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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Martedì 16 dicembre 2014

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 16 dicembre 2014.

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Capezzone, Casero, Castiglione, Cecconi, Cicchitto, Cirielli, Colonnese, Costa, Dambruoso, Damiano, De Girolamo, De Menech, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Ferrara, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Lorenzin, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Mannino, Merlo, Orlando, Pes, Pisicchio, Pistelli, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scotto, Sereni, Sisto, Speranza, Tabacci, Tofalo, Valeria Valente, Velo, Vignali, Villecco Calipari, Vitelli, Vito, Zanetti.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Capezzone, Casero, Castiglione, Cecconi, Cicchitto, Cirielli, Colonnese, Costa, D'Ambrosio, Dambruoso, Damiano, De Girolamo, De Menech, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Mannino, Marazziti, Merlo, Orlando, Pes, Pisicchio, Pistelli, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scotto, Sereni, Sisto, Speranza, Tabacci, Valeria Valente, Velo, Vignali, Vito, Zanetti.

Annunzio di una proposta di legge.

  In data 15 dicembre 2014 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di legge d'iniziativa del deputato:
   BUSINAROLO: «Modifiche al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, in materia di procedure concorsuali fallimentari» (2775).
  Sarà stampata e distribuita.

Annunzio di una proposta di modificazione al Regolamento.

  In data odierna è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di modificazione al Regolamento d'iniziativa della deputata:
   SERENI: «Articoli 67-bis e 67-ter: Disciplina dei rapporti con i rappresentanti di interessi e istituzione del relativo registro pubblico» (Doc. II, n. 12).

  Sarà pubblicata e trasmessa alla Giunta per il Regolamento.

Trasmissione dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri.

  Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 10 dicembre 2014, ha dato comunicazione, ai sensi dell'articolo 2, comma 1, della legge 15 aprile 2003, n. 86, recante istituzione dell'assegno «Giulio Onesti» in favore degli sportivi italiani che versino in condizione di grave disagio economico, della concessione di assegni straordinari vitalizi, con l'indicazione dei relativi importi, in favore di Carlo Bottoni, Cheik Tidjanisidebé alias Nino La Rocca, Alessandro Giuliano Milani, Pietro Guzzinati, Alberto Oppo.

  Questa comunicazione è depositata presso il Servizio per i Testi normativi a disposizione degli onorevoli deputati.

Trasmissioni dalla Corte dei conti.

  Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 11 dicembre 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'ICE – Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, per l'esercizio 2013. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 209).
  Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla X Commissione (Attività produttive).

  Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 11 dicembre 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria della società EXPO 2015 Spa, per l'esercizio 2013. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 210).
  Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla X Commissione (Attività produttive).

  Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 11 dicembre 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Ente parco nazionale dell'Arcipelago di La Maddalena, per gli esercizi 2012 e 2013. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 211).
  Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla VIII Commissione (Ambiente).

  Il Presidente della Corte dei conti, con lettera in data 12 dicembre 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 5, comma 3, del regolamento per l'organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, la deliberazione n. 14/2014, adottata dalle sezioni riunite in sede di controllo nell'adunanza del 26 novembre 2014, concernente la programmazione dei controlli e delle analisi della Corte dei conti per l'anno 2015.
  Questo documento è trasmesso alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla V Commissione (Bilancio).

Trasmissioni dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo.

  Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, con lettere in data 27 novembre e 15 dicembre 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 24, comma 3, del decreto legislativo 29 gennaio 1998, n. 19, le relazioni sull'attività svolta dalla Fondazione La Biennale di Venezia nell'anno 2012 (Doc. CLXX, n. 1) e nell'anno 2013 (Doc. CLXX, n. 2), corredate dai bilanci d'esercizio per i medesimi anni.
  Queste relazioni sono trasmesse alla VII Commissione (Cultura).

Trasmissione dal Ministro della difesa.

  Il Ministro della difesa, con lettera in data 12 dicembre 2014, ha trasmesso copia della nota aggiuntiva allo stato di previsione del Ministero della difesa per l'anno 2015, prevista dall'articolo 12, comma 1, lettera c), del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66.
  Questo documento è trasmesso alla IV Commissione (Difesa) e alla V Commissione (Bilancio).

Trasmissioni dal Ministro dello sviluppo economico.

  Il Ministro dello sviluppo economico, con lettera in data 12 dicembre 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 30, quinto comma, della legge 20 marzo 1975, n. 70, la relazione sull'attività svolta, sul bilancio di previsione e sulla consistenza degli organici del Banco nazionale di prova per le armi da fuoco portatili e le munizioni commerciali, riferita all'anno 2013, corredata dal bilancio di previsione e dal conto consuntivo per il medesimo anno.
  Questa relazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali).

  Il Ministro dello sviluppo economico, con lettera in data 15 dicembre 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 15, comma 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, la relazione relativa alla procedura d'infrazione n. 2014/4139, avviata, ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, per violazione del diritto dell'Unione in relazione alla materia degli agenti in brevetto – restrizioni alla libera prestazione dei servizi – condizioni di residenza.
  Questa relazione è trasmessa alla X Commissione (Attività produttive) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Trasmissione di delibere del Comitato interministeriale per la programmazione economica.

  La Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica, in data 12 dicembre 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, comma 4, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, le seguenti delibere CIPE, che sono trasmesse alle sottoindicate Commissioni:
   n. 23/2014 del 1o agosto 2014, concernente «Sisma regione Abruzzo: assegnazione di risorse per la ricostruzione di immobili privati e per spese obbligatorie di assistenza alla popolazione (decreto-legge n. 43 del 2013 e legge di stabilità n. 147 del 2013)» – alla V Commissione (Bilancio) e alla VIII Commissione (Ambiente);
   n. 25/2014 del 1o agosto 2014, concernente «Parere sullo schema di atto aggiuntivo alla convenzione unica 2007 tra ANAS Spa e la Società Milano Serravalle – Milano tangenziali pa» – alla V Commissione (Bilancio) e alla VIII Commissione (Ambiente);
   n. 35/2014 del 1o agosto 2014, concernente «Assegnazione di risorse del Fondo integrativo speciale per la ricerca per il finanziamento del progetto di competenza del MIUR: Città della scienza 2.0: nuovi prodotti e servizi dell'economia della conoscenza (decreto legislativo n. 204 del 1998, articolo 2)» – alla V Commissione (Bilancio) e alla VII Commissione (Cultura);
   n. 36/2014 del 1o agosto 2014, concernente «Assegnazione di risorse del Fondo integrativo speciale per la ricerca per il finanziamento del progetto di competenza del MIUR: PHD ITALENTS (decreto legislativo n. 204 del 1998, articolo 2)» – alla V Commissione (Bilancio) e alla VII Commissione (Cultura);
   n. 37/2014 del 1o agosto 2014, concernente «Contratto di programma tra il Ministero dello sviluppo economico e la Società consortile Melilli Group scarl – Definanziamento» – alla V Commissione (Bilancio) e alla XIII Commissione (Agricoltura);
   n. 29/2014 del 1o agosto 2014, concernente «Schemi di contratto di programma e di contratto di servizio per i trienni 2010-2012 e 2013-2015 da stipulare tra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e della finanze e il Ministro della difesa, l'ENAV Spa» – alla V Commissione (Bilancio) e alla IX Commissione (Trasporti);
   n. 32/2014 del 1o agosto 2014, concernente «Riprogrammazione del PAR – FSC 2007-2013 della regione Liguria: presa d'atto ai sensi delibera CIPE n. 41/2012» – alla V Commissione (Bilancio);
   n. 34/2014 del 1o agosto 2014, concernente «Fondo per lo sviluppo e la coesione 2014-2020 – Assegnazione a favore degli Istituti italiani per gli studi storici e filosofici di Napoli (legge n. 147 del 2013, articolo 1, comma 43)» – alla V Commissione (Bilancio) e alla VII Commissione (Cultura).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  Il Consiglio dell'Unione europea, in data 12 e 15 dicembre 2014, ha trasmesso:
   un nuovo testo della posizione del Consiglio in vista dell'adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 96/53/CE del Consiglio, che stabilisce, per taluni veicoli stradali che circolano nella Comunità, le dimensioni massime autorizzate nel traffico nazionale e internazionale e i pesi massimi autorizzati nel traffico internazionale (11296/3/14 REV 3), corredata dalla relativa motivazione (11296/3/14 REV 3 ADD 1), già assegnata, in data 22 ottobre 2014, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alla IX Commissione (Trasporti), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea);
   la motivazione concernente la posizione del Consiglio in prima lettura in vista dell'adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 98/70/CE, relativa alla qualità della benzina e del combustibile diesel, e la direttiva 2009/28/CE, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili (10710/2/14 REV 2 ADD 1), già assegnata, in data 12 dicembre 2014, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni riunite VIII (Ambiente) e X (Attività produttive), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

  Il Consiglio dell'Unione europea, in data 16 dicembre 2014, ha trasmesso, ai sensi del Trattato sull'Unione europea, l'orientamento generale del Consiglio sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla limitazione delle emissioni nell'atmosfera di taluni inquinanti originati da impianti di combustione medi (16817/14), che è assegnato, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alla VIII Commissione (Ambiente), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

  La Commissione europea, in data 12 e 15 dicembre 2014, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   Allegati sul Belgio (COM(2014) 38 final – Annex 1), sulla Bulgaria (COM(2014) 38 final – Annex 2), sulla Repubblica ceca (COM(2014) 38 final – Annex 3), sulla Danimarca (COM(2014) 38 final – Annex 4), sulla Germania (COM(2014) 38 final – Annex 5), sull'Estonia (COM(2014) 38 final – Annex 6), su Malta (COM(2014) 38 final – Annex 18) e sui Paesi Bassi (COM(2014) 38 final – Annex 19) della relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo – Relazione dell'Unione sulla lotta alla corruzione, che sono assegnati in sede primaria alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e II (Giustizia);
   Proposta di decisione del Consiglio relativa alla posizione da adottare a nome dell'Unione europea in sede di Comitato misto SEE in merito a una modifica del protocollo 4 dell'accordo SEE relativo alle norme d'origine (Allargamento alla Croazia) (COM(2014) 728 final), corredata dal relativo allegato (COM(2014) 728 final – Annex 1), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
   Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sulle attività della piattaforma dell'Unione europea per un'azione combinata nella cooperazione esterna a partire dalla sua istituzione fino alla fine di luglio 2014 (COM(2014) 733 final), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
   Proposta congiunta della Commissione europea e dell'Alto rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 267/2012, concernente misure restrittive nei confronti dell'Iran (JOIN(2014) 42 final), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri).

  Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, con comunicazione in data 11 dicembre 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 1 e 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.
  Questi atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).
  Con la medesima comunicazione, il Governo ha altresì richiamato l'attenzione sui seguenti documenti, già trasmessi dalla Commissione europea e assegnati alle competenti Commissioni, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento:
   Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'abrogazione di alcuni atti nel settore Libertà, sicurezza e giustizia (COM(2014) 713 final);
   Proposte di decisione e di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relative all'abrogazione di alcuni atti nel settore della cooperazione di polizia e della cooperazione giudiziaria in materia penale (COM(2014) 714 final e COM(2014) 715 final).

Trasmissione dall'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione.

  Il Presidente dell'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione, con lettera in data 11 dicembre 2014, ha trasmesso, ai sensi degli articoli 13 e 32 della legge 25 maggio 1970, n. 352, un esemplare dell'ordinanza, emessa dall'Ufficio stesso in data 11 dicembre 2014, con la quale si dichiara legittima la richiesta di referendum popolare abrogativo sul quesito individuato dalla seguente denominazione: Abrogazione delle disposizioni in materia di trattamenti pensionistici di cui all'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011 (convertito dalla legge n. 214 del 2011).
  Questo documento è depositato presso il Servizio per i Testi normativi a disposizione degli onorevoli deputati.

Richieste di parere parlamentare su atti del Governo.

  Il Ministro della giustizia, con lettera in data 2 dicembre 2014, ha trasmesso, ai sensi degli articoli 1, comma 3, e 3, comma 4, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto ministeriale concernente regolamento recante disposizioni relative alle forme di pubblicità del codice deontologico e dei suoi aggiornamenti emanati dal Consiglio nazionale forense (125).
  Questa richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del Regolamento, alla II Commissione (Giustizia), che dovrà esprimere il prescritto parere entro il 14 febbraio 2015.

  Il Ministro della difesa, con lettera in data 5 dicembre 2014, ha trasmesso, ai sensi ai sensi dell'articolo 536, comma 3, lettera b), del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, la richiesta di parere parlamentare sul programma pluriennale di A/R n. SMD 02/2014, relativo all'acquisizione di veicoli blindati medi 8x8 «Freccia» (126).
  Questa richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del regolamento, alla IV Commissione (Difesa), che dovrà esprimere il prescritto parere entro il 25 gennaio 2015. È altresì assegnata, ai sensi del comma 2 dell'articolo 96-ter del Regolamento, alla V Commissione (Bilancio), che dovrà esprimere i propri rilievi sulle conseguenze di carattere finanziario entro il 5 gennaio 2015.

