Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 19 maggio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:


   La XII Commissione,
   premesso che:
    gli allevamenti di suini italiani sono attualmente colpiti da due emergenze sanitarie, la peste suina africana e la malattia vescicolare suina, che provocano danno a tutto il settore suinicolo e di trasformazione e ne limitano le esportazioni e la commercializzazione dei prodotti;
    la malattia vescicolare suina (MVS) ha colpito negli anni scorsi gli allevamenti della nostra nazione. Il Ministero della salute ha emanato le ordinanze ministeriali 12 aprile 2008 su «Identificazione dei suini e allevamenti di suini» e «Misure sanitarie di eradicazione della malattia vescicolare del suino e di sorveglianza della peste suina classica» che riprendono il documento SANCO/10543/2007 rev.1 che modifica la decisione 2005/782/CE e modificato ancora in data 4 marzo 2008 con documento SANCO/10543/2007 rev.2 e la decisione 2007/782/CE;
    l'accreditamento aziendale e regionale di indennità da malattia vescicolare suina consente la possibilità di movimentazione degli animali e delle carni, ma attualmente in Italia non si ha l'accreditamento di tutte le regioni per l'indennità da MVS. Infatti ad oggi le regioni Campania e Calabria presentano ancora dei focolai;
    questa presenza di MVS impedisce la commercializzazione di carne suina e sottoprodotti di carne suina verso alcuni Paesi esteri procurando grave danno alle nostre aziende suinicole e alle aziende agroalimentari di trasformazione;
    riconoscendo l'autonomia regionale di intervento anche su questo piano di eradicazione della MVS, la mancata risoluzione dell'infezione causa un danno anche agli altri allevamenti nazionali;
    come previsto nella ordinanza ministeriale 12 aprile 2008, interventi di abbattimento dei capi infetti e precise e severe norme di biosicurezza consentono l'eradicazione del virus infettivo e dei capi infetti. Inoltre la corretta identificazione dei capi suini e la loro movimentazione elimina la possibile diffusione del contagio;
    la peste suina africana (PSA) è una malattia altamente contagiosa dei suini domestici e selvatici, non trasmissibile all'uomo, causata da un virus a DNA, genere Asfavirus, appartenente alla famiglia degli Asfaviridae. In Italia è attualmente presente solo in Sardegna dal 1978;
    la presenza del virus della PSA in Europa costituisce un freno al consolidamento di flussi commerciali di esportazione di carne suina e trasformati verso Paesi come Giappone, Brasile e India, pertanto l'eradicazione della PSA diventa una priorità. In questi ultimi mesi sono stati segnalati casi di focolai di PSA anche nell'est Europa (Lituania e Polonia) con il timore della diffusione della malattia e la riduzione delle esportazioni internazionali verso Paesi indenni dalla malattia;
    il decreto legislativo n. 54 del 20 febbraio 2004 recepisce le misure comunitarie per la lotta contro la PSA e il Centro di referenza nazionale per le pesti suine ha elaborato il «Piano di Emergenza per la Peste Suina Classica e la Peste Suina Africana»;
    la presenza di allevamenti di piccole dimensioni e famigliari, accompagnata dalla presenza di cinghiali selvatici, ha reso difficile l'eradicazione della malattia in Sardegna,

impegna il Governo:

   a verificare la piena attuazione delle ordinanze ministeriali 12 aprile 2008 «Misure sanitarie di eradicazione della malattia vescicolare del suino e di sorveglianza della peste suina classica» nelle regioni che hanno ancora focolai aperti di Malattia vescicolare suina;
   ad attuare un controllo sierologico e clinico per la MVS sui suini di importazione, in particolare per prevenire l'immissione di animali con forme sub-cliniche difficilmente identificabili;
   ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per verificare la corretta applicazione del decreto legislativo n. 200 del 26 ottobre 2010 «Attuazione della Direttiva 2008/71/CE relativa all'identificazione e registrazione dei suini» nelle regioni senza accreditamento per la malattia vescicolare suina;
   a disporre per quanto di competenza interventi immediati per l'identificazione delle aziende infette per MVS, con l'abbattimento dei capi infetti nonché a disporre tutte le norme di biosicurezza previste dall'allegato II e X dell'ordinanza ministeriale 12 aprile 2008;
   a verificare quali siano i punti critici che hanno impedito di giungere all'eradicazione della PSA dalla regione Sardegna;
   a coinvolgere i veterinari aziendali liberi professionisti che operano negli allevamenti di suini, sia di grande che piccola dimensione, per affrontare i punti critici e giungere alla risoluzione dell'infezione in Sardegna;
   ad attuare negli allevamenti di suini della Sardegna tutte le misure di biosicurezza essenziali ad evitare il contagio come l'applicazione di una quarantena degli animali, l'uso di calzari e indumenti monouso negli allevamenti, la costruzione di doppi recinti negli allevamenti per evitare contagio con cinghiali allo stato selvatico, il divieto di usare scarti e avanzi alimentari nell'alimentazione dei suini;
   ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per una gestione corretta dei rifiuti di alimenti sul territorio al fine di impedire potenziali contagi, in particolare nei confronti dei cinghiali.
(7-00375) «Lenzi, Cova, Luciano Agostini, Amato, Paola Bragantini, Carnevali, Carra, Casati, D'Incecco, Fossati, Grassi, Miotto, Oliverio, Scuvera, Venittelli, Zanin».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   la violenza maschile contro le donne è una priorità da affrontare nel nostro Paese; associazioni, centri antiviolenza ed enti locali non possono essere lasciati soli ad affrontare un fenomeno che non ha carattere emergenziale, ma è di tipo strutturale, per il quale sono necessari obiettivi condivisi, risorse, strumenti e quindi una vera e propria strategia; per avviare politiche efficaci di contrasto alla violenza, il Parlamento nei mesi scorsi ha approvato la legge di ratifica della Convenzione di Istanbul, a cui ha fatto seguito l'approvazione della legge n. 119 del 2013, la cosiddetta legge contro il femminicidio, nella quale si prevede l'avvio di un Piano nazionale contro la violenza e lo stanziamento di risorse anche a sostegno del lavoro dei centri antiviolenza e delle case rifugio (17 milioni di euro per il biennio 2013-2014); il precedente Governo ha dunque avviato i tavoli di lavoro della task force interministeriale prevedendo il confronto tra istituzioni e associazioni per elaborare il nuovo Piano nazionale antiviolenza, individuando misure volte sia alla prevenzione del fenomeno che al sostegno e all'accoglienza delle vittime;
   a seguito della riunione del Consiglio dei ministri dell'8 aprile 2014 risulta che la delega alle pari opportunità rimane tra le attribuzioni del Presidente del Consiglio dei ministri;
   nonostante il lavoro avviato nei mesi scorsi, il nuovo Piano nazionale antiviolenza non è stato ancora predisposto –:
   quali iniziative urgenti intenda assumere il Governo, alla luce di quanto descritto dalla presente interpellanza, al fine di avviare il Piano nazionale antiviolenza e di assegnare i finanziamenti stanziati, per rilanciare con forza le politiche di prevenzione e contrasto alla violenza sulle donne.
(2-00544) «Roberta Agostini, Rosato, Fabbri, Coscia, Ermini, Pollastrini, Culotta, Pes, Iori, Bossa, D'Ottavio, Blazina, Mariastella Bianchi, Zampa, Gadda, Terrosi, Argentin, Brandolin, Manzi, Malisani, Tidei, Gasparini, D'Incecco, Campana, Murer, Scuvera, Bonaccorsi, Valeria Valente, Stumpo, Verini, Ferrari, Cinzia Maria Fontana, De Menech, Carra».

Interrogazioni a risposta scritta:


   LUIGI GALLO, SILVIA GIORDANO, SIBILIA, CECCONI, DALL'OSSO, BARONI, TOFALO e COLONNESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i lavori di costruzione per l'Ospedale del mare sono iniziati nel dicembre 2004 e si prevede termineranno non prima del gennaio del 2015, dopo oltre dieci anni dall'aggiudicazione, con un investimento che inizialmente doveva essere, per la parte pubblica di euro 119 milioni di euro circa e che prevedeva un parallelo investimento del privato aggiudicatario per 91 milioni e che oggi si prevede che supererà i 400 milioni, interamente a carico della parte pubblica e senza alcun investimento privato;
   oltre alla tempistica ed al fiume di danaro davvero esorbitante investito sinora e che si prevede di investire, sconcerto per questa immane opera deriva anche dalla sua localizzazione, atteso che l'Ospedale del mare è in costruzione nel quartiere Ponticelli del comune di Napoli immediatamente al confine con il comune di Cercola, a 100 metri dalla zona rossa vesuviana, in un'area distante fra 7 e 8 chilometri dal vulcano, comunque classificata come zona gialla, ovvero zona a pericolosità differita;
   ulteriori aspetti che suscitano perplessità nella vicenda connessa alla realizzazione di questa mega struttura ospedaliera, destinata secondo le previsioni a divenire un'azienda di rilievo nazionale da circa 500 posti letto in cui far confluire ben quattro nosocomi napoletani, quali il Loreto Mare, l'Ascalesi, il San Gennaro e gli Incurabili, sono rappresentati dalla procedura con la quale avvenne l'individuazione dell'ATI aggiudicataria della costruzione tanto che, inizialmente, la stazione appaltante ASL Napoli 1 faceva ricorso allo strumento del project financing (ovvero al sistema della licitazione privata, con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa e il sistema del project financing) per poi successivamente «riformulare» l'aggiudicazione secondo una procedura che non prevede più la partecipazione del privato alla costruzione prima ed alla gestione poi dell'opera, a giudizio degli interroganti con evidente pregiudizio per gli altri soggetti inizialmente concorrenti per l'aggiudicazione dell'appalto in parola;
   inoltre, la riformulazione della procedura di realizzazione dell'opera è avvenuta a seguito di una transazione sottoscritta dalla Astaldi spa, capofila dell'Ati aggiudicataria (e composta anche da Giustino Costruzioni s.p.a., Ing. C. Coppola Costruzioni s.p.a., Ingg. F&R Girardi Costruzioni Civili Industriali s.p.a. e Siemens s.p.a, a cui subentrava, poi, la «Partenopea Finanza di Progetto S.p.A.» che poi, a sua volta, appaltava i lavori all'ATI formata da Astaldi spa, mandataria, Giustino Costruzioni s.p.a., Ing. C. Coppola Costruzioni s.p.a. ed Ingg. F&R Girardi Costruzioni Civili Industriali s.p.a.), e l'ing. Ciro Verdoliva, nominato nel maggio 2009 commissario ad acta per accelerare i lavori con competenza esclusiva di provvedere alla liquidazione di tutte le relative spese, che ha previsto che il privato provveda al completamento dei lavori con soli fondi pubblici, rinunciando alla gestione dei servizi non sanitari, ma incassando per detta rinuncia un risarcimento di 45,5 milioni di euro;
   con detta transazione, in buona sostanza si riconosce all'ATI guidata dalla Astaldi s.p.a un risarcimento addirittura superiore a quello di 40 milioni di euro inizialmente richiesto dalla stessa con la domanda di arbitrato inoltrata in data 20 marzo 2009 (peraltro fondata su una clausola compromissoria di fatto nulla, in quanto contenuta nell'atto ricognitivo mai approvato e pertanto, per sua stessa previsione, inefficace e oggetto di un procedimento penale attualmente in corso) volta alla risoluzione del contratto per presunti inadempimenti da parte della stazione appaltante; con detto atto transattivo, come detto, si azzera del tutto l'investimento privato per il quale la stessa ATI aveva inizialmente richiesto una mera riduzione a 20 milioni di euro, cosa del tutto incompatibile con la tipologia contrattuale inizialmente sottoscritta dalle parti e con la procedura con quale era avvenuta l'aggiudicazione in favore della concessionaria stessa;
   corollario di questa transazione è anche, tra l'altro, un accordo del valore di quasi 3 milioni di euro tra l'Astaldi spa e il suo direttore dei lavori, ingegner Matteo Gregorini (in passato consulente per la stessa Asl Napoli 1 dei finanziamenti per l'edilizia sanitaria dai quali sono stati attinte le risorse per erigere il nosocomio) a cui verrà corrisposto il predetto compenso, nonostante sia stato rimosso dall'incarico 3 anni fa a seguito del suo rinvio a giudizio per truffa e falso nell'ambito dell'inchiesta della procura della Repubblica di Napoli sul nosocomio;
   è bene altresì ricordare che il conseguente procedimento penale, partito nel 2008 ed attualmente in corso, vede dodici persone rinviate a giudizio tra dirigenti asl e amministratori delle ditte concessionarie per reati che vanno dalla falsità materiale ed ideologica della progettazione preliminare e delle delibere connesse alla truffa relativa alle modifiche delle condizioni originarie in senso favorevole alla concessionaria, dal tentativo di truffa per il riconoscimento alla concessionaria dei maggiori costi all'abuso d'ufficio;
   in definitiva, i provvedimenti che sono stati adottati per sbloccare l’impasse dei lavori cagionati dalla procedura di arbitrato avviata dalla concessionaria ad avviso degli interroganti rappresentano senza dubbio un profondo stravolgimento dell'oggetto originario del contratto di affidamento in forza del quale, oltre all'esorbitante incremento dei costi per l'amministrazione, si verificherà l'ulteriore aggravio derivante dalla necessità di riaffidare i servizi dai quali l'ATI è stata esonerata;
   alla luce di quanto sopra appare davvero incomprensibile la logica giuridico-amministrativa con la quale sono stati adottati provvedimenti che hanno stravolto la procedura originariamente attivata, confermando l'affidamento alla ATI guidata dall'Astaldi s.p.a. anche a fronte di inadempienze della stessa, quali l'ingiustificato rallentamento prima e la sospensione poi dei lavori, circostanza che avrebbero dovuto comportare, secondo gli interroganti, la risoluzione del contratto ex articolo 119 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica n. 354 del 1999; soluzioni certamente più lineari potevano essere l'affidamento dei lavori necessari a completare l'opera mediante lo scorrimento nella graduatoria della gara originaria (facendo ricorso alle prescrizioni normative generali disciplinati la materia in quanto, in maniera clamorosamente anomala, nel bando di gara non venne inserita la clausola di «scorrimento») o mediante l'indizione di una nuova gara per le opere non ancora ultimate dall'originaria concessionaria;
   tale contesto di assoluta indeterminatezza in ordine alla effettiva ultimazione di questa infinita opera riverbera i suoi effetti, oltre che sulle pubbliche finanze, anche sulla generale situazione ospedaliera in Campania che versa in uno stato caotico in ragione proprio dell'attuazione solo parziale del decreto n. 49 del 27 settembre 2010 emesso dal presidente della giunta regionale Campana, quale commissario ad acta per la prosecuzione del piano di rientro del settore sanitario regionale, che nel prefigurato obiettivo di procedere ad un riassetto della rete ospedaliera e territoriale, ha già dato corso agli interventi di dismissione/riconversione/riorganizzazione dei presidi che non sarebbero in grado di assicurare profili di efficienza e di efficacia, pur in mancanza della ultimazione dell'Ospedale del mare che avrebbe dovuto coprire le predette dismissioni ospedaliere, il tutto ad esclusivo discapito della qualità dell'offerta sanitaria per i cittadini campani, aspetto destinato ad incrementare il penoso fenomeno delle migrazioni sanitarie alla ricerca di un'assistenza sanitaria adeguata –:
   se e quali iniziative abbia intrapreso, ovvero intenda intraprendere, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro, al fine di verificare in che misura i costi dell'opera, enormemente lievitati dai 119 milioni di euro di investimenti pubblici inizialmente previsti a 400 milioni secondo quanto da ultimo preventivato, siano dipesi da un legittimo stravolgimento della procedura di progettazione preliminare e di successiva aggiudicazione, considerata anche la transazione che ha visto il riconoscimento di ingenti somme a titolo risarcitorio in favore delle imprese aggiudicatarie a cui veniva riconfermato l'appalto;
   quali iniziative abbia intrapreso, ovvero intenda intraprendere, alla luce delle cospicue risorse statali stanziate per la realizzazione dell'Ospedale del mare, al fine di valutare se sussitano i presupposti per costituirsi nei giudizi attualmente pendenti innanzi alla magistratura penale che si occupa della vicenda, per la doverosa tutela del pubblico erario;
   se e quali iniziative intendano intraprendere, per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro, affinchè, nelle more dell'effettiva entrata in esercizio di tutti i reparti del realizzando ospedale, si ponga argine alla situazione caotica in cui versa il settore ospedaliero in Campania, riattivando i reparti già dismessi nei presidi ospedalieri oggetto degli interventi di riorganizzazione di cui al citato decreto n. 49 del 2010 e sospendendo tutti i provvedimenti volti alla dismissione/riconversione/riorganizzazione dei presidi stessi quanto meno sino all'effettiva entrata in piena efficienza dell'Ospedale del mare. (4-04885)


