleghe, ma ci sono anche dei colleghi – quante ragazze si fasciano, lo ripeto, si fasciano, lavorano fasciate per non far vedere la pancia ? Perché sanno che appena la pancia si vede, quel foglio verrà tirato fuori e verrà messa la data.
  Senza demagogia, con lo spirito di chi essendo in quest'Aula ha un dovere di responsabilità, il dovere di rispondere, appunto, Pag. 9alle persone, io credo che dovremmo pensare a quelle situazioni, a come risolvere, quel problema nell'Italia che, magari, canta le mamme e che ha una retorica sulle mamme che non finisce mai.
  Invito i colleghi delle altre forze politiche che hanno obiezioni su questo tema a pensare a questo e a come, quindi, il modulo che noi proponiamo, che il testo unificato propone, possa invece risolvere con semplicità questo problema. Poi, lo so, c’è un'obiezione che è stata proposta nella discussione in Commissione lavoro. So bene che il tema del rapporto tra donne che lavorano, lavoro e servizi è molto più complesso; lo so bene che di per sé questo provvedimento non risolve questo tema, però risolve il problema di quelle ragazze che si fasciano, per esempio, cioè il fatto che per lavorare non si deve pensare che si debba nascondere o la maternità, o un'opinione, o il fatto di tenere la testa alta perché se la si tiene alta quella lettera può essere tirata fuori.
  Insomma, mi sembra che la Commissione lavoro abbia fatto un buon lavoro con il testo unificato in esame, penso che questa discussione contribuisca a quel lavoro, le aule del Parlamento servono anche per il confronto; penso che una sola cosa non possiamo fare: non mettere un punto finale per provare a risolvere questo problema.
  Finisco facendo un'ultima considerazione, la citavo prima, la nominavano altre colleghe. Non mi permetto di sostenere che chi non la pensa come me è perché pensa che bisogna ricattare le persone, che bisogna vendicarsi, che bisogna cacciarle con il ricatto; non mi permetto di pensarlo. Voglio però chiedere soprattutto a chi non la pensa come me se non ritiene, anche in termini di costi per la collettività, che non sia meglio prevenire un abuso piuttosto che andare, dopo, a cercare la verità rispetto a una sospetta dimissione volontaria. Non è meglio prevenirla ? Io penso di sì. È questo l'oggetto del contendere, perché la legge Fornero, che ha nominato il tema, si pone il problema di come correggere quell'abuso, lo fa con una complicatissima procedura, propone successivamente l'onere della prova dell'abuso subito nei confronti della lavoratrice o del lavoratore, definisce sanzioni successive per l'imprenditore, nel caso in cui si registri l'abuso. Insomma, una procedura costosissima, costosa dal punto di vista dei costi dell'accertamento, inefficace perché le dimissioni continuano, improbabile, non necessaria se il Parlamento si assumesse la responsabilità di guardare in faccia quelle ragazze e quei ragazzi che subiscono questo ricatto e anche quelle imprese che scelgono di non trovare quella strada per la concorrenza, ma scelgono quella della qualità.
  Per questo, noi chiediamo a tutti di ragionare su questo tema con la laicità e la responsabilità necessaria per risolverlo (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Ecologia Libertà e Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Pizzolante, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato. Constato, altresì, l'assenza dell'onorevole Chiarelli, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
  È iscritta a parlare l'onorevole Rostellato. Ne ha facoltà.

  GESSICA ROSTELLATO. Signor Presidente, siamo qui oggi per discutere una proposta di legge che avrebbe come scopo quello di contrastare la pratica delle cosiddette dimissioni in bianco. Ribadisco, appunto, che tale pratica consiste nel far firmare le dimissioni al lavoratore o alla lavoratrice al momento dell'assunzione e riguarda prevalentemente le donne lavoratrici.
  È da tempo che vari Parlamenti e Governi che si sono susseguiti provano a trovare una soluzione a questo problema. La proposta di legge in discussione è la fotocopia riproposta della legge n. 188 del 2007, approvata durante il Governo Prodi, che disponeva che la validità della lettera di dimissioni volontarie presentata dal lavoratore e volta a dichiarare l'intenzione del medesimo soggetto di recedere dal contratto di lavoro fosse subordinata all'utilizzo di appositi moduli predisposti e Pag. 10resi disponibili gratuitamente dagli uffici provinciali del lavoro.
  Destinatari della norma erano tutti i datori di lavoro pubblici e privati e la disciplina si applicava ai contratti di lavoro subordinato, indipendentemente dalle caratteristiche della durata, ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, alle prestazioni occasionali di collaborazione, ai contratti di associazione in partecipazione nonché ai contratti di lavoro instaurati dalle cooperative con i propri soci.
  In seguito alle difficoltà, soprattutto di carattere burocratico, emerse in sede di applicazione della normativa, ed evidenziate soprattutto da parte delle aziende, nel primo anno del Governo Berlusconi, quindi nel 2008, venne disposta l'abrogazione della legge n. 188 del 2007. In tale contesto però rimaneva comunque in vigore l'impianto normativo a tutela dei lavoratori, e in particolare delle lavoratrici, in corrispondenza del matrimonio e della maternità con previsione di una convalida, da parte del servizio ispettivo del Ministero del lavoro competente per territorio, a maggior tutela delle categorie dei lavoratori che potevano essere maggiormente discriminati.
  Con la legge n. 92 del 2012, la cosiddetta legge Fornero, questa tutela è stata ampliata estendendo la tutela della lavoratrice o del lavoratore da uno ai primi tre anni di vita del bambino, ed è stato previsto che la normativa valga anche in caso di risoluzione consensuale del contratto di lavoro. La legge Fornero ha, inoltre, esteso la tutela prevista per le lavoratrici madri anche a tutti i lavoratori che si trovassero a dare dimissioni volontarie, e quindi a procedere con la convalida presso i centri per l'impiego e le direzioni territoriali del lavoro. Tale norma, seppur molto complessa nella sua formulazione, permette probabilmente di stabilire se le dimissioni del lavoratore siano state in qualche modo estorte da parte del datore di lavoro al lavoratore per la presenza di un funzionario che chiede direttamente al lavoratore se è sua effettiva volontà lasciare il posto di lavoro.
  L'unica falla che si può rilevare nella legge Fornero è nel comma 18 dell'articolo 4 che prevede, in alternativa a tale controllo, da parte di funzionari pubblici, la sottoscrizione del modello di comunicazione di cessazione al centro per l'impiego. È evidente che dare questa alternativa significa sminuire il controllo che la stessa legge prevede e noi abbiamo fatto presente tale problematica nel corso dei lavori di Commissione presentando anche un emendamento per la soppressione di tale comma.
  Infine, sulla materia è intervenuto il decreto legislativo n. 76 del 2013, che ha esteso le tutele introdotte dall'articolo 4 della legge Fornero ai lavoratori e alle lavoratrici con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, e agli associati in partecipazione. Tutto ciò significa che negli ultimi sette anni si è stravolta per ben tre volte la normativa in materia di dimissioni e questa sarebbe la quarta volta.
  Riteniamo che questo continuo cambiamento della normativa sia inaccettabile e controproducente e che crei enorme confusione per le aziende, che hanno già mille problemi e che devono pure rincorrere il Parlamento, che si diletta a cambiare le leggi, ma anche per i dipendenti che in questo modo non possono difendere adeguatamente i propri diritti. Oltre che per gli uffici pubblici che devono ogni volta adeguarsi con modelli e procedure.
  Purtroppo, non riusciamo a convincerci che tali modifiche possano portare effettivamente a dei risultati positivi, anche perché i funzionari del Ministero ci hanno fatto presente che è ancora presto per poter valutare se le procedure introdotte dalla legge Fornero siano effettivamente efficaci, in quanto per monitorare tale fenomeno un anno non è sufficiente.
  Allora, ci chiediamo, perché modificare ancora la normativa ? Forse un giorno lo capiremo, o magari no. Non siamo contrari a questa proposta di legge di per se stessa, come non lo siamo rispetto alla normativa vigente. Il problema è che crediamo che siano entrambe misure palliative e che in realtà nessuna delle due possa Pag. 11risolvere il problema delle dimissioni in bianco. Non è aggiungendo modelli su modelli da compilare che risolviamo i problemi del mondo del lavoro. Avremmo preferito che la Commissione lavoro facesse un esame più approfondito del problema nel suo complesso e delle sue cause.
  Ricordo che all'inizio della discussione su questa proposta di legge noi avevamo richiesto di audire in Commissione esperti del settore per approfondire meglio il problema e valutare se l'attuale normativa fosse sufficiente, o se vi fosse la necessità di una modifica. Ovviamente la nostra richiesta non è stata accolta perché, a quanto pare, tutti avevano già le idee chiare in materia.
  Fatichiamo in questo senso a capire anche l'ostinazione nel portare avanti questa proposta, per giunta con procedura d'urgenza, in un periodo in cui ci sembra che il problema non sia come dare le dimissioni, ma come trovare lavoro. Stravolgere la normativa è sempre un problema per tutti e se non siamo neppure certi che tale processo sia effettivamente necessario o vada davvero a risolvere il problema, portare avanti proposte solo per una questione di principio non ci sembra certo un atto di responsabilità verso il Paese.
  Avremmo preferito che venissero fatte modifiche alla normativa attuale, che fosse migliorata quella, almeno fintanto che non si fosse capito se tale misura poteva almeno contenere il fenomeno, ma vediamo che anche questo Governo si lascia trascinare da bandierine populiste senza affrontare i problemi all'origine, anche perché vorrei ricordare che le donne che scelgono la maternità sono già tutelate dal decreto legislativo n. 151 del 2001 e probabilmente non hanno bisogno di questa normativa.
  Una valutazione migliore forse avrebbe potuto portare a scelte migliori per il Paese e per i lavoratori. Non vorrei che ci ritrovassimo tra un anno o due a dover abrogare la norma perché ad esempio le aziende, quelle sane che non ne hanno bisogno, si lamentano delle difficoltà di metterla in pratica. Sarebbe, per così dire, un déjà vu.

  PRESIDENTE. L'onorevole Boccadutri non era iscritto a parlare, ma visto che l'onorevole Di Salvo ha utilizzato molto meno del tempo a sua disposizione e visto che siamo, per così dire, tra di noi, facciamo un piccolo strappo alla regola.
  Prego, onorevole Boccadutri.

  SERGIO BOCCADUTRI. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, gentili colleghi, deputate e deputati, utilizzerò questi tre minuti per sottolineare un aspetto che è stato affrontato soltanto in modo marginale, ma che, secondo me, è centrale nella discussione che stiamo affrontando, quello delle pensioni delle donne.
  Noi abbiamo una messa in mora da parte della Commissione europea perché il differenziale minimo degli anni dei contributi che servono per andare in pensione è differente: 41 anni e tre mesi per le donne, 42 anni e tre mesi per gli uomini e ciò sarebbe in contrasto con l'articolo 157 del Trattato di funzionamento dell'Unione europea, che dispone la parità tra uomo e donna.
  In Italia, però, gli assegni femminili in media sono inferiori del 65, 6 per cento rispetto a quelli maschili: 8.732 euro annui per le donne e 14.460 per gli uomini. Un rapporto Istat del 2012 ci dice che le pensioni di anzianità sono godute per l'81 per cento dagli uomini, con una media mensile di 1.610 euro, e le pensioni di vecchiaia dal 63 per cento delle donne, con una media di 578 euro. Quando una donna a seguito della lettera di dimissioni in bianco viene costretta a dimettersi perde anni di contributi, perde essenzialmente la possibilità di arrivare alla pensione di anzianità e, quindi, c’è un costo riflesso nel futuro anche per lo Stato, perché poi accederà soltanto a quella di vecchiaia. Da questo punto di vista, quindi, se è giusto che la Commissione europea ci metta in mora (e avvierà probabilmente una procedura di infrazione in seguito alla Pag. 12quale poi il Governo dovrà prendere provvedimenti), io penso che non possiamo però non considerare un fatto tutto italiano, un'anomalia italiana.
  Se da una parte, quindi, in Europa ciò non accade, noi dobbiamo combattere anche con questo provvedimento una pratica che di fatto colpisce le donne nell'età lavorativa, e le colpisce poi di riflesso anche nell'età della vecchiaia.
  Per questo penso che sia buono e giusto che la Camera discuta, anche alla luce di tali dati, questo provvedimento (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Ecologia Libertà e Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo – A.C. 254-272-A)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Maestri.

  PATRIZIA MAESTRI, Relatore. Signor Presidente, volevo solamente riprendere alcune questioni, fermo restando che gli interventi hanno, secondo me, arricchito e, appunto, contribuito a dare valore a questa proposta e a renderla veramente importante, anche perché, come diceva l'onorevole Cinzia Fontana, alla vigilia dell'8 marzo sarebbe molto importante che la discussione avesse un'eco anche di un certo tipo.
  Faccio solo alcune riflessioni rispetto a quello che diceva l'onorevole Rostellato, cioè al fatto che il suo gruppo non si sente di approvare questo testo. Credo che dal punto di vista culturale abbiamo esposto quali possano essere le questioni che portano a considerare le dimissioni in bianco un grande abuso, soprattutto rivolto alle donne.
  Credo anche che, quando ci sono delle storture così evidenti, così reali e anche per l'appunto conosciute, sia nostro dovere, di chi siede oggi in Parlamento, cercare di correggerle. Quindi, credo che non si potrà chiaramente cambiare tutto, ma questo provvedimento, potrebbe davvero intervenire per contrastare un fenomeno che ha delle radici culturali ma che, comunque, si deve iniziare a contrastare perché si fermi questa deriva.
  Invito dunque il MoVimento 5 Stelle, che su alcuni temi ha una sensibilità e un'attenzione particolare, a cogliere anche questo nostro impegno. Credo che gli interventi lo abbiamo dimostrato in maniera molto efficace. L'onorevole Boccadutri ha sollevato un problema, quello delle pensioni. Abbiamo presentato delle proposte che vanno in questa direzione. Io l'ho chiamata «una parità punitiva», perché non tiene conto di quello che succede nella vita delle donne, che porta poi ad un assegno di pensione molto più ridotto rispetto a quello degli uomini.
  Quindi, mi auguro che l'assenza dell'onorevole Pizzolante sia anche dovuta ad una riflessione che si sta facendo nel suo gruppo, affinché si vada nella direzione di approvare, in maniera trasversale, una legge utile per tutti e per il Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo rinunzia alla replica.
  È presente l'onorevole Chiarelli, che credo voglia fare una precisazione sull'ordine dei lavori. Le do la parola, onorevole Chiarelli.

  GIANFRANCO GIOVANNI CHIARELLI. Signor Presidente, per il nostro gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente che ha sempre espresso parere favorevole anche in Commissione, mi limiterò, considerata la cortesia che lei mi ha fatto, a depositare il testo del nostro intervento.
  Chiedo dunque che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

  PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.Pag. 13
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
  Poiché l'ordine del giorno prevede che lo svolgimento delle interpellanze urgenti abbia inizio a partire dalle ore 11, sospendo la seduta fino a tale ora.

  La seduta, sospesa alle 10, è ripresa alle 11.

Svolgimento di interpellanze urgenti.

  PRESIDENTE. Prima di passare all'ordine del giorno salutiamo alunni e docenti che assistono alla nostra seduta, chiarendo che l'Aula non è particolarmente piena, anzi, diciamo che è poco frequentata, perché questa è la fase delle interpellanze urgenti, nella quale il rapporto è tra l'interpellante e il Governo che risponde e, quindi, i presenti sono gli interessati e firmatari delle interpellanze. Abbiamo l'Istituto comprensivo «Via Francesco Laparelli 60» di Roma, l'Istituto comprensivo D'Azeglio di Ascoli Piceno, l'Istituto comprensivo «Via d'Avarna» di Roma e la Scuola elementare «San Silvestro», contrada Pianacce di Silvi (Teramo). Grazie a tutti di essere presenti e di assistere ai nostri lavori, che recano, come ordine del giorno, lo svolgimento di interpellanze urgenti.

(Misure a tutela dei minori esposti ai rischi del gioco d'azzardo – n. 2-00423)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Basso n. 2-00423, concernente misure a tutela dei minori esposti ai rischi del gioco d'azzardo (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Basso se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  LORENZO BASSO. Signor Presidente, signor sottosegretario, il 27 febbraio quest'Aula, approvando in via definitiva l'articolo 14 della delega fiscale ha, per la prima volta dopo decenni, invertito la rotta della politica italiana in materia di gioco d'azzardo. Da un approccio di incentivo e forte liberalizzazione, si è passati ad un atteggiamento di contenimento e limitazione. Finalmente, la politica in materia di gioco d'azzardo ha iniziato a muoversi nella direzione della prevenzione degli effetti dannosi, del rafforzamento dei divieti di pubblicità, del riconoscimento di un ruolo forte ai comuni e alle regioni nella fase di autorizzazione. È ancora poca cosa rispetto a quanto necessario, ma è comunque un primo passo nella giusta direzione. Molte di queste previsioni sono ispirate all'idea che non bastano i divieti, perché proibire non è mai una soluzione definitiva. Serve, al contrario, una rivoluzione culturale, certo più lenta e costante, ma nel tempo l'unica soluzione efficace. E per farla, bisogna partire dai minori, educandoli alla cultura dell'impegno e ai rischi dell'azzardo. E sono felice di vedere ad ascoltare molti ragazzi. Sottraendoli, quindi, all'azione oggi incessante di un sistema capillare di pubblicità, dirette e indirette, che incentivano l'azzardo.
  Del resto ai minori il gioco d'azzardo è, o, forse, dovrei dire, sarebbe già vietato dal testo unico delle leggi di pubblica sicurezza del 1931, mentre più di recente, nel 2011, sono state inasprite le sanzioni e poi introdotto, l'anno successivo, con il decreto Balduzzi, il divieto di ingresso ai minori di anni 18 nelle aree destinate al gioco con vincite in denaro.
  Finalità di queste previsioni è scongiurare l'accesso al gioco d'azzardo da parte dei minori, soggetti fragili per definizione e perciò meritevoli di una speciale protezione da parte dell'ordinamento. Numerose, del resto sono le statistiche che indicano nei minorenni una parte rilevante dei giocatori italiani, nonostante i divieti prima ricordati. Sono gli stessi dati della Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento delle politiche antidroga, come indicate nella relazione 2013 al Parlamento – ad evidenziare una situazione gravissima. Per quanto riguarda il gambling si stima, infatti, che nell'anno 2013, circa 1 milione 250 mila studenti delle scuole superiori di secondo grado abbiano partecipato a giochi d'azzardo con frequenza Pag. 14rilevata di almeno un episodio negli ultimi 12 mesi. Inoltre, negli studenti tra i 15 e i 19 anni, si evidenzia che maggiore è lo stadio di coinvolgimento nel gioco d'azzardo, maggiore è il consumo di droghe. Gli adolescenti, con consuetudine al gioco patologico hanno un uso contemporaneo di sostanze stupefacenti pari al 41 per cento, rispetto ai loro coetanei che non giocano e presentano invece una prevalenza all'uso di sostanze molto più bassa, pari al 17 per cento, mentre per gli adolescenti, che giocano saltuariamente, la prevalenza di consumo di droga si attesta al 24 per cento. Diversamente, per gli adolescenti considerati giocatori problematici, la prevalenza del consumo di sostanze è pari al 34 per cento. Da queste statistiche si evince un solo preoccupante elemento: più il comportamento di gioco si fa problematico, o addirittura patologico, più cresce anche l'uso di droghe da parte del minore. La prevenzione rispetto al gioco d'azzardo diventa così un elemento chiave per proteggere il minore anche dal rischio tossicodipendenza. La migliore prevenzione nei confronti dei minori consiste, perciò, nell'educare ai valori positivi del gioco, quello vero, che è un elemento fondamentale nella vita del bambino e dell'adolescente e centrale anche per gli adulti. Attraverso il gioco, lo voglio ribadire, quello vero, infatti, vengono trasmessi concetti fondamentali, come il rispetto delle regole, il potere della fantasia e della creatività, la dimensione di squadra e il valore dell'onestà e dell'impegno, l'accettazione della sconfitta e anche della sfortuna, come elementi naturali della vita. L'azzardo invece non è un gioco, perché si fonda su elementi del tutto diversi, la casualità, la premialità e, in alcuni casi, la compulsività dei comportamenti.
  Inoltre, nella maggior parte dei giochi d'azzardo attuali, è fortissima la spinta isolatrice del giocatore rispetto al mondo circostante. L'azzardo è quindi agli antipodi del concetto di gioco inteso come strumento al contempo ricreativo ed educativo. Queste considerazioni, unite ai drammatici dati prima ricordati, devono imporci una seria riflessione sul fenomeno nuovo che le recenti cronache hanno portato all'attenzione dell'opinione pubblica e che questo Parlamento deve affrontare con tempestività, per non ripetere gli errori del passato.
  Si stanno infatti sempre più diffondendo nuove forme di gioco che presentano preoccupanti analogie con i meccanismi tipici del gioco d'azzardo. Da un lato proliferano i programmi per smartphone e tablet – le cosiddette app – che imitano in ogni dettaglio il meccanismo di funzionamento delle slot, ma che sono espressamente indirizzate ad un pubblico di bambini e che non prevedono vincite in denaro; la pericolosità sociale di questi giochi è evidente. Riproducendo in tutto le slot abituano il minore alla confidenza con lo strumento e lo accompagnano in modo subdolo, quasi senza averne accortezza, al passaggio verso i giochi, fisici o online, che prevedono vincite in denaro. Sul mercato digitale si possono già trovare fino a 2.200 app categorizzate «slot machine» e 19 di queste sono espressamente destinate ad un pubblico di bambini di età tra i 4 e gli 8 anni.
  Un altro fenomeno in rapida e preoccupante diffusione è quello delle «ticket redemption»: si tratta di apparecchi vari, per giochi di abilità, cui si accompagna un sistema di vincita basato, invece che sul denaro, sulla restituzione di ticket per giocare nuovamente o che, se accumulati, danno diritto a premi di diversa natura. In questo caso, l'analogia con l'azzardo è più sottile e la pericolosità sociale è lievemente minore, ma non per questo trascurabile. I meccanismi tipici dell'azzardo che vengono replicati, sono quelli della premialità e della compulsività. Scopo del gioco diventa la vincita, intesa come possibilità di continuare a giocare, con l'effetto che più si gioca, più si può giocare, il tutto naturalmente calato in una logica commerciale, dove il rapporto tra il valore e la quantità dei premi corrisposti non è mai superiore a quanto speso in giocate.
  Per questa ragione, signor Sottosegretario, insieme ai colleghi che hanno sottoscritto questa interpellanza, sono a chiederle quali interventi il Governo intenda Pag. 15adottare a protezione dei minori esposti ai rischi del gioco d'azzardo e delle sue derive patologiche, in particolare per evitare che i minori siano sottoposti a quelle forme di gioco che, imitando nelle sue caratteristiche essenziali i giochi d'azzardo vietati ai minori, abbiano come possibile effetto la fidelizzazione al gioco d'azzardo, con caratteristiche di compulsività.

  PRESIDENTE. Grazie. Il sottosegretario di Stato per la salute, Vito De Filippo, ha facoltà di rispondere.

  VITO DE FILIPPO, Sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, onorevoli interpellanti, in merito alle questioni poste nell'interpellanza in esame, si segnala che la legge 8 novembre 2012, n. 189, recante «Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute», agli articoli 5 e 7, prevede una serie di norme riguardanti il Gioco d'azzardo patologico, d'ora in poi indicato con l'acronimo «GAP».
  La stessa legge ha istituito l'Osservatorio nazionale per il GAP presso l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, che si è insediato nel marzo del 2013 e nello stesso anno ha emanato, su proposta del Dipartimento per le politiche antidroga, il Piano nazionale sul GAP, il «PAN GAP», che ha il compito di valutare le misure più efficaci per contrastare la diffusione del gioco d'azzardo e il fenomeno della dipendenza grave.
  Il Piano di azione nazionale sul gioco d'azzardo patologico si articola in una serie di azioni di prevenzione ritenute efficaci in base alle evidenze scientifiche e alle condizioni critiche rilevate nel nostro Paese: è uno strumento di programmazione generale indispensabile per poter coordinare gli interventi su tutto il territorio nazionale e indirizzare in maniera più sostenibile le varie progettualità che possono essere messe in campo dalle organizzazioni operanti nel settore; mi riferisco alle amministrazioni centrali, alle amministrazioni regionali e delle province autonome, ai comuni, alle organizzazioni del privato sociale accreditato, dell'industria dell'intrattenimento e della ricerca.
  L'obiettivo è creare una base semantica comune e una serie di indirizzi utili, ai quali ogni ente od organizzazione, ciascuno per la propria competenza e responsabilità, può far riferimento per sviluppare azioni e progetti finalizzati.
  Il PAN GAP prevede alcune azioni prioritarie di prevenzione, tra le quali si citano: la realizzazione di help line telefoniche per ogni regione (coordinate da un network nazionale); la preparazione e divulgazione di materiali informativi di base (poster permanenti, dépliant, quaderni interattivi per minori, roll up di prevenzione, vele informative, kit di prevenzione in formato digitale), scientificamente accreditati per vari settori, sia nelle scuole, sia nelle associazioni; la definizione e l'applicazione di indicazioni utili per ridurre l'impatto pubblicitario incentivante il gioco sulla popolazione vulnerabile e l'accessibilità alle slot machine e alle altre forme di scommesse e di lotterie; la promozione di azioni di prevenzione su Internet e social networks: l'attuazione e la promozione di campagne informative su Internet e concorsi creativi rivolti ai giovani attraverso social networks, siti specifici ed applicazioni ad hoc per smartphone; il riorientamento degli sportelli già esistenti, ove opera uno psicologo o un altro operatore esperto nelle dipendenze, anche per le problematiche legate al GAP, al fine di attivare programmi di tutela delle persone vulnerabili.
  Per gli aspetti di propria competenza, invece, l'Agenzia delle dogane e dei monopoli ha segnalato, riguardo ai programmi di gioco resi disponibili attraverso smartphone e tablet che imitano il funzionamento delle slot machine, che si tratta di forme di intrattenimento le quali non danno – secondo l'Agenzia delle dogane e dei monopoli – in alcun modo diritto a vincite in denaro e che sono rese disponibili a livello mondiale attraverso la rete Internet da operatori dislocati in un qualsiasi punto del globo.
  Queste forme di gioco rientrano nella più ampia categoria dei cosiddetti social Pag. 16games, il cui scopo non è quello di rendere possibili vincite di denaro, e che sono resi disponibili attraverso i social networks. Pertanto, la materia riguardante tali giochi è al momento estranea a quella del gioco pubblico tradizionale. Il gioco viene reso disponibile gratuitamente attraverso una app e sui social networks.
  Per poter progredire più rapidamente nel gioco, oppure per continuare nel gioco dopo un periodo di tempo, o infine per acquisire crediti aggiuntivi, è richiesto un pagamento, da effettuarsi in genere attraverso una carta di credito. Poiché i social games, come detto, non prevedono vincite in denaro, ma al più il conseguimento di punti utili per migliorare la posizione del giocatore nella classifica degli amici del social network oppure di crediti aggiuntivi utili per prolungare la durata del gioco, la loro disciplina è estranea a quella coperta dalla riserva statale in materia di gioco pubblico.
  Quanto agli apparecchi cosiddetti ticket redemption, che sono stati citati dall'interpellante, essi sono apparecchi di gioco senza vincite in denaro contante, ma con la possibilità, in caso di conseguimento di risultati di volta in volta utili, a seconda della tipologia di apparecchi, di poter conseguire, alla fine della partita, un certo numero di biglietti, di tagliandi o di coupon idonei a poter ritirare, solo presso il gestore dell'esercizio dove l'apparecchio opera, premi consistenti in genere in oggettistica di modico valore.
  Fino a qualche tempo fa questa realtà di gioco non era presa in considerazione dalla normativa. Con l'articolo 1, comma 475, lett. b), della legge n. 228 del 2012, cosiddetta legge di stabilità per il 2013, il nostro ordinamento ha inteso per la prima volta prendere in considerazione queste tipologie di apparecchi, affinché, con apposito decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, fosse stabilita una disciplina giuridica sia dal punto di vista amministrativo sia e soprattutto dal punto di vista delle regole tecniche di produzione e di importazione degli apparecchi in questione.
  Lo schema di decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, per la cui approvazione sarà necessario il conseguimento del parere da parte delle Commissioni parlamentari, è in fase di avanzata predisposizione. Le difficoltà redazionali sono consistite nella inevitabile mappatura di tutte le diverse tipologie di apparecchi delle specie già da tempo esistenti sul mercato e, comunque, come è evidente, in continua evoluzione, difficoltà rese, tra l'altro, maggiori dalla necessità di individuare quali tra tali tipologie possano plausibilmente reputarsi rischiose, in considerazione del fatto che il loro impiego è stato diretto ad un pubblico giovane, se non addirittura di minore età, e in funzione delle forme e delle modalità di gioco con le stesse praticabili. Il citato decreto del Ministro dell'economia e delle finanze riguarderà anche gli apparecchi di gioco senza vincite in denaro e senza erogazione di biglietti, tagliandi e coupon.
  Concludo segnalando che, alla luce delle disposizioni recate proprio in materia dal decreto-legge cosiddetto Balduzzi – che abbiamo citato – e in vista sia dell'esercizio della delega in materia fiscale, da poco approvata, che dei lavori della competente Commissione affari sociali in sede referente (A.C. 101), la problematica in esame potrà essere ulteriormente approfondita al fine della definizione dei vari aspetti che la caratterizzano. Proveremo a rispondere anche in quella sede alle preoccupazioni degli interpellanti per approfondire ulteriormente azioni nuove su queste nuove tecnologie che sono state qui indicate ed esposte.