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI IN VISTA DEL CONSIGLIO EUROPEO DEL 18 DICEMBRE 2014

Risoluzioni

   La Camera,
   premesso che:
    il Consiglio europeo del 18 e 19 dicembre, anche in seguito alla presentazione dell'analisi annuale della crescita effettuata dalla Commissione, esaminerà gli ulteriori sforzi da compiere per favorire la crescita, l'occupazione e la competitività europea e, in tale contesto, discuterà in particolare dell'iniziativa della Commissione finalizzata a mobilitare 315 miliardi di euro di investimenti nel periodo 2015-2017;
    la mancata crescita dell'economia e la disoccupazione sono i problemi principali di cui sta soffrendo l'Europa, perché malgrado gli sforzi compiuti a livello nazionale e dell'Unione europea, la ripresa è ancora debole e ostacola la riduzione dell'elevato livello di disoccupazione, specie giovanile;
    in tali circostanze, appare necessario che le politiche di riforme strutturali, percorso che l'Italia ha già intrapreso e deve proseguire e completare rapidamente, siano affiancate da politiche per la domanda aggregata, motivate dalla consistente componente congiunturale della disoccupazione, fermo restando il necessario equilibrio di bilancio;
    infatti, se dal lato della domanda la politica monetaria può e deve svolgere un ruolo chiave, anche mediante il ricorso a «misure non convenzionali», la politica di bilancio deve assumere un ruolo più incisivo dal momento che l'Europa si trova in una tipica situazione di «trappola della liquidità» e politiche «supply side» non sono sufficienti;
    è necessario assicurare a tutti i Paesi la possibilità di ricorrere appieno alla politica di bilancio nazionale come strumento anticiclico utilizzando tutti i margini di flessibilità esistenti per favorire la ripresa e sviluppando un'azione a livello dell'Unione europea per allentare ulteriormente i vincoli che impediscono di contrastare efficacemente le fasi avverse del ciclo economico;
    è altresì necessario sviluppare una politica di investimenti pubblici a livello europeo, specie nei settori che stimolano la crescita, come le infrastrutture, l'istruzione e la ricerca, anche alla luce della fase attuale caratterizzata dalla caduta degli investimenti privati e da tassi d'interesse a livelli storicamente bassissimi;
    negli anni della crisi i livelli di investimento in Europa sono precipitati: dal 2007 al 2014 sono diminuiti di circa 430 miliardi di euro, una riduzione del 15 per cento, con picchi del 22 per cento in Italia e del 31 per cento in Spagna;
    lo stesso Fondo Monetario, nell'ultimo World Economic Outlock, ha stimato che un aumento delle spese in investimenti pari all'1 per cento del PIL incrementerebbe il prodotto di circa lo 0,4 per cento nello stesso anno e dell'1,5 per cento nei quattro anni successivi, garantendo, a parità di altre condizioni, anche effetti positivi sulla dinamica debito/PIL e deficit/PIL attraverso un aumento del denominatore più che proporzionale rispetto a quello del numeratore;
    le risorse del bilancio comunitario non sono sufficienti per attivare un intervento pubblico finalizzato al rilancio degli investimenti, poiché ammontano a circa 180 miliardi di euro l'anno, cioè circa l'1 per cento del Reddito nazionale lordo dell'Unione europea e sono peraltro destinate solo in parte al sostegno ad investimenti;
    il 26 novembre scorso la Commissione europea ha annunciato un piano di investimenti per rilanciare la crescita, articolato in tre filoni principali: (1) la creazione di un nuovo Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS), garantito con fondi pubblici; (2) la creazione di una riserva di progetti accompagnata da un programma di assistenza per incanalare gli investimenti dove sono maggiormente necessari; (3) una tabella di marcia per rendere l'Europa più attraente per gli investimenti ed eliminare le strettoie regolamentari;
    il FEIS verrà istituito in collaborazione con la Banca europea per gli investimenti (BEI) e si avvarrà di una garanzia di 16 miliardi di euro provenienti dal bilancio dell'Unione europea (destinati al finanziamento degli investimenti a lungo termine nelle infrastrutture, nell'istruzione e nella ricerca, nelle energie rinnovabili) in combinazione con 5 miliardi di euro impegnati dalla BEI (in favore delle PMI e delle imprese a media capitalizzazione): secondo le stime della Commissione l'effetto moltiplicatore del fondo dovrebbe essere di 1:15, così da mobilitare non meno di 315 miliardi di euro di investimenti pubblici e privati aggiuntivi nel corso dei prossimi tre anni (2015-2017);
    tale effetto moltiplicatore non appare tuttavia adeguatamente dimostrato e rischia di essere sovrastimato. Il Piano della Commissione affida inoltre alla volontà di singoli Stati membri la mobilitazione di ulteriori risorse a sostegno degli investimenti da esso previsti;
    è necessario prevedere espressamente che gli investimenti del Piano, sia per quanto riguarda i contributi che gli Stati verseranno nel fondo comune che per i cofinanziamenti nazionali dei progetti selezionati, siano esclusi dal computo dei parametri del Patto di stabilità e crescita, una misura transitoria ed eccezionale attivabile senza modificare i Trattati;
    vanno altresì promossi gli investimenti in infrastrutture da parte delle Imprese mediante lo sviluppo di strumenti fiscali a livello europeo, soprattutto in quei casi nei quali possono essere utilizzati per correggere esternalità che provengono da fallimenti di mercato, come nel caso della finanza di progetto;
    per promuovere un ambiente favorevole agli investimenti sono essenziali mercati del credito più integrati e, pertanto, è opportuno sostenere il programma del nuovo Presidente della Commissione per costituire in Europa un'autentica unione dei mercati dei capitali, completando l'unione monetaria con quella finanziaria; il piano proposto dal Presidente Juncker per gli investimenti strategici è un primo passo verso una politica europea maggiormente orientata agli investimenti e alla crescita ma va rafforzato perché non appare ancora sufficiente ad attivare la ripresa del ciclo economico;
    è necessario che la revisione intermedia della Strategia Europa 2020 – che sarà portata a compimento nel corso del 2015 – provveda, per un verso, ad introdurre misure aggiuntive per il perseguimento degli obiettivi in materia di occupazione e lotta alla povertà, in cui si registra addirittura un arretramento rispetto ai target originari. Per altro verso, andrebbero integrati nella strategia nuovi obiettivi legati al mercato interno, all'erogazione del credito al sistema produttivo e alla politica industriale, senza i quali non è possibile rilanciare crescita e occupazione nell'Unione europea;
    a tale scopo occorre in particolare integrare la politica industriale nella procedura del semestre europeo, assicurando che le raccomandazioni specifiche per Paese contengano indicazioni puntuali affinché tutti gli Stati membri concorrano all'obiettivo di portare entro il 2020 al 20 per cento del PIL europeo la quota rappresentata dall'industria;
   considerato che:
    il disegno di legge di stabilità all'esame del Parlamento reca misure espansive orientate alla crescita, coerenti con il piano di investimenti della Commissione europea che sarà sottoposto al prossimo Consiglio europeo;
    gli impegni assunti in sede europea dal Governo italiano sono stati ritenuti credibili, tanto che la Commissione europea ha sospeso fino a marzo eventuali interventi procedurali: in questo senso si sono espressi sia il documento di valutazione del Documento programmatico di bilancio del 28 novembre, sia la dichiarazione dell'Eurogruppo dell'8 dicembre;
    il dialogo in corso con la Commissione e con i nostri partner, nel quale si inseriscono anche le comunicazioni del Commissario Moscovici ai Parlamenti nazionali, sta portando a importanti risultati in termini di apertura verso l'Italia, che sta ottenendo una maggiore flessibilità sui tempi e sui percorsi di adeguamento ai parametri di finanza pubblica nel contesto delle regole europee: tale flessibilità è indispensabile per evitare politiche pro-cicliche dannose per la crescita e per poter attuare interventi volti a rilanciare la crescita,

impegna il Governo:

   a monitorare in corso d'anno gli effetti della manovra di bilancio, con particolare riguardo al rispetto degli obiettivi programmatici concordati in sede europea;
   a promuovere il potenziamento della strumentazione e della dotazione finanziaria dell'Unione europea, finalizzato al sostegno dell'economia, attraverso l'adozione di misure e la sperimentazione di strumenti che svolgano una funzione anticiclica, e ad assumere iniziative per utilizzare la revisione intermedia del quadro finanziario pluriennale, prevista per fine 2016, per orientare ulteriormente il bilancio dell'Unione europea verso l'occupazione, la crescita e la competitività;
   a sostenere un processo riformatore che attribuisca alla Banca Centrale Europea un ruolo maggiormente attivo a favore della crescita;
   a sollevare il tema della rimozione delle barriere all'integrazione dei mercati dei capitali, sostenendo la proposta del Presidente Juncker sull'unione dei mercati dei capitali, in modo da diminuire il costo della raccolta di fondi, soprattutto per le piccole e medie imprese, contribuendo nel contempo a ridurre la nostra fortissima dipendenza italiana, dal finanziamento bancario e aumentando così l'attrattiva dell'Europa come piazza d'investimento;
   a promuovere nelle sedi europee lo sviluppo di meccanismi di sostegno e mutualizzazione del debito sovrano per salvaguardare il ruolo di stabilizzatori delle politiche di bilancio nazionali, fermo restando un solido e credibile quadro di riferimento per i conti pubblici;
   a sostenere l'esclusione dai saldi rilevanti ai fini del rispetto del Patto di stabilità e crescita e degli altri obblighi comunitari sia dei contributi che gli Stati membri effettueranno al Fondo europeo per gli investimenti strategici sia dei cofinanziamenti nazionali dei progetti previsti dal Piano ovvero nell'ambito dei fondi strutturali e di altri strumenti finanziari dell'Unione europea;
   ad assicurare la tempestiva operatività del FEIS e una adeguata assistenza tecnica per l'elaborazione dei progetti, l'utilizzo delle risorse e l'accesso ad altre fonti di finanziamento pubbliche e private;
   a promuovere l'adozione di una migliore regolazione a livello europeo e la convergenza delle regolazioni nazionali verso modelli più favorevoli agli investimenti mediante la riduzione dei rischi non finanziari e dei costi regolatori, con particolare attenzione all'implementazione dell'Agenda strategica per l'Unione;
   a sollecitare lo sviluppo di speciali strumenti fiscali e finanziari e la definizione a livello internazionale di un quadro regolatorio contabile e prudenziale per incentivare gli investimenti privati di lungo periodo;
   a promuovere, attraverso la definizione di criteri rigorosi e puntuali, la concentrazione degli investimenti del Piano nei settori cruciali: reti energetiche e di trasporto, energie rinnovabili ed efficienza energetica, istruzione, ricerca e innovazione, economia digitale, banda larga, infrastrutture sociali, prevenzione del dissesto idrogeologico, garantendo agli investitori privati programmi economicamente solidi;
   ad assumere iniziative per assicurare che la revisione intermedia della Strategia Europa 2020 – che sarà portata a compimento nel corso del 2015 – provveda ad integrare nella medesima strategia nuovi obiettivi legati al mercato interno, all'erogazione del credito al sistema produttivo e alla politica industriale, senza i quali non è possibile rilanciare crescita e occupazione nell'Unione europea;
   ad assumere iniziative per integrare pienamente gli obiettivi della nuova politica industriale europea nella Strategia Europa 2020 e nella procedura del semestre europeo, assicurando che le raccomandazioni specifiche per Paese contengano indicazioni puntuali affinché tutti gli Stati membri concorrano all'obiettivo di portare entro il 2020 al 20 per cento del PIL europeo la quota rappresentata dall'industria;
   a sostenere le iniziative volte a contrastare l'evasione e l'elusione fiscale a livello europeo e globale, accompagnandole con misure volte ad un maggior coordinamento dei sistemi fiscali nell'Unione europea, anche con riferimento all'imposizione diretta, al fine di ridurre la concorrenza fiscale dannosa.
(6-00100) «Speranza, De Girolamo, Mazziotti Di Celso, Dellai, Pisicchio, Di Lello, Alfreider».


