XVII LEGISLATURA
COMUNICAZIONI
Missioni valevoli nella seduta del 17 aprile 2014.
Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Baldelli, Balduzzi, Baretta, Bellanova, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Brescia, Bressa, Brunetta, Caparini, Capezzone, Casero, Castiglione, Censore, Cicchitto, Cirielli, Costa, Dambruoso, Damiano, De Girolamo, Del Basso de Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Fraccaro, Franceschini, Frusone, Galan, Gasbarra, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Legnini, Leone, Lorenzin, Lotti, Lupi, Madia, Mannino, Antonio Martino, Giorgia Meloni, Merlo, Migliore, Mogherini, Orlando, Pes, Gianluca Pini, Pisicchio, Pistelli, Ravetto, Realacci, Ricciatti, Rossi, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Sereni, Sisto, Speranza, Tabacci, Taglialatela, Vito, Zanetti.
(Alla ripresa pomeridiana della seduta).
Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Baldelli, Balduzzi, Baretta, Bellanova, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Brescia, Bressa, Brunetta, Caparini, Capezzone, Casero, Castiglione, Censore, Cicchitto, Cirielli, Costa, Dambruoso, Damiano, De Girolamo, Del Basso de Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Fraccaro, Franceschini, Frusone, Galan, Gasbarra, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Legnini, Leone, Lorenzin, Lotti, Lupi, Madia, Mannino, Antonio Martino, Giorgia Meloni, Merlo, Migliore, Mogherini, Orlando, Pannarale, Pes, Gianluca Pini, Pisicchio, Pistelli, Ravetto, Realacci, Ricciatti, Rossi, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Sereni, Sisto, Speranza, Tabacci, Taglialatela, Vito, Zanetti.
Annunzio di proposte di legge.
In data 16 aprile 2014 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
DECARO ed altri: «Disposizioni per lo sviluppo della mobilità in bicicletta e la realizzazione della rete nazionale di percorribilità ciclistica» (2305);
VALERIA VALENTE ed altri: «Disposizioni in materia di risarcimento delle vittime dei reati intenzionali violenti e istituzione di un fondo di solidarietà» (2306);
VALERIA VALENTE ed altri: «Modifica all'articolo 2-quinquies del decreto-legge 2 ottobre 2008, n. 151, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 novembre 2008, n. 186, in materia di benefìci per i superstiti delle vittime della criminalità organizzata» (2307);
SCUVERA ed altri: «Disposizioni per garantire l'eguaglianza nell'accesso dei minori ai servizi di mensa scolastica» (2308).
Saranno stampate e distribuite.
Trasmissione dal Senato.
In data 17 aprile 2014 il Presidente del Senato ha trasmesso alla Presidenza il seguente disegno di legge:
S. 1387. – «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 marzo 2014, n. 25, recante misure urgenti per l'avvalimento dei soggetti terzi per l'esercizio dell'attività di vigilanza della Banca d'Italia» (approvato dal Senato) (2309).
Sarà stampato e distribuito.
Ritiro di una proposta di legge.
Il deputato Brambilla ha comunicato di ritirare la seguente proposta di legge:
BRAMBILLA: «Delega al Governo per il recepimento della direttiva 2010/63/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 settembre 2010, sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici» (311).
La proposta di legge sarà pertanto cancellata dall'ordine del giorno.
Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.
A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
II Commissione (Giustizia):
S. 471. – Senatori MARINELLO ed altri: «Modifiche agli articoli 348, 589 e 590 del codice penale, agli articoli 123 e 141 del testo unico delle leggi sanitarie, di cui al regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, nonché all'articolo 8 della legge 3 febbraio 1989, n. 39, in materia di esercizio abusivo di una professione e di obblighi professionali» (approvata dal Senato) (2281) Parere delle Commissioni I e XII.
III Commissione (Affari esteri):
«Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea per la protezione del patrimonio archeologico, fatta alla Valletta il 16 gennaio 1992» (2127) Parere delle Commissioni I, II, V, VII e VIII.
VI Commissione (Finanze):
«Disposizioni in materia di assicurazione R.C. auto» (2126) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), V, IX, X, XII e XIV.
VII Commissione (Cultura):
MAESTRI ed altri: «Modifiche alla legge 20 dicembre 2012, n. 238, per il sostegno e la valorizzazione del Festival Verdi di Parma e Busseto» (2002) Parere delle Commissioni I e V.
X Commissione (Attività Produttive):
BARUFFI: «Modifica all'articolo 31 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, in materia di disciplina degli orari di apertura degli esercizi commerciali» (1240) Parere delle Commissioni I, V, VII, VIII, XI, XII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
XIII Commissione (Agricoltura):
MINARDO: «Disposizioni per favorire lo sviluppo dell'imprenditoria giovanile nel settore agricolo» (895) Parere delle Commissioni I, V, VI, VIII, X, XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale), XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Trasmissioni dalla Corte dei conti.
La Corte dei conti – Sezione del controllo sugli enti, con lettera in data 8 aprile 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Ente parco nazionale dell'Alta Murgia, per gli esercizi 2011 e 2012. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 129).
Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla VIII Commissione (Ambiente).
La Corte dei conti – Sezione del controllo sugli enti, con lettera in data 8 aprile 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS), per l'esercizio 2012. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 130).
Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla XII Commissione (Affari sociali).
La Corte dei conti – Sezione del controllo sugli enti, con lettera in data 8 aprile 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria di ANAS Spa, per l'esercizio 2012. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 131).
Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla VIII Commissione (Ambiente).
La Corte dei conti – Sezione del controllo sugli enti, con lettera in data 10 aprile 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Autorità portuale di Olbia, Golfo Aranci e Porto Torres, per l'esercizio 2012. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 132).
Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla IX Commissione (Trasporti).
La Corte dei conti – Sezione del controllo sugli enti, con lettera in data 10 aprile 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria della Società per lo sviluppo del mercato dei fondi pensione (MEFOP) Spa, per l'esercizio 2012. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 133).
Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla XI Commissione (Lavoro).
La Corte dei conti – Sezione del controllo sugli enti, con lettera in data 10 aprile 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Ente nazionale di previdenza ed assistenza per gli psicologi (ENPAP), per gli esercizi dal 2009 al 2011. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 134).
Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla XI Commissione (Lavoro).
Trasmissione di delibere dal Comitato interministeriale per la programmazione economica.
La Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica, in data 8 e 11 aprile 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, comma 4, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, le seguenti delibere del CIPE, che sono trasmesse alle sottoindicate Commissioni:
n. 40/2013 del 19 luglio 2013, concernente «Assegnazione risorse di cui all'articolo 7-ter del decreto-legge n. 43 del 2013» – alla Commissione V (Bilancio) e alla Commissione IX (Trasporti);
n. 95/2013, del 17 dicembre 2013, concernente «Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) 2007-2013 – Rimodulazione della programmazione delle risorse assegnate a favore della Regione siciliana» – alla Commissione V (Bilancio);
n. 97/2013 del 17 dicembre 2013, concernente «Fondo sanitario nazionale 2011 – Obiettivi prioritari e di rilievo nazionale – Ripartizione tra le regioni delle risorse accantonate per il finanziamento del progetto interregionale Piano di monitoraggio per la ricerca delle diossine negli alimenti di origine animale» – alla Commissione V (Bilancio) e alla Commissione XII (Affari sociali);
n. 84/2013 dell'8 novembre 2013, concernente «Fondo sanitario nazionale 2011. Assegnazione alla regione Veneto della quota accantonata sulle somme vincolate agli obiettivi prioritari e di rilievo nazionale per il progetto interregionale “Portale della trasparenza dei servizi per la salute”» – alla Commissione V (Bilancio) e alla Commissione XII (Affari sociali);
n. 96/2013 del 17 dicembre 2013, concernente «Contratto di programma tra il Ministero dello sviluppo economico e il consorzio Programma porto Napoli s.c., ar.l – Aggiornamento», – alla Commissione V (Bilancio), alla Commissione IX (Trasporti) e alla Commissione X (Attività produttive);
n. 98/2013 del 17 dicembre 2013, concernente «Rimodulazione della quota assegnata, con delibera CIPE n. 101/2010, al settore agricolo Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca» – alla Commissione V (Bilancio) e alla Commissione XIII (Agricoltura).
Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.
La Commissione europea, in data 16 aprile 2014, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
Proposta di decisione del Consiglio relativa alla firma, a nome dell'Unione europea, e all'applicazione provvisoria dell'accordo di associazione tra l'Unione europea e la Comunità europea dell'energia atomica e i loro Stati membri, da una parte, e la Georgia, dall'altra (COM(2014) 148 final) e relativi allegati I, II, III, IV, V, VII, VIII, IX, X, XI, XII, XIII (COM(2014) 148 final – Annex 1, Annex 2, Annex 3, Annex 4, Annex 5, Annex 7, Annex 8, Annex 9, Annex 10, Annex 11 Annex 12 e Annex 13), che sono assegnati in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
Proposta di decisione del Consiglio relativa alla conclusione dell'accordo di associazione tra l'Unione europea e la Comunità europea dell'energia atomica e i loro Stati membri, da una parte, e la Georgia, dall'altra (COM(2014) 149 final) e relativi allegati I, II, III, IV, V, VII, VIII, IX, X, XI, XII, XIII (COM(2014) 149 final – Annex 1, Annex 2, Annex 3, Annex 4, Annex 5, Annex 7, Annex 8, Annex 9, Annex 10, Annex 11 Annex 12 e Annex 13), che sono assegnati in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al codice dei visti dell'unione (codice dei visti) (Rifusione) (COM(2014) 164 final)
e relativi allegati (COM(2014) 164 final) – Annexes 1 to 13) e documento di accompagnamento – Documento di lavoro dei servizi della Commissione – Sintesi della valutazione d'impatto (SWD(2014) 67 final), che sono assegnati in sede primaria alla I Commissione (Affari costituzionali). La predetta proposta di regolamento è altresì assegnata alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà; il termine di otto settimane per la verifica di conformità, ai sensi del Protocollo sull'applicazione dei princìpi di sussidiarietà e di proporzionalità allegato al Trattato sull'Unione europea, decorre dal 16 aprile 2014;
Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sullo stato del mercato europeo del trasporto stradale (COM(2014) 222 final), che è assegnata in sede primaria alla IX Commissione (Trasporti).
Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 3, 8, 10 e 15 aprile 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 1 e 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.
Tali atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).
Trasmissione dal difensore civico della regione Emilia-Romagna.
Il difensore civico della regione Emilia-Romagna, con lettera in data 31 marzo 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 16, comma 2, della legge 15 maggio 1997, n. 127, la relazione sull'attività svolta dallo stesso difensore civico nell'anno 2013 (Doc. CXXVIII, n. 15).
Questa relazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali).
Trasmissione dal difensore civico della regione Toscana.
Il difensore civico della regione Toscana, con lettera in data 28 marzo 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 16, comma 2, della legge 15 maggio 1997, n. 127, la relazione sull'attività svolta dallo stesso difensore civico nell'anno 2013 (Doc. CXXVIII, n. 16).
Questa relazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali).
Trasmissione dal difensore civico della regione Basilicata.
Il difensore civico della regione Basilicata, con lettera in data 3 aprile 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 16, comma 2, della legge 15 maggio 1997, n. 127, la relazione sull'attività svolta dallo stesso difensore civico nell'anno 2013 (Doc. CXXVIII, n. 17).
Questa relazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali).
Trasmissione dal difensore civico della regione Lombardia.
Il difensore civico della regione Lombardia, con lettera in data 31 marzo 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 16, comma 2, della legge 15 maggio 1997, n. 127, la relazione sull'attività svolta dallo stesso difensore civico nell'anno 2013 (Doc. CXXVIII, n. 18).
Questa relazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali).
Atti di controllo e di indirizzo.
Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.
DOCUMENTO DI ECONOMIA E FINANZA 2014 (DOC. LVII, N. 2)
Risoluzioni sulla relazione di cui all'articolo 6, comma 3, della legge n. 243 del 2012
La Camera,
premesso che:
premesso che il Documento di economia e finanza 2014 (DEF) reca, al Capitolo III del Programma di Stabilità dell'Italia, la Relazione al Parlamento sull'indebitamento netto e il debito pubblico presentata ai sensi dell'articolo 6 della legge 24 dicembre 2012 n. 243;
preso atto delle comunicazioni intercorse tra il Governo italiano e la Commissione europea;
sentite le dichiarazioni rese dal Ministro dell'economia e delle finanze nel dibattito odierno;
autorizza il Governo
ai sensi dell'articolo 81, secondo comma, della Costituzione e dell'articolo 6 della legge 24 dicembre 2012, n. 243, a dare attuazione a quanto indicato nella Relazione citata in premessa.
(6-00064) «Marchi, Tancredi, Librandi, De Mita, Tabacci».
La Camera,
premesso che:
in data 9 aprile 2014 il Governo ha presentato il Documento di Economia e Finanza (DEF), ai sensi dell'articolo 7, comma 2, lettera a) 10 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni;
nella sezione I capitolo I, Quadro complessivo e obiettivi di politica economica, a pagina 22, il DEF introduce l'intento di un posticipo dell'obiettivo di pareggio di bilancio al 2016, con l'annessa volontà di richiesta alla Commissione europea dell'autorizzazione allo scostamento degli obiettivi programmatici;
nella sezione III, Relazione al Parlamento sull'indebitamento netto e debito pubblico, a pagina 35, ribadisce la volontà di scostamento e fonda la sua relazione e le sue proiezioni economiche su tale presupposto;
in tal senso quindi il Governo ha notificato solo il 16 aprile, alla Commissione europea una «specifica richiesta di autorizzazione in cui sia indicata l'entità e la durata dello scostamento nonché sia definito un piano di rientro che permetta di convergere verso l'obiettivo di medio periodo»;
dall'analisi del punto 1 della sezione III si ricava che le previsioni e le evoluzioni economiche si basano sulla riferita volontà espressa di scostarsi dai parametri imposti dal «Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nella Unione Economica e Monetaria», ratificato con legge 243 del 24 dicembre 2012 ed inserito, benché non richiesto in modo vincolante, a rango di norma costituzionale;
considerato che:
le proiezioni economiche del DEF 2014, si fondano sullo scostamento dai parametri imposti dal Trattato sovracitato;
inoltre tale intenzione è confermata dalla dichiarazione del 15 aprile 2014 del Ministro dell'economia Padoan davanti le Commissioni Bilancio di Camera e Senato: nel corso delle audizioni sul DEF, il Governo ha reso noto che si è avviata la procedura per la richiesta formale per l'autorizzazione della Commissione europea per discostarsi, per un anno a partire dal 2014, dal percorso verso il pareggio di bilancio strutturale, per ragioni eccezionali, prevedendo un non meglio specificato piano di rientro che prevede una indefinita e non quantificata convergenza del debito verso un non specificato periodo del 2015. Si è invece preso atto che solo il 16 aprile il Ministro Padoan ha inviato in Europa una lettera per richiedere il rinvio del pareggio di bilancio al 2016. Un passaggio tanto delicato quanto indispensabile poiché necessario a rispettare la procedura prevista dalla legge 243 del 2012;
fatto presente che:
solo ad oggi il Governo prende atto della direzione già ripetutamente indicata diverse volte, in particolare delle motivazioni espresse con la mozione 1-00348 del 26 marzo 2014 a firma Castelli, ovvero dell'inadeguatezza e l'inopportunità economica di tale vincolo;
vale la pena di far presente che da più parti si è sottolineata l'eccessiva rigidità del Patto, perché questa, se non applicata considerando l'intero ciclo economico, genera rischi involutivi derivanti dalla contrazione della politica degli investimenti;
in passato anche l'allora Presidente della Commissione europea, Romano Prodi, definì il Patto «inattuabile» per la sua rigidità;
nonché molti esperti hanno affermato che il Patto di stabilità e crescita non promuoverebbe né la crescita, né la stabilità, dal momento che finora esso è stato applicato in modo incoerente, come dimostrato, ad esempio, dal fatto che il Consiglio non è riuscito ad applicare le sanzioni, malgrado ne sussistessero i presupposti;
in particolare l'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), di cui il Ministro Padoan era sia capo economista che vice direttore generale, ha in diversi studi fatto presente come il prodotto interno lordo non sia un indicatore esaustivo per parametrare il benessere di un Paese e dei suoi cittadini (vedi rapporto Ocse How's Life 2013), ma piuttosto bisogna tener conto anche di altri indicatori, come la qualità e il costo delle abitazioni, salari, sicurezza dell'impiego e disoccupazione, l'educazione, la coesione sociale, la qualità dell'ambiente, la salute, la sicurezza e altri;
recenti studi condotti da ricercatori universitari suggeriscono come negli ultimi anni le misure di austerità adottate in Italia, e non solo, non hanno prodotto gli effetti positivi sperati, anzi hanno acuito gli effetti negativi;
le misure di austerità introdotte dal Governo Monti e prima dal Governo Berlusconi avevano come scopo di diminuire la spesa pubblica e miravano a equilibrare il bilancio, con l'ovvia conseguenza di ridurre ulteriormente la spesa nazionale senza risultati notevoli in termini di crescita, recupero, nonché in termini di riduzione del rapporto debito/prodotto interno lordo;
tali politiche di austerità hanno prodotto come risultato una riduzione della domanda aggregata e, direttamente e indirettamente, hanno indebolito il potere d'acquisto dei lavoratori (ad esempio, riducendo la spesa per servizi pubblici, sanità e istruzione);
nel marzo 2005, in risposta alle crescenti perplessità, l'Ecofin decise di ammorbidirne le norme per renderlo più flessibile. Decisione richiamata e ribadita dall'asse franco-tedesco nel 2008, per far fronte alla gravissima crisi finanziaria che ha investito i mercati e le economie di tutto il mondo in seguito alla cosiddetta crisi dei mutui americana del 2006;
ulteriori istanze di riforma, nel senso di sospendere il diritto di voto dei Paesi che non rispettino i propri obblighi di bilancio, sono state manifestate, in particolare, dalla Germania, in occasione degli aiuti stanziati dai Paesi dell'eurozona per la grave crisi finanziaria della Grecia nel maggio 2010;
le cattive performance dell'Italia sono da ricercarsi nelle cattive politiche economiche e, in particolare, relative alla non tutela dei posti di lavoro, tale posizione è tra l'altro confermata dal recente documento prodotto dalla Commissione europea in data 5 marzo 2014, Macroeconomic Imbalances – Italy 2014.
Ritenuto tra l'altro che:
gli articoli 99 e 104 del Trattato di Roma istitutivo della Comunità economica europea (così come modificato con il Trattato di Maastricht e dal Trattato di Lisbona) trovano attuazione attraverso il rafforzamento delle politiche di vigilanza sui deficit ed i debiti pubblici, nonché un particolare tipo di procedura di infrazione;
la procedura per deficit eccessivo (pde), che ne costituisce il principale strumento, è stata implementata dal Patto di stabilità e crescita (psc). Stipulato nel 1997, il Patto di stabilità e crescita ha rafforzato le disposizioni sulla disciplina fiscale nell'unione economica e monetaria, di cui agli articoli 99 e 104, ed è entrato in vigore con l'adozione dell'euro, il 1o gennaio 1999;
in base al Patto di stabilità e crescita, gli Stati membri devono continuare a rispettare nel tempo i parametri di deficit pubblico (3 per cento) e di debito pubblico (60 per cento del prodotto interno lordo);
l'articolo 104 del Trattato di Roma prevede 3 fasi, nel caso in cui un Paese non rispetti i parametri:
a) se il deficit di un Paese membro si avvicina al tetto del 3 per cento del prodotto interno lordo, la Commissione europea propone, ed il Consiglio dei ministri europei in sede di Ecofin approva, un «avvertimento preventivo» (early warning), al quale segue una raccomandazione vera e propria in caso di superamento del tetto;
b) se a seguito della raccomandazione lo Stato interessato non adotta sufficienti misure correttive della propria politica di bilancio, esso viene sottoposto ad una sanzione che assume la forma di un deposito infruttifero, da convertire in ammenda dopo due anni di persistenza del deficit eccessivo. L'ammontare della sanzione presenta una componente fissa pari allo 0,2 per cento del prodotto interno lordo ed una variabile pari ad 1/10 dello scostamento del disavanzo pubblico dalla soglia del 3 per cento. È comunque previsto un tetto massimo all'entità complessiva della sanzione, pari allo 0,5 per cento del prodotto interno lordo;
c) se invece lo Stato adotta tempestivamente misure correttive, la procedura viene sospesa fino a quando il deficit non viene portato sotto il limite del 3 per cento. Se le stesse misure si rivelano, però, inadeguate, la procedura viene ripresa e la sanzione irrogata;
la legge n. 243 del 2012, «Disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione», all'articolo 6, comma 2, «Eventi eccezionali e scostamenti dall'obiettivo programmatico strutturale», prevede che: «Ai fini della presente legge, per eventi eccezionali, da individuare in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, si intendono:
a) periodi di grave recessione economica relativi anche all'area dell'euro o all'intera Unione europea;
b) eventi straordinari, al di fuori del controllo dello Stato, ivi incluse le gravi crisi finanziarie nonché le gravi calamità naturali, con rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria generale del Paese»;
il comma 3, invece, prevede che: «Il Governo, qualora, al fine di fronteggiare gli eventi di cui al comma 2, ritenga indispensabile discostarsi temporaneamente dall'obiettivo programmatico, sentita la Commissione europea, presenta alle Camere, per le conseguenti deliberazioni parlamentari, una relazione con cui aggiorna gli obiettivi programmatici di finanza pubblica, nonché una specifica richiesta di autorizzazione che indichi la misura e la durata dello scostamento, stabilisca le finalità alle quali destinare le risorse disponibili in conseguenza dello stesso e definisca il piano di rientro verso l'obiettivo programmatico, commisurandone la durata alla gravità degli eventi di cui al comma 2»,
impegna il Governo
a ritirare la Relazione allegata al DEF 2014 e a ripresentarla, sia al Parlamento che alla Commissione europea, integrata – come prescritto dalla legge 243 del 2012 – con i dati, attualmente mancanti, necessari ai fini del rispetto dell'articolo 6, comma 3 della medesima legge 243 del 2012, ovvero indicando esattamente la misura e la durata dello scostamento, le finalità alle quali destinare le risorse disponibili in conseguenza dello stesso e un preciso piano di rientro verso l'obiettivo programmatico, commisurandone la durata alla gravità degli eventi.
(6-00070) «Brescia, Castelli, Caso, Cariello, D'Incà, Currò, Brugnerotto, Sorial».
