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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Venerdì 16 gennaio 2015

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 16 gennaio 2015.

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Amici, Bellanova, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cirielli, Colonnese, Costa, Dambruoso, De Girolamo, De Menech, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Lorenzin, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Mannino, Merlo, Nicoletti, Orlando, Pisicchio, Pistelli, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scotto, Sereni, Sisto, Speranza, Tabacci, Velo, Vignali, Villarosa, Vito, Zanetti.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Amici, Bellanova, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cirielli, Colonnese, Costa, Dambruoso, De Girolamo, De Menech, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Lorenzin, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Mannino, Merlo, Nicoletti, Orlando, Pisicchio, Pistelli, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scotto, Sereni, Sisto, Speranza, Tabacci, Velo, Vignali, Villarosa, Vito, Zanetti.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 15 gennaio 2015 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   ASCANI: «Definizione dei princìpi fondamentali, delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di diritto allo studio, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettere m) e n), e terzo comma, della Costituzione» (2821);
   CRIMÌ e LENZI: «Disposizioni per il potenziamento del sistema delle specializzazioni mediche e dell'area sanitaria» (2822).

  Saranno stampate e distribuite.

Adesione di deputati a proposte di legge.

  La proposta di legge DALLAI ed altri: «Disposizioni per la valorizzazione e la salvaguardia della “Via Francigena”» (294) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Beni.

  La proposta di legge CAPEZZONE: «Proroga del termine per l'esercizio della delega legislativa di cui alla legge 11 marzo 2014, n. 23, in materia di delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita» (2729) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Bernardo.

  La proposta di legge CAUSI e SOTTANELLI: «Proroga del termine per l'esercizio della delega legislativa di cui alla legge 11 marzo 2014, n. 23, in materia di delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita» (2772) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Bernardo e Gebhard.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
   I Commissione (Affari costituzionali):
  RAMPELLI e GIORGIA MELONI: «Modifiche alla legge 30 marzo 2004, n. 92, recante istituzione del “Giorno del ricordo” in memoria delle vittime delle foibe, dell'esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati» (2695) Parere delle Commissioni III, V e VII.
   II Commissione (Giustizia):
  GITTI ed altri: «Introduzione della sezione VI-bis del capo XVII del titolo III del libro quarto del codice civile, concernente la disciplina del contratto di locazione finanziaria» (2766) Parere delle Commissioni I e VI;
  DORINA BIANCHI: «Modifiche agli articoli 240 e 318 del codice penale in materia di confisca e di corruzione per l'esercizio della funzione» (2771) Parere della I Commissione.
   VI Commissione (Finanze):
  COVA ed altri: «Introduzione dell'articolo 5-bis della legge 14 agosto 1991, n. 281, concernente l'introduzione di un tributo sulla detenzione di cani non sterilizzati» (2745) Parere delle Commissioni I, IV, V, XII, XIII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
   VII Commissione (Cultura):
  COCCIA ed altri: «Modifiche agli articoli 2 e 10 della legge 23 marzo 1981, n. 91, in materia di applicazione del principio di parità tra i sessi nel settore sportivo professionistico» (2707) Parere delle Commissioni I, V, XI e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
  MURA: «Modifiche al codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in materia di individuazione dei beni culturali oggetto di tutela» (2724) Parere delle Commissioni I, V e VIII;
  TAGLIALATELA: «Disposizioni per la valorizzazione dei beni culturali non fruibili mediante affidamento in concessione a privati» (2757) Parere delle Commissioni I, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VIII, X, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
  D'OTTAVIO ed altri: «Istituzione della Giornata nazionale della sicurezza nelle scuole» (2758) Parere delle Commissioni I, V, XII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
   VIII Commissione (Ambiente):
  RAMPELLI: «Istituzione del Parco nazionale dell'Appia Antica» (2701) Parere delle Commissioni I, V, VI, VII, X, XI e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
   XIII Commissione (Agricoltura):
  PARENTELA ed altri: «Modifica all'articolo 4 della legge 3 febbraio 2011, n. 4, in materia di indicazione delle sedi degli stabilimenti di produzione e di confezionamento nelle etichette dei prodotti alimentari» (2762) Parere delle Commissioni I, II, V, X e XIV.

Trasmissione dalla Corte dei conti.

  Il Presidente della Corte dei conti, con lettera in data 12 gennaio 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7, comma 7, della legge 5 giugno 2003, n. 131, la relazione, approvata dalla Sezione delle autonomie della Corte stessa in data 18 dicembre 2014, sulla gestione finanziaria degli enti territoriali per l'esercizio 2013 (Doc. XLVI, n. 3).

  Questa relazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla V (Bilancio).

Trasmissione dal Ministro dell'economia e delle finanze.

  Il Ministro dell'economia e delle finanze, con lettera in data 13 gennaio 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 14, comma 4, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, la relazione sul conto consolidato di cassa delle amministrazioni pubbliche, comprensiva del raffronto con i risultati del precedente biennio, aggiornata al 30 settembre 2014 (Doc. XXV, n. 6).

  Questa relazione è trasmessa alla V Commissione (Bilancio).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 15 gennaio 2015, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, la proposta di decisione di esecuzione del Consiglio che autorizza il Regno Unito ad applicare livelli di tassazione differenziati su taluni carburanti per motori in determinate zone geografiche in conformità alla direttiva 2003/96/CE (COM(2015) 4 final), che è assegnata, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alla VI Commissione (Finanze), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

  Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 15 gennaio 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 1 e 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.
  Tali atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

INTERPELLANZE URGENTI

Chiarimenti in ordine alle notizie di stampa relative ad un accordo multilaterale, noto come Tisa, volto alla liberalizzazione di servizi essenziali – 2-00798