   La Camera,
   premesso che:
    l'ordine del giorno del Consiglio europeo del 18 e 19 dicembre suona addirittura beffardo, se si considera che esso fa riferimento a «Ulteriori sforzi da compiere per favorire la crescita». Come se quest'ultima fosse stata, in qualche modo, già avviata, quando invece è ormai il devastante pericolo della deflazione ad essere evocato. Meglio sarebbe stato pertanto titolare: «Come arrestare la deriva della deflazione e rimettere in moto il processo di sviluppo dell'Eurozona»;
   i dati, purtroppo, suonano quale triste testimonianza. Nel 2013 nell'Eurozona si è avuta una caduta del Pil dello 0,4 per cento, cui farà seguito, secondo le previsioni, una crescita dello 0,8 per cento nel 2014. Del tutto insufficiente per porre argine a una disoccupazione che, sempre nell'Eurozona, è pari a oltre l'11,5 per cento. L'inflazione risulta essere pari allo 0,5 per cento, quale sintomo evidente di una tendenza deflazionistica alla quale occorre porre rimedio. L'inerzia della politica economica risulta evidente anche solo considerando la caduta del prezzo del petrolio, fermo a poco più di 60 dollari al barile. Per una vasta area economica, qual è l'Eurozona, la disponibilità di energia a basso prezzo poteva essere l'occasione per un forte rilancio produttivo. Il peso di un'ortodossia ormai fuori dal tempo blocca invece ogni possibilità di sviluppo. È un drammatico ritorno agli anni ’30, con l'aggravante che all'orizzonte non si vedono uomini come Franklin Delano Roosevelt o John Maynard Keynes;
   nelle condizioni date, il debito sovrano dell'Eurozona non può che aumentare. Nel 2014, secondo i calcoli della Banca Centrale Europea, esso passerà dal 92,6 al 93,4 per cento. Con un aumento contenuto (0,8 per cento) che maschera, tuttavia, differenze profonde tra i singoli Paesi. Secondo le previsioni della Commissione europea, mentre il rapporto debito/Pil diminuisce in moltissimi Paesi (Germania, Spagna, Grecia e Irlanda) in Italia aumenta di 1 punto percentuale, in Belgio dello 0,7 ed in Francia di 2.5 punti. Una nuova frattura rischia pertanto di separare Paesi più solidi da quelli in crescenti difficoltà finanziarie;
   all'origine di queste divergenze sono problemi di carattere strutturale, che non possono essere risolti in chiave esclusivamente domestica. Anche se il tema della diversa produttività, aziendale e di sistema, resta la grande discriminante di fondo, che richiede interventi dei singoli Stati per rimuovere le proprie strozzature interne. A livello comunitario, invece, colpisce il forte attivo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti. Nel 2014, secondo le valutazioni più recenti della Bce, esso sarà pari al 2,6 per cento del reddito complessivo. Pari a circa 270 miliardi di euro, secondo le valutazioni della Commissione, di cui circa il 90 per cento prodotto solo da Germania e Olanda;
   l'esistenza di un surplus così consistente è la dimostrazione del fatto che l'economia dell'Eurozona marcia ad un ritmo ben al di sotto del suo potenziale produttivo, e che quindi politiche espansive, soprattutto se concentrate su una ripresa degli investimenti, potrebbero portare il suo tasso di sviluppo da quel limitato 0.8 per cento previsto per il 2014 fino al 2,5 per cento in termini reali, con un effetto immediato sui livelli di occupazione;
   al tempo stesso il contenimento del surplus avrebbe un effetto immediato sul valore dell'euro, oggi sopravvalutato nei confronti delle altre monete. Dal maggio scorso, l'euro si è svalutato di circa il 12 per cento nei confronti del dollaro, salvo riprendere quota in questi ultimi giorni. Il movimento al ribasso è stato guidato da una crescente esportazione di capitali verso le altre zone del mondo. A settembre 2014, secondo le valutazioni della Bce, oltre 100 miliardi di euro di investimenti di portafoglio hanno preso la via dell'estero. Si assiste pertanto al paradosso che, non trovando adeguata convenienza a causa delle politiche di austerità, quei capitali che potrebbero essere investiti in Europa per contribuire al rilancio produttivo vengono dirottati altrove. Finanziano, in altre parole, quelle attività economiche che poi fanno concorrenza ai prodotti dell'Eurozona. Se il surplus valutario di origine primaria fosse ridotto da politiche espansive, ne deriverebbe una riduzione fisiologica e non patologica del valore del cambio, capace di innescare un circolo virtuoso dato da un aumento della domanda interna e dal contributo positivo dell'estero, a seguito del ristabilirsi (tendenzialmente un dollaro = un euro) del giusto valore tra le due principali valute dell'occidente;
   per conseguire simili risultati è necessario, da un lato, attivare politiche economiche espansive a livello europeo, dall'altro, accelerare il processo di rimozione delle barriere che ancora segmentano il mercato interno, specie nel campo dei servizi e delle politiche fiscali. Che si traducono in un freno alla concorrenza e in un rallentamento dello sviluppo della «produttività totale dei fattori». Questo era del resto uno dei grandi obiettivi della costruzione europea, come entità al tempo stesso politica ed economica;
   allo stesso modo, tuttavia, è necessario prendere atto delle differenze strutturali che caratterizzano le diverse economie dell'Eurozona. Il macigno del debito pubblico pesa in modo difforme: da Paese a Paese. Mentre le regole di bilancio, rese più stringenti dal Six Pack e dal Two Pack, rimangono uniformi. Un identico vestito che si vorrebbe far indossare ad individui che hanno una diversa corporatura. Non può funzionare. L'esperienza insegna che i cambiamenti di regime giuridico non possono che proiettarsi nel futuro, separando nettamente la situazione passata da quella prospettica. Ne deriva che, ferma restando la cogenza delle nuove regole, ai problemi legati alla diversa consistenza dello stock di debito accumulato si deve provvedere con iniziative diverse;
   la proposta del board della Bce di mettere in campo «misure non convenzionali» che si risolvano nel finanziamento di una parte pregressa del debito sovrano, con modalità da stabilire, deve essere, pertanto, accolta con favore. Occorre fare tutto il possibile affinché si vincano le resistenze che si oppongono a questa prospettiva, in nome di un malinteso senso di conservazione che rischia di alimentare ulteriormente la crisi europea;
   per evitare, tuttavia, rischi di moral hazard è necessario che i singoli Governi marcino spediti lungo la linea di quelle riforme che mirano ad accrescere la produttività aziendale e di settore, intervenendo sulla struttura del mercato del lavoro, con politiche salariali coerenti; riducendo il peso della spesa pubblica, specie di parte corrente; liberalizzando il mercato; riducendo il perimetro della discrezionalità amministrativa; rilanciando gli investimenti; riformando la giustizia e via dicendo;
   il trinomio di un protocollo di politica economica in grado di far uscire l'Eurozona dallo stato comatoso in cui si trova è pertanto dato da: politiche espansive a livello europeo, rivolte al contenimento del surplus delle partite correnti; «misure non convenzionali» per la gestione dello stock di debito accumulato, quale necessario complemento alle regole del Six Pack e del Two Pack; riforme in grado di accrescere la produttività aziendale e di sistema;
   rispetto alla coerenza di questo schema, la proposta della Commissione è quella di reperire risorse pari a 315 miliardi in tre anni per il rilancio degli investimenti. Cifra del tutto insufficiente. Essa corrisponde, infatti a poco più di un terzo del surplus valutario annuo, che si vorrebbe contenere. Sul piano operativo, le risorse effettivamente stanziate sono previste in appena 21 miliardi complessivi. Si suppone poi una leva pari 15 per mobilitare eventuali capitali privati, di cui, tuttavia, non si ha certezza di disponibilità. Lo sforzo effettivo corrisponderebbe, pertanto, a poco più del 2,5 per cento del surplus valutario annuale. Un'inezia rispetto alle risorse potenziali,

impegna il Governo:

   ad avviare un negoziato con tutti i partner europei, volto a individuare le modalità di una politica economica che tenga conto di quanto elencato in premessa, posto che non basta il piano Juncker. Ciò che è necessario è un approccio sistemico in cui politica monetaria, politica di bilancio e riforme, anche nella forma dei contractual arrangements, mantengano una stretta coerenza, prevedendo fin da ora i necessari momenti di verifica a livello europeo, proponendo al tempo stesso una modifica dei Trattati per rendere più stringente il vincolo che regola il surplus valutario dei singoli Paesi, onde impedire gli eccessi di mercantilismo che stanno distruggendo la coesione europea;
   ad evitare inutili toni polemici nei confronti di chicchessia, accogliendo il recente invito del Capo dello Stato, essendo necessario far «ricorso alla difficile arte della convinzione, partendo dai dati che fotografano la situazione oggettiva, come evidenziato in premessa, chiamando ciascun partner europeo alle proprie responsabilità, senza mai perdere di vista quello che è il comune interesse, che corrisponde ad una visione dell'Europa, quale quella che incarnò le speranze dei Padri fondatori, senza peraltro rinunciare alla battaglia politica per affermare con forza le proprie ragioni, consapevoli del fatto ch'esse non rispondono a logiche localistiche, ma sono l'unico vero baluardo che può impedire la crisi irreversibile di quel disegno più ambizioso che ha trovato nella moneta unica il suo momento fondante e che ora rischia l'autodistruzione.
(6-00101) «Brunetta».


