XVII LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 350 di martedì 16 dicembre 2014
Pag. 1PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LAURA BOLDRINI
La seduta comincia alle 9,05.
ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 12 dicembre 2014.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Baretta, Bellanova, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Capezzone, Casero, Castiglione, Cecconi, Cicchitto, Cirielli, Costa, Dambruoso, Damiano, De Girolamo, De Menech, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Ferrara, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Lorenzin, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Mannino, Merlo, Orlando, Pes, Pisicchio, Pistelli, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scotto, Sisto, Speranza, Tabacci, Tofalo, Valeria Valente, Velo, Vignali, Villecco Calipari, Vitelli, Vito e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
I deputati in missione sono complessivamente ottantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.
Sull'ordine dei lavori (ore 9,08).
ELIO VITO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ELIO VITO. La ringrazio, signora Presidente, per avermi dato la parola. Ho chiesto di intervenire, come lei sa perché glielo ho preannunciato, perché è di poche ore fa una notizia sconcertante che ci è giunta dall'India. È stato negato il permesso di libertà che era stato chiesto personalmente da Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, che da quasi tre anni sono ingiustamente e illegalmente detenuti in India.
Il Parlamento, come sapete, signora Presiedente e signor Presidente del Consiglio, se ne è costantemente occupato in questa legislatura, ha votato all'unanimità atti di indirizzo che impegnano il nostro Governo ad assumere la linea dell'arbitrato internazionale, da una parte, e ad assumere tutte le iniziative necessarie per il rapido rientro in patria di Latorre e Girone.
Uno dei due marò è già in Italia per motivi di salute – motivi e condizioni di salute che necessitano per forza di nuovi interventi, di nuove terapie – e l'altro è da tre anni che è in India, che non trascorre il Natale con la propria famiglia, con i propri figli, in attesa di un giudizio che non si sa quando verrà. Ma il Parlamento Pag. 2italiano ha già ritenuto all'unanimità di essere in un giudizio come nessun Paese democratico può accettare che avvenga per dei suoi militari, che operavano, secondo una legge votata dal nostro Paese, in acque internazionali, su una nave battente bandiera italiana.
Ma questo è il merito. Io chiedo al signor Presidente del Consiglio, al quale da mesi le nostre Commissioni hanno chiesto un incontro urgente su questo tema per sapere quali iniziative intenda assumere e che so che ha in prima persona avocato a sé la gestione di questo complicato dossier, di voler concedere finalmente in giornata questo incontro alle nostre Commissioni e di fare sì che il Parlamento, e con esso l'opinione pubblica, possa essere messo a conoscenza delle iniziative che il Governo intende assumere, come sinora non è accaduto.
Chiedo ai Ministri degli affari esteri e della difesa, Gentiloni e Pinotti, che sono stati già convocati dalle nostre Commissioni per domani mattina alle 8,30, di riferire prioritariamente su questo tema. Chiedo, signor Presidente del Consiglio, a lei che ora parlerà del semestre europeo, quali iniziative sono state assunte in questo semestre europeo di Presidenza italiana, che tante speranze aveva suscitato per la definitiva risoluzione di questa vicenda.
Chiederemo di ascoltare, signora Presidente, in base alla lettera che lei ha inviato a tutti i presidenti delle Commissioni, con la quale invita ad avere un rapporto attivo anche con i commissari europei, ad horas anche l'Alto rappresentante Federica Mogherini presso le nostre Commissioni su questo tema e sulle iniziative che l'Unione europea intende assumere.
Infine, siamo alla vigilia del rinnovo del decreto-legge per le missioni internazionali e anche qui il Parlamento ha già votato che, nel caso la vicenda non avesse trovato una positiva risoluzione, il nostro Paese non avrebbe rinnovato la sua partecipazione alle missioni antipirateria.
È evidente che oggi noi non siamo in grado di rinnovare questa partecipazione e probabilmente dovremmo discutere a fondo con la NATO e con le Nazioni Unite le condizioni generali di partecipazione dei nostri militari alle missioni internazionali. Sicuramente non è il momento della polemica e noi non ne abbiamo mai fatta. Abbiamo portato quattro Commissioni di India, abbiamo fatto audizioni dei fucilieri di marina, abbiamo incontrato le loro famiglie, abbiamo mantenuto sempre l'unanimità del Parlamento su questo. Tuttavia consentirà la signora Presidente che oggi è veramente il momento dello sconcerto, è veramente il momento dello sconcerto soprattutto per le famiglie, più che per i fucilieri soprattutto per le famiglie, che oggi avevano per davvero l'illusione – mi consenta di concludere – che finalmente dopo tre anni potesse essere per loro una lieta giornata.
Signor Presidente del Consiglio, quindi, aspettiamo di avere delle risposte chiare da lei. Sicuramente in questo momento il Parlamento non aderirà più all'invito di «lasciateci lavorare in silenzio». Noi vogliamo sapere, e con noi il Paese ha il diritto di sapere, in che modo si intende mantenere alto l'onore dei nostri militari e dell'intera Repubblica (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).
Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in vista del Consiglio europeo del 18 dicembre 2014 (ore 9,12).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in vista del Consiglio europeo del 18 dicembre 2014.
La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata in calce al calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
(Intervento del Presidente del Consiglio dei ministri)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi.
Pag. 3 MATTEO RENZI, Presidente del Consiglio dei ministri. Signora Presidente, onorevoli deputati, è l'ultimo Consiglio europeo dell'anno 2014 quello che ci accingiamo a svolgere nella giornata di giovedì, l'ultimo Consiglio europeo del semestre italiano e presumibilmente però è soprattutto il primo Consiglio europeo non soltanto perché sarà il primo Consiglio europeo a guida Tusk e il primo Consiglio europeo con il Presidente Juncker, ma anche perché questo reca l'ordine dei lavori e questo reca il dibattito politico di questi mesi in Europa: siamo in una fase di passaggio straordinariamente delicata e difficile. Siamo nella fase in cui l'Europa è a un bivio.
Io sono uno di quelli che ama molto le frasi e le parole utilizzate da grandi personaggi in quest'Aula, da grandi personalità nel dibattito di Camera e Senato, da grandi personalità nel dibattito dell'Assemblea costituente e mi tornavano in mente le parole pronunciate il 29 luglio 1947 da colui il quale di lì a qualche mese sarebbe stato eletto Presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, in cui si spiegava con grande lucidità e, lasciatemi dire, con grande senso della profezia: «Se noi non sapremo farci portatori di un ideale umano e moderno nell'Europa d'oggi, smarrita e incerta sulla via da percorrere, noi siamo perduti e con noi è perduta l'Europa». Era il 1947 quando Einaudi proferiva queste parole. Di lì a poco l'Europa avrebbe vissuto se stessa come il terreno di battaglia della guerra fredda; l'Europa avrebbe visto crescere intorno al carbone e all'acciaio una comunità economica che era economica ma era anche una comunità, non era semplicemente un contratto o un patto: era un'intesa profonda. Di lì a poco l'Europa avrebbe visto crescere i muri, il muro di Berlino che divideva in due le Germanie ma che divideva sostanzialmente in due l'Europa. Eppure quel richiamo all'ideale umano fatto dal Presidente Einaudi dimostrava quanto fosse grande, ampia, bella, straordinaria la sfida che il continente aveva di fronte a sé. Credo che potrebbe sembrare azzardato sostenere che viviamo tempi analoghi: allora c'era stata una guerra fratricida e noi, proprio grazie all'Europa, veniamo da settant'anni di pace. Allora c'era una situazione economica che doveva fare i conti con una ricostruzione post-bellica devastante. Oggi siamo in una realtà di congiuntura economica non favorevole ma certo non paragonabile alla situazione in cui stavamo settant'anni fa. Eppure possiamo, a mio giudizio, vivere la fase che si è aperta con il rinnovo delle elezioni e anche, lasciatemelo dire, con il semestre di Presidenza italiana, come l'occasione in cui o cambiamo la direzione dell'Europa tornando all'ideale oppure rischiamo forse noi di essere perduti, di aver perduto l'Europa sicuramente.
Ecco perché, nell'esprimere queste brevi considerazioni, vorrei molto brevemente enucleare i due punti chiave della discussione che giovedì avremo in Consiglio europeo – il tema degli investimenti ed il tema della politica estera –, come, però, il frutto di una novità che si è prodotta in questi mesi nel dibattito politico europeo, che può piacere o meno, che vede anche in quest'Aula posizioni diverse: da un lato, c’è chi ritiene che si sia fatto molto, dall'altro, che non si sia fatto niente, ma tutti siamo convinti che oggi ci siano due elementi innovativi.
Il primo: l'Europa oggi ha fatto una scelta politica, forse, non sufficiente. Dipenderà molto da Juncker e dai suoi collaboratori se l'ampiezza di questa sfida sarà giocata fino in fondo e sarà percorsa fino in fondo. Si è scelto un Presidente, in questi mesi, che fosse espressione della volontà popolare, oltre che delle maggioranze parlamentari. Questo impone alla politica di fare il suo mestiere, di non lasciare, cioè, l'Europa ai tecnocrati, di non lasciare l'Europa alle burocrazie; e questo comporta che, ad esempio, l'Italia abbia smesso di considerare la politica estera come un giochino da addetti ai lavori.
Quando abbiamo presentato la candidatura per l'Alto rappresentante, in molti hanno detto: ma cosa ci interessa andare a fare in Europa, andare a dire in Europa, andare a discutere in Europa sulle questioni Pag. 4di politica internazionale ? In realtà, noi sappiamo che vi è un grande bisogno, anche per le considerazioni che l'onorevole Vito faceva poc'anzi – alle quali il Governo corrisponde da subito, impegnandosi a partecipare ai lavori di Commissione –, ma il passaggio chiave è che, se c’è la politica nel tempo che stiamo vivendo, è l'Europa che ha bisogno di cambiare direzione nella politica estera, non solo l'Italia. La scelta di questi mesi di affrontare la grande sfida dell'Alto rappresentante come Governo italiano attraverso la designazione dell'onorevole Mogherini va esattamente in questa direzione.
È sufficiente ? No, però è importante sottolineare come, ad oggi, temi come il Mediterraneo, i Balcani, la gestione di una politica estera degna di questo nome, non siano più un capriccio di qualche esperto di geopolitica o di diplomazia internazionale, ma sia una evidenza del dibattito politico interno. Guardate cosa è accaduto ieri: se il ricorso alle minacce, più o meno folli, di terroristi di matrice religiosa o sedicenti tali, arriva a scuotere la placida Sidney, se siamo a questo livello, è del tutto evidente che la comunità internazionale ha bisogno di avere uno sguardo condiviso e unitario sui grandi temi di politica estera. Dunque, la politica come centro dell'azione dell'Europa.
Questo porterà nella discussione di giovedì a riflettere nuovamente sul tema dell'Ucraina. Credo che sia ormai evidente che il doppio principio per cui invitare la Russia ad uscire dall'Ucraina per tornare al tavolo delle grandi potenze internazionali e affrontare insieme, a partire dalla Siria, i dossier più importanti è una posizione che, ormai, non è più una posizione soltanto dell'Italia, ma è condivisa. E si è finalmente capito, anche nel dibattito politico internazionale, che se le sanzioni possano essere state, nel momento della reazione, il primo, naturale gesto per esprimere il profondo sdegno per l'occupazione di parte dell'Ucraina da parte della Russia, è altrettanto vero che non si fa una politica estera semplicemente basandosi sulle sanzioni. Credo che questo sia finalmente patrimonio comune e condiviso da tutti.
Ma, in questo scenario, la discussione di giovedì dovrà essere una discussione molto chiara, molto precisa, spero anche molto breve, perché Tusk ha annunciato che i Consigli europei si terranno in una sola giornata, suscitando l'entusiasmo di alcuni di noi, ma dovrà essere una discussione molto, molto, molto rilevante sui prossimi passaggi che abbiamo di fronte. Pensate a cosa è accaduto in questo 2014; pensate a cosa è accaduto nel Mediterraneo: il passaggio da Mare Nostrum a Tritone è il tentativo di fare della questione immigrazione, ma più in generale della questione Mediterraneo, non soltanto il luogo della politica italiana, ma il luogo della politica europea.
Pensate a cosa sta accadendo con la richiesta di adesione dell'Albania o, meglio, con il passaggio a status di candidato dell'Albania, che è l'ennesimo segnale di un processo di allargamento che deve toccare anche i Balcani, segnatamente Serbia, Montenegro, Albania, e che in prospettiva avrebbe dovuto, e io spero dovrà, comprendere la Turchia, alla condizione naturale che si rispettino i principi europei di libertà e democrazia, come in tutti i negoziati abbiamo sottolineato ed evidenziato, e che, naturalmente, non sono compatibili con l'arresto della libera stampa o dei giornalisti dell'opposizione.
Ma in questo primo canale di riflessioni vorrei che il Parlamento italiano avesse un sentimento di orgoglio e consapevolezza: la politica estera non è più, non è soltanto una questione da addetti ai lavori e se la Commissione Juncker farà il proprio lavoro, l'Europa tornerà ad avere un ruolo e se la Commissione Juncker farà il proprio lavoro, quel premio Nobel per la pace che ha inorgoglito e fatto lacrimare molti di noi per la gioia, l'entusiasmo e, in qualche modo, anche un sentimento di orgoglio, non sarà un premio Nobel alla carriera, sarà il premio Nobel per la pace destinato al futuro, in un mondo dove le difficoltà e anche le inquietudini sono, oggi, a disposizione di qualsiasi canale Pag. 5informativo. Nessuno potrà mai dire: io non sapevo, io non c'ero, quando nel centro dell'Africa o nel cuore dell'Oriente donne sono violentate o vengono private della propria libertà, giornalisti vengono sgozzati o bambini vengono costretti a combattere. Nessuno potrà più dire: io non sapevo, nel tempo della comunicazione globale.
Quindi, giovedì il primo tema è questo, ma la sfida, anche alla luce del semestre europeo, è quella che la Commissione torni a fare politica, dico: torni a fare politica, perché non sempre è accaduto questo, nei dieci anni precedenti. Anche in recenti dibattiti parlamentari abbiamo sentito, da ultimo nel question time, parole molto dure sul ruolo della Commissione in questi anni, magari provenienti anche da chi quella Commissione aveva sostenuto o votato. Penso che sia importante che tutti noi facciamo uno sforzo, come sistema Paese, per recuperare credibilità e dignità e penso che sia importante che tutti noi facciamo uno sforzo, come sistema Paese, per essere in grado di incidere su un'idea di Europa che non sia semplicemente un luogo nel quale si fanno i parametri, un luogo nel quale si rispettano i vincoli, un luogo nel quale si misurano le percentuali, ma nel quale non si perde quell'ideale a cui Luigi Einaudi faceva riferimento nel 1947 con parole che potrebbero essere scritte ieri, pronunciate oggi e, soprattutto, sofferte domani.
C’è un secondo punto, che è quello probabilmente più importante, e che riguarda la presentazione del piano di investimenti di Jean-Claude Juncker. Su questo sono molte le voci che si sono alzate, qualcuno lo ritiene un passo decisivo, fondamentale, qualcuno lo ritiene un topolino partorito da una montagna di dichiarazioni e di attese. Io credo che dobbiamo prendere atto che, come in questi sei mesi l'Europa ha cambiato il proprio approccio o, più correttamente, ha iniziato a cambiare il proprio approccio, cercando di investire di più in politica, è altrettanto vero che dobbiamo evidenziare come nella politica economica ci siamo ricordati che l'acronimo comprende tre lettere, il Patto di stabilità e di crescita ha anche la «g» di growth e non soltanto la «s» di stability. È stato un elemento rilevante di novità, perché vorrei ricordare qui che quando venimmo in Parlamento, nel mese di giugno, per dire che avremmo posto il tema della flessibilità e della crescita, pochi pensavano che avremmo avuto successo; aggiungo che quando lo abbiamo fisicamente posto, anche pochi tra i nostri colleghi sono stati disponibili a farci da sponda. Eppure, oggi, anche alla luce di ciò che sta accadendo nel dibattito economico internazionale, ritengo il G20 australiano di grandissima importanza nell'aver impostato e centrato il tema della crescita come fenomeno rilevante per tutta la comunità economica e non soltanto per i singoli Paesi, ma per tutta la comunità economica globale.
Ebbene oggi, aver messo al centro la crescita porta per la prima volta ad immaginare che i contributi che gli Stati membri daranno alle istituzioni europee per alcuni investimenti giudicati meritevoli da parte delle stesse istituzioni europee, bene, questo tipo di contributo sarà finalmente scorporato dal Patto di stabilità. È un primo passo, non è sufficiente per noi; noi pensiamo che il passaggio immediatamente logico successivo sia consentire agli Stati membri di scorporare dal Patto i propri investimenti su proprie opere pubbliche, anche pronti ad una verifica sulle singole opere con le istituzioni comunitarie.
La nostra battaglia tradizionale storica, lo sapete, è quella di poter scorporare gli investimenti: se io voglio prendere i soldi per metterli su una scuola questo non è un costo, questo è un investimento e non c’è nessun patto di stabilità finanziario che possa mettere in discussione il patto di stabilità architettonico delle scuole dove stanno i nostri figli.
Eppure ci troviamo qui, in questa situazione, con queste regole, perché in passato anche questo Parlamento ha accettato – con «questo Parlamento» non mi riferisco tanto a questa legislatura ma a questa Aula, così carica di storia e di significato – e ha fatto delle scelte sulle Pag. 6quali noi siamo costretti a lavorare non potendo ovviamente venire meno in modo autonomo senza minare il prestigio, la credibilità e la reputazione del nostro Paese.
Ma, questo è il punto centrale, oggi è accaduto qualcosa di nuovo. In questi sei mesi è accaduto qualcosa di nuovo. Per la prima volta si dice: okay, se procedi a degli investimenti che siano investimenti condivisi, puoi scorporare dal Patto. Non è sufficiente per me, continuerò all'interno del partito politico europeo di cui faccio parte, che su questi temi ha ancora una timidezza incomprensibile, e all'interno del Consiglio europeo, a combattere perché gli investimenti che servono a ridurre la bolletta energetica in Italia, che cuba circa 5 miliardi di euro, possono essere esclusi dal Patto di stabilità; che gli investimenti in banda larga possono essere esclusi dal Patto di stabilità; così come gli investimenti in edilizia scolastica o per le nostre periferie, e una delle voci più rilevanti dal punto di vista simbolico della nostra legge di stabilità è proprio l'emendamento che è stato introdotto al Senato allo scopo di intervenire su un progetto urbanistico dentro le periferie.
Si salvano le periferie non con le manifestazioni e con i cortei ma con i campi sportivi, con l'urbanistica, con un'edilizia degna di questo nome e con la presenza di un volontariato che sia volontariato e associazionismo e che non sia un finto terzo settore che cerca di lucrare sulle disgrazie in modo inqualificabile.
In questo scenario, e ho finito, i due temi di discussione profonda che noi troviamo giovedì sul tavolo del dibattito del Consiglio europeo saranno dunque: la politica estera intesa come capacità dell'Europa di avere una propria dignità e la politica degli investimenti intesa come novità. Finalmente si smette di parlare soltanto di chi fa i compiti e chi no, di chi ha lo 0,1 in più o in meno, di chi è più attento alla austerity che alla salute dei propri figli.
Però, rinviando naturalmente un bilancio del semestre al prossimo appuntamento parlamentare, rinviando il bilancio del semestre al discorso del 13 gennaio a Strasburgo in cui concluderemo i lavori della nostra Presidenza, rinviando un bilancio ad occasioni più articolate, essendo questo semplicemente il momento della presentazione del Consiglio di giovedì, permettetemi di dire che, se vale il principio einaudiano dell'ideale a disposizione dell'Europa, dobbiamo avere il coraggio di dirci che l'Italia dei prossimi anni deve poter giocare alcune carte in più nel dibattito europeo.
Il Ministro della cultura, nel momento in cui abbiamo ricevuto la lettera firmata Juncker e Timmermans – anche questo è interessante, perché la lettera viene firmata dal primo Vicepresidente trattandosi di un Governo di coalizione, è un richiamo anche questo, simbolico, alla politica –, mi ha sottolineato ed evidenziato come sia incredibile che nei dieci punti citati dal Presidente e dal primo Vicepresidente non ricorra una sola volta la parola cultura.
È vero, io sono d'accordo con lui, è un limite grosso, perché la cultura non è semplicemente la gestione di siti museali o il tentativo di utilizzare meglio le risorse di cui disponiamo e di cui la storia ci ha fatto prezioso dono. La cultura è, innanzitutto, un senso dell'identità e, se l'Europa rinuncia alla cultura, l'Europa rinuncia a se stessa. Ma – questo è ciò che penso – noi abbiamo bisogno di farlo soltanto se recuperiamo una dimensione di credibilità nazionale.
Nella discussione di ieri, dopo il lancio della candidatura dell'Italia e in particolar modo di Roma alle Olimpiadi del 2024, ho notato come vi sia stata una reazione davvero sorprendente che è profondamente trasversale, che incrocia una parte delle opposizioni con una parte della maggioranza, che incrocia i guru dell'antipolitica con i profondi pensieri lunghi, di strateghi dell'attualità contemporanea. Tutti a dire: impossibile fare le Olimpiadi in Italia, perché c’è chi ruba.
Se c’è chi ruba, si manda in galera. Se c’è chi ruba, si persegue. Se c’è chi ruba, si va avanti senza ricorrere a rinunciare, senza ricorrere a rinunciare per esempio a perseguire come parte civile i tesorieri che Pag. 7rubano. Se si pensa che qualcosa non funzioni, lo dico perché è stato detto...
DAVIDE CAPARINI. Proprio tu lo dici !
MATTEO RENZI, Presidente del Consiglio dei ministri. Proprio tu lo dici: sì, e mi riferivo esattamente a chi è intervenuto. Se c’è chi ruba (Commenti del deputato Giancarlo Giorgetti)... se c’è chi ruba, vedo l'entusiasmo del capogruppo Giorgetti, lo capisco, dell'autorevole personalità Giorgetti. Credo che, se c’è chi ruba, bisogna avere il coraggio di intervenire, di mandarli in galera...
FEDERICO D'INCÀ. Magari, fallo subito !
MATTEO RENZI, Presidente del Consiglio dei ministri.. ..e di alzare le pene per evitare i patteggiamenti e anche di insistere su un'idea di Paese per il quale chi fa politica non smercia diamanti, ma chi fa politica prova a recuperare la propria dignità proponendo un sogno per il Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Scelta Civica per l'Italia, Sinistra Ecologia Libertà e Per l'Italia-Centro Democratico).
Allora, le Olimpiadi in Italia non sono semplicemente una manifestazione sportiva, sono un sogno, sono un'idea, sono un progetto che deve essere rigoroso, che deve essere tenace, che deve essere di alta qualità; ma sentirsi dire «l'Italia non può fare questo perché qualcuno non è all'altezza di questa sfida», frustra non i desideri di chi è in quest'Aula, ma frustra le speranze dei nostri concittadini.
Chiudo, allora, pensando a dov'ero qualche giorno fa. Ho citato la Turchia, e ho citato la Turchia anche per ricordare un fatto di cronaca accaduto dopo, che mi ha molto colpito; quando sono stato a Istanbul con un viaggio di ventiquattro ore fra Ankara e Istanbul la settimana scorsa, ho scelto di andare in un posto simbolico, nel terzo ponte del Bosforo. È un ponte che in queste ore, in questi giorni, in queste settimane viene realizzato a tempi record per la nostra burocrazia (diciamo che lo costruiscono nel tempo necessario per noi per convocare la Conferenza dei servizi), motivo per il quale sarà urgente e necessario che, una volta terminata la fase delle riforme costituzionali, il Senato torni rapidamente a discutere della delega sulla pubblica amministrazione che si inserisce esattamente in questo profilo.
Quel ponte è un ponte simbolico, è un ponte che lega l'Europa all'Asia, è un ponte realizzato dalle autorità turche, è un ponte che ha bisogno della tecnologia made in Italy, dell'ingegneria made in Italy, è un ponte che nasce al Politecnico di Milano. È un ponte che si affida e si avvale della collaborazione di cinque, fra i tanti, ingegneri che hanno vinto un premio organizzato dalla singola azienda che va a prendere i migliori, i più bravi nelle singole università italiane, perché là dove c’è da costruire innovazione, il mondo chiede l'Italia.
L'Italia può rannicchiarsi e non giocarsela questa partita, come vorrebbero fare quelli che sono contrari alle Olimpiadi, quelli che vorrebbero fare quelli che dicono: no alla politica estera, è roba da addetti ai lavori; quelli che ci dicono: rinunciamo. Ma l'Italia ha nel suo DNA la capacità di investire sull'innovazione, la tecnologia e l'alta qualità e, se mi permettete – ed è davvero l'elemento conclusivo – l'Italia è anche capace di costruire i ponti, di costruire i ponti fisici.
La qualità, l'innovazione di quel ponte è meravigliosa. Ma per chi, come noi, ha iniziato a fare politica con Giorgio La Pira, quella frase, «abbattiamo i muri, costruiamo i ponti», è una frase che vale molto oggi in Europa.
Venticinque anni fa crollava il muro di Berlino, venticinque anni fa crollava il muro che divideva due Europe e due Germanie. Il compito del nostro Paese è quello di costruire i ponti non di abbattere i muri, ma costruire i ponti significa tornare a credere che si possa oggettivamente realizzare qualcosa di grande per il nostro Paese, senza essere tifosi non di un Governo o dell'altro, ma tifosi contro l'Italia.Pag. 8
Ecco perché i due elementi di novità che il Consiglio europeo affronterà giovedì, la politica estera come luogo di dignità della politica comunitaria e il piano degli investimenti, che certo si può migliorare, che certo dovrà essere approfondito, come il primo segno in cui finalmente torniamo a discutere di crescita e non solo di austerità, sono due passi in avanti rilevanti. Ma senza l'ideale al quale facevo riferimento, introducendo l'intervento, non c’è spazio per nessuno e non c’è spazio per l'Italia e noi, in nome dell'ideale, porteremo un'Italia più forte e più credibile all'interno delle istituzioni europee (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Scelta Civica per l'Italia, Nuovo Centrodestra, Per l'Italia-Centro Democratico e Misto).
CARLO SIBILIA. Amen !
(Discussione)
PRESIDENTE. Grazie, Presidente Renzi. Dichiaro aperta la discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri.
È iscritto a parlare il deputato Marco Causi. Ne ha facoltà.
MARCO CAUSI. Grazie Presidente. Mi permetta, Presidente Boldrini e Presidente del Consiglio dei ministri, di cominciare con questa osservazione: a me sembra ancora insufficiente in Italia, la comprensione della storica e profonda battaglia politica che è in corso in Europa. Tre schieramenti si confrontano in Europa: da un lato, i popolari, ma soprattutto i Paesi del nord, che sostanzialmente dicono che va tutto bene così; poi, gli antieuropeisti, il cui richiamo politico-demagogico cresce a vista d'occhio con la crisi e con la disoccupazione; poi i socialisti e i democratici, che vogliono un'Europa migliore, più orientata alla crescita e all'occupazione.
Il Governo Renzi è la punta di diamante di questo terzo schieramento, anche perché altri grandi partiti socialisti di grandi Paesi europei sono andati male alle ultime elezioni (penso a Francia, Spagna, Regno Unito). Attenzione, quindi, a indebolire questo Governo italiano. Dovrebbe, anzi, essere interesse nazionale restare il più possibile uniti nel rappresentare all'Europa le proposte italiane.
Le posizioni di chi è sceso in piazza qualche giorno fa, pur legittime e da rispettare, sono prive di sbocco politico, a meno di non scegliere di andare a ingrossare le fila dell'antieuropeismo.
Autolesionista, mi sembra, la posizione dell'onorevole Brunetta, che manda lettere a Bruxelles contro il Governo del suo Paese. Lo scontro politico interno è il sale della democrazia, ma nel difficile passaggio storico d'Italia e d'Europa, a sette anni dall'inizio della crisi, dovrebbe valere sempre più l'idea che right or not, it's my country, sbagliato o giusto è il mio Paese.
La battaglia è in corso in tutti i campi. Pensiamo, ad esempio, alla politica monetaria. Il presidente della Bundesbank rilascia interviste ai grandi quotidiani di opinione, italiani e francesi, portando i suoi argomenti contrari al quantitative easing, all'acquisto di titoli pubblici sui mercati secondari da parte della Banca centrale europea.
Ieri il Governatore Visco era qui alla Camera in audizione e lo abbiamo sollecitato a fare altrettanto. Abbiamo sollecitato il Governatore della Banca d'Italia a fare interviste ai grandi quotidiani tedeschi e ci ha risposto, giustamente, che nei prossimi giorni lo farà, anche perché, come ci ha detto ieri il Governatore Visco in audizione, se le nuove informazioni sull'inflazione confermeranno la persistenza o, addirittura, l'aggravarsi dei rischi per la stabilità dei prezzi nell'area euro, «occorrerà avviare con tempestività», sono sue parole, «ulteriori interventi di acquisti di titoli su larga scala, al fine di riportare le dimensioni del bilancio dell'Eurosistema sui livelli desiderati».
Deflazione e bassa crescita sono un cocktail esplosivo per la sostenibilità degli elevati debiti sovrani.
E se questo è certamente e prima di tutto un problema dell'Italia, che deve mantenere massima attenzione all'equilibrio Pag. 9del suo bilancio pubblico, è però un problema anche per l'Europa, perché l'insostenibilità dei debiti sovrani dell'area euro genera un rischio sistemico di instabilità finanziaria per tutta l'Unione. E lo stesso Weidmann nelle sue interviste ammette che il quantitative easing sui titoli sul mercato secondario, fra virgolette, non è vietato. Anche questo è un passo avanti perché l'anno scorso da parte di quegli ambienti tedeschi c'era stato invece, come ricorderemo, il ricorso alla Corte costituzionale di Karlsruhe.
C’è poi il campo di più stretta competenza dei Governi e della Commissione. Accanto alle politiche strutturali di riforma, su cui l'Italia sta correndo come mai negli ultimi anni, è necessario affiancare politiche di sostegno della domanda aggregata con diverse dimensioni: primo, più flessibilità per i bilanci pubblici nazionali; secondo, espansione della domanda nei Paesi, come la Germania, che mostrano rilevanti squilibri macroeconomici sotto forma di eccessivi avanzi di bilancia dei pagamenti; terzo, politiche europee per la crescita e per l'occupazione.
Solo la miopia e il provincialismo della lotta politica interna possono sottovalutare i risultati ottenuti lungo il semestre di Presidenza italiana: un'apertura sul primo punto e un primo passo, il piano Juncker, sul terzo punto – è chiaro che la battaglia dovrà continuare fin dal prossimo Consiglio europeo e poi anche dopo la fine del semestre a guida italiana –, sulla flessibilità dei bilanci nazionali con la riforma di come viene calcolato l’output gap, un punto giustamente messo in agenda dall'iniziativa italiana e del Ministro dell'economia Padoan, sugli squilibri macroeconomici, mettendo la Germania di fronte alle sue responsabilità e ricordando anche i 250 miliardi di euro che quel Paese ha speso a carico delle casse pubbliche e, quindi, aumentando il suo debito pubblico e quello dell'intera Unione per salvare le sue banche. Salvataggi per 250 miliardi di euro che sono stati fatti prima che arrivasse la nuova regola europea del meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie con il bail-in, perché oggi quei salvataggi delle banche fatti in Germania sarebbero illegittimi secondo le nuove regole europee, perché non è stata richiesta la compartecipazione al settore privato, diversamente, ad esempio, da quanto accaduto a Cipro.
Anche la Germania, insomma, ha dei bei compiti da fare a casa, da un lato, per fare la sua parte nell'aggiustamento degli squilibri reali all'interno dell'Unione e, dall'altro lato, per riflettere sul ruolo che l'espansione così rilevante del suo debito pubblico per il salvataggio delle sue banche ha avuto nell'indebolire le prospettive finanziarie dell'intera Unione.
Sulla terza questione, quella delle politiche di dimensione europea, il piano Juncker è un primo passo, ma va rafforzato e completato, come anche poco fa ha detto il Presidente del Consiglio Renzi: applicare la golden rule agli investimenti del piano, sia dal lato dei contributi degli Stati al nuovo Fondo europeo per le infrastrutture strategiche sia dal lato dei cofinanziamenti nazionali, rafforzare gli strumenti esistenti, come la Banca europea degli investimenti, completare poi le altre gambe delle politiche dell'Unione, procedere verso un'autentica unione dei mercati dei capitali, completando l'unione monetaria con quella finanziaria, costruire una più solida capacità fiscale europea a beneficio di un bilancio dell'Unione capace di contribuire strutturalmente agli investimenti e all'assorbimento degli shock reali asimmetrici, a partire dalla disoccupazione.
Fra i risultati del semestre, non vanno poi sottovalutati quelli in campo tributario, come la spinta verso la fine del segreto bancario, con l'approvazione comunitaria dei nuovi common reporting standard e l'indirizzo impresso alla direttiva sull'armonizzazione fiscale.
Questa battaglia in Europa va continuata, ma bisogna anche sapere bene come si fa. Si fa con una decisa iniziativa culturale e politica, non con le urla, non con la demagogia, si fa come ha fatto Napolitano nella due giorni di Torino dedicata al confronto e al dialogo fra Italia e Germania, si fa con un Paese che, ferme Pag. 10le distinzioni politiche e anche la lotta politica interna, riesca a capire quando è necessario restare unito per difendere fondamentali interessi nazionali.
Voglio concludere, Presidente, dicendo al Presidente del Consiglio Renzi: continui così, come ha fatto in questi mesi, dopo che il risultato delle elezioni europee gli ha dato un ruolo così cruciale negli equilibri dell'Unione. Continui a fare gli interessi dell'Italia, perché, così facendo, farà anche gli interessi dell'Europa, che ormai è chiaro: o cambia o rischia uno storico tracollo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Rocco Palese. Ne ha facoltà.
ROCCO PALESE. Grazie, signora Presidente. Signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, la lettura dell'ordine del giorno del Consiglio europeo suona, addirittura, un po’ beffarda, se si considera che si fa riferimento ad ulteriori sforzi da compiere per favorire la crescita, come se quest'ultima fosse stata, in qualche modo, avviata. Meglio sarebbe stato titolare: «Come arrestare la deriva della deflazione e rimettere in moto il processo di sviluppo dell'Eurozona».
Dal 1o luglio di quest'anno nulla è cambiato in Europa e nel ruolo del nostro Paese in Europa, ma, se prendiamo le ultime parole del Presidente Renzi, che paventa l'arrivo della trojka, capiamo che nulla è cambiato anche rispetto al 2011, quando il Governo Berlusconi, legittimamente eletto dagli italiani nel 2008, è stato mandato a casa, vittima del complotto internazionale che molti ormai hanno raccontato e che spesso viene collegato al G20 di Cannes del 3-4 novembre 2011, quando l'allora Presidente del Consiglio rifiutò proprio il commissariamento dell'Italia da parte di Commissione europea, BCE e Fondo monetario internazionale.
Le cose da fare dal 2011 in poi erano chiare fin da subito: erano scritte nella lettera che il Governo Berlusconi inviò ai Presidenti di Commissione e Consiglio europeo il 26 ottobre 2011. Il successivo Governo Monti ne ha tenuto conto, ma in una maniera sbagliata e dannosa per il Paese. Né le cose sono cambiate con Letta ed il suo immobilismo: basti pensare a come sono aumentate le tasse sulle abitazioni.
Infine, il Presidente Renzi ha pensato di poter ottenere maggiore flessibilità dall'Europa, ma, in realtà, ne è stato schiacciato, al punto che lo stesso Juncker, di solito così misurato nel suo linguaggio diplomatico, non esita a minacciare il quasi inevitabile ricorso ad una procedura di infrazione. E tutto questo mentre la sopportazione degli italiani, a causa dell'incidere della crisi, ha raggiunto un punto limite: sempre più tartassati dalle tasse, preoccupati dalla discesa inarrestabile del PIL e dal crescente aumento della disoccupazione, mentre i consumi crollano ai livelli di dieci o venti anni fa.
I dati, purtroppo, non fanno che confermare questa continua e costante regressione. Il deficit strutturale italiano non è in linea con quanto previsto dal cosiddetto braccio preventivo del Patto di stabilità e crescita. Il debito cresce invece di diminuire, e pure a un ritmo superiore a quello degli anni passati, la spesa corrente aumenta invece di contrarsi, l'economia reale è in profondo rosso, la stessa Commissione europea riconosce il peso di circostanze eccezionali, quali la lunga recessione e la caduta dell'inflazione, ma esse non sembrano essere tali da giustificare il via libera da parte dell'Unione europea alla legge di stabilità per l'anno 2015, viste le correzioni, le censure e il faro acceso che continuamente ci sarà da parte dell'Unione europea sulla legge di stabilità in corso di approvazione.
Il comunicato finale dell'Eurogruppo dell'8 dicembre 2014 prende in considerazione tutti i Paesi che versano in situazioni precarie. L'Italia si trova nelle condizioni peggiori: ha il Governo che ha realizzato lo sforzo minore in termini di riequilibrio strutturale e che tende a ritardare più di altri gli interventi necessari per rimettere in carreggiata i conti pubblici.Pag. 11
Da qui la richiesta di realizzare una manovra di 0,4 punti di PIL, pari a circa 6 miliardi di euro, per il 2015. A tutto questo risponde il Ministro dell'economia e delle finanze, cercando di essere rassicurante: «non vi sarà alcuna misura correttiva dei conti pubblici». Ma si tratta, in maniera evidente, di una speranza più che di una certezza; una speranza appesa a un filo, che rischia di spezzarsi da un momento all'altro.
Padoan avrebbe ragione se il quadro finanziario fosse rassicurante, ma, come abbiamo visto, purtroppo non è così. Ultima doccia fredda: la pubblicazione dei dati ISTAT sulla produzione industriale del mese di ottobre, che indicano un nuovo calo, con una perdita complessiva, rispetto a due anni fa, di oltre due punti percentuali.
Dulcis in fundo, l'ultimo declassamento del rating del debito italiano da parte di Standard & Poor's. Finora le reazioni dei mercati, per fortuna, non hanno destato particolari preoccupazioni: nell'ultima settimana, quella delle disgrazie che abbiamo descritto, lo spread BTP-bund è aumentato di 25 punti, rimanendo, tuttavia, in zona di sicurezza, ma i tempi di reazione non sono mai immediati, e per questo dovremmo essere prudenti e in guardia.
I risultati dell'Eurozona in generale non sono incoraggianti. Nel 2013 si è avuta una caduta del PIL dello 0,4 per cento, cui farà seguito, secondo le previsioni, una crescita dello 0,8 per cento: del tutto insufficiente per poter arginare una disoccupazione che è pari ad oltre l'11,5 per cento, ed è drammatica quella giovanile nel nostro Paese e, soprattutto, nel Mezzogiorno.
L'inflazione risulta essere pari allo 0,5 per cento, quale sintomo evidente di una tendenza deflazionistica alla quale occorre porre rimedio. L'inerzia della politica economica risulta evidente se solo si considera la caduta del prezzo del petrolio, fermo a poco più di 60 dollari al barile. Per una vasta area economica qual è l'Eurozona, la disponibilità di energia a basso prezzo poteva essere l'occasione per un forte rilancio produttivo. Il peso di un'ortodossia ormai fuori dal tempo blocca, invece, ogni possibilità di sviluppo. Nelle condizioni date, il debito sovrano dell'Eurozona non può che aumentare, e questo accade in maniera differenziata tra i singoli Stati. All'origine di queste divergenze vi sono problemi di carattere strutturale, che non possono essere risolti in chiave esclusivamente domestica, anche se il tema della diversa produttività aziendale di sistema resta la grande discriminante di fondo, che richiede interventi dei singoli Stati per rimuovere le strozzature interne.
A livello comunitario, invece, colpisce il forte attivo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti, pari a circa 270 miliardi di euro, secondo le valutazioni della Commissione, di cui circa il 90 per cento prodotto dalle sole Germania e Olanda. L'esistenza di un surplus così consistente, è la dimostrazione del fatto che l'economia dell'Eurozona marcia a un ritmo ben al di sotto del suo potenziale produttivo, e che, quindi, politiche espansive, soprattutto se concentrate su una ripresa degli investimenti, potrebbero portare il suo tasso di sviluppo da quel limitato 0,8 per cento, fino al 2,5 per cento, in termini reali, con effetto immediato sui livelli di occupazione. Se il surplus valutario di origine primaria fosse ridotto da politiche espansive, ne deriverebbe una riduzione fisiologica, e non patologica, del valore del cambio, capace di innescare un circolo virtuoso, dato da un aumento della domanda interna e dal contributo positivo dall'estero, a seguito del ristabilirsi, tendenzialmente un dollaro uguale a un euro, del giusto valore tra le due principali valute dell'Occidente. Per conseguire simili risultati è necessario da un lato attivare politiche di deficit spending a livello europeo, ma al tempo stesso accelerare il processo di rimozione delle barriere che ancora segmentano il mercato interno, specie nel campo dei servizi e delle politiche fiscali, che si traducono in un freno alla concorrenza, ed in un rallentamento nello sviluppo della produttività totale dei fattori. Non era questo, del resto, uno dei grandi obiettivi della costruzione europea come entità, al tempo Pag. 12stesso, politica ed economica ? Tuttavia, è necessario prendere atto delle differenze strutturali che caratterizzano le diverse economie. Il macigno del debito pubblico pesa in modo difforme da Paese a Paese, mentre le regole di bilancio, rese più stringenti dal six e dal two pack, rimangono uniformi. Un identico vestito che si vorrebbe fare indossare ad individui che hanno una diversa corporatura non può certo funzionare. La proposta del Board della BCE di mettere in campo misure non convenzionali che si risolvono nel finanziamento di una parte pregressa del debito sovrano, con modalità da stabilire, deve essere, pertanto, accolta con favore. Occorre fare tutto il possibile affinché si vincano le resistenze che si oppongono a questa prospettiva, in nome di un malinteso senso di conservazione che rischia di alimentare ulteriormente la crisi europea. In questo senso, in questo semestre di Presidenza italiana, non c’è stato, a nostro avviso, alcun segno. È necessario che i singoli Governi marcino spediti lungo la linea di quelle riforme che mirano ad accrescere la produttività aziendale di settore, intervenendo sulla struttura del mercato del lavoro con politiche salariali coerenti, riducendo il peso della spesa pubblica, specie di parte corrente, abbattendo il carico fiscale, liberalizzando il mercato, riducendo il perimetro della discrezionalità amministrativa, rilanciando gli investimenti, riformando la giustizia e via dicendo. E noi, come Paese, come Italia, che cosa abbiamo fatto in questo periodo, e in questa legislatura, in questo senso ? Nulla. Il trinomio di un protocollo di politica economica, in grado di far uscire l'Eurozona dallo stato comatoso in cui si trova, è pertanto dato da politiche espansive a livello europeo rivolte al contenimento del surplus delle partite correnti; misure non convenzionali per la gestione dello stock di debito accumulato quale necessario completamento delle regole del six e del two pack; riforme in grado di accrescere la produttività aziendale di sistema. Rispetto alla coerenza di questo schema, la proposta della Commissione è quella di reperire risorse pari a 300 miliardi in tre anni per il rilancio degli investimenti, cifra del tutto insufficiente. Essa corrisponde, infatti, a poco più di un terzo del surplus valutario annuo che si vorrebbe contenere. Sul piano operativo le risorse effettivamente stanziate sono previste in appena 21 miliardi di euro complessivi. Si suppone, poi, una leva pari a 15 miliardi, per mobilitare eventuali capitali privati, di cui tuttavia non si ha certezza di disponibilità. Lo sforzo effettivo corrisponderebbe, pertanto, a poco più del 2 per cento del surplus valutario, un'inezia rispetto alle risorse potenziali.
Il piano Juncker non basta: ciò che è necessario è un approccio sistemico, in cui politica monetaria, politica di bilancio e riforme, anche nella forma del contratto di agreement, mantengano una stretta coerenza, prevedendo fin da ora i necessari momenti di verifica a livello europeo.
E per giunta Juncker, in dichiarazione ufficiale, nell'ultimo incontro dice in maniera chiara: «Io non ho denaro fresco, ma se gli Stati vogliono contribuire con risorse nazionali al fondo sono benvenuti. Lo dico ai romani e ai parigini, a cui tutto questo non basta».
E a tal proposito sarebbe veramente interessante riuscire a comprendere qual è stata l'azione da parte del Governo italiano, rispetto allo svincolo dal Patto di stabilità interno.
Signor Presidente, è di conforto sentire che noi continuiamo a chiedere in maniera assoluta e prioritaria che ci sia lo svincolo dei fondi per investimento dei fondi italiani, della spesa pubblica italiana. Almeno per ora solo promesse e niente di più.
Noi riteniamo invece che sia indispensabile che almeno i fondi strutturali siano svincolati dal Patto di stabilità, perché le uniche risorse vere che ci sono all'interno del bilancio dello Stato, signor Presidente, come competenza e cassa, senza procedere a tagli e senza procedere a nuove tasse, sono i fondi strutturali (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente) e l'Europa deve consentirci, perché non è possibile che di notte ci dice che dobbiamo Pag. 13rispettare il Patto di stabilità e di giorno che dobbiamo spendere i fondi strutturali. Questa è una battaglia di dignità del nostro Paese, che deve essere per forza determinata e per forza conclusa in maniera positiva, perché ne va di mezzo il Paese.
Concludo, signor Presidente del Consiglio, evidenziando che per ottenere risultati positivi occorre soprattutto far ricorso alla difficile arte della convinzione, chiamando ciascun partner europeo alle proprie responsabilità, senza mai perdere di vista quello che è il comune interesse, che corrisponde ad una visione dell'Europa quale quella che incarnò le speranze dei padri fondatori, senza peraltro rinunciare alla battaglia politica per affermare con forza le proprie ragioni, consapevoli del fatto che esse non rispondono a logiche localistiche, ma sono l'unico vero baluardo che può impedire la crisi irreversibile di quel disegno più ambizioso che ha trovato nella moneta unica il suo momento fondante e che ora rischia l'autodistruzione (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Dell'Aringa. Ne ha facoltà.
CARLO DELL'ARINGA. Signor Presidente, è talmente vero che a nessuno sfugge l'importanza del confronto che si aprirà sul fronte europeo nel fine settimana, che si è persino detto che la vera partita economica si gioca in Europa, più che all'interno di ogni il singolo Paese.
Lei, signor Presidente, ha detto recentemente che tutto il mondo globalizzato ha bisogno dell'Italia. È vero, perché del contributo del lavoro italiano si avvantaggia tutto il mondo, ma questo vale ancor di più per l'Europa e dobbiamo essere consapevoli che ciò che saremo capaci di fare, lo faremo per le future generazioni, non solo italiane, ma europee.
Abbiamo apprezzato la sua relazione, apprezzato i contenuti, gli argomenti, gli obiettivi che ha indicato, obiettivi che derivano da un'analisi corretta della situazione in cui si dibatte tutto il nostro continente.
Signor Presidente, come sa, siamo l'unico continente che non è riuscito a reagire in modo efficace alla crisi fin dalla sua apparizione.
In alcuni Paesi, come gli Stati Uniti – si continua a ripetere –, subito dopo la crisi hanno adottato misure importanti: hanno messo in campo 900 miliardi di dollari per una politica fiscale espansiva e da subito la Banca Centrale ha attuato una politica monetaria espansiva con strumenti non convenzionali, una politica che gli americani stanno ancora conducendo, nonostante il tasso di disoccupazione sia tornato ai valori fisiologici del 6 per cento.
E noi che stiamo facendo in Europa ?
Abbiamo enormi difficoltà a mettere in campo una politica fiscale da 300 miliardi di euro, per di più diluiti in tre anni, ed abbiamo enormi difficoltà ad adottare una politica monetaria espansiva, quando il nostro tasso di disoccupazione è il doppio di quello americano e non accenna a diminuire.
Come lei giustamente ha detto, il piano Juncker presenta una novità importantissima, perché è la prima volta che si mette in campo una politica fiscale a livello europeo, chiamando tutti i Governi a dare il loro contributo in termini di bilancio.
Certo, presenta debolezze, che lei ha riassunto e sono state riassunte anche dai precedenti interventi. Ha richiamato la necessità che anche gli investimenti degli Stati membri nei progetti siano scorporati dal Patto di stabilità. Qualcuno ha detto che anche gli incentivi che i singoli Stati membri devono trovare in quel progetto devono essere tali da incentivare la partecipazione. Ma c’è un altro aspetto su cui bisogna insistere: bisogna fare presto. Bisogna fare presto. Questo piano non può entrare in funzione tra un anno o due anni. Deve entrare in funzione il più presto possibile, perché non c’è più tempo da perdere.
Vorrei cogliere l'occasione per accennare a un problema, che magari non è all'ordine del giorno del fine settimana, ma che incombe sempre su di noi, ma non Pag. 14solo su di noi, ed è l'approccio generale della Commissione nei confronti dei temi del rilancio e del rigore. Vorrei dire questo: pensiamo ancora di essere messi sotto esame e di essere bocciati ? Non possiamo permetterlo. Non possiamo acconsentire alla richiesta di fare sforzi ulteriori per avvicinarci al pareggio strutturale di bilancio. Non possono chiederci di rispettare questo indicatore, che sta perdendo progressivamente credibilità e affidamento. Come sa anche lei e il Ministro dell'economia e delle finanze, il fatto di essere tuttora considerati in deficit strutturale dipende dalla modalità, del tutto criticabile e imperfetta, che la Commissione utilizza per misurare il nostro potenziale di crescita.
Secondo i calcoli della Commissione questo potenziale sembrerebbe essersi ridotto enormemente in questi anni di crisi, come se tutto quello che abbiamo perso in termini di PIL fosse dovuto alle nostre mancanze, alle nostre debolezze strutturali, alle nostre incapacità di usare bene i fattori produttivi, e non al fatto che, per rispettare i parametri europei del consolidamento fiscale, abbiamo dovuto fare politiche che hanno ridotto consumi e investimenti.
Quei calcoli europei da cui parte questo ragionamento stanno perdendo credibilità. Sono arbitrari e si può dimostrare che potrebbero essere ragionevolmente sostituiti da calcoli che portano alla conclusione opposta. Dalle più recenti stime dei tecnici dell'OCSE risulta che il nostro Paese non è più in deficit strutturale, anzi, da un paio di anni siamo in avanzo strutturale, come dire che il Paese non ha perso la capacità di produrre, se questa fosse ancora decentemente sollecitata da una domanda aggregata adeguata.
Come vede, signor Presidente, i pareri tecnici possono essere di diversa natura. Ci sono i pareri, come quelli espressi – lo ha ricordato Causi – dalle interviste del Presidente della Banca centrale europea, secondo i quali solo i conti in ordine garantiscono la crescita di un Paese. Ma si sbagliano clamorosamente, perché sono convinti che l'economia si risana da sé e che i Governi e la politica devono solo rispettare parametri, come lei spesso usa dire, e agire solo sulla base di regole prestabilite e immutabili. Però, signor Presidente, vi sono anche tecnici che attribuiscono alla politica il ruolo fondamentale che le spetta, cioè di agire con discrezionalità e di interpretare in modo flessibile situazioni che sono sempre complesse, che non rispondono mai a canoni predeterminati, e di utilizzare gli strumenti a disposizione in modo flessibile e utile per affrontare le diverse contingenze che si presentano.
Signor Presidente, compito della politica, innanzitutto, è di delineare l'orizzonte entro cui si collocano le aspettative degli operatori. Questo bisogna fare in Italia, ma anche in Europa. Il suo Governo su questo terreno ha fatto progressi importantissimi. Innanzitutto, sta facendo uno sforzo enorme sul fronte delle riforme, che, come lei giustamente e spesso ricorda, si dovrebbero fare comunque, per il bene del Paese, che richiede giustizia più rapida, pubblica amministrazione più efficiente e un mercato del lavoro che offra più opportunità ai giovani.
Ma il suo Governo non si impegni da solo su questo, vuole fare ripartire l'economia e da qui sono venute le misure per cercare, pure entro i limiti stabiliti dall'Europa, di stimolare la crescita e, grazie ai provvedimenti inclusi nella legge di stabilità, il potere di acquisto delle famiglie potrà aumentare quest'anno come mai era successo da diversi anni a questa parte. Il costo del lavoro verrà diminuito come mai era successo da diversi anni a questa parte.
La spinta viene dall'indicazione di un futuro che illustri gli effetti positivi dei comportamenti virtuosi dei singoli operatori. Più consumi e più occupazione sono fenomeni che possono sprigionarsi dalle stesse aspettative di crescita, altrimenti le decisioni individuali sono dominate dalla paura.
Il futuro si crea nel nostro Paese, ma soprattutto in Europa. Nessun Paese si salva da solo: questo è il messaggio che lei, signor Presidente, manda ogni giorno in Pag. 15modo insistente. Il nostro invito: insista ancora di più. Ha una forte capacità di convincimento, la usi per convincere i nostri amici europei e, in particolare, i tedeschi.
L'altro giorno è stata ricordata l'immagine della cordata: guai agli strattoni, guai ai pesi morti che si fanno trascinare. A lei, capo cordata, signor Presidente, va l'appoggio incondizionato del Partito Democratico e va l'augurio di tutti noi perché si possa fare quello che lei chiama il passaggio, la traversata in Europa soprattutto. Siamo ancora in mezzo al guado, ma si intravede l'altra sponda, la sponda di un futuro migliore da affidare ai nostri giovani (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Francesco Cariello. Ne ha facoltà.
FRANCESCO CARIELLO. Grazie Presidente. Signor Presidente del Consiglio, all'inizio di questo semestre europeo lei disse che sarebbe stato un semestre all'insegna del coraggio e dell'orgoglio. Il semestre ormai volge al termine e, a nostro avviso, proprio guardando al coraggio e all'orgoglio, la Presidenza italiana si può considerare un fallimento totale. Il coraggio è diventato sudditanza, l'orgoglio è stato fagocitato dal suo ego. D'altronde era prevedibile il giorno in cui ha disertato quell'incontro con la stampa internazionale, il giorno dell'insediamento, preferendo la platea tutta italiana di «Porta a porta». In quel gesto non ha mostrato né coraggio né orgoglio italiano.
Il coraggio non si misura con le parole, ma con i fatti e con le azioni. Le spiego dove le è mancato il coraggio: nel non aver mantenuto la posizione del Governo italiano di fronte alla correzione richiesta dalla Commissione europea, per esempio. Infatti, la legge di stabilità, nella versione originaria, prevedeva un indebitamento prossimo al 3 per cento, in pieno rispetto delle norme del Trattato. Invece, il Governo ha preferito conformarsi alle azioni dei precedenti Governi Monti e Letta, perché anche voi avete ritoccato la manovra in seguito alle valutazioni della Commissione europea. Questo è l'atto di coraggio che l'Italia doveva dare e mostrare durante il semestre di Presidenza del Consiglio europeo. Lei non è stato capace di farlo. Si è dovuto adeguare, come tutti gli altri suoi predecessori, alla volontà della Commissione europea, cedendo parte della sovranità agli organi europei.
Presidente, lei oggi è ancora in tempo, la legge di stabilità è ancora al Senato e lei sta andando a presiedere l'ultimo Consiglio europeo del semestre italiano. Affermi con coraggio che bisogna applicare il Trattato e non le regole contenute nel fiscal compact o nel Patto di stabilità e crescita, a cui la Commissione continuamente riferisce le sue valutazioni. Questi patti esulano dal Trattato dell'Unione europea. Infatti, lei parla del 3 per cento mentre la Commissione utilizza come parametro di riferimento l'obiettivo di medio termine del fiscal compact. La correzione al deficit programmatico è stata di 4,5 miliardi di euro. Lo dica agli italiani che non ha avuto il coraggio di garantire 4,5 miliardi di euro di spesa per sostenere la crescita e la spesa pubblica in servizi e welfare, come ben sanno comuni e regioni. Spieghi ancora agli italiani perché un diritto sancito dal Trattato nell'articolo 126 non è stato da lei esercitato appieno.
L'unica misura degna di nota è quella relativa agli 80 euro di risparmio IRPEF, peraltro non prevista e non estesa a tutti. Ma lei veramente crede che questa isolata misura, questa povera misura possa veramente dare impulso alla ripresa del nostro Paese ? Noi non lo crediamo assolutamente.
Questo semestre, venendo all'orgoglio, non è stato nemmeno all'insegna dell'orgoglio. Più volte è stato affermato, con slogan, con tweet, che l'Italia non deve prendere lezioni da nessuno e sa benissimo cosa deve o non deve fare. Parole come queste, più volte annunciate, riempiono di speranza e di orgoglio il cuore degli italiani. Ma come si fa a parlare di orgoglio italiano quando non si è capaci di risolvere l'annosa questione del made in, Pag. 16che sarebbe stata una garanzia per i prodotti del nostro Paese ? Come si fa a parlare di orgoglio italiano senza avere una visione nuova, energetica per questo Paese tra vent'anni ?
C'era un film, signor Presidente, girato nel 1960, nel pieno boom economico dell'Italia, che ha fotografato quel modello di sviluppo del nostro Paese durante gli anni del dopoguerra. Quel film si chiamava «L'Italia non è un Paese povero» e comincia con le immagini di una petroliera che entra nella laguna di Venezia.
Quello era un modello di sviluppo che sottendeva alla metanizzazione dell'intero Paese. Oggi, sessant'anni dopo, questo Governo non ha saputo dare una visione nuova del futuro del nostro Paese. Sembra un ritorno al passato. Se pensiamo al decreto «sblocca-Italia», il suo Governo ha continuato a proporre lo stesso paradigma di sviluppo che promuove trivellazioni petrolifere in tutta Italia, un decreto contestato ed impugnato da molte regioni che parla ancora di trivellazioni e concessioni per ricerche petrolifere.
È innegabile che la ripresa economica si giochi sulla questione energetica, ma questo Governo persevera nella linea del fossile, invece di puntare su efficienza energetica e rinnovabili. Non avete un'idea giovane e proiettata al futuro. Se il Governo commissionasse oggi un film che parlasse del nostro Paese e della visione di sviluppo che si vuole realizzare verrebbe identico a quello di sessant'anni fa. Siete vecchi.
Questo è il momento di mostrare tutto l'orgoglio italiano, l'orgoglio di un Paese capace di reinventare il futuro, un futuro fatto di energia da fonti rinnovabili, di ricerca, di innovazione nei trasporti, nella medicina, nelle arti e nello sviluppo, di tutte le potenzialità di Internet, una scuola di creatività per il mondo intero che valorizzi le peculiarità di artigiani e piccole e medie imprese.
Se io fossi un ricercatore di qualsiasi parte del mondo, desidererei poter lavorare in Italia solo per la serenità dell'ambiente circostante, il clima, i prodotti della terra, del mare, l'arte, il cinema. Servono solo buone idee e capitali per farlo.
In un regime di austerità tutto questo è impossibile: il rigore non genera sviluppo oltre che creare instabilità economica e sociale. Troppo facilmente si cercano risorse inasprendo la tassazione, una tassazione incostituzionale perché slegata dal reddito come quelle sull'IVA, le accise e le patrimoniali. Si vedano le clausole di salvaguardia inserite nel disegno di legge di stabilità al pari delle disposizioni per coprire la manovra degli 80 euro. Questa è l'idea dell'Italia che il MoVimento 5 Stelle vuole con orgoglio rappresentare in Europa e al mondo intero e che le chiediamo di proporre in sede del prossimo e ultimo Consiglio europeo.
PRESIDENTE. Concluda per favore.
FRANCESCO CARIELLO. Concludo, Presidente, rivolgendomi agli italiani, per dire loro che, laddove questo Governo ha fallito, noi siamo pronti con una visione alternativa. Non perdete fiducia in voi stessi, non dimenticate mai che la causa dei vostri guai non siete voi ma la malapolitica (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Buttiglione. Ne ha facoltà.
ROCCO BUTTIGLIONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio, noi abbiamo molto apprezzato l’incipit del suo discorso, quando ha detto che siamo davanti a un bivio, questa Europa non ci piace, non lasciamo ai grillini e alla Lega la protesta contro questa Europa, ma da questa Europa si può uscire in due modi: o tornando indietro agli Stati nazionali di una volta che hanno prodotto due guerre mondiali oppure in avanti andando verso una vera Unione politica dell'Europa.
Noi vogliamo andare verso una vera Unione politica dell'Europa e credo che questa debba essere la linea fondamentale alla quale il Governo deve attenersi.Pag. 17
Vorrei dire al collega Ichino che, è vero, non si vive di parametri, ma quando non hai una politica europea vera, quando non hai un Governo europeo, i parametri sono l'unica cosa a cui ti puoi attaccare per costruire in qualche modo il percorso di un cammino. Usciremo dalla servitù dei parametri solo quando faremo una vera unione politica dell'Europa. È un'opinione mia, ma non è soltanto mia. Se andate a vedere le ultime dichiarazioni di Jens Weidmann, cosa ci dice ? Ci dice che lui si attacca ai parametri fin quando non c’è un'unione politica dell'Europa.
Ed allora noi dobbiamo rispondergli non soltanto che i parametri vanno interpretati in modo flessibile, ma anche che la flessibilità che chiediamo è come uno sbilanciarsi verso un obiettivo: l'obiettivo dell'unione politica dell'Europa. Solo nella prospettiva dell'unione politica dell'Europa ha senso quello che stiamo facendo per allentare la morsa dei parametri.
Le questioni della politica estera. Noi dobbiamo dire con chiarezza a Putin: giù le mani dall'Ucraina e in realtà lo abbiamo fatto. E le sanzioni che abbiamo applicato si sono dimostrate straordinariamente efficaci, forse perfino troppo perché l'Europa è una grande potenza quando casualmente per una volta riesce ad agire in modo coordinato. Ma bisogna anche dire a Putin: nell'Europa che noi sogniamo, nell'Europa che noi vogliamo per la Russia c’è posto. L'Europa respira con due polmoni: uno orientale e uno occidentale. Questo era il sogno di Giovanni Paolo II e credo che su questa linea noi dobbiamo rimanere.
Per la Russia c’è posto in Europa e questo significa avere una politica verso la Russia che favorisca la democratizzazione della Russia, che favorisca uno sviluppo economico russo connesso con il nostro, che sostenga l'opposizione democratica in Russia e gli sforzi di cambiamento all'interno di questo Paese.
Suggerirei cautela sull'adesione della Turchia. Io tempo fa facevo notare che prima che la Turchia possa dire effettivamente di rispettare i criteri di Copenhagen occorrerà ancora del tempo, e rimango di questo giudizio. Progressi sono stati fatti, però quanto più uno si allontana da Istanbul e si avvicina alla frontiera curda, tanto più vede che si sta allontanando dall'Europa; anche se sulla questione curda bisogna riconoscere che progressi importanti sono stati fatti, pagati, però, con qualche regresso per quello che riguarda il rispetto di libertà fondamentali.
In Medio Oriente – vorrei darle un consiglio, signor Presidente – sosteniamo gli unici amici veri che abbiamo, vale a dire i curdi e il Governo di Masoud Barzani: l'unico luogo dove c’è tolleranza religiosa, l'unico luogo dove c’è libertà, l'unico luogo dove c’è rispetto del diritto, oggi, è il Kurdistan. Non abbiamo paura di aprire con loro un dialogo più forte.
Mi è, invece, spiaciuto non vedere nessun riferimento al tema della libertà religiosa e della persecuzione dei cristiani e, tuttavia, il tema della libertà religiosa è centrale per l'evoluzione di tutto il Medio Oriente: non avremo un Medio Oriente democratico fin quando non avremo vera libertà religiosa e fin quando le antiche comunità cristiane, che sono lì da prima che arrivasse l'Islam, non avranno la libertà di vivere la loro religione in modo fraterno, in dialogo con islamici, ma con libertà.
Abbiamo molto apprezzato il suo riferimento al G20. Noi possiamo fare politiche espansive: quelle politiche keynesiane o neokeynesiane, che i miei amici che stanno alla mia destra adesso, ma che sono la sinistra politica, desiderano, si possono fare solo con una dimensione mondiale. Il singolo Paese che le faccia da solo si condanna alla rovina, ma tutti insieme potremmo ragionevolmente concordare politiche espansive a livello mondiale: questo, però, significa valorizzare strumenti come il G8 e il G20. E credo che questo si inserisca anche nell'invito di Papa Francesco ad una governance mondiale, non un Governo mondiale, ma una governance mondiale, cioè politiche concordate per il bene comune di tutta la famiglia umana.
Veniamo al piano Juncker. È una vittoria del Governo italiano, è una vittoria Pag. 18un po’ amara perché, se andiamo a guardare le dimensioni quantitative, noto che il Presidente del Consiglio non ha richiamato la parte del Patto su cui tutti si soffermano: i 315 miliardi che dovrebbero essere attivati con una leva di 21 miliardi, che, però, sono 13 e questi 13 sono anche grattati da investimenti importanti in ricerca, che sarebbe meglio fare. Ha puntato, invece, su un altro aspetto che, in fondo, è l'accoglimento di una proposta che il Governo italiano da tempo fa e che io credo esser stato il primo formulare in quest'Aula già nel lontano 2011: eliminiamo dal calcolo del Patto di stabilità gli investimenti. Questa era la regola aurea originariamente. Qual è la risposta che ci hanno sempre dato ? Sugli investimenti alcuni Paesi truffano. Non dirò l'Italia, ma quello che è avvenuto in Grecia dice che quella occupazione non era infondata.
Con il piano Juncker cosa facciamo ? Sostanzialmente, noi abbiamo la possibilità di fare investimenti concordati dentro una visione europea, controllati, in qualche modo, a livello europeo, che ci vengono riconosciuti come investimenti veri e che, quindi, possono essere esentati dal Patto di stabilità. Su questo cammino bisogna andare avanti. Però, signor Presidente, provi a mettersi dal punto di vista dei tedeschi per un attimo: cosa farebbe, nel momento in cui si afferma questo principio, se leggesse che il presidente di un'importante regione italiana vuole pagare con i fondi europei gli stipendi dei forestali e far passare questi come investimenti ? Avrebbe qualche preoccupazione ? Allora, noi dobbiamo essere seri, dobbiamo mostrare autentica serietà.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
ROCCO BUTTIGLIONE. Infine, signor Presidente, dobbiamo costruire un entusiasmo ed una speranza per l'Italia e per l'Europa, ritrovare un amore alla comunità nazionale a cui apparteniamo e alla comunità europea che vogliamo costruire. E questo è l'entusiasmo di cui parla l’«Inno alla gioia» di Schiller, che è anche l'inno europeo quando dice che tutti diventiamo fratelli dove la tua ala lieve si posa, l'ala di questo entusiasmo.
Lei ha giustamente richiamato la centralità della cultura proprio per costruire un sentimento di appartenenza e di identità. Mi permetta di affermare la convinzione che la strada della cultura l'abbiamo smarrita quando abbiamo rinunciato a richiamare, nel preambolo della Costituzione, le nostre radici ebraico-cristiane.