   PANNARALE, COSTANTINO, DURANTI, MARCON, PALAZZOTTO, MELILLA, FRANCO BORDO e MIGLIORE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 21 del disegno di legge di conversione in legge del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, recante misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale prevede disposizioni concernenti Rai spa. In particolare, il comma 1, intervenendo sull'articolo 17 della legge 3 maggio 2004, n. 112 (relativo ai compiti del servizio pubblico generale radiotelevisivo), ha eliminato la previsione secondo cui la società concessionaria è articolata in una o più sedi nazionali, nonché in sedi in ciascuna regione e provincia autonoma. La disposizione, quindi, abroga il comma 3 del citato articolo 17, concernente le sedi regionali e provinciali della società concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo, precisando, comunque, che il servizio pubblico generale radiotelevisivo è tenuto a garantire, tra l'altro, l'informazione pubblica a livello nazionale e regionale. Il comma 2 introduce un regime transitorio, in base al quale le sedi regionali di Rai spa, nonché quelle delle province autonome di Trento e di Bolzano, continuano ad operare in regime di autonomia finanziaria e contabile in relazione all'attività di adempimento degli obblighi di pubblico servizio affidati alle stesse, fino alla definizione di un nuovo assetto territoriale da parte della medesima società. Inoltre, al fine di consentire l'efficientamento, la razionalizzazione e il riassetto industriale nell'ambito delle partecipazioni detenute dalla Rai spa, il comma 3 del citato articolo 21 prevede la facoltà, per la Rai spa, di cedere sul mercato, secondo modalità trasparenti e non discriminatorie, quote di società partecipate, garantendo la continuità dei servizio erogato. Nell'ipotesi di cessione di partecipazioni strategiche determinante la perdita del controllo, si demanda l'individuazione delle modalità di alienazione ad apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministro dello sviluppo economico. Infine, secondo il comma 4 dell'articolo 21, le somme relative al canone di abbonamento alle radioaudizioni circolari e alla televisione, da riversare alla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo ai sensi dell'articolo 27, comma 8, primo periodo, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, sono ridotte di euro 150 milioni per l'anno 2014;
   secondo la relazione tecnica allegata al decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 l'articolo 21 prevede una riduzione pari a 150 milioni di euro delle somme da riversare alla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, per l'anno 2014, di cui all'articolo 27, comma 8, primo periodo, della legge n. 448 del 23 dicembre 1999, anche in relazione agli effetti di risparmio connessi all'attuazione del comma 1 (e quindi la soppressione delle disposizioni della legge n. 112 del 2004 relative all'articolazione della Rai spa in una o più sedi nazionali e in sedi di ciascuna regione o Provincia autonoma) e di efficientamento previsto dal comma 3 (ove, come detto, si prevede la facoltà della Rai spa di cedere sul mercato quote di società partecipate, garantendo comunque la continuità del servizio erogato);
   per l'esercizio 2014, lo stanziamento del capitolo n.3836 dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, sul quale sono iscritte le somme da trasferire alla Rai è pari a 1,738 miliardi di euro. Ne consegue che la disposizione contenuta citato decreto-legge n. 66 del 2014, all'articolo 21, comporta quindi la rideterminazione delle somme spettanti alla Rai sui canoni di abbonamento alla televisione, per l'esercizio in corso in 1,588 miliardi di euro;
   a ciò si aggiunge che lo stesso decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, all'articolo 20, contiene una norma ove si prevede che le società partecipate, tra cui è ricompresa anche Rai spa, debbano realizzare, nel biennio 2014-2015, un efficientamento nella misura non inferiore al 2,5 per cento nel 2014 e al 4 per cento nel 2015 con riferimento ai costi operativi risultanti dei bilanci di esercizio approvati nel 2013. Al riguardo, la relazione tecnica precisa che i versamenti derivanti dai risparmi sono quantificati in via prudenziale in 70 milioni di euro per il 2014 e 100 milioni di euro per l'anno 2015 sulla base dei bilanci consuntivi del 2012;
   secondo quanto emerge dalla stampa nazionale, Rai spa presenterà ricorso perché il solo taglio di 150 milioni di euro deciso dal Governo con il decreto-legge n. 66 del 2014 produrrà per effetto un vero e proprio buco di bilancio pari a 160 milioni di euro nel 2014 –:
   quali elementi si intendano fornire in merito alle ricadute economiche che potrebbero prodursi nei confronti di Rai spa in forza dei tagli derivanti dal combinato disposto degli articoli 20 e 21 del decreto legge 24 aprile 2014, n. 66, sia sotto il profilo occupazionale sia sotto il profilo squisitamente industriale legato alle procedure attinenti al ridimensionamento dell'azienda ed alla possibile riduzione dell'offerta editoriale. (4-04890)


   BALDASSARRE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il 14 aprile 2014 Luisa Todini è stata nominata presidente di Poste italiane;
   da organi di stampa si apprende che Luisa Todini, oltre all'incarico suddetto, siede anche nel consiglio di amministrazione di Rai;
   dal sito web Dagospia.it si apprende che in qualità di presidente di Poste italiane, la Todini, guadagnerebbe 238 mila euro lordi, oltre ai 66 mila che guadagnerebbe in qualità di consigliere Rai;
   nel sito suddetto appare una dichiarazione della stessa Todini in merito ad equilibri interni alla Rai – in cui siede come Direttore Generale Luigi Gubitosi – che l'interrogante riporta testualmente: «Se mi dimetto da Viale Mazzini saltano gli equilibri»;
   a parere dell'interrogante non dovrebbero sussistere «equilibri» interni alla Rai, in quanto azienda pubblica volta a garantire l'imparzialità dell'informazione, al di fuori dei soliti «giochi di potere» –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri fosse a conoscenza degli incarichi ancora in essere di Luisa Todini nel momento della nomina a presidente di Poste italiane;
   se il Presidente del Consiglio dei ministri non ritenga inopportuna la nomina della Todini ad un incarico di tale responsabilità e impegno alla luce degli altri incarichi di notevole rilievo che la stessa svolge;
   se il Presidente del Consiglio dei ministri sia a conoscenza degli «equilibri» interni alla Rai, dichiarata dalla stessa Todini – e riportati dal sito di informazione Dagospia.it – e se possa altresì sconfessare tale dichiarazioni al fine di proteggere la trasparenza nelle scelte che dovrebbe avere una azienda di informazione pubblica quale è la Rai. (4-04893)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SBERNA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   è proprio di ieri la notizia che vani sono stati gli appelli internazionali per la 27enne Mariam Yahya Ibrahim, giovane donna sudanese, di religione cristiana ortodossa, che è stata condannata all'impiccagione da un tribunale islamico del suo Paese con l'accusa di apostasia, cioè di abbandono volontario della propria religione;
   il padre della condannata è musulmano, mentre la madre è cristiana; ma la giovane è stata cresciuta come cristiana ortodossa, religione della madre, in quanto il padre è stato assente fin dalla sua nascita. Secondo la Sharia, però, essendo il padre musulmano, anche la figlia è automaticamente musulmana;
   la giovane donna, pur essendosi sposata con uno straniero cristiano, è stata condannata dal tribunale di Khartoum anche per adulterio, perché il suo matrimonio con un uomo cristiano non è considerato valido dalla Sharia;
   non bisogna poi dimenticare che Mariam ha un figlio di venti mesi, che si trova con lei in carcere, e un altro in grembo che nascerà a giugno;
   nel corso dell'udienza il giudice ha chiesto alla donna si rinunciare alla fede cristiana per evitare la pena di morte –:
   come intende il Ministro degli affari esteri attivarsi per quanto di competenza, per scongiurare questa inumana sentenza, anche per preservare il bambino che la donna ha in grembo, visto che la stessa dovrebbe essere impiccata ad un mese dal parto. (5-02851)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE ROSA, ZOLEZZI, BUSTO, TERZONI, MANNINO, SEGONI, MICILLO e DAGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il progetto di bonifica dell'acqua di prima falda di Sesto San Giovanni è stato presentato dal comune di Sesto San Giovanni, nel marzo 2006, ed è stato altresì, approvato, con emissione, in data 10 giugno 2008, del decreto ministeriale di autorizzazione;
   la conferenza di servizi ministeriale del 10 novembre 2008 ha confermato al comune di Sesto San Giovanni il ruolo di soggetto attuatore, secondo quanto già previsto all'articolo 5 dell'accordo di programma sottoscritto in data 8 giugno 2007;
   il progetto di Sesto Immobiliare spa – aree «ex Falck» Sesto San Giovanni (Mi) (sin «Sesto San Giovanni» – dm 31 agosto 2001) – in attuazione del progetto definitivo di bonifica dei suoli – decreto direttoriale in data 4 dicembre 2012 prot. n. 3697/tri/i/8 – relativo agli «interventi di m.i.s.e. delle acque sotterranee» (punto 15 decreto direttoriale 4 dicembre 2012), riporta; «... Nel mese di ottobre 2012, al fine di recepire le prescrizioni formulate dagli Enti nel corso della già citata conferenza istruttoria dell'aprile 2012, era stato altresì trasmesso il “Progetto per la messa in sicurezza della falda in caso di emergenza”»;
   tale progetto prevedeva che durante l'esecuzione degli scavi di bonifica dei terreni contaminati venisse effettuato un monitoraggio delle acque di falda molto serrato, al fine di verificare l'eventuale apporto di contaminazione alla falda derivante dalle attività di bonifica sui terreni, prevedendosi, in tale evenienza, l'attivazione della barriera idraulica (già realizzata prima dell'inizio degli scavi e attrezzata anche con impianto di trattamento delle acque), fino alla risoluzione dell'episodio di contaminazione;
   in data 19 novembre 2012 si è tenuta, presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la conferenza dei servizi decisoria che ha approvato il citato progetto definitivo, con particolare riferimento ai lotti funzionali relativi alla CdSR. Tra le prescrizioni ivi formulate dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (MATTM) si legge: «Si ritiene che gli interventi previsti nel Progetto definitivo di bonifica dei suoli non possano essere avviati se non dopo [...] l'adozione, da parte di Sesto Immobiliare S.p.A., di idonei interventi di m.i.s.e. delle acque sotterranee»;
   il Ministero dell'ambiente della tutela del territorio e del mare ha, inoltre, prescritto che le operazioni di messa in sicurezza della falda vengano effettuate mediante pompaggio continuo durante l'esecuzione delle attività di scavo di bonifica dei terreni, fino all'attivazione delle opere di bonifica previste dall'amministrazione comunale di Sesto San Giovanni;
   conformemente alle prescrizioni formulate dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il sistema di messa in sicurezza (costituito da pozzi barriera e da un impianto di depurazione delle acque), sarà allestito contestualmente all'attivazione delle operazioni di bonifica dei terreni contaminati presso l'area della CdSR. Tale sistema funzionerà continuativamente solo durante l'esecuzione degli scavi citati e potrà essere arrestato nel momento in cui l'amministrazione comunale di Sesto San Giovanni attiverà il proprio presidio di bonifica delle acque di falda e, comunque, alla conclusione delle attività di bonifica dei suoli sulle aree in oggetto;
   nel caso in cui, prima dell'inizio delle attività di fase 2, non siano state attivate le operazioni di bonifica della falda in capo all'amministrazione comunale di Sesto San Giovanni, il progetto verrà integrato con la realizzazione di ulteriori pozzi, a presidio delle nuove aree oggetto di scavo, previa verifica in merito allo scarico in fognatura con il gestore della rete;
   ARPA Lombardia, all'interno del Convegno «Dire, Fare Bonificare» tenutosi al comune di Sesto San Giovanni il 18 febbraio 2014, ha dichiarato: «Il progetto comunale di barriera idraulica “consortile” si ritiene debba essere riconsiderato, come già proposto al Ministero» –:
   se il Progetto di bonifica della falda di Sesto San Giovanni sia effettivamente, allo stato attuale, in fase di rimodulazione presso il Ministero o siano state definite per esso concrete proposte di modifica;
   se risulti quali costi abbia sostenuto e stia sostenendo il comune di Sesto San Giovanni relativamente ai ricorsi in essere e chi si farà carico delle spese delle attività di bonifica,
   visto l'imminente avvio delle operazioni di bonifica dei suoli dell'Area Falck, se il Ministero non ritenga opportuno assumere iniziative per una sollecita attivazione del presidio di bonifica delle acque di falda. (5-02852)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MORETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 52 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, prevede la possibilità per i contribuenti che si trovino per ragioni estranee alla propria responsabilità in una comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica, di accedere, per il pagamento delle somme iscritte a ruolo, in aggiunta alla forma ordinaria di rateazione che prevede un massimo di 72 rate mensili, ad una rateazione straordinaria fino ad un massimo di 120 rate mensili;
   con successivo decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 6 novembre 2013, in attuazione del richiamato articolo 52, sono stati individuati quattro tipi di piani di rateizzazione: ordinario (fino a 72 rate), in proroga ordinario (ulteriori 72 rate), straordinario (fino a 120 rate) e in proroga straordinario (ulteriori 120 rate);
   il medesimo decreto ha stabilito, all'articolo 3, le condizioni per la richiesta del piano di rateazione straordinario che consistono nell'accertata impossibilità per il debitore di eseguire il pagamento del credito tributario secondo un piano ordinario e, congiuntamente, la solvibilità dello stesso debitore;
   tali condizioni sussistono, sempre secondo quanto disposto dal medesimo articolo 3 del decreto attuativo, quando, per le persone fisiche e le ditte individuali con regimi fiscali semplificati, il rapporto tra la rata e il reddito mensile, rilevabile dalla certificazione dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), è superiore al 20 per cento; mentre per gli altri soggetti, ovvero le imprese, il rapporto tra rata e valore della produzione è superiore al 10 per cento e l'indice di liquidità dell'impresa (dato dalla somma della liquidità differita più la liquidità corrente diviso il passivo corrente) è compreso tra 0,50 e 1;
   il numero delle rate dei piani straordinari è modulato in funzione del rapporto esistente tra la rata e il reddito o il valore della produzione secondo le tabelle A e B allegate al citato decreto;
   secondo quanto riportato dalle citate tabelle, per le persone fisiche e le ditte individuali con regimi fiscali semplificati, solo allorquando la percentuale superi il 38,80 per cento sarà possibile beneficiare della rateazione decennale in 120 rate, mentre gli altri soggetti potranno vedersi accordare una rateazione a 10 anni nel caso in cui il rapporto rata/valore della produzione sia superiore al 19,40 per cento; si tratta di valori evidentemente elevati che rendono difficile l'accesso al piano straordinario;
   facendo un esempio, un'azienda che ha un debito tributario di euro 72.000 ed ha ottenuto una rateazione ordinaria con 72 rate mensili pari a circa euro 1.000, qualora intenda accedere ad una rateazione straordinaria in 120 rate dovrebbe dimostrare lo stato di difficoltà presentando un fatturato mensile inferiore ad euro 5.000; un fatturato evidentemente troppo basso, con il quale l'impresa dovrebbe coprire sia i costi di produzione e di gestione sia la rata mensile Equitalia di 1.000 euro per il debito pregresso;
   la scelta di parametrare la difficoltà finanziaria delle imprese ad indicatori economici appare incongruente in quanto l'impossibilità di pagare debiti tributari non è causata dalla mancanza di ricavi ma è piuttosto legata, nella maggior parte dei casi, a problemi di natura finanziaria;
   agganciare l'indicatore al valore dei ricavi presenterebbe inoltre effetti distorsivi, quali ad esempio il fatto che un'azienda in momentanea ripresa economica si trovi nell'impossibilità di accedere ad una misura che gli consentirebbe di saldare i debiti pregressi proprio a causa dell'aumento del fatturato;
   l'applicazione del criterio con cui attualmente è concessa la rateazione ordinaria, legato ad un indice Alfa che prevede una proporzione tra debiti complessivi e valore della produzione superiore alle 3 volte, seppure con dei limiti, di fatto ha finora consentito di cogliere in maniera abbastanza diffusa le situazioni di difficoltà delle imprese che hanno così potuto accedere alla rateazione;
   pur nella previsione di un monitoraggio degli effetti previsto ai sensi dell'articolo 5 del citato decreto ministeriale secondo il quale Equitalia spa, per il tramite dell'Agenzia delle entrate, presenta una relazione al Ministero dell'economia e delle finanze, entro il 31 marzo di ciascun anno, in ordine agli effetti sull'andamento delle riscossioni dell'anno precedente derivanti dall'introduzione dei piani di rateazione straordinaria, in questi mesi di applicazione, dalle associazioni di categoria delle piccole e medie imprese e dagli ordini locali dei commercialisti, perviene il dato di una scarsa accessibilità alla rateazione straordinaria; dato che sembrerebbe vanificare la misura stessa prevista proprio per agevolare i soggetti intenzionati a regolarizzare la propria posizione verso l'erario –:
   quali siano i dati a disposizione del Ministero in merito all'andamento delle riscossioni derivanti dall'introduzione dei piani di rateazione straordinaria, e quale valutazione attribuisca a tali dati anche con riguardo alla possibilità di modificare la normativa agendo su una significativa riduzione delle percentuali indicate nelle citate tabelle allegate al decreto ministeriale del 6 novembre 2013 ovvero alla possibilità di introdurre un diverso parametro legato al margine operativo lordo in grado di cogliere in maniera più precisa le situazioni di difficoltà delle imprese. (5-02853)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la sentenza del TAR del Lazio n. 6884 del 2011 ha dichiarato nulle circa tre quarti delle nomine, avvenute senza concorso, di 767 dirigenti dell'Agenzia dell'entrate;
   in particolare, la predetta sentenza evidenzia l'assenza di un'adeguata selezione per molte delle nomine, le quali sarebbero state attribuite anche in mancanza dei requisiti previsti dalla normativa vigente in materia, come confermato dal fatto, denunziato dalle organizzazioni sindacali del comparto, che, su 1.143 nomine dirigenziali effettuate in tutto il territorio nazionale, solo 376 nomine non sono state dichiarate nulle; in particolare, la segreteria provinciale dell'Agenzia delle Entrate-Territorio di Napoli dell'organizzazione sindacale Salfi, rappresentativa del comparto agenzie fiscali, a quanto consta all'interrogante, ha elevato un forte allarme su tale problematica, evidenziando altresì una situazione di «abusivismo» nelle nomine dirigenziali anche presso l'Agenzia Entrate-Territorio;
   infatti, l'ufficio provinciale di Napoli, terza città d'Italia e prima area urbana del nostro Paese, è gestito da quattro dirigenti incaricati. L'attività dell'Agenzia delle entrate, ente che opera in un settore cruciale della pubblica amministrazione, dovrebbe essere improntata all'assoluto rispetto dei principi di legalità, buona amministrazione e trasparenza, al fine di garantire la massima operatività delle agenzie –:
   se ritenga di intervenire sulla citata problematica, al fine di garantire la piena operatività delle agenzie fiscali, verificando in particolare se tutti i dirigenti nominati siano in possesso dei requisiti previsti dalla normativa vigente in materia, quali iniziative intenda assumere per ripristinare il rispetto della normativa vigente e nel frattempo far nominare almeno un dirigente di ruolo in modo da voler dare legalità agli atti degli uffici e improntare l'esercizio della dirigenza all'imparzialità ed indipendenza che un dirigente incaricato ad avviso dell'interrogante non può avere. (4-04871)