Risoluzioni presentate ai sensi dell'articolo 118-bis del Regolamento
La Camera,
premesso che:
l'analisi del DEF 2014 approvato dal Governo l'8 aprile 2014 evidenzia scostamenti significativi rispetto alle valutazioni fornite dalla Commissione europea. Esse non riguardano solo la diversa crescita del PIL per gli anni considerati 2014 e 2015 (DEF +0,8 per cento nel 2014 e +1,3 per cento nel 2015; UE +0,6 per cento nel 2014 e +1,2 per cento nel 2015), quanto le grandezze più significative ai fini del Patto di stabilità, sulle quali sono stati impostati i nuovi Regolamenti UE, noti come Six Pack e Two Pack. Vale a dire le nuove regole che sovraintendono al Fiscal compact. Regole che, essendo entrate in vigore nel 2014, non hanno avuto ancora un'applicazione rigorosa, per quanto riguarda i singoli impegni di natura organizzativa;
le diversità di valutazione riguardano nell'ordine l'andamento del deficit strutturale e del rapporto debito/PIL, la dinamica del PIL ed infine la regola della spesa per il 2014. Le diverse proiezioni di questi aggregati per il 2014 ed il 2015 lasciano intravedere una sottostante valutazione, della situazione finanziaria del Paese, addirittura opposta. Favorevole quella del Governo, che considera l'eccesso di deficit strutturale (-0,6 per cento del PIL) puramente accidentale e pertanto riconducibile ad un evento eccezionale, in grado di innescare la procedura «salvifica» di cui al Regolamento UE 1177/2011, che si è poi tradotto nell'articolo 6 della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio, ai sensi dell'articolo 81, sesto comma della Costituzione). Critica quella della Commissione, che considera invece questo squilibrio permanente e di conseguenza in aperta violazione delle regole di cui al Regolamento UE 1175/2011, a loro volta confluite nell'articolo 8 della legge precedentemente richiamata;
la valutazione dell'andamento del deficit strutturale, nei documenti italiani, è stata piuttosto incerta. Di conseguenza, in corso d'anno, il dato è più volte variato, convergendo alla fine con le valutazioni della Commissione europea, eccezion fatta per i valori relativi al 2015, ove il Governo prevede un deficit strutturale pari a -0,1 per cento, mentre la Commissione prevede -0,8 per cento;
dal confronto risulta evidente la diversa impostazione: per il Governo italiano il mancato rispetto della regola (riduzione del deficit strutturale di 0,5 punti) è avvenuto nel 2014, ma non avverrà nel 2015, visto che per quell'anno si prevede una riduzione, appunto, dello 0,5 per cento: da 0,6 a 0,1. Per la Commissione, invece lo squilibrio resta di natura strutturale, in violazione quindi dei Regolamenti, poiché per il 2015 il deficit strutturale non solo non è previsto in riduzione, ma fa registrare un leggero aumento di 0,2 punti di PIL, rispetto all'anno precedente;
la conseguenza di questa diversa impostazione si traduce in una linea di politica economica diametralmente opposta. Mentre il Governo è deciso a far valere la clausola degli «eventi eccezionali», per la Commissione europea, invece, si è di fronte ad un vero e proprio squilibrio che richiede una vera e propria manovra correttiva nel 2015, che può essere stimata in una forchetta compresa tra 0,3 e 0,7 punti (al fine di ricondurre il deficit strutturale previsto da -0,8 per cento a -0,5 per cento o a -0,1 per cento nel 2015). Il risultato finale dipenderà da una trattativa in sede UE. In ogni caso la manovra correttiva dovrebbe oscillare tra i 5 e gli 11 miliardi circa;
anche per quanto riguarda l'andamento del debito pubblico, le valutazioni divergono tra Governo e Commissione europea. Anche se il confronto gioca a favore dell'Italia, nel senso che le previsioni UE sono meno pessimistiche. Al di la delle differenze, tuttavia, in entrambe le previsioni risulta evidente che il debito nel 2014 continua a crescere (2,3 punti nel caso delle previsioni del Governo, di 1 punto nel caso dell'Unione europea), il che rende più stringente la regola del contenimento del deficit strutturale di 0,5 punti all'anno, finché non si entra nella zona di sicurezza, vale a dire un valore compreso tra 0 per cento e -0,5 per cento;
nell'ottobre del 2013, il Governo aveva trasmesso alla Commissione europea il Documento programmatico di bilancio 2014. In esso il deficit strutturale, per il 2013 e il 2014, era valutato con maggiore ottimismo: -0,5 per cento (invece di -0,8 per cento) nel 2013 e -0,3 per cento (invece di -0,6 per cento) nel 2014. Anche per il debito, le valutazioni erano più basse: 132,9 per cento nel 2013 (contro 132,6 per cento del DEF) e 132,7 per cento nel 2014 (contro il 134,9 per cento del DEF). La direzione era addirittura nel senso di un seppur leggero contenimento. Tendenza che nel DEF si è tradotta nel suo opposto;
la Commissione europea ha risposto a queste previsioni con il documento COM(2014) 150 final: Results of in-depth under Regulation (UE) n. 1176/2011 on the prevention and correction of macroeconomic imbalances. Il Regolamento richiamato (articolo 2) distingue tra «squilibri» e «squilibri gravi». Questi ultimi sono quelli che mettono a repentaglio non solo la vita di un singolo Stato, ma «il corretto funzionamento dell'Unione economica e monetaria». La Commissione, pertanto, in data 5 marzo 2014, ha raccomandato al Consiglio che l'Italia, la Croazia e la Slovenia «intraprendano le necessarie azioni correttive secondo le procedure previste dal MIP (Macroeconomic Imbalance Procedure)». Per l'Italia, infatti, è scritto in un'altra parte del documento: «there is a risk that the adjustment of the structural balance in 2014 is insufficient given the need to reduce the very large public debt ratio at an adequate pace»;
per effetto dei Trattati, così come sono stati trasfusi nella legge n. 243 del 2012, esiste ormai un vincolo alla crescita della spesa. Se essa deborda rispetto ai parametri fissati deve essere immediatamente coperta da maggiori imposte. Lo stesso DEF approvato dal Governo riconosce che i parametri relativi alla cosiddetta «regola della spesa» non sono stati rispettati, con la giustificazione della caduta del PIL nel 2013. A pag. 39 del documento si legge, infatti, «per il 2014, il disavanzo strutturale si attesterebbe allo 0,6 per cento del PIL, riducendosi di 0,2 punti di PIL rispetto al 2013, in luogo di 0,5 punti percentuali richiesti dal Patto di stabilità, mentre l'aggregato di spesa farebbe registrare una contrazione dello 0,6 per cento in termini reali, non in linea con i parametri della Commissione che richiederebbero una riduzione di almeno 1,07 per cento». Il rispetto di questa regola richiederebbe pertanto una manovra correttiva – Spending review o aumento delle imposte – di circa 7,5 miliardi di euro nel 2014;
esiste una profonda divergenza di vedute tra la Commissione europea ed il Governo italiano, circa lo stato della finanza pubblica e l'evoluzione del ciclo. Queste divergenze devono essere appianate in un confronto serrato prima di assumere decisioni che rischiano di aggravare la situazione finanziaria italiana, esponendo il Paese ad un rischio di infrazione;
pur limitandoci a considerare le diverse previsioni sul disavanzo strutturale e sulla regola della spesa (quest'ultima non contestata nei numeri dal Governo) la manovra correttiva dovrebbe essere nell'ordine di circa 7 miliardi, in grado, cioè, di assorbire completamente gli ipotetici vantaggi della Spending review per il 2014;
il carteggio intercorso nella giornata del 16 aprile 2014 tra il Governo italiano e la Commissione europea risulta inconsistente e imbarazzato, tanto con riferimento alle ragioni addotte dal Governo per giustificare io scostamento dell'Italia dall'obiettivo di medio termine, quanto con riferimento al piano di rientro, tutto affidato agli effetti benefici in termini di crescita di riforme ancora neanche abbozzate dall'esecutivo;
la legge n. 243 del 2012, che contiene le «Disposizioni per l'attuazione del pareggio di bilancio ai sensi dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione», prevede, all'articolo 6, che qualora il Governo intenda «discostarsi temporaneamente dall'obiettivo programmatico [...] la deliberazione con la quale ciascuna Camera autorizza lo scostamento e approva il piano è adottata a maggioranza assoluta dei relativi componenti»;
il valore di queste norme è evidente. Sono state costruite per evitare che una semplice maggioranza parlamentare possa utilizzare lo strumento della finanza pubblica per fini impropri, specie se di natura elettoralistica, che andrebbero a danno dell'intero Paese,
impegna il Governo
a mantenere il più stretto raccordo con la Commissione europea, al fine di evitare che dalla valutazione, da parte di quest'ultima, del DEF e del PNR, prevista per il 2 giugno 2014, possa scaturire la proposta al Consiglio europeo di aprire una nuova procedura di infrazione nei confronti del nostro Paese, a causa delle divergenti politiche economiche prospettate dal Governo italiano rispetto alle preoccupazioni manifestate in diverse occasioni, da ultimo lo scorso 5 marzo, dalla Commissione europea.
(6-00065) «Brunetta».
La Camera,
esaminato il Documento di economia e finanza 2014;
premesso che:
gli indicatori congiunturali più recenti evidenziano, secondo il DBF, la prosecuzione della fase ciclica moderatamente espansiva emersa alla fine del 2013, prospettando un contenuto aumento del PIL nel primo trimestre 2014 ed una ripresa più sostenuta nei trimestri successivi;
la stima di crescita del PIL per il 2014 è fissata allo 0,8 per cento; la dinamica del PIL dovrebbe accelerare nel 2015 (1,3 per cento) e negli anni successivi (1,7 per cento medio nel triennio 2016-2018), senza considerare gli effetti positivi attesi dalle riforme programmate dal Governo, stimati in 2,2 per cento nel 2018 in termini cumulati;
sul fronte del mercato del lavoro, nel 2014 l'occupazione dovrebbe ulteriormente ridursi dello 0,2 per cento, tornando ad aumentare dal 2015. Il tasso di disoccupazione dovrebbe salire anche nel 2014 per poi ridursi progressivamente fino all'11 per cento nel 2018;
per quanto riguarda la finanza pubblica, le previsioni del DEF sull'indebitamento netto tendenziale sono pari a 2,6 per cento nel 2014, 2 per cento nel 2015, 1,5 per cento nel 2016 e 0,9 per cento nel 2017, mentre nel 2018 dovrebbe ulteriormente scendere allo 0,3 per cento;
l'indebitamento netto programmatico è fissato al 2,6 per cento nel 2014, all'1,8 per cento nel 2015, allo 0,9 per cento nel 2016 e allo 0,3 per cento nel 2017, con un accreditamento netto dello 0,3 per cento nel 2018;
l'indebitamento netto strutturale è fissato invece allo 0,6 per cento nel 2014, allo 0,1 per cento nel 2015, con un pareggio di bilancio a partire dal 2016
il rapporto debito/PIL, che nel 2013 ha toccato il 132,6 per cento (129,1 per cento al netto dei sostegni europei), nel 2014 è programmato in ulteriore crescita al 134,9 per cento, mentre negli anni successivi il profilo programmatico evidenzia una discesa del rapporto debito/PIL fino al 120,5 per cento nel 2018;
considerato che:
è necessario un cambio di rotta della politica economica europea, che dovrebbe essere orientata con molta più determinazione allo sviluppo sostenibile e alla creazione di nuova occupazione, così da integrare le misure non convenzionali di politica monetaria che la BCE ha dichiarato di essere pronta ad attivare;
per far ripartire la crescita in Italia è inoltre necessario un insieme di interventi ampio e coraggioso, che consolidi i risultati raggiunti sul fronte del risanamento dei conti pubblici e affronti con determinazione i nodi strutturali dell'economia italiana sia dal lato della domanda, rilanciando consumi e investimenti, che da quello dell'offerta, migliorando la produttività e quindi la competitività del sistema produttivo anche mediante un deciso sostegno all’Industrial Compact europeo;
in questo quadro appaiono quindi apprezzabili le strategie di politica economica previste dal Programma nazionale di Riforma (PNR), incentrate sul taglio del cuneo fiscale e contributivo sui redditi medio-bassi e dell'Irap, sul rilancio degli investimenti pubblici, sul miglioramento della competitività d'impresa, sul pagamento dei debiti commerciali pregressi della pubblica amministrazione, sulla dinamizzazione del mercato del lavoro;
appare condivisibile la strategia di reperimento delle risorse necessarie a far fronte ai citati interventi, basata sulla revisione della spesa (con un risparmio di 4,5 miliardi di euro nel 2014, 17 miliardi di euro nel 2015 e 32 miliardi di euro a decorrere dal 2016) e sulle privatizzazioni (con un introito annuo dello 0,7 per cento del PIL nel triennio 2014-2016);
vista la risoluzione approvata a maggioranza assoluta dalla Camera nella seduta odierna,
impegna il Governo:
ad osservare i saldi di finanza pubblica in termini di indebitamento netto rispetto al PIL, nonché il rapporto programmatico debito/PIL, nei termini indicati nel Documento di economia e finanza;
a ribadire con forza in sede europea la necessità di una svolta nella politica economica finalizzata al sostegno alla domanda aggregata, confermando la scelta, già anticipata dal DEF, di poter utilizzare, fermo restando il rispetto degli impegni assunti, le clausole di flessibilità rese disponibili dal Patto di Stabilità e Crescita, in particolare quelle finalizzate al rilancio degli investimenti pubblici;
ad adempiere alla Raccomandazione della Commissione europea di trasferire il carico fiscale da lavoro e impresa a consumi, beni immobili e ambiente, provvedendo:
a) alla riduzione strutturale del cuneo fiscale e contributivo gravante sui lavoratori dipendenti e assimilati a più basso reddito, anche tenendo in considerazione i carichi familiari; valutando altresì la possibilità di estendere – compatibilmente con gli equilibri di finanza pubblica – misure di incremento del reddito disponibile anche ai pensionati e ai lavoratori autonomi a minor reddito, nonché agli incapienti;
b) alla riduzione della tassazione sul lavoro dal lato delle imprese procedendo alla riduzione dell'IRAP, in modo da dare impulso alla crescita dell'occupazione;
c) all'attuazione della delega fiscale con l'obiettivo di una maggiore equità del sistema tributario, della semplificazione degli adempimenti e del sostegno alla crescita;
a procedere a una rigorosa revisione della spesa pubblica, finalizzata all'eliminazione di diseconomie e inefficienze e ad una migliore allocazione delle risorse, liberando spazi finanziari per le politiche di bilancio;
a selezionare gli interventi di revisione della spesa in modo da evitare che i tagli producano effetti recessivi, salvaguardando i settori che la Commissione europea e il governo italiano considerano decisivi per le potenzialità di crescita, dall'istruzione, formazione e università alla ricerca e sviluppo, dagli investimenti pubblici ai servizi per l'impiego, assicurando un confronto parlamentare – per quanto riguarda il comparto sicurezza – sugli indirizzi strategici che devono presiedere allo svolgimento delle funzioni del comparto, nonché procedendo – per quanto riguarda il servizio sanitario nazionale – a interventi mirati di razionalizzazione dell'acquisto di beni e servizi utilizzando i costi standard e nel rispetto dei LEA;
a provvedere, per quanto riguarda la riforma del sistema previdenziale, alla soluzione del problema dei cosiddetti «esodati» e, per il settore della scuola, dei lavoratori cosiddetti «quota 96» e in prospettiva a valutare la reintroduzione di meccanismi di flessibilità di uscita rispetto ai nuovi limiti anagrafici, attraverso un sistema di incentivi e disincentivi;
a promuovere una riforma del mercato del lavoro tesa a incrementare l'occupazione e a favorire l'inserimento dei giovani e la ricollocazione di coloro che con la crisi hanno perso il posto di lavoro, mediante interventi sul contratto a termine e sull'apprendistato, sull'attuazione del piano italiano nell'ambito della Youth Guarantee, nonché sul riordino delle forme contrattuali, degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive con l'obiettivo di superare il dualismo e le rigidità del mercato del lavoro, estendere progressivamente ai lavoratori non protetti o in particolare situazione di disagio gli strumenti di sostegno al reddito dei disoccupati e contribuire strutturalmente all'aumento dell'occupazione e della produttività del lavoro;
a riformare a partire dal 2015 il meccanismo dei vincoli del Patto di stabilità interno, flessibilizzando le regole per la spesa in conto capitale e creando gli spazi necessari per consentire i pagamenti della quota nazionale e cofinanziata;
a rilanciare gli investimenti pubblici con particolare riferimento al piano di messa in sicurezza degli edifici scolastici e agli interventi contro il dissesto idrogeologico, mediante l'uso efficace dei fondi strutturali europei, il finanziamento di nuove opere nel settore idrico, la prosecuzione degli interventi già decisi in connessione con l'Expo 2015 e la realizzazione di piccoli e medi progetti sul territorio, con una particolare attenzione alle regioni meridionali;
a destinare le eventuali maggiori entrate, rispetto al quadro programmatico, da alienazione delle aziende e degli immobili pubblici al finanziamento di un piano straordinario per l'occupazione giovanile, da realizzare, nell'ambito della «Youth Guarantee», e di investimenti per il riassetto idrogeologico e l'edilizia scolastica;
a procedere al pagamento dei debiti commerciali residui della pubblica amministrazione e a definire un meccanismo permanente che consenta l'allineamento delle procedure di pagamento agli standard delle direttive europee;
a promuovere la riattivazione del credito alle imprese attraverso la tempestiva attuazione ed il potenziamento delle misure già assunte in materia di riforma del Fondo centrale di garanzia e del sistema dei consorzi fidi, di incentivazione fiscale delle scelte di patrimonializzazione delle imprese, di sviluppo dei canali di finanziamento non bancari;
a potenziare gli sforzi per il raggiungimento degli obiettivi della strategia «Europa 2020»;
a considerare l'opportunità di migliorare l'obiettivo nazionale di riduzione della dispersione scolastica e potenziare gli interventi per l'orientamento e il diritto allo studio universitario, al fine di incrementare la quota dei giovani che conseguono un titolo di istruzione terziaria e migliorare il livello del capitale umano;
a intensificare l'azione di contrasto dell'evasione fiscale, favorendo l'adempimento spontaneo degli obblighi fiscali, potenziando i sistemi di pagamento tracciabili e la fatturazione elettronica e rafforzando la cooperazione internazionale finalizzata al superamento a livello mondiale dei paradisi fiscali e del segreto bancario.
(6-00066) «Speranza, De Girolamo, Andrea Romano, Dellai, Pisicchio, Di Lello».
La Camera,
esaminato il Doc. LVII n. 2 Documento di economia e finanza 2014;
premesso che:
il DEF 2014 presenta dati macroeconomici ancora sconfortanti: un tasso di crescita dell'economia mondiale in rallentamento, la persistente contrazione del PIL e l'aumento del tasso di disoccupazione al 12,1 per cento nel 2013 nell'Eurozona, accompagnati da un livello di indebitamento persistentemente alto ed un rischio deflazionistico oramai riconosciuto;
dall'introduzione dell'Euro nel 2002 la politica monetaria è stata trasferita alla BCE mentre la politica fiscale è stata quasi totalmente devoluta all'UE con l'approvazione del Fiscal compact nel 2012. Oggi, senza le leve monetaria e fiscale non è più possibile per un Governo di uno Stato membro porre in essere una politica economica;
i commi 2 e 3 dell'articolo 50 del TUE prevedono una via negoziale per la revisione e l'uscita di un Paese dai Trattati;
il nostro Paese sta vivendo un impoverimento costante e diffuso. Più del 30 per cento delle persone residenti è a rischio di povertà o esclusione sociale. L'indicatore deriva dalla combinazione del rischio di povertà, della severa deprivazione materiale e della bassa intensità di lavoro. Dal 2011 questo indicatore è in crescita dell'1,7 per cento annuo. Il rischio di povertà o esclusione sociale è di 5 punti percentuali più elevato rispetto a quello medio europeo;
a fronte della povertà in aumento tra i cittadini, il nostro Paese da ottobre 2013 spende circa 12 milioni di euro al mese per l'operazione mare nostrum, che ha raccolto dalle coste nordafricane e portato nel nostro Paese 20.500 persone da gennaio ad oggi. Per ciascuno di essi lo Stato italiano paga almeno 45 euro al giorno, 1.300 euro al mese, quando non ricorre a strutture alberghiere che costano fino a 140 euro a notte per la loro ospitalità, con costi non quantificati relativamente ad assistenza sanitaria;
nel discorso di insediamento il premier Renzi ha ricordato i numeri del tracollo dell'economia del lavoro dimenticandosi di dire che a causarlo è stato proprio il suo partito sotto i dettami dell'Unione Europea; nel medesimo discorso ha espresso la volontà di tagliare il cuneo fiscale senza spiegare dove intenda reperire le risorse necessarie;
i provvedimenti di riforma del mercato del lavoro presentati al Parlamento – cosiddetti decreto-legge n. 34 e disegno di legge job act – intervengono, rispettivamente, sulle tipologie contrattuali e sulla revisione, mediante delega al Governo, degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro, in materia di maternità e di riordino delle forme contrattuali, ma nulla contemplano riguardo a quello che oggi rappresenta l'ostacolo primario alla ripresa dell'occupazione ovvero il costo del lavoro troppo alto;
la contrazione dell'offerta occupazionale combinata al prolungamento dell'età pensionabile introdotto con la riforma delle pensioni Fornero ha di fatto bloccato l'accesso dei giovani nel mondo del lavoro, portando la disoccupazione giovanile nel nostro Paese al record storico del 42,2 per cento,
impegna il Governo
a negoziare in sede europea una revisione dei trattati, in particolare per ciò che riguarda la moneta unica e le politiche fiscali, anche valutando l'opportunità di recedere dall'area euro;
a rendere noto il costo complessivo sul bilancio pubblico statale e regionale dell'immigrazione conseguente all'operazione mare nostrum; e alla ospitalità concessa ai migranti, per l'anno in corso e per gli anni a venire, imponendo che tali costi siano condivisi con i partners europei;
ad attuare un considerevole abbattimento della tassazione sulle imprese e del cuneo fiscale, ritenuto nel particolare contesto socio-economico attuale il solo intervento strategico per un vero rilancio dell'occupazione;
ad adottare iniziative normative al fine di abrogare l'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, in materia di nuovi requisiti di accesso al diritto pensionistico, che ha favorito l'aumento esponenziale della disoccupazione e rappresenta tuttora un dramma sociale per oltre 400 mila esodati.
(6-00067) «Guidesi, Prataviera, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini».