Lo stesso inno che citavo poco prima ci dice anche: fratelli, oltre la volta stellata del cielo ci deve essere un Padre che ci ama (Applausi dei deputati del gruppo Per l'Italia – Centro Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Burtone. Ne ha facoltà.
GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Signora Presidente, l'appuntamento del 18 e 19 dicembre è molto importante per il nostro Paese, può essere l'occasione per lasciare un segno alla fine della presidenza italiana dell'Unione europea. L'augurio che noi facciamo al Presidente del Consiglio è che l'Europa possa passare idealmente da una porta girevole, entrare con l'abito del rigore senz'anima e uscire, invece, con la forza degli investimenti, dell'impegno per la crescita e per lo sviluppo.
Sul Piano, non è necessario snocciolare dati; conosciamo qual è la portata degli investimenti che si vogliono realizzare. Diciamo però che bisogna fare subito, che non bisogna avere ritardi e, soprattutto, che dobbiamo finalizzare gli investimenti, guardare alle reti infrastrutturali, guardare all'istruzione, alla ricerca, ma anche alla protezione sociale. In Europa ci sono tanti giovani sfiduciati che non trovano lavoro, è una sorta di esperanto del pessimismo. Bisogna attivare una serie di protezioni sociali, non per evitare l'invulnerabilità, ma per dare il segnale che non si è soli. Da questo punto di vista il suo Governo, Presidente Renzi, sta già operando, ci sono alcune politiche per intervenire sulla fragilità sociale, impegni per la solidarietà e, come uomo del meridione, io non posso non sottolineare l'impegno che Pag. 19lei sta promuovendo nei confronti del sud, con una presenza attiva, una presenza orientata ad incontrare giovani, operai nelle aziende, donne, anziani e tutto ciò avviene in uno spirito che ha come obiettivo l'intervento strutturale verso il Mezzogiorno. Un intervento che stiamo vedendo promuovere soprattutto dal suo Governo, perché lei ha toccato anche i punti caldi della crisi, la presenza nelle aree in difficoltà, da Gela a Taranto, in Campania e in Calabria. Certo, il Mezzogiorno deve fare la propria parte. Con questo Piano ci saranno grandi risorse, oltre 80 miliardi di euro da qui al 2020.
Su questo vogliamo dire una cosa molto netta, signor Presidente, il suo Governo sta incalzando le regioni; vediamo un'azione positiva, non soltanto sua, ma anche del sottosegretario Delrio. Bisogna però continuare, bisogna tallonare le regioni, perché c’è un dato che noi vogliamo sottolineare: nel passato queste risorse, in maniera immorale, non sono state utilizzate. Purtroppo, abbiamo avuto tante, tante responsabilità delle classi dirigenti nazionali, ma anche meridionali, ora bisogna avere la capacità di incidere, soprattutto in un'area che ha ancora gravi problemi di povertà, di occupazione. Queste risorse possono essere fondamentali per dare una spinta agli investimenti, per determinare un nuovo piano per l'occupazione e per evitare la desertificazione che, purtroppo, vive il Mezzogiorno.
Mi avvio alla conclusione, Presidente. Lei proprio ieri, signor Presidente del Consiglio, ha candidato la nostra l'Italia alle olimpiadi del 2024. Sono stato lieto, fiero, da italiano e da sportivo, per quello che lei ha fatto e sono sicuro che saranno sconfitti nichilismo e pessimismo di coloro i quali avanzano sempre perplessità. Ecco perché io le faccio l'augurio che, con riferimento alle olimpiadi, quella del 18 e 19 dicembre possa essere una staffetta per la finale, una finale che l'Italia con lei può vincere, per le cose che lei ha detto e per quello che lei ha fatto, perché se vince l'Italia, in questo caso, vince anche un'Europa che lascia gli abiti del rigore senz'anima e guarda allo sviluppo, alla crescita e alla solidarietà (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Florian Kronbichler. Ne ha facoltà.
FLORIAN KRONBICHLER. Grazie Presidente, egregio Presidente del Consiglio, comprendo che non può essere sua ambizione dire cosa e quanto, nel semestre europeo a presidenza italiana, non è riuscito a fare. Ma, signor Presidente, se si lasciasse condurre dal suo noto senso per l'essenziale, ora qui avrebbe parlato delle cose non fatte. Perché è questo il tema, è questo lo stato d'animo di gran parte dei cittadini italiani: perché non siamo riusciti a fare qualcosa di più del nostro semestre europeo. Avevamo tante speranze e invece c’è stata una delusione. Ottimisti incalliti, però, quali siamo, non abbiamo cessato ancora di credere in Gesù bambino. Possibile, quindi, che lei ora, alla vigilia di Natale, in questo ultimo Consiglio dell'Unione europea del 18 e 19 dicembre, e con qualche proposta, o meglio soluzione, riesca a smentirsi. Faccia qualcosa di europeo alla chiusura del semestre italiano così poco europeo e sarà il nostro più bel regalo di Natale. Si prenda l'impegno, per esempio, imprescindibile della revisione dei Trattati europei a partire dal fiscal compact, correggendo i vincoli del 3 per cento e del debito al 60 per cento che sono del tutto arbitrari ed assurdi. Richiami – ha parlato tanto della politica estera – prima fra tutti la Germania al suo dovere di non far deperire, con la sua posizione rigorista ed egoista, i buoni rapporti con i suoi partners europei più deboli, l'Italia specialmente. L'incontro dei due Presidenti Napolitano e Gauck, la settimana scorsa a Torino, ci ha fatto cogliere segnali che i Capi di Stato, almeno nella diagnosi, si trovano d'accordo. Quanto alla terapia, spetta ai Governi, spetta a lei, signor Presidente, muoversi in tempo. Già si aggira, almeno nella pubblicistica italiana, lo spettro di una Germania quale «quarto Reich».
Sono timori che solo con una politica bilaterale ed europea più attiva possono Pag. 20essere fugati. Presidente Renzi, proponga, con forza, alla fine del suo anno, anzi, del suo mezz'anno europeo, qualcosa di verde. Proponga un Green New Deal, un Piano verde europeo per l'occupazione; dia priorità ad interventi che rispettino il diritto ad un ambiente sano ed integro, al contrario di quanto fanno molte grandi opere che devastano il territorio senza nemmeno creare lavoro. Agevoli la riconversione dei consumi di combustibili fossili.
Si è appena conclusa questa domenica, a Lima in Perù, la ventesima Conferenza dell'ONU sul clima. Si è conclusa all'insegna quasi della rassegnazione. In vent'anni di Conferenze mondiali la produzione mondiale di CO2 non solo non è diminuita, ma è aumentata del 50 per cento; venti anni fa, fin dalla prima Conferenza a Rio, Alexander Langer, che lei anche cita volentieri, in un memorabile discorso disse: la conversione ecologica non ci sarà, se non riusciamo a renderla socialmente desiderabile. La sua prognosi si sta dimostrando fatalmente profetica.
La settimana scorsa, l'Espresso ha pubblicato un sondaggio sulle priorità degli italiani: primeggia, logico, di gran lunga il problema della disoccupazione. Ma, nella graduatoria, fra i quindici più pregnanti problemi, dell'ambiente nessuna traccia. Signor Presidente, riporti all'ordine del giorno l'ambientalismo.
Non ho notato nell'agenda del semestre italiano l'incentivazione di un'agricoltura biologica e multifunzionale. Su iniziativa di un nostro compagno, Franco Bordo, si è tenuta, un mese fa qui al Parlamento, una conferenza dal titolo «Coltiviamo il futuro», a cui ha pure partecipato il suo Ministro dell'agricoltura. Un contadino delle mie parti pure è intervenuto, biologico ovviamente, ed ha riferito di un'iniziativa esemplare nel suo comune. È il comune di Malles in Alta Val Venosta, provincia di Bolzano, 5 mila abitanti. C’è stato un referendum con la partecipazione di oltre il 70 per cento della popolazione e a maggioranza del 75 per cento hanno votato per l'eliminazione dei pesticidi dal territorio comunale.
Ora, la potente Lega provinciale degli agricoltori, assieme alla minoranza pro-pesticidi del posto, ricorre alle istanze europee aggrappandosi a qualche normativa che dichiari la non competenza del comune. E questa è l'Europa che viene chiamata in soccorso delle lobby agricole e industriali contro la democrazia e contro la salute in loco.
Da questa caricatura dell'Europa ci difenda, signor Presidente ! E ci difenda dagli xenofobi e dagli egoisti che vogliono dell'Europa fare un fortilizio per la sola parte privilegiata dell'umanità. Il suo Governo si faccia forte per il rispetto e la protezione dei diritti umani, dei rifugiati e dei richiedenti asilo. Il dramma profughi in Italia non si chiama solo Lampedusa, porta anche il nome di Brennero.
Sul Brennero, al confine con l'Austria, solo quest'anno ci sono stati respingimenti di 5 mila profughi da parte della polizia austriaca. Sono stati tirati fuori dai treni e giù dall'autostrada e riportati al commissariato di polizia del Brennero. Ora, la provincia, insieme alla Caritas, si è mossa e si sono messi d'accordo per mettere a disposizione una struttura provvisoria dove almeno i poveri possano ripararsi dal freddo. Ci sono manifestazioni ora in corso da parte di CasaPound e di estremisti del posto che cercano di sabotare questo minimo indispensabile per la sopravvivenza. Ritenevo utile riferire questi due esempi di un'Europa in casa nostra, in positivo e in negativo. La risoluzione di Sinistra Ecologia Libertà, signor Presidente, vuol essere un vademecum per lei. Ne tenga conto in quest'ultimo appuntamento che la sua Presidenza europea le offre (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Alli. Ne ha facoltà.
PAOLO ALLI. Signor Presidente, signor Presidente Renzi, è difficile non essere d'accordo sul suo intervento soprattutto là dove lei ha ricordato – uso le sue parole conclusive – che la politica estera è il luogo della dignità della politica comunitaria.Pag. 21
Giustamente lei ha rivendicato la scelta del ruolo di Alta rappresentante per Federica Mogherini non come una scelta di ripiego ma come una scelta strategica e io credo che il nostro Paese sarà misurato a livello internazionale anche sul successo di Federica Mogherini, che quindi andrà fortemente sostenuta in un lavoro non semplice.
Io credo che, però, il tema della situazione internazionale che nel Consiglio sarà focalizzato sull'Ucraina e sulla Russia – e lei ha speso qui parole assolutamente condivisibili – però ci debba vedere fortemente impegnati ad affermare, in ambito europeo, il tema del Mediterraneo e di quanto accade nella sponda sud del Mediterraneo, in Medio Oriente e nel nord Africa, perché i rischi connessi al califfato, al conflitto persistente Israele-Palestina, al dramma della Libia e alla complessità dei fenomeni che accadono sul Sahara comportano rischi non inferiori a quello che comporta la situazione Ucraina. Noi non dobbiamo stancarci di richiamare questa realtà, come stiamo facendo per esempio nell'ambito dell'Assemblea parlamentare della NATO, grazie alla guida del Presidente Manciulli, costantemente.
E dico questo perché i successi sul tema dell'immigrazione, che lei ha giustamente richiamato e rivendicato al nostro Governo, non sono sufficienti ancora a dire che l'Europa oggi considera il Mediterraneo come il confine sud dell'Europa e non il confine sud dei singoli Paesi che lo compongono.
Quindi, su questo io le chiedo, noi le chiediamo di essere costantemente un punto di riferimento all'interno dell'Unione europea e in questo contesto complesso mi permetto di ricordare un tema, che già il collega Buttiglione ha accennato. Tra tanti drammi che stanno accadendo nell'area mediorientale, nel quadrante nord-africano, quello delle minoranze religiose, perseguitate in Iraq e in Siria, è stato troppo facilmente e rapidamente dimenticato. Qualche giorno fa il deputato cristiano iracheno Emad Yukhana ha ricordato, ancora una volta, le dimensioni apocalittiche di quel fenomeno. Ora l'Unione europea è generosa, è il primo donatore mondiale nel campo della cooperazione internazionale, ma la generosità non ha limiti; se è generosità vera non deve avere limiti. Quindi, se questa è una situazione di grave emergenza si deve andare anche oltre gli strumenti normali di cooperazione.
Nella seconda parte del suo intervento lei ha parlato del piano Juncker. Io non entrerò nel dettaglio di questo piano, ma mi limiterò a dire che le strumentazioni tradizionali che l'Unione europea ha messo in campo fin qui, per sostenere lo sviluppo e la crescita, si sono dimostrate ormai inadeguate di fronte alla sfida dei tempi. Sono inadeguate sotto due profili: sia quello dei contenuti, sia quello del metodo di implementazione. Quindi, ben venga il coinvolgimento del settore privato, ben venga il coinvolgimento della Banca europea degli investimenti, ben vengano atteggiamenti di responsabilità complessiva e anche strumentazione nuova.
Ma io vorrei mettere in evidenza un altro elemento: il tempo. Anni fa il tempo non era una variabile determinante come oggi, per cui l'Unione europea si è impigrita. Gli strumenti non erano efficaci, soprattutto perché erano fuori dal tempo. Le ricordo i piani settennali sulla ricerca e sull'innovazione. Essi venivano fatti – e ancora oggi siamo dentro un programma settennale – stabilendo delle priorità che valevano per i prossimi sette anni. Ma qualcuno mi deve spiegare come facciamo oggi a sapere quali saranno le esigenze della ricerca fra sette anni.
Quindi, occorre, all'interno degli strumenti, una tempestività di intervento e margini di flessibilità per adeguare questi strumenti ai contesti mutevoli. Quindi, bisogna lottare contro la burocrazia europea, che rende spesso inapplicabili o, comunque, non efficaci gli interventi, perché l'efficacia è oggi la maggiore responsabilità di chi governa.
Il piano Juncker sarà operativo a metà del 2015. A metà del 2015, signor Presidente, potrebbero esserci esigenze diverse da quelle che ci sono oggi. Allora, se quel programma non avrà dentro di sé tutti gli Pag. 22elementi di flessibilità, di rapidità di attuazione, di semplicità di fruizione da parte degli utenti, noi faremo, ancora una volta, un programma teorico e che non avrà, come dire, le conseguenze positive che si vuole che abbia.
Un'ultima considerazione. Sono assolutamente condivisibili le priorità di investimento che sono state elencate, oltre a quello che lei ha detto, sulla necessità di potere escludere dal Patto di stabilità i fondi dei Paesi che versano ma anche i fondi propri dei Paesi che investono in determinati settori. Quindi, è chiaro che i temi dell'energia, della formazione, della ricerca, della banda larga, come lei ha ricordato, delle infrastrutture sociali, sono temi fondamentali, assolutamente condivisibili.
Mi permetta di aggiungere al termine «investimento» una considerazione magari un po’ poco popolare in questo ambito. Io credo che il tema degli investimenti per la difesa sia da considerare in una prospettiva diversa oggi rispetto a quella che è sempre stata la prospettiva nella quale sono state poste queste spese. Si è sempre parlato di spese per la difesa; bisogna tornare a parlare di investimenti per la difesa, perché la sicurezza dei nostri cittadini è la precondizione perché la nostra vita possa essere una vita serena e, quindi, perché ci possa essere quello sviluppo e quella crescita che tutti auspichiamo.
Lei ha ricordato il fatto gravissimo accaduto a Sidney, ma dalle Torri gemelle in poi vi è stata tutta una serie di eventi che hanno minato la sicurezza dei cittadini dentro la propria testa e dentro il proprio cuore.
Bisogna avere tutti gli strumenti possibili per difendere i nostri cittadini sotto questo profilo, quindi non dimentichiamoci mai anche che gli investimenti per la difesa sono investimenti per la nostra sicurezza (Applausi dei deputati del gruppo Nuovo Centrodestra).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Silvia Benedetti. Ne ha facoltà.
SILVIA BENEDETTI. Grazie Presidente, il semestre di Presidenza italiana, con l'Italia Paese di punta della triade Grecia, Italia e Lettonia, poteva essere molto incisivo su diversi fronti, compreso quello dell'agricoltura; invece ci viene il dubbio che nemmeno il Governo conosca bene le sue prerogative in questo ruolo e non solo. Un esempio può essere la questione dell'embargo russo: l'embargo è il risultato di una inconsapevolezza politica grave, perché chiaramente ha portato le sue conseguenze su tutto il comparto agroalimentare dei maggiori produttori europei in tale ambito.
Quindi, nel nostro Paese le conseguenze sono state un primo impatto di 30 milioni di euro per il blocco di partite di prodotti già arrivate alle frontiere russe, ma questo non bastava ovviamente: sono finiti sotto embargo il 23 per cento dei prodotti che normalmente esportavamo in Russia, come pesche, nettarine, mele, pomodori e peperoni. Il valore totale di questo export verso la Russia è stato quantificato in 705 milioni di euro e le ipotesi di valore di perdita totale delle esportazioni italiane oscillano tra i 163 e i 200 milioni di euro, chiaramente senza considerare le conseguenze indirette di questa misura economica. Basti pensare anche al danno economico dovuto al riversarsi delle produzioni europee nel mercato interno, con effetti ingovernabili anche sui prezzi, e questo appunto è successo per pesche e nettarine, e l'abbiamo visto, oppure basti pensare al ricorso della Russia a fornitori stranieri alternativi, quindi a Paesi sudamericani, oppure alla Turchia, alla Serbia e all'Egitto. Quindi, adesso ci viene anche il dubbio di vedere come verrà condotto il post accordo di Chisinau, ammesso che siate ancora capaci di fare scelte che non danneggino il settore primario.
D'altronde, ci saremmo aspettati da questa classe dirigente e da lei, Renzi, una politica estera più oculata sulle conseguenze di provvedimenti come sanzioni e embarghi, soprattutto perché questi danni per milioni di euro sono stati solo parzialmente indennizzati dall'Esecutivo comunitario. Dunque, lei, Renzi, ha negoziato Pag. 23la candidatura dell'Alto rappresentante PESC, quindi un ruolo insignificante al di là del nome, perché l'Unione europea non ha una politica estera, e ha venduto questa cosa come un grande risultato, in cambio della rinuncia ai posti chiave nelle direzioni generali, dove Germania e Regno Unito hanno messo i loro direttori generali, che poi sono quelli che decidono in una realtà come attuare le politiche. Quindi, anche in Europa, come in Italia, quello che conta è più l'apparato che non la parte politica, e lei si è preoccupato più di questo risultato che non appunto di portare avanti l'intero asse del comparto primario, quando è stato il momento di decidere cosa fare con il caso russo.
Vorrei ricordare un'altra cosa con due esempi. C’è la vendita di risultati che non esistono: ad esempio, si parla del rinvio dei controlli sui nostri conti, sui conti italiani, ma – ricordiamolo – è un rinvio, quindi va da dicembre a marzo, e questo non comporta certo una maggiore flessibilità nella gestione delle risorse. Infatti, basti pensare a quanto influisce sulla nostra capacità di sfruttare i fondi europei il Patto di stabilità interno alle regioni, per esempio.
Per quanto riguarda il piano Juncker, gli iniziali 300 miliardi annunciati dal candidato alla Presidenza della Commissione sono divenuti poco più di 21 non appena eletto. Non si sa ancora chi li mette e, oltretutto, c’è un complicato sistema di leverage, che ha già fatto danni e non assicura nulla della moltiplicazione attesa, perché abbiamo un'Europa tutta in recessione. Quindi, ci domandiamo, ad esempio, in maniera molto pratica, per quale motivo un privato dovrebbe investire soldi sulla costruzione di una strada dove probabilmente non passerà mai nessuno.
Pertanto, agli sgoccioli di questo semestre di Presidenza italiana, le facciamo i complimenti, Renzi; complimenti perché, più che mirabolanti soluzioni per lo Stato membro Italia, quello che ci ha assicurato sono elevate frustrazioni (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Emanuele Prataviera. Ne ha facoltà.
EMANUELE PRATAVIERA. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, si sta per chiudere il sipario, di fatto, su un semestre che ha visto la presidenza italiana, ma è un sipario del quale nessuno si è accorto, o meglio, nel quale qualcuno ha cercato di recitare la parte del presidente, ma ad applaudire non vi è stato nessuno. E non vi è stato nessuno, nemmeno questa mattina, a sentire il discorso di un Presidente del Consiglio in evidente imbarazzo anche a cercare di spiegare quello che egli crede di poter fare nei prossimi due giorni di lavoro a Bruxelles, ma che non ha trovato riscontro proprio dai suoi stessi sostenitori in quest'Aula, perché, probabilmente, impegnati in questioni più urgenti, distanti da questo emiciclo.
Comunque, noi abbiamo presentato una risoluzione con la quale le suggeriamo di salvare almeno il salvabile, di salvare una performance che, di fatto, è stata mediocre, per essere molto generosi, e per creare uno scatto di reni finale, che ci sentiamo comunque di proporle, perché rappresentiamo la gente, la gente onesta, quella che si sveglia la mattina e che ha voglia, comunque, di lottare, continuare a lottare, continuare a credere che ci possa essere un minimo di futuro e qualcuno che, magari, la rappresenti.
Dopodomani voi tratterete un'agenda straordinariamente fumosa, un'agenda straordinariamente vaga nei principi, negli obiettivi e, soprattutto, nei contenuti, e questo va detto proprio perché voi avete una responsabilità su queste questioni. E questo non fa sicuramente pensare bene, soprattutto perché al primo ordine del giorno vi è la questione del rilancio, del tentativo di rilancio dell'economia attraverso l'investimento di 300 miliardi di euro, che, però, noi vorremmo che lei assecondasse la nostra richiesta di sigillare a supporto delle aziende, delle piccole e medie aziende, e non a supporto, invece, di giochi di finanza erogati a favore delle banche perché possano comprare titoli di Pag. 24Stato, e quindi, indirettamente, salvare una parte anche del bilancio fallimentare del suo Governo.
Noi chiediamo, infatti, di dare un deciso stop alla speculazione finanziaria e di tornare a investire nella produzione reale, quella in cui chi si sporca le mani lo fa proprio perché lavora, e non perché delinque. È per questo che noi chiediamo anche di tutelare il nostro made in: avete perso più di cinque mesi a parlare di questo, ma nemmeno avete affrontato la questione. Ne ha parlato sicuramente in televisione, ai media, ma poi, nelle stanze in cui conta, non abbiamo apprezzato un suo reale impegno in questi contesti.
Di fatto, chiediamo anche con un impegno ben preciso nella nostra risoluzione di suggellare questo principio anche all'interno degli accordi, dei trattati del TTIP, l'Accordo transatlantico per il libero scambio; atti che sono secretati, lo sa, e sicuramente questo non ci fa pensare bene. La invitiamo, però, oltre che a guardare ad ovest, alla storica alleanza atlantica, a guardare un po’ anche ad est. Lei ha fatto accenno al 25o anniversario della caduta del muro di Berlino e ha fatto un accenno anche al fatto che sia necessario abbattere i muri per costruire ponti; invece, noi registriamo che lei ha demolito un ponte, che è quello che andava ad est dell'Europa, e ha fatto in modo, ha contribuito a fare in modo, che ora il gigante Russia guardi e stringa accordi con la Cina, che, notoriamente, non ha mai fatto gli interessi del nostro Paese e delle nostre aziende, e quindi del nostro territorio e delle nostre famiglie.
Riapra il problema della Russia, signor Presidente, non lo dia per assodato; non continui a far pagare ai cittadini il prezzo di una guerra fredda, una nuova guerra fredda, in questo caso economica, perché, appunto, il prezzo non lo paga lei, ma lo paga chi si sveglia la mattina e, purtroppo, è costretto a sorbirsi le sue prediche. Di fatto, noi abbiamo perso, grazie ad una vera e propria sudditanza di questo Paese, che lei ha favorito, miliardi di euro di commesse delle nostre aziende; posti di lavoro reali, che sono stati persi, che sono compromessi comunque, perché, grazie alle sanzioni alla Russia, ovviamente, tutto questo è vanificato (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).
L'annuncio di Putin di cancellare poi il South Stream, che lei ha bollato con un semplice «e chi se ne frega», per noi, invece, è una grave perdita, soprattutto se il suo gioco è quello di fare in modo che la dipendenza energetica dell'Italia passi dalla Turchia. È per questo che lei spera che la Turchia entri in Europa, perché il gasdotto passi per la Turchia. Questo è un fatto che noi non possiamo accettare, anche in considerazione delle ultime evoluzioni interne al Paese turco, come l'occhio strizzato all'ISIS, che le ricordo noi stiamo combattendo anche con un impegno economico e di risorse umane, e anche in nome di quella democrazia, che lei tanto si vanta di voler portare in Europa, perché all'interno dello Stato turco, pochi giorni fa, sono stati arrestati una ventina di giornalisti accusati di essere contro il Governo attualmente in carica.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
EMANUELE PRATAVIERA. Questa è l'Europa che lei vorrebbe ? Vorrebbe davvero un inquilino del genere nel nostro Palazzo ? E per rimanere in area mediterranea, Presidente, quali risultati ha portato a casa in ordine al contrasto e alla lotta all'immigrazione clandestina ? Si è fatto finanziare Triton, ma Triton è, di fatto, supportato da pochissimi Stati, da pochissime economie, segno evidente, ancora una volta, che i partner europei che contano, si smarcano dalla sua politica. Lei ha delle responsabilità dirette, proprio perché è stato il Presidente del semestre europeo e non è riuscito a far valere le nostre ragioni, le regioni dei nostri concittadini in sede europea.
Quindi, signor Presidente, noi la invitiamo ad essere all'altezza di questo ruolo, appoggiando la nostra risoluzione. Una risoluzione che è estremamente pragmatica, che va a fare gli interessi di tutti i nostri concittadini, delle aziende del nord-est, del nord, che, in particolare, Pag. 25stanno pagando il prezzo altissimo della vostra politica scellerata, e che voi, ancora una volta, vi rifiutate di voler trattare. Sono quattro punti di una risoluzione che vi può impegnare due giorni di lavoro assidui.
PRESIDENTE. Concluda.
EMANUELE PRATAVIERA. Veramente è una critica costruttiva quella che le facciamo, non vorremmo che, a seguito anche dell'insuccesso della sua esperienza in Europa, che si sta rilevando estremamente inconcludente, poi ci possano essere anche delle ripercussioni interne al suo stesso Governo, perché le faccio notare che è seduto da solo, è stato per buona parte seduto da solo, durante il dibattito di queste comunicazioni (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Berlinghieri. Ne ha facoltà.
MARINA BERLINGHIERI. Signor Presidente, come è stato ben sottolineato da tutti coloro che mi hanno preceduto, il tema che si andrà a dibattere durante questo Consiglio europeo riveste particolare importanza. Infatti, dopo anni di discussione improntata a politiche di rigore, grazie anche alla battaglia svolta dal Governo italiano, durante questo Consiglio si esamineranno gli ulteriori sforzi da compiere per favorire la crescita, l'occupazione e la competitività europea. Nel 2013, circa 60 Paesi su 220 nel mondo, hanno avuto un tasso di crescita superiore al 5 per cento annuo. Di questi 60 Paesi, 27 si trovano nel contenente africano, 23 in Asia, 6 in Sudamerica, e solo uno in Europa, la Moldavia. Se a questo dato si aggiunge il fatto che, sempre nel 2013, il PIL reale dell'Unione europea a 28 Paesi, è cresciuto di appena lo 0,1 per cento, e che negli ultimi dieci anni la crescita annua del PIL reale dell'insieme dei Paesi comunitari è stata in media appena dell'1,6 per cento annuo, allora appare, con tutta evidenza, l'urgenza di affrontare la questione del modello di sviluppo economico dell'intera Europa e dell'Italia in particolare. L'OCSE nell'aggiornare le stime di crescita delle principali economie, nel settembre 2014, ha rilevato come l'area euro, globalmente considerata, stia lentamente riemergendo dalla crisi, anche se molti dei Paesi che ne fanno parte evidenziano ancora una crescita molto debole.
Crescita debole e livelli di disoccupazione altissimi sono strettamente collegati al fatto che, negli anni della crisi, i livelli di investimento in Europa sono precipitati: dal 2007 al 2014 sono diminuiti di circa 430 miliardi di euro, una riduzione del 15 per cento, con picchi del 22 per cento in Italia e del 31 per cento in Spagna.
Se leggiamo questi dati congiuntamente a quelli demografici, vediamo che il dato che emerge in modo netto è la sempre maggiore marginalizzazione dell'economia europea, che con ogni probabilità sarà arrestabile solo con una visione nuova dello sviluppo economico e l'attivazione di conseguenti strategie operative.
In tali circostanze, attuare misure che promuovano gli investimenti in Europa è una sfida politica fondamentale, anche a fronte del fatto che le risorse del bilancio comunitario non sono sufficienti per attivare un intervento pubblico finalizzato al rilancio degli investimenti.
Lo stesso Fondo Monetario ha stimato che un aumento delle spese in investimenti pari all'1 per cento del PIL incrementerebbe il prodotto di circa lo 0,4 per cento nello stesso anno e dell'1,5 per cento nei 4 anni successivi.
L'Europa dunque, per affrontare la complessa e difficile situazione economica in cui versa, deve sviluppare una politica comune di investimenti pubblici, specie nei settori che stimolano la crescita come le infrastrutture, l'istruzione e la ricerca ed assicurare a tutti i Paesi la possibilità di ricorrere appieno alla politica di bilancio nazionale come strumento anticiclico, utilizzando tutti i margini di flessibilità esistenti per favorire la ripresa e sviluppando un'azione, a livello dell'Unione europea, Pag. 26per allentare ulteriormente i vincoli che impediscono di contrastare efficacemente le fasi avverse del ciclo economico.
In questo senso, ci pare molto positivo il piano di investimenti per rilanciare la crescita annunciato il 26 novembre scorso dalla Commissione europea, con la previsione di un nuovo fondo europeo per gli investimenti strategici garantito con fondi pubblici, di una riserva di progetti accompagnata da un programma di assistenza per incanalare gli investimenti dove sono maggiormente necessari, di una tabella di marcia per rendere l'Europa più attraente per gli investimenti ed eliminare le strettoie regolamentari.
Dentro a questo piano ci pare elemento molto positivo lo scorporo degli investimenti dal calcolo del deficit: è un passo che riteniamo importante, ma che, come ha ben ribadito anche lei, Presidente del Consiglio, deve essere il primo per arrivare a prevedere anche lo scorporo dei cofinanziamenti nazionali e regionali per la politica di coesione.
Solo con questa misura, infatti, l'Europa avrà pienamente preso atto del fatto che la spesa per gli investimenti a tutti i livelli non è spesa corrente, ma meccanismo positivo per la crescita.
Nell'era digitale la corsa all'innovazione, alle competenze ed ai mercati costringe tutti i nostri Paesi a giocare d'anticipo e ad adattarsi per poter prosperare.
La scarsità di risorse naturali, il costo dell'energia e gli effetti dei cambiamenti climatici sono sfide importanti.
L'attuale dipendenza energetica rende l'Europa vulnerabile.
In tutto il mondo la radicalizzazione e l'estremismo sono motivi di preoccupazione.
La stabilità geopolitica delle nostre stesse frontiere non può essere data per scontata e le tendenze demografiche rappresentano una sfida.
L'invecchiamento della popolazione mette sotto ulteriore pressione i sistemi previdenziali e i flussi migratori irregolari richiedono risposte comuni ed un'azione concertata.
L'obiettivo per i prossimi anni deve essere dunque quello di fornire alle nostre società strumenti per il futuro e per promuovere la fiducia.
I Paesi europei si trovano in una posizione privilegiata per realizzare il cambiamento, sia singolarmente che collettivamente, come Unione.
La nostra diversità è una ricchezza, la nostra unità crea forza. Nella nostra Unione vi sono gradi diversi di cooperazione ed integrazione. La nostra politica di allargamento continua a favorire la democrazia e la prosperità.
Salutiamo perciò come fatto positivo la consapevolezza dimostrata dalle istituzioni europee del fatto che l'Europa ha oggi più che mai bisogno di lavoro, crescita, equità e più democrazia e che dunque, in forza di questo, le priorità dell'agenda europea stanno gradualmente cambiando. Se l'obiettivo della disciplina di bilancio ha giocato un ruolo di primo piano in questi anni di crisi, bloccando investimenti e crescita, oggi l'attenzione deve spostarsi sull'economia reale e sulle imprese.
Il piano per la crescita e la competitività deve quindi promuovere la concentrazione degli investimenti nei settori cruciali: reti energetiche e di trasporto, energie rinnovabili ed efficienza energetica, istruzione, ricerca ed innovazione, economia digitale, banda larga, infrastrutture sociali, prevenzione del dissesto idrogeologico, garantendo agli investitori privati programmi economicamente solidi.
Il piano proposto dal Presidente Juncker per gli investimenti strategici è un primo passo verso una politica europea maggiormente orientata agli investimenti ed alla crescita, ma va rafforzato, perché non appare ancora sufficiente ad attivare la ripresa del ciclo economico.
Parlare infatti di competitività, crescita ed innovazione significa anche affrontare il tema di un piano strategico a sostegno delle imprese e dell'industria.
Le imprese hanno bisogno di quattro elementi per avviare la crescita: un mercato, l'accesso ai mezzi di produzione, un'industria intelligente, dove innovazione Pag. 27sia la chiave dell'investimento industriale, e un quadro regolamentare semplice e sicuro.
Per agevolare l'accesso delle imprese ai mercati, bisogna completare il mercato interno dei servizi, far progressi nella creazione di un mercato interno digitale e nel completamento delle grandi reti infrastrutturali. È fondamentale facilitare l'accesso delle imprese europee ai mercati globali: i nuovi accordi bilaterali di libero scambio con i nostri principali partner commerciali, a cominciare da quello con gli Stati Uniti, svolgono in questo un ruolo chiave.
Il completamento del mercato interno è fondamentale anche per quanto riguarda l'accesso ai mezzi di produzione. Bene il pacchetto di azioni, per i prossimi sette anni, in materia di energia, cambiamento climatico e ambiente.
Molta strada dobbiamo fare, invece, riguardo alle competenze. Dobbiamo intraprendere un'ambiziosa campagna per migliorare le competenze e le capacità dei giovani e dei cittadini europei. Il programma Erasmus plus ha dato buona prova, attivando programmi di interscambio per oltre quattro milioni di giovani, tra cui 650 mila tra studenti e apprendisti. Ora è esteso anche agli imprenditori. Molte cose, quindi, sono state messe in campo e molta strada rimane da fare.
Nel ribadire l'apprezzamento per quanto è stato fatto fino ad ora, chiediamo dunque al Governo, al quale diamo il nostro sostegno e l'appoggio concreto, di continuare la battaglia intrapresa per riportare al centro dell'Europa la politica, che è visione della polis, della casa comune, nella consapevolezza che, per fenomeni e problemi di lungo termine, occorrono strategie politiche di lungo termine, in grado di superare l'approccio di breve periodo che fino ad oggi ha prevalso, in direzione di una convergenza non solo trasversale ai vari orientamenti politici, ma anche ai diversi approcci nazionali sulle questioni economiche, come la vicenda del Patto di stabilità e del fiscal compact ha con chiarezza evidenziato, nella consapevolezza che non saranno né facili né rapide né indolori le misure che occorrerà attivare per contrastare la decadenza economica del vecchio continente e, se possibile, avviare un rinascimento economico europeo.
Abbiamo di fronte – e concludo – una sfida epocale e grande è la responsabilità cui siamo chiamati alla quale non intendiamo sottrarci. È una sfida che deve essere vinta attraverso un'alleanza di intenti e di proposte fra i soggetti più dinamici e sani della nostra società (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Vacca. Ne ha facoltà.
GIANLUCA VACCA. Grazie, Presidente. Presidente Renzi, lei è un grande retore, non c’è che dire, e anche oggi l'ha dimostrato. Però, la scuola di retorica cui appartiene non è tanto quella classica aristotelica, piuttosto che di Quintiliano, ma è molto più contemporanea: una scuola che potremmo definire berlusconiana, e mi perdonino Aristotele e Quintiliano per l'accostamento. La sua retorica è uno sterile e del tutto inconsistente esercizio verbale, come lo è la lallazione infantile, dove il bambino prova piacere ad ascoltare i propri suoni senza senso. Lei d'altronde sembra proprio che si diverta a dire parole vuote, che descrivono realtà fantasiose e dunque fraudolente perché ingannano i cittadini.
In questo semestre di Presidenza, il suo Governo poteva almeno risparmiare all'Italia l'umiliazione di parlare, per il tramite della Ministra Giannini – sempre che sia ancora Ministra, beninteso –, di programmi europei in merito a istruzione e cultura. Chissà che cosa avranno pensato i rappresentanti degli altri Paesi e le risate che si saranno fatti sentendo la Ministra pronunciare queste parole: «All'Italia è affidata la responsabilità e insieme l'opportunità di farsi portavoce di alcune linee strategiche nei settori dell'istruzione e della formazione, che potranno a loro volta costituire importanti priorità e parole chiave della nuova programmazione Pag. 28europea». Caspita ! O ancora: «È mia profonda convinzione che l'attuale quadro di crisi nel quale l'Europa si trova possa essere superato solo con investimenti significativi nell'istruzione e nella ricerca». Solo con investimenti significativi dell'istruzione nella ricerca. Forse, Presidente Renzi, la Ministra alludeva a qualche sua futura partecipazione alla Ruota della fortuna, dopo quella fortunata di vent'anni fa, nella speranza, magari, di trovare qualche soldo per l'istruzione. Perché, vede, lei sa benissimo che di investimenti in ricerca, scuole e università pubbliche non c’è traccia nel suo devastante anno di Governo. Anzi, le leggi di bilancio e di stabilità prevedono quasi un miliardo e mezzo di tagli al comparto, tra i quali: meno 120 milioni alla ricerca, meno 200 milioni circa all'università, meno 180 milioni di fondi alle scuole, meno 900 milioni di tagli complessivi per la scuola pubblica – sia ben chiaro –, perché, invece, quelle private potranno giovare di un bel regalino di 200 milioni (legge di stabilità), che fa arrivare il Fondo per le paritarie a quasi 500 milioni direttamente assegnati dal Ministero: una cosa che neanche Berlusconi o Monti erano arrivati a fare.
C’è il capitolo dell'edilizia scolastica e sicurezza. Dei 3 miliardi e mezzo di euro promessi a inizio del suo mandato fino ad ora poche briciole – peraltro, già stanziate dai Governi precedenti – e nulla più. Inoltre, 13 milioni di euro di tagli alla tutela dei beni culturali, nonostante le sue dichiarazioni rassicuranti di ottobre; 13 milioni di euro di tagli alla tutela dei beni culturali.
Queste, al di là delle vuote parole, Presidente, sono cifre reali, inoppugnabili. È facile parlare di Europa solo quando conviene, come è facile ignorarla quando, invece, metterebbe a nudo le balle che da quasi un anno lei va ripetendo agli italiani e anche ai suoi colleghi europei (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
Impietosi sono i confronti con la quasi totalità dei Paesi OCSE in materia di spesa per quello che dovrebbe essere l'investimento prioritario di ogni Governo. L'Italia destina meno risorse di tutti in ricerca, istruzione, università e cultura. Nella sua legge di bilancio, al capitolo dell'istruzione è destinato l'8,6 per cento di spesa pubblica, l'8,6 per cento contro la media UE dell'11 per cento, alla cultura poco più dell'1 per cento, contro la media dell'Unione europea del 2,2 per cento; nella sua legge di bilancio, non in quella degli altri. È lontanissima dagli obiettivi Horizon 2020, come lei ben sa, quegli stessi obiettivi che lei, in quanto Presidente di turno del Consiglio dell'Unione europea, avrebbe dovuto rafforzare e perseguire.
Il punto è solo uno e la sua attività di Governo lo sta svelando con lucidità: lei, Presidente, è un fedele servitore dell'Europa, ma non di quella dei popoli, delle culture e della conoscenza – no ! –, bensì di quella delle banche, delle lobby del petrolio e dei grandi poteri economici, che, grazie a lei e ai Governi precedenti, stanno spolpando l'Italia come fosse un osso nella bocca di cani rabbiosi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Lei è il servo apparentemente astuto, ma in realtà sciocco, che, come in una commedia plautina, si affanna per accontentare il suo padrone. Il dramma che rende la commedia una tragedia è che i suoi padroni, Presidente, non sono di certo gli italiani (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Andrea Mazziotti Di Celso. Ne ha facoltà.
ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO. Grazie Presidente. Signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, sono molto d'accordo con quello che ha detto il Presidente del Consiglio all'inizio sulla politica estera, perché per troppo tempo si è considerata la politica estera come una cosa poco rilevante e credo che il Governo abbia svolto molto bene il suo ruolo nella vicenda russo-ucraina. Infatti, il fatto di avere, prima, resistito alle pressioni di tutti quelli che dicevano che le sanzioni non servivano a niente e, adesso, avviato Pag. 29un percorso che possa portare a una soluzione era esattamente quello che doveva essere fatto.
Non sorprende, per una serie di motivi e dichiarazioni che abbiamo letto in questi mesi, di sentire da parte della Lega contestazioni. Sorprende un po’ di più sentire le contestazioni a un eventuale rapporto con la Turchia, dove è vero che sono successe cose gravi in relazione alla stampa, ma diciamo che non è che la Russia sia mai stata un modello di libertà di stampa. Quindi, questa scelta dell'una rispetto all'altra mi sembra vagamente interessata (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia).
Passando alla politica europea, è sicuramente giusto andare in Europa a chiedere una maggiore attenzione agli investimenti, è sicuramente giusto chiedere un approccio meno matematico e tecnocratico, come si è fatto e come è stato fatto fin dall'inizio e i risultati ci sono stati. È indubbio che le decisioni che la Commissione europea ha preso, o meglio non ha preso nei confronti di Francia e Italia e il rinvio di ogni decisione al mese di marzo siano stati il frutto di una valutazione politica, come lo stesso Presidente Junker ha detto più volte, e questo è sicuramente un successo.
È altrettanto vero che si deve fare di più e che si deve andare a insistere per ottenere quei risultati che lei, Presidente, ha prima indicato, dicendo che vogliamo di più, che vogliamo poter fare investimenti di ogni tipo sulle scuole, sulle infrastrutture, necessari per rilanciare il Paese, fuori dai vincoli di bilancio. Questo tipo di richiesta è del tutto legittima, razionale e bisogna portarla avanti. Lei lo richieda e insista con i partner europei. Ma, allo stesso tempo, non è che i partner europei quando sollevano dei dubbi abbiano poi soltanto delle colpe. Infatti, in passato i nostri soldi che dovevano andare a infrastrutture e spese – penso ai fondi europei – sono andati a destinazioni assurde per merito o colpa di tutti quelli che oggi predicano in questo Parlamento.
Quindi se noi oggi scontiamo un deficit di credibilità su dove vanno i soldi, la responsabilità è di chi prima di oggi ha governato questo Paese (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia). Quindi credo che sia giusto andare a chiedere ma credo che sia anche giusto prendere degli impegni che riguardano, da un lato, il lavoro – bisogna completare la riforma del lavoro e si può fare entro la fine dell'anno – riguardano la corruzione dove il tema, signor Presidente del Consiglio, non è soltanto quello di aumentare le sanzioni. Sui problemi della moralità politica – perché qui si cerca di dimenticare questo aspetto – devono essere i partiti a cominciare a fare pulizia e bisogna che tutti noi lanciamo un'attività, un piano, un progetto comune di moralizzazione che parta prima che arrivi un PM, bisogna far sì che i centri di corruzione diminuiscano, che si riduca la burocrazia.
Tutte queste cose, la riduzione della presenza enorme dello Stato nella nostra economia, di queste centinaia di società dove abbiamo visto che cosa si è annidato in questi anni in termini di corruzione, tutti questi interventi sono interventi che vanno fatti subito e sulla base di questo andare a chiedere poi all'Europa la flessibilità che noi vogliamo (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia). Si può fare, si può benissimo fare, sono tutti interventi che non richiedono tempo, c’è il disegno di legge di stabilità, c’è il jobs act in conclusione, c’è la riforma della pubblica amministrazione che, secondo me, deve essere ancora più aggressiva. Facciamo vedere all'Europa e ai nostri partner internazionali che queste cose vengono fatte e a quel punto recupereremo la credibilità necessaria perché non ce la si può prendere con gli altri o con i giornali stranieri se scrivono che la corruzione è dovunque perché abbiamo degli esempi purtroppo tragici. Su questo bisogna essere severi.
Lei, signor Presidente del Consiglio, è in una condizione nella quale può portare a questi risultati. Ha ottenuto ed ha un consenso e una maggioranza che le consente di fare questo e di farlo presto. Io credo che lei sia nella condizione di chi non può rallentare perché penso che in Pag. 30questo momento il nostro Paese non si può permettere di rallentare. Non si deve dar retta alle contestazioni che arrivano in questo momento e che arrivano da chi ha causato molti dei nostri problemi e poi manda le letterine alla BCE per contestarla (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia) o da chi, dell'interno stesso del suo partito, diciamolo chiaramente, il processo delle riforme lo vuole fermare – lo abbiamo visto molte volte – e magari aspettiamo di arrivare al prossimo passaggio che riguarderà l'elezione del Presidente della Repubblica per vedere la «raccolta» di tutti coloro che in questo momento vogliono fermare l'Italia anche a costo di ritrovarci la troika e le conseguenze che ci saranno. Io credo che questa sarà la grande battaglia dei prossimi mesi. Lei ha tempo ma deve correre su tutte queste riforme, dobbiamo chiuderle presto con coraggio, intervenga di nuovo sulla corruzione nel suo partito e promuovendo con gli altri partiti un grande lavoro di rinnovamento etico che parta prima che arrivino i magistrati; intervenga per ridurre l'enorme quantità di società pubbliche che ci sono, riformi la giustizia, chiuda la riforma sul lavoro. Se faremo queste cose, potremmo poi creare i presupposti di una vera crescita, i presupposti del consenso a livello europeo, del recupero di credibilità.
Su questi temi Scelta Civica è stata e continuerà ad essere il suo alleato più convinto e per questo oggi voteremo a favore della risoluzione (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Fava. Ne ha facoltà.
CLAUDIO FAVA. Presidente, siamo tutti abbastanza «antichi» in quest'Aula per sapere che il semestre europeo non è il giudizio di Dio e quindi nessuna Presidenza è in condizione di cambiare in poche settimane il destino dell'Europa. Però ci sembra al tempo stesso che il giudizio che lei ha espresso su se stesso... le chiederei di ascoltarmi, Presidente...
PRESIDENTE. Sì, per favore. Continui pure.
CLAUDIO FAVA. ...il giudizio che lei esprime su questo semestre pecca forse per eccesso di generosità. Lei chiede di rinviare il bilancio. Siamo al 16 dicembre e un bilancio è dovuto anche se ancora ci attende una riunione della Presidenza. Noi abbiamo condiviso in questi giorni il suo sentimento, più che di fastidio, di nausea per i fatti che sono accaduti in Italia e ci hanno consegnato le cronache. Coerenza avrebbe voluto che questo sentimento di nausea si traducesse in un'azione di impulso che la sua Presidenza in Europa non ha portato avanti. È il tema della lotta alle mafie, dell'attività di prevenzione e repressione nei confronti della criminalità organizzata che poteva e doveva essere un tema prioritario del semestre di Presidenza italiana per ciò che è accaduto e che accade in questo Paese e per la qualità di risorse che noi siamo in condizioni di condividere a livello europeo.
Sono occasioni mancate: da diciotto anni aspettiamo che venga messo nell'agenda della Commissione un provvedimento che riguardi, finalmente, un reato associativo di impianto europeo; da molti anni aspettiamo che venga istituita una procura europea per poter perseguire, su una geografia molto più vasta della semplice geografia italiana, le organizzazioni criminali di stampo mafioso. Tutto ciò che era nelle intenzioni di questa Presidenza, tra i punti all'ordine del giorno, è stato messo da parte.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
CLAUDIO FAVA. Ecco la ragione per cui, signor Presidente, se un suggerimento dobbiamo darle, prima di trarre lei e noi bilanci, è quello di utilizzare quest'ultima Presidenza, perché questi punti possano ritrovare la dignità politica che non hanno avuto in questi cinque mesi (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) – Liberali per l'Italia (PLI)).
PRESIDENTE. Sono così esauriti gli interventi.
Pag. 31(Annunzio di risoluzioni)
PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate le risoluzioni Speranza, De Girolamo, Mazziotti Di Celso, Dellai, Pisicchio, Di Lello, Alfreider n. 6-00100, Brunetta ed altri n. 6-00101, Kronbichler ed altri n. 6-00102, Gianluca Pini ed altri n. 6-00103 e Battelli ed altri n. 6-00104 (Vedi l'allegato A – Risoluzioni).
I relativi testi sono già in distribuzione.
(Replica del Presidente del Consiglio dei ministri)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi. Prego.
MATTEO RENZI, Presidente del Consiglio dei ministri. Signora Presidente, la ringrazio e ringrazio i deputati che hanno partecipato a questo incontro importante di valutazione e discussione. Ho visto che da parte dei colleghi della Lega è venuta un'amarezza per la mancanza di presenze al tavolo del Governo: proporzionalmente, lo dico, è decisamente superiore rispetto alla presenza che hanno avuto i signori parlamentari. Quindi, sotto questo profilo, siamo disponibili a prendere lezioni soltanto da chi dimostra, con la propria presenza, un concreto interesse a questi temi.
Certo, se uno sta al Parlamento europeo cercando di risolvere le questioni, sta al Parlamento europeo; magari, se ci sta da quindici anni, da tre legislature, può tentare di risolvere le questioni che deve in questo momento indicare agli altri, ma è la caratteristica tipica della discussione che noi abbiamo. Arrivano – lo ha detto, credo, molto bene Mazziotti Di Celso alla fine – in quest'Aula discussioni interessantissime su quello che bisognerebbe fare, che si sarebbe dovuto fare e che, però, non si è fatto.
C’è una divisione profonda in quest'Aula, anche rispetto alle tematiche europee. Molti dicono cose anche interessanti, giuste e, talvolta, persino coincidenti e convergenti: penso, ad esempio, alla necessità di «strappare» l'Europa dal rigore tecnocratico dei vincoli e dei parametri. Però, noi siamo quelli che dobbiamo farlo e dobbiamo rimediare agli errori che sono stati fatti in un passato nel quale troppo scarsa è stata l'autorevolezza del nostro Paese.
E, allora, entro nel merito, punto per punto, singolo argomento per singolo argomento, degli interventi che ho sentito, partendo da Marco Causi, che ha svolto una riflessione sui risultati del semestre persino più incoraggiante e significativa di quella che io ho fatto. Lo dico a Fava: noi non abbiamo fatto una verifica del semestre. Io ancora non so se il semestre si possa considerare chiuso, anzi, so che non si può considerare chiuso, perché fino all'ultimo giorno, fino all'ultimo Consiglio, il Consiglio Affari generali è ora in corso e sta discutendo dell'ipotesi della scuola di diplomazia unitaria, che l'Italia ha proposto da anni. È un tema importante, fondamentale, perché va nella dimensione di una diplomazia europea, che significa impostare quell'idea di Europa e quell'ideale europeo basato sulla comunità e non basato sul contratto, sul patto, sul vincolo e sul parametro.
Io non so se si possa definire come negativo o fallimentare il semestre europeo sulle politiche agricole: in questo momento, lo dico perché è arrivato dal collega di SEL un passaggio molto, molto interessante anche, che ho seguito con attenzione. Ora non vedo il collega, ma gli replico... eccolo là, si è spostato però, lei. Non ci si può spostare in questo modo, poi io non ho una frequentazione così ampia del Parlamento per vedere «scopri la differenza». Questo non va bene ! Dicevo che abbiamo sventato – mi scriveva il Ministro Martina, che sta anche lui in questo momento a Bruxelles – un taglio di 400 milioni di aiuti diretti per gli agricoltori europei proposto dalla Commissione Barroso, l'ultimo cadeau, uscendo. Abbiamo approvato il nuovo regolamento per la promozione agroalimentare, abbiamo riattivato il lavoro sul regolamento dell'agricoltura Pag. 32biologica che, anche per noi, come lei ricordava prima, è importantissimo, assolutamente centrale.
E abbiamo presentato quel piano di sostegno ai giovani in agricoltura con l'accesso ai finanziamenti BEI e l'Erasmus per la formazione. Dopo dieci anni di assenza, abbiamo ripreso il forum per la cooperazione agricola euromediterranea e sappiamo che sarà ragionevolmente l'Expo la grande occasione in cui smettere di parlare di appalti e iniziare a parlare di uno stile di vita per i prossimi anni. Quindi, possiamo avere delle opinioni diverse, ma le cose che Causi ci ha detto nel suo intervento, sono cose che mi sento di condividere totalmente, perché in realtà, oggi, noi abbiamo imposto, più che proposto, al dibattito politico europeo la necessità di un cambio di passo che naturalmente non si è ancora realizzato e definito come era fisiologico e naturale. Lo dico con affetto e rispetto all'onorevole Palese, che è intervenuto con un vibrante intervento rispetto alle difficoltà che il nostro Paese vive a partire dal 1o luglio del 2014, con il lavoro che abbiamo svolto fino ad oggi. Sono difficoltà che ci sono presenti, onorevole Palese, noi siamo assolutamente convinti del fatto che questo sia un momento delicato.
È un momento delicato a livello economico perché, lei pensi, dal 2008 ad oggi abbiamo perso 927 mila posti di lavoro. Poco serve dire qui, in quest'Aula, che, negli ultimi 12 mesi, si sono recuperate circa 120 mila unità. Il milione di posti di lavoro, in meno, che abbiamo avuto in questi anni è un milione di posti di lavoro che pesa come un macigno sulla nostra economia, ma possiamo essere disponibili, lo ha detto molto bene Carlo Dell'Aringa nel suo intervento, a riflettere, ragionare, discutere di come modificare le regole del gioco in Europa. Ci rimane un principio di amarezza per il fatto che questo tipo di dibattito non si è fatto prima.
Aggiungo, lo dico con rispetto all'onorevole Prataviera, che trovo davvero singolare che si incolpi l'Europa di mancanza di attenzione sul tema dell'emigrazione, quando – spiace tornare a ridire le stesse cose, ma probabilmente repetita davvero possono aiutare – questo tipo di approccio, in particolar modo sugli accordi Dublino, nasce da un desiderio del Governo italiano che voleva impedire all'Unione europea di sindacare la Bossi-Fini. Io non so, gentile onorevole, se ella ricorda a quale partito apparteneva l'onorevole Bossi, credo sia lo stesso al quale appartiene lei oggi, ma se c’è un motivo per cui l'Europa è stata invitata dai nostri governi in passato a non mettere il naso nelle questioni di immigrazione italiana era per difendere un provvedimento di legge sul cui contenuto non mi intrometto, perché non è oggi questo l'argomento di discussione, che però la parte politica alla quale lei appartiene difendeva e, credo, difenda ancora oggi a spada tratta. Ecco che, in questo semestre, il fatto di arrivare all'operazione «Tritone» – che può essere più o meno convincente, nessuno di noi ha la presunzione di avere la verità in tasca – è però un passo in avanti nel metodo. Metodo è una parola che viene del greco, come sanno quelli bravi, meta ton odon, attraverso la strada; metodo significa che, attraverso la strada, verificheremo, nei prossimi mesi, nelle prossime settimane, nei prossimi mesi, nei prossimi anni, se questa inversione avrà l'effetto di provocare un cambiamento.
Io penso che, di fronte al dolore, alla tragedia, al disastro che interi popoli vivono, sia molto difficile immaginare che queste popolazioni, appresa la notizia di una fondamentale legge chiamata Bossi-Fini, decidano di non cercare di mettersi in salvo, perché temono il valore di minaccia che può derivare da un provvedimento legislativo italiano. È in corso un esodo di 150 mila persone dalla Libia e, direi, di due milioni di persone che arrivano in Turchia; poi spenderò mezza parola, con il suo consenso, e probabilmente anche senza il suo consenso, sulla politica energetica che l'Italia sta facendo e che riguarda l'Africa; mi spiace non avere una cartina, ma le significo che la Turchia, non so se entrerà in Europa, ma sicuramente non entrerà in Africa, perché la politica energetica italiana è in questo periodo Pag. 33decisamente concentrata sulle questioni africane, ma mi faccia finire su questo passaggio.
Noi stiamo di fronte ad un mondo globale e questo mondo globale oggi è un mondo che vede alcuni Paesi privi di politica essere i Paesi più complicati da gestire in termini di immigrazione.
Non eravamo noi al Governo quando le organizzazioni internazionali, segnatamente la NATO, intervenivano in Libia; intervenivano in Libia per sostituire un dittatore che aveva fatto del male al suo popolo, quel dittatore che è stato eliminato in quel Paese; ma quando tu intervieni in un Paese senza immaginare il dopo, cioè se tu intervieni in un Paese senza avere la minima idea di cosa farai dopo aver bombardato, è naturale che poi accada quello che accade.
E, allora, lo dico perché dev'essere chiaro: la questione immigrazione in questi mesi è stata gestita con il principio di buonsenso. Noi vogliamo allargare la gestione della politica migratoria all'Europa facendo il contrario di quello che avete fatto voi, ma per farlo abbiamo la necessità di avere un significato della politica estera che non sia – lo dico con rispetto all'onorevole Benedetti – quella che lei ha espresso oggi in questa Aula. Lo dico pensando, onorevole Benedetti, che definire la politica estera un qualcosa che non conta niente in Europa, definire la figura del Mr. PESC o Mrs. PESC qualcosa che non conta niente, non è contro il Governo. Credo che nessuno di noi si scandalizzi se abbiamo delle opinioni divergenti su tanti argomenti.
Però, il mondo di oggi vede, in queste ore, in una scuola del Pakistan centinaia di bambini che vengono uccisi – e già questo è, credo, un qualcosa che unisce nell'indignazione tutti – a scuola, e che vengono uccisi a scuola perché i talebani dicono: questo è il nostro obiettivo, la scuola. Figli in molti casi di militari. Quando accade questo il sentimento che può caratterizzare tutti noi si sintetizza in sei sole lettere: orrore. E la risposta a questo non può essere che la politica e la politica estera non può essere considerata un giocattolino per diplomatici in carriera o finti diplomatici frustrati. La politica estera è il senso di una comunità, se giochiamo la partita con questa ambizione.
Certo – lo dico a Rocco Buttiglione – deve affrontare il tema delle minoranze religiose come noi abbiamo fatto fin dal discorso a Strasburgo. Io sarò felice, intervenendo il 13 gennaio in Aula, di sottolineare ed evidenziare come uno dei riferimenti di quel discorso, mi riferisco a Miriam, la ragazza tenuta in carcere in Sudan, è stata non soltanto liberata ma liberata e consegnata al Governo italiano che ha provveduto a farsi carico di quella vicenda, perché il suo riferimento ai martiri, ai martiri cristiani, alle minoranze religiose è un riferimento che noi avvertiamo importante per noi anche nella logica di protagonismo sul Mediterraneo cui Paolo Alli ha fatto riferimento in un intervento che ho condiviso interamente.
Ma questo è il punto centrale. Noi abbiamo bisogno in Europa di avere il coraggio di non essere superficiali. Lasciatemelo dire, con grande rispetto, all'onorevole Cariello, all'onorevole Vacca. L'onorevole Vacca ha chiamato con senso dell'innovazione alcune battute che proprio non mi aspettavo, tipo la Ruota della fortuna, o l'accostamento con i predecessori, cioè con uno sforzo di fantasia e di innovazione rispetto ai testi scritti in questi 18 mesi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico) da tanti dei deputati del MoVimento 5 Stelle che mi lascia perplesso per la qualità degli interventi (Commenti dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
Ma vi rendete conto che non siete più a discutere nelle trasmissioni o nei presunti meetup ma siete oggi chiamati a governare, a fare opposizione, a governare città, a fare opposizione in Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico) ?
Recuperate quel sentimento di passione che ha caratterizzato i vostri elettori ! Vi hanno eletto non per insultare (Commenti dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)...
PRESIDENTE. Colleghi, per favore !
MATTEO RENZI, Presidente del Consiglio dei ministri. Vi hanno eletto – ve lo dico con il cuore in mano, nel rispetto delle posizioni – vi hanno eletto, ve lo dico con il cuore in mano...
MASSIMO FELICE DE ROSA. A te non ti hanno eletto !
PRESIDENTE. Colleghi, per favore ! Poi voi parlerete, lasciatelo continuare, per favore !
MATTEO RENZI, Presidente del Consiglio dei ministri. Vi hanno eletto non per farvi urlare in Parlamento. Tutte le volte che urlate in Parlamento io dovrei essere contento perché rappresento oggi un partito, anche se forse non ve ne siete accorti, che ha preso il maggior numero di voti a livello europeo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), ha preso 11 milioni e 200 mila voti, che neanche se mettete insieme tutti gli utenti unici di sette mesi riuscite a fare.
Il punto non è questo. Il punto è che questa discussione richiede qualcosa di più di un semplice desiderio di urlare o di buttarla in caciara. Allora, ecco perché, in un momento come quello che noi stiamo vivendo, in un momento nel quale il nostro Paese sta scrivendo delle pagine straordinarie di riforme interne, uno può essere d'accordo o no, ma in nove mesi questo Parlamento sta discutendo in seconda lettura della riforma costituzionale, sta discutendo in seconda lettura della riforma della legge elettorale, sta affrontando una delega sulla pubblica amministrazione dopo aver votato una legge di ratifica di un decreto sulla stessa materia, sta affrontando una grande questione di serietà nella riforma della giustizia, sta intervenendo nel mercato del lavoro, perché il mercato del lavoro è cruciale per il futuro del nostro Paese, e si accinge a discutere finalmente anche in queste aule, dopo una grande campagna di partecipazione per le strade e nelle scuole, del futuro del nostro sistema educativo.
Di fronte all'ampiezza di queste sfide, come è possibile, lasciatemelo dire, che si perda l'occasione di una riflessione sull'Europa ? Capisco possa essere una discussione difficile per una parte di voi, lo capisco; lo capisco perché è difficile fare gli accordi con Farage e pensare che la politica ambientale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico) sia quella per la quale voi avete tentato di mantenere una coerenza che viene mandata via dall'appartenenza a quel gruppo ma, e vado a chiudere, noi abbiamo bisogno anche di voi.
So che ci state rimanendo male, ma abbiamo bisogno anche di voi. Ne ha bisogno questo Parlamento, perché questo Parlamento non può vedere costantemente buttata via l'occasione di una forza politica importante che ha preso milioni di voti degli italiani in una discussione tutta interna e sterile. E credo che sarà fisiologico e naturale che, se questa discussione non iniziate a farla al vostro interno, continuerete a perdere deputati e senatori e continuerete a fare le liste di proscrizione che non andranno da nessuna parte (Proteste dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Lega Nord e Autonomie). Vedo che...
PRESIDENTE. Colleghi, non facciamo così, però !
MATTEO RENZI, Presidente del Consiglio dei ministri. Mancano ancora due passaggi (Commenti dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Lega Nord e Autonomie)...
PRESIDENTE. Prego, Presidente del Consiglio, continui.
MATTEO RENZI, Presidente del Consiglio dei ministri. Sì, sì, io sono tranquillissimo. Credo che sia importante cercare di verificare che le corde vocali dei deputati grillini siano ancora in condizione di esprimere qualche concetto (Commenti dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) quando si assoceranno anche alla possibilità dell'intervento...
Pag. 35PRESIDENTE. Presidente, continui con la replica, per favore.
MATTEO RENZI, Presidente del Consiglio dei ministri. Volevo chiudere sull'intervento a Prataviera perché non posso, avendo anche ricevuto un gentile cadeau dal deputato Giorgetti, avendo contribuito a quel cadeau, non posso non toccare infine il passaggio sulla politica energetica, viste le considerazioni che il deputato Prataviera ha offerto alla nostra attenzione.
Non vorrei parlare della politica energetica del passato, di quando cioè la Lega stava al Governo, non perché non la condivida o meno, ma perché lo riterrei un atto discutibile. Siamo a parlare della politica energetica di oggi.
Che cosa ha fatto l'Italia in questi mesi ? L'Italia non ha festeggiato o contestato la fine di South Stream.
South Stream, per chi di voi frequenta le istituzioni europee, e sono certo che a partire da chi ha responsabilità dirigenti nel vostro partito siete assidui frequentatori di quelle aule (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), è da mesi che sta in una procedura di infrazione aperta dalla Commissione europea, la Commissione guidata dal Presidente Barroso, quello al quale per due volte voi avete consegnato la guida dell'Europa, con un voto unanime del vostro Governo e anche dei Ministri che ne facevano parte.
In questo scenario la decisione di bloccare South Stream ha sicuramente delle evidenti ripercussioni, ha sicuramente dei chiari elementi di valutazione, anche complicata, da fare in un'Aula parlamentare (ci vogliono i tecnici, gli studi), ma è, a nostro avviso, non decisiva per il futuro dell'Italia e della politica energetica e non perché, come ha sostenuto il deputato leghista, con uno scatto di fantasia davvero emblematico e, direi, anche encomiabile, noi abbiamo come alternativa la Turchia, perché la Turchia è attraversata dal TANAP, che noi chiamiamo TAP perché facciamo la versione sintetica, che ha una quota di necessità, diciamo, e un'occasione di risorse energetiche davvero insignificante rispetto al fabbisogno che noi abbiamo. Cioè, chi pensasse che attraverso il TAP l'Italia riesce ad avere il fabbisogno energetico necessario dovrebbe semplicemente rifare i conti.
Perché noi pensiamo che il TAP vada fatto ? Perché è giusto, perché non costituisce un problema, perché noi abbiamo firmato il via libera al TAP. Ma il TAP può aprire delle occasioni interessanti, anche eventualmente all'ENI, se si realizzeranno le intese tra Turkmenistan e Azerbaijan, due Paesi – in questo caso lo dico a Prataviera – asiatici, che potremo avere modo di verificare.
Diverso è il ragionamento che, invece, l'Italia ha fatto. L'Italia ha cercato, in particolar modo attraverso il lavoro di ENI, di investire in una diversa relazione con l'Africa e il mio, nostro Governo è il primo Governo che ha scelto di fare viaggi ufficiali anche sotto il Sahara. Non ci siamo, cioè, limitati ai Paesi del nord-Africa, ma abbiamo scelto di stare in Congo, abbiamo scelto di stare in Angola, abbiamo scelto di stare in Mozambico, perché riteniamo – so che questo passaggio può essere ardito per voi – che in realtà come il Mozambico, dove c’è una delle principali occasioni di sviluppo energetico in questo momento in mano italiana, ci sia qualcosa di più che il semplice sguardo energetico.