  PRESIDENTE. L'onorevole Basso ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  LORENZO BASSO. Signor Presidente, sì, sono soddisfatto per la risposta precisa e dettagliata ed esprimo soprattutto soddisfazione per l'impegno preso dal sottosegretario di prendere in esame anche queste nuove forme di giochi, che, pur non essendo classificabili come giochi d'azzardo, Pag. 17inducono comportamenti che possono avvicinare i minori e portarli vicino al gioco d'azzardo.
  In particolare, mi preme sottolineare come, nell'approvazione dell'articolo 14 della delega fiscale, il Governo abbia accolto un ordine del giorno da me presentato insieme a colleghi di tutte le forze politiche – questo è anche un tema che vorrei sottolineare all'attenzione del Governo – perché c’è una sensibilità comune e trasversale a tutte le forze politiche. In questo ordine del giorno c’è l'impegno del Governo, in sede di attuazione della legge delega, a prendere in considerazione ogni provvedimento opportuno per limitare la diffusione dei giochi rivolti ai minori, anche quelli che erogano vincite di qualsiasi natura, anche quelle diverse dal denaro.
  Vorrei anche utilizzare questa occasione per fare una richiesta: il Governo ha dodici mesi di tempo per poter attuare la delega fiscale in tutti i suoi articoli. Come rappresentante anche dell'intergruppo contro il gioco d'azzardo, chiedo al Governo di prendere in esame la possibilità – per quanto riguarda l'articolo 14, quello quindi che potrebbe dare a questo Paese per la prima volta un testo unico delle disposizioni sui giochi – che questo testo venga realizzato entro sei mesi e non dodici mesi. Questo permetterebbe di poter realizzare, poi, le disposizioni previste dal testo unico già a partire dal 1o gennaio 2015. Sarebbe un segnale forte che potrebbe, in qualche modo, riuscire a dare anche un segnale di cambiamento rispetto al ritardo accumulato dalla politica, dal Parlamento e dai Governi precedenti rispetto a questa tematica.
  Ringrazio, comunque, il sottosegretario e, come interpellanti e anche come intergruppo contro il gioco d'azzardo, continueremo a monitorare quello che il Governo oggi ha dichiarato per sollecitare che tutto venga effettuato nei tempi più rapidi possibili, poiché il disagio e il dramma sociale che l'azzardo sta producendo in questo Paese sta manifestando una grande richiesta da parte della politica di un intervento urgente.

(Intendimenti in ordine all'aeroporto militare di Amendola e all'aeroporto Gino Lisa in provincia di Foggia, anche in relazione al nuovo piano nazionale degli aeroporti – n. 2-00397)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Di Gioia n. 2-00397, concernente intendimenti in ordine all'aeroporto militare di Amendola e all'aeroporto Gino Lisa in provincia di Foggia, anche in relazione al nuovo piano nazionale degli aeroporti (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo al deputato Di Gioia se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  LELLO DI GIOIA. Signor Presidente, la ringrazio ma io non intendo illustrarla perché comunque c’è già la nostra interpellanza e, ovviamente, mi riservo di svolgere la replica.

  PRESIDENTE. Sta bene.
  Il sottosegretario di Stato per la difesa, Domenico Rossi, ha facoltà di rispondere.

  DOMENICO ROSSI, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, in risposta a quanto chiesto con l'interpellanza urgente, il Dicastero, facendosi interprete delle numerose sollecitazioni delle realtà istituzionali e sociali manifestate in occasione delle visite di esponenti del Dicastero sul territorio, ha assicurato a suo tempo, con particolare riferimento all'area della Capitanata, il proprio impegno per un approfondimento relativo all'ipotetico utilizzo dell'aeroporto militare di Amendola per l'aviazione commerciale.
  Al termine, l'Aeronautica ha effettuato uno studio tecnico di fattibilità per valutare, da un punto di vista tecnico operativo, le esigenze, limitazioni, criticità e possibilità per un impiego sperimentale dello scalo militare sede del 32o Stormo.
  Al termine del citato studio, nel confermare l'iniziativa del Ministro pro tempore, il Dicastero ribadisce la connotazione Pag. 18strategica del sedime militare, pur ritenendo di poter rendere disponibili le infrastrutture militari affinché esse possano adoperarsi per la valorizzazione del territorio su un piano di carattere strategico, economico, sociale, commerciale. In particolare, l'utilizzo dello scalo militare potrà essere attuato, in via sperimentale e ferma restando la necessità di individuare procedure e accordi specifici tra le realtà aeronautiche civili e militari, in attesa dell'avvio del potenziamento ed adeguamento strutturale dell'aeroporto foggiano Gino Lisa. In tal senso, si è disponibili ad appoggiare l'ipotesi di un tavolo di confronto su questa proposta, che veda coinvolti il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la regione Puglia, gli aeroporti di Puglia, l'ENAC e l'ENAV. Spetterà quindi alla regione Puglia, insieme agli enti locali, al Governo e agli enti interessati, individuare eventualmente i vettori disponibili ad utilizzare sperimentalmente l'aeroporto di Amendola e testare la domanda turistica locale.
  Il punto fondamentale dell'interpellanza appare peraltro l'esclusione dell'aeroporto di Foggia Gino Lisa dal novero di quelli di interesse nazionale nell'ambito del nuovo Piano degli aeroporti. Su tale aspetto, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, competente in materia, ha evidenziato, da un lato, che il medesimo aeroporto risulta inserito nel Piano dei trasporti della regione Puglia tra gli aeroporti a carattere regionale, dall'altro, peraltro, è noto che la proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti in ordine al predetto Piano, di cui lo stesso Ministro ha dato preventiva informativa in sede di Consiglio dei Ministri, al momento non è definito, ma risulta tuttora in itinere, dovendo essere la stessa proposta formalizzata e sottoposta all'iter approvativo previsto dall'articolo 698 del codice della navigazione. In sostanza, questo articolo richiede l'emanazione di un decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, nonché l'intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome e il parere delle competenti Commissioni parlamentari. In ogni caso, lo stesso Dicastero ha evidenziato, altresì, che, qualora sussistano le condizioni di specializzazione di ruolo e di sostenibilità economico-finanziaria previste dalla proposta di nuovo Piano per il riconoscimento dell'interesse nazionale degli aeroporti, la posizione degli scali, a tal fine, potrà essere riconsiderata.

  PRESIDENTE. L'onorevole Di Gioia ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  LELLO DI GIOIA. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario e gli faccio anche gli auguri per l'incarico e quindi per l'impegno che sicuramente avrà nei prossimi mesi per i problemi che vi sono, però debbo dire con altrettanta onestà che non mi ritengo affatto soddisfatto, per il semplice motivo che la sua risposta è estremamente vaga, non puntuale, e traccia secondo me una linea di demarcazione con una condizione populistica che viene espressa in circostanze molto particolari, quando ovviamente si fanno conferenze stampa. Credo che in queste conferenze stampa sia giusto che i vertici militari assumano delle posizioni non molto accondiscendenti, per il semplice motivo che poi si può verificare che tutto quello che si dice non viene confermato.
  Lei ha sottolineato nella sua risposta che lo scalo in oggetto è strategico da un punto di vista militare e pur tuttavia ha sottolineato che vi sono le condizioni perché si possa pensare ad una sperimentazione, quindi ad un fatto temporaneo, in virtù del fatto che comunque il dato prioritario, su cui ovviamente le forze politiche, le forze sociali, le istituzioni della capitanata sono fortemente impegnati, è la definizione dell'aeroporto Gino Lisa di Foggia.
  Un aeroporto che ha avuto una storia travagliata, in cui vi sono strutture estremamente significative e importanti, un aeroporto che abbraccia, ovviamente, una realtà interregionale significativa, che ha bisogno di sbocchi e che ha anche, ovviamente, il territorio in quanto tale, una Pag. 19vocazione di carattere turistico-religioso estremamente significativa, e che non vede, appunto, un impegno serio da parte degli organi regionali, perché ancora oggi, come si sa, non è stata attivata la procedura di gara per l'allungamento della pista, per far atterrare velivoli di più significativa portata quanto ai passeggeri, sia per potenziare, da un punto di vista di rotte, lo stesso aeroporto. È da anni che questo aeroporto è fermo, determinando condizioni di difficoltà e di mancata crescita economica di quel territorio; un territorio che è al centro di un'area interregionale, come dicevo prima, estremamente significativa.
  Allora, è chiaro che vi è una preoccupazione, seria: nel momento in cui il 17 gennaio – pur se lei ha sottolineato, con dovizia di particolari, che ancora non è stato approvato il Piano nazionale dei trasporti – l'aeroporto di Foggia Gino Lisa è stato declassato, vi è una preoccupazione certa, che da parte anche del Governo – mi consentirà, signor sottosegretario, sapendo che lei è conterraneo, perché è comunque del Meridione – vi sono una grande insensibilità e uno scarso interesse nell'affrontare e nel risolvere i problemi del Mezzogiorno d'Italia, che soffre sempre di più, per cui in questi mesi e in questi anni si sta allargando la forbice tra il sud, il centro e il nord, con difficoltà sempre maggiori. Credo allora che il disinteresse per le aree del Mezzogiorno, e in modo particolare, in questo caso, per la realtà foggiana, sia lampante. Noi riteniamo che sia doveroso, da parte del Governo, interessarsi dei problemi del Mezzogiorno, interessarsi dei problemi della realtà foggiana, interessarsi dell'aeroporto Gino Lisa, perché esso possa essere messo nelle condizioni di poter funzionare, e quindi di concorrere allo sviluppo economico-sociale di quella realtà.
  Vede, quella realtà è stata già penalizzata, sia per ciò che riguarda il ridimensionamento, per esempio, del sistema della geografia giudiziaria, creando difficoltà ai cittadini che vivono nelle aree marginali, sia per ciò che riguarda, per esempio, una legge dello Stato che prevedeva la realizzazione a Foggia dell'Agenzia per la sicurezza alimentare, che è stata cancellata, cassata, senza alcuna considerazione e senza nemmeno dire per quale motivo, come tante altre situazioni di carattere economico che, pian piano, si stanno dismettendo.
  Le chiedo, signor sottosegretario, di farsi parte attiva, come membro del Governo, per un'area del Mezzogiorno d'Italia, affinché si possa realizzare quel tavolo che vada a ridefinire gli aspetti dell'aeroporto Gino Lisa e che crei le condizioni necessarie perché questo aeroporto possa essere riattivato e rilanciato.
  Noi crediamo che vi siano le potenzialità: vi è bisogno di una grande volontà politica, e credo che lei, insieme alle forze politiche e istituzionali, agli enti locali e alle forze sociali, debba attivarsi perché questo possa avvenire e dare un respiro alle aspettative di quel popolo del Mezzogiorno d'Italia, in modo particolare della provincia di Foggia.

(Iniziative di competenza al fine di dare attuazione all'esito del referendum in materia di servizi idrici – n. 2-00409)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza Daga n. 2-00409, concernente iniziative di competenza al fine di dare attuazione all'esito del referendum in materia di servizi idrici (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Daga se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  FEDERICA DAGA. Signor Presidente e sottosegretario, il 12 e il 13 giugno del 2011, attraverso un referendum abrogativo, 27 milioni di cittadini si sono espressi sull'acqua e sui servizi pubblici locali. La maggioranza assoluta degli italiani ha deciso che si tratta di beni comuni, che devono restare fuori dal mercato e sui quali nessuno debba fare profitti.
  Nello specifico, il secondo quesito referendario ha abrogato il primo comma dell'articolo 154 del testo unico ambientale, Pag. 20nella parte che prevedeva la remunerazione del capitale investito, e l'abrogazione è effettiva dal 21 luglio 2011, giorno di iscrizione in Gazzetta Ufficiale del risultato dei referendum. Poche parole di grande rilevanza simbolica e di immediata concretezza per la parte abrogata, quella che consente – consentiva – al gestore di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, caricando in bolletta ai cittadini un 7 per cento a remunerazione del capitale investito, senza alcun collegamento a qualsiasi logica di reinvestimento per il miglioramento qualitativo del servizio, che a conti fatti corrisponde da un minimo del 12 ad un massimo del 25 per cento delle bollette in varie parti d'Italia.
  Nel decreto cosiddetto «salva Italia» del dicembre 2011, a sei mesi dalla vittoria referendaria, il Governo Monti ha affidato all'Autorità per l'energia elettrica ed il gas il compito di definire il nuovo metodo tariffario transitorio per gli anni 2012 e 2013, in vista della definizione di una tariffa definitiva dal 2014, sempre per mano dell'AEEG. Il decreto attuativo specifica le funzioni assegnate all'AEEG, tra le quali assume un particolare rilievo, come finalità, la tutela dei diritti e degli interessi degli utenti.
  A febbraio 2013, nelle pieghe nascoste del decreto cosiddetto «destinazione Italia», il Governo Letta ha trasferito all'Autorità per l'energia elettrica ed il gas funzioni di controllo e regolazione dei servizi idrici, con numerosi poteri attribuiti dalla legge n. 481 del 1995, che prescrive che essa debba perseguire, nello svolgimento delle proprie funzioni, la finalità di garantire la promozione della concorrenza e dell'efficienza, nonché adeguati livelli di qualità nel servizio, assicurandone fruibilità e diffusione in modo omogeneo sull'intero territorio nazionale, definendo un sistema tariffario certo, trasparente e basato su criteri definiti, predefiniti, promuovendo la tutela di utenti e consumatori. L'AEEG, ora AEEGSI, è un'Autorità garante del mercato, che ha reintrodotto nella definizione del metodo tariffario la remunerazione del capitale investito sotto mentite spoglie, chiamandolo «oneri finanziari».
  Il segnale politico del referendum – fuori l'acqua dal mercato, fuori i profitti dall'acqua – viene così completamente tradito dall'azione del Governo, che affida ad un'Autorità garante del mercato la gestione ed il controllo dei servizi idrici e dall'azione dell'AEEG, che ha fatto rientrare dalla finestra ciò che è uscito dalla porta, cioè il profitto.
  La Corte costituzionale, nel 2011, chiarisce che l'abrogazione del citato articolo 154 è finalizzata a rendere estraneo alle logiche del profitto il governo e la gestione dell'acqua. Anche il Consiglio di Stato, nel 2013, a seguito e riguardo ad un quesito proposto dall'AEEG, che glielo aveva rivolto nel 2012, si è espresso per l'immediata eliminazione della remunerazione del capitale investito dalle tariffe. Inoltre, il TAR Toscana, nel marzo del 2013, ha dato ragione al Forum toscano dei Movimenti per l'acqua, dichiarando illegittime le tariffe adottate successivamente al referendum.
  Anche a Chiavari, in Liguria, nel settembre dello scorso anno, come hanno riportato gli organi di stampa, il giudice di pace ha disposto la restituzione del 22 per cento della bolletta ai cittadini, quota che in quel comune corrisponde appunto al profitto. E ci sono molte altre sentenze a favore dell'azione dei cittadini negli ultimi due anni.
  Ora, la proprietà della gestione pubblica del servizio idrico e tutte le acque superficiali e sotterranee, anche se non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa da utilizzare secondo criteri di solidarietà. Il servizio idrico integrato è un servizio pubblico locale privo di rilevanza economica e in quest'ottica lo Stato, il Governo ed il Parlamento devono prendersi carico di tale questione non attraverso un’Authority, che si è sempre occupata d'altro e che secondo noi è espressione di interessi del mercato e non dei cittadini.
  Ora, dopo il parere il Consiglio di Stato del gennaio 2013, l'AEEG ha avviato un Pag. 21procedimento per la restituzione della parte di remunerazione, che è comunque ancora indebitamente percepita dai gestori dal 21 luglio del 2011.
  L'AEEG, il 25 giugno, dopo due anni dal referendum, ha approvato l'ennesimo provvedimento che, secondo noi, elude i referendum del 2011 e che conferma il mancato rispetto, fino ad oggi, della volontà popolare da parte dell’Authority.
  Infatti l'Autorità per l'energia elettrica e il gas doveva deliberare sulla modalità di restituzione ai cittadini di questa parte di profitto illegittimamente percepito e, invece, ha costruito un metodo che garantirà ai gestori un esborso minimo assai minore di quanto dovuto, visto che saranno detratti oneri finanziari, quelli fiscali, gli accantonamenti per la svalutazione dei crediti.
  Il TAR della Lombardia, sul quale ci auguriamo non ci siano ingerenze e pressioni di alcun tipo, si esprimerà nelle prossime settimane relativamente al ricorso promosso dal Forum italiano dei Movimenti per l'acqua e Federconsumatori in merito alla delibera del 2013, secondo la quale la AEEG ha predisposto il metodo tariffario transitorio. Quanto prodotto dalla AEEG in primis smentisce la Corte costituzionale, che aveva chiaramente specificato nella sentenza di ammissibilità del quesito che, qualora il referendum avesse avuto successo, «la normativa residua, immediatamente applicabile, non presenta elementi di contraddittorietà». Questo però non è stato fatto e la AEEG se ne è bellamente non curata e ha comunque reinserito il 7 per cento, arrivando al 6,4 per cento.
  Il rimborso ai cittadini dovrebbe riguardare non solo i mesi da luglio a dicembre del 2011, ma tutto il periodo che va dal 21 luglio 2011 ad oggi, per un totale che, solo per fare l'esempio della regione Toscana, ammonterebbe a 128 milioni di euro, secondo i dati ufficiali dell'autorità idrica toscana, e chissà se le imprese hanno previsto di accantonare queste quote.
  La AEEG ha di nuovo colpito nel silenzio delle feste natalizie: il 27 dicembre 2013, poco tempo fa, ha approvato il metodo tariffario del 2014-2015, confermando quanto contenuto nel metodo tariffario transitorio e sancendo nuovamente, nei fatti, la negazione dei referendum del giugno 2011; infatti le criticità già evidenziate permangono tutte, compresa l'incapacità del nuovo mezzo tariffario di garantire gli investimenti del comparto idrico. Tali investimenti, come i numeri dimostrano da più di vent'anni, non trovano spazio nel metodo del full cost recovery, cioè nell'assioma che vuole tutti i costi del servizio coperti dalla bolletta, profitti del gestore compresi. L'ex Ministro Orlando, con un comunicato stampa diramato dal Festival dell'acqua il 9 ottobre 2013 in quel de L'Aquila, ha annunciato un tavolo di lavoro con diversi segmenti del settore idrico. Diceva: avvieremo un gruppo di lavoro anche con chi ha alimentato questo dibattito, visto che su iniziative parlamentari non si fanno passi avanti, prendo io l'iniziativa come Ministero e le aziende sono un interlocutore naturale per una collaborazione che è partita bene per far strada insieme. Questo invito è stato allargato anche al Forum italiano dei Movimenti per l'acqua.
  Infine, visto che secondo l'ex Ministro con le iniziative parlamentari non si fanno passi avanti, vorremmo ricordare che il 12 giugno del 2013 è nato quello l'intergruppo parlamentare per l'acqua bene comune, all'interno del quale si stanno discutendo una serie di questioni, tra le quali una risoluzione che è depositata in Commissione ambiente e che stiamo appunto discutendo (siamo ancora in fase di audizioni). Intendiamo introdurre nell'ordinamento nazionale principi e norme per la tutela della gestione pubblica della acque nonché la ripubblicizzazione del servizio idrico e questioni relative alla tariffa.
  Quindi, chiediamo al Ministro come intenda dare finalmente attuazione al risultato referendario che i cittadini attendono da più di due anni; se si intenda portare avanti i principi della proposta di legge di iniziativa popolare depositata nel 2007 dai comitati dei cittadini del Forum dell'acqua, che ha appunto il fine di avviare Pag. 22il percorso di ripubblicizzazione del servizio idrico; se si intenda riportare nell'ambito delle competenze del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare le funzioni di regolazione e controllo dei servizi idrici che sono state assegnate alla AEEG, la quale di fatto non ha svolto la sua funzione correttamente; se intenda avviare la predisposizione di un nuovo metodo tariffario; se i lavori del tavolo di lavoro con i diversi segmenti del settore idrico, annunciato dall'ex Ministro nell'ottobre 2013, sono iniziati e soprattutto quali siano gli obiettivi che si è dato e le tempistiche per realizzarli.
  Quindi, chiediamo se il nuovo Ministro intenda portare avanti questa iniziativa; se e quali iniziative intenda promuovere per risolvere il problema della grave contaminazione delle acque potabili di molti comuni italiani, in particolare a causa di concentrazioni di arsenico, fluoruri e vanadio. Abbiamo 134 comuni che stanno incorrendo in infrazione europea e vorremmo capire come risolvere il problema. Chiediamo se e quali iniziative intenda assumere per garantire che gli investimenti per i servizi pubblici essenziali vengano esclusi dal vincolo del Patto di stabilità interno che strangolano sempre di più gli enti locali.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, Silvia Velo, ha facoltà di rispondere.