   La Camera,
   premesso che:
    sentite le comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in merito alla riunione ordinaria del Consiglio europeo del 18 e 19 dicembre 2014 il cui ordine del giorno provvisorio prevede i seguenti punti:
     1) politica economica e sociale: esame degli ulteriori sforzi da compiere per favorire la crescita, l'occupazione e la competitività europea e, ove opportuno, stabilire nuovi orientamenti: in tale contesto, discutere in particolare dell'iniziativa della Commissione destinata a mobilitare 300 miliardi di euro di investimenti nel periodo 2015-2017;
     2) altre questioni in materia di relazioni esterne alla luce degli sviluppi del panorama internazionale, ed illustrazione delle misure adottate per rispondere alla crisi dell'Ebola;
   premesso che, per quanto concerne la politica economica e sociale:
    dobbiamo constatare che la crisi che dura da 7 anni, prosegue senza che all'orizzonte si possa scorgere un'inversione di tendenza, mentre i disoccupati in Europa sono diventati più di 27 milioni ed il loro numero continua ad aumentare;
    la disoccupazione crescente rappresenta solo uno dei risultati negativi delle politiche dell'austerità perseguite con ottusità dagli organismi europei come più volte denunciato da molti eminenti economisti, dal FMI e dalla parte politica dei firmatari di questa risoluzione, ultimamente con la Risoluzione 6-00092 presentata in vista del precedente Consiglio europeo del 23-24 ottobre scorso e con la Relazione di minoranza alla legge di stabilità 2015 (AC 2689-bis-A – Relatore Melilla);
    molti autorevoli economisti avevano avvertito che difficilmente una moneta unica che unisce Paesi molto diversi per livelli di competitività, produttività e inflazione avrebbe potuto essere un motore di Sviluppo, soprattutto in mancanza di una forte politica cooperativa e solidale a livello europeo. Le loro previsioni si sono purtroppo avverate;
    il sistema della moneta unica divide più che unire i Paesi europei e, soprattutto dopo lo scoppio della crisi finanziaria globale, è diventato un freno per la crescita dell'Eurozona e di ogni singolo Paese. La moneta unica impedisce i riallineamenti competitivi (cioè le svalutazioni monetarie dei Paesi deboli e le rivalutazioni di quelli forti). Inoltre, in assenza di una politica fiscale comunitaria redistributiva, risulta inadatta alle esigenze di crescita di ciascun singolo Paese. Ne seguono squilibri commerciali e finanziari, in particolare all'interno dell'Eurozona;
    a causa della rigidità intrinseca della moneta unica, i Paesi creditori, in primis la Germania, sostengono l'adozione di politiche depressive per i Paesi debitori come l'Italia, la Francia, la Spagna e altri Paesi del Sud Europa. Per garantirsi il recupero dei crediti, i primi hanno imposto austerità, riduzioni drastiche del costo del lavoro, tagli del welfare e aumenti delle tasse. I debiti pubblici denominati in una moneta che i singoli stati non controllano – e che di fatto appare quindi loro come una moneta straniera – forzano i governi ad adottare politiche pro-cicliche. Le economie meno competitive entrano quindi nella spirale della crisi e finiscono per trascinarvi quelle dei Paesi cosiddetti «virtuosi». L'euro, invece di spingere verso la convergenza tra i 18 membri dell'Eurozona, ne aumenta le divaricazioni e i conflitti;
    l'Eurozona, e in particolare i Paesi mediterranei, si trovano in una situazione economica pesantissima: stagnano o calano i consumi e diminuiscono gli investimenti privati e pubblici. La BCE cerca di dare ossigeno monetario al sistema ma le banche dei diversi Paesi trattengono la liquidità e non offrono sufficiente credito all'economia reale, in particolare alle piccole e medie imprese. In pratica: non si investe, non si produce, non si consuma;
    crescono massicciamente la disoccupazione e la precarietà del lavoro. Aumentano le divaricazioni territoriali e sociali. Sembra che l'Europa abbia dimenticato i suoi obiettivi originari di piena occupazione, sviluppo sostenibile e benessere per tutti i cittadini: la priorità dichiarata dagli organi della Unione europea è piuttosto mirata esclusivamente ad aumentare la competitività con politiche di austerità e le cosiddette «riforme strutturali»;
    la crisi mette a rischio la sopravvivenza stessa di qualsiasi disegno di integrazione. L'economia europea è malata e rischia di infettare l'economia mondiale. In questo quadro di incertezza e di grave sofferenza sono possibili diversi scenari: la continuazione di una fase prolungata di stagnazione, o peggio di recessione e depressione; la ristrutturazione dei debiti dei Paesi dell'Europa mediterranea; la rottura caotica dell'Eurozona con l'uscita forzata di uno o più Paesi dall'euro e il crollo rovinoso del sistema europeo e dell'euro;
    il Governo – dobbiamo constatare – non è riuscito a fare «cambiare verso» all'Unione europea malgrado i sei mesi di Presidenza italiana dell'Unione Europea: nel semestre italiano di presidenza dell'Unione Europea, infatti, si è ripetuto il seguente copione: il Governo, a Roma, tuona contro l'austerità ma a Bruxelles non ottiene nulla. Il Premier italiano, da un lato, invoca flessibilità e crescita, dall'altro promette che l'Italia rispetterà le regole del Fiscal Compact. Mentre dovrebbe scegliere: l'Italia non può investire se rispetta il Fiscal Compact; al contrario l'Italia per investire deve violare il Fiscal Compact. Da questo punto di vista il semestre italiano è stato un'occasione perduta;
    secondo i dati Istat, nel terzo trimestre 2014, il PIL cala dello 0,1 per cento rispetto al trimestre precedente e dello 0,5 per cento rispetto al terzo trimestre del 2013, mentre gli investimenti lordi sono diminuiti del 3,1 per cento rispetto ad un anno fa, la produzione industriale di ottobre in Italia è crollata del 3 per cento, la quarta frenata mensile consecutiva, tutte con il Governo Renzi, ed i disoccupati sono il 13,2 per cento della forza lavoro. In una situazione simile avremmo avuto bisogno di una vera manovra espansiva. Al contrario, il Governo non vara investimenti poiché teme una procedura di infrazione per disavanzo eccessivo da Bruxelles;
    ma in Europa ci sono due pesi e due misure: nel rapporto deficit/PIL la Francia arriverà al 4,5 per cento nel 2014. Sforerà anche nel 2015. Così la Spagna nel 2014 al 5,8 per cento, al 4,2 per cento nel 2015. Dunque, altri Paesi sforano e non succede nulla. Secondo la Commissione dell'Unione Europea non solo il nostro debito è eccessivo ma forse non raggiungeremo gli obiettivi di medio termine. Sono dunque da prevedere altri miliardi di tagli alle spese a marzo malgrado con la legge di Stabilità si stiano già facendo i salti mortali per rispettare il 2,6 per cento del PIL;
    comparando dal 2008 il rapporto deficit/PIL di Roma e Parigi, si constata che: nel 2013 l'Italia sta al 3 per cento, la Francia sfora al 4,3 per cento; nel 2012 noi stiamo sempre al 3 per cento, la Francia sfora al 4,9 per cento; nel 2011 noi sforiamo al 3,9 per cento ma la Francia arriva al 5,2 per cento; nel 2010 noi arriviamo al 4,6 per cento ma Parigi ci surclassa al 7 per cento; nel 2009 Roma arriva al 5,5 per cento e Parigi sfonda al 7,5 per cento; nel 2008 noi stiamo al 2,7 per cento, la Francia comunque sfora al 3,3 per cento;
    secondo l'analisi della Commissione europea, l'Italia pur rimanendo sotto il 3 per cento nel rapporto tra deficit e PIL, non ha tagliato sufficientemente il disavanzo con ripercussioni sul debito pubblico;
    che anziché diminuire continua a crescere, l'anno prossimo al 133,8 per cento. Secondo Bruxelles il deficit strutturale scenderà solo dello 0,1 per cento invece del richiesto 0,5 per cento (il Governo sostiene che tale deficit scenderà dello 0,3 per cento). Si chiede dunque all'Italia uno sforzo maggiore entro marzo per ridurre il debito;
    in cambio del voto dato a Juncker, il Governo avrebbe dovuto ottenere che l'Italia sia trattata dalla Commissione come la Francia. Viceversa Juncker ha dichiarato, rivolto in particolare all'Italia, che senza tagli aggiuntivi «le conseguenze saranno spiacevoli». Egli ha inoltre affermato che «noi abbiamo utilizzato – nei confronti dell'Italia-NdR – la più grande flessibilità mai attuata... Avremmo potuto attivare subito per l'Italia una procedura per debito eccessivo»;
    finora il Premier ha ottenuto nel suo semestre di Presidenza dell'Unione Europea un solo reale risultato: il rinvio del giudizio definitivo della Commissione sulla nostra legge di stabilità a marzo 2015;
    in ogni caso, porsi il problema, come ha fatto il Governo italiano, se i criteri di calcolo dell’output gap siano giusti o sbagliati, output gap sulla base del quale viene poi stabilita la distanza che ci separa dal raggiungimento del pareggio di bilancio strutturale, è un approccio minimalista: il pareggio di bilancio è il vero problema da affrontare;
    il Governo Berlusconi, spinto dalla fortissima tensione sui titoli di Stato italiani, nel 2011 assunse l'impegno di conseguire il pareggio di bilancio contabile entro il 2014, poi anticipato dallo stesso Governo al 2013. Questo obiettivo pur perseguito con energia dai governi che si sono man mano succeduti, non è stato finora conseguito, anzi il suo raggiungimento nel prossimo futuro risulta altamente improbabile, a causa della potente carica distruttiva sul PIL contenuta nelle stesse manovre messe in campo da quella data in poi per realizzarlo che non hanno reso possibile neppure acquisire il pareggio strutturale;
    la strategia del pareggio contabile o strutturale mira essenzialmente a raggiungere l'obiettivo di frenare e/o bloccare la crescita del numeratore del rapporto debito/PIL, per migliorare nel tempo questo indicatore; nel presupposto che il PIL nominale possa crescere e svilupparsi in forma indipendente dalle misure di consolidamento del bilancio, per effetto delle cosiddette «riforme strutturali» e degli aiuti monetari che i Governi e le autorità preposte mettono in campo. Una concezione priva delle più elementari basi logico-razionali. Nessun Paese al mondo può crescere se tutti gli agenti nevralgici sono contemporaneamente orientati al ribasso: investimenti pubblici e privati, consumi pubblici e privati, credito bancario a famiglie e imprese, redditi disponibili e reddito d'impresa, dinamica dei prezzi e fiducia nel futuro;
    allo stato attuale, senza cospicui investimenti pubblici, a poco potranno le nuove iniezioni di liquidità che la BCE ha in programma di realizzare per sovvertire un quadro così compromesso. La stessa BCE ha riconosciuto il fallimento delle due aste del maxi prestito alle banche europee denominato «TLTRO»; gli istituti di credito dovevano ricevere 400 miliardi di euro, ma ne hanno ritirato da settembre ad oggi solo 212 miliardi;
    in questo contesto il Presidente della Commissione Europea, Jean Claude Juncker, ha proposto il suo nebuloso piano di circa 300 miliardi di investimenti. Partirebbe con un Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici (EFSI) di 21 miliardi di euro: 5 di denaro vero della BEI, la Banca Europea degli Investimenti, 16 tra liquidità dell'attuale bilancio dell'Unione europea e garanzie. Successivamente la BEI concederebbe prestiti pari a tre colte il capitale iniziale: tali prestiti dorrebbero coinvolgere investitori privati con un ulteriore effetto moltiplicatore pari a cinque. E così si arriverebbe all'importo di 315 miliardi per i 28 Stati dell'Unione europea (con un moltiplicatore pari a 15). Una Task Force europea dovrebbe valutare quali progetti finanziare;
    sono stati presentati dai 28 Paesi dell'Unione europea circa 2.000 progetti nazionali, per un totale di 1.300 miliardi, in competizione per ottenere i 21 miliardi di finanziamenti europei, mentre i finanziamenti dei privati sono tutti da verificare;
    il fulcro del piano è la costituzione del Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici (European Fund for Strategie Investment-EFSI), organismo nuovo che si occuperà dei progetti di investimento e del loro finanziamento. Il piano dovrebbe essere operativo a partire dal giugno 2015, con un ruolo chiave della Banca Europea degli Investimenti (BEI), che affiancherà neonato Fondo per rafforzarne la capacità d'azione sui mercati finanziari internazionali;
    la maggior parte di quei 21 miliardi verrà attinta da fondi già esistenti, come quello «Horizon 2020», il programma di 80 miliardi dell'Unione europea destinato alla ricerca e allo sviluppo. Insomma, non si mette in campo nessuna vera risorsa aggiuntiva. La ragione è da ricercarsi da un lato nella resistenza da parte dei Paesi del nord – Gran Bretagna in primis – ad aumentare di un singolo centesimo il loro contributo al budget europeo, dall'altro nell'insistenza della Germania per un coinvolgimento minimo della BEI per evitare il rischio che perda la «tripla A» da parte delle agenzie di rating;
    il Piano Juncker serve a dare l'illusione all'opinione pubblica europea che qualcosa stia cambiando e che ci siano speranze per il futuro. Purtroppo, non è così: i 315 miliardi di euro di cui si parla sono costituiti da 21 miliardi veri che dovrebbero essere versati dagli Stati in un apposito fondo, il quale successivamente dovrebbe emettere obbligazioni per ottenere dal mercato le risorse mancanti, con una leva finanziaria di 1 a 15 assolutamente poco credibile. Non risulta, infatti, che fondi di investimento pubblico siano mai riusciti ad attivare una leva finanziaria superiore a 3, anche ai tempi della finanza allegra;
    si ipotizza che gli investimenti da finanziare (essenzialmente infrastrutture) siano in grado di produrre un reddito sufficiente a remunerare gli investitori privati (banche) che dovrebbero partecipare all'operazione. Ciò significa che i progetti eventualmente finanziabili si riducono drasticamente di numero, restando escluse tutte le opere pubbliche non suscettibili di produrre un reddito direttamente quantificabile (per esempio quelle relative al recupero del territorio), mentre quelli che verranno accettati potrebbero tranquillamente trovare finanziamenti direttamente sul mercato. In sintesi, la proposta appare per molti aspetti come una sostanziale presa in giro. Già 300 miliardi di euro sono meno della metà di quanto servirebbe a rilanciare l'economia europea. Il fatto poi che debbano essere finanziati sul mercato e non in disavanzo secondo criteri di redditività privati conferma che non la crescita ma l'ossessione contabile dei Paesi nordici continua ad essere la vera bussola che orienta le scelte di Bruxelles;
    gli economisti della Royal Bank or Scotland hanno calcolato che nell'eurozona gli investimenti siano crollati di 330 miliardi l'anno dall'inizio della crisi. Essi giudicano l'iniziativa di Juncker come sottodimensionata e tardiva. Secondo questi economisti, all'Europa servirebbero almeno 800 miliardi di euro di nuovo capitale, cioè gli investimenti persi nel corso della crisi. Ma l'area euro dovrebbe ripristinare non meno di 1.000 miliardi se consideriamo l'ammortamento e la crescita mancata tra il 2007 e il 2014, perché con la crescita, sia pure contenuta della produttività, non basta ripristinare quanto perduto per recuperare il livello di occupazione iniziale;