Allora, concludo su questo. Il Mozambico è il Paese in cui, grazie al lavoro di donne e uomini della società civile che stanno dentro la comunità di Sant'Egidio, 25 anni fa furono firmati degli accordi di pace, dopo una terribile, disastrosa, devastante guerra civile. Il Mozambico è il Paese nel quale la cooperazione internazionale, questa occasione importante di sviluppo per il nostro Paese e per gli altri Paesi, ha investito in questi anni, garantendo il processo di democratizzazione. Il Mozambico è il Paese in cui, con una delegazione ufficiale, siamo andati a presentare le nostre aziende, perché è uno dei Paesi potenzialmente più ricchi per il futuro. Ma il Mozambico è anche il Paese in cui, quando il Viceministro dello sviluppo economico era lì per fare un tour e Pag. 36guidare una delegazione di imprenditori, richiesto dal Governo del Mozambico, ha preso un elicottero, una motocicletta, è andato a prendere il capo dei ribelli e lo ha portato a Maputo, nella capitale, per fargli firmare gli accordi di pace. Il Mozambico è il Paese nel quale l'Italia potrà investire nei prossimi anni, ma c’è un investimento, che è l'investimento più grande che fa il nostro Paese, che è quello in valori, in ideali, nelle occasioni di costruire possibilità di pace concreta.
Allora, lo voglio dire qui, in questa sede, concludendo il mio intervento di replica e scusandomi se non sono intervenuto punto per punto su tutto, ma cercando di toccare alcuni degli interventi che ho sentito, dimostrando di avere ascoltato un dibattito che, per alcuni aspetti, è stato anche particolarmente interessante. Noi dobbiamo uscire da un racconto di noi stessi banale, superficiale e mediocre. L'Italia è molto di più di quello che talvolta dite. È molto di più nella quotidianità perché, certo, ci sono gli episodi di malaffare e di corruzione, certo che ci sono, ma nessun Paese civile metterà mai sullo stesso piano coloro i quali rubano, e rubano sulle disgrazie, dallo straordinario mondo del terzo settore, della società civile, delle associazioni, delle cooperative, che si impegnano per dare un futuro ai nostri anziani, delle cooperative che danno un valore ai nostri bambini (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico – Applausi polemici dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).
Non ci sarà mai in Italia l'idea di considerare la politica estera come qualcosa di serie B, come qualcosa che non va considerato, e non ci sarà mai nell'Italia di quell'ideale comune, a cui Luigi Einaudi faceva riferimento e che ho utilizzato come fil rouge dell'intervento, non ci sarà mai nell'Italia degli ideali belli, profondi e alti la possibilità di far diventare un dibattito sull'Europa, che è casa nostra da sempre, un insieme di ovvietà, di banalità e di mediocrità, perché, se l'Italia farà il suo mestiere noi saremo credibili e l'Europa sarà forte; se cederemo a una cultura antieuropea, antieuropeista, populista, come quella che talvolta molti di voi sono costretti, ahiloro, a rappresentare a Strasburgo e a Bruxelles quando ci vanno, ebbene, quella sarà la dimostrazione che avremo perso la nostra occasione.
Il semestre è la dimostrazione che noi l'occasione non l'abbiamo persa, ma sarà il 2015 a dirci se la politica economica dell'Europa unita finalmente sarà davvero centrata sulla crescita o continuerà ad essere una via di mezzo spuria. Spero, penso e credo che, con il lavoro di tutti, anche con il lavoro dei parlamentari italiani, potremo finalmente tornare a guardare all'Europa della crescita e non solo all'Europa dell’austerity (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Nuovo Centrodestra, Scelta Civica per l'Italia, Per l'Italia-Centro Democratico, Misto-Minoranze Linguistiche e Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) – Liberali per l'Italia (PLI).
(Parere del Governo)
PRESIDENTE. Invito il rappresentante del Governo ad esprimere il parere sulle risoluzioni che sono state presentate.
IVAN SCALFAROTTO, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Grazie Presidente, sulla risoluzione Speranza, De Girolamo, Mazziotti Di Celso, Dellai, Pisicchio, Di Lello e Alfreider n. 6-00100, il parere del Governo è favorevole. Sulla risoluzione Brunetta n. 6-00101, pur apprezzandone taluni spunti, in particolare nel dispositivo il richiamo ai valori dei padri fondatori, comunque il parere resta contrario. Sulla risoluzione Kronbichler ed altri n. 6-00102, il parere del Governo è contrario; sulla risoluzione Gianluca Pini ed altri n. 6-00103 il parere è contrario; sulla risoluzione Battelli ed altri 6-00104, devo osservare incidentalmente che gli impegni di cui alle lettere q), r) ed s) dell'alinea del primo dispositivo, che concernono iniziative da assumere in sede di Unione europea in materia di trasparenza dei bilanci e degli appalti, devono evidentemente ritenersi riferiti Pag. 37alla generalità dei Paesi europei. Comunque, nonostante la premessa, il parere resta contrario.
Preavviso di votazioni elettroniche (ore 11,45).
PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.
Si riprende la discussione.
(Dichiarazioni di voto)
PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Ottobre. Ne ha facoltà.
MAURO OTTOBRE. Grazie, signora Presidente, egregio Presidente del Consiglio, i deputati della Südtiroler Volkspartei e del PATT condividono e apprezzano gli impegni di programma e l'impostazione politica che lei ha ribadito in relazione al semestre europeo a presidenza italiana per il prossimo Consiglio europeo del 18 e 19 dicembre. Il semestre di presidenza europeo ha visto l'Italia interpretare in modo deciso il ruolo che le è stato affidato. Oggi abbiamo di fronte un'Unione europea più forte, che costituisce una risorsa e non solo un ostacolo.
Come Südtiroler Volkspartei e PATT abbiamo condiviso gli obiettivi cardine e prioritari del semestre di presidenza italiana, nella consapevolezza di dover creare in Europa le condizioni per una nuova visione condivisa dai singoli Paesi. Il processo di riforma avviato in Italia imprime nel nostro Paese una fase strutturale di rinnovamento e concorre in modo decisivo e credibile a rafforzare il nostro ruolo in Europa. Nel corso del semestre europeo, il suo Governo ha posto quale priorità la capacità e la volontà dell'Unione europea di assumere politiche attive per la crescita e l'occupazione e, in questo contesto, ha indicato come essenziale l'esclusione dal Patto di stabilità degli investimenti per lo sviluppo, per la politica energetica, per le infrastrutture, per la banda larga e l'agenda digitale per l'istruzione. E troviamo importante l'esclusione dal Patto di stabilità delle quote di cofinanziamento nazionale dei fondi strutturali, proprio per creare condizioni necessarie e nuovi investimenti, ed a tale riguardo giudichiamo molto positivo il lavoro del sottosegretario Delrio.
Abbiamo apprezzato gli impegni assunti e la spinta data nella lotta alla burocrazia, all'opera di semplificazione tributaria e normativa. Ai fini della crescita e di un'Europa che non si esprima esclusivamente nei vincoli e nelle politiche di bilancio, passi in avanti sono stati compiuti sotto la responsabilità del Governo italiano, ma occorrono scelte ancora più determinanti.
In questa ottica, saranno fondamentali i 300 miliardi di euro di investimenti annunciati dalla Commissione opera. Altrettanto fondamentale, a nostro giudizio, appare l'attenzione data alla realtà delle piccole e medie imprese: sono il vero motore, non solo del nostro Paese, ma di tutta l'Europa, ed è su di loro che dobbiamo puntare per riprendere a crescere e a competere mediante un'economia solida.
Riteniamo che solo con il coraggio di chi sa guardare avanti e compiere gli investimenti necessari si possa ritornare a crescere e ad essere competitivi a livello globale. In questo contesto, vogliamo ribadire la necessità di sostenere i progetti di potenziamento ferroviario sulla linea fra Verona e il Brennero come progetto infrastrutturale da inserire nel suo complesso, comprese le tratte di accesso dei programmi strategici per il 2014-2020, perché in grado di collegare fisicamente ed economicamente il Mediterraneo, l'Italia e il nord Europa. Soltanto così riusciremo a creare un sistema produttivo sostenibile.Pag. 38
Siamo certi che anche l'Europa abbia apprezzato le visioni e le idee proposte da lei, signor Presidente del Consiglio, e che sia quindi portata avanti una visione di Europa quale destino comune, condiviso dai nostri europei (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Minoranze Linguistiche).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Marco Di Lello. Ne ha facoltà.
MARCO DI LELLO. Signora Presidente, signor Presidente del Consiglio, membri del Governo, onorevoli colleghi, intanto, davvero, da deputato, sento il dovere di scusarmi per le tante assenze in Aula questa mattina: l'antipolitica si ciba anche di questa negligenza. Come lei ha ricordato, signor Presidente, quello di questa settimana sarà l'ultimo Consiglio europeo durante il semestre di Presidenza italiana. È dunque tempo di verifiche: essendo un semestre che ha visto il succedersi della Commissione Barroso con quella Juncker, si è senz'altro pagato un prezzo in termini di capacità decisionali, ma questo non ci esime dall'esprimere una valutazione, per quanto sommaria.
Non vi è dubbio che rappresentino segnali certamente positivi quei primi passi in avanti, che ci ha ricordato questa mattina, sulla strada del superamento dei vincoli del Patto di stabilità, di quello che, in questi anni, è apparso essere un moloch, una sorta di divinità a cui pagare un tributo altissimo in termini di speranze bruciate, ambizioni frustrate, aspirazioni negate.
L'Europa di oggi è ancora molto lontana da quella sognata e scritta nel Manifesto di Ventotene oltre settant'anni fa, quella di Spinelli, Rossi, Colorni. Impedire di spendere risorse pubbliche disponibili in tempo di crisi è davvero il trionfo della ragioneria, ma noi, l'Europa ha bisogno di più politica e meno burocrazia. Una burocrazia, d'altra parte, sempre pronta a bacchettare e a denunciare gli sprechi dei Paesi membri, ma poi clamorosamente orba quando deve guardare in casa propria, dove doppioni di sedi, lauti stipendi, privilegi e spese, ancora più ingiustificabili in tempi di crisi, vengono invece difesi e tutelati.
Ho sentito prima l'intervento del Vicepresidente Fava, della Presidente Bindi: la scorsa settimana siamo stati a Bruxelles, al Parlamento europeo, a portare le risultanze dell'attività della Commissione. Mi ha colpito molto, signor Presidente, e sono certo di condividere con lei, che, per accedere al wi-fi del Parlamento europeo, occorra fare una domanda scritta. È davvero il trionfo della burocrazia ! Se si va in Commissione, vi sono 23 cabine per tradurre in altrettante lingue, perché non si ha la forza e il coraggio di assumere una lingua europea. I parlamentari, oggi, non hanno ancora un'iniziativa legislativa autonoma.
È, insomma, ancora un'Europa con troppa burocrazia e poca politica, un'Europa che ha ancora paura di pronunciare la parola «mafia», come se questo fosse un problema del sud Italia, e non anche, invece, della Germania o dell'Olanda o della Spagna, dove si trovano oggi le principali centrali di riciclaggio della ’ndrangheta, della camorra napoletana.
Un'Europa, evidentemente, senza ambizioni, che deve cambiare profondamente per essere più democratica, cioè più vicina ai cittadini. Un'Europa più inclusiva ed accogliente; al contrario, invece, molti, e noi tra quelli, temono, Presidente, il rischio di un passaggio di filosofia tra Mare Nostrum e Triton: dall'accoglienza umanitaria alla difesa delle coste. Io, noi sogniamo un'Europa orgogliosa di salvare vite umane, non di tutelare i propri confini (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) – Liberali per l'Italia (PLI)).
Un'Europa che investa in cooperazione, capace di esportare pace e democrazia, anche in Palestina, come dirà la mia collega Locatelli, che abbia una vera politica estera, e una politica di difesa comune. È la speranza di tanti di noi. A lei, l'onore, e l'onere, di provare a costruirla questa Europa delle opportunità. Perciò voteremo per la risoluzione che abbiamo sottoscritto, proprio perché condividiamo Pag. 39il suo convinto europeismo, vogliamo cambiare in profondità questa Europa (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) – Liberali per l'Italia (PLI)).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Rampelli. Ne ha facoltà.
FABIO RAMPELLI. Signor Presidente, colleghi deputati, Presidente del Consiglio, l'impressione che abbiamo avuto, almeno noi che siamo stati religiosamente attenti alla sua relazione, è che forse ci sia, da parte sua, Presidente, un tentativo di eludere la questione centrale del problema. La prima, glielo ricordo, è che, tra poco meno di un mese, scadrà il semestre europeo a guida italiana, probabilmente ne parleremo nelle prossime settimane. Però, certamente, dopo cinque mesi, di questo importante ruolo manifestato, interpretato, con grande energia mediatica da parte sua, ci si aspettava qualche anticipazione rispetto ad eventuali problemi affrontati, e portati a soluzione, eventuali prospettive tracciate, eventuali modifiche dei rapporti contrattuali, del peso specifico dell'Italia nei confronti dell'Europa. No, non è arrivato nulla di tutto questo, giustamente, oggi, ci siamo concentrati, si è concentrato, Presidente del Consiglio, sulla politica estera, esibendo questo ruolo dell'alto Commissario Mogherini, facendoci l'ennesima lezione di politica estera per venirci a dire – l'abbiamo già ascoltata questa filastrocca, l'abbiamo recitata prima di lei – che per una nazione come l'Italia, l'Europa e la politica estera, sono un coefficiente di crescita, non sono esibizioni diplomatiche, ma strumenti per incidere anche sulle questioni di carattere economico che dipendono in quota parte dalle relazioni internazionali. Al contrario di come lei ce l'ha raccontato, non ci risulta che sia stato esattamente particolarmente efficace il ruolo della Mogherini nella vicenda russa. La crisi con l'Ucraina è stata devastante, noi abbiamo tenuto una determinata posizione prima di incassare la nomina dell'ex Ministro Mogherini, e poi abbiamo immediatamente modificato la nostra posizione, alla italica maniera, cessando un ruolo che poteva, viceversa, essere un ruolo dirimente, fortemente incisivo per allargare i confini dell'Europa verso la Asia e, comunque, allargarli alla Russia. Oggi abbiamo discusso, lo abbiamo fatto più puntualmente qualche giorno fa, del nuovo Trattato euroatlantico come a voler bocciare definitivamente la possibilità di recuperare questo rapporto con la Russia, e di tenere solo immutate le sanzioni nei confronti della Russia che hanno danneggiato, in modo particolare, come tutti sappiamo, anche se, se ne è parlato poco oggi, le imprese italiane. I risarcimenti che l'Europa ha riconosciuto, chiamiamoli così, gli indennizzi, sono una quota irrilevante che tradiscono la inefficacia del rapporto dell'Italia con Bruxelles, rispetto alle perdite economiche, purtroppo, classificate.
Abbiamo ascoltato nella parte iniziale della sua relazione, Presidente, la ricostruzione della vicenda penosa dei nostri due marò, che se non fosse drammatica, sarebbe risibile. Lei ha avocato a sé il compito, la responsabilità, e il ruolo (quindi, in qualche maniera, persino liberando la Mogherini, e anche il neo Ministro degli esteri del suo Governo, dalle responsabilità e dalle attività diplomatiche), di portare a soluzione quella vicenda, e noi oggi dobbiamo constatare di essere nuovamente, per l'ennesima volta, schiaffeggiati dal neo Governo indiano.
Nessuna capacità diplomatica.
Le raccomandazioni che avete messo in campo per tenere basso il profilo del dibattito su questa scandalosa vicenda internazionale non sono servite nemmeno ad offrire la possibilità, che pure ebbero i due marò, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, di venire in «licenza natalizia» dalle loro famiglie, qui in Italia, tre anni fa.
La bocciatura di questa richiesta è una vergogna ed è una ferita insanabile per il suo Governo e per la sua persona, è inutile che lei cerchi di eludere il problema.
E ancora sulla politica estera: la vicenda dell'immigrazione, che comunque Pag. 40ha un suo evidente valore anche economico, è inutile che cercate di nascondere la polvere sotto il tappeto.
Ormai è di tutta evidenza, anche in virtù delle cronache terribili e delinquenziali e mafiose più recenti, che Mare Nostrum è stato un fallimento, esattamente come l'avevamo immaginato, come l'avevamo denunciato, implorandovi, con la forza della ragione e degli argomenti, in punta di piedi, su zampe di colomba, ad essere più attenti, perché era improponibile la ricetta del corridoio umanitario rispetto ai milioni e milioni di disperati desiderosi di raggiungere l'Europa attraverso la porta dell'Italia. Ed anche l'affiancamento – perché non è una sostituzione – di Triton a Mare Nostrum tradisce tutte le latenze e le debolezze della vostra impostazione, dell'incapacità di farvi ascoltare dall'Europa.
Sempre qui arriveranno, anche se l'intervento marittimo sarà collocato a 30 miglia dalle coste italiane, sempre in Italia saranno portati i profughi o comunque gli aspiranti profughi, gli aspiranti asilanti, e sempre l'Italia dovrà farsene carico.
Era chiaro come è chiara la luce del sole che un business aleggiava intorno a questa vicenda e voi non avete voluto ascoltarci. E così abbiamo appreso dalle cronache delle vicende relative... Io mi accorgo che lei, Presidente del Consiglio, cerca giustamente, e lo facciamo anche noi, di non buttare il bambino con l'acqua sporca e quindi di salvaguardare l'esperienza virtuosa del terzo settore, della sussidiarietà, delle cooperative, ma attenzione, perché tra queste cooperative le cooperative B hanno una corsia preferenziale: acquisiscono commesse fino a 200 milioni di euro senza gara.
E mentre le cooperative normali, diciamo così, quelle forse alle quali lei faceva riferimento, non se la passano certo bene, la cooperativa di Buzzi ha 1.500 dipendenti, fatto esattamente contrapposto rispetto anche al suo statuto ed alle condizioni mutualistiche che dovrebbero contraddistingue l'istituto delle cooperative di tipo B.
C’è qualcosa di poco chiaro, se oggi un giovane italiano quasi debba auspicare, per se stesso, di fare uno scippo, di essere protagonista di un atto delinquenziale, magari senza andare in galera, per poter poi essere recuperato e reintrodotto nella società attraverso l'accesso in una cooperativa B, cioè, in buona sostanza – e su questo il Governo dovrebbe mettere un po’ di concentrazione, un po’ di pensiero, un po’ di cervello – è assurdo ma è così, come al solito anche nel caso dei detenuti, voi date privilegio alle persone che hanno commesso atti delinquenziali e che sono per questo state condannate rispetto alle persone normali, come capita per le famiglie tradizionali, come capita per i disoccupati o pensionati sociali italiani, che invece prendono molto meno rispetto appunto alla diaria che è concessa, di 40 euro al giorno, agli immigrati che mettono piede a casa nostra e di cui non si sa, talvolta, neanche l'origine da un punto di vista della fedina penale.
Poi lei è passato alle questioni di carattere economico.
Io vorrei ricordarle che tutti i parametri macroeconomici da quando lei ha messo piede a palazzo Chigi sono peggiorati, quindi non vado molto indietro nel tempo: la disoccupazione, anche quella giovanile, la cassa integrazione, la povertà, i consumi, il debito pubblico.
È notizia di oggi: il debito pubblico cresce, cresce la spesa pubblica e voi non avete messo le mani su un tentativo di revisione, visto che parliamo di riforme costituzionali, del sistema e dell'architettura delle regioni.
Avete fatto finta di abolire le province, che sono paradossalmente un ganglio nevralgico della nostra pubblica amministrazione, il più prossimo ai cittadini ed alle piccole realtà territoriali e avete girato la testa dall'altra parte, lo sguardo dall'altra parte, rispetto alla voragine autentica rappresentata dall'incremento della spesa pubblica delle regioni.
Lei si è dimenticato del 44,5 per cento del peso della pressione fiscale sul nostro PIL. Si è dimenticato di raccontarci qualcosa in merito a Jean Claude Juncker. Lei Pag. 41lo ha citato en passant, come se fosse un dato del tutto irrilevante il fatto che questa persona, che è stato Presidente del Consiglio in Lussemburgo per diversi anni, in quegli stessi anni, se vogliamo essere generosi, si è voltato dall'altra parte mentre accadevano fatti inenarrabili, come il tentativo, da parte del Governo lussemburghese – anzi, non è un tentativo, purtroppo è la realtà – di stipulare con 300 aziende degli accordi (tra queste 31 italiane), per spostare flussi finanziari facendo pagare tasse minime, a danno dei Paesi europei, a danno dell'Italia.
Il tempo è scaduto, caro Presidente, ci sarebbero molte cose da approfondire, anche questi dati che lei ancora prevede di poter scorporare. Attenzione: gli investimenti, le scuole, le opere pubbliche, la banda larga. Lei oggi sarebbe dovuto venire qui a dire: ce l'ho fatta ! Ci sono riuscito ! Queste intenzioni, questi proclami, questi programmi sono diventati realtà ! Ma non lo può dire ed è ancora qui a fare un tentativo di affabulazione rispetto agli italiani attraverso il Parlamento...
PRESIDENTE. Concluda.
FABIO RAMPELLI. Concludo davvero, Presidente... senza poter esibire un solo risultato, un solo risultato !
Ha detto che noi vogliamo buttarla in caciara, il Parlamento italiano e le forze politiche di opposizione che hanno preso la parola per contrastarla e per portare nuovi argomenti. Io penso che sia lei, Presidente, a tentare ormai, in maniera stucchevole e reiterata, di buttarla in caciara. Ma come capita...
PRESIDENTE. Concluda.
FABIO RAMPELLI. ... nelle più note gare di atletica leggera, arriva sempre – lei non l'ha sentita, ma è già squillata – la campana dell'ultimo giro (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Tabacci. Ne ha facoltà.
BRUNO TABACCI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, a nome del gruppo parlamentare Per l'Italia-Centro Democratico, intervengo per ribadire la nostra opinione sull'Europa, convenendo sui richiami che il Presidente Renzi ha fatto, anche oggi, alla spinta politica e culturale originata dai padri fondatori, con una citazione di Einaudi a proposito dell'ideale umano, che oggi andrebbe appropriatamente richiamata anche in ordine alla profondità della crisi che attraversa tutto l'Occidente. E, quindi, proprio nel momento in cui ci sarebbero molte pulsioni per accedere al pessimismo irragionevole, dobbiamo recuperare la razionalità più consapevole.
È perciò positivo che il Consiglio Europeo del 18-19 dicembre abbia all'ordine del giorno la politica, la politica estera e il tema del rilancio effettivo degli investimenti, che portano ad un legame tra crescita, occupazione e competitività. L'Eurozona non può tornare indietro, ma deve rilanciarsi attraverso una sua governance e la crescita della sua economia.
Noi veniamo da un lungo periodo di sostanziale recessione, una crisi paragonabile per dimensioni, durata, effetti e portata internazionale a quella di un post guerra mondiale. Abbiamo dunque bisogno di investimenti reali, anche con la clausola della condivisione. Ma, da un lato, non sappiamo ancora investire i soldi di cui disponiamo, se è vero che continuiamo ad indebitarci: più 23,5 miliardi di debito pubblico a ottobre rispetto a settembre. Ma questi miliardi di debito pubblico in più non sono mai di investimenti per la crescita, ma spesa corrente, sempre più fuori controllo.
Qui c’è il tema dell'utilizzo, ad esempio, dei fondi europei. È certo che noi li perdiamo, perché spesso avanziamo delle proposte che sono del tutto irragionevoli: la formula dei progetti europei, che tenta di smerciare spesa corrente per spesa in conto capitale. Io credo sia stato un errore aver dato l'impressione di mettere sostanzialmente da parte la spending review. La dovremmo recuperare per dare qualità alla nostra spesa pubblica, evitando di Pag. 42continuare a dare anche in Europa, con la richiesta di finanziare progetti impropri, la prova paradigmatica che facciamo spesa corrente per spesa per investimenti.
In più, continuiamo ad avere un drammatico problema di complicazione normativa ed amministrativa ed un ritardo che non solo non si riduce, ma continua ad aumentare nell'attuazione delle misure varate dal Parlamento. L'esempio della delega fiscale, in gran parte inattuata, è emblematico ed è questione di questi giorni, anzi di queste ore. Solo il 15 per cento degli obiettivi previsti è stato finora realizzato e appena un decreto è entrato in vigore. Un bilancio troppo magro che conferma che la semplificazione rischia di diventare una foglia di fico che, però, incide sulla percezione che inevitabilmente diffondiamo in Europa, anche se diamo atto al Presidente Renzi e al suo Governo di un impegno particolare nel tentare di modificare questa percezione europea.
Detto questo di noi, confidiamo che nel prossimo Consiglio europeo prevalga la linea degli investimenti abbozzata dal piano Juncker, purtroppo ancora solo sulla carta. Senza investimenti può esserci solo un presente che compra un po’ di tempo per la sopravvivenza, ma non c’è futuro. Certamente, la politica monetaria espansiva della BCE voluta da Mario Draghi può aiutare, però vorrei mettere in relazione il suo tentativo con la recente intervista del governatore della banca centrale tedesca. È chiaro che ci sono molti problemi e la politica di Draghi va aiutata. Va aiutata probabilmente anche indicando la via del modello utilizzato dalla Banca d'Inghilterra, cioè utilizzando un veicolo speciale per acquistare titoli del debito pubblico dei Paesi dell'eurozona. Ma essa, la politica di Draghi, non basta, non può sostituirsi ad una politica innovativa di riforme dei Governi europei. E a questo punto gli investimenti sono una componente decisiva. Senza questi non si esce dagli esiti di una vera e propria economia di guerra. Finora è emerso solo il rigore del fiscal compact che purtroppo viene usato in termini restrittivi e riduttivi, in altri termini, sostanzialmente sbagliati. Il piano Juncker deve a questo punto uscire dal limbo, con l'impegno diretto della Banca europea degli investimenti, e rafforzato dalla possibilità data ai Governi nazionali di scorporare dal vincolo del 3 per cento le spese in conto capitale per investimenti reali, sottoposti a verifiche stringenti in sede europea. Senza il riconoscimento concreto di questa linea, la situazione potrebbe sfuggire di mano e determinare una crisi non più controllabile, né sul piano istituzionale, né su quello monetario, che porterebbe fatalmente il nostro Paese ad un passaggio elettorale dettato dalla disperazione.
Per questo, il nostro augurio sincero è che il Presidente Renzi ce la faccia a concludere al meglio questo semestre così travagliato. È l'unica via, anche se molto stretta, per uscire dall'incubo di questi anni. In questo senso, il gruppo Per l'Italia-Centro Democratico vota convintamente la risoluzione a prima firma dei capigruppo della maggioranza parlamentare (Applausi dei deputati del gruppo Per l'Italia-Centro Democratico).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Gianluca Pini. Ne ha facoltà.
GIANLUCA PINI. Presidente, presidente Franceschini, in assenza del Presidente del Consiglio, mi rivolgo al vero presidente, perlomeno a quello che dicono le cronache di queste ore.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SIMONE BALDELLI (ore 12,10)
GIANLUCA PINI. Prendiamo atto, vista la suscettibilità di chi in questo momento è assente dai banchi del Governo, che con tutto il tempo e le attenzioni che ha dedicato nella sua replica al nostro movimento, di fatto ha certificato che ci considera la vera opposizione – eccolo qua ! – al suo Governo. Di questo ce ne compiacciamo. Devo iniziare di nuovo, Presidente, se vuole ? Le dicevo che ci compiacciamo del fatto che ha dedicato Pag. 43parecchio tempo alla Lega. Evidentemente, ci considera la vera opposizione al suo Governo e di questo ne siamo lieti (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).
Detto ciò, passando dal ridere alle considerazioni invece un pochettino più amare: non può prendersela con i parlamentari dell'opposizione se non sono presenti in Aula, quando lei viene a rendere conto di quello che dovrà dire in sede di Consiglio europeo, se mancano i suoi perché questo è un problema di sua autorevolezza. Infatti, se lei parla ai suoi e i suoi non sono presenti, non se la prenda con noi, cortesemente (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).
C’è un problema di autorevolezza, ma, vede, c’è un problema anche di credibilità. Il problema di credibilità nasce dal fatto che lei è venuto qui a raccontarci tutta una serie di – chiamiamole elegantemente – balle, balle, in primis quando ha replicato sulla questione dell'immigrazione.
Se lei, come dice, vuole guardare al futuro, vuole guardare alle riforme di questo Paese, vuole cambiare questo Paese, non è che può continuamente pensare di dare la colpa a qualcun altro nel passato. Certamente c’è un passato e nel passato possono anche essere stati fatti degli errori, ma sono errori che – evidentemente lei lo dimentica – qualcuno ha reiterato. Infatti, le ricordo che sulla questione di Dublino quello che sedeva fino a pochi minuti fa a fianco a lei, cioè il Ministro Alfano, insieme al Presidente del Consiglio Letta, ha risiglato l'accordo nel 2012. Io capisco che a lei Letta non stia simpatico e lo sappiamo tutti quanti, però di fatto è stata una reiterazione dell'accordo siglato nel 2008. Quindi, cortesemente, quando si viene qui, visto che si deve parlare di quello che si intende dire in rappresentanza di questo Paese in un consesso internazionale come quello del Consiglio europeo, bisogna cercare, se non altro, di stare con quelle che sono le verità delle cose.
Vede, io ho ascoltato con attenzione – contrariamente magari ad altri – sia il suo primo intervento sia la sua replica. Devo dire che capisco perché nessuno si sia accorto che sia quasi a conclusione il semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea. Lei ha girato a vuoto totalmente nel primo intervento e, se mi passa una metafora, il suo semestre che volge a chiusura mi ricorda un po’ una tappa del Giro d'Italia, magari una di quelle in cui si scalano le montagne.
Lei è partito molto veloce all'epoca – molto, molto veloce – con roboanti dichiarazioni, ha cercato anche in questo caso di cogliere delle posizioni autorevoli, ma poco o quasi per nulla utili a fare uscire dalla crisi questo Paese e ha piazzato la collega Mogherini in un posto – ripeto – autorevole, ma che se non si sa come gestire risulta inutile e la dimostrazione la si ha nell'assoluta irrilevanza di questo Paese negli scenari internazionali. Ripeto: irrilevanza. E anche lo schiaffo di oggi, di questa mattina della corte indiana nei confronti di questo Paese ne è l'ulteriore dimostrazione. Infatti, se lei avesse avuto autorevolezza e credibilità all'interno di questo semestre, qualche cosa avrebbe risolto; invece, di cose non ne ha risolte.
Allora – ripeto – mi ricorda un po’, soprattutto nel primo intervento, un ciclista sul Pordoi in grande difficoltà, con tutti quanti che la stanno raggiungendo. Magari deve guardare al proprio interno, alla propria maggioranza, chi è che la sta raggiungendo per cercare di superarla. E allora mi sono spiegato perché ieri lei è andato a trovare un altro ciclista, che comunque non è finito benissimo proprio in periodi simili, cioè Prodi. Adesso mi sono spiegato l'incontro di ieri con il Presidente Prodi (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).
Passando alle questioni pratiche e tecniche, lei ha parlato di politica estera e investimenti, se non sbaglio; questi sono i due temi che lei intende affrontare in sede di Consiglio europeo del 18 e 19 dicembre. Però non ci ha detto in che termini. Infatti, alla fin fine invitare semplicemente la Russia a uscire dall'Ucraina, senza spiegare quali sono i motivi che magari, in determinate condizioni, in determinate Pag. 44zone, hanno creato quelle situazioni di tensione, senza proporre nessun tipo di exit strategy, devo dire che non è molto all'altezza di qualcuno che si prefigura di poter passare alla storia per cercare di lasciare un segno.
Lei un segno non lo ha lasciato, se non in maniera negativa, perché durante il suo semestre non sono stati risolti – come le dicevo – i problemi dell'immigrazione, avete semplicemente spostato da Mare Nostrum a Triton un problema che ha causato migliaia di morti. Infatti, vede, la differenza sostanziale nell'approccio vero, pragmatico e non parolaio che noi avevamo nei confronti dell'immigrazione era quella dei risultati, dei numeri che sono lì che parlano. Infatti, nel mese scorso sono sbarcate 10 mila persone in questo Paese, negli ultimi dieci giorni 5 mila.
E durante quelle traversate che hanno foraggiato le mafie internazionali e hanno foraggiato le cooperative che fanno riferimento in qualche modo comunque al vostro mondo, perché questo in qualche modo è il vero obiettivo di quell'operazione, durante quel periodo lì ci sono stati i morti; quando l'abbiamo gestita noi, con tutti gli errori che possono fare le persone che, essendo umane, sono fallibili, di morti ce ne sono stati ben pochi. È chiaro: c'era una situazione politica diversa ma c'era una situazione politica dove in qualche modo però le questioni internazionali venivano affrontate con pragmatismo non solo ed esclusivamente con dei proclami. Il problema vero del suo semestre è che ai proclami non è mai seguito nessun tipo di risultato pratico.
Anche la questione degli investimenti del piano Juncker: 300 miliardi buttati là senza sapere poi effettivamente come andranno ad essere destinati. Leggevo questa mattina in autorevoli quotidiani nazionali che non sono sicuramente leghisti come La Stampa, che nel piano Juncker c’è un taglio pesantissimo per la ricerca, per i dottorati, per lo sviluppo, per la ricerca a livello universitario. Di questo è lei in qualche modo responsabile: è lei il Presidente in questo momento. Sotto la sua Presidenza avvengono queste cose mentre il Presidente della Repubblica, che lei vuole in tutti i modi che si dimetta perché ormai si parla solo delle dimissioni o di chi deve fare il Presidente ma non si parla dei problemi reali della gente, dice esattamente il contrario, le chiede esattamente il contrario: di creare le condizioni in questo Paese perché i cervelli tornino e non se ne vadano al di fuori. Allora, vede, ai suoi proclami non è mai seguito solamente nulla di pratico, zero assoluto. Anzi ha cercato di tenere nascosto a quest'Aula, alla Camera, al Senato, al Parlamento, ai cittadini in generale quelli che sono, ad esempio, le trattative sul TTIP. Sono state secretate, perché evidentemente come è nostro sospetto, ci sono delle condizioni al proprio interno che massacrano ulteriormente il made in Italy e questo, secondo lei, sarebbe una misura a sostegno della ripresa del Paese ? A me non sembra, perché non viene qui a «trattare» su quelle che sono le condizioni. Lei dovrebbe venir qui a dirci che cosa va a dire puntualmente, non attaccare i grillini se urlano o la Lega se le ricorda semplicemente che lei sta perdendo di autorevolezza e credibilità.
Allora noi abbiamo presentato una risoluzione semplicissima, sono cinque punti. Se vuole veramente dare in qualche modo uno slancio a questo Paese, se vuole lasciare un segno positivo e non solo delle chiacchiere in Europa, le abbiamo messo giù cinque punti che partono dalla presa in carico di quella che è una gestione dell'allentamento o della cancellazione graduale ma rapida delle sanzioni nei confronti della Russia che ha massacrato letteralmente migliaia e decine di migliaia di imprese italiane. Massacrare le imprese italiane vuol dire far perdere posti di lavoro, altro che jobs act ! Altro che jobs act ! Lei deve andare lì e prendere in mano questi dossier qui.
Lei deve prendere in mano la questione della Turchia: la Turchia in Europa ? Ma con che coraggio in una situazione come quella, a livello internazionale, che sta emergendo dalla Turchia, lei insiste sul fatto che deve entrare all'interno dell'Unione europea ? Lei ha citato un posto Pag. 45simbolico nel suo primo intervento riguardo alla Turchia, non ho ben capito quale. Glielo suggerisco un posto simbolico: le carceri turche dove vengono messi i giornalisti che non si allineano al regime. Noi ad un tipo di regime simile, in questo Paese, non ci vogliamo arrivare e continueremo a fare il nostro lavoro, continueremo a fare opposizione a questo Governo perché tanto siamo sicuri, contrariamente a quanto pensa lei, che il 2015 non sarà l'anno del rilancio ma sarà l'anno della sua caduta (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pannarale. Ne ha facoltà.
ANNALISA PANNARALE. Signor Presidente, colleghe e colleghi, Presidente Renzi, anche oggi ha proferito annunci contro l'austerità, annunci identici a quelli che abbiamo già ascoltato in altre occasioni. Peccato che dopo questi annunci sia sempre rimasto identico anche il rapporto tra austerità, occupazione e crescita. Lei, Presidente Renzi, non ha rovesciato nulla delle politiche di austerità così come aveva promesso proprio in quest'Aula a giugno, alla vigilia della Presidenza italiana del semestre europeo. Sei mesi di inanità, sei mesi di occasioni perdute. Ricordo le sue parole a giugno in quest'Aula: l'Europa non può girare le spalle ai morti del Mediterraneo aveva detto, dichiarazione assolutamente vera e condivisibile.
Ma, immediatamente dopo, non abbiamo sentito nulla di concreto e definitivo sulle vergognose condizioni in cui vengono tenuti i migranti, in centri indegni che sono buoni soltanto per i profitti di mafiosi e corrotti; nulla sull'urgenza di aprire subito canali umanitari; nulla sulla necessità di arrivare in maniera celere all'abrogazione della «Bossi-Fini» almeno con la stessa rapidità con cui ci propone deleghe in bianco, decreti-legge e disegni di legge costituzionali.
Sempre a giugno, ancora le sue parole: «Porteremo la voce dell'Italia in Europa con determinazione, perché l'Europa non può essere il luogo in cui si vive solo di cavilli e parametri». Lo ha detto lei, immagino che lo ricordi, proprio lei che non ha fatto nulla per scardinare quei soffocanti parametri: nessuna messa in discussione dei Trattati e della regola del 3 per cento nel rapporto deficit-PIL, nessun impegno forte per l'avvio di una conferenza europea sul debito che riveda parametri così arbitrari e assurdi, nessuno scorporo dal Patto di stabilità delle spese nazionali per gli investimenti e per il cofinanziamento dei fondi europei. In realtà, abbiamo ascoltato qualche riferimento allo scorporo dal Patto di stabilità questa mattina, Presidente. Siamo a dicembre, però: si ricordi di dirlo anche in Europa. Forse, con il nuovo semestre e con la nuova Presidenza, vedremo finalmente qualcosa di concreto.
Un risultato, in effetti, lo ha raggiunto in questo semestre: ha ottenuto il rinvio a marzo 2015 del giudizio definitivo della Commissione sulla legge di stabilità. Un rinvio utile per poter fare campagna elettorale, per poter raccontare altre favole al Paese e per poter posticipare quei tagli aggiuntivi che ci ha già preannunciato Juncker, altrimenti – ha detto – le conseguenze saranno spiacevoli.
Non siamo neanche riusciti ad ottenere una parità di trattamento con gli altri Paesi europei: la Spagna e la Francia hanno già sforato nel 2014 il rapporto deficit-PIL e la stessa cosa accadrà nel 2015 senza alcuna conseguenza. Noi, con il disegno di legge di stabilità tagliamo miliardi in spesa sociale per rispettare il 2,6 e, nonostante ciò, la Commissione considera il nostro debito eccessivo e prevede altri miliardi di tagli alle spese sociali.
Presidente Renzi, temo che non servano a nulla risultati elettorali imponenti come quello che ha ottenuto il Partito Democratico nel Parlamento europeo con le elezioni di maggio, se questi risultati non vengono messi al servizio di idee radicali e coraggiose. Una su tutte: le regole della finanza vanno cambiate. Il motore delle scelte politiche non può più essere il deficit e i vincoli di bilancio. A Pag. 46muovere queste scelte devono essere la stagnazione economica, la disoccupazione e la povertà dilaganti, l'emarginazione sociale sempre più ampia e diffusa. Non sono soltanto cifre: sono facce, sono persone, sono milioni di soggetti oggi sempre più esclusi da possibilità di vita minimamente dignitose.
E non lo diciamo noi di SEL, lo dicono gli indicatori, lo dice l'ultimo interessante rapporto dell'OCSE sulle disuguaglianze sociali. Dice che la forbice tra ricchi e poveri non è mai stata così ampia; dice che il 10 per cento più ricco della popolazione guadagna dieci volte di più del 10 per cento più povero. In altri termini, per ogni euro che va ai più poveri, ne vanno 10 ai più ricchi. Ma quel rapporto dice anche un'altra cosa fondamentale: che la crescita delle disuguaglianze non è solo un indicatore, ma è un dato che condiziona pesantemente l'economia, tanto da determinare una perdita rilevante del PIL.
In venticinque anni, nell'area OCSE, fra il 1985 e il 2010, si sarebbe verificata una perdita di 8,5 per cento del PIL e in Italia di 6,6. Quindi, Presidente, in sostanza, se questo Paese avesse attuato politiche mirate di redistribuzione della ricchezza e di contrasto alla povertà avrebbe potuto sostanzialmente raddoppiare il suo PIL. Questo significa una cosa chiara: che il punto non è continuare a contemperare un po’ di rigore e un po’ di crescita. Il punto è che c’è un'unica strada certa per riattivare PIL, crescita, economia, ed è la lotta all'esclusione sociale, alle disuguaglianze, alla disoccupazione, alla precarietà, a tutto quello che sottrae linfa al tessuto cognitivo, produttivo e sociale di questo Paese.
Il punto è ridare centralità a politiche di intervento pubblico, a risorse pubbliche certe e corpose in azioni in settori strategici: esattamente quello che lei non sta facendo. Lei sta cullando l'austerità, uccidendo lavoro, diritti e spesa sociale.
Lei, e uso le parole che ha detto questa mattina in Aula, si è mostrato più attento all'austerità che alla salute dei figli. Lo ha fatto con il decreto Poletti, lo ha fatto con il Jobs Act, lo ha fatto con la legge di stabilità che ha tagliato 6 miliardi di euro a regioni e comuni per servizi e spesa sociale e ha sottratto al sud 3 miliardi e mezzo dal Fondo di coesione per rispettare il 3 per cento. Presidente Renzi, l'ideale di Europa di cui ha parlato questa mattina dov’è, quando i parametri vengono prima del sud del Paese che lei sta governando (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà) ?
Ci invita a guardare con speranza al piano Juncker e continuate a parlare di 315 miliardi di euro e non chiarite che per ora i miliardi sono 21, cinque della Banca europea per gli investimenti e 16 tra garanzie e risorse che sono già stanziate. Risorse, quindi, non aggiuntive e l'efficacia del piano è affidato, come al solito, a fantasiosi effetti moltiplicatori dei finanziamenti degli investitori privati. Presidente Renzi, lei però omette al tempo stesso di raccontare che nel solo 2013 gli investimenti in Europa hanno subito un crollo tra i 230 e i 370 miliardi di euro e, allora, se dal 2008 gli investimenti privati sono crollati in tutta Europa più del PIL, perché dovrebbero tornare a crescere, quando la spesa pubblica è ferma e quando le esportazioni sono rallentate ? Oggi più che mai ci si affida persino ai versamenti dei Paesi membri, senza però dare garanzia sul ritorno finanziario, sullo scorporo dei finanziamenti dal calcolo del disavanzo, sul fatto che il fondo non preveda poi riduzioni di altri fondi comunitari.
Presidente Renzi, nella sua furia contro i sindacati temo che non si sia accorto che in quelle piazze, in questi giorni, non ci sono soltanto dirigenti sindacali, ma ci sono persone. Persone che tornano a manifestare, lavoratori e lavoratrici che rinunciano a una giornata di lavoro per scioperare, studenti che resistono e che tornano ad occupare le scuole consapevoli che la sua buona scuola è buona solo per ricchi privati e per pensieri acritici. A tutte queste donne e questi uomini non può più offrire illusioni e qualche sapida battuta.
Lei deve scegliere da che parte stare, Presidente, lei non è soltanto il Presidente del Consiglio di questo Paese, lei è ancora Pag. 47il Presidente di turno nell'Unione europea. E, allora, non è sufficiente dire che finalmente la politica estera non è più una questione per addetti ai lavori, perché poi, eliminati gli esperti, gli addetti, resta l'inconsistenza delle sue parole.
Questa mattina ha parlato di ingresso della Turchia nell'Europa a patto che venga rispettato il diritto alla libertà di stampa. Presidente, vorrei che mi ascoltasse, c’è una questione in Turchia, una questione irrisolta da troppo tempo, si chiama questione curda (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Ecologia Libertà e Lega Nord e Autonomie), sono donne e uomini che non hanno neanche il diritto di parlare la propria lingua e sono le stesse donne e gli stessi uomini che stanno facendo una resistenza esemplare, orgogliosa, rispetto ai criminali dell'ISIS a Kobane, e allora ci chiediamo: dopo che ha messo al centro la politica estera, che cosa ha da dire sulla questione curda, ad esempio, Presidente, quando parla della Turchia ?
Sta per andare al Consiglio europeo, faccia almeno due cose chiare e coraggiose. La prima: si metta a capo di una grande iniziativa internazionale che riconosca finalmente lo Stato palestinese; non ne ha parlato questa mattina, lo hanno già fatto altri Paesi europei con le loro risoluzioni, lei non può continuare a voltarsi da un'altra parte per non vedere migliaia di vittime palestinesi e per non sentire le recenti prese di posizione di Netanyahu che ha dichiarato la ripresa delle violenze e l'indisponibilità di Israele ad accettare il ritiro entro i confini del 1967.
La seconda: dimostri di essere dalla parte della crescita, come ha detto questa mattina. Ma essere da questa parte significa violare l'assurda regola del 3 per cento, contrastare il pareggio di bilancio e investire risorse pubbliche nel reddito di esistenza e in un grande piano di occupazione e per la riqualificazione territoriale. Dieci mesi di annunci e vane promesse, Presidente, sono troppi. La Presidenza del semestre è stata fallimentare, faccia almeno il Presidente del Consiglio e cominci ad attuare politiche democratiche e fatti concreti (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà – Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Galgano. Ne ha facoltà.
Prima di darle la parola, salutiamo gli studenti e gli insegnanti dell'Istituto comprensivo di Condove, in provincia di Torino, che assistono ai nostri lavori dalle tribune (Applausi). Prego, onorevole Galgano.
ADRIANA GALGANO. Signor Presidente, Presidente del Consiglio, membri del Governo e colleghi, l'Europa è un grande sogno di pace e di prosperità da preservare. Presidente del Consiglio, Scelta Civica è molto d'accordo con lei su questo.
Grazie all'Europa abbiamo goduto di 69 anni di pace tra Stati che mediamente prima ogni cinque anni iniziavano una nuova guerra. In questi 69 anni abbiamo evitato drammi assurdi come quello dell'ultima guerra di cui, ricordo, perché l'opposizione sembra avere scarsa memoria: 54 milioni di vittime, l'olocausto più orribile che la storia ricordi, 1.154 miliardi di dollari di danni. L'Unione europea è stata un baluardo formidabile alla follia distruttiva degli uomini e adesso il nostro Paese deve decidere: vogliamo continuare ad operare per una Unione europea che difenda la pace che è anche indispensabile per la creazione di ricchezza ?
Se vogliamo questo è bene che diciamo che lo smantellamento dell'Europa, che propongono Lega e MoVimento 5 Stelle, mette a rischio la pace. Soprattutto, ci renderanno così poveri, con la «pizza di fango» che ci faranno adottare come moneta, che non ci resterà che competere con le economie più povere del pianeta.
Noi di Scelta Civica vogliamo invece per il Paese un futuro di prosperità e di pace. Per farlo dobbiamo guardare in faccia la realtà e confrontarci con i dati. Cosa ci dicono i dati ?
PAOLO GRIMOLDI. Che avete l'1 per cento !
Pag. 48 ADRIANA GALGANO. I dati europei ci dicono che Germania, Austria e Belgio hanno la metà della nostra disoccupazione e, nonostante la congiuntura sfavorevole, crescono e soprattutto vivono bene l'Europa. Una parte dei Paesi, tra cui l'Italia, invece ha avuto difficoltà negli ultimi 20 anni a rappresentare e a difendere i propri legittimi interessi e ha subìto l'Europa. Molti sono stati i motivi, il più importante è che in Italia l'Europa è stata usata e viene ancora usata stoltamente, come dimostra il dibattito oggi, come strumento di lotta politica: mentre noi siamo impegnati in patria a darcele di santa ragione, gli altri fanno i loro interessi e prosperano.
Mi rivolgo all'opposizione, con la forza che mi dà la gravità della situazione, che richiede che giochiamo uniti. La risoluzione della maggioranza a cosa impegna il Governo ? Impegna il Governo a reperire più fondi a sostegno per l'economia, a diminuire il costo della raccolta dei fondi per le piccole e medie imprese, a fare escludere – esattamente come chiedeva l'onorevole Palese – i contributi e il cofinanziamento per i fondi europei dal Patto di stabilità; a creare strumenti e regole che incentivino l'investimento privato. Chiede, come ha fatto inserire Scelta Civica, di rivedere la strategia intermedia di Europa 2020 e di integrare nella medesima strategia nuovi obiettivi legati al mercato interno, all'erogazione del credito, alla politica industriale e, in particolare, di integrare pienamente gli obiettivi della politica industriale europea nella procedura del semestre europeo e sostenere le iniziative – MoVimento 5 Stelle, lo dico a voi – volte a contrastare l'evasione e l'elusione fiscale.
Allora, siete contro questi obiettivi ? Se siete contro significherà che voterete contrario, ma gli italiani sapranno chi ringraziare. Noi di Scelta Civica, invece, vi chiediamo di votare con la maggioranza. Diamo un forte mandato al nostro Governo a portare a casa questi obiettivi ed è così che preserveremo la pace ed è così che batteremo la disoccupazione e la crisi (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Alli. Ne ha facoltà.
PAOLO ALLI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, abbiamo già discusso a lungo sul tema delle politiche internazionali, lei ne ha fatto il cuore del suo intervento. Il dibattito che c’è stato in discussione generale è stato certamente importante e rilevante, come lei stesso poi ha ripreso nelle conclusioni.
Stupisce un po’ sentire qui dentro che l'Italia avrebbe sugli scenari internazionali ruoli marginali. Forse questo lo pensa chi crede che l'Italia finisca a Varese e magari Livigno sia già territorio extracomunitario. Io credo che il nostro Paese abbia un'autorevolezza, dimostrata in tanti anni e mai venuta meno, sugli scenari internazionali che certamente va rafforzata, ma su questo siamo sulla buona strada.
Io interverrò sulla risoluzione Speranza, De Girolamo, Mazziotti Di Celso, Dellai, Pisicchio, Di Lello e Alfreider n. 6-00100, su cui il Nuovo Centrodestra esprimerà voto favorevole. È una risoluzione che certamente, come è stato già detto, presenta aspetti positivi dal punto di vista anche dell'approccio politico. Finalmente, ci si muove nella preoccupazione di innescare processi di crescita attraverso strumenti nuovi e più adeguati rispetto a quelli del passato; strumenti che coinvolgono positivamente tutti quanti in una corresponsabilità per la crescita – con «tutti quanti» intendo non soltanto chi governa ma anche il settore privato, il settore delle banche – questo attraverso l'utilizzo della Banca europea per gli investimenti.
La risoluzione è molto precisa ed esauriente e credo che dia un forte mandato, un forte supporto parlamentare alle posizioni espresse qui dal Presidente Renzi. Ricordo, tra gli impegni, quello appunto a sostegno dell'economia, quello all'avviamento di un percorso di riforma della Banca centrale europea sempre più orientata a sostenere la crescita, lo sviluppo dei meccanismi di sostegno al debito sovrano e poi il tema fondamentale, trattato dal Pag. 49Presidente Renzi, della possibilità di esclusione dal Patto di stabilità e crescita dei fondi che i Paesi versano ma anche – qui bisogna ancora lavorare certamente – degli investimenti propri dei Paesi, sia come cofinanziamento sia come investimenti sui settori strategici.
Le priorità degli investimenti sono delineate in modo molto chiaro e condivisibile – energia, formazione, ricerca, banda larga, infrastrutture sociali e quant'altro – e anche il punto relativo al contrasto all'evasione e all'elusione fiscale è certamente un mandato importante sul quale lavorare. Ma io vorrei mettere in evidenza uno dei punti del testo della risoluzione, laddove si dice «assicurare la tempestiva operatività del FEIS».
Il tempo è il fattore determinante, come si diceva anche in discussione generale, non è più possibile pensare interventi oggi che si realizzino fra un anno, sei mesi, due anni quando le esigenze saranno diverse, quando il sistema ci chiamerà a risposte magari completamente nuove rispetto a quelle che oggi possiamo immaginare.
Allora, ecco la necessità che il piano Juncker contenga gli elementi di flessibilità necessari per poter essere adeguato rapidamente alle mutevoli esigenze dei mercati e della competizione globale.
Dicevamo di un coinvolgimento positivo anche del settore privato. Potremmo dire che al privato oggi viene chiesta maggiore responsabilità sociale, che è quella tipica del Governo, e al Governo vengono chieste sempre più le caratteristiche del privato, l'efficienza e l'efficacia. Quindi, bisogna accompagnare questo piano con una seria lotta a tutti i meccanismi burocratici attraverso i quali le macchine amministrative difendono se stesse e la propria inefficacia.
Il Governo deve essere un facilitatore, non può essere un accentratore che legittimi solo se stesso e le proprie incapacità. Occorre, quindi, lavorare in questo senso per ridare fiducia ai cittadini, agli utenti, agli imprenditori. Ridare fiducia nell'Unione europea pensando che è un aiuto alla crescita e allo sviluppo e non soltanto una «maestrina dalla penna rossa», pronta a bacchettare chiunque esca dai parametri o chiunque esca dalle regole rigide, ma invece sia un elemento di accompagnamento verso una crescita e verso uno sviluppo che sono improcrastinabili.
All'interno di questo il nostro Paese può e deve fare molto, come lei, Presidente Renzi, ha ricordato più volte. La nostra credibilità c’è, è una credibilità storica, va vissuta con maggiore protagonismo e in questo invitiamo lei e il Governo a proseguire nell'azione intrapresa (Applausi dei deputati del gruppo Nuovo Centrodestra).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Brunetta. Ne ha facoltà.
RENATO BRUNETTA. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, le confesso la mia grande delusione quando il sottosegretario Scalfarotto ha letto i pareri sulle risoluzioni. Mi aspettavo da lei un atto di intelligenza. Signor Presidente del Consiglio, lei ha tutti i difetti del mondo, ma non le difetta certamente l'intelligenza. E intelligenza avrebbe portato a chiedere a questo Parlamento, attraverso il consenso su altre risoluzioni sull'Europa che fossero aggiuntive, complementari a quella della sua maggioranza, un consenso più ampio, un mandato più ampio, una visione più ampia sull'Europa. Non lo ha fatto. Le è mancato il tempo o, forse, le è mancata l'intelligenza politica. Spero che sia la prima risposta, perché alla mancanza di tempo si rimedia, alla mancanza di intelligenza politica è ben più difficile.
Signor Presidente del Consiglio, lei è molto debole in Italia in questo momento, ma è ancora più debole in Europa. Mi hanno dato quasi fastidio – e mi creda: ce ne vuole – i giudizi violenti, sprezzanti, quasi insultanti, di Juncker, di Katainen, di Weidmann, persino del mite Moscovici, sull'Italia e su di lei. Mi hanno fatto male, non perché lei non lo meritasse, non perché il suo Governo non lo meritasse, ma da quale pulpito ! Dal pulpito di Juncker ? Dal pulpito di Moscovici ? Dal pulpito di Katainen ? Ecco, vede, lei in Italia è debole, ma in Europa è debolissimo.Pag. 50
Il 24 febbraio, quasi 300 giorni fa, signor Presidente del Consiglio, lei si impegnava ad affrontare «prima del semestre europeo, le scelte legate alle politiche sul lavoro, sul fisco, sulla pubblica amministrazione, sulla giustizia (...) che parta naturalmente dalle riforme costituzionali, istituzionali ed elettorali, sulle quali si è registrato un accordo che va oltre la maggioranza che sostiene questo Governo e per il quale noi non possiamo che dire che gli accordi li rispetteremo nei tempi e nelle modalità prestabilite». Lei questo diceva nel suo discorso di insediamento il 24 febbraio 2014, quasi 300 giorni fa, 297 giorni fa. Il semestre europeo volge al termine, Presidente Renzi, e le scelte che lei aveva elencato, nel suo discorso sulla fiducia, non sono state compiute e gli accordi, che lei pure citava, non li ha rispettati, né nei tempi né nei modi.
Vede, signor Presidente del Consiglio, mi sono sforzato di trovare una chiave al suo stile politico e la chiave che mi sono sforzato di trovare mi viene dalla letteratura economica: lei è inguaribilmente affetto da azzardo morale e l'azzardo morale, glielo ripeto, non è altro che un comportamento opportunistico post-contrattuale. Vale a dire, si sottoscrivono degli accordi, si fanno delle promesse, accordi e promesse con il retro pensiero di non volerli o di non poterli mantenere, ai fini della massimizzazione della propria utilità unilaterale. Gli azzardi morali possono andare bene nel breve periodo, ma non possono essere la cifra di un Governo, la cifra di una strategia politica, la cifra, dirò di più, di un'etica politica.
Con gli azzardi morali, continuamente ripetuti, non si va da nessuna parte. Si può fregare l'interlocutore una volta, due volte – lo dico in maniera semplice – ma non si può impostare una linea politica. Vede, nella sua famosa conferenza stampa dei pesciolini, lei aveva detto che la riforma del lavoro sarebbe stata fatta entro marzo. Di quale anno, signor Presidente del Consiglio ? Un impegno tradito e i risultati li stiamo vedendo, li sta vedendo il suo Governo, li sta vedendo l'Italia. Lei si era impegnato a fare la riforma della pubblica amministrazione entro aprile. Anche qui, di quale anno ? Impegno tradito. Lei si era impegnato a fare la riforma del fisco entro maggio, pur avendo una delega da utilizzare, approvata con il precedente Governo. La informo che ha ancora poche settimane di tempo, perché poi la delega le scadrà. Lei si era impegnato a fare: la riforma della giustizia, udite udite, entro giugno, impegno tradito; il pagamento di 68 miliardi di debiti della pubblica amministrazione entro luglio, poi rinviato al 21 settembre, e poi non se ne è saputo più nulla, impegno tradito, e così via. Per non parlare del bonus degli 80 euro erogati sì, ma come mancia elettorale.
Vede, signor Presidente del Consiglio, l'azzardo morale porta anche a cambiare processualmente gli obiettivi e i tempi di raggiungimento degli obiettivi. Lei all'inizio ha parlato di cento giorni, poi ha parlato di mille giorni, ma chi crede di prendere in giro in questa maniera ?
Sul mercato del lavoro, la citerò sempre signor Presidente del Consiglio. Il 1o di aprile – il giorno ha evidentemente una qualche rilevanza – del 2014 in una sua conferenza stampa da Londra lei annunciava: vedrete nei prossimi mesi come il cambiamento del mercato del lavoro porterà l'Italia a tornare sotto il 10 per cento nel tasso di disoccupazione. Invero, onestamente, non ha detto entro quanto saremmo tornati al di sotto del 10 per cento, ma sta di fatto che siamo al 13,2 per cento, signor Presidente del Consiglio.
L'altro giorno a Porta a Porta, con l'ottimo Bruno Vespa, lei ha detto che il 1o di gennaio sarebbe entrato in vigore il Jobs Act, quando la sua bravissima Ministra Boschi ieri ha detto che se ne parlerà a febbraio; io aggiungo a marzo o forse ancora più in là. Impegno tradito.
Vede, questo è l'azzardo morale, signor Presidente del Consiglio: non rispettare i propri impegni, annunciare o sapere già fin da subito, da quando lei annuncia, che quegli impegni scientemente non li potrà mantenere, ingannando così gli italiani, ingannando gli interlocutori. Dal 1o gennaio il Jobs Act deve entrare in vigore: ma chi pensa di prendere in giro con questa Pag. 51boutade, con questi annunci ? Gli italiani ? L'hanno già capito. I mercati ? L'hanno già capito. Perché lei pensa che un imprenditore possa venire dal 1o primo gennaio in Italia pensando di avere una legge nuova, quando il 1o gennaio non ci sarà nulla ? Infatti, non ci saranno i decreti legislativi, che non avranno ancora avuto il parere obbligatorio, ancorché non vincolante, delle Camere, e Dio lo sa come saranno complicati quei decreti legislativi di cui nessuno sa nulla. Tutele progressive ? Nessuno sa nulla. Si stanno già affilando i coltelli – glielo sto annunciando – dei giuristi della CGIL per ricorrere alla Corte costituzionale, laddove quei decreti legislativi non siano coerenti con la nostra Costituzione.
Vede, signor Presidente del Consiglio, questo è l'azzardo morale, e la cosa mi dispiace, mi amareggia e mi addolora, perché noi non possiamo permetterci un Presidente del Consiglio affetto da azzardo morale.
L'azzardo morale, forse, lo ripeto, farà l'utilità di breve periodo di chi lo usa, ma distrugge la credibilità del Governo, la credibilità delle istituzioni, la credibilità del Paese, e noi non abbiamo bisogno di ulteriori perdite di credibilità. Per questa ragione, Presidente del Consiglio, con grande amarezza, noi voteremo, ovviamente, la nostra risoluzione, pensando che lei abbia sprecato, ancora una volta, una grande occasione per presentarsi in Europa con l'onore e la dignità di un Parlamento che le potesse affidare un mandato, cosa che noi non potremo fare.
Per questa ragione, signor Presidente del Consiglio, noi saremo contro la sua politica, contro le sue politiche economiche, che stanno distruggendo questo nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente – Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Sibilia. Ne ha facoltà.
CARLO SIBILIA. Grazie per la parola. Innanzitutto, come gruppo del MoVimento 5 Stelle, non possiamo negare un certo disagio a doverci confrontare con te che sei il Presidente del Consiglio che si riempie la bocca di riforma del lavoro e non ha mai lavorato un giorno della sua vita (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Ti conosciamo solo come presidente della provincia di Firenze, sindaco di Firenze e Presidente del Consiglio dei ministri...
PRESIDENTE. Onorevole Sibilia, se riusciamo a usare un più formale «lei», che in quest'Aula, di solito, si utilizza.
CARLO SIBILIA. ... uno che mangia con la politica da sempre, quello che noi del MoVimento 5 Stelle combattiamo. Con te che parli di disoccupazione, imponi tasse, e poi sappiamo delle vacanze che fai a mille euro al giorno, che è la stessa cifra che serve per sedere alle cene che organizzi. Già immagino 15 invitati, 15 mila euro, 15 giorni di vacanza (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
Con te che fai parte di un partito che porta in Aula le leggi sullo «svuota carceri» e poi i suoi membri sono i primi che vanno ad affollare le carceri. Incredibile (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) ! Ammetto che si tratta di un'affermazione populista, perché tanto voi politici dal carcere vi salvate sempre. Con quale credibilità porterete davanti al Paese, se mai lo farete, una riforma della giustizia, se siete i primi ad infrangere le regole ? Come si può parlare della difesa delle piccole e medie imprese italiane, che sono il 95 per cento del tessuto economico del Paese, quando voi le distruggete, mettendovi la mazzetta nella giacca, perché proprio nel momento in cui i tuoi colleghi di partito (Commenti dei deputati dei gruppo Partito Democratico)...
PRESIDENTE. Onorevole Sibilia !
CARLO SIBILIA. ... fanno il gesto di intascare la tangente...
PRESIDENTE. Onorevole Sibilia, la prego, questo è un dibattito politico.
Pag. 52CARLO SIBILIA. ... accade questo meccanismo...
PRESIDENTE. Così come la Presidenza si rivolge a lei con il «lei» e come ci si rivolge tra colleghi dandosi del «lei», la invito a rivolgersi al Presidente del Consiglio dando del «lei» al Presidente del Consiglio, la invito a rivolgersi alla Presidenza, perché lei ha il dovere di parlare all'Assemblea attraverso la Presidenza, e la invito anche ad usare, a questo punto, un tono consono. Prego.
CARLO SIBILIA. Avrei auspicato gli stessi rimbrotti quando il Presidente del Consiglio ha pensato bene di offendere il 25 per cento dei cittadini italiani in Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Comunque, quando accade questo meccanismo di intascamento della tangente, l'imprenditore mafioso, che per comodità chiameremo Buzzi, vince l'appalto con la vostra complicità. E, per ogni imprenditore furbo, ce ne sono dieci onesti, che perdono quel lavoro. Perdine uno oggi, perdine uno domani, e le piccole imprese chiudono, i lavoratori vengono licenziati e tornano a casa con un senso di frustrazione. Voi, questo sistema partitico-mafioso, siete la loro frustrazione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), mentre noi, che ci tagliamo lo stipendio per aiutarli in modo concreto, siamo una loro boccata d'ossigeno; questo siamo !
La nostra risoluzione prevede un impegno per creare un fondo di garanzia europeo che dia sostegno alle famiglie e alle imprese. Perché non lo votate ? Se è vero che ci sono i soldi, perché non votate questo impegno ? Ma noi, oggi, siamo costretti a dover parlare dei grandi successi del semestre europeo appena trascorso. Il 2 luglio, a Strasburgo, lei disse: il nostro semestre può essere un semestre in cui non abbiamo paura di dire che la politica ha una sua dignità. Dignità, parlavi di dignità, Renzi: vediamo come si è tradotta questa dignità.
Nuovo record di disoccupazione, come già citava Brunetta: il 13 per cento. Nuovo record fallimentare per le imprese: durante il suo Governo, ne sono fallite in media 63 al giorno. Debito pubblico italiano aumentato di 23,5 miliardi di euro solo ad ottobre, arrivando a quota 2.157: 74 miliardi in più rispetto allo stesso mese di un anno fa. Nuovo record internazionale di declassamento: il nostro debito è stato denominato come tripla B da Standard & Poor's, il che significa che siamo ad un passo dalla spazzatura.