La Camera,
esaminati il Documento di economia e finanza 2014 (DOC. LVII, n. 2) e il Piano Nazionale di Riforma 2014;
osservato che:
il termine ultimo per presentare a Bruxelles il DEF 2014 scade il 30 aprile; i documenti sui quali il Parlamento si deve esprimere nell'arco di poco più di una settimana, entro il 17 aprile, constano di circa 1.300 pagine; questo modo di procedere da parte del Governo svilisce il ruolo del Parlamento in nome di un apparente rapidità decisionale che, in questo caso, è solo foriera di improvvisazione e funzionale ad una politica degli annunci più che all'elaborazione di serie riforme;
premesso che:
la politica economica europea in generale, e fiscale in particolare, non è stata capace di risolvere gli enormi problemi sociali sopraggiunti dopo la crisi del 2007. Una crisi che per profondità e durata è più lunga della grande crisi del ’29;
l'Europa ha risposto alla crescente instabilità dei mercati finanziari imboccando la strada dell'austerità. A partire dalla primavera 2010 sono stati così varati programmi di riequilibrio dei conti pubblici pesantissimi, simultanei e concentrati in un lasso di tempo relativamente breve. Il riequilibrio dei conti pubblici è avvenuto al prezzo di pesanti ricadute economiche e sociali (catastrofiche, nel caso greco). La finanza speculativa e i settori più ricchi della popolazione ne sono usciti rafforzati a spese dei ceti popolari;
le conseguenze di questa politica sono sotto gli occhi di tutti: oggi, quasi 27 milioni di persone sono disoccupate nell'Unione europea. La disoccupazione nell'eurozona è salita dal 7,8 per cento del 2008 al 12,1 per cento del novembre 2013. In Grecia, dal 7,7 per cento al 24,4 per cento e in Spagna dal 11,3 per cento al 26,7 per cento nello stesso periodo. In Europa, i disoccupati con meno di 25 anni sono 4,5 milioni;
in Italia, dopo il calo del 2,4 per cento nel 2012, anche nel 2013 il Pil è diminuito del 1,9 per cento; nel frattempo il debito pubblico ha registrato un nuovo record arrivando al 132,6 per cento del Pil;
la disoccupazione è salita al 12,9 per cento ed i consumi sono crollati del 2,6 per cento malgrado la drastica riduzione (- 4 per cento) già registrata nel 2012, raggiungendo così il loro minimo storico dal 1990; nel nostro Paese, tra il 2006 e il 2012, il numero dei poveri è aumentato di ben 3,9 milioni di persone, portando il numero complessivo dei poveri a circa 13,5 milioni;
il cosiddetto «Fiscal compact» costringerà il Governo italiano a partire dal 2016 a procedere al taglio del debito pubblico per circa 50 miliardi di euro all'anno per i prossimi 20 anni: un vero massacro sociale;
sia il FMI che la Bce hanno allertato i Governi europei sul pericolo concreto, dopo il lungo persistere di una fase di recessione, dell'avvio di un pericoloso periodo di deflazione nell'area euro ed europea in generale (quattro Paesi aderenti all'Unione europea sono già in deflazione);
valutato che:
il DEF 2014 si muove su un vecchio percorso che è quello illusorio di un'aspettativa di crescita, mantenendo le attuali politiche di austerità e di pareggio di bilancio. Un percorso destinato al fallimento, nonostante lo slittamento del pareggio di bilancio strutturale al 2016, che non produrrà maggiori spazi ed effetti sostanziali nel rilancio degli investimenti e delle politiche pubbliche contro la crisi. Tale timido scostamento è sostanzialmente ininfluente se non viene cambiato il paradigma delle politiche europee e non vengono ridiscussi i vincoli del Patto di stabilità e il pareggio di bilancio;
al DEF 2014 manca «un disegno organico allo sviluppo dell'Italia» e non rappresenta perciò la risposta adeguata che serve al Paese per uscire dalla crisi, creare lavoro, assicurare maggiore equità. La filosofia del DEF è pienamente coerente con le politiche di austerità e liberiste europee, attendista e rituale nella definizione di politiche e riforme che sono in continuità con quelle del passato;
in particolare il giudizio negativo sul DEF del 2014 è dovuto alle seguenti ragioni;
il DEF 2014, pur ritardando di un anno il raggiungimento del pareggio di bilancio è in continuità con le politiche di austerità, liberiste e di riduzione della spesa pubblica, rifiutando persino di utilizzare tutti gli spazi esistenti del rapporto deficit PIL dal 2,6 al 3,0 per cento, per politiche anticicliche, come pure il primo Ministro nelle settimane precedenti al DEF aveva adombrato; il DEF non apre una contraddizione esplicita con l'attuale politica europea;
il DEF 2014 contiene misure profondamente sbagliate come, ad esempio, le riforme in materia di lavoro che creano vantaggi per le sole imprese, le quali potranno licenziare o scegliere di sfruttare contratti atipici senza limiti. Tuttavia, tali vantaggi non recheranno nessun beneficio al mercato e non determineranno aumenti dell'occupazione, mentre produrranno un'ulteriore erosione certa dei diritti dei lavoratori. Infatti, in Italia la precarizzazione del mercato del lavoro è stata realizzata compiutamente e il Governo Renzi è solo l'ultimo in ordine di tempo a dare il proprio contributo per perfezionare un progetto inutile che non ha creato e non crea maggiore occupazione: l'OCSE nel luglio 2013 ha certificato che la disoccupazione italiana cresce facendo registrare il sesto peggior dato in termini di quota di disoccupati (negli ultimi 5 anni) tra i 34 Paesi aderenti all'organizzazione, nonostante i pochi occupati siano a tempo determinato: infatti oltre un giovane su due in Italia ha un lavoro a precario. In particolare, si tratta del 52,9 per cento dei giovani tra i 15 e i 24 anni. Sempre nel 2013 l'ISTAT ha certificato che i contratti atipici sono prossimi a superare in numero assoluto i contratti standard, ovvero quelli a tempo indeterminato e a pieno compenso; tra l'altro – come ricordato dalla CGIL – nel DEF non c’è più traccia di quanto previsto dalla prima stesura del Jobs Act in cui era presente «una tenue evocazione del piano del lavoro di Obama» (investimenti pubblici in innovazione, green economy, ecc);
il DEF 2014 prevede coperture incerte e non tiene conto dei costi dei provvedimenti non a «legislazione vigente», come quelli inseriti ogni anno nella Legge di stabilità: per questo molte delle previsioni macroeconomiche sono da rivedere e correggere al ribasso (a «politiche invariate» le maggiori spese dovrebbero essere di ben 6 miliardi nel 2015 e 9 miliardi nel 2016);
particolarmente discutibili sono le previsioni di aumento del PIL di 2,2 per cento fino al 2018 grazie alle riforme del mercato del lavoro e del 2,3 per cento dei provvedimenti sulle semplificazioni e liberalizzazioni: talmente discutibili che l'ISTAT non ha valutato gli effetti di queste misure sul PIL, perché ancora aleatorie e non quantificabili; il DEF 2014 formula così ipotesi di crescita assolutamente non verificate e che sono destinate ad essere riviste al ribasso;
il DEF 2014 non prende sostanzialmente e irresponsabilmente in considerazione il rischio deflazionistico (pur segnalato da settimane dal presidente della Bce, Mario Draghi) che può colpire a breve la nostra economia con conseguenze drammatiche per i consumatori e per la produzione industriale;
come segnalato dalla CGIL nel DEF «il ruolo dello Stato sembra deliberatamente ridimensionato» in quanto si prevedono minori investimenti pubblici, riduzione della spesa sociale, contenimento del lavoro pubblico, enfasi del mercato, privatizzazioni. Si tratta di una filosofia di stampo liberista antitetica a quello di cui ci sarebbe bisogno: maggiore intervento e regia pubblica, maggiori investimenti pubblici, una spesa pubblica intelligente e innovativa;
il DEF 2014 nella sezione del Programma nazionale di riforme continua a porre per il nostro Paese per la strategia Europa 2020 (aumento dell'occupazione, riduzione abbandono scolastico, aumento investimenti innovazione e ricerca, energie rinnovabili ecc) obiettivi decisamente inferiori rispetto ai target europei: il Governo nel DEF evidenzia una assoluta disattenzione verso questi obiettivi, cosa particolarmente grave alla vigilia dell'assunzione della presidenza del semestre europeo;
nel DEF 2014 «non è presente alcun piano di investimenti pubblici», che in 20 anni sono passati dal 3 per cento al 1,5 per cento del PIL; il DEF 2014 non dà alcun segno di inversione di tendenza; nel DEF 2014 non ci sono segno di una minima e attendibile politica industriale, di cui il Paese avrebbe drammaticamente bisogno;
nel DEF 2014 si sottovalutano gravemente la potenzialità e l'impatto dell'utilizzo dei fondi europei 2014-2020, soprattutto alla luce della stroncatura – non segnalata nel DEF – della Commissione europea che ha svolto 351 osservazioni all'accordo di partenariato e che ha messo in forse l'utilizzo dei 32 miliardi di fondi europei previsti;
il DEF 2014 prevede per i prossimi anni una riduzione sostanziale della spesa per il welfare, la sanità e la scuola. Il DEF prevede che nei prossimi 15 anni la spesa per la scuola passi dal 4 per cento al 3,4 per cento, la sanità dal 7,3 per cento al 7,1 per cento (nonostante la prevedibile crescita di richiesta di servizi visto l'aumento demografico), mentre la spesa socio-assistenziale rimarrà al 1,1 per cento, nonostante sia tra le più basse in Europa;
alcune delle misure prospettate nel DEF 2014 – non incidendo sul giudizio di fondo negativo sulla filosofia, l'impostazione e le linee direttrici del DEF – rappresentano delle novità da considerare e valutare attentamente anche per come saranno effettivamente realizzate, in base ai provvedimenti attuativi ancora mancanti (come nel caso del decreto sull'Irpef). In particolare:
la diminuzione dell'incidenza dell'irpef sui redditi bassi per alcune categorie di lavoratori. È la prima volta dopo anni che si interviene fiscalmente a favore del lavoro dipendente. Va ricordato però che l'impatto di questa misura rischia di essere vanificato e riassorbito dall'aumento della Tasi, dalla cancellazione delle detrazioni per i coniugi a carico e per i dipendenti pubblici dal blocco della contrattazione per altri tre anni; inoltre va ricordato che – come riferito in molte delle audizioni in Commissione Bilancio – l'impatto di questa misura sulla domanda sarà assai modesta;
il pagamento ulteriore di debiti della PA, iniziato con il Governo Monti e proseguito con il Governo Letta è di fatto già previsto;
il tetto alle retribuzioni dei manager pubblici, che però non comprende le società quotate;
l'aumento della tassazione a carico delle banche relativa all'incremento del valore delle quote azionarie possedute dagli istituti di credito nel capitale della Banca d'Italia, beneficiati da un provvedimento che, votato dall'attuale maggioranza che sostiene questo Governo, ha costituito una sorta di «aiuto di Stato» al sistema bancario;
l'aumento della tassazione sulle rendite finanziarie, che però essendo legato alla riduzione dell'Irap andrà a favore delle imprese e non avrà alcun effetto redistributivo, come ci si potrebbe attendere da un provvedimento di tale natura;
l'attenzione al credit crunch e l'incremento del Fondo di garanzia a favore delle PMI;
e al potenziamento dei servizi all'infanzia per stimolare il lavoro femminile, in un contesto – va ricordato – di riduzione complessiva degli stanziamenti per la sanità, la scuola, il welfare e della continuazione di provvedimenti ampiamente criticati e falliti come il «credito per i nuovi nati»;
il piano casa (1,3 miliardi) ed il piano di edilizia scolastica (2 miliardi) (occorre peraltro rilevare che molte delle relative coperture sono incerte); anche se rimangono sostanzialmente irrisolti i problemi relativi al funzionamento delle strutture scolastiche, tra cui i servizi di pulizia e manutenzione;
nel DEF sono contenuti errori econometrici, il quadro macroeconomico è sottovalutato, costi e voci di spesa sono sottostimati o non compaiano, le coperture sono incerte e ottimistiche;
il modello preso a riferimento è quello della Germania basato sul traino delle esportazioni e sulle riforme istituzionali e del mercato del lavoro; si vuole operare per mezzo della svalutazione interna e della precarizzazione;
ma i dati dimostrano che la deregolazione del mercato del lavoro non crea solo precarietà e perdita di diritti, ma anche perdita di produttività e quindi perdita di capacità di crescita; questa svalutazione del lavoro presuppone imprese di basso valore, che invece di innovare scaricano tutti i costi della competizione internazionale sul lavoro; così facendo ci si rassegna al declino industriale del nostro Paese;
nei dati del DEF la produttività del lavoro conosce un salto dal 2014 in poi (+1 per cento del Pil nel 2014 e poi ogni anno in media + 0,8 per cento del Pil); da dove deriva effettivamente questa crescita impetuosa della produttività non viene spiegato, tenendo anche conto che la dinamica della produttività è «zero» dal 2000 al 2013. Non sembra che nel nostro Paese ci sia un salto nelle tecnologie produttive tale da indurre questi incrementi, né si possono attribuire alla liberalizzazione nel mercato del lavoro: l'esperienza storica e quella attuale, ad esempio spagnola, insegnano tutt'altro;
tagliare le imposte e insieme la spesa nello stesso ammontare non determinerà l'atteso aumento della domanda interna; è più probabile anzi che la possa ridurre, visto che buona parte della spesa pubblica è domanda corrente, mentre il potere d'acquisto delle famiglie potrebbe essere momentaneamente accantonato come risparmio. E occorre essere chiari su un altro punto: l'efficientamento della spesa pubblica è un obiettivo doveroso, va intrapreso con decisione al fine di migliorare la qualità dell'intervento pubblico, liberare risorse da destinare agli investimenti e ridurre il peso dell'imposizione; ma ai fini del rilancio della domanda nel breve periodo la distinzione tra spesa pubblica produttiva e improduttiva (qualunque sia la definizione per quest'ultima) è quasi irrilevante. Anche la spesa pubblica meno produttiva consiste infatti di acquisti di beni e servizi da imprese, di pagamento di stipendi, di trasferimenti alle famiglie o alle imprese, che contribuiscono alla domanda interna;
ma il rilancio della domanda nell'immediato richiederebbe ben altro, a cominciare da un allungamento consistente del sentiero di convergenza al pareggio di bilancio. La considerazione di questa strada è, per il momento, rimandata. E se le famiglie pensassero che si tratta di una mera operazione elettorale, è chiaro che i soldi in più li metterebbero da parte senza spenderli;
lo shock positivo sull'economia sarà di portata limitata (come d'altronde ammette lo stesso Governo) perché quegli 80 euro in più in busta paga verranno coperti da tagli di spesa, ed anche da altre tasse. Da una parte si immette più denaro nell'economia, dall'altra lo si sottrae ad altri lavoratori e ad altre imprese. Nel migliore dei casi ci sarà un effetto neutro;
lo stesso Governo si tiene basso: l'effetto netto è previsto in un + 0,2 per cento di crescita del Pil nel triennio 2014-2016 (+ 0,1 per cento nel 2014). Per il 2017-2018 le previsioni appaiono molto più ottimistiche con una crescita dei consumi e del Pil al 2 per cento. Secondo il documento, la riforma del mercato del lavoro e le semplificazioni-liberalizzazioni dovrebbero portare ad una crescita del Pil del 1,4 per cento;
si prevede un balzo del Pil in 5 anni (2014-2018) del 7,45 per cento, un tasso di crescita superiore persino a quello registrato negli anni del «boom» 2003-2007 (6,5 per cento);
ma l'export non sembra garantire tale trend: 2013: + 0,1 per cento, gennaio 2014 su dicembre 2013: -1,5 per cento; il DEF prevede nel 2014 un aumento delle esportazioni del 4 per cento e nel periodo 2014-2018 addirittura del 20,8 per cento (nel periodo del «boom» 2003-2007 l'aumento dell'export è stato del 23 per cento);
altre perplessità derivano dal previsto boom degli investimenti; intanto l'attuale produzione industriale registra un - 25 per cento rispetto al 2007, non a caso, perché senza domanda si assiste ad un crollo degli investimenti (infatti: 2008: - 3,7 per cento, 2009: - 11,7 per cento per cento, 2010: + 0,6 per cento, 2011: - 2,2 per cento, 2012: - 8,0 per cento, 2013: - 4,7 per cento); il DEF invece prevede nel 2014 un incremento degli investimenti del 2 per cento, e nel periodo 2014-2018 del + 16,2 per cento circa (investimenti durante il «boom» 2003-2007: + 7,2 per cento); anche in questo caso si attendono spiegazioni convincenti;
per gli investimenti delle pubbliche amministrazioni non ci sarà alcun rilancio, almeno in termini di spesa complessiva, ma c’è da aspettarsi piuttosto un'ulteriore flessione. È quanto si legge nel DEF alla voce del rapporto investimenti fissi lordi/Pil: nel 2013 questo valore si è fermato all'1,7 per cento, peggio di quanto fosse previsto dai Governi Monti e Letta (1,8 per cento), mentre la previsione 2014 lo colloca all'1,6 per cento, poi all'1,5 per cento nel 2015 e 2016, all'1,4 per cento nel 2017 e 2018;
colpisce la riduzione degli investimenti nel 2013, con una caduta dell'ordine del 10 per cento, da 29.979 a 27.132 milioni di euro; la riduzione prevista dal Def riguarda anche i valori assoluti degli investimenti fissi lordi, che nella gran parte sono lavori infrastrutturali. Anche qui la tendenza è tutta in discesa: dai 25.730 milioni del 2014 ai 24.835 del 2015 ai 24.453 del 2016, per poi accennare a una leggera risalita nel 2017 (24,857) e nel 2018 (25,019). Dal 2011, quando gli investimenti fissi lordi ammontavano a 31.907 milioni, al 2014, si sono persi circa 6,1 miliardi di investimenti annui, circa il 20 per cento;
la spesa in conto capitale del settore pubblico arranca ormai da decenni, con un'accelerazione della caduta nell'ultimo quinquennio. II rapporto investimenti fissi lordi/Pil era del 3,5 per cento nel 1981, quando la politica di debito pubblico era centrale, per poi scendere al 3,1 per cento nel 1991 e al 2,4 per cento nel 2001. Sceso via via al 2 per cento, fu il Ministro Giulio Tremonti negli anni scorsi a prevedere un ulteriore scalino verso il basso all'economia dal 2 all'1,7 per cento, avendo largamente teorizzato la necessità di aprire l'era delle «infrastrutture finanziate da privati». Anche il Governo Renzi prova a rilanciare nel DEF il Project financing come strumento di finanziamento dei privati alternativo a quello pubblico, immaginando anche misure di accorpamento delle concessioni e di efficientamento dei lavori da realizzare. Ma i risultati del recente passato non autorizzano al riguardo nessun facile ottimismo;
il totale delle risorse a disposizione del Quadro di coesione e sviluppo per il ciclo 2014-2020 ammonta a circa 130 miliardi di euro di cui il 20 per cento alle regioni più sviluppate, il 4 per cento alle regioni in transizione e il 76 per cento alle regioni meno sviluppate, salvo la quota riservata alle amministrazioni centrali dello Stato. Tali fondi, peraltro, vista la necessità dello Stato italiano di operare costanti tagli in particolare sulla spesa pubblica, costituiscono gli unici strumenti certi per il finanziamento alle politiche di sviluppo e alla lotta contro la disoccupazione nei prossimi anni;
in proposito è particolarmente critico e imbarazzante il giudizio (con numerosissimi rilievi, 351 per l'esattezza) che la Commissione europea ha espresso sullo schema di Accordo di partenariato trasmesso dall'Italia a Bruxelles lo scorso 10 dicembre;
anche con il DEF 2014 il nuovo Esecutivo ha confermato la sua politica di totale disimpegno nei confronti di un'area del Paese, il Mezzogiorno, che con la sua produzione contribuisce ad un quarto del PIL nazionale, dimostrando in tal modo di sottovalutare la dimensione nazionale e le ricadute della questione meridionale e l'impossibilità per una nazione di mantenere la propria unità se parti di essa procedono a velocità diverse, accentuando fra loro il disequilibrio;
il documento è infatti privo di misure programmatiche di sviluppo orientate verso quei territori che registrano una dinamica di crescita complessivamente ancora debole rispetto a quella delle altre aree del Paese, limitandosi piuttosto ad enunciare, in maniera anche disorganica, gli effetti di disposizioni per il sud adottate dai precedenti Governi;
il DEF 2014 risulta quindi essere totalmente manchevole rispetto alle aspettative di quei territori, non fornendo alcuna indicazione strutturale e non individuando alcuna forma aggiuntiva di finanziamento per sostenere l'attuazione di un improcastinabile piano straordinario per il Mezzogiorno che sia orientato, in primis, all'adeguamento e allo sviluppo della sua rete infrastrutturale, presupposto determinante per sfruttarne le potenzialità di piattaforma logistica e di crocevia naturale degli scambi internazionali lungo le direttrici Nord-Sud e Est-Ovest e per agevolare i flussi turistici, facendo in tal modo candidare l'intera area, fisicamente e storicamente proiettata nel Mediterraneo, a zona di libero scambio;
sarebbe quindi auspicabile che il nuovo Governo faccia un'inversione di rotta e ricomprenda nella sua agenda politica e nella sua compagine governativa le istanze e le energie delle tante forze vive presenti nel tessuto sociale ed imprenditoriale del Mezzogiorno, al fine di farle emergere ed esprimersi nei contesti internazionali e sui mercati con maggiore facilità, senza rimanere penalizzate, come troppo spesso oggi accade, da fattori di contesto;
d'altra parte, nel corso degli anni le politiche per il Mezzogiorno hanno oscillato tra due paradigmi, quello assistenziale e quello compensativo, in funzione della diminuzione più o meno graduale del gap con il centro-nord, e che si sono rivelati fallimentari e non premianti;
sarebbe auspicabile una riforma della governance dei fondi strutturali europei, divenuti un volano di crescita per molti paesi, per un utilizzo più oculato, consapevole e meno dispersivo degli stessi;
sul versante della formazione i sistemi scolastico ed universitario del meridione esprimono professionalità con buoni livelli di qualifica che il tessuto produttivo locale non riesce però ad assorbire e valorizzare adeguatamente, relegando molti giovani alla condizione di dover scegliere fra l'emigrazione e l'inattività;
molto ottimistiche risultano le previsioni del Def sui consumi delle famiglie che nel periodo 2014- 2018 dovrebbero aumentare del 5,6 per cento;
i numeri dunque non tornano: il Def annuncia manovre restrittive ma non ne calcola l'impatto sulla crescita;
infatti, secondo le previsioni del Def per il periodo 2014-2018 le entrate sono sostanzialmente stabili, i tagli alla spesa per il personale dovrebbero essere del 12 per cento, delle pensioni del 3 per cento, degli investimenti pubblici del 12 per cento, mentre l'avanzo primario dovrebbe salire dal 2,2 per cento del Pil del 2013 al 4,4 per cento nel 2018;
il documento esprime dunque continuità con le politiche neo-liberiste e di austerità degli ultimi anni, una strategia politico-economica che punta a crescita ed all'incremento dell'export con ulteriori tagli, precarietà, liberalizzazioni e privatizzazioni;
il Governo ha prospettato il raggiungimento del pareggio di bilancio strutturale nel 2016, politica che deprimerà ulteriormente una domanda ed un'economia già asfittiche e del cui impatto non si tiene minimamente conto nel Def;
il livello della pressione fiscale non varia di molto, ed è pari al 44 per cento del Pil per il 2014, in leggero calo rispetto al 44,2 per cento stimato dal «Documento programmatico di bilancio» del Governo Letta. Nessuna variazione nel 2015, con un modesto profilo discendente nel periodo successivo:
43,7 per cento nel 2016;
43,6 per cento nel 2017;
43,7 per cento nel 2018.
nel frattempo Banca d'Italia registra a febbraio una netta ulteriore flessione su base annua dei prestiti al settore privato (- 5,1 per cento per i crediti alle imprese, -1,2 per cento per le famiglie);
si prevedono circa 11,2 miliardi di privatizzazioni annui già nel 2014 a decremento dello stock del debito, somma difficilmente raggiungibile almeno che non si faccia intervenire (ma si tratterebbe di un trucco contabile) la Cassa depositi e prestiti;
gli effetti sociali ed economici delle politiche di austerità stanno compromettendo anche gli obiettivi di consolidamento fiscale, a partire dalla riduzione del debito che continua, infatti, ad aumentare;
nel 2014 l'indebitamento netto è previsto attestarsi al 2,6 per cento del Pil per poi scendere all’ 1,8 per cento nel 2015 e allo 0,9 per cento nel 2016. Il dato del deficit 2014 si deve ascrivere per - 0,3 per cento a minori entrate fiscali, e a - 0,2 per cento punti a una diminuzione delle entrate non fiscali. È stata contabilizzata anche la riduzione per circa 3,2 miliardi (lo 0,2 per cento del Pil) di minori spese per interessi, grazie alla discesa dello spread e a un profilo dei tassi più favorevole rispetto allo scenario ipotizzato lo scorso settembre (Nota di aggiornamento del Def 2013) dal Governo Letta;
nel 2013 la Commissione UE aveva chiesto all'Italia di «conseguire e mantenere l'obiettivo di medio termine (il pareggio di bilancio strutturale) a partire dal 2014». Il DEF 2013 lo aveva «promesso» per il 2015, adesso slitta al 2016;
il rapporto debito/Pil salirà dal 133 per cento del 2013 al 135 per cento del 2014 (per via del pagamento per ulteriori 13 miliardi di debiti della Pubblica Amministrazione), per poi, nelle previsioni, decrescere lentamente negli anni successivi;
si sarebbe potuto tenere conto, a ridurre la crescita annua del debito, della componente corrispondente ai «profitti» della Banca d'Italia, ovvero degli introiti annui che derivavano allo Stato dal potere di battere moneta e da altre entrate ancora oggi collegate alle funzioni pubbliche della banca centrale nazionale; tali introiti, tuttavia, dopo essersi ambiguamente accumulati per molti anni nei bilanci della banca centrale, sono serviti a inizio anno per ricapitalizzare la stessa Banca d'Italia e sono stati privatizzati, prevedendo che la stessa banca centrale li paghi come dividendi ai soci, pur entro un limite nell'ordine dei 450 milioni annui (cfr. la legge n. 5 del 2014);
il Def si basa su un modello economico palesemente disfunzionale il quale rappresenta la vera causa della crisi e che andrebbe, più che proseguito o ammorbidito, rigettato una volta per tutte;
il Governo ha promesso di tagliare di 80 euro in media le lasse sulle buste paghe per i redditi da lavoro dipendente fino a 25mila euro; per i dipendenti pubblici questa misura non copre che in maniera del tutto parziale i tagli subiti dal non rinnovo dei contratti di lavoro che si prolunga da anni. Secondo stime sindacali, alla fine del 2014, a causa del blocco dei contratti in vigore dal 2010, i dipendenti pubblici avranno perso in media 240 euro al mese di potere d'acquisto (circa 3.100 euro annui); peraltro pur avendo il Governo smentito il blocco della contrattazione per il pubblico impiego fino al 2020 (in pratica, si deciderà più avanti), rimane confermato il blocco già deciso fino al 2017;
ma si tenga conto – al di là del problema delle coperture indicate – che l'articolo 5 del disegno di legge delega «Jobs Act», recante delega al Governo in materia di maternità e conciliazione, al comma 2, lettera c), contiene il seguente principio direttivo: «c) abolizione della detrazione per il coniuge a carico ed introduzione del tax credit, quale incentivo al lavoro femminile per le donne lavoratrici, anche autonome, con figli minori e che si trovino al di sotto di una determinata soglia di reddito familiare»; in pratica, si tolgono dagli 800 ai 690 euro annui alla stessa fascia di lavoratori ai quali si è promesso uno sconto fiscale di 1.000 euro. Nel Mezzogiorno questa misura sarà poi particolarmente pesante; la versione definitiva del Jobs Act parla più pudicamente di: «armonizzazione del regime delle detrazioni per il coniuge a carico», ma la sostanza non cambia;
inoltre le nuove tasse – ha calcolato la UIL in un suo «focus» – mangeranno nei prossimi otto mesi oltre il 40 per cento del bonus degli 80 euro previsti dal governo Renzi. Se con una mano – si legge – il contribuente beneficerà dell'aumento mensile con l'altra dovrà tirare fuori 35 euro in più al mese rispetto allo scorso anno tra l'introduzione della Tasi e le addizionali Irpef regionali; la UIL ha calcolato che il lavoratore dipendente medio si troverà in tasca 640 euro in più ai quali però dovrà sottrarre 278 euro (Tasi più addizionali comunali Irpef) per un totale di 362 euro. Ciò significa la riduzione al 56 per cento dei benefici;
secondo l'economista Tito Boeri, se il Governo vorrà poi ampliare l'operazione agli incapienti, 4 milioni di persone, dovrà trovare altri 4 miliardi, mentre parrebbe assurdo – come è stato ipotizzato – dare di meno (25 euro mensili) a chi ha di meno; altri milioni di pensionati, lavoratori autonomi e partite Iva (che spesso nascondono lavoro subordinato) sono comunque esclusi da questo provvedimento anche se molti di loro hanno redditi di pura sopravvivenza;
lo sgravio fiscale di quest'anno peserà 6,6 miliardi (10 miliardi annui a regime) e sarà garantito da tre voci diverse:
4,5 miliardi di tagli di spesa;
circa un miliardo di prelievo supplementare dagli istituti di credito sul guadagno di 7 miliardi registrato a seguito dell'aumento delle loro quote azionarie in Bankitalia;
circa un miliardo del maggior gettito IVA prodotto dal pagamento degli arretrati della Pubblica amministrazione alle imprese.