    inoltre, il rischio è che ne traggano beneficio i Paesi e le regioni più dotati di capitali da investire. Ci si può legittimamente chiedere se un investitore straniero, puntando alla redditività, sceglierebbe di investire su un'infrastruttura in Baviera o in Calabria;
    infatti, malgrado che il capitale della BEI sia stato aumentato di 10 miliardi nel 2012, i Paesi del Sud Europa, che pure hanno diligentemente sottoscritto le loro quote, non hanno avuto in cambio sostanzialmente nessun vantaggio, dal momento che gran parte dei fondi raccolti sono andati a finanziare progetti di Paesi quali la Germania;
    ci sarebbe in astratto la possibilità per gli Stati nazionali di contribuire anch'essi all'iniziativa, ma sembra difficile che arrivino risorse da parte loro, anche perché non c’è nessuna garanzia che i fondi stanziati da un singolo Stato vengano ristornati allo stesso Paese;
    in una situazione economica di stagnazione e deflazione in molti Paesi dell'Unione europea, ipotizzare un effetto moltiplicativo di questo genere assomiglia più a un atto di fede che una reale politica economica. Innanzi tutto i capitali privati si muovono se hanno profitti elevati – e la BEI ha abituato gli investitori privati alla «tripla A» delle agenzie di rating: cioè investimenti assolutamente sicuri, a redditività garantita. Non sembra che ci siano molti investimenti nell'economia reale che abbiano oggi queste caratteristiche in Europa. In secondo luogo, la stagnazione provocata dalle politiche di austerità è alla base della rinuncia degli investitori privati a investire – gli investimenti privati dal 2008 sono caduti in tutta Europa molto di più del PIL. Non si riesce a capire perché mai dovrebbero credere adesso in una ripresa della domanda quando la spesa pubblica è ferma e le esportazioni sono rallentate come mai nei vent'anni passati;
    in un contesto in cui le aspettative degli investitori privati erano atterrite – esattamente come lo sono oggi – dallo stato comatoso della domanda pubblica e privata, John Maynard Keynes negli anni trenta reclamava un intervento pubblico «vero» – fatto di risorse pubbliche immediatamente immesse nell'economia per realizzare nuovi beni e servizi – e non aveva illusioni sulla conversione alla ripresa di finanziatori privati chiusi nella trappola di un denaro liquido che non si trasforma in investimento;
    nella migliore delle ipotesi – ossia nell'eventualità in cui il piano riesca veramente a raccogliere la cifra auspicata – si tratterebbe comunque di un regalo agli investitori, in cui l'autorità pubblica si accollerebbe il rischio, fornendo ai privati il denaro a copertura delle eventuali perdite sul capitale investito, lasciandogli gli eventuali profitti, secondo la logica dei partenariati pubblico-privato;
   considerato, inoltre che, per quanto riguarda le relazioni esterne all'Unione europea:
    negli scorsi giorni è stato chiuso il più grande porto di carico del petrolio in Libia, a Es Sider, al confine fra Tripolitania e Cirenaica. In queste ore i capi militari e tribali di Zwara, una comunità che sorge ad Ovest, lungo il percorso del gasdotto che alimenta l'Italia, stanno decidendo se bloccare o meno il gasdotto nella stazione di Mellita dove viene introdotto nel gasdotto che attraversa il canale di Sicilia e introduce il gas in Europa con il rischio di provocare gravi ripercussioni, anche economiche a tutto il continente;
    nei dintorni infuria la battaglia fra i miliziani della Petroleum Protection Guard del capo-milizia Ibrahim Jadran e quelli della coalizione Misurata-Islamisti che da agosto controlla Tripoli; in Libia i combattimenti si spostano freneticamente in quasi tutto il Paese e la crisi libica rischia anche di destabilizzare anche i Paesi dello Sahel, come ha anche affermato in una recente audizione al Consiglio di Sicurezza dell'ONU, l'inviato speciale nella regione, Guebre Sellasie, il quale ha aggiunto: «Se la situazione in Libia non verrà rapidamente messa sotto controllo, numerosi Paesi della regione potrebbero venire destabilizzati in un futuro prossimo: le voci riguardanti dei presunti campi di addestramento dello Stato islamico in Libia sono particolarmente preoccupanti»;
   la regione del Sahel è particolarmente strategica. Attraverso il Sahel, passano infatti, 20 mila armi da fuoco provenienti dalla Libia, e secondo recenti dati, passano per la regione la maggior parte delle 18 tonnellate di cocaina che giungono in Africa Occidentale;
   l'area è inoltre minacciata dalle violenze del gruppo terroristico Boko Haram nel nord della Nigeria a dalle crisi in Mali e nella Repubblica Centroafricana, nonché dalle minacce interne, con un numero di bambini denutriti che ha superato i 6 milioni, mentre gli sfollati sono raddoppiati nel corso dell'ultimo anno e sono attualmente 3.3 milioni;
   la recente comparsa del virus Ebola in Mali, rischia di compromettere sensibilmente la regione anche alla luce degli insufficienti aiuti internazionali per prevenire e combattere l'epidemia; in Libia la situazione è drammatica. Oltre ai diffusi combattimenti in tutto il Paese, l'Alto Commissariato delle Nazione Unite per i Rifugiati stimava, che solo nello scorso mese, almeno 106.420 persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case, il che significa che, da maggio scorso, sono oltre 400 mila le persone sfollate a causa delle violenze in Libia;
   nel frattempo, per via delle violenze e dei conflitti diffusi, notevoli difficoltà si riscontrano nelle operazioni umanitarie, per cui la stima degli sfollati è soltanto approssimativa e potrebbe di dimensioni ancora più grandi;
   secondo gli ultimi dati diffusi dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, sono oltre 51 milioni gli sfollati nel mondo e rappresenta il dato più alto nel mondo dal 1945;
   secondo le stime, soltanto in Siria e Iraq, Paesi dove sono in corso i principali conflitti e dove è in corso la campagna dei Paesi occidentali contro l'ISIS, gli sfollati sarebbero più di 14 milioni;
   in Iraq la maggior parte degli sfollati ha trovato rifugio all'interno del Paese, mentre la grande maggioranza dei rifugiati siriani ha trovato riparo in Libano, Giordania, Iraq e Turchia che ne ospita circa 1 milione e mezzo all'interno di campi profughi allestiti prevalentemente nel Kurdistan turco; nel 2014 hanno tentato la fuga via mare oltre 348 mila persone, di cui 207 mila sono riuscite a completare la traversata. Un numero di quasi tre volte più alto rispetto al precedente picco di 70 mila nel 2011, quando la guerra civile libica era in pieno svolgimento; la componente dei richiedenti asilo rappresenta la componente maggioritaria di questo flusso e i restanti sono persone beneficiarie di protezione internazionale;
   l'offensiva jihadista, da cui gli sfollati scappano, secondo dati recentemente diffusi dalla BBC ed elaborati dal King's College di Londra, ha prodotto soltanto nel mese di novembre, 5.042 vittime, la cui grande maggioranza erano civili (2.079), il Paese in cui si è registrato il maggior numero di vittime è stato l'Iraq, al secondo posto la Nigeria seguita dall'Afghanistan;
   con l'idea di fondo che sarebbero diminuiti gli approdi via mare con l'inizio della stagione invernale, dal 1o novembre l'operazione Mare Nostrum è stata sostituita dall'operazione dell'Unione europea Triton che ha soltanto compiti di soccorso entro le 30 miglia;
   tuttavia se si paragona il numero di arrivi a novembre scorso, mese di avvio della missione Triton, con quelli registrati a novembre 2013 si scopre che il numero dei profughi arrivati in Italia è quasi quintuplicato;
   nel novembre 2013 i profughi soccorsi sono stati 1.883, mentre un anno dopo i profughi arrivati sono stati 9.134, con un aumento del 485 per cento nonostante il ridimensionamento della missione: questi numeri confermano la grandezza del fenomeno delle migrazioni, che sarà sempre più vasto come affermato anche dall'ultima riunione del Consiglio dell'Unione europea «Affari Esteri», che ha preso conoscenza della necessità di una nuova strategia globale dell'Unione europea che vada oltre la sorveglianza delle frontiere, come accade ora con l'agenzia Frontex e affronti la questione dei rifugiati, garantendo accoglienza e standard uniformi in tutti i Paesi in linea con quanto previsto dalla convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati;
   occorre altresì una politica estera forte dell'Unione europea, improntata sul rafforzamento della capacita degli strumenti di prevenzione diplomatica, mediazione e gestione non violenta dei conflitti, anche considerato il numero dei conflitti che vanno espandendosi sempre di più ai confini del continente, la cui espressione, la PESC – Politica europea e di sicurezza comune, rimane inefficace e a volte incomprensibile, troppo subordinata alle scelte dell'Alleanza Nord Atlantica e degli Stati Uniti d'America;
   manifestazione palese di questa incomprensibile subordinazione è la crisi ucraina dove l'atteggiamento europeo di puntare sul muro contro muro con Mosca è apparso totalmente sbagliato e noncurante degli storici errori commessi dall'Unione a partire dagli anni 90 che hanno portato in sequenza a conflitti, aperture diplomatiche, minacce reciproche e logoramento delle relazioni;
   la partita geopolitica è stata giocata principalmente sul terreno della «sicurezza» e la mossa principale dell'allargamento ad Est della Nato e le trattative per l'ingresso dell'Ucraina nell'Unione europea, sono state una scelta strategica sbagliata così come la gestione della crisi e le conseguenti sanzioni, di cui l'Europa e i suoi Stati membri pagano un prezzo elevato;
   ulteriormente la crisi ucraina rischia di riaprire la corsa al riarmo nucleare tra Nato e Russia con l'Alleanza atlantica sempre più determinata a rafforzare la propria capacità di deterrenza tattica attraverso l'acquisizione e il dispiegamento, in varie basi in Europa, tra cui quella di Ghedi, di nuovi sistemi d'arma a proiezione nucleare;
   ora l'Italia, che ha anche il massimo esponente della politica europea e di sicurezza comune, dovrebbe avere il coraggio di porre le questioni cruciali a partire dal promuovere una soluzione del conflitto Israelo-Palestinese come ha già fatto la Svezia e come hanno fatto i Parlamenti di Irlanda, Spagna, Belgio e Francia, ossia di proporre il riconoscimento dello Stato di Palestina così come si riconosce lo Stato di Israele come contributo di politica estera per la ripresa dei negoziati sulla posizione «due popoli, due Stati», da sempre la posizione dell'Italia e dell'Unione europea;
   appare questa iniziativa l'unica possibile anche alla luce dell'aggravamento del conflitto dopo l'uccisione del Ministro Palestinese Ziad Abu Ein, avvenuto nei giorni scorsi da parte dell'esercito israeliano e anche considerate le recenti prese di posizione del Primo Ministro israeliano Netanyahu, il quale ha dichiarato che Israele non accetterà mai il ritiro entro i confini del 1967, nonché la ripresa delle violenze a Gerusalemme Est;
   osservato, infine che, in merito alla crisi dell'Ebola:
    per diversi anni si è cercato di convincere l'Organizzazione mondiale della Sanità a promuovere la ricerca sull'Ebola, ma per troppo tempo si è continuato a considerarla una malattia focale, di focolai virulenti, capaci di estinguersi da soli;
    solamente quest'estate l'OMS ha riconosciuto Ebola come un'emergenza internazionale. Un virus che uccide fino all'80% dei soggetti che si ammalano;
    le proiezioni pubblicate a metà dello scorso settembre dell’US Centre for Disease Control and prevention (CDC) di Atlanta sono drammatiche. Solo in Sierra Leone e in Liberia, più di 20 mila nuovi casi potrebbero emergere nelle prossime settimane e qualcosa come 1,4 milioni entro gennaio 2015 se il contagio continuasse a propagarsi ai ritmi attuali;
    i Paesi colpiti dall'epidemia, Liberia, Siena Leone, e con una estensione contenuta Nigeria e Senegal, vanno supportati e va soprattutto scongiurato il loro isolamento per non compromettere lo sforzo degli aiuti internazionali e non aggravare la frattura sociale ed economica;
    l'epidemia del virus Ebola rappresenta una seria minaccia alla salute da considerarsi come una minaccia globale. La lenta e inadeguata risposta della comunità internazionale ha amplificato le dimensioni di un dramma che poteva essere contenuto;
    il 23 ottobre 2014 Barroso, ex presidente della Commissione europea, dichiarava: «nei confronti dell'Ebola abbiamo ingaggiato una corsa contro il tempo, dobbiamo affrontare la situazione di emergenza ma anche trovare risposte a lungo termine». E poi annunciava un ulteriore finanziamento per velocizzare alcune delle più promettenti ricerche per lo sviluppo di vaccini e di cure;
    pochi giorni dopo la suddetta dichiarazione di Barroso, si è tenuta una riunione dell'OMS con i rappresentanti di Governi, dell'industria, di donatori, di ricercatori medici e delle organizzazioni di soccorso, anche per discutere dell'accesso e il finanziamento dei vaccini per l'Ebola;
    come chiesto da Bertrand Draguez, direttore medico di Medici senza Frontiere, alla suddetta riunione dell'OMS deve però «seguire un'azione urgente per veder realizzare quelle promesse in Africa occidentale nel più breve tempo possibile. A questa azione deve seguire la distribuzione massiccia dei vaccini alla popolazione, non appena la loro efficacia sarà stato provata. È fondamentale che il personale dei sistemi sanitari locali, delle organizzazioni umanitarie e presso la comunità, impegnato nella risposta all'epidemia e nel garantire cure mediche di base, sia protetto. Quasi ovunque le risorse sono al limite»;
    lo stanziamento di 24.4 milioni di euro stanziati dalla Commissione europea per la ricerca sull'Ebola, è un passo importante ma insufficiente. Come sottolineato da Manica Balasegaram, direttore esecutivo della Campagna di Medici senza Frontiere per l'accesso ai farmaci, per tentare di arginare l'epidemia, sono fondamentali vaccini e trattamenti. I governi e l'industria devono svolgere un ruolo chiave. L'industria deve assumersi dei rischi, mentre i governi devono sostenerla attraverso incentivi e riduzioni al minimo di tali rischi. Servono urgentemente investimenti e incentivi sufficienti per lo sviluppo di farmaci specifici per l'Ebola;
    in questo ambito l'Unione europea avrebbe potuto, e dovrebbe avere, un ruolo più centrale; peraltro l'Unione europea e la comunità internazionale si dovranno attivare per evitare che i vaccini e i farmaci in via di sperimentazione da parte di industrie farmaceutiche, vengano introdotti a prezzi troppo elevati. Sotto questo aspetto è indispensabile poter negoziare con le industrie il prezzo dei dispositivi medicali,