Ormai i nostri titoli statali non valgono più nulla. Ecco la dignità politica, finalmente ci siamo arrivati. Presidente, in Italia ci sono 10 milioni di persone che vivono sotto la soglia di povertà, se ne rende conto ? È anche sua responsabilità. Sono giovani senza un'occupazione, per i quali, lei non ha fatto niente. Pensionati abbandonati dopo quarant'anni di duro lavoro, per i quali, lei non ha fatto niente. Esodati, incapienti, imprenditori sul lastrico, liberi professionisti, paralizzati dalle tasse che il suo Governo ha imposto dietro i diktat dei burocrati europei. Secondo Save the Children, la regione dove io sono nato, la Campania, vanta la media nazionale più elevata di bambini in povertà assoluta. Come può pensare un giovane della nostra età, oggi, di far nascere un bambino in Italia. Questa situazione è anche vostra responsabilità (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
Il semestre italiano di Presidenza dell'Unione europea ha prodotto il nulla assoluto. Con lo Jobs Act, che non avete, naturalmente, neanche avuto il coraggio di chiamare con un nome italiano, si apre la strada alla nuova generazione di lavoratori a 300 euro al mese, una riforma del lavoro identica a quella imposta dalla Commissione europea per tre anni in Grecia, topo di laboratorio per quello che si vuole attuare anche negli altri Paesi dell'Europa del sud. Monti ha definito la Grecia il più grande successo dell'euro, lei è un degno successore. Nei sei mesi del suo semestre, un risultato, però, lo abbiamo ottenuto, e sbaglia chi non glielo riconosce. Abbiamo scelto di seguire la strategia politica estera folle degli Stati Uniti in Ucraina, l'eutanasia economica con le sanzioni alla Russia. Pag. 53Sanzioni che si ritorcono contro le imprese italiane soprattutto quelle del nord-est. Ora il Fondo monetario internazionale ci ricorda che nelle prossime settimane Kiev avrà bisogno di 15 miliardi di euro per evitare il default. Indovinate chi pagherà ? In questi mesi ne abbiamo avuto, eccome, prova della dignità della politica: scandalo Expo, altro che nutrire il pianeta, nutrire i partiti di tangenti; scandalo Mose, e mentre io sto parlando, nella vostra maggioranza siedono due deputati indagati per finanziamento illecito ai partiti, vergognatevi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) ! Scandalo mafia capitale, tangenti a destra e a sinistra, criminalità organizzata, appalti pilotati, politici di destra e sinistra coinvolti. Corrotti finiti in manette, indagati, a tavola con i capi clan dei Casamonica, con il ministro Poletti che non si fa più vedere, perché si vergognerà evidentemente (Commenti dei deputati del gruppo Partito Democratico), lo stesso che ha firmato la sua riforma del mercato del lavoro. Sei mesi di Presidenza europea, al termine dei quali Bruxelles continua a trattarci come un alunno indisponente. Si sarebbe potuto usare il semestre italiano per parlare della corretta gestione dei flussi migratori, di rivedere il Regolamento di Dublino che voi avete ratificato senza modifiche o soluzioni eque per l'Italia, rispetto ad altri Paesi. Ed oggi, dopo che la procura di Roma ha scoperchiato il vaso di Pandora, abbiamo capito il perché. Non avete chiesto il superamento di Dublino III, perché l'accoglienza degli immigrati è cosa vostra, sulla pelle degli immigrati e dei rom, ci mangiavate insieme ai Buzzi, agli Odevaine, e ai Carminati, vergognatevi ancora (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle-Commenti dei deputati del gruppo Partito Democratico) ! Ancora non sei stato in grado di accertarti se alla cena di autofinanziamento del PD, fosse presente anche il criminale Salvatore Buzzi. La notizia te la do io, allora: Buzzi, non solo era presente, ma ha pagato un tavolo intero per 10.000 euro, come ammesso dal suo braccio destro, Claudio Bolla. È forse il caso che dia qualche spiegazione magari al popolo italiano, questo lo potrebbe fare. È in questi casi che mi viene in mente la famosa frase di Indro Montanelli: la corruzione comincia con un piatto di pasta, mai frase fu più azzeccata (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Però è vero noi siamo l'antipolitica, nel senso che siamo l'antitesi della politica della corruzione, della collusione, della frode fiscale e della mafia (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), la politica che voi rappresentate, noi siamo l'antitesi. Il nostro Paese ha già vissuto una fase come questa, dopo tangentopoli è stata già azzerata una classe dirigente nel 1992, e a fare il lavoro sporco, che ha avviato con Maastricht la via senza ritorno della gabbia dei vincoli europei, e dell'euro, fu mandato Amato, il dottor sottile, mister manovra lacrime e sangue, nome che riesce fuori anche oggi, nel vostro gioco delle poltrone per il dopo Napolitano al Quirinale, strano caso. La dissoluzione di una intera classe politica non deve, tuttavia, essere il pretesto per mandare un Draghi, o un altro Commissario, «figlio di troika», al quale hai già commissariato il tuo cervello politico, caro Renzi (Commenti dei deputati del gruppo Partito Democratico), ad imporre il prelievo forzoso dei conti correnti, come il modello Cipro (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. Onorevole Sibilia, per favore.
CARLO SIBILIA. Io sto avvisando gli italiani di un pericolo, caro Presidente. O come il TTIP, l'area di libero scambio con gli Stati Uniti, misure straordinarie che nessun Governo democraticamente eletto può giustificare al suo elettorato. Ma è qui che viene il bello, perché rispetto al 1992, in Italia, qualcosa è cambiato, nelle istituzioni c’è un movimento di cittadini che contrasta, giornalmente, l'arrivo di un emissario diretto di Draghi, della Merkel, di Juncker o della Lagarde, con la stessa forza con cui stiamo denunciando le ruberie di mafia capitale.
C’è un movimento che punta dritto alla sovranità monetaria, punta dritto ad Pag. 54uscire dalla gabbia monetaria e che in un solo weekend ha raccolto già le firme necessarie per una proposta di legge popolare che istituisca un referendum per uscire fuori dall'euro (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
Mai nessun popolo al mondo ha potuto decidere della propria moneta: grazie al MoVimento 5 Stelle gli italiani possono farlo.
Ridenominare il debito pubblico in una nuova moneta associata al valore della nostra economia, creare una moneta di proprietà dello Stato italiano non è anacronismo, è realismo.
Un movimento che punta dritto al reddito di cittadinanza: 780 euro ai maggiorenni che non hanno un lavoro ed hanno voglia di cercarselo.
Noi rifiutiamo l'assunto per cui gli italiani non sono in grado di governarsi da soli. Certo i partiti hanno dato questo esempio al mondo, ma noi nei fatti siamo diversi.
Se c’è il buio, sentiamo il dovere di indicare la luce.
Dove ci viene detto che non è possibile, noi ci proviamo.
Dove gli altri partiti risultano indagati e invischiati, noi risultiamo puliti e questo per noi, caro Presidente, è un valore (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
Il prossimo passo deve essere quello di recuperare la nostra sovranità psicologica, come spiega bene Vladimiro Giacchè: «Per troppo tempo la classe politica e i media collusi ai poteri finanziari ci hanno fatto il lavaggio del cervello e ci hanno imposto un odio nei confronti di noi stessi ed un'adorazione del vincolo esterno come l'unica soluzione ai nostri problemi, atteggiamento che ha fatto credere al popolo che più Europa sia l'unica soluzione».
Ma la verità è che qualcuno di voi si sta anche accorgendo, in questi giorni, che siete diventati il partito della troika e avete abbandonato i bisogni della gente.
Qualcuno di voi ha capito che l'euro va superato e questo è un fatto.
Stamattina, alle 9,14, Presidente, lei parlava di un bivio. Ha ragione: oggi l'unica scelta da fare è tra il modello che ci proponete voi, di dittatura finanziaria, destinato al fallimento certo, e quello che proponiamo noi, ovvero un modello di democrazia diretta, di redistribuzione delle risorse, verso una strada che porti alla sovranità popolare. Tenga a mente queste parole, Presidente (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle – Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Amendola. Ne ha facoltà.
VINCENZO AMENDOLA. Signor Presidente, deputati e deputate, Presidente del Consiglio, gentili Ministri, in questa discussione a noi non spaventa la verità, non spaventa la verità in una discussione che riguarda il futuro ed il presente del nostro Paese. Non spaventa mai la verità, anche quando si parla di casi di corruzione, quando si parla di casi di mafia.
Ed io tramite lei, Presidente, vorrei chiedere al deputato Sibilia di dimostrare che non siamo diversi: perché io, se facessi accusa e accuse di legami con la mafia, rinuncerei all'immunità parlamentare(Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico); a nome del nostro gruppo, per difendere il nostro gruppo e l'onorabilità della politica, non dei partiti, chiedo al deputato di essere come noi: non rinunci all'immunità parlamentare quando fa queste accuse, perché la verità rende liberi, in un dibattito politico, in un dibattito parlamentare, soprattutto quando oggi siamo chiamati a discutere di Europa, verso un Consiglio europeo che parte da un presupposto.
L'azzardo morale viene da un documento, che io sono andato a rileggere, del febbraio scorso, 300 giorni fa, che dice: «I popolari rivendicano le scelte sostenute nel periodo 2010-2012. Queste hanno impedito all'Europa di finire nel baratro».
Un grande azzardo morale, perché noi sappiamo che l'Europa di sei mesi fa aveva un altro linguaggio, perché noi sappiamo che l'Europa della stabilità e del consolidamento dei debiti non parlava la lingua Pag. 55della crescita, non nella retorica, nei manifesti elettorali. Noi sappiamo che sei mesi fa era l'Europa dei dati raccontati dai nostri colleghi, quelli sul deficit di investimenti, quelli su un PIL che era calato, negli ultimi sette anni, come dopo una grande guerra.
E noi non abbiamo paura della verità, perché sappiamo che il presupposto di ogni discussione, come invitava il Presidente del Consiglio, parte da due punti chiave: politica estera e crescita.
Guardate, io lo dico perché credo che in quest'aula parlamentare bisogna riflettere sull'interesse nazionale.
L’austerity non era figlia della potenza, era figlia della paura, perché per sette anni, quando la valanga della crisi ci ha portato giù, noi ci siamo trovati divisi.
Ci siamo trovati come ventotto Paesi che non sapevano rispondere. E sono avvenuti due fatti: una scissione tra sicurezza dell'euro e sicurezza geopolitica del nostro continente, così come una scissione tra stabilità dell'euro, come si diceva sempre, e quella che era la stabilizzazione di una crescita convergente con altri continenti per far fronte alla crisi europea e mondiale. A me hanno molto colpito le parole del Pontefice a Strasburgo quando ha detto: guardate, l'Europa non è più il centro del mondo, voi avete un compito, che è quello di curare le ferite dei popoli e delle popolazioni. Infatti, il ruolo dell'Europa in sette anni ha visto una scissione tra quello che era il nostro compito, quello nato con il vento della storia, come dice un nostro deputato, quello della caduta dei muri, quello di unificare, anche facendo grandi errori che oggi noi paghiamo, l'Europa per un destino, ma la solidarietà, che ha richiamato Giorgio Napolitano a Torino, non è solo solidarietà tra i continenti, tra i ventotto, ma è una solidarietà per fare qualcosa, quello che dicemmo venticinque anni fa: uniamoci per trovare un posto nel mondo. E in questo mondo, quello del Pakistan di questa mattina, il mondo della Libia, della Siria e dell'Iraq, l'Europa per sette anni è stata disarmata, quasi come fosse una grande Svizzera che guardava quello che succedeva perché aveva il problema della stabilità. Chiusi in casa mentre il mondo esplodeva attorno a noi.
Caro Presidente, Tunisi, Erbil, Bagdad, Il Cairo: questo ha reso orgoglio al semestre europeo. Andare lì a parlare a nome dell'Europa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico) e dire che l'Europa c’è, ma non solo per portare cooperazione, bensì per portare politica, quella che dobbiamo fare in Medio Oriente, in Africa e quella che dobbiamo fare in tutti i continenti, facendo sì che la nostra sicurezza, quella incensata in tutti i grandi motti, si leghi anche a una visione. Infatti, noi saremo forti se guardiamo al mondo che è la radice per cui abbiamo costruito, non solo per i valori comunitari, ma per quello che dovevamo fare.
Vede, Presidente, c’è un motto tedesco che dice che la Germania è troppo piccola per il mondo ed è molto grande per l'Europa. Anche noi siamo molto grandi per l'Europa, insieme ad altri Paesi, ma tutti insieme, o scopriamo che siamo troppo piccoli per questo mondo e ritroviamo una ragione e una visione e ritroviamo il vento della storia, o quello che dal 2008 ci ha chiusi in casa a difenderci in un'idea geopolitica che era quella dell'isolamento.
Ha fatto bene l'Italia a proporre Federica Mogherini. Noi ne siamo orgogliosi perché è la scelta che dà sostanza a questa idea di Europa: non chiuderci nell'isolamento mentre un mondo si muove. Ha ricordato il ponte a Istanbul. Io vorrei dire che solo qui nel Mediterraneo, dove gira il 19 per cento delle merci mondiali, in Tunisia e in Marocco raddoppiano i porti, Suez viene raddoppiato e c’è un grande progetto in Nicaragua per costruire un grande canale da 40 miliardi. Bene, il mondo si muove e noi vogliamo che questa Europa, con la politica estera, con la visione del mondo, torni protagonista.
E la seconda scissione, Presidente, la scissione tra la stabilità dell'euro, questo dogma, e una stabilizzazione di un continente che, insieme agli altri continenti, doveva uscire dalla crisi del 2007. Diciamolo, ci hanno guardato come degli extraterrestri Pag. 56per anni. Mentre Barack Obama interveniva, mentre i BRICS preferivano il protezionismo all'uscita dalla crisi, noi eravamo chiusi tra di noi. È da qui che partiamo. È da questo azzardo morale della destra che partiamo. È da questa idea di Europa sovranista (chiuderci fra di noi invece di cedere potere e costruire un Governo politico europeo) che partiamo. Infatti, storia e geografia, come ci insegnano alle elementari, sono l'unico modo per saper leggere il mondo. Se manca quello, manca tutto.
Noi abbiamo detto in questi sei mesi – e lo faremo anche in questo Consiglio e lo faremo dopo – di legare la politica monetaria di Mario Draghi, la politica fiscale della Commissione e del Parlamento e la politica di riforme strutturali, come stiamo facendo in Italia, che non sono alternative, ma sono tre meccanismi che noi mettiamo in campo e che portiamo avanti per costruire quel cambiamento da tutti invocato. Trecento giorni fa, come dicevamo tutti, ma dopo trecento giorni sarebbe anche per interesse nazionale e per spingere questo Governo a fare di più e riconoscere che si è aperto un varco.
Non esisteva nel linguaggio della Commissione la parola «crescita». «Fu in una notte» – ricorda il Presidente dell'Econ Gualtieri – «che abbiamo dovuto introdurre il termine “flessibilità”, perché nel programma di Juncker non era abbastanza chiaro». E questo sforzo è uno sforzo decisivo, perché le parole «preoccupante» e «grave», che si usano in forme retoriche poche volte, sono centrali per vedere la differenza tra la questione sociale e i tempi delle scelte.
Noi chiediamo, insieme al Parlamento europeo e al gruppo socialista e democratico – fatelo anche voi nelle vostre famiglie politiche –, di accelerare, perché il progetto dei 315 miliardi di euro e soprattutto della costituzione di un fondo per gli investimenti economici strategici è centrale.
Cari colleghi, questo apre un primo varco, perché per questo fondo noi diciamo che la spesa pubblica c’è ed è positiva. Non siamo più nel dogma per cui la spesa pubblica era qualcosa che faceva crollare l'impalcatura. Diciamo che gli investimenti sono relativi alla crescita e la spesa pubblica che noi mettiamo in campo come contributo deve essere considerata positivamente.
È un varco che se noi applichiamo sul piano Juncker, insieme al Parlamento europeo, possiamo estendere sugli altri segmenti della politica, non solo sulla flessibilità, ma sui fondi europei, chiedendo, per esempio, che i fondi della BEI, i fondi del meccanismo di stabilità, che sono congelati oggi, siano anche risorse per muovere altre risorse per la crescita. Ma è anche un meccanismo utile, perché crea un rapporto tra pubblico e privato; un meccanismo di investimenti che anche sul nostro campo delle riforme strutturali può fare moltiplicatore.
Siamo soddisfatti ? Lo ha detto il Presidente del Consiglio, no, non è abbastanza, è sotto le nostre aspettative. Ma, cari colleghi, quale sarebbe l'alternativa ? Uscire dall'euro ? Non perdiamo tempo. Discutere i regolamenti e i Trattati, come anche oggi Juncker ha detto ? Benissimo, ma ci vogliono i tempi per fare questo. Noi potremmo aprire subito il cantiere, forse bisogna farlo, ma i tempi per uscire dalla crisi nel 2015 non aspettano le discussioni e i plenum.
Caro Presidente, il vento della storia in questi sette anni ha visto un'Europa chiusa, isolata, con la forza dell’austerity, che era la più grande debolezza. Noi oggi, aprendo questo varco verso il Consiglio e verso i prossimi passaggi, utilizzando il Parlamento europeo, possiamo fare altra strada. È un varco piccolo, ma con la spinta non solo di questo Parlamento, ma anche di chi crede che dall'Europa passi il futuro non solo delle generazioni che arrivano, ma anche di quelle che dovranno venire.
Mi consenta, Presidente, di chiudere di nuovo sull'Europa e sulla sua voglia di allargarsi. Bene, io lo dico molto francamente: io sono perché noi stigmatizziamo gli errori fatti nel passato. Ma su un punto, se ascolto le minoranze ucraine, se ascolto le minoranze curde in Turchia, se Pag. 57ascolto tanti che hanno guardato a quel progetto, una cosa ci hanno chiesto: non solo condannate chi ci governa male, ma aprite le porte per l'Europa, perché questo cambia noi, cambia voi e cambia anche un'idea di mondo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico – Congratulazioni).
PRESIDENTE. Saluto gli studenti e gli insegnati dell'Istituto magistrale Fratelli Maccari di Frosinone, che assistono ai nostri lavori dalla tribuna (Applausi).
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Locatelli. Ne ha facoltà.
PIA ELDA LOCATELLI. Signor Presidente, domani 17 dicembre il Parlamento europeo in seduta plenaria voterà una risoluzione a favore del riconoscimento dello Stato della Palestina. Questo voto segna un'importante svolta politica nell'Unione europea e fa eco ad altre analoghe, recenti prese di posizione dei Parlamenti di Gran Bretagna, Francia, Irlanda, Spagna ed al riconoscimento ufficiale da parte della Svezia.
Una svolta che accoglie l'appello di quasi mille intellettuali israeliani – è un dato di questa mattina, mille ! – convinti che l'esistenza e la sicurezza di Israele sono legate all'esistenza di uno Stato palestinese a fianco di quello israeliano, in un reciproco riconoscimento sulla base dei confini del 4 giugno 1967. Anche noi socialisti, insieme ad altri colleghi, abbiamo presentato una mozione in cui chiediamo l'impegno del nostro Governo a riconoscere lo Stato della Palestina.
Signor Presidente, le chiediamo che questo impegno venga preso al più presto in Italia, come in Europa, come ultimo atto – secondo noi, il più significativo – del semestre a guida italiana.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LAURA BOLDRINI (ore 13,15)
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, il deputato Currò. Ne ha facoltà.
TOMMASO CURRÒ. Signor Presidente, colleghe e colleghi, questo Governo ha il merito di avere adottato per la prima volta decisioni in ambito europeo che hanno marcato un segno di discontinuità con le politiche di austerità del passato, concausa dello stato di crisi in cui versa oggi il Paese. I maggiori spazi finanziari previsti nel DEF e tradotti del disegno di legge di stabilità in interventi macroeconomici ne sono la testimonianza. Va riconosciuto dunque il merito al Governo di aver indicato una via di fuga dal declino. Da un lato c’è chi si assume la responsabilità di governare il Paese e, dall'altro, chi tenta di risolvere la crisi esclusivamente con atteggiamenti pregiudizievoli per la stabilità delle istituzioni della Repubblica. C’è chi intende migliorare le regole per un'Europa più equa e più giusta e chi propone alleanze con la destra populista di Farage predicando una deleteria uscita dall'euro e minando quel processo di integrazione degli Stati che ha permesso all'Europa di godere del più lungo periodo storico di pace (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Nuovo Centrodestra). Con il 25 per cento del consenso elettorale dovevamo contribuire a risolvere i problemi del Paese e a rendere l'Italia più competitiva nello scenario internazionale. Invece, nonostante il dissenso interno, abbiamo giocato alla delegittimazione e alla distruzione senza alcuna forma di rispetto e di responsabilità. Abbiamo utilizzato l'alibi del 51 per cento, inteso come unica forma possibile di Governo, per giustificare una condotta del tutto omissiva verso le attese che ben 8 milioni e 700 mila italiani avevano riposto in noi (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Nuovo Centrodestra). Condivido, colleghi, il tentativo di rinnovamento della classe dirigente del Paese ed al pari di molti colleghi qui presenti, intendo partecipare attivamente al processo di moralizzazione della politica.
PRESIDENTE. Concluda, onorevole Currò.
TOMMASO CURRÒ. Infine – concludo, Presidente e la ringrazio – rivendico il mio Pag. 58diritto a rappresentare il territorio nel quale sono stato eletto. Nel momento in cui ho cercato di rappresentarne gli interessi, paradossalmente ho avuto più ostacoli dal MoVimento a cui appartengo rispetto agli altri partiti. Voglio sentirmi sereno e orgoglioso di lavorare per un progetto politico nel quale riconoscermi e attraverso il quale operare. Oggi, signor Presidente, queste condizioni e questo gruppo non ci sono più e allora – concludo – nel comunicare il mio voto favorevole alla risoluzione di maggioranza, annuncio la mia uscita dolorosa, Presidente, dal MoVimento 5 Stelle, non più evitabile (Vivi applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Nuovo Centrodestra – Applausi polemici dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) !
PRESIDENTE. Passiamo ai voti. Come da prassi, le risoluzioni saranno poste in votazione per le parti non assorbite e non precluse dalle votazioni precedenti (Proseguono applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Nuovo Centrodestra e applausi polemici dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)... per favore colleghi... chiederei un po’ di attenzione da parte dell'Aula, colleghi... abbiamo un ordine del giorno da rispettare ! Vi prego di consentire i lavori in quest'Aula... colleghi per favore... vi prego di sedervi... prendete i vostri posti, colleghi, dobbiamo andare avanti con il nostro ordine del giorno !
Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico.
IGNAZIO LA RUSSA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. A che titolo ?
IGNAZIO LA RUSSA. Presidente, chiedo di parlare in dissenso dal gruppo. È l'unico modo per cui posso avere un minuto di tempo.
PRESIDENTE. Prego.
IGNAZIO LA RUSSA. Grazie. Il mio dissenso, più che verso il gruppo, è verso questo incredibile applauso ad un parlamentare, del quale condivido molte cose che ha detto, ma la dignità di un parlamentare portato qui da Grillo è quella, dopo aver svolto questo argomento, di dimettersi e di andare a casa ! Di andare a casa (Commenti dei deputati del gruppo Partito Democratico) !
PRESIDENTE. Questo argomento non è all'ordine del giorno. Deputati, colleghi, per favore !
(Votazioni)
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione Speranza, De Girolamo, Mazziotti Di Celso, Dellai, Pisicchio, Di Lello, Alfreider n. 6-00100, su cui il Governo ha espresso parere favorevole.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Guidesi, Cicchitto, Berlinghieri, Di Lello. Hanno votato tutti ? Colleghi, come da prassi, le altre risoluzioni, chiaramente, saranno poste in votazione per le parti non assorbite e non precluse dalle votazioni precedenti.
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:
Presenti 490
Votanti 488
Astenuti 2
Maggioranza 245
Hanno votato sì 312
Hanno votato no 176.
La Camera approva (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico – Vedi votazioni).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione Pag. 59Brunetta ed altri n. 6-00101, su cui il Governo ha espresso parere contrario.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Gregori, Luciano Agostini, Malpezzi. Hanno votato tutti i colleghi ? Monchiero.
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:
Presenti 487
Votanti 469
Astenuti 18
Maggioranza 235
Hanno votato sì 58
Hanno votato no 411.
La Camera respinge (Vedi votazioni).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione Kronbichler ed altri n. 6-00102, su cui il Governo ha espresso parere contrario.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Brandolin, Gregori, Lavagno, Carnevali, Farina, Massa, Donati. Il tecnico sta andando. Riuscite a votare ? Hanno votato tutti ?
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:
Presenti 486
Votanti 407
Astenuti 79
Maggioranza 204
Hanno votato sì 24
Hanno votato no 383.
La Camera respinge (Vedi votazioni).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione Gianluca Pini ed altri n. 6-00103, con il parere contrario del Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Piepoli, Pesco, Albanella, Fanucci, Pilozzi...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:
Presenti 487
Votanti 356
Astenuti 131
Maggioranza 179
Hanno votato sì 24
Hanno votato no 332.
La Camera respinge (Vedi votazioni).
Passiamo alla votazione della risoluzione Battelli ed altri n. 6-00104.
Avverto che i presentatori di tale risoluzione hanno chiesto la votazione per parti separate, nel senso di votare distintamente la premessa e le singole lettere dei capoversi del dispositivo.
Passiamo, quindi, ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione Battelli ed altri n. 6-00104, limitatamente alla premessa, su cui il Governo ha espresso parere contrario.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Baroni...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:
Presenti e votanti 488
Maggioranza 245
Hanno votato sì 79
Hanno votato no 409.
La Camera respinge (Vedi votazioni).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sul dispositivo della risoluzione Battelli ed altri n. 6-00104, con il parere contrario del Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SIMONE BALDELLI (ore 13,30)
Spadoni, D'Agostino...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 487
Votanti 485
Astenuti 2
Maggioranza 243
Hanno votato sì 79
Hanno votato no 406).
Sono così esaurite le comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in vista del Consiglio europeo del 18 dicembre 2014.
In occasione del centesimo compleanno dell'onorevole Renzo Franzo.
PRESIDENTE. Colleghi, desidero richiamare la vostra attenzione su una ricorrenza che mi fa piacere celebrare e ricordare qui in Aula. Compie oggi cento anni Renzo Franzo. Egli è stato deputato alla Camera dei deputati nelle prime cinque legislature, iscritto al gruppo parlamentare della Democrazia Cristiana.
Nato a Palestro, in provincia di Pavia, il 16 dicembre 1914, laureato in lingue e letterature straniere e insegnante, durante la sua permanenza in Parlamento si è distinto per un costante impegno volto alla promozione e alla valorizzazione della produzione agricola italiana, a difesa degli interessi del mondo rurale. Un impegno, quest'ultimo, che lo ha visto sempre in prima linea anche una volta cessato dall'incarico di parlamentare. Al collega Renzo Franzo esprimo, dunque, a nome di tutta l’ Assemblea, gli auguri più sinceri per il suo centesimo compleanno.
Ha chiesto di intervenire l'onorevole Luigi Bobba. Ne ha facoltà.
LUIGI BOBBA. Signor Presidente, voglio solo associarmi agli auguri della Presidenza della Camera al mio concittadino Renzo Franzo che compie oggi proprio cento anni. Le sue condizioni di salute, pur buone, non gli hanno consentito di essere qui alla Camera.
È una figura eminente perché da giovane, dopo aver fatto il bersagliere per sei anni, con il 1943 decide di entrare nella lotta partigiana e poi, successivamente, di impegnarsi in politica nelle file della Democrazia cristiana; eletto tra il 1948 e il 1968, per 20 anni è stato nostro collega deputato.
Era il segretario del gruppo dei deputati collegati alla Coltivatori diretti, si è sempre occupato di agricoltura ed ha svolto un ruolo fondamentale nella modernizzazione non solo della normativa ma anche delle aziende del mio territorio e, in particolare, delle aziende di produzione del riso.
È una figura anche particolarmente rilevante sul piano intellettuale ed etico per la capacità di cogliere i cambiamenti che ci sono stati, per la incisività con cui seppe seguire i grandi cambiamenti del Paese accompagnandoli con la sua azione politica.
Credo che la sua lezione insieme politica, morale e intellettuale vada non solo ricordata ma compresa e può essere un insegnamento per tutti noi. Grazie a Renzo Franzo per le scelte che lo hanno accompagnato lungo tutto il secolo della sua vita.
(La Presidenza autorizza sulla base dei criteri costantemente seguiti la pubblicazione in calce al resoconto della seduta del testo integrale dell'intervento).
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Bobba, anche per il suo ricordo, malgrado il clima di Aula non sia dei più favorevoli.
Sull'ordine dei lavori (ore 13,33).
FUCSIA FITZGERALD NISSOLI. Chiedo di parlare per un minuto a fine seduta antimeridiana.
Pag. 61PRESIDENTE. In realtà il fine seduta sarebbe alla fine della seduta pomeridiana. Comunque, ne ha facoltà.
FUCSIA FITZGERALD NISSOLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, domenica scorsa sono passati due anni dalla strage perpetrata presso la Sandy Hook Elementary School di Newtown, dove hanno perso la vita venti bambini e sei adulti. È stata una strage di innocenti che ha colpito l'America e credo che, in un mondo globalizzato, non abbia lasciato indifferenti tutti quelli che hanno saputo dell'accaduto.
Io lo voglio ricordare, anche qui in Aula, non solo perché Newtown è la città dove vivo negli Stati Uniti, ma soprattutto perché quanto accaduto in quel contesto serva da riflessione sul modello di società che vogliamo costruire.
Oggi, ci sentiamo uniti al silenzio della comunità di Newtown che così ha voluto ricordare le vittime, ma tale silenzio non deve farci dimenticare, anzi deve servire per costruire una memoria interiore oltre che pubblica, che ci sproni a lavorare per una maggiore attenzione educativa verso i giovani ed a prevenire, con politiche e strumenti adeguati ogni forma di devianza per costruire una società coesa e sostenibile.
Rivolgo un pensiero particolare alle famiglie delle vittime affinché sappiano trasformare il loro dolore in impegno per un mondo migliore. In questo accolgano anche la vicinanza del Parlamento italiano.
Inoltre, penso che ciascuno di noi, seguendo i dettami della propria fede e coscienza, in occasione del Natale, saprà rivolgere un pensiero che viene dal cuore a quei piccoli angeli di Newtown e a tutti gli altri bambini, che ogni anno, vittime di menti malate, non arriveranno mai a sapere che la vita è amore (Applausi).
PRESIDENTE. Sospendiamo, a questo punto, la seduta che riprenderà alle ore 16 con la discussione sulle linee generali del disegno di legge costituzionale recante disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione.
La seduta, sospesa alle 13,35, è ripresa alle 16,05.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LAURA BOLDRINI
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Bobba, Bocci, Michele Bordo, Boschi, Brunetta, Caparini, Cicchitto, D'Ambrosio, Dambruoso, De Girolamo, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Fedriga, Ferranti, Fioroni, Gregorio Fontana, Franceschini, Giancarlo Giorgetti, La Russa, Losacco, Lupi, Manciulli, Marazziti, Merlo, Orlando, Pisicchio, Rampelli, Realacci, Domenico Rossi, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scotto, Speranza, Tabacci, Valeria Valente e Vito sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
I deputati in missione sono complessivamente ottantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.
Discussione sulle linee generali del disegno di legge costituzionale: S. 1429 – Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione (Approvato, in prima deliberazione, dal Senato). (A.C. 2613-A) e degli abbinati progetti di legge costituzionale: D'iniziativa popolare; Pag. 62D'iniziativa popolare; Vignali; Cirielli; Cirielli; Cirielli; Causi; Pisicchio; Pisicchio; Pisicchio; Pisicchio; Giachetti; Scotto; Francesco Sanna; Peluffo ed altri; Lenzi; Lauricella ed altri; Bressa e De Menech; Caparini ed altri; Caparini ed altri; Vaccaro; Laffranco e Bianconi; Palmizio; Palmizio; Palmizio; Palmizio; Giancarlo Giorgetti ed altri; Giancarlo Giorgetti ed altri; La Russa ed altri; Abrignani ed altri; Toninelli ed altri; Gianluca Pini; Laffranco e Bianconi; Ginefra ed altri; Giorgia Meloni ed altri; Migliore ed altri; D'iniziativa del Governo; Bonafede e Villarosa; Pierdomenico Martino; Brambilla; Giancarlo Giorgetti ed altri; Cirielli e Giorgia Meloni; Valiante; Quaranta ed altri; Lacquaniti ed altri; Civati ed altri; Bossi; Lauricella e Simoni; Dadone ed altri; Giorgis ed altri; La Russa ed altri; Rubinato ed altri; D'iniziativa del consiglio regionale dell'Emilia-Romagna; Matteo Bragantini ed altri; Civati; Francesco Sanna ed altri (A.C. 8-14-21-32-33-34-148-177-178-179-180-243-247-284-329-355-357-379-398-399-466-568-579-580-581-582-757-758-839-861-939-1002-1259-1273-1319-1439-1543-1660-1706-1748-1925-1953-2051-2147-2221-2227-2293-2329-2338-2378-2402-2423-2441-2458-2462-2499) (ore 16,06).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge costituzionale, già approvato in prima deliberazione dal Senato, n. 2613-A: Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione, e degli abbinati progetti di legge costituzionale nn. 8, 14, 21, 32, 33, 34, 148, 177, 178, 179, 180, 243, 247, 284, 329, 355, 357, 379, 398, 399, 466, 568, 579, 580, 581, 582, 757, 758, 839, 861, 939, 1002, 1259, 1273, 1319, 1439, 1543, 1660, 1706, 1748, 1925, 1953, 2051, 2147, 2221, 2227, 2293, 2329, 2338, 2378, 2402, 2423, 2441, 2458, 2462, 2499.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 12 dicembre 2014.
(Discussione sulle linee generali – A.C. 2613-A ed abbinati)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle, Sinistra Ecologia Libertà e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento.
Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza, presidente della Commissione Affari costituzionali, deputato Francesco Paolo Sisto.
FRANCESCO PAOLO SISTO, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, non posso negare che prendere la parola per relazionare all'Aula in ordine alla riforma della Costituzione lo intendo sostanzialmente come un gesto di grande umiltà, perché nel riformare la Costituzione bisogna essere cauti, bisogna essere rispettosi, bisogna in qualche maniera in punta di piedi non pensare all'attualità ma pensare essenzialmente ad una struttura capace, nella sua forte elasticità, di garantire le fondamenta della nostra democrazia parlamentare. Questo è accaduto in Commissione con un lavoro che non esito a definire ispirato, perché maggioranza e opposizione in qualche modo si sono fuse in uno sforzo sinergico di raggiungimento di un obiettivo che va al di sopra delle appartenenze e posso dire che è andato al di sopra delle appartenenze.
Bisogna avere una sorta di rispetto di quello che è stato il lavoro dei padri costituenti, e considerarsi – è questo il mio pensiero, Presidente – con quella chiave di umiltà che per noi costituisce un punto di grande rilevanza nell'affrontare questa normativa, considerarsi dei «figli costituenti»: come se noi dovessimo soltanto raccogliere il testimone dello straordinario lavoro dell'Assemblea costituente, e cercare di rendere questa Costituzione Pag. 63quanto è più possibile vicina ai fenomeni e quanto è più possibile vicina a quelli che sono stati i fili conduttori che hanno caratterizzato quello straordinario lavoro che è culminato nella Costituzione del 1947-48.
Presidente, noi depositiamo la relazione con tutti i contenuti che consentiranno poi di avere una analitica ricostruzione di quelli che sono stati i lavori in Commissione. Mi tocca però necessariamente chiarire la ratio di quello che abbiamo cercato di realizzare partendo dal testo del Senato, offrendo alla Camera dei deputati un contributo che credo non si possa definire assolutamente improduttivo.
Il dato più rilevante è che dal sistema del bicameralismo perfetto si è passati a quello che ho definito «monocameralismo partecipato». Questo è un passaggio non secondario nell'intera struttura della riforma, perché è evidente che la ragione di questo passaggio è dovuta alla complessità che l'era moderna ha portato rispetto ai fenomeni e ai meccanismi parlamentari. Sembra strano, ma la maggiore complessità esige una maggiore semplificazione. Cioè, è questa apparente antinomia fra il moltiplicarsi delle leggi, dei fenomeni, della realtà, della incontrollabilità delle estrinsecazioni quotidiane di quello che ci succede intorno, che provoca nell'ambito del bicameralismo la necessità di una maggiore efficienza, che si manifesta con una semplificazione; e questo accade nel passaggio da un bicameralismo che rimane perfetto per talune materie, perché in qualche modo diventa un bicameralismo di garanzia, con una progressione verso una sempre maggiore rilevanza della Camera come unico organismo politico, della fiducia politica, e che dà alla Camera dei deputati una funzione di maggiore efficienza. Ecco, una riforma costituzionale maggiormente efficiente e in perfetta sintonia e in continuità storica con quella che era la volontà dei padri costituenti: il tentativo di dare efficienza senza neanche per un attimo dimenticare la forza straordinaria della democrazia parlamentare, mi sembra che costituisca il mantra di quello che noi abbiamo cercato di realizzare.
E in questa straordinaria continuità fra incremento della complessità, della moltiplicazione dei fenomeni e delle leggi, con un processo di semplificazione che vinca in nome dell'efficienza la necessità di un Parlamento più pronto e con risposte più certe nei confronti dei cittadini, io credo che noi abbiamo cercato di definire la Costituzione come una casa. Una casa, Presidente, però solida, ben distribuita, ben definita, ma con le finestre sempre aperte e chiuse a seconda di quello che il legislatore decide di fare; cioè una casa in cui sostanzialmente sia possibile per il legislatore cambiare l'aria costantemente, e raggiungere l'obiettivo di una flessibilità inscritta però in un solido meccanismo che rivendichi la sua coerenza con quelli che sono i principi fondamentali.
E in questo ambito di una capacità del legislatore di adeguare all'interno della Costituzione i tempi a quello che è invece il presupposto assolutamente irrinunciabile della democrazia parlamentare, noi abbiamo cercato, Presidente, superando il bicameralismo perfetto, di disegnare alcuni istituti come quello del voto a data certa: molto sofferta questa discussione, ma sostanzialmente ha raggiunto un obiettivo certamente soddisfacente, ma che l'Aula potrà ulteriormente migliorare, se riterrà. Perché attenzione, non si dimentichi che la Commissione ha una funzione istruttoria, ma poi è sempre l'Aula quella che deve dire la sua in ordine alla definitività delle statuizioni.
Abbiamo introdotto il giudizio preventivo di legittimità costituzionale. Lo abbiamo discusso ampiamente per la legge elettorale della Camera dei deputati e per il Senato. Abbiamo ripristinato la seduta comune per l'elezione dei cinque giudici della Corte costituzionale di nomina parlamentare. Abbiamo riscritto il procedimento legislativo, abbiamo anche modificato le maggioranze per l'elezione del Presidente della Repubblica e abbiamo lavorato attentamente sul Titolo V, parte II, della Costituzione, eliminando la competenza concorrente, rafforzando la competenza esclusiva statale e dando certezza a quella regionale, per esempio inserendo Pag. 64nella competenza esclusiva dello Stato elementi come la sicurezza del lavoro e la sicurezza alimentare. Ampia attenzione è stata dedicata alla clausola di supremazia, ma di questo i lavori della Commissione offrono una sufficiente, direi, testimonianza di iperattenzione da parte di tutti i gruppi.
Ma da presidente della Commissione non posso, illustre Presidente, che rammentare i dati del nostro lavoro che, pur consci di un compito così alto e così difficile, hanno visto un lavoro che è partito l'11 settembre fino a concludersi sabato notte, 13 dicembre, con il mandato ai relatori. Abbiamo svolto 13 sedute preliminari. L'8 ottobre, con numerosi e ampi interventi nella discussione, abbiamo deliberato un'indagine conoscitiva, in cui abbiamo ascoltato 50 soggetti fra esperti e rappresentanti di varie istituzioni. Il 16 ottobre abbiamo chiesto al Governo alcune valutazioni che ci sono state fornite il 28 ottobre e, deliberato il testo base, si è passati all'attività sugli emendamenti. Ci sono stati 1.176 emendamenti, con diversa distribuzione fra i gruppi, ma niente che andasse al di là del legittimo esercizio del diritto di ciascun gruppo di avere delle perplessità da sciogliere, dei nodi da chiarire nell'ambito della Commissione. Io lo dico subito: grande plauso al lavoro, ripeto, di tutti i gruppi, anche quelli che erano più critici nei confronti della riforma della Costituzione.
L'esame degli emendamenti è iniziato il 26 novembre nella loro fase di discussione, occupando 14 sedute, Presidente, con 51 ore, 1.000 interventi da parte di deputati, al di là degli interventi dei relatori e del Governo. Non abbiamo applicato, non ho applicato, come presidente di Commissione, nessun criterio restrittivo sui tempi di esame e neanche sul numero degli emendamenti da sottoporre a votazione. Ecco perché parlavo di un lavoro ispirato, di cui tutti i gruppi hanno compreso la rilevanza e anche strumenti importanti che possono essere legittimamente esercitati, come quelli dediti all'ostruzionismo, non hanno trovato, neanche per un attimo, anzi, albergo nei nostri lavori, che sono stati, invece, teatro di importanti interventi a chiarimento, costruttivi, nonostante i numeri poi abbiano detto alla fine la loro. Certo è che nei lavori della Commissione vi sono numerosi spunti che saranno certamente utili per i lavori dell'Aula.
Dirò, Presidente, che abbiamo votato circa 550 emendamenti, con 50 emendamenti approvati. Dirò, soltanto per un fatto di parallelismo o di comparazione, che la riforma della XIV legislatura ha avuto 9 sedute e 20 ore; la XIII legislatura, pur con un'entità inferiore, diciamo così, come tipologia di riforma, 3 sedute per 5 ore e 20 minuti.
Ma se io non dessi atto che vi sono delle questioni che sono rimaste aperte e volessi dare ai lavori di Commissione un carattere eccedente, rispetto a quello che invece ricevono, non svolgerei a pieno il mio compito di presidente e relatore, perché è evidente che vi sono alcune questioni che in Aula debbono essere chiarite e approfondite. Il tema dei cinque senatori di nomina presidenziale, che ha ricevuto in Commissione un voto sull'articolo 2 che ne elimina il numero e un voto sull'articolo 3 che li ribadisce, è chiaro che è un nodo che l'Aula dovrà sciogliere, perché certo è intollerabile che nella Costituzione ci possano essere elementi di perplessità normativa, anche eventuale e anche ipotetica.
Una Costituzione deve essere asciutta, chiara, netta, precisa, deve avere affermazioni di principio e questo è stato uno dei compiti che nella Commissione – devo dire – si è cercato di mantenere, cioè evitare che si trasfondesse nella Costituzione – ed è una raccomandazione che mi permetto di rivolgere anche al lavoro di Aula – il dettaglio dell'attualità, come se la Costituzione fosse un modo, una superfetazione, per regolamentare fenomeni invece propri di leggi ordinarie.
Se qualcuno pensa di chiudere la possibilità di leggi ordinarie con una scatola troppo piccola nell'ambito della Costituzione, certo non comprende lo spirito della Carta costituzionale, che deve lasciare aperture, deve lasciare la possibilità Pag. 65al legislatore di avere spazi, anche critici per certi versi, anche la possibilità di un ripensamento su determinate questioni affidate a leggi ordinarie. Infatti, un'affermazione di principio, per quanto perentoria, non è un'affermazione chiusa, non è un'affermazione che non consente poi al legislatore ordinario di vivere quel principio nell'attualizzazione che, indispensabilmente, si accompagna ai principi costituzionalmente affermati. Quindi, sono delle affermazioni – ripeto – che l'Aula saprà tesaurizzare non come legate alla singola esigenza e alla specifica circostanza, ma sollevate dal suolo della quotidianità e della contingenza e proiettate verso un presente destinato a durare nell'ambito del nostro sistema certamente non nello spazio di un partito, nello spazio di un'esigenza, nello spazio di un Governo, nello spazio di uno spicchio istituzionale limitato e, per questo, non costituzionale.
L'ampio respiro, Presidente, si dovrà necessariamente misurare con la rappresentanza della nazione da parte dei soli membri della Camera dei deputati nell'ambito del procedimento a data certa, nell'ambito dell'esigenza di rivedere ulteriormente la disciplina del procedimento legislativo, nell'ambito del giudizio preventivo di legittimità costituzionale delle leggi elettorali. Io mi sono permesso, sempre nel rispetto che si deve avere per i lavori dell'Assemblea costituente, di esaminare gli articoli di cui ci siamo occupati nella lettura che i nostri padri costituenti ne hanno dato. Ebbene, ho trovato traccia, negli interventi di Mortati, negli interventi di Terracini, negli interventi di Nobile, di Greco, di tutti coloro che hanno partecipato, di alcuni spunti estremamente rilevanti, perché, Presidente, la necessità dei rapporti fra Camera e Senato si è posta immediatamente in quella discussione così alata che tutti quanti abbiamo potuto assumere a parametro del nostro compito. Si dice chiaramente in questi lavori che Camera e Senato hanno un ruolo di priorità o di non priorità non a seconda di come vengono strutturate, ma di fatto, cioè nella parità della genesi politica si assumeva il rischio della prevalenza dell'una o dell'altro nella comunanza – ripeto – del punto di partenza e di origine. Ma – e lo si dice chiaramente – laddove si fosse optato per un Senato a matrice regionalistica, è evidente che la Camera sarebbe stata il ruolo prioritario della fiducia politica. Quindi, quello che noi stiamo realizzando ha radici profonde, ha radici antiche e questa intuizione, che fu esorcizzata in quegli anni, oggi riprende piede e riprende vigore in perfetta sintonia con la preoccupazione dei nostri padri.
Io penso che il nostro compito oggi sia quello di garantire l'efficienza, un'efficienza che significa speditezza, ma che non significa, almeno questo è stato il nostro spirito, Presidente, rinuncia a quei principi decisivi e fondamentali che mai possono costituire materia di transazione politica. Tenere la barra dritta su quei principi, evitare che si possa scambiare l'interesse politico del momento come un argomento per modificare la struttura della Carta costituzionale è stata una preoccupazione che noi abbiamo tenuto ben netta e ben evidente, pur con la fatica della mediazione che certamente ha caratterizzato taluni degli interventi. Allora, io credo di dover affidare all'Aula una sorta di mandato aperto.
Non si tratta di un testo chiuso, ma di un testo che la dinamica dell'Aula dovrà, necessariamente metabolizzare, dovrà necessariamente interpretare, dovrà necessariamente digerire, perché, in qualche modo, il prodotto finale possa essere un prodotto parlamentare, profondamente parlamentare. Credo che questo sia anche il leitmotiv che noi dobbiamo assolutamente rispettare, non dei diktat di maggioranza, ma una discussione che, in qualche modo, sia capace – e rimanga agli atti – di dare a questa riforma qualcosa di più dal punto di vista dei contenuti, qualcosa di meno dal punto di vista della preoccupazione politica. Abbiamo cercato, io ho provato, e forse ci siamo riusciti, insieme al collega Fiano, e ai componenti la Commissione, di realizzare una sorta di disconoscimento di paternità politica, ma un riconoscimento di paternità costituzionale e istituzionale, e se mi fate passare questo Pag. 66termine, culturale, perché la cultura di questo Paese nasce dalla Costituzione, e se noi non siamo fermi su questo punto, se noi non difendiamo questi principi, indipendentemente dalle appartenenze, non saremmo stati degni figli dei costituenti.
Ritengo, Presidente, che su questi punti, quello che noi siamo stati capaci di riferire e di realizzare, costituisca un piccolo sforzo, un piccolo contributo, e sono convinto che l'Aula sarà perfettamente capace, riportandomi integralmente alla relazione – che si abbia per depositata – di cogliere. Io chiedo, davvero, che le appartenenze, in questo caso, costituiscano soltanto un presupposto per prendere la parola, giammai una linea di confine tra l'interesse politico e l'interesse, invece, a mantenere un alto profilo di carattere costituzionale e fondamentale, che – sono sicuro – sarò sarà oggetto di grande vigilanza e sorveglianza da parte di quegli stessi padri che hanno scritto uno straordinaria meravigliosa Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico – La Presidenza autorizza la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della relazione, sulla base dei criteri costantemente seguiti).
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza, deputato Fiano.
EMANUELE FIANO, Relatore per la maggioranza. La ringrazio Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, onorevole Scalfarotto, non è senza emozione che mi accingo ad illustrare la mia relazione alla proposta di riforma costituzionale che viene ora all'esame della Camera.
Per molti di noi, spero per tutti, anche se oggi non siamo tanti, la Carta costituzionale è l'esito, non scontato, di un travaglio terribile che attraversò la nostra patria, la nostra nazione, la nostra comunità, nel corso della dittatura fascista e dell'occupazione nazista nel secondo conflitto mondiale. La Costituzione noi la leggiamo come l'esito di una liberazione, di quella liberazione. La Costituzione per la quale, ancora oggi, noi ringraziamo i padri costituenti, è ciò che viene consegnato a noi da quell'Assemblea, apertasi il 25 giugno 1946, e conclusasi il 31 gennaio 1948, dopo che il Parlamento, nel 1922, era stato definito dal dittatore Mussolini, che prendeva il potere su decisione del re, «un'Aula sorda e grigia» il punto più basso dalla definizione delle nostre Aule parlamentari. Quell'Assemblea costituente veniva dopo le leggi speciali, dopo la negazione della libertà nel nostro Paese, dopo la negazione della libertà di stampa, dopo le uccisioni, dopo le torture, dopo le leggi razziali votate in questa stessa Aula dove siamo noi oggi, dopo l'omicidio Matteotti, dopo Auschwitz e Buchenwald, e dopo le terribili sorti dei soldati italiani mandati a morire dal dittatore fascista sul fronte russo, o nella guerra imperiale in Africa.
Certo, esisteva già una esperienza originale italiana costituzionale a partire dallo Statuto albertino, ma la Carta costituzionale è, prima di tutto – questo, per noi democratici, e spero per tutti – la risposta democratica italiana all'esperienza della dittatura. Per questo, alle soglie del settantesimo anniversario della liberazione, e nel ricordo di quei partigiani martiri, e di quei patrioti che diedero la vita, perché la dittatura fosse sconfitta, sento il dovere, innanzi tutto, di inchinarmi di fronte ai principi di democrazia e libertà che questa Carta ha consegnato alle generazioni successive. Ma i costituenti non furono ciechi, di fronte alla consapevolezza dei futuri sviluppi sociali del Paese e del globo, e furono lungimiranti.
Inclusero meccanismi pur complessi – come lo è l'articolo 138 – di autoriforma della Carta costituzionale ad opera del Parlamento. I decenni successivi alla Costituente, i nostri decenni, i decenni delle nostre generazioni fino ad oggi ci hanno dimostrato l'esigenza di un adeguamento dei meccanismi di funzionamento istituzionale, di una loro revisione in vista di una sempre maggiore efficienza della democrazia, la quale reclama di essere efficiente, giacché una democrazia incapace Pag. 67di fornire risposte adeguate in tempi utili e rapidi fallisce una parte rilevante dei suoi scopi.
La democrazia non è fatta di carta, è fatta di programmi politici, di obiettivi, di scopi e di realizzazioni. Io sento e rivendico che il lavoro di revisione in corso mantiene intatti i valori fondanti e, per me e per noi, sacri della nostra Carta e della nostra democrazia e migliora i meccanismi di funzionamento istituzionale della stessa, per il bene del Paese e per i suoi cittadini.
Il disegno di legge costituzionale di riforma della Parte II della Costituzione arriva in Aula alla Camera in una versione ampiamente modificata rispetto a quella presentata dal Governo l'8 aprile 2014. Il Parlamento, prima al Senato e ora alla Camera, ha avuto tutto il tempo necessario – come ha specificamente qui illustrato il presidente Sisto – per esaminare, approfondire ed emendare il testo originario, come presentato alla Camera.
A parte il rispetto di essenziali punti fermi, come lo sono il superamento del bicameralismo perfetto, la fiducia data solo dalla Camera dei deputati al Governo, e soprattutto la non elezione dei senatori, non vi è stata da parte del Governo e della maggioranza che lo sostiene alcuna preconcetta rigidezza, come dimostrano i numerosi emendamenti approvati nel corso dell'iter parlamentare. Il dibattito, anche nei momenti più duri, – lo voglio dire – è stato sempre franco, libero, trasparente, senza forzature. Quanti legittimamente si oppongono a questa riforma o a parte di essa hanno avuto il modo di far sentire le loro ragioni. Si discute, ci si confronta, ma poi si decide: anche questa è l'eredità che ci perviene dalla Costituente. Infatti, io posso comprendere e legittimare l'insoddisfazione e le proteste di alcuni che non condividono il disegno presentato, ma noi – è bene ribadirlo – stiamo riformando la Costituzione utilizzando gli strumenti della democrazia parlamentare che gli stessi padri costituenti ci hanno affidato.
È una regola fondamentale della democrazia quella che Norberto Bobbio chiamava la regola della maggioranza, senza il rispetto della quale non c’è sistema democratico che possa resistere al pericolo di trasformarsi in un sistema illiberale. Questo è il vero pericolo che noi corriamo, anche oggi: perdere di vista il ruolo delle maggioranze nella democrazia, insieme alla necessaria tutela delle minoranze. Il pericolo della deriva plebiscitaria nel nostro Paese e, in generale, nelle società occidentali, come è stato scritto, non viene dalle riforme, ma è vero il contrario. Era il 1991 quando Leopoldo Elia esortava a uscire dalla situazione di incertezza costituzionale in cui si trovava il Paese, per i rischi a cui eravamo esposti. Era il periodo che antecedeva Tangentopoli. Le svolte autoritarie, ci insegna la storia, non arrivano soltanto quando sono minacciati i diritti e le libertà fondamentali – ovviamente anche –, ma anche quando le democrazie cessano di funzionare, quando non sono più rispettate le procedure e quando le istituzioni appaiono ingovernabili. Allora cresce il generale senso di malessere e di disillusione verso la politica democratica.
Prima di entrare nel merito del provvedimento ed illustrare alcune delle modifiche apportate dalla Commissione affari costituzionali al testo pervenutoci dal Senato, voglio ancora fare alcune brevi considerazioni.
Fare il relatore di un provvedimento tanto complesso – ovviamente ringraziando il presidente Sisto, correlatore di questo provvedimento, e ringraziando, mi si permetta, tutti i colleghi che hanno partecipato ai lavori di Commissione e anche ricordando l'aiuto degli uffici della Commissione e della Camera, senza il quale non avremmo potuto compiere questo lavoro – è molto impegnativo. Sono state giornate e ore lunghe e senza sosta di lavoro in Commissione e ora saranno in Assemblea.
Riscrivere le norme della Costituzione del 1948 non è un lavoro che si fa con leggerezza, non solo per la qualità di quei testi, sui quali si regge ed è cresciuta la nostra giovane democrazia, ma perché noi siamo tutti consapevoli di cosa rappresentassero allora e ancora rappresentano per noi quei costituenti, da quale storia uscissero, Pag. 68di quali ideali fossero portatori, quale lungimiranza e visione lunga sullo stato della democrazia in questo Paese espressero in quelle pagine.
La Costituzione – e questo è un altro messaggio che prendiamo da quel dibattito e da quegli anni – è materia viva, e noi abbiamo diritto di lavorarci per migliorarla.
Durante i lavori dell'Assemblea costituente, nella seduta pomeridiana del 14 novembre 1947, Paolo Rossi, relatore sullo specifico tema della revisione della Costituzione, pronunciava le seguenti – e, secondo me, fondamentali – parole: «La Costituzione non deve essere un masso di granito che non si può plasmare e che si scheggia e non deve essere nemmeno un giunco flessibile che si piega ad ogni alito di vento. Deve essere, dovrebbe essere, vorrebbe essere una specie di duttile acciaio, che si riesce a riplasmare faticosamente sotto l'azione del fuoco e sotto l'azione del martello di un operaio forte e consapevole». La preoccupazione dei costituenti è stata quella di riuscire a coniugare le istanze opposte di certezza e costanza della legge costituzionale e di adattabilità al tempo che preme, con le sue continue e mutevoli esigenze. Consapevole dei nostri limiti, noi abbiamo lavorato con grande umiltà e senso di responsabilità. Per usare un'antica metafora medievale, noi siamo come i nani issati sulle spalle dei giganti. I giganti a cui alludo sono i nostri padri costituenti, verso i quali saremo sempre debitori.
Il testo che oggi iniziamo ad esaminare nell'Aula della Camera dei deputati è il risultato di un lungo lavoro istruttorio, che ha già sottolineato e certificato nei numeri il presidente Sisto, e i principali elementi caratterizzanti l'intervento di riforma riguardano in primo luogo – lo dico molto brevemente – il superamento del bicameralismo perfetto, per cui il Parlamento continuerà ad articolarsi in Camera dei deputati e Senato della Repubblica, ma i due organi avranno composizioni diverse e funzioni in gran parte differenti.
Nell'architettura costituzionale delineata, alla Camera dei deputati spetta la titolarità del rapporto fiduciario e della funzione di indirizzo politico, nonché il controllo dell'operato del Governo e vengono conseguentemente modificati la composizione del Senato, di cui è significativamente ridotto il numero dei componenti, nonché il procedimento legislativo. E, al fine di adeguare quest'ultimo al nuovo assetto costituzionale, caratterizzato da un bicameralismo differenziato, viene previsto un numero definito di leggi ad approvazione paritaria, attribuendo in tutti gli altri casi la prevalenza della Camera dei deputati, secondo un modello che potremmo definire forse quasi di monocameralismo partecipato.
Nell'ambito del nuovo procedimento legislativo viene introdotto, come è stato citato dal presidente Sisto, l'istituto del voto a data certa, che consente al Governo tempi definiti riguardo alle deliberazioni parlamentari relative ai disegni di legge ritenuti essenziali per l'attuazione del programma di Governo ed al contempo vengono costituzionalizzati i limiti alla decretazione d'urgenza già previsti dalla legislazione vigente.
Un'altra novità è costituita dall'introduzione del giudizio preventivo di legittimità costituzionale delle leggi elettorali per la Camera dei deputati e per il Senato, modifica già approvata al Senato della Repubblica.
Nel corso dell'esame presso la Commissione è stata ripristinata la previsione che attribuisce al Parlamento in seduta comune l'elezione dei cinque giudici della Corte costituzionale di nomina parlamentare.
E, sempre riguardo alle garanzie costituzionali, è stato stabilito, proprio per l'approvazione di un emendamento in Commissione, che il quorum per l'elezione del Presidente della Repubblica dopo il quarto scrutinio è pari alla maggioranza dei tre quinti dell'Assemblea ed a partire dal nono è richiesta la maggioranza dei tre quinti dei votanti, sempre per andare nell'indirizzo della tutela dei diritti anche delle minoranze.
Modifiche rilevanti riguardano il Titolo V della seconda parte della Costituzione ed Pag. 69in particolare di rilievo appare la soppressione delle province, in linea con il processo di riforma degli enti territoriali già in atto con legge ordinaria. Al contempo, con la finalità di ridurre il contenzioso costituzionale innescato con la riforma del 2001, il riparto di competenze legislative tra Stato e regioni è stato ampiamente rivisitato e viene in particolare soppressa la competenza concorrente, con una redistribuzione delle relative materie tra competenza esclusiva statale e competenza regionale. L'elenco delle materie di competenza esclusiva statale è inoltre profondamente modificato, con l'enucleazione di nuovi ambiti materiali.
Di significativo rilievo è infine l'introduzione di una clausola di supremazia, che consente alla legge dello Stato di intervenire in materia di competenza regionale, a tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica o dell'interesse nazionale.
Già dallo scorso anno si era aperto, Presidente, il dibattito nel merito, prima con il gruppo di lavoro istituito nella primavera 2013 dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che qui ossequio, e poi con la commissione di saggi nominati a giugno, sempre 2013, dal Presidente del Consiglio Enrico Letta. Una lunga istruttoria, dicevo, accompagnata anche da una consultazione pubblica.
Quindi, dobbiamo sostenere con orgoglio che il lavoro che affrontiamo non è stato segnato, né dalla fretta, né dall'approssimazione. Anzi, questa riforma, se posso dire, arriva in ritardo di alcuni decenni. Lo dico io, parlando a nome di un partito della sinistra, ricordando Nilde Iotti, Presidente della Camera, da poco insediata a quella Presidenza, che nella seduta dell'11 ottobre 1979 aveva sostenuto la necessità di affrontare quelle parti della Costituzione che il tempo e l'esperienza hanno dimostrato inadeguate. Ed era a metà degli anni Ottanta, o poco prima, che la riforma del bicameralismo sembrava fosse ormai dietro la porta. Non ripercorro con voi, per ragioni evidenti di tempo, la lunga stagione dei tentativi di riforma, iniziata con i comitati di studio delle Commissioni affari costituzionali di Camera e Senato alla fine del 1982, e proseguita con le Commissioni bicamerali. Voglio solo ricordare a questa Assemblea che anche in passato il tema della riforma della Costituzione è stato affrontato dal Governo. È successo con l'iniziativa del Governo Spadolini nel 1982, con il Comitato Speroni nel 1994 con Berlusconi, e con il tentativo del Presidente incaricato Maccanico nel 1996. Ora è giunto il momento di tirare le conclusioni di tanto lavoro. Se oggi possiamo guardare al futuro, se possiamo procedere sulla via delle riforme e del cambiamento per il nostro Paese, non è per i nostri meriti di presunti costituenti – ovviamente parlo per me –, ma per il valore di quanti ci hanno preceduto. I giganti, come io sento che furono, che hanno gettato le fondamenta sulle quali oggi costruiamo.
Il disegno di legge costituzionale oggi all'esame della Camera non fa che portare a compimento quel processo di ammodernamento delle istituzioni di cui discutiamo da decenni, accogliendo soluzioni largamente condivise, non solo dall'opinione pubblica, ma anche dalla maggioranza del mondo accademico e, mi permetto di dire, anche nella storia politica della sinistra italiana di questi decenni. Tony Blair, neppure due settimane fa, dalle pagine del The New York Times rifletteva sulla cattiva salute della democrazia, sulle difficoltà degli Stati Uniti, del Regno Unito e di molti Governi europei a prendere le decisioni necessarie per ritrovare la via della crescita economica. La democrazia, osservava Blair, rischia di perdere quella che si chiama la sfida di efficacia. I suoi valori sono ancora quelli giusti, ma in un mondo che cambia ad una velocità incredibilmente maggiore di quella della politica e nel quale le nostre società devono adattarsi costantemente per tenere il passo, la democrazia appare lenta, burocratica e debole.
Ecco, dunque, se davvero crediamo, come io credo e noi crediamo, nella democrazia, come insieme di regole che garantiscono la libertà di tutti i cittadini, è giunto il tempo di migliorarla, di renderla Pag. 70più veloce e più forte. È giunto il tempo delle riforme (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, deputato Toninelli.
DANILO TONINELLI, Relatore di minoranza. Presidente, colleghi, Governo, io non sono emozionato, io sono preoccupato. Sono preoccupato per il futuro dei miei figli nel caso in cui questa riforma venisse approvata.
La scelta di depositare una relazione di minoranza è stata fatta con grande senso di responsabilità da parte del gruppo parlamentare che rappresento in questo momento.
La riforma della Costituzione che giunge in quest'Aula porta con sé un afrore insopportabile. Non solo non servirà a creare un solo posto di lavoro in più, ma si tratta di una riforma che non si può migliorare, ma solo rettificare in qualche suo passaggio. Ed è per fare questo che siamo qui: rettificarne gli effetti più deleteri. Sarebbe stato forse più giusto, dal nostro punto di vista, abbandonare i lavori di Commissione e d'Aula e lasciare la maggioranza delle larghe intese che vede la partecipazione di un partito legato alla mafia, con a capo un pregiudicato, sporcarsi le mani con il sangue di chi ha dato la vita per difendere il nostro Paese dal fascismo e grazie ai quali delle persone illuminate hanno saputo e potuto scrivere questo testo meraviglioso chiamato Costituzione.
Ma per senso di responsabilità abbiamo deciso di parteciparvi per tentare di contenere i danni: rettificare è il nostro obiettivo minimo, impedirla è quello a cui puntiamo. La proposta di legge di cui discutiamo entra a gamba tesa su quasi 40 dei 139 articoli che compongono la Costituzione.
Solo guardando al titolo dato alla riforma capiamo che siamo di fronte ad un testo disomogeneo, irrazionale e confusionario. Dentro questa nebbia, si nasconde però un obiettivo tanto chiaro quanto eversivo: stravolgere la forma di Governo parlamentare, trasformandola in una sorta di presidenzialismo subdolo, ben peggiore, ahimè, del presidenzialismo vero e proprio; una vera dittatura del Governo, cioè una dittatura del capo priva dei contrappesi propri del presidenzialismo in cui il Parlamento limiti i poteri del Governo e viceversa, in quanto eletti con due distinte votazioni popolari dirette. Attaccare questo assetto significa indebolire la democrazia, ponendola sotto la minaccia di una deriva autoritaria. Questa riforma va rigettata totalmente sia per ragioni di forma che di sostanza.
La Costituzione repubblicana, infatti, nella sua forma originaria era ed è un monumento in termini di sobrietà, di essenzialità, di economia e anche di eleganza del linguaggio, un bellissimo modello di lingua piana e sobria, semplice e comprensibile ma, allo stesso tempo, stilisticamente alta, esattamente l'opposto della riforma Renzi-Berlusconi. Ma se la forma lascia a desiderare, la sostanza fa addirittura peggio. Dal parlamentarismo si passa al governismo assoluto che affonda la sovranità popolare e lo si fa senza dirlo apertamente: state mentendo per l'ennesima volta ai vostri elettori e all'Italia intera. Volete abolire la forma di Governo parlamentare ? Abbiate il coraggio di dire ai cittadini che siete per il presidenzialismo, ma attuatelo e, se lo fate, con i limiti allo strapotere dell'Esecutivo che la vostra riforma non prevede.
Sapete benissimo che l'Italia è al sessantaquattresimo posto al mondo per la libertà di informazione, un Paese semi-libero. Questo vi fa forti e vi permette di raccontare balle su balle. Sfruttate il senso positivo e migliorativo della parola «riforma», mentre in realtà state facendo una «schi-forma», parola che abbiamo coniato in quanto unica in grado di dare il senso di ciò che state facendo. Lo spirito che anima voi sedicenti riformatori non è certo quello del costituente ma, al contrario, è volto all'approvazione della riforma «purché sia», come se domani le storture da essa derivanti potessero essere corrette con facilità, con una leggina ordinaria e Pag. 71non costituzionale da approvare in tre giorni. La vostra riforma è incoerente: basti pensare alla composizione del Senato pensato come organo di rappresentanza delle istituzioni territoriali ma che, di fatto, non rappresenta nessuno perché privo di poteri reali tutti accentrati in capo allo Stato centrale. Un Senato posticcio del tutto inutile che del passato mantiene solo i costi elevatissimi, tanto valeva abolirlo.
Avete svuotato il bicameralismo che in tante occasioni ha protetto i cittadini dall'approvazione di «leggi vergogna» come quella voluta da Berlusconi contro le intercettazioni che, se approvata, avrebbe impedito che fossero scoperti scandali corruttivi come quello recente di «mafia capitale». Avete copiato e incollato nella vostra riforma in maniera casuale pezzi di Costituzioni straniere per innestarli in un sistema diverso per storia, tradizione ed evoluzione. Dalla Francia avete recepito l'introduzione del procedimento legislativo del «voto a data certa»: una vera corsia preferenziale per il Governo che schiaccia ulteriormente il Parlamento o, meglio, ciò che ne rimane. Infatti, è facile ipotizzare che alla Camera superstite non rimarrà che l'esame delle proposte che il Governo indicherà come essenziali per l'attuazione del programma sulle quali saranno poste le questioni di fiducia, strumento al cui abuso non avete posto rimedio. Ghigliottina più voto di fiducia: questo è ciò che proponete oggi al Paese.
Ma andiamo avanti: i procedimenti legislativi anziché essere semplificati diventano più complessi e farraginosi. Accanto al processo legislativo ordinario ne avete inseriti ben quattro speciali, un vero caos. Irrazionale appare altresì, rispetto al disegno complessivo, la riforma del Titolo V della Costituzione con la quale si sopprime la competenza legislativa concorrente e si riportano una serie di materie alla competenza esclusiva dello Stato. Non avete imparato nulla dai disastri della riforma del Titolo V che avete approvato nel 2001: oggi come allora non create una Camera delle autonomie vera e propria, ma date vita ad un Senato inutile senza competenza nella legislazione di ambito territoriale.