   GAGNARLI, L'ABBATE, MASSIMILIANO BERNINI e LUPO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'attività venatoria in Italia è regolata dalla legge n. 157 dell'11 febbraio 1992, recentemente modificata dalla legge n. 97 del 6 agosto 2013, recante norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio;
   l'articolo 24 della legge n. 157 del 1992 ha istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e finanze, un Fondo, la cui dotazione è alimentata da un'addizionale, pari a 5,16 euro, alla tassa erariale di licenza di porto di fucile anche per uso di caccia (tassa di rilascio, rinnovo e annuale) di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 641 del 1972;
   la dotazione del Fondo è per la quasi totalità, il 95 per cento destinata alle associazioni venatorie nazionali riconosciute, in proporzione alla rispettiva, documentata consistenza associativa;
   ai sensi dell'articolo 34 della medesima legge n. 157, si considerano riconosciute agli effetti della legge la Federazione italiana della caccia e le associazioni venatorie nazionali (Associazione migratoristi italiani, Associazione nazionale libera caccia, ARCI-Caccia, Unione nazionale Enalcaccia pesca e tiro, Ente produttori selvaggina, Italcaccia). Queste 7 associazioni sono sottoposte alla vigilanza del Ministro dell'agricoltura e delle foreste;
   il restante 4 per cento della dotazione del Fondo è destinato al funzionamento e l'espletamento dei compiti istituzionali del «Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale». L'1 per cento residuo è destinato al pagamento della quota di adesione dello Stato italiano al Consiglio internazionale della caccia e della conservazione della selvaggina;
   le disponibilità del fondo devono essere ripartite entro il 31 marzo di ciascun anno, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da adottarsi di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali;
   la ripartizione ed assegnazione delle somme del fondo di cui all'articolo 24, comma 2, lettera c) della legge n. 157 del 1992, effettuata tramite il suddetto decreto, si riferisce alle dichiarazioni di consistenza numerica delle associazioni venatorie nazionali, riferite a 2 anni prima;
   le 7 Associazioni venatorie nazionali riconosciute trasmettono annualmente, sotto la propria responsabilità, le dichiarazioni delle compagnie assicuratrici, controfirmate dai presidenti delle Associazione stesse, attestanti la consistenza numerica dei propri soci iscritti;
   l'attribuzione della dotazione prevista alle Associazioni venatorie nazionali riconosciute non comporta l'assoggettamento delle stesse al controllo della Corte dei conti, previsto dalla legge 21 marzo 1958, n. 259, perché enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria;
   si nota che la dotazione del fondo di cui all'articolo 24 della legge n. 157 del 1992 subisce oscillazioni annuali di decine di migliaia di euro: 1,70 milioni (2012), 1,60 milioni (2013), 1,65 milioni (2014) –:
   se siano previsti dei sistemi di controllo, da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali o da altri enti, sull'effettiva consistenza numerica delle associazioni venatorie nazionali riconosciute ai sensi dell'articolo 34 della legge n. 157 del 1992, destinatarie dei Fondi istituiti dall'articolo 24 della medesima legge, a controprova di quanto da esse autodichiarato, posto che per tali attribuzioni, in quanto ordinarie, non è previsto il controllo della Corte dei conti. (4-04872)


   GIORGIA MELONI, RAMPELLI, CIRIELLI, CORSARO, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la legge sul federalismo fiscale, che prevedeva anche misure di fiscalità di vantaggio e di sviluppo sul territorio italiano, non è ancora compiutamente attuata;
   nelle regioni italiane (soprattutto al nord est) situate a ridosso dei confini con i paesi comunitari cresce vertiginosamente il fenomeno della fuga di aziende e imprese nei vicini Stati esteri, ove i vantaggi collegati alla fiscalità più favorevole, alla burocrazia meno asfissiante, e al costo del lavoro molto meno oneroso rispetto al nostro Paese rappresentano un forte elemento di attrazione;
   per dinamiche parallele, sempre più numerosi cittadini italiani residenti in Italia a ridosso del confine con gli altri Paesi comunitari si trasferiscono pochi chilometri più in là (anche chiedendo e ottenendo la residenza all'estero) a causa dei differenziali più favorevoli dei costi della vita e dei servizi, oltre alle maggiori opportunità occupazionali offerte dai Paesi a noi vicini;
   sia la fuga di aziende italiane nei Paesi confinanti o comunitari, sia l'emigrazione di cittadini italiani nelle località limitrofe oltre confine, depauperano la ricchezza del Paese e non contribuiscono certo ad incrementare la crescita economica e del PIL nazionale e locale;
   la regione Friuli Venezia Giulia, sia in virtù della propria collocazione geografica, sia in virtù del proprio statuto di specialità, necessiterebbe dell'introduzione di forme di fiscalità di vantaggio come, per esempio, una più ampia libertà di detassazione per le nuove imprese e per le imprese dei giovani, senza peraltro gravare sulle casse dell'erario perché, se anche dovessero verificarsene, le eventuali iniziali minori entrate sarebbero a carico del bilancio regionale;
   con riferimento alla medesima regione, inoltre, in diverse occasioni, e anche a livello di amministrazione centrale con i competenti Ministeri, è già stata discussa l'ipotesi che siano istituite delle zone franche nelle aree di confine del Friuli Venezia Giulia –:
   se il Governo intenda assumere delle iniziative nel senso di cui in premessa in favore della regione Friuli Venezia Giulia, al fine di favorirne il rilancio economico e imprenditoriale. (4-04880)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIORGIA MELONI, RAMPELLI, CIRIELLI, CORSARO, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la sorte del posto di polizia ferroviaria della stazione di Brennero è ancora incerta dopo la decisione del Ministro dell'interno Alfano di realizzare il taglio della spesa del suo dicastero attraverso la chiusura di alcuni uffici di polizia;
   la chiusura del citato posto di polizia ferroviaria determinerebbe il venir meno di importanti servizi in una stazione d'importanza internazionale, attraverso la quale transitano annualmente migliaia di persone provenienti da tutto il mondo, con tutti i rischi del caso;
   la soppressione dell'ufficio Polfer di Brennero avrà gravi ripercussioni sulla sicurezza dei trasporti e dei passeggeri, posto che non ci sarebbe più alcun controllo da parte delle forze dell'ordine nella stazione e nell'intero scalo ferroviario;
   gli immigrati irregolari che tentano di passare il Brennero per recarsi nell'Europa settentrionale laddove non riescono nel loro intento rimangono a bivaccare in stazione, giorno e notte;
   non meno importante è il transito di treni che trasportano merci pericolose e che in numerose occasioni ha reso necessario l'intervento dei vigili del fuoco e l'immediata presenza sul posto degli agenti della Polfer –:
   quali siano le determinazioni assunte in merito alla sede di polizia ferroviaria di Brennero, e se non ritenga di mantenere attivo tale presidio al fine di garantire la sicurezza dei passeggeri e nell'intero scalo ferroviario. (4-04882)


   GIORGIA MELONI, RAMPELLI, CIRIELLI, CORSARO, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nelle principali città dell'Emilia Romagna la diffusione dell'abusivismo commerciale ha raggiunto livelli insopportabili, con centri storici e commerciali letteralmente invasi da extracomunitari che vendono merce contraffatta sulla quale non è stato effettuato alcun controllo da parte delle autorità preposte, né sotto l'aspetto della sicurezza dei materiali, né sotto quello sanitario;
   lo stesso fenomeno si registra lungo l'intera costa emiliano – romagnola, con le spiagge ed i lungomare percorsi in lungo e largo da migliaia di extracomunitari abusivi che propongono incessantemente la propria merce a turisti e bagnanti;
   danno per le imprese che subiscono la contraffazione del proprio marchio, per i commercianti che rispettano le leggi e per il fisco è incommensurabile, e si traduce nella perdita di migliaia e migliaia di posti di lavoro e in consistenti mancate entrate per lo Stato in un momento già drammatico per l'occupazione e la crisi economica;
   anche il fenomeno della prostituzione su strada ha recentemente registrato un incremento impressionante, con il coinvolgimento di migliaia di giovani e giovanissime ragazze extracomunitarie o provenienti dall'Europa dell'est;
   inoltre, desta forte allarme l'accattonaggio molesto ad opera di extracomunitari che stazionano per tutto l'arco della giornata presso luoghi come parcheggi, supermercati e stazioni ferroviarie, e i quali, in numero da incutere timore, in particolare negli anziani, donne e disabili, circondano le persone intente ad effettuare pagamenti o a ritirare il resto dalle apparecchiature automatiche fino a quando non ottengono il versamento di un obolo;
   sempre più spesso i comportamenti intimidatori sfociano in azioni attive, come strattonamenti, minacce e insulti ai danni del malcapitati che non accettano di farsi intimidire;
   tutti questi fenomeni, legati alla presenza sempre più massiccia di extracomunitari sul territorio regionale, destano allarme e preoccupazione tra la popolazione indifesa, che si vede abbandonata a sé stessa dall'autorità preposte a garantire la sicurezza e l'ordine pubblico, incapaci di svolgere un efficace lavoro di prevenzione a causa delle dimensioni incontrollabili che tali fenomeni hanno ormai raggiunto;
   la sistematicità e la presenza capillare di persone dedite a queste deprecabili attività, ovunque il luogo si presti, lascia supporre che esista una vera e propria organizzazione finalizzata al loro sfruttamento, con profitti enormi che poi vengono ovviamente reinvestiti in altre attività illecite –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere per affrontare e risolvere le problematiche esposte in premessa, salvaguardando sia le attività commerciali, sia la sicurezza dei singoli cittadini. (4-04883)


   LOMBARDI e COZZOLINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Claudio Scajola è stato arrestato pochi giorni fa; egli è stato parlamentare per più legislature e Ministro dell'interno nonché dello sviluppo economico per vari governi;
   egli non è nuovo a traversie, vecchie e recenti, di indagini e di processi; in effetti per anni è stato imputato per la vicenda dell'immobile di Roma presso il Colosseo acquistato «a sua insaputa», per essere infine assolto solo nel gennaio 2014;
   Scajola è inoltre stato recentemente indagato fino al 2103 per vicende penali connesse al porto di Imperia;
   ne Il Messaggero online del 12 maggio delle 10.24 si apprende che a lui competeva «avere uomini della polizia al seguito»; inoltre, la vicenda dell'assegnazione della scorta a Scajola era cosa ben nota al Viminale tanto è che «di recente diversi agenti destinati alla sua sicurezza hanno chiesto di essere trasferiti ad altro servizio perché sfiniti dall'atteggiamento [di Scajola]»; in quanto «gli uomini destinati alla scorta, qualche volta favoriti, altre volte usati per questioni personali più che di sicurezza»;
   una delle cause dell'assassinio di Biagi da parte delle BR è da ricondurre al diniego della scorta da parte del Ministero dell'interno di cui era allora a capo Scajola, che aveva apostrofato Biagi prima della sua uccisione con l'epiteto grave di «rompiscatole»;
   ne Il Messaggero online del 12 maggio delle 10.24 si apprende anche che a Scajola compete avere la disponibilità di «un telefonino intestato al Dipartimento della pubblica sicurezza del Viminale» –:
   se, nel caso di notizia vera, il Ministro interrogato abbia cognizione che Scajola, da più di 12 anni dimessosi dal Viminale, avesse in uso un'utenza telefonica portatile intestata e a carico del Ministero e che avesse la dotazione di una scorta, pur non essendo chiaro quali rischi Scajola corresse. (4-04892)


   LOMBARDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   alle prime ore del mattino del 16 maggio 2014, le squadre mobili delle questure di Caserta e Firenze, a seguito di una articolata e complessa attività di indagine, hanno eseguito 18 ordinanze cautelari emesse dall'ufficio del giudice per le indagini preliminari del tribunale di Napoli su richiesta della direzione distrettuale antimafia di Napoli nei confronti, tra gli altri, di alcuni affiliati al clan camorristico del Casalesi e, in particolare, alle famiglie Schiavone, Iovine e Russo;
   il clan dei Casalesi perpetrava estorsioni e gestiva un traffico di cocaina, servendosi di galoppini casertani che ogni settimana trasportavano la droga nelle diverse province della Toscana, dove avveniva la distribuzione;
   tra i destinatari del provvedimento cautelare anche due appartenenti alla polizia di Stato in servizio presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e la Camera dei deputati, i quali, in violazione dei doveri inerenti alle funzioni, rivelavano, in tempi diversi, informazioni riservate e coperte da segreto istruttorio;
   in particolare, il pubblico ufficiale in servizio presso l'ispettorato generale di polizia di stato presso la Camera dei deputati, Cosimo Campagna, interrogava indebitamente la banca dati (CED) per verificare i precedenti penali di una persona e per acquisire le informazioni su eventuali procedimenti penali e indagini e, per fare ciò, si introduceva abusivamente nel sistema informatico protetto da misure di sicurezza;
   il pubblico ufficiale in servizio presso l'ufficio tecnico logistico gestionale del settore sanitario della Presidenza del Consiglio dei ministri, Franco Caputo, risultava in stretto contatto con affiliati di spicco del clan dei Casalesi operanti sia in territorio casertano che toscano e comunicava loro informazioni riservate e coperte da segreto istruttorio ricevute dagli investigatori circa attività di intercettazione telefonica e ambientale in corso su numerosi affiliati del sodalizio;
   l'indagine ha inoltre accertato come il funzionario di polizia, in una girandola di rapporti, tutti o quasi finalizzati a rendere servigi a politici, imprenditori o alte cariche di apparati pubblici, si rendeva protagonista di altre rivelazioni di notizie segrete;
   inoltre, la frequenza, il numero e la natura dei rapporti lasciavano intuire che il pubblico ufficiale operasse costantemente con la finalità di acquisire informazioni anche da altri uffici e da colleghi al fine di comunicarle all'esterno e, dunque, piegando la sua funzione di servitore dello Stato ad altre finalità in contrasto con i doveri di lealtà e segretezza;
   le indagini potrebbero incrociarsi, secondo ambienti investigativi, con la vicenda della latitanza di Amedeo Matacena che vede coinvolto l'ex ministro Scajola –:
   quali siano le procedure standard di controllo per verificare che l'accesso alle informazioni riservate da parte dei soggetti appartenenti alla polizia di Stato sia motivato dall'attività svolta;
   quali incarichi abbiano ricoperto Franco Caputo e Cosimo Campagna durante il loro servizio presso la polizia di Stato. (4-04894)


   LOMBARDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 6 maggio 2002, n. 83, convertita con modificazioni dalla legge 2 luglio 2002, n. 133, ha rimesso all'Autorità nazionale di pubblica sicurezza la competenza ad adottare i provvedimenti ed impartire le direttive per la tutela e la protezione delle persone esposte a particolari situazioni di rischio di natura terroristica o correlate al crimine organizzato, al traffico di sostanze stupefacenti, di armi o di parti di esse, anche nucleari, di materiale radioattivo e di aggressivi chimici o biologici o correlate ad attività di intelligence di soggetti od organizzazioni estere;
   tale normativa, al fine di contrastare efficacemente le situazioni di pericolo e di minaccia anzidette, ha previsto l'istituzione, all'interno del Dipartimento della pubblica sicurezza, dell'Ufficio centrale interforze per la sicurezza personale — UCIS, che ha compiti di gestione complessiva dell'apparato di protezione attraverso la raccolta e l'analisi coordinata delle informazioni relative alle situazioni personali di rischio;
   l'UCIS è, dunque, l'ufficio attraverso cui il Dipartimento della pubblica sicurezza, nello specifico settore della protezione dei soggetti a rischio, coadiuva il Ministro dell'interno nella sua funzione di Autorità nazionale di pubblica sicurezza;
   le indicazioni sulle personalità da proteggere arrivano dalle prefetture sul territorio all'Ucis del Viminale che, valutando la sussistenza di pericoli e minacce, dispone le misure di tutela;
   queste ultime sono diverse a seconda del livello di protezione che richiede il personaggio da tutelare:
    le scorte classificate di «primo livello», impegnano 3 auto blindate e una decina di agenti per turno, potendo così contare sul lavoro di 30 agenti nell'arco delle 24 ore; le scorte di «fascia A» vengono mobilitate solo per le massime cariche dello Stato e per le persone «esposte a straordinari pericoli» per l'incarico che ricoprono; per loro la soglia di protezione non può essere abbassata in quanto il rischio è valutato come «imminente ed elevato»;
    le scorte di «secondo livello», hanno a disposizione 2 auto blindate e 6 agenti per turno;
    le scorte di «terzo livello» vedono invece impegnati 2 agenti e una vettura blindata;
    ci sono poi le scorte di «quarto livello», un'auto non blindata e una persona di scorta;
   secondo i dati più aggiornati, sono attualmente 551 le scorte assegnate in Italia, con costi che si aggirerebbero intorno ai 225 milioni di euro; questi servizi di protezione impegnano circa 2.500 uomini tra carabinieri, poliziotti, finanzieri e agenti penitenziari; su queste ultime tipologie di protezione il Ministro dell'interno, Angelino Alfano, con una circolare inviata ai prefetti, aveva annunciato un giro di vite per ridurre gli sprechi;
   ne Il Messaggero online del 12 maggio delle 10.24 si apprende che a Claudio Scajola competeva «avere uomini della polizia al seguito»;
   Claudio Scajola è stato arrestato pochi giorni fa; egli non è nuovo a traversie, vecchie e recenti, di indagini e di processi; in effetti per anni è stato imputato per la vicenda dell'immobile di Roma presso il Colosseo acquistato «a sua insaputa» per essere infine assolto solo nel gennaio 2014;
   Scajola è inoltre stato recentemente indagato fino al 2103 per vicende penali connesse al porto di Imperia –:
   se la scorta assegnata a Scajola sia una misura disposta dall'UCIS del Viminale o se si tratti invece di una misura autonomamente disposta dal prefetto di Imperia, in contrasto con quanto disposto dalla legge;
   se esistano e quanti soldi pubblici siano stati spesi per le cosiddette «difese passive» di Scajola presso abitazioni e studi professionali prima durante e dopo l'incarico di Ministro dell'interno e quante richieste di adeguamento/riparazione per le difese medesime siano state pagate su approvazione dell'UCIS;
   se e fino a quando Scajola abbia goduto del benefit della vigilanza fissa a Imperia e sulla base di quale disposizione normativa;
   quali e quanti viaggi all'estero (con uso di scorta) siano stati comunicati all'UCIS, secondo quanto previsto dalla legge;
   se e fino a quando Scajola abbia usufruito di un ufficio presso la prefettura di Imperia;
   se esista una sorta di testo unico che raccolga tutte le disposizioni e le circolari sulla sicurezza personale presso il Ministero dell'interno. (4-04895)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   GELMINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nelle linee programmatiche presentate al Senato (27 marzo 2014) il Ministro interrogato ha dichiarato di aver registrato con dispiacere che la riorganizzazione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca abbia abolito la competente direzione generale all'istruzione tecnica. Il Ministro si è dunque accorto della qualità strategica di una direzione che è fondamentale per il raccordo tra scuola e mondo delle imprese, per una profonda revisione degli istituti tecnici e per un'ulteriore valorizzazione degli Istituti tecnici superiori (ITS);
   nei Paesi avanzati esiste una struttura di questo tipo, con significativi risultati formativi e occupazionali. Ne esiste una in Spagna, Francia, Germania, Svezia e Finlandia. Senza una «cabina di regia» per l'istruzione tecnica, l'Italia perderebbe ulteriore competitività internazionale;
   il Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi e il Ministro Madia hanno presentato il 30 aprile 2014 le linee guida per un'amministrazione rinnovata, più semplice, dinamica e meno ripiegata su se stessa;
   la soppressione della direzione generale istruzione tecnica per mantenere, a dispetto della sburocratizzazione, la direzione generale per il Gabinetto del Ministro, è ad avviso dell'interrogante un'azione incoerente con quanto stabilito nelle rinnovate linee guida per la riforma della pubblica amministrazione –:
   se intenda semplificare la struttura burocratica di vertice del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con la soppressione della direzione generale del proprio gabinetto, e attraverso l'istituzione di un'agile e ben organizzata direzione generale per l'istruzione tecnico-professionale che possa operare per il raggiungimento degli obiettivi di rafforzamento del capitale umano nell'ambito della formazione tecnica, per favorire l'occupazione dei giovani, la competitività delle imprese e lo sviluppo socio economico dei territori, in coerenza con gli impegni programmatici presentati dal Governo e dallo stesso Ministro in Parlamento. (4-04877)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in una scuola media di Treviso ha avuto luogo la proiezione di un film a tematiche omosessuali in cui si racconta la storia di un padre che lascia la famiglia per andare a vivere con un altro uomo;
   tale proiezione ha suscitato lo sdegno di numerosissimi genitori, i quali hanno contestato sia il fatto che i ragazzi non fossero stati in alcun modo preparati ai contenuti del film, sia il fatto che i genitori stessi non fossero stati preventivamente informati della proiezione –:
   quali iniziative intenda assumere al riguardo del caso di cui in premessa, e se non ritenga opportuno emanare un atto di indirizzo sul tema ai provveditorati regionali. (4-04887)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GIAMMANCO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   entro la fine dell'anno chiuderà i battenti la sede cittadina dell'Istituto nazionale per la previdenza sociale di Bagheria come annunciato in una nota al responsabile dell'ufficio locale dalla dirigente della sede regionale Maria Sandra Perrotta;
   la decisione di chiudere lo sportello Inps è, stata presa in ossequio alla spending review che impone la riduzione dei costi alla pubblica amministrazione a scapito tuttavia di oltre 100.000 abitanti che vi si rivolgono per il disbrigo di pratiche pensionistiche, riconoscimento dell'invalidità civile, cassa integrazione, agevolazioni fiscali;
   i cittadini di Bagheria, che hanno già subito con grave disagio la chiusura della sede distaccata del tribunale di Palermo e della sede della Serit, si trovano ad affrontare una situazione sempre più difficile a fronte dell'ennesimo servizio negato;
   la decisione della direzione regionale ha inoltre suscitato le proteste dei cinque candidati sindaci alle elezioni amministrative del 25 maggio 2014 che si sono dichiarati pronti ad intervenire per assicurare una sede nuova all'Istituto anche mediante l'utilizzo di beni confiscati alla mafia o mettendo a disposizione gratuitamente locali sostenendone i costi di gestione;
   il territorio verrà depredato di un altro servizio fondamentale a discapito della collettività, che dovrà recarsi a Palermo per il disbrigo delle pratiche con un notevole aggravio di spesa e di tempo –:
   come il Governo intenda procedere in relazione a questa grave situazione di disagio per i cittadini di Bagheria e se intenda assumere iniziative perché si eviti la chiusura di tale sede eventualmente accogliendo proposte che dovrebbero provenire dall'ente locale nel senso indicato nella premessa. (5-02854)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GALLINELLA, GAGNARLI, PARENTELA, MASSIMILIANO BERNINI, COMINARDI, BECHIS e ROSTELLATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   un inchiesta condotta dall'associazione In Migrazione e diffusa dai maggiori quotidiani nazionali il 16 maggio 2014, descrive il caso dello sfruttamento degli indiani Sikh dell'Agro Pontino, costretti ad assumere stupefacenti per lavorare senza sosta nei campi;
   dall'inchiesta emerge come gli indiani Sikh, la cui seconda comunità in Italia si trova proprio nell'Agro Pontino, siano trattati da schiavi, obbligati a lavorare dalle 12 alle 15 ore al giorno nei campi – tutti i giorni della settimana, per soli 4 euro l'ora – per coltivare ortaggi in maniera intensiva, sotto il sole o nelle serre che si trasformano in vere e proprie camere a gas quando vengono costretti a spruzzare agenti chimici senza nessuna protezione;
   i braccianti Sikh, per sopravvivere ai ritmi massacranti e aumentare la produzione dei «padroni», sono costretti, quindi, a doparsi con sostanze stupefacenti e antidolorifici per contrastare la fatica ed eliminare la stanchezza e il dolore;
   gli elementi che emergono dall'inchiesta sono, a parere degli interroganti, gravissimi e meritano un'attenzione particolare da parte dello Stato italiano, sia in riferimento alla lesione dei diritti dei lavoratori, sia da un punto di vista umano: questo fenomeno annienta la dignità di una popolazione che è sottoposta, di fatto, ad una moderna forma di schiavitù;
   l'assunzione di sostanze di qualunque tipo – ricorda ancora il dossier – è severamente proibita dalla religione Sikh e dunque condannata senza remore, perciò questa pratica rischia di lasciare profonde cicatrici in una comunità che nel rispetto delle tradizioni e della propria filosofia di vita fonda le radici e la sua stessa identità;
   le sostanze stupefacenti di cui gli indiani sono costretti a fare uso, sempre leggendo il dossier di In Migrazione, provengono per lo più da traffici italiani variamente organizzati con collegamenti anche con l'estero;
   il fenomeno del caporalato in Italia, in cui il caso emerso dal dossier di In Migrazione, rientra a pieno titolo, è ancora ben lontano dall'essere arginato: secondo il primo rapporto su caporalato e agromafie realizzato da Flai Cgil, sarebbero coinvolti circa 400 mila lavoratori, il più delle volte braccianti stagionali;
   il caporalato è stato inserito tra i reati perseguibili penalmente nel 2011, essendo considerato un «reato spia» di infiltrazioni criminali nel settore agricolo: si stima che il giro d'affari connesso alle agromafie sia compreso tra i 12 e i 17 miliardi di euro, il 5-10 per cento di tutta l'economia mafiosa, per la maggior parte giocato tra la contraffazione dei prodotti alimentari e il caporalato –:
   se sia a conoscenza del gravissimo episodio esposto in premessa e se, nell'ambito delle proprie competenze ed in coordinamento con altri dicasteri, intenda approfondire quanto emerso dall'indagine di In Migrazione e mettere in atto tutte le azioni volte a contrastare ed arginare un così grave fenomeno, lesivo dei diritti dei lavoratori e della dignità umana di un'intera popolazione;
   se intenda avviare un'indagine volta valutare se casi simili a quello denunciato in Agro Pontino siano presenti anche in altre realtà agricole nazionali;
   se intenda dare finalmente avvio ad azioni concrete ed urgenti volte a contrastare il fenomeno del caporalato, considerando soprattutto che la più diffusa forma è proprio quella che riguarda la manodopera agricola, prevedendo controlli incrociati tra produzione dell'azienda agricola, reale fabbisogno della manodopera e contributi versati. (4-04874)


   CHAOUKI e MICCOLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   dagli articoli sul quotidiano La Repubblica, a firma di Vladimiro Polchi, e de il Manifesto, a firma Angelo Mastrandrea, si apprende che nell'area dell'Agro Pontino, in provincia di Latina, i braccianti agricoli impiegati nei lavori più vessanti di raccolta nei campi, per lo più immigrati indiani di etnia sikh, sarebbero costretti a doparsi per poter reggere ritmi di lavoro di dodici, talvolta quindici ore;
   ci sarebbero centinaia di indiani sikh che ingoierebbero quotidianamente sostanze stupefacenti e antidolorifici che inibiscono la sensazione di fatica e stanchezza per poter resistere dodici e più ore sui campi e sopportare il dolore di dover stare piegati durante le operazioni di raccolta manuale di ortaggi, semina e piantumazione, per quattro euro l'ora nel migliore delle ipotesi;
   a denunciare tale condizione di sfruttamento è un dossier della onlus InMigrazione (www.inmigrazione.it), che ha raccolto le interviste ai braccianti indiani della zona agricola in provincia di Latina. Secondo le stime della Cgil, la comunità arriverebbe a contare ufficialmente circa 12 mila persone, anche se è immaginabile un numero complessivo di 30 mila presenze contando gli «irregolari»;
   le sostanze dopanti sarebbero vendute al dettaglio agli indiani, spiega il report di InMigrazione, da spacciatori italiani variamente organizzati con collegamenti anche con l'estero –:
   quali iniziative urgenti i Ministri interrogati intendano adottare al fine di far luce sui fatti riportati, nonché se e quali iniziative intendano adottare al fine di garantire il rispetto dei diritti dei lavoratori in materia di orari, salario e condizioni di lavoro. (4-04876)


   MAIETTA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la società «SAPA Profili S.r.l., con sede a Pontinia, in provincia di Latina, appartiene al gruppo internazionale Sapa AS, che impiega circa ventitremila persone in oltre quaranta Paesi;
   ai primi di maggio del 2014, la società ha annunciato la sua intenzione di procedere alla chiusura di uno stabilimento e, conseguentemente, la sua necessità di esperire una procedura di licenziamento collettivo al fine di ridurre il personale di 136 unità;
   le motivazioni della chiusura dello stabilimento risiederebbero nella crisi che l'intero gruppo cui essa appartiene sta attraversando a livello internazionale;
   la società ha inoltre dichiarato di voler procedere quanto prima ai licenziamenti, determinando grande allarme nei dipendenti che si vedono da un momento all'altro privi di occupazione e del reddito adeguato per sostenere economicamente se stessi e le proprie famiglie –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere con riferimento alla grave situazione dei lavoratori coinvolti dalla procedura di licenziamento di cui in premessa, se del caso sollecitando l'istituzione di un apposito tavolo tecnico presso il suo dicastero. (4-04879)