A)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   in un articolo apparso sul settimanale l'Espresso del 19 giugno 2014 si denunciava l'esistenza di un accordo segreto per il «liberismo selvaggio»;
   tale scelta si dedurrebbe all'interno del Tisa (Trade in services agreement), trattato internazionale teso a liberalizzare totalmente i servizi essenziali come banche, sanità, trasporti, istruzione e che sarebbe stato redatto su pressioni di grandi lobby e multinazionali;
   l'Espresso ha potuto rivelare parte dei contenuti di tale trattato grazie a WikiLeaks, l'organizzazione di Julian Assange;
   il nostro Paese starebbe negoziando tale trattato attraverso la Commissione europea ed è facilmente comprensibile quali e quanti siano gli interessi in gioco e come una tale ipotesi potrebbe colpire gli interessi delle popolazioni a livello mondiale;
   a sedere al tavolo delle trattative del Tisa sarebbero i Paesi che hanno i mercati del settore dei servizi più grandi del mondo: Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda, Canada, i 28 Paesi dell'Unione europea, più Svizzera, Islanda, Norvegia, Liechtenstein, Israele, Turchia, Taiwan, Hong Kong, Corea del Sud, Giappone, Pakistan, Panama, Perù, Paraguay, Cile, Colombia, Messico e Costa Rica;
   tra i maggiori sponsor del trattato vi sarebbe la «Coalition of services industries», lobby americana che porta avanti un'agenda di privatizzazione dei servizi, dove Stati e Governi sono semplicemente visti come un intralcio al business: «Dobbiamo supportare la capacità delle aziende di competere in modo giusto e secondo fattori basati sul mercato, non sui governi», scrive la «Coalition of services industries» nei suoi comunicati a favore del Tisa, documenti che sono tra i pochissimi disponibili per avere un'idea delle manovre in corso;
   non esiste alcuna bozza del trattato se non le parti che sono state rese pubbliche da WikiLeaks e che dimostrerebbero l'esistenza di negoziazioni in materia di servizi bancari, prodotti finanziari e assicurazioni;
   quello che appare, sin da subito, inquietante è la segretezza di tali trattative: «Questo documento deve essere protetto dalla rivelazione non autorizzata, ma può essere inviato per posta, trasmesso per e-mail non secretata o per fax, discusso su linee telefoniche non sicure e archiviato su computer non riservati. Deve essere conservato in un edificio, stanza o contenitore chiusi o protetti». E il documento potrà essere desecretato «dopo cinque anni dall'entrata in vigore del Tisa e, se non entrerà in vigore, cinque anni dopo la chiusura delle trattative»;
   ancora una volta si starebbero prendendo decisioni fondamentali per il destino di milioni di persone in «segrete stanze» sia per evitare conflitti tra interessi diversi a livello globale, sia per frenare le eventuali rivolte sociali che i temi e le decisioni, eventualmente adottate, potrebbero determinare;
   il Tisa sarebbe la logica conseguenza del fallimento del «Doha Round», negoziati interni al WTO che fallirono per i contrasti tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo e la «segretezza» delle trattative sarebbe la dimostrazione delle forti preoccupazioni esistenti per le possibili proteste che potrebbero nuovamente esplodere;
   secondo Jane Kelsey, professoressa di legge dell'università di Auckland, Nuova Zelanda, nota per il suo approccio critico alla globalizzazione, ciò che emerge dalla bozza resa pubblica è che: «(...) i governi che aderiranno al Tisa rimarranno vincolati ed amplieranno i loro attuali livelli di deregolamentazione della finanza e delle liberalizzazioni, perderanno il diritto di conservare i dati finanziari sul loro territorio, si troveranno sotto pressione affinché approvino prodotti finanziari potenzialmente tossici e si troveranno ad affrontare azioni legali, prenderanno misure precauzionali per prevenire un'altra crisi»;
   l'articolo undici del testo fatto filtrare da WikiLeaks non lascia dubbi su come i dati delle transazioni finanziarie siano al centro delle mire e delle agende dei Paesi che trattano il Tisa;
   le posizioni sarebbero, attualmente, divergenti con l'Europa che richiede che «nessun paese parte delle trattative adotti misure che impediscano il trasferimento o l'esame delle informazioni finanziarie, incluso il trasferimento di dati con mezzi elettronici, da e verso il territorio del paese in questione». L'Unione europea precisa che, nonostante questa condizione, il diritto da parte di uno Stato che aderisce al Tisa di proteggere i dati personali e la privacy rimarrà intatto «a condizione che tale diritto non venga usato per aggirare quanto prevede questo accordo». Panama, invece, mette le mani avanti e chiede di specificare che «un paese parte dell'accordo non sia tenuto a fornire o a permettere l'accesso a informazioni correlate agli affari finanziari e ai conti di un cliente individuale di un'istituzione finanziaria o di un fornitore cross-border di servizi finanziari». Gli Stati Uniti, invece, sono netti: i Paesi che aderiscono all'accordo permetteranno al fornitore del servizio finanziario di trasferire dentro e fuori dal loro territorio, in forma elettronica o in altri modi, i dati. Punto. Nessuna precisazione sulla privacy, da parte degli Stati Uniti;
   l'Espresso dichiara, inoltre di avere contratto il «Public services international» (Psi), una federazione globale di sindacati che rappresentano 20 milioni di lavoratori nei servizi pubblici di 150 Paesi del mondo. L'italiana Rosa Pavanelli, prima donna alla guida del Psi, ha affermato di non avere alcun dubbio sul fatto che le negoziazioni del Tisa mirino a investire tutti i servizi, non solo quelli finanziari, quindi anche «sanità, istruzione e tutto il discorso della trasmissione dei dati» e che «L'Italia, come la maggior parte dei Paesi europei, ha delegato alla Commissione europea le trattative»;
   appare inammissibile che su tematiche così delicate e determinanti per il futuro di milioni di persone si tenti di arrivare ad accordi «segretati» tenendo all'oscuro l'opinione pubblica mondiale –:
   se corrispondano al vero le notizie pubblicate dal settimanale l'Espresso;
   se corrisponda al vero che all'interno di questo negoziato vi sarebbe anche l'istruzione e la sanità e se non si ritenga, nel caso, che su tali questioni fondamentali per la giustizia sociale e la stessa democrazia non siano ammissibili accordi internazionali che si possano porre in contrasto con le norme dei singoli Paesi;
   se non si ritenga necessario rigettare l'ipotesi di affrontare e definire nuove regole finanziarie lontano dall'Organizzazione mondiale del commercio e che soprattutto, visto gli effetti devastanti della crisi che ha investito l'intera economia mondiale, non si possa pensare neanche lontanamente di decidere in materia sotto la spinta delle lobby economiche che gestiscono il sistema dei servizi e delle multinazionali;
   se non si ritenga necessario rafforzare le regole nel settore finanziario affinché non si creino le basi per alimentare una nuova crisi economica globale che potrebbe affossare tutti gli sforzi, sin qui compiuti, per cercare di uscire dalla crisi;
   se siano coinvolti altri settori quali i servizi finanziari e assicurativi e se siano in discussione aspetti concernenti la privacy dei cittadini europei, e in quale maniera il Governo intenda operare per salvaguardare tale privacy.
(2-00798) «Zaccagnini, Kronbichler, Paglia, Scotto, Palazzotto, Marcon, Fitzgerald Nissoli».


Intendimenti per predisporre nuove linee guida volte a contrastare la legionellosi – 2-00799

B)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   la legionellosi, patologia letale con una media del 16 per cento dei casi, è una forma di polmonite batterica il cui contagio, trasmissibile per via aerea, interessa in particolar modo soggetti immunodepressi e quindi maggiormente esposti a rischio;
   l'infezione si contrae per inalazione di acqua nebulizzata contaminata dal batterio della legionella. Pertanto gli impianti di condizionamento, gli impianti idrici delle docce e perfino le vasche idromassaggio, costituiscono dei siti favorevoli per la diffusione del batterio;
   negli ultimi anni, sia in Italia che all'estero, si è registrato un significativo aumento dei casi in particolare nell'ambito delle strutture ospedaliere e in quelle residenziali per anziani;
   poiché la legionellosi è caratterizzata da un alto tasso di mortalità, anche in conseguenza della debolezza dei soggetti, esposti a rischio, in Italia è una malattia soggetta a obbligo di notifica nella classe II (decreto ministeriale 15 dicembre 1990), ma dal 1983 viene anche sorvegliata da un sistema di segnalazione;
   i metodi di prevenzione della legionellosi attualmente utilizzati sono principalmente lo shock termico e l'iperclorazione delle acque;
   il primo si è rivelato scarsamente efficace, a causa della difficoltà di portare a temperatura sufficientemente elevata l'acqua contenuta in impianti idrici spesso obsoleti o troppo ampi. Il secondo si caratterizza per effetti negativi su una parte delle attrezzature e degli impianti e soprattutto per l'alterazione dell'acqua destinata al consumo umano ben oltre i limiti consentiti dalla legge. È purtroppo frequente e assolutamente paradossale che negli ospedali, a seguito di iperclorazione anti legionella, venga esposto il cartello «acqua non potabile»;
   le «Linee guida per la prevenzione e il controllo della legionellosi», attualmente vigenti furono approvate nell'anno 2000 e da allora non sono state aggiornate, mentre si registra soltanto un progetto di ricerca, avviato nel 2007, dal Ministro della salute che peraltro non si è tradotto in indicazioni operative;
   è presumibile che grazie ai progressi tecnologici degli ultimi anni siano disponibili tecnologie che consentano di eliminare le colonie di legionella senza gli inconvenienti sopra ricordati –:
   se non ritenga opportuno istituire un tavolo di lavoro, utilizzando le migliori competenze del settore, finalizzato a predisporre nuove linee guida, in grado di affrontare, con mezzi e misure adeguate, la legionellosi in modo più appropriato ed efficace.
(2-00799) «Monchiero, Mazziotti Di Celso».


Chiarimenti e iniziative in merito alla compatibilità del meccanismo d'azione dei cosiddetti contraccettivi di emergenza con principi e norme dell'ordinamento – 2-00800