Ma non paghi della vostra svolta centralizzatrice, vi spingete sino all'introduzione di una clausola di supremazia statale, giustificandola con presupposti estremamente vaghi e molto difficilmente delimitabili. Uno strumento quest'ultimo che non date in mano al Parlamento salvando almeno le apparenze, ma spudoratamente lo date al Governo, spostando, ancora una volta, sull'Esecutivo il potere di fare le leggi.
Per non parlare del ruolo dei cittadini nella vita politica, che rimandate ad ulteriori leggi costituzionali e a leggi di attuazione, rendendo inutile l'intervento stesso.
Lasciate indefinito anche il rapporto dello Stato italiano con l'Unione europea, mentre negli altri Stati europei sono state disciplinate le modalità della loro appartenenza all'Unione, i limiti e le garanzie della stessa. Nulla di tutto ciò è avvenuto in Italia e questa riforma rappresenta l'ennesima occasione sprecata in tal senso, nonostante sia evidente che tale rapporto è il vero fulcro di tutte le questioni politiche proprie di questa fase storica, caratterizzata da una crisi economica e sociale che è degenerata, ahimè, in crisi democratica a livello sopranazionale.
Non avete avuto il coraggio di affrontare la crisi cancellando dalla Costituzione il pareggio di bilancio e non lo avete fatto nonostante la falsissima voce grossa di Renzi in Europa sulla necessità di crescita. Se di crescita abbiamo bisogno, ed è così, il pareggio di bilancio in Costituzione è la prima cosa che doveva essere cancellata. Ma non lo avete fatto. E, come se non bastasse, contemporaneamente, state cercando di approvare una legge elettorale di ispirazione ipermaggioritaria, con la quale distorcete totalmente la rappresentatività, regalando ad un partito di minoranza il 55 per cento dei seggi nell'unica Camera rimasta.
Per i tutti i motivi appena esposti abbiamo voluto indirizzare il nostro intervento per limitare gli effetti più deleteri della riforma in discussione. In particolare, Pag. 72proponiamo di superare il disegno totalmente irrazionale di composizione del Senato tornando all'elettività diretta dei senatori su base regionale; si propone di ridurre il numero dei parlamentari e i loro emolumenti, non sopprimendo le elezioni ed il voto democratico; inseriamo sanzioni reali e preclusioni certe per chi delinque, ristabilendo il principio dello Stato di diritto anche nei confronti degli eletti. Quindi, basta condannati in Parlamento e basta alle guarentigie proprie delle immunità parlamentari.
Alla logica per cui l'efficienza dell'istituzione andrebbe perseguita riducendo il ruolo dei cittadini nei processi democratici, intendiamo rispondere, all'opposto, con l'introduzione di innovativi e concreti strumenti di democrazia partecipativa, quali il referendum confermativo ed il referendum propositivo di immediata applicabilità.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
DANILO TONINELLI, Relatore di minoranza. Abbiamo rimosso i limiti materiali imposti al tradizionale referendum abrogativo; abbiamo introdotto forme obbligatorie di referendum per la ratifica dei trattati internazionali, di evidente interesse politico e suscettibili di incidere direttamente nella vita di tutti i cittadini.
Sempre in quest'ottica di partecipazione diretta dei cittadini alle scelte fondamentali della politica è l'introduzione di un criterio di omogeneità per i referendum costituzionali: non vogliamo cittadini portati a votare di fronte all'opzione «prendere o lasciare», come avverrebbe con il referendum confermativo della vostra riforma. Al contrario, vogliamo che i cittadini siano chiamati a rispondere con la consapevolezza giusta e la responsabilità giusta, punto per punto.
Proponiamo la sostanziale abrogazione della legge n. 1 del 2012 che, in attuazione del Trattato internazionale noto come «fiscal compact», ha introdotto vincoli di bilancio in Costituzione. Per ripristinare la sovranità della Costituzione e della democrazia, nella nostra proposta è stata sancita esplicitamente l'illegittimità costituzionale degli atti normativi derivanti da obblighi internazionali contrastanti con le disposizioni della Costituzione e ne è stato affidato il relativo controllo alla Corte costituzionale.
PRESIDENTE. Deve concludere.
DANILO TONINELLI, Relatore di minoranza. Della Corte costituzionale vengono estese le funzioni, affidando ad essa, oltre all'appena citato controllo sulle norme – mi accingo a concludere – di derivazione internazionale e al controllo preventivo della legge elettorale già previsto dalla riforma in discussione, anche il controllo diretto sui Regolamenti parlamentari, nonché quello generale sulle leggi, su richiesta di una minoranza parlamentare, formata da un decimo dei componenti, adeguando in questo senso la Costituzione italiana a quanto già previsto nelle altre democrazie europee. Solo inserendo questi correttivi si potrà evitare che la vostra riforma produca danni sociali per i decenni a venire.
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire...
FRANCESCO PAOLO SISTO, Relatore per la maggioranza. Chiedo di parlare per un richiamo al Regolamento.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FRANCESCO PAOLO SISTO, Relatore per la maggioranza. Io, per rispetto della Costituzione, non sono intervenuto mentre il presidente Toninelli relazionava sulle sue valutazioni di minoranza, ma, poiché si tratta di lavori importanti e il rispetto per la Costituzione non va scambiato, neanche per un attimo, con la debolezza nei confronti di parole che reputo molto gravi, ai sensi dell'articolo 59 e nel rispetto proprio dei principi costituzionali, io la prego di intervenire richiamando il collega Toninelli per le parole sconvenienti o, se vuole, che hanno turbato la libertà della Pag. 73discussione, sulla espressione: «partito di un presidente legato alla mafia e pregiudicato».
Io penso che «partito di mafiosi», «presidente legato alla mafia» siano la dimostrazione di come lo scarso rispetto di talune forze politiche per i diritti e per la Costituzione si manifesti in tutta la sua pienezza. È come se difendere la Costituzione con le espressioni che ha utilizzato, molto inopinatamente e del tutto inopportunamente, in questa sede, il presidente Toninelli, dimostrasse lo scarso rispetto che si ha non solo per i Regolamenti ma per la presunzione di non colpevolezza, per tutto quello che è intorno al diritto di ciascuno di non essere offeso in un'Aula parlamentare con un rapporto di «legato alla mafia» che non offende soltanto il presidente Berlusconi, ma offende tutti i parlamentari che appartengono a Forza Italia. E io come parlamentare offeso da queste espressioni la prego di intervenire, perché in questa sede, importante e rilevante, queste debolezze dell'Aula non siano tollerate (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente e Per l'Italia-Centro Democratico).
PRESIDENTE. Presidente Sisto, non ho colto questo passaggio perché ero occupata in un colloquio, dunque non l'ho colto e per questo non ho richiamato il collega Toninelli a non usare espressioni che possono essere lesive o, comunque, offensive di altri gruppi. In quest'Aula noi possiamo essere benissimo in grado di esprimere il nostro dissenso senza arrivare a offendere la sensibilità e la suscettibilità di altri gruppi. Quindi, deputato Toninelli, la esorto a tener presente questa mia considerazione e questo mio richiamo.
DANILO TONINELLI, Relatore di minoranza. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DANILO TONINELLI, Relatore di minoranza. La ringrazio, Presidente, era mia intenzione effettivamente rispettare assolutamente la Costituzione e quest'Aula. La mia affermazione: un partito legato alla mafia e a un suo capopartito pregiudicato. È un dato di fatto, Presidente...
PRESIDENTE. Non insista, le sto dicendo che non dovrebbe utilizzare espressioni che offendono altri gruppi !
DANILO TONINELLI, Relatore di minoranza. Presidente, stiamo parlando di una sentenza passata in giudicato, abbia pazienza...
FRANCESCO PAOLO SISTO, Relatore per la maggioranza. Stiamo parlando di mafia !
PRESIDENTE. Non c’è nessuna sentenza di mafia !
DANILO TONINELLI, Relatore di minoranza. ... di conseguenza, stiamo parlando di un partito...
PRESIDENTE. Non c’è nessuna sentenza di mafia !
DANILO TONINELLI, Relatore di minoranza. ... la invito a...
PRESIDENTE. Deputato Toninelli, per favore !
DANILO TONINELLI, Relatore di minoranza. Uno dei cofondatori del partito Forza Italia è stato condannato per associazione esterna mafiosa. Il presidente Berlusconi è un pregiudicato in via definitiva per un reato gravissimo. Ho semplicemente riportato dei fatti, quindi si limiti, la invito, Presidente, umilmente, a limitarsi ad intervenire quando sono effettivamente fatte delle violazioni. Se la verità fa male...
PRESIDENTE. Guardi, onorevole Toninelli, non è lei che sta presiedendo, lei non deve insegnare a me quando e come richiamare qualche deputato, in questo caso lei, che si è espresso impropriamente ! È chiaro ?
Pag. 74DANILO TONINELLI, Relatore di minoranza. Se la verità fa male, rimane pur sempre la verità, Presidente.
PRESIDENTE. Le sto dicendo che lei non può offendere altri gruppi !
RICCARDO FRACCARO. Non sta offendendo, sta leggendo una sentenza !
PRESIDENTE. Sì, sta offendendo altri gruppi, stiamo iniziando una discussione difficile, la prego di collaborare !
DANILO TONINELLI, Relatore di minoranza. Se la verità fa male, prendiamo atto che la verità...
PRESIDENTE. La richiamo all'ordine !
DANILO TONINELLI, Relatore di minoranza. Presidente, ho riportato dati di fatto, abbia pazienza, se la verità fa male, evidentemente c’è qualcuno che ha una coda di paglia enorme.
MAURIZIO BIANCONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Per favore ! Sto gestendo questa situazione. Ora ha chiesto di parlare il presidente Sisto, ne ha facoltà.
FRANCESCO PAOLO SISTO, Relatore per la maggioranza. Presidente, con la pacatezza che la fermezza richiede nell'Aula della Camera senza sovrapporsi alla voce del Presidente che mi sembra uno sport, non solo non consentito, ma che offre un'immagine ancora una volta, non democratica dei rapporti tra forze politiche e Presidenza, ribadisco che aver detto che il presidente di Forza Italia è legato alle mafie, costituisce un gravissimo vulnus, anche giudiziario, che il presidente Toninelli finge di non comprendere e che in qualche modo io lo invito a revocare, perché non c’è nessun provvedimento giudiziario che leghi Silvio Berlusconi alle mafie. Nessuno ! Allora non essendoci questo provvedimento io lo invito nel rispetto della verità, che invoca come parametro del suo dire, a prendere atto che l'eccesso di zelo nella protesta qualche volta conduce a delle affermazioni improvvide che nell'Aula della Camera non debbono essere tollerate.
Pertanto, proprio per espressa bocca di quello che ha detto adesso il presidente Toninelli – parlando di altri soggetti e non del presidente Berlusconi –, nel suo dire ha detto: un presidente legato alle mafie, pregiudicato. Presidente, io lo invito a dire che nell'ambito di Forza Italia non c’è nessun presidente legato alle mafie, perché non c’è nessun provvedimento che abbia, neanche per un attimo, messo in dubbio che Forza Italia sia un partito ben al di fuori. Noi siamo il partito che ha combattuto la mafia più di qualsiasi altro con i nostri provvedimenti, quando siamo stati al Governo. E su questo non c’è dubbio. Da questo punto di vista, la invito a fare un passo indietro !
PRESIDENTE. Presidente Sisto, io mi sono pronunciata, ho richiamato all'ordine il deputato. Ora noi abbiamo un'altra agenda e dunque riterrei opportuno continuare la nostra discussione. Poi, alla fine – alla fine ! – darò la parola a tutti i deputati. Adesso, però...
MAURIZIO BIANCONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Per favore, la prego di collaborare, onorevole Bianconi; ho stigmatizzato, ho richiamato all'ordine, vi prego di collaborare ! A questo punto do la parola al relatore di minoranza Matteo Bragantini.
MATTEO BRAGANTINI, Relatore di minoranza. Onorevole Presidente, onorevole sottosegretario, onorevole colleghi, io mi sento non certamente emozionato ma preoccupato veramente di come è stata svolta la discussione su questa riforma, l'assurdità di come si sia voluto affrontare una tematica così importante come la riforma della Costituzione. Su potenziali centottanta ore che avevamo, e avevamo Pag. 75fermato anche i lavori della Camera, per poter lavorare in Commissione... Chiederei un po’ di silenzio, Presidente.
Dicevo che di queste centottanta ore potenziali che avevamo a disposizione, togliendo ovviamente le sei, otto ore di sonno notturno per ricaricarsi, abbiamo utilizzato circa trenta ore. È vero, ci sono stati molti interventi da parte dei colleghi, anche del sottoscritto, e il presidente non ha mai impedito gli interventi anche una seconda e, a volte, una terza volta, e ha sempre fatto, giustamente, a suo avviso, una moral suasion affinché intervenissimo nei limiti consentiti, ma c'era una chiusura di fatto.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARINA SERENI (ore 17).
MATTEO BRAGANTINI, Relatore di minoranza. Una chiusura di fatto perché il Ministro, oltre a non essere presente oggi, che mi sembra molto grave – comincia la discussione sulle linee generali sulle riforme costituzionali e il Ministro non è presente, senza togliere niente, ovviamente, al sottosegretario, che è sempre stato presente –, non è intervenuto su alcun intervento dei costituzionalisti, delle persone che abbiamo sentito; è venuto a qualche riunione, principalmente nella fase finale, così che il Ministro ed il sottosegretario saranno intervenuti cinque, sei, dieci volte in tutto, ribadendoci che in fondo la discussione c'era già stata Senato, che in fondo si era già deciso, si era già visto qual era la soluzione migliore di questa riforma, dunque le partite già chiuse, discusse al Senato, non conveniva riaprirle qui alla Camera.
Già questo, a mio avviso, è una gravissima mancanza di senso istituzionale, perché se c’è il bicameralismo perfetto non è perché ne hanno discusso al Senato che qui alla Camera dobbiamo stare zitti, altrimenti saremmo già al monocameralismo. E così anche su emendamenti di buonsenso – perché noi siamo per le riforme, noi vogliamo fare le riforme – che andavano a sistemare questo testo, almeno nei casi più eclatanti. Ricordo solo la deliberazione dello stato di guerra, che con questa riforma lo stato di guerra può essere deliberato esclusivamente dalla Camera a maggioranza semplice; dunque la Camera, dove il 55 per cento dei seggi, con la legge elettorale che si sta discutendo, verrà dato al partito che avrà la maggioranza relativa nel Paese, può dichiarare lo stato di guerra. Lo stato di guerra vuol dire che si bloccano le elezioni politiche, non quelle locali. Dunque noi abbiamo detto: manteniamo anche il Senato in questa gravissima decisione da nessuno auspicabile, che magari non accadrà mai, oppure che ci sia una maggioranza qualificata di almeno i due terzi, per una dichiarazione così grave, ma neanche su questo c’è stato dato ascolto, così come su molte altre tematiche che abbiamo visto. Dunque, è vero, c’è stata discussione, ma non nei fatti; si è andato a cambiare qualche cosina, anche importante.
Ma si poteva fare molto di più, si doveva fare molto di più perché una riforma costituzionale non si fa adesso con l'idea di dire: «se vediamo che non funziona, tra cinque o sei anni ci rimettiamo le mani». Non funziona così, com’è stato detto in Commissione da qualcuno che ha detto addirittura: «ma se vediamo che c’è qualcosa da sistemare, lo sistemeremo oppure ci penserà la Corte costituzionale a dare l'interpretazione». Ma come, cambiamo la Costituzione per dire già: «ma ci sarà la Corte costituzionale a metterci le mani, a sistemare, a interpretare quello che noi volevamo» ? Non siamo capaci di costruirla ?
Poi si dice, ed è stato detto, ovviamente che la Costituzione è rigida, snella, asciutta e, dunque, su alcune tematiche che avevamo sollevato, ci è stato detto: «è troppo di dettaglio». Ma se avete messo in Costituzione quasi i Regolamenti della Camera tra un po’ ! Tra un po’ veramente scendiamo nel dettaglio a sistemare tutto. Dunque, noi speriamo veramente che questa riforma si possa ancora cambiare; in fondo, ci sono ancora molti passaggi, c’è quello in Aula – importante – per cui, se si vuole attuare il presidenzialismo, perché, Pag. 76alla fine state andando verso il presidenzialismo, bisogna aumentare il federalismo, il potere delle autonomie. E, invece, voi avete accentrato, togliendo tantissime competenze alle regioni e le avete riportate a livello statale, anche le più semplici, e, durante il dibattito sui singoli emendamenti, andremo a sollevare tali questioni. Ma si tratta di tematiche che anche i vostri colleghi del PD in Commissione dichiaravano che sarebbe stato logico mantenere in capo alle regioni. Penso alla sicurezza alimentare, il cui coordinamento generale va bene allo Stato, ma non tutta la sicurezza alimentare perché, e mi riferisco alle Asl, che stanno funzionando, che fanno i controlli, che fanno prevenzione, ciò vorrebbe dire togliere tutto il potere alle regioni, anche quel potere che sta funzionando e che deve essere differenziato.
Io ho preparato anche un testo e adesso inizierò ad illustrarlo e lo allegherò, già lo premetto, se terminano i dieci minuti a disposizione, il che dimostra che si fa una riforma costituzionale importantissima, che va a cambiare 40 articoli, che in teoria dovrebbe rimanere immutata almeno, non dico per sessant'anni ma trent'anni (perché altrimenti facciamo veramente i lavori in qualche maniera), i cui tempi sono già contingentati. Si è voluto iniziare la discussione sulle linee generali a dicembre per contingentare i tempi a gennaio. Se questa è serietà ! A me non sembra serietà.
E come dicevo prima, se la riforma costituzionale si fa con il consenso più ampio possibile, c’è la certezza che nessuno dopo ritenti di nuovo di cambiarla perché, se facciamo solo a colpi di maggioranza le riforme, soprattutto quelle importanti, quelle delle regole del gioco, vuol dire che non abbiamo capito niente della democrazia. Quando riteniamo che la democrazia sia solo un costo vuol dire che non va bene.
PRESIDENTE. Onorevole Bragantini, mi scusi. Onorevole Bianconi è un po’ troppo forte la sua voce nell'Aula semivuota.
MATTEO BRAGANTINI, Relatore di minoranza. Altrimenti alzo io la voce, non c’è problema.
PRESIDENTE. Prego, onorevole Bragantini.
MATTEO BRAGANTINI, Relatore di minoranza. Dicevo, per questo addirittura avevamo chiesto per le leggi elettorali, soprattutto se ci sarà il prossimo Parlamento con una grande spinta maggioritaria, che vengano decise dai due terzi del Parlamento. Voi avete inserito al Senato che le leggi elettorali devono avere la visura, il controllo preventivo della Corte costituzionale. Ma non di questa legge elettorale che state facendo. Allora, mi viene il dubbio: state facendo una legge elettorale che non volete far controllare prima, come tutte le prossime leggi elettorali – come avete scritto voi – perché la legge elettorale che state facendo siete consapevoli che è incostituzionale. Però volete applicarla lo stesso, ma nessuno mi toglie l'idea del perché anche questa legge elettorale non possa avere il vaglio preventivo della Corte costituzionale. Mi sembra una cosa di buonsenso.
Ci sono tanti punti da illustrare, tante critiche che sono arrivate da tutti gli esperti che sono venuti, hanno illustrato. Il discorso delle competenze, ad esempio, sulla finanza locale, sui tributi, che se vengono totalmente accentrati vuol dire deresponsabilizzare gli enti locali e le regioni e vuol dire che ci sarà una possibile aumento di spesa. Quello non è federalismo, quello è un centralismo negativo.
Quando noi abbiamo proposto che ci fosse un federalismo a geometria variabile, ciò vuol dire che alle regioni che sono già pronte, diamo tutte quelle competenze che possono amministrare, con le loro risorse proprie, perché se noi ai nostri sindaci diciamo: questi sono i servizi che dovete dare, le risorse, non preoccupatevi, saranno esclusivamente i trasferimenti dello Stato o saremo noi come Stato che diremo quali sono le aliquote, vuol dire che quel sindaco lì non andrà più a cercare di Pag. 77risparmiare o andrà a cercare gli evasori, ma semplicemente vorrà accontentare il maggior numero di cittadini, pensando ai suoi elettori. Quando abbiamo presentato un emendamento in cui si diceva semplicemente che le tasse locali devono rimanere sul territorio e non devono essere parte di tasse centralizzate, dicevamo una cosa di buon senso. Se al Governo, se allo Stato servono i soldi, si fa le tasse statali, non come è successo in questi anni che sono state scaricate sugli enti locali delle tasse che dopo servivano per il gettito dell'intero Stato. Per tutti questi motivi noi siamo molto critici.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, deputato Quaranta.
STEFANO QUARANTA, Relatore di minoranza. Grazie Presidente, i colleghi che mi hanno preceduto, in particolare l'onorevole Fiano e il presidente Sisto, nell'introdurre il loro intervento sulla riforma costituzionale hanno fatto riferimento con un certo orgoglio ai precedenti storici e all'Assemblea costituente. Sinceramente nel mio caso più che questo orgoglio questi precedenti mi suscitano da un lato un grande senso di responsabilità per il lavoro che stiamo facendo e dall'altro direi anche un certo pudore con cui occorrerebbe avvicinarsi a questa materia costituzionale, ma d'altra parte inevitabilmente mi fanno capire come estremamente diverso sia il contesto in cui ci stiamo muovendo e in cui stiamo modificando 40 articoli della nostra Costituzione. In effetti la parte che io ho apprezzato maggiormente dell'introduzione del relatore, del presidente Sisto, è quella in cui invitava ad essere cauti quando si riforma la Carta costituzionale ed è questo il richiamo che anch'io mi permetto di fare. Ora, vedete, non mi pare che noi siamo in un clima costituente e mentre i padri costituenti si riunivano e cercavano tra loro di limare le differenze e di ascoltarsi l'un l'altro, in questi giorni è stato del tutto evidente come la Commissione affari costituzionali non abbia avuto questa libertà di discutere e di esprimersi al suo interno, visto che continui erano i richiami esterni da parte del Governo, come se la riforma della Costituzione fosse un problema del Governo, della maggioranza o di un partito politico, il Partito Democratico. Non mi pare questo lo spirito costituente. Eppure noi abbiamo fatto un lungo percorso che ci ha portato alla discussione degli emendamenti in Commissione, partito dall'audizione di moltissimi esperti, più di 40, e nessuno di questi esperti, pur convocati da forze politiche e culturali con sensibilità differenti, è venuto in Commissione dicendoci che la riforma, così come era arrivata dal Senato, potesse essere votata e approvata dalla Camera, nessuno, anche coloro che condividevano l'impianto generale facevano notare, e sul titolo V, e sul bicameralismo, e sui poteri delle regioni e dello Stato, e sulle garanzie, molte cose che andavano modificate per rendere coerente un impianto che non lo era. Ed è per questa ragione che noi abbiamo cercato in Commissione di fare una battaglia assolutamente di merito, senza mai alzare i toni, perché in questo caso sono tali e tante le incoerenze che non è necessario alzare i toni per renderle evidenti all'opinione pubblica. Certo, il funzionamento della Commissione non è sempre stato lineare, abbiamo avuto una prima parte in cui le riunioni venivano aggiornate perché non c'era l'accordo all'interno della maggioranza, abbiamo avuto una seconda parte di accantonamento degli emendamenti, abbiamo avuto una terza parte in cui interi articoli sono stati rinviati all'Aula perché in Commissione non c'erano le condizioni per affrontarli. Infine, ricordavo, i richiami del Presidente del Consiglio a fare presto e a dare del disfattista a chi aveva la presunzione di poter contribuire a questa grande fase costituente che voi ci state proponendo.
Detto dello spirito, io vorrei ricordare anche agli onorevoli che sono qui presenti Pag. 78con me che nessuno ci ha investito di un potere costituente: noi siamo certamente un potere costituito, che ha dei limiti nella Prima parte della nostra Costituzione, che dobbiamo sempre tenere presente; a partire dagli articoli 1 e 48 della Costituzione, che a mio giudizio sono violati nel momento in cui si pensa a un'elezione indiretta del Senato. E quindi da questo punto di vista la sovranità popolare prevista da questi articoli viene bellamente accantonata; ripeto, senza il mandato di nessuno, e senza che nessuna forza politica abbia proposto in campagna elettorale questo tipo di riforme. Io vorrei ricordare all'onorevole Fiano, di cui ero alleato in campagna elettorale, che noi sì proponemmo il superamento del bicameralismo perfetto, cosa che io ritengo ancora oggi valida, ma non certamente con questo impianto che non ha nulla a che fare con le cose che noi proponemmo all'elettorato in campagna elettorale.
E quindi, per continuare nel merito, qui bisogna che ci diciamo una cosa in maniera esplicita: io vorrei finalmente sentire che giudizio diamo della nostra Carta costituzionale. La nostra Carta costituzionale in questi anni è stata un punto di tenuta del sistema democratico italiano, spesso traballante per l'inconsistenza e l'incapacità del sistema politico; oppure è stata un freno allo sviluppo, è stato un impedimento alla velocità con cui bisogna assumere le decisioni ? Vorrei che si dicesse esplicitamente, perché sono stufo di esponenti anche di sinistra che vanno a fare le assemblee in giro per l'Italia parlando della più bella Costituzione del mondo, e poi in queste Aule la stravolgono cambiando 40 articoli della nostra Carta costituzionale.
E allora ragioniamo un attimo su quali sono gli obiettivi che questa riforma voleva raggiungere. Io, sentendo e seguendo le parole del Presidente del Consiglio, che è il vero dominus di questa riforma costituzionale, le vorrei elencare in questo modo; credo di non fare torto alle cose che sono state dette e sentite in questi giorni.
Dare efficienza al nostro Paese. Io vorrei che tutti gli onorevoli che sono presenti e che voteranno per questa riforma della Costituzione si leggessero almeno una volta come è stato riformato il procedimento legislativo, come è stato riformato il Titolo V, e poi mi dicessero se questo tipo di riforma dà efficienza al nostro sistema.
Queste riforme dovevano avvicinare ai cittadini le istituzioni repubblicane. Come pensiamo di farlo, togliendo il diritto di voto sul Senato, rendendo più difficile l'utilizzo degli strumenti di democrazia diretta, dai referendum a soprattutto le leggi di iniziativa popolare, per cui se prima servivano 50 mila firme oggi ne servono 150 mila ? O ancora: non vorrei che tutto si riducesse – cioè 40 articoli della Costituzione – al taglio dei costi della politica. Allora anche su questo, caro Presidente del Consiglio Renzi, si potevano fare cose più sensate: sarebbe stato meglio diminuire il numero dei parlamentari in maniera equilibrata tra Camera e Senato e lasciarli elettivi; e magari – questo sì avrebbe dato efficienza – differenziare le funzioni della Camera e del Senato, e non portare avanti questo pasticcio – perché è un pasticcio – in cui gli ex Presidenti della Repubblica e i senatori di nomina presidenziale sono insieme ai sindaci e ai consiglieri regionali, e vorrei capire che cosa c'entrano; o pasticcio – e ripeto, pasticcio – perché siamo arrivati al paradosso per cui i senatori una volta erano quelli della Camera alta, gli anziani, mentre oggi si può diventare senatore a 18 anni, ma ne servono 25 per entrare nella Camera dei deputati. Queste sono le riforme illuminate che ci stanno proponendo questo Governo e questa maggioranza !
Come dicevo, era possibile fare anche un altro tipo di riforma, perché noi non accettiamo, e non lo permetteremo a nessuno, di essere confinati tra i puri e semplici conservatori. No, noi abbiamo proposto una riforma che avrebbe dato efficienza alle istituzioni; e l'accennavo poc'anzi: alcuni temi fondamentali di carattere bicamerale, a partire dalla riforma Pag. 79della Costituzione, e altri in cui invece il potere tra Camera e Senato era differenziato, dando il potere di dare la fiducia al Governo solo alla Camera, ma dando funzioni di controllo reali al Senato. Dando al Senato un tema importantissimo, quello ad esempio della attuale legislazione concorrente, che ora verrà abolita con questa riforma; o ancora quello del recepimento degli atti dell'Unione europea. Perché, vedete, l'unica cosa che davvero sta cambiando nel contesto intorno a noi è lo sviluppo delle istituzioni europee rispetto a quella che era l'epoca dei nostri Padri costituenti; ed è l'unico tema che mi pare nessuno stia toccando, come se la riforma delle istituzioni del nostro Paese e il contesto europeo che muta fossero due piani differenti che non si devono incontrare. Veramente un paradosso per chi dice di voler modernizzare le istituzioni del nostro Paese !
Infine, io continuo a non essere convinto del sistema elettivo che è stato scelto per il Senato. Qui i casi sono due, basta essere coerenti con se stessi, basta mettersi d'accordo con le proprie idee: se il Senato deve essere la rappresentazione del sistema politico locale, francamente non si vede perché questo Senato non debba essere elettivo; se invece, come nel sistema tedesco, si pensa che debba essere rappresentativo delle istituzioni e dei Governi, allora ci può essere anche un'elezione di secondo grado, ma con vincolo di mandato. Qui non c’è né una cosa né l'altra, perché quando, anziché essere mossi da spiriti costituenti, si è mossi solo da compromessi al ribasso, fatti tra persone che hanno idee diametralmente opposte, questo è il risultato finale.
Quindi, nel concludere – ripeto – occorrerebbe appunto essere cauti. Vorrei ribadire ai miei colleghi parlamentari, che stanno per affrontare un tema e una riforma che probabilmente li segnerà in tutta la loro vita parlamentare, quindi mi appello a loro perché leggano fino in fondo la riforma che approveranno e mi appello anche al fatto che una riforma costituzionale non può essere soggetta a un vincolo di maggioranza, non può essere oggetto di discussione interna di un partito politico, per quanto sia il partito politico principale.
Le istituzioni sono di tutti e credo che non ce lo possiamo dimenticare proprio noi di centrosinistra, proprio per la storia da cui veniamo. E allora io non vorrei che, dopo aver dato un colpo alla legislazione del lavoro, oggi ci incamminassimo verso un percorso che dà un colpo a un'idea di democrazia. Infatti, guardate che l'unico vero risultato chiaro e limpido di questa riforma è il rafforzamento del Premier e dell'Esecutivo anche rispetto al sistema delle garanzie, perché ditemi che Presidente della Repubblica verrà fuori, un Presidente della Repubblica che, anziché essere eletto da mille persone è eletto da 730, di cui una parte nominati dai partiti e l'altra parte da una legge elettorale che prevede, se andrà avanti la vostra proposta, il 55 per cento dei seggi al primo partito. Stiamo cambiando il sistema istituzionale di questo Paese senza le controindicazioni, senza le tutele che i sistemi presidenziali negli altri Paesi hanno. Stiamo facendo una cosa gravissima. Vi prego, ragioniamo tutti insieme, perché questa riforma rischia di essere senza appello. Noi comunque faremo la nostra parte e ci opporremo con la massima tranquillità e con la massima serietà e fermezza (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).
PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
È iscritto a parlare il deputato Marco Di Maio. Ne ha facoltà.
MARCO DI MAIO. Grazie Presidente, onorevoli colleghi, uno degli argomenti più importanti che si possono affrontare nell'arco di una legislatura sicuramente è quello della modifica della Costituzione, tanto più se si tratta di modifiche importanti e profonde come quelle che questo testo propone e di cui avviamo oggi la discussione qui in Aula.
Sappiamo bene come è nata la Costituzione, quali sono le sue origini, il percorso Pag. 80e i sacrifici che hanno portato alla sua conquista, le difficoltà di trovare un accordo tra i partiti che facevano parte dell'Assemblea costituente che la approvò, così come ci è chiara la rilevanza assoluta che la Carta costituzionale riveste per la vita economica, per la vita sociale e per la vita democratica del nostro Paese e la delicatezza delle questioni che questa riforma va ad affrontare.
Sentiamo, pertanto, molto forte sulle nostre spalle il peso delle responsabilità che derivano dall'importanza di questa riforma, ma che innescano anche, allo stesso tempo, una ferma determinazione a proseguire nel percorso riformatore che abbiamo avviato e che faremo di tutto per riuscire a mandare in porto. È una responsabilità che deriva dalla consapevolezza di ciò che sappiamo essere la Costituzione, dall'assoluta rilevanza delle modifiche che proponiamo e da un'ulteriore consapevolezza che tutti noi, anche chi si trova sui banchi dell'opposizione, dovremmo avvertire, ossia quella che tocca a noi, tocca a questo Parlamento, a questa generazione, il compito di recuperare il tempo che negli ultimi anni è andato perduto e con esso le opportunità che la politica troppo spesso ha lasciato per strada.
Il testo che stiamo esaminando modifica la seconda parte della Costituzione senza minimamente toccare la parte prima, quella dei principi fondamentali, che restano di straordinaria attualità, a significare la lungimiranza e la qualità del lavoro che fecero i nostri padri e le nostre madri costituenti.
E cito anche le nostre madri, perché troppo spesso si dimentica il contributo fondamentale dato da tante donne della nostra Assemblea costituente(Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Il testo in discussione contiene modifiche importanti, di cui il nostro Paese, e queste Aule, dibattono da oltre trent'anni, quando molti dei colleghi che siedono qui non erano, probabilmente, neanche ancora nati. La famosa Commissione bicamerale per le riforme istituzionali, nota come Commissione Bozzi, svolgeva proprio in questi giorni le sue prime riunioni, esattamente trentuno anni fa. Altri tentativi prima, e soprattutto dopo, quella Commissione, tentarono di portare avanti, ma nessuno di questi andò mai in porto, e quelle innovazioni alla Carta costituzionale, che in tanti si sono detti convinti di voler operare, sono rimaste, per molto tempo, solo oggetto di convegni e dibattito, senza mai essere tradotte in decisioni concrete.
L'abolizione delle province e del CNEL, la revisione del processo legislativo, la definizione delle competenze tra Stato e regioni, e il superamento della legislazione concorrente, la riduzione del numero dei parlamentari, l'introduzione di tempi certi per l'approvazione di proposte di legge importanti, sono tutti argomenti di cui si dibatte da tempo, e che questo disegno di legge affronta, offrendo soluzioni che nascono per durare, e che non sono un vezzo passeggero dettato delle esigenze del momento. Se poi ci concentriamo sulla novità di maggiore impatto di questa riforma, che è quella del superamento del bicameralismo paritario, così come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi, non possiamo non notare che già nel dibattito che vi fu all'interno dell'Assemblea costituente, si sviluppò un ampio e acceso confronto su quale fosse il migliore assetto parlamentare di cui l'Italia doveva dotarsi. Leggendo i resoconti di quel dibattito si comprende che lo schieramento delle forze del centrosinistra di allora, socialisti, comunisti e azionisti, era molto determinato a sostenere un sistema monocamerale nella convinzione che la sovranità è unica e, dunque, la rappresentanza doveva essere esercitata da un solo organo. A questa visione delle forze di sinistra, si contrapponeva quelle di altri partiti che volevano anche una seconda Camera, composta da rappresentanti di diversi interessi economico, sociale e culturale, come avrebbero preferito i parlamentari di estrazione democristiana e liberale, oppure in rappresentanza delle regioni, come, invece, era convinzione della parte repubblicana e laica di quella Assemblea costituente. Il necessario compromesso per addivenire ad un Pag. 81risultato più alto, cioè l'approvazione di una Costituzione che prevedesse un sistema democratico rappresentativo, robusto e dotato dei necessari anticorpi contro ogni tentazione totalitaria, portò ad una soluzione di mediazione: la nascita di due Camere aventi le medesime funzioni, il cosiddetto bicameralismo perfetto, che se ebbe ragioni storiche, politiche e di garanzia, per essere concepito allora, oggi non ha più ragione di esistere, così come l'abbiamo conosciuto, perché sono venute meno le motivazioni storiche che lo fecero nascere, e perché ha dimostrato, con i fatti, i propri limiti.
Il testo che oggi discutiamo in Aula, dopo una lunga e approfondita discussione in Commissione, e all'interno dei singoli gruppi parlamentari, è frutto di un'impostazione del Governo, non di un diktat precostituito, ma di un input che il Governo ha dato. Ma soprattutto è frutto di un accordo tra i gruppi parlamentari, e all'interno dei gruppi stessi, che hanno voluto condividere una strada concreta e percorribile, per raggiungere finalmente un traguardo che, da oltre trent'anni, il nostro Paese sta mancando. Un cambiamento di portata storica che ha un valore per il presente, ma che vuole avere un valore, soprattutto, per il futuro. Perché un ulteriore obiettivo non scritto di questa riforma, è quello di restituire credito, autorevolezza, credibilità, al nostro Paese, fattori che l'Italia potrà giocarsi in Europa, nel contesto internazionale, dimostrando non solo all'Europa, ma anche agli italiani, che questa volta si fa sul serio, che la politica è in grado di cambiare, e di cambiare, prima di tutto, se stessa. C’è chi ha riscontrato nell'iniziativa del Governo, con l'iniziale disegno di legge costituzionale, una violazione della liturgia parlamentare e delle prerogative del Parlamento. Penso che chi adduce questi argomenti, lo abbiamo sentito anche nell'avvio di questo dibattito, perda di vista la verità e non veda, o faccia finta di non vedere, che il ruolo del Parlamento, nel modificare il testo base trasmesso dal Governo, è stato centrale e determinante, sia nel passaggio al Senato, quanto in quello alla Camera. Del resto, le tante ore di lavoro (non ho numeri da citare, però posso assicurare, avendo partecipato alla gran parte dei lavori, che sono state veramente tante) hanno portato modifiche significative al testo pervenuto dal Senato già, a suo tempo, ampiamente modificato rispetto alla versione originaria.
A chi, invece, contesta la coalizione di forze politiche che sta condividendo questa riforma costituzionale rispondo con le parole di un grande studioso della Costituzione, Roberto Ruffilli, docente universitario e senatore della Repubblica, trucidato dalle Brigate Rosse nella sua abitazione di Forlì il 16 aprile 1988, proprio nei giorni in cui stava lavorando, insieme ad altri colleghi, a un robusto programma di riforme, avvertendone la stessa urgenza che anche oggi in tanti ravvisiamo.
I partiti – sosteneva Ruffilli – si accordino sulle regole del gioco democratico, con il perfezionamento di quelle scritte nella Costituzione e di quelle poste in essere nei primi decenni della vita repubblicana, dimostrandosi capaci di realizzare compromessi validi tra interessi partigiani e interessi sistemici, a complemento e sviluppo di quei compromessi che hanno reso possibile la fondazione e la crescita della democrazia italiana. La Costituzione non è un tema su cui piantare bandierine o alzare steccati, ma è qualche cosa che richiede la ricerca del massimo consenso possibile ed è quello che abbiamo cercato di fare con il lavoro parlamentare.
Questa riforma, con i suoi contenuti e con la sua impostazione, unitamente alla nuova legge elettorale, già approvata in prima lettura alla Camera e in corso di discussione in questi giorni al Senato, rappresenta un'opportunità unica per far compiere un passo in avanti al nostro Paese, anche perché è un pezzo – forse il più importante – di un ampio programma di riforme che riguarda la pubblica amministrazione, gli enti locali, il sistema della giustizia, il fisco, la scuola, il mondo del welfare, il mondo del lavoro. Il compimento o meno di questo programma determinerà il senso di questa legislatura, forse non una legislatura costituente da un Pag. 82punto di vista meramente formale, ma sicuramente una legislatura di svolta, di concretezza, capace di rispondere a una domanda di cambiamento da troppo tempo, da troppi anni inevasa, capace soprattutto di restituire una prospettiva al nostro Paese, di restituire una prospettiva all'Italia, che è ciò che più ci deve stare a cuore, non solo in questo dibattito, ma nell'agire quotidiano che dobbiamo portare avanti all'interno di queste Aule (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Elena Centemero. Ne ha facoltà.
ELENA CENTEMERO. Grazie Presidente. Onorevoli colleghi, in queste settimane in Commissione affari costituzionali abbiamo lavorato con determinazione e con leale collaborazione per modificare la Parte Seconda della nostra Costituzione. Il confronto è stato serrato, ma sempre alto ed appassionante, perché in tutti noi vi era e vi è tuttora la consapevolezza di incidere sul testo normativo più importante per la nostra Repubblica e per le nostre istituzioni.
I relatori hanno illustrato nelle loro relazioni ciò che in questa Camera è stato modificato nel testo di legge che ci è pervenuto dal Senato; modifiche che derivano da accordi che hanno sempre avuto un obiettivo chiaro e semplice: rendere governabile il Paese, rinnovando la capacità legislativa del Parlamento e semplificando il sistema istituzionale, ma anche la rappresentanza dei territori nel Senato, che noi vorremmo fosse chiamato Senato delle autonomie.
Sicuramente sono molte le critiche che si possono muovere, così come, all'opposto, possono essere molti i vantaggi che la modifica della Parte Seconda della Costituzione porta con sé. Sicuramente una considerazione dobbiamo farla, considerazione che non può prescindere dalla consapevolezza del tempo politico che stiamo vivendo e in cui operiamo: la frammentarietà e la frammentazione delle forze politiche, un forte sentimento di antipolitica, che ha portato a definire in un modo veramente indicibile questo Parlamento, non solo all'epoca del fascismo, come ricordava prima l'onorevole Fiano, ma in questa legislatura da parte di alcune forze politiche che in questo Parlamento siedono. Una scarsa considerazione ed uno scarso rispetto delle istituzioni che hanno inciso chiaramente sull'azione del Parlamento e del Governo.
Tutti dobbiamo sentire il peso di quest'epoca: politici e società, partiti, forze sociali, cittadini. Per questo Forza Italia ha sentito la responsabilità prima di contribuire al processo di riforme, nella consapevolezza della propria identità riformista e per rispondere in modo positivo all'esigenza di un forte cambiamento delle istituzioni e della politica.
Il confronto – l'abbiamo ricordato, l'hanno ricordato prima i colleghi – è stato un confronto serrato, fitto, ma è stato anche un confronto trasparente e leale.
Efficienza del processo legislativo: dato dal superamento del bicameralismo perfetto, che potrebbe essere ulteriormente modificato. Noi abbiamo sempre perseguito questo obiettivo nella riforma delle istituzioni.
Senato: un Senato con una vocazione rappresentativa dei territori.
Il tentativo di rendere più chiare le competenze delle regioni, attraverso una revisione e semplificazione del Titolo V.
Peccato che dal 2005 ad oggi siano passati quasi 10 anni.
Non è una riforma costituzionale perfetta, perché senza dubbio non ha il respiro del lavoro dell'Assemblea costituente, perché non ne ha l'anelito, perché non ha neppure la vocazione di quella che fu l'Assemblea costituente.
Nel 1946 l'Italia usciva da un regime totalitario e da una guerra che aveva insanguinato la nazione e che non dobbiamo mai dimenticare.
Oggi viviamo un passaggio storico legato agli esiti della globalizzazione, al ruolo delle nazioni all'interno degli organismi sovranazionali come l'Unione europea, ad una messa in discussione dell'economia Pag. 83e della finanza come unico strumento di progresso, alla sfida dell'equità e dei diritti umani.
In questo contesto, abbiamo cercato di dare una risposta che purtroppo, linguisticamente, è ben lontana dall'unitarietà e dalla sintesi, e non solo linguisticamente. Un eccesso di tecnicismo, più proprio delle leggi ordinarie che di una Costituzione, altro non è però che il sentimento profondo e l'immagine plastica della nostra politica: mentre vogliamo semplificare, invece abbiamo reso barocco ed inintellegibile.
Nonostante ciò, nonostante queste criticità, come detto prima, siamo consapevoli comunque che è stato compiuto un importante e decisivo passo in avanti e con questa consapevolezza abbiamo deciso di partecipare in modo positivo alle riforme.
Mi soffermo su alcuni punti che personalmente ritengo debbano essere oggetto di attenzione: il Titolo V, la competenza esclusiva in materia di tutela e sicurezza e politiche attive del lavoro, la tutela alimentare, la promozione della concorrenza sono tornate allo Stato.
Il Governo ha accolto la riformulazione di un emendamento sottoscritto da Forza Italia, dal Nuovo Centrodestra e dalla minoranza del PD, che estendeva ed estende la potestà esclusiva dello Stato alla legislazione in ambito di tutela della sicurezza alimentare e tutela per la sicurezza del lavoro.
Rimane alle regioni l'istruzione e la formazione professionale, mentre l'istruzione professionale, quella statale appunto, rimane di competenza dello Stato, separando bene gli ambiti.
È stato inoltre chiarito – e questo è un merito, devo dire – in maniera inequivocabile e giustamente che l'istruzione, cioè quelle che sono le disposizioni generali comuni all'ordinamento scolastico, è di competenza dello Stato, mentre, per quanto concerne le regioni, per quel che riguarda l'istruzione qua si fa riferimento semplicemente ed esclusivamente ai servizi scolastici e questo è un passo in avanti notevole.
Purtroppo la promozione del diritto allo studio anche universitario rimane ed è stata attribuita alle regioni e credo che questo posso essere un punto su cui l'Aula sovrana possa riflettere.
Per quanto riguarda il procedimento legislativo, è stata introdotta una rilevante modifica, che prevede il superamento dell'attuale bicameralismo, tranne che per le riforme costituzionali e per poche altre leggi.
Per le restanti, il Senato può chiedere delle modifiche ai testi approvati alla Camera, ma, a seconda dei contenuti delle leggi, sono previsti procedimenti di tipo diverso (per la legge di bilancio e per quella di stabilità il Senato ha bisogno di una maggioranza dei due terzi); si è sostituito il procedimento del voto bloccato con il procedimento legislativo del voto a data certa e credo che questi siano tutti passi in avanti verso un sistema che è maggiormente efficiente in chiave legislativa.
Anche per quanto riguarda i quorum, la Camera ha attribuito delle modifiche: abbiamo visto proprio come, per quanto riguarda l'elezione del Presidente della Repubblica, siano stati introdotti prima i tre quinti dell'Assemblea e poi, dal nono scrutinio, i tre quinti dei votanti.
Si è introdotta ed è stata effettuata una modifica per quanto riguarda la promulgazione delle leggi da parte del capo dello Stato, superando il fatto che il capo dello Stato potesse dare vita a promulgazione parziale.
Si è introdotto lo Statuto delle opposizioni che verrà disciplinato nel Regolamento della Camera. Un punto che ritengo importante, su cui effettuare una riflessione, come hanno ricordato alcuni colleghi prima, punto su cui personalmente sono molto sensibile, è la dichiarazione dello stato di guerra. Nell'articolo di riforma del presente disegno di legge costituzionale, nell'articolo 17, la dichiarazione dello stato di guerra, che sappiamo essere un momento grave nella vita di una nazione, viene dato alla competenza semplicemente e sostanzialmente della Camera dei deputati. Sappiamo che il Senato ha, Pag. 84però, competenze sulla ratifica dei trattati internazionali per quanto riguarda la partecipazione dell'Italia all'Unione europea. E credo che questo debba e possa giustificare il fatto che la dichiarazione dello stato di guerra che, come ripeto, è un atto molto grave per una nazione, possa e debba coinvolgere, sia la Camera, sia il Senato.
All'articolo 1 è stato ribadito un principio molto importante, che è stato sottolineato con forza, che è quello della democrazia paritaria. Viene ribadito il principio che, come vi dicevo, è già contenuto in un altro articolo della Costituzione, che è l'articolo 51. Le leggi che stabiliscono la modalità di elezione delle Camere promuovono l'equilibrio tra uomini e donne nella rappresentanza. Questo è il punto specifico dell'articolo 1. Come rapporteur del Consiglio d'Europa, proprio per la democrazia paritaria, ritengo questo un punto qualificante. L'Italia ha fatto in questi anni, dal 2003, dalla revisione dell'articolo 51, proprio durante il Governo Berlusconi, ad oggi dei passi in avanti notevoli. Penso alla legge n. 215 del 2012, alla legge n. 65 del 2014, che ha modificato l'elezione del Parlamento europeo, e alla legge n. 56 del 2014 sulla democrazia paritaria nell'elezione delle nuove province e delle città metropolitane. Ma dobbiamo andare oltre, non basta inserire questo principio in Costituzione che è sicuramente importante. Bisogna passare da una rappresentanza formale ad una rappresentanza sostanziale. Un rapporto presentato nell'ultima sessione del Consiglio d'Europa ha messo in luce come, laddove le donne si trovano nelle amministrazioni e nelle istituzioni, la corruzione è decisamente inferiore. E credo che questo sia un punto importante da tenere presente.
Da ultimo, mi soffermo sull'istituto del referendum. L'istituto del referendum è stato nel nostro Paese un istituto importantissimo. Dal 1974 fino ad oggi sono state sessantasei le consultazioni. Ci sono state delle consultazioni referendarie che hanno cambiato profondamente la storia del nostro Paese. Penso alla prima consultazione referendaria, nel 1974, che ha riguardato l'istituto del divorzio. Accanto a questo, penso a referendum storici come quello sull'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, quello che ha riguardato il sistema maggioritario o quello che ha riguardato il nucleare. Ecco, io credo che questo sarà un altro punto che l'Aula dovrà prendere in considerazione. Il testo di legge che ci è arrivato dal Senato, che non è stato modificato qui alla Camera, prevede un doppio binario. Io credo che questo doppio binario non sia sufficiente e non sia la strada giusta. Credo che questo strumento, che è stato un grande strumento di democrazia nel nostro Paese, che ha modificato la storia del nostro Paese, non solo sociale, ma anche politica, debba avere un diverso spazio di considerazione.
Chiudo dicendo che aver partecipato alle riforme istituzionali, al percorso che si è svolto all'interno della Commissione affari costituzionali, è stato credo il momento più alto della mia partecipazione alla vita politica di questo Paese e all'istituzione della Camera dei deputati. Per questo voglio ringraziare tutti coloro che all'interno della Commissione hanno contribuito a creare quel clima di dialogo, quel clima trasparente, quel clima di lavoro costruttivo. E voglio ricordare che questo momento alto per me, deve essere considerato da tutti quanti noi che siamo qui in questo momento, all'interno di questa istituzione, come il momento più grande della nostra vita politica.
E, guardate, lo dico per davvero con emozione perché mi sono emozionata nel momento in cui abbiamo toccato, e ho toccato io personalmente, per la prima volta la nostra Carta costituzionale che è il principio della nostra democrazia, è il principio della democrazia delle istituzioni di questo Paese che credo tutti noi, con forza, dobbiamo difendere. Pertanto questo passaggio storico nella nostra vita politica e nella nostra vita istituzionale non può essere considerato solo come un'occasione per dire contro, ma deve essere considerato come un momento di partecipazione positiva, perché noi dobbiamo essere l'esempio per chi là fuori ci sta guardando e ascoltando (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Buttiglione. Ne ha facoltà.
ROCCO BUTTIGLIONE. Grazie signor Presidente. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, siamo qui a discutere di riforma costituzionale. Qualcuno ha notato: non si sente un grande spirito costituente, e in parte è vero. Cos’è una Costituzione ? Una Costituzione è, secondo Rousseau, ad esempio, il patto sociale che dà vita ad una comunità (Il contratto sociale, capitolo sul legislatore). Il patto sociale attraverso il quale ci si riconosce non come individui isolati, ma come membri, parti gli uni per gli altri. Concepire così la Costituzione ci dà un modello di Costituzione che è anche un modello che poi si trasferisce al modo di legiferare, di legiferare per principi. Si affermano dei valori, dei principi orientati a quei valori e poi ci si muove per principi, seguendo quella indicazione. Un po’ è nata così la Costituzione americana, anche perché ha dietro tutta una tradizione di legiferare per principi.
Possiamo intendere la Costituzione in un altro modo: la Costituzione è la norma che regola la produzione delle norme e ne definisce la validità. Kelsen ha definito così la Costituzione: la Grundnorm, la norma fondamentale. C’è, infine, una possibilità di unire questi due aspetti: quello che è avvenuto con la Costituzione italiana e con la Costituzione tedesca del 1949. Sia una cosa che un'altra integra il patto sociale con le regole che attengono alla produzione delle norme. Convenzionalmente potremmo dire la prima e la seconda parte della Costituzione. Tuttavia questa distinzione è troppo facile perché è evidente che il modo in cui noi scriviamo la seconda parte della Costituzione si riflette anche sui valori e sui principi, ne definisce l'ambito esatto e il rapporto reciproco. In questo senso il lavoro costituente, anche se limitato alla seconda parte della Costituzione, non può non avere una portata generale e non richiedere uno spirito costituente. Mi sembra che non abbiamo voluto fare questo tipo di lavoro, e forse sarebbe stato necessario. Qualche chiarificazione sarebbe stata opportuna.
Tornerò alla fine del mio intervento su questo tema ma voglio qui portare un esempio non casuale. Qual è la forma del nostro Stato ? Il nostro è uno Stato federale ? C’è stato un ampio dibattito su questo, che si è concluso senza una conclusione: questo poteva essere il momento di mettere i puntini sulle «i». Uno Stato federale ha una doppia rappresentanza: una rappresentanza dei cittadini e una rappresentanza degli Stati che convergono a formare lo Stato federale. Ha quindi una Camera dei rappresentanti, una Camera dei deputati, che rappresenta i cittadini, ma anche una Camera degli Stati, un Senato della Repubblica in cui sono rappresentati gli Stati che convergono all'interno dello Stato federale. Il modello in questo caso è il Bundesrat tedesco o anche il Senato americano, più quello delle origini che quello che si è successivamente evoluto. Il mandato viene dalle Assemblee degli Stati o dagli Esecutivi degli Stati, ancora meglio. È bene che sia vincolante, il Senato è il luogo in cui gli Stati diventano Stati federali: e pluribus unum.
È questo il modello che ci ha guidati ? Non lo so. Se fosse questo il modello che ci guida, allora noi non potremmo sottrarre al Senato la competenza su tutte quelle questioni all'interno delle quali si realizza la convergenza delle competenze degli Stati nel formare l'interesse nazionale. Meno che mai, quando facciamo giustamente uso della clausola di salvaguardia che garantisce l'unità dell'ordinamento, è difficile pensare che il Senato non c'entra: dovrebbe entrarci.
Anche per quello che riguarda la composizione del Senato, abbiamo i rappresentanti delle regioni. Bene, evviva, anche se la modalità con cui vengono scelti è molto diversa da quella di una vera Camera degli Stati, perché non sono rappresentanza degli Esecutivi regionali, non hanno mandato imperativo, però hanno i rappresentanti delle regioni.
Poi, abbiamo i rappresentanti dei comuni: ma i comuni non hanno potestà legislativa. Mentre nel caso delle regioni, Pag. 86in un'ottica federale, c’è il tema della convergenza delle competenze legislative regionali dentro una competenza legislativa nazionale, che le ordina e le riduce ad armonia e ad unità, questo, per enti che non hanno competenza legislativa, non si capisce perché ci debba essere. Lascio da parte la questione dei cinque nominati dal Capo dello Stato.
Non mi sembra ci sia stata una grande chiarezza di visione nell'affrontare questo problema e continuiamo a non sapere se il nostro è uno Stato federale oppure non lo è. Nello Stato federale, il bicameralismo ha questa motivazione: rappresentanza dei cittadini, rappresentanza degli Stati. In uno Stato non federale, il bicameralismo ha un'altra motivazione. Prendete come modello la Costituzione francese: il bicameralismo vuole sottrarre la decisione politica alla passione del momento. Per questo la norma è assoggettata a un doppio esame, che ha tanto più senso in quanto le due Camere hanno una base elettorale differente – la seconda eletta da cittadini, per esempio, più anziani, com'era originariamente nella Costituzione italiana –, o meglio, hanno durate diverse fra di loro, di modo che i tempi delle elezioni non si sovrappongano e, quindi, riflettano due momenti diversi della pubblica opinione, di modo che non possa formarsi una decisione dello Stato la quale è legata ad un momento transitorio, puntuale della pubblica opinione. Se un convincimento permane nel tempo, allora, forse, è radicato, non è espressione di passione, ma di ragionato convincimento e merita di essere consacrato in legge.
Non si capisce bene il modello che abbiamo scelto noi: ci sono le regioni, ci sono i sindaci. Una cosa è certa: in questo modo, il Senato non è il luogo in cui le regioni diventano Stato. Permane la rappresentanza delle regioni, c’è ancora la Conferenza Stato-regioni, che non è questo, è il luogo sindacale in cui le regioni aggrediscono lo Stato, ma non si prendono la responsabilità di una sintesi. Non so, su questo, forse, una riflessione sarebbe opportuna e qualche cambiamento sarebbe anche opportuno.
Ma l'ottica che ha guidato il lavoro di revisione costituzionale è stata soprattutto pragmatica: ha cercato di evitare queste grandi questioni e, da questo punto di vista pragmatico, molte innovazioni sono condivisibili.
Permettetemi, però, di osservare che, se il problema fosse stato solo lo snellimento dei lavori parlamentari, molto si poteva ottenere con un semplice accordo istituzionale Camera-Senato, che io proposi al Presidente della Camera all'inizio della legislatura. Basterebbe dire che i provvedimenti che arrivano dal Senato qui alla Camera vanno in Commissione con poteri legislativi: no, è esagerato; vengono elaborati in Commissione e votati articolo per articolo, cosa che prevede come possibilità il Regolamento attuale, non è necessario fare la riforma costituzionale che facciamo adesso. Il Regolamento attuale prevede che si possa proporre alla Camera un testo che si vota articolo per articolo, senza emendamenti. Se si fossero adottati alcuni raccordi, un patto istituzionale tra Camera e Senato, io credo che lo snellimento avrebbe potuto essere, forse, altrettanto forte o, addirittura, ancora più forte. Tuttavia, si è scelto un altro cammino e, dicevo, su molti punti si sono fatte delle scelte perfettamente condivisibili.
Si crea per il Governo la possibilità di ottenere tempi certi per provvedimenti prioritari, e questo dovrebbe permettere la fine dell'abuso della decretazione d'urgenza. La decretazione d'urgenza è stata stravolta dal fatto che lo Stato, come l'abbiamo configurato noi, chiede una produzione normativa di impulso dell'Esecutivo così forte che non rimane spazio né per l'iniziativa parlamentare, che di fatto è stata abolita dalla realtà, né per iniziative, anche del Governo, ma che seguano l'iter normale; la necessità dei tempi impone la decretazione d'urgenza. Io spero che questo sia un modo per porre fine a questo abuso. D'altronde, non possiamo nasconderci dietro un dito, l'ostruzionismo è diventato il metodo normale di esercizio dell'attività dell'opposizione. È inutile lamentarsi per la decretazione di urgenza quando l'opposizione ritiene di poter fare Pag. 87l'ostruzionismo, non sui massimi principi, ma su qualunque provvedimento, gridando alla libertà violata ed in pericolo su cose oggettivamente, spesso, non di grandissimo rilievo, su cui può avere ragione o torto, ma che non giustificano una simile mobilitazione. Quindi, questi tempi certi per l'approvazione di provvedimenti prioritari sono un'innovazione sicuramente utile e positiva.
E utile e positivo è il giudizio preventivo di costituzionalità. In Francia questo ha una grande tradizione; permettetemi di fare un breve elogio di Napoleone Bonaparte, non il macellaio che ha portato migliaia di uomini a morire sul campo di battaglia, ma il geniale legislatore che assicurava l'unità della legislazione, tra l'altro, affidando la redazione del testo legislativo al Consiglio di Stato. Abbiamo problemi di omogeneità della legislazione, abbiamo problemi di qualità tecnica della legislazione, il giudizio preventivo di costituzionalità non li risolve però, certamente, aiuta a formulare una legislazione che, poi, avrà maggiore capacità di efficacia e di incidenza.
Certamente da approvare è la clausola di supremazia. Il Titolo V che abbiamo adesso pone praticamente sullo stesso piano lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le città metropolitane, ma cosa succede quando la inadempienza da parte di uno di questi enti mette in pericolo un interesse nazionale ? Vi faccio un esempio concreto: cosa succede quando le regioni, in una materia su cui hanno competenza esclusiva, non legiferano sulla base di una direttiva europea ? L'Italia va in procedura di infrazione. Che fare ? Io mi presi a suo tempo la responsabilità di enunciare il principio di una legislazione dello Stato flessibile e cedevole, fin quando la regione non faccia la norma che le compete, la quale però entra immediatamente in vigore e permette di evitare la procedura di infrazione. Fino ad oggi noi viviamo su questo, ma stando alla lettera del Titolo V – sì c’è l'articolo 120 – questo non è esattamente ciò che prevede la Costituzione vigente. Per fortuna la Corte costituzionale ha tacitamente avallato questo modo di procedere, vista la gravità delle conseguenze che sarebbero derivate da un altro modo di agire. Ma, indubbiamente, questo non è un caso che si verifica solo nell'ambito della legislazione comunitaria, non è difficile individuare altri esempi. Quindi, bene la clausola di supremazia, che è la clausola di unità dell'ordinamento e che risponde, poi, ad un principio di un giurista nazista, ultimamente molto popolare a sinistra, di cui non farò il nome. Il tema del Notzustand, lo stato di necessità, che poi è anche una cosa del diritto romano: necessitas non habet legem, davanti ad uno stato di necessità ci si arrangia. Quindi, bene la clausola di supremazia.
Sulla formulazione della clausola di supremazia io ho qualche dubbio. Se guardiamo all'articolo 120 attuale, noi vediamo che contiene in nuce qualcosa che somiglia alla clausola di supremazia però la formula forse meglio. Perché meglio ? Perché ricorda la flessibilità e cedevolezza della norma, più o meno, e poi ricorda il principio di sussidiarietà. Lo Stato non interviene in qualunque caso lui decida, ma interviene quando, sulla base del principio di sussidiarietà, c’è un'inadempienza e viene a colmare questa inadempienza o c’è una norma formulata in modo tale da risultare pregiudizievole all'interesse nazionale complessivo. Su questo forse si potrebbe fare qualcosa di meglio, limare meglio la clausola di supremazia che, peraltro, rimane opportuna.
Alcune critiche dell'opposizione non paiono condivisibili. Qualcuno ha parlato della sovranità: recuperiamo la sovranità nazionale; la sovranità all'Europa. C’è un cardine del diritto europeo che afferma la supremazia del diritto costituzionale sul diritto europeo, c’è già. Sempre ? No, quando si toccano principi fondamentali che fanno parte, che ricorrono in una Costituzione come poi in tutte e che fanno parte di una specie di acquis communautaire costituzionale europeo. Andare oltre questo è difficile e non so se ci converrebbe, perché, attenti: le limitazioni, amici della Lega, sono reciproche, le abbiamo noi e le hanno anche gli altri. Io sarei Pag. 88molto preoccupato se altri Stati più grandi e più forti di noi recuperassero un esercizio illimitato della sovranità. Guardate alla vicenda recente della Germania: avremmo avuto noi le politiche che ci hanno protetti davanti alle aggressioni dei mercati in momenti difficili se fosse valso il principio costituzionale affermato dalla Corte costituzionale tedesca per cui la Germania non poteva assumere impegni europei che avessero caratteristiche di responsabilità potenzialmente illimitata ? Saremmo in un mare di guai. La Corte costituzionale tedesca ha accettato che questo principio non fa parte dell’acquis communautaire costituzionale europeo. Attenti, perché se noi rivendichiamo sovranità incondizionata, anche gli altri lo fanno, e non so se ci troveremmo meglio in un'Europa in cui altri Paesi più forti di noi hanno un esercizio illimitato di sovranità.
Dentro questo devo però fare un'osservazione: io sono un europeista convinto, lo sapete tutti, però mi è sembrato irrituale il fatto che un commissario europeo – neanche il Presidente della Commissione, un commissario europeo – scrivesse una lettera al Presidente della Camera dei deputati in qualche modo per indirizzare l'attività della Camera dei deputati stessa. Questo non corrisponde alla struttura normale dell'azione europea. La Commissione parla con l'Esecutivo, cioè con il Governo, e il Governo parla con il Parlamento, davanti al quale è responsabile. È un'innovazione che non vorrei diventasse un precedente senza che si fosse fatto un esame attento di cosa questo vuol dire e delle sue conseguenze. Questo avrebbe, sì, un effetto invasivo, anche sulle competenze costituzionali. Su questo chiudo la parentesi e invito ad una riflessione.
Non si può dire che la legge costituzionale deve essere sottoposta a un vaglio di costituzionalità, perché la legge costituzionale stabilisce il criterio del vaglio di costituzionalità. Il vaglio di costituzionalità si applica alle leggi ordinarie, le leggi che sono prodotte, direbbe Kelsen, secondo la metodologia definita dalla legge costituzionale. Ma la legge costituzionale in se stessa non può essere assoggettata a nessun vaglio: c’è, c’è per un atto, l'atto fondamentale di sovranità. Non potete chiederci questo, evidentemente non è possibile.
Alcune proposte dell'opposizione, ma anche di una parte della maggioranza, sono invece ragionevoli. Un federalismo a geometria variabile, perché no ? Noi abbiamo un Paese in cui vi sono regioni che hanno mostrato di saper fare uso bene dell'ordinamento regionale: cosa osta a che vengano delegate a queste regioni competenze ulteriori ? Una semplice delega, che può essere ritirata quando quelle regioni non mostrino più di essere capaci di esercitarla. D'altro canto, lo stesso principio di federalismo variabile si può realizzare in un altro modo, per restrizione: quando una regione mostra di non essere capace di utilizzare certe competenze che ha ricevuto, queste le possono essere tolte. Quando una regione mostra di non essere capace di gestire il bilancio della sanità, dovrebbe essere possibile commissariarla. L'Unione europea può mandare la trojka in Grecia ma noi, dove esistono le condizioni, non siamo in grado di commissariale o, se commissariamo, per un'interpretazione della norma che poi è diventata una prassi, commissariamo restituendo il potere agli stessi che abbiamo commissariato. Non si può commissariare la sanità nominando commissario il presidente della regione. E bisognerebbe stabilire anche delle penalità, per chi venisse ad essere commissariato, per esempio la non rieleggibilità, l'impossibilità di riproporre la propria candidatura. Non abbiamo parlato di decentramento amministrativo in questa riforma costituzionale, eppure il decentramento amministrativo è molto importante. Potevamo studiare meglio sulla legislazione concorrente e la possibilità di legare fra di loro le legislazioni esclusive.
Questa riforma costituzionale ha un effetto in qualche modo anche sulla prima parte. Io capisco le resistenze di una parte della sinistra: l'idea della Costituzione più bella del mondo era legata alla convinzione che la Costituzione italiana andasse oltre le democrazie occidentali, fosse in Pag. 89qualche modo una sintesi di democrazia occidentale e principi comunisti e aperta verso l'evoluzione, credo, socialista della società italiana. Questa illusione è caduta, non esiste Costituzione più bella o meno bella, Vincenzo Cuoco ci ammonirà. Le Costituzioni sono belle o brutte a seconda che siano adatte al popolo a cui vengono applicate e che ne riflettano effettivamente i bisogni, le esigenze, le preoccupazioni, la cultura.