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, RIZZETTO, BECHIS, CHIMIENTI, ROSTELLATO, BALDASSARRE, CRIPPA e TURCO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   lo IAL (Innovazione apprendimento lavoro), impresa sociale e società a responsabilità limitata, è stata fondata per iniziativa del sindacato nazionale CISL (Confederazione italiana dei sindacati lavoratori) nel 1955 per promuovere una migliore tutela del lavoro a partire dalla qualificazione professionale dei lavoratori e dalla competitività delle imprese. Ad oggi sono circa 300 ragazzi, di cui alcuni con gravi disagi sociali, a frequentare i corsi di formazione dello IAL Lazio;
   la CISL, settore scuola, è proprietaria a tutt'oggi dello IAL Lazio;
   lo IAL Lazio, con sede operativa in via Demetriade, 76, Roma, è finanziato con fondi pubblici dalla regione Lazio e dalle province della stessa e dall'anno 2000 anche con risorse di privati che lo stesso istituto utilizza per fare formazione;
   responsabile delle retribuzioni, contributi e T.F.R. dei lavoratori dello IAL Lazio è la CISL della regione Lazio, settore scuola, da cui lo IAL Lazio dipende;
   da agosto 2013, ai 43 lavoratori dello IAL Lazio non vengono versati stipendi, contributi e T.F.R,;
   da settembre 2013 lo IAL Lazio è stato messo in liquidazione. Se la liquidazione divenisse effettiva, porterebbe i 43 lavoratori al licenziamento senza T.F.R.;
   i lavoratori dello IAL Lazio, nonostante gli stipendi arretrati non pagati dalla CISL Lazio, settore scuola, continuano a fornire la loro professionalità;
   la CISL Lazio, settore scuola, non versa i contributi dei 43 lavoratori interessati da agosto 2013 e, cosa da ritenersi ancor più grave, la cifra corrispondente all'accantonamento dei T.F.R. e liquidazioni degli stessi lavoratori sono stati utilizzati dalla CISL per fare investimenti immobiliari dei locali di via Fassini, 22, Rieti, come da ammissione di Tommaso Ausili, segretario generale aggiunto CISL Lazio, in una intervista rilasciata alla trasmissione televisiva «Le Iene» dell'11 marzo 2014, trasmessa dall'emittente «Italia Uno»;
   per ammissione dei lavoratori interessati, è stata fatta richiesta di essere accolti dal Segretario generale della CISL, Raffaele Bonanni, per discutere del loro problema. Tale ammissione è stata confermata in un'intervista dai lavoratori dello IAL Lazio realizzata nella trasmissione televisiva «La Gabbia» del 30 aprile 2014, trasmessa dall'emittente «LA7». Nella stessa trasmissione, Bonanni risulta abbia dichiarato che il problema è conosciuto ma che è di competenza di altri dirigenti CISL;
   peraltro la questione dello IAL sembrerebbe essere oggetto dell'attenzione della procura della Repubblica di Messina laddove sono già state rese pubbliche intercettazioni telefoniche del seguente tenore: «Questa cosa – dice una persona intercettata – ora, scoppia in questo caso. Raffaele Bonanni [segretario generale della Cisl], che cosa ha combinato, aveva il discorso dello IAL che era indebitato. Quindi non poteva più pagare, non poteva avere Durc, non poteva avere più niente. Quindi hanno mandato ad Albert per sanare questa situazione, dal Piemonte. E l'IAL se la sono comprata, e chi se l’è comprata ? Ora è privata non è più che l'IAL è CISL, tant’è vero che si chiama IAL, l'hanno modificata. Lì c’è Genovese che ha comprato... Genovese e... D'Antoni (ex segretario Cisl e deputato, ndr)». «Insieme...» dice l'altro. «L'ex assessore, Nino Papania (ex senatore Pd, ndr), della stessa corrente di Innovazione con Genovese, e l'altro, Luigi Cocilovo (ex segretario della CISL ed ex eurodeputato del PD) (...) Questo passaggio dell'IAL così, questa cosa che hanno sistemato. (...) se la magistratura mette mano a come hanno ceduto questo Ente, questi che fanno politica...» –:
    se i Ministri siano a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   se i Ministri, per quanto di loro competenza, non ritengano opportuno assumere iniziative per porre rimedio al mancato versamento di stipendi, contributi e TFR, come indicato nelle date sopra riportate, da parte della CISL Lazio, settore scuola, nei confronti dei 43 lavoratori dello IAL Lazio. (4-04884)


   NICCHI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio dell'agro pontino a Sabaudia (Latina) gli operai vengono dopati per sopportare il lavoro nei campi: è il risultato di uno sconcertante dossier realizzato dal sociologo Marco Omizzolo per l'associazione In migrazione e ripreso dal Manifesto con un articolo di Angelo Mastrandrea pubblicato il 16 maggio 2014;
   sarebbero molti i Sikh costretti nelle campagne tra Latina, Sabaudia e Terracina ad assumere metanfetamine per resistere a oltre 15 ore di durissimo lavoro sotto le asfissianti serre chiuse e imbottite di pesticidi. Senza alcuna protezione per loro. Gli operai hanno sempre la tosse e dolori ovunque per la posizione scorretta cui sono costretti a stare per ore e ore; una fatica immensa per pochi spiccioli;
   a fine giornata vanno via in bicicletta: qualcuno viene rapinato, altri vengono investiti dalle auto. Chi torna a casa non sa più come andare avanti e così, al mattino, prende un ovetto di metanfetamine oppure bulbi di papavero essiccati che vengono diluiti in acqua calda per far meno male a gola e stomaco. Sostanze, a quanto sembra, cedute agli operai dai caporali; per farli resistere, per farli lavorare – qualora fosse possibile – ancora di più. Le forze dell'ordine che operano nella zona, negli ultimi tempi, hanno sequestrato chili e chili di droga. Tutto, purtroppo, sembra confermare questo terribile sospetto –:
   quali iniziative di competenza intendano assumere per verificare, la situazione descritta eventualmente assumendo iniziative per promuovere cure particolari;
   quali iniziative si intendano prendere, per quanto di propria competenza, per porre urgentemente fine a questo sistema lavorativo, privo di qualunque regola e diritto, basato sullo sfruttamento ed eticamente riprovevole;
   se non si ritenga importante avviare immediatamente una ispezione su tutto il territorio nazionale, oltre che in particolare nel territorio del basso Lazio, per verificare l'entità del fenomeno esposto in premessa e quali iniziative intenda porre in essere al fine di tutelare i diritti di questi lavoratori. (4-04888)


   BECHIS, COMINARDI, BALDASSARRE, CIPRINI, ROSTELLATO, TRIPIEDI, MUCCI, PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   quanto si sta verificando a carico di 197 lavoratori della SATIZ Editore s.r.l., è, ad avviso degli interroganti, il risultato dell'uso distorto del cosiddetto sistema delle scatole cinesi. Meccanismo con cui sempre più imprenditori, stanno tagliando posti di lavoro, per riversare il sostentamento dei lavoratori in esubero sulla spesa pubblica tramite gli ammortizzatori sociali e o per eludere le garanzie dei lavoratori di cui allearti 8 dello statuto dei lavoratori;
   nel dicembre 2011 la ILTE s.p.a. (società grafica di notevole valenza nazionale nel campo della stampa) decideva di cedere alla SATIZ Editore s.r.l. (società anch'essa grafica) parte del ramo aziendale di stampa, operazione, che a detta dell'Amministratore delegato di ILTE s.p.a., dottor Alessandro Rosso, veniva effettuata con lo scopo di evitare la cessazione e conseguente chiusura dell'attività produttiva;
   in data 18 luglio 2013 La SATIZ Editore s.r.l., amministrata dal dottor Alessandro Rosso, aveva sottoscritto con la CANALE Industrie Grafiche s.r.l. un accordo quadro per definire le linee guida di un piano industriale, condizionato all'approvazione degli istituti finanziari di un più ampio piano di ristrutturazione e di ottimizzazione organizzativa e finanziaria. Lo scopo dell'operazione era la creazione di un polo grafico piemontese capace di competere a livello regionale e nazionale, che si prevedeva potesse fatturare tra gli 85 e 90 milioni annui e con una forza lavoro complessiva di circa 370 dipendenti;
   nel novembre 2013 la G. CANALE S.p.A. e la SATIZ Editore S.r.l. siglarono l'accordo di aggregazione industriale nel comparto della carta stampata, che prevedeva l'unione tra la G. CANALE S.p.A. (Borgaro Torinese) e la SATIZ Editore S.r.l. (Moncalieri), società industriale del Gruppo SATIZ S.r.l., discussa e approvata dal dottor Giacomo CANALE, alla guida dell'omonimo gruppo e dal dottor Alessandro Rosso alla guida del Gruppo SATIZ;
   con atto datato 18 novembre 2013, la SATIZ Editore s.r.l., di Moncalieri, stipulava contratto d'affitto di ramo d'azienda con la (allora) CANALE Industrie Grafiche s.r.l., di Borgaro. Tale accordo, sottoscritto rispettivamente dal signor Scantamburlo, amministratore unico di SATIZ Editore s.r.l. e dal dottor Enzo Gabbai, amministratore unico della (allora) CANALE industrie Grafiche s.r.l., stabiliva che, come enunciato chiaramente nel contratto di affitto, l'operazione lasciava tutti i debiti commerciali in capo a SATIZ Editore proprio per consentire il salvataggio dell'attività produttiva e la conservazione dei posti di lavoro del sito di Moncalieri;
   la CANALE industrie Grafiche s.r.l. ha subito provveduto al trasferimento, presso la propria sede di Borgaro, di tutti i dipendenti del gruppo vendite della SATIZ, operazione celebrata al cospetto del Doti Alessandro Rosso (prima di Scantamburlo amministratore di SATIZ Editore S.r.l.) e del dottor Giacomo Canale amministratore dell'omonimo gruppo;
   la SERGRAF aveva da qualche settimana sospeso gli ordinativi di materie prime per la sede di Moncalieri e aveva avviato il ritiro dai magazzini, della stessa, della carta idonea alla stampa;
   nel mese di marzo 2014 SATIZ Editore s.r.l. ha presentato domanda di concordato preventivo avendo tenuto tutti i debiti del ramo d'azienda (debiti che le erano stati trasferiti dalla precedente proprietà, ILTE s.p.a.), nello stesso mese, CANALE Industrie Grafiche cambiava la propria denominazione sociale in SERGRAF Servizi Grafici (facendo così scomparire il nome CANALE);
   il 31 marzo 2014, a soli 5 mesi dall'operazione, il dottor Enzo Gabbai, amministratore delegato di SERGRAF, già CANALE industrie grafiche, ha dichiarato di voler disdettare l'affitto dell'impianto di Moncalieri (dove sono installate tre rotative Lithoman, una Offset a foglio 70x100 a dieci colori e tre linee per il punto metallico) e di volerlo restituire alla SATIZ Editore s.r.l. che nel frattempo, avendo chiesto la procedura di concordato preventivo ha bloccato di fatto l'intera produzione dello stabilimento di Moncalieri;
   nella giornata del 31 marzo 2014 veniva comunicato ad alcuni lavoratori tramite sms di non presentarsi al lavoro a causa del fermo della produzione e contestualmente veniva dato ordine al servizio di sicurezza di impedire l'accesso ai dipendenti fermandoli all'ingresso della fabbrica. Alcuni lavoratori, recatisi legittimamente sul posto di lavoro, verificavano l'assenza di qualsiasi responsabile compreso il responsabile della sicurezza in spregio della normativa vigente in materia. Altri lavoratori, questa volta del turno di notte, si recavano in azienda per prestare la propria attività lavorativa, ma il responsabile chiedeva loro di sottoscrivere delle richieste di permessi così come era stato a lui suggerito dalla direzione della SERGRAF s.r.l. i lavoratori, quindi, invitati ad uscire dopo aver firmato i permessi (pur non volendo), richiedevano l'intervento dei carabinieri di Moncalieri i quali intervenivano sul posto e costatavano la circostanza di cui sopra;
   la SERGRAF, avendo perso i clienti della SATIZ, anche a seguito della decisione di fermare gli impianti di Moncalieri e quindi non garantire la produzione, vorrebbe ora restituire un ramo d'azienda oramai secco, poiché svuotato della sua capacità di creare valore;
   i lavoratori hanno espresso forti dubbi sulla scelta di SATIZ di astenersi dal chiedere alla SERGRAF la restituzione immediata delle commesse e del magazzino che nel frattempo erano stati travasati con la nuova gestione in capo alla SERGRAF, oltre ad eventuali altri danni ancora da accertare;
   il 3 aprile 2014, a seguito della protesta dei 197 dipendenti della sede di Moncalieri, svoltasi davanti alla sede della G. CANALE & C. s.p.a. di Borgaro, si è svolto un incontro alla prefettura di Torino cui hanno partecipato i rappresentanti delle organizzazioni sindacali, il rappresentante della Ragione Piemonte competente per le erogazioni degli ammortizzatori sociali, la proprietà della SATIZ Editore e il presidente del consiglio di amministrazione di G. CANALE & C. s.p.a.;
   durante l'incontro, di cui sopra, la posizione del dottor CANALE è stata quella di sostenere che a seguito dell'esercizio da parte della Canale/Sergraf della clausola risolutiva espressa, è tornata in capo a SATIZ Editore la gestione del ramo e del rapporto con i lavoratori ad esso connesso, ne consegue che SATIZ Editore sarebbe, in base a questa tesi, l'unico avente diritto a sollecitare presso il Ministero del lavoro l'erogazione degli ammortizzatori sociali. La tesi del dottor Canale viene rigettata da SATIZ Editore in quanto la risoluzione del contratto d'affitto, così come avvenuta, non è contemplata contrattualmente e pertanto priva di validità ed efficacia, ribadendo, alla CANALE/SERGRAF, che i dipendenti rimangono in capo alla SERGRAF servizi grafici;
   in data 8 aprile 2014 la SATIZ Editore s.r.l., a seguito di accordo tra le parti, richiedeva l'erogazione della cassa integrazione straordinaria per cessazione di attività –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto sopra esposto;
   se il Ministro competente ritenga, nell'ambito delle sue prerogative ed attraverso l'utilizzo degli strumenti ispettivi ad esso propri, verificare i fatti esposti in premessa al fine di garantire il massimo della tutela ai lavoratori della SATIZ Editore S.r.l.;
   se i Ministri interrogati intendano, per quanto di competenza porre in essere ogni iniziativa di tutela in favore dei lavoratori della SATIZ Editore S.r.l. anche attraverso l'utilizzo degli ammortizzatori sociali e l'apertura di tavoli di concertazione volti a salvaguardare l'azienda ed i posti di lavoro. (4-04891)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALLINELLA, L'ABBATE, LUPO e GAGNARLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il problema delle reti da pesca abbandonate in mare rappresenta una grave minaccia per l'ecosistema marino e per gli organismi viventi che lo popolano; come evidenziato da studi recenti realizzati dall'ONU le reti dismesse nei mari e oceani ammontano a 640.000 tonnellate e causano ingenti danni oltre al decesso di migliaia di pesci;
   le reti da pesca abbandonate sono considerate rifiuti marini e ad esse si applica la direttiva quadro sulla strategia per l'ambiente marino (2008/56/CE) che prevede che gli Stati membri sviluppino metodi armonizzati di monitoraggio dei rifiuti, inclusi quelli trovati nei fondali, presenti nelle acque marine a cui appartengono e, in particolare, procedano ad una analisi delle caratteristiche essenziali di tali acque, degli impatti e delle pressioni principali anche dovute alle attività umane oltre che ad una analisi dei costi del degrado dell'ambiente marino;
   gli Stati devono poi stabilire il «buono stato ecologico» delle acque tenendo conto della diversità biologica, della presenza di specie non indigene, della salute degli stock, della rete trofica, dell'eutrofizzazione, del cambiamento delle condizioni idrografiche e delle concentrazioni di contaminanti, della quantità di rifiuti o dell'inquinamento acustico al fine di definire obiettivi ed indicatori misurabili e coerenti utili al conseguimento di un buono stato ecologico;
   la definizione dei suddetti obiettivi deve essere accompagnata da un insieme di misure concrete atte alla loro realizzazione e da programmi di vigilanza coordinati, allo scopo di procedere a valutazioni regolari dello stato delle acque di cui sono responsabili gli Stati membri –:
   quali misure siano state adottate dal Governo italiano a tutela dell'ecosistema marino e in particolare per contenere i danni derivanti dall'abbandono in mare di reti da pesca che, devastando i fondali, causano gravi danni ecologici oltre che rischi per la navigazione e se non ritenga opportuno istituire un contrassegno per ogni rete in dotazione ai pescherecci ovvero valutare la possibilità di concedere incentivi economici ai pescatori affinché denuncino la perdita di attrezzature specifiche e procedano a sbarcare le reti danneggiate e non più utilizzabili;
   se il Governo italiano, sempre a tutela dell'ecosistema marino, non intenda promuovere una ricerca al fine di realizzare reti biodegradabili ad esempio in fibra vegetale (canapa o altro), anche con incentivi alla sostituzione legata sia al naturale degrado che all'aggiornamento dei regolamenti in materia di regolamentazione «reti da pesca». (5-02856)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIORGIA MELONI, RAMPELLI, CIRIELLI, CORSARO, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'accordo commerciale con il Marocco approvato dal Parlamento europeo il 16 febbraio 2012, prevede l'aumento delle quote di scambio per una serie di prodotti che potranno essere importati a tariffe doganali basse o pari a zero rappresenta una tappa verso un accordo di libero scambio;
   in particolare, l'accordo eliminerà immediatamente il 55 per cento delle tariffe doganali sui prodotti agricoli e di pesca marocchini (dal 33 per cento attuale) e il 70 per cento delle tariffe sui prodotti agricoli e di pesca dell'Unione europea in 10 anni (rispetto all'1 per cento attuale);
   il testo prevede, comunque, una serie di misure di salvaguardia, tra le quali la possibilità di un aumento moderato delle quote di scambio su alcuni prodotti considerati sensibili, la previsione della variabilità delle quote di scambio in base alla stagione per evitare distorsioni sul mercato Unione europea e l'obbligo dei prodotti marocchini di rispettare gli standard sanitari europei;
   la questione degli accordi commerciali tra l'Unione europea ed il Marocco dura ormai da alcuni anni, e già nel recente passato i produttori spagnoli e quelli italiani hanno energicamente contestato tali accordi, che, visti in un ottica più ampia, vanno nella direzione di «più commodities marocchine in Europa in cambio di esportazione di macchine e servizi dall'Europa al paese magrebino»;
   l'accordo commerciale comporta forti criticità soprattutto con riferimento al settore ortofrutticolo del nostro Paese, danneggiando i produttori italiani ed in particolare quelli siciliani;
   ad oggi, tenendo conto dei volumi commercializzati, i prodotti marocchini che più di altri esercitano un impatto negativo sulla produzione ortofrutticola italiana sono il pomodoro da mensa e le arance;
   con riferimento al pomodoro da mensa, ad esempio, il calendario di commercializzazione del prodotto coincide con quello dei produttori siciliani e, di conseguenza, i principali mercati all'ingrosso italiani segnalano la presenza di prodotto marocchino, sempre nello stesso periodo, a prezzi molto più bassi di quelli riscontrati per il prodotto nazionale;
   l'aggressività delle politiche commerciali degli esportatori marocchini ha forti ripercussioni, in quanto un'offerta di prodotto estero a bassi livelli di prezzo tira giù anche il prezzo del prodotto made in Italy;
   il nuovo accordo commerciale tra Marocco e Unione europea determinerà un'ulteriore perdita di competitività del nostro prodotto sui mercati dei Paesi nordeuropei quali Germania, Austria e Regno Unito;
   a tali problematiche si aggiunge il fatto che all'atto dell'immissione dei prodotti marocchini nel nostro mercato, essi non vengono sottoposti a sufficienti controlli, essendo tale procedura eseguita esclusivamente con il metodo «a campione», e perciò non esiste un compiuto riscontro della loro rispondenza ai nostri parametri di sicurezza sanitaria –:
   quali opportuni provvedimenti intendano assumere con riferimento alle problematiche esposte in premessa al fine di tutelare sia la produzione ortofrutticola nazionale, sia la salute dei consumatori. (4-04878)


   BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE, LUPO, PARENTELA, BUSTO e SILVIA GIORDANO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in alcune regioni d'Italia (Veneto, Piemonte, Lombardia) i prodotti Aviozolfo e Aviocaffaro vengono autorizzati ininterrottamente dal 2008 anno dopo anno per l'irrorazione aerea, nonostante l'articolo 9 della Direttiva 2009/128/CE lo vieti; inoltre il decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, in attuazione della direttiva 2009/128/CE, istituisce un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi; la deroga è permessa in condizioni estremamente limitate e controllate, per esempio, nel caso in cui non ci fossero alternative praticabili rispetto all'uso degli elicotteri oppure in caso di evidenti vantaggi per la salute umana e l'ambiente rispetto all'applicazione dei fitosanitari da terra;
   la normativa vigente indica che la zona da irrorare non deve essere in stretta vicinanza di zone residenziali e se l'area da irrorare si trova nelle strette vicinanze di aree aperte al pubblico, nell'autorizzazione devono essere incluse specifiche misure di gestione dei rischi, volte a garantire che non vi siano effetti, dovuti alla deriva, nocivi sulla salute dei residenti; inoltre le autorità competenti devono indicare le misure necessarie per avvertire preventivamente i residenti e le persone presenti e per tutelare l'ambiente nelle vicinanze dell'area irrorata. Le autorità competenti conservano copia delle richieste e delle approvazioni ai sensi del paragrafo A.4.3, punto 6, del Piano d'azione Nazionale (PAN) per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, e mettono a disposizione del pubblico le pertinenti informazioni ivi contenute, quali l'area da irrorare, il giorno e l'ora previsti dell'irrorazione e il tipo di pesticida, conformemente con la normativa nazionale o comunitaria applicabile;
   il Pan all'articolo A.4.4 – Informazioni alla popolazione interessata e alle autorità locali – indica che il soggetto autorizzato deve provvedere alla diffusione delle informazioni nei riguardi della popolazione interessata. A tale scopo è tenuto ad affiggere, per il tramite dei Comuni interessati, un congruo numero di manifesti secondo modalità che consentano un'adeguata informazione. In tali manifesti saranno indicati: il periodo in cui sono previsti gli interventi aerei, le zone sorvolate, i prodotti fitosanitari che verranno utilizzati e i tempi di rientro. Il soggetto autorizzato deve comunicare per ciascun trattamento, con un preavviso di 48 ore, il giorno e l'ora di inizio degli interventi con mezzi aerei ai Comuni interessati e alle singole Aziende Sanitarie Locali (ASL) competenti per territorio. Il rinvio del trattamento deve, altresì, essere comunicato immediatamente al Comune ed all'Azienda Sanitaria Locale (ASL) competente per territorio, secondo modalità preventivamente concordate;
   inoltre, sempre il PAN, al punto A.4.5 – Prescrizioni specifiche – indica che durante i trattamenti è vietato il sorvolo dei centri abitati (...). In ogni caso il sorvolo delle vie di comunicazione e dei corsi d'acqua, deve avvenire intersecando gli stessi nel tratto più breve, mantenendo gli ugelli chiusi. Al fine di ridurre gli effetti della deriva devono essere osservate le seguenti prescrizioni:
    a) il diametro medio delle gocce delle miscele irrorate deve essere tale da limitare al massimo la deriva;
    b) i trattamenti devono essere eseguiti con classe 1 della scala di Beaufort della forza del vento;
    c) i trattamenti devono essere eseguiti in modo che il pilota possa fruire di idonee indicazioni a terra (contrassegni di confine, zone di rispetto, indicazioni di direzione di volo e simili) che gli consentano di operare nel modo migliore;
    d) la distribuzione dei prodotti fitosanitari deve avvenire con traiettorie di volo alle minime altezze e a velocità compatibili con la sicurezza del volo e l'efficienza del trattamento;
   le aree trattate potranno essere agibili nel rispetto dei tempi di rientro specificati in etichetta del prodotto fitosanitario utilizzato;
   il punto A.5.6 – Misure per la riduzione dell'uso o dei rischi derivanti dall'impiego dei prodotti fitosanitari nelle aree frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili – indica che ai fini della tutela della salute e della sicurezza pubblica è necessario ridurre l'uso dei prodotti fitosanitari o dei rischi connessi al loro utilizzo nelle aree frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili, ricorrendo a mezzi alternativi (meccanici, fisici, biologici), riducendo le dosi di impiego e utilizzando tecniche e attrezzature, che permettano di ridurne al minimo la dispersione nell'ambiente;
   allo stesso punto si indica inoltre che è fatto obbligo di avvisare la popolazione attraverso l'apposizione di cartelli che indicano, tra l'altro, la sostanza attiva utilizzata, la data del trattamento e la durata del divieto di accesso all'area trattata. La durata del divieto di accesso non deve essere inferiore al tempo di rientro eventualmente indicato nell'etichetta dei prodotti fitosanitari utilizzati e, ove non presente, nelle aree frequentate dai gruppi vulnerabili non può essere inferiore a 48 ore. Nelle aree interessate non possono essere utilizzati prodotti fitosanitari che abbiano tempi di rientro superiori a 48 ore. Nelle medesime aree si dovrà evitare l'accesso provvedendo ad un'adeguata e visibile segnalazione e, in relazione alla specifica situazione, ad un'eventuale delimitazione delle stesse;
   al punto A.5.6.2 – Utilizzo dei prodotti fitosanitari ad azione fungicida, insetticida o acaricida – indica che le autorità locali competenti, devono tener conto che sono da privilegiare misure di controllo biologico, trattamenti con prodotti a basso rischio come definiti nel regolamento (CE) 1107/09, con prodotti contenenti sostanze attive ammesse in agricoltura biologica, di cui all'allegato del regolamento CE 889/08. In ogni caso è comunque escluso l'utilizzo di prodotti fitosanitari classificati tossici e molto tossici o che riportano in etichetta le seguenti frasi di rischio: da R20 a R28, R36, R37, R38, R42, R43, R40, R41, R48, R60, R61, R62, R63, R64 e R68, ai sensi del decreto legislativo n. 65/2003 successive modificazioni ed integrazioni o le indicazioni di pericolo corrispondenti di cui al regolamento (CE) n. 1272/2008. Tali prodotti non devono, comunque, contenere sostanze classificate mutagene, cancerogene, tossiche per la riproduzione e lo sviluppo embriofetale, sensibilizzanti, ai sensi del regolamento (CE) n. 1272/2008;
   i due prodotti Aviozolfo e Aviocaffaro, che annualmente ottengono l'autorizzazione speciale, hanno una composizione che conosciamo solo in parte: l'85 per cento dell'Aviozolfo e il 20 per cento dell'Aviocaffaro; le percentuali sconosciute sono coformulanti, che la dottoressa Maristella Rubbiani, dell'ISS – Istituto Superiore di Sanità – definisce come «spesso più pericolosi dei principi attivi». Essa inoltre dichiara che qualche volta i principi attivi vengono registrati come coformulanti, e quindi sfuggono al controllo. Il tutto rende difficile la correlazione causa effetto, in caso d'intossicazione, non potendo sapere cosa fa più male, se il principio attivo studiato o il coformulante di cui non si conosce la natura ed il pericolo;
   il prodotto Aviocaffaro ha le seguenti frasi di rischio, che tuttavia sono vietate dal Pan: R20/22 R43; il prodotto Aviozolfo ha le seguenti frasi di rischio, vietate dal Pan: R22 R36/37;
   nella provincia di Treviso l'utilizzo dell'elicottero sarebbe giustificato dal fatto che la pendenza delle colline non consentirebbe i trattamenti da terra;
   risulterebbe agli interroganti che, nonostante la pendenza delle colline, avvengano regolarmente (in stagione) tutti i trattamenti da terra raccomandati con cadenza quindicinale, come per esempio gli interventi antiperonosporici o acaricidi; ciò dimostrerebbe l'esistenza di alternative praticabili (cioè irrorazione da terra, come già avviene per tutti gli altri trattamenti) facendo decadere la condizione che giustifica la deroga; a dimostrazione che le alternative sono possibili, 9 dei 15 comuni del consorzio docg hanno vietato i trattamenti aerei sull'intera area comunale;
   nella provincia di Treviso, in alcuni comuni del consorzio DOCG Prosecco, le case, le scuole, gli orti privati, le strade, sono confinanti con i vigneti;
   da articoli di stampa, dalle testimonianze dei residenti e dell'associazione WWF AltaMarca, pare siano molte le segnalazioni di residenti e turisti che lamentano di essere stati «irrorati» insieme ai vigneti, di non essere stati avvisati preventivamente delle irrorazioni e di non essere mai stati informati del tempo di carenza di 48 ore, prima di poter accedere alla zona irrorata dall'elicottero, perciò anche nelle zone soggette alla deriva; inoltre, nelle aree trattate non è mai stata posta adeguata e visibile segnalazione;
   considerando che la deriva della nuvola irrorata dai trattamenti a terra non è controllabile, a maggior ragione la deriva risulta ancor più incontrollabile, quando l'irrorazione avviene a 40 e più metri da terra e con correnti d'aria non misurabili;
   l'irrorazione aerea amplifica i rischi per la salute umana e l'ambiente in quanto le irrorazioni dall'elicottero ovviamente sono molto più invasive; la deriva dell'elicottero si estende oltre i limiti del vigneto in trattamento; grazie all'azione del vento le gocce più piccole vengono trasportate molto più lontano; quindi, a parere degli interroganti, l'irrorazione aerea non può rappresentare alcun vantaggio per la salute umana e l'ambiente rispetto all'applicazione di pesticidi a terra, facendo decadere la condizione che giustifica la deroga;
   a parere degli interroganti appare estremamente difficoltoso il rispetto delle prescrizioni specifiche di cui all'articolo A.4.5 del Pan, soprattutto per quanto riguarda il controllo del diametro medio delle gocce delle miscele irrorate e l'applicazione della scala di Beaufort, essendo prevista per misurazioni in pianura e non per le misurazioni in collina;
   le autorizzazioni speciali annuali fanno riferimento al regolamento CE/1107/2009, che all'articolo 53 «situazioni di emergenza fitosanitaria» recita: «In deroga all'articolo 28, in circostanze particolari uno Stato membro può autorizzare, per non oltre centoventi giorni, l'immissione sul mercato di prodotti fitosanitari per un uso limitato e controllato, ove tale provvedimento appaia necessario a causa di un pericolo che non può essere contenuto in alcun altro modo ragionevole»;
   a parere degli interroganti le deroghe si ispirano impropriamente a tale regolamento in quanto non sussisterebbero tale emergenza fitosanitaria e neppure la necessità del provvedimento di autorizzazione «a causa di un pericolo che non può essere contenuto in alcun altro modo ragionevole»; come precedentemente dimostrato, infatti, nulla vieta i normali trattamenti a terra;
   vista la mancanza delle condizioni che consentono la deroga, l'invasività delle irrorazioni aeree che mettono a rischio la salute umana e dell'ambiente, il mancato rispetto delle norme di sicurezza e di adeguati controlli, la parziale e insufficiente conoscenza dei prodotti irrorati –:
   se non ritenga di dover interrompere le autorizzazioni dei prodotti Aviozolfo e Aviocaffaro per l'irrorazione aerea;
   su quali basi e con quali criteri vengano autorizzati annualmente i prodotti Aviozolfo e Aviocaffaro;
   quali controlli siano stati fatti o si intendano fare per verificare la reale sussistenza delle condizioni che consentono le deroghe;
   se non ritenga che il continuo ricorrere alle deroghe non alteri il vero significato di emergenza fitosanitaria a cui queste deroghe impropriamente si ispirano;
   quali azioni intenda promuovere affinché nei territori avvengano tutti i controlli necessari a garanzia del rispetto della normativa vigente e dell'attivazione di tutte le misure previste per la gestione dei rischi, a salvaguardia della salute umana e dell'ambiente. (4-04886)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COVELLO, MAGORNO e BRUNO BOSSIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Rapporto presentato nella giornata del 15 maggio 2014 dalla federazione delle associazioni di volontariato (FIVO), in occasione della Giornata nazionale del malato oncologico, evidenzia, ancora una volta, la crisi del sistema sanitario regionale;
   dal Rapporto emerge, infatti, che ben 52 mila pazienti oncologici si sono spostati dalla Calabria per motivi di cura;
   sulla base di questi dati la Calabria è seconda solo alla Campania (58 mila pazienti oncologici) per i cosiddetti viaggi della speranza, ma se il dato numerico viene rapportato alla popolazione residente, purtroppo, la Calabria assume un triste primato;
   la scelta di curarsi fuori nasce dalla lunghezza delle liste d'attesa, che per la chirurgia oncologica raggiungono mediamente i 60 giorni, ma anche dalla mancanza di alcune strumentazioni e dotazioni tecniche necessarie per affrontare le malattie oncologiche;
   la sanità calabrese com’è noto è commissariata e di certo la situazione politico amministrativa di una regione senza più governatore, per una sentenza di condanna, che tra l'altro era anche commissario per la sanità, aggrava la situazione;
   siamo in presenza di una palese violazione, ai danni dei cittadini calabresi, del diritto, tutelato costituzionalmente, alla salute –:
   in considerazione delle premesse sopra esposte, quali iniziative il Governo intenda adottare, con la massima urgenza, nell'ambito del Piano oncologico nazionale per affrontare l'enorme criticità presente in Calabria e ridimensionare i cosiddetti «viaggi della speranza» assicurando cure adeguate e abbattimento delle liste d'attesa in territorio calabrese. (5-02855)