Quest'anno si tratta di otto mesi, ma a regime occorreranno dieci miliardi e mezzo, e questo significa che si inciderà su capitoli molto importanti di spesa sociale; le coperture indicate sono molto problematiche. Innanzitutto circa 2,2 miliardi derivano da misure una tantum per finanziare un taglio di tasse che invece è permanente. Tra le una tantum, la scelta di raddoppiare la tassazione sulla plusvalenza determinatasi in capo ai maggiori gruppi bancari per la rivalutazione delle quote di Bankitalia; a fronte del vantaggio ricevuto, l'imposta inizialmente prevista era francamente troppo esigua. Ma occorre ricordare che la Commissione europea ha aperto un'indagine per capire se la rivalutazione delle quote azionarie di Bankitalia in possesso dei nostri istituti di credito non configuri un aiuto di Stato. Dunque, questa copertura è ad alto rischio qualora la Commissione Ue bocciasse la rivalutazione delle quote azionarie;
se poi le banche realizzassero la loro plusvalenza rivendendo le proprie azioni alla stessa Banca d'Italia (come previsto dal decreto legge relativo), quindi girando al Tesoro parte del ricavato, in base alle regole europee questo potrebbe configurare un finanziamento monetario del deficit: un ritorno agli anni ’70, la violazione più radicale delle regole a fondamento dell'euro;
le entrate dell'IVA legate alla liquidazione dei debiti della Pubblica amministrazione per 13 miliardi aggiuntivi rispetto a quelli già preventivati non rappresentano nuove risorse, ma solo l'anticipo di ciò che sarebbe successo in futuro quando quelle fatture sarebbero comunque state pagate. In altri termini, si sta spostando una posta di bilancio da un anno all'altro e si creerà dunque un ammanco equivalente nei prossimi esercizi;
si prevedono, nell'ambito della cosiddette «spending review» tagli per 4,5 miliardi nel 2014, 17 nel 2015 e 32 miliardi a decorrere dal 2016 a regime (da chiarire se sono aggiuntivi a quelli già previsti dal Governo Letta o se li assorbono); i sindacati si sono detti preoccupati per il fatto che le coperture si appoggiano solo sulla spending review: essi temono che per fare cassa si realizzino i soliti tagli lineari al welfare ed ai servizi sociali;
infatti, all'interno del PNR è riportato l'impatto finanziario delle riforme che verranno intraprese nei prossimi anni con l'indicazione nell'area di policy «lavoro e pensioni» un risparmio di un miliardo e 548 milioni nel 2014 e di un miliardo e 731 milioni a partire dal 2015, senza un'indicazione precisa della provenienza di tali entrate se non una mera registrazione dell'esito dei provvedimenti già approvati, senza alcuna indicazione per il futuro;
sarebbe particolarmente grave se i risparmi della spending review venissero da tagli alla sanità. I risparmi e le riduzioni di spesa nella sanità dovranno essere utilizzati per eliminare i ticket e accorciare le liste d'attesa;
sembrerebbe, secondo le prime stime della Ragioneria, che almeno 3 di quei 4,5 miliardi siano già impegnati da misure previste nell'ultima manovra del Governo Letta. Se questi calcoli della Ragioneria fossero esatti, i 10 miliardi di tagli permanenti all'Irpef sono coperti in maniera permanente solo per 1,5 miliardi;
il resto sono provvedimenti una tantum e misure incerte, con l'obbligo quantomeno di triplicare i tagli dal 2015 (a prescindere dall'entrata in vigore del Fiscal Compact per la parte concernente la riduzione annuale di un ventesimo del differenziale tra la percentuale dello stock del debito ed il 60 per cento; 135-60/20 = 3,75 per cento del Pil, ossia circa 50 miliardi);
per quanto concerne il taglio dell'Irap del 5 per cento (900 milioni) questo anno e del 10 per cento l'anno prossimo, esso sarà finanziato dall'aumento della tassazione delle rendite finanziarie dal 20 al 26 per cento, che, in realtà, copre tale agevolazione solo fino al 5 per cento; inoltre, la misura massima di incremento riconosciuta l'anno scorso come copertura dal Servizio Bilancio della Camera e dalla Ragioneria (oltre, gli investitori preferirebbero altre tipologie d'investimento riducendo così la base imponibile e determinando un decremento del gettito atteso) è di 3 punti percentuali (23 per cento). Appare dunque problematico l'aumento dell'aliquota al 26 per cento;
i dubbi sulle coperture fanno nascere l'ipotesi di una manovra correttiva nel prossimo autunno;
si prevede una nuova tranche di 13 miliardi nel 2014 (7 meno rispetto alle prime ipotesi di Def) per il pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione. Non si capisce se saranno sufficienti per smaltire tutto l'arretrato (la cui quantificazione non è peraltro certa). Anche i tempi dell'operazione non sono chiari; così come non è chiaro se si pagheranno anche i debiti dovuti a spese in conto capitale che per le regole di bilancio entrano nel budget della Pubblica amministrazione al momento dell'effettivo pagamento incidendo dunque non solo sul debito come le spese correnti (già iscritte a bilancio per competenza) ma anche sull'indebitamento (deficit);
mentre nella «spending review» il Governo promette una riduzione di 300-500 milioni nel bilancio della difesa – senza dire nulla sugli F35 –, mentre l'Italia sta assumendo nella Nato crescenti impegni che portano a un inevitabile aumento della spesa militare, diretta e indiretta;
all'interno del documento manca del tutto una proposta di politica energetica e ambientale che garantisca il forte impegno dell'Italia per un'economia e una società low carbon, tale da garantire un'azione efficace di contrasto dei cambiamenti climatici attraverso obiettivi di riduzione dei gas-serra e di spinta verso una economia a impatto sostenibile che incentivino in maniera decisa lo sviluppo delle fonti rinnovabili e gli interventi di efficienza energetica a livello nazionale;
il rapporto dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), presentato il 31 marzo scorso a Berlino riporta dati allarmanti, e richiama l'attenzione sulle opportunità economiche che tutti i governi devono cogliere ora per affrontare il cambiamento climatico, a livello globale. Le emissioni, causate principalmente dalla combustione di carbone, petrolio e gas naturale, devono essere tagliate del 40 per cento, per giungere al 70 per cento entro la metà del secolo, in modo da avere almeno il 50 per cento di possibilità di sfuggire alle peggiori conseguenze del riscaldamento globale. Più si ritarderanno le politiche di mitigazione, maggiori dovranno essere gli sforzi e i costi della riduzione delle emissioni. Per raggiungere questi obiettivi bisognerà triplicare o quadruplicare le fonti di energia a basso impatto, come l'energia solare o quella rinnovabile. È necessario, quindi, rendere disponibili al più presto nuove tecnologie nella produzione di energia pulita in tutto il mondo pena un aumento continuo delle temperature globali;
secondo il rapporto IPCC in Europa, la regione mediterranea è quella che risentirà più di tutte dei cambiamenti climatici a causa dei notevoli impatti attesi sul turismo, sull'agricoltura, sulle attività forestali, sulle infrastrutture, sull'energia e sulla disponibilità di acqua che costituirà il fattore limitante per la produzione agricola, Sono in aumento i rischi di inondazioni, di erosione costiera e di danni alle infrastrutture già con l'attuale livello di climate change (+0.61oC per cento rispetto al periodo preindustriale) mentre le misure di mitigazione possono ridurre il rischio entro limiti accettabili;
considerato che:
dalla crisi si esce solo con la fine delle politiche di austerità, con politiche espansive ed un nuovo intervento dello Stato; d'altronde il precedente della crisi del ’29 parla chiaro, le alternative sono due; o il New deal rooseveltiano oppure i fascismi europei; oggi o con un green new deal europeo oppure con le politiche della destra populista che sta crescendo in tutta Europa;
servirebbe soprattutto una politica economica europea coerente con lo sviluppo dell'area euro, indicando le policy tese ad aumentare la domanda e, in particolare, gli investimenti. L'asse portante è quello di «Europa 2020», a cui dovrebbe far seguito un bilancio pubblico europeo coerente e sganciato dai trasferimenti degli Stati. Servirebbe un bilancio pubblico europeo non inferiore al 4 per cento del Pil europeo, una imposta europea capace di finanziare il bilancio pubblico senza mediazione degli Stati, degli investimenti (eurobond) tesi a industrializzare la così detta green economy, il ripristino della piena e buona occupazione come orizzonte della società europea;
in attesa di un riordino normativo europeo teso a promuovere lo sviluppo e la buona occupazione via autonomo bilancio pubblico europeo con una imposta sul valore aggiunto, il Governo italiano, in ambito di semestre europeo, potrebbe sostenere delle misure una tantum per i governi dell'area euro, con il concorso della BCE, tese a rilanciare lo sviluppo via investimenti che anticipano gli obiettivi europei di 20-20-20;
in particolare, si dovrebbe operare uno scorporo di alcune tipologie di spese e di investimenti dal calcolo dei saldi validi al fine del rispetto del Patto di stabilità e crescita. Tale scorporo, più volte proposto da autorità politiche ed esperti economici in Italia e in Europa, permetterebbe una ripresa della domanda pubblica che è necessaria – in assenza di un'adeguata dinamica della domanda per consumi, investimenti ed export – per condurre l'economia fuori dall'attuale depressione. Gli investimenti nei suddetti settori sono rilevanti in primo luogo per gli effetti aggregati sull'economia, che vedrebbe un aumento del Pil e quindi un miglioramento degli indicatori di sostenibilità del debito. In secondo luogo, l'investimento in tali settori condurrebbe l'Italia ad avvicinarsi in misura significativa agli obiettivi di Europa 2020 in una varietà di campi sociali e ambientali,
impegna il Governo
in applicazione del secondo comma dell'articolo 81 della Costituzione, in considerazione del persistere, anzi dell'aggravarsi degli effetti del ciclo economico negativo che si protrae ormai da troppi anni, a farsi promotore in sede europea della necessità di ricorrere, a causa del possibile pericolo di deflazione, ad un congruo indebitamento a sostegno di una seria e condivisa programmazione di politiche di crescita;
a proporre una Conferenza sul debito che ricalchi quanto deciso nel 1953 sulla Germania, cui vennero condonati i debiti di guerra, prevedendo l'europeizzazione del debito che eccede il 60 per cento del Pil;
a proporre un piano europeo per l'occupazione (un green new deal) il quale stanzi almeno 100 miliardi di euro l'anno per 10 anni per dare occupazione ad almeno 5-6 milioni di disoccupati o inoccupati (di cui un milione in Italia): tanti quanti sono quelli che hanno perso il lavoro dall'inizio della crisi, dando priorità a interventi che rispettano il diritto ad un ambiente sano e integro, al contrario di quanto fanno molte grandi opere che devastano il territorio e che creano poca occupazione, agevolando la transizione verso consumi drasticamente ridotti di combustibili fossili, la creazione di un'agricoltura biologica e multifunzionale, il riassetto idrogeologico dei territori, la valorizzazione non speculativa del patrimonio artistico, il potenziamento dell'istruzione e della ricerca, la messa in sicurezza degli edifici scolastici, la riqualificazione delle città, l'efficienza energetica degli immobili, l'innovazione tecnologica, la riforma e il rinnovamento della Pubblica amministrazione e del welfare, l'innovazione e la sostenibilità delle reti (trasporti, energia, digitalizzazione del Paese, eccetera);
a scorporare nel bilancio delle Pubbliche amministrazioni gli investimenti pubblici relativi ai settori sottoelencati dal computo dell'indebitamento netto delle Pubbliche amministrazioni rilevante per i vincoli dei Trattati europei:
a) pubblica istruzione, università, ricerca;
b) messa in sicurezza degli edifici scolastici;
c) riqualificazione delle periferie attraverso piani di recupero;
d) interventi di salvaguardia dell'assetto idrogeologico dei territori;
e) recupero, salvaguardia e sviluppo del patrimonio artistico e ambientale;
f) interventi di risanamento delle reti di distribuzione delle acque potabili;
g) potenziamento del trasporto pubblico locale con particolare riguardo al pendolarismo regionale e al trasporto su ferro;
h) interventi di risparmio energetico attraverso l'utilizzo delle energie rinnovabili;
a verificare in parallelo la possibilità che tali investimenti – da realizzarsi anche negli altri paesi dell'Eurozona – siano finanziati a livello europeo per consentire all'insieme dell'Unione di uscire dal ristagno economico proponendo:
a) la concessione di crediti da parte della Bce al tasso d'interesse più basso, riservata a istituzioni finanziarie pubbliche – in Italia la Cassa Depositi e Prestiti – impegnate a realizzare il programma di investimenti pubblici necessario all'uscita dalla crisi;
b) l'emissione di titoli garantiti dall'Eurozona finalizzati alla realizzazione di tali investimenti;
c) l'emissione di liquidità in modalità non convenzionali da parte della Bce a copertura di tale programma d'investimenti;
ad attivarsi in sede europea per il superamento di tutti i trattati e regolamenti che imponendo rigide regole di bilancio sono causa delle politiche di austerità ed a promuovere politiche, misure e strumenti di politica economica, fiscale e di spesa, di carattere espansivo a favore dell'occupazione, dello sviluppo sostenibile, del welfare;
a prevedere altresì adeguamenti pensionistici, a partire dalle fasce più deboli, al fine di un aiuto e un sostegno concreti per fronteggiare i continui aumenti delle tariffe e dell'imposizione fiscale diretta e indiretta;
a modificare la controriforma delle pensioni Fornero e risolvere il problema per tutti i cosiddetti «esodati», ad iniziare dai 4000 dipendenti scolastici («quota 96») che da oltre due anni chiedono di poter accedere al trattamento pensionistico sia di vecchiaia che di anzianità, in merito ai quali la Risoluzione 8-00042 approvata dalle Commissioni V e XI della Camera impegnava il Governo a reperire, nell'ambito del DEF 2014, le risorse necessarie;
ad escludere categoricamente qualsiasi intervento sulle pensioni tantomeno su quelle impropriamente definite «d'oro» relative a redditi che non superano i duemila e cinquecento euro lordi mensili;
a sostenere con determinazione la politica dell'Unione europea perché si impegni entro l'inizio del 2015 a realizzare una riduzione dei gas serra al di sotto del 40 per cento rispetto ai limiti del 1990, nell'ambito dei negoziati internazionali per un nuovo accordo mondiale sul clima, che si concluderanno a Parigi alla fine del 2015;
a prevedere una efficacie strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici attraverso la immediata elaborazione di piani di mitigazione che siano adeguati alle ultime conoscenze in materia di emissioni di gas serra e di mezzi per contenere l'incremento della temperatura media del pianeta contenute nell'ultimo rapporto IPPC sui cambiamenti climatici;
a garantire che il piano energetico nazionale preveda la centralità delle fonti energetiche rinnovabili e che le linee guida e le incentivazioni in esso contenute siano coerenti e conformi con le reali esigenze del Paese, attraverso la necessaria modifica della Strategia Energetica Nazionale (SEN) per adeguarla agli obiettivi definiti, anche a livello europeo, nonché al sostegno, con mezzi idonei ed efficaci, dell'innovazione tecnologica nel campo della produzione di energia da fonti rinnovabili;
ad aumentare gli sforzi per una maggior efficienza energetica da parte del comparto privato, del comparto pubblico e del comparto industriale, in linea con quanto fatto già dall'industria europea in termini di investimento e realizzazione in questo settore e al fine di ridurre il fabbisogno energetico;
ad intervenire comunque, in considerazione della pesante crisi in cui è immerso il nostro Paese, con le seguenti misure nazionali per uscire dalla recessione e promuovere un modello di politica economica che faccia leva prioritariamente sullo sviluppo della domanda interna e rilanci l'occupazione:
a) una spesa pubblica aggiuntiva di 20-30 miliardi di euro per i prossimi due-tre anni, in particolare per promuovere un Piano straordinario per il lavoro, con entrate da fonti che non riducono il reddito del Paese;
b) il pieno utilizzo delle somme relative al quadro di coesione e sviluppo 2014-2020 pari a 130 miliardi per le priorità indicate nel presente documento;
c) la redistribuzione del peso fiscale dai redditi bassi alle rendite ed ai patrimoni che avrebbe un benefico effetto espansivo;
c-bis) ad innalzare, concordemente a quanto autorizzato dalla decisione 2013/678/Ue del Consiglio dell'Unione europea, a 65.000 euro annui i limiti di reddito per i quali i soggetti di cui all'articolo 1, commi da 96 a 117 della legge n. 244 del 2007 possono richiedere di aderire al regime fiscale cosiddetto dei minimi;
d) l'utilizzo dei fondi della CDP che potrebbero finanziare un programma di «piccole opere» di investimenti degli enti locali, restando fuori dal bilancio consolidato delle pubbliche amministrazioni valido per il calcolo dell'indebitamento netto;
e) la revisione del Patto di stabilità interno per consentire gli investimenti degli enti territoriali;
f) interventi sulle emergenze sociali quali la proroga delle CIG e delle mobilità in deroga almeno fino alla fine del 2014, il rinnovo dei contratti per i precari della Pubblica amministrazione impiegati in servizi;
g) attuare un piano straordinario per il lavoro (all'interno o indipendentemente da quello europeo prima proposto) che preveda misure per creare da subito centinaia di migliaia di posti di lavoro veri, qualificati, utili. L'asse di un piano per il lavoro, deve consistere innanzitutto nella messa in sicurezza del nostro territorio e degli edifici scolastici, la cura e la valorizzazione del paesaggio e dei beni culturali, il rilancio di un'agricoltura multifunzionale, la riqualificazione delle città, l'efficienza energetica degli immobili, l'innovazione tecnologica, alla riforma e al rinnovamento della Pubblica amministrazione e del welfare, all'innovazione e alla sostenibilità delle reti (trasporti, energia, digitalizzazione del Paese,...);
h) la definizione di interventi prioritari di politica industriale, concernenti l'innovazione e la ricerca;
i) ad approvare un ambizioso piano per la messa in sicurezza del territorio italiano, in termini di sicurezza geologica, idrogeologica ed agro alimentare, in grado di tutelare il territorio ed i suoi abitanti e sviluppare un comparto industriale con potenzialità di volano per l'economia nazionale e elevata qualificazione degli operatori anche per i mercati esteri;
k) la previsione di un reddito minimo garantito per i soggetti disoccupati, precariamente occupati o in cerca di prima occupazione; garantire risorse almeno per tutto il 2014 per la CIG in deroga;
l) ridurre le spese con le seguenti misure:
1) revisione delle priorità della legge obiettivo (ossia le grandi opere pubbliche): investire le limitate risorse pubbliche disponibili in opere infrastrutturali che siano realizzabili in tempi certi e con modalità sostenibili, sia in termini di vincoli di bilancio, che, soprattutto, dal punto di vista ambientale e sociale, procedendo innanzitutto a riequilibrare le risorse di provenienza pubblica tra quelle destinate alla costruzione di grandi opere e quelle devolute ad un programma di opere pubbliche di piccole e medie dimensioni, con particolare riferimento ad interventi di manutenzione in ambito stradale e ferroviario;
2) riduzione delle spese militari a partire delle spese per sistemi d'arma (Fregate FREMM e F35); fine della missione militare in Afghanistan;
3) chiusura dei centri di identificazione ed espulsione (CIE);
4) uso di software open source per le pubbliche amministrazioni;
5) riduzione dei costi della politica riducendo i livelli di governo, le auto blu, decurtando le società partecipate dallo Stato e dagli enti decentrati, riducendo il numero dei membri dei relativi CdA e contenendo la proliferazione dei servizi «esternalizzati», riducendo drasticamente le consulenze, provvedendo altresì alla revisione dei compensi per i manager ed i rappresentanti politici, nonché riformando radicalmente le attuali norme per i rimborsi elettorali ai partiti, nonché la progressiva eliminazione del ricorso agli arbitrati per quanto concerne le pubbliche amministrazioni, eccetera;
a ripensare la «questione meridionale» ricollocandola fattivamente al centro dell'agenda politica come parte di un progetto organico, sistematico e generale per lo sviluppo e la crescita dell'intero sistema paese, anche recuperando, se non si vuole correre il rischio di una desertificazione industriale, quella logica industriale che ha ispirato le politiche di intervento straordinario per il Mezzogiorno del dopoguerra;
a ridefinire una strategia che migliori l'efficienza delle misure di sviluppo per il Mezzogiorno ponendo maggiore attenzione che nel passato alla qualità delle politiche ordinarie come fattore di sviluppo: sanità e assistenza, istruzione e formazione, giustizia e sicurezza;
a sviluppare il sistema delle telecomunicazioni ed a provvedere all'ottimizzazione delle linee ferroviarie del Sud, in particolare di quelle capaci di ottimizzare il trasporto pubblico locale, anche al fine di trasferire il trasporto di merci e passeggeri dalla gomma al ferro;
ad intensificare gli investimenti nel settore della sostenibilità ambientale nel Mezzogiorno, anche attraverso il ricorso alle energie alternative, alla difesa del suolo ed il recupero dei centri storici delle città, fronteggiando al tempo stesso l'emergenza rifiuti e l'emergenza idrica;
ad introdurre nel nostro sistema tributario, valutati i profili di compatibilità con la disciplina dell'Unione europea, la fiscalità di vantaggio a regime per promuovere l'aggregazione tra le imprese operanti nel Mezzogiorno, al fine di favorire lo sviluppo del tessuto produttivo meridionale puntando sul rafforzamento dei legami di rete e cooperazione;
ad incentivare nel Mezzogiorno, anche introducendo nel sistema tributario a regime forme di fiscalità di vantaggio, la creazione di distretti industriali, sistemi produttivi locali e reti di piccole e medie imprese per migliorare le produttività, il tasso di innovazione e il livello di apertura internazionale delle imprese che, singolarmente, non possiedono le capacità di rischio e di investimento necessarie;
a sostenere, anche in sede europea, la necessità di dedicare risorse per l'istituzione nel Sud di zone franche urbane, al fine di sviluppare nuove logiche di implementazione o di ristrutturazione industriale;
a prevedere, inoltre, a favore delle regioni ad obiettivo convergenza:
a) la messa a regime di forme di credito d'imposta automatico sugli investimenti in ricerca, innovazione e formazione, a favore delle imprese disposte ad investire nel Mezzogiorno;
b) lo sfruttamento del potenziale che ha il Sud per là produzione di energie tramite fonti rinnovabili attraverso il riconoscimento di significative tariffe incentivanti, come attualmente previsto dal V conto energia, ma limitata ai parchi solari su terreni delle pubbliche amministrazioni e sui tetti e le serre fotovoltaiche, per evitare ulteriori speculazioni sui terreni agricoli;
c) l'avvio di un'innovativa programmazione dei fondi strutturali europei, non solo per accelerare la capacità di spesa, ma anche per migliorarne la qualità e l'efficacia, attraverso la concentrazione degli stessi su alcuni obiettivi, come scuola, formazione, ferrovie, agenda digitale, occupazione, servizi di cura per bambini e anziani, anche attraverso una maggiore responsabilizzazione delle strutture politico-amministrative centrali, con un orientamento ai risultati tramite obiettivi misurabili; e con la concentrazione su alcuni obiettivi prioritari che non dovrà comunque prescindere dall'ammodernamento dell'intera rete infrastrutturale del Sud, presupposto determinante per sfruttarne le potenzialità di piattaforma logistica e di collocamento geo-strategico che ne fanno il crocevia naturale degli scambi internazionali lungo le direttrici Nord Sud e Est Ovest;
d) un impegno straordinario per sconfiggere la criminalità organizzata e tutti quei fenomeni di illegalità, dal lavoro sommerso alla microcriminalità, che determinano un ambiente sfavorevole agli investimenti ed allo sviluppo;
sul terreno fiscale:
a) a rafforzare le misure di contrasto all'evasione;
b) a prevedere una redistribuzione del carico fiscale dai redditi da lavoro, dal costo del lavoro per le imprese e dalla prima casa alle rendite ed ai patrimoni mediante le seguenti misure:
la riforma del catasto e il superamento dell'arretratezza del sistema di attribuzione delle rendite catastali;
l'aumento della progressività dell'imposta sui redditi delle persone fisiche (IRPEF) prevedendo un'ulteriore aliquota per i redditi complessivi lordi che superano i 90 mila euro annui;
l'incremento delle detrazioni per lavoro dipendente e carichi familiari e degli assegni familiari;
l'alleggerimento graduale a favore delle piccole e medie imprese del carico fiscale sui fattori di produzione consentendo loro di dedurre dalla base imponibile IRAP la quota corrispondente al costo del lavoro;
c) a calmierare il continuo aumento del prezzo dei carburanti introducendo nel nostro ordinamento l'accisa mobile, meccanismo già introdotto con la legge finanziaria del 2008 ma rimasto finora inapplicato, che sterilizza i perversi effetti moltiplicatori degli aumenti del prezzo industriale dei carburanti sull'Iva, al fine di sostenere il potere d'acquisto dei consumatori;
d) a stabilire l'inclusione nell'imponibile della tassa sulle transazioni finanziarie di tutti i derivati;
e) a sopprimere molte delle agevolazioni fiscali generiche ed inutili alle imprese;
ad attuare, infine, nel corso della legislatura, le seguenti indispensabili riforme:
a) promuovere e sostenere una rapida approvazione di una legge efficace per contrastare i conflitti di interessi;
b) ripristinare e rafforzare il controllo di legalità in tutto il ciclo economico pubblico e privato in cui tracciabilità e prescrizione sulla regolarità dei procedimenti siano assunti come punti di forza nella lotta alle mafie; limitare le condotte penalmente rilevanti ai fatti realmente gravi e punire con adeguate sanzioni amministrative le condotte illecite che non creano danni o allarme sociale; procedere ad interventi incisivi sulla struttura e i tempi del processo civile, rinforzando inoltre gli strumenti di mediazione non obbligatoria e di risoluzione stragiudiziale delle controversie;
c) promuovere una legge sulla rappresentanza sindacale; abolire l'articolo 8 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138; ritirare le disposizioni sui contratti a tempo determinato e sull'apprendistato di cui al decreto-legge n. 34 del 2014, ripristinare la legge n. 188 del 2007, di contrasto al fenomeno delle dimissioni in bianco;
d) innalzamento dell'obbligo scolastico a 18 anni, contrasto alla dispersione scolastica specie nel Mezzogiorno; politica del diritto allo studio; incrementare, nell'ambito del piano nazionale della ricerca, l'indicazione di misure volte al raggiungimento degli obiettivi europei relativamente alla percentuale di Pil, che dovrebbe raggiungere il 3 per cento entro il 2020, da investire nella ricerca e nello sviluppo;
e) ripublicizzazione del servizio idrico, riorganizzazione dei servizi pubblici locali per bacini di utenza;
f) rafforzare il fondo centrale di garanzia per consentire maggiori finanziamenti alle PMI; stabilire limiti alla distribuzione dei dividendi e dei bonus a manager ed amministratori; introdurre il divieto delle vendite allo scoperto, regolamentare l'utilizzo dei derivati; adottare ogni iniziativa utile alla netta separazione tra le banche d'affari e le banche commerciali;
g) sviluppo di un vero programma di edilizia abitativa che ponga al centro l'offerta di alloggi di edilizia residenziale da destinare alle categorie sociali svantaggiate nell'accesso al libero mercato degli alloggi in locazione; provvedere a un congruo rifinanziamento della legge n. 431 del 1998 per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione per le fasce sociali più disagiate;
h) rifinanziamento del fondo rotativo per il finanziamento delle misure finalizzate all'attuazione del Protocollo di Kyoto;
i) a garantire nella legge di bilancio 2015 l'impegno minimo di aumento dei fondi alla cooperazione allo sviluppo nell'ordine del 10 per cento annuale come previsto dal DEF 2013 e confermato dal DEF 2014, per proseguire nel riallineamento dell'Italia alla media dei Paesi Ocse;
j) rifinanziamento su base triennale del fondo per la non autosufficienza, incrementando le risorse ad esso assegnate, attualmente del tutto inadeguate, ed incrementare le risorse assegnate al fondo per le politiche sociali, e più in generale, reintegrare i tagli alle risorse per le politiche socio-assistenziali e di sostegno alla famiglia;
k) incrementare le somme a disposizione del «Fondo per le vittime dell'amianto» previsto dalla Legge finanziaria 2008 (Legge 24 dicembre 2007, n. 244, articolo 1 commi 241-246);
l) rimettere al centro la cultura e i beni culturali e paesaggistici per favorire la crescita sociale ed economica del Paese. Gli interventi devono riguardare politiche efficaci ed efficienti di tutela, promozione, fruizione e gestione sostenibile del patrimonio culturale italiano; ma anche l'investimento nella produzione culturale e creativa attraverso una progettazione strategica che coinvolga Stato, enti locali, operatori del settore e imprese.