Capisco anche che non piaccia ai colleghi grillini. Non è una riforma che va verso la democrazia diretta. La democrazia diretta ha portato alle «giornate di settembre», al «gran terrore» in Francia poi alla Repubblica bolscevica in Russia; tutto lo svolgimento costituzionale occidentale è fondato sul principio di una democrazia delegata. Il popolo fa sempre la cosa giusta quando la sua decisione viene preparata in modo adeguato e questo deve avvenire nelle istituzioni. È una Costituzione di democrazia delegata, è una Costituzione occidentale. Il fatto di averla toccata e resa più efficace da questo punto di vista ci impone anche una diversa lettura della nostra storia e ci accompagna alla ricerca di un nuovo sentimento di identità e di appartenenza nazionale (Applausi dei deputati del gruppo Per l'Italia-Centro Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Kronbichler. Ne ha facoltà.
FLORIAN KRONBICHLER. Grazie signora Presidente, noi di Sinistra Ecologia Libertà ci siamo divisi i tempi di intervento per temi e tocca a me iniziare partendo da più lontano ovvero dalle regioni, dalle autonomie e, per esattezza, da quelle speciali.
Provenendo io da una regione ad autonomia speciale, anzi da una provincia autonoma, qualcuno potrà dire che non avrei alcuna ragione, alcun titolo per lagnarmi di questa cosiddetta riforma della Costituzione. Le regioni a statuto speciale, province autonome di Trento e Bolzano comprese, difatti si possono considerare risparmiate dal furor centralizzatore, che è la caratteristica portante della bozza di riforma che ci accingiamo a dibattere.
Con essa marchiamo, purtroppo, la fine della stagione federalista in Italia. Non è di casa, apparentemente, alcuna cultura di federalismo qui. Si credeva di averne introdotta una con la riforma del Titolo V di tredici anni fa ma la cosa si è rivelata una manovra cosmetica, puramente di facciata, la mera reazione all'onda leghista di allora che fece paura con le sue rabbiose richieste separatiste. Fu una federalizzazione bluff: invece di cedere alle regioni effettivamente delle competenze e le rispettive risorse si è arrivati ad una mera moltiplicazione delle amministrazioni, ingrassando quelle regionali senza dimagrire le statali.
Ora il vento è cambiato, il nuovo spettro che si aggira si chiama politica, politica uguale a spreco. La parola d'ordine è meno politica, meno politici, meno istituzioni. Di nuovo la politica mette mano alla Costituzione togliendo ciò che tredici anni fa ha dato; il federalismo può considerarsi servito. I colleghi del Senato sono riusciti ad inserire nel testo, in fondo l'articolo 38, quasi da passeggero cieco nell'ultimo vagone, una clausola di salvaguardia; secondo essa il capo IV della riforma, quello che mette il bavaglio alle regioni, non si applica alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano fino all'adeguamento dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime regioni e province autonome. Quindi, siamo salvi ?
Per il momento sì, fino all'adeguamento c’è scritto. Inoltre c’è l'obbligo dell'intesa, a noi speciali lo Stato non può imporre niente, ci si deve mettere d'accordo. Non fosse proibito parlare di privilegio in Sud Tirolo e a proposito del Sud Tirolo, qui il termine sarebbe appropriato. Mi complimento con chi è riuscito a conquistarcelo. Da sempre più parti si solleva il richiamo ad un maggior riequilibrio tra regioni a statuto ordinario e regioni a statuto speciale, rendere più speciali le ordinarie e più ordinarie le speciali è l'obiettivo che si era prefisso Roberto Calderoli, Ministro responsabile delle riforme costituzionali Pag. 90del 2001, insomma, era l'Elena Boschi dell'epoca. È un obiettivo populista e fondamentalmente contraddittorio: le specialità ci sono perché ci sono delle diversità e per tener conto delle diversità.
Armonizzare, come si dice, il sistema delle autonomie porta in sé una dinamica irrimediabilmente al ribasso. Al contrario le autonomie speciali, scampate alla scure di questa odierna cosiddetta riforma, devono assumersi la responsabilità di fungere da sentinelle, da buona esempio, con amministrazioni virtuose, degli ideali regionalisti e federalisti. Livellate le speciali, finirà spacciato l'autonomismo, spacciato il federalismo nella sua interezza. Le regioni ordinarie, bistrattate, anzi, suicidate da questa cosiddetta riforma – perché la resistenza di chi le governa, bisogna dire anche questo, è stata semplicemente blanda, quasi collaborazionista – ora farebbero male a prendersela con le sorelle speciali. Bisticciarsi fra chi è più autonoma e chi meno inevitabilmente porta a una guerra fra poveri e in più su un campo di battaglia secondario. La battaglia decisiva si combatte insieme, contro l'avversario comune che è lo Stato neo-centralista (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Monchiero. Ne ha facoltà.
GIOVANNI MONCHIERO. Presidente, Scelta Civica è stata fin dal primo momento favorevole ad una rivisitazione della nostra Carta costituzionale che superasse il bicameralismo perfetto e correggesse le non piccole incongruenze emerse nell'applicazione del nuovo Titolo V.
Questo giudizio, sostanzialmente positivo, rimane ancora attuale, anche se la trasformazione del Senato in una sorta di dopolavoro per consiglieri regionali e sindaci non troppo occupati suscita perplessità tali da far apparire preferibile la soppressione della Camera alta, e non tutti i nodi del rapporto fra amministrazione dello Stato e autonomie locali sono stati sciolti, anzi, se ne sono aggiunti alcuni all'apparenza inestricabili.
Mi rendo conto tuttavia che la necessità di dare al Paese il preannunciato segnale di cambiamento deve indurre i partiti e la maggioranza a sostenere l'azione riformatrice del Governo; non entrerò, quindi, nel merito degli aspetti sostanziali della riforma, lasciando tale compito al collega Vargiu e al capogruppo Mazziotti. Vorrei invece portare all'attenzione di questa Assemblea alcune problematiche procedurali e formali in questi giorni emerse con prepotenza che meritano di essere approfondite.
Evidenziano, queste problematiche, che il Parlamento incontra oggettive difficoltà ad ergersi in Assemblea costituente; è persino banale affermare che la Costituzione non dovrebbe essere modificata a colpi di emendamenti, che la legge delle leggi richiederebbe una rielaborazione testuale più approfondita e condivisa che procedere a decine, centinaia di piccole modifiche, che non aiutano a mantenere l'unità di visione e la coerenza complessiva del testo. Ma queste sono le nostre regole; regole pensate per una tutela formale dei diritti dell'opposizione fanno sì che il lavoro in Commissione sia troppo simile a quello d'Aula, condizionato dalla codificazione del gioco delle parti, con tensioni politiche spesso strumentali che non favoriscono la serenità delle valutazioni.
Nel caso di specie, poi, la presenza del Governo in Commissione, che spesso si è limitata all'espressione di pareri a raffica senza partecipazione attiva alle discussioni, finisce con il porre una questione di fiducia implicita e permanente, che scoraggia ogni approfondimento volto a migliorare la qualità della norma. Comprendo benissimo che colleghi di maggiore esperienza parlamentare trovino del tutto naturale questo modo di procedere; consentite però ad un anziano neofita, non ancora assuefatto a ritmi e forme dell'attività parlamentare, di affermare che queste regole sono inadatte a cambiare la Costituzione e sembrano poco produttive anche nei confronti della legislatura ordinaria.
Per dare forza a questa tesi, riassumo rapidamente un passaggio emblematico Pag. 91dell'iter procedurale della riforma. Il Comitato per la legislazione, organismo preposto a valutare i requisiti formali delle leggi, in particolare sotto il profilo dell'efficacia del testo e della chiarezza e della proprietà della formulazione, ha espresso il proprio parere favorevole subordinandolo ad alcune condizioni: fra queste, una rivisitazione dei commi 10 e 11 dell'articolo 38, di cui si evidenziavano numerose incongruenze. Nella concitazione degli ultimi giorni c'era un termine politico da rispettare; la Commissione non è stata chiamata a pronunciarsi sul parere, di fatto accantonandolo, con il risultato paradossale di licenziare un nuovo testo della Costituzione che il Comitato a ciò preposto non ritiene conforme ai requisiti di chiarezza e appropriatezza richiesti per la legislazione ordinaria. Spero naturalmente che tale stortura venga rimossa, e che già nei prossimi giorni in quest'Aula si corregga un testo che si presta a interpretazioni contraddittorie, con inevitabili ripercussioni sulla sua applicabilità.
Ritengo tuttavia che questa esperienza non positiva esiga che si ponga mano ad una riforma integrale del Regolamento della Camera, che non ha bisogno di un maquillage, ma di un ripensamento totale e sistematico. Occorre dare maggiore dignità al lavoro delle Commissioni, assegnando loro tempi più ampi per approfondire la discussione sui testi di legge, e limitare i lavori d'Aula a voti definitivi su argomenti già ampiamente discussi e approfonditi. So bene che una riforma del Regolamento è da molto tempo in discussione, ma mi pare più volta a limitare gli spazi temporali assegnati ai gruppi di minoranza che a costruire condizioni normative che favoriscano un clima di maggiore partecipazione. Questo è il problema che pongo oggi, signor Presidente, nella speranza che ella voglia assumere l'iniziativa per un ineludibile cambiamento che solo potrà migliorare la qualità del servizio che qui in quest'Aula rendiamo al Paese (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Invernizzi. Ne ha facoltà.
CRISTIAN INVERNIZZI. Signora Presidente, finalmente anche in quest'Aula si entra nel merito di una questione che dovrebbe essere, che è centrale per questa legislatura: così quanto meno appare nelle dichiarazioni di tutti coloro che fanno politica oggi nella Repubblica italiana.
Parliamo finalmente di riforme costituzionali, qualcosa che ovviamente appartiene al DNA della Lega Nord, che ne è proprio uno dei motivi fondamentali, oltre che della sua nascita anche poi della sua crescita e della sua affermazione all'interno dello Stato italiano; e parliamo di una riforma costituzionale che purtroppo però non ci convince, non ci lascia contenti, ci fa pensare che anzi sarà un prodotto, qualora ovviamente la legislatura dovesse proseguire e l'iter quindi della riforma costituzionale dovesse finalmente arrivare alla sua conclusione, sul quale probabilmente, quasi sicuramente nelle prossime legislature, le prossime Camere dovranno ritornare, perché è una riforma costituzionale che, a nostro avviso, non risponde ai problemi che in questo momento e nei prossimi anni l'Italia dovrà affrontare.
Sarà una riforma costituzionale monca, che riguarda sì la fine del bicameralismo perfetto, l'abolizione del CNEL ed altre piccole questioni, ma che non affronta, ad esempio, il sistema di Governo, quale sia oggi il sistema migliore per affrontare le sfide che quotidianamente sul piano internazionale gli Stati si trovano a giocare. Qui, in questa riforma costituzionale, purtroppo non è stata affrontata la forma di Governo, di che tipo di leadership ci sarà bisogno, avrà bisogno uno Stato come l'Italia per affrontare le crisi, anche probabilmente epocali, che ci troveremo ad affrontare nei prossimi anni.
Riflettevo prima, quando sentivo parlare e anche giustamente ricordare in quest'Aula i padri e le madri costituenti, ricordo al quale anche noi ci associamo. Ecco i padri e le madri costituenti nel 1948 si trovarono a scrivere una Costituzione Pag. 92in seguito ad un evento epocale: la guerra. Penso alle altre Costituzioni che vigono oggi in Europa, quelle scritte nascono anch'esse, nella stragrande maggioranza dei casi, nel periodo postbellico, oppure penso alle grandi riforme costituzionali che hanno affrontato Paesi anche a noi vicini, da ultima la Francia l'ultima con la V riforma costituzionale in seguito alla crisi algerina.
Ecco, le riforme costituzionali o le Costituzioni stesse nascono, quindi, da eventi epocali, noi ci troviamo ad affrontare, invece, una riforma costituzionale che ha la sua genesi in un patto stilato il 18 gennaio del 2014 presso la sede del partito di maggioranza relativa, cioè il Partito Democratico, tra l'allora segretario, e da lì a poco Presidente del Consiglio, del Partito Democratico e il presidente di quella che allora era e anche oggi è, almeno a livello numerico in Parlamento, la maggiore forza di opposizione per quanto riguarda il centrodestra. Noi ci troviamo ad affrontare una Costituzione che nasce sostanzialmente dal patto tra due persone e sarebbe da vigliacchi non ricordare, quanto meno per la Lega, quali sono purtroppo le motivazioni politiche che stanno alla base di questa riforma costituzionale.
Da un lato, Renzi ne aveva bisogno per fare quello che ha fatto poche settimane dopo, vale a dire decapitare il Governo sostenuto dal suo stesso partito, dalla sua stessa formazione politica, basandosi sul fatto che era un Governo che non rispondeva alle esigenze che in quel momento l'Italia doveva affrontare e, proprio basandosi anche sul patto del Nazareno, profittare di questi momenti per sostituirsi all'allora Premier che, fra l'altro, era anche membro del suo partito; dall'altro, Berlusconi, che utilizzò questa occasione ovviamente per riprendersi quella agibilità politica che le sentenze della magistratura pochi mesi prima gli avevano tolto.
Se dovessimo quindi ragionare sulla genesi della riforma costituzionale, diciamo che si è partiti sicuramente con il piede sbagliato, perché una riforma costituzionale ha l'obbligo, il dovere, di avere tra i suoi pilastri fondanti un serio ragionamento su quale assetto dare allo Stato, di cui poi dovrebbe appunto costituire, dal punto di vista giuridico, l'architrave, l'assetto migliore per affrontare i problemi non contingenti, ma quelli che sarebbero probabilmente i problemi da affrontare nei successivi decenni.
Questa riflessione, purtroppo, non è stata fatta con questa riforma costituzionale e lo si è visto subito dalla prima bozza, da quando si è cercato di «gabellare», di far pensare l'opinione pubblica – ed è quello che sostanzialmente, anzi, è inteso in modo prioritario dall'opinione pubblica – su quali sarebbero stati gli effetti, cioè la fine del bicameralismo perfetto, in particolar modo la fine dell'elezione di una delle due Camere, il Senato della Repubblica.
Certo l'opinione pubblica allora, ma anche adesso, veniva sollecitata dall'idea che finalmente non vi fossero più parlamentari pagati, strapagati, insomma dalla possibilità di infliggere alla casta un colpo determinante e aveva allora e soprattutto allora – adesso secondo me un po’ meno – sostenuto questa iniziativa del Presidente del Consiglio e del presidente di Forza Italia.
Purtroppo poi, però, vedendo le carte, vedendo quello che effettivamente sarebbe emerso, ed è stato anche sottolineato da alcuni interventi che mi hanno preceduto, si è visto che quello che dovrebbe essere il Senato delle regioni non è propriamente un Senato delle autonomie locali. Vi sono tutta una serie di previsioni che sono illogiche e chiaramente non possono essere spiegate, tant’è vero che c’è stata una seria difficoltà non soltanto da parte del Governo, ma anche dei relatori di maggioranza, durante i lavori di Commissione, a spiegare che cosa c'entrino i cinque senatori di nomina presidenziale all'interno di una Camera, il Senato, che dovrebbe avere quale sua funzione prioritaria quella di compensare le esigenze tra Stato centrale ed enti periferici.
Nessuno riesce a capire che funzione dovrebbero avere cinque persone, che abbiano illustrato in modo chiaro ed evidente Pag. 93la patria per altissimi meriti in ambito scientifico, letterario, culturale, e chi più ne ha, più ne metta, all'interno di una Camera che ha il compito principale di far sì che l'equilibrio tra Stato centrale ed enti locali rimanga comunque stabile e non dia adito a storture che poi possono, sicuramente, avere delle influenze alquanto negative per quanto riguarda la gestione dello Stato stesso.
Pensiamo alla previsione di inserire all'interno del Senato i sindaci, partendo, addirittura, da numeri fantascientifici, arrivando poi, in seguito alla discussione che c’è stata al Senato, al numero di ventuno sindaci che dovrebbero partecipare ai lavori di questo Senato. Voi tutti fate politica, e sapete quali sono i compiti dei sindaci. I sindaci che fanno veramente i sindaci, che hanno intenzione di onorare il mandato ricevuto dai propri cittadini, non avranno il tempo per seguire anche i lavori del Senato, oltre magari al proprio lavoro, visto che il ruolo del senatore sarà effettuato gratis et amore dei. Saranno ventuno persone selezionate, quasi sicuramente, dalla classe politica, che non potranno fornire chissà quale contributo ai lavori del Senato, visto che i sindaci hanno altro da fare, anzi hanno un compito fondamentale, ricevuto proprio dai loro cittadini. All'interno di questa Camera, che doveva essere il Senato delle autonomie, che verrà chiamato Senato delle autonomie, vediamo che c’è stato uno svuotamento progressivo e, a nostro avviso, anche molto pericoloso di quelle che sono, e dovrebbero essere, le effettive competenze di un Senato delle autonomie. Lo ricordava prima l'onorevole Buttiglione, e aveva ragione (la prima parte del suo intervento, sicuramente, era condivisibilissima da parte della Lega Nord): abbiamo una Costituzione che, teoricamente, dovrebbe, in qualche modo, sottolineare, valorizzare, il ruolo delle autonomie, ma ci troviamo con una Camera, nella quale queste dovrebbero essere rappresentate, che non avrà, però, un reale potere di incidere nelle scelte che invece la Camera dei deputati farà, e che comporteranno, comunque, anche tutta una serie di ripercussioni, per quanto riguarda il mondo delle autonomie. Abbiamo una Costituzione, pertanto, che non si sa se è federalista o non federalista, o meglio che, sotto una patina di federalismo, nasconde invece un ritorno al centralismo che noi speravamo sinceramente che dopo venti, venticinque, anni di dibattito all'interno del Paese, fosse superato tranquillamente. Purtroppo, ci troviamo, invece, a doverci confrontare con una Costituzione, sempre che, ovviamente, l'iter della sua approvazione prosegua, che di federalista avrà ben poco. Quindi, la grandissima occasione storica per lo Stato italiano, per la Repubblica italiana, nata in un modo che poi si è dimostrato sbagliato, eccessivamente centralista, non è stata colta. Qui c'era la possibilità, visto che parlavamo di riforma costituzionale, di iniettare, all'interno, delle regole, che dovevano guidarci nei prossimi decenni, quelle importanti innovazioni che, nel resto del mondo, hanno già fatto, e che soltanto qui, invece, non siamo ancora riusciti a fare. Permettetemi anche di ricordare, però, al Presidente del Consiglio, Renzi, che continua a dire: «dove siete stati voi negli ultimi venti anni, dove siete stati voi negli ultimi venticinque anni, fortunatamente sono arrivato io, perché voi non siete riusciti a far niente», e alla maggioranza che lo sostiene, che, nel 2006, qualcosa era stato fatto. Nel 2006, una riforma costituzionale era stata approvata in doppia lettura dalle due Camere del Parlamento. Nel 2006, caro Presidente del Consiglio, Renzi, questa riforma aveva già superato il bicameralismo perfetto, aveva già provveduto alla vera eliminazione dei parlamentari (vorrei ricordare 175, tra senatori e deputati, in meno). Nel 2006, caro Presidente del Consiglio, nonché segretario del Partito Democratico, fu proprio la forza di cui lei oggi è il principale esponente, o l'erede di quella forza, che si oppose, in qualche modo, alla ratifica poi del voto popolare.
Bisogna ricordare agli italiani che, nel 2006, si è persa una grandissima occasione. Ma non si può arrivare nel 2014 e Pag. 94vantarsi di aver fatto qualcosa che, invece, già qualcuno aveva fatto prima di lei, Presidente del Consiglio.
La riforma costituzionale era ed è parte integrante della nostra attività politica e ci dispiace che forse, in questa legislatura, noi vedremo varare una riforma costituzionale che non convince assolutamente nessuno, in particolar modo la Lega Nord, non perché siamo invidiosi del fatto che poi il cappello lo metterà lei, ma perché non risponderà a quelle esigenze che oggi sono fondamentali.
Nel 2006 non c'era ancora la crisi economica che poi si è scatenata in modo orribile due anni dopo, meno di due anni dopo e che, alla fine del 2014, non accenna a diminuire la propria portata, anche nei confronti della composizione sociale del nostro Paese. Nel 2006 c'erano aspettative che nel 2014 non abbiamo più.
Nel 2006, soprattutto avremmo avuto davanti otto anni, per arrivare al 2014, nei quali già il bicameralismo perfetto sarebbe stato smantellato, in cui 175 parlamentari non sarebbero stati più eletti, in cui comunque – e questo è quello che, se vogliamo, ci fa ancora più dispiacere – il rapporto effettivo tra Stato centrale e autonomie locali sarebbe stato normato, invece, in un modo più chiaro, in un modo più semplice e in un modo più funzionale per l'equilibrio dell'intero sistema.
Infatti, nel 2006, Presidente del Consiglio, nessuno arrivò con un pacchetto completo di fronte al quale l'unica alternativa era prendere o lasciare come si sta facendo adesso, anche nei confronti della minoranza e del suo stesso partito. Nel 2006, ci fu un lavoro di cesellamento molto fine, un lavoro di limatura, un lavoro di coordinamento tra tutte le varie forze politiche che poi portò quella riforma costituzionale ad essere sostenuta con il voto favorevole o con l'astensione da quasi tutte le forze politiche presenti allora nel Parlamento. E paradossalmente le uniche che votarono contro quella riforma costituzionale sono due forze politiche che oggi in Parlamento sostanzialmente non esistono più, a segnalare proprio come magari il problema era di queste forze politiche, che non riuscirono allora a capire quello che la società richiedeva. Infatti, a dimostrazione di questa loro scarsa lungimiranza, oggi, dopo nemmeno dieci anni da quel nefasto voto, non si trovano nemmeno più in Parlamento.
Ma al di là del 2006, che è stato ricordato soltanto perché è veramente irritante sentire una persona che ritiene di essere l'astro illuminato che fortunatamente è caduto in questa nostra nazione, perché altrimenti nei vent'anni precedenti nessuno è riuscito a fare assolutamente nulla, noi non possiamo non guardare anche questa riforma costituzionale alla luce dell'altro pilastro sul quale si regge il patto del Nazareno. E ne parlo perché è storia, ne parlo perché è cronaca, perché quel patto vede tra i pilastri fondamentali, da una parte, la riforma costituzionale e, dall'altra, una riforma della legge elettorale.
Anche in questo caso, secondo me, già far nascere una riforma costituzionale, legandola in qualche modo a una legge ordinaria, come quella elettorale, fondamentale sicuramente, ma non così importante da dover trovare la propria genesi con una riforma costituzionale, è l'altro peccato che sta alla base di tutto questo movimento di riforma costituzionale.
Se noi guardiamo a quello che sta nascendo anche con questa legge elettorale – sempre e quando noi avremmo la possibilità di vedere le carte, sempre che questa legge elettorale venga approvata – e se noi leggiamo il combinato disposto con la riforma della Costituzione, vediamo ancora una volta che ciò che viene in qualche modo stroncato è proprio l'attinenza tra rappresentanza politica a livello nazionale e espressione del territorio.
Infatti, c’è già, da un lato, in coloro che sono chiamati ad essere componenti del Senato della Repubblica, che già non hanno vincolo di mandato e non si capisce perché uno, che comunque viene eletto da un territorio, non debba a quel territorio rispondere.
Ma se la legge elettorale prevedrà o prevede – vedremo ciò che salterà fuori – un collegio nazionale e che quindi non Pag. 95vedrà la corrispondenza tra voti dati all'interno di un territorio e rappresentanza che quel territorio riuscirà ad esprimere, capiamo perfettamente che vi sarà un vulnus all'interno della rappresentanza democratica, all'interno delle due Camere; cioè, da un lato ci saranno eletti non direttamente dal popolo (e anche questa è un'altra cosa che non riusciamo chiaramente a capire, ossia in base a che si debbano preferire eletti non dal popolo, ma da altri eletti) e, dall'altro lato, ci sarà una Camera dei deputati che, tra capi lista blindati e distribuzione poi dei collegi elettorali su base nazionale, quasi sicuramente vedrà degli eletti, all'interno della medesima lista, di territori nei quali i voti non corrispondono però all'effettiva rappresentanza politica. In altre parole: come mai un voto dato, per esempio – parlo della mia forza politica – alla Lega Nord a Bergamo dovrebbe poi funzionare, all'interno della legge elettorale, per far eleggere un eletto nella lista della Lega Nord, per carità, sempre all'interno della nostra stessa lista, ma magari a decine o a migliaia di chilometri ?
In base alla prima formulazione dell'Italicum – l'avevamo già visto, avevamo fatto una prova, una simulazione di voto – con gli stessi voti ottenuti nel 2013 dalla Lega Nord, la Lega Nord avrebbe avuto due eletti, uno nella circoscrizione di Pesaro ed uno nella circoscrizione di Campobasso, cioè – e concludo – avremmo avuto un parlamentare eletto della Lega Nord a Campobasso con 272 preferenze, se non sbaglio.
Come possiamo non legare quindi, signor Presidente, le due cose e non considerare come, molto probabilmente, il peccato originale che sta alla base della riforma costituzionale è il fatto di averla legata eccessivamente alla contingenza ?
Qui non c’è quello spirito che dovrebbe condurre i lavori, cioè pensare ai prossimi decenni: qui, secondo noi, si pensa ai prossimi mesi e, a dimostrazione di questo, vi è la mancata volontà, per esempio, da parte della maggioranza, così come è stato dimostrato, di sottoporre, così come invece accadrà alle prossime leggi, la futura legge elettorale, cioè l'Italicum, al controllo preventivo di costituzionalità. Concludo: e questo perché ? Perché probabilmente si sa perfettamente che questa legge non sarà una legge costituzionale, ma purtroppo – e se veramente così fosse stato, non ci troveremmo a dover fare discorsi di questo tipo – nel PD e in Forza Italia non si vuole pensare a quelli che saranno i prossimi decenni, ma a quelli che saranno i prossimi mesi (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Gitti. Ne ha facoltà.
GREGORIO GITTI. Signora Presidente, onorevoli colleghi e signor sottosegretario, il potere legislativo è stato snaturato dalla prassi. Istituzionalmente è stato soffocato dall'attività legislativa di fonte governativa.
Un esempio per tutti: in ambito economico e finanziario, la legge ordinaria di fonte parlamentare non esiste più, stretta tra l'attività normativa concorrente non solo di fonte governativa, ma addirittura di fonte regolamentare autoritativa.
Non è tutto: la legge ha perso la sua struttura, vorrei dire la sua cifra morale, che riposava in quello schema che Kelsen declinava come la categoria della norma generale.
La legge italiana ha assunto una cifra politica, forse politicistica, che si riflette non solo nel metodo negoziale della sua produzione, ma soprattutto nella ripetuta violazione del suo schema classico di fonte normativa generale.
Ebbene, la riforma costituzionale che stiamo discutendo si caratterizza, in modo a mio avviso positivo, per la semplificazione del procedimento legislativo. Ma sarà una riforma incompiuta se non sarà completata da una revisione sistematica del Regolamento di questa Camera. Il potere legislativo parlamentare deve essere restaurato per garantirne la legittimità costituzionale, radicandolo nelle Commissioni. La sede redigente dovrà essere, a mio parere, la procedura normale, come scrive il legislatore costituzionale, mentre Pag. 96la sede legislativa potrà accogliere l'istruzione e l'approvazione delle proposte urgenti dell'Esecutivo. Infine, la sede referente potrà essere lasciata alle materie consegnate ancora alla residuale doppia lettura di Camera e del nuovo Senato.
Mi auguro che questa riforma, da una parte, responsabilizzi i partiti nella selezione futura dei propri rappresentanti in Parlamento, sulla base dei criteri di rappresentatività e competenza, e, dall'altra, spinga il Governo a deflettere dalla prassi incostituzionale ed inaccettabile della decretazione d'urgenza dietro la quale si nasconde il ruolo normativo della burocrazia.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Fraccaro. Ne ha facoltà.
RICCARDO FRACCARO. Presidente, io non solo sono indignato, ma sono sconcertato di fronte ad un Parlamento, nominato per tre volte di seguito con una legge elettorale incostituzionale, che vuole riformare l'intera parte seconda della Costituzione. La classe politica, che ci ha mal governato da vent'anni, ha imbrattato, svenduto e corrotto tutto ciò di cui si è occupata. Ed ora ha addirittura la superbia e l'arroganza di stravolgere la Costituzione, la Carta fondamentale su cui si basa la nostra comunità e il nostro stare insieme, per giunta alleandosi con un pregiudicato che l'ha sempre calpestata, che l'ha sempre messa sotto i piedi. Ma non basta: di fronte ai dati sulla recessione, la disoccupazione, la povertà, la crisi delle imprese e la corruttela dilagante, questa controriforma incostituzionale è addirittura indicata come la priorità per il Paese. Agli italiani che ogni giorno perdono il lavoro, la dignità e la speranza, il Presidente del Consiglio sta raccontando questa favola. Non credo di aver sentito un solo leader di destra o di sinistra dire, in campagna elettorale, che il suo programma politico prevedeva di riformare quasi quaranta articoli della Costituzione. Nessuno dei tanti imbonitori della partitocrazia l'ha mai detto. Quindi, mi domando: chi ha mai chiesto a questi truffatori, che dovrebbero rappresentare il popolo, di manomettere la nostra Carta fondamentale ? Non certo il popolo. Qui dentro del popolo se ne fregano. Qui dentro i partiti usano il popolo solo per arricchirsi. Allora, chi gliel'ha detto ? Chi gliel'ha chiesto ? Forse, per rispondere, può esserci d'aiuto citare una notizia che ha fatto poco scalpore. Il 28 maggio 2013 la JP Morgan, storica società finanziaria statunitense, con banca inclusa, ha pubblicato un documento ufficiale dove ha candidamente scritto nero su bianco quello che i Governi nazionali d'Europa avrebbero dovuto fare: liberarsi al più presto delle loro Costituzioni antifasciste. La JP Morgan, società tra le protagoniste dei progetti della finanza creativa tanto da essere stata formalmente denunciata nel 2012 dal Governo federale americano come responsabile della crisi, scrisse nel 2013 (e cito): «I sistemi politici della periferia meridionale sono stati instaurati in seguito alle cadute di dittature e sono rimasti segnati da quell'esperienza. Le Costituzioni mostrano una forte influenza delle idee socialiste (...)». E per colpa delle idee socialiste inserite nelle Costituzioni, secondo JP Morgan, non si riescono ad applicare le necessarie misure di austerity.
In particolare il colosso americano si lamenta per la presenza nelle Costituzioni antifasciste di Esecutivi deboli nei confronti dei Parlamenti, di Governi centrali deboli nei confronti delle regioni, di tutele costituzionali e dei diritti dei lavoratori – si lamentava dei diritti dei lavoratori – della licenza di protestare se sono proposte modifiche sgradite. Ripeto: della licenza di protestare, Presidente. Credo che sia chiaro lo scenario: la finanza mondiale ha ordinato al Governo italiano di liberarsi della Costituzione, e Renzi esegue. A mio avviso, un Presidente del Consiglio ha due possibilità di fronte ad un simile diktat: o dire la verità al popolo italiano, e cioè che abbiamo perso del tutto la nostra sovranità monetaria e che, se vogliamo riprenderci la libertà, dobbiamo uscire dall'euro per stampare la nostra moneta o, viceversa, piegarsi al mondo della finanza. Renzi e il Partito Democratico Pag. 97evidentemente hanno scelto da che parte stare, e non è la parte del popolo. Per dimostrarlo basta esaminare nel merito questa riforma e non mancherò di farlo.
Prima però dobbiamo fare un passo indietro: dobbiamo cercare di capire che cosa rappresenta la Costituzione, perché tante persone hanno lottato e sono morte per una carta chiamata Costituzione. Le Costituzioni moderne sono il frutto delle grandi rivoluzioni borghesi del XVII secolo e del XVIII secolo: quella inglese, quella americana e quella francese in particolare. Tutte accomunate da un unico obiettivo: fissare dei limiti al potere sovrano. Secondo la prevalente ricostruzione storica, l'obiettivo primario del costituzionalismo moderno è stato e dovrebbe essere la limitazione del potere. La rivoluzione energetica dovuta all'utilizzo industriale della macchina a vapore, da un lato, e la rivoluzione dell'informazione dovuta alla diffusione della stampa, dall'altro, hanno portato all'affermarsi di una nuova classe sociale, la borghesia, e a nuove correnti del pensiero politico e filosofico: individualismo, contrattualismo, giusnaturalismo. Nasce così e si impone l'idea che esistono diritti inviolabili come la libertà e l'uguaglianza che nessun potere può calpestare e che iniziano ad essere scritti finalmente nero su bianco: il Bill of Rights inglese del 1689, la Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d'America del 4 luglio 1776, la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789. I grandi uomini che guidarono quelle rivoluzioni tuttavia capirono che per garantire l'inviolabilità dei diritti che avevano scritto nero su bianco era necessario evitare la concentrazione del potere. Per questo Montesquieu teorizzò la separazione dei poteri, perché il potere limita il potere e l'unico modo per limitarlo è separarlo, distribuirlo.
Nessun individuo o gruppo deve avere attribuzioni tali da mettere a repentaglio quei diritti, quei principi fondamentali, conquistati con il sangue. La nostra Costituzione è pregna di queste conquiste, e lo notiamo dalla sola struttura del testo costituzionale. Dopo i principi fondamentali la prima parte si intitola, non a caso: Diritti e doveri dei cittadini. L'ordinamento della Repubblica cioè i rapporti tra le istituzioni, viene dopo, perché il potere deve essere regolato proprio per garantire che quei diritti fondamentali non possano mai essere messi a repentaglio. Allora, la domanda è: le riforme Verdini, Boschi, Berlusconi, Renzi, come le vogliamo chiamare, garantiscono la separazione, l'equilibrio dei poteri ?
Questa è la domanda cui dovremmo rispondere e la risposta è ovviamente no. Il testo prevede un Senato non eletto dal popolo, ma dai partiti, senza alcun tipo di controllo da parte dei cittadini. I senatori dovrebbero rappresentare gli enti locali, si dice ma, non avendo vincolo di mandato, possono votare come vogliono anche contro i propri territori come già spesso purtroppo accade. In più contemporaneamente devono fare i consiglieri regionali e i sindaci: senatori che contemporaneamente fanno i consiglieri regionali e i sindaci. Capite bene la precisa volontà di non dar loro la possibilità di approfondire, di decidere liberamente. Saranno degli schiacciabottoni agli ordini della casta. La principale funzione del Senato sarà quella di chiedere alla Camera di modificare delle leggi con un parere. La Camera però potrà ignorare questo parere del Senato semplicemente votando a maggioranza semplice e solo in alcuni casi a maggioranza assoluta.
Ora, in un Paese normale, con una classe politica normale, questo meccanismo potrebbe essere garanzia, comunque, di condivisione delle scelte: così, purtroppo, non è, perché la legge elettorale di Renzi prevede di garantire sempre ad un solo partito la maggioranza assoluta alla Camera. Lasciatemi aprire una piccola parentesi, Presidente: non esiste un Paese occidentale al mondo con una legge elettorale che garantisca sempre un vincitore il giorno dopo delle elezioni, cioè che garantisca la maggioranza assoluta alla Camera ad un solo partito. Non esiste in Occidente, chiedetevi perché.Pag. 98
Quindi, con questa legge elettorale, un solo partito, che, magari, rappresenta anche solo il 20 per cento del Paese o, perfino, meno, potrà decidere tutto anche contro la volontà del Senato, perché è garantita la maggioranza assoluta. Pensate che potrà decidere e deliberare da solo anche lo stato di guerra: da solo un partito, che magari rappresenta il 20 per cento della popolazione o meno, potrà decidere di mandare i nostri figli in guerra. Voi direte: d'accordo, ma almeno è ancora il Parlamento ad esercitare liberamente la potestà legislativa. Ebbene, no, perché sarà formato non da eletti, ma da nominati, che, se vogliano essere rieletti, dovranno ubbidire al capo, cioè al Presidente del Consiglio. Se, poi, si considera che viene inserita in Costituzione la «ghigliottina», è evidente che il Parlamento non conterà più nulla: deciderà tutto il Governo, sarà il Governo a decidere quali leggi devono essere fatte, in che tempi, chi voterà quelle leggi e chi potrà essere rieletto.
Quindi, viene meno la separazione tra potere legislativo e potere esecutivo. Voi direte: d'accordo, viene meno questa separazione, ma almeno il rapporto tra Stato ed enti locali resta improntato al principio autonomistico sancito dall'articolo 5 della Costituzione. Ma, invece, con questa controriforma vengono anche meno le garanzie autonomistiche riconosciute alle realtà territoriali. I padri costituenti dotarono gli enti locali di un proprio livello politico, amministrativo, finanziario proprio per ridurre la distanza tra Stato e cittadino. Le autonomie locali sono state pensate per limitare, contemperare e sopperire il potere legislativo ed esecutivo nazionale, secondo il principio della sussidiarietà. Questo meccanismo è regolato dalla Parte II del Titolo V della Costituzione che queste controriforme vogliono completamente stravolgere per eliminare gli spazi di autonomia ed accentrare tutti i poteri nelle mani di un solo uomo al comando che nessuno ha eletto.
Con il neocentralismo renziano, i livelli amministrativi territoriali saranno svuotati da ogni funzione per far scivolare il Paese verso il baratro dell'antidemocrazia; altro che antipolitica: voi ci additate come antipolitica, però fate l'antidemocrazia. Renzi, di fatto, sta applicando alla lettera il piano piduista di Licio Gelli: ecco perché Forza Italia non può votare contro. Ecco perché i «mangia tartine», come li definisce il Premier, cioè i più importanti costituzionalisti del nostro Paese parlano di riforma autoritaria. State mettendo a rischio la democrazia, state distruggendo tre secoli di storia della nostra civiltà, siete complici, colpevoli e pagherete tutto questo.
Ma non vi voglio dare la possibilità del nascondervi dietro false accuse al MoVimento 5 Stelle di disfattismo, di assenza di contenuti, di essere solo protesta e niente proposta. Vi dico io come il MoVimento 5 Stelle affronterebbe una riforma costituzionale e come l'ha, di fatto, affrontata con le proprie proposte.
La prima cosa da fare è chiedersi cosa vogliamo. Se dobbiamo modificare la Carta su cui si basa il nostro stare insieme, noi ci chiediamo quale deve essere la finalità di questa comunità. E l'obiettivo per noi non è la dittatura mascherata da governabilità, l'accentramento dei poteri travestito da semplificazione, la soppressione dei diritti camuffata da stabilità: quello che noi cerchiamo, ciò per cui lottiamo è, in ultima istanza, la felicità dei cittadini. Noi lottiamo per portare speranza e felicità, quello che dovrebbero fare tutti in quest'Aula. E non è solo una bella dichiarazione, un'utopia per ingenui sognatori: il rapporto tra democrazia e felicità percorre tutta la storia occidentale e ha dato, nel suo cammino, frutti politici, economici, sociali, che voi fingete di non vedere, ma di cui io vi voglio dare evidenza scientifica.
Già nel XVIII secolo Jean-Jacques Rousseau mise l'uno a fianco all'altro le dimensioni della democrazia, del dovere civico e della felicità. Nel suo Contratto sociale, del 1762, scrive: nato cittadino in uno Stato libero e membro del corpo sovrano, per quanto debole sia l'influenza che la mia voce può avere negli affari pubblici, il diritto di votare su di essi è Pag. 99sufficiente a impormi il dovere di rendermene edotto, felice, ogni volta che medito sui governi, di trovare nelle mie ricerche sempre nuove ragioni per amare quello del mio Paese.
Ma la relazione tra democrazia e felicità è un tema affrontato anche dai costituzionalisti dei nostri giorni, tanto che Gustavo Zagrebelsky arriva ad affermare: «Forse dal punto di vista della felicità-infelicità potremmo dire così: la democrazia è il modo più sopportabile di sopportare l'infelicità, il modo più umano, compassionevole, conviviale, in una parola, mite, di organizzare l'infelicità dell’humana condicio, riducendo al minimo le prepotenze, il disprezzo, la sopraffazione, soprattutto distribuendone il peso sul maggior numero possibile, in una specie di mobilitazione generale delle umane imperfezioni». Le parole del presidente emerito della Corte costituzionale individuano la solida relazione che lega la felicità alla democrazia. Tale affermazione trova riscontro anche da un punto di vista empirico, e i risultati di ricerche interdisciplinari su questa questione ne dimostrano la validità. Uno dei primi ricercatori, Presidente, ad occuparsi della tematica fu Putnam, nel 1993 con il suo La tradizione civica delle regioni italiane, il quale rivelò una forte relazione tra senso civico, performance economica e efficienza della pubblica amministrazione. Lo studioso americano arrivò a dimostrare che nelle aree dove il senso civico è più alto l'economia prospera e l'amministrazione è più efficiente. Ma l'aspetto significativo fu che per valutare il senso civico propose i seguenti indicatori: affluenza a referendum, numero di quotidiani letti e livello di partecipazione alla vita sociale tramite associazioni e club. Quindi, più senso civico uguale più economia, un'economia più prospera, amministrazioni più efficienti.
Successivamente gli scienziati politici Muller e Seligson nel 1994 hanno dimostrato che non è la cultura, il senso civico che determina la qualità della democrazia, ma è il contrario, è la qualità della democrazia che determina un maggior senso civico. Più democrazia uguale più senso civico e quindi migliore economia e migliore amministrazione pubblica, non è il contrario.
Siamo andati oltre con la ricerca scientifica, gli economisti svizzeri Frey e Stutzer nel 2001 si spinsero ancora più in là e dimostrarono empiricamente il legame tra felicità ed economia, tra felicità e democrazia, integrando alla disamina econometrica istituzioni e scoperte della psicologia, della sociologia e delle scienze politiche. Nella loro ricerca andarono oltre la dimostrazione che le condizioni macroeconomiche o microeconomiche nella forma di reddito inflazione e disoccupazione influenzano la felicità. I due economisti rivelarono che più le istituzioni sono democratiche e il grado di autonomia locale è elevato, più il grado di percezione della qualità della vita, di soddisfazione delle persone è elevato.
In conclusione, mentre, come insegna anche il paradosso di Easterlin, la crescita della ricchezza personale determina un aumento della felicità personale solo in minima parte e solo fino a una certa soglia, per poi decrescere, è una curva parabolica, le istituzioni che favoriscono un maggior coinvolgimento dell'individuo nella politica, cioè maggior democrazia, hanno un impatto sensibilmente superiore rispetto allo stesso mero denaro, sulla felicità delle persone. Nella ricerca, e questo è ancora l'aspetto più interessante, gli indicatori di questo coinvolgimento dei cittadini furono: la presenza dei referendum di iniziativa popolare, le materie per le quali è previsto il referendum confermativo obbligatorio, il numero delle firme necessarie per chiedere una votazione popolare, l'assenza di limiti di materia per poter richiedere una votazione popolare, e poi anche la presenza – e questo è un dato molto interessante – del referendum finanziario. Laddove c’è la possibilità dei cittadini di fare un referendum sulle tasse, l'economia di quel Paese e di quell'area prospera maggiormente.
Per questo, noi, sulla base di questi dati, nel nostro programma politico, abbiamo messo il referendum propositivo, Pag. 100all'estero conosciuto come iniziativa popolare, e il referendum confermativo, il quale può essere obbligatorio o facoltativo, tutti rigorosamente senza quorum, perché sono i contrappesi che permettono di bilanciare l'azione degli organi dello Stato e che garantiscono la separazione dei poteri. Sono gli strumenti che consentono di realizzare compiutamente la sovranità popolare qualora la democrazia rappresentativa non fosse più in grado di farlo.
La crisi della democrazia non si combatte concentrando il potere ma distribuendolo, ovvero restituendolo al suo vero detentore, il popolo, e nello specifico dando la possibilità al popolo di intervenire quando gli eletti non lo rappresentano più; è la cosa più semplice ed efficace del mondo, proprio come oggi.
Nel 1945, Costantino Mortati, riferendosi allo Stato italiano, affermava: «sorto da un'affrettata unificazione con il suo ottuso e rapace accentramento – parlava dello Stato italiano – con l'angustia del suo parlamentarismo, che porta i partiti ad irretirsi nel giuoco delle clientele, con il suo distacco dalle masse». Per superare quest’impasse e per riequilibrare le disuguaglianze, Mortati proponeva che le istituzioni rappresentative dovessero essere bilanciate dall'intervento diretto del corpo dello Stato. Ora, dopo l'approvazione della Costituzione, nel corso dei primi anni di vita repubblicana, si convinse sempre di più della necessità dell'uso del referendum come completamento ed integrazione della democrazia rappresentativa, quello che chiediamo noi: integrare la democrazia rappresentativa con quella partecipativa, con quella diretta. Settant'anni più tardi le tesi sostenute dal Mortati sono state confermate da studi che hanno raccolto e analizzato le rivelazioni empiriche sull'effetto dei referendum senza quorum, non limitandosi solo alla sfera giuridica ma coinvolgendo anche le altre discipline scientifiche. I risultati sono stati confortanti: una normativa puntuale sui referendum e sull'iniziativa popolare priva di quorum aumenta la maturità politica del corpo sociale, permette di colmare il divario fra le élite e l'intero corpo elettorale, i cittadini sono politicamente più informati.
Gli effetti sono notevoli anche sul sistema dell'informazione, ma soprattutto sulle modalità di confronto nell'arena politica, perché le campagne referendarie si distinguono da quelle elettorali in quanto un numero più elevato di contendenti si adopera perché il suo punto di vista venga recepito e si concentra su proposte specifiche per risolvere i problemi. Non promesse astratte, proposte specifiche.
E gli effetti sul sistema economico e sull'efficienza della pubblica amministrazione sono forse i più sorprendenti e smentiscono categoricamente coloro che criticano i costi organizzativi e logistici generati dalle consultazioni referendarie. Gli economisti, per esempio dell'Università di San Gallo, Gebhard Kirchgässner e Lars Feld effettuarono un'analisi statistica sulle ripercussioni della democrazia diretta rispetto allo sviluppo economico, arrivando a conclusioni che non lasciano spazio di interpretazione: constatarono che, dove i cittadini possono utilizzare agevolmente lo strumento referendario in materia finanziaria, la performance economica è sensibilmente maggiore, l'evasione fiscale è sensibilmente ridotta, la spesa pubblica pro capite è inferiore, il debito pubblico inferiore, i servizi pubblici costano meno. La conclusione dello studio fu che, in termini di economia fisica, tutto – tutto – è a favore della democrazia diretta, nulla a sfavore.
Basta dunque un semplice excursus sulla filosofia politica alla base della democrazia per annichilire il disegno di legge Boschi-Verdini, che trascinerà l'Italia in una deriva autoritaria dopo averne saccheggiato tutte le risorse.
Questo provvedimento è il selfie del patto del Nazareno, il cui notaio è il Presidente della Repubblica.
Se Renzi pensa che nessuno in quest'Aula opporrà resistenza, si illude forse di trovarsi di fronte l'Assemblea del PD, dove è usuale che un manipolo di nominati si schieri compatto interno al capobastone per paura di perdere la poltrona. Pag. 101Il MoVimento 5 Stelle, Presidente, è pronto a lottare, in Aula e nelle piazze, per difendere la democrazia e restituire la sovranità al popolo italiano.
Cari concittadini, è evidente che stiamo vivendo una profonda crisi, una crisi democratica ed economica. Ogni crisi, ogni crisi è un'opportunità e al contempo una sfida ! Abbiamo le competenze ed il talento per superare le difficoltà e non farci sopraffare.
Abbiamo la grinta, abbiamo la stoffa per farlo. Quindi vi invito, concittadini, a non cedere alla pigrizia e al lassismo. Loro, PD, Forza Italia, tutti questi vecchi sepolcri imbiancati vi stanno dicendo con questa riforma di girarvi dall'altra parte, di tornare alle vostre occupazioni, di accendere la televisione e di farvi i fatti vostri, vi stanno dicendo per l'ennesima volta di non preoccuparvi, che penseranno loro ai vostri problemi.
Finora non c'erano riusciti per eccesso di democrazia, troppa democrazia ha reso difficile governare il Paese ma d'ora in avanti deciderà uno per tutti, il capo, e sarà tutto più semplice. Io vi prego invece concittadini di non farlo, di non cedere, di non delegare ancora; non si risolvono i problemi concentrando il potere ma distribuendolo e favorendo la partecipazione dei cittadini. Spegnete la televisione, leggete un buon libro, partecipate ad un gruppo, ad una associazione, aprite le vostre menti e aiutateci a fermare questa manovra autoritaria. Avete ancora un grande potere, l'ultimo che ci rimane, il voto, fate capire a questi «pigia-bottoni» che se si permetteranno di calpestare la Costituzione sarà la loro fine.
Noi faremo qui dentro il nostro dovere per fermarli come partigiani nelle trincee, voi lì fuori fate altrettanto, fate il vostro dovere come cittadini consapevoli, che alzano la testa e che non si faranno mai più comprare da 80 denari (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Sinistra Ecologia Libertà).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Vargiu. Ne ha facoltà.
PIERPAOLO VARGIU. Grazie Presidente, colleghi deputati, io non intendo avventurarmi sull'intero corpo della riforma costituzionale che oggi inizia il cursus alla Camera dei deputati, però mi sembra giusto sottolineare il momento davvero importante in cui, almeno in questo ramo del Parlamento, sta iniziando la nostra discussione. Credo che una riforma costituzionale, per quanto questo Paese ne abbia già viste alcune altre in precedenza, sia un momento che veramente deve richiamare tutte le sensibilità che sono presenti all'interno del Paese affinché si possa volare alto; dico ciò perché la modifica di una Carta, che detta i diritti fondamentali di ciascun cittadino italiano, deve senz'altro avvenire con un grande interesse intorno e con una grande partecipazione da parte di coloro i quali siedono sugli impegnativi scranni di questo Parlamento.
Vorrei concentrare il mio intervento fondamentalmente su due aspetti che spero possano essere all'attenzione del dibattito anche nei giorni successivi e durante la fase in cui questa Camera inizierà ad emendare il testo che è arrivato da parte del Governo e da parte del Senato.
Il primo è quello relativo ad un tema assai importante nell'ambito dell'articolo 117, che regola i rapporti tra lo Stato e le regioni; è quello collegato alla tutela del diritto alla salute del cittadino. Tutela sancita in altre parti della Costituzione, che oggi rappresenta una delle fondamentali mission delegate alle regioni in tema di potestà concorrente. Nelle regioni a statuto ordinario sostanzialmente il 70 per cento del bilancio consuntivo è dedicato all'attività sanitaria, ma anche nelle regioni a statuto speciale ormai questa percentuale di spesa, che è destinata alla tutela della salute, supera di gran lunga il 50 per cento del bilancio. È, pertanto, evidente che la definizione dei rapporti tra lo Stato e le regioni, per quanto riguarda la tutela della salute, rappresenta una delle sfide a cui il ragionamento, che noi ci stiamo apprestando a fare nella riforma costituzionale, deve prestare particolare attenzione.Pag. 102
Vorrei sottolineare una cosa a questo proposito: come noi sappiamo sino ad oggi la potestà legislativa in tema di salute è cosiddetta concorrente. In sostanza, lo Stato ha provveduto a stabilire i livelli essenziali delle prestazioni di assistenza sanitaria, lo ha stabilito attraverso un proprio decreto approvato nel novembre del 2001, vigente nel 2002, e le regioni hanno una potestà concorrente con lo Stato in materia di definizione dei diritti di assistenza.
Le regioni sono obbligate a mantenere dei livelli di assistenza che siano almeno quelli sanciti nella norma statale, possono integrare attraverso risorse proprie, attraverso fondi propri, tali livelli essenziali di assistenza.
Cosa ha significato fino a questo momento una norma di questo genere ? Noi lo abbiamo sentito in Commissione affari sociali qui alla Camera durante l'indagine conoscitiva che abbiamo svolto sulla sostenibilità del welfare sanitario in Italia.
Ha significato che, a fronte della garanzia, dalla legge n. 833 in poi, della universalità e dell'equità dell'accesso dei cittadini italiani al sistema in realtà si è venuta a realizzare una sanità con 20 o 21 diverse velocità, anzi con velocità che spesso sono state diverse addirittura all'interno delle singole aziende sanitarie nei contesti regionali, con un danno dal punto di vista della fruizione delle garanzie del diritto alla salute da parte del cittadino di non poco conto.
Allora è evidente che la riforma oggi interviene con l'idea che allo Stato vanno attribuite le cosiddette disposizioni generali e comuni e che alle regioni vanno mantenute soltanto le attività di programmazione e organizzazione dei servizi. Ovvero non c’è più la potestà legislativa concorrente, ed è evidente che nello spirito che informa questa riforma l'idea è quella di dare una garanzia centrale ai livelli essenziali di assistenza, quindi di dire che lo Stato è nuovamente garante per intero di quella che è l'assistenza sanitaria al cittadino e la tutela e la garanzia del diritto alla salute del cittadino. In realtà, noi sappiamo che questa formula, colleghi, è una formula mera e vuota se non è accompagnata da una riflessione profonda su ciò che deve essere il sistema dell'assistenza sanitaria in questo nostro Paese.
Perché non sono più consolatorie le percentuali di prodotto interno lordo che noi destiniamo alla sanità quando queste sono accompagnate ad una spesa pro capite per cittadino che tende a decrescere con il decrescere del nostro prodotto interno lordo. Oggi noi abbiamo le sfide dell'assistenza, le più importanti, le sfide connesse alla cronicità, connesse alla presa in carico della popolazione che invecchia, associate a quelle della tecnologia, a quelle dell'informatica, a quelle della nuova sanità 2.0 e 3.0. Sono sfide che noi rischiamo di perdere, che sono destinate ad essere perdute se noi non facciamo una rivisitazione profonda del sistema dell'assistenza sanitaria nel nostro Paese. Non sarà una semplice riforma delle competenze attribuite allo Stato e alle regioni che potrà cambiare la qualità dell'assistenza sanitaria nel nostro Paese.
Illustri costituzionalisti dicono addirittura che quello che noi abbiamo in mente potrebbe semplicemente determinare un aumento del contenzioso tra le regioni e lo Stato in materia di assistenza sanitaria; quindi l'obiettivo di questa nostra riforma non può che essere quello di introdurre una nuova organizzazione del sistema sanitario che abbia davvero al centro l'idea di dare una risposta di salute, di garanzia dei nuovi diritti di salute del cittadino che sia identica o uguale in tutto il territorio nazionale. Ed è per questo che noi pensiamo che la clausola di supremazia, che viene riservata allo Stato in tutte le occasioni in cui esista un superiore interesse rispetto a quello che è presente nelle singole realtà regionali, debba essere in modo manifesto estesa ai diritti di salute del cittadino.
Il secondo tema su cui mi preme fare una breve riflessione è quello relativo – è stato già ricordato all'interno di quest'Aula – alle cosiddette regioni a Statuto speciale, alle cosiddette specialità. La Sardegna, la regione da cui io vengo, è una regione speciale.Pag. 103
Voi potreste pensare che io voglia, in maniera sostanzialmente acritica, difendere la specialità dello Statuto regionale sardo. No, non lo voglio fare. Io credo che la Sardegna sia speciale ma indipendentemente dalla definizione che all'interno della Carta costituzionale dovesse essere data di questa specialità. Noi ci consideriamo una nazione senza Stato, quindi siamo convinti della nostra specialità indipendentemente dal fatto che questa sia scritta o meno all'interno di leggi dello Stato. Semplicemente vorrei sottolineare – ed è utile che venga fatto in quest'Aula – la schizofrenia che oggi esiste tra l'esigenza di autonomia che discende dal concetto di specialità che una nazione senza Stato, come quella sarda ha ben chiara nel cervello e nella testa di chi la rappresenta, e la situazione di assistenzialismo economico in cui molte, alcune delle regioni a Statuto speciale versano.
La domanda che oggi, forse durante la discussione della legge di riforma costituzionale che non tocca in questo momento, almeno nella sua stesura attuale, l'autonomia delle regioni speciali, noi ci dovremmo porre è quale autonomia può discendere dalla specialità per le regioni economicamente più deboli. Ciò perché è evidente che il principio di sussidiarietà, al quale tanto spesso ci siamo appellati, poi determina che possa essere letto e declinato, come tante volte è stato fatto, con la considerazione che i servizi possono essere decisi soltanto laddove si riscuotono le tasse, ed è impossibile decidere il livello qualitativo di quel servizio se questo servizio è pagato da altri. Ecco, questa, io credo, sia la sfida delle nuove autonomie speciali, tra le quali credo che la Sardegna a pieno titolo rientri.
Quando parliamo di sanità e di garanzia dei LEA, in Sardegna forse dovremmo chiedere che ci sia il centralismo nella definizione dei livelli essenziali di assistenza sanitaria. Ma forse lo stesso centralismo dovremmo chiederlo nella definizione dei livelli essenziali di istruzione, quando i giovani sardi sono gli ultimi negli Invalsi nazionali perché il nostro sistema di formazione e di istruzione è l'ultimo in Italia.
Diventa, quindi, automatico che le opportunità per i nostri giovani siano le peggiori in Italia, che il nostro tasso di dispersione scolastica sia il più alto in Italia, che la nostra disoccupazione giovanile nella fascia 17-30 anni abbia raggiunto livelli del 54 per cento, che sono i più drammatici in Italia. Quindi, nel parlare di livelli essenziali di istruzione e di formazione, noi dovremmo forse appellarci a un centralismo che non abbiamo mai avuto. Nel parlare della nostra infrastrutturazione, unica regione italiana senza l'elettrificazione delle ferrovie, unica regione italiana senza un'autostrada, forse dovremmo parlare di livelli essenziali di infrastrutturazione; dovremmo parlare di livelli essenziali di trasporti, che noi parlamentari sardi – ma è soltanto a titolo di esempio, non certo chiedendo privilegi a cui sappiamo perfettamente di non aver diritto – tocchiamo con mano anche in questi giorni di convocazione del Parlamento, quando non abbiamo nessuna certezza, dovendo utilizzare il mezzo aereo, di rientrare nelle nostre case in tempi utili per festeggiare il Natale.
Abbiamo la perfetta cognizione, la piena sensazione di quanto le nostre opportunità, rispetto a quelle di altri cittadini italiani, non siano pari opportunità. Allora, la difesa dell'autonomia oggi, la difesa della specialità oggi, non può essere disgiunta dal ragionamento sulle opportunità economiche che possono aiutare ad abbattere i gap infrastrutturali e che possono aiutare a garantire alle regioni speciali opportunità pari a quelle delle regioni ordinarie, che le opportunità già le hanno. Io credo che dovremmo ragionare anche in termini di fantasia nuova e dovremmo forse utilizzare delle forme di sperimentazione, che sono già previste all'interno della Carta costituzionale, che consentono alle regioni, che hanno dei gap infrastrutturali, di associarsi, di creare delle forme associative con regioni che abbiano best practice, che abbiano risposte più avanzate ai diritti di salute e ai diritti più generali Pag. 104di civiltà e di opportunità della propria popolazione; di avere, quindi, quella crescita che soltanto il sentimento di solidarietà nazionale – se ancora esiste in questo Paese – può riuscire e aiutare a garantire.
Credo che questa sia la sfida della discussione che stiamo facendo oggi; sfida in cui le regioni a statuto speciale non debbono assolutamente avere una risposta di arretratezza, di difesa di guarentigie e di privilegi del passato, che sarebbe assolutamente anti-storica, ma devono avere una proposta che sia rivolta alla garanzia di pari opportunità e di pari diritti civili di cittadinanza per la loro popolazione rispetto a quella delle altre regioni italiane.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Russo. Ne ha facoltà.
PAOLO RUSSO. Presidente, di cosa ragioniamo, di cosa si tratta ? Di rimessaggio ? Di restyling, di manutenzione ordinaria o piuttosto di adeguata riforma di sistema ?
Devo dire che, a parte alcuni capitoli affrontati con energia – penso tra gli altri alla cancellazione del bicameralismo perfetto, ma anche alle implicazioni che questo comporta –, mi paiono ancora troppe le questioni che meritano una giusta, legittima attenzione critica e di approfondimento proprio di quest'Aula. Mi soffermerò su alcune questioni, e in modo particolare partirò dalle questioni che riguardano la riforma costituzionale e gli enti territoriali, la riforma costituzionale e le regioni.
Questa approvata dal Senato, e che ora è al nostro esame, non risolve adeguatamente il problema della riorganizzazione territoriale della Repubblica; e non lo risolve, questo problema, con particolare attenzione a due questioni: la questione che riguarda le città metropolitane, e la questione che riguarda più direttamente le regioni. Non sto qui a significare come forse sarebbe opportuno, anche in questa rilettura, provare a scrivere con certezza quali sono le città metropolitane a cui fare riferimento in modo stabile e non attraverso mille sollecitazioni variabili di anno in anno, di legislatura in legislatura. Né ricorderò qui che le città metropolitane in Spagna sono due, Madrid e Barcellona, che in Francia sono tre, che in Germania sono due, Berlino ed Amburgo.
Non ricorderò qui queste vicende, per indicare come piuttosto forse sarebbe utile che anche qui l'occasione è puntuale, quella cioè di scrivere nella Carta costituente quali sono, così come sono scritte le regioni, le città metropolitane a cui va ascritto un ruolo e una responsabilità di questa natura. E naturalmente quando dico questo penso che non sono le decine e decine di città metropolitane introdotte dalla legge Delrio, ma sono le tre città naturalmente metropolitane di questo Paese: Napoli, Milano e Roma.
Ma altro aspetto riguarda più direttamente il rapporto con le regioni. Intanto proverei a riflettere, proverei a suggerire qualche elemento di riflessione sulla specialità delle regioni: opportunità, privilegi, guarentigie, retaggi padronali, talune antistoriche condizioni, asimmetrie assolutamente illogiche, taluni astrusi rivendicazionismi che pure si registrano su questo fronte. Ma i limiti attuali del regionalismo sono evidenti a tutti: il decentramento e la modifica del Titolo V della Costituzione cosa hanno prodotto ? Hanno prodotto da una parte competenze eccessive, che spesso costituiscono e hanno costituito duplicazioni dello Stato, e aggravano, rendendo addirittura nulli, nella loro complessità taluni atti amministrativi, in tempi e con lungaggini senza dimensioni; ma hanno prodotto anche apparati pesanti, per dotazioni di mezzi e di personale, sviluppando un enorme numero di enti strumentali e di società partecipate. Ma quel decentramento e quella modifica del Titolo V della Costituzione hanno prodotto anche un consistente aumento della spesa pubblica, provocato in gran parte proprio da questi fattori.
E, allora, questi limiti sono interpretati e sono leggibili nella crisi del regionalismo all'italiana, un regionalismo la cui crisi inizia nel 2012 e si sviluppa in modo virulento negli anni successivi. Di tredici Pag. 105regioni nelle quali si sono svolte le elezioni nel 2010, ben sei hanno terminato con grande anticipo la legislatura. Proverei a riflettere su queste ragioni. La sfiducia della popolazione nei confronti delle regioni appare persistente e inarrestabile, come dimostra la scarsa affluenza al voto delle ultime elezioni regionali di Emilia Romagna e di Calabria. La legge n. 56 del 2014, la cosiddetta legge Delrio, ha istituito le città metropolitane in una confusione assoluta. Sono nuovi enti che assorbono e complicano nei rispettivi territori molte delle competenze già precedentemente attribuite alle regioni.
E allora, il disegno di legge costituzionale si limita a razionalizzare la competenza legislativa regionale, riportando allo Stato il potere di legiferare su alcune materie, nonché abolendo l'attuale competenza concorrente delle regioni, ma è incoerente, ed è incoerente perché disegna la funzione legislativa regionale come essenzialmente pianificatoria e programmatoria – bene – ma mantiene ferma in alcuni casi, in troppi casi, la capacità di intervenire sulla gestione dei servizi essenziali. Ma questo disegno di legge è anche incompleto, perché ignora del tutto le funzioni di promozione e di coordinamento di un elemento che io ritengo essenziale, rappresentato dalla coesione sociale.
E, allora, qual è la risposta a tali criticità ? La risposta, a mio avviso, è una risposta che deve pensare di disegnare istituzioni che vadano nel segno oltre le regioni attuali, e penso a macroregioni. Perché tutto questo ? Perché ciò garantirebbe maggiore efficienza ed economicità della programmazione territoriale, ma anche della coesione territoriale e dei livelli essenziali delle prestazioni, consentendo economie di scala possibili nel governo di vaste aree omogenee. L'istituzione delle macroregioni eviterebbe gli squilibri territoriali determinati dalla istituzione delle molteplici città metropolitane dotate di competenze simili a quelle attuali delle regioni e la restante parte del territorio delle aree limitrofe, ma l'istituzione delle macroregioni potrebbe incidere positivamente anche sui costi della politica, riducendo la dimensione degli apparati e, quindi, riducendo gli sprechi. Ma come è possibile istituire delle macroregioni ? Come possiamo farlo ? Attraverso l'abrogazione dell'articolo 131, la modifica dell'articolo 132, attraverso l'aggregazione dal basso, introducendo una norma transitoria di efficacia immediata o, in alternativa, la modifica dell'articolo 131 con l'istituzione di cinque macroregioni.
E, allora, tutto questo per far cosa ? Per provare a modificare, nel riordino delle competenze legislative, l'accentuazione della natura pianificatoria e di programmazione delle funzioni legislative, competenze in materia di programmazione dei fondi destinati alla coesione territoriale, possibilità delle regioni di trasferire verso l'alto, allo Stato cioè, anche temporaneamente, funzioni legislative per ragioni di maggiore efficacia del loro esercizio. Insomma, l'istituzione delle macroregioni non è incompatibile con le autonomie speciali, anzi tali autonomie possono restare intatte anche se riconosciute ad aree territoriali di macroregioni.
Le modifiche introdotte dal disegno di legge costituzionale si applichino anche alle autonomie speciali, per evitare sperequazioni territoriali. Come farlo ? Modifica dell'articolo 116 della Costituzione, identificando le attuali regioni a statuto speciale come territori autonomi, fermo il rispetto di trattati internazionali, e di norme a tutela delle minoranze linguistiche; sostituzioni degli statuti speciali concertati con legge costituzionali e riduzione delle norme della riforma costituzionale che non si applicano alle autonomie speciali. Insomma, introduzione, nell'articolo 81 della Costituzione, dopo la previsione dell'obbligo del pareggio di bilancio, di una disposizione che preveda la distribuzione delle risorse finanziarie dello Stato sul territorio nazionale, che debba avvenire in modo da garantire quella coesione territoriale e quella piena uguaglianza dei cittadini, nella fruizione dei servizi pubblici essenziali, e dei relativi livelli essenziali delle prestazioni.Pag. 106
Su questi temi, noi di Forza Italia, in quest'Aula, proveremo a ritornare, ripresentando emendamenti che erano stati discussi, ma non approvati. Proveremo a ritornare su questi temi, perché crediamo che, su questi temi, si giochi una parte importante della prospettiva di credibilità dell'attuale classe dirigente. Noi, davvero, vogliamo riformare, e riformare nel migliore dei modi possibile, la nostra Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Fratoianni. Ne ha facoltà.