Interrogazioni a risposta scritta:


   TERROSI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto commissariale n. 87 del 2009, recante «Approvazione piano sanitario regionale (PSR) 2010-2012», la regione Lazio riconosce le peculiarità delle aree montane e delle zone lontane da altri centri ospedalieri e mal collegate ad essi, sottolineando che le dotazioni potranno essere in via assolutamente eccezionale difformi da quelle previste dalla programmazione della spesa, purché continuino a garantire livelli di efficienza e qualità. In particolare, è opportuno rappresentare gli interventi specifici per gli ex presidi ospedalieri di Subiaco, Rieti, Amatrice, Magliano Sabina, Montefiascone e Acquapendente;
   dal sito del comune di Subiaco (RM) si apprende che in data 2 maggio 2014 il sindaco comunica l'avvenuta istituzione da parte della regione Lazio di un tavolo tecnico «per definire il futuro della sanità nell'area sublacense ed in particolare dell'ospedale Angelucci di Subiaco. Il tavolo vedrà la presenza di tecnici regionali, del Ministero della sanità, della asl Rm G, dell'amministrazione comunale e della cabine di regia per il piano di rientro. Sarà un tavolo estremamente operativo e avrà a disposizione un ragionevole lasso di tempo per definire un progetto condiviso che, in ogni caso, dovrà essere consegnato prima della stesura definitiva e approvazione del documento dei programmi operativi 2013/2015»;
   oltre alla struttura presente nel comune di Subiaco (RM) altre strutture dislocate nel territorio della regione Lazio e in particolare quelle presenti nei comuni di Acquapendente (VT), Amatrice e Magliano Sabina (RI) ricadono nella tipologia individuata nel decreto n. 95 del 2012 convertito con modificazioni dalla legge n. 135 del 2012 e nel relativo regolamento attuativo come «Presidi ospedalieri in zone particolarmente disagiate». A proposito di questi ultimi nel regolamento si legge: «sono presidi ospedalieri che le regioni e province autonome di Trento e Bolzano possono prevedere per zone particolarmente disagiate in quanto definibili, sulla base di oggettiche tecniche di misurazione o di formale documentazione tecnica disponibile, distanti più di 90 minuti dai centri hub o spoke di riferimento (o 60 minuti dai presidi di pronto soccorso) superando i tempi previsti per un servizio di emergenza efficace. Per centri hub o spoke si intendono anche quelli di regioni confinanti sulla base di accordi interregionali da sottoscriversi entro il 30 giugno 2013. (...) In questi presidi ospedalieri occorre garantire una attività di pronto soccorso con la onseguente disponibilità dei necessari servizi di supporto, attività di medicina interna, di chirurgia generale ridotta». Tali presidi (...) «devono essere dotati indicativamente di: un reparto di 20 posti letto di medicina generale con un proprio organico di medici e infermieri; una chirurgia elettiva ridotta che effettua interventi in day surgery o eventualmente in week surgery con la possibilità di appoggio nei letti di medicina lo (obiettivo massimo del 70 per cento di occupazione dei posti letto per avere disponibilità di casi imprevisti) per i casi che non possono essere dimessi in giornata; la copertura in pronta disponibilità per il restante orario da parte dell’equipe chirurgica garantisce un supporto specifico in casi risolvibili in loco; un pronto soccorso presidiato da un organico medico dedicato all'emergenza-urgenza, inquadrato nella disciplina specifica così come prevista dal decreto ministeriale 30 gennaio 1998 (medicina e chirurgia d'accettazione e d'urgenza) e da un punto organizzativo integrato alla struttura complessa del DEA di riferimento che garantisce il servizio e l'aggiornamento relativo» –:
   se il Ministro sia a conoscenza della istituzione del tavolo tecnico così come descritto al secondo capoverso del presente atto;
   se tale notizia fosse confermata, quali iniziative intenda mettere in atto il Ministro per garantire la possibilità che, oltre al comune di Subiaco, tutte le altre strutture citate possano partecipare allo stesso tavolo tecnico ovvero ad altri tavoli tecnici appositamente costituiti, al fine di garantire che tutti i presidi caratterizzati in ambito regionale da condizioni di svantaggio legate alla tempistica necessaria per raggiungere il DEA di riferimento aggravata dalle condizioni di viabilità e meteorologiche oggettivamente disagiate, possano offrire una qualificata e tempestiva risposta alle popolazioni residenti in termini di accesso alle cure. (4-04873)


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il farmaco antidiabetico di nome Actos, il cui principio attivo è il pioglitazone, è un farmaco tuttora prescrivibile in Italia, nonostante in altri paesi del mondo la sua vendita sia stata proibita;
   nel 2007 l'Agenzia Italiana del Farmaco (AFA) esponeva dei dubbi riguardo «il profilo rischio-beneficio e la valutazione dell'efficacia e della sicurezza di questi farmaci sono sottoposti ad un'attenta rivalutazione da parte delle agenzie regolatorie (Emea, Fda)»;
   nel 2011 la Francia ne vietava la commercializzazione, ritirandolo dal commercio perché ritenuto che aumentasse il rischio di cancro alla vescica;
   uno studio a cura della direzione politiche della salute servizio assistenza farmaceutica della regione Abruzzo, elaborato dal Centro d'informazione indipendente sui medicinali nel 2010, mette in evidenza come l'Actos costi dieci volte di più di un normale farmaco utile nel diabete di tipo II;
   la corte federale della Lousiana, presieduta dal giudice Rebecca Doherty, ha condannato la Takeda Pharmaceutical Co. e la Eli Lilly & Co. (le due case farmaceutiche produttrici dell'Actos) ad una multa di nove miliardi di dollari, per aver tenuto nascosto l'effetto cancerogeno del loro farmaco per diabetici durante i test per l'approvazione negli Stati Uniti, dopo la denuncia di 2.700 soggetti che, dopo aver assunto il farmaco, hanno contratto il cancro –:
   se sia a conoscenza dei gravi fatti in premessa;
   quali azioni sono in atto, riguardo il ritiro dalla commercializzazione in Italia, del farmaco Actos. (4-04875)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   IACONO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con riferimento al passaggio di dipendenti per effetto di trasferimento di attività da un ente pubblico ad un altro, secondo l'articolo 31 del decreto legislativo n. 165 del 30 marzo 2001 si applica l'articolo 2112 del codice civile, con conseguente mantenimento, da parte del dipendente trasferito, dei diritti acquisiti in precedenza;
   il comma 9 dell'articolo 4 del decreto-legge n. 101 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013 n. 125, ha previsto: per gli enti che, tenuto conto del fabbisogno di personale programmato riferito agli anni dal 2013 al 2016, intendano assumere a tempo indeterminato attraverso procedure concorsuali, possono prorogare, nel rispetto dei vincoli finanziari previsti dalla normativa vigente in materia e, in particolare, dei limiti massimi della spesa annua per la stipula dei contratti a tempo determinato, i contratti di lavoro a tempo determinato dei soggetti che hanno maturato, alla data di pubblicazione della legge di conversione del presente decreto, almeno tre anni di servizio alle proprie dipendenze;
   le province, in vista della loro soppressione, possono prorogare fino al 31 dicembre 2014 i contratti di lavoro a tempo determinato per le strette necessità connesse alle esigenze di continuità dei servizi e nel rispetto dei vincoli finanziari di cui al presente comma, del patto di stabilità interno e della vigente normativa di contenimento della spesa complessiva di personale;
   il comma 9-bis del citato articolo 4 del decreto-legge n. 101 del 2013, ha previsto che: nei casi e per i fini e nel rispetto dei vincoli del comma precedente le regioni a statuto speciale e gli enti territoriali ad esse appartenenti possono derogare ai limiti di spesa per il personale vigenti, limitatamente alla proroga dei rapporti di lavoro a tempo determinato già da essi stipulati;
   in materia di personale precario, il comma 4 dell'articolo 30 della legge della regione Sicilia n. 5 del 2014 ha recentemente disposto, in conformità al disposto di cui comma 9-bis del citato articolo 4 del decreto-legge n. 101 del 2013, che «In deroga ai termini ed ai vincoli di cui al comma 9 dell'articolo 4 del decreto-legge n. 101 del 2013, convertito dalla legge n. 125 del 2013, e nel rispetto di quanto previsto dal comma 9-bis e successive modifiche e integrazioni del citato articolo 4, la proroga dei rapporti di lavoro a tempo determinato può essere disposta con decorrenza dal 1o gennaio 2014 e fino al 31 dicembre 2014, permanendo il fabbisogno organizzativo e le comprovate esigenze istituzionali volte ad assicurare i servizi già erogati;
   al fine di razionalizzare l'erogazione dei servizi al cittadino e di conseguire riduzioni dei costi della pubblica amministrazione, in attuazione della legge regionale del 27 marzo 2013 n. 7, l'Assemblea della Regione siciliana, con legge regionale del 24 marzo 2014 n. 8, ha istituito i liberi Consorzi Comunali e le Città Metropolitane, prevedendo che i nove liberi Consorzi coincidano con le Provincie Regionali, prevedendo, altresì, al comma 2, dell'articolo 11 della stessa legge citata, la soppressione degli enti che esercitano funzioni in tutto o in parte coincidenti con quelle attribuite ai liberi consorzi;
   nelle more di attuazione della legge per la costituzione e l'adesione ai liberi consorzi, i commi 6, 7 e 8 dell'articolo 1 della legge regionale n. 8 del 2014, hanno previsto che: «6... i liberi Consorzi continuano ad esercitare le funzioni già attribuite alle Province regionali mantenendo la titolarità dei relativi rapporti giuridici(....) 7. I liberi Consorzi continuano ad utilizzare le risorse finanziarie, materiali e umane già di spettanza delle corrispondenti province regionali. I liberi consorzi si avvalgono delle sedi già in uso alle corrispondenti province regionali. 8. Al personale dei liberi Consorzi è confermato lo status giuridico economico già in godimento presso le Province regionali»;
   ai sensi dell'articolo 2, commi 1 e 6 della legge regionale n. 8 del 2014, decorsi 6 mesi dal 28 marzo 2014 – data di pubblicazione e di entrata in vigore – ex articolo 15 della medesima legge regionale n. 4 del 2014 – e, dunque, entro la fine del mese di ottobre 2014, dovrà essere emanata la legge istitutiva dei liberi consorzi e delle città metropolitane;
   la provincia di Agrigento, nel frattempo, dopo aver confermato n. 107 contratti di lavoro, a tempo determinato fino al 30 giugno 2015, con determinazione del commissario straordinario n. 18 del 31 gennaio 2014, ha modificato, anticipandolo al 31 dicembre 2014, il termine finale dei predetti rapporti di lavoro a tempo determinato, con conseguente comunicazione di singoli atti di recesso anticipato dei contratti, un tempo prorogati al 30 giugno 2015;
   ad oggi l'amministrazione regionale è lontana dall'aver individuato le funzioni che dovranno trasferire ai nuovi soggetti (liberi consorzi e città metropolitane) e, dunque, – in applicazione del combinato disposto di cui agli articoli 31 decreto legislativo n. 165 del 2001 e 2112 del codice civile – appare giuridicamente e nei fatti impossibile il trasferimento delle predette funzioni alla data del 31 dicembre 2014;
   conseguentemente, i 107 dipendenti della provincia regionale di Agrigento, alla data del 1o gennaio 2015, si troveranno in stato di disoccupazione;
   a giudizio dell'interrogante risulta indispensabile, nelle more del completamento del processo di riforma dei liberi consorzi comunali e delle città metropolitane istituiti con legge della regione siciliana 24 marzo 2014, n. 8, anche al fine di assicurare parità di trattamento a lavoratori nella medesima condizione, la concessione di una proroga dei rapporti in essere per l'anno 2015, in deroga alle vigenti disposizioni, al fine di consentire ai costituendi organi degli enti di nuova istituzione di attivare, nel rispetto dei vincoli e termini di cui all'articolo 4, comma 9, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, le procedure di stabilizzazione sussistendo il fabbisogno organizzativo e le comprovate esigenze istituzionali volte ad assicurare le funzioni, che si ripete, sono ancora da assegnare da parte del legislatore regionale –:
   se i Ministri interrogati intendano assumere iniziative normative, anche alla luce di quanto descritto in premessa e stante la competenza del legislatore statale nella materia ai sensi degli articoli 117, comma 2, lettera l) e 117, comma 3, della Costituzione, al fine di consentire una proroga dei rapporti in essere per l'anno 2015 in modo che i costituendi organi dei liberi consorzi comunali e delle città metropolitane, possano attivare, nei rispetto dei vincoli e termini di cui all'articolo 4, comma 9, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, le procedure di stabilizzazione sussistendo il fabbisogno organizzativo e le comprovate esigenze istituzionali volte ad assicurare le funzioni, ancora da definirsi da parte del legislatore regionale, così da salvaguardare la continuità occupazionale dei lavoratori interessati. (4-04889)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BRUNO BOSSIO e BARGERO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il progetto «Industria 2015» ha avuto cinque iniziali linee strategiche: Efficienza energetica (scadenza Bando 15 settembre 2008), Mobilità sostenibile (scadenza Bando 15 settembre 2008), Nuove tecnologie per il made in ltaly (Bando in due fasi con scadenza finale 4 dicembre 2009), Tecnologie per i Beni Culturali (Bando mai pubblicato) e tecnologie per la vita (Bando mai pubblicato);
   per i bandi emanati, la valutazione e selezione delle proposte, l'assegnazione delle risorse, l'approvazione delle graduatorie dei progetti ammessi alle agevolazioni si è svolta in linea con gli standard europei (da circa 3 mesi a meno di 6 mesi);
   si sono riscontrate, a partire dalla pubblicazione delle liste dei progetti ammessi e delle agevolazioni previste per ciascun beneficiario, forti criticità;
   in particolare, il Ministero dello sviluppo economico ha impiegato due anni dalla data di pubblicazione delle graduatorie dei primi due Bandi per concludere il processo di selezione e contrattualizzazione di INVITALIA quale agenzia con piena delega per la gestione dei programmi «Industria 2015»;
   si nota che il timore di scorretto utilizzo delle agevolazioni da parte delle imprese ha sviluppato un sistema di controllo burocratico asfissiante da cui sono derivate difficoltà, errori, incomprensioni e recuperi di risorse a danno delle aziende;
   il sistema burocratico, cautelatosi e deresponsabilizzatosi, ha dato vita ad un'attività, per le aziende, più onerosa dell'attività di ricerca stessa e con costi non agevolati tutti a carico di queste ultime;
   per porre rimedio a tali ritardi e difficoltà, il Ministero dello sviluppo economico ha provveduto tramite il decreto ministeriale semplificazione 15 maggio 2012, al quale è conseguito l'adeguamento del Sistema informatico CILEA (ora CINECA, che è referente per le procedure di caricamento online della documentazione), risulta, tuttavia, che molte procedure online e le relative guide non siano state tuttora adeguate, provocando notevoli difficoltà per la loro esecuzione;
   ad oggi, i pagamenti delle agevolazioni richiedono tempi molto lunghi e privi di deadline per l'erogazione delle agevolazioni per ciascuno stato di avanzamento lavori, sebbene molti beneficiari abbiano investito tempestivamente dando inizio al progetto relativo poco dopo la pubblicazione del decreto di assegnazione, senza attendere il decreto di concessione, iter comunque conclusosi dai due ai cinque anni dopo l'aver avuto inizio;
   i beneficiari «diligenti» stanno subendo il danno ulteriore, avendo nel frattempo completato il programma dal punto di vista tecnico/scientifico, di non poter sviluppare ed utilizzare i risultati a livello competitivo, essendo vincolati a non poterlo fare prima della conclusione del Programma agevolato;
   le lungaggini burocratiche hanno avuto come effetto diretto, per molte aziende, il non poter sostenere il peso economico dei progetti, data anche la sfavorevole congiuntura economico-finanziaria italiana, e, conseguentemente, la loro chiusura;
   le imprese del raggruppamento sopravvissute o si assumono l'onere di realizzare le parti del progetto abbandonate da quelle chiuse o debbono inserire nuove imprese al raggruppamento, sovraccaricando ulteriormente l’iter burocratico e i tempi di risoluzione con INVITALIA;
   vi sono progetti, entrati nella lista dei progetti finanziabili nel 2008 che, all'inizio del 2014, hanno appena ricevuto o stanno per ricevere il decreto di concessione;
   alla luce del fatto che la Corte dei conti, a conclusione di una indagine conoscitiva sui progetti «Industria 2015», ha richiesto all'amministrazione competente (MiSE) e all'ente gestore (INVITALIA) di procedere in tempi brevi e, comunque, con ragionevole periodicità alla verifica, progetto per progetto, dello stato dell'arte e degli step tecnico scientifici, economico-finanziari ed amministrativi necessari per la conclusione dei singoli programmi, da valutare congiuntamente all'impresa capofila per prendere cognizione del perdurante interesse alla prosecuzione –:
   quali provvedimenti, auspicabilmente contenenti regole certe e chiare, verranno adottati per garantire l'effettiva erogazione dei pagamenti dovuti, considerato che, per quanto sopra riportato, non è prevedibile una tempistica fissa nell’iter di rendicontazione;
   come si intenda ovviare alla avvenuta perenzione dei fondi destinati ai progetti, registratasi persino nei casi in cui la rendicontazione aveva avuto esito positivo, che ha cagionato, paradossalmente, ulteriori ritardi. (5-02850)