C)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   lo Stato italiano, attraverso le sue leggi, finalizza la procreazione responsabile alla tutela della salute della donna e del prodotto del concepimento (all'articolo 1, comma 1, lettera c), della legge n. 405 del 1975). Questa tutela è ribadita anche all'articolo 1, comma 1, della legge n. 194 del 1978 che, pur permettendo l'aborto in casi che dovrebbero essere eccezionali, proclama la tutela della vita umana dal suo inizio, cioè dal concepimento e non dall'inizio della «gravidanza» (che l'Organizzazione mondiale della sanità, per convenzione, fa decorrere dall'impianto in utero). La legge n. 40 del 2004, da ultimo, all'articolo 1, comma 1, riconosce al concepito nelle procedure di fecondazione assistita le tutele che garantisce ai suoi genitori (passaggio mai modificato da alcuno dei numerosi interventi della Corte costituzionale);
   è quindi importante sapere se i farmaci utilizzati per la contraccezione d'emergenza, il Levonorgestrel (LNG, Norlevo) e l'Ulipristal Acetato (UPA, ellaOne), agiscano sempre prevenendo il concepimento o anche attraverso altri meccanismi di azione e se il loro uso sia, di conseguenza, sempre compatibile con le leggi e, prima ancora, con i princìpi che le fondano;
   un'informazione corretta sul meccanismo d'azione di questi farmaci appare dunque doverosa ed è presupposto indispensabile perché siano pienamente liberi sia il consenso informato al loro utilizzo da parte della donna, sia la scelta professionale del medico in merito alla loro prescrizione;
   la libertà di coscienza del medico e di tutti gli operatori sanitari è un bene costituzionalmente rilevante ed essa non può prescindere da un'informazione corretta (Cnb pronunciamento 12 luglio 2012);
   per contraccezione d'emergenza si intende l'assunzione di farmaci a seguito di un rapporto sessuale non protetto avvenuto nel periodo fertile del ciclo mestruale e cioè nei 4-5 giorni che precedono l'ovulazione e nel giorno dell'ovulazione stessa: solo in tali giorni, infatti, il muco cervicale consente il passaggio agli spermatozoi. Fra essi, il giorno più fertile, cioè quello in cui la probabilità di concepire è più alta, è il giorno che precede l'ovulazione, seguito dal giorno ancora precedente e dal giorno stesso dell'ovulazione. In questi tre giorni è anche massima l'incidenza di rapporti sessuali, sia protetti, sia non protetti;
   assumere questi farmaci costituisce un tentativo estremo che si trova a fare i conti con il fatto che, grazie al muco fertile, gli spermatozoi hanno già attraversato il collo dell'utero e in buona parte hanno anche già raggiunto la tuba e che l'ovulazione è ormai prossima;
   per evitare che clinicamente compaia una gravidanza si può impedire in extremis che avvenga l'ovulazione e cioè prevenire il concepimento, oppure fare in modo che il figlio concepito non trovi all'interno dell'utero il terreno accogliente di cui ha bisogno;
   la differenza sostanziale fra le due ipotesi è chiara: nel primo caso non si giunge al concepimento, nel secondo viene attivamente soppresso l'embrione ancora prima che si manifesti la sua presenza;
   i farmaci attualmente utilizzati nella contraccezione d'emergenza sono il Levonorgestrel (LNG, Norlevo), un potente progestinico sintetico, e l'Ulipristal Acetato (UPA, ellaOne), un potente antiprogestinico sovrapponibile per caratteristiche chimiche al Mifepristone (RU486, Myfegyne);
   l'azienda produttrice (HRA Pharma), la Food and Drugs Administration degli Stati Uniti (USFDA), l'Agenzia europea dei medicinali (EMA), le più rappresentative società scientifiche internazionali e nazionali dei ginecologi sostengono e divulgano che i contraccettivi d'emergenza prevengono o ritardano l'ovulazione e quindi impediscono il concepimento, senza interferire in alcun modo con l'annidamento;
   la realtà dei fatti che si evince dagli studi sperimentali è, invece, profondamente diversa;
   per tutti i riferimenti bibliografici riguardanti tali studi, si rimanda alla position paper della SIPRe – Società italiana procreazione responsabile – al sito: http://www.sipre.eu;
   gli studi sperimentali, inclusi quelli che hanno portato all'approvazione dei due farmaci, evidenziano che Norlevo ed ellaOne non sono in grado di prevenire con certezza il concepimento, se non quando vengano assunti proprio all'inizio del periodo fertile. Nei giorni fertili successivi, infatti, e soprattutto nei giorni più prossimi alla liberazione dell'ovocita, questi farmaci non hanno più alcun effetto sull'ovulazione e sul concepimento, mentre rendono l'endometrio inospitale per l'embrione. I giorni fertili più prossimi all'ovulazione sono, peraltro, i giorni più fertili del ciclo mestruale e sono anche quelli in cui statisticamente sembrano concentrarsi il maggior numero di rapporti sessuali e in cui si verificano il maggior numero di concepimenti;
   per quanto riguarda Norlevo, ogni compressa contiene 1.5 mg di Levonorgestrel, da assumersi per via orale in unica dose. Il farmaco viene presentato come contraccettivo di emergenza da utilizzare entro 72 ore dal rapporto sessuale non protetto, evidentemente avvenuto in uno dei giorni fertili pre-ovulatori. L'efficacia del trattamento, tuttavia, sembra persistere fino a 96 ore senza riduzione significativa;
   la Federazione internazionale dei ginecologi e ostetrici (FIGO) e il Consorzio internazionale per la contraccezione d'emergenza (ICEC) nei loro statement ufficiali congiunti del 2008, del 2011 e del 2012, «How do Levonorgestrel-only emergency contraceptive pills (LNG ECPs) work to prevent pregnancy?», affermano che il Levonorgestrel agisce posticipando o inibendo l'ovulazione e che quindi previene il concepimento senza interferire con l'annidamento di un embrione eventualmente concepito;
   in realtà, proprio dagli studi citati a sostegno di queste affermazioni, appare evidente che la maggioranza delle donne studiate ovula regolarmente quando assume il farmaco nella fase pre-ovulatoria avanzata, che comprende anche i giorni più fertili del ciclo. Gli studi citati, oltre a evidenziare che le donne ovulano, dimostrano anche che in queste stesse donne il Levonorgestrel – somministrato nel periodo fertile pre-ovulatorio – impedisce la formazione di un corpo luteo adeguato, rendendo insufficiente la produzione di quegli ormoni (progesterone in particolare) che hanno il compito di preparare l'endometrio all'impianto. Ne consegue l'impossibilità per l'embrione di annidarsi;
   va segnalato, tuttavia, che LNG, assunto nei giorni fertili, è comunque molto efficace: esso previene il 70 per cento delle gravidanze, pur essendo incapace di inibire l'ovulazione proprio nei giorni più fertili del ciclo, quelli in cui si concentrano il maggior numero di rapporti e di concepimenti. In uno studio, in particolare, oltre il 70 per cento delle pazienti trattate con Norlevo nei giorni fertili pre-ovulatori ovularono normalmente al momento previsto, senza però che poi comparisse alcuna gravidanza a seguito dei rapporti sessuali non protetti. Evidentemente la ragione del successo del Norlevo risiede in altro: le modificazioni indotte nell'endometrio che lo rendono inadatto all'annidamento dell'embrione;
   gli studi di coorte, a ulteriore conferma, dimostrano con estrema chiarezza che è proprio la somministrazione del Levonorgestrel nel periodo pre-ovulatorio a impedire che compaiano gravidanze clinicamente evidenti e, dal momento che l'ovulazione non viene impedita e il concepimento può normalmente seguire, l'effetto contraccettivo sarà necessariamente post-concezionale;
   malgrado tali evidenze, gli esperti della Figo sostengono che il Levonorgestrel non impedisce l'annidamento e lo esplicitano in tutte le successive edizioni degli statement. Per dimostrarlo si rifanno a due studi che utilizzano colture di tessuto endometriale prelevato da donne fertili con cicli normali, che non avevano ricevuto alcun trattamento ormonale;
   in particolare, nei due studi citati vengono utilizzate colture da endometrio luteale prelevato cinque giorni dopo l'ovulazione, cioè nel periodo di sua massima recettività. In questo endometrio del tutto ospitale vengono impiantati embrioni. La presenza in coltura del Levonorgestrel consentirebbe l'impianto del 45 per cento degli embrioni;
   anche volendo accettare che il Levonorgestrel, aggiunto in coltura, non interferisca con l'annidamento, va ribadito, tuttavia, che in questi studi viene utilizzato endometrio normale ottenuto da pazienti che non avevano assunto alcun trattamento ormonale; non si utilizza endometrio prelevato da pazienti trattate con Levonorgestrel nei giorni fertili pre-ovulatori. La sola cosa che questi studi consentono di affermare è che il Levonorgestrel, somministrato cinque giorni dopo il concepimento, in piena e normale fase luteale, non impedisce un annidamento che sia già in corso; ma non sono certo questi i giorni in cui viene raccomandato il ricorso alla contraccezione d'emergenza;