  SILVIA VELO, Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare. Signor Presidente, premesso che l'acqua è un patrimonio pubblico ambientale e, quindi, risorsa della collettività da salvaguardare e utilizzare secondo criteri di solidarietà, in merito a quanto indicato dagli interpellanti, si precisa quanto segue.
  Innanzitutto, si ricorda che, relativamente all'affidamento del servizio idrico integrato, la competenza è degli enti locali – e, quindi, del neo soggetto riconosciuto dalla regione come subentrante ai preesistenti ATO, in attuazione della norma Calderoli –, che hanno potestà di scegliere le modalità di affidamento e, quindi, il soggetto gestore, in vigenza della normativa comunitaria, che prevede anche l'affidamento in house. Quindi, non è una competenza nazionale, ma degli enti locali.
  In merito all'esclusione dalla tariffa del servizio idrico integrato della quota relativa alla remunerazione del capitale, la questione è di stretta competenza dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas. Infatti, quest'ultima, a seguito del trasferimento delle funzioni di regolazione e controllo del servizio idrico, risalente al dicembre 2011, ha introdotto, nel rispetto dell'esito referendario, della normativa vigente e del diritto dell'Unione europea, dapprima un metodo tariffario transitorio – come lei ha ricordato – per gli anni 2012 e 2013 e, poi, un metodo tariffario definitivo per gli anni 2014 e 2015.
  Oltre ad espungere dalla tariffa del sistema idrico integrato la componente di remunerazione del capitale investito, che è stata, appunto, espunta ai sensi di quanto previsto dalla normativa, la competente Autorità ha provveduto a contestualmente assicurare la copertura dei soli costi di esercizio e degli investimenti, sulla base di riferimenti standard efficienti, nel rispetto del principio del full cost recovery.
  Il nuovo metodo tariffario prevede, perciò, l'introduzione dei costi ambientali tra le componenti di costo, che per le annualità 2014 e 2015 sono pari a zero, in attesa di indagini tecniche più approfondite, e meccanismi tariffari antispreco, in virtù del principio «chi inquina paga» per evitare sprechi: più acqua si consuma, quindi, più alta sarà la tariffa. L'Autorità, tenendo conto delle diverse caratteristiche del settore idrico a livello locale, ha individuato quattro diversi tipi di schemi tariffari rispetto ai quali ciascun soggetto competente potrà individuare la soluzione più confacente ed efficace in relazione alla pianificazione d'ambito. Tra i costi riconosciuti dalla nuova regolazione, peraltro, figurano i costi finanziari necessari alla realizzazione degli investimenti. Peraltro, è innegabile che questi rappresentino dei veri e propri costi sostenuti dal gestore, e Pag. 23non un profitto per il gestore (cioè, per il gestore sono una partita di giro, ovviamente).
  In proposito, si consideri che l'onere finanziario introdotto dall'Autorità è stato costruito in modo tale per cui, se lo Stato eroga contributi a fondo perduto per la realizzazione degli investimenti, il corrispondente onere finanziario non rileva, trasferendo immediatamente e automaticamente sugli utenti i vantaggi di eventuali contributi pubblici che dovessero essere erogati, come è giusto che sia, aggiungo. Al contrario, esso assume valore positivo – comunque, inferiore al saggio medio di indebitamento delle finanze pubbliche – solo a fronte di finanziamento di investimenti indifferibili e urgenti e privi delle relative coperture dal bilancio pubblico.
  Per quanto attiene all'eventuale riconduzione nell'ambito di questo Ministero delle funzioni di regolazione e controllo dei servizi idrici sottraendole – come chiede l'interpellante – all'Autorità per l'energia elettrica e il gas, diciamo che la materia è regolata con legge dello Stato e non può sottacersi che, peraltro, se ne condivide l'impianto. E questo per più di un motivo. Innanzitutto, la presenza di una Authority terza e indipendente quale regolatore di un servizio gestito in forma di monopolio naturale è quanto auspicato dalla moderna teoria economica, di qualunque orientamento essa sia, ed è quanto avviene in tutti i più avanzati Paesi europei, dove risultano istituite allo scopo agenzie, uffici o enti diversamente nominati, ma tutti accomunati dall'identica natura di soggetto indipendente, fortemente qualificato dal punto di vista tecnico e non assoggettato all'influenza diretta o indiretta dei vari stakeholder.
  In secondo luogo, si segnala l'opportunità di affidare tali funzioni di regolazione e controllo, non ad una autorità di nuova istituzione, bensì all'autorità già operante nel settore dei servizi energetici, allo scopo sia di non aumentare i costi che gravano sulla collettività, sia di far tesoro di un'esperienza già maturata in anni di regolazione.
  Inoltre, si richiama la necessità di dare finalmente elementi di certezza al quadro normativo regolatorio di un settore che, per troppi anni, ovvero dall'entrata in vigore della legge Galli nel 1994 e sino al 2012, ha vissuto in un contesto di incertezza e di indeterminatezza regolatoria e, soprattutto, tariffaria. Basti ricordare che, fino al 2011, si è applicato un metodo tariffario risalente al 1996, mai aggiornato, sebbene la stessa norma prevedesse aggiornamenti periodici almeno quinquennali.
  In ultimo, valga citare la necessità di definire metodologie tariffarie e norme regolamentari in grado di favorire l'effettuazione degli investimenti ritenuti fondamentali per il servizio idrico integrato, sia per raggiungere qualità di standard di un servizio moderno ed in linea con le attese degli utenti, sia per recepire gli obblighi normativi, innanzitutto, comunitari, in materia di potabilità dell'acqua e di tutela dell'ambiente. Del resto, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del luglio 2012, già citato, all'articolo 1, ha esattamente definito le funzioni del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in materia di servizio idrico integrato, individuandole principalmente nell'ambito del coordinamento dei vari livelli di pianificazione, della definizione degli standard di qualità della risorsa, del risparmio idrico e, per quanto riguarda i temi tariffari, della definizione dei criteri per la definizione del costo ambientale e del costo della risorsa per i vari settori di impiego dell'acqua, anche in proporzione al grado di inquinamento ambientale derivante dai diversi tipi e settori di impiego e ai costi conseguenti a carico della collettività, in attuazione del principio del recupero integrale del costo del servizio e del principio «chi inquina paga».
  Sul punto, peraltro, è ferma convinzione di questo Ministero esercitare pienamente tali funzioni e a tale proposito ha attivato vari tavoli di lavoro con il compito di emanare linee guida e indirizzi in merito a ciascuna delle funzioni appena richiamate. A conferma, peraltro, di questo, Pag. 24e a testimonianza dell'interesse con il quale si segue la materia, si evidenzia che, nel disegno di legge collegato alla stabilità, il cosiddetto collegato ambientale, vi sono tre articoli, 25, 26 e 27, che riguardano proprio le linee di indirizzo in materia di tariffe idriche che, pur nel rispetto dell'indipendenza dell'autorità di regolazione, sono volte a ridurre l'impatto sociale delle tariffe e a rilanciare gli investimenti nel settore.
  Viene richiesto dall'interpellante, altresì, quali iniziative di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si intenda avviare per la definizione di un metodo tariffario che recepisca integralmente l'esito del referendum del giugno 2011, con particolare riferimento all'eliminazione dalla tariffa di qualsiasi voce riconducibile alla remunerazione del capitale investito, e che preveda il rimborso ai cittadini delle quote indebitamente acquisite dai gestori dal 2011 ad oggi; un metodo tariffario che, oltre a garantire gli investimenti necessari per la ristrutturazione delle reti e la costruzione di nuove opere, e soprattutto di fognatura e depurazione, superi il principio del full cost recovery.
  Sul punto si richiama quanto già in precedenza riferito in merito alle competenze e alle iniziative già adottate dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Del resto, le competenze al riguardo poste a capo dell'autorità indipendente sono ben definite, così come irrinunciabile per adesso deve intendersi il principio del full cost recovery.
  Risulta essere stato, infatti, lo stesso Consiglio di Stato, con un proprio parere, il n. 267/13, nel ritenere dovuta la restituzione agli utenti della componente remunerativa del capitale anche per il periodo precedente al conferimento della competenza in materia all'Autorità per l'energia elettrica ed il gas, e cioè per il periodo 21 luglio-31 dicembre 2011, pur riconoscendo il diritto alla restituzione, a prevedere che essa debba essere comunque effettuata nel rispetto del principio della copertura dei costi di esercizio e di investimento, chiarendo che, cito: «Di tanto l'Autorità – fermo restando il rispetto del complessivo ed articolato quadro normativo che, sul piano nazionale ed europeo, regolamenta i criteri di calcolo della tariffa, in specie imponendo che si assicuri la copertura dei costi – terrà conto, nell'esercizio dei poteri riconosciuti alla stessa e nello svolgimento dei conseguenti e autonomi apprezzamenti tecnici, in sede di adozione dei nuovi provvedimenti tariffari».
  Peraltro, non si è inconsapevoli di quanto questo argomento incida fortemente sulla sensibilità dell'opinione pubblica, sia in ragione della profonda crisi economica sia da quanto emerso appunto dal referendum più volte citato.
  Tuttavia, non può negarsi che il nuovo metodo tariffario introdotto dall'Autorità preveda solo i costi dovuti al gestore diversi da qualsiasi ipotesi di profitto. Ripeto, è di tutta evidenza che i costi finanziari previsti nel metodo tariffario in vigore non costituiscono un profitto per i gestori in quanto sono costi relativi, cioè gli interessi passivi ai debiti contratti dai medesimi gestori per affrontare gli investimenti effettuati, e che comunque appunto verranno stornati agli istituti finanziari con cui si è acceso il mutuo. Allo stesso modo, non si configurava come profitto la remunerazione fissa del 7 per cento che serviva analogamente a coprire quei costi, tra cui gli oneri finanziabili.
  Per tornare al rimborso a favore degli utenti, si riferisce che la delibera del 5 dicembre 2013 dell'Autorità per l'energia elettrica ed il gas ha pubblicato l'elenco degli enti d'ambito in relazione alle cui proposte non sono stati formulati rilievi; in tali contesti, il gestore dovrà conseguentemente procedere alla restituzione all'utenza della componente remunerativa del capitale in occasione del primo documento di fatturazione utile.
  È stato poi disposto che, nel caso in cui gli enti d'ambito a cui sono state inviate specifiche richieste di chiarimento non adempiano alle stesse, la quota oggetto di restituzione agli utenti sia determinata dalla stessa Autorità sulla base dei dati disponibili. Infine, è stato intimato agli Pag. 25enti d'ambito rimasti inerti di individuare la quota tariffaria da restituire agli utenti entro 30 giorni, decorsi i quali detto importo verrà determinato forfetariamente in un'ottica di tutela degli utenti.
  Per quanto riguarda le iniziative assunte dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, volte al dialogo con i diversi segmenti del settore idrico, si porta a conoscenza che, con decreto ministeriale n. 358 del 13 dicembre 2013, è stata istituita una task force per individuare le strategie e le priorità politiche al fine di valutare, tra l'altro, le migliori pratiche in materia di sostenibilità nell'uso delle risorse idriche (il predetto provvedimento è visionabile presso il sito del Ministero).
  In merito alla contaminazione delle acque potabili, nel rammentare che la materia è regolata dal decreto legislativo n. 31 del 2001 e che le deroghe ai parametri di potabilità in esso previste sono scadute e non più rinnovabili, si rappresenta che la maggior parte delle contaminazioni presenti nelle acque sono di origine naturale e i sindaci di molti comuni italiani hanno provveduto ad imporre divieti, limiti e prescrizioni nell'uso delle acque. Visto che sovente la contaminazione interessa l'intera falda e non vi è la disponibilità di altre risorse idriche a cui attingere per il soddisfacimento della domanda ad uso potabile, quindi si ricorre a forniture sostitutive, atteso anche che le opere di risanamento di tal genere richiedono ingenti investimenti e che, allo stato, non trovano un'adeguata copertura finanziaria e richiedono anche tempi di attuazione di medio e lungo periodo.
  In tal proposito, anche l'Autorità garante per l'Energia Elettrica e il Gas, da una parte, ha avviato un'apposita indagine conoscitiva, nell'ambito della quale sono in corso specifiche attività istruttorie; dall'altra, attraverso la regolazione tariffaria, ha introdotto meccanismi in grado di favorire gli investimenti necessari ad assicurare gli standard richiesti e previsti dalla normativa vigente.
  Infine, per quanto concerne la possibile esclusione dal Patto di stabilità delle spese concernenti gli investimenti, è un'ipotesi tutta da esaminare, ma che mi sento di condividere perché – come dire – è un obiettivo di salute pubblica prioritario che potrebbe consentire la ripartenza di investimenti utili, anche come elemento di contrasto alla crisi ed al crollo del PIL.
  Al pari delle spese relative agli interventi in materia di risanamento idrogeologico, ci sarebbe da svolgere un'attenta riflessione con le altre strutture del Governo e, da questo punto di vista, il Ministero dell'ambiente ha un grande interesse a sollecitare complessivamente il Governo ad avanzare ipotesi sul tema sopra richiamato, che – come dicevo – riguarda (siamo in questo ambito) gli investimenti nel servizio idrico integrato e nella tutela delle acque, ma riguarda anche il tema dell'emergenza del dissesto idrogeologico.

  PRESIDENTE. L'onorevole Daga ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  FEDERICA DAGA. Signor Presidente, non sono soddisfatta della risposta, ma mi aspettavo tutta una serie di risposte che poi effettivamente il sottosegretario mi ha dato.
  Le sue risposte effettivamente non ci soddisfano e non parlo semplicemente di me. Il fatto è che non soddisfano quei cittadini e cittadine che nel 2011 hanno espresso un «no» forte e chiaro alla privatizzazione dei servizi essenziali; 27 milioni di persone che hanno sancito con il voto: «Fuori i profitti dall'acqua, fuori l'acqua dal mercato». Sembra uno slogan, ma in realtà sta lì il fulcro del discorso. Anche io ho votato per quel referendum, ho votato «sì», due «sì» per l'acqua pubblica, e mi sento il custode di quel risultato, custode – voglio svolgere questa funzione – con il mio operato nelle istituzioni, e intendo far rispettare questo risultato dal punto di vista del cittadino.
  Quindi, sono più di due anni che si aspetta che le istituzioni facciano passi avanti verso il rispetto di quel referendum. Invece, già dopo due mesi – e ripeto: due Pag. 26mesi – da quel risultato, l'allora Governo Berlusconi riproponeva l'obbligo della privatizzazione dei servizi pubblici locali, escludendo l'acqua – lo scriveva chiaro – e, a dicembre del 2011, il decreto «Salva Italia» del Governo Monti aumentava il carico sulle privatizzazioni. E meno male che la Corte costituzionale si è espressa e ha fatto cancellare tutta questa partita, perché il referendum è stato chiaro e inequivocabile: è un risultato non interpretabile.
  Voglio ricordare la guerra che fu fatta ai cittadini che promuovevano la campagna referendaria per il «sì» ad una gestione pubblica e partecipativa dell'acqua, una guerra che è durata fino all'ultimo minuto, quando il Presidente del Consiglio invitava gli elettori ad andare al mare, il Ministro dell'interno invitava a non andare più a votare a mezzogiorno del 13 giugno del 2011 e diceva: «Il quorum è stato raggiunto. Tranquilli: non andate più a votare».
  Voglio ricordare come il partito che aveva la maggioranza non ha più potuto fare finta di nulla e ha dovuto dire: «C’è un referendum» a qualche giorno dal voto.
  Voglio ricordare, come troppe volte abbiamo dovuto fare, che il servizio idrico integrato è un servizio pubblico locale privo di rilevanza economica, in quanto servizio pubblico essenziale per garantire l'accesso all'acqua e pari dignità umana a tutti i cittadini.
  La questione dei pozzi dell'arsenico è una questione un po’ particolare, perché sono dieci anni che l'Unione europea deroga, di tre anni in tre anni, alla risoluzione del problema. È una questione sì naturale, ma ci sono stati dieci anni nei quali i gestori hanno percepito il 7 per cento di remunerazione del capitale che poteva essere tranquillamente reinvestito sul territorio per i dearsenificatori: è un esempio molto semplice.
  Rispettare la volontà popolare significa che il Governo e il Parlamento devono farsi carico di legiferare con azioni chiare verso quel risultato che – ripeto – non è interpretabile. Devono rispondere a 27 milioni di persone del fatto che è stata messa sul mercato l'acqua affidando definitivamente controllo e gestione del servizio idrico a un'autorità garante del mercato. Questa autorità garante del mercato ha fatto rientrare dalla finestra quel profitto che era uscito dalla porta con una abrogazione chiara e netta.
  La remunerazione copriva gli oneri finanziari, lo ha detto il sottosegretario. Quindi, è stato reintrodotto nuovamente e lo avete fatto anche di nascosto. È stato fatto di nascosto perché c'era un comma minuscolo all'interno di tutto un articolato che riguardava l'Expo 2015. L’authority si occupa di regolare il mercato, di garantire utili ai privati, e non è stata autonoma nella definizione della tariffa – abbiamo seguito questo processo –, tariffa che i cittadini per l'acqua pubblica chiamano «tariffa truffa». Mi chiedo come sia possibile che, per fare valere il risultato di un referendum, i cittadini debbano ricorrere alla magistratura, che, oltretutto, sta dando ragione ai cittadini stessi tutte le volte che viene interpellata, perché le istituzioni si dimostrano sorde e cieche (questo lo chiedono i cittadini). A chi stanno rispondendo le istituzioni ? L'Europa non ci chiede di mettere tutto sul mercato, ci dà la possibilità di scegliere e 27 milioni di persone hanno scelto «fuori l'acqua dal mercato». Quindi, ripubblicizzazione del servizio idrico a livello nazionale.
  Voglio ribadire che è necessario approvare norme che considerino l'acqua un diritto inviolabile, alla stregua di quanto stabilito dall'articolo 2 della Costituzione, riconoscendo le peculiarità di bene comune e diritto umano universale non assoggettabile ai meccanismi di mercato. È necessario difendere la proprietà della gestione pubblica del servizio idrico, il cui esercizio dovrà essere ispirato ai criteri di equità, solidarietà, rispetto degli equilibri ecologici.
  È necessaria e non più rinviabile l'approvazione di una normativa sulla gestione del servizio idrico a livello nazionale, andando a riprendere quella legge di iniziativa popolare depositata nel 2007 che, in sette anni, ha preso un sacco di polvere Pag. 27nei cassetti del Parlamento e ha ottenuto due ore e mezzo di audizioni in Commissione ambiente. Ricordo che città come Parigi e Berlino hanno deciso di ripubblicizzare il servizio idrico. Parigi lo ha fatto nel 2010 e nei primi due anni ha subito abbassato le tariffe dell'8 per cento, mentre noi in Italia, con la scusa della crisi, infiliamo negli articolati obblighi per i comuni a liberalizzare e privatizzare in parte o in toto i servizi pubblici locali, compresa l'acqua, licenziando personale, precarizzando le vite dei lavoratori, abbassando i livelli dei servizi erogati ai cittadini, aumentando i costi dei servizi, favorendo la produzione di dividendi da distribuire ai soci delle società per azioni.
  Molti gestori privati in Italia hanno abbassato la qualità del servizio – ed è innegabile – e aumentato le bollette fino a tre volte, non facendo i dovuti investimenti nonostante abbiano percepito e percepiscano ancora il profitto garantito. Addirittura, dopo una campagna di risparmio idrico nella città di Firenze, che ha funzionato, i cittadini si sono visti aumentare le bollette perché Publiacqua SpA doveva mantenere i livelli di utili da distribuire agli azionisti.
  In tempi di crisi ritengo si possa fare qualcosa di diverso, investire in modo diverso, magari allentare, appunto, il carico sui comuni provocato dal «patto di destabilizzazione interno» che impedisce qualsiasi tipo di investimento. I comuni sono completamente strozzati da questo ed è ottimo il venire incontro comunque a questa esigenza dei comuni (ne siamo contenti). Io sogno un modello nuovo di città, città che danno risposte alle esigenze dei cittadini e non alle richieste dei costruttori e che raccolgono dividendi dalla partecipazione nei servizi essenziali come l'acqua. L'acqua e la sua gestione, di conseguenza, è un monopolio naturale e non c’è concorrenza in un settore di monopolio.
  Ci avete detto per anni «il privato è bello»; poi il privato non ha garantito un adeguato servizio ai cittadini, che se ne sono accorti, e allora avete detto «privato è obbligatorio». Il referendum ha dato una risposta definitiva: pubblico e partecipato dai cittadini e dai lavoratori. Ricordo che in migliaia hanno aderito alla campagna di obbedienza civile partita subito dopo il referendum. Migliaia di cittadini si sono ridotti le bollette, anche sotto la minaccia dei distacchi dei gestori, che alla fine non hanno potuto distaccare, perché chi è l'illegale ? Il gestore che percepisce ancora il profitto in bolletta abrogato o il cittadino che diligentemente scorpora la quota di profitto che le sentenze ordinano di togliere dalle tariffe ?
  È necessario fare tornare al Ministero dell'ambiente le funzioni di regolazione e controllo dei servizi idrici, studiare un metodo tariffario che consenta di programmare investimenti pubblici per il servizio idrico integrato, investimenti pubblici che dovranno essere posti come alternative escludenti la remunerazione del capitale dalle tariffe, come richiesto dal secondo quesito referendario. È necessario e non più rinviabile assumere iniziative per riformulare la normativa di settore, ripubblicizzare la gestione del servizio idrico, garantire la partecipazione dei cittadini e dei lavoratori alla gestione cittadina, che la gestione venga fatta nell'interesse della collettività a garanzia della qualità dell'acqua e della sua conservazione a tutela delle generazioni future, premiare l'efficienza dei gestori del servizio e colpire l'inefficienza, prevedere con legge-quadro la fissazione di nuovi e adeguati canoni di derivazione per il prelevamento dell'acqua pubblica, garantire la riduzione, fino al completo azzeramento in tempi congrui, degli sprechi del trasporto dell'acqua potabile.
  Dovremmo fare 40 miliardi di euro di investimenti in tutto l'arco nazionale, ma questi 40 miliardi di euro non si vogliono investire, e adeguare agli standard europei i sistemi di depurazione e gli impianti di potabilizzazione che mancano.
  A differenza di quanto spesso accade, con il referendum del 2011, l'Italia si è posta quale capofila di un processo democratico di portata europea, teso alla demercificazione del bene acqua e a una Pag. 28sua gestione pubblica. Sono state consegnate nei mesi scorsi un milione e 800 mila firme per un'iniziativa dei cittadini europei – l'ICE – sull'acqua pubblica. Cioè, i cittadini stanno andando anche in Europa a chiedere questo con forza: che si ripubblicizzi il servizio idrico, perché è un monopolio naturale. Il rispetto del referendum sull'acqua, la sua attuazione da parte del Parlamento darebbe sicuramente un segnale forte alla cittadinanza, nel senso del rispetto della democrazia.
  Dicevamo in campagna referendaria: si scrive acqua, si legge democrazia. Ed è nostro compito all'interno delle istituzioni dar seguito a quel voto: 27 milioni di persone ce lo stanno chiedendo e aspettano un segnale politico in continuità con quel voto, senza interpretazione alcuna. Il collegato ambientale presenta una serie di parti. La tariffa sociale non può essere ridistribuita agli altri utenti: o è lo Stato che si fa carico della tariffa sociale, oppure troviamo un altro sistema. Ricordo che sulla questione delle restituzioni per il periodo 2011...

  PRESIDENTE. Deve concludere.

  FEDERICA DAGA. ...noi abbiamo una restituzione di 1 euro e 80 centesimi per condominio (solo sulla parte dell'ATO 2 romana). Concludo dicendo che bisogna garantire a tutti il servizio, a tutti il diritto dell'accesso al servizio idrico e all'acqua di buona qualità e che l'acqua non si vende. Sembra uno slogan, ma l'acqua non si vende, l'acqua si difende.

(Elementi in ordine al rispetto del principio di trasparenza e della libertà di informazione da parte della RAI, con particolare riferimento alla comunicazione del costo annuo del personale utilizzato – n. 2-00434)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Brunetta n. 2-00434, concernente elementi in ordine al rispetto del principio di trasparenza e della libertà di informazione da parte della RAI, con particolare riferimento alla comunicazione del costo annuo del personale utilizzato (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Brunetta se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  RENATO BRUNETTA. Signor Presidente, sottosegretario Amici, è la terza interpellanza urgente di quest'anno. L'argomento è sempre lo stesso: l'inadempienza da parte della RAI rispetto ad un obbligo di legge, previsto dal decreto-legge 31 agosto 2013, convertito nel mese di ottobre, che prevedeva e prevede la total disclosure, vale a dire la totale trasparenza del costo annuo del personale, con riferimento ai singoli rapporti di lavoro, dipendente o autonomo, in conformità a specifiche procedure definite di intesa con i predetti Dicasteri. Sta diventando quasi stucchevole questo nostro rito, signor Presidente. Peraltro lei era presente alle altre due precedenti interpellanze urgenti: il rito, da parte mia, del richiamo, la risposta del sottosegretario di turno, gentile, competente, come sempre è il sottosegretario di turno, ma anche la non risposta, arrogante, proterva, da parte della RAI.
  Ora, mi chiedo, mettendo da parte il mio speech, quanto può andare avanti un comportamento di questo genere da parte di un'azienda pubblica, che è obbligata per legge a rendere trasparente la propria contabilità, il pagamento dei propri collaboratori, con norme puntuali, specificamente previste da più leggi, rispetto alle quali l’Authority della privacy ha dato la piena apertura all'utilizzo degli stessi dati ? Quanto può durare ancora questo comportamento da parte di questa azienda pubblica che non rispetta il Parlamento, non rispetta il Governo, non rispetta la legge ? Poteri forti, si dirà, poteri forti. Poteri deboli, i nostri. Io mi rifiuto di accettare una logica di questo genere.
  Per quanto tempo il direttore Gubitosi potrà fare ancora quello che vuole con questa azienda pubblica ? O la presidente Tarantola ? E li nomino e li cito in maniera espressa. Per quanto tempo la RAI potrà cercare di intimidire i singoli membri del Parlamento, come è successo con Pag. 29me, scatenando il cosiddetto «giornalismo di inchiesta» di Report, guarda caso dopo la mia attività di sindacato ispettivo svolta nella Commissione di vigilanza ?
  Fino a quando noi tollereremo comportamenti di questo tipo ? Lo chiedo alla collega e amica Sesa Amici, pro tempore sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, pro tempore come siamo tutti pro tempore, naturalmente, sia in questa vita che in questo Parlamento. Fino a quando questa arroganza e questa protervia dureranno ?
  Io non mollo, signor Presidente, lei mi conosce, come mi conosce quest'Aula, soprattutto quando sono dalla parte della ragione e dalla parte del diritto. C’è una legge, ci sono più leggi, che per la verità non venivano rispettate neanche quando facevo un altro mestiere e avevo cercato, anche quando facevo il Ministro, di imporre la total disclosure, la totale trasparenza, proveniente da una norma che avevo voluto io e che stavo attuando: la legge sulla trasparenza della pubblica amministrazione.
  Mi sono rivolto al precedente Presidente del Consiglio dei ministri Letta e al Ministro Saccomanni, che però evidentemente era «in altre faccende affaccendato» e non ha dato attuazione all'ultima norma che prevedeva la trasparenza.
  Adesso mi rivolgo all'attuale Presidente del Consiglio dei ministri, Renzi, all'attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Delrio, all'attuale Ministro dell'economia e delle finanze, Padoan, perché attuino la legge. Ho presentato ricorso alla Corte dei conti, perché c’è una responsabilità personale e contabile, e, quindi, anche di tipo economico, da parte del direttore Gubitosi e della presidente Tarantola, in ragione dell'inadempienza di legge. Svolgo qui oggi questa terza interpellanza urgente ed annuncio già che, se non verranno pubblicati tutti i dati di cui alla legge, ci ritroveremo qui, tra un mese esatto, per la quarta interpellanza urgente. E cercherò anche altre azioni, attraverso la magistratura, di denuncia diretta del comportamento illegale del direttore Gubitosi e del presidente Tarantola, se saranno ancora al loro posto tra un mese.
  La cosa non mi turba – la loro carriera politica –, a me importa che si rispetti la legge. I cittadini devono conoscere la contabilità professionale, salariale della RAI. La RAI è certamente un ibrido, un animale anfibio, è certamente azienda che è nel mercato, ma è un'azienda pubblica, che acquisisce, come ben sappiamo, il canone e che, quindi, è sottoposta alle regole non solo della contabilità pubblica, ma anche alle regole della trasparenza, particolarmente cogenti rispetto al mercato.
  Dopodiché, la RAI ha anche strumenti di giornalismo investigativo. Come dicevo prima, occorre parlare anche di questo in un'Aula che è l'Aula della libertà, come è un'Aula del Parlamento. Mi chiedo se sia possibile – e pensiamolo tutti, ciascuno di noi – usare da parte della RAI il proprio giornalismo investigativo per intimidire quei parlamentari che sono particolarmente indigesti alle dirigenze di turno.
  Questo è ignobile...
  Questo è ignobile, immondo, inaccettabile ed illegale. È successo a me, è successo al sindaco di Verona, Tosi, e potrebbe succedere a tutti voi, a tutti noi, e questo è ignobile, indecente, illegale ed io lo dico a voce alta nell'Aula della libertà, nell'Aula del Parlamento.
  Per questo chiedo al Governo di essere il Governo di questo Paese, di essere il mio Governo e di imporre il rispetto della legge. E – visto che in Commissione di vigilanza le risposte della dirigenza RAI sono ridicole e risibili, delle prese per i fondelli di tutti i parlamentari che svolgono attività di sindacato ispettivo – chiedo al Governo di dare attuazione alle norme di legge, per quanto riguarda non solo la trasparenza, ma anche per il rispetto dei codici deontologici e di comportamento dei giornalisti della RAI.
  Ripeto, non importa della carriera del direttore Gubitosi o della presidente Tarantola: mi importa delle regole cui noi siamo, tutti, tenuti all'ottemperanza. Questa è una cosa gravissima, delicatissima, a cui si aggiunge un'ultima chicca, signor Pag. 30Presidente e signor sottosegretario: il fatto che la RAI, con propria azione legale, abbia oscurato un sito da me voluto che pubblicava e rendeva trasparenti tutti gli atti di sindacato ispettivo presenti in Commissione di vigilanza, un altro comportamento abominevole ed intimidatorio che mi ha riguardato e per il quale io sono stato costretto a far trasmigrare tutti i contenuti del precedente sito in un altro sito a mia diretta titolarità, provvisto della tutela dell'usbergo dell'insindacabilità, come prevede ancora la nostra Costituzione. Vorrò vedere se gli uffici legali della RAI, comandati dal direttore Gubitosi, avranno il coraggio di chiedere l'oscuramento anche di questo secondo sito.
  Detto questo, piccole vicende personali si potrebbe dire. Assolutamente no: temi che attengono al rispetto della legge, alla libertà di espressione ed alla libertà di fare decentemente il nostro mestiere di parlamentari, nel caso specifico il mestiere di vigilare, come prevede la vigilanza RAI, su questa azienda pubblica, che evidentemente da troppi è stata considerata un bene totalmente privato da usare per fini di parte. Questa non è la mia considerazione nei confronti della RAI: io la considero un'azienda pubblica, al servizio pubblico, che deve svolgere un servizio pubblico nella più totale trasparenza, fuori dalle manacce dei boiardi di Stato, fuori dalle manacce dei partiti, fuori dalle manacce dei poteri forti.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Sesa Amici, ha facoltà di rispondere.

  SESA AMICI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, il presidente Brunetta illustrando la sua terza interpellanza – effettivamente corrisponde al vero che quest'Aula è già stata impegnata nelle risposte a quesiti da lui sottoposti – se anche, come dire, ha sviluppato un ragionamento più complessivo, io vorrei dare una risposta che credo sia doverosa sia rispetto all'interpellanza che è stata sottoposta, ma anche alla riflessione più generale.
  Una risposta è comunque, per rassicurare il presidente Brunetta, già il fatto che il Governo sente, quanto lui, la responsabilità che in questo Paese la legge venga rispettata e che il tema del rispetto della legge è anche il segno ed il portato di una credibilità di un Governo, nell'assicurare a tutti i cittadini le risposte di merito ma anche e soprattutto il rispetto delle regole e delle leggi che noi ci diamo.
  Questo credo che sia un atto che io le dovevo, perché credo che questo corrisponda poi al fondo di un'interpellanza in cui si chiedono, ancora una volta, chiarimenti rispetto ad un quesito molto preciso. E in effetti, con lo specifico riferimento alle iniziative assunte al fine di rendere esecutivi gli obblighi di trasparenza in capo alla RAI, si fa presente che ai sensi dell'articolo 60, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come modificato dal decreto-legge n. 101 del 2013, convertito nella legge n. 125 del 2013, con nota del 12 febbraio 2014 il Ministero dell'economia e delle finanze congiuntamente al Dipartimento della funzione pubblica hanno provveduto a richiedere alla RAI, entro il termine del 31 marzo 2014, il costo annuo del personale comunque utilizzato, in conformità alle procedure definite dal Ministero dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Dipartimento della funzione pubblica. Pertanto, non essendo ancora trascorso il periodo concesso alla RAI – 31 marzo 2014 – per la citata comunicazione e non essendo pervenuti i dati richiesti, attualmente non è possibile fornire notizie, né intervenire nei confronti della società medesima.
  Sulla questione, come già riferito in sede di svolgimento delle precedenti interpellanze di analogo argomento, si precisa che il Ministero dell'economia, sentito il Dipartimento della funzione pubblica, ha provveduto a richiedere l'avviso dell'Autorità garante della privacy e dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato su alcuni aspetti interpretativi della Pag. 31norma. Attualmente, non è ancora pervenuta la risposta da parte delle citate Autorità indipendenti.
  Si fa presente, pur tuttavia, che in attuazione dell'articolo 60 del decreto legislativo n. 165 del 2001, in materia di controllo del costo del lavoro sottostante, il Ministero dell'economia svolge con cadenza annuale all'interno del sistema conoscitivo del personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche – il Sico – una serie di rilevazioni statistiche obbligatorie per tutte le amministrazioni.
  Per quanto riguarda il periodo da considerare ai fini della rilevazione, si precisa che la norma fa riferimento al costo annuo del personale e, pertanto – come avviene per tutte le amministrazioni pubbliche – anche per le società partecipate, compresa la RAI, la rilevazione dovrà necessariamente riguardare l'ultima annualità trascorsa, ossia, attualmente il 2013.
  Sulla base di quanto premesso, al fine di dare attuazione alla norma in questione, è stata condotta un'analisi dei contratti applicati al personale, onde desumerne informazioni di massima utili a strutturare la rilevazione. Tali informazioni verranno acquisite mantenendo separate quelle relative al personale a tempo indeterminato da quello a tempo determinato. Con riferimento alla dirigenza, invece, verrà mantenuto il dettaglio del singolo soggetto, con l'indicazione della retribuzione annua lorda. Tale specifica acquisizione varrà anche per i giornalisti che hanno un profilo assimilabile a quello della dirigenza, mentre per quelli al di sotto di tale profilo si procederà come per il resto dei dipendenti.
  Differenti sono invece le problematiche connesse al lavoro non subordinato. Il criterio individuato per segmentare anche il personale con contratto di lavoro autonomo è stato quello delle classi retributive. Prendendo a riferimento il livello minimo che appare verosimile per la retribuzione della dirigenza, pari a 80 mila euro lordi annui, sono state stabilite quattro fasce di compensi annui lordi dipendente (fino a 10 mila euro; da 10 mila e 1 euro fino a 30 mila euro; da 30 mila e 1 euro fino a 50 mila euro; e da 50 mila e 1 euro fino a 80 mila euro), per le quali dovranno essere indicati: il numero di soggetti che hanno percepito nell'anno un compenso complessivo compreso all'interno della fascia, l'importo complessivo erogato a tutti i soggetti appartenenti alla fascia e il numero medio di prestazioni che hanno dato luogo a compensi. Per i soggetti che in termini annui hanno percepito compensi superiori alla soglia individuata di 80 mila euro, la richiesta sarà, invece, individuale e riguarderà il numero di prestazioni e l'importo totale che è stato corrisposto nell'anno.
  Si assicura, comunque, l'onorevole interpellante che, come già riferito in sede di svolgimento di precedenti atti di analogo contenuto, il Governo porrà il massimo impegno per dare attuazione alla norma in questione nei tempi tecnici strettamente necessari.