impegna il Governo:

   a) per quanto concerne la politica economica e sociale:
    a creare un fronte comune con i governi disponibili a porre con forza negli organismi della governance europea, il tema della revisione dei trattati europei a partire dal fiscal compact, corregendo i vincoli del 3 per cento e del debito al 60 per cento che sono del tutto arbitrari ed assurdi, ottenendo la convocazione di una Conferenza europea per definire le necessarie modifiche;
    a proporre, nell'ambito di tale Conferenza, un negoziato sul debito che ricalchi quanto deciso nel 1953 a favore della Germania, cui vennero condonati i debiti di guerra, prevedendo la rinegoziazione del debito che eccede il 60 per cento del Pil;
    ad adoperarsi negli organismi europei per consentire nel frattempo lo sforamento del limite del deficit del 3 per cento e per ottenere la moratoria, per almeno un quinquennio, sull'applicazione delle misure obbligatorie di abbassamento del debito prevista dal fiscal compact nonché la modifica delle modalità di calcolo dei saldi corretti per il ciclo che penalizzano soprattutto Paesi come il nostro in prolungata recessione;
    a proporre con determinazione di non conteggiare nei saldi validi ai fini dei Trattati dell'Unione europea i finanziamenti degli investimenti pubblici finalizzati a misure per la crescita dell'occupazione e al co-finanziamento dei Fondi europei;
    a proporre un Green New Deal continentale (un Piano europeo per l'Occupazione) il quale stanzi almeno 1.000 miliardi di euro con risorse pubbliche nuove ed aggiuntive rispetto a quelle già stanziate (diversamente da quanto previsto dal cosiddetto «Piano Juncker»), per dare occupazione a 5-6 milioni di disoccupati o inoccupati (di cui un milione in Italia): tanti quanti sono quelli che hanno perso il lavoro dall'inizio della crisi, definendo una politica industriale a livello europeo, dando priorità a interventi che rispettano il diritto ad un ambiente sano e integro, al contrario di quanto fanno molte grandi opere che devastano il territorio e che creano poca occupazione, agevolando la transizione verso consumi drasticamente ridotti di combustibili fossili, la creazione di un'agricoltura biologica e multifunzionale, il riassetto idrogeologico dei territori, la valorizzazione non speculativa del patrimonio artistico, il potenziamento dell'istruzione e della ricerca, la messa in sicurezza degli edifici scolastici, la riqualificazione delle città, l'efficienza energetica degli immobili, l'innovazione tecnologica, la riforma e il rinnovamento della PA e del welfare, l'innovazione e la sostenibilità delle reti (trasporti, energia, digitalizzazione del Paese, e altro);
   e, qualora tali proposte non abbiano esito positivo:
    a) ad assumere urgentemente, pur nel contesto dell'euro, iniziative autonome e sovrane per rilanciare l'economia e l'occupazione, come lo sforamento del 3 per cento per il rapporto deficit/PIL;
    b) a valutare l'opportunità di predisporre misure finanziarie nazionali, come previsto, ad esempio, dalla proposta di alcuni economisti favorevoli alla creazione di una quasi-moneta nazionale complementare all'euro tramite la diffusione a favore dei lavoratori dipendenti e autonomi, delle imprese e dei disoccupati, di Certificati di Credito Fiscale ad utilizzo differito ed all'emissione di BTP fiscali, oppure altre soluzioni che salvaguardino i nostri interessi nazionali;
    c) a predisporre anche con le risorse che ne deriverebbero un Piano nazionale per il lavoro secondo le linee direttrici sopra enunciate per il Green New Deal continentale;
     a porre in essere entro la fine del mese corrente e, quindi, nel contesto della Presidenza italiana del semestre europeo, ogni iniziativa di competenza finalizzata, a far approvare in via definitiva le disposizioni del regolamento del made in già approvate dal Parlamento europeo in data 15 aprile 2014 dando seguito agli impegni assunti ormai da diversi mesi attraverso l'approvazione delle mozioni n. 1-00524, 1-00526, 1-00527, 1-00528, 1-00529, 1-00530 e 1-00532, presentate da tutti i Gruppi Parlamentari alla Camera dei Deputati, potenziando al contempo i sistemi di vigilanza e di repressione dei fenomeni di contraffazione dell'agroalimentare, del made in Italy, ovvero dell’italian sounding, che ha purtroppo raggiunto livelli di gravità inammissibile come pure evidenziato da numerose inchieste recentemente pubblicate dalla stampa nazionale e rilanciate da significativi servizi di approfondimento ed informazione da parte dei media televisivi;
   b) per quanto concerne le relazioni esterne all'Unione europea:
    a sostenere la convocazione di una conferenza internazionale che veda coinvolti tutti Paesi della regione, Arabia Saudita, Iran, Iraq, Turchia in primis, e che affronti anche il conflitto siriano, al fine di mettere a punto un approccio regionale alla crisi e di isolare economicamente e politicamente ISIS e le forze jihadiste che operano in quelle aree, dando applicazione alle decisioni in merito adottate dal Consiglio di Sicurezza ONU;
    ad attivarsi prontamente presso il Consiglio europeo e presso i competenti organi delle Nazioni unite per l'invio in tempi rapidi di un contingente internazionale di peace enforcement con il contributo dell'Unione europea, sotto il comando del segretario generale delle Nazioni Unite e previa autorizzazione del Consiglio di Sicurezza o qualora si renda necessario dell'Assemblea Generale, che si attenga strettamente alle regole del diritto internazionale e che operi esclusivamente a difesa dei civili minacciati dall'avanzata di ISIS;
    a proporre nelle competenti sedi europee un'iniziativa tesa a sospendere l'applicazione del regolamento cosiddetto «Dublino III» e a sostenere la necessità di una sua revisione, che ponga al centro:
     a) il rispetto e la protezione dei diritti umani dei rifugiati e dei richiedenti asilo, al fine di garantire un ambiente più favorevole a una loro accoglienza, fornendo loro un'adeguata assistenza fisica, psicologica e legale, nonché un adeguato percorso di integrazione;
     b) un sistema di mutuo riconoscimento tra gli Stati membri della concessione del diritto di asilo, che estenda ai richiedenti asilo ed ai rifugiati i diritti previsti per i cittadini europei dal Trattato di Schengen, permettendo così un'allocazione libera e, dunque, più razionale dei flussi migratori;
     c) l'istituzione di un'agenzia europea per l'asilo e l'immigrazione, favorendo l'utilizzazione delle sedi diplomatiche già esistenti in alcuni Paesi africani, quali sedi operative nelle zone di maggior transito dei rifugiati;
    a farsi portatore in sede europea di un'iniziativa che porti al definitivo superamento del sistema Frontex, affinché quelle risorse siano finalizzate in primis ad organizzare un efficiente sistema di monitoraggio e soccorso e l'apertura di canali di «accesso protetto»;
    a promuovere una soluzione diplomatica della crisi ucraina che coinvolga tutte le parti in conflitto e svolgendo, in tale direzione, un ruolo di primo piano anche in considerazione dei consolidati rapporti che intercorrono tra i due Paesi, lavorando per garantire l'integrità territoriale dello Stato ucraino ed il rispetto della sua sovranità in quanto principio internazionale inviolabile, nel rispetto della sicurezza della popolazione civile e al contempo per garantire i diritti delle minoranze e delle nazionalità, l'autonomia amministrativa, l'uso della lingua delle minoranze nelle scuole e nelle istituzioni pubbliche, la presenza di esponenti delle diverse nazionalità nel Governo centrale e di forme di contrappeso istituzionale tali da garantire tutte le nazionalità;
    a rivedere la posizione dell'Italia riguardo alla partecipazione degli accordi di nuclear sharing della Nato a partire dalla decisione di non permettere il dislocamento in Italia delle nuove testate nucleari B-61-12 e la riconfigurazione dei velivoli dell'aeronautica militare al fine di renderne possibile il trasporto e l'uso;
    ad assumere in sede di Consiglio europeo un ruolo propulsore per una soluzione definitiva al conflitto arabo-palestinese anche promuovendo una iniziativa in sede europea affinché gli Stati membri dell'Unione europea riconoscano lo Stato di Palestina;
   c) in merito alle misure da adottare per rispondere alla crisi dell'Ebola:
     ad attivarsi nei confronti degli altri partner europei al fine di coinvolgere la comunità internazionale per incrementare le risorse da destinare alla ricerca clinica di terapie e di farmaci sperimentali;
    a farsi promotore in ambito UE, anche attraverso la collaborazione con le ONG, di un'implementazione della cooperazione sanitaria verso i Paesi africani colpiti dal virus, in termini di invio di risorse, personale medico specializzato, attrezzature idonee e medicine;
    a sostenere la ricerca farmaceutica relativamente allo studio di farmaci sperimentali e vaccini, attraverso incentivi adeguati;
    ad attivarsi in ambito UE e quindi in ambito internazionale, per evitare che i vaccini e i farmaci in via di sperimentazione da parte di industrie farmaceutiche, vengano introdotti a prezzi troppo elevati, anche attraverso la negoziazione con le industrie farmaceutiche, del prezzo dei dispositivi medicali.
(6-00102) «Kronbichler, Pannarale, Scotto, Marcon, Melilla, Palazzotto, Nicchi, Matarrelli, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Giancarlo Giordano, Fratoianni, Paglia, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaccagnini, Zaratti».


   La Camera,
   premesso che:
    l'ordine del giorno del Consiglio Europeo previsto i prossimi 18-19 dicembre a Bruxelles è molto vago, contemplando al punto 1 la discussione delle iniziative da assumere per rilanciare la crescita in Europa, in particolare il ventilato piano da 300 miliardi di euro d'investimenti per il triennio 2015-2017, ed al punto 2 l'eventuale trattazione di questioni attinenti alla politica internazionale oltre all'esame delle misure adottate per fronteggiare la minaccia dell'Ebola;
    in quanto Paese detentore della presidenza di turno del Consiglio dell'Unione europea il Governo avrà una maggiore possibilità teorica di influire sui dossier che verranno concretamente esaminati;
    rappresenta una minaccia alla prosperità economica europea il protrarsi delle sanzioni contro la Federazione russa e delle sanzioni russe contro l'Unione europea, anche per l'impatto che stanno dispiegando su alcune scelte di carattere strategico assunte dal Governo di Mosca;
    in particolare, la recente rinuncia russa al progetto South Stream, addebitata dal Cremlino alle resistenze opposte dall'Unione europea al suo avanzamento, insieme al pubblicizzato progetto russo di allestire una pipeline alternativa diretta verso la Turchia, rischiano di generare una pericolosa dipendenza strategica europea dal Governo di Ankara;
    proprio tale futura dipendenza energetica dalla Turchia pone nelle mani del Governo di Ankara, già sospettato di sostenere surrettiziamente lo Stato Islamico sorto a cavallo tra Iraq e Siria, un rilevante potere di ricatto di cui eventualmente valersi per sostenere la candidatura del proprio Paese alla membership comunitaria;
    è quanto meno incauto prefigurare l'ingresso della Turchia nell'Unione europea proprio mentre l'Alleanza Atlantica si accinge a spostare equipaggiamenti ed unità dalle basi anatoliche a siti in via di potenziamento in Romania;
   si esprime preoccupazione
    per la mancanza di fattiva collaborazione da parte della maggioranza dei Paesi dell'Unione europea al contenimento dei flussi migratori illegali che dalle coste africane e dell'Asia si dirigono verso quelle della nostra Repubblica;
   va rilevata inoltre
     la crescente gravità della minaccia jihadista alla sicurezza europea ed internazionale, attestata anche dai recentissimi fatti di Sydney;
    i firmatari del presente atto di indirizzo lamentano infine la debolezza delle iniziative finora intraprese dal Governo nell'ambito del semestre di turno di Presidenza delle istituzioni europee per tutelare il Made in Italy anche nell'ambito dei negoziati in sviluppo sul TTIP,

impegna il Governo:

   a porre all'ordine del giorno dei lavori del Consiglio europeo una nuova riflessione sulla questione dei rapporti euro-russi, con l'obiettivo di pervenire alla graduale rimozione delle sanzioni contro la Federazione russa;
   a non dar corso all'annunciato proposito di riaprire il dossier dell'allargamento dell'Unione europea alla Turchia, inopportuno nei tempi e nel merito, stanti il carattere sempre più illiberale del regime di Ankara, che ha appena varato un ulteriore inaccettabile giro di vite contro la libertà di stampa, ed il sostegno da questo apparentemente assicurato a formazioni contro le quali sono in azione anche unità militari della Repubblica;
   a sollecitare una maggior solidarietà dei Paesi membri dell'Unione nella gestione e nel respingimento dei flussi migratori clandestini diretti dall'Africa e dall'Asia verso le coste del nostro Paese;
   a discutere un piano più concreto di uscita dall'austerità, che contempli non solo il debole piano di investimenti triennale da 300 miliardi di euro di cui al punto 1 dell'ordine del giorno annunciato dalle autorità europee, ma vincoli altresì i percettori di fondi eventualmente erogati dalla Bce ad utilizzarli per sostenere la piccola e la media impresa, vietandone il reimpiego in operazioni finanziarie;
   a chiedere una verifica sull'avanzamento dei negoziati per il TTIP, con attenzione prioritaria all'eventuale inserimento di norme pregiudizievoli per il Made in Italy e la tutela della qualità dei prodotti agro-industriali italiani.
(6-00103) «Gianluca Pini, Prataviera, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Rondini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    nella riunione ordinaria del Consiglio europeo del 18 e 19 dicembre il Consiglio europeo esaminerà gli ulteriori sforzi da compiere per favorire la crescita, l'occupazione e la competitività europea e, ove opportuno, stabilirà nuovi orientamenti in seguito alla presentazione dell'analisi annuale della crescita effettuata dalla Commissione. In tale contesto, discuterà in particolare dell'iniziativa della Commissione destinata a mobilitare 300 miliardi di euro di investimenti nel periodo 2015-2017. Nella riunione, ove opportuno, il Consiglio europeo affronterà questioni specifiche in materia di relazioni esterne alla luce degli sviluppi del panorama internazionale ed infine il presidente della Commissione e l'Alto rappresentante illustreranno le misure adottate per rispondere alla crisi dell'Ebola;
    per quanto concernente gli aspetti economici e finanziari;
    il Consiglio europeo svoltosi a Bruxelles lo scorso 23 e 24 ottobre ha sottolineato che la situazione economica ed occupazionale dell'Unione europea rimane prioritaria e che i recenti sviluppi macroeconomici sono deludenti, con una bassa crescita del PIL e livelli di disoccupazione elevati in gran parte dell'Europa nonché un'inflazione eccezionalmente bassa. Nelle conclusioni si è ancora una volta richiamata l'urgenza di attuare misure intese a favorire l'occupazione, la crescita e la competitività, ed allo stesso tempo proteggere i cittadini;
    la Commissione europea, nella sua analisi annuale della crescita 2015 (COM(2014) 902 final), che rappresenta uno dei documenti base della discussione da svolgersi in sede di Consiglio europeo, evidenzia «il rischio che persistano una crescita lenta, un'inflazione prossima allo zero e un tasso di disoccupazione elevato è in cima alle preoccupazioni. L'impatto della crisi non è solo ciclico, come mostra la debolezza della domanda aggregata, ma presenta anche un'importante componente strutturale che ha ridotto la crescita potenziale delle economie dell'Unione europea». Il documento propone un mix di politiche che consiste nel miglioramento delle dinamiche nei mercati del lavoro e diminuzione dell'elevato tasso di disoccupazione. Vi si indica, inoltre, che «Le norme sulla tutela del lavoro e le istituzioni preposte dovrebbero creare i presupposti per incentivare le assunzioni, garantendo livelli di protezione al passo con i tempi a coloro che hanno già un posto di lavoro e a chi lo sta cercando»;
    in questo contesto è il caso di richiamare come il primo degli obiettivi della strategia Europa 2020 è un tasso di occupazione nell'Unione europea del 75 per cento. Secondo gli ultimi dati Eurostat (ottobre 2014) vi sono attualmente 24,413 milioni di disoccupati nell'Unione europea, di cui 18.395 nella zona euro. Rispetto all'anno precedente (settembre 2013) la stessa Eurostat certifica che i predetti numeri sono cresciuti rispettivamente di 42.000 unità e 60.000 unità, con un netto peggioramento, inoltre, il tasso di disoccupazione, che nel 2010, anno di lancio della strategia Europa 2020, era pari a 9.6 per cento, è salito raggiungendo il picco del 10.9 per cento e si attesta ancora al 10.1 per cento (settembre 2014). Inoltre, i tassi di disoccupazione variano sensibilmente tra Stati membri: nel 2014 la forchetta spazia dal 5,1 per cento della Germania al 26,8 per cento di Spagna e Grecia. Per il 2015, anno in cui la strategia Europa 2020 arriva a metà del suo percorso, non si aspettano miglioramenti significativi ed anzi, nell'analisi annuale della crescita, la stessa Commissione europea definisce ”preoccupante” il trend dell'occupazione;
    il succitato documento, che dovrebbe essere alla base del nuovo semestre di governance europea, indica altresì che nel 2014 la crescita del PIL in termini reali nell'Unione europea dovrebbe attestarsi complessivamente all'1,3 per cento nell'Unione europeo e allo 0,8 per cento nella zona euro. Per il 2015 è previsto poi un lento incremento, pari rispettivamente all'1,5 per cento e all'1,1 per cento;
    considerando nel dettaglio la situazione italiana, secondo gli ultimi dati ISTAT (ottobre 2014) il numero di disoccupati è pari a 3 milioni 410 mila, aumenta del 2,7 per cento rispetto al mese precedente (+90 mila) e del 9,2 per cento su base annua (+286 mila). Il tasso di disoccupazione è pari al 13,2 per cento, in aumento di 0,3 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 1,0 punti nei dodici mesi. I disoccupati tra i 15 e i 24 anni sono 708 mila. Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni), ovvero la quota dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca di lavoro, è pari al 43,3 per cento, in aumento di 0,6 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 1,9 punti nel confronto tendenziale. Contemporaneamente il Pil italiano continua a contrarsi, con una diminuzione nel 2014 pari allo 0,3 per cento in termini reali;
    dal Meeting del Global Parliamentary Network dell'OCSE, tenutosi a Parigi il 2 ottobre 2014, si evince che i contratti a tempo determinato sono utilizzati in Italia in misura sempre più crescente, rappresentano, infatti, il 70 per cento dei nuovi contratti. Questi non costituiscono, però, un automatico trampolino di lancio per forme occupazionali di tipo stabile. Il Meeting evidenzia poi come la flessibilità andrebbe associata a forme di sicurezza, così da non innescare meccanismi di precarietà che portano ad una riduzione dei salari e aumento delle disparità di reddito;
    il cosiddetto jobs act che avrebbe la pretesa di essere la proposta del Governo per affrontare il gravissimo problema della disoccupazione, giovanile innanzi tutto, proprio in risposta ai bisogni evidenziati dalla Commissione europea, non affronta il vero problema del mercato del lavoro italiano, ovvero l'offerta di lavoro, ma creando un illogico sistema a tutele crescenti precarizza l'intero impianto del lavoro in Italia, in aperta controtendenza con quanto richiesto in sede europea;
    come ricordato dal premio Nobel Stiglitz nella sua ultima lectio magistralis presso il Parlamento: da un'analisi accurata degli effetti di misure adottate per fronteggiare le crisi economiche caratterizzate da una debole domanda, si è giunti alla conclusione che la flessibilità sul lavoro non dà impulso alla domanda di beni e servizi, né aumenta la fiducia dei consumatori, proprio a causa della «instabilità» percepita dai lavoratori sul futuro. Anzi, un clima di incertezza sulle prospettive di occupazione, danneggia il «capitale umano», con gravi danni per l'economia del Paese anche a lungo termine;
    in occasione della Conferenza di alto livello sulla Carta sociale europea, occasione per affrontare su base transnazionale il problema occupazionale, tenutasi a Torino il 17 e 18 ottobre 2014 l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha ribadito che il raggiungimento degli obiettivi di natura fiscale non deve essere ottenuto a discapito delle condizioni e dei livelli occupazionali;
    si riscontra un larghissimo consenso tra studiosi nazionali ed internazionali che teorizzano come un'economia in pericolo di deflazione e appesantita dal debito dovrebbe attuare politiche di bilancio espansive finanziate dalla Banca centrale e non politiche restrittive, come quelle proposte in Italia negli ultimi anni. Tra le premesse a sostegno di questa tesi, infatti, si sottolinea che se il PIL decresce anche le entrate fiscali si riducono, e questo non può far altro che peggiorare la posizione debitoria degli Stati: la stessa Commissione europea sottolinea come le «modalità con cui gli Stati membri hanno affrontato il risanamento di bilancio non sono state molto favorevoli alla crescita. I governi hanno fatto eccessivamente leva sugli aumenti delle imposte, soluzione non ottimale nella maggior parte degli Stati membri in cui la pressione fiscale è già elevata. Sul fronte della spesa dei bilanci nazionali, gli investimenti pubblici sono stati la principale voce soggetta a tagli, nonostante il loro potenziale di sostegno alla crescita»;
    le politiche di austerità hanno prodotto la riduzione della domanda aggregata e, direttamente e indirettamente, hanno indebolito il potere d'acquisto dei lavoratori (ad esempio, riducendo la spesa per servizi pubblici, sanità e istruzione);
    misure di attuazione del cosiddetto reddito di cittadinanza sono presenti nella maggior parte dei Paesi dell'Unione europea e in molti Paesi non comunitari, anche in attuazione della risoluzione del Parlamento europeo del 20 ottobre 2010, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea l'8 marzo 2012, in cui si evidenzia il ruolo del reddito minimo nella lotta contro la povertà e la promozione di una società inclusiva in Europa [2010/2039(INI)] e viene richiesto agli Stati membri di compiere progressi reali nell'ambito dell'adeguatezza dei regimi di reddito minimo;
    nel report sull'applicazione del six pack e two pack (previsti nel contesto del Patto di Stabilità e Crescita rivisto e nel Fiscal Compact) la Commissione europea evidenzia che «l'attuazione limitata o, a volte, la mancata attuazione delle principali raccomandazioni specifiche per Paese ne ha messo in questione l'efficacia»;
    come si evince dal Economic Dialogue del Commissario agli Affari Economici della Commissione europea Pierre Moscovici, tenutosi il 2 dicembre 2014, l'Italia si trova in una situazione di non conformità agli obblighi del Patto di Stabilità e Crescita. Contemporaneamente, la Francia ha annunciato che volontariamente non rispetterà il tetto del 3 per cento nel rapporto deficit/PIL imposto dal succitato Trattato;
    un trattato che gli Stati decidono di sottoscrivere ma che successivamente, anche volontariamente, disattendono, perde valenza anche sotto il profilo del diritto internazionale e dovrebbe essere ridiscusso perché sostanzialmente inefficace o inopportuno;
    nell'analisi annuale della crescita 2015 la Commissione individua tre pilastri principali per la politica economica e sociale dell'Unione europea nel 2015: il rilancio coordinato degli investimenti, l'impegno rinnovato verso le riforme strutturali, ivi compresa la diminuzione della burocrazia e attenzione al bilancio. In questo contesto, la Commissione europea ha anche sottolineato come le autorità nazionali e regionali abbiano un ruolo fondamentale ed ha esplicitato come gli Stati membri che godono di margine di bilancio sono chiamati a investire di più. Si sottolinea inoltre come ”i meccanismi di protezione sociale dovrebbero essere efficienti e adeguati in tutte le fasi della vita”;
    il nuovo presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, nel suo discorso di insediamento aveva promesso di lanciare un piano per la crescita da 300 miliardi di euro, svelato poi il 26 novembre 2014. Il piano consiste nell'istituire un Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS) in collaborazione con la Banca europea per gli investimenti (BEI). La Commissione costituisce, quindi, una garanzia da 16 miliardi di euro provenienti dal bilancio dell'Unione europea a cui vengono poi aggiunti 5 miliardi di euro impegnati dalla BEI. Sulla base di queste garanzie, secondo le stime della Commissione europea, il fondo riuscirà ad attrarre risorse private con un effetto moltiplicatore di 1:15 arrivando a mobilitare 315 miliardi in tre anni (2015-2017);
    in base al programma lanciato dalla Commissione europea, il nuovo fondo dovrà finanziare gli investimenti strategici nelle infrastrutture, in particolare nella banda larga e nelle reti energetiche, nei trasporti, negli agglomerati industriali, nonché nell'istruzione, nella R&S, nelle energie rinnovabili e nell'efficienza energetica. Il FEIS dovrebbe inoltre sostenere il finanziamento del rischio per le PMI e le imprese a media capitalizzazione in tutta Europa al fine di superare l'attuale carenza di capitali;
    gli investimenti del FEIS verranno convogliati su una riserva di progetti a livello dell'Unione europea individuati da una task force, composta anche di personale designato dagli Stati membri;
    il Consiglio dell'economia e finanza (ECOFIN) del 9 dicembre 2014, nelle sue conclusioni definisce prioritario per l'Unione europea un migliore accesso al credito, sia attraverso la riattivazione dei prestiti bancari, inclusa la cartolarizzazione, che attraverso canali alternativi (mini bond per le PMI, crowdfunding etc.);
    al fine di rendere più efficace la lotta contro l'evasione fiscale e l'efficienza della riscossione delle imposte, il Consiglio dell'ECOFlN ha approvato un progetto di direttiva che amplia lo scambio automatico obbligatorio di informazioni tra amministrazioni fiscali;
    a partire da settembre 2014 viene adottato dall'Italia e dagli Stati membri dell'Unione europea il nuovo sistema europeo dei conti nazionali e regionali – Sec 2010 – in sostituzione del Sec 95, che inserisce nel calcolo del prodotto interno lordo anche le attività illegali quali traffico di sostanze stupefacenti, sfruttamento della prostituzione e contrabbando;
    da fonti giornalistiche si evince che non tutti i Paesi membri dell'Unione europea (ad esempio, la Francia) hanno deciso di conteggiare nel prodotto interno lordo i proventi derivanti da attività illegali;
    il Prodotto interno Lordo potenziale e l'output gap rappresentano indicatori chiave per la valutazione di eventuali aggiustamenti di bilancio degli Stati membri secondo le regole della governance economica europea;
    la quantificazione dell'output gap è diversa tra le organizzazioni internazionali: la scorsa primavera, mentre la Commissione stimava un output gap 2014 per l'Italia del -3,6 per cento, l'OCSE stimava un -5,1 per cento, la Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza 2014, prodotta dal Governo italiano, la stima era del -4,3 per cento;
    frequenti sono le revisioni dell'output gap, vista l'incertezza nel calcolare stime nella fase di instabilità economica attuale;
    il regolamento (UE) n. 549/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2013 relativo al sistema europeo dei conti nazionali e regionali nell'Unione europea, nei principi di base del Sec 2010, indica che: «Le attività illegali sono considerate operazioni quando tutte le unità partecipanti intervengono consensualmente»;
    secondo l'ultimo rapporto mondiale sugli abusi sessuali pubblicato dalla Fondazione Scelles, la maggior parte delle donne che nel mondo si prostituisce si trova alle dipendenze di uno sfruttatore;
    secondo l'organizzazione mondiale della sanità la tossicodipendenza è una malattia che spinge l'individuo in maniera più o meno coatta ad assumere dosi sempre crescenti di droghe;
    lo Stato potrebbe perdere interesse a controllare e vigilare le suddette attività, in quanto l'eventuale eliminazione di tale attività illegale provocherebbe automaticamente una diminuzione del prodotto interno lordo;
    la Raccomandazione del Consiglio sul programma nazionale di riforma 2014 dell'Italia e che formula un parere sul programma nazionale di stabilità 2014 indica che «La corruzione continua a incidere pesantemente sul sistema produttivo dell'Italia e sulla fiducia nella politica e nelle istituzioni»;
    da fonti giornalistiche si evincono ennesimi fenomeni di corruzione e infiltrazioni mafiose in merito a opere quali il MOSE, l'Expo di Milano, nonché le recenti indagini in merito a «Mafia Capitale», solo per citarne alcuni;
   per quanto concernente le questioni di rilevanza internazionale:
    la crisi finanziaria mondiale e il crescente affermarsi di nuove economie emergenti pongono importanti sfide politiche, economiche, sociali, culturali e ambientali, inclusi i problemi interni, per tutte le parti coinvolte; per affrontare tali sfide è necessario, perciò, intraprendere un'azione collettiva e unitaria a livello di Unione europea e forgiare alleanze per promuovere e mantenere la pace, la sicurezza, il progresso sociale, la prosperità, la diversità culturale, nonché la democrazia, lo Stato di diritto e il rispetto per i diritti umani;
    a seguito dell'aggravarsi della crisi ucraina, l'Unione europea, gli Stati Uniti e altri Paesi hanno emanato pacchetti di sanzioni nei confronti della Federazione russa. In risposta alle suddette sanzioni, il 7 agosto 2014 le autorità russe hanno disposto un embargo annuale su svariate tipologie di prodotti agroalimentari. Il nostro Paese risulta il terzo più danneggiato di tutta l'Unione europea dalle sanzioni imposte dalla Federazione Russa come ritorsione e le conseguenze si stanno facendo pesantemente sentire non soltanto in termini di mancate esportazioni, ma anche di indebolimento della struttura della rete commerciale e della distribuzione, con conseguente chiusura di aziende e perdita di occupati;
    sono 121 i Paesi in tutto il mondo che hanno già riconosciuto lo Stato di Palestina nei confini del 1967, secondo quanto previsto dalle citate risoluzioni delle Nazioni Unite, con Gerusalemme est quale sua capitale. Sono 8 i Paesi membri dell'Unione europea che hanno già reputato necessario questo riconoscimento anche come strumento di pressione per far recedere Israele dalla politica delle colonie e per riprendere il percorso di pace. L'Italia ha già votato a favore della risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni che riconosce la Palestina come Stato osservatore delle Nazioni Unite e si è espressa da sempre sulla posizione ”due Popoli due Stati”, così come fa l'Unione europea fin dal 1980;
    per quanto concernente la crisi dell'Ebola:
    in base all'ultimo rapporto dell'organizzazione mondiale della sanità (OMS), del 10 dicembre 2014, si legge che a quella data sono stati riportati 17942 casi di contagio da Ebola (EVD) e vi sono stati 6388 decessi certificati. L'OMS afferma altresì che in Guinea e Sierra Leone i contagi continuano ad aumentare;
    l'Unione europea, a seguito degli impegni presi nell'ultimo Consiglio europeo, ha stanziato più di 1 miliardo di euro per fronteggiare la crisi, ha attivato misure di controllo per i viaggiatori provenienti dalle zone a rischio e si è adoperata per coordinare l'aiuto da fornire direttamente in loco,