   per quanto riguarda ellaOne, ogni compressa contiene 30 mg di Ulipristal Acetato nella sua forma micronizzata, da assumersi per via orale in unica dose. È unanimemente riconosciuto che 30 mg di UPA micronizzato equivalgono a 50 mg di UPA non micronizzato, il principio attivo somministrato in capsule di gelatina che era stato utilizzato nelle precedenti sperimentazioni cliniche;
   l'azienda produttrice, HRA Pharma, sostiene che ellaOne, somministrato nel periodo fertile del ciclo mestruale, abbia la capacità di posticipare l'ovulazione e quindi impedisca l'incontro di uovo e spermatozoo. Il farmaco avrebbe la capacità di inibire l'ovulazione e di differirla di cinque giorni anche quando venisse assunto immediatamente prima dell'ovulazione, e agirebbe con efficacia immutata anche se assunto fino a cinque giorni dopo il rapporto non protetto;
   questa posizione ufficiale, che si basa su un unico studio che valuta l'effetto di ellaOne sull'ovulazione, quello di Brache appena citato, è fatta propria in toto e così divulgata da ICEC e FIGO (http://sigo.it);
   benché il numero di donne valutate sia esiguo, solo 34, esse vengono considerate dapprima complessivamente e quindi stratificate in tre gruppi a seconda che ricevano Ulipristal prima che LH inizi ad aumentare (inizio del periodo fertile), oppure durante la fase di incremento di LH, (secondo-terzo giorno fertile del ciclo) o, ancora, dopo che il picco di LH è stato raggiunto: le 24-48 ore pre-ovulatorie e giorno dell'ovulazione, corrispondenti agli ultimi giorni, i più fertili, del ciclo mestruale;
   la valutazione complessiva evidenzia che l'assunzione di ellaOne nel periodo fertile del ciclo mestruale inibisce o posticipa l'ovulazione complessivamente nel 58,8 per cento delle donne. Questo significa che il 41,2 per cento delle donne trattate nel periodo fertile ovulano regolarmente e possono concepire;
   la successiva valutazione dell'efficacia anti-ovulatoria di ellaOne in relazione al momento di assunzione del farmaco, nelle tre diverse fasi del periodo fertile, evidenzia che l'ovulazione risulta costantemente ritardata soltanto nelle otto donne trattate all'inizio del periodo fertile. Se l'ormone LH ha già iniziato a crescere l'ovulazione è ritardata nel 78 per cento dei casi: in undici donne su quattordici (tre donne ovulano e possono concepire). Nelle pazienti in cui il picco di LH è già stato raggiunto l'ovulazione è ritardata in un solo caso su dodici: il 92 per cento delle donne studiate ovula e può dunque concepire;
   l'autrice stessa dell'articolo, nel paragrafo dei risultati, precisa che al picco di LH, uno-due giorni prima dell'ovulazione, il farmaco non ha più alcuna capacità di impedirla e funziona esattamente come un placebo. Si tratta, come detto, dei giorni più fertili del ciclo, quelli in cui si verifica il maggior numero di concepimenti; i giorni nei quali un farmaco con una efficacia «contraccettiva» costantemente superiore all'80 per cento dovrebbe inibire l'ovulazione con la massima efficacia se il suo effetto fosse riconducibile a una azione anti-ovulatoria;
   è dimostrato invece, come si è visto, che ellaOne, assunto nel periodo più fertile del ciclo e cioè uno-due giorni prima dell'ovulazione, non agisce con meccanismo anti-ovulatorio. La sua capacità di inibire l'ovulazione, infatti, è massima (100 per cento) solo all'inizio del periodo fertile; successivamente si riduce in modo rapido e progressivo fino a quasi azzerarsi (8 per cento) nei due giorni pre-ovulatori. Nonostante questo, la sua efficacia, superiore all'80 per cento, non si riduce nel tempo: sia che il farmaco sia assunto nel primo giorno dopo il rapporto a rischio, sia che esso sia assunto invece nel secondo, nel terzo, nel quarto o addirittura nel quinto giorno dopo il rapporto stesso, l'efficacia nel prevenire la gravidanza indesiderata si mantiene costantemente elevata;
   se il meccanismo contraccettivo fosse davvero correlato all'inibizione dell'ovulazione ci si attenderebbe un progressivo calo della sua efficacia col passare dei giorni, man mano che il momento dell'ovulazione si approssima. Invece l'efficacia di ellaOne rimane costantemente elevata. Ciò evidenzia che il meccanismo contraccettivo va ricondotto ad altro, in particolare alla sua azione di inibizione dell'endometrio;
   l'assunzione di una sola dose di Ulipristal, infatti, altera profondamente la recettività del tessuto endometriale, sia che essa avvenga a metà della fase follicolare, prima ancora che inizino i giorni fertili, sia che essa avvenga a metà ciclo nei giorni immediatamente successivi all'ovulazione (a concepimento avvenuto), sia che essa avvenga, infine, a metà della fase luteale, proprio nei giorni in cui l'embrione dovrebbe annidarsi;
   l'effetto inibitorio sulla maturazione dell'endometrio è diretto ed è legato all'inibizione dei recettori tissutali per il progesterone (è esattamente lo stesso meccanismo con cui agisce la pillola RU486). In sostanza, ellaOne occupa quelle strutture cellulari alle quali il progesterone dovrebbe legarsi per poter espletare la sua funzione pro-gestazione. Il progesterone è presente ma non può agire, venendo meno così l'espressione di quelle proteine che rendono l'endometrio ospitale e l'organismo materno accogliente nei confronti del figlio;
   questi effetti sono sovrapponibili a quelli osservati dopo somministrazione di Mifepristone (RU486), la pillola utilizzata per interrompere la gravidanza, ma UPA è efficace a dosaggi ancora inferiori;
   questa inibizione si osserva anche quando alla donna vengono somministrati dosaggi di Ulipristal sensibilmente più bassi di quanto è contenuto nella pillola ellaOne: per rendere l'endometrio ostile all'embrione bastano dosi anche cinque volte inferiori a quelle assunte, con scarso successo, a fini anti-ovulatori. È documentato, infatti, che la soglia di farmaco sufficiente per alterare l'endometrio è inferiore a quella richiesta per interferire col normale sviluppo dei follicoli ovarici. Negli studi sperimentali, già alle dosi di 50 e 100 mg, UPA non micronizzato determina una riduzione nello spessore endometriale e un incremento dei recettori progestinici (che indicano il prevalere dell'effetto estrogenico), effetti che impediscono l'annidamento dell'embrione;
   quanto a ellaOne, la cui compressa contiene 30 mg di UPA micronizzato, occorre ribadire che tale dose equivale esattamente ai SO mg di UPA non micronizzato che sono stati somministrati nello studio della Stratton e che, di conseguenza, non può che avere gli stessi effetti anti-annidamento sull'endometrio;
   con ellaOne, dunque, l'endometrio sarà sempre inospitale ed ogni volta che avverrà un concepimento l'embrione, inevitabilmente, non potrà sopravvivere;
   in sintesi, le donne che assumono Ulipristal dopo un rapporto sessuale avvenuto nel periodo fertile del ciclo prevalentemente ovulano e possono concepire. Gli spermatozoi saranno già entrati e l'uovo viene liberato: nulla osta al concepimento. L'endometrio, però è irrimediabilmente compromesso, indipendentemente dal momento in cui Ulipristal venga assunto;
   d'altra parte, la grande e reclamizzata novità di ellaOne, presentata come «la pillola dei cinque giorni dopo», è proprio quella di essere totalmente efficace anche se presa cinque giorni dopo il rapporto sessuale avvenuto nel periodo fertile del ciclo. Se immaginiamo un rapporto sessuale avvenuto il giorno prima dell'ovulazione, con il concepimento entro le successive 24 ore (e quindi 48 ore dopo quel rapporto sessuale), come potrà invocarsi un'azione anti-ovulatoria e anticoncezionale per un agente chimico assunto con immutata efficacia fino a cinque giorni da quel rapporto e quindi fino a quattro giorni dopo l'ovulazione e fino a tre giorni dopo il concepimento ? Si avrà esclusivamente un'azione anti-annidamento;
   è evidente da tutte le considerazioni esposte che questi farmaci agiscono prevalentemente impedendo l'annidamento dell'embrione in utero, ma questo effetto non è compatibile, come si è detto all'inizio, con i principi fondamentali su cui si fondano le nostre leggi e la nostra stessa Costituzione;