  PRESIDENTE. L'onorevole Brunetta ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  RENATO BRUNETTA. Signor Presidente, sono soddisfatto per le belle parole iniziali, non sono soddisfatto per la «trattazione» delle stesse, anche perché, signora sottosegretario, il termine del 31 marzo è un termine «ad capocchiam», nel senso che è un termine non previsto dalla legge e, quindi, autonomamente determinato dall'allora Ministro dell'economia e delle finanze non si sa sulla base di quale criterio.
  Quindi non mi può, gentile sottosegretario, indicare questo termine come un dato, come dire, all'interno del quale attendere la cortese risposta da parte della RAI, perché se questo termine «ad capocchiam» venisse prorogato per altri tre mesi o altri quattro mesi ci troveremo ad una vera e propria presa per i fondelli.
  Ricordo che la conversione in legge del decreto è del mese di ottobre. Ricordo a me stesso che i decreti-legge entrano in vigore immediatamente. Accetto anche un certo lavoro istruttorio rispetto alla raccolta Pag. 32dei dati, ma dal mese di agosto, data del decreto, alla data della conversione in legge, ottobre, alle date successive delle interpellanze urgenti sono passati troppi mesi. Ricordo anche alla sottosegretaria che l'interpello dell'Authority per la privacy era già stato fatto rispetto a precedenti normative molto simili e che era sempre stato dato il nulla osta.
  Quanti nulla osta si devono dare rispetto alla total disclosure ? Ricordo che c’è una norma generale che porta il mio nome che prevede la total disclosure per tutta la pubblica amministrazione e per gli enti assimilati. Di cosa ancora abbiamo bisogno ? Allora io non voglio essere preso in giro e penso che anche la sottosegretaria, collega Sesa Amici, non voglia essere presa in giro. Penso che il Governo non debba essere preso in giro, che il Presidente del Consiglio non debba essere preso in giro, penso che il Ministro dell'economia e delle finanze non debba essere preso in giro.
  Risposte serie di carattere tecnico sulle fasce retributive, i dati aggregati e così via che non servano a coprire la realtà. Questo Governo, il Presidente Renzi, ha il potere di imporre alla RAI una risposta immediata, subito ? Questo è il punto. Questo Governo, che si dice diverso, questo Presidente, che si dice diverso, ha la capacità di imporre alla RAI il rispetto della legge immediatamente, per conoscere la trasparenza e per avere la trasparenza all'interno della RAI non solo per i dirigenti e i giornalisti, ma anche per il cosiddetto mercato delle star, per sapere quanto è stato pagato Fabio Fazio a Sanremo, la Littizzetto a Sanremo, che tipo di contratto ha Floris a Ballarò oppure i singoli bravissimi artisti che collaborano con la RAI ?
  Siccome questo prevede la legge, io chiedo espressamente – spero che mi ascolti nella sua multiforme attività mediatica il nostro Presidente del Consiglio, visto che «twitta» dalla mattina, dalle 6 in poi; magari gli manderò dei tweet per avere un linguaggio omologo e spero che mi «ritwitti» indietro e che mi risponda – ha il potere, signor Presidente del Consiglio, via ottima sua sottosegretaria, di imporre immediatamente alla RAI di rispettare la legge ? Altrimenti, signor Presidente del Consiglio, lei come tutti noi, lei Presidente del Consiglio e tutti noi saremo presi in giro, usati, violentati e svillaneggiati da questo potere forte che si chiama RAI. E magari se la dottoressa Sesa Amici alzerà troppo la voce le arriverà la troupe di Report per verificare qualche sua asserita nefandezza in termini familiari, proprietari, storici, di carriera politica eccetera eccetera. Magari anche lei, signor Presidente pro tempore, che presiede la Camera, potrà ricevere la visita dei giornalisti della Gabanelli, magari per verificare se i suoi digiuni sono stati, come dire, rispettati o meno e quanti cappuccini abbia lei assunto e, quindi, se la sua credibilità di Presidente della seduta in cui si discuteva l'interpellanza urgente è una Presidenza credibile oppure no.
  Scherzo un po’, naturalmente, su questo, ma non troppo, perché rischiamo di avere un ente pubblico, delicatissimo, straordinario potenzialmente, perché è la più grande azienda culturale del nostro Paese, ricordiamocelo tutti, pagata con i soldi dei cittadini, che ha una storia straordinaria nella formazione della cultura di questo nostro Paese, nelle mani, nelle poche mani, di alcuni boiardi, che non rispondono alla legge e che non rispondono al Parlamento.
  Questo è il dato di grave preoccupazione, che va ben al di là delle tre interpellanze urgenti dell'onorevole Brunetta, ma che diventa costume del nostro Paese. Vorrei tanto poter dire di essere soddisfatto, sottosegretario Amici, vorrei tanto: non lo sono, almeno fino a quando, spero domani, la RAI non pubblicherà, rispettando la legge, tutti i dati cui è tenuta dalla normativa vigente, e comunico che, da ora in poi, ogni giorno, interrogherò il Presidente del Consiglio per chiedergli della sua attitudine-orientamento a non farsi prendere in giro, anche lui, al pari mio, al pari nostro, al pari di quest'Aula, dal dottor Gubitosi e dalla dottoressa Tarantola.

Pag. 33

  PRESIDENTE. Saluto gli alunni e i docenti della scuola elementare «Silvi» di Silvi Alta, in provincia di Teramo, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi) e spiego loro che siamo nella fase delle interpellanze urgenti, per cui in Aula sono presenti solo i deputati che hanno presentato dei quesiti al Governo e i rappresentanti del Governo interessati per materia.

(Iniziative volte ad escludere dalla fattispecie di organizzazione autonoma del lavoro i medici di medicina generale convenzionati con il Servizio sanitario nazionale, con particolare riferimento agli oneri fiscali – n. 2-00419)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Zanin n. 2-00419, concernente iniziative volte ad escludere dalla fattispecie di organizzazione autonoma del lavoro i medici di medicina generale convenzionati con il Servizio sanitario nazionale, con particolare riferimento agli oneri fiscali (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Zanin se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  GIORGIO ZANIN. Signor Presidente, intendo illustrarla. Se il sottosegretario fosse rimasto ancora per un attimo, avrei aggiunto una mia richiesta fuori campo, evidentemente, quella di controllare l’audience di GR Parlamento, dopo gli interventi qui ripetuti, in sede di interpellanze, di alcuni parlamentari, ma ci concentriamo sulla nostra fattispecie. Signor sottosegretario, abbiamo di fronte una questione evidentemente importante, che il Governo, in qualche misura, ha già affrontato con un recente ordine del giorno e che diventa stringente chiudere, in attesa, evidentemente, che le deleghe fiscali o altro possano intervenire nel merito.
  I medici di medicina generale svolgono, di fatto, un servizio pubblico, è evidente a tutti, e in queste settimane, nel raccogliere le firme che hanno permesso la presentazione di questa interpellanza, ho potuto verificare quanto questo servizio sia apprezzato e fondamentale per i nostri cittadini. In particolare, non è da sottovalutare il fatto che con il decreto Balduzzi siamo addivenuti ad un'idea che è fondamentale, penso: potenziando il servizio dei medici di medicina generale, assolviamo a due funzioni fondamentali: andiamo più vicini e prossimi agli utenti, ai cittadini, e riusciamo ad abbattere anche la spesa pubblica per i ricoveri, in maniera anche cospicua.
  È questa la ragione per cui sono molteplici i soggetti, sia a titolo individuale sia, alle volte, a titolo collettivo, che assumono dei collaboratori di studio che permettono di affrontare, con tutta evidenza in modo più efficace, lo svolgimento delle funzioni a cui sono preposti proprio i medici di medicina generale. Ritengo che questo sia un punto molto importante.
  Le cito proprio la facilità con cui ho potuto raccogliere le firme di adesione a questa interpellanza, nel momento in cui citavo questo aspetto, che è decisivo per chi ne ha l'esperienza diretta, della lunghezza delle code, come poi si svolgevano in questi studi quando c'erano ancora delle organizzazioni non adeguate al modello e come sono quando, invece, questi collaboratori agevolano l'accesso ai servizi e permettono di fatto, con tutta evidenza, tutta quell'efficacia che ci siamo proposti anche con i decreti in essere.
  Ora, è una fattispecie abbastanza stravagante il fatto che, svolgendo servizio pubblico ed essendo poi, per i medici di medicina generale, in vigore un tetto di assistiti che impedisce di fatto di ricavare un utile dalle assunzioni di questi assistenti di studio; è del tutto evidente che configurare queste assunzioni con la fattispecie dell'impresa non gli si addice, ed è questo l'elemento che ci ha portato proprio a presentare l'interpellanza urgente, e cioè se non sia urgente rivedere questa normativa e veramente provare a cercare una strada per riscrivere, con un'iniziativa diretta a chiarire, l'esclusione di questa fattispecie dal concetto di organizzazione autonoma del lavoro, escludendo Pag. 34pertanto gli oneri fiscali derivanti dall'interpretazione applicata dall'Agenzia delle entrate.
  Ecco, io penso di essere stato chiaro, soprattutto pensando che l'obiettivo fondamentale che noi ci poniamo con questa interpellanza non è quello, evidentemente, di agevolare o togliere una spesa ai medici, quanto più, in maniera puntuale, assicurare in primo luogo il fatto che i cittadini abbiano un servizio il più adeguato possibile ed il più rapido possibile, in secondo luogo favorire la riduzione della spesa pubblica, migliorando l'efficacia del servizio e in terzo luogo, evidentemente, anche assicurare – cosa da non sottovalutare – il fatto che tutti i dipendenti che vengono assunti con questi contratti di collaborazione possano effettivamente svolgere questo impiego, addivenendo evidentemente ad occupare dei posti di lavoro che, come si capisce, di questi tempi, non sono neppure questi da sottovalutare. Tre questioni in una sola vicenda, che ritengo il Governo possa sicuramente impegnarsi ad affrontare.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Sesa Amici, ha facoltà di rispondere.

  SESA AMICI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, la risposta che darò al collega Zanin, che è stata elaborata anche dagli uffici legislativi del Ministero dell'economia e delle finanze, pone una questione interpretativa rispetto ai temi svolti nella sua interpellanza; soprattutto nell'interpellanza viene evidenziato come «i medici di medicina generale, per evitare i costi aggiuntivi a loro carico, a completo svantaggio dei cittadini e con significativi danni occupazionali, optino per il regresso nella qualità del servizio con il licenziamento forzato dei numerosi collaboratori, disperdendo tra l'altro una qualità professionale».
  Sul punto è rilevato come la Corte di Cassazione, con la recentissima ordinanza del 7 gennaio 2014 n. 106, ha chiarito che è oramai jus receptum che «la disponibilità, da parte dei medici di medicina generate convenzionati con il SSN, di uno studio dotato delle attrezzature indicate nell'articolo 22 dell'Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale, reso esecutivo con decreto del Presidente della Repubblica 28 luglio 2000, n. 270, essendo obbligatoria ai fini dell'instaurazione e del mantenimento del rapporto convenzionale, non integra, di per sé, il requisito dell'autonoma organizzazione ai fini del presupposto impositivo dell'IRAP», ritenendo, quindi, inapplicabile detta imposta regionale ai medici di medicina generale convenzionati con il Servizio sanitario nazionale.
  Ciò premesso, gli interpellanti chiedono che sia valutata l'opportunità di adottare specifiche iniziative normative dirette a chiarire l'esclusione di tale fattispecie dal presupposto impositivo ai fini IRAP dell’ autonoma organizzazione del lavoro.
  L'Agenzia delle entrate, in assenza di una disposizione normativa volta a delimitare l'ambito dell'autonoma organizzazione, con le circolari n. 45/E del 2008 e n. 28/E del 2010, recependo i principi sanciti dalla giurisprudenza di legittimità, ha evidenziato che sussiste «autonoma organizzazione» quando ricorre almeno uno dei seguenti presupposti: impiego in modo non occasionale di lavoro altrui; in particolare, con la circolare n. 45/E del 2008, è stato chiarito che l'affidamento a terzi, in modo non occasionale, di incombenze tipiche dell'attività artistica o professionale, normalmente svolte all'interno dello studio, deve essere valutato ai fini della sussistenza dell'autonoma organizzazione. Non rileva invece l'eventuale prestazione fornita da terzi per attività estranee a quelle professionali o artistiche (ad esempio, consulenza ed assistenza tributaria ai fini dell'assolvimento degli obblighi fiscali di un artista). Non rileva, altresì, lo svolgimento presso il professionista di un tirocinio, in quanto lo stesso è in sostanza funzionale alle esigenze formative del tirocinante.Pag. 35
  Il secondo aspetto è l'utilizzo dei beni strumentali eccedenti, per quantità o valore, le necessità minime per l'esercizio dell'attività; in particolare, con la circolare n. 45/E del 2008, è stato precisato che ai fini della verifica dell'autonoma organizzazione rileva comunque la disponibilità di beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per lo svolgimento dell'attività, anche qualora non vengano acquisiti direttamente, ma siano forniti da terzi, a qualunque titolo. Sul punto la circolare n. 28/E richiama la sentenza della Corte di Cassazione 25 maggio 2009, n. 12078, secondo la quale agli effetti impositivi IRAP ciò che rileva è «la sussistenza di una organizzazione autonoma, restando indifferente il mezzo giuridico col quale quest'ultima è attuata (dipendenti ovvero società di servizi), che rende possibile lo svolgimento dell'attività dei professionisti, attraverso la disponibilità di beni strumentali capitali e stabili forme di collaborazione, funzionali all'espletamento delle particolari incombenze; il che si realizza, come nel caso, con il contratto che impegna le parti a collaborare affinché la clientela percepisca l'attività come organizzazione unitaria fornitrice di più servizi».
  Tali principi si applicano, come chiarito dalla circolare n. 28/E del 2010, ai professionisti, agli artisti ed agli esercenti attività ausiliarie dell'imprenditore commerciale di cui al n. 5), dell'articolo 2195 del codice civile, fra cui agenti di commercio e promotori finanziari.
  Tuttavia l'Agenzia ritiene opportuno ribadire che le predette indicazioni contenute nei documenti di prassi devono intendersi di carattere generale e, pertanto, per stabilire l'esclusione o meno dall'IRAP devono essere valutate caso per caso in quanto l'individuazione di specifici parametri qualitativi e quantitativi per definire un'autonoma organizzazione possono essere fissati solo con un intervento normativo e non in via amministrativa.
  Al riguardo, l'Agenzia fa presente che è stato approvato definitivamente lo scorso 27 febbraio, ed è attualmente in corso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, il disegno di legge «Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita» (cosiddetta «delega fiscale») che contiene, tra l'altro, la definizione di autonoma organizzazione, adeguandola ai più consolidati principi desumibili dalla fonte giurisprudenziale ai fini della non assoggettabilità dei professionisti, degli artisti e dei piccoli imprenditori all'IRAP (articolo 11, comma 2).

  PRESIDENTE. L'onorevole Zanin ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  GIORGIO ZANIN. Signor Presidente, signor sottosegretario, sì, in parte evidentemente. Sono in parte soddisfatto perché siamo rimasti sostanzialmente in un regime di zona grigia: non si capisce ancora cosa si debba fare. In una risposta ad un recente ordine del giorno proprio sulla stessa materia, si è formulata in maniera molto chiara da parte del Governo una richiesta di ritiro da parte del proponente, per affrontare la questione evidentemente in sede di approfondimento attraverso la Commissione.
   Mi auguro che grazie anche all'appello che quest'oggi alzo e che si sostanzia anche nelle parole usate dai tribunali amministrativi per riconoscere quella sentenza e soprattutto in nome e per conto di questa triplice oggettiva necessità di offrire un servizio ai cittadini coerente con il profilo del Servizio sanitario nazionale che abbiamo descritto e che abbiamo voluto proprio come Parlamento, con una riduzione della spesa necessaria e opportuna e con il mantenimento di posti di lavoro, gli obiettivi siano più che sufficienti per porre anche il Governo nella condizione di procedere in maniera spedita a superare questo elemento di zona grigia che è stato descritto nella risposta. Dunque prendo questo, per così dire, approccio che è stato dato a questa mia interpellanza urgente, come una sorta di impegno a percorrere una strada e vedo dai cenni del sottosegretario che così potrà essere e la ringrazio anche per questo.

Pag. 36

(Intendimenti in merito all'assegnazione dei fondi strutturali europei per l'Agenda digitale italiana – n. 2-00359)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Coppola n. 2-00359, concernente intendimenti in merito all'assegnazione dei fondi strutturali europei per l'Agenda digitale italiana (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Coppola se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  PAOLO COPPOLA. Signor Presidente, questa interpellanza urgente è datata 9 gennaio ed era, appunto, talmente urgente che, purtroppo, per vari motivi, abbiamo dovuto aspettare quasi due mesi per avere la risposta. Essa nasce, all'indomani della presentazione della bozza di accordo di partenariato per la programmazione dei fondi strutturali 2014-2020, dall'osservazione che nella bozza, su 63 miliardi circa di fondi che vengono destinati, meno di 2 vengono destinati ai temi dell'Agenda digitale e solo nell'Obiettivo tematico 2.
  Noi, come interpellanti, ci chiediamo se, invece, il Governo abbia intenzione di dare un maggiore peso al tema dell'Agenda digitale. E non ce lo chiediamo a caso, perché il nostro Paese è estremamente in ritardo, come possiamo vedere da una serie di indicatori che sono disponibili online, a partire dal sito della Digital agenda scoreboard preparato dalla Comunità europea, e faccio alcuni esempi. Partiamo dalle reti: nella percentuale di copertura di reti di nuova generazione, rispetto alla classifica dei Paesi dell'Unione europea, siamo ultimi nel 2012. Nella velocità dei collegamenti fissi, tranne per quelli di velocità superiore ai due megabit, nella fascia 10 megabit siamo penultimi (peggio di noi fa solo Cipro), nella fascia da 30, quindi collegamenti con velocità superiore ai 30 o ai 100, siamo ultimi, secondo dati di giugno 2013. Tutti gli altri Paesi dell'Unione europea fanno meglio di noi.
  Ma gli indicatori relativi alla connettività non sono gli unici che ci vedono assai arretrati. Ad esempio, nella percentuale di popolazione che usa regolarmente Internet, sul livello basso di istruzione siamo quintultimi; se, invece, si prende la fascia di popolazione che ha un livello medio di istruzione, ben otto Paesi fanno peggio di noi; se, infine, ci concentriamo sulla fascia di popolazione che ha un livello alto di istruzione, siamo ultimi in Europa come percentuale di utilizzo di Internet.
  Come pure peggio di noi fanno solo i cittadini della Polonia come percentuale di cittadini che leggono informazioni online e, se vediamo la percentuale dei cittadini che cercano informazioni online riguardo a beni e servizi, peggio di noi fanno solo la Bulgaria e la Romania, sempre secondo i dati del 2013.
  Riguardo all'uso di modulistica online nei rapporti con la pubblica amministrazione, andiamo un po’ meglio, anche la Grecia fa peggio di noi: Grecia, Repubblica Ceca e Romania. Questo è particolarmente interessante perché l'Italia, nel 2010, dichiarava che già il 100 per cento dei servizi era online, mentre, invece, rispetto all'uso di questi servizi della pubblica amministrazione, nel 2013, solo il 34 per cento della popolazione li utilizza. Cosa strana, perché se, invece, si va a vedere la Danimarca, che non ha una copertura totale – almeno a parole – come la nostra, perché dichiara il 92 per cento dei servizi, invece in quel Paese l'89 per cento dei cittadini utilizza il servizio online. Probabilmente, questo ci fa venire alcuni dubbi sulla qualità di questi servizi della pubblica amministrazione online.
  Ma andiamo oltre. Se andiamo a vedere i computer per studenti e valutiamo quell'indicatore, peggio di noi ci sono solo la Grecia e la Polonia. Nel 2013, solo il 5 per cento delle nostre imprese vende online; peggio di noi solo la Bulgaria. Ad esempio, la Germania nel 2013 aveva il 22 per cento delle imprese che vendevano on-line.
  Spero di aver dato un quadro abbastanza chiaro del ritardo enorme che ha il nostro Paese rispetto a queste tematiche, e quindi di aver dato motivi sufficienti per far sì che il Governo capisca che, per quanto riguarda i temi dell'Agenda digitale, Pag. 37bisogna correre, bisogna avere maggiore coraggio, perché non possiamo pensare di riuscire ad avere nel 2014 una pubblica amministrazione efficace, efficiente e trasparente che non è in grado di informatizzare, di automatizzare in modo corretto le proprie procedure. Ci sono studi che stimano un risparmio annuo di 43 miliardi di euro derivante da una completa informatizzazione della pubblica amministrazione, e questo è un ambito trasversale che va dalla sanità alla giustizia, alla scuola. Non possiamo pensare nel 2014 di avere una vera partecipazione dei cittadini senza utilizzare al meglio i benefici delle nuove tecnologie. Non possiamo pensare di costruire delle smart community senza investire sui temi dell'Agenda digitale, e quindi avere vera sostenibilità energetica, ambientale, mobilità intelligente, senza investire una consistente parte di risorse su questi temi. Non possiamo credere di essere competitivi, soprattutto a livello internazionale, se non riusciamo a colmare il gap che abbiamo sui temi dell'Agenda digitale.
  Noi chiediamo quindi se è il caso che il Governo faccia una scelta un pochino più coraggiosa. Il direttore dell'Agenzia per l'Italia digitale stima in 10 miliardi di euro la richiesta di risorse necessarie per colmare il gap rispetto agli altri Paesi.
  Notiamo anche che nella bozza di accordo di partenariato manca un piano operativo nazionale sui temi dell'Agenda digitale. Forse è il caso, invece, di coordinare le varie azioni che ci sono a livello regionale, in modo da essere più efficaci e, quindi, cercare di essere maggiormente competitivi. È ora di finirla di essere così in ritardo su questi temi.

  PRESIDENTE. Saluto gli alunni e i docenti dell'Istituto Comprensivo Statale Ripi, in provincia di Frosinone, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune. Grazie di essere qui (Applausi).
  Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Sesa Amici, ha facoltà di rispondere.

  SESA AMICI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. L'onorevole interpellante Coppola, ha svolto un'illustrazione molto dettagliata di un tema che, ovviamente, nella fase di definizione del nuovo Governo avrà un punto centrale anche nell'attribuzione delle varie deleghe che attualmente sono ancora in via di definizione. Quindi probabilmente la risposta è legata, più che altro, ad un quadro più generale, riassuntivo delle operazioni che si erano fatte con il Governo precedente e, quindi, della messa a punto di alcune questioni che l'interpellante stesso ha ben presente.
  Quindi, pur avendo una risposta molto lunga, mi permetto poi di consegnarla direttamente all'onorevole Coppola ed evito il riassunto di tutto l'iter che ha portato alla costituzione del tavolo interministeriale e il rapporto con le varie regioni nella ripartizione dei fondi; darò invece lettura semplicemente dei punti più nodali che l'onorevole Coppola ha posto con la sua interpellanza.
  I fondi per l'Agenda digitale italiana, nell'attuale schema di accordo di partenariato, ammontano, prendendo in considerazione il solo Obiettivo tematico 2, a 1,8 miliardi di euro, cui va aggiunto un cofinanziamento nazionale pressoché di pari entità. Con tali risorse si intendono conseguire i seguenti risultati: riduzione dei divari digitali e diffusione di connetività in banda larga, quantificati in 630 milioni di euro in quota comunitaria previsti nella bozza di accordo di partenariato del 9 dicembre, a cui dovrà aggiungersi il cofinanziamento nazionale; potenziamento della domanda di TLC dei cittadini in termini di utilizzo dei servizi on-line, inclusione digitale e partecipazione in rete, digitalizzazione dei processi amministrativi e diffusione dei servizi digitali pienamente interoperabili per cittadini ed imprese. Oltre a tali risorse, vanno considerate le ulteriori risorse che, pur afferenti ad altri obiettivi tematici, contribuiscono in ugual modo al conseguimento degli obiettivi strategici dell'Agenda digitale.
  In particolare, l'Obiettivo tematico 3, 10 e 11. In particolare, nell'Obiettivo tematico Pag. 383 «Competitività dei sistemi produttivi» il risultato atteso volto al «Rilancio della propensione agli investimenti del sistema produttivo» prevede le seguenti azioni: rafforzare – anche nelle aree interne – il settore delle ICT e la diffusione delle ICT nei processi produttivi delle piccole e medie imprese; sviluppare applicazioni e servizi a supporto della sostenibilità e della competitività delle zone rurali e dell'agricoltura.
  Nell'Obiettivo tematico 10, un punto che mi pare nella interpellanza fosse centrale, riguardante «Istruzione e formazione», le risorse sono volte al conseguimento dei seguenti risultati: diffusione della società della conoscenza nel mondo della scuola e della formazione; miglioramento delle competenze chiave degli studenti, dei docenti, degli adulti, con particolare attenzione alle competenze digitali.
  Nell'Obiettivo tematico 11, la «Capacità istituzionale e amministrativa», si prevede un risultato atteso di aumento della trasparenza dell'accesso ai dati pubblici e di miglioramento della qualità dei servizi offerti dalla pubblica amministrazione, da conseguire attraverso azioni del tutto coerenti con quelle previste dall'Agenda digitale (open data, interoperabilità delle banche dati pubbliche, per la migliore erogazione di servizi e-government).
  È opportuno inoltre tenere conto dell'apporto alla realizzazione dell'Agenda digitale di altri ambiti tematici, su cui potranno essere costruite azioni coerenti con quelle che l'Agenda digitale europea definisce i vantaggi offerti dalle nuove tecnologie per affrontare le sfide della società (ricerca e innovazione, turismo, mobilità).
  In conclusione, è bene ribadire che il confronto partenariale ha visto coinvolte tutte le amministrazioni responsabili dell'utilizzo dei fondi e le amministrazioni responsabili per materia a livello centrale, comprese le strutture coinvolte nella redazione e attuazione dell'Agenda digitale nazionale. In tale ambito i partecipanti hanno potuto esprimersi e condividere le proprie posizioni, nonché proporre emendamenti al testo, coerentemente alle finalità della politica di coesione. Nelle varie fasi di confronto è intervenuta la stessa Commissione europea, che ha espresso più volte un generale apprezzamento verso l'impianto definitivo, proponendo alcuni emendamenti che sono stati puntualmente accolti.
  Pertanto, la presenza del tema Agenda digitale nel documento di strategia per l'impiego dei fondi strutturali 2014-2020 non appare esigua. Questo è il punto centrale anche per il nuovo Governo e l'attenzione andrà piuttosto concentrata sull'attuazione degli interventi, e dovrà essere sostenuta da una solida governance a garanzia del massimo coordinamento tra i soggetti coinvolti per conseguire i risultati attesi.
  In merito a questo ultimo profilo, l'esperienza delle passate programmazioni ha dimostrato la modulabilità degli interventi in tema di Agenda digitale, che quindi possono essere realizzati, nell'ambito dei PO regionali, con forte coordinamento centrale, come già avvenuto nel corrente ciclo di programmazione per gli interventi relativi alla banda larga e ultralarga. Tale positivo approccio potrà essere utilmente perseguito anche nel prossimo ciclo di programmazione.
  Desidero comunque assicurare che, oltre alle risorse previste dalla programmazione comunitaria, nel periodo 2014-2020, saranno disponibili i finanziamenti nazionali del Fondo sviluppo e coesione (che ammontano a 54 miliardi di euro) e, quindi, una parte di tali fondi potrà contribuire a sostenere proprio l'Agenda digitale.
  Sono questi, in maniera sintetica, ma avrà modo l'interpellante di fare una lettura molto più attenta, i nodi sui quali ho ritenuto di concentrare la risposta.