NICOLA FRATOIANNI. Signora Presidente, cominciamo oggi la discussione sulle linee generali, in questa Camera, su un atto molto importante, la riforma di parti rilevanti della nostra Costituzione. Devo dire che l'impressione che mi sono fatto, anche ascoltando buona parte della discussione di questo pomeriggio, è che il dibattito stenti ad inquadrare, fino in fondo, la portata di quello che questo Parlamento si appresta a fare. Non interveniamo soltanto sulla Carta fondamentale, e questo, di per sé, dovrebbe chiamare le forze politiche, quest'Aula, a una discussione di fondo sulla struttura della nostra democrazia, sulla condizione del Paese, perché quando si interviene sulla Carta fondamentale, sulla Costituzione, su quell'insieme di regole che ha il compito di definire l'assetto delle relazioni sociali, e civili, di un intero Paese, sarebbe forse utile provare a inquadrare questa discussione nel contesto in cui quel Paese si trova. Del resto, è lì, in una grande discussione pubblica sul Paese, sul suo presente, e sul suo futuro, che nacque quella che ancora oggi noi continuiamo a definire la più bella Costituzione del mondo, purtroppo, ancora largamente inapplicata. Ebbene, oggi, questa discussione cade in un contesto nel quale viviamo contemporaneamente in una crisi di credibilità della politica, della democrazia, delle istituzioni, e in una drammatica crisi sociale. Dentro questo contesto, cresce la disaffezione alle forme della partecipazione democratica, e le ultime tornate elettorali, anche quelle amministrative, ne sono una drammatica rappresentanza. Cresce la distanza dalle forme della partecipazione democratica, e cresce, nella disperazione sociale, la regressione di un Paese che rischia di trasformare la guerra tra poveri in un indebolimento drammatico dei tessuti di relazione su cui si è costruita, in tutto il Novecento, la democrazia di questo Paese. Di fronte a questo quadro, le scelte di questo Governo, e della maggioranza che lo sostiene, vanno nella direzione sbagliata; vanno nella direzione opposta a quella di cui avremmo avuto bisogno e ci vanno dal punto di vista del discorso pubblico che accompagna questa riforma e gran parte delle politiche che sono state messe in campo. Penso a quella parte importante del discorso pubblico che tutti i giorni il Presidente del Consiglio rilancia sui mezzi di comunicazione e che fa dei corpi intermedi e degli istituti fondamentali della democrazia l'oggetto principale di una polemica contro i rallentatori della volontà decisionale. Vanno nel senso opposto, quando, nella definizione della riforma costituzionale, lavorano non per allargare gli strumenti della partecipazione, ma per ridurli.
Infatti, diciamo la verità, con riferimento all'impianto di fondo di questa riforma, che io chiamo la «riforma dell'asso piglia tutto», la riforma del Senato, che lungi dall'essere semplicemente l'articolazione di un progetto che abbia al centro il superamento del bicameralismo, che, come abbiamo ricordato nei nostri interventi anche oggi, è sempre stato al centro anche del nostro programma elettorale, è, in realtà, più direttamente una riforma che cancella il diritto di voto al Senato, che costruisce un meccanismo molto pasticciato dal punto di vista delle competenze.
Bene, nel quadro della riforma dell'assetto costituzionale, che, come è stato ricordato, da un lato, riduce gli spazi di partecipazione, gli spazi democratici, dall'altro, non solo non aumenta gli spazi della democrazia diretta, ma non definisce Pag. 107neanche in modo efficace forme alternative di partecipazione dei cittadini alla vita democratica del Paese, si accompagna di fatto e formalmente alla discussione sulla riforma della Costituzione una legge elettorale, che, nella forma che oggi ha assunto nella discussione in corso nella 1a Commissione del Senato, mette in campo un assetto ipermaggioritario, che consente, nel combinato disposto tra riforma della Costituzione e legge elettorale, ad una minoranza in questo Paese – sebbene la più grande delle minoranze – di accedere a un meccanismo nel quale quella minoranza è in grado di condizionare autonomamente l'intero assetto democratico del Paese, senza nessun contrappeso, senza nessun elemento di riequilibrio. È stato ricordato in quest'Aula, si va verso un presidenzialismo forte, senza nessuno dei contrappesi che pure i sistemi presidenzialisti in giro per il mondo prevedono.
Questo è quello che oggi questa proposta mette in campo. E, vede, di fronte a questa che noi consideriamo una vera deriva, sarebbe necessaria una discussione che, nella crisi che il Paese sta attraversando, mettesse finalmente al centro una riflessione sulla crisi della rappresentanza, provasse a chiedersi perché, dentro la crisi sociale, si allarga l'area dell'astensione, dell'allontanamento dagli strumenti della partecipazione democratica. E invece di chiedersi perché questo succede, si asseconda questo processo, lo si rafforza con questo progetto di riforma.
E allora viene da chiedersi se anche questa iniziativa non abbia qualcosa a che fare con quelli che, in questi anni, esplicitamente o in modo un po’ più sotterraneo, hanno più volte ricordato come le Costituzioni, in particolare alcune Costituzioni (quelle dei Paesi del sud Europa, quelle nate nel solco dell'antifascismo), fossero diventate un ostacolo alla governance della crisi economica. Vorrei ricordare in quest'Aula che non più di un anno e mezzo fa saltò fuori dal cassetto di una grande banca d'affari, JP Morgan, un documento che esplicitamente, riferendosi alle Costituzioni dei Paesi dell'Europa del sud, diceva che quelle Costituzioni andrebbero riviste, ci sono troppi diritti, ci sono troppe cose che oggi rendono complicata la gestione della crisi che stiamo attraversando.
Chiudo subito, signora Presidente, vede, io credo che ci sia una relazione tra l'impianto della riforma costituzionale, quello della legge elettorale, le politiche sociali, le politiche sul lavoro di questo Governo. Infatti, quando ci si trova di fronte a una crisi come quella che stiamo attraversando, ci sono solo due strade: la strada che noi consideriamo giusta, quella di allargare i diritti, di porsi il problema della crescita dell'astensionismo come un problema da risolvere in una dimensione progressiva, oppure c’è un'altra strada, quella che qui si è intrapresa, quella di ridurre contemporaneamente i diritti sociali e di predisporre un sistema istituzionale che consenta di contenere le reazioni che l'allargamento della crisi e la riduzione dei diritti producono nel corpo diffuso del Paese.
Ecco, noi di Sinistra Ecologia Libertà ci opporremo in modo determinato a questa deriva.
Lo faremo nei movimenti, lo faremo nel Paese, lo faremo qui, in queste Aule e – lo voglio dire anche con rispetto – al Presidente della Repubblica, che oggi, devo dire andando poco oltre i confini che il suo mandato gli riconosce, ha avuto modo di dire, nel discorso alle alte cariche: «Nessuno pensi di opporsi al processo delle riforme con spregiudicate tattiche emendative». Ecco, lo voglio dire con rispetto: noi, che svolgiamo qui la funzione di rappresentanti del popolo – finché almeno questa funzione ci è consentita – utilizzeremo qui, sì, tutte le tattiche emendative possibili, spregiudicate o meno. Lo faremo alla luce del sole, per opporci ad un progetto che consideriamo semplicemente sbagliato per questo Paese (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Ferrari. Ne ha facoltà.
ALAN FERRARI. Signor Presidente, sottosegretario Scalfarotto, onorevoli colleghi, Pag. 108innanzitutto permettetemi di ringraziare i relatori, il presidente della Commissione, l'onorevole Sisto, e l'onorevole Fiano, a cui aggiungo ovviamente un'esternazione di affetto e di comprensione per il duro lavoro che ha dovuto svolgere in Commissione, anche per effetto del fatto che il mio partito, il Partito Democratico, ha dato un contributo sicuramente plurale alla discussione di questo importante provvedimento, e di ringraziare il Governo – la Ministra Boschi e l'onorevole sottosegretario Scalfarotto – per come è riuscito ad accompagnare i lavori di questa Commissione in queste lunghe settimane, ed anche per la lucida determinazione che ha tenuto nel corso dei lavori.
Voglio solo aggiungere una piccola cosa a questa premessa di ringraziamenti, che è il fatto che l'altra sera, a mezzanotte, ci siamo lasciati dopo lavori molto intensi in Commissione e credo di aver avvertito molta commozione nei colleghi che hanno portato a compimento un lavoro così intenso, che ha toccato le corde di ognuno di noi.
E vedere l'Aula non così partecipata io credo che non dia il merito giusto al lavoro ed all'emozione, che comunque viene e di cui è stata certamente lasciata traccia nei lavori di questa Camera, perché quel gruppo di commissari se ne è occupato con passione, con grande intensità ed è stato certamente un momento di liberazione il momento in cui si è chiuso quel passaggio, sabato notte.
Arriva in Aula, come è stato ricordato, la riforma della seconda parte della Costituzione, la madre di tutte le riforme potremmo dire, ma non solo, perché si tratta della Carta più importante, quella che sancisce l'inviolabilità dei diritti e della democrazia, ma anche perché è di fatto l'architrave in cui si innestano le altre riforme, quella della giustizia, del lavoro, della pubblica amministrazione e della scuola.
E badate bene: il punto qui non è semplicemente dato dal fatto che queste altre riforme si innestano nella riforma della Costituzione perché il contesto politico lo impone, ovvero questo Governo non può permettersi di non promuovere la riforma della Costituzione in questa legislatura, altrimenti correrebbe il grandissimo rischio di non avere la facoltà, l'autorevolezza ed il sostegno dell'opinione pubblica e del Parlamento per portare avanti le altre riforme altrettanto importanti, ma c’è un legame anche per così dire congenito fra questa riforma e le altre riforme, perché se la Carta definisce i principi, sono le altre riforme che consentono a questi principi di essere sostenibili e soprattutto ai diritti inviolabili, che citavo prima, di essere realmente garantiti.
Noi abbiamo scritto, nel primo articolo della Costituzione, che la nostra Repubblica è fondata sul lavoro, e tutto il tempo passato da esimi costituzionalisti, in questi vent'anni, è stato sprecato, perché è stata data troppa attenzione alla difesa di una parte di quella Carta e molto poca sul fatto che grande parte di quei diritti venivano completamente disattesi.
È una Carta fondamentale – e la riforma che facciamo va esattamente in questa direzione – perché è il presupposto per lo sviluppo civile, per la progressione civile, per la progressione democratica di un Paese ed anche per la progressione economica, in una fase come questa, in cui è evidente a tutti che la nostra Italia fatica a mantenere la posizione di Paese leader nel mondo, che ha conquistato con grande sacrificio dal dopoguerra in poi.
Sono state portate molte critiche, alcune anche già oggi, dalla fase di discussione molto intensa, molto animata del Senato e poi anche in Commissione. È stato certamente un dibattito duro. C’è un'espressione di Schopenhauer che mi sembrava molto calzante e che vi riporto perché credo che ci aiuti a comprendere l'evoluzione del dibattito di queste settimane, in realtà di questi mesi. Schopenhauer diceva che tutte le verità passano per tre stadi: nel primo stadio, vengono ridicolizzate, derise; nel secondo stadio, vengono violentemente contestate e contrastate; nel terzo stadio, vengono accettate, dandole per evidenti. Allora, credo che, se noi ricostruiamo ciò che è accaduto attorno a questa riforma, ritroviamo esattamente Pag. 109questi tre stadi perché c’è stata la fase della derisione, ed è stata la fase in cui, con l'impeto di chi pensava di avere più adeguatezza morale di chi si era messo realmente a rivedere questa Costituzione, del Governo, di questa classe dirigente, che peraltro aveva in sé il difetto di essere una classe dirigente prevalentemente giovane, troppo giovane per poter arrivare a raggiungere questo obiettivo, ebbene, questa spinta moralizzatrice, anche in maniera molto strumentale, ha fatto sì che le prime proposte di riforma fossero fortemente ridicolizzate. Poi c’è stata una fase di contestazione che si è basata essenzialmente su due punti, che sono quelli, da una parte, del merito, su cui è, come dire, del tutto legittimo discutere e avere opzioni diverse, e, soprattutto, dall'altra del fatto che era il Governo, attraverso la propria azione e quindi attraverso una funzione anomala, se vogliamo, a proporre al Parlamento un disegno di riforma.
Allora, penso che dobbiamo essere molto sinceri e che questa legislatura è tenuta a fare questa riforma per tutte le ragioni di cui abbiamo parlato per un ventennio e per cui la cultura, della quale io vengo che è una di quelle che ha fondato il Partito Democratico, si è spesa per moltissimi anni, ma è anche obbligatorio per le condizioni in cui versa il Paese. Penso che dobbiamo essere onesti e sinceri nel dire che, se non vi fosse stata l'iniziativa del Governo, che gode della fiducia del popolo italiano, così com’è stato mostrato anche con il passaggio alle elezioni europee, questo Parlamento non sarebbe stato nelle condizioni di promuovere una riforma e, con la collaborazione di tutte le forze politiche, portarla a compimento. Non eravamo nella condizione in cui siamo oggi e voglio dire che è stato perso molto tempo a contrastare il Governo per l'anomalia chiamandola azione tirrannica, eversiva; sono state impiegate molte energie in questo genere di critiche. Io credo che, se noi avessimo salvato quelle energie, per cogliere un punto molto chiaro del dibattito costituente, saremmo più avanti e quel punto chiaro è che tutte le forze popolari (e qui ci sono anche tra le nostre opposizioni) mai si sarebbero sognate di non partecipare alla scrittura della Costituzione, mai si sarebbero sognate di deridere chi aveva preso per primo l'iniziativa. E mi auguro che quello che ho sentito poco fa da parte del collega di SEL sia in qualche modo oggetto di un ripensamento e che l'attività emendativa continui nel solco di quel contributo costruttivo che io personalmente e tutto il Partito Democratico ha fortemente apprezzato del contributo dato da SEL.
L'ultimo aspetto – diceva Schopenhauer, lo ricordavo prima – è che, infine, le verità vengono accettate, dandole come evidenti e lo dimostra – e chiudo – il fatto che, nei lavori di Commissione, solo alla fine, quando il lavoro era stato molto produttivo, le opposizioni hanno dovuto lasciare quella Commissione, dove si stava compiendo un lavoro sul merito e dove si stavano confrontando opzioni diverse, ma non una moralmente corretta e l'altra moralmente eccepibile; solo a quel punto, per cercare uno spazio politico alternativo che li distinguesse da quello della maggioranza che sta sostenendo quelle riforme, loro, le opposizioni, hanno abbandonato l'aula. Allora, penso che l'hanno fatto proprio nel momento in cui quelle verità, che si andavano cercando con la proposta di riforma, erano diventate evidenze, erano diventate oggetto di un normale dibattito parlamentare in cui c’è una maggioranza e una minoranza, c’è un confronto, c’è un reciproco condizionamento al termine del quale c’è un voto.
Venendo al merito della riforma – è chiaro, è una normale conseguenza rispetto a quello che ho detto poco fa – quello di cui ci troviamo a discutere è il miglior compromesso possibile, certamente ancora modificabile nel bene e migliorabile nel lavoro in Aula e nel lavoro nei prossimi passaggi, ma è il miglior compromesso possibile tra le questioni di merito e il contesto politico in cui questo merito viene proposto e approvato.
Per venire al merito della riforma, è già stato ricordato che è chiaro che il tema del porre fine al bicameralismo perfetto assume il significato maggiore, e lo fa perché Pag. 110è attraverso questo che si crea una modifica sostanziale del nostro modo di legiferare, ma anche di dotare il Parlamento di quella capacità e quella rapidità utili ad incidere realmente sui problemi del Paese; è attraverso questo che oggi il Presidente Napolitano ha ricordato come alcuni costituenti lo avessero chiamato come fallimento di questa Costituzione, come di fatto il punto più anomalo di questa Costituzione. È attraverso questo gesto, questo forte cambiamento che introduciamo nell'assetto istituzionale e soprattutto nel potere legislativo, che noi cerchiamo di dare e di ridare autorevolezza alla politica perché, soprattutto con questa scelta, la politica riduce il numero dei parlamentari, riduce i costi, crea strumenti molto più incisivi e rapidi e, a mio avviso, dà prima di tutti gli altri l'impressione di essere capace di modificare se stessa.
Ci sono altre questioni che sono state già toccate, le elenco semplicemente per ricordare che queste, importanti, sono state oggetto di un lavoro in Commissione e che ciò che è uscito dalla Commissione è migliore di quello che è entrato, sul procedimento legislativo, sul Presidente della Repubblica, sulle modalità di elezione del Presidente della Repubblica, sul disegno di legge con voto a data certa.
Un aspetto che mi permetto di toccare, e a cui ho dato un mio contributo con un'azione emendativa, riguarda le funzioni del nuovo Senato, in particolare laddove si correlavano la funzione di valutazione e quella di controllo. Io ho proposto un emendamento per scindere queste due funzioni e lasciare al Senato la funzione di valutazione, perché c’è una grande differenza tra le due ed è corretto che in quest'Aula questo aspetto venga sottolineato. Controllo significa verificare che gli adempimenti previsti dalle leggi siano stati rispettati dalle pubbliche amministrazioni, valutare significa vedere se gli effetti prodotti dalle leggi che abbiamo scelto e gli obiettivi che ci siamo dati hanno consentito di raggiungere i risultati che ci eravamo dati. Questo credo che sia un aspetto fondamentale, perché se quel Senato delle autonomie, ovvero il Senato che dovrebbe prendersi in carico più di tutti gli altri ambiti di questo Paese il fatto che le cose accadono nei territori, fosse in grado di fare una valutazione vera sull'impatto delle politiche pubbliche, credo che creeremmo un'eccezionale novità nel nostro ordinamento e credo anche che apriremmo una fase di grande prospettiva di cambiamento della pubblica amministrazione.
Ultimo punto, il Titolo V, su cui articolo la mia ultima riflessione. Non c’è dubbio che sia stato anche questo un punto molto dibattuto, perché in realtà ciò che ha spinto forse più di tutti gli altri elementi a riformare la Costituzione è stata la percezione che la riforma del 2001 non abbia funzionato, cioè che aver delegato alle regioni poteri significativi in realtà sia stato sbagliato.
Allora, credo si debba fare un po’ di chiarezza su questo punto, intanto per dire che l'errore non è stato cercare di trasferire potere agli enti locali, quindi alla periferia togliendoli al centro, ma l'errore è stato come questi poteri sono stati agiti e soprattutto come si è articolata la relazione tra il centro e la periferia, in questo Paese. Seppur con qualche preoccupazione, prendo come un'opportunità il fatto che in questa riforma ci sia una riassegnazione al centro di un certo tipo di poteri, ed è chiaro, però, che sia ad una condizione, cioè che il modo in cui poi questi poteri vengono agiti abbia un certo significato. Allora, per capire come interpretare questa riforma del Titolo V, penso che ci siano molti strumenti e che valga la pena di leggere la nostra storia. C’è un dialogo particolare, tra Sturzo e Salvemini, da New York, dopo il referendum repubblicano e appena prima della Costituzione, che mette in evidenza, su questo punto, alcuni aspetti fondamentali che voglio ricordare. I due, che venivano da culture molto diverse, ragionano su come dovrebbe essere impostata da lì a poco la Costituzione, e dicono: la Costituzione deve avere un primo, vero, grande obiettivo, che è lo sviluppo della persona. È chiaro che per far sì che questo accada, in Pag. 111un Paese povero ed analfabeta, occorre che lo Stato, un grande Stato, si faccia carico di dare servizi di assistenza, di istruzione e di sanità a tutte le persone; questo è l'unico modo per cui si sviluppano. Ma perché loro hanno scelto di dotare questo Paese, e quindi di far ricadere in un grande Stato, le scelte della Costituzione ? Perché pensavano che un grande Stato come quello non incorresse nel rischio di una concentrazione eccessiva...
PRESIDENTE. Concluda.
ALAN FERRARI. Ho finito, Presidente. Una concentrazione eccessiva di potere al centro dello stesso e quindi di degrado della politica, perché, come diceva Einaudi, spontaneamente, qua e là nel Paese, c'erano processi federali, che vuol dire processi di distribuzione di potere e di responsabilità. Quindi, loro immaginavano che naturalmente, dietro quella scelta, pian pianino il potere si avvicinasse ai cittadini e mettesse nelle condizioni i politici di gestire al meglio il potere che avevano, con trasparenza, con capacità di gestione e capacità di rendicontazione. Io credo che purtroppo questo disegno è fallito, perché c’è stata poca consapevolezza della difficoltà di accompagnare una macchina amministrativa che da sé non riusciva ad assecondare questa spontanea tendenza federale. Ma penso che ora abbiamo davanti la possibilità di farlo. Questo Senato delle autonomie è il luogo dove si può fare, dove il centro può coordinare in modo trasparente, e soprattutto programmare con le regioni il dibattito. Concludo, signor Presidente. Io penso che abbiamo davanti una grande sfida; gli italiani vogliono migliorare le condizioni in cui stanno ma non sanno come fare. Un grande economista diceva che il possibile è più ampio del probabile: la probabilità che ci siano grandi ostacoli in questo percorso di riforme è certamente alta, la possibilità che riusciamo a superarli, a mio avviso, lo è di più (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Ferrari. Interrompiamo a questo punto lo svolgimento della discussione sulle linee generali, che proseguirà nella seduta di domani, a partire dalle ore 9,30.
Modifica nella denominazione di un gruppo parlamentare.
PRESIDENTE. Comunico che il presidente del gruppo parlamentare Nuovo Centrodestra ha reso noto che il gruppo ha modificato la propria denominazione in Area Popolare (NCD-UDC).
Modifica nella composizione di gruppi parlamentari.
PRESIDENTE. Comunico che i deputati Ferdinando Adornato, Paola Binetti, Rocco Buttiglione, Angelo Cera, Gianpiero D'Alia e Giuseppe De Mita, già iscritti al gruppo parlamentare Per l'Italia-Centro Democratico, e il deputato Andrea Causin, già iscritto al gruppo parlamentare Scelta Civica per l'Italia, con distinte lettere, hanno dichiarato di aderire al gruppo parlamentare Area Popolare (NCD-UDC).
La presidenza di tale gruppo, con lettera pervenuta in data odierna, ha comunicato di aver accolto le richieste.
Ordine del giorno della seduta di domani.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.
Mercoledì 17 dicembre 2014, alle 9,30:
(ore 9,30 e ore 16)
1. – Seguito della discussione sulle linee generali del disegno di legge costituzionale:
S. 1429 – Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento Pag. 112delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione (Approvato, in prima deliberazione, dal Senato) (C. 2613-A).
e degli abbinati progetti di legge costituzionale: D'INIZIATIVA POPOLARE; D'INIZIATIVA POPOLARE; VIGNALI; CIRIELLI; CIRIELLI; CIRIELLI; CAUSI; PISICCHIO; PISICCHIO; PISICCHIO; PISICCHIO; GIACHETTI; SCOTTO; FRANCESCO SANNA; PELUFFO ed altri; LENZI; LAURICELLA ed altri; BRESSA e DE MENECH; CAPARINI ed altri; CAPARINI ed altri; VACCARO; LAFFRANCO e BIANCONI; PALMIZIO; PALMIZIO; PALMIZIO; PALMIZIO; GIANCARLO GIORGETTI ed altri; GIANCARLO GIORGETTI ed altri; LA RUSSA ed altri; ABRIGNANI ed altri; TONINELLI ed altri; GIANLUCA PINI; LAFFRANCO e BIANCONI; GINEFRA ed altri; GIORGIA MELONI ed altri; MIGLIORE ed altri; D'INIZIATIVA DEL GOVERNO; BONAFEDE e VILLAROSA; PIERDOMENICO MARTINO; BRAMBILLA; GIANCARLO GIORGETTI ed altri; CIRIELLI e GIORGIA MELONI; VALIANTE; QUARANTA ed altri; LACQUANITI ed altri; CIVATI ed altri; BOSSI; LAURICELLA e SIMONI; DADONE ed altri; GIORGIS ed altri; LA RUSSA ed altri; RUBINATO ed altri; D'INIZIATIVA DEL CONSIGLIO REGIONALE DELL'EMILIA-ROMAGNA; MATTEO BRAGANTINI ed altri; CIVATI; FRANCESCO SANNA ed altri (C. 8-14-21-32-33-34-148-177-178-179-180-243-247-284-329-355-357-379-398-399-466-568-579-580-581-582-757-758-839-861-939-1002-1259-1273-1319-1439-1543-1660-1706-1748-1925-1953-2051-2147-2221-2227-2293-2329-2338-2378-2402-2423-2441-2458-2462-2499).
– Relatori: Fiano e Sisto, per la maggioranza; Toninelli, Matteo Bragantini e Quaranta, di minoranza.
(ore 15)
2. – Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.
La seduta termina alle 20.
TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO LUIGI BOBBA IN OCCASIONE DEL CENTESIMO COMPLEANNO DELL'ONOREVOLE RENZO FRANZO.
LUIGI BOBBA. Mi associo agli auguri del Presidente al mio concittadino Renzo Franzo, che oggi compie cento anni.
L'onorevole Renzo Franzo è stato l'uomo delle scelte.
Scelte difficili, nelle quali è stato necessario assumersi grandi responsabilità. All'indomani dell'8 settembre 1943, dopo sei anni di servizio militare come bersagliere e dopo aver conosciuto la guerra e la prigionia, anziché rimanere comodamente a Vercelli, Franzo sceglie in un momento cruciale della storia d'Italia di prendere posizione. E non è sicuramente una scelta facile. La sua adesione al movimento partigiano dice già tutto dell'uomo Franzo e della sua visione politica e civile dell'Italia. Stare con il Movimento di Liberazione significa stare dalla parte della democrazia, significa adoperarsi per il recupero morale prima ancora che politico dell'identità italiana. In ultimo, operare e lavorare per quella che sarà la difficile ricostruzione del Paese.
Il biennio ’43-’45 e gli anni immediatamente posteriori alla fine della guerra sono anni complessi. Davanti a sé Franzo ha un Paese in ginocchio, dilaniato dal conflitto e dalle divisioni interne, con la gente che vive di stenti e porta sulla pelle i segni della durezza della guerra e quelli di una sconfitta riscattata dal CLN. Franzo avrebbe potuto dedicarsi tranquillamente al mestiere di insegnante, viste le due lauree conseguite in «lingue e letterature straniere» e in «lettere», e alla famiglia. Invece opera un'altra scelta: la politica, intesa come servizio alla comunità e in modo particolare servizi a favore dei più poveri, dei diseredati, dei nullatenenti. Lui, di formazione cattolica, non può che guardare al suo prossimo, a chi soffre di più, a chi ha sete di soddisfare i bisogni elementari. La sua azione politica è sempre associata al messaggio evangelico. Se Pag. 113c’è virtù che riassume il movimentismo di Franzo questa è la carità, intesa come atteggiamento di umiltà e di amore verso il prossimo. E allora, se l'Italia ha bisogno di case, se ha bisogno di lavoro, lì c’è l'onorevole Franzo, impegnato con tutto se stesso per creare ciò che manca.
Quelli dell'immediato dopoguerra erano anni faticosi, ci volevano due giorni per arrivare a Roma e due giorni per tornare a Vercelli e a volte, per ultimare i lavori della Camera, a Roma ci si fermava anche il sabato. Eppure sotto questo aspetto Franzo è instancabile. Dopo aver mosso i primi passi politici nella Democrazia Cristiana (il partito di De Gasperi, di Fanfani, di Scàlfaro, con i quali compirà un percorso comune, Franzo viene eletto deputato la prima volta nel 1948 e riconfermato poi nelle legislature successive fino al 1968. È un periodo di grande fervore, durante il quale ricopre importanti e prestigiosi incarichi, da segretario del gruppo dei parlamentari Coldiretti a componente della Commissione Agricoltura, da deputato-segretario del gruppo italiano dell'Unione Interparlamentare a deputato-segretario dell'Ufficio di Presidenza. La sua attenzione è, in qualità di Presidente dei Coltivatori di Vercelli, soprattutto rivolta a questa categoria di lavoratori. Franzo conosce bene la sua terra, le persone che la abitano, sa quali sono le loro esigenze e le loro aspettative. E allora si attiva per migliorare le condizioni dei contadini, dei braccianti, dei piccoli proprietari terrieri. Questo vale per il Vercellese come per le campagne di tutta Italia. È ancora una volta la scelta di stare dalla parte di chi ha più difficoltà e che svolge al contempo una funzione fondamentale per l'economia italiana. Franzo intuisce con intelligenza come l'agricoltura sia nel dopoguerra un settore nodale per dare respiro alle famiglie e consentire loro di soddisfare i bisogni primari. Ma la sua non è semplicemente una visione di sussistenza e di sussidiarietà, lui crede fermamente nella modernizzazione dell'agricoltura, fatta di meccanizzazione e di innovazione tecnologica. Il massimo risultato Franzo lo raggiunge nel trasformare una categoria di contadini senza terra in piccoli e medi proprietari terrieri, farli uscire da un'economia precaria è farli diventare i protagonisti di una ruralizzazione avanzata e sempre più tecnica.
Questa sua attenzione al mondo contadino è a ben vedere l'attenzione tout court che ha sempre avuto nei confronti dell'uomo nella sua globalità. La politica per Franzo, come si è detto, è in funzione e a servizio dell'uomo. Da qui deriva un'altra scelta etica, più che mai attuale oggi in una società troppo presa da cifre, numeri, conti: recuperare la dignità della persona. In questo senso si avverte nella figura di Franzo un umanesimo per così dire spinto, maturato in una cultura filosofica di matrice cattolica, che ha come obiettivo quello di far star bene la persona. Stiamo attenti, la sua non è una visione idilliaca, in quanto lo star bene è sempre preceduto dal far bene. Questo è un messaggio che giunge fino a noi che sediamo in queste aule, che ci porta a riflettere sull'essenza dell'azione politica, fatta di teoria e prassi. Una teoria e una prassi vissute da Franzo col cuore oltre che con la ragione. Franzo è stato dentro alla Storia, con la consapevolezza di operare nella Storia. Se leggiamo criticamente la sua esperienza politica, notiamo come essa sia stata caratterizzata da un antropocentrismo ottimistico, nel quale emerge una costante fiducia nell'uomo e nelle sue capacità. Franzo è stato nel corso del secondo ’900 un punto di riferimento della Democrazia Cristiana, il suo partito, in special modo della corrente di sinistra. Ha creduto in questa ulteriore scelta e nel progetto degasperiano di rifondazione di uno Stato. Rifondazione economica, sociale, ma anche e soprattutto morale. A questo progetto si è speso con tutte le sue forze. All'interno del partito ha mantenuto un atteggiamento di critica costruttiva, credendo nella forza del dialogo e rispettando tutte le opinioni. Il suo contributo non è stato rappresentato solo dall'attività legislativa, di alto profilo e di qualità, ma pure dalla fattiva partecipazione al discorso ideologico all'interno della Dc. La sua posizione oggi verrebbe definita progressista, Pag. 114popolare per la sua costante attenzione ad una componente sociale che negli anni ’50 e ’60 aveva una sua valenza importante, e cioè il popolo. Franzo è stato un uomo del popolo, ha lavorato per la sua emancipazione socio-economica e per la sua formazione culturale. Per questo all'interno del Partito si è speso a favore dei valori democratici da lui considerati determinanti per cambiare la società del tempo. Da qui l'impegno già ricordato per valorizzare l'agricoltura.
Ma anche quando ha terminato gli incarichi legislativi, Franzo è rimasto uomo di riferimento politico per la Dc come per il mondo politico tutto. Non si è autoescluso, anzi la sua è stata una partecipazione viva e costante al dibattito politico, guardato con lungimiranza e modernità. Franzo è stato spesso interprete perfetto di cambiamenti e svolte che hanno segnato il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica. Ha saputo essere figlio del tempo, evitando di affossarsi su logiche passate ormai superate nei fatti. Ancor oggi, da grande saggio qual è, guarda con lucidità e occhio critico al nuovo panorama politico, non più caratterizzato da grandi partiti come la Dc, il Pci, il Psi, ma dagli schieramenti di centrosinistra e centrodestra. Ieri come oggi, però, la sua attenzione va alla gente, alle difficoltà che vive nell'attuale crisi economica. Ci chiede, e intendo con il pronome personale che chiede a noi deputati del Parlamento, di intervenire e di impegnarci efficacemente nel sollevare le famiglie italiane dalle condizioni difficili in cui si dibattono. E soprattutto a dare loro un lavoro. Che se andiamo a vedere è quanto lui ha fatto durante i suoi mandati legislativi nel settore agricolo.
Franzo non è stato solo l'onorevole, ha ricoperto altri incarichi importanti a livello politico – è stato consigliere e assessore all'agricoltura della Provincia di Vercelli – e socio-economico. Ricordiamo che è stato Presidente del Consorzio di Bonifica della Baraggia Vercellese, Presidente dell'Ente Nazionale Risi, corrispondente delle Accademie dell'Agricoltura di Bologna e di Torino. Si potrebbero citare altre cariche da lui ricoperte e onorificenze di cui è stato insignito, ma sono sufficienti quelle appena menzionate per dimostrare l'impegno civico di quest'uomo e la sua costante attenzione al proprio territorio, all'agricoltura, in special modo al riso simbolo del Vercellese, un riso da lui promosso a livello internazionale. In tutto ciò non possiamo non notare una coerenza intellettuale che si esplica nei fatti, il mai venire meno ai propri valori, alla fede cristiana, a credere che la politica sia servizio e non protagonismo. Renzo Franzo ha attraversato un secolo di Storia, ha conosciuto i momenti difficili e.i momenti felici del suo Paese, ma lui è sempre rimasto e rimane l'uomo di un tempo, l'uomo che poneva davanti alla politica la vis etica, ieri come oggi. Oggi che festeggia i suoi cento anni, credo che la sua lezione morale, intellettuale, politica non va dimenticata, al contrario deve essere letta e riletta da tutti noi come un insegnamento prezioso e formativo. Un grande grazie a Renzo Franzo per quanto ha dato all'Italia e agli Italiani.
TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO FRANCESCO PAOLO SISTO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE N. 2613 – A ED ABBINATI
FRANCESCO PAOLO SISTO, Relatore per la maggioranza. Onorevoli Colleghi !
L'Assemblea della Camera avvia oggi la discussione del disegno di legge del Governo di riforma costituzionale, approvato dal Senato l'8 agosto scorso, e delle abbinate proposte di legge costituzionali.
Si tratta di un testo ampio ed articolato, che interviene sulla Parte seconda della Costituzione, modificando profondamente l'architettura costituzionale del nostro ordinamento.
I principali elementi caratterizzanti l'intervento di riforma riguardano, in primo luogo, il superamento del bicameralismo perfetto per cui il Parlamento continuerà ad articolarsi in Camera dei Pag. 115deputati e Senato della Repubblica, ma i due organi avranno composizione diversa e funzioni in gran parte differenti, divenendo il Senato organo ad elezione indiretta, sede di rappresentanza delle istituzioni territoriali. Viene conseguentemente modificata la composizione del Senato – di cui è significativamente ridotto il numero dei componenti – nonché il procedimento legislativo. Al fine di adeguare quest'ultimo al nuovo assetto costituzionale caratterizzato da un bicameralismo differenziato viene definito un numero limitato di leggi ad approvazione paritaria attribuendo, in tutti gli altri casi, una prevalenza alla Camera dei deputati.
Nell'ambito del titolo V della parte II della Costituzione, di significativo rilievo appare la soppressione delle province, in linea con il processo di riforma degli enti territoriali in atto.
Al fine di ridurre il contenzioso costituzionale innescato dalla riforma del 2001, il riparto di competenza legislativa tra Stato e regioni è ampiamente rivisitato. Viene in particolare soppressa la competenza concorrente, con una redistribuzione delle relative materie tra competenza esclusiva statale e competenza regionale. L'elenco delle materie di competenza esclusiva statale è inoltre profondamente modificato, con l'enucleazione di nuovi ambiti materiali. Di significativo rilievo è infine l'introduzione di una «clausola di supremazia», che consente alla legge dello Stato di intervenire in materie di competenza regionale a tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica o dell'interesse nazionale.
Esame in sede referente.
La Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati ha avviato l'esame in sede referente dei progetti di legge costituzionale di revisione della parte II della Costituzione nella seduta dell'11 settembre 2014. Dopo un ampio e approfondito esame istruttorio, nella seduta del 13 dicembre 2014 la I Commissione ha deliberato di conferire ai relatori il mandato a riferire in senso favorevole all'Assemblea sul testo risultante dagli emendamenti approvati.
In particolare, in sede di esame preliminare sono state svolte 13 sedute, con numerosi ed ampi interventi nella discussione. Al contempo, nell'ambito dell'istruttoria legislativa sul provvedimento, nella seduta dell'8 ottobre la Commissione ha deliberato lo svolgimento di un'indagine conoscitiva in materia di revisione della parte II della Costituzione, nell'ambito della quale hanno avuto luogo, dal 9 ottobre al 13 novembre 2014, 10 sedute di audizione. In particolare, sono stati ascoltati 50 soggetti, tra esperti (prevalentemente professori di diritto costituzionale), rappresentanti di ANCI e UPI, l'Avvocato generale dello Stato, rappresentanti della Regione Veneto, il Presidente della Provincia autonoma di Trento, il Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, rappresentanti di varie associazioni.
Nella seduta del 16 ottobre, la Commissione ha convenuto di richiedere al Governo, ai sensi dell'articolo 79, comma 5, del Regolamento, elementi di informazione concernenti, in particolare, l'analisi dell'impatto della riforma sul contenzioso tra Stato e regioni in relazione al nuovo riparto delle competenze legislative, nonché i dati relativi all'impatto economico della riforma in termini di risparmi per la finanza pubblica. Al riguardo, il Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme costituzionali ha trasmesso, in data 28 ottobre e 18 novembre, gli elementi di documentazione richiesti.
Nella seduta del 19 novembre, la Commissione ha deliberato di adottare come testo base per la prosecuzione dell'esame il disegno di legge del Governo, come modificato dal Senato (A.C. 2613).
Al testo base sono stati presentati 1176 emendamenti, di cui 388 dal gruppo Movimento 5 Stelle, 213 dal gruppo FI-PDL, 203 dal gruppo PD, 174 dal gruppo SEL, 80 dal gruppo Lega Nord per le Autonomie, 33 dal gruppo Scelta Civica, 29 dal gruppo Nuovo centrodestra, 31 dal gruppo Misto, 24 dal gruppo Per l'Italia, 1 dal gruppo Fratelli d'Italia-An.
All'esame degli emendamenti, che ha avuto inizio il 26 novembre, sono state Pag. 116dedicate complessivamente 14 sedute, per un totale di 51 ore, con oltre 1.000 interventi da parte di deputati, senza considerare gli interventi dei relatori e del Governo. La presidenza della Commissione non ha applicato alcun criterio restrittivo relativamente ai tempi di esame o al numero degli emendamenti da sottoporre a votazione. Pertanto, al netto degli emendamenti ritirati, decaduti o dichiarati inammissibili, gli emendamenti votati sono stati circa 550, dei quali 50 approvati.
Da un raffronto con le precedenti esperienze di riforma della Costituzione delle passate legislature, si rileva l'ampio spazio che, in questa occasione, è stato riservato all'esame degli emendamenti. Nella XIV legislatura, la Commissione Affari costituzionali, dopo un'estesa attività conoscitiva (pari a 26 ore), ha dedicato 9 sedute alla fase emendativa dei progetti di modifica della parte seconda della Costituzione, che si è conclusa in poco meno di 20 ore. Nella XIII legislatura, l'esame degli emendamenti in Commissione riferiti alla modifica del Titolo V si è completato invece nell'arco di 3 sedute, per un totale di 5 ore e 20 minuti; in questo caso, però, bisogna tener conto del minor numero di articoli della Costituzione toccati dalla riforma e del fatto che era stato costituito un Comitato ristretto per l'elaborazione di un testo unificato.
Per quanto riguarda i pareri espressi dalle Commissioni in sede consultiva sul testo del disegno di legge, questi sono stati oggetto di attento ed approfondito esame da parte della I Commissione, che ha recepito nel testo molti dei rilievi posti, a partire da quelli contenuti nel parere del Comitato per la legislazione.
Per quanto riguarda le principali questioni evidenziate nei suddetti pareri, il Comitato per la legislazione ha formulato osservazioni ed alcune condizioni. Tra queste ultime, alcune rilevano sotto il profilo dell'efficacia del testo per la semplificazione e il riordinamento della legislazione vigente: in particolare, il Comitato ha posto l'attenzione sulla necessità di: coordinare l'articolo 85 e l'articolo 63 della Costituzione nel testo risultante dalla riforma nell'individuazione dell'Ufficio di Presidenza del Parlamento in seduta comune allorché il Presidente della Camera eserciti le funzioni del Presidente della Repubblica; coordinare l'articolo 135 con le leggi costituzionali n. 1 del 1989 e n. 2 del 1967, anche esplicitando le nuove modalità di designazione dei giudici aggregati; di chiarire i dubbi interpretativi in relazione all'articolo 38, comma 10, del disegno di legge di riforma, recante una clausola transitoria di «ultrattività» delle leggi regionali adottate sulla base dell’«attuale Titolo V» e di riformulare con maggiore chiarezza la disposizione (articolo 38, comma 11 del disegno di legge di riforma) che prevede l'applicabilità del «nuovo Titolo V» alle regioni a statuto speciale.
Le ulteriori condizioni formulate dal Comitato attengono al profilo della chiarezza e della proprietà della formulazione del testo. Esse riguardano innanzitutto la nuova disciplina costituzionale del procedimento legislativo (articolo 70 Cost.), laddove si sottolinea l'opportunità di definire sia le modalità di risoluzione delle questioni che potrebbero insorgere tra Camera e Senato, sia la procedura da seguire nel caso in cui un disegno di legge sia di materia «mista». Inoltre, per il Comitato andrebbero specificati più diffusamente i termini dell'applicabilità al Senato delle procedure d'urgenza (articolo 72), nonché occorrerebbe inserire l'attuale previsione della sede referente, prevista al primo comma per leggi bicamerali, anche per le leggi rimesse alla approvazione della sola Camera dei deputati. Infine, le condizioni poste dal Comitato attengono al ruolo del Senato nella conversione dei decreti-legge (articolo 77), che dovrebbe essere meglio chiarito attraverso specificazioni dei termini e dei passaggi procedurali, che il testo di riforma non individua.
Nel parere approvato dalla Commissione Trasporti nella seduta del 4 dicembre 2014, le condizioni poste attengono al riparto di potestà legislativa tra Stato e regioni, di cui all'articolo 117 Cost.: in particolare, si richiede l'inserimento tra le materie di legislazione statale esclusiva delle «disposizioni generali e comuni per Pag. 117garantire il diritto alla mobilità mediante il servizio di trasporto pubblico» e delle «disposizioni generali e comuni sui trasporti e sulla navigazione, sulla circolazione stradale e sulla mobilità».
Le condizioni poste alla Commissione di merito nel parere favorevole approvato dalla Commissione Ambiente riguardano, in primo luogo, l'opportunità di integrare la materia ambientale con un riferimento esplicito allo «sviluppo sostenibile» e alla «difesa del suolo». Inoltre, si invita a riformulare le competenze legislative in materia di enti locali, esplicitando nell'articolo 117 l'attribuzione allo Stato delle norme generali sull'ordinamento degli enti locali, compresi quelli di area vasta, tenuto conto delle peculiarità delle aree montane.
Nel parere della Commissione Politiche per l'Unione europea l'unica condizione espressa attiene al rapporto tra Parlamento e UE. In particolare, la Commissione ha rilevato la necessità di modificare il nuovo testo dell'articolo 55 Cost. e di inserire un nuovo articolo 55-bis, il quale preveda che entrambe le Camere esercitano la funzione di raccordo con l'UE: la Camera dei deputati opera il raccordo tra Stato e UE, mentre il Senato favorisce il raccordo tra gli enti costitutivi della Repubblica e l'Unione. In via analoga, entrambe le Camere partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti europei, in coerenza con il rispettivo ruolo costituzionale. Secondo la Commissione, andrebbe altresì esplicitato in Costituzione che il governo assicura nelle competenti sedi decisionali dell'UE di rappresentare una posizione coerente con gli indirizzi del Parlamento.
Anche le Commissioni Cultura, Lavoro, Affari sociali, Agricoltura, nonché la Commissione parlamentare per le questioni regionali hanno espresso un parere favorevole al testo di riforma, accompagnato da alcune osservazioni relative alla nuova formulazione degli articolo 116 e 117, relativi al riparto della potestà legislativa e, in particolare, all'opportunità di alcune specificazioni nella definizione delle singole materie.
Hanno infine espresso parere favorevole sul testo le Commissioni Giustizia, Esteri, Difesa, Finanze e Attività produttive nelle sedute dell'11 dicembre.
Contenuto del disegno di legge costituzionale.
Funzioni delle Camere: il superamento del bicameralismo perfetto.
L'articolo 1 del disegno di legge costituzionale, modificato in sede referente alla Camera, modifica l'articolo 55 Cost., in materia di «funzioni delle Camere», inserendo nuovi commi, che rivisitano profondamente le funzioni proprie dei due rami del Parlamento. Viene così disposta la fine del bicameralismo perfetto nel nostro ordinamento, configurando un diverso assetto costituzionale, caratterizzato, in primo luogo, da un bicameralismo differenziato, in cui il Parlamento continua ad articolarsi in Camera e Senato ma i due organi hanno composizione diversa e funzioni in gran parte differenti. Il primo comma del nuovo articolo 55 Cost. – che prevede che «Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica» – non è modificato rispetto al testo vigente della Costituzione e mantiene dunque la dizione «Senato della Repubblica», rispetto al testo iniziale del disegno di legge.
Il nuovo secondo comma dell'articolo 55 Cost., introdotto dal Senato, prevede che le leggi che stabiliscono le modalità di elezione delle Camere promuovono l'equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza, rafforzando in tal modo il principio sulla parità di accesso alle cariche elettive, già sancito dall'articolo 51 Cost.
Il nuovo terzo comma dell'articolo 55 Cost. prevede che «Ciascun membro della Camera dei deputati rappresenta la Nazione».
I senatori cessano dunque di condividere con i deputati la rappresentanza della Nazione attualmente richiamata dall'articolo 67 Cost., il quale, nel testo vigente, fa di «ogni membro del Parlamento» il rappresentante della Nazione.
Il nuovo quarto comma dell'articolo 55 Cost., introdotto dal disegno di legge, attribuisce la titolarità del rapporto di fiducia Pag. 118con il Governo alla sola Camera dei deputati, la quale esercita la «funzione di indirizzo politico, la funzione legislativa e quella di controllo dell'operato del Governo».
La Camera dei deputati, dunque, «esercita la funzione legislativa» mentre – come prevede il nuovo quinto comma dell'articolo 55 Cost. – il Senato «concorre, nei casi e secondo modalità stabilite dalla Costituzione, alla funzione legislativa».
In base al nuovo quinto comma dell'articolo 55 Cost. il Senato della Repubblica «rappresenta le Istituzioni territoriali». Il comma individua poi le funzioni del Senato, che, a seguito delle modifiche apportate nel corso dell'esame in sede referente, sono: il concorso, nei casi e secondo le modalità stabilite dalla Costituzione, alla funzione legislativa; l'esercizio di funzioni di raccordo tra Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica e tra questi ultimi e l'Unione europea; la partecipazione alle decisioni dirette alla formazione e all'attuazione degli atti normativi e delle politiche dell'Unione europea; il concorso alla valutazione delle politiche pubbliche e dell'attività delle pubbliche amministrazioni; il concorso alla verifica dell'attuazione delle leggi dello Stato; il concorso all'espressione dei pareri sulle nomine di competenza del Governo nei casi previsti dalla legge.
Nel corso dell'esame in sede referente, è stata soppressa la previsione di un concorso paritario del Senato nella funzione legislativa per le materie relative a famiglia e trattamenti sanitari obbligatori, di cui agli articoli 29 e 32, secondo comma, della Costituzione: il procedimento legislativo per i disegni di legge vertenti su tali materie seguirà quindi le previsioni dettate dall'articolo 70 Cost. È stata inoltre in parte modificata la previsione relativa alla funzione di raccordo posta in capo al Senato che, nel testo approvato da tale ramo del Parlamento (C. 2613), poneva in capo a tale organo la funzione di raccordo tra «l'Unione europea, lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica». La funzione di raccordo tra lo Stato e l'Unione europea non è dunque più espressamente richiamata nel testo dell'articolo 55 Cost.; è comunque confermata la previsione della partecipazione del Senato alle decisioni dirette alla formazione e all'attuazione degli atti normativi e delle politiche dell'Unione europea. È stata inoltre soppressa la previsione che attribuiva al Senato anche la valutazione di impatto di tali decisioni.
Nel corso dell'esame in sede referente, è stato inoltre ritenuto opportuno chiarire, anche alla luce di quanto evidenziato dal Comitato per la legislazione nel proprio parere, che le funzioni di valutazione di impatto delle politiche pubbliche e dell'attività delle pubbliche amministrazioni e di verifica dell'attuazione delle leggi dello Stato spettano comunque anche alla Camera. È stata infine soppressa l'attribuzione espressa al Senato della funzione di controllo delle politiche pubbliche.
Infine, in base al sesto comma dell'articolo 55 Cost., il Parlamento si riunisce in seduta comune dei membri delle due Camere nei soli casi stabiliti dalla legge.
Composizione del Senato della Repubblica.
L'articolo 2 del disegno di legge definisce – modificando l'articolo 57 Cost. – una diversa composizione e una nuova modalità di elezione del Senato della Repubblica: in particolare, rispetto ai 315 senatori elettivi previsti dal testo costituzionale vigente, il Senato sarà composto di 100 senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali, eletti dai consigli regionali o delle province autonome. Il numero di tali senatori è stato elevato da 95 a 100 nel corso dell'esame in sede referente.
Nel corso dell'esame in sede referente, è stata contestualmente soppressa la previsione, contenuta nel primo comma dell'articolo 57, in base alla quale il Senato è composto, oltre che dai senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali, da 5 senatori che «possono essere nominati dal Presidente della Repubblica». Tali senatori continuano peraltro ad aggiungersi – insieme agli ex Presidenti della Repubblica – ai senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali, in forza delle previsioni Pag. 119dell'articolo 59 Cost., come modificato dall'articolo 3 del disegno di legge, e della disposizione finale recata dall'articolo 40, comma 5.
Per il Senato, dunque, oltre a diminuire in maniera rilevante il numero dei componenti, l'elezione popolare diretta viene sostituita, per 100 membri, da un'elezione di secondo grado.
I consigli regionali e i consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano eleggono i senatori, con metodo proporzionale, tra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, tra i sindaci dei comuni dei rispettivi territori (articolo 57, secondo comma).
Per quanto attiene alle modalità di attribuzione alle regioni dei seggi, il terzo comma dell'articolo 57 Cost. prevede che nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a 2 e che ciascuna delle province autonome di Trento e di Bolzano ne ha 2 (articolo 57, terzo comma). Si ricorda che in base al testo vigente dell'articolo 57 Cost. nessuna regione può avere un numero di senatori inferiore a 7; al Molise ne spettano 2, alla Valle d'Aosta 1 (la previsione vigente si applica ad un totale di 309 senatori, dovendosi escludere i 6 senatori eletti nella circoscrizione Estero).
Al contempo, il quarto comma dell'articolo 57 Cost. senza mutare l'impostazione del testo attuale (eliminando solo il riferimento ai seggi assegnati alla circoscrizione Estero, non più applicabile al nuovo Senato) prevede che la ripartizione dei seggi tra le regioni si effettui, previa applicazione del suddetto terzo comma, in proporzione alla loro popolazione, quale risulta dall'ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.
Il riferimento all'ultimo censimento generale viene ripreso al comma 2 dell'articolo 39 del disegno di legge, il quale specifica che, quando in base all'ultimo censimento generale della popolazione il numero di senatori spettanti ad una regione (come definito in base alle predette disposizioni) è diverso da quello risultante dal censimento precedente il Consiglio regionale elegge i senatori nel numero corrispondente all'ultimo censimento «anche in deroga al primo comma dell'articolo 57 Cost.».
La durata del mandato dei senatori coincide con quella dell'organo dell'istituzione territoriale in cui sono stati eletti (articolo 57, quinto comma).
Per quanto riguarda l'elettorato attivo e passivo dei senatori, si ricorda che viene soppresso l'articolo 58 Cost. (dall'articolo 38, comma 2), con la conseguenza che non è più previsto il requisito, per diventare senatori, del compimento di quaranta anni di età, né quello di venticinque anni per eleggerli.
Le «modalità di attribuzione dei seggi e di elezione dei componenti del Senato tra i consiglieri e i sindaci», nonché quelle per la loro sostituzione, in caso di cessazione dalla carica elettiva regionale e locale sono regolate – in base a quanto previsto dal sesto comma dell'articolo 57 Cost. – con legge approvata da entrambe le Camere. La medesima disposizione esplicita i criteri da seguire nella ripartizione dei seggi: i voti espressi e la composizione di ciascun Consiglio. La suddetta legge è approvata, ai sensi dell'articolo 38 del disegno di legge, entro sei mesi dalla data di svolgimento delle elezioni della Camera dei deputati successiva alla data di entrata in vigore della legge costituzionale in esame.
Va altresì tenuto presente che, fino all'entrata in vigore della predetta legge bicamerale attuativa delle modalità di elezione indiretta del riformato Senato (di cui all'articolo 57, sesto comma, Cost.) il disegno di legge detta specifiche disposizioni elettorali riguardanti la prima applicazione (articolo 39, commi 1-6). L'articolo 3 modifica il secondo comma dell'articolo 59 Cost., specificando che i senatori di nomina presidenziale durano in carica sette anni e non possono essere nuovamente nominati.
L'articolo in esame va letto in combinato disposto con le previsioni dell'articolo 39, comma 7, e 40, comma 5, del disegno di legge costituzionale, che prevedono, rispettivamente, che i senatori a vita attuali Pag. 120rimangono nella stessa carica, ad ogni effetto, quali membri del Senato e che, fermo restando quanto stabilito dal primo comma dell'articolo 59 Cost. (che riguarda i senatori di diritto a vita in quanto ex Presidenti della Repubblica) i senatori di nomina presidenziale di cui al secondo comma dell'articolo 59 Cost., come modificato, «non possono eccedere, in ogni caso, il numero complessivo di cinque», tenuto conto della permanenza in carica dei senatori a vita già nominati alla data di entrata in vigore della legge costituzionale in esame.
Il medesimo articolo 40, comma 5, stabilisce infine che «lo stato e le prerogative dei senatori di diritto e a vita restano regolati secondo le disposizioni già vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale».
L'articolo 4 interviene sull'articolo 60 Cost., che disciplina la durata delle Camere. L'articolo riferisce alla sola Camera dei deputati l'elezione per cinque anni ed il divieto di proroga se non per legge e solo in caso di guerra, disposizioni attualmente valide per entrambe le Camere.
La modifica è conseguente alla previsione, di cui all'articolo 57 Cost. come novellato dal disegno di legge, in base alla quale il Senato diventa organo non sottoposto a scioglimento, essendo previsto un rinnovo parziale «continuo», a seconda della scadenza delle diverse componenti.
L'articolo 5 inserisce, all'articolo 63 Cost., un nuovo secondo comma che rimette al Regolamento del Senato l'individuazione dei casi nei quali l'elezione o la nomina alle cariche negli organi del Senato possono essere limitati in ragione dell'esercizio di funzioni di governo, regionali o locali. L'intento è di evitare che si cumuli nello stesso soggetto la rappresentanza di organi istituzionali monocratici di diversa natura ed estrazione.
Restano ferme le previsioni vigenti dell'articolo 63 Cost., in base alle quali ciascuna Camera elegge fra i suoi componenti il Presidente e l'Ufficio di presidenza e quando il Parlamento si riunisce in seduta comune, il Presidente e l'Ufficio di presidenza sono quelli della Camera dei deputati. Al riguardo, si ricorda che i nuovi articoli 85 e 86 Cost., come modificati dal disegno di legge costituzionale, modificano le disposizioni relative alla presidenza ed alla convocazione del Parlamento in seduta comune, con riguardo all'elezione del Presidente della Repubblica (v. infra).
Diritti delle minoranze, statuto delle opposizioni e dovere di partecipazione ai lavori parlamentari.
L'articolo 6 introduce due nuovi commi all'articolo 64 Cost. (secondo e sesto comma) e reca una modifica di carattere formale al quinto comma del medesimo articolo.
Viene, in particolare, introdotta una nuova disposizione (secondo comma) che attribuisce ai regolamenti parlamentari la garanzia dei diritti delle minoranze parlamentari. Con una modifica approvata in sede referente si attribuisce, al solo regolamento della Camera, anche la definizione di una disciplina dello statuto delle opposizioni.
Il nuovo sesto comma dell'articolo 64 Cost., a sua volta, prevedendo in Costituzione quanto attualmente stabilito da specifiche disposizioni dei Regolamenti della Camera e del Senato, sancisce il dovere, per i membri del Parlamento, di partecipare alle sedute dell'Assemblea e ai lavori delle Commissioni.
Verifica dei poteri e rappresentanza della Nazione.
L'articolo 7 modifica l'articolo 66 Cost., in base al quale ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità degli stessi. Il testo approvato dal Senato lasciava inalterata per la Camera dei deputati tale potestà di verifica dei poteri e, al contempo, attribuiva al Senato solo il potere di giudicare i titoli di ammissione dei propri componenti, specificando, invece, che delle cause ostative alla prosecuzione del mandato dei senatori, fosse data «comunicazione» al Senato medesimo da parte del suo Presidente.
Tale formulazione è stata modificata in sede referente, in primo luogo, al fine di mantenere l'attuale primo comma dell'articolo Pag. 12166 della Costituzione, come oggi vigente, che attribuisce a ciascuna Camere la verifica dei poteri (titoli di ammissione e cause sopravvenute di ineleggibilità e incompatibilità). Al tempo stesso, considerato che lo status di senatore previsto dalla riforma dipende dai titoli legati alla condizione di consigliere regionale o di sindaco, il nuovo secondo comma dell'articolo 66 dispone che il Senato prende atto della cessazione dalla carica elettiva regionale o locale, da cui consegue la decadenza da senatore. In tal modo si è inteso chiarire che il Senato giudica su tutti i titoli di ammissione e di permanenza in carica peculiari dei suoi membri, mentre si limita a prendere atto delle cause che impediscono lo svolgimento del mandato legate alla carica elettiva regionale o locale.
L'articolo 8 interviene sull'articolo 67 Cost., al fine di escludere i senatori dalla previsione costituzionale sulla rappresentanza della Nazione, in corrispondenza con le modifiche disposte all'articolo 55 Cost.; tale articolo, al terzo comma, prevede che «Ciascun membro della Camera dei deputati rappresenta la Nazione».
Al contempo, la riscrittura dell'articolo 67 Cost., operata dal disegno di legge, mantiene anche per i membri del Senato il divieto di vincolo di mandato.
Indennità.
L'articolo 9 del disegno di legge modifica l'articolo 69 Cost. che, nella nuova formulazione, prevede che i membri della Camera dei deputati – e quindi non più i membri del Parlamento – ricevono una indennità stabilita dalla legge.
Conseguentemente – come evidenziato anche nella relazione di accompagnamento del disegno di legge – la modifica apportata all'articolo 69 Cost. determina l'effetto di limitare la corresponsione della indennità parlamentare ai soli membri della Camera dei deputati.
Dalle modifiche costituzionali disposte deriva dunque che il trattamento economico dei senatori sindaci e dei senatori consiglieri regionali eletti in secondo grado sia quello spettante per la carica di rappresentanza territoriale che rivestono. Ai sensi dell'articolo 122 Cost., come novellato dal disegno di legge costituzionale (articolo 35) la legge statale ivi prevista, ad approvazione «paritaria», reca l'individuazione della durata degli organi elettivi della regione e dei relativi emolumenti nel limite dell'importo di quelli attribuiti ai sindaci dei Comuni capoluogo di Regione.
Procedimento legislativo.
L'articolo 10, che sostituisce l'articolo 70 Cost., prevede il superamento del bicameralismo perfetto, differenziando i poteri che ciascuna delle due Camere esercita nella formazione delle leggi.
Il procedimento legislativo rimane bicamerale (primo comma) – con un ruolo perfettamente paritario delle due Camere – per: le leggi di revisione costituzionale e per le altre leggi costituzionali; le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali in materia di tutela delle minoranze linguistiche e di referendum popolare; le leggi sull'ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo e l'individuazione delle funzioni fondamentali di comuni e città metropolitane e che recano le disposizioni di principio sulle forme associative dei comuni.
Nel corso dell'esame in sede referente, è stato approvato un emendamento volto a chiarire che il richiamo all'articolo 117, secondo comma, lettera p), contenuto nel testo approvato dal Senato, relativamente alle funzioni fondamentali di comuni e città metropolitane, deve intendersi – sulla scorta della giurisprudenza costituzionale in materia – all'individuazione di tali funzioni fondamentali le leggi recanti principi fondamentali sul sistema di elezione e sui casi di ineleggibilità e di incompatibilità del presidente e degli altri componenti della giunta regionale nonché dei consiglieri regionali, leggi che stabiliscono altresì la durata degli organi elettivi regionali e i relativi emolumenti.
Con una modifica introdotta in sede referente, sono stati altresì espressamente enunciati nel testo gli altri casi previsti dalla Costituzione in cui la funzione legislativa è esercitata collettivamente: la legge sull'elezione dei membri del Senato (di cui articolo 57 Cost., sesto comma), le leggi Pag. 122che autorizzano la ratifica dei trattati relativi all'appartenenza dell'Italia all'Unione europea (di cui all'articolo 80 Cost., primo comma, secondo periodo), la legge che può attribuire alle regioni ordinarie ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia (di cui all'articolo 116 Cost., terzo comma).
Tutte le altre leggi sono approvate dalla sola Camera dei deputati (secondo comma), con un procedimento legislativo quindi monocamerale; il Senato, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminare i progetti di legge approvati dall'altro ramo del Parlamento: le proposte di modifica, deliberate dal Senato entro i successivi trenta giorni, sono sottoposte all'esame della Camera dei deputati che si pronuncia in via definitiva (terzo comma).
Viene previsto poi un procedimento legislativo monocamerale con ruolo rinforzato del Senato, secondo il quale, in deroga a quello ordinario, con riferimento ai disegni di legge che dispongono in determinate materie, ivi indicate, la Camera può non conformarsi alle modifiche proposte dal Senato – a condizione che lo stesso si sia espresso a maggioranza assoluta dei suoi componenti, come aggiunto nel corso dell'esame in sede referente – solamente pronunciandosi «nella votazione finale» a maggioranza assoluta dei suoi componenti (quarto comma). Il testo di riforma approvato dal Senato non richiedeva invece quorum qualificati per la deliberazione del Senato.
Nella medesima direzione, è stata approvata dalla I Commissione una modifica relativa all'iter parlamentare dei disegni di legge di bilancio, al fine di prevedere che – limitatamente alle materie di cui al quarto comma – solo qualora due terzi dei componenti del Senato approvino le proposte di modificazione da trasmettere alla Camera, quest'ultima deve pronunciarsi nella votazione finale a maggioranza assoluta dei componenti. Il testo approvato dall'altro ramo del Parlamento richiedeva, invece, per il Senato, un quorum pari alla maggioranza dei suoi componenti.
È stato inoltre approvato un emendamento – nel corso dell'esame in sede referente – volto ad affidare ai Presidenti delle Camere, d'intesa tra loro, sulla base dei criteri indicati dai rispettivi Regolamenti, la «predeterminazione» del procedimento per l'esame dei disegni di legge, da applicare sino alla pronuncia definitiva, in linea con una condizione formulata dal Comitato per la legislazione (sesto comma).
Infine, viene attribuita al Senato la facoltà, secondo le norme che saranno previste dai suo regolamento, di svolgere attività conoscitive, nonché di formulare osservazioni su atti o documenti all'esame della Camera dei deputati (settimo comma).
L'articolo 11 modifica l'articolo 71 Cost. che disciplina l'iniziativa legislativa in generale, lasciando inalterato il primo comma che attribuisce il potere di iniziativa legislativa al Governo, a ciascun membro delle due Camere e agli organi ed enti ai quali sia stata conferita con legge costituzionale. Tuttavia, ai sensi del novellato articolo 72 Cost. mentre i progetti di legge a procedimento paritario possono essere presentati indifferentemente ad una della due Camere, gli altri sono presentati alla Camera dei deputati.
Viene però attribuito al Senato il potere di richiedere alla Camera dei deputati, con deliberazione adottata a maggioranza assoluta dei suoi membri, di procedere all'esame di un disegno di legge. In tal caso, la Camera deve esaminare il disegno di legge e pronunciarsi entro il termine di sei mesi dalla data della deliberazione del Senato (secondo comma dell'articolo 71 Cost.).
Viene quindi modificato anche il secondo comma (che all'esito della novella operata dall'articolo in esame diventerebbe il terzo comma) dell'articolo 71 vigente che attiene all'iniziativa legislativa popolare: è elevato da 50 mila a 150 mila il numero di firme necessario per la presentazione di un progetto di legge da parte del popolo, introducendo al contempo il principio che ne deve essere garantito Pag. 123l'esame e la deliberazione finale, pur nei tempi, forme e limiti da definire nei regolamenti parlamentari.
Infine, vengono introdotti nell'ordinamento i referendum propositivi e di indirizzo, la cui disciplina è peraltro rimessa ad una legge costituzionale, unitamente a quella di altre forme di consultazione, anche delle formazioni sociali (quarto comma).
L'articolo 12 modifica l'articolo 72 Cost., che riguarda il procedimento di approvazione dei progetti di legge.
Viene previsto che i disegni di legge per i quali si prevede un procedimento legislativo paritario delle due Camere sono presentati ad una delle due Camere (primo comma).
Tutti gli altri progetti di legge sono presentati alla Camera dei deputati e, secondo le norme del suo regolamento, sono esaminati da una Commissione e poi dalla Camera stessa, che li approva articolo per articolo e con votazione finale (secondo comma). Nel corso dell'esame in sede referente, recependo una condizione del Comitato per la legislazione, è stato aggiunto il richiamo all'esame delle Commissioni parlamentari che, nel testo iniziale, era riferito solo ai disegni di legge ad approvazione paritaria.
È affidata ai regolamenti delle Camere la disciplina dei procedimenti abbreviati per i disegni di legge dei quali è dichiarata l'urgenza (terzo comma) nonché la possibilità di stabilire casi e forme per il deferimento dei disegni di legge alla Commissioni. Riguardo alla composizione della Commissioni in sede legislativa solo a quelle della Camera dei deputati viene riferita la previsione costituzionale di una composizione effettuata in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari (la stessa impostazione viene seguita per la composizione delle Commissioni di inchiesta dall'articolo 82 Cost., come modificato – v. infra) (quarto comma).