   nel recente documento «Levonorgestrel and Ullpristal remain suitable emergency contraceptives for all women, regardless of bodyweight» (EMA/631408/2014), rilasciato dall'EMA il 30 settembre 2014 a seguito della «Artiche 31 referral procedure» relativa all'efficacia dei contraccettivi di emergenza nelle donne in sovrappeso, si è preteso di confermare per i contraccettivi di emergenza il solo meccanismo d'azione anti-ovulatorio. In quel documento, alla fine del capitolo diretto ai medici «Information to healthcare professionals», sono riportate sei voci bibliografiche. La referenza n. 6 di pagina 3 richiama, attualizzandolo, un precedente documento dell'EMA: «CHMP Assessment Report for Ellaone» (EMEA-261787-2009), dal quale si evince che EMA è ben consapevole del fatto che:
    a) l'efficacia di Ulipristal Acetato (UPA) e l'efficacia del Mifepristone (RU486) nell'interrompere la gravidanza nei primati sono equivalenti (pag. 10);
    b) nella contraccezione d'emergenza «alterazioni dell'endometrio possono contribuire all'efficacia di Ulipristal» (pagina 23), riconoscendosi così un meccanismo d'azione post-concezionale che, tuttavia, non viene mai riportato nel foglietto illustrativo di ellaOne;
    c) è concreta la possibilità che UPA sia utilizzato off-label per interrompere la gravidanza, ma non si riesce a immaginare come ciò possa essere evitato, se non, forse, attraverso un attento controllo delle prescrizioni (pagina 45) (quelle prescrizioni che EMA propone di eliminare);
   sono dati noti già dal 2009, epoca d'iniziale approvazione del prodotto ellaOne con procedura centralizzata EMA. Già da allora EMA sapeva cose che non ha ritenuto opportuno comunicare;
   i tre studi sull'endometrio che in questa interrogazione sono citati (due della Stratton e uno della Passaro) sono gli stessi richiamati nel documento EMA del 2009, esattamente a pagina 22: la sigla che li individua nella sperimentazione HRA Pharma è «HRA2914» seguita dal numero specifico. Sulla loro base è espressa la conclusione di pagina 23 che ammette un verosimile effetto post-concezionale, mai comunicato nei documenti informativi ufficiali;
   non sono seguiti, negli anni successivi, altri studi sperimentali. Tutti tre gli studi – evidentemente non superati – evidenziano che per deprimere l'endometrio e renderlo inospitale bastano dosaggi di Ulipristal Acetato largamente inferiori a quelli contenuti in ellaOne (Stratton «HRA2914-505». Human Reproduction 2000; 1092-1099, si veda pagina 1098, primo paragrafo della discussione). Ma questi studi evidenziano anche che, quanto a capacità di inibire la maturazione secretiva dell'endometrio, Ulipristal è praticamente sovrapponibile alla RU486 e agisce a dosaggi anche molto inferiori (Stratton «HRA2914-506» Fertility & Sterility 2010; 93:2035-2041, si veda pagina 2039, colonna sinistra, ultime sette righe) e (Passaro «HRA2914-503». Human Reproduction 2003; 18:1820-1827, si veda pagina 1826, primo paragrafo);
   questi tre studi evidenziano che in caso di concepimento l'endometrio sarà sempre inospitale e l'embrione non potrà annidarsi né, evidentemente, sopravvivere;
   l'EMA, agenzia chiamata a tutelare, a livello europeo, la salute dei cittadini e le libertà professionale dei medici, manca di richiamare, quel che essa stessa conosce ed esplicitamente ammette già dal 2009: e cioè che Ulipristal possa agire con meccanismo post-concezionale e abbia effetti anche francamente abortivi con la stessa efficacia del Mifepristone (RU486);
   che gli effetti di Ulipristal e Mifepristone siano largamente sovrapponibili nell'apparato riproduttivo femminile è ampiamente noto dalla letteratura e documentato nella pratica clinica. Mifepristone è utilizzato come contraccettivo di emergenza a dosi di 25-50 mg in Cina. Se somministrato a metà della fase follicolare, prima ancora che inizino i giorni fertili, i suoi effetti sull'ovulazione sono simili a quelli di UPA, anche se UPA è efficace a dosaggi molto inferiori;
   parimenti, nella fase luteale iniziale, 200 mg di Mifepristone sono altamente efficaci nell'impedire la gravidanza; è superfluo sottolineare che in quella fase del ciclo ovulazione e concepimento sono già avvenuti. È lo stesso effetto riscontrato con dosaggi di Ulipristal largamente inferiori;
   infine, somministrato nella fase medio-luteale, anche il Mifepristone come Ulipristal non micronizzato, alla medesima dose di 200 mg, determina costantemente un sanguinamento endometriale anticipato;
   Mifepristone (RU486) alla dose di 200 mg è il farmaco che si usa per interrompere la gravidanza. Ulipristal non è mai stato utilizzato per l'interruzione della gravidanza nella donna. I due farmaci, tuttavia, condividono le stesse attività sia sullo sviluppo dei follicoli ovarici, sia sull'endometrio, a dosaggi che sono sostanzialmente sovrapponibili. Inoltre, sia Ulipristal sia Mifepristone, sempre alle medesime dosi (5 mg al giorno per trattamenti di tre mesi), sono in grado di ridurre il volume dei fibromi uterini e di ridurre l'intensità delle emorragie uterine;
   attualmente Ulipristal micronizzato è disponibile in farmacia per il trattamento pre-operatorio dei fibromi uterini. Il nome del preparato commerciale è Esmya: una confezione contiene un blister con 28 compresse da 5 mg ognuna, per un totale complessivo di 140 mg (ellaOne ne contiene 30 mg);
   preme solo ricordare che 120 mg di Ulipristal micronizzato (dosaggio inferiore a quanto contenuto in una confezione di Esmya ed ottenibile con sole quattro compresse di ellaOne) equivalgono a 200 mg di Ulipristal non micronizzato: la dose equivalente a quei 200 mg di Mifepristone che si usano nei protocolli per l'interruzione della gravidanza. Entrambi i farmaci, a questi dosaggi, somministrati sette giorni dopo l'ovulazione e il concepimento, esattamente nei giorni in cui si perfeziona l'annidamento, determinano costantemente una mestruazione anticipata;
   questo dato andrebbe considerato con estrema attenzione nel decidere le modalità e i limiti di prescrizione dei preparati che contengono Ulipristal Acetato;
   in questa luce appare ancora più grave che lo scorso 21 novembre 2014 la stessa EMA abbia deliberato la richiesta di liberalizzare completamente la distribuzione di ellaOne, rendendo così vendibile, senza necessità di alcuna prescrizione medica, un principio attivo – Ulipristal Acetato – idoneo a interrompere la gravidanza. Il «consumatore» (la donna), a quel punto, non dovrà fare altro che procurarsi alcune confezioni di ellaOne per disporre del dosaggio di Ulipristal sufficiente a provocarsi, con efficacia, un aborto autogestito in evidente contrasto anche con la legislazione vigente -:
   se non ritenga opportuno fornire una maggiore informazione in relazione a quanto esposto in premessa, al fine di tutelare i consumatori e i professionisti nonché l'esercizio costituzionale delle libertà del cittadino sia esso medico o paziente;
   se il meccanismo d'azione antinidatorio dei farmaci usati nella contraccezione d'emergenza non si ponga in contrasto con le leggi e con i principi che le fondano e, in particolare, se il loro uso, soprattutto ove al di fuori di ogni controllo medico, non si ponga in conflitto:
    a) con l'articolo 1, comma 1, lettera c) della legge 405 del 1975, in base al quale lo Stato italiano finalizza la procreazione responsabile alla tutela del prodotto del concepimento, oltre che ovviamente della salute della donna;
    b) con l'articolo 1, comma 1, della legge 194 del 1978 dove afferma che lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, ma tutela la vita umana dal suo inizio (cioè dal concepimento) e che l'interruzione volontaria della gravidanza non è mezzo per il controllo delle nascite;
    c) con l'articolo 1, comma 1, della legge 40 del 2004, che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti nelle procedure di fecondazione medicalmente assistita, compreso il concepito;
   quali siano le ragioni per le quali l'Italia non si sia avvalsa, al momento di decidere la disponibilità di ellaOne, della clausola di salvaguardia prevista dall'articolo 4, comma 4, della direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 novembre 2001, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano, nel quale si afferma che la direttiva stessa «non osta all'applicazione delle legislazioni nazionali che vietano o limitano la vendita, la fornitura o l'uso di medicinali a fini contraccettivi o abortivi. Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle legislazioni nazionali in questione»;
   se, nel caso in cui la Commissione europea ratifichi la proposta dell'EMA di dispensare ellaOne senza prescrizione medica, l'Italia intenda adeguarsi totalmente o non intenda avvalersi della predetta clausola, al fine di evitare la diffusione dell'aborto autogestito e clandestino.
(2-00800) «Gigli, Dellai».