  PRESIDENTE. Onorevole sottosegretario, devo semplicemente precisarle, come lei sa, che i documenti di cui ha parlato possono essere consegnati all'interpellante, messi a disposizione degli uffici, non risulteranno però agli atti perché ovviamente questa è una fase diversa.Pag. 39
  L'onorevole Coppola ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  PAOLO COPPOLA. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario per la risposta. Sono felice che il Governo dimostri una attenzione particolare ai temi dell'Agenda digitale. Mi rimane giusto un piccolo dubbio sull'efficacia del coordinamento realizzato non utilizzando un piano operativo nazionale, come richiedevamo, però io sono abituato a valutare i risultati. Fortunatamente abbiamo svariati indicatori per farlo nei prossimi mesi e quindi aspettiamo con fiducia, una fiducia data anche dal fatto che finalmente mi sembra abbastanza evidente che si sta prendendo consapevolezza di quanto sia importante il tema e di quanto sia trasversale. Per troppo tempo l'Agenda digitale è stata vista come quella cosa che ha a che fare con la fibra ottica o con il collegamento a Internet, invece è un settore strategico di sviluppo di tutti i settori della vita del nostro Paese, e in quest'ottica noi dobbiamo continuare a lavorare.

(Iniziative volte a garantire la prosecuzione delle attività concernenti l'educazione alle diversità a scuola da parte dell'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, anche al fine di contrastare episodi di bullismo a sfondo omofobico e transfobico – n. 2-00413)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Zan n. 2-00413, concernente iniziative volte a garantire la prosecuzione delle attività concernenti l'educazione alle diversità a scuola da parte dell'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, anche al fine di contrastare episodi di bullismo a sfondo omofobico e transfobico (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Zan se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  ALESSANDRO ZAN. Signor Presidente, sottosegretario Amici, questa interpellanza urgente riguarda prevalentemente la questione dell'UNAR, l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, che è stato oggetto nelle settimane scorse, e continua ad essere oggetto, di vergognose campagne di attacchi da parte di un quotidiano, che non è estraneo a questi continui attacchi, l’Avvenire, il quotidiano dei vescovi, ma soprattutto da parte di esponenti della maggioranza che sostengono questo Governo, esponenti del Nuovo Centrodestra, per aver realizzato un opuscolo informativo rivolto ai docenti, per contrastare le discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e l'identità di genere. Su questo... ci sono dei colleghi ai banchi del Governo e non riesco ad interloquire, Presidente, con il sottosegretario Amici.

  PRESIDENTE. Onorevole Coppola, deve lasciare liberi...

  ALESSANDRO ZAN. E questo materiale informativo è stato realizzato dall'istituto Beck, che è l'Istituto di terapia cognitivo-comportamentale. Un contratto con il Dipartimento per le pari opportunità stipulato nel dicembre del 2012, prevedeva appunto la realizzazione di questo materiale informativo, che è davvero molto importante, perché il fenomeno del bullismo omofobico e transfobico nelle nostre scuole, gli episodi di discriminazione nei confronti dei ragazzi omosessuali e transessuali nelle scuole sono all'ordine del giorno e le cronache sono piene di episodi di tentati suicidi, di suicidi di ragazzini che lasciano alle proprie famiglie dei biglietti con una testimonianza terribile della loro condizione e della loro impossibilità di vedere un futuro in questa società, di essere accettati dalla scuola, dai propri compagni, dalla famiglia, cioè compiono un atto disperato che è l'emblema, è la cifra della condizione in cui questo Paese vive, una condizione di omofobia intollerabile, che ci vede nelle classifiche come uno degli ultimi Paesi non solo in Europa, ma nel mondo per questo tema.
  Questo Parlamento non è riuscito ad approvare una banale legge contro l'omofobia; Pag. 40si chiedeva nelle proposte di legge presentate dalla stragrande maggioranza dei parlamentari una legge contro l'omofobia che era banalmente l'estensione della legge Mancino per i reati motivati da orientamento sessuale e identità di genere. Questo Parlamento non è riuscito ad approvare una legge sulle unioni civili, non parlo di matrimonio gay, ma neanche una legge che tuteli le coppie conviventi, e ora c’è un tentativo vergognoso da parte di esponenti di questa maggioranza, della maggioranza che appoggia questo Governo, di eliminare uno strumento informativo rivolto ai docenti per contrastare fenomeni di bullismo e omofobia. Ora, ditemi voi se questo Paese si può considerare un Paese civile.
  Chiedo a lei, sottosegretario Amici, che so essere molto sensibile a questo tema, di darmi una risposta, se possibile non formale, ma che preveda un impegno preciso del Governo innanzitutto a mantenere questo materiale informativo che è previsto, appunto, da un accordo con il Dipartimento pari opportunità e che doveva, diciamo, agire in base ad un protocollo d'intesa con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
  Inoltre, l'azione dell'UNAR, permettetemi, è una delle poche a livello istituzionale che contribuisce a contrastare le discriminazioni, conformemente alle linee previste dal Consiglio d'Europa, e questa, è la strategia nazionale già approvata dal Governo, LGBT per il 2013-2015, che era fortemente, ed è fortemente voluta dal Consiglio d'Europa, per gli interventi nelle scuole.
  Inoltre, sarebbe opportuno che l'UNAR continuasse il proprio lavoro in condizioni di autonomia e indipendenza, proprio per evitare di subire continue pressioni da parte di esponenti della maggioranza che vogliono cancellare questo minimo, intervento di contrasto all'omofobia. Oltretutto, mi permetto di sottolineare, sottosegretario, andrebbe superato l'acronimo UNAR, che sta per ufficio nazionale antidiscriminazione razziale, lasciando solo Ufficio nazionale antidiscriminazione, come previsto negli altri Paesi europei, visto che l'UNAR per competenze non si occupa solamente delle discriminazioni motivate da razzismo ma anche di tutte le altre discriminazioni che, purtroppo, sono presenti nella nostra società.
  Allora, chiedo al Governo quali iniziative intenda assumere per garantire la prosecuzione indispensabile delle attività dell'UNAR e di educazione alle diversità, per le quali occorre garantire l'utilizzo di questi opuscoli, proprio da distribuire nelle scuole ai docenti per un'opportuna formazione in materia di lotta all'omofobia e alla transfobia. Chiedo, inoltre, se il Governo disponga di un quadro chiaro della necessità di intervenire sui giovani nelle scuole anche in relazione ai dati sui fenomeni di bullismo che, come dicevo prima, sono a sfondo omofobico e transfobico e che hanno portato – e se continuiamo così porteranno ancora – a fenomeni di tentati suicidi e di suicidi da parte di ragazzi e ragazze molti giovani che, a scuola sono colpiti e sono oggetto di questi fenomeni di bullismo.
  Mi pare che qui stiamo all'interno di un quadro di civiltà minima e di educazione minima che dovremmo garantire nelle scuole. Sono molto preoccupato, sottosegretario, che l'UNAR non riesca a continuare queste azioni, appunto, di contrasto all'omofobia e alla transfobia e che ci siano dei poteri forti e dei pezzi della maggioranza che agiscano su questo ufficio proprio per eliminare gli ultimi residui di un lavoro già fatto, che è costato soldi pubblici e che andrebbe a beneficio non solo di una maggiore civiltà, in termini di rispetto delle differenze, ma di tutti gli studenti italiani e di tutti i docenti delle nostre scuole.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Sesa Amici, ha facoltà di rispondere.

  SESA AMICI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, il collega Zan nell'illustrare la sua interpellanza ha sviluppato anche un ragionamento molto più complessivo Pag. 41che, se mi permette, per il tono e anche per il rispetto di una discussione a cui quest'Aula è stata già chiamata pur con punti di vista diversi, dall'allora Governo e dalla sua maggioranza, ha portato a una prima legge sull'omofobia, contro il reato di omofobia; e quindi abbiamo potuto avere modo di discutere e di controllare anche sensibilità diverse e orientamenti diversi.
  Nonostante questa discussone – che rappresentava, comunque, un tentativo importante perché anche nel nostro Paese si affrontassero, a seconda delle direttive europee, atti normativi e anche atti di indirizzo che potessero contrastare un fenomeno molto grave che si stava determinando nel nostro Paese –, l'allora Viceministro Guerra, delegato alle pari opportunità, recependo una delle direttive europee aveva assegnato all'UNAR questo elemento di indirizzo anche verso le scuole, quindi nella strategia complessiva di educazione al rispetto delle persone, al di là delle loro differenze. Io credo che questo sia un punto sul quale anche il nuovo Governo... faccio questa lunga premessa prima di dare lettura alla risposta proprio perché credo che gran parte del ragionamento che il collega Zan ha sviluppato mi pare più essere elemento di riflessione degli atti di indirizzo che verranno assegnati, attraverso la delega alle pari opportunità, per ragionare di nuovo nel programma di ulteriori interventi attorno a queste questioni. Ma proprio alla luce di quello che il collega Zan ha detto e che è stato oggetto anche di un dibattito nei mass media intorno a che cosa era successo nella vicenda dell'UNAR e soprattutto nella diffusione di un testo redatto dall'istituto Beck, io credo che i punti siano fondamentalmente questi.
  Il primo è che, ovviamente, il collega Zan sa che le Direttive generali per l'azione amministrativa per gli anni 2012-2013 del Ministro del Lavoro e delle politiche sociali con la delega alle pari opportunità, avevano previsto l'assegnazione all'UNAR – in linea con l'impegno assunto dall'Italia (quindi c’è un impegno del nostro Paese), a partire dal 2012, con l'adesione al programma «Combattere le discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere», promosso dal Consiglio d'Europa, in attuazione della raccomandazione adottata dal Comitato dei Ministri – di obiettivi operativi rilevanti in materia di prevenzione e contrasto delle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere e, in particolare, la realizzazione di un Programma di prevenzione e contrasto delle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere e sulla promozione dell'inclusione sociale delle persone LGBT.
  L'elaborazione di questo programma – denominato in seguito «Strategia Nazionale», quindi un Piano nazionale, «per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere» – è relativa agli anni 2013-2015, quindi siamo dentro l'attuazione del programma di una strategia nazionale, è stata adottata con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali con delega alle pari opportunità pro tempore, del 16 aprile 2013, ed è avvenuta attraverso la collaborazione delle diverse realtà istituzionali, delle associazioni LGBT e delle parti sociali.
  Sulla base delle analisi delle maggiori criticità esistenti in questo ambito, sono stati considerati quattro ambiti strategici, quali: educazione e istruzione; lavoro; sicurezza e carceri; media e comunicazione. Per quanto riguarda l'ambito strategico educazione e istruzione – perché questo è il nodo vero di come si educa anche al rispetto della diversità –, è stato sancito, in data 30 gennaio 2013, un Protocollo di intesa tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con il quale è stato regolato il raccordo tra l'attività del MIUR e l'attività del Dipartimento per le pari opportunità, al fine, tra l'altro, di prevenire e contrastare i fenomeni di violenza e di discriminazione. Tale Protocollo ha previsto, all'articolo 7, che il comitato attuativo, istituito dall'articolo 6, curasse la realizzazione delle attività approvate in materia, nonché gli aspetti Pag. 42gestionali-organizzativi, il monitoraggio e il coordinamento delle iniziative previste dal Protocollo stesso. Proprio nell'ambito di tali attività si è collocato il progetto «Educare alla diversità a scuola», commissionato dall'UNAR, nel dicembre del 2012, all'istituto Beck, allo scopo di elaborare uno strumento di conoscenza e di supporto specialistico per le scuole sulle delicate tematiche della prevenzione e del contrasto dell'omofobia e del bullismo a sfondo omofobico.
  La diffusione del materiale realizzato dall'istituto Beck all'interno del circuito scolastico, in base al citato Protocollo, richiede, però, una specifica valutazione da parte del Comitato attuativo paritetico, di cui agli articoli 6 e 7 del Protocollo stesso.
  Tale valutazione non è stata ancora espressa e sarà posta in essere nel corso della prima riunione utile del citato comitato attuativo paritetico che, stante la sua composizione, determinerà anche il coinvolgimento del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
  Per la diffusione della documentazione prodotta dall'Istituto Beck, pertanto, si attende la valutazione tecnica e le indicazioni sugli aspetti gestionali e organizzativi del comitato.
  Al riguardo, voglio rassicurare il collega Zan, che il Governo considera molto importante, soprattutto per la delicatezza dei temi in questione, la promozione e la diffusione della cultura del rispetto e dell'inclusione, nonché la prevenzione e il contrasto di ogni tipo di violenza e discriminazione, e intende proprio per questo favorire l'educazione dei giovani nell'ambito scolastico, e non solo, su tali principi, che riguardano non solo l'idea del rispetto della diversità, ma anche i principi dei diritti inviolabili delle persone sanciti dalla nostra Costituzione.
  Credo che proprio questo permetterà, con le nuove deleghe ed il nuovo Governo, di ragionare intorno ad assi strategici per portarli a compimento, nel rispetto non solo delle azioni di contrasto, ma anche di eventuali correzioni laddove ciò sia necessario.

  PRESIDENTE. La ringrazio. L'onorevole Zan ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  ALESSANDRO ZAN. Signor Presidente, trovo che la risposta del sottosegretario Amici abbia approfondito alcune questioni che avevo posto, però su questo non posso dichiararmi del tutto soddisfatto.
  Mi dichiaro parzialmente soddisfatto, perché capisco bene che il nuovo Governo debba dare dei nuovi indirizzi e che non ci sia una delega assegnata alle pari opportunità; proprio questo fatto, però, mi permette sommessamente di affermare che evidentemente non è un tema che sta a cuore al Governo, perché altrimenti avrebbe da subito assegnato la relativa delega, che oggi non tocca solo le questioni di orientamento sessuale e di identità di genere, ma anche la questione della parità di genere, il fenomeno del femminicidio e altri temi che sono all'attenzione della cronaca di tutti i giorni.
  Per questo motivo non mi riferivo esclusivamente all'orientamento e agli indirizzi che il Governo deve fornire alla nuova responsabile delle pari opportunità, quanto al mantenimento di impegni, che erano previsti già da un contratto stipulato, come lei stessa, sottosegretario, ricordava, con il Dipartimento pari opportunità, che prevedeva la realizzazione di questo materiale informativo e la sua divulgazione.
  Temo però che, dietro questa formulazione un po’ burocratica – mi permetta di dirlo, sottosegretario – ci sia il rischio che questo comitato paritetico, sollecitato da una forza che sostiene la maggioranza, che è il Nuovo Centrodestra – lo dobbiamo dire: ha un nome e un cognome – sostenuto da una campagna assidua, costante, contro questo tipo di iniziativa, rischi poi di bloccare la distribuzione di questo materiale, che è già stato realizzato e che è costato dei soldi, che fa parte di un contratto già stipulato e che rientra nella strategia nazionale, come lei ricordava, LGBT per il 2013-2015, approvata dal Governo italiano.Pag. 43
  Chiedo appunto, in sede di replica – rivolgo questo appello anche al Presidente della Camera e al Vicepresidente Giachetti – di prestare attenzione, affinché non ci siano interferenze indebite da parte di pezzi della maggioranza, che hanno lo scopo non tanto di perfezionare o di migliorare i contenuti di questo materiale informativo, che ho visto e che è in linea con i contenuti europei, riferiti alla lotta nelle scuole, contro il bullismo omofobico e transfobico, quanto piuttosto in realtà di ostacolare e di impedire la diffusione di questo materiale, attività che nelle scuole potrebbe essere proficua per contrastare questo fenomeno odioso, che, come ho detto poco fa, produce vittime deboli ed indifese, che non riescono a sopportare l'idea di vivere in una società che non dà e non darà loro speranza e futuro.

(Rinvio dell'interpellanza urgente Gigli – n. 2-00427)

  PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta dei presentatori e con il consenso del Governo, lo svolgimento dell'interpellanza urgente Gigli n. 2-00427 è rinviato ad altra seduta.

(Chiarimenti in ordine agli strumenti a sostegno di Sorgenia in relazione alla disciplina in materia di aiuti di Stato – n. 2-00433)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Crippa n. 2-00433, concernente chiarimenti in ordine agli strumenti a sostegno di Sorgenia in relazione alla disciplina in materia di aiuti di Stato (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Crippa se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  DAVIDE CRIPPA. Signor Presidente, colleghi deputati, colleghe deputate, spettabile sottosegretario De Vincenti, il sistema elettrico in questi ultimi anni è cambiato rapidamente.
  Il contesto attuale è caratterizzato da una situazione di over capacity, circa il doppio della capacità produttiva rispetto a quanto richiesto nei momenti di punta, con un calo pressoché continuo dei consumi elettrici ed un forte e costante aumento della produzione da rinnovabili.
  La transizione energetica innescata con una serie di provvedimenti volti a raggiungere gli obiettivi di Kyoto prima e ad accompagnare il nostro Paese verso il raggiungimento di quelli altrettanto vincolanti previsti in sede europea – forse ancora lontano da quanto ipotizzato al 2020 – ha già messo in seria difficoltà chi, investendo in impianti a ciclo combinato a gas, non ha voluto credere ad un nuovo panorama energetico italiano.
  Il tendenziale calo dei consumi, a partire dal 2008, probabilmente ha una natura strutturale, non congiunturale, e viene favorito dagli strumenti messi in campo per il miglioramento dell'efficienza energetica.
  Tutto ciò ha avuto un forte impatto su quelle utilities che in passato hanno pensato di indebitarsi fortemente per sostenere strategie speculative di crescita della domanda energetica rivelatesi errate, oltre che facilmente prevedibili.
  Tale impatto è stato anche più forte per chi si è legato ad una sola o poche tecnologie. Questo, signori miei, è il caso di Sorgenia. Sul suo sito in Internet la stessa azienda dichiara che, in circa 14 anni di storia, Sorgenia ha effettuato investimenti per circa 2,7 miliardi di euro per dotarsi di un parco di generazione ad alta efficienza e basso impatto ambientale.
  La società ha portato a termine la costruzione di diversi nuovi impianti greenfield, cioè realizzati a partire dall'individuazione del sito fino all'avviamento e alla gestione operativa. La tecnologia prescelta è stata quella del ciclo combinato a gas, considerata la soluzione di maggiore rendimento e massima compatibilità ambientale oggi disponibile.
  Le nuove centrali a ciclo combinato alimentate a gas naturale sono quattro: Lombardia Molise, Puglia e Lazio. Questo è quanto riportato sul sito. A queste si Pag. 44aggiungono ovviamente gli impianti della Tirreno Power, sulle cui attività sono aperti da tempo filoni di inchiesta da parte della procura di Savona.
  Ma facciamo un passo indietro. Chi è Sorgenia ? Sorgenia è fondata nel 1999 da CIR, gruppo De Benedetti, e – possiamo leggere direttamente dal sito web della compagnia – attualmente risulta essere il primo operatore privato del mercato italiano dell'energia elettrica e del gas naturale con 500 mila clienti in tutta Italia e impianti di generazione elettrica su tutto il territorio nazionale, con un ricavo di 2,6 miliardi di euro nel 2012. Benissimo.
  Senonché, abbiamo appreso dall'articolo di Massaro e Rizzo, pubblicato su Il Corriere della Sera del 2 marzo 2014, come la stessa Sorgenia risulta avere accumulato un debito che sfiora la quota di 1,9 miliardi di euro. Da dove arriva un debito del genere ? Intorno alla metà degli anni 2000, Sorgenia ha realizzato una serie di centrali a turbogas, grazie a generosi finanziamenti provenienti da istituti di credito, senza minimamente pensare a diversificare in maniera drastica la propria strategia aziendale, forse pensando che il periodo delle vacche grasse sarebbe durato per sempre.
  A ciò contribuiva anche la legge n. 55 del 2002, recante misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale, detta anche sblocca-centrali, con cui si stabiliva che le nuove centrali elettriche erano opere di pubblica utilità. La nuova potenza autorizzata per l'intero parco termoelettrico dal 2002 è stata di circa 22.600 megawattora, di cui circa 11.800 megawatt elettrici ai sensi dello «sblocca centrali».
  Peccato che in soli cinque anni il mercato energetico, anche a causa della crisi economica, si sia drasticamente trasformato con il boom delle rinnovabili tra il 2000 e il 2012. La potenza efficiente, durante questo periodo, installata in Italia è passata da 18.335 megawatt a oltre 47.345 megawatt, con una potenza addizionale di circa 29 mila megawatt, e con l'aumento vertiginoso dei costi dei contratti di acquisto di gas a lungo termine. Risultato ? Il parco centrali di De Benedetti si è trovato fuori mercato, nonostante gli importanti investimenti. Se si somma a questo quadro il fatto che le stesse banche non sembrerebbero essere più così generose e che Verbund, il socio austriaco di De Benedetti, non sarebbe intenzionato a sborsare nemmeno un euro per appianare questa situazione, il destino di Sorgenia sembrerebbe davvero segnato.
  Vorrei sottolineare con particolare insistenza, Presidente, l'utilizzo che ho fatto del verbo «sembrerebbe»: sì, perché in Italia non parrebbe essere in vigore quel regime di libero mercato che molti sbandierano, o almeno non per tutti. Da dove arriva questa considerazione ? Ci arriveremo, colleghi, ma permettetemi di fare un altro passettino indietro.
  Con il decreto legislativo n. 379 del 2003, si istituisce uno dei più grandi paradossi che si siano mai visti nel panorama energetico italiano: sto parlando del meccanismo del «capacity payment», che oggi vogliamo chiamare «capacity market», uno strumento di contribuzione da parte dello Stato alle aziende che producono energia, anche quando queste non ne producono affatto. In pratica, lo Stato sovvenziona le aziende in base all'energia che potenzialmente potrebbero produrre. Questo si chiama appianare i debiti di società in crisi.
  Ma da dove nasce questa esigenza ? Dipende un po’ dal periodo: nel 2003, la struttura del mercato italiano vedeva margini ridotti nella distanza tra domanda e offerta dell'energia, e ciò avrebbe potuto generare interruzione del servizio. Quindi, dieci anni fa, un motivo alla base potenzialmente poteva esserci. Oggi non è così. Più avanti, e mi riferisco al periodo attuale, si tratterebbe di problemi relativi alla gestione di un sistema elettrico sovradimensionato dal lato dell'offerta, ovvero abbiamo molta più potenza disponibile di quella che potevamo avere nel 2003. Questo perché una crisi industriale in atto ci porta a dire che la produzione energetica del nostro Paese è viziata da questi meccanismi di sostentamento del reinforcing. Questa ipotesi trova una conferma anche Pag. 45nella risposta scritta – e son contento che ci sia direttamente il sottosegretario allo sviluppo economico De Vincenti – alla mia precedente interrogazione sul tema «capacity payment» del 26 settembre 2013, che in particolare affermava, citando: «si tratta di due norme parallele ma riferite ad aspetti del tutto differenti: il primo, di struttura del mercato e di ridisegno di un mercato della capacità (...); il secondo, di disciplina di un servizio per l'attuale gestione in sicurezza del sistema elettrico, che deve avvenire senza maggiori oneri per prezzi e tariffe elettriche per espressa previsione legislativa».
  Conclusione, signor Presidente, di cui in qualche modo io mi permetto di dubitare e dico ciò introducendo un'ulteriore ipotesi letta sui quotidiani, in particolare su ilgiornale.it del 18 febbraio 2014, a firma di Marcello Zacché: sembrerebbe, infatti, che la finestra di aiuto che potrebbe essere aperta in favore di Sorgenia porterebbe a un effetto a cascata in grado di liberare tutti gli investitori, o buona parte di essi, dal peso di investimenti simili, con la creazione di una «bad bank», sulla falsariga di quanto fatto, a suo tempo, da Governi non tanto lontani da questo dal punto di vista politico, sulla falsariga di quanto è successo per Alitalia, e che andrebbe a raccogliere 12.500 megawatt di centrali elettriche a gas, per poi chiedere allo Stato 250 milioni di euro di sovvenzioni.
  Per concludere, Presidente, vorremmo sapere se e in che misura il meccanismo del «capacity payment» e l'ipotizzato modello «bad bank» possano costituire un vero e proprio aiuto di Stato in favore di Sorgenia, violando di conseguenza la normativa europea in materia.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, De Vincenti, ha facoltà di rispondere.

  CLAUDIO DE VINCENTI, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Signor Presidente, ringrazio l'onorevole Crippa per l'interpellanza. L'interpellanza riporta alcuni articoli di stampa relativi alle vicende della società Sorgenia e, in particolare, fanno riferimento poi alla misura nota come capacity payment, sistema introdotto dal decreto legislativo n. 379 del 2003, come ricordava l'onorevole Crippa, al fine di assicurare il raggiungimento ed il mantenimento dell'adeguatezza della capacità produttiva. Come è noto, il decreto legislativo n. 379 del 2003 ha previsto, per ragioni di sicurezza, la definizione di un sistema di remunerazione della capacità di produzione con accesso basato su meccanismi concorrenziali, trasparenti, non discriminatori e non distorsivi per il mercato, orientati a minimizzare gli oneri per i consumatori. Inoltre, la norma ha attribuito all'Autorità per l'energia elettrica e il gas il compito di fissare i criteri e le condizioni per la definizione del sistema e al gestore di rete, oggi Terna, quello di elaborare la proposta di disciplina sulla base dei predetti criteri, sottoposta poi all'approvazione del Ministro dello sviluppo economico. Il medesimo decreto legislativo ha altresì definito, nelle more dell'entrata in funzione del sistema, una disciplina transitoria che era stata definita dall'Autorità per l'energia e che è tuttora in corso.
  Con delibera del 2011, l'Autorità per l'energia elettrica e il gas ha individuato i criteri e le condizioni per una disciplina a regime, sulla cui base Terna ha svolto una apposita consultazione pubblica, che ha elaborato lo schema di disciplina, trasmesso per l'approvazione al Ministero dello sviluppo economico. L'istruttoria per l'emanazione del provvedimento da parte del Ministero dello sviluppo economico è in corso. È in corso perché il MISE ha ritenuto necessario approfondire le ricadute in termini di costi e di impatto complessivo sul modello di mercato, tenendo conto anche degli orientamenti della Commissione europea.
  Il tema dei mercati e della capacità, infatti, non è un tema soltanto nazionale, ma rappresenta un argomento rilevante dell'evoluzione dei mercati elettrici, su cui, da tempo, sta discutendo la stessa Unione europea. La Commissione, dopo mesi di lavoro e confronto tecnico, ha quindi varato Pag. 46delle proprie linee guida per tendere ad un meccanismo armonizzato a livello europeo. Con tali elementi si punta ad evitare il rischio di sussidi impropri per tendere piuttosto ad un meccanismo, armonizzato a livello europeo, che garantisca la sicurezza del sistema ed eviti qualsivoglia effetto distorsivo della concorrenza.
  Le valutazioni da parte del Ministro dello sviluppo economico saranno rigorose, coordinate con queste linee guida dell'Unione europea, nonché strettamente connesse alle necessità della sicurezza delle forniture. Come previsto dall'Autorità dell'energia elettrica e del gas, il nuovo sistema sarà attivato con riferimento ad un orizzonte temporale di lungo periodo. Si prevede di partire nel 2017. In questo contesto, quindi quello del meccanismo di remunerazione della capacità a regime, si è inserito l'articolo 1, comma 153, della legge di stabilità 2014, che ha attribuito al Ministro dello sviluppo economico il compito di definire, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, su proposta dell'Autorità per l'energia elettrica ed il gas e sentito il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, condizioni e modalità per la definizione di un sistema di remunerazione della capacità produttiva in grado di fornire gli adeguati servizi di flessibilità, nella misura strettamente necessaria a garantire la sicurezza del sistema elettrico – sto citando il testo dell'articolo 1, comma 153, della legge di stabilità – e la copertura dei fabbisogni effettuata dai gestori di rete, senza aumento dei prezzi e delle tariffe dell'energia elettrica per i clienti finali, nell'ambito della disciplina del mercato elettrico, tenendo conto dell'evoluzione dello stesso in coordinamento con le misure previste dal decreto legislativo n. 379 del 2003.
  Tale norma tende a promuovere un sistema per remunerare la capacità di generazione, tra cui rientrano anche le centrali a ciclo combinato a gas, che possieda i requisiti di flessibilità necessari per gestire gli effetti della rapida espansione delle fonti rinnovabili non programmabili – mi riferisco all'eolico e al fotovoltaico – sulla sicurezza del sistema elettrico. La norma che ho appena letto implica, di per sé, che il sistema dovrà rispondere a criteri che evitino il rischio di profili anticoncorrenziali e di aiuti di Stato. L'Autorità per l'energia elettrica e il gas sta procedendo all'elaborazione della proposta da presentare al Ministero dello sviluppo economico.
  La coerenza delle decisioni che saranno assunte rispetto a criteri di efficienza e trasparenza, la più volte richiamata aderenza alle strette esigenze di sicurezza del sistema e l'impegno del Governo per una riduzione dei costi del sistema energetico sono elementi che vanno nella direzione della rispondenza a criteri che, come dicevo prima, evitino di per sé rischi di profili anticoncorrenziali e di aiuti di Stato. Non a caso, ho anche richiamato, nella mia risposta, le linee guida della Commissione europea.