impegna il Governo:

   per quanto concernente gli aspetti economici e finanziari:
    a) ad utilizzare il ruolo di Presidenza più efficacemente di ciò che è stato fatto sino ad ora impegnando il Consiglio ad identificare la priorità del prossimo semestre di governance economica europea, come pure dei successivi, nel raggiungimento degli obiettivi posti dalla strategia Europa 2020, primo tra tutti un livello di occupazione del 75 per cento in un'economia che sia realmente intelligente, sostenibile e solidale;
    b) a richiedere una revisione sostanziale del Fiscal compact, dei così detti Six pack e two pack e delle altre disposizioni fiscali contenute nei Trattati, che dovrebbe tendere a superare i rigidi requisiti attualmente esistenti, a contemplare l'istituzione di un sistema unico di indebitamento come gli eurobond e a far ripartire la domanda aggregata in modo da rilanciare sviluppo sostenibile e occupazione con tutti i mezzi a disposizione, ivi inclusa una politica fiscale espansiva con investimenti in infrastrutture e sulla green economy;
    c) a non considerare in nessun caso come vincolante l'obiettivo di medio termine;
    d) a proporre in sede europea un pacchetto di riforme coordinate che miri, nel contesto della strategia Europa 2020 e della rinascita industriale europea, a strutturare un pacchetto di azioni più incisive volte in particolare ad agire sull'offerta di lavoro qualificata da parte delle imprese e quindi finalizzata a creare maggiore occupazione, con un'attenzione particolare alla creazione di posti di lavoro per i giovani, mantenendo al contempo un elevato livello di protezione del lavoratore;
    e) a concordare con gli altri Stati membri che si converga perché gli obiettivi del prossimo semestre di governance economica, come del programma pluriennale, siano non tanto il rispetto di parametri numerici, quanto più investimenti volti a mantenere un elevato livello di protezione sociale che accompagni il cittadino durante tutta la durata della vita, facendo sì che le risorse statali siano convogliate sui servizi al cittadino, prima fra tutti l'assistenza sanitaria di qualità attraverso strutture sanitarie efficienti puntando anche sulla sanità elettronica (eHealth), un sistema formativo realmente inclusivo, l'adozione di politiche di sostegno economico delle persone che vivono al di sotto della soglia di povertà relativa mediante l'istituzione di strumenti come il reddito di cittadinanza ed infine un sistema previdenziale equo;
    f) a rivedere i progetti da segnalare alla task force Commissione-BEI perché siano scelti nel modo più condiviso possibile sia a livello statale che tra Stati membri, adoperandosi affinché i Parlamenti nazionali ed i cittadini stessi, attraverso esempi di democrazia diretta, abbiano la possibilità di definire quali siano i progetti più meritevoli e utili evitando di finanziare opere responsabili del depauperamento del territorio ma concentrandosi su progetti ad elevato valore aggiunto e con un impatto capillare;
    g) ad agire perché si istituisca un altro fondo di investimento finanziato dagli Stati per l'implementazione delle politiche strutturali e di infrastrutture immateriali di cui l'Unione europea avrebbe bisogno, adoperandosi affinché i fondi siano stanziati in particolare dagli Stati membri che godono di margine di bilancio oltre che anche attraverso un'inversione della politica economica e monetaria volta a rilanciare la produzione, tenendo conto in particolare dei bisogni della maggioranza degli Stati dell'eurozona e non della minoranza di essi;
    h) ad individuare misure concrete da adottarsi per incrementare il livello di democratizzazione del processo decisionale europeo, in particolare attraverso un migliore e più attivo coinvolgimento dei Parlamenti nazionali e perché i principi di sussidiarietà e proporzionalità siano rispettati;
    i) ad assumere iniziative per introdurre in sede europea nuovi strumenti di sostegno del credito a famiglie e imprese, con un'attenzione particolare alle PMI, nonché per incentivare l'impiego di quelli già operativi, anche attraverso l'istituzione di un fondo di garanzia europeo, e contemporaneamente sottolineare la necessità che il rilancio del credito non sia occasione per diminuire i requisiti di resilienza bancaria o i relativi controlli;
    j) a predisporre una disciplina separata per le banche che investono nell'economia reale e le banche che investono nell'economia finanziaria al fine di agevolare gli investimenti in economia reale senza arrecare pregiudizi di natura giuridica o economica alle banche che investono prevalentemente in economia reale;
    k) a definire congiuntamente con gli altri Stati membri misure volte ad assicurare una maggiore trasparenza e scambio di informazioni in materia fiscale, al fine di contrastare la pianificazione fiscale aggressiva nonché l'erosione del gettito fiscale dovuta allo spostamento dei profitti delle imprese multinazionali in giurisdizioni fiscali diverse da quelle in cui viene realizzato effettivamente il reddito, al solo scopo di evitare o diminuire la loro tassazione;
    l) ad assumere iniziative per rafforzare le forme e gli strumenti di collaborazione e cooperazione nell'Unione europea tra le competenti autorità amministrative e agenzie fiscali, implementando ed agevolando in particolar modo lo scambio reciproco di informazioni e di dati acquisiti durante lo svolgimento di verifiche e controlli di qualunque genere, anche attraverso lo sviluppo di strumenti telematici di acquisizione e trasmissione dei dati nonché l'attivazione di controlli multilaterali;
    m) ad assumere iniziative per introdurre misure comuni di contrasto ai «paradisi fiscali» nonché in materia di scambio automatico di informazioni ed eliminazione del segreto bancario, sia nell'Unione europea che a livello internazionale, anche al fine di armonizzare la normativa prevista dalle diverse convenzioni tra Stati e garantire pertanto una uniformità di disciplina a livello globale;
    n) a promuovere misure volte ad uniformare i regimi fiscali nazionali anche in materia di imposte sui redditi delle persone fisiche e delle società, garantendo un'uniformità del livello di tassazione mediante l'introduzione di aliquote medie, determinate in base alle aliquote applicate nei singoli Stati membri, attuabili compatibilmente con i vincoli di bilancio dei singoli Stati membri attraverso adeguate tolleranze ed in ogni caso entro un limite massimo di prelievo stabilito congiuntamente;
    o) ad assumere iniziative in sede europea, per migliorare le metodologie per la stima del prodotto interno lordo potenziale e dell’output gap, così da addivenire a stime uniformi evitando di essere fuorvianti particolarmente in un momento di alta instabilità economica come quello attuale;
    p) ad assumere iniziative per non inserire elementi distorsivi nel calcolo del prodotto interno lordo che rendano antieconomica la lotta alle attività illegali e contemporaneamente a non considerare come attività svolte ”consensualmente” attività realizzate in uno stato di coercizione o sostanziale incapacità di volere, quali la prostituzione e l'assunzione di sostanze stupefacenti;
    q) ad assumere iniziative, anche in sede di Unione europea, finalizzate a rendere trasparenti i bilanci di qualsiasi istituzione, ivi comprese quelle del Governo e quelle locali, nonché a promuovere l'adozione di tali iniziative presso gli altri organi costituzionali;
    r) ad assumere iniziative, anche in sede di Unione europea, finalizzate a rendere pubblici i dettagli degli appalti commissionati da qualsiasi istituzione, ivi comprese quelle del Governo e quelle locali, nonché a promuovere l'adozione di tali iniziative presso gli altri organi costituzionali;
    s) a introdurre l'uso obbligatorio dell'utilizzo di ”Open Data”, per qualsiasi documento ed in particolare per i bilanci di qualsiasi istituzione, ivi comprese quelle del Governo e quelle locali, nonché promuoverne l'utilizzo da parte degli altri organi costituzionali;
   per quanto concernente le questioni di rilevanza internazionale:
    a) a predisporre, nel corso dell'ultimo Consiglio europeo del semestre italiano, una seria strategia di politica estera dell'Unione più flessibile e adeguata nel rispondere alle minacce e alle sfide emergenti in settori quali la sanità, l'energia, i cambiamenti climatici, l'accesso all'acqua o il processo di desertificazione, fattori che spingono le popolazioni coinvolte verso altri Paesi e che si legano inevitabilmente all'aumento dei flussi migratori, attraverso l'adozione di misure e proposte per la riduzione dell'impatto ambientale e del consumo delle risorse, per una cooperazione allo sviluppo che non sia sinonimo di sostentamento, per la risoluzione di conflitti non basata sul solito interventismo militare;
    b) a richiedere, in ordine alle vigenti sanzioni nei confronti della Russia, le più ampie garanzie a tutela dei consumatori italiani e degli interessi produttivi nazionali proponendo nel contempo, in sede di Consiglio europeo, di rivedere le decisioni di politica estera e internazionale, con particolare riguardo alla crisi russo-ucraina, che incidono, seppur indirettamente, sui cittadini e sul tessuto produttivo nazionale;
    c) ad adoperarsi, in sede di Consiglio europeo, affinché si possa giungere a un condiviso riconoscimento pieno e formale da parte di tutti i Paesi membri della Unione europea dello Stato di Palestina nei confini del 1967 secondo le risoluzioni delle Nazioni Unite;
   per quanto riguardo la crisi dell'Ebola:
    a) a promuovere un coordinamento degli sforzi degli Stati membri per incrementare gli stanziamenti economici e per migliorare ed accrescere le strutture specializzate e gli operatori sanitari impiegati in loco a sostegno degli Stati più colpiti dall'epidemia di Ebola;
    b) a definire, congiuntamente con gli altri Stati membri, il rafforzamento delle misure di controllo in corrispondenza dei punti di ingresso internazionale, porti ed aeroporti, direttamente o indirettamente (attraverso scali intermedi) collegati con gli Stati ove i focolai dell'infezione sono più virulenti.
(6-00104) «Battelli, Carinelli, Sibilia, Nesci».