(6-00068) «Migliore, Marcon, Boccadutri, Melilla, Aiello, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, Di Salvo, Duranti, Daniele Farina, Claudio Fava, Ferrara, Giancarlo Giordano, Fratoianni, Kronbichler, Lacquaniti, Lavagno, Matarrelli, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piazzoni, Pilozzi, Piras, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zan, Zaratti».
La Camera,
premesso che:
è necessario ampliare e potenziare i collegamenti ferroviari transfrontalieri ed incrementare maggiormente la capacità del trasporto merci su ferrovia tra l'Italia e la Svizzera, anche in considerazione della dimensione europea della rete ferroviaria;
la politica dei trasporti alpini italiana è sbilanciata sul trasporto inquinante su gomma a sfavore di quello su rotaia;
il trasporto di merci e passeggeri attraverso le Alpi ha un'importanza strategica per lo sviluppo sostenibile di Italia, Svizzera ed Europa;
la dichiarazione di intenti tra Italia e Svizzera concernente la «cooperazione bilaterale nella realizzazione delle opere di potenziamento delle infrastrutture ferroviarie e dei servizi di trasporto ferroviario entro il 2020» sottoscritta il 17 dicembre 2012, ha per oggetto il miglioramento dell'infrastruttura ferroviaria e dei servizi tra Italia e Svizzera interessante le linee:
Basilea/Zurigo - S. Gottardo Chiasso/Como Milano;
Basilea/Zurigo - S. Gottardo Bellinzona-Luino - Laveno - Novara - Porti Liguri;
Basilea/Ginevra - Lotschberg/Sempione - Domodossola - Milano;
Basilea/Ginevra - Lotschberg/Sempione - Domodossola - Novara - Porti Liguri;
i collegamenti rientrano nell'area «Corridoio Multimodale Italia - Svizzera» inserita all'interno del Corridoio «Genova-Rotterdam» (ex progetto prioritario n. 24), che riveste un valore strategico fondamentale per il trasporto delle merci ed il trasferimento dei traffici dalla strada alla rotaia;
l'intervento è in linea con gli sforzi già intrapresi in Svizzera e in Italia per sviluppare e potenziare l'infrastruttura ferroviaria per il traffico internazionale viaggiatori e merci, come la galleria di base del Lotschberg e il quadruplicamento della linea tra Chiasso e Bivio Rosales (Como), e le opere in corso di realizzazione, come le gallerie di base del San Gottardo e del Monte Ceneri, nonché del Terzo Valico dei Giovi, o un eventuale progetto di «nuovo primo valico», che migliora l'accessibilità della Svizzera al Mediterraneo tramite il porto di Genova, a dimostrazione della comune volontà di attuare una politica dei trasporti;
la Svizzera ha messo a disposizione dei fondi bilaterali per i corridoi alpini lungo le tratte italiane che ammontano a circa 230 milioni di euro;
con l'accordo tra il Consiglio federale svizzero e il Governo della Repubblica italiana «per lo sviluppo delle infrastrutture della rete ferroviaria di collegamento tra la Svizzera e l'Italia», la Svizzera mette a disposizione un ammontare complessivo di 120 milioni di euro per il finanziamento dell'ampliamento a quattro metri della sagoma di spazio libero sulla linea di Luino tra il confine di Stato e Gallarate (via Laveno-Sesto Calende/Besozzo) e Novara (via Sesto Calende);
il miglioramento dei collegamenti ferroviari transfrontalieri è un obiettivo strategico della Confederazione Svizzera e dello Stato italiano al fine di creare le condizioni per lo sviluppo del trasporto delle persone e delle merci su ferrovia;
dall'esame del Programma delle infrastrutture strategiche del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti legge n. 443 del 2001, articolo 1, comma 1, Allegato al Documento di economia e finanza 2014, non si rinvengono, nell'ambito della tabella III, interventi di ammodernamento su alcune delle linee ferroviarie interessate dalla Dichiarazione di intenti del 17 dicembre 2012,
impegna il Governo
a inserire, nell'ambito dei progetti di investimento sul Corridoio Rotterdam-Genova, in previsione dell'operatività di Alptransit nel 2019, l'ammodernamento infrastrutturale delle linee del cosiddetto «corridoio dei quattro metri» provvedendo alla copertura necessaria anche con contributi europei destinati alla programmazione TEN-T;
ad utilizzare interamente le risorse stanziate in sede di accordo per gli interventi concordati;
a riferire sulle modalità di utilizzo delle risorse già stanziate, in ambito nazionale ed europeo, per i collegamenti transfrontalieri europei;
a predisporre un piano di finanziamento delle opere previste dalla dichiarazione di intenti tra Italia e Svizzera del 2012.
(6-00069) «Catalano».
La Camera,
premesso che:
in data 9 aprile 2014 il Governo ha presentato il Documento di Economia e Finanza (DEF), ai sensi dell'articolo 7, comma 2, lettera a) 10 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni;
dall'esame del documento si rileva che:
si perpetua ulteriormente la malsana abitudine di presentare documenti con quadri macroeconomici e di finanza pubblica troppo ottimistici e quindi di difficile realizzabilità, come rilevato anche dalla Corte dei Conti, la quale inoltre concorda nel recepire «la mancanza di una integrazione effettiva tra l'azione di riequilibrio dei conti pubblici e il ruolo assegnato agli interventi strutturali di riforma»;
il documento si affida per la ripresa dell'economia italiana ad un ipotetico scenario internazionale favorevole, ma in realtà tale scenario è condizionato ad ovvi e vari elementi di incertezza. Si pensi alle criticità che potrebbero conseguire all'inasprimento dei conflitti che coinvolgono l'Ucraina;
le premesse del DEF contengono una informazione parziale e pericolosamente fuorviante su una presunta chiusura della fase recessiva italiana nel terzo trimestre 2013. In realtà, come afferma il documento Macroeconomic Imbalances – Italy 2014 redatto dalla Commissione Europea datato 5 Marzo 2014, al fine di monitorare il protrarsi negli anni degli eccessivi squilibri macroeconomici italiani, ci troviamo di fronte a una «recessione a doppia v» (double-dip recession), ovvero una situazione in cui a un lungo periodo di recessione, segue una ripresa illusoria che prelude una seconda recessione;
dall'analisi degli indicatori di finanza pubblica e del quadro programmatico si evince che il tasso di crescita del PIL permane moderato pari a 0,8 per cento nel 2014, a 1,3 per cento nel 2015 e in media dell'1,7 per cento nel triennio 2016-2018, previsioni comunque più ottimistiche rispetto alle previsioni di febbraio della Banca d'Italia e della Commissione europea;
è evidente il peggioramento del PIL rispetto alle previsioni contenute nel DEF 2013, quindi, come riconosciuto anche nelle premesse del Documento in esame, si conferma che la politica di rigore perseguita a tutti i costi dall'estate del 2011 fino al 2013 ha acuito il periodo di recessione e rallentato la ripresa economica italiana;
per quanto concerne l'andamento del deficit, nonostante l'Obiettivo di medio Termine per l'Italia consisteva nel raggiungimento del pareggio di bilancio in termini strutturali nel 2014, si prevede tale andamento programmatico:
Indebitamento netto strutturale: | 2012 | 2013 | 2014 | 2015 | 2016 | 2017 | 2018 |
-1,4 | -0,8 | -0,6 | -0,1 | 0,0 | 0,0 | 0,0 | |
Indebitamento netto programmatico: | 2012 | 2013 | 2014 | 2015 | 2016 | 2017 | 2018 |
-3,0 | -3,0 | -2,6 | -1,8 | -0,9 | -0,3 | 0,3 |
quindi il Governo, nella Relazione contenuta nel capitolo III del Programma di stabilità, ha intenzione di posticipare il suddetto pareggio al 2016, sostenendo che i saldi di finanza pubblica, ivi inclusa la riduzione del debito pubblico nei termini previsti dal Fiscal compact, saranno rispettati grazie al rilancio economico derivante dalle riforme contenute nel PNR, di cui si prevedono anche gli effetti sulla crescita del PIL;
tuttavia, come ricorda la Corte dei Conti e come già accaduto spesso in passato, «l'allargamento dei disavanzi pubblici rispetto all'obiettivo si sia rilevato più persistente di quanto originariamente ipotizzato»;
essendo i margini di realizzabilità della programmazione del documento così labili e inconsistenti, in caso di probabile mancato conseguimento degli obiettivi programmatici, il Governo metterà in pericolo il Paese, che sarebbe sottoposto alle gravi conseguenze previste dal Fiscal Compact ovvero alle ancor più gravose conseguenze derivanti dall'istituzione del Debt Redemption Fund;
l'andamento del rapporto Debito/PIL permane elevato e assolutamente distante dall'obiettivo finale del 60 per cento;
si evidenzia che il suddetto andamento include i proventi delle dismissioni di partecipazioni, che, secondo il programma del Governo, contribuiranno alla riduzione del debito per 0,7 punti percentuali del PIL per ciascuno degli anni del triennio 2014- 2017 (pari a 12 miliardi annui), da ciò ne deriva che le scelte di privatizzazione non sono dettate da strategie economiche di crescita ma bensì imposte dalla necessità di rientrare di un debito accumulato in più di venti anni e per rispettare parametri imposti dalla UE nonostante la recessione economica;
dopo aver raggiunto il valore massimo nel 2014, il rapporto debito/PIL, al lordo dei sostegni, diminuisce negli anni successivi, passando dal 133,3 del PIL nel 2015 al 120,5 del 2018. Esso mantiene, tuttavia, un profilo più elevato di 4 punti percentuali, rispetto alle stime contenute nella Nota, nel 2015 e rispettivamente di 4,8 e 5 punti percentuali nel 2016 e 2017;
anche se la ripresa della nostra economia appare lenta ed incerta e nonostante, ad oggi, siano sconcertanti i dati della disoccupazione, non si comprende come mai lo spread si sia «magicamente» ridotto consentendo all'Italia di ridurre in modo consistente la spesa per interessi: è lecito sospettare che il trend di riduzione dello spread non è altro che la controprestazione per le rigorose politiche restrittive inflitte dal Governo Monti al popolo italiano, che hanno consentito le generose elargizioni di interessi passivi ai detentori esteri del debito pubblico italiano;
la lode al Governo, ossia il fatto che nonostante la fase congiunturale difficile sia stato capace di contenere la spesa pubblica, è assolutamente non condivisibile. In realtà, la spesa pubblica è tutt'oggi elevata e comprimibile, come conferma la corposa azione di spending review affidata al Commissario Cottarelli. Infatti il contenimento della spesa è stato conseguito mediante l'abbattimento delle spese in conto capitale, con danni evidenti al percorso di ripresa economica;
anche la gradualità e lentezza del pagamento dei debiti pregressi della PA potevano essere evitate con una azione anticipata di razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica, già dal 2008, che poteva essere più incisiva e mirata anche nel periodo del Governo Monti;
il rallentamento del percorso di convergenza, finalizzato al realizzare le riforme strutturali del Programma nazionale di riforma, che il Governo ipotizza che produca (sic!) effetti di maggiore crescita potenziale dell'economia pari al 2,2 per cento di PIL cumulato dal 2014 al 2018 presentano le sottoelencate criticità nei vari settori:
In materia di Giustizia:
il documento in esame, in assenza di uno specifico e cenno alla consistenza ed alla modulazione delle risorse finanziarie, umane e strumentali da allocarsi per l'innovazione del sistema giustizia, fissa sostanzialmente due specifici macro-obiettivi programmatici, il primo intitolato «una giustizia celere ed accessibile» il secondo «Trasparenza e garanzia dei diritti» il cui compimento è fissato per entrambi entro il giugno 2014, cui si accompagna un terzo di competenza mista con il comparto sicurezza denominato appunto «Sicurezza pubblica»;
all'interno di tali macro-obiettivi non si scorgono sostanziali discontinuità con le inefficaci misure adottate in tema di giustizia dal precedente esecutivo volte a frapporre una distanza incolmabile tra il cittadino ed il suo diritto di accedere alla giustizia, e che vengono qui proseguite e rafforzate come, ad esempio: la limitazione dell'appellabilità delle sentenze civili di primo grado; la previsione e potenziamento di misure alternative al processo come la mediazione obbligatoria senza peraltro indicare quali siano e relativamente a quali materie; l'introduzione della motivazione sintetica a richiesta delle parti dietro pagamento di una tassa; la limitazione dell'appellabilità delle sentenze civili di primo grado;
si registrano alcune isolate e sommarie proposte di un più generale intervento, come nel caso della giustizia amministrativa. Intervento che rischia di porsi tuttavia al di fuori una coerente implementazione del precetto costituzionale della separazione tra le attività di indirizzo politico-amministrativo di vertice e le funzioni dell'area dirigenziale, in assenza del quale il sindacato di legittimità verrebbe facilmente sottomesso ad interessi illegali, purtroppo largamente diffusi tra la politica negli ambiti territoriali e nei dicasteri, volti all'approvazione di bandi pubblicati per favorire illecitamente soggetti privati. Interventi che, inoltre, si inseriscono in un quadro che ha già visto, dalla riforma del 2010 e dalla Legge di Stabilità del 2013, una lievitazione dei costi di accesso che hanno limitato la possibilità ai cittadini ed alle imprese di ricorrervi liberamente;
appare inoltre arduo a concepire, in assenza di specifiche indicazioni su interventi dettagliati, come il Governo possa porsi l'ambizioso duplice obiettivo di «impedire i condizionamenti della criminalità organizzata sui circuiti dell'economia legale», nonché di «sconfiggere il crimine organizzato» entro il 2014 in un contesto di spending review, ovvero corroborando un simile intervento – di storica portata – facendo esclusivo ricorso all'impiego di fondi europei, nuovi processi di finalizzazione della spesa, nonché di gestione e destinazione degli asset sottratti alla criminalità organizzata.
In materia di difesa:
le misure proposte nel DEF per il settore Difesa sono una riproposizione di provvedimenti già in essere o in discussione, come la riduzione del personale militare e civile stabilito dalla legge 244, il richiamo al Libro Bianco, alla proposta conclusiva dell'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma, alla riorganizzazione delle scuole militari, alla dismissione degli immobili della difesa e la revisione dei canoni di locazione degli immobili dell'arma dei Carabinieri. Manca totalmente una visione tesa a ridimensionare sul serio le spese militari a partire dalla totale assenza di ogni taglio nei sistemi d'arma più costosi (come gli F35);
le riduzioni previste per gli organici, civili e militari, sono inutilmente spalmate nel tempo (sei anni per i generali e 10 anni per i colonnelli), finendo con l'affievolire i già scarsi obiettivi prefissati.
In materia di Esteri:
per quanto riguarda lo scenario macroeconomico internazionale, pur in presenza di alcuni segnali distensivi sui mercati finanziari e un prolungato contenimento dei prezzi delle materie prime energetiche, alimentari e industriali, va tuttavia ricordato che vi sono una serie di rischi per i quali la ripresa può essere sempre posta nuovamente a rischio, e tra questi proprio fattori di ordine internazionale (le tensioni geopolitiche in Medio Oriente e da qualche mese quelle che si stanno manifestando, e acuendo, alle porte dell'Europa orientale, Ucraina in particolare, con possibili ripercussioni sui prezzi delle materie prime), l'eventuale cambiamento di rotta della politica monetaria con possibili rialzi dei tassi di interesse, un ulteriore rallentamento della crescita nei paesi emergenti; ma sono sotto osservazione della Bce anche i rischi di ciò che appare un processo deflazionistico in corso, che potrebbero ripercuotersi negativamente sulle decisioni di investimento e di indebitamento, con ulteriore prolungamento della disoccupazione di lungo periodo;
è quanto mai indispensabile, anche per la crescita e l'internazionalizzazione del nostro Paese, poter contare finalmente su risorse certe, sufficienti e programmate che permettano il rispetto degli impegni internazionali, garantendo un ritorno in termini di credibilità. Pur in una situazione di grave crisi finanziaria, infatti, è interesse e dovere dell'Italia aumentare in modo significativo le risorse economiche dedicate alla cooperazione internazionale e, in particolare, alla cooperazione allo sviluppo, componente fondamentale della politica estera e strumento della proiezione del sistema Paese;
nell'attuale DEF è previsto, confermando per il triennio 2015-2017 il calendario stabilito dal DEF 2013, che nel 2017 l'APS italiano si attesti perlomeno allo 0,28 per cento del PIL (obiettivo comunque molto lontano dai propositi stabiliti anni addietro in sede internazionale) attraverso un riallineamento del nostro Paese agli standard internazionali in termini di risorse economiche da destinare alla cooperazione internazionale con un progressivo incremento, su base annuale, pari ad almeno il 10 per cento degli stanziamenti previsti dalla legge n. 49 del 1987; tuttavia, pur riconoscendo l'inversione di tendenza rispetto ai precedenti esercizi finanziari, appare ancora troppo poco e insufficiente l'impegno del nostro Paese in tal senso;
appare comunque evidente che per render possibili, e credibili, tali incrementi si dovrà razionalizzare e riqualificare la spesa per la cooperazione allo sviluppo, anche con l'ausilio di una più aggiornata mappatura degli interventi di cooperazione che il nostro Paese finanzia, nel quadro di una rinnovata disciplina legislativa del settore (attualmente in fase di discussione al Senato) nonché prevedere l'incremento di almeno il 20 per cento annuale degli stanziamenti previsti per la cooperazione sviluppo nella prossima legge di stabilità;
un ruolo non secondario dell'apparato amministrativo degli affari esteri sarà quello da giocare nel rafforzamento dell'internazionalizzazione dell'economia italiana, parte essenziale del quale è l'aumento dell'attrattività del nostro Paese per gli investimenti esteri, quale previsto dal pacchetto «Destinazione Italia» presentato dal Governo nel corso del 2013, anche mediante l'incremento dei fondi a disposizione dell'attività dell'Agenzia ICE per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane;
l'intero sistema diplomatico-consolare e degli istituti di cultura rappresenta una risorsa preziosa per la protezione e la proiezione globale dei nostri interessi politici, economici, culturali e linguistici, che deve essere rafforzata e potenziata nelle aree geografiche strategicamente più rilevanti; il processo di riorganizzazione della rete dovrà, in ogni caso, avere un respiro anche europeo, ovvero la rete diplomatica italiana dovrà riuscire a sfruttare sinergie potenziali con il Servizio Europeo di Azione esterna (SEAE).
In materia di Fisco e sistema creditizio:
la predisposizione di misure di automazione e telematizzazione delle operazioni contabili in materia di determinazione dell'imposta sul valore aggiunto potrebbe ridurre in maniera considerevole gli adempimenti burocratici a carico del contribuente;
l'istituto del «crowfunding» risulta essere un valido strumento di finanziamento delle società innovative di nuova costituzione. Estendere il medesimo istituto anche a società non necessariamente innovative e di nuova costituzione potrebbe rivelarsi un espediente alla problematica del «credit crunch», elemento di ostacolo alla ripresa economica delle imprese italiane e conseguentemente della situazione economica nazionale;
sarebbe, altresì, necessario rivedere i criteri di definizione del tasso di usura, al fine di ridurre il costo del denaro rendendo così più agevole l'accesso a credito, in particolar modo, per le piccole e medie imprese;
gli studi di settore costituiscono uno strumento di rilevazione di tipo statistico che consente di stimare i ricavi conseguibili dall'esercizio di una determinata attività d'impresa, secondo criteri e parametri riferibili ad un campione rappresentativo in condizioni di «normalità economica». L'idoneità della stima a rappresentare la realtà del contribuente sottoposto a verifica dipende dalla capacità del campione di rappresentare in modo adeguato le situazioni di «normalità economica» di una determinata realtà produttiva e, dunque, dalla effettiva coincidenza della situazione concreta del singolo contribuente con quella di «normalità economica» presa a base per l'individuazione del campione rappresentativo. I ricavi statisticamente determinati dagli studi (sebbene periodicamente revisionati al fine di garantirne l'aderenza alla realtà economica) spesso non rappresentano idoneamente le effettive potenzialità reddituali dell'impresa, soprattutto per le piccole realtà imprenditoriali. Ciò in quanto non tengono conto delle concrete caratteristiche di esercizio dell'attività d'impresa tra cui le particolari condizioni che caratterizzano o che hanno interessato il territorio in cui è svolta l'attività (si pensi, ad esempio, ai comuni colpiti da calamità naturali o sottoposti a procedure di dissesto finanziario che incidono inevitabilmente sulle attività imprenditoriali presenti sul territorio). In un tal contesto, si rende necessaria la previsione di strumenti, oltre quelli già previsti dalla normativa vigente, diretti a favorire il contraddittorio tra amministrazione e contribuenti al fine di garantire la necessaria «personalizzazione» dello studio di settore nonché l'adeguamento degli studi di settore sulla base di parametri che tengano anche conto di fenomeni extra-imprenditoriali (che di fatto ne condizionano la produttività).