  PRESIDENTE. L'onorevole Crippa ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  DAVIDE CRIPPA. Signor Presidente, mi rammarico, ma non sono soddisfatto della risposta, perché, in realtà, sono questioni che già conoscevano. Quello che ci ha detto il sottosegretario De Vincenti, in realtà, è una questione ben nota e, anche di recente ci siamo interfacciati spesso sul tema, anche in Commissione. Non siamo soddisfatti perché non possiamo pensare che l'adeguatezza energetica del 2003 sia l'adeguatezza energetica del 2014, e pertanto quegli incentivi e quei sussidi che erano stati dati nel 2003, a causa di un problema energetico del nostro Paese, oggi non hanno più ragione di esistere, punto. Non dobbiamo più e continuamente sovvenzionare questioni che non hanno più una ragione di esistere.
  A me piacerebbe che si iniziasse a parlare in maniera precisa di dati. Non possiamo pensare che il panorama delle rinnovabili, dal 2003 ad oggi, non abbia stravolto il fabbisogno di energia di questo Paese: lo ha stravolto, completamente. Pag. 47Tutti sono rimasti a bocca aperta, ma, ahimè, qualcuno ci credeva già da tempo. Sottosegretario, una disciplina transitoria: da dieci anni ? È vero che ieri abbiamo ascoltato che il conflitto di interessi non ha questa cogenza, e sono soltanto venti anni che lo stiamo aspettando, però considerare transitoria una norma che da dieci anni è in funzione...Credo che dobbiamo dare delle risposte un po’ più celeri al Paese.
  Sul mercato della capacità, mi permetto, prima di leggere la risposta completa, di sottolineare due questioni. Dobbiamo considerare tutto il mercato della capacità, e quindi anche iniziare a fare un programma energetico di questo Paese che tenga conto della gestione dei picchi delle rinnovabili e come immagazzinare quell'energia prodotta dalle rinnovabili. Infatti, non so se è noto a tutti, ma oggi i pompaggi sono inutilizzati. Impianti di pompaggio che erano utilizzati nel periodo degli anni Ottanta, utilizzando l'energia elettrica di importazione dall'estero, che costava meno di notte, e che venivano utilizzati durante i picchi diurni, oggi non vengono più utilizzati. Ci piacerebbe capire perché: sarà oggetto di un'altra interrogazione.
  Il tema dei sussidi diretti o indiretti alle fonti fossili è stato più volte affrontato da numerosi enti di ricerca e associazioni italiane ed estere. Vi citerei, ad esempio, quanto scritto da Legambiente nel suo rapporto del novembre scorso, in cui afferma: «Stiamo parlando di 4,4 miliardi di sussidi diretti distribuiti ad autotrasportatori, centrali da fonti fossili e imprese energivore, e di 7,7 miliardi di sussidi indiretti tra finanziamenti per nuove strade e autostrade, sconti e regali per le trivellazioni, per un totale di 12,1 miliardi di euro a petrolio, carbone e altri fonti che inquinano l'aria, danneggiano la salute e che sono la principale causa dei cambiamenti climatici».
  Questo è quanto si legge sul comunicato di Legambiente. A ciò, ed è la stessa associazione a dirlo, andrebbe aggiunta la proposta di un emendamento alla legge di stabilità, con un nuovo ulteriore sussidio alle fonti fossili.
  Capitolo aiuti di Stato; con una recente comunicazione della Commissione UE con cui è stato affrontato il problema della remunerazione della capacità e sono state proposte alcune linee guida in materia di capacity payment, che lei poco fa ha citato, veniva dichiarato: «Prima di pretendere qualsiasi decisione inerente i meccanismi di remunerazione della capacità, i Governi dovrebbero analizzare le cause dell'inadeguatezza nella generazione».
  Sottosegretario De Vincenti, io spero che riusciremo veramente a capire qual è il nostro fabbisogno energetico e dove ci rivolgeranno nei prossimi anni per fornire energia al nostro Paese ed in che modo. Ciò, secondo voi, è stato fatto ? È stata compiuta un'analisi concreta ? Secondo me no.
  In secondo luogo, si dovrebbe inoltre capire se il malfunzionamento dipenda da alcuni elementi, come prezzi regolamentati o altri sussidi per le energie rinnovabili, e porvi rimedio.
  Inoltre, i Governi dovrebbero assicurarsi che i produttori da rinnovabili reagiscano ai segnali di mercato e promuovano la flessibilità della domanda, ad esempio stimolando i consumatori, attraverso, tra le altre cose, smart grid e smart metering, per usare l'energia nelle ore non di picco.
  In questo caso, almeno nella stabilità, all'articolo 1, comma 1, abbiamo dato una piccola risposta, sperando che poi si tramuti in una reale – e su questo spero che il Ministro vigilerà in tal senso – discesa dei prezzi, nel momento in cui l'energia prodotta è disponibile e costi meno di quella da rinnovabili.
  Infine, la Commissione ritiene che le misure di remunerazione della capacità non debbano condurre all'artificioso mantenimento in funzione di centrali inefficienti grazie ad un sostegno pubblico o alla realizzazione di nuova capacità non necessaria. Vigileremo in tal senso.
  Presidente, in realtà tutto torna al peccato originale. Possiamo dibattere lungamente Pag. 48circa la veridicità o meno della natura degli aiuti di Stato per il capacity payment e dire se si chiama capacity payment o capacity market. Sfogliando un giornale di annunci non mi stupirei di trovare però questa frase: «A.A.A. cercasi Stato in grado di programmare e pianificare il sistema energetico nazionale. Astenersi perditempo». Le devo dire che negli ultimi decenni, in questo Paese, di perditempo ne sono passati parecchi.
  L'ultimo Piano energetico nazionale italiano risale al 1988 e la SEN, la Strategia energetica nazionale del 2013, non riesce a rispondere ad alcuno degli interrogativi e delle problematiche che quotidianamente devono essere affrontate dal nostro Paese. A tal proposito, le vorrei citare un esempio eclatante di scelte quanto meno conflittuali su questo tema.
  Il 6 febbraio 2014, la rivista on line «QualEnergia» pubblicava un articolo a firma Codegoni, dal titolo «Elettricità rinnovabile dalla Serbia: accordo poco trasparente da 12 miliardi», nel quale si viene a conoscenza di alcuni progetti finanziati da investitori privati italiani, tra i quali nuovi impianti idroelettrici, grazie all'interconnessione fisica tra Italia e Montenegro, tramite la posa di un cavo sottomarino di 390 chilometri finanziata da Terna per un miliardo di euro.
  Il nostro Paese importerebbe grandi quantità di energia elettrica, incentivata dal nostro Paese attraverso il recupero nella bolletta degli italiani. Semplifico il concetto, perché ai cittadini questa cosa sicuramente non è chiara: i cittadini italiani pagheranno in bolletta un incentivo per l'energia elettrica prodotta in un altro Stato. Una follia, in quanto i lavori indotti dalla costruzione della centrale non hanno alcuna ricaduta positiva sulla fiscalità nazionale, a differenza di quello che in realtà è accaduto per impianti sul suolo italiano e sugli impianti fotovoltaici diffusi sul nostro territorio.
  Mi chiedo, Presidente, come questa ulteriore ipotesi, più volte richiamata dai precedenti Governi e da questa maggioranza, possa incidere nel contenere il prezzo dell'energia nel nostro Paese. Qui, a giovarne, sospetto siano sempre i soliti noti.
  Infine, Presidente, arriviamo al più classico esempio di contribuzione da parte dello Stato italiano nel mercato energetico: sto parlando della delibera CIP 6 del 1992, quella concepita al fine di promuovere lo sfruttamento delle fonti energetiche rinnovabili, inserendo tra queste gli inceneritori e, in tipico stile italiano, aggiungendo «assimilate», aprendo di fatto all'incentivazione delle energie fossili.
  Diamo dei numeri però: dal 2001 al 2008 sono costati 36 miliardi di euro; dal 2009 al 2020 sono costati altri 30 miliardi di euro. Totalmente siamo a 66, ma – ahimè – abbiamo perso il conto dal 1992 al 2000, perché, in quel caso, non c'era GSE che controllava, non era ancora stato istituito. Quindi immaginiamoci quanti soldi sono stati dati a questo sistema di sostentamento delle fossili.
  Spettabile sottosegretario, viste le sue ottime doti di resistenza alle intemperie partitiche di tre Governi, auspichiamo che lei voglia in tempi rapidi tappe ed obiettivi energetici che partano in primis dall'unica miniera energetica del Paese, ovvero il risparmio, e corrano verso – subito direi – verso una produzione energetica da fonte rinnovabile. Tutto ciò dovrà essere fatto considerando anche le esternalità negative che le produzioni fossili si portano dietro, ahimè; considerando anche le vicende quotidiane legate alle centrali a carbone su tutto il territorio nazionale e, quindi, le problematiche ad esse collegate.
  Si deve partire da un principio: la produzione diffusa e non centralizzata. Tanti impianti energetici diffusi sul nostro territorio. Sarà necessario favorire quegli scambi locali energetici tra produttori e utilizzatori di energia. Arriveremo forse a risolvere un paradosso, che esemplifico ? La casalinga di Voghera che abita in un condominio sul cui tetto è montato un impianto fotovoltaico, nel momento in cui accende la lavatrice, non può usare l'energia prodotta dal suo condominio, signori, ma la deve prelevare dalla rete. Questo per una distorsione del sistema. Visti gli orientamenti Pag. 49sull'energia rilanciati dagli ultimi Governi, direi che siamo un po’ sulla strada sbagliata.
  Sottosegretario, lei ha avuto una terza chance...

  PRESIDENTE. Onorevole Crippa, la casalinga di Voghera è rimasta senza luce.

  DAVIDE CRIPPA. Ahimè sì, in realtà ce l'ha ma la paga sempre dalla rete nazionale e non è quella autoprodotta.
  Sottosegretario, lei ha una terza chance, non la butti via. Il Paese deve pianificare energicamente il suo futuro indipendentemente da quello che le lobby energetiche pretendono per i loro utili finanziari.

(Elementi circa il mantenimento del corso di laurea in beni culturali archeologici presso l'università di Palermo-Polo didattico di Agrigento – n. 2-00418)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Schirò n. 2-00418, concernente elementi circa il mantenimento del corso di laurea in beni culturali archeologici presso l'università di Palermo-Polo didattico di Agrigento (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo alla deputata Schirò se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica. Mi pare che non intenda illustrare ma solo replicare, ho capito male ? Ho capito male. Prego.

  GEA SCHIRÒ. Signor Presidente, ho riflettuto e preferisco illustrarla perché magari ci sono dei dettagli che poi potrei dimenticare di richiamare in replica.
  Signor Presidente, signor sottosegretario, per l'anno accademico 1992-1993 l'università di Palermo istituiva presso il Polo didattico di Agrigento la «Scuola diretta a fini speciali per operatori tecnico-scientifici per i Beni Culturali ed Ambientali – Settore Archeologico». Nel 1996 la scuola divenne corso per il diploma universitario di operatore dei beni culturali, cui venne affiancato un vero e proprio corso di laurea quadriennale in conservazione dei beni culturali. Con la riforma del «3 più 2» esso si trasformerà in corso triennale di laurea in beni culturali archeologici (più un altro corso di beni archivistici e librari) e laurea specialistica biennale in archeologia, trasformati poi rispettivamente in beni culturali e laurea magistrale in archeologia. La collocazione dei corsi di beni culturali archeologici in sede decentrata ha la sua ragion d'essere nelle potenzialità di uno straordinario sito archeologico quale quello di Agrigento, patrimonio dell'UNESCO ed è sede di istituzioni particolarmente attive nella tutela, ricerca e valorizzazione dei beni culturali, come la soprintendenza dei beni culturali e del parco archeologico-paesaggistico della Valle dei Templi, in sinergia con le quali i corsi possono erogare una didattica non solo teorica ma qualificata da numerose attività di carattere pratico-applicativo e rispondenti ad effettive vocazioni territoriali della sede.
  Grazie all'accordo con le suddette istituzioni, anche con il distretto turistico regionale della Valle dei Templi e con il comune, si prevede di rafforzare l'interazione con il contesto di riferimento, ampliando le occasioni di stage, tirocini e attività pratiche per gli studenti e creando una vera e propria rete funzionale allo studio, alla tutela e alla valorizzazione dei beni del territorio, con specifica attenzione agli ambiti di valorizzazione e comunicazione per il turismo culturale che proprio per Agrigento rappresentano una delle più rilevanti prospettive di crescita e sviluppo.
  I corsi rappresentano l'unica offerta dell'ateneo di Palermo e dell'intera Sicilia occidentale nella classe dei beni culturali per il triennio e dell'archeologia in laurea magistrale e con la prevista riorganizzazione del corso triennale anche nel campo del patrimonio e del turismo culturale.
  Un gruppo di docenti ha trasferito interamente la propria titolarità ad Agrigento, altri vi prestano servizio in aggiunta ad ulteriori incarichi per corsi diversi dell'ateneo, mentre altri ancora sono stati assunti dall'università appositamente per le esigenze di questi corsi di Agrigento. I Pag. 50suddetti docenti, per oltre il 90 per cento, hanno persino espresso la loro disponibilità a rinunciare al compenso dovuto (incentivo o supplenza, per i primi due gruppi citati) per l'insegnamento in sede decentrata, come extrema ratio, qualora si rivelasse indispensabile per l'attivazione dei corsi. Qualora, per problemi di non sostenibilità finanziaria non fossero attivati per un anno questi corsi, non potrebbero più essere riaperti, dal momento che la legislazione vigente vieta l'apertura di corsi in sede decentrata (l'interruzione, infatti, comporterebbe la riapertura e l'accreditamento ex novo).
  L'esperienza dei corsi universitari di quest'ambito ad Agrigento ha una ragione effettiva di ordine scientifico, culturale e sociale. Il patrimonio archeologico e culturale non potrà vivere a lungo se non c’è chi lo studia, lo conosce e lo fa conoscere, lo tutela e lo valorizza. Sia il soprintendente per i beni culturali di Agrigento che il direttore del parco archeologico hanno espresso profonda preoccupazione per il rischio paventato di chiusura del corso di laurea: se ciò accadesse, rappresenterebbe un elemento di ulteriore grave impoverimento del territorio in termini culturali e sociali.
  Tale chiusura interverrebbe proprio nel momento in cui si stanno rafforzando le politiche di collaborazione ed interazione tra il corso di laurea e gli enti deputati alla tutela ed alla valorizzazione dello straordinario patrimonio culturale della città e della provincia, allo scopo di offrire agli studenti nuove opportunità di formazione e di lavoro.
  In quest'ottica, il corso di laurea sta realizzando importanti politiche di trasformazione e arricchimento della propria offerta formativa, in accordo con le forze produttive e con gli enti di tutela e di valorizzazione, al fine di adeguare il corso di studi alle esigenze e alle richieste del mercato del lavoro, in crescita nel settore del turismo culturale.
  Il mantenimento del corso di laurea in beni culturali archeologici, unico nella Sicilia occidentale ed accessibile a tanti studenti a costi contenuti, in un momento, come quello attuale, di grave difficoltà, è particolarmente legato alla vocazione del territorio, potendo in tal modo continuare ad operare, arricchendo anche la propria offerta formativa grazie a collaborazioni rafforzate sia con il parco archeologico sia con la soprintendenza, che sono volte a radicare nella comunità locale sensibilità ed interesse verso il proprio patrimonio storico.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, Roberto Reggi, ha facoltà di rispondere.

  ROBERTO REGGI, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Onorevole Presidente, ringrazio l'onorevole Schirò per l'interpellanza.
  Sottolineo prima di tutto che il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca condivide quanto è stato segnalato dagli onorevoli interpellanti in merito all'opportunità che il corso di laurea in beni culturali e il corso di laurea magistrale in archeologia dell'università degli studi di Palermo continuino ad essere erogati presso il polo didattico di Agrigento, anche in ragione della sinergia che si è creata tra l'università e le diverse istituzioni deputate alla tutela e valorizzazione del patrimonio culturale di quel territorio. Devo, tuttavia, segnalare che le decisioni sull'organizzazione dell'offerta didattica sono assunte dagli atenei in piena autonomia e che il Ministero non ha competenza in materia.
  Sulla questione illustrata nell'interpellanza è stata, comunque, sentita l'università degli studi di Palermo, la quale ha informato che i predetti corsi di laurea sono attivi per il corrente anno accademico e che l'ateneo non ha intenzione di disattivarli per i prossimi anni.
  L'ipotesi di un'eventuale disattivazione è stata prospettata, come diceva l'interpellante, dal consorzio universitario della provincia di Agrigento come misura per affrontare le difficoltà finanziarie causate dalla riduzione dei finanziamenti regionali e degli enti locali. Su tale proposta si sono però espresse negativamente sia l'università Pag. 51di Palermo, sia l'assessorato dei beni culturali e dell'identità siciliana, il quale ha segnalato come la chiusura dei corsi in questione avrebbe un impatto negativo sullo sviluppo culturale, sociale e turistico del territorio e sulle opportunità di formazione e specializzazione che sono fornite agli studenti attraverso la collaborazione tra l'università e gli enti deputati alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale di Agrigento.
  Al momento i corsi in esame continuano dunque a svolgersi regolarmente. Va poi segnalato che l'università degli studi di Palermo ha anche assicurato che, qualora le risorse a disposizione rendessero necessario assumere decisioni di riduzione dell'offerta formativa del polo didattico di Agrigento, le stesse verrebbero comunque assunte attraverso una procedura di riesame complessivo di tutti i corsi attivati e, quindi, tenendo nella dovuta considerazione l'importanza che ciascuno di essi riveste per il territorio di riferimento.

  PRESIDENTE. L'onorevole Schirò ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  GEA SCHIRÒ. Signor Presidente, gentile sottosegretario, sono sicura, conoscendo la sensibilità del suo Ministero, che si cercherà di salvaguardare una significativa realtà universitaria.
  Non posso esimermi da qualche perplessità proprio rispetto al ruolo delle province, in realtà, perché le ultime notizie provenienti dal comune di Agrigento, che è membro finanziatore del consorzio universitario, darebbero per scongiurato il pericolo di chiusura del corso in beni culturali per quest'anno, almeno nell'immediato. La questione è sospesa perché si intreccia, si interfaccia, aggiorno rispetto alle informazioni che probabilmente il Ministero ha assunto, con quanto è stato ratificato ieri dalla regione siciliana, cioè con la chiusura delle province, tenuto conto che le province siciliane sono regolate da una legislazione diversa, sono chiamate province regionali, quindi è una cosa piuttosto complicata perché sono le province che recepiscono i consorzi universitari. Per cui per quest'anno ci sono i fondi, da ieri, con l'entrata in vigore della normativa, adesso si farà il testo unico della legge; comunque è di nuovo complicata la situazione delle province, finora soggetti principali dei consorzi, con la conseguente caduta verticale dei fondi.
  La situazione dei corsi del polo di Agrigento, a cui non corrispondono condizioni floride dello stesso ateneo palermitano, come di tanti altri, è grave; se essi non fossero attivati per un anno non potrebbero più essere riaperti, come ho già detto al momento dell'illustrazione, dal momento che la legislazione vigente vieta l'apertura dei nuovi corsi in sede decentrata, nell'ottica di una cooperazione tra enti preposti alla formazione e alla ricerca. Questo è il compito statutario di una università pubblica, delle istituzioni, della classe politica, delle parti sociali, al fine non solo della crescita culturale e dello sviluppo ma della valorizzazione delle risorse del Paese e dei territori di riferimento. È importante, il ruolo del settore dei beni culturali e del patrimonio in un luogo come Agrigento, che è il secondo sito in Italia per visitatori dopo Pompei, oltre ad essere patrimonio dell'umanità e sito UNESCO.
  È importante, rispetto alle attività didattiche nel bacino del Mediterraneo, il progetto APER di collaborazione con tutti i siti archeologici della Tunisia; questo a proposito delle attività che sono in corso in questo momento.
  In quest'ottica il corso di laurea sta realizzando importanti politiche di trasformazione e di arricchimento della propria offerta formativa, in accordo con le forze produttive e con gli enti di tutela e di valorizzazione. Quindi, ci si augura che questo corso di studi, unico nella Sicilia occidentale, possa continuare ad operare, arricchendo, anzi, la propria offerta formativa. Qui mi permetto, come si dice in Parlamento, «sommessamente» di incoraggiare e proporrò un progetto, che stiamo studiando con il polo universitario archeologico, di consorzio con università Pag. 52straniere che potrebbe essere un modello utilizzabile in diverse università o poli distaccati italiani.
  Capisco come la sua risposta sia necessariamente interlocutoria dal momento che la questione, riguardando in realtà il rettorato e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, è istituzionalmente marginale per il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, però potremmo far sì, proprio per questa novità, che beni culturali e ricerca scientifica affrontino in sinergia una battaglia realmente sentita come comune e non solo come mera testimonianza d'appoggio. Non credo ci siano ancora molti precedenti in Italia e diventerebbe un processo virtuoso per la ricerca e per l'università.

(Iniziative di competenza volte a salvaguardare i livelli occupazionali dell'agenzia Adnkronos – n. 2-00399)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Carbone ad altri n. 2-00399, concernente iniziative di competenza volte a salvaguardare i livelli occupazionali dell'agenzia Adnkronos (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Onorevole Carbone, prima di darle la parola, mi consenta di salutare una delegazione dei lavoratori dell'agenzia Adnkronos, che stanno vivendo un momento di grande difficoltà e, ovviamente a livello personale, di rivolgere loro un sentito, semplice in bocca al lupo. Prego, onorevole Carbone.

  ERNESTO CARBONE. Signor Presidente, buongiorno ai membri del Governo e buongiorno anche ai quattro colleghi presenti.
  Premetto che, in data 23 gennaio 2014, l'editore dell'agenzia Adnkronos ha inviato una comunicazione al comitato di redazione con cui veniva annunciato l'avvio della procedura di licenziamento di 20 giornalisti e 3 poligrafici. Si tratta di oltre un quarto dei lavoratori dell'agenzia e la procedura è stata avviata formalmente lunedì 27 gennaio 2014.
  La procedura attivata dall'azienda fa riferimento alla legge n. 223 del 1991, concernente «Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro», che però, fino ad oggi, non ha mai trovato applicazione nel settore dell'editoria, in quanto tale materia è, invece, disciplinata ai sensi della legge n. 416 del 1981. La stessa Federazione degli editori, nell'audizione svoltasi presso la Commissione cultura della Camera il 30 gennaio 2014, alla quale l'azienda non ha voluto partecipare, ha definito «inusuale» il ricorso alla legge n. 223 del 1991. La decisione da parte dell'Adnkronos giunge, tra l'altro, subito dopo il rinnovo di un'importante convenzione con la Presidenza del Consiglio alle stesse e identiche condizioni economiche del 2013.
  La stessa azienda ha, inoltre, più volte ribadito di non essere in stato di crisi e di avere un solido bilancio, cosa dunque che non giustificherebbe il ricorso alla normativa citata. L'assemblea dei lavoratori, giornalisti e poligrafici ha proclamato un'immediata azione di mobilitazione, confermando lo stato di agitazione e deliberando cinque giornate di sciopero, di cui tre già effettuate e a cui hanno aderito in segno di solidarietà anche le altre testate del gruppo.
  Il sindacato di categoria, sostenendo la causa dei lavoratori dell'Adnkronos, ha definito l'azione dell'azienda come un intollerabile atto ritorsivo, illegittimo e fuori da ogni regola che disciplini qualsiasi rapporto di lavoro.
  Anche in relazione al recente rinnovo della convenzione con la Presidenza del Consiglio dei ministri, chiedo quali siano gli orientamenti del Governo in merito alla vertenza in atto e se il Governo non ritenga opportuno, nell'ambito delle competenze che gli sono proprie, adottare iniziative finalizzate a favorire una soluzione che salvaguardi i livelli occupazionali della testata.

Pag. 53

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali, Teresa Bellanova, ha facoltà di rispondere.

  TERESA BELLANOVA, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, rispondo all'atto parlamentare dell'onorevole Carbone, inerente alla situazione occupazionale della Adnkronos Spa, agenzia di stampa a diffusione nazionale, con specifico riguardo alla sede di Roma.
  La predetta società, facente parte del gruppo Giuseppe Marra Communications, opera sul territorio nazionale con un organico complessivo pari a 88 unità lavorative, di cui 67 giornalisti, 18 poligrafici e 3 dirigenti. La stessa si avvale, inoltre, della collaborazione di ulteriori 7 giornalisti.
  Con comunicazione dello scorso 27 febbraio, la Adnkronos ha dato avvio, ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge n. 223 del 1991, ad una procedura di licenziamento collettivo nei confronti di 17 lavoratori occupati presso la sede di Roma, il cui organico complessivo si compone di 74 unità lavorative.
  La procedura coinvolge, in particolare, quattordici giornalisti e tre poligrafici. Sulla base delle informazioni fornite dalla Direzione territoriale del lavoro di Roma, tale decisione è da ascriversi essenzialmente alla progressiva riduzione dei volumi di servizio e, conseguentemente, del fatturato dell'agenzia che, da 24 milioni di euro nel 2009, è calato a 20 milioni di euro nello scorso anno.
  Tale riduzione ha determinato un esubero strutturale del personale che – come dichiarato dalla società nella comunicazione di apertura della procedura di licenziamento – non ha consentito il ricorso a strumenti alternativi, quali il trattamento straordinario di integrazione salariale, ovvero a forme di flessibilità dell'orario di lavoro quali il part-time o i contratti di solidarietà.
  In questo contesto, faccio presente che lo scorso 5 febbraio, presso la sede della Federazione italiana giornalisti di Roma, ha avuto luogo un incontro tra i rappresentanti della società e le organizzazioni sindacali dei lavoratori, nel corso del quale la società ha ribadito la volontà di procedere ai licenziamenti in precedenza annunciati, escludendo il ricorso agli ammortizzatori sociali. Successivamente, lo scorso 3 marzo, si è tenuto un nuovo incontro con le rappresentanze sindacali dei lavoratori, nel corso del quale la società ha presentato alla Federazione nazionale della stampa italiana – il sindacato unitario dei giornalisti italiani – un'ipotesi di lavoro volta a favorire un accordo tra le parti. Informo al riguardo che il predetto incontro è stato rinviato al 13 marzo prossimo venturo su richiesta delle rappresentanze sindacali.
  Occorre peraltro precisare che, allo stato, le parti sociali non hanno richiesto al Ministero che rappresento alcun incontro per l'esame della situazione occupazionale della Adnkronos, e tuttavia si può fin da ora assicurare che il Governo continuerà a monitorare i futuri sviluppi della vicenda nella prospettiva che siano individuate idonee soluzioni a tutela dei lavoratori e delle loro famiglie.
  Da ultimo, faccio presente che il Dipartimento per l'informazione e l'editoria, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, espressamente interpellato sulla questione, ha confermato di prestare la necessaria attenzione alla vicenda precisando, nel contempo, di non disporre – nell'ambito delle proprie competenze – di strumenti finalizzati alla salvaguardia dei livelli occupazionali. In ogni caso, il citato Dipartimento, nella sua qualità di cliente di rilievo della Adnkronos, ha tenuto a precisare che avrà cura di verificare se le paventate riduzioni di organico possano influire sulla qualità e quantità delle prestazioni dedotte nel contratto stipulato con la medesima società, al fine di garantire la congruità dei contenuti prestazionali in ragione dei corrispettivi previsti.