Chiarimenti e intendimenti in merito al sistema dei controlli antidoping e all'indipendenza degli organismi preposti – 2-00801

D)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   da notizie apparse sulla stampa si apprende che nei 18 mesi che precedettero l'Olimpiade di Londra 38 atleti della Federazione italiana di atletica leggera – che avevano l'obbligo di segnalare la propria reperibilità per i controlli antidoping a sorpresa – avevano ripetutamente disatteso a questo obbligo impedendo in questo modo la possibilità di essere sottoposti a controlli out of competition;
   l'intero sistema antidoping ha la sua punta di forza nei controlli a sorpresa effettuati sugli atleti ma, per effettuare questo genere di controlli, c’è la necessità da parte degli atleti di segnalare la reperibilità giorno per giorno. Una mancata segnalazione (prevista trimestralmente dalla World anti-doping agency) comporta che tali controlli non si possano effettuare. Se qualcuno accumula in 18 mesi tre ritardi nell'invio del form con le informazioni (la cosiddetta «mancata o ritardata notifica»), o se salta un test per tre volte senza motivi validi, viene squalificato. Questo è quanto previsto dal Codice mondiale della World anti-doping agency. È un punto tassativo;
   l'indagine condotta dai Nas e dai Ros, su mandato della procura di Bolzano, ha evidenziato che l'agenzia Coni-Nado, pur riscontrando ripetute mancate segnalazioni delle reperibilità da parte degli atleti, non si sia mai attivata per la contestazione delle infrazioni e per la prevista squalifica compiendo una grave violazione del codice World anti-doping agency soprattutto sul fronte delle «mancate reperibilità». Finora è emerso il caso dei 38 atleti della Federazione italiana di atletica leggera, ma gli inquirenti di Bolzano hanno informato che in molte altre federazioni sportive la situazione è identica;
   la Commissione controlli antidoping del Coni, per un elevato numero di atleti di diversi sport, non avrebbe potuto effettuare esami antidoping a sorpresa, perché non era a conoscenza dei loro luoghi di reperibilità;
   la legge n. 376 del 14 dicembre 2000 «Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping» prevede all'articolo 4, comma 4, che: «A decorrere dalla data della stipulazione delle convenzioni di cui al comma 1, e comunque a decorrere dal centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge, cessano le attività del Coni in materia di controllo sul laboratorio di analisi operante presso il Comitato medesimo»;
   inoltre la stessa legge n. 376 del 2000 prevede all'articolo 3, comma 1-b), che la Commissione di vigilanza determini «... i casi, i criteri e le metodologie dei controlli ed individua le competizioni e le attività sportive per le quali il controllo sanitario è effettuato dai laboratori di cui all'articolo 4, comma 1, tenuto conto delle caratteristiche delle competizioni e delle attività sportive stesse...»;
   la presenza dell'agenzia Coni-Nado in seno al Coni, a giudizio degli interpellanti disattende quanto previsto dalla legge n. 376 del 2000 che evidenzia con assoluta chiarezza la necessità di un organo terzo rispetto al Coni. L'attuale presenza dell'agenzia presso il Coni si configura come una forma di sistema «controllore/controllato» che non garantisce l'indipendenza dei controlli e accertamenti sugli atleti, in particolare quelli di vertice ed inseriti nelle competizioni olimpiche e mondiali e, inoltre, non ottempera alle indicazioni della World anti-doping agency che raccomanda la costituzione di agenzie nazionali indipendenti rispetto al sistema sportivo;
   in occasione dell'assemblea nazionale del mese di ottobre 2014, l'associazione Libera con Uisp, Us Acli, Csi e Acsi ha presentato il documento «Libera lo sport» in cui viene ribadita la necessità di separare chi controlla da chi è controllato con l'istituzione di una agenzia ad hoc;
   le vicende giudiziarie avvenute negli anni scorsi in relazione ai controlli incompleti ed irregolari sui giocatori di calcio, avevano già evidenziato la necessità di separare gli organi di controllo dai controllati che sono gli atleti delle stesse federazioni sportive facenti parte del Coni. A dimostrazione dei ciò, la positività dell'atleta Schwazer è stata rilevata da un organo terzo (World anti-doping agency) e non dagli organi deputati al controllo del Coni;
   come riportato dai giornali, Damiano Tommasi presidente dell'Associazione italiana calciatori, sottolinea la premialità di finanziamenti alle federazioni che ottengono successi sportivi. Questo meccanismo di premialità rischierebbe di costituire un vero e proprio stimolo per le federazioni sportive a ricercare in ogni modo prestazioni sportive migliori, anche ricorrendo al doping;
   occorre inoltre tenere presente l'importanza fondamentale dell'informazione al fine di prevenire il doping tra i giovani praticanti. A tale riguardo, la relazione annuale della commissione per la vigilanza e il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive per l'anno 2013 al Parlamento italiano inizia dichiarando che «Nel corso del 2013, la Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive ha proseguito nel suo impegno finalizzato alla lotta ed alla prevenzione della diffusione del fenomeno doping nella popolazione giovanile e nei settori sportivi amatoriali, promuovendo iniziative in tema di ricerca e formazione superiore, al fine di incrementare le conoscenze sul fenomeno, quale base per lo sviluppo di nuove e mirate strategie di intervento a tutela della salute dei praticanti l'attività sportiva» -:
   per quale motivo la Commissione per la vigilanza e il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive non abbia affrontato il tema del conflitto tra controllore e controllato denunciando agli organi competenti la funzione di controllore del Coni;
   per quale motivo la stessa Commissione operi, vigili ed agisca solo sul contrasto al fenomeno del doping nella popolazione giovanile e nei settori amatoriali, mentre non le viene dato modo di vigilare e controllare su tutte le competizioni, anche quelle professionistiche e di vertice dove è maggiore il conflitto controllore/controllato;
   per quale motivo il sistema di controllo degli atleti di vertice sia monopolio assoluto del Coni e non venga affidato ad una struttura indipendente;
   se il Governo non ritenga opportuno per una maggiore e concreta tutela della salute degli atleti di alto livello e di tutte le persone che praticano sport assumere iniziative per istituire un organismo indipendente di controllo come è avvenuto da tempo nella maggior parte dei Paesi europei.
(2-00801) «Cova, Coccia, Casati, Crimì, Fragomeli, Amato, Coppola, Sbrollini, Castricone, Zanin, Prina, Romanini, Arlotti, Albini, Cenni, Casellato, Fossati, D'Ottavio, Cominelli, Nicoletti, Manfredi, Monaco, Carra, Mattiello, Crivellari, Fregolent, Chaouki, Scanu, Gasparini, Richetti, Malpezzi, Manzi».