Interrogazione a risposta scritta:


   GIORGIA MELONI, RAMPELLI, CIRIELLI, CORSARO, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 7 maggio 2014 la Fondazione «Mattei», che ha come maggiori azionisti l'Eni e la regione Basilicata, ha fornito alcuni dati sullo stato delle estrazioni petrolifere nel distretto della «Val D'Agri», dai quali risulta che attualmente il 72 per cento della produzione nazionale di petrolio è lucano, per un fatturato complessivo che nel 2012 ha sfiorato i tre miliardi di euro;
   ciononostante, il dato occupazionale che riguarda il centro oli di Viggiano, in provincia di Potenza, e l'intero distretto lucano dell'Eni, risulta particolarmente squilibrato a svantaggio dei lavoratori lucani;
   su 2.533 persone occupate, infatti, 1.454 sono residenti in altre regioni e solo poco più di mille in Basilicata, quasi tutte di bassa manovalanza, a fronte di una platea di disoccupati che supera in terra lucana le centomila unità, per raggiungere il picco drammatico del cinquanta per cento della forza lavoro, e paradossalmente molti dei comuni della Val D'Agri non hanno alcun occupato residente;
   negli ultimi dieci anni una parte considerevole di risorse pubbliche regionali è stata spesa per formare e specializzare personale tecnico residente in Basilicata e da impiegare prioritariamente nel distretto ENI-Val D'Agri;
   per quanto riguarda l'indotto, su 118 aziende operanti nel 2012, con un fatturato di 171 milioni di euro, solo 38 hanno sede legale in Basilicata;
   a fronte di quasi tre miliardi di fatturato nel 2012 e davanti ad una produzione di circa centomila barili al giorno, le royalties versate alla regione Basilicata non superano i cento milioni annui, corrispondenti a circa il sette per cento a barile, pur a fronte dei notevoli guadagni realizzati dalle società petrolifere;
   l'impatto sull'ambiente e, conseguentemente, sulla salute dei cittadini, è molto alto e solo oggi si stanno avviando studi analitici per conoscere i dati sensibili di tale impatto –:
   se non ritenga di disporre un sensibile aumento delle royalties in favore della regione Basilicata, al fine di sostenere i territori interessati in un processo adeguato di riequilibrio socio-economico sotto i profili dello sviluppo, della tutela ambientale e, soprattutto, di quella occupazionale;
   quali iniziative intenda assumere nei limiti della propria competenza affinché le società che operano nei territori di cui in premessa impieghino una quota parte maggioritaria di lavoratori ivi residenti. (4-04881)

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Gagnarli n. 1-00088, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 31 dell'11 giugno 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    tra gli squilibri più evidenti che caratterizzano la società quello alimentare è senz'altro il più grave ed assume i connotati di un vero e proprio paradosso: a fronte di oltre un miliardo di persone che soffrono per la mancanza di cibo, un numero equivalente si ammala per cause connesse ad eccessiva alimentazione, quali sovrappeso, diabete e malattie cardiovascolari;
    dati recenti evidenziano che solo il 10 per cento delle morti per fame è provocato da guerre e carestie, il resto è causato da malnutrizione cronica dovuta ad una complessità di elementi che vanno dai meccanismi del sistema economico globale fino agli effetti dei cambiamenti climatici;
    tra i dati registrati quello riferito all'entità dello spreco alimentare mondiale è indubbiamente il più allarmante. Secondo i risultati dello Global Food Losses and Food Waste (Perdita e spreco di cibo a livello mondiale) commissionato dalla FAO all'istituto svedese per il cibo (SIK), nonostante la crisi, 1,3 miliardi di tonnellate di cibo viene sprecato ogni anno; lo spreco annuale dei Paesi ricchi, pari a circa 222 milioni di tonnellate, è pari all'intera produzione alimentare netta dell'area sub sahariana e impone una riflessione non solo in considerazione dell'impatto economico ed ambientale ma anche e soprattutto per la portata etica e sociale dei suoi effetti;
    una della questioni più rilevanti è lo squilibrio nella produzione e nella destinazione di cereali: nel mondo sono presenti circa tre miliardi di animali da allevamento e un terzo della intera produzione alimentare globale è riservata alla nutrizione zootecnica;
    una quota crescente di terreni agricoli è destinata alla produzione di biocarburanti, negli Stati Uniti addirittura il 45 per cento del consumo annuale di mais è destinato alla produzione di etanolo per carburanti, in competizione con le colture da cibo non solo per la destinazione del prodotto ma anche per l'uso del terreno e dell'acqua usata per l'irrigazione;
    le cause di perdite e sprechi alimentari sono molteplici e si differenziano a seconda delle varie fasi della filiera agroalimentare; da un lato il problema riguarda la filiera produttiva che non calcola picchi di produzione, conservazione e ottimizzazione, dall'altro investe le abitudini alimentari dei Paesi industrializzati determinando un trend preciso di spreco, di poco rispetto per il cibo, per l'agricoltura e per i Paesi in via di sviluppo che soffrono per la fame, la denutrizione e la cattiva alimentazione;
    mentre nei Paesi in via di sviluppo le perdite più significative si concentrano nella prima fase della filiera, per limiti logistici e strutturali, nei Paesi industrializzati gli sprechi si concentrano sul consumo domestico e la ristorazione, principalmente per cause comportamentali;
    le perdite alimentari che si verificano nella fase di coltivazione e raccolto, nei Paesi in via di sviluppo sono soprattutto il risultato di un'agricoltura poco efficiente, competenze tecniche limitate, pratiche arretrate e dotazioni infrastrutturali inadeguate, mentre nei Paesi a più alto reddito le motivazioni delle perdite in questa fase sono legate più al mancato rispetto di standard qualitativi ed estetici;
    le perdite che si verificano nella fase di trasformazione agricola ed industriale sono dovute soprattutto ad inefficienze dei processi produttivi che provocano danneggiamenti agli alimenti che per questo vengono scartati;
    le perdite nella fase di distribuzione e vendita sono soprattutto dovute ad una errata previsione della domanda, ai limiti della tecnologia impiegata per la conservazione dei prodotti, agli standard di vendita che determinano l'esclusione di prodotti non conformi, alle strategie di marketing come il 3x2 che determinano una maggiore vendita dei prodotti ma che determinano lo spostamento dello spreco alimentare al consumo finale;
    gli sprechi nella fase finale di consumo domestico e ristorazione sono dovuti soprattutto alla errata pianificazione degli acquisti, all'inadeguata conservazione del cibo, all'errata interpretazione delle etichette di scadenza degli alimenti, alla scarsa consapevolezza dell'impatto economico ed ambientale degli sprechi alimentari;
    per stimare l'impatto ambientale di un alimento andrebbe considerato il suo intero ciclo di vita, dalle emissioni di gas serra generate dai processi all'utilizzo di risorse idriche; in base a questo si valuta che il cibo sprecato che incide maggiormente sull'ambiente è rappresentato dai prodotti di origine animale, principalmente latte e carne;
    le stime indicano che a livello europeo la quantità di cibo sprecato ogni anno ammonta a 89 milioni di tonnellate, 180 chilogrammi pro capite, il 42 per cento nell'uso domestico, il 39 per cento della fase di produzione, il 14 per cento nella fase di ristorazione, il 5 per cento nella fase di vendita all'ingrosso ed al dettaglio;
    secondo lo studio della commissione europea che indica come media i 180 chilogrammi pro capite di cibo sprecato, la situazione in Unione europea passa dai 579 chilogrammi pro capite dell'Olanda ai 44 chilogrammi pro capite della Grecia con l'Italia a 149 chilogrammi pro capite valore sopra la media mondiale indicata dalla FAO in 95-115 chilogrammi pro capite;
    nel nostro Paese, nonostante gli effetti della crisi economica ed il calo dei consumi alimentari, la Coldiretti stima che annualmente si spreca cibo per circa 37 miliardi di euro, sufficienti a nutrire 44 milioni di persone, quindi circa il 3 per cento del prodotto interno lordo finirebbe nella spazzatura;
    sulla base dei dati rilevati dall'ISTAT, la percentuale della produzione agricola rimasta nei campi ammonta al 3,25 per cento del totale, la percentuale più alta della produzione non raccolta è quella relativa ai cereali, mentre nella filiera ortofrutticola solo in parte il prodotto ritirato viene destinato alla distribuzione gratuita alle fasce deboli della popolazione, in gran parte viene destinato alla distillazione alcolica, al compostaggio e all'alimentazione animale, impieghi da considerarsi sprechi in quanto non destinati al consumo umano per cui erano stati coltivati;
    nell'industria agroalimentare i prodotti scartati sono gestiti come rifiuti o utilizzati per la produzione di mangimi; maggiori sprechi sono quelli dell'industria lattiero-casearia e della lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi;
    tra i prodotti alimentari che maggiormente vengono sprecati in Italia, rientra il pane. Secondo una recente inchiesta pubblicata dal quotidiano La Repubblica, sarebbero circa 13 mila i quintali di pane buttato ogni giorno, quasi il 25 per cento del pane prodotto destinato alla grande distribuzione. Il pane invenduto, secondo quanto disposto dalla normativa nazionale, deve essere smaltito come rifiuto, per poter essere donato alle popolazioni svantaggiate è necessario che le reti per la distribuzione agli istituti caritativi lo prelevino dai distributori prima che sia reso. Le reti italiane Caritas o laiche, da questo punto di vista non risultano organizzate e spesso acquistano il pane per il proprio fabbisogno;
    a livello del consumatore finale, i dati indicano che ogni famiglia italiana spreca in media una quantità di cibo del valore di 454 euro l'anno, soprattutto di prodotti freschi (35 per cento), 19 per cento di pane e 16 per cento di frutta e verdura;
    secondo i dati dell'Osservatorio sugli sprechi alimentari «waste watcher» per produrre tutto il cibo che sprechiamo «buttiamo» fino a 1,226 milioni di metri cubi di acqua, pari all'acqua consumata ogni anno da 19 milioni di italiani e circa 24,5 milioni di tonnellate di CO2 pari a circa il 20 per cento delle emissioni di gas serra del settore dei trasporti. Inoltre, gettiamo via anche il 36 per cento dell'azoto da fertilizzanti, utilizzati inutilmente con tutti gli effetti e i costi ambientali che ne conseguono;
    nel gennaio 2012 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione per adottare misure urgenti per dimezzare, entro il 2025, gli sprechi alimentari nell'Unione europea e per migliorare l'accesso al cibo per i cittadini più vulnerabili, e, considerando che gli alimenti sono sprecati lungo tutta la catena – produttori, trasformatori, distributori, ristoratori e consumatori, ha chiesto l'attuazione di una strategia coordinata, che combini misure a livello europeo e nazionale per migliorare l'efficienza, comparto per comparto, dell'approvvigionamento alimentare e contrastare con urgenza lo spreco di cibo;
    il 7 ottobre 2013, proprio al fine di poter raggiungere gli obiettivi della suddetta risoluzione, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha adottato il Piano nazionale di prevenzione dei rifiuti, all'interno del quale è stato inserito il PINPAS (Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare). Il primo passo per la realizzazione del Piano è stata l'istituzione della prima giornata contro lo spreco alimentare;
    l'obiettivo, secondo quanto dichiarato dal Ministero, è raggiungere entro il 2020 una riduzione del 5 per cento dei rifiuti per unità di Pil dei rifiuti urbani, del 10 per cento di quelli pericolosi e del 5 per cento di quelli speciali,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di:
    a) aggiornare il Parlamento, entro la fine del 2014, «Anno europeo della lotta allo spreco alimentare», circa il percorso avviato per il raggiungimento degli obiettivi previsti dal PINPAS al fine di ridurre lo spreco alimentare in Italia;
    b) promuovere, anche in collaborazione con le scuole di ogni ordine e grado programmi e corsi di educazione alimentare, di economia ed ecologia domestica per rendere il consumatore consapevole degli sprechi di cibo, acqua ed energia e dei loro impatti ambientali ed economico-sociali anche al fine di dimostrare come rendere più sostenibile l'acquisto, la conservazione, la preparazione e lo smaltimento finale degli alimenti e allo stesso tempo incentivare, per quanto di propria competenza, iniziative finalizzate alla corretta comunicazione da parte della grande e piccola distribuzione nazionale delle modalità di conservazione dei cibi acquistati;
    c) assumere iniziative per rivedere le regole che disciplinano gli appalti pubblici per i servizi di ristorazione e di ospitalità alberghiera in modo da privilegiare in sede di aggiudicazione, a parità di altre condizioni, le imprese che garantiscono la ridistribuzione gratuita a favore dei cittadini meno abbienti e che promuovono azioni concrete per la riduzione a monte degli sprechi, accordando la preferenza ad alimenti provenienti da filiere corte, locali e stagionali, prodotti il più vicino possibile al luogo di consumo;
    d) promuovere il potenziamento delle reti caritative nazionali al fine di poter recuperare il pane ogni giorno invenduto dalla grande distribuzione per destinarlo alle popolazioni svantaggiate accolte nei centri caritativi nella penisola;
    e) promuovere iniziative volte a contenere lo spreco alimentare nei luoghi di ristorazione, anche prevedendo la possibilità di asporto per il cibo non consumato;
    f) sostenere tutte le iniziative, sia pubbliche che private finalizzate al recupero e/o al riutilizzo di alimenti rimasti invenduti e scartati lungo l'intera filiera agroalimentare per ridistribuirli gratuitamente alle categorie di cittadini meno abbienti;
    g) assumere iniziative per prevedere una diversa articolazione delle informazioni contenute nelle etichette dei prodotti alimentari integrando la data prevista per la scadenza commerciale con una relativa al termine utile per il consumo dell'alimento.
(1-00088)
«Gagnarli, L'Abbate, Massimiliano Bernini, Benedetti, Gallinella, Parentela, Zaccagnini, Baldassarre, Lupo, Barbanti, Pesco, Zolezzi».

Ritiro di un documento del sindacato ipettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Roberta Agostini n. 4-04474 dell'11 aprile 2014.