  PRESIDENTE. L'onorevole Carbone ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  ERNESTO CARBONE. Signor Presidente, sono soddisfatto della risposta. Continueremo Pag. 54però a vigilare su questa vicenda e vigileremo sicuramente con l'auspicio e la speranza che il Governo, nell'ambito delle proprie competenze, adotti ogni iniziativa concreta per salvaguardare l'occupazione dei dipendenti dell'Adnkronos.

(Iniziative a sostegno della regione Sardegna, volte a superare eventuali discriminazioni politiche, economiche, infrastrutturali e sociali, da attuarsi prima dell'indizione delle elezioni europee – n. 2-00432)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Pili e Pisicchio n. 2-00432, concernente iniziative a sostegno della regione Sardegna, volte a superare eventuali discriminazioni politiche, economiche, infrastrutturali e sociali, da attuarsi prima dell'indizione delle elezioni europee (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Pili, che vedo pronto, se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  MAURO PILI. Signor Presidente, come sottolineava lei nell'enunciazione di questa interpellanza urgente, la delicatezza delle questioni poste in questa interpellanza mi impongono di richiamare il Governo alla stessa formulazione di questo atto parlamentare. Il Governo avrà infatti notato che per la prima volta non si pone soltanto una questione formale, ma sostanziale e dirimente.
  Nell'atto si evidenziano sei gravi discriminazioni, sei gravissime discriminazioni verso la Sardegna, atti punitivi – voglio sottolineare questo aspetto – che vengono violentemente imposti ai danni della Sardegna e dei sardi da troppi anni e sui quali non è più possibile attendere.
  Sostanzialmente, non poniamo questioni di favori. Sono indicate sei discriminazioni puntuali che necessitano risposte in termini di diritto e di diritti inalienabili, che sono stati assolutamente cancellati e a cui questo Governo deve dare risposte puntuali. Non ci possono interessare risposte formali, risposte tecniche. Avete detto di essere un Governo politico e da un Governo politico ci si attendono risposte sostanziali, atti immediati, senza perdere tempo perché il richiamo è, appunto, a quel 25 maggio prossimo, quando si rinnoverà il Parlamento europeo.
  Bisogna decidere, sostanzialmente, se la Sardegna fa parte di questo Stato, se la Sardegna fa parte di questa Europa o se, invece, questo Stato e questa Europa hanno deciso che la Sardegna non deve fare più parte di questo Stato e di questa Europa. Bisogna sostanzialmente decidere, non prendere più tempo, non aprire questi tavoli ridicoli che sistematicamente vengono aperti in tutti i Dicasteri per perdere tempo, per prendere tempo e per non dare risposte compiute.
  In questa interpellanza urgente vengono poste, per la prima volta in un atto parlamentare, delle condizioni, per decidere in tempi immediati, ragionevolmente immediati, ovvero molto prima dell'indizione delle elezioni europee, se il popolo sardo deve o meno partecipare a questo contesto europeo, se il popolo sardo, che viene discriminato anche su quel primo punto delle nostre condizioni, cioè quello democratico, ha diritto di partecipare a pieno titolo alle elezioni europee o meno. Si tratta di diritti universali. Non stiamo parlando di questioni secondarie di dettaglio, stiamo parlando di diritti universali, inalienabili, fondamentali. Dalla mobilità alle pari condizioni di istruzione, di gestione del territorio, alla condizione essenziale di metterci, sul piano economico, alla pari delle altre regioni italiane ed europee. Tutto questo è stato in questi anni sostanzialmente cancellato.
  In questa interpellanza urgente si pongono sei condizioni che non sono più rinunciabili per il popolo sardo e la Sardegna, sei condizioni che sono inderogabili, che partono appunto, dalla discriminazione democratica, perché la Sardegna non può eleggere nessun parlamentare europeo. È una discriminazione razziale, oserei dire. La Sardegna nelle ultime elezioni europee sistematicamente non riesce ad esprimere rappresentanti, perché non è Pag. 55un contesto democraticamente unitario concepito come tale, e la nostra regione viene schiacciata dalla rappresentanza condivisa con la regione Sicilia: 5 milioni e mezzo di abitanti a fronte di un milione e mezzo. Un dato emblematico che evidenzia una discriminazione razziale nei confronti del popolo sardo, una discriminazione assolutamente antidemocratica, una discriminazione che non può essere tollerata.
  Il Governo su questo tema ha il potere di imporre al Senato, nella discussione che si sta facendo su alcuni provvedimenti, una linea per ripristinare non un favore alla Sardegna ma un diritto costituzionale di poter fare parte di questo Stato e di questa Europa. È evidente che se questo Governo, a cui si chiede un passo politico, non farà, appunto, questo passo politico se ne dovranno trarre le conseguenze, anche palesando la non partecipazione da parte della Sardegna, dei sardi, a questa competizione elettorale che ci esclude, che ci schiaccia e che ci toglie quel diritto democratico inalienabile.
  C’è una seconda discriminazione, quella economica. La Sardegna è una regione insulare, una delle pochissime e forse la più importante regione insulare ultraperiferica d'Europa, l'unica che è rimasta in un limbo indefinito. Nel memorandum della Commissione europea era stata indicata dal Governo italiano l'esigenza di predisporre un «obiettivo isole», che consentisse di misurare il divario insulare e di compensarlo sia sul piano statale sia su quello europeo. Uno Stato sordo e cieco, strabico, che guarda soltanto alle aree forti e dimentica quelle più deboli, si è dimenticato di portare avanti questa indicazione fondamentale. Il divario insulare costituisce un'indicazione economica straordinariamente importante sulla quale creare le condizioni di riequilibrio.
  Tutto questo non è stato fatto. Tutto questo è stato cancellato da uno Stato ingordo, che ha cercato soltanto di distribuire i soldi agli amici e agli amichetti, dimenticandosi appunto di questo dovere costituzionale della coesione, del riequilibrio insulare. Cito il parametro dell'Obiettivo 1, per il quale la Sardegna oggi è alla pari delle regioni del nord Italia solo perché è stata concepita l'indicazione del peso medio del PIL europeo, dimenticando che in Sardegna c’è una raffineria, quella della Saras, che ha fatto saltare tutti i parametri economici e che ha posto la Sardegna in condizione di essere discriminata anche sul piano economico nel riparto dei fondi comunitari.
  Se non ci sarà un'indicazione puntuale nel nuovo Piano europeo di ripartizione dei fondi, è evidente che state acclarando che la Sardegna è fuori dall'Europa ed è fuori dallo Stato.
  C’è una terza discriminazione, quella infrastrutturale. Con gli scellerati Governi Monti, Letta e con alcuni passaggi già indicati da questo Governo, voi avete scelto che la Sardegna deve essere fuori da tutti i corridoi europei, avete cioè scelto che tutte le opere infrastrutturali del nostro Paese non devono contemplare la Sardegna. Lo avete scritto nel Documento economico-finanziario del 2011, del 2012, del 2013, avete cioè detto che nessuna opera infrastrutturale può essere realizzata se non è strategica ai quattro corridoi europei e, quindi, la Sardegna è tagliata fuori dalle autostrade del mare, dalla capacità di dare risposte puntuali sul piano della mobilità interna e soprattutto della connessione, sul piano strategico, tra la Sardegna e il resto del Paese e dell'Europa.
  Avete dati emblematici che dimostrano il divario infrastrutturale, assumendo come base italiana un valore pari a 100, per le ferrovie, la Sardegna registra un valore pari ad appena 15; per le strade, l'Italia 100, la Sardegna 45; sul fronte energetico, la Sardegna 35 e l'Italia 100.
  È una discriminazione infrastrutturale insostenibile che deve essere assolutamente modificata con un provvedimento immediato che preveda, appunto, l'approvazione di quel decreto attuativo, per il quale avete nuovamente la delega, previsto dalla legge n. 42 del luglio del 2009 sul federalismo fiscale, che, all'articolo 22 stabilisce Pag. 56che bisogna misurare il divario insulare e costituire le condizioni per la sua compensazione.
  Non ci interessano le chiacchiere di Renzi, non ci sono interessate quelle di Letta e quelle dei Governi precedenti, oggi servono atti tangibili da parte di questo Governo, che ha una responsabilità politica e si è voluto assumere una responsabilità politica nei confronti del Paese; su questa discriminazione infrastrutturale, su questa risposta costituzionalmente inderogabile servono risposte puntuali.
  Così come servono risposte assolutamente inderogabili sulla quarta discriminazione, quella energetica. In Sardegna ci sono dei costi dell'energia che sono del 78 per cento superiori al resto del Paese. Si tratta di dati sottoposti all'attenzione della stessa Commissione europea che discriminano totalmente le industrie della Sardegna, che sono state chiuse per la negligenza, per la complicità, di esponenti di questo Governo. Prima c'era il sottosegretario De Vincenti, che ovviamente è sfuggito, anzi è fuggito come gli capita spesso, dal dare delle risposte puntuali su questo tema.
  Da due anni e mezzo si discute della chiusura dello stabilimento Alcoa perché le pressioni dell'ENEL sul Governo, che è sostanzialmente sostenuto dall'ENEL attraverso le prebende che vengono date alle fondazioni di Letta e di altri, pagate di qua e di là, con sponsorizzazioni più o meno lecite, hanno fatto sì che si preferisse sostanzialmente la tutela dell'ENEL piuttosto che realizzare quell'intervento di riequilibrio energetico assolutamente fondamentale.
  Quindi, su questo tema occorre imporre una strategia che ci consenta di dare delle risposte puntuali in termini di riequilibrio energetico, con azioni di persuasione che un Governo autorevole può fare nei confronti dell'ENEL, con accordi bilaterali che consentano l'immediata ripresa produttiva o altrimenti con atti e provvedimenti legislativi.
  La quinta discriminazione è quella agricola. In Sardegna un pagamento diretto della PAC non supera i 300 euro, nel nord Italia si superano abbondantemente i 1.000 euro. C’è una discriminazione: il pagamento diretto, che doveva servire per riequilibrare il reddito dell'impresa agricola, viene dato e sostenuto maggiormente nelle regioni forti e viene abbattuto nelle regioni più deboli. Tutto questo rappresenta un atto discriminatorio nel settore agricolo che va assolutamente modificato radicalmente; una regione insulare non può essere considerata al pari delle altre, ha bisogno che questo aspetto venga affrontato con atti concreti in queste ore in cui si sta discutendo di questi temi.
  La sesta ed ultima discriminazione è quella della mobilità. Questo Governo, così come i precedenti, da quello Berlusconi a quello Monti, e a quello Letta, sono al servizio dell'Alitalia. Ieri si discuteva di conflitti di interesse; ebbene vi sono conflitti di interesse dentro il Governo, per esempio quelli che riguardano l'Alitalia che ha fatto cartello insieme alla Lufthansa e all'Air France per cancellare le compagnie low cost dall'Italia: 35 milioni di passeggeri che arrivano nel nostro Paese.
  Ebbene, in queste ore si sta discutendo sulle direttive comunitarie in questa direzione e cancelleranno dalla Sardegna 3 milioni e mezzo di passeggeri. Nessuno dice niente, tutti coperti e allineati a difendere gli interessi monopolistici dell'Alitalia senza dare risposte a quello sviluppo economico legato a quel fondamentale intervento economico che riguarda il turismo. È una partita assolutamente insostenibile, sulla quale credo sia indispensabile che non ci arrivi una risposta formale.
  Lo voglio dire: questa interpellanza è una condizione che viene posta. Vengono poste sei condizioni al Governo per dare risposte in termini immediati e rapidi, perché altrimenti è evidente che si apre un conflitto istituzionale, che il popolo sardo non potrà non intraprendere, che è anche quello dell'indipendenza dallo Stato e dall'Europa, perché l'Europa e lo Stato hanno deciso così, se non verranno date delle risposte, se ci cacciano via, se non ci danno il riequilibrio insulare, se non ci Pag. 57danno la mobilità, se non ci danno quello che ci serve sul piano per esempio dell'equilibrio energetico, se non ci danno la possibilità di rappresentare democraticamente uno Stato, un'Europa, ovvero la Sardegna in un contesto democratico.
  È evidente che qualcosa occorre fare: il regresso, la possibilità di rescindere quel Patto che sta diventando un cappio al collo, per la Sardegna, con lo Stato e con l'Europa.
  La delicatezza dell'argomentazione – fatta da uno che si considera un moderato – impone a tutti noi e impone a tutti voi delle risposte serie a queste condizioni per eliminare tali discriminazioni.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali, Teresa Bellanova, ha facoltà di rispondere.

  TERESA BELLANOVA, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, prima di passare a rispondere all'atto parlamentare, vorrei ribadire che il sottosegretario De Vincenti ha risposto alle interpellanze di sua competenza e mi permetto di dire che, notoriamente, il sottosegretario De Vincenti è persona che non sfugge di fronte ai problemi, semmai è una persona che ci mette tutto il suo impegno per affrontare le questioni. Ora passo a rispondere all'interpellanza dell'onorevole Pili.
  In ordine al difetto di rappresentatività della regione Sardegna nel Parlamento europeo, evidenziato nel presente atto di sindacato ispettivo, è necessario considerare preliminarmente che la disciplina della materia, recata dalla legge 24 gennaio 1979, n. 18, anche in ragione del limitato numero di parlamentari europei assegnati all'Italia, pari a 73, non contempla forme di garanzia nell'attribuzione di seggi alle singole regioni.
  Pertinenti ipotesi di modifica della citata legge n. 18 del 1979 sono state più volte oggetto di discussione in sede parlamentare, sia in vista delle elezioni europee tenute negli anni 2004 e 2009, sia nella corrente legislatura; ipotesi che non si sono mai concretizzate in modifiche sostanziali al sistema normativo vigente, anche in considerazione dell'affermazione del principio relativo al diritto dei cittadini dell'Unione europea e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, principio destinato ad affermarsi al di là delle limitazioni fisiche dei territori statali, favorendone il superamento attraverso la promozione del senso di appartenenza comune dei cittadini all'Unione.
  Per quanto concerne la programmazione dei fondi per la politica di coesione, si conferma quanto espresso dal rappresentante del Governo, in ragione della discussione di analogo atto di sindacato ispettivo avvenuto verso la fine dello scorso anno, che indicava come modalità operativa del sistema di ripartizione dei fondi comunitari, programmazione 2007-2013, tra le regioni del Mezzogiorno lo svantaggio specifico legato all'insularità e in termini di isolamento territoriale dal resto del Paese, con il conseguente riconoscimento di apposite quote correttive in favore della regione Sardegna e della regione Sicilia.
  Si segnala che nel periodo di programmazione 2007-2013 il CIPE ha assegnato, alla regione Sardegna a valere sul Fondo sviluppo e coesione, per la realizzazione di interventi di rilevanza strategica nazionale e regionale complessivamente circa 2 miliardi di euro.
  Tra gli interventi infrastrutturali strategici per la regione Sardegna si segnalano, per impegno finanziario e rilevanza strategica, quello relativo alla realizzazione dei lavori di adeguamento dell'itinerario stradale Sassari-Olbia, con un costo pari a 930,7 milioni di euro, oppure i 456 milioni di euro per interventi nei settori viabilità e mobilità, portuali e aeroportuali, per l'attuazione dei quali la regione Sardegna è in procinto di sottoscrivere specifici accordi di programma.
  Resta vivo l'impegno, che coinvolge tutti gli attori istituzionali interessati, anche in previsione della nuova programmazione 2014-2020, affinché gli sforzi finanziari futuri vengano concentrati su qualificati obiettivi, atti effettivamente a recuperare il Pag. 58divario di sviluppo economico-sociale presente nei territori insulari e del Mezzogiorno d'Italia.
  Sulle problematiche esposte in ordine a presunte discriminazioni a danno della regione Sardegna nei settori dei trasporti e infrastrutturale, si segnala che, nell'ambito del processo di codecisione per la revisione delle reti nel corso dei due ultimi anni, nel negoziato con la Commissione europea la parte italiana si è fatta portatrice di una visione d'insieme, nella quale le esigenze di infrastrutture di trasporto delle diverse realtà regionali sono state tenute in conto nel massimo grado possibile.
  Il perseguimento degli obiettivi di coesione territoriale ed economica è stato posto al centro di una strategia volta a migliorare l'efficienza complessiva del sistema di trasporto e logistico dell'intero Paese, attraverso una serie di azioni specifiche, quali, ad esempio, una maggiore integrazione tra la rete ferroviaria e quella aeroportuale.
  La specificità della regione Sardegna ha permesso di avanzare proposte per inserire parti della rete autostradale, portuale e aeroportuale all'interno della rete TEN-T prioritaria. Si segnala, al riguardo, l'inserimento del nodo urbano di Cagliari nella rete prioritaria, insieme ai relativi porto e aeroporto, e il riconoscimento, da parte dell'Europa, che la Sardegna svolge un ruolo preminente come piattaforma per le connessioni all'interno del Mediterraneo, soprattutto in vista della crescita degli scambi che coinvolgono l'intera area del Mediterraneo, i Paesi dell'est Europa e del nord Africa.
  Sul punto della continuità territoriale aerea, occorre poi rammentare che l'articolo 1 della legge n. 296 del 27 dicembre 2006, al comma 837, ha previsto il trasferimento alla regione Sardegna delle funzioni attinenti alla continuità territoriale e, per quanto concerne il relativo finanziamento, al comma 840 ha disposto che gli oneri stessi siano a carico della regione a partire dal 2010.
  In attuazione della predetta legge, in data 7 settembre 2010, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, l'ENAC e la regione Sardegna hanno sottoscritto un protocollo d'intesa che, nel delineare concretamente le incombenze che competono a ciascuna amministrazione, ha specificato, all'articolo 6, che «le risorse finanziarie necessarie per l'imposizione degli oneri di servizio pubblico sono a carico della regione autonoma Sardegna». Pertanto l'individuazione della tipologia attuativa di continuità territoriale è in gran parte condizionata, a partire dalla predetta data, dalle scelte della regione Sardegna, che stanzia sul proprio bilancio le somme da dedicare alla continuità territoriale aerea.
  Per quanto riguarda, in particolare, il regime tariffario, imposto con provvedimento ministeriale n. 61 del 21 febbraio 2013, si evidenzia che esso prevede una tariffa massima applicabile indiscriminatamente a tutti i passeggeri per i nove mesi intercorrenti dal 16 settembre al 15 giugno, periodo di minor flusso turistico sull'isola, mentre per i residenti e altre categorie di passeggeri (studenti, anziani, eccetera), la tariffa è applicata per l'intero anno. Questo a garanzia soprattutto degli spostamenti della popolazione residente sull'isola da e per il resto del Paese, agevolando così concretamente il diritto alla mobilità della popolazione sarda per tutto l'anno. Nel periodo estivo è, comunque, garantito un tetto massimo alle tariffe applicabili ai non residenti, escludendo pertanto una totale liberalizzazione delle tariffe dei non residenti. Peraltro, la realizzazione di un modello di continuità a «tariffa unica», esteso a tutti i cittadini residenti e non, avrebbe comportato costi superiori, incompatibili con le risorse finanziarie regionali a disposizione.
  Con riferimento alle problematiche su condizioni di economicità delle forniture elettriche in Sardegna, in relazione alle criticità che riguardano l'interconnessione dell'isola con il continente, si rappresenta che il completamento del cavo Sapei nel 2011 ha contribuito in modo importante al superamento della condizione di isolamento del sistema sardo. Dall'entrata in funzione del cavo si è registrata, infatti, Pag. 59una progressiva riduzione del differenziale di prezzo all'ingrosso tra la zona Sardegna e il continente, fino ad arrivare nel corso dell'anno scorso al sostanziale allineamento dei due livelli di prezzo.
  Il miglioramento dell'interconnessione è un fattore importante per sviluppare la capacità di scambio di energia con effetti significativi sulla concorrenzialità degli operatori e conseguentemente sui prezzi.
  Circa il parco di generazione, si segnala che il decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, ha previsto la facoltà per la regione di effettuare una gara per la realizzazione di una centrale termoelettrica a carbone dotata di apposita sezione di impianto per la cattura e lo stoccaggio dell'anidride carbonica prodotta, da realizzare sul territorio del Sulcis Iglesiente. I relativi oneri sono a carico del sistema elettrico italiano e ad essi si provvederà mediante apposito prelievo sulle tariffe elettriche.
  Infine, con riferimento alla posizione dominante di operatori presenti nell'isola, le problematiche sembrano riferirsi ad una situazione pre-entrata in esercizio del nuovo elettrodotto, in cui effettivamente la scarsa capacità di transito creava una situazione di offerta molto concentrata.
  Con riferimento alle problematiche sulla ripartizione dei fondi dello sviluppo rurale, si osserva che il tasso di partecipazione massimo del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale è fissato dal regolamento comunitario 1305 del 2013 nel 75 per cento per le regioni del Mezzogiorno (convergenza), nel 63 per cento per le regioni in transizione, tra cui la Sardegna, e nel 53 per cento per le regioni del centro nord (competitività). Nella proposta di riparto del FEASR, approvata dalla Conferenza Stato-regioni il 16 gennaio, le rispettive percentuali sono state fissate al 60,5 per cento per il Mezzogiorno, al 48 per cento per le regioni in transizione, e quindi per la Sardegna, e al 43 per cento per le regioni del centro nord.
  Rispetto ai massimi stabiliti dalla Unione europea, la riduzione è stata quindi del 20 per cento nel Mezzogiorno, del 24 per cento nelle regioni in transizione (Sardegna) e del 19 per cento nel centro nord. La scelta di ridurre l'incidenza del FEASR ed aumentare correlativamente il cofinanziamento nazionale è stata fatta al fine di avere un incremento della spesa pubblica totale e quindi del sostegno alle imprese agricole.
  Vero è che l'accordo raggiunto dai presidenti delle regioni con il MEF nell'autunno del 2013 ha portato in Sardegna al raddoppio della quota di partecipazione del bilancio regionale sul cofinanziamento nazionale dal 15 al 30 per cento, e quindi da 102 a 204 milioni di euro nel periodo 2014-2020, ma è proprio per far fronte a questo problema che si è scelto di non incrementare, se non di poco, circa 20 milioni in sette anni, la spesa pubblica totale in Sardegna rispetto alla scorsa programmazione, con una modesta riduzione del peso percentuale della Sardegna sul totale delle regioni, dal 7,3 per cento al 7 per cento. Il livello totale della spesa pubblica da erogare all'agricoltura regionale supera in ogni caso in Sardegna la cifra di 1,3 miliardi di euro nel periodo 2014-2020, 186 milioni di euro annui, che costituisce una formidabile sfida per l'amministrazione regionale, che si prefigge l'integrale utilizzazione dei fondi nel rispetto dei tempi regolamentari comunitari.
  Sulle problematiche circa la nuova politica agricola e il riparto dei fondi della PAC, è da dire che, a fronte di valori medi dei diritti all'aiuto molto diversificati tra i Paesi membri e tra i singoli agricoltori all'interno di essi, la proposta iniziale della Commissione si poneva l'obiettivo di giungere progressivamente ad un pagamento medio per ettaro uniforme a livello europeo. Ciò avrebbe comportato una notevole perdita per i Paesi, tra cui l'Italia, che si trovano con valori nettamente superiori alla media europea. Attualmente il livello medio di aiuti per ettaro in Italia si attesta a circa 404 euro per ettaro, a fronte di una media continentale di circa 280 euro per ettaro.
  Tuttavia, grazie ad un'intensa attività condotta, in primis, dal nostro Paese, tale Pag. 60ipotesi è stata scongiurata. Ci sarà un passaggio dall'aiuto storico ad un aiuto forfettario a ettaro e ciò comporterà di operare una scelta tra regione unica, intero Stato italiano, oppure regioni amministrative o regioni omogenee, sotto il profilo fisico, ambientale e socioeconomico. A tale riguardo, il Governo si impegnerà a porre in essere ogni azione per tutelare l'impresa agricola ed evitare situazioni destabilizzanti per il mercato.
  Ad ogni modo, il valore dei diritti, entro il 2019, non potrà avere un valore inferiore al 60 per cento della media nazionale e non potrà subire una riduzione superiore al 30 per cento del valore iniziale. Questo procedimento di convergenza interna del valore dei diritti o della soglia minima dei pagamenti dovrà essere attivato sulla base di criteri oggettivi e non discriminatori, che saranno stabiliti in sede di Conferenza Stato-regioni proprio per raccordare al meglio le diverse istanze e tutelare le istanze degli agricoltori.

  PRESIDENTE. L'onorevole Pili ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.
  Onorevole Pili, ovviamente, senza minimamente volerla condizionare in questo, però, siccome è rimasta una sola interpellanza e noi alle ore 15 dobbiamo per forza fare una sospensione della seduta, mi appello alla sua capacità e volontà di fare un po’ di sintesi, se possibile.