Iniziative per garantire adeguate risorse per l'espletamento delle funzioni assegnate alle province, alla luce della legge n. 56 del 2014 – 2-00807

E)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   fino al 31 dicembre 2014 le province sono tenute ad esercitare le funzioni assegnate dalle leggi statali e delegate dalle regioni;
   la legge n. 56 del 2014 assegna alle province funzioni fondamentali relative alla pianificazione territoriale, alla tutela e valorizzazione dell'ambiente, alla pianificazione dei trasporti, alla costruzione e gestione delle strade provinciali, alla gestione dell'edilizia scolastica e alla programmazione provinciale della rete scolastica, all'assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali, alla raccolta ed elaborazione dati, al controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e alla promozione delle pari opportunità, alla stazione unica appaltante e al monitoraggio dei servizi e dell'organizzazione di concorsi e procedure selettive, d'intesa coi comuni interessati;
   la succitata legge stabilisce che debbano mantenersi in capo alle province e le funzioni collegate alle fondamentali e che le altre vadano riorganizzate;
   Stato e regioni sono chiamati a stabilire quali siano e a chi assegnarle e hanno il compito di riordinare le funzioni delle province;
   in ordine alla viabilità, per esempio, alle province tocca la gestione, manutenzione e messa in sicurezza di 130 mila chilometri di strade, cioè oltre il 70 per cento della rete viaria nazionale;
   in quanto alla scuola, invece, alle province spetta la gestione ordinaria e la messa in sicurezza delle oltre 5.100 scuole superiori italiane in cui studiano 2 milioni e 500 mila studenti;
   nel 2013 la spesa complessiva delle province, per gestione, servizi e investimenti, è stata di 10 miliardi 350 milioni;
   l'80 per cento della spesa, pari a 8 miliardi e 300 milioni di euro, è stata destinata l'erogazione e gestione dei servizi assegnati alle province dalle leggi statali e regionali, mentre il 20 per cento, cioè 2 miliardi, è stata destinata al pagamento degli stipendi degli oltre 51 mila dipendenti delle province;
   nel raffronto col 2013, nei primi nove mesi del 2014 gli incassi derivanti dall'imposta provinciale di trascrizione e dalla rc auto sono scesi di circa 471 milioni (-15,49 per cento);
   le regioni hanno delegato e trasferito alcune funzioni essenziali alle province (servizi per l'impiego, gestione trasporto, formazione, agricoltura e altro);
   insieme alle funzioni, le regioni sono tenute a trasferire alle province le risorse necessarie per esercitarle;
   negli anni i trasferimenti finanziari dalle regioni sono diminuiti drasticamente e dal 2010 al 2013 si è arrivati a -17,4 per cento;
   a partire dal 2011 le manovre economiche sui bilanci delle province sono andate in crescendo, per cui, tra maggiori tagli e inasprimento di obiettivo di patto di stabilità, i bilanci delle province sono arrivati a rischio di disequilibrio, con conseguenze immediate sulla finanza pubblica, come attestato pure dalla Corte dei conti;
   la legge di stabilità 2015 entrata in vigore il 1o gennaio prevede per il 2015 tagli pari ad 1 miliardo di euro per le province e le città metropolitane, taglio che si raddoppia nel 2016 ed arriva a 3 miliardi per il 2017; a 4 miliardi ammontano i tagli a carico delle regioni, mentre i comuni subiscono il taglio di 1,2 miliardi del fondo di solidarietà comunale; tutti i suddetti tagli si cumulano a quelli stabiliti dal 2015 con il decreto legge n. 66 del 2014, cosiddetto «IRPEF»;
   nel 2015 le province potranno usare 2 miliardi di euro, per garantire i servizi essenziali, a riorganizzazione delle funzioni non ancora attuata, dovendo quindi gestire tutti i servizi in capo all'ente al 31 dicembre 2014 e con lo stesso personale;
   al riguardo si riporta che nel 2012, stima dell'Unione delle province italiane, per garantire quei servizi sono stati spesi 4 miliardi 675 milioni di euro, pertanto nel 2015 mancheranno circa 2 miliardi e 700 milioni di euro;
   sulla base dei provvedimenti previsti per le province si avrà, stima dell'Unione delle province italiane, la caduta verticale del gettito delle entrate proprie, l'insolvenza di Stato e regioni per i debiti nei confronti delle province, l'insufficienza strutturale delle risorse ordinarie a finanziare le funzioni fondamentali, il disequilibrio strutturale della situazione corrente di bilancio, il default degli equilibri di cassa e lo sforamento generalizzato degli obiettivi del patto di stabilità interno, a fronte di un risparmio totale dato dall'impianto previsto dalla legge n. 56 del 2014 – pari a 89 milioni di euro, secondo la relazione del 6 novembre 2013 della sezione autonomie Corte dei conti, esposta alla Commissione affari costituzionali della Camera;
   le province di Biella e di Vibo Valentia si trovano già in dissesto finanziario, con la seconda in una situazione amministrativa di ulteriore difficoltà, anche a causa dei condizionamenti della ’ndrangheta sul territorio;
   nel rispondere all'interpellanza urgente n. 2-00530, del deputato Bruno Censore e di altri, il sottosegretario per l'interno Gianpiero Bocci ha dichiarato che «l'adozione di misure straordinarie per la Provincia di Vibo Valentia, quali l'individuazione di specifiche fonti di finanziamento a carattere straordinario ovvero la modifica dei criteri di riparto del Fondo nazionale di riequilibrio per sostenere le iniziative già poste in essere dalla provincia, richiede apposite modifiche legislative che prevedano adeguate coperture finanziarie», assicurando, poi, «l'impegno a valutare, d'intesa con il Ministero dell'economia e finanze, possibili soluzioni che vadano in questa direzione»;
   per le ragioni sopra esposte, altre province potrebbero necessitare – e presto – di misure straordinarie per espletare le funzioni di competenza, alla luce dei ripetuti tagli dei trasferimenti –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per intervenire in via straordinaria nei casi di mancanza di liquidità degli enti, se non ritenga indispensabile e inderogabile promuovere un aumento dei trasferimenti centrali per l'espletamento delle funzioni spettanti alle province e, infine, come e dove sarà allocato il personale in eccedenza e con quali risorse pubbliche.
(2-00807) «Nesci, Vignaroli, Carinelli, Battelli, Luigi Di Maio, Fico, Petraroli, Cozzolino, Toninelli, Dadone, Dieni, Fraccaro, Lombardi, Nuti, D'Ambrosio, Tripiedi, Rizzetto, Bechis, Baldassarre, Chimienti, Ciprini, Cominardi, L'Abbate, Massimiliano Bernini, Benedetti, Gagnarli, Gallinella, Lupo, Parentela, Rostellato».


Chiarimenti in ordine alla politica fiscale del Governo e all'attuazione della delega fiscale prevista dalla legge 11 marzo 2014, n. 23 – 2-00811

F)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   con la legge 11 marzo 2014, n. 23, il Governo è stato delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge (23 marzo 2014), decreti legislativi recanti la revisione del sistema fiscale;
   in attuazione della legge delega, il Governo ha emanato i seguenti decreti legislativi:
    a) il decreto legislativo 15 dicembre 2014, n. 188, recante disposizioni in materia di tassazione dei tabacchi lavorati, dei loro succedanei, nonché di fiammiferi, attuativo dell'articolo 13 della legge delega;
    b) il decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175, recante disposizioni in materia di semplificazione fiscale e dichiarazione dei redditi precompilata, in attuazione dell'articolo 7 della legge delega;
   viceversa, ha ricevuto il prescritto parere dalle Commissioni competenti ma non risulta ancora pubblicato lo schema di decreto legislativo in materia di riforma della commissioni censuarie;
   in data 24 dicembre 2014 il Governo ha deliberato l'adozione dello schema di decreto legislativo in materia di abuso del diritto e riforma del sistema sanzionatorio penale tributario; tuttavia, a seguito di quelli che gli interpellanti ritengono fatti scandalosi relativi al tanto discusso articolo 19-bis, cosiddetto «salva Silvio» (vicenda i cui contorni sono ancora incerti e sulla quale il Governo non ha ancora ritenuto opportuno far chiarezza; a nulla è servito al riguardo il vano tentativo del Movimento 5 stelle di provocare, in sede di conferenza dei capigruppo, l'audizione in Aula del Ministro dell'economia e delle finanze in carica), il Governo ha ritenuto di ritirare lo schema di decreto legislativo rinviandone la presentazione, così confermando la fondatezza delle contestazioni circa l'inopportunità della disposizione normativa (apparentemente – si passi l'eufemismo – ad personam);
   in sostanza, a pochi mesi dalla scadenza del termine annuale fissato per l'attuazione della delega fiscale, il Governo si è limitato all'adozione dei suddetti decreti numeri 188 e 175, attuando quindi soltanto in minima parte, circa il 15 per cento, l'oggetto della delega;
   da oggi e fino al termine di scadenza del 27 marzo 2015, dunque, è prevedibile una spedita e proficua produzione legislativa del Governo diretta all'attuazione della restante parte del contenuto della delega fiscale;
   tuttavia, come dichiarato dallo stesso Governo, la presentazione alle Commissioni competenti del prossimo schema di decreto legislativo (quello del 24 dicembre ritirato e revisionato) è prevista solo per il prossimo 20 febbraio, ovvero all'esito dell'elezione del Presidente della Repubblica e, cosa ancor più importante, a distanza di soli 35 giorni dal termine di scadenza fissato per l'attuazione della delega fiscale;
   considerati i ristretti tempi che restano per la completa attuazione della legge delega, già risultano gravemente compromessi i lavori di Commissione e con essi la stessa partecipazione democratica al procedimento legislativo da parte dei gruppi parlamentari;
   ancor più grave e inaccettabile sarebbe l'eventuale proroga dei termini della legge delega; tale eventualità, peraltro non prevista nella legge delega (che si limita all'articolo 1, comma 8, a prevedere la possibilità per il Governo di adottare decreti legislativi correttivi), costituirebbe ad avviso degli interpellanti una ingiustificata «rimessione in termini» per il Governo, dimostratosi incapace di rispettare il termine fissato nella delega fiscale;
   sconcertante è apparsa invece la condotta ambigua del Governo in merito allo schema di decreto legislativo in materia di riforma del sistema sanzionatorio penale tributario ed in particolare in merito all’«improvvisa apparizione» nel testo del decreto dell'articolo 19-bis; a parte il «teatrino» messo in scena e l'ilarità suscitata a livello internazionale, quanto accaduto, alla vigilia di Natale, mina definitivamente la trasparenza del Governo in carica e dei suoi componenti, inclini secondo gli interpellanti a compromessi e alle più disonorevoli forme di «inciucio»;
   in ogni caso, proprio in merito allo schema di decreto in materia di riforma del sistema sanzionatorio, destano non poche perplessità le scelte prese dal Governo sia in tema di abuso del diritto sia in merito alla riforma del sistema sanzionatorio. Quanto al primo punto, infatti, nel testo dello schema di decreto è contenuta una definizione di base: si ha abuso del diritto quando si è in presenza di operazioni prive di sostanza economica che realizzano vantaggi fiscali indebiti come conseguenza principale dell'operazione e indipendentemente dalle intenzioni del contribuente. Lo scopo perseguito è quello di garantire una maggiore certezza del diritto in tema di elusione. Sennonché, così come delineato nel decreto, il concetto di abuso del diritto appare di non chiara definizione e comprensione lasciando all'interprete il compito di riempirne il contenuto. Il rischio, insomma, è quello di generare incertezze applicative ancor più rilevanti rispetta a quelle derivanti dalla vigente disciplina di cui all'articolo 37-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973. Quanto invece alla riforma del sistema sanzionatorio, le scelte fatte appaiono agli interpellanti del tutto prive di senso logico e giuridico: la previsione del tetto di mille euro sotto il quale non sono punibili le fatture relative a operazioni inesistenti e le nuove regole sulle dichiarazioni fraudolente, in base a cui «non costituiscono operazioni simulate quelle che hanno dato luogo ad effettivi flussi finanziari annotati nelle scritture contabili obbligatorie», creano una inquietante e ingiustificata area di non punibilità a tutto vantaggio dei grandi evasori (si pensi alle banche e alla mole di contenziosi tributari attualmente in atto); a ridurre ulteriormente l'area della punibilità è poi la previsione, contenuta nelle medesime disposizioni, che considera penalmente rilevanti solo le condotte che si avvalgono di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei non solo «ad ostacolare l'accertamento» ma anche – e congiuntamente – a «indurre in errore amministrazione finanziaria» (mentre non assumono più alcun rilievo le falsità presenti nelle scritture contabili); per non parlare poi della depenalizzazione della dichiarazione infedele sotto il «tetto» dei 150 mila euro (triplicato rispetto alle norme ora in vigore) sotto il quale non sarà più reato evadere le imposte sui redditi o l'Iva. Misure, queste, che secondo gli interpellanti non trovano alcuna razionale giustificazione e finiscono per favorire l'evasione dei redditi ed, in particolare, quella perpetrata e reiterata dei grandi evasori, nonché per escludere o limitare il disvalore penale di condotte in corso di accertamento e di condanne già emesse, ad avviso degli interpellanti in spregio ai principi costituzionali di univocità e uguaglianza delle leggi (a parte Silvio Berlusconi, si pensi alla posizione degli ex di Unicredit, Alessandro Profumo, e di Intesa San Paolo, Corrado Passera, entrambi rinviati a giudizio per frodi fiscali). Del resto, basti pensare alle osservazioni (rectius, critiche) espresse dall'Agenzia delle entrate che, esaminando il contenuto del decreto e le scelte adottate dal Governo, ha paventato il concreto rischio di una perdita di gettito stimabile in ben 16 miliardi di euro, conseguente in particolar modo dalle disposizioni in tema di raddoppio dei termini di accertamento (misura, purtroppo, anch'essa fortemente limitata dalle nuove disposizioni contenute nello schema di decreto) –:
   quali ragioni di politica sanzionatoria e fiscale abbiano indotto il Governo all'adozione delle descritte e contestate misure contenute nello schema di decreto legislativo presentato il 24 dicembre e come valutino al riguardo le osservazioni critiche sollevate dall'Agenzia delle entrate in merito alla possibile perdita di gettito di 16 miliardi di euro e se e quali misure di contrasto intendano adottare;
   in merito alla nuove soglie di punibilità e alla condizione di punibilità di cui all'articolo 19-bis e alla soglia del 3 per cento ivi prevista, se siano stati quantificati preventivamente gli effetti della disposizione, la platea dei possibili beneficiari, il numero dei procedimenti penali tributari pendenti relativi a maggiori imposte ed imponibili inferiori alle soglie previste, e quali siano i dati e le risultanze acquisite al riguardo;
   come si giustifichi la scelta di rinviare al 20 febbraio la presentazione dello schema di decreto legislativo in materia di abuso del diritto e riforma del sistema sanzionatorio penale tributario, che al momento appare agli interpellanti solo uno scandaloso baratto che allunga la propria ombra sinistra sulle dinamiche e sulle scelte politiche e istituzionali che presto attendono il Paese;
   se non ritengano opportuno procedere con speditezza considerati i ristretti tempi che residuano per l'attuazione della delega fiscale ed al fine di garantire la proficuità dei lavori di commissione;
   come si giustifichi il ritardo nell'attuazione della delega fiscale e se non ritengano opportuno, considerata l'imminente scadenza del 27 marzo 2014, rinunciare all'attuazione di parte del contenuto della delega, rimettendo la materia all'iniziativa parlamentare.
(2-00811) «Pesco, Ruocco, Cancelleri, Barbanti, Alberti, Pisano, Villarosa».