In materia di Scuola, Università e Cultura:
l'unica misura immediata è quella relativa al piano scuola, riguardo alla quale però non si vedono risorse disponibili o nuove risorse, ma si parla di razionalizzazione di quelle esistenti, di fondi strutturali o mutui che già si pensa di ottenere, cosa niente affatto sicura, visto che la proposta italiana di accordo di partenariato per la ripartizione dei fondi europei è tutta da rifare, avendo ricevuto ben 351 rilievi dalla Commissione Europea;
nel DEF, inoltre, si indica l'esigenza di «migliorare qualità e risultati della scuola, anche rafforzando lo sviluppo professionale degli insegnanti e diversificandone lo sviluppo della carriera», senza specificarne il metodo;
per la valutazione esiste il reale rischio di introdurre un modello aziendalistico di scuola e università, mentre il ruolo della valutazione (soprattutto nella scuola) deve avere finalità unicamente didattiche, non misurative del funzionamento della scuola né indicatrici nell'assegnazione dei fondi;
non si intravede una programmazione economica per il rinnovo stipendiale del personale della PA, e dunque anche per il personale scuola inoltre il riconoscimento del merito negli stipendi dei docenti non deve essere sostitutivo dei miseri scatti di anzianità previsti attualmente dal CCNL, ma dovrebbe essere aggiuntiva e quindi richiederebbe delle risorse aggiuntive;
la spesa che lo Stato deve sostenere per pagare gli stipendi pubblici, nel 2013, come si legge nel documento, ammonta a circa 164 miliardi, in calo dello 0,7 per cento circa rispetto all'anno precedente; tale contrazione si somma al -1,9 per cento del 2012 e alla diminuzione del 2,1 per cento registrata nel 2011 («rafforzando – sottolinea testualmente il DEF – il trend decrescente che si è determinato dopo un lungo periodo di crescita tra il 1998 e il 2010»);
se poi si calcolano gli stipendi in rapporto al PIL, si ha la conferma che il pubblico impiego (e la scuola soprattutto) hanno pagato in questi anni un prezzo particolarmente alto: nel 2013 la spesa è stata del 10,5 per cento rispetto al PIL, così come nel 2012, ed in netto calo rispetto agli anni precedenti (11,3 per cento nel 2009, 11,1 per cento nel 2010, 10,7 per cento nel 2011);
secondo i tecnici del MEF, questa è «la conseguenza dei molteplici interventi normativi disposti nel corso degli ultimi anni che hanno comportato sia un contenimento delle retribuzioni individuali, sia una riduzione del numero dei dipendenti pubblici (-5,6 per cento circa nel periodo 2007-2012)»;
la razionalizzazione del comparto scuola, il perdurare del blocco dei rinnovi contrattuali per il periodo 2010-2015, l'introduzione di un limite di spesa individuale rapportato alla retribuzione percepita nell'anno 2010, il riconoscimento solo ai fini giuridici delle progressioni di carriera disposte nel quadriennio 2011-2014, la decurtazione in base al numero delle unità di personale cessate dell'ammontare delle risorse disponibili per la contrattazione integrativa, sono tutti gli interventi che hanno portato i succitati disastrosi risultati;
si ribadisce che, nel quadro a legislazione vigente, come si legge infatti nel DEF, la spesa per redditi da lavoro dipendente delle Amministrazioni Pubbliche è stimata a diminuire dello 0,7 per cento circa per il 2014, per poi stabilizzarsi nel triennio successivo e crescere dello 0,3 per cento nel 2018, per effetto dell'attribuzione dell'indennità di vacanza contrattuale riferita al triennio contrattuale 2018-2020;
il settore della scuola è stato particolarmente penalizzato negli ultimi anni; la spesa per i cosiddetti «consumi intermedi» (in pratica si tratta delle spese per il funzionamento ordinario di scuole, università ed enti di ricerca) è passata da 1,11 miliardi del 2011 a 0,95 del 2013, mentre nello stesso periodo la spesa complessivamente sostenuta dallo Stato è aumentata da 12,49 a 13,78 miliardi, mentre al MEF è quasi raddoppiata, da 2,62 a 4,79 miliardi e nelle Agenzie fiscali è passata da un miliardo a 1,64;
si parla di introduzione di nuove forme di reclutamento degli insegnanti, senza accennare minimamente ai precari della scuola;
l'età media degli insegnanti in Italia, anche in base ai dati del Rapporto dell'OCSE Education at a glance 2013 – dal quale risulta che, nel 2011, il 62,5 per cento dei docenti della scuola secondaria di II grado ha superato i 50 anni, il 61 per cento nella scuola secondaria di I grado e il 47,6 per cento nella scuola elementare diventa necessario, anche per tali motivi, di risolvere la discriminazione relativa ai docenti rientranti nella cosiddetta «Quota 96 Scuola»;
riguardo al sistema educativo e mondo del lavoro, si continua a rincorrere l'implementazione della formazione tecnica e tecnologica, la qual cosa per essere realmente funzionale a un nuovo sviluppo per l'Italia e in considerazione della crisi del modello industriale tradizionale deve prevedere una formazione ad alto contenuto innovativo, soprattutto nei settori nei quali l'Italia vuole puntare per il futuro;
il rischio è che di fronte alla crisi del modello industriale tradizionale, almeno in Italia, si formi manodopera che poi sarà costretta a emigrare all'estero per trovare occupazione, mentre occorrerebbe un piano industriale lungimirante, di medio-lungo periodo, con l'individuazione di alcuni settori strategici nei quali fare ricerca avanzata e formazione del personale occupato in quel campo e nel relativo indotto;
il Governo ha inteso prevedere che, «Con la finalità di accrescere il tasso di immatricolati nelle università, ancora basso rispetto alla media europea e in calo negli ultimi anni» e con l'obiettivo di «favorire la diffusione di sistemi meritocratici», si aumenti l'impatto delle misure di diritto allo studio in stretta correlazione con il merito;
tuttavia, anche grazie alle misure già assunte, l'unico aumento osservato negli ultimi anni è stata la percentuale di studenti che non riescono ad accedere ai gradi più alti degli studi universitari, data l'assoluta insufficienza di strumenti che garantiscano ai capaci e ai meritevoli tale possibilità; solo con riferimento all'ultimo anno, la percentuale di studenti iscritti nei corsi di area medica che potrà ultimare il proprio percorso formativo attraverso la specializzazione universitaria si è ridotta al 35 per cento;
secondo il recente studio dell'Anvur, «Rapporto sullo stato dell'università e della ricerca in Italia», è possibile verificare come le immatricolazioni ai corsi universitari risultino in calo del 10 per cento nelle regioni del Nord, mentre scendono addirittura del 55 per cento nelle regioni del Sud e del Mezzogiorno. Più che una mancanza di interesse per i vari corsi universitari o di un errato raccordo tra scuola e università, la distribuzione geografica delle immatricolazioni in Italia sembra mostrare, invece come più concretamente i giovani diplomati delle regioni del meridione non considerino il conseguimento di un titolo di studio universitario quale possibilità utile al proprio futuro lavorativo e professionale;
all'interno del DEF si prevede di aumentare la percentuale di popolazione tra i 30 e i 34 anni in possesso di diploma di istruzione universitaria, anche in relazione agli impegni che il Nostro Paese ha assunto a livello comunitario, ma poco chiare risultano essere le misure attraverso le quali ottenere l'aumento di tale quota percentuale;
è bene ricordare, a tal proposito, che tra gli obiettivi finali da raggiungere al termine del programma europeo «Horizon 2020» vi sarà un significativo innalzamento della quota di cittadini laureati proprio nella fascia di popolazione compresa tra i 30 e i 34 anni, fino a raggiungere una percentuale complessiva del 40 per cento; l'Italia, nonostante tali riferimenti, ha invece definito, quale proprio obiettivo, il raggiungimento di una percentuale di laureati pari al 26 per cento, una quota inferiore di ben 14 punti rispetto alla media europea; il massimo sforzo del nostro Paese in un settore così cruciale per il suo sviluppo sarà la crescita di soli 4 punti percentuali rispetto alla quota raggiunta dal nostro Paese nell'anno 2012, ma anche per tale obiettivo l'Italia dimostra di essere ben lontana dalla sua concreta realizzazione. Sempre secondo il recente rapporto dell'Anvur, il quadro risulta essere assolutamente grave ed allarmante;
tale analisi documenta, infatti, il preoccupante divario dell'Italia rispetto alla percentuale di riferimento della media europea, con una quota di laureati, nella fascia di popolazione compresa tra i 15 e i 64 anni, pari al 13,8 per cento, la quale, a fronte di una media UE intorno al 25 per cento, ci costringe al terzultimo posto nella classifica dei vari Stati dell'Unione, con un ritardo ancor più grave se riferito alle medie dei principali Paesi;
il Documento di economia e finanza per il 2014, a fronte degli obiettivi sin qui riportati, ovvero dei gravissimi ritardi accusati dal nostro Paese per una loro concreta realizzazione, prevede, aldilà dei proclami del caso, lo stanziamento di risorse assolutamente insufficienti, nonché la totale assenza di una programmazione chiara e univoca;
anche per il diritto allo studio servirebbero risorse aggiuntive per eliminare la piaga dei vincitori senza borsa, e per abbassare le tasse universitarie; il ricorso al prestito d'onore invece, strumento che si sta rivelando un fallimento nei Paesi che l'hanno adottato nei decenni scorsi (come ad esempio negli USA), e che anche in Italia non ha trovato praticamente nessuno spazio, rivelerebbe la volontà del governo di stanziare sempre meno fondi per ricorrere a pratiche finanziarie a debito sulle spalle delle famiglie;
si evidenzia l'assenza di qualsiasi concreta disposizione in favore degli enti di ricerca. Solo pochi giorni fa, la VII Commissione approvava l'erogazione della quota premiale del Fondo Ordinario Enti di Ricerca (FOE), a condizione però che il Governo si impegnasse, entro il prossimo anno, affinché la quota del 7 per cento del FOE, attualmente prevista quale quota premiale, fosse erogata con finanziamenti ulteriori e diversi, e non quale mera redistribuzione di una porzione dello stesso fondo. Tale parere veniva sottoscritto all'unanimità dei componenti della Commissione ma, data la mancanza di qualsivoglia riferimento, già si teme per la sua reale attuazione;
il Def pone sullo stesso piano turismo e valorizzazione dei beni culturali, mentre sarebbe auspicabile considerare gli interventi a sostegno del patrimonio culturale nel contesto di una strategia separata, sebbene collegata, rispetto a quella rivolta alla tutela dell'ambiente e del turismo, anche in considerazione della peculiarità del patrimonio culturale italiano, unico rispetto agli altri Paesi e del profondo stato di degrado in cui esso versa;
inoltre, nell'ambito della strategia che rappresenta il turismo e la cultura come fattori di crescita, il PRN 2014 prevede tutta una serie di iniziative che saranno di difficile realizzazione senza lo stanziamento di risorse adeguate e per le iniziative già attuate dai recenti provvedimenti legislativi adottati le risorse appaiono assolutamente insufficienti;
considerato ancora che:
nonostante l'investimento in Istruzione, Università e ricerca rappresentino la leva più solida di cui un governo dispone per centrare i suoi obiettivi di coesione sociale e sviluppo economico e che la spesa pubblica in questi specifici ambiti è ancora sotto la media europea, con evidenti riflessi negativi sui risultati scolastici, la mobilità e la coesione sociale, non si riscontra un'inversione di tendenza e il Def per il 2014, a fronte degli obiettivi elencati, nella sezione del Piano nazionale di Riforma, prevede risorse del tutto insufficienti rispetto a quelle che sono le reali esigenze;
è evidente che il governo non si dimostra disponibile ad adottare politiche che concentrino risorse aggiuntive sul settore della conoscenza, individuando fonti di finanziamento reperibili nell'immediato, anche operando una selezione delle priorità e delle urgenze di sviluppo;
i proclami non possono bastare, mentre è indiscutibile che l'investimento nella formazione delle nuove generazioni rappresenta un parametro vitale per qualunque Paese voglia elaborare un positivo progetto di crescita per il proprio futuro;
il documento «Europa 2020» dà un solo imperativo agli Stati membri per promuovere nuova crescita: investire in istruzione, infatti aumentare il livello e la qualità dell'istruzione rappresenta uno dei 5 obiettivi nazionali dell'agenzia Europa 2020;
la sconsiderata politica dei tagli degli ultimi anni ha messo in ginocchio tutti i settori della cultura, dalla scuola all'università, alla ricerca, ai beni culturali determinando un'allarmante situazione generalizzata di regresso e di forte riduzione della mobilità sociale;
in particolare, si è proceduto a sottrarre sempre più risorse economiche dal nostro sistema di istruzione a partire dal taglio epocale di più di 8 miliardi di euro, effettuato in applicazione dell'articolo 64 della finanziaria estiva del 2008 (legge 133 del 2008) che ha inferto un colpo letale al mondo della scuola;
la dispersione scolastica conta numeri allarmanti: il 18,8 per cento dei giovani 18-24enni abbandona gli studi senza conseguire un titolo di scuola media superiore o una qualifica professionale (la media europea è pari al 14,1 per cento);
negli ultimi anni gli Atenei sono stati sottoposti a una sorta di «condizione emergenziale» in materia di risorse e di assunzioni, come confermato dal calo del FFO e del personale docente e ricercatore;
l'attuale sistema di attribuzione dei punti organico, che non prevede alcun meccanismo che tenga conto delle specifiche condizioni degli Atenei, congiuntamente alla presenza di un blocco del turnover che impedisce il necessario ricambio del personale soggetto a pensionamento, ha determinato un'allarmante carenza di professori ordinari e associati, nonché di nuovi ricercatori e di personale tecnico-amministrativo che rischia di compromettere seriamente il corretto funzionamento del sistema universitario, nonché le essenziali attività di ricerca ad esso collegate;
anche la capacità di intercettare fondi di ricerca, in particolare europei, risente del basso numero di ricercatori italiani in relazione alla popolazione, se confrontato con quello degli altri Paesi;
gli investimenti nel diritto allo studio ci vedono agli ultimi posti in Europa, quando invece Germania e Francia investono fino a 10 volte più dell'Italia;
la situazione è anche peggiore per quanto concerne i beni culturali, in cui il nostro paese ha investito solo una esigua percentuale del PIL, un valore tanto basso da mettere a rischio la tutela anche del patrimonio culturale più prezioso e noto come l'area archeologica di Pompei, il Colosseo, l'archivio nazionale, mentre il blocco delle assunzioni sta paurosamente depauperando la capacità dello Stato di assicurare la normale attività di tutela, affidando tale attività a interventi straordinari o al solo intervento del privato;
nel documento non c’è un solo cenno al settore dello spettacolo, che vede il PUS (Fondo unico per lo spettacolo) continuamente decurtato, con evidente grave pregiudizio per tutti gli addetti del settore stesso e con il reale rischio di una delocalizzazione della produzione cinematografica all'estero a svantaggio di un cinema di qualità;
in un paese come il nostro la cultura e in particolare quella cinematografica dovrebbe essere il volano della ripresa e dello sviluppo auspicato, e deve essere sottratto ad improvvisati management privati e dirigenti statali, per riconsegnarlo al suo valore collettivo;
le irrisorie misure introdotte nel sovrastimato decreto cd «valore cultura», in realtà non hanno prodotto gli effetti sperati, soprattutto in riferimento agli addetti del settore, molti dei quali rischiano di perdere il posto di lavoro; emblematico è il caso di quasi tutte le fondazioni lirico sinfoniche;
la strada maestra per ridare slancio ad un'economia in crisi, ad un modello di sviluppo sostenibile, ad una società che metta al centro il benessere dei cittadini e la loro qualità di vita passa non solo attraverso un ripristino delle risorse economiche tagliate in questi anni al mondo della scuola italiana, dell'università, della ricerca e della cultura, ma anche e soprattutto attraverso una programmazione economica che preveda ingenti investimenti pluriennali e una valorizzazione complessiva del sistema.
In materia di Ambiente:
è di tutta evidenza, nella sezione dedicata al programma di stabilità, la totale assenza di una visione politica e di una lettura strategica del tema ambientale come fattore trainante nell'economia nazionale e rimangono esclusi e completamente estranei i dati relativi al consumo di capitale naturale e dei servizi ecosistemici;
appare chiara la consapevolezza del Governo sulla difficoltà a realizzare l'ambizioso programma infrastrutturale avviato con la legge obiettivo – della quale mantiene l'indirizzo di privilegiare le opere più costose e ad elevato impatto ambientale – rispetto al quale dichiara di voler cambiare impostazione: non più procedure di appalto con risorse pubbliche, ma il ricorso ad un modello di partenariato pubblico privato e agevolazioni fiscali per le opere più costose; la politica della «privatizzazione» si estenderebbe quindi all'alta velocità, agli assi autostradali, alla riqualificazione delle aree urbane, al trasporto pubblico locale;
tra gli obiettivi annunciati dal Governo c’è l'esigenza di riformare il CIPE e le modalità di approvazione dei progetti, in concomitanza con la revisione della legge obiettivo e delle sue procedure speciali; la ratio di questa riforma sembra evidenziare una chiara continuità con il Governo Berlusconi che ha voluto la legge obiettivo: accelerare e semplificare in tutti i modi le procedure ed attribuire tutto il potere al decisore centrale;
per quanto riguarda le politiche abitative nel DEF sono previsti stanziamenti per circa 1.3 miliardi per il sostegno all'affitto, l'ampliamento dell'offerta di immobili dell'edilizia popolare, sviluppo dell'edilizia residenziale sociale; desta perplessità che queste misure siano accompagnate dalla previsione di un «maggior rigore nei confronti degli occupanti abusivi di un immobile, i quali non potranno chiedere la residenza né l'allaccio ai pubblici servizi»;
nel DEF è previsto un nuovo impulso al processo, avviato da tempo, di svendita del patrimonio immobiliare pubblico; l'elemento principale del federalismo demaniale consiste esattamente in questo: trasferimento dei beni immobili dello Stato agli enti locali (comprese le province), che potranno provvedere alla loro alienazione;
il DEF traccia un quadro sulla situazione della produzione e gestione dei rifiuti, evidenziando che – complice la crisi economica – si è assistito ad una riduzione della produzione e ad un aumento della raccolta differenziata, che si è assestata al 37,7 per cento a livello nazionale; il dato è ben distante dagli obiettivi che aveva posto il legislatore e la soluzione individuata dal Governo è stata quella di spostare i termini, con buona pace delle amministrazioni virtuose che sono riuscite a raggiungere (e a superare) gli obiettivi di legge;
il DEF illustra i provvedimenti adottati dal Governo e approvati dal Parlamento per affrontare la gravissima crisi ambientale e sanitaria causata dall'ILVA a Taranto; la ricostruzione non evidenzia che l'intervento governativo era finalizzato soprattutto ad evitare che l'intervento della magistratura potesse causare problemi alla «continuità della produzione», intervenendo anche sui sequestri disposti dal GIP;
desta perplessità l'ottimismo col quale il DEF 2014 proponga rapide soluzioni per le bonifiche dei siti di interesse nazionali, per le quali si sta attendendo da molti anni; tale vicenda peraltro si inserisce nella più delicata e complessa materia dei fondi strutturali comunitari in attesa di assegnazione;
nel DEF si fa riferimento all'istituzione della tariffa sociale nel servizio idrico integrato, che, secondo il Governo, rafforzerebbe la natura «pubblica» della risorsa acqua; la tariffa sociale è una questione di assoluta rilevanza soprattutto in questo momento di crisi economica e occupazionale, ma la sua copertura viene individuata in una nuova componente tariffaria appositamente creata che farà aumentare ulteriormente le bollette, gravando ancora una volta sui cittadini invece che sui soggetti che finora hanno fatto profitti sull'acqua.
In materia di trasporti ed infrastrutture:
il cronoprogramma delle riforme relativo alle infrastrutture contenuto nel documento risulta di difficile applicazione. Risulta, ad esempio, infatti scarsamente credibile l'approvazione, entro il mese corrente, del piano aeroporti piuttosto che la trasmissione alle Camere di una Proposta di riforma dell'offerta portuale o ancora l'approvazione della proposta di riforma del CIPE. Altrettanto irrealistica è la tempistica relativa all'Open Data, digitalizzazione e semplificazione della PA da effettuare, secondo cronoprogramma, entro maggio 2014;
per superare i limiti di finanza pubblica e far fronte alla realizzazione di opere infrastrutturali il governo intende assicurare un maggior coinvolgimento del capitale privato, anche internazionale, nella realizzazione di tali opere. Una implementazione del modello di Partenariato Pubblico Privato avrebbe certamente come conseguenza diretta l'immediata cantierizzazione di nuove opere anche di piccola o media grandezza senza però adeguate garanzie per quanto concerne la realizzazione definitiva delle opere e la loro gestione. Spesso, infatti, gli interlocutori privilegiati di tali accordi sono società di costruzioni con scarse capacità gestionali nonché finalizzate al mero lucro e non alla valorizzazione culturale e sociale del patrimonio;
il documento contiene dei riferimenti al percorso di privatizzazioni messe in essere dal Governo. Tra le società a partecipazione diretta interessate da questa manovra rientrano Poste Italiane con l'alienazione del 40 per cento ed Enav con il 49 per cento;
in riferimento al primo, non è dato sapere, tra i settori in cui opera Poste Italiane S.p.A., ovvero tra i servizi postali, finanziari e assicurativi, quale di questi sarà maggiormente interessato dalle operazioni di vendita. Non essendo tutti i settori egualmente produttivi, si ravvisa il rischio che l'operazione arrivi a riguardare solo gli ultimi due, lasciando quello maggiormente in perdita di proprietà dello Stato;
per quanto concerne Enav, le stime dei proventi derivanti dall'alienazione del capitale della società, da versare al fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato di cui all'articolo 2 della legge 27 ottobre 1993, n. 432 per la riduzione del debito pubblico, sono di importo così modesto da non giustificare i rischi di una sua privatizzazione. A tale proposito, è sufficiente ricordare che Enav Spa in un contesto particolarmente difficile in ambito domestico, con la perdurante crisi della compagnia Alitalia, con un traffico domestico perso nell'ordine del 35 per cento dal 2008 in avanti è riuscita a conseguire un utile netto di 46 milioni di euro di cui 23 per rimborso Ires anni precedenti, che, sommato agli ammortamenti finanziari sostenuti per la mancata erogazione da parte dello Stato degli oneri derivanti dal Contratto di Servizio e ai crediti divenuti inesigibili per il fallimento di due vettori italiani, avrebbe significato un utile di quasi 50 milioni di euro in piena crisi. Non risulta difficile quindi immaginare la capacità della società, con un mercato in ripresa, di generare profitto, con il possibile introito della stessa cifra senza doversi privare della totalità del capitale sociale;
poiché risulta essere totalmente assente una politica seria di lungo periodo mirante all'abbattimento del debito pubblico, tali interventi di c.d. privatizzazione rischiano di non essere risolutivi ed essere, piuttosto, controproducenti, raggiungendo risultati effimeri e assolutamente limitati temporalmente;
seppur condivisibile la necessità espressa nel documento da parte del governo di provvedere ad una rilettura di tutti gli interventi che, pur approvati prima del 2010, sono ancora fermi nella fase procedurale, non si condividono le finalità ove si afferma che non è intenzione dell'esecutivo annullare la strategicità dei singoli interventi provvedendo, bensì, ad una sola rimodulazione temporale delle risorse senza compromettere l'avvio delle opere stesse;
pur condividendo la volontà espressa dal Governo di aprire ad un dialogo con le popolazioni interessate dalla realizzazione di nuove infrastrutture, si nutrono forti dubbi sui meccanismi che caratterizzeranno tali consultazioni pubbliche e nello specifico sull'ipotesi che eventuali esiti negativi possano condurre ad una deresponsabilizzazione ed estromissione delle istituzioni locali anziché ad una rinuncia nella realizzazione dell'opera;
sempre nell'ambito dell'iter di approvazione dei progetti preliminari, risulta non del tutto condivisibile l'ipotesi di riforma del Comitato per la Programmazione Economica avanzata dal governo che potrebbe, così come strutturata, recare nocumento al patto di stabilità interno ove si prevede che qualora il progetto definitivo comporti oneri aggiuntivi, quest'ultimo venga non più sottoposto all'approvazione da parte del Cipe, bensì del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e dell'economia e delle finanze;
nella Tabella 0 dell'allegato infrastrutture sono ancora inserite una serie di opere infrastrutturali concentrate al Centro-Nord che risultano un evidente spreco di risorse e sarebbero invece da bloccare o, quantomeno, declassare;
si tratta per lo più di grandi assi viari che attraversano più regioni, come l'autostrada Cecina-Civitavecchia cosiddetta tirrenica, l'autostrada Orte-Mestre, E78 cosiddetta autostrada dei due mari, il raccordo autostradale della Cisa A15 – Autostrada del Brennero A22 Fontevivo (Pr) – Nogarole Rocca (Vr). In altri casi si tratta di autostrade o strade che, pur ricadenti nell'ambito di una sola regione, si presume siano di straordinaria importanza nel collegamento tra due o più tratte di maggiore rilievo come la Pedemontana veneta – Montecchio Maggiore (Vi) – Spresiano (TV); la Pedemontana Lombarda: collegamento autostradale Dalmine-Como-Varese-Valico del Gaggiolo ed opere ad esso connesse; il collegamento autostradale di connessione tra le città di Milano e Brescia (BreBeMi); il collegamento tra la S.S. n. 11 «Padana Superiore» a Magenta e la Tangenziale Ovest di Milano, con variante di Abbiategrasso e adeguamento in sede del tratto della S.S. n. 494 da Abbiategrasso fino al nuovo Ponte sul Ticino; il collegamento stradale, in variante alla S.S. 341 «Gallaratese», tra Samarate ed il confine con la provincia di Novara; il raccordo autostradale di collegamento della SP 46 «Rho-Pero» e della SS 33 del Sempione (Realizzazione di un asse principale di collegamento congiuntamente ad un sistema di 6 svincoli di interconnessione con la tangenziale ovest di Milano, l'autostrada A4 Torino-Venezia, l'autostrada A8 per Como-Varese, il nuovo polo fieristico ed il sistema della viabilità locale); la tangenziale est esterna di Milano; la bretella autostradale Campogalliano-Sassuolo e opere connesse; l'autostrada Medio Padana Veneta – Nogara (VR) – mare Adriatico e collegamento a ovest con la A22 del Brennero. Non solo queste opere risultano confermare la loro presenza all'interno del XII allegato ma ricevono un'ulteriore spinta con la modifica della loro classificazione e il loro ricadere all'interno del comprehensive network o grazie al «lasciapassare» Expo, venendo ricomprese all'interno di opere destinate ad agevolare l'accessibilità stradale alla Fiera di Milano;
nella maggior parte di questi casi si tratta di veri e propri ecomostri inutili o dannosi che tolgono attenzione e fondi pubblici ad altre infrastrutture del territorio che invece dovrebbero avere la priorità. La loro inutilità è a volte mascherata da errati studi di fattibilità sul traffico o da progetti vecchi anche di decine di anni e non rispondenti più alle esigenze del territorio e ai cambiamenti avvenuti nella viabilità. Inoltre sono spesso realizzate con il «bluff» del project financing: si propagandano come opere con scarsi o nulli costi pubblici ma che poi nei fatti sono un doppio esborso per i cittadini con grande guadagno dei concessionari. Non solo infatti viene deliberato un aumento delle tariffe autostradali ma poi spesso accade che i piani finanziari non siano in equilibrio e necessitino di un contributo statale come accade ad esempio per suddetto raccordo autostradale della Cisa;
ancora più preoccupanti risultano poi una serie di opere ferroviarie per la realizzazione della rete ad alta velocità quali il Terzo valico dei Giovi linea AV/AC Milano-Genova; linea AV/AC Milano-Verona; collegamento ferroviario AV/AC con l'aeroporto Marco Polo di Venezia nonché le tratte di collegamento ferroviario AV/AC Venezia – Trieste aeroporto Marco Polo – Portogruaro; Portogruaro-Ronchi dei Legionari, Ronchi dei Legionari-Trieste; il sottoattraversamento Altavelocità Firenze; Frejus ferroviario – Nuovo collegamento ferroviario Transalpino Torino-Lione. Si tratta di opere che richiedono consistenti fondi pubblici ma che, oltre all'evidente danno ambientale, rischiano di rivelarsi fallimentari dal punto di vista economico dato che, come nel caso, ad esempio, del Tav Torino Lione o dell’ Asse Venezia – Trieste, le linee storiche non risultano sature e le proiezioni non indicano neppure una crescita della domanda tale da giustificare tali investimenti;
per quanto concerne il settore ferroviario, sorgono dubbi sulla reale intenzione del governo di favorire una seria liberalizzazione di tutti i segmenti del mercato ferroviario, nonché una rivisitazione della governance del settore. Perplessità, tra le altre cose, derivanti anche dalla proposta di revisione delle procedure di approvazione dei contratti di programma sia di RFI che di ANAS. Secondo le intenzioni del Governo, suddetti contratti non dovrebbero più passare per il vaglio delle competenti commissioni parlamentari durante le fasi di stesura degli stessi (se non per conoscenza una volta approvati definitivamente dal CIPE) e dovrebbero essere redatti direttamente rispettivamente dal Gruppo Ferrovie dello Stato e Anas, seppur nel rispetto di quanto contenuto negli atti di indirizzo elaborati dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, riducendo, così, di fatto, la capacità di controllo, supervisione e i poteri di indirizzo del Governo e del Parlamento;
sempre nel settore ferroviario, risulta assolutamente non condivisibile l'intenzione del Governo di privatizzare Grandi stazioni Spa e Cento Stazioni Spa, società del gruppo Ferrovie dello Stato, chiamate a riqualificare, valorizzare e gestire rispettivamente le quattordici principali stazioni Italia e 103 stazioni ferroviarie situate nelle grandi aree urbane;
per quanto riguarda il settore stradale, tra le altre criticità, si segnala l'assenza di qualsiasi riferimento al sistema eCall di bordo;
nel documento in esame risultano del tutto assenti investimenti e interventi volti a favorire gli spostamenti su ferro, anziché su gomma, da e per i nodi intermodali;
seppur condividendo la volontà di superare la logica delle 24 autorità portuali, si ritiene necessario pensare anche ad una riforma del sistema di nomina delle stesse al fine di garantire trasparenza nelle procedure di selezione e maggiore competenza nella gestione;
appare del tutto sconveniente e non in linea con l'esito referendario del 2011, l'intenzione di liberalizzare e aprire alle potenzialità del mercato i servizi pubblici locali, tra i quali, anche il trasporto;
in termini generali, dal documento di economia e finanza e dai suoi allegati emerge il sostanziale disinteresse del Governo verso le tematiche del digitale nell'ottica del raggiungimento degli obiettivi Europa 2020. Le iniziative sull'Agenda digitale non fanno parte né delle «proposte strutturali», né delle «misure immediate» proposte dall'esecutivo che sembra voler proseguire le fallimentari politiche seguite dai propri predecessori sia in termini di governance che in termini di risorse (insufficienti) disponibili per la realizzazione dell'Agenda digitale italiana in sintonia con gli obiettivi proposti a livello europeo;
quanto alla governance appare evidente la continuità con le gestioni passate nel fallimentare dialogo tra più soggetti coinvolti: cabina di regia presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (organismo di cui non si conoscono criteri e modalità di selezione dei componenti e soprattutto risultati prodotti dalla sua istituzione); Agenzia per l'Italia Digitale (Agid) che ha iniziato ad operare da qualche mese in considerazione dell'attesa di oltre un anno per l'emanazione dello statuto della stessa, Ministero dello Sviluppo economico, regioni e altri enti quali Consip che giocano un ruolo centrale nell'attuazione degli obiettivi dell'agenda digitale. Sarebbe opportuno incentivare la semplificazione dei ruoli e delle competenze al fine di adoperare una rapida attuazione dell'agenda e tale obiettivo appare sconosciuto al DEF che si limita ad una ricognizione del fallimentare stato dell'arte;
quanto agli investimenti il quadro appare frammentario e francamente sconfortante. Si annunciano gare di Consip per 10 miliardi destinati alla digitalizzazione della PA ma non si indica da quali fonti si libereranno tali risorse; è apprezzabile sicuramente l'intendimento del Governo di inserire la digitalizzazione del Paese tra gli obiettivi tematici per la programmazione dei fondi strutturali 2014-2020 ma al momento non è dato avere evidenza di come si intendono modulare e destinare tali fondi;
ancora insufficienti appaiono le risorse destinate per il «Piano nazionale Banda Larga» (appena 120 milioni nel 2014) mentre sconcertante appare la posizione assunta sul «Piano Strategico Banda Ultralarga» rispetto al quale, considerando il fallimentare avvio nel 2013 (si veda la situazione della Basilicata rispetto alla quale, come rilevato dal Governo, non sono state presentate offerte di cofinanziamento da parte di privati) è necessario un deciso cambio di rotta intensificando l'intervento pubblico e disponendo, senza deroghe, la proprietà pubblica delle infrastrutture realizzate. Risorse addizionali potranno derivare dall'allocazione dei fondi nell'ambito del programma europeo per le reti TEN-T, come indicato nel Programma delle Infrastrutture strategiche del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, nell'ambito del quale è destinato 1 miliardo complessivo per le infrastrutture di comunicazione. Anche in questo caso, a differenza di quanto contenuto nel DEF, sarebbe opportuno e auspicabile coordinare gli interventi con quanto già in essere;
per quanto concerne gli interventi di digitalizzazione dell'amministrazione pubblica, che viene individuata come misura incisiva anche ai fini della Spending Review, nel DEF si riconosce la necessità di accelerare l'amministrazione digitale rimuovendo gli ostacoli all'utilizzo dei sistemi digitali nei rapporti tra cittadini e imprese e PA e si affida tale «accelerazione» ad un «piano d'azione» al momento sconosciuto nei termini e nelle risorse che saranno messe a disposizione per conseguire gli obiettivi perseguiti. Si tratta di un'impostazione sbagliata: la digitalizzazione richiede risorse, che allo stato non sono preventivate poiché tale digitalizzazione è in grado di far conseguire risparmi, anche significativi, solo nel medio-lungo periodo;
dalla lettura del DEF sembra che le azioni si dovrebbero concentrare su: anagrafe digitale dei cittadini italiani; identità digitale e attuazione delle norme sulla fatturazione elettronica. Interventi solo prospettati che senza evidenza sulle risorse che saranno impegnate a questi fini rischiano di rimanere sulla carta come tanti interventi prospettati in questi anni in tema di digitalizzazione delle PP.AA. centrali e locali.