Sono poi espressamente esclusi dalla possibilità di approvazione in sede legislativa anche i disegni di legge di conversione dei decreti-legge, oltre a quelli – già previsti – in materia costituzionale ed elettorale, di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi (quinto comma).
Viene demandata al regolamento del Senato la disciplina delle modalità di esame di tutti i disegni di legge trasmessi dalla Camera dei deputati (sesto comma).
Nel corso dell'esame in sede referente è stata modificata la formulazione del settimo comma dell'articolo 72 Cost. riguardo all'istituto del cosiddetto «voto a data certa» (settimo comma).
In base alla nuova disposizione costituzionale, il Governo può chiedere alla Camera dei deputati di deliberare, entro cinque giorni dalla richiesta, che un disegno di legge indicato come essenziale per l'attuazione del programma di governo sia iscritto con priorità all'ordine del giorno e sottoposto alla pronuncia in via definitiva della Camera dei deputati entro il termine di settanta giorni dalla deliberazione.
Si ricorda che il testo approvato dal Senato faceva riferimento alla «votazione finale» mentre la nuova formulazione definita all'esito dell'esame in sede referente si riferisce alla «pronuncia in via definitiva» della Camera, che – in base al nuovo articolo 70, terzo comma – include l'esame della proposte deliberative del Senato.
Il nuovo testo prevede che, in tali casi, sono ridotti della metà i termini per la deliberazione di proposte di modificazioni da parte del Senato (che divengono quindi pari a 5 giorni per disporre di esaminare il disegno di legge e 15 giorni per la relativa deliberazione, tenuto conto delle previsioni dell'articolo 70, terzo comma).
Viene poi prevista la possibilità di un differimento del termine, di non oltre quindici giorni, in relazione ai tempi di esame da parte della commissione nonché alla complessità del disegno di legge. Al regolamento della Camera dei deputati è affidata la definizione delle modalità e dei limiti del procedimento, anche con riferimento all'omogeneità del disegno di legge. Al contempo, una nuova disposizione transitoria precisa che, fino all'adeguamento Pag. 124del regolamento della Camera dei deputati a quanto previsto dall'articolo 72, settimo comma, della Costituzione, il differimento del termine previsto dal tale articolo (pari a quindici giorni) non può, in ogni caso, essere inferiore a dieci giorni.
Si ricorda che nel testo approvato dal Senato in prima lettura era prevista la possibilità per il Governo di chiedere alla Camera dei deputati di deliberare che un disegno di legge, indicato come essenziale per l'attuazione del programma di governo, oltre ad essere iscritto con priorità all'ordine del giorno per essere poi sottoposto alla votazione finale, entro sessanta giorni dalla richiesta governativa, venisse comunque votato, decorso il termine, nel testo proposto o accolto dal Governo, su richiesta dello stesso, senza modifiche, articolo per articolo e con votazione finale.
Sono state inoltre espressamente richiamate nel testo dell'articolo le leggi escluse dall'applicazione di tale procedura, per la cui approvazione è prescritta una maggioranza speciale: si tratta delle leggi di concessione dell'amnistia e dell'indulto (articolo 79 Cost.) e della legge che reca il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri per l'equilibrio di bilancio (81, sesto comma). La procedura resta altresì esclusa con riguardo alle leggi ad approvazione paritaria della Camera e del Senato e le leggi in materia elettorale, le leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali.
Giudizio preventivo di legittimità costituzionale delle leggi elettorali.
L'articolo 13 introduce un nuovo secondo comma all'articolo 73 Cost. al fine di prevedere che le leggi che disciplinano l'elezione dei membri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica possano essere sottoposte, prima della loro promulgazione, al giudizio preventivo di legittimità costituzionale della Corte costituzionale. Affinché ciò avvenga occorre che almeno un terzo dei componenti di una Camera presenti un ricorso motivato recante l'indicazione degli specifici profili di incostituzionalità.
In tal caso, la nuova previsione costituzionale stabilisce che la Corte costituzionale si pronunci entro il termine di 30 giorni e, fino ad allora, resta sospeso il termine per la promulgazione della legge. In caso di dichiarazione di illegittimità costituzionale, la legge non può essere promulgata.
L'articolo in esame interviene inoltre sull'articolo 134 Cost., che definisce gli ambiti di giudizio della Corte costituzionale, aggiungendo allo stesso un nuovo secondo comma. In base a tale modifica – disposta per esigenze di coordinamento con la suddetta modifica all'articolo 73 Cost. – si prevede che la Corte costituzionale giudichi altresì della legittimità costituzionale delle leggi che disciplinano l'elezione dei membri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, ai sensi del secondo comma del citato articolo 73.
Rinvio presidenziale delle leggi.
L'articolo 14 modifica l'articolo 74 Cost. in materia di rinvio da parte del Presidente della Repubblica, stabilendo che, qualora il rinvio riguardi i disegni di legge di conversione di decreto-legge, è contemplato un differimento di 30 giorni rispetto al termine costituzionale di 60 giorni per la conversione, attualmente fissato dall'articolo 77 Cost.
Con una seconda modifica, viene specificato che se «la legge» è nuovamente approvata, questa deve essere promulgata. Tale formulazione, che sostituisce quella prevista nel testo vigente che fa riferimento all'ipotesi in cui le «Camere» approvino nuovamente, deriva dal nuovo procedimento legislativo delineato dall'articolo 70 Cost.
Nel corso dell'esame in sede referente, è stata eliminata la possibilità di rinvio parziale da parte del Presidente, ossia limitato a specifiche disposizioni della legge, che era stata introdotta dal Senato durante la prima lettura del testo di riforma.
Referendum.
L'articolo 15 modifica l'articolo 75 Cost. sul referendum abrogativo, introducendo un diverso quorum per la validità del referendum, ossia la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera, Pag. 125nel caso in cui la richiesta sia stata avanzata da 800.000 a elettori. Resta fermo il quorum di validità attualmente previsto, ossia la maggioranza degli aventi diritto al voto, nel caso in cui la richiesta provenga da un numero di elettori compreso tra 500.000 e 800.000.
Si ricorda, inoltre, che in base al nuovo quarto comma dell'articolo 71 Cost. sono introdotti nell'ordinamento i referendum propositivi e di indirizzo (vedi articolo 11).
Decretazione d'urgenza.
L'articolo 16 modifica l'articolo 77 Cost., prevedendo, in primo luogo, che alla «legge» competa il potere di conferire al Governo la delega legislativa di cui all'articolo 76 e quello di regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti.
Stabilisce poi che i disegni di legge di conversione dei decreti-legge siano presentati alla Camera dei deputati e «costituzionalizza» i limiti alla decretazione di urgenza, attualmente previsti solo a livello di legislazione ordinaria (legge n. 400/88). È, in primo luogo, introdotto il divieto di disciplinare con decreto-legge le materie per cui la Costituzione (articolo 72, quinto comma) prevede la cosiddetta riserva di Assemblea, ossia la materia costituzionale ed elettorale, la delegazione legislativa, la conversione in legge di decreti, l'autorizzazione a ratificare trattati internazionali e per l'approvazione di bilanci e consuntivi. Nel corso dell'esame in sede referente, è stata esclusa dal divieto di decretazione d'urgenza in materia elettorale la disciplina dell'organizzazione del procedimento elettorale e dello svolgimento delle elezioni. È altresì previsto il divieto di reiterare disposizioni adottate con decreti non convertiti e di ripristinare l'efficacia di norme dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale per vizi non procedurali. I decreti-legge inoltre devono recare misure di immediata applicazione e di contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al titolo e nel corso dell'esame parlamentare dei disegni di legge di conversione non possono essere approvate disposizioni estranee all'oggetto o alle finalità del decreto.
Nel corso dell'esame in sede referente è stato precisato che il termine di efficacia dei decreti-legge è pari a novanta giorni in caso di rinvio da parte del Presidente della Repubblica (si v. anche il nuovo articolo 74 Cost.) e che il procedimento legislativo segue la disciplina generale dell'articolo 70, fermo restando l'obbligo di presentazione alla Camera anche per i decreti-legge cosiddetti bicamerali, recependo quanto evidenziato nel parere del Comitato per la legislazione.
Sono altresì individuati i termini per l'esame da parte del Senato dei decreti-legge cosiddetti monocamerali. In particolare, l'esame è disposto dal Senato entro 30 giorni dalla presentazione alla Camera e le proposte di modificazione possono essere deliberate dallo stesso entro 10 giorni dalla trasmissione del testo. Nel corso dell'esame in sede referente, è stato infine previsto che la trasmissione del disegno di legge da parte della Camera deve avvenire non oltre quaranta giorni dalla presentazione, recependo una condizione posta nel parere del Comitato per la legislazione.
Deliberazione dello stato di guerra, amnistia e indulto, ratifica dei trattati internazionali.
L'articolo 17 modifica l'articolo 78 Cost., che disciplina la deliberazione dello stato di guerra, attribuendo alla sola Camera dei deputati la competenza ad assumere tale deliberazione ed a conferire al Governo i poteri necessari.
L'articolo 18 del disegno di legge interviene sul primo comma dell'articolo 79 Cost., modificandolo nel senso di prevedere che l'amnistia e l'indulto siano concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti della Camera dei deputati – e non di ciascuna Camera, come attualmente previsto – in ogni suo articolo e nella votazione finale.
L'articolo 19 modifica l'articolo 80 Cost., che disciplina l'autorizzazione con legge alla ratifica dei trattati internazionali inerenti alle cinque categorie di materie indicate dal medesimo articolo: trattati di natura politica; che prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari; che importano variazioni Pag. 126del territorio; che comportano oneri alle finanze; che comportano modificazioni di leggi. Il testo proposto riferisce alla sola Camera dei deputati le previsioni riferite, nel testo vigente, ad entrambe le Camere, in ordine alla competenza ad autorizzare con legge la ratifica dei trattati internazionali.
Viene altresì espressamente previsto, con un ulteriore periodo del primo comma dell'articolo 80 Cost., che nel caso di ratifica di trattati relativi all'appartenenza dell'Italia all'UE è attribuita al Senato della Repubblica – con previsione riconducibile allo schema di cui al nuovo articolo 70, primo comma, Cost. – una competenza paritaria con la Camera per l'esame dei relativi disegni di legge.
Commissioni di inchiesta.
L'articolo 20 interviene sull'articolo 82 Cost., in tema di istituzione di commissioni di inchiesta.
Il nuovo testo stabilisce, al prima comma, che la Camera dei deputati può disporre inchieste su materie di pubblico interesse, mentre il Senato della Repubblica può disporre inchieste su materie di pubblico interesse «concernenti le autonomie territoriali».
Il novellato secondo comma dell'articolo 82 Cost. prevede quindi che, a tale scopo, ciascuna Camera nomina fra i propri componenti una commissione. Soltanto per la Camera si stabilisce che la commissione di inchiesta è formata in modo da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi (la stessa impostazione è seguita all'articolo 72 Cost., come modificato, riguardo alla composizione delle commissioni in sede legislativa).
Analogamente a quanto già oggi previsto, le commissioni d'inchiesta procederanno alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria.
Presidente della Repubblica.
L'articolo 21 interviene sull'elezione del Presidente della Repubblica (articolo 83 Cost.), sopprimendo la previsione della partecipazione all'elezione dei delegati regionali, alla luce delle nuova composizione del Senato di cui fanno parte rappresentanti delle regioni e degli enti locali.
Inoltre, viene modificato il sistema dei quorum per l'elezione del Capo dello Stato, prevedendo la maggioranza dei due terzi dei componenti fino al quarto scrutinio, la maggioranza dei tre quinti dei componenti dal quinto scrutinio e, in seguito ad una modifica approvata in sede referente, la maggioranza dei tre quinti dei votanti dal nono scrutinio.
Attualmente, per i primi tre scrutini è necessaria la maggioranza dei due terzi dei componenti, mentre dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta.
L'articolo 22 modifica l'articolo 85 Cost. sopprimendo, in primo luogo, il riferimento alla convocazione dei delegati regionali per l'elezione del Presidente della Repubblica, sulla base delle modifiche previste dal nuovo articolo 83 Cost.
Inoltre, viene attribuito al Presidente del Senato il compito di convocare e presiedere il Parlamento in seduta comune per la suddetta elezione, quando il Presidente della Camera esercita le funzioni del Presidente della Repubblica, nel caso in cui questi non possa adempierle (v. infra articolo 23).
Infine, si interviene sulla disciplina della convocazione del Parlamento in seduta comune per procedere all'elezione del Presidente della Repubblica nel caso di scioglimento o quando manchino meno di tre mesi alla sua cessazione, facendo riferimento allo scioglimento della sola Camera dei deputati (in quanto per il nuovo Senato, in considerazione della nuova composizione, non è previsto scioglimento).
L'articolo 23 modifica l'articolo 86 Cost., in materia di esercizio delle funzioni del Presidente della Repubblica, in caso egli non possa adempierle, e di convocazione del collegio elettorale per l'elezione del nuovo Presidente della Repubblica, in caso di impedimento permanente, morte o dimissioni.
In particolare, viene novellato il primo comma, prevedendo che l'organo chiamato ad assumere la supplenza, nel caso in cui Presidente della Repubblica non possa Pag. 127adempiere le proprie funzioni, sia non più il Presidente del Senato bensì il Presidente della Camera dei deputati.
È modificato, di conseguenza, il secondo comma attribuendo al Presidente del Senato (e non più al Presidente della Camera come previsto nella formulazione vigente) il compito di convocare il Parlamento in seduta comune per l'elezione del Presidente della Repubblica in caso di impedimento permanente, morte o dimissioni.
Scioglimento della Camera e rapporto di fiducia.
L'articolo 24 novella l'articolo 88 Cost., riferendo il potere di scioglimento del Presidente della Repubblica alla sola Camera dei deputati, in quanto il Senato diviene organo a rinnovo parziale, non sottoposto a scioglimento.
L'articolo 25 modifica l'articolo 94 Cost., che disciplina la fiducia al Governo.
In considerazione delle modifiche apportate dall'articolo 1 del disegno di legge all'articolo 55 Cost. – che attribuiscono alla sola Camera dei deputati la titolarità del rapporto di fiducia con il Governo – vengono di conseguenza adeguate le previsioni dell'articolo 94 Cost. che attualmente fanno riferimento ad entrambe le Camere.
Il Senato della Repubblica resta quindi esterno al rapporto di fiducia, che si instaura solo tra il Governo e la Camera dei deputati.
Reati ministeriali.
L'articolo 26 novella l'articolo 96 Cost., limitando alla sola Camera dei deputati il potere di autorizzare la sottoposizione del Presidente del Consiglio e dei ministri alla giurisdizione ordinaria per i reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni. Principi sull'amministrazione.
Nel corso dell'esame ín sede referente, è stato introdotto un nuovo articolo (articolo 27), che modifica il secondo comma dell'articolo 97 della Costituzione, che apre la seconda sezione del titolo III della parte seconda della Carta fondamentale, dedicata alla pubblica amministrazione. Il testo vigente della Costituzione afferma che le leggi sull'amministrazione (e, pertanto, la stessa amministrazione) debbono assicurare il rispetto del buon andamento e dell'imparzialità. L'intervento emendativo aggiunge a questi due principi anche quello della trasparenza.
Tale principio, finora considerato manifestazione del principio di imparzialità e buon andamento contenuto nell'articolo 97 Cost., è annoverato tra i principi generali dell'attività amministrativa, insieme ad altri principi quali l'economicità, l'efficacia e la pubblicità (articolo 1, legge n. 241/1990).
Secondo la definizione introdotta dal decreto legislativo n. 33/2013 (cosiddetto testo unico della trasparenza), la trasparenza, «intesa come accessibilità totale delle informazioni concernenti l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni», è un principio generale che serve, innanzitutto, a «favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche»; mira, inoltre, «ad attuare il principio democratico» ed integra «il diritto ad una buona amministrazione», concorrendo «alla realizzazione di una amministrazione aperta, al servizio del cittadino».
CNEL.
L'articolo 28 del disegno di legge abroga integralmente l'articolo 99 Cost. che prevede, quale organo di rilevanza costituzionale, il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL).
Il successivo articolo 41 dispone l'immediata applicazione della abrogazione dell'articolo 99, mentre le disposizioni finali e transitorie definiscono i profili amministrativi della soppressione del CNEL, prevedendo la nomina di un commissario straordinario entro trenta giorni dall'entrata in vigore della legge, a cui affidare la gestione per la liquidazione e la riallocazione del personale presso la Corte dei Conti (articolo 40, comma 1).
La revisione del titolo V.
L'articolo 29 modifica l'articolo 114 Cost., sopprimendo il riferimento alle province quali enti costitutivi della Repubblica. Conseguentemente, altre disposizioni del disegno di legge eliminano tale riferimento Pag. 128in tutto il testo costituzionale. Le province vengono dunque meno quali enti costituzionalmente necessari, dotati, in base alla Costituzione, di funzioni amministrative proprie.
L'articolo 40, comma 4, peraltro, disciplinando il riparto di competenza legislativa relativamente agli «enti di area vasta», attribuisce i profili ordinamentali generali alla legge statale e le ulteriori disposizioni alla legge regionale. Attraverso questa norma finale viene dunque previsto dalla legge costituzionale un nuovo ente territoriale, l’«ente di area vasta».
L'articolo 30 modifica il terzo comma dell'articolo 116 Cost., che disciplina l'ipotesi di estensione di forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni a statuto ordinario (cosiddetto «regionalismo differenziato» o anche «federalismo differenziato»).
A seguito delle modifiche apportate: viene ridotto l'ambito delle materie nelle quali possono essere attribuite particolari forme di autonomia alle regioni ordinarie; è introdotto una nuova condizione per l'attribuzione, essendo necessario che la regione sia in condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio; l'iniziativa della regione interessata non è più presupposto necessario per l'attivazione del procedimento legislativo aggravato, ma solo condizione eventuale; l'attribuzione delle forme speciali di autonomia avviene con legge «approvata da entrambe le Camere», senza però richiedere più la maggioranza assoluta dei componenti, ferma restando la necessità dell'intesa tra lo Stato e la regione interessata.
L'articolo 31 riscrive ampiamente l'articolo 117 Cost., in tema di riparto di competenza legislativa e regolamentare tra Stato e regioni.
Il catalogo delle materie è ampiamente modificato ed è soppressa la competenza concorrente, con una redistribuzione delle materie tra competenza esclusiva statale e competenza regionale.
Nell'ambito della competenza esclusiva statale sono enucleati casi di competenza esclusiva, in cui l'intervento del legislatore statale è circoscritto ad ambiti determinati (quali «disposizioni generali e comuni» o «disposizioni di principio»).
Nell'ambito della competenza regionale, una novità appare l'individuazione di specifiche materie attribuite a tale competenza, che allo stato è individuata solo in via residuale (essendo ascrivibile ad essa tutte le materie non espressamente riservate alla competenza statale).
Di significativo rilievo è inoltre l'introduzione di una «clausola di supremazia», che consente alla legge dello Stato, su proposta del Governo, di intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica ovvero la tutela dell'interesse nazionale.
Anche i criteri di riparto della potestà regolamentare sono modificati, introducendo un parallelismo tra competenze legislative e competenze regolamentari. La potestà regolamentare spetta infatti allo Stato e alle Regioni secondo le rispettive competenze legislative (nel sistema vigente invece la potestà regolamentare statale è limitata alle materie di competenza esclusiva, mentre nella materie di competenza concorrente e regionale è riconosciuto il potere regolamentare delle regioni).
Nel corso dell'esame in sede referente, sono state approvate alcune modifiche tese a riformulare specifiche materie di competenza legislativa. In particolare, nell'ambito della potestà statale di cui al secondo comma: accanto alla materia tutela della concorrenza è stata aggiunta quella della promozione della concorrenza, in linea con la giurisprudenza costituzionale in materia (lettera e)); le competenze in materia di tutela e sicurezza del lavoro e di sicurezza alimentare sono interamente attribuite allo Stato, mentre nel testo approvato dal Senato lo erano limitatamente alle disposizioni generali e comuni (lettere o) e m)); viene introdotta la materia delle politiche attive del lavoro, non nominata nel vigente testo dell'articolo 117; tale materia non comprende comunque la formazione Pag. 129professionale, che è espressamente attribuita alla competenza delle regioni (articolo 117, terzo comma).
Le ultime due modifiche sono state apportate anche tenendo conto dei rilievi espressi in sede consultiva, con particolare riferimento alle Commissioni Lavoro e Agricoltura.
Nell'ambito delle materie di competenza regionale (terzo comma), è stato soppresso il riferimento al «Parlamento» per la potestà legislativa in materia di rappresentanza delle minoranze linguistiche.
L'articolo 32 modifica l'articolo 118 Cost. introducendo una nuova disposizione in base alla quale le funzioni amministrative sono esercitate in modo da assicurare la semplificazione e la trasparenza dell'azione amministrativa, secondo criteri di efficienza e di responsabilità degli amministratori.
L'articolo 33 modifica l'articolo 119 Cost., che disciplina l'autonomia finanziaria degli enti territoriali. Con la riscrittura del secondo comma – dedicato alla finanza ordinaria degli enti territoriali – si prevede che l'autonomia finanziaria degli enti territoriali vada esercitata, oltre che in armonia con la Costituzione, anche secondo «quanto disposto dalla legge dello Stato» a fini di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Anche la disponibilità di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio viene ricondotta – con il nuovo testo e a differenza di quello vigente – alla necessaria armonia con la Costituzione, oltre che a quanto disposto, nell'esercizio della competenza esclusiva dello Stato come prevista dal novellato testo dell'articolo 117 Cost., dalla legge statale.
Per quanto concerne invece la riscrittura del quarto comma – dedicato al cosiddetto principio del parallelismo tra le funzioni esercitate dall'ente territoriale e il complesso delle risorse necessarie per esercitare tali compiti – si stabilisce che le risorse di cui dispongono gli enti territoriali «assicurano» il finanziamento integrale delle funzioni pubbliche loro attribuite sulla base di indicatori di riferimento di costo e di fabbisogno che promuovono condizioni di efficienza – laddove il testo vigente prevede che le risorse degli enti territoriali «consentono» di finanziare in modo integrale le funzioni pubbliche loro attribuite.
L'articolo 34 modifica l'articolo 120, secondo comma, Cost., che disciplina il cosiddetto «potere sostitutivo» del Governo nei confronti delle autonomie territoriali, introducendo nel procedimento di attivazione del potere governativo il parere preventivo del Senato della Repubblica (in sede quindi assembleare), parere che deve essere reso entro quindici giorni dalla richiesta. In sede referente, tale norma costituzionale è stata modificata al fine di specificare che le disposizioni in materia di potere sostitutivo si applicano anche nei confronti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e Bolzano.
Al secondo comma dell'articolo 120 Cost. viene inoltre attribuita alla legge la definizione dei casi di esclusione dei titolari di organi di governo regionali e locali dall'esercizio delle rispettive funzioni «quando è stato accertato lo stato di grave dissesto finanziario dell'ente».
L'articolo 35 modifica l'articolo 122, primo comma, Cost., al fine di porre un limite agli emolumenti dei componenti degli organi regionali.
Per effetto della modifica apportata, infatti, si stabilisce che con la legge statale bicamerale ivi prevista (la medesima fonte che disciplina i principi fondamentali del sistema di elezione e dei casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali), ad approvazione paritaria in base all'articolo 70 Cost., vada individuato un limite agli emolumenti spettanti al Presidente e agli altri membri degli organi elettivi regionali, in modo che non possano comunque superare l'importo di quelli spettanti ai sindaci dei comuni capoluogo di regione.
L'articolo 36, con una modifica al primo comma dell'articolo 126 Cost., prevede che il decreto motivato del Presidente della Repubblica con il quale sono disposti Pag. 130lo scioglimento anticipato del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta deve essere adottato previo parere del Senato della Repubblica. Tale parere sostituisce la previsione, recata dal testo in vigore, secondo la quale il decreto è adottato «sentita una Commissione di deputati e senatori costituita, per le questioni regionali, nei modi stabiliti con legge della Repubblica». Viene così meno la «base costituzionale» dell'istituzione della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Corte costituzionale.
L'articolo 37 interviene sull'articolo 135 Cost., in materia di elezione dei giudici della Corte costituzionale, modificando il settimo comma di tale disposizione.
A seguito di una modifica approvata in sede referente rimane in capo al Parlamento in seduta comune la nomina di cinque giudici della Corte costituzionale, rimanendo ferma la previsione del vigente primo comma dell'articolo 135 Cost.
In base al testo approvato dal Senato, invece, tali giudici sarebbero stati nominati separatamente, tre dalla Camera dei deputati e due dal Senato.
Viene invece modificato il settimo comma dell'articolo 135 Cost., che prevede che nei giudizi d'accusa contro il Presidente della Repubblica intervengano, oltre i giudici ordinari della Corte, sedici membri (cosiddetti giudici aggregati) tratti a sorte da un elenco di cittadini che il Parlamento compila ogni nove anni mediante elezione con le stesse modalità stabilite per la nomina dei giudici ordinari. La modifica stabilisce che i cittadini in questione debbano avere i requisiti per l'eleggibilità a deputato e non più a senatore.
Disposizioni conseguenziali e di coordinamento.
L'articolo 38 reca una serie di disposizioni consequenziali e di coordinamento che novellano più articoli della Carta costituzionale e due leggi costituzionali.
Il comma 1 modifica l'articolo 48, terzo comma, Cost., che disciplina l'esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all'estero. La proposta in esame riferisce alla sola Camera dei deputati le previsioni riferite, nel testo vigente, ad entrambe le Camere. Come conseguenza della previsione in esame, la circoscrizione Estero concorre all'elezione solo della Camera dei deputati.
Il comma 2 abroga l'articolo 58 Cost., relativo ai requisiti anagrafici di eleggibilità attiva e passiva. Conseguentemente, non risulta più necessario il requisito anagrafico di 40 anni di età per l'eleggibilità a senatore, né di 25 anni per eleggere. Si ricorda invece che non è modificata la previsione costituzionale (articolo 56 Cost.) che fissa a 25 anni l'età anagrafica per essere eletti alla Camera (e 18 anni per eleggere).
Il comma 3 sostituisce l'articolo 61 Cost., che disciplina il termine delle elezioni e della prima riunione delle nuove Camere e la prorogatio delle uscenti.
La proposta in esame riferisce alla sola Camera dei deputati le previsioni riferite, nel testo vigente, ad entrambe le Camere, in quanto solo la Camera dei deputati è prevista come direttamente elettiva e suscettibile di scioglimento.
Il comma 4 abroga l'articolo 62, terzo comma, Cost., relativo alla convocazione di diritto di una Camera, quando l'altra si riunisca in via straordinaria.
Il comma 5 modifica l'articolo 73, secondo comma, Cost., relativo alla promulgazione delle leggi di cui le Camere dichiarano l'urgenza.
Come conseguenza della modifica, solo la Camera dei deputati, a maggioranza assoluta dei suoi componenti, dichiara l'urgenza di una legge e indica un termine per la promulgazione della legge stessa.
Il comma 6 modifica i commi secondo, quarto e sesto dell'articolo 81 Cost., che disciplinano l'equilibrio tra le entrate e le spese del bilancio e la legge di bilancio. Il disegno di legge in esame riferisce alla sola Camera dei deputati le previsioni riferite, nel testo vigente, ad entrambe le Camere.
Come conseguenza della proposta, dunque, il ricorso all'indebitamento è consentito previa autorizzazione della sola Camera dei deputati adottata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, al verificarsi Pag. 131di eventi eccezionali (secondo comma); è la Camera dei deputati ogni anno ad approvare con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo (quarto comma).
Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti della sola Camera dei deputati, nel rispetto dei princìpi definiti con legge costituzionale (sesto comma).
Il comma 7 modifica l'articolo 87 Cost., nella parte relativa alle prerogative del residente della Repubblica.
Di conseguenza, il Presidente della Repubblica indice le elezioni della nuova Camera dei deputati e ne fissa la prima riunione (viene soppresso il riferimento al Senato, che a seguito delle modifiche disposte dal progetto di riforma costituzionale, diviene organo a rinnovo continuo, senza scioglimento) (terzo comma).
Il Presidente della Repubblica, inoltre, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l'autorizzazione della «Camera dei deputati» (è eliminato il riferimento al Senato); in coerenza con quanto disposto dagli articoli 70 e 80 Cost., come novellati, per i trattati relativi all'appartenenza dell'Italia all'Unione europea, la ratifica del Presidente della Repubblica avviene previa autorizzazione di «entrambe le Camere» (ottavo comma). Infine, lo stato di guerra è dichiarato dal Presidente della Repubblica previa deliberazione della Camera dei deputati (nono comma).
Il comma 8 modifica la denominazione del Titolo V della Parte seconda Cost., sopprimendo le parole «le Province» ed introducendo le parole «Città metropolitane».
I successivi commi 9 e 12 modificano rispettivamente gli articoli 120, comma secondo, e 132, comma secondo, espungendovi i riferimenti alle Province nel primo caso in tema di poteri sostitutivi del Governo nei confronti degli organi delle Regioni e degli enti locali, e nel secondo caso con riferimento all'ipotesi di trasferimento di enti territoriali da una Regione ad un'altra. In sede referente, è stato modificato il comma 9 al fine di specificare che le disposizioni in materia di potere sostitutivo si applicano anche nei confronti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e Bolzano.
Il comma 10 modifica l'articolo 121, secondo comma, Cost., relativo alle potestà attribuite al Consiglio regionale.
La modifica proposta incide sul secondo periodo del comma, prevedendo che la potestà d'iniziativa legislativa del Consiglio si eserciti con la presentazione di proposte di legge alla Camera dei deputati, e non più (come nel testo vigente) «alle Camere».
Il comma 11 modifica l'articolo 122, secondo comma, Cost., al fine di superare l'incompatibilità di membro di consiglio regionale o di giunta regionale rispetto al mandato parlamentare. La novella circoscrive alla sola Camera dei deputati tale incompatibilità, posta la nuova composizione del Senato, quale configurata dal disegno di legge costituzionale in esame.
Il comma 13 abroga l'articolo 133, primo comma, Cost., relativo al mutamento delle circoscrizioni provinciali e all'istituzione di nuove Province nell'ambito di una Regione. Come già ricordato, il riferimento alle «Province» viene espunto ovunque ricorra dal testo costituzionale.
Il comma 14, introdotto in sede referente, interviene in materia di messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica per i reati di alto tradimento e di attentato alla Costituzione: attraverso una modifica all'articolo 12 della legge cost. n. 1/1953 si prevede che il Comitato per la deliberazione della messa in stato di accusa sia presieduto dal Presidente della Giunta delle autorizzazioni della Camera, anziché di quella del Senato.
Il comma 15, anch'esso introdotto in sede referente, interviene in maniera analoga per i reati ministeriali, modificando l'articolo 5 della legge cost. n. 1/1989: si prevede che spetti alla Camera (e non al Pag. 132Senato come nel testo vigente) l'autorizzazione a procedere nei confronti delle persone coinvolte, se queste appartengono a Camere diverse o nel caso in cui il procedimento riguardi esclusivamente soggetti che non sono membri delle Camere; viene così recepita una condizione del Comitato per la legislazione. Rimane al Senato la competenza sull'autorizzazione nei confronti dei senatori.
Disposizioni transitorie.
L'articolo 39, ai commi da 1 a 6, disciplina le modalità di elezione per il Senato in sede di prima applicazione.
In particolare, il comma 1 stabilisce le modalità di elezione dei senatori da parte dei Consigli regionali, per la costituzione del nuovo Senato la cui composizione è definita dall'articolo 57 della Costituzione, novellata dal presente disegno di legge. Queste norme, che sostituiscono la originaria disciplina transitoria dettata dal disegno di legge d'iniziativa governativa, operano in sede di prima applicazione e fino all'entrata in vigore della legge che dovrà disciplinare appunto l'elezione dei senatori da parte dei consigli regionali. La legge, come stabilito dall'articolo 57 della Costituzione, deve essere approvata da entrambe le Camere.
Il sistema di elezione stabilito dal comma 1 dispone che in ciascuna regione (e provincia autonoma), ogni consigliere possa votare per una unica lista di candidati, formata da consiglieri e da sindaci dei comuni compresi nel relativo territorio. I seggi sono attribuiti alle liste secondo il metodo proporzionale del quoziente naturale (costituito dal risultato della divisione del totale dei voti validi espressi diviso il numero di seggi spettanti alla regione) sulla base dei quozienti interi e – qualora ci siano ancora seggi da attribuire – dei più alti resti. Nell'ambito della lista, sono eletti i candidati secondo l'ordine di presentazione. Per la lista che abbia ottenuto il maggior numero di voti, la norma in esame dispone che possa essere esercitata l'opzione per l'elezione del sindaco o, in alternativa, di un consigliere.
La norma dispone inoltre che, in caso di cessazione di un senatore dalla carica di consigliere regionale o di sindaco, è proclamato eletto, rispettivamente, il consigliere o sindaco che era risultato come il primo tra i non eletti della stessa lista.
Il comma 2 dispone in merito all'ipotesi in cui in una o più regioni si debba procedere all'elezione dei senatori ad esse spettanti quando sia intervenuto un nuovo censimento della popolazione. La norma stabilisce che, qualora secondo l'ultimo censimento, il numero di senatori spettanti ad una regione sia diverso dal numero risultante in base a quello precedente, si fa riferimento, in ogni caso, al censimento più recente, anche in deroga alla composizione numerica del Senato, disciplinata dalla suddetta novella dell'articolo 57 della Costituzione.
Il comma 3, introdotto nel corso della discussione in Assemblea al Senato, prevede che, nella legislatura in corso alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, sciolte entrambe le Camere, non si procede alla convocazione dei comizi elettorali per il rinnovo del Senato della Repubblica.
Il comma 4 riguarda la prima costituzione del nuovo Senato fino alla data di entrata in vigore della legge «paritaria» sulla relativa elezione di cui all'articolo 57, sesto comma, della Costituzione, come modificato dal testo in esame.
Viene previsto che la prima costituzione del Senato avrà luogo entro dieci giorni dalla data della prima riunione della Camera dei deputati successiva alle elezioni svolte dopo la data di entrata in vigore del disegno di legge costituzionale in esame.
Si ricorda che l'articolo 40 del testo in esame, stabilisce che le disposizioni della legge costituzionale su tale materia si applicano dalla legislatura successiva allo scioglimento di entrambe le Camere.
Viene altresì previsto che, quando alla data di svolgimento delle elezioni della Camera dei deputati si svolgono anche elezioni di Consigli regionali o dei Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano, i medesimi Consigli sono convocati in collegio elettorale entro tre giorni dal loro insediamento.Pag. 133
Il comma 5 affida al Presidente della Giunta regionale (e della Giunta delle provincia autonoma di Trento e di Bolzano), la proclamazione dei senatori eletti dal Consiglio regionale (o provinciale).
Il comma 6 prevede che la legge che definisce le modalità di attribuzione dei seggi e di elezione dei membri del Senato in base alle nuove disposizioni costituzionali (di cui all'articolo 57, sesto comma, della Costituzione), sia approvata entro sei mesi dalla data di svolgimento delle elezioni della Camera dei deputati successiva alla data di entrata in vigore del disegno di legge costituzionale in esame.
Il comma 7 riguarda gli attuali senatori a vita, che permangono – «ad ogni effetto» – nella carica nel nuovo Senato.
Altra disposizione – recata dal comma 8 – concerne i regolamenti parlamentari. Viene precisato che i regolamenti parlamentari vigenti continuano ad applicarsi, «in quanto compatibili», fino all'adeguamento alla riforma costituzionale intrapreso dalla Camere nella loro autonomia regolamentare. In sede referente è stato aggiunto un nuovo comma 9, volto a chiarire che fino all'adeguamento del regolamento della Camera dei deputati a quanto previsto dal nuovo articolo 72, settimo comma, della Costituzione, che disciplina l'istituto del c.d. voto a data certa, il termine previsto per la pronuncia in via definitiva della Camera non può essere differito per meno di dieci giorni. In base al citato settimo comma, il differimento non può essere superiore a quindici giorni, tenuto conto dei tempi di esame da parte della Commissione, nonché della complessità del disegno di legge.
Invece, a seguito delle modifiche apportate all'articolo 135 Cost. è stato soppresso il precedente comma 9 relativo all'elezione dei giudici costituzionali di nomina parlamentare.
Infine, due disposizioni concernono l'ordinamento regionale, per un duplice riguardo.
In primo luogo (comma 10), le leggi regionali su materie concorrenti o loro esclusive in via residuale, ad oggi vigenti, continuano ad applicarsi finché non entrino in vigore le leggi statali o regionali fondate sul nuovo riparto di competenze definito mediante la riscrittura dell'articolo 117.
In secondo luogo (comma 11), la riforma costituzionale – per la parte relativa alla rivisitazione del titolo V della Costituzione (in particolare, le disposizioni di cui al Capo IV) – non si applica alle Regioni a Statuto speciale né alla Province autonome, finché non si abbia adeguamento dei loro Statuti (per il quale è necessario, com’è noto, legge costituzionale). È esplicitato altresì che l'adeguamento statutario avvenga sulla base delle intese con le Regioni a Statuto speciali e con le Province autonome.
Infine, il comma 12 specifica che la Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste esercita le funzioni provinciali già attribuite alla data di entrata in vigore del disegno di legge costituzionale in esame.
Disposizioni finali.
Il comma 1 dell'articolo 40 reca alcune disposizioni finali e transitorie concernenti i profili amministrativi della soppressione del CNEL (stabilita dal precedente articolo 28 – v. supra).
In particolare, è disposto che, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge costituzionale, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, nomini, con proprio decreto, un commissario straordinario cui affidare la gestione provvisoria del CNEL, per la liquidazione del suo patrimonio e per la riallocazione delle risorse umane e strumentali da operarsi, come specificato nel corso dell'esame al Senato, presso la Corte dei conti nonché per gli altri adempimenti conseguenti alla soppressione. Si prevede, inoltre, che all'atto dell'insediamento del commissario straordinario decadano dall'incarico gli organi del CNEL e i suoi componenti per ogni funzione di istituto, compresa quella di rappresentanza.
Il comma 2 riguarda i gruppi politici presenti nei consigli regionali.Pag. 134
La norma introduce un divieto di corrispondere ai suddetti gruppi consiliari «rimborsi o analoghi trasferimenti monetari» con oneri a carico della finanza pubblica, vale a dire a carico delle regioni medesime (come è attualmente) o a carico di qualsiasi altro ente pubblico.
Il comma 3 affida alle Camere – alla luce della profonda riforma del Parlamento operata – l'obiettivo di un'integrazione funzionale delle Amministrazioni parlamentari, secondo criteri di efficienza e razionalizzazione, attraverso: servizi comuni; impiego coordinato di risorse umane e strumentali; ogni altra forma di collaborazione.
Il ruolo unico dei dipendenti del Parlamento, che viene a tal fine istituito, è formato dal personale di ruolo delle due Camere, mentre nello statuto unico del personale dipendente, di cui si prevede l'adozione, sono raccolte e coordinate le disposizioni già vigenti nei rispettivi ordinamenti e stabilite altresì le procedure per le successive modificazioni, da approvare conformemente ai principi di autonomia, imparzialità ed accesso esclusivo e diretto con apposito concorso.
La norma affida altresì alle Camere la definizione – di comune accordo – della disciplina dei contratti di lavoro alle dipendenze delle formazioni organizzate dei membri del Parlamento, previste dai regolamenti.
Viene infine inserita una norma di continuità dei rapporti giuridici, attivi e passivi, anche nei confronti dei terzi.
Il comma 4 disciplina il riparto di competenza legislativa tra lo Stato e le regioni relativamente agli enti «di area vasta».
In particolare, i profili ordinamentali generali sono ascritti alla competenza esclusiva statale mentre le «ulteriori disposizioni» vengono affidate alla competenza regionale.
Si prevede poi che il mutamento delle circoscrizioni delle Città metropolitane è stabilito con legge della Repubblica, su iniziativa dei Comuni, sentita la Regione.
Si ricorda che le disposizioni di cui ai suesposti commi 1, 2, 3 e 4 dell'articolo 40, in base al successivo articolo 41 (v. infra), entrano in vigore il giorno seguente a quello della pubblicazione della presente legge nella Gazzetta Ufficiale.
Il comma 5 prevede che, fermo restando quanto stabilito dal primo comma dell'articolo 59 Cost. (che riguarda i senatori di diritto a vita in quanto ex Presidenti della Repubblica) i senatori di nomina presidenziale di cui al secondo comma dell'articolo 59 Cost., come modificato, «non possono eccedere, in ogni caso, il numero complessivo di cinque», tenuto conto della permanenza in carica dei senatori a vita già nominati alla data di entrata in vigore della legge costituzionale in esame. Al medesimo comma 5 viene precisato che lo stato e le prerogative dei senatori di diritto e a vita (quindi gli ex Presidenti della Repubblica ed i senatori a vita in carica) restano regolati secondo le disposizioni già vigenti alla data di entrata in vigore della legge costituzionale.
Infine, il comma 6 precisa che i senatori della Provincia autonoma di Bolzano/Autonome Provinz Bozen sono eletti tenendo conto della consistenza dei gruppi linguistici in base all'ultimo censimento. In sede di prima applicazione ogni consigliere può votare per due liste di candidati, formate ciascuna da consiglieri e da sindaci dei rispettivi territori.
L'articolo 41 reca le disposizioni relative non solo all'entrata in vigore ma anche all'applicabilità delle disposizioni della legge.
Si prevede che il testo di legge costituzionale in esame entri in vigore il giorno seguente a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale successiva alla promulgazione.
Tuttavia, le disposizioni non si applicano da quel momento, ma «a decorrere dalla legislatura successiva allo scioglimento di entrambe le Camere», fatte salve alcune disposizioni specificamente individuate.
Solo alcune disposizioni sono dunque suscettibili di immediata applicazione l'articolo 28, che modifica l'articolo 99 Cost., relativo alla soppressione del Cnel; l'articolo Pag. 13535, che modifica l'articolo 122 Cost. sui limiti agli emolumenti dei componenti degli organi regionali; l'articolo 39, comma 7, relativo alla permanenza in carica degli attuali senatori a vita; l'articolo 40, che reca le disposizioni finali concernenti: il regime transitorio del CNEL (comma 1); il divieto di corresponsione di contributi ai gruppi nei Consigli regionali (comma 2); la riorganizzazione delle amministrazioni parlamentari (comma 3); il riparto di competenza legislativa sugli enti di area vasta (comma 4). Nel corso dell'esame in sede referente, è stata aggiunta tra le disposizioni di immediata applicabilità l'articolo 39, comma 3, che dispone di non procedere alla convocazione dei comizi elettorali per il rinnovo del Senato a seguito dello scioglimento delle Camere nella legislatura attualmente in corso.
Discussione e attività istruttoria in Commissione in sede referente.
La I Commissione Affari costituzionali ha avviato l'esame del disegno di legge costituzionale, già approvato dal Senato in prima lettura nella seduta dell'8 agosto 2014, a partire dall'11 settembre 2014, congiuntamente a diverse altre proposte di legge costituzionale di iniziativa parlamentare.
In sede di esame preliminare sono state svolte 13 sedute della Commissione, con numerosi ed ampi interventi nella discussione sulle linee generali. Al contempo, nell'ambito dell'istruttoria legislativa sul provvedimento, nella seduta dell'8 ottobre, la Commissione ha deliberato Io svolgimento di un'indagine conoscitiva in materia di revisione della Parte seconda della Costituzione, svolgendo 10 sedute di audizione, dal 9 ottobre al 13 novembre 2014. In particolare, sono stati auditi 50 soggetti: esperti, in particolare professori di diritto costituzionale, rappresentanti di ANCI e UPI, l'Avvocato generale dello Stato, rappresentanti della Regione Veneto, il Presidente della Provincia autonoma di Trento, il Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, rappresentanti dell'Associazione degli ex parlamentari della Repubblica.
Nella seduta del 16 ottobre, inoltre, la Commissione ha convenuto di richiedere al Governo, ai sensi dell'articolo 79, comma 5, del Regolamento, elementi di informazione concernenti, in particolare, l'analisi dell'impatto della riforma sul contenzioso tra Stato e regioni in relazione al nuovo riparto delle competenze legislative, nonché i dati relativi all'impatto economico della riforma in termini di risparmi per la finanza pubblica. Al riguardo, il Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme costituzionali ha trasmesso, in data 28 ottobre e 18 novembre, gli elementi di documentazione richiesti.
Nella seduta del 19 novembre, la Commissione ha deliberato di adottare come testo base per la prosecuzione dell'esame il disegno di legge del Governo, come modificato dal Senato (A.C. 2613).
Al testo base sono stati presentati 1176 emendamenti, di cui 388 dal gruppo Movimento 5 Stelle, 213 dal gruppo FI-PDL, 203 dal gruppo PD, 174 dal gruppo SEL, 80 dal gruppo Lega Nord per le Autonomie, 33 dal gruppo Scelta Civica, 29 dal gruppo Nuovo centrodestra, 31 dal gruppo Misto, 24 dal gruppo Per l'Italia, 1 dal gruppo Fratelli d'Italia-An. Le sedute del 26, 27 e 28 novembre sono state dedicate allo svolgimento di interventi sul complesso degli emendamenti. All'esame degli emendamenti, che ha avuto inizio il 2 dicembre, sono state complessivamente dedicate 10 sedute.
Concluso l'esame delle proposte emendative, la Commissione ha votato il mandato ai relatori a riferire in senso favorevole all'Assemblea nella seduta del 13 dicembre 2014. A fronte delle modifiche approvate, per le quali si rinvia, supra, all'illustrazione del contenuto, gli articoli della Costituzione che non risultano modificati rispetto al testo già approvato dal Senato in prima lettura sono i seguenti: articolo 48 (circoscrizione estero); articolo 59 (senatori a vita e di nomina presidenziale); articoli 60, 61 e 62 (durata ed elezione della Camera dei deputati); articolo 63 (cariche del Senato); articolo 67 (vincolo di mandato); articolo 69 (indennità parlamentare); articolo 71 (iniziativa Pag. 136legislativa); articolo 73 (giudizio preventivo di legittimità sulle leggi elettorali); articolo 75 (referendum); articolo 78 (deliberazione dello stato di guerra); articolo 79 (leggi di amnistia e indulto); articolo 80 (ratifica trattati internazionali); articolo 81 (legge di bilancio); ad. 82 (inchieste parlamentari); articoli 85 e 86 (elezione e supplenza dei Presidente della Repubblica); articolo 87 (scioglimento della Camera dei deputati); ad. 94 (fiducia al Governo); articolo 96 (reati ministeriali); articolo 99 (CNEL); articolo 114 (abolizione delle province); ad. 116 (regionalismo differenziato); articolo 118 (funzioni amministrative); articolo 119 (autonomia finanziaria degli enti territoriali); articolo 122 (emolumenti regionali) e articolo 126 (Commissione per le questioni regionali). Per quanto riguarda le norme transitorie e finali del disegno di legge, non sono state modificate le disposizioni contenute nell'articolo 40.
I pareri espressi dalle Commissioni in sede consultiva.
Nella seduta del 4 dicembre 2014, il Comitato per la legislazione ha reso il proprio parere sul disegno di legge costituzionale, nel quale sono previste osservazioni ed alcune condizioni. Tra queste ultime, alcune rilevano sotto il profilo dell'efficacia del testo per la semplificazione e il riordinamento della legislazione vigente: in particolare, il Comitato ha posto l'attenzione sulla necessità di: coordinare l'articolo 85 e l'articolo 63 della Costituzione nel testo risultante dalla riforma nell'individuazione dell'Ufficio di Presidenza del Parlamento in seduta comune allorché il Presidente della Camera eserciti le funzioni del Presidente della Repubblica; coordinare l'articolo 135 con le leggi costituzionali n. 1 del 1989 e n. 2 del 1967, anche esplicitando le nuove modalità di designazione dei giudici aggregati; di chiarire i dubbi interpretativi in relazione all'articolo 38, comma 10, del disegno di legge di riforma, recante una clausola transitoria di «ultrattività» delle leggi regionali adottate sulla base dell'attuale Titolo V e di riformulare con maggiore chiarezza la disposizione (articolo 38, comma 11 del disegno di legge di riforma) che prevede l'applicabilità del «nuovo Titolo V» alle regioni a statuto speciale.
Le ulteriori condizioni formulate dal Comitato attengono al profilo della chiarezza e della proprietà della formulazione del testo. Esse riguardano innanzitutto la nuova disciplina costituzionale del procedimento legislativo (articolo 70 Cost.), laddove si sottolinea l'opportunità di definire sia le modalità di risoluzione delle questioni che potrebbero insorgere tra Camera e Senato, sia la procedura da seguire nel caso in cui un disegno di legge sia di materia «mista». Inoltre, per il Comitato andrebbero specificati più diffusamente i termini dell'applicabilità al Senato delle procedure d'urgenza (articolo 72), nonché occorrerebbe inserire l'attuale previsione della sede referente, prevista al primo comma per leggi bicamerali, anche per le leggi rimesse alla approvazione della sola Camera dei deputati. Infine, le condizioni poste dal Comitato attengono al ruolo del Senato nella conversione dei decreti-legge (articolo 77), che dovrebbe essere meglio chiarito attraverso specificazioni dei termini e dei passaggi procedurali, che il testo di riforma non individua.
Nel parere approvato dalla Commissione Trasporti nella seduta del 4 dicembre 2014, le condizioni poste attengono al riparto di potestà legislativa tra Stato e regioni, di cui all'articolo 117 Cost.: in particolare, si richiede l'inserimento tra le materie di legislazione statale esclusiva delle «disposizioni generali e comuni per garantire il diritto alla mobilità mediante il servizio di trasporto pubblico» e delle «disposizioni generali e comuni sui trasporti e sulla navigazione, sulla circolazione stradale e sulla mobilità».
Le condizioni poste alla Commissione di merito nel parere favorevole approvato dalla Commissione Ambiente riguardano, in primo luogo, l'opportunità di integrare la materia ambientale con un riferimento esplicito allo «sviluppo sostenibile» e alla «difesa del suolo». Inoltre, si invita a riformulare le competenze legislative in materia di enti locali, esplicitando nell'articolo 117 l'attribuzione allo Stato delle Pag. 137norme generali sull'ordinamento degli enti locali, compresi quelli di area vasta, tenuto conto delle peculiarità delle aree montane.
Nel parere della Commissione Politiche per l'Unione europea l'unica condizione espressa attiene al rapporto tra Parlamento e UE. In particolare, la Commissione ha rilevato la necessità di modificare il nuovo testo dell'articolo 55 Cost. e di inserire un nuovo articolo 55-bis, il quale preveda che entrambe le Camere esercitano la funzione di raccordo con l'UE: la Camera dei deputati opera il raccordo tra Stato e UE, mentre il Senato favorisce il raccordo tra gli enti costitutivi della Repubblica e l'Unione. In via analoga, entrambe le Camere partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti europei, in coerenza con il rispettivo ruolo costituzionale. Secondo la Commissione, andrebbe altresì esplicitato in Costituzione che il governo assicura nelle competenti sedi decisionali dell'UE di rappresentare una posizione coerente con gli indirizzi del Parlamento.
Anche le Commissioni Cultura, Lavoro, Affari sociali, Agricoltura, nonché la Commissione parlamentare per le questioni regionali hanno espresso un parere favorevole al testo di riforma, accompagnato da alcune osservazioni relative alla nuova formulazione degli articolo 116 e 117, relativi al riparto della potestà legislativa e, in particolare, all'opportunità di alcune specificazioni nella definizione delle singole materie.
Hanno approvato parere favorevole le Commissioni Giustizia, Esteri, Difesa, Finanze e Attività produttive nelle sedute dell'11 dicembre.
TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO MATTEO BRAGANTINI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE N. 2613-A ED ABBINATI
MATTEO BRAGANTINI, Relatore di minoranza. Onorevoli Colleghi, Il testo approvato dalla maggioranza nelle Commissioni non può ritenersi in alcun modo soddisfacente. Nulla, infatti questa riforma ha a che fare con il cambiamento del sistema Paese.
Questa riforma è necessaria soltanto ad ingannare i cittadini.
Una riforma seria si poteva fare: ridurre i costi della politica, anche attraverso la riduzione del numero dei parlamentari; snellire le procedure di approvazione delle leggi con il superamento del bicameralismo perfetto; restituire sovranità nazionale al Paese arginando l'influenza estera nelle decisioni interne; potenziare gli strumenti di democrazia partecipata anche introducendo il referendum propositivo ed estendendo il volere popolare sulle decisioni prese a livello internazionale.
Sono passati quasi venti anni da quando si iniziò ad avvertire l'esigenza di rinnovare e riformare il sistema Paese attraverso le necessarie modifiche costituzionali. Una esigenza largamente condivisa che trovava la sua forza ispiratrice dal basso. La società aveva iniziato a prendere consapevolezza che il nuovo assetto mondiale ed europeo presupponesse modifiche strutturali capaci di ridisegnare l'organizzazione dello Stato in modo più dinamico e funzionale. Questa necessità di cambiamento ha però, nei fatti, incontrato ostacoli insormontabili e si è dovuta scontrare con le posizioni ortodosse di chi sosteneva la teoria dell'intangibilità della Costituzione.
Le posizioni ideologiche, conservatrici e di retroguardia hanno prodotto negli anni uno spaventoso immobilismo che ha infettato pian piano tutte le strutture. Questo morbo diffuso ha indebolito il nostro Paese ponendolo al rischio di una irreversibile malattia.
L'ipocrisia di questi atteggiamenti non ha permesso in tutti questi anni di addivenire ad una modifica sostanziale dell'assetto organizzativo di questo Stato, capace di incidere profondamente sul sistema costituzionale, ridisegnandolo fin dalle sue fondamenta e rendendolo finalmente capace di affrontare i cambiamenti della Pag. 138società in modo tale da presentare, da protagonista, il nostro Paese nel nuovo contesto internazionale ed europeo.
Nella storia di un Paese qualora non si è capaci con lungimiranza di compiere nei tempi giusti le necessarie riforme, intervengono degli eventi drammatici, dei fattori scatenanti, che sconvolgono gli assetti e che se non governati possono causare stravolgimenti tali che per la loro portata rischiano di non essere indolore.
Quello che in tutti questi anni doveva essere fatto e non è stato fatto è oggi improcrastinabile.
Non è il Governo, non siamo noi parlamentari a condurre questa fase di riforme è il popolo che le vuole le ha chieste con forza come ultimo appello alla politica. O la politica sarà capace di cambiare e rinnovarsi o non ci sarà data una seconda possibilità.
La riforma del Titolo era stata confezionata esclusivamente per tentare di fermare l'energia prorompente della Lega Nord che, sempre più, si radicava quale forza di impatto per far emergere la questione settentrionale;
Ma i giochi di palazzo sono stati orchestrati ad arte per rallentare quelle riforme che andavano direttamente ad incidere sugli interessi degli stessi parlamentari (basti pensare alla riduzione del numero dei parlamentari, ai tagli dei costi della politica, al superamento del bicameralismo perfetto).
Cosa dire poi delle campagne ideologiche che sono state sostenute da alcune forze politiche per arrestare quelle riforme come la cosiddetta «devolution».
Una riforma che anticipava i tempi e i dibattiti di questi anni, che prevedeva l'istituzione del Senato federale, la riduzione del numero dei parlamentari, modifiche al procedimento di formazione delle leggi e al sistema di Governo prevedendo maggiori poteri al Primo Ministro e interventi sull'ordinamento giurisdizionale. Una riforma che ben dopo quattro passaggi parlamentari, fu definitivamente approvata il 16 novembre 2005. Ma a dimostrazione, che parlare di federalismo è cosa diversa dal volere il federalismo e dall'agire con convinzione e determinazione per cambiare il sistema Paese, questo disegno di riforma, la «Devoluzione» fu respinta con il referendum confermativo del 25 e 26 giugno 2006. E, la campagna per votare «no» fu manovrata ad arte da quelle stesse forze politiche che, a parole, si dichiaravano a favore del federalismo.
Tutto ciò detto, siamo convinti che sia necessario approvare riforme importanti perché sono i cittadini, le famiglie gli imprenditori, insomma il Popolo che le vuole e farà di tutto per averle.
Noi della Lega Nord ci siamo, perché le riforme costituzionali sono nel nostro DNA.
Noi ci siamo perché proprio grazie a Noi in questo Paese è maturata la necessità di un cambiamento essenziale. Un cambiamento per modernizzare la Pubblica amministrazione, per adeguarla alle esigenze della società, per valorizzare le autonomie territoriali, per rispondere ai bisogni del mondo imprenditoriale e dei cittadini, per rendere competitivo il Paese, per semplificare gli adempimenti ed adeguare la nostra legislazione a quell'Europa a cui tanto si fa riferimento.
Tuttavia siamo convinti che il testo che oggi arriva all'esame dell'Aula debba essere modificato, per non perdere l'occasione di riformare veramente il Paese in maniera coerente ed efficace, e non produrre una mera riforma di facciata che ancora una volta ingannerebbe i cittadini. Speriamo sinceramente che tutti coloro che sono coinvolti nella stesura di questa legge di riforma sentano forte la consapevolezza e la responsabilità di una modifica destinata a durare per decenni, e che, in considerazione della gravità dell'iter richiesto, non dovrebbe e non potrebbe essere ulteriormente modificata nei prossimi anni; Una riforma Costituzionale deve essere ispirata a obiettivi di appropriatezza, lungimiranza e consapevolezza, con i tempi adeguati a permettere tutto l'approfondimento e la riflessione necessari.
Se si avesse il coraggio di apportare alcune modifiche a questo testo ci troveremmo Pag. 139dinnanzi ad una buona riforma destinata a durare nel tempo. Le linee di intervento sono molto chiare: più federalismo chiarendo e rafforzando le competenze legislative esclusive delle regioni; maggiore garanzia della sovranità popolare con l'elezione diretta del Senato federale se sarà configurato come organo politico, o prevedendo un vincolo di mandato nel caso si opti per l'elezione indiretta, l'elezione a suffragio universale del Presidente della Repubblica, l'abbassamento del numero di sottoscrizioni necessarie per referendum e leggi di iniziativa popolare, l'introduzione del referendum deliberativo sul modello svizzero; meno spesa pubblica con la riduzione anche del numero dei deputati; ridimensionamento dell'ingerenza Unione Europea ammettendo la possibilità di referendum sui trattati internazionali e comunitari ed escludendo gli enti territoriali dal patto di stabilità europeo.
Più federalismo;
1. la Repubblica federale riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i contenuti ed i metodi della sua legislazione alle esigenze del federalismo, dell'autonomia e del decentramento. Nell'assegnazione e nell'adempimento delle funzioni pubbliche è osservato il principio di sussidiarietà;
2. il Senato delle Autonomie è la Camera che rappresenta le Regioni e le altre autonomie territoriali. Non possiamo accettare modelli spuri considerata la sua delicata funzione di garanzia: dunque il Senato può essere composto da Senatori eletti in via indiretta, ma con vincolo di mandato come accade nel Bundesrat tedesco, sostituendo anche la Conferenza Stato-Regioni, o può essere organo politico eletto con democrazia diretta dai cittadini. Qualunque forma ibrida costituirebbe un tradimento della volontà popolare. Concorre, nei casi e secondo modalità stabilite dalla Costituzione, alla funzione legislativa ed esercita la funzione di raccordo tra lo Stato e le Regioni, le Città metropolitane e i Comuni. Partecipa alle decisioni dirette alla formazione e all'attuazione degli atti normativi dell'Unione europea. Esercita le funzioni di valutazione dell'attività delle pubbliche amministrazioni, di verifica dell'attuazione delle leggi dello Stato, nonché di controllo e di valutazione delle politiche pubbliche. Esprime pareri vincolanti sulle nomine di competenza del Governo;
3. l'esercizio della funzione legislativa in materie di competenza esclusiva statale, ad esclusione di quelle in materia di ordine pubblico e sicurezza (salva la polizia amministrativa locale), di quelle in materia di cittadinanza, stato civile e anagrafi, giurisdizione e norme processuali, ordinamento civile e penale, giustizia amministrativa (salva l'organizzazione della giustizia di pace), può essere conferito ad una o più Regioni, anche su richiesta delle stesse, previa intesa con le Regioni interessate, in presenza di una dimensione territoriale ottimale, definita anche da intese fra le Regioni, e purché la Regione assicuri l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio. In tali casi la legge disciplina l'esercizio delle funzioni amministrative; il riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le Regioni è ridefinito, nel senso di attribuire alla Stato la competenza esclusiva nelle seguenti materie: a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l'Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea; b) immigrazione; c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose; d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi; e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; coordinamento generale della finanza pubblica e del sistema tributario; perequazione delle risorse finanziarie; f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo; g) ordinamento e organizzazione dello Stato e degli enti pubblici nazionali; disciplina generale sul procedimento amministrativo; Pag. 140h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale; i) cittadinanza, stato civile e anagrafi; l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa; m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; disposizioni generali per la tutela della salute, la sicurezza alimentare e la sicurezza del lavoro; n) ordinamento scolastico; istruzione universitaria e programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica; o) previdenza sociale, ivi compresa la previdenza complementare e integrativa; p) legislazione elettorale e norme di principio sull'ordinamento e sulle funzioni degli enti locali; q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale; programmazione strategica del commercio con l'estero; r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale; opere dell'ingegno; s) tutela dell'ambiente, ecosistema, beni culturali e paesaggistici; norme di principio sulle attività culturali, sul turismo e sull'ordinamento sportivo; t) ordinamento delle professioni intellettuali e della comunicazione; u) disposizioni generali sull'edilizia; coordinamento nazionale del sistema di protezione civile; v) produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell'energia; z) infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e di navigazione di interesse nazionale e relative norme di sicurezza; porti e aeroporti civili, di interesse nazionale e internazionale; spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia e funzione non espressamente riservata alla legislazione esclusiva dello Stato, con particolare riferimento alle seguenti materie: ordinamento della Regione; governo del territorio e urbanistica; pianificazione e dotazione infrastrutturale del territorio regionale e mobilità al suo interno; promozione dello sviluppo economico locale, scientifico e tecnologico nei diversi settori; mercato e politiche del lavoro; turismo; valorizzazione dei beni culturali e ambientali; attività culturali; organizzazione dei servizi alle imprese; tutela della salute e organizzazione dei servizi sanitari; protezione civile; servizi sociali; organizzazione dei servizi scolastici, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche; diritto allo studio anche universitario; istruzione e formazione professionale; coordinamento della finanza locale e forme associative degli enti locali; coordinamento degli enti di area vasta; seno fissate le procedure con cui, nel rispetto del principio di collaborazione e dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, sono determinate le funzioni attribuite allo Stato e quelle attribuite alle Regioni. Spetterà alla legge regionale, con l'assenso del Consiglio delle autonomie locali, individuare le funzioni amministrative da conferire ai Comuni nelle materie di loro competenza legislativa;
4. Revisione delle modalità previste dal testo attuale relativamente alla dichiarazione dello «Stato di Guerra»: benché sia oggi relegata alla categoria degli eventi improbabili, è un elemento di eccezionale gravità che deve essere normato con attenzione in una Carta Costituzionale per sua natura destinata a durare nel tempo. Lo Stato di Guerra non può essere lasciato ad una deliberazione a maggioranza semplice della sola Camera dei Deputati, soprattutto se, come pare sia nelle intenzioni del Governo, potrebbe essere attribuito un premio di maggioranza spropositato al partito di maggioranza relativa che si ritroverebbe a poter prendere da solo una simile posizione; dovrebbe invece annoverarsi tra le decisioni da prendere congiuntamente al Senato o perlomeno con maggioranze aggravate di due terzi dei componenti della Camera.
Sovranità popolare;
5. i senatori sono eletti a suffragio universale contestualmente all'elezione dei Consigli regionali e dei Consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano. Contestualmente in ciascuna regione e provincia autonoma il numero dei consiglieri Pag. 141è ridotto in misura non inferiore ai rispettivi senatori spettanti; come abbiamo detto in precedenza, l'elezione diretta è coerente con la funzione politica del Senato. L'unica alternativa è quella di avere un Senato costituito da rappresentanti delle autonomie ma con vincolo di mandato;
6. elezione a suffragio universale del Presidente della Repubblica;
7. abbassamento del numero di sottoscrizioni necessarie per referendum da 800000 a 500000 e leggi di iniziativa popolare da 250000 a 100000, introduzione del referendum deliberativo sul modello svizzero (introducendo ex articolo 71 della Costituzione Su iniziativa di almeno 500.000 elettori la possibilità di presentare alle Camere disegni di legge redatti in articoli, affinché siano esaminati ai sensi del primo comma. Ciascun disegno di legge, qualora le Camere non ne concludano l'esame entro sei mesi ovvero lo respingano è sottoposto a referendum popolare deliberativo);
8. con lo strumento dei decreti legge non possono essere istituiti nuovi tributi, né prevedere l'applicazione di tributi esistenti ad altre categorie di soggetti.
Meno spesa pubblica;
9. riduzione del numero dei deputati da 630 a 500.
Ridimensionamento ingerenza Unione Europea;
10. possibilità di referendum sui trattati internazionali e comunitari;
11. enti territoriali non vincolati dal patto di stabilità europeo.
Queste a nostro avviso le modifiche indispensabili per arrivare ad un testo di riforma di respiro costituente, destinato a durare nel tempo e a mantenersi adeguato ed efficace di fronte ai mutamenti sociali, istituzionali ed economici degli anni a venire.
Senza tali modifiche, avremo di fronte il risultato misero e involutivo di un nuovo assetto costituzionale Presidenzialista ma soprattutto neo centralista, perché non adeguatamente declinato in un federalismo compiuto.
VOTAZIONI QUALIFICATE EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO
INDICE ELENCO N. 1 DI 1 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 6) | ||||||||||
Votazione | O G G E T T O | Risultato | Esito | |||||||
Num | Tipo | Pres | Vot | Ast | Magg | Fav | Contr | Miss | ||
1 | Nom. | Ris. Speranza e a. n. 6-100 | 490 | 488 | 2 | 245 | 312 | 176 | 44 | Appr. |
2 | Nom. | Ris. Brunetta n. 6-101 | 487 | 469 | 18 | 235 | 58 | 411 | 44 | Resp. |
3 | Nom. | Ris. Kronbichler e a. n. 6-102 | 486 | 407 | 79 | 204 | 24 | 383 | 44 | Resp. |
4 | Nom. | Ris. Pini G. e a. n. 6-103 | 487 | 356 | 131 | 179 | 24 | 332 | 44 | Resp. |
5 | Nom. | Ris. Battelli e a. n. 6-104 1a p. | 488 | 488 | 245 | 79 | 409 | 45 | Resp. | |
6 | Nom. | Ris. Battelli e a. n. 6-104 2a p. | 487 | 485 | 2 | 243 | 79 | 406 | 44 | Resp. |
F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M = Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui è mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi è premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.