  MAURO PILI. Signor Presidente, credo che le argomentazioni proposte dal Governo rispetto a questa interpellanza siano da considerare totalmente insoddisfacenti e confermino la sufficienza e – mi passi il termine – l'irresponsabilità con le quali il Governo continua ad affrontare le questioni relative alla Sardegna. Quando un Governo politico, su un tema come quello della rappresentanza democratica, si richiama a normative pregresse, non rispondendo all'appello che gli viene rivolto rispetto alle prossime azioni parlamentari che devono essere assunte, cioè quelle della modifica delle stesse leggi elettorali europee, all'attenzione del Senato, è evidente che vi è l'omertà, o meglio, la complicità di questo Governo nel negare alla Sardegna una rappresentanza democratica.
  Quando si richiamano le negazioni degli anni passati, ciò non significa che, se vi è stata una discriminazione, se questa persiste, non vi debba essere da parte del Governo, che ha oggi un'ampia maggioranza, l'assunzione di una responsabilità democratica nel rispetto di un diritto, quello di darci quel rapporto indispensabile di rappresentanza democratica in Europa. Altro che mancanza di senso di appartenenza ! La realtà è che questa Europa, insieme a questo Stato, stanno cancellando il diritto democratico della Sardegna di essere rappresentata.
  È totalmente falsa la risposta che è stata predisposta per quanto riguarda lo svantaggio sui fondi economici. È falsa perché sono state richiamate le risorse dei fondi CIPE, che sono proporzionalmente attribuite alle regioni e che niente hanno a che fare con la programmazione 2007-2013, e quindi è stato richiamato un dato, per esempio quello relativo alla Sassari-Olbia, che non c'entra assolutamente niente con i fondi europei. Stiamo parlando di fondi CIPE già attribuiti alla Sardegna e fatti pagare sul fondo infrastrutturale destinato alla Sardegna preventivamente, sul quale, evidentemente, vi è un tentativo ulteriore di scaricarci questi oneri.
  E si parla del 2007-2013, e si parla di 456 milioni che dovrebbero essere ancora sottoposti ad accordi di programma. Ma come, siamo nel 2014 e mi parlate ancora degli accordi di programma da fare per fondi che non sono utilizzabili ? Lo sapete benissimo che sono bloccati, che lo Stato li ha bloccati, per poterli utilizzare, come un bancomat, per tutte le sue emergenze.
  E quando si parla – si può leggere nei resoconti parlamentari, lo ha fatto il rappresentante del Governo – di connessione autostradale della Sardegna con la rete aeroportuale e portuale, di quali autostrade stiamo parlando ? In Sardegna non ci sono autostrade ! Come fa un Ministero a dare una risposta talmente superficiale e a richiamare la connessione autostradale Pag. 61della Sardegna con i porti e gli aeroporti ? Di cosa stiamo parlando ? Confondete la cartina geografica, non sapete che in Sardegna il riparto dei fondi autostradali non esiste, perché considerate la Sardegna priva di autostrade, e quindi la Sardegna viene tagliata fuori, viene esclusa dal più grande stanziamento infrastrutturale del Paese.
  Come si fa a dire che sulla continuità territoriale il carico finanziario è totalmente in capo alla regione ? Vi è una legge dello Stato, la n. 144 del 1999, che impone la continuità territoriale allo Stato, e quell'accordo farlocco fatto da Soru con Prodi per imbrogliare la Sardegna ancora oggi è alla base delle vostre argomentazioni, lo richiamate.
  Questa risposta l'ha scritta l'Alitalia. Dentro al Ministero ci sono uomini che rispondono ad Alitalia, che fanno gli affari di Alitalia, perché quando si dice che in Sardegna, per nove mesi, ci si può muovere liberamente, residenti e non residenti, e che per tre mesi l'anno invece cittadini italiani, che sono magari residenti a Milano o Roma, devono pagare quattro o cinque volte tanto, vuol dire che state dicendo che la Sardegna è fuori dall'Italia e vuol dire che state facendo gli sporchi interessi di Alitalia, state facendo gli interessi di chi invece ha bisogno di fare appunto cassa in Sardegna. Altro che continuità territoriale, lo dice la parola stessa: continuità territoriale significa connessione di territori, non distinzione. L'unica regione in Europa dove si chiede il certificato di residenza è la Sardegna. È un'ammissione di responsabilità grave, gravissima di chi, dentro quel Ministero, continua a fare gli interessi di Alitalia, della Tirrenia. Dentro il Ministero ci sono gli uomini di Tirrenia, di Alitalia, che pensano soltanto a discriminare gli interessi della Sardegna, a scapito appunto di un popolo per favorire quelli di questi soggetti.
  Energia: idem come sopra. Il cavo di connessione tra la Sardegna e l'Italia, il cosiddetto Sape (Sardegna-penisola italiana) serviva per esportare energia, perché in Sardegna bisogna produrre l'80 per cento in più dell'energia che si consuma per una condizione essenziale di sicurezza di trasmissione elettrica. E la connessione è diretta ed è gestita oggi invece, in termini di importazione, da chi, come l'ENEL – lo ha detto nei giorni scorsi l'amministratore delegato dell'ENEL in Commissione – vuole mettersi nelle condizioni di far dipendere la Sardegna, in contrasto con tutte quelle norme di sicurezza che invece devono essere messe alla base della gestione del rapporto elettrico. È l'accordo bilaterale che gli si chiedeva: ecco perché dico che ai dirigenti è sfuggito, perché da due anni e mezzo tenta di dare delle risposte assolutamente incompiute, farlocche sul piano della generazione elettrica in Sardegna e non dà quelle risposte che, invece, sono essenziali. Sfugge perché lui, con i Ministri che lo hanno accompagnato, copre l'ENEL per chiudere appunto quel tipo di intervento sul piano sostanziale della partita elettrica della Sardegna.
  Ed è evidente che non può essere accettata in alcun modo la risposta che viene data sul piano della PAC. Certo, la media di 450 euro sulla scala regionale, la media: bisogna capire qual è il riparto al quale la Sardegna deve essere sottoposta e se, in questo contesto, è stato contabilizzato – non stiamo parlando di 20 milioni di euro – il riequilibrio. Quanto costa l'insularità per la Sardegna agricola ? Quali sono i gap che deve superare la Sardegna, il mondo agricolo, gli agricoltori, i pastori ? Qual è il gap che devono pagare per essere in una zona insulare, per essere in una regione che ha avuto discriminazioni di questa portata ? Tutto questo non viene contabilizzato, non esiste alcuna contabilizzazione del costo dell'insularità sul piano europeo.
  Non resta che auspicare – e concludo – che la Sardegna reagisca e prenda atto che anche questo Governo, in questa risposta che ci si attendeva compiuta e coerente con gli obiettivi di «detto fatto» del Presidente del Consiglio avesse un minimo di risposta seria ed attendibile. La realtà è che non c’è stata e che la Sardegna deve prendere atto che questo Governo ha fatto le scelte dello Stato e Pag. 62dell'Europa che vogliono discriminare la Sardegna. Bisogna prenderne atto e reagire.

(Elementi ed iniziative in merito a gravi episodi di maltrattamento di detenuti presso il carcere di Poggioreale – n. 2-00386)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Migliore n. 2-00386, concernente elementi ed iniziative in merito a gravi episodi di maltrattamento di detenuti presso il carcere di Poggioreale (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Ferrara se intenda illustrare l'interpellanza, di cui è cofirmatario, o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  FRANCESCO detto CICCIO FERRARA. Sì, signor Presidente. Signor sottosegretario, il 24 gennaio 2014 un detenuto del carcere di Poggioreale, in un'intervista riportata dal sito Fanpage.it, ha rivelato di avere subito umiliazioni, percosse e maltrattamenti. Per rendere meglio l'idea sulla gravità delle accuse mosse da questo ex detenuto, cito testualmente le sue parole, che, qualora fossero vere, sarebbero più appropriate in un documentario delle peggiori dittature della storia che ad uno Stato di diritto quale il nostro.
  Nell'intervista-video l'ex detenuto dichiara: «Sono stato nella cella zero: lì mi hanno picchiato. Erano le 10 e mezzo di sera e all'improvviso, senza motivo, sono stato portato giù, nella cella zero: le guardie mi hanno fatto spogliare nudo, mi hanno picchiato, mi hanno umiliato».
  L'ex detenuto parla della cosiddetta «cella zero» del carcere di Poggioreale, che è – uso ancora le sue parole – «una cella del piano terra dove ti puniscono, ti picchiano, è isolata da telecamere e da tutto».
  Nel servizio riportato dal sito, che fa riferimento ad un fatto risalente al 1o luglio 2013, parla anche Adriana Tocco, la Garante dei detenuti della Campania che, oltre a sottolineare la gravità della cosiddetta «cella zero» rispetto alla quale sostiene di aver ricevuto segnalazioni da più detenuti, afferma anche di aver presentato da tempo una denuncia firmata da 50 detenuti per maltrattamenti senza aver ricevuto, ad oggi, alcuna notizia circa l'avvio di indagini al riguardo.
  Infatti quella che ho richiamato prima è soltanto una delle tante testimonianze raccolte su quanto avverrebbe all'interno della famigerata «cella zero» che, se realmente esistente, rappresenterebbe una violazione dei diritti umani da censurare, sanzionare a livello nazionale e internazionale. Tutte presentano degli elementi comuni: un girone infernale, dove la notte verrebbero raccolti detenuti per essere sottoposti a violentissime percosse, abusi, mortificazioni fisiche e psicologiche. I detenuti verrebbero scelti a caso, senza alcun criterio, da parte di piccole squadre di agenti di polizia penitenziaria il cui unico fine sarebbe quello di dar sfogo alla loro violenza gratuita e costringerli a subire trattamenti disumani.
  La situazione delle carceri italiane, come più volte anche noi di SEL abbiamo denunciato, è già oltre qualsiasi limite di sopportabilità: sovraffollamento, carenze di igiene, strutture vecchie e decadenti, spesso senza servizi essenziali come l'acqua calda, cibo scadente e maleodorante. Questo si vive oggi all'interno delle nostre carceri.
  I dati della popolazione carceraria ci dicono che solo a Poggioreale vi sono 2.839, su una capienza massima di 1.600 circa, e 750 agenti penitenziari, in luogo dei 940 necessari per gestire la struttura. Gli educatori sono 8 su 26 e 12 sono gli psicologi. Numeri che raccontano una realtà ben oltre i limiti del tollerabile. Per questo le chiediamo di esprimere le sue valutazioni circa i fatti riferiti e di voler condividere con questo Parlamento eventuali informazioni in suo possesso. Apprendiamo inoltre dai giornali che la procura di Napoli ha aperto ufficialmente due fascicoli distinti su presunti abusi nel carcere di Poggioreale. Al dramma della «cella zero», ancora presunto, si aggiunge quello, certo, delle condizioni di detenzione. Pag. 63A Poggioreale manca l'essenziale: dalle medicine all'assistenza medica e persino il cibo scarseggia e a volte anche l'acqua.
  Al dramma che si vive dentro, in carcere, si aggiunge però il contesto sociale all'interno del quale Poggioreale è inserito: le file della vergogna. Interminabili ed ignobili code a cui i parenti dei detenuti sono costretti per ore prima di incontrare i detenuti sono solo la cartina al tornasole di un Paese nel quali i diritti non sono uguali per tutti.
  La magistratura farà il suo corso e confidiamo che presto possa fare luce su questi fatti gravissimi. Da lei, invece, vorremmo sapere cosa intende fare il Governo a seguito della denuncia sporta dalla Garante dei detenuti della Campania e quali iniziative urgenti intende assumere per far luce sull'esistenza della cosiddetta «cella zero» nel carcere di Poggioreale. Glielo chiediamo anche a tutela della serietà, della professionalità e del senso di dovere con cui operano la maggioranza del Corpo di polizia penitenziaria e degli operatori in tutte le carceri d'Italia.
  Infine le chiediamo se anche in considerazione di questa ennesima inquietante notizia, non ritenga oramai improcrastinabile, oltre all'istituzione del Garante nazionale dei diritti delle persone private o limitate nella libertà personale, l'introduzione nel nostro ordinamento del reato di tortura e cioè quanto prima portare questo provvedimento anche in Aula, qui, alla Camera e se non ritenga necessario adoperarsi per adeguare l'organico di tutte quelle figure professionali che in carcere prestano la loro opera alle reali necessità del nostro sistema carcerario.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Cosimo Maria Ferri, ha facoltà di rispondere.

  COSIMO MARIA FERRI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, rispondo all'interpellanza urgente – relativa appunto alle recenti notizie di stampa sulla asserita esistenza di una «cella zero» nell'istituto penitenziario di Napoli Poggioreale, dove si sarebbero verificate violenze in danno dei detenuti – rappresentando che il Ministero della giustizia non dispone di informazioni in merito ad episodi e casi specifici di violenza.
  Il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, immediatamente attivatosi a seguito delle predette notizie di stampa, che gli interpellanti oggi hanno riportato, ha comunicato di aver disposto una visita ispettiva per l'accertamento dei fatti.
  Tale attività ispettiva è ancora in corso di svolgimento e mi riservo di comunicarne l'esito alla Camera una volta che la stessa sarà stata ultimata.
  Peraltro, il DAP ha anche precisato che, negli anni passati, non sono state presentate alla stessa amministrazione penitenziaria segnalazioni relative ad episodi simili né da parte della direzione del carcere, né da parte del Garante dei detenuti, né dai detenuti stessi o dai loro difensori o familiari. Ed aggiungo che, tra l'altro, nel sito di Poggioreale viene autorizzato l'accesso di ben quasi cento volontari che, ogni giorno, si recano presso la struttura per svolgere attività di volontariato. Da parte di queste persone, non è arrivata mai nessuna segnalazione.
  La procura della Repubblica presso il tribunale di Napoli ha comunicato che sono tuttora in corso indagini avviate a seguito di due denunce del Garante dei detenuti della Campania, aventi ad oggetto sia segnalazioni provenienti da diversi detenuti in ordine a vari profili della vita all'interno del carcere di Poggioreale (abuso di autorità, violazioni sanitarie ed altro), sia sulla specifica questione oggetto dell'interpellanza.
  Venendo agli ulteriori profili posti dagli interpellanti, è noto che con il decreto- legge 23 dicembre 2013, n. 146, convertito nella legge 21 febbraio 2014, n. 10, recante misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria, è stato istituito il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale. Tale nuova figura verrà ad aggiungersi a quella dei garanti territoriali.Pag. 64
  Tra i compiti del Garante nazionale, oltre a quelli volti a promuovere e favorire rapporti di collaborazione con i Garanti territoriali, vi è specificamente quello di vigilare affinché l'esecuzione della custodia dei detenuti, degli internati, dei soggetti sottoposti a custodia cautelare in carcere o ad altre forme di limitazione della libertà personale sia attuata in conformità ai principi stabiliti dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali sui diritti umani ratificate dall'Italia, nonché dalle leggi dello Stato e dai regolamenti. Ed, al fine di esercitare i suoi poteri di vigilanza, il Garante potrà anche effettuare visite negli istituti penitenziari senza necessità di alcuna autorizzazione preventiva.
  La composizione della struttura amministrativa del nuovo organismo di garanzia verrà determinata con successivo regolamento del Ministero della giustizia, da adottarsi entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del citato decreto-legge. I relativi adempimenti sono in corso di espletamento ai fini dell'adozione del decreto ministeriale, che avverrà entro il corrente mese di marzo.
  Infine, quanto all'ulteriore questione sollevata con l'interpellanza, relativa all'introduzione nel nostro ordinamento del reato di tortura, è noto che, nella seduta del 5 marzo scorso, il Senato ha approvato, a seguito dell'unificazione di una pluralità di disegni di legge di iniziativa parlamentare, un testo che introduce sia il reato di tortura, prevedendo anche una specifica aggravante nel caso in cui sia commesso da un pubblico ufficiale, sia il reato del pubblico ufficiale di istigazione a commettere tortura. Questo Ministero, ed in particolare il sottoscritto (in quanto specificamente delegato dal signor Ministro), continuerà a seguire con la massima attenzione i lavori parlamentari relativi al predetto disegno di legge, anche quando il provvedimento passerà in seconda lettura alla Camera dei deputati.
  Concludo ringraziando gli interpellanti, perché nel segnalare certamente la massima attenzione da parte del Ministero su una questione che riguarda l'attività all'interno degli istituti e i diritti umani delle persone che vi sono all'interno, che è un argomento che sta molto a cuore a questo Ministero, anche alla luce del messaggio del Presidente della Repubblica, occorre evidenziare – come detto anche dagli interpellanti – che, comunque, all'interno migliaia e migliaia di lavoratori appartenenti alla polizia penitenziaria prestano anche il loro lavoro con grande professionalità, impegno ed anche con sacrifici personali, così come gli educatori, gli assistenti sociali, gli psicologi penitenziari e tutte le persone che fanno parte – che prima ho anche citato – del mondo del volontariato e che, comunque, cercano davvero di garantire e di aiutare l'amministrazione penitenziaria nel garantire l'effettività della tutela dei diritti umani, così come ci chiede l'Europa. Vi ringrazio e rimango a disposizione.

  PRESIDENTE. L'onorevole Ciccio Ferrara ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta.

  FRANCESCO detto CICCIO FERRARA. Signor Presidente, prendo atto delle dichiarazioni che ha fatto qui il sottosegretario che mi sembrano importanti anche rispetto al futuro, quando potremo valutare la figura del Garante dei diritti nazionali e le cose che qui sono state sentite. Così, credo che sia giusto aspettare questa visita ispettiva, visto che lei ci dice che è ancora in corso e noi quindi ci vorremmo augurare di avere notizie più precise.
  Detto questo, penso che ci sia un problema generale, e su questo mi avvio a concludere; il problema generale è che innanzitutto, come lei ha visto anche dall'interpellanza urgente, noi abbiamo separato le responsabilità dei singoli da quelle dei lavoratori addetti alla vigilanza. Noi pensiamo che anche essi fanno un lavoro, peraltro, in condizioni molto, molto drammatiche, per i dati che abbiamo, per il sovraffollamento, per tutte le questioni che conosciamo, quindi, mai criminalizzare, persone che lavorano dalla mattina alla sera in condizioni anche così complesse.
  Tuttavia, abbiamo il dovere di far sentire quando arrivano le denunce, e noi Pag. 65l'abbiamo fatto non solo perché era presente sul sito, ma perché, appunto, proprio la Garante dei detenuti di Napoli aveva segnalato questa questione.

(Rinvio delle interpellanze urgenti Morani n. 2-00407 e Andrea Romano n. 2-00410)

  PRESIDENTE. Avverto che, a seguito di accordi intercorsi tra il Governo e i presentatori, lo svolgimento delle interpellanze urgenti Morani n. 2-00407 e Andrea Romano n. 2-00410 è rinviato ad altra seduta.
  È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.

Ordine del giorno della prossima seduta.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

  Lunedì 10 marzo 2014, alle 11:

  Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
   D'INIZIATIVA POPOLARE; CIRIELLI; PISICCHIO; BERSANI ed altri; FRANCESCO SAVERIO ROMANO; MIGLIORE ed altri; LENZI; ZAMPA e MARZANO; ZAMPA e GHIZZONI; MARTELLA; FRANCESCO SANNA; BOBBA ed altri; GIACHETTI ed altri; GIORGIA MELONI ed altri; RIGONI ed altri; RIGONI ed altri; NICOLETTI ed altri; MARTELLA ed altri; VARGIU; BURTONE ed altri; BALDUZZI ed altri; LAFFRANCO ed altri; VARGIU; TONINELLI ed altri; PORTA ed altri; ZACCAGNINI ed altri; VALIANTE ed altri; LAURICELLA; MICHELE BORDO; MARCO MELONI ed altri: Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica (C. 3-35-182-358-551-632-718-746-747-749-876-894-932-998-1025-1026-1116-1143-1401-1452-1453-1511-1514-1657-1704-1794-1914-1946-1947-1977-A).
  — Relatori: Sisto, per la maggioranza; Matteo Bragantini, Pilozzi e La Russa, di minoranza.

  La seduta termina alle 15.

TESTO DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO GIANFRANCO GIOVANNI CHIARELLI SUL TESTO UNIFICATO DELLE PROPOSTE DI LEGGE NN. 254-272-A.

  GIANFRANCO GIOVANNI CHIARELLI. Onorevoli colleghi, più volte il Parlamento si è occupato, a ragione, del fenomeno delle c.d. dimissioni «in bianco», ossia di quella pratica che consiste nel far firmare le dimissioni al lavoratore contestualmente al contratto di assunzione.
  Le dimissioni, firmate appunto in bianco, ed in posizione di evidente debolezza del lavoratore nei confronti del datore di lavoro, sono state dapprima affrontate nel corso della XV Legislatura dalla legge 188/2007, che dispose la validità della lettera di dimissioni volontarie, presentata dal «prestatore d'opera» (lavoratori subordinati e cd. «parasubordinati») e volta a dichiarare l'intenzione del medesimo soggetto di recedere dal contratto di lavoro, subordinatamente all'utilizzo, a pena di nullità, di appositi moduli predisposti e resi disponibili, gratuitamente, dagli uffici provinciali del lavoro e dagli uffici comunali. Questo con l'intento di rendere l'onere probatorio relativo alla nullità delle dimissioni volontarie più difficoltoso e quindi più difficilmente applicabile la pratica delle c.d. dimissioni in bianco.
  La normativa introdotta dalla legge 188/2007 era applicata a qualsiasi tipo di contratto di lavoro subordinato, indipendentemente da caratteristiche di durata e dalla natura assunta dal contratto stesso, quindi anche ai contratti, ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, alle prestazioni occasionali di collaborazione, ai contratti di associazione in partecipazione, nonché ai contratti di lavoro instaurati dalle cooperative Pag. 66con i propri soci. I moduli predisposti dagli uffici provinciali del lavoro e dagli uffici comunali avevano una validità temporale massima di quindici giorni dalla data di emissione ed erano realizzati secondo determinate specifiche tecniche.
  All'indomani dell'introduzione della legge 188/2007 emersero delle difficoltà per le imprese, specialmente di carattere burocratico, che resero l'applicazione della normativa molto farraginosa e, sotto certi aspetti ed in alcuni casi, deterrente per l'assunzione.
  A seguito di tali difficoltà, il decreto-legge 112/2008 dispose, con l'articolo 39, comma 10, l'abrogazione della legge 188/2007 e l'attivazione di una procedura per contrastare il fenomeno dei licenziamenti mascherati da dimissioni forzate; a tal fine il legislatore coinvolse le Direzioni territoriali del lavoro (ex direzioni provinciali del lavoro) mediante un atto di convalida delle dimissioni. Nella nota Ministeriale del 26.2.2009, avente per oggetto la convalida delle dimissioni della lavoratrice madre/lavoratore padre dimissionari ex articolo 55 Dlgs n. 151/2001, si evidenziavano i criteri per predisporre il modulo per la dichiarazione della lavoratrice madre/lavoratore padre dimissionari e per la rilevazione statistica delle dimissioni, al fine di garantire l'uniformità nel comportamento del personale ispettivo nel delicato compito di convalida delle dimissioni di cui all'articolo 55 del Dlgs n. 151/2001 e una maggiore efficacia al procedimento di accertamento dell'autenticità della volontà della lavoratrice o del lavoratore dimissionari. Venne istituito all'uopo il tavolo tecnico di studio, istituito con decreto dei Direttori generali del mercato del lavoro e per l'attività ispettiva, e fu il tavolo tecnico a provvedere all'elaborazione di un modello di dichiarazione e di un report per la rilevazione dei dati a carattere nazionale.
  Si previde, inoltre, sempre al fine di accertare la spontaneità delle dimissioni, la convalida con un colloquio diretto con la lavoratrice o il lavoratore interessato, che devono presentarsi personalmente presso la competente Direzione provinciale del lavoro. Il funzionario che riceveva la dichiarazione, dopo aver informato la lavoratrice o il lavoratore sui principali diritti previsti dal Testo unico sulla tutela della maternità e paternità, doveva provvedere a far inserire dall'interessato le notizie richieste nell'apposito modello e, al termine della dichiarazione, il funzionario doveva provvedere ad informare il dichiarante in merito alla possibilità di rivolgersi alla Consigliera provinciale di parità competente e ad acquisire il consenso al trattamento dei dati raccolti ai fini statistici, in forma anonima, da parte della medesima Consigliera, al fine di promuovere la parità tra uomini e donne sul posto di lavoro, o da altri soggetti pubblici. Dalla teoria alla pratica, tuttavia, i passi non sempre sono facili.
  Del tema si è quindi nuovamente interessata, nel corso della XVI legislatura, la XI Commissione (Lavoro) della Camera dei deputati, che ha avviato l'esame di alcune proposte di legge (C. 3409, C. 4958, C. 4967, C. 4988, C. 5094), senza peraltro pervenire all'adozione di un testo unificato.
  Vorrei sottolineare che l'abrogazione della legge 188/2007 ha lasciato comunque impregiudicato l'impianto normativo a tutela dei lavoratori e, in particolare, delle lavoratrici (ispirato alle medesime esigenze di tutela, sebbene solo in corrispondenza di specifici eventi, della legge 188/2007) di cui agli articoli 54-56 del D.Lgs. 151/2001 e all'articolo 35, comma 4, del D.Lgs. 198/2006.
  Per quanto concerne il decreto legislativo 151/2001, l'articolo 54 dispone che le lavoratrici non possano essere licenziate dall'inizio del periodo di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino. Il divieto di licenziamento non si applica nel caso di colpa grave da parte della lavoratrice; di cessazione dell'attività dell'azienda cui essa è addetta; di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine; di esito negativo della prova. Durante il periodo nel quale opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice non Pag. 67può essere sospesa dal lavoro, né essere collocata in mobilità a seguito di licenziamento collettivo salvo specifiche eccezioni.
  L'articolo 55 prevede che in caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo per cui è previsto il divieto di licenziamento, la lavoratrice abbia diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento. Tale previsione riguarda anche il padre lavoratore e si applica anche nel caso di adozione e di affidamento, entro un anno dall'ingresso del minore nel nucleo familiare.
  Il comma 4, in particolare, prevede che la richiesta di dimissioni presentata dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante il primo anno di vita del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento, debba essere convalidata dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro competente per territorio, e costituisce condizione per la risoluzione del rapporto di lavoro. L'articolo 56 riconosce il diritto delle lavoratrici alla conservazione del posto di lavoro, nonché al rientro nella stessa unità produttiva in precedenza occupata o in altra ubicata nel medesimo comune, e di permanervi fino al compimento di un anno di età del bambino (o fino ad un anno dall'ingresso del minore adottato o affidato nel nucleo familiare); hanno altresì diritto di essere adibite alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti, nonché di beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro, se avvenute.
  Sull'impianto del D.Lgs. 151/2001 è intervenuto, quindi, l'articolo 4, commi 16-23, della L. 92/2012, che ha modificato la disciplina sulla preventiva convalida delle dimissioni presentate dalla lavoratrice (o dal lavoratore) in alcune circostanze, con l'obiettivo di rafforzare la tutela e meglio combattere la pratica delle dimissioni in bianco. Le nuove norme, in particolare, hanno esteso da uno ai primi tre anni di vita del bambino la durata del periodo in cui opera l'obbligo di convalida delle dimissioni volontarie e hanno previsto che l'obbligo di convalida (che costituisce condizione sospensiva per l'efficacia della cessazione del rapporto di lavoro) valga anche nel caso di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. I commi 17 e 18 prevedono modalità alternative di convalida (rispetto a quelle di cui al comma 16), al rispetto delle quali viene subordinata l'efficacia delle dimissioni o della risoluzione consensuale del rapporto: fuori dalle ipotesi descritte al comma 16, l'efficacia delle dimissioni o della risoluzione consensuale del rapporto è sospensivamente condizionata alla convalida effettuata presso la Direzione territoriale del lavoro o il Centro per l'impiego territorialmente competenti, ovvero presso le sedi individuate dalla contrattazione collettiva (comma 17); in alternativa alla procedura di cui al comma 17 l'efficacia delle dimissioni o della risoluzione consensuale del rapporto è sospensivamente condizionata alla sottoscrizione di apposita dichiarazione apposta in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro. Si rinvia, quindi, a un decreto ministeriale di natura non regolamentare per l'individuazione di ulteriori modalità semplificate di accertamento della veridicità della data e della autenticità della dichiarazione del lavoratore, in funzione dello sviluppo dei sistemi informatici e della evoluzione della disciplina in materia di comunicazioni obbligatorie (comma 18). Il comma 19 prevede che, laddove non si proceda alla convalida di cui al comma 17 o alla sottoscrizione di cui al comma 18, il rapporto di lavoro si intende risolto, per il verificarsi della condizione sospensiva, qualora la lavoratrice o il lavoratore non aderiscano, entro il termine di sette giorni dalla ricezione, all'invito a presentarsi presso la Direzione territoriale del lavoro o il Centro per l'impiego territorialmente competenti, ovvero presso le sedi individuate dalla contrattazione collettiva. Il comma 21 prevede che nel termine dei sette giorni dalla ricezione dell'invito (di cui al comma 19), sovrapponibili al periodo di preavviso lavorato, la lavoratrice o il lavoratore hanno facoltà di revocare le Pag. 68dimissioni e la risoluzione consensuale, offrendo le proprie prestazioni al datore di lavoro. La revoca può essere comunicata in forma scritta.
  Il contratto di lavoro, se interrotto per effetto del recesso, torna ad avere corso normale dal giorno successivo alla comunicazione della revoca. Il comma 22 prevede l'inefficacia delle dimissioni qualora, in mancanza della convalida ovvero della sottoscrizione di cui al comma 18, il datore di lavoro non trasmette alla lavoratrice o al lavoratore la comunicazione contenente l'invito entro il termine di trenta giorni dalla data delle dimissioni e della risoluzione consensuale. Infine, il comma 23 reca una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 ad euro 30.000 nelle ipotesi in cui il datore di lavoro abusi del foglio firmato in bianco dalla lavoratrice o dal lavoratore al fine di simularne le dimissioni o la risoluzione consensuale del rapporto, salvo che il fatto costituisca reato.
  L'accertamento e l'irrogazione della sanzione sono di competenza delle Direzioni territoriali del lavoro, con applicazione, in quanto compatibili, delle disposizioni della legge 689/1981.
  Da ultimo, sulla materia è intervenuto l'articolo 7, comma 5, del decreto-legge 76/2013, che ha esteso le tutele introdotte dall'articolo 4, commi da 16 a 23, della legge n. 92 del 2012 ai lavoratori e alle lavoratrici con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, ovvero con contratti di associazione in partecipazione (di cui all'articolo 2549, secondo comma, del codice civile).
  A conclusione del mio intervento, è dunque chiaro che la vera questione da affrontare non è quella, o non è solo quella, delle norme a contrasto delle dimissioni in bianco. Ciò che è veramente urgente e prioritaria è una seria e ragionata riforma del lavoro. Ciò che oggi serve sono interventi radicali che aprano la via di uno Stato liberale, forte e competitivo, non piccoli interventi di manutenzione del sistema. Le aziende devono poter operare in un quadro legislativo che alla tutela del lavoratore affianchi una seria e concreta tutela delle attività d'impresa e della possibilità per le stesse di gestire la propria organizzazione e la propria forza lavoro, in linea con le esigenze di mercato dei nostri giorni.