In materia di Attività produttive e sostegno alle imprese:
nel documento si parla di rilancio della competitività ma senza un piano industriale, tant’è vero che i dati della produzione industriale non sono incoraggianti: nel 2013 è scesa del 3 per cento rispetto al 2012, quando aveva registrato un calo del 6,4 per cento su base annua;
nel DEF 2014 manca una seria riflessione sul ruolo della produzione industriale non tanto per l'occupazione diretta, ma per la spesa in ricerca e innovazione che genera e utilizza, per l'attivazione di servizi qualificati, per la possibilità di superare i limiti della domanda interna con le esportazioni. Inoltre, manca un'analisi seria sullo spostamento delle produzioni verso l'Asia; sui fenomeni di riorganizzazione internazionale delle Industrie; sulle opportunità, ma anche sui rischi del decentramento internazionale: in particolare sull'incapacità di produrre ricerca applicata di successo senza che vi sia una base industriale ad essa collegata;
i numerosi tavoli di confronto aperti al Ministero dello sviluppo economico sono stati in questi anni lo specchio delle difficoltà che stanno caratterizzando il nostro sistema industriale;
la tutela e la promozione del Made in Italy rappresenterebbe il rilancio dell'economia italiana ma nel documento non si accenna nulla di concreto su un piano nazionale ed europeo a riguardo della lotta alla contraffazione, salvo dichiarazioni di intenti sostanzialmente vuote a proposito dei compiti del Consiglio Nazionale Anticontraffazione (CNAC);
sul Turismo si cita ancora il Piano strategico nazionale del turismo del Governo Monti, quando il settore chiede atti urgenti soprattutto a livello fiscale ed infrastrutturale;
sul pagamento debiti P.A. alle imprese il Governo intende stanziare 13 miliardi, un importo di molto inferiore alle necessità e alle propagandistiche dichiarazioni di Renzi appena insediato, ma nemmeno per questo ridotto ammontare si comprende quali siano le modalità e la tempistica;
l'Allegato III al DEF presenta la «Relazione del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra. Legge n. 39 del 2011, articolo 2, comma 9», documento in cui sono riportate informazioni coerenti con quelle previste nella Delibera del CIPE recante il Piano di Azione Nazionale per la riduzione dei gas serra per il periodo 2013-2020, approvata in data 8 marzo 2013, aggiornate sulla base dei più recenti dati sulle emissioni. In esso sono elencate le misure e le azioni necessarie al raggiungimento degli obiettivi di contenimento delle emissioni al 2020, divise tra settori ETS (che ricadono sotto l'emission trading europeo) e settori NON-ETS. Per questi ultimi, la relazione riporta che soltanto «la piena attuazione degli impegni assunti in materia di efficienza energetica e fonti rinnovabili permette al Paese di ottenere riduzioni di emissione superiori a quelle necessarie per adempiere agli obiettivi» e «si evidenzia la necessità di assicurare la piena attuazione delle misure proposte o, in caso contrario, le emissioni effettive potrebbero discostarsi sensibilmente da quelle previste»;
nel documento sovracitato sono elencate le azioni da attuare in via prioritaria per il raggiungimento degli obiettivi annuali di cui alla decisione n. 406/2009/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dove al primo punto si chiede di «confermare fino al 2020 le detrazioni di imposta di cui all'articolo 4 del decreto legge 6 dicembre 2011 n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011 n. 214».
In materia di lavoro:
a fronte degli ambiziosi obiettivi evidenziati in più passaggi, il documento prefigura un insieme di misure per la crescita e di riforme appena accennate e, pertanto, del tutto inadeguate rispetto alle attese e alle esigenze più volte sottolineate in ambito europeo;
l'affidamento del recupero di potere d'acquisto dei salari da lavoro dipendente rimane esclusivamente affidata alla capacità di recupero dei salari di produttività e, pertanto, insufficienti a determinare un recupero significativo del potere d'acquisto e della domanda interna;
le supposte «azioni riformatrici» contenute nel DEF appaiono al contrario interventi di destrutturazione della certezza del diritto del lavoro e di, conseguente, ulteriore precarizzazione;
per quanto attiene agli ammortizzatori sociali il Documento rimanda ad una estensione dell'ASPI, a fronte della necessità di garantire una nuova impostazione universalistica ed equilibrata;
l'Italia continua ad essere ultima tra i paesi europei per quanto riguarda l'accesso delle donne ai ruoli dirigenziali, sia nel pubblico impiego che nel privato, e la presenza nei consigli di amministrazione prevedendo in particolare nell'ambito delle politiche del lavoro.
In materia di affari sociali e sanità a
il Documento in esame non si pone minimamente la questione di apportare nella sanità quelle riforme strutturali e paradigmatiche che avrebbero un riverbero notevole anche dal punto di vista civico oltre che finanziario con risparmi presunti di molti miliardi di euro;
il Movimento 5 Stelle ha provato a proporli e continua a proporli, nella convinzione che solo agendo strutturalmente si può dare contenuto positivo alla parola «razionalizzazione» che è stata invece negli ultimi decenni sinonimo di tagli lineari e riduzione dei servizi sociali e sanitari, di riduzione dei posti letto e isolamento e abbandono dei servizi territoriali a tutto vantaggio delle strutture private;
inoltre, il DEF dice in merito ai seguenti punti:
1) tempi di approvazione e sulle modalità di condivisione con i disabili sulle voci da aggiornare, modificare e inserire, nel nuovo nomenclatore tariffario delle protesi e delle ortesi;
2) l'indicazione dei risparmi che potrebbero derivare dal proporre e dall'approvazione di una norma semplice che disponesse di indicare nelle ricette il solo principio attivo, oppure l'avvio di produzione e distribuzione di farmaci in forma di monodose;
3) non prevede forse tagli, ma non prevede neanche risorse aggiuntive e adeguate per dare impulso al sistema sanitario nazionale, in particolare, sviluppando la rete territoriale finalizzata alla prevenzione e alla deospedalizzazione contestuale; la demedicalizzazione dei servizi di prevenzione primaria è fondamentale per la tutela della salute (ad es. principio di autocura, programmazione, informazione, ecc...);
4) sulla necessità di istituire un effettivo e congruo reddito di cittadinanza, che per il Presidente del Consiglio è buono solo per boutade giornalistiche, abbandonando fallimentari avventure come la social card o carta acquisti che dir si voglia, più simile ad una tessera di povertà che ad un percorso di accompagnamento sociale per i soggetti svantaggiati;
5) sulla necessità di adottare politiche finalizzate nella sanità ad una diversa ripartizione sanitaria passando strutturalmente da una prevenzione secondaria al potenziamento della prevenzione primaria e terziaria, orientando gli interventi sulla presa in carico a livello locale e domiciliare da parte di equipe multidisciplinari;
6) sulla necessità di una maggiore attenzione sulle misure da attuare nel campo del sostegno alle persone disabili, anche per i famigliari che prestano la loro assistenza spesso lasciati soli in un deserto di servizi,
impegna il Governo:
in merito agli aspetti di politica economica:
a farsi promotore presso le istituzioni europee di iniziative finalizzate a promuovere la rimozione dei vincoli e delle conseguenze contenute nel Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'unione economica e monetaria, cosiddetto Fiscal Compact;
a ritirare la Relazione allegata al DEF 2014 ripresentandola solo successivamente all'assenso ottenuto dalle preposte autorità europee come prescritto dalla legge 243 del 2012, integrandola altresì con i dati, attualmente mancanti, necessari ai fini del rispetto dell'articolo 6, comma 3 della legge 243 del 2012, ovvero indicando esattamente la misura e la durata dello scostamento, le finalità alle quali destinare le risorse disponibili in conseguenza dello stesso e un preciso piano di rientro verso l'obiettivo programmatico, commisurandone la durata alla gravità degli eventi;
a modificare la legge 24 dicembre 2012, n. 243, per abrogare l'articolo 16 che prevede l'istituzione dell'Ufficio parlamentare di bilancio, al fine di rinunciare alla realizzazione di tale Ufficio, le cui funzioni di controllo possono essere svolte egregiamente dalla Corte dei conti, senza impegnare ulteriori risorse finanziarie a carico del bilancio dello Stato;
a modificare la disciplina prevista dal decreto-legislativo 30 dicembre 2003 n. 396, in materia di privatizzazioni, al fine di prevedere:
a) un ampliamento delle modalità di utilizzo dei proventi destinati al Fondo ammortamento titoli di Stato, disponendo che i medesimi possano in parte anche essere reinvestiti in opere strutturali strategiche, idonee a promuovere il rilancio economico, determinando quindi un fattore di crescita del PIL, con conseguente riduzione del rapporto debito/PIL, nel rispetto degli obblighi derivanti dal fiscal compact. Una tale scelta di politica economica di riconversione degli assets patrimoniali statali per interventi strutturali consentirebbe di operare scelte di politica economica, a parità di risorse impiegate, per dare impulso all'economia senza nuova emissione di debito, evitando nel contempo di sacrificare le attività patrimoniali per una effimera riduzione del debito pubblico;
b) l'introduzione di una norma che, per procedere alle dismissioni di partecipazioni, vincoli il Governo ad acquisire preventivamente una relazione tecnica di organi competenti alla valutazione ed al controllo dei conti pubblici, quali l'istituendo Ufficio parlamentare di bilancio ovvero l'ISTAT, che accertino gli effetti finanziari conseguenti alle dismissioni di partecipazioni, al fine di assicurare che le dismissioni programmate abbiamo effetti migliorativi negli anni del quadriennio di riferimento del Documento di economia e finanze, non solo sulla situazione patrimoniale dello Stato, come minore debito pubblico, ma anche sul conto economico a medio termine incidendo sul miglioramento dell'indebitamento netto, ovvero aumentando l'accrescimento netto, in seguito al raggiungimento del pareggio di bilancio, mediante la prevalenza della riduzione della spesa corrente per interessi passivi rispetto alla riduzione delle entrate correnti annuali correlate alla riscossione dei dividendi delle partecipazioni da dismettere;
in materia di affari costituzionali:
a voler sostenere, nelle sedi parlamentari proprie, disegni di legge costituzionali volti ad una limitatissima revisione della Carta costituzionale, con esclusivo riferimento alla significativa riduzione del numero dei deputati e dei senatori ed alla autentica abrogazione delle province, abbandonando la irragionevole ed assurda riforma del bicameralismo, sì come prevista dal disegno di legge governativo 1429, all'esame del Senato della Repubblica;
ad adottare tempestivamente le iniziative, anche legislative, finalizzate alla riduzione del 30 per cento dell'indennità annualmente corrisposte ai titolari di cariche elettive nonché del trattamento economico omnicomprensivo annualmente corrisposto, in funzione della carica ricoperta o dell'incarico svolto, ai titolari di incarichi di vertice o quali componenti, comunque denominati, degli organismi, enti e istituzioni, anche collegiali, di cui all'allegato A, dell'articolo 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98;
a voler sostenere un percorso camerale volto ad assoggettare gli assegni vitalizi erogati a favore dei parlamentari cessati dal mandato o dei loro familiari ad un contributo di perequazione pari al 10 per cento per gli importi lordi fino a 90.000 euro e pari al 20 per cento per la parte eccedente gli importi lordi di 90.000 euro;
a voler sostenere un percorso camerale volto alla soppressione dell'assegno di fine mandato per i parlamentari in carica;
ad incrementare le dotazioni economico-finanziarie, con particolare riferimento alla Pianificazione e coordinamento delle forze di polizia, per le spese riservate alla Direzione Investigativa Antimafia, per i programmi di protezione dei collaboratori di giustizia per il contrasto al crimine, tutela ordine e sicurezza nonché per gli stipendi e le retribuzioni del personale degli agenti di sicurezza;
ad assumere le opportune iniziative, anche attraverso il reperimento delle risorse necessarie, ai fini della promozione di politiche pubbliche incisive ed idonee alla prevenzione della corruzione nella Pubblica Amministrazione da attuare in particolare attraverso sanzioni più rigorose e maggiore trasparenza nel procedimento amministrativo e nel rapporto con il cittadino e con gli operatori economici;
a valutare le opportune iniziative, anche di carattere normativo e regolamentare, volte: (i) all'ampliamento del regime delle ineleggibilità ed incompatibilità, per i soggetti titolari di cariche elettive pubbliche e di Governo – centrali e periferiche – condannati per i reati di corruzione e contro la pubblica amministrazione; (ii) a prevedere l'impossibilità, per gli imprenditori condannati per i reati di corruzione e contro la pubblica amministrazione, di avere rapporti economici con la pubblica amministrazione, con particolare riferimento al divieto di concorrere alle gare pubbliche per appalti, forniture e opere nella pubblica amministrazione, prevedendo analoghe misure per le persone giuridiche di cui sia accertata la responsabilità in tali ambiti; (iii) a prevedere, per i dipendenti pubblici e i dipendenti degli enti pubblici, economici e non economici, incompatibilità assoluta tra la condanna per reati di corruzione e la permanenza nei ranghi della pubblica amministrazione o degli enti di riferimento;
in materia di giustizia:
a porre il servizio giustizia che lo Stato rende al cittadino, basilare per il recupero di competitività del Paese, al centro della propria azione politica e progettuale, individuando adeguate e perduranti risorse economiche tese a conseguire efficienza ed efficacia per il funzionamento dell'amministrazione della giustizia sia mediante un significativo incremento di personale per l'intero comparto, sia giudicante che amministrativo, che attraverso la predisposizione di risolutive strategie di informatizzazione e digitalizzazione degli uffici e dei procedimenti con particolare riferimento al sistema delle comunicazioni e delle notificazioni per via telematica;
a provvedere, per l'anno in corso, in aggiunta alle facoltà assunzionali previste dalla normativa vigente, a indire un concorso pubblico per esami per l'assunzione di personale afferente le figure professionali di almeno 350 cancellieri e di 150 ufficiali giudiziari;
a intraprendere la strada di una riforma coerente e positiva di sistema, proposta mediante l'esclusivo strumento del disegno di legge, che intervenga sulla struttura del procedimento penale per eliminare gli ostacoli alla sua celere celebrazione, tale da risolvere definitivamente i problemi della giustizia legati alla ragionevole durata del processo e sul procedimento civile, da rivedere nel senso di poter conseguire un rito unico;
a rimuovere ostacoli economici e procedurali che si frappongono tra il cittadino e l'esercizio del proprio diritto alla giustizia a partire da:
una valorizzazione dell'istituto del gratuito patrocinio ed alla riduzione generalizzata delle spese di giustizia a carico dei cittadini (contributo unificato, marche da bollo, anticipazioni, etc.), a partire dalla soppressione delle misure di innalzamento dell'anticipazione forfettaria per le notificazioni nei procedimenti giurisdizionali e di riduzione di un terzo degli importi spettanti al difensore, all'ausiliario del magistrato, al consulente tecnico di parte e all'investigatore privato autorizzato nei casi di patrocinio a spese dello Stato;
l'abolizione di qualsiasi carattere di obbligatorietà, onerosità e consequenzialità sulle decisioni giudiziali dell'istituto della mediazione;
la cancellazione della previsione dell'introduzione di una motivazione a pagamento tale da limitare la possibilità per una vittima di poter ricorrere contro una sentenza sbagliata, se non pagando ulteriormente per la tutela di un diritto;
a rivedere l'attuale provvedimento di riordino degli uffici giudiziari, sospendendone l'attuazione ed implementando strumenti più adeguati per ottenere gli attesi obiettivi di risparmio ed efficienza;
ad individuare indispensabili ed adeguate risorse economiche a sostegno dell'implementazione del citato «piano nazionale antimafia» che siano aggiuntive rispetto a quanto complessivamente stanziato per la funzione giurisdizionale, così che il loro reperimento non comprima i diritti dei cittadini all'accesso alla giustizia né vada a detrimento di altri comparti del medesimo settore, che vi sia, insomma, una reale, tangibile volontà di investimento in un ambito che non può essere costretto, come previsto dal documento, ad una sorta di «autofinanziamento» attraverso la mera gestione dei fondi confiscati alla criminalità organizzata;
a sostenere altresì l'esame e l'approvazione delle proposte di legge di iniziativa parlamentare, quale concreta garanzia di una loro effettiva e duratura realizzazione, in tema di:
a) revisione dell'impianto normativo e depenalizzazione dei reati connessi alla coltivazione, cessione e consumo della cannabis; depenalizzazione del reato di immigrazione clandestina; inasprimento per le pene legate ai reati di corruzione ed alla loro prevenzione; revisione della prescrizione nel processo penale;
b) riciclaggio, autoriciclaggio e detenzione di attività finanziarie all'estero;
c) determinazione e il risarcimento del danno non patrimoniale; riforma dello strumento dell'azione di classe;
d) reformatio in peius nel processo d'appello in caso di proposizione dell'impugnazione da parte del solo imputato; protezione degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità nell'interesse pubblico; divorzio breve; l'azione di risarcimento del danno ambientale;
con riferimento al sistema carcerario:
a mettere in campo un'incisiva opera di depenalizzazione sia sul fronte del reato di clandestinità, che sugli inasprimenti dei reati sugli stupefacenti introdotti dalla legge cosiddetta Fini-Giovanardi;
a reperire le necessarie risorse finanziarie per l'edilizia penitenziaria prevedendo, nel rispetto della normativa vigente, la realizzazione di nuove strutture solo ove necessario e, con priorità, l'ampliamento e l'ammodernamento di quelle esistenti che siano adattabili, assicurando anche l'attuazione dei piani e dei programmi a tal fine previsti, evitando il ricorso a procedure straordinarie in deroga alla normativa sugli appalti di lavori pubblici;
ad assumere le opportune iniziative volte ad incentivare – nel pieno rispetto dei diritti riconosciuti alle persone detenute e delle norme nazionali ed internazionali di carattere pattizio – il trasferimento delle persone straniere detenute che abbiano subito condanna definitiva, assicurando a tal fine una più ampia ed efficace applicazione della Convenzione del Consiglio d'Europa firmata a Strasburgo il 21 marzo 1983 e favorendo altresì la conclusione di appositi accordi in tal senso con altri paesi, in modo da consentire ad un maggior numero di persone di scontare la condanna nel paese d'origine;
a garantire il principio della certezza della pena, ponendo fine all'emanazione di norme emergenziali recanti sconti di pena generalizzati a scapito della sicurezza dei cittadini;
a far si che solo a fronte di interventi e di un reperimento di fondi per rendere più spediti i processi penali ed al fine di poter incidere positivamente sulla questione del diffuso utilizzo della custodia cautelare in carcere, sia possibile prevedere di estendere la custodia cautelare al proprio domicilio;
ad istituire un Garante per i diritti dei detenuti che sia concretamente slegato ed indipendente, sia sul piano formale che sostanziale, dall'Esecutivo;
ad assumere iniziative per lo stanziamento di fondi necessari per completare l'organico degli operatori, compresi psicologi ed educatori, previsti dalla pianta organica attualmente vigente presso il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria;
in materia di difesa:
a) destinare parte dei risparmi effettuati con la riforma dello strumento militare per migliorare la gestione corrente della formazione del personale e della gestione dei mezzi, a fronte di una riduzione di nuovi investimenti in sistemi d'arma;
b) destinare l'assegnazione delle strutture militari in dismissione, localizzate in luoghi strategici delle città, per nuove funzioni che consentano per le altre amministrazioni risparmi in contratti di locazione;
c) abbandonare, in via definitiva, il programma per la produzione e l'acquisto dei previsti cacciabombardieri Joint Strike Fighter (F35) parallelamente ad una riconversione delle industrie che operano nella produzione degli stessi;
d) rivalutare la necessità di ogni singola missione militare all'estero non solo dal punto di vista economico ma anche e soprattutto per rispettare il dettame costituzionale indicato dall'articolo 11;
e) ad incardinare al più presto una proposta di legge che detti criteri e tempi del Libro Bianco della Difesa dando un ruolo centrale al Parlamento;
f) ripensare alle modalità di svolgimento di parate militari, anche in occasione di festeggiamenti nazionali, nonché ai programmi volti all'avvicinamento dei giovani alle Forze Armate (cd. Naja breve) al fine di ridurre i costi delle stesse generando un risparmio immediato;
in merito agli affari esteri:
ad adottare un piano di riallineamento dell'Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) dell'Italia, anche nel contesto multilaterale, che preveda un livello minimo di stanziamenti con incrementi graduali almeno del 20 per cento;
a destinare almeno il 30 per cento del gettito della tassa sulle transazioni finanziarie alla cooperazione internazionale;
a ridurre significativamente la presenza diplomatico-consolare in Europa attraverso il graduale trasferimento del personale ivi operante verso i Paesi emergenti e nelle aree di nuova priorità;
a utilizzare parte del risparmio ottenuto dalla diminuzione di personale di ruolo in servizio all'estero, soprattutto per l'assunzione di personale a contratto e parte per la formazione di personale di ruolo qualificato, secondo regole di trasparenza e pubblicizzazione dei curricula;
a valutare, nell'ottica del risparmio, un piano di riduzione che vada oltre la rete diplomatico-consolare per coinvolgere tutti i capitoli rimodulabili del bilancio del Ministero, nonché quelli che richiedano interventi di modifica legislativa, e a considerare, come possibile direttiva d'indirizzo del piano, un potenziamento delle strutture adibite alla diffusione della lingua e cultura italiana, che agevoli l'aumento del sostegno ai ricercatori all'estero, come peraltro previsto dagli impegni assunti in precedenza dal Mae;
in merito alle politiche del lavoro:
a prevedere un più deciso impegno per assumere apposite misure finalizzate ad innalzare il livello dei servizi professionali, quale intervento indispensabile a garantire sviluppo e nuova occupazione;
a precisare e rafforzare l'ambito della riforma del fisco, in modo tale che la riduzione del cuneo fiscale sul lavoro, nonché la riduzione del prelievo sui redditi da lavoro più bassi e quello sulle imprese, possa ridurre in proporzione diretta la pressione fiscale sui contribuenti leali e, in particolare, sul lavoro e sull'impresa;
con riguardo al mercato del lavoro, alle regole e alle procedure della contrattazione, alla qualità delle relazioni sociali, le esigenze di cambiamento devono essere altrettanto chiare. In tale ambito occorre chiarire l'impegno all'adozione di misure volte a premiare la produttività, disponendo risorse certe e continuative per il finanziamento delle politiche incentivanti (defiscalizzazione e decontribuzione), favorire la mobilità, accrescere il livello della partecipazione dei lavoratori nelle imprese, semplificare norme e procedure, anche al fine di attrarre investimenti diretti esteri in Italia;
rendere il contratto di lavoro a tempo indeterminato quale rapporto di lavoro ordinario;
mettere in bilancio il finanziamento ordinario delle strutture istituzionalmente preposte alle politiche pubbliche per la formazione e l'occupazione, a partire dai Centri per l'impiego;
istituire il reddito di cittadinanza, che si qualificherebbe non solo socialmente necessario, ma come sostegno alla domanda, ed efficientamento del sistema – costosissimo – degli ammortizzatori in deroga;
predisporre interventi normativi redistributivi volti a ridurre le disuguaglianze sociali che garantirebbero degli effetti macroeconomici, nonché sociali positivi;
in merito alle politiche fiscali:
a ridurre l'onere e il costo degli adempimenti fiscali a carico dei contribuenti favorendo il processo di automazione e telematizzazione di tutte le operazioni contabili in materia di determinazione dell'imposta sul valore aggiunto (IVA): emissione, ricezione e registrazione delle fatture, liquidazione e versamento del tributo, redazione ed invio dei dichiarativi fiscali, attraverso la predisposizione di software gratuiti che agevolino i contribuenti nella esecuzione dei menzionati adempimenti e nella comunicazione delle informazioni all'Amministrazione Finanziaria in una ottica di normalizzazione, riduzione del costi della compliance e di progressiva sostituzione delle attuali, obsolete modalità cartacee di tenuta delle citate operazioni in virtù anche dell'impegno che il Governo ha assunto con la delega fiscale e con le mozioni in materia di IVA recentemente approvate sulle esenzioni da adempimenti per i piccoli contribuenti e per la «deforestazione» degli adempimenti inutili a vantaggio di tutti gli altri;
modificare la disciplina del «crowfunding» al fine di consentirne l'accesso al medesimo istituto anche alle società diverse dalle «startup innovative»;
utilizzare il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese anche per garantire le operazioni di crowfunding;
istituire presso l'Agenzia delle entrate una «Camera di compensazione» preposta a compensare debiti e crediti tra privati provvedendo direttamente anche ai relativi adempimenti fiscali;
rivedere i criteri di definizione del tasso di usura al fine di ridurre il costo del denaro, in particolar modo per le piccole e medie imprese;
rivedere i criteri per la predisposizione degli studi di settore introducendo parametri che tengano in maggiore considerazione le caratteristiche ambientali, economiche e finanziarie relative al territorio nel quale l'impresa opera al fine di garantirne la massima aderenza alla reale capacità contributiva dei contribuenti;
ampliare il campo di applicazione degli strumenti deflattivi del contenzioso anche agli accertamenti basati sugli studi di settore nello spirito della leale collaborazione tra contribuente e amministrazione finanziaria;
escludere l'applicazione degli studi di settore per le microimprese;
applicare l'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), escludendo dalla relativa base Imponibile i costi del personale;
estendere la disciplina del «regime fiscale di vantaggio per l'imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità» alle società di persone o di capitali di nuova costituzione;
a valutare l'opportunità di introdurre benefici fiscali per gli investimenti in tecnologie a basso impatto ambientale nei processi di riconversione industriale dei siti di interesse nazionale contaminati, al fine di attivare crescita ed occupazione «verde», a condizione che il saldo occupazionale netto di tali investimenti sia positivo;
in merito al settore Scuola, università e cultura:
a reperire le risorse necessarie per restituire peso e valore all'istruzione scolastica, per promuovere la formazione degli insegnanti, per valorizzare la professionalità docente e per sostenere l'innovazione didattica e organizzativa, nella consapevolezza che la scuola debba rappresentare uno dei più importanti fattori di crescita del Paese;
a prevedere la modifica dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito dalla legge n. 214 del 2011, affinché i requisiti per il pensionamento previsti dalla normativa antecedente alla riforma Fornero continuino ad applicarsi ai lavoratori della scuola che abbiano maturato i requisiti medesimi, entro l'anno scolastico 2011/2012, ai sensi dell'articolo 59, comma 9, della legge 27 dicembre 1997, n. 449;
ad adottare iniziative concrete per modernizzare le università italiane, nella consapevolezza che l'università debba essere un motore essenziale della mobilità sociale e della crescita;
a stanziare le risorse necessarie al fine di favorire e di non penalizzare il comparto della ricerca, con l'obiettivo di creare una nuova leva di giovani ricercatori e di investire su di essi come risorsa per modernizzare tanto il funzionamento delle istituzioni di ricerca quanto l'università, rendendola un motore essenziale della mobilità sociale e della crescita;
a provvedere attraverso l'assunzione di urgenti politiche alla sostanziale abolizione dell'attuale sistema dei punti organico, nonché ad un graduale ripristino del turnover fino al 100 per cento delle risorse liberate dai vari pensionamenti, garantendo così che la soglia del corpo docente e di ricerca sia tale da consentire il concetto funzionamento del sistema universitario italiano ed il suo necessario sviluppo;
ad effettuare investimenti nell'intero settore culturale, con strategie di lungo periodo, invertendo completamente la pratica, consueta negli ultimi tempi, di considerare le risorse destinate alla cultura come spese non prioritarie stante la situazione di crisi economica e dei conti pubblici;
a perseguire efficacemente gli obiettivi Strategia di Europa 2020, ovvero l'incidenza della popolazione laureata tra i 30-34 anni pari al 40 per cento potenziando e modificando rimpianto del Diritto allo studio, dell'orientamento e favorire l'accesso agli studi per i meno abbienti;
a potenziare il sistema di accreditamento dei corsi di laurea valorizzando i corsi di laurea esistenti e scongiurando la chiusura di molti corsi di studio causati dalla mancanza di risorse e da criteri di accreditamento troppo restrittivi;
a stabilizzare il Fondo Integrativo per il Diritto allo Studio per renderlo sufficiente a coprire la totalità degli aventi diritto alle borse di studio, pertanto è necessario prevedere (o reintrodurre) un limite alla contribuzione studentesca universitaria per favorire l'accesso all'istruzione universitaria favorendo l'iscrizione ai corsi di laurea con profilo scientifico;
a integrare I fondi che favoriscano la mobilità interna per garantire il diritto allo studio anche ai meno abbienti;
adottare provvedimenti affinché l'effettiva operatività dell'ANVUR non porti ad una competizione tra Atenei provocando una netta disomogeneità tra di essi, ma si adottino sistemi di valutazione volti ad individuare le criticità maggiori, per programmare un piano di investimenti finalizzato al raggiungimento di standard minimi di qualità. Contemporaneamente vanno valorizzate le eccellenze sia nell'ambito della ricerca che della didattica, carpendone i modelli vincenti per «esportarli» in altre realtà universitarie nazionali;
programmare un piano d'investimenti pluriennale per i beni culturali, non limitandosi ad interventi straordinari dettati solo dall'urgenza e dalla contingenza, ma attraverso una seria programmazione con la riduzione delle aliquote IVA per il mercato della musica, agevolazioni fiscali per il mercato culturale e i suoi attori e che veda il coinvolgimento e la responsabilizzazione delle regioni; andrebbero introdotte nuove regolamentazioni sulle licenze d'autore, che diano maggiori opportunità di lavoro e maggior prodotti e servizi culturali, prendendo atto che la fruizione dei prodotti d'intrattenimento è ormai cambiata nelle abitudini dei cittadini;
è necessario introdurre meccanismi virtuosi di reperimento e distribuzione delle risorse nel settore dello spettacolo e non si può consentire lo sperpero dell'immenso patrimonio culturale italiano attualmente in atto;
in materia ambientale:
a valorizzare la gestione sostenibile del capitale naturale, che va inserito negli strumenti di contabilità pubblica, come indicato dall'Unione Europea nel Regolamento 691/2011 e nella Comunicazione COM 2009 433 «Non solo PIL Misurare il progresso in un mondo di cambiamento»; tale obiettivo dovrebbe essere raggiunto prevedendo già in questo DEF, come parte integrante, un ulteriore allegato denominato «Rapporto sullo Stato del Capitale Naturale del Paese» contenente informazioni e dati inseriti secondo le metodologie stabilite dalle Nazioni Unite nel «System of Environmental Economic Accounting (SEEA)»;
a rispettare gli impegni assunti in materia di politica abitativa, prevedendo l'adozione di misure finalizzate a: riconoscere il diritto all'abitare; riqualificare il patrimonio immobiliare per uso abitativo; salvaguardare il patrimonio immobiliare pubblico prediligendo politiche di diritto alla casa piuttosto che politiche speculative; bloccare sgomberi e sfratti; utilizzare il patrimonio immobiliare pubblico e quello privato che non risulti abitato, quello degli enti previdenziali e dei fondi immobiliari e bloccare le vendite speculative del patrimonio pubblico; realizzare progetti per il riuso delle città secondo politiche volte al consumo di «suolo zero»; trasferire le risorse destinate a grandi opere e grandi eventi in un apposito fondo per il diritto all'abitare, al reddito, alla salute e alla mobilità; attuare il censimento degli immobili inutilizzati; adottare una politica fiscale che disincentivi la proprietà di immobili vuoti e la conseguente speculazione; prevedere l'utilizzo immediato dei beni sequestrati alla mafia per l'emergenza abitativa;
ad avviare, modificando sin da ora l'elenco delle opere strategiche prioritarie, un chiaro cambio di rotta sulle politiche infrastrutturali, che porti, finalmente, ad un riequilibrio modale, a privilegiare gli interventi di maggiore interesse sociale, come la riqualificazione e messa in sicurezza della rete viaria, il potenziamento della rete ferroviaria locale e del trasporto pubblico locale, la messa in sicurezza del territorio, il riequilibrio modale tra ferro e gomma;
a riconfermare gli obiettivi sulla raccolta differenziata dei rifiuti e ad adottare iniziative di sostegno agli enti locali per il raggiungimento degli stessi, anche al fine di rispettare le indicazioni comunitarie in materia;
ad adottare misure concrete per affrontare in modo efficace i problemi ambientali e sanitari della città di Taranto e dei suoi abitanti, tenendo conto della procedura d'infrazione aperta in sede europea e del preannuncio dell'invio di una nuova lettera di messa in mora per la violazione della direttiva sulle emissioni industriali;
a prevedere che gli interventi di riparazione ambientale dei siti contaminati siano posti a carico dei soggetti che hanno causato le contaminazioni e, in caso di necessità, ad avviare i necessari interventi di bonifica o ripristino ambientale dei siti inquinanti, allo scopo utilizzando una quota parte delle risorse del fondo per lo sviluppo e coesione, come previsto dall'articolo 1, comma 7, della legge n. 147 del 2013;
a garantire il pieno rispetto e la reale attuazione dell'esito referendario con l'approdo ad una vera gestione pubblica e partecipativa dell'acqua, dando uno spazio reale ai cittadini nella gestione dei beni comuni ed eliminando definitivamente la quota di remunerazione del capitale investito dalla tariffa e garantendo l'esclusione di ogni possibilità di lucro nella gestione del Servizio idrico integrato, che deve essere affidato ad enti di diritto pubblico;
dopo il passo avanti compiuto sotto il profilo penale attraverso l'introduzione del reato di combustione illecita di rifiuti, ad impegnarsi ad apportare le necessarie modifiche migliorative e ad approvare rapidamente il ben più organico intervento in tema di delitti ambientali già approvato dalla Camera e attualmente all'esame del Senato, con l'atto n. 1345;
ad assumere un chiaro impegno per accelerare l'approvazione delle proposte di legge per il contenimento del consumo di suolo e per garantirne la rapida attuazione;
in materia di trasporti ed infrastrutture:
a rivedere e ridurre, compatibilmente con le risorse finanziarie esistenti, il numero complessivo di opere infrastrutturali attraverso una razionalizzazione dell'offerta infrastrutturale e trasportistica del Paese. In particolare a ridurre gli investimenti per la costruzione di nuovi corridoi e di nuove linee ferroviarie, destinando le recuperate risorse alla soluzione dei nodi che provocano quotidiani fenomeni di congestione urbana, alla messa in sicurezza delle infrastrutture di trasporto, allo sviluppo degli strumenti di intelligent transport system, alla promozione della logistica portuale. Tutto ciò al fine di migliorare la sostenibilità dei trasporti, in termini di riduzione dei consumi energetici, di abbattimento delle emissioni di gas serra e di particolato molecolare tossico, anche attraverso un riequilibrio modale teso a trasferire quote di viaggiatori e merci dal trasporto su gomma a quello su ferro;
ad adeguare, senza adoperare una privatizzazione del settore, l'offerta di trasporto pubblico locale alle reali esigenze di mobilità della popolazioni, puntando sulla valorizzazione e l'efficientamento delle aziende di trasporto pubblico, da realizzarsi attraverso piani industriali credibili, stabilità del quadro normativo, certezza delle risorse finanziarie, ammodernamento della flotta, promozione della pianificazione integrata trasporti-territorio;
a favorire una piena e reale liberalizzazione del settore ferroviario, soprattutto per quanto concerne la governance, e a rivedere lo strumento di contrattazione tra lo Stato e Anas e Ferrovie dello Stato al fine di garantire un maggior potere di controllo e di indirizzo da parte dello Stato sulle società di cui in parola;
a rivedere l'attuale orientamento del Governo volto a favorire la realizzazione delle opere infrastrutturali attraverso procedure di finanziamento alternative quali, ad esempio, il partenariato pubblico privato;
a sospendere ed annullare, poiché risulta essere totalmente assente una politica seria di lungo periodo mirante all'abbattimento del debito pubblico, gli interventi di cosiddetta privatizzazione messi in campo dal Governo, soprattutto per quanto concerne Poste S.p.a. ed Enav;
a sospendere la privatizzazione di Grandi stazioni Spa e Cento Stazioni Spa appartenenti al gruppo Ferrovie dello Stato;
ad aggiornare l'elenco delle opere previsto dalla Legge Obiettivo, partendo dall'analisi della domanda di mobilità, dal rigoroso rispetto delle risultanze contenute nell'analisi costi benefici e negli studi di fattibilità tecnico economica ed in ogni caso a togliere dalla Tabella 0 dell'allegato infrastrutture e quindi ad annullare o quantomeno a declassare la realizzazione delle seguenti opere: l'autostrada Cecina-Civitavecchia cosiddetta tirrenica, l'autostrada Orte-Mestre, E78 cosiddetta autostrada dei due mari, il raccordo autostradale della Cisa A15 – Autostrada del Brennero A22 Fontevivo (Pr) – Nogarole Rocca (Vr). In altri casi si tratta di autostrade o strade che, pur ricadenti nell'ambito di una sola regione, si presume siano di straordinaria importanza nel collegamento tra due o più tratte di maggiore rilievo come la Pedemontana veneta – Montecchio Maggiore (Vi) – Spresiano (TV); la Pedemontana Lombarda: collegamento autostradale Dalmine-Como-Varese-Valico del Gaggiolo ed opere ad esso connesse; il collegamento autostradale di connessione tra le città di Milano e Brescia (BreBeMi); il collegamento tra la S.S. n. 11 «Padana Superiore» a Magenta e la Tangenziale Ovest di Milano, con variante di Abbiategrasso e adeguamento in sede del tratto della S.S. n. 494 da Abbiategrasso fino al nuovo Ponte sul Ticino; il collegamento stradale, in variante alla S.S. 341 «Gallaratese», tra Samarate ed il confine con la provincia di Novara; il raccordo autostradale di collegamento della SP 46 «Rho-Pero» e della SS 33 del Sempione (Realizzazione di un asse principale di collegamento congiuntamente ad un sistema di 6 svincoli di interconnessione con la tangenziale ovest di Milano, l'autostrada A4 Torino-Venezia, l'autostrada A8 per Como-Varese, il nuovo polo fieristico ed il sistema della viabilità locale); la tangenziale est esterna di Milano; la bretella autostradale Campogalliano-Sassuolo e opere connesse; l'autostrada Medio Padana Veneta – Nogara (VR) – mare Adriatico e collegamento a ovest con la A22 del Brennero;
per quanto concerne le opere ferroviarie, ad annullare, in favore di un intervento di messa in sicurezza ed ammodernamento delle linee preesistenti, la realizzazione di nuove tratte tra le quali si segnalano le reti ad alta velocità quali: il Terzo valico dei Giovi linea AV/AC Milano-Genova; linea AV/AC Milano-Verona; collegamento ferroviario AV/AC con l'aeroporto Marco Polo di Venezia nonché le tratte di collegamento ferroviario AV/AC Venezia – Trieste aeroporto Marco Polo – Portogruaro; Portogruaro-Ronchi dei Legionari, Ronchi dei Legionari-Trieste; il sottoattraversamento Altavelocità Firenze; Frejus ferroviario – Nuovo collegamento ferroviario Transalpino Torino-Lione;
ad intervenire in modo efficiente sul tema della sicurezza stradale, promuovendo i controlli anche nei confronti dei vettori merci stranieri che, per effetto delle disposizioni sulla libera circolazione delle merci, attraversano il nostro territorio in violazione delle norme contenute nel Codice della Strada;
a rivedere, in termini di efficienza, la governance dell'Agenda digitale italiana semplificando i centri decisionali e destinando risorse finanziarie sufficienti al raggiungimento degli obiettivi proposti nella strategia Europa 2020;
a rivedere e coordinare gli interventi tra i vari livelli istituzionali coinvolti relativi alle risorse destinate all'implementazione dell'agenda digitale italiana ed in particolare al «Piano nazionale Banda Larga» e al «Piano Strategico Banda Ultralarga», intensificando l'intervento pubblico e disponendo, senza deroghe, la proprietà pubblica delle infrastrutture realizzate;
a rivedere gli interventi di digitalizzazione dell'amministrazione pubblica destinando risorse specifiche a tale scopo anche derivanti dai fondi strutturali 2014-2020;
in materia di attività produttive:
ad attuare con gli strumenti della politica nazionale un'efficace lotta alla contraffazione nelle dogane e sul territorio, in difesa dei consumatori e della produzione nazionale;
a certificare, in tempi brevi, i debiti della pubblica amministrazione ai fini della compensazione con i crediti fiscali da parte delle imprese, assumendo iniziative per prevedere delle sanzioni nei confronti degli enti inadempienti;
a adottare ogni iniziativa in sede europea, finalizzata a concordare con la Commissione europea un piano straordinario, di natura una tantum, per il pagamento dei debiti pregressi delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle imprese creditrici, che preveda che l'uscita di cassa non vada ad incidere sul pareggio di bilancio strutturale del nostro Paese per tutto il periodo ritenuto necessario per l'azzeramento dei debiti pregressi accumulati;
a rendere stabile e certa la detrazione fiscale per interventi di efficienza energetica/ristrutturazione edile, prevedendo una premialità nei confronti degli interventi che massimizzano l'efficacia rispetto al costo per la collettività, e garantendo un riequilibrio della capacità d'accesso agli incentivi che li renda convenienti anche per i contribuenti a minor reddito;
in materia di sanità ed affari sociali:
individuare risorse aggiuntive congrue o in alternativa riallocarle allo scopo di dare impulso al sistema sanitario nazionale in particolare sviluppando la rete territoriale attraverso l'uso di figure di operatori sanitari e socio-sanitari con la finalità di un potenziamento della «Primary Health Care», modello ottimale per l'Italia, come indicato dall'OMS, e dei modelli di Sanità d'iniziativa «benchmark» in Italia e alla conseguente deospedalizzazione e demedicalizzazione che deriva dal drenaggio della domanda dei servizi per le acuzie dei servizi di «Diagnosi e cura» di Prevenzione Secondaria a favore di una programmazione a lungo termine dell'assistenza domiciliare indiretta per le patologie croniche e neurodegenerative;
effettuare un attento monitoraggio dei «portatori d'interesse – lobbies» come i grandi imprenditori della sanità, quali casi farmaceutiche, imprenditoria sanitaria residenziale privata finalizzata all'accreditamento e al blocco immediato di politiche dirette o indirette volte alla sostituzione del servizio sanitario pubblico con uno privato;
impegnarsi nella lotta alla corruzione anche applicando in maniera rigorosa la legge 190 del 2012 e i decreti legislativi 33 del 2013 e 39 del 2013 sulla trasparenza, la prevenzione dei conflitti di interesse, l'incompatibilità e l'inconferibilità di cariche e la prevenzione della corruzione, la nomina dei responsabili per la prevenzione della corruzione, la pubblicazione dei piani triennali anticorruzione da parte di tutti gli enti pubblici sanitari;
porre in essere efficaci misure di contrasto alla povertà anche attraverso l'istituzione del «Reddito di cittadinanza» abbandonando politiche assistenziali come la social card che non rappresentano segnali concreti di discontinuità nelle politiche di riforma del welfare;
presentare apposito provvedimento legislativo che preveda l'indicazione nelle ricette del solo principio attivo e l'avvio di produzione e distribuzione di farmaci in forma di monodose;
procedere in maniera concordata e trasparente con le parti interessate, usando forme di discussione sul web e online per l'aggiornamento del nomenclatore tariffario delle protesi e delle ortesi;
mantenere nell'ambito del servizio sanitario nazionale le risorse derivanti dai tagli agli sprechi; dalla centralizzazione degli appalti di beni e servizi; dalla riduzione delle retribuzioni dei dirigenti, finalizzandole in particolare: a) al potenziamento della prevenzione primaria e della prevenzione terziaria, ovvero della presa in carico a livello locale e domiciliare da parte di equipe multidisciplinari; b) alla ricerca e alla produzione di farmaci orfani; c) all'incremento del fondo per la non autosufficienza;
destinare il totale delle risorse derivanti dalle scelte dei contribuenti riguardante il 5 per mille alle associazioni di volontariato;
aumentare in maniera significativa la tassazione sul gioco d'azzardo in particolare dei settori in forte espansione e a forte patogenicità come il gioco d'azzardo online e il settore delle VLT;
intervenire in maniera efficace, anche con provvedimenti legislativi, nel contrasto delle frodi e delle truffe nel servizio sanitario, che numerosi scandali e inchieste della guardia di finanza hanno evidenziato e quantificato in oltre un miliardo l'anno, anche causate da un perverso intreccio tra politica e malaffare, atteso che gli scandali e le inchieste hanno svelato una incapacità strategica e una evidente inadeguatezza di controlli da parte di funzionari pubblici delle amministrazioni centrali e locali;
in merito a settore agricoltura:
adottare tutte le opportune iniziative volte ad assicurare il pieno utilizzo dei fondi strutturali europei e del Feasr in particolare, attraverso la puntuale definizione dei programmi nazionali e regionali e il potenziamento dell'assistenza tecnica delle Autorità di gestione e delle amministrazioni competenti;
valutare l'opportunità di svincolare la quota di cofinanziamento regionale dei Programmi di Sviluppo Rurale al fine di migliorare e potenziare la capacità di spesa e consentire il rapido avvio dei progetti;
definire le misure nazionali di attuazione della PAC 2014-2020 in modo da concentrare il sostegno comunitario sugli agricoltori attivi e ad evitare di concedere i contributi accoppiati a quei settori nei quali l'impatto degli importi risulti irrilevante;
provvedere con urgenza, anche nell'ambito del processo di revisione del titolo V della Costituzione, al riordino del sistema dei controlli nel settore agroalimentare, al fine di evitare i numerosi fenomeni di sovrapposizione esistenti e diminuire gli oneri a carico delle aziende.
(6-00071) «Brescia, Castelli, Caso, Cariello, D'Incà, Currò, Brugnerotto, Sorial».