Iniziative di competenza in merito all'applicazione del regime carcerario previsto dall'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario nei confronti del detenuto Aldo Ercolano – 2-00810

G)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   al detenuto Aldo Ercolano, già condannato all'ergastolo per omicidio e associazione di stampo mafioso, il 14 settembre 2014 è stato nuovamente revocato il regime speciale di detenzione previsto dall'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario;
   il regime di detenzione speciale era stato disposto per un periodo di due anni con decreto del 4 aprile 2014, assumendo la pericolosità che avrebbe certamente determinato la restituzione dell'Ercolano al circuito carcerario ordinario;
   sulla revoca del 41-bis all'Ercolano si è peraltro già più volte espressa, negativamente, la Direzione nazionale antimafia che ritiene tuttora Aldo Ercolano (figlio dei capomafia deceduto Giuseppe Ercolano e nipote del capomafia Benedetto Santapaola) l'uomo di maggior rilevanza criminale all'interno delle famiglie Santapaola-Ercolano;
   non si comprende quali elementi abbiano potuto determinare, in così pochi mesi, una revisione radicale del giudizio sulla pericolosità dell'Ercolano;
   appena due mesi fa, nel corso dell'operazione antimafia Reset sono state acquisite intercettazioni telefoniche, trasferite poi negli atti del procedimento, da cui risulta in modo inequivocabile che Aldo Ercolano è tuttora capo mafia di Catania e che nel corso di una riunione delle cosche catanesi che fanno riferimento alle famiglie Santapaola-Ercolano, al nome di Aldo Ercolano, indicato come l'attuale referente di Cosa Nostra, sarebbe partito tra gli affiliati un lungo applauso;
   il 20 novembre 2014 nel corso dell'operazione Caronte è stato arrestato con l'accusa di associazione mafiosa anche Vincenzo Ercolano, fratello di Aldo Ercolano; in quella circostanza si è provveduto anche al sequestro preventivo di un patrimonio stimato in oltre 50 milioni di euro;
   secondo il rapporto dei Ros l'autotrasporto continua ad essere il business criminale incontrastato degli Ercolano che, per accrescere i propri affari, «avrebbero utilizzato la forza intimidatrice» del loro cognome. Un potere criminale recentemente consolidato – secondo gli investigatori – anche attraverso alleanze eccellenti della criminalità organizzata palermitana e con imprenditori collegati alla mafia agrigentina;
   analogo provvedimento di sequestro aveva già subito anche il patrimonio di Angelo Ercolano, cugino di Aldo e titolare della Sud Trasporti;
   tutto ciò rende ancora più incontrovertibile l'attuale pericolosità mafiosa della famiglia Ercolano e il ruolo indiscutibilmente apicale che vi ricopre Aldo Ercolano –:
   se il Ministro interpellato non ritenga di assumere le iniziative di competenza per riattivare tempestivamente le misure di cui all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario nei confronti del suddetto detenuto.
(2-00810) «Fava, Mattiello, Garavini, D'Uva, Pisicchio».


Chiarimenti in merito alla possibilità che la Sardegna sia individuata come sito idoneo per la realizzazione del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi – 2-00809

H)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   nei rifiuti radioattivi si comprendono diverse categorie di rifiuti, fra loro molto diversi, tra cui quelli provenienti dai reattori di ritrattamento del combustibile nucleare, quelli prodotti dallo smantellamenti di vecchi impianti e gli elementi di combustibile esauriti;
   le scorie nucleari possono essere prodotte nelle centrali nucleari (per la maggior parte), in medicina e nei siti industriali per le analisi produttive di parti metalliche;
   secondo le norme vigenti è previsto che entro il 31 dicembre 2014 venga definito il sito unico nazionale per lo stoccaggio delle scorie nucleari;
   il 2 gennaio 2015, la Sogin (la società statale per lo smantellamento degli impianti nucleari italiani e la gestione dei rifiuti radioattivi) ha consegnato all'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale la carta delle aree potenzialmente idonee ad ospitare il deposito nazionale per i rifiuti radioattivi;
   il deposito nazionale, infrastruttura di superficie dove mettere i rifiuti radioattivi, consentirà la sistemazione definitiva di circa 75 mila metri cubi di rifiuti di bassa e media attività e lo stoccaggio temporaneo di circa 15 mila metri cubi di rifiuti ad alta attività;
   dei circa 90 mila metri cubi di rifiuti radioattivi, ricorda Sogin, il 60 per cento deriverà dalle operazioni di smantellamento degli impianti nucleari, mentre il restante 40 per cento dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca, che continueranno a generare rifiuti anche in futuro;
   la pubblicazione della carta e quella contestuale del progetto preliminare, spiega la Sogin, «apriranno una fase di consultazione pubblica e di condivisione, che culminerà in un Seminario nazionale, dove saranno invitati a partecipare tutti i soggetti coinvolti ed interessati»;
   nella mappa realizzata dalla Sogin, dalle aree considerate sono escluse le aree vulcaniche attive o quiescenti, le località a 700 metri sul livello del mare o ad una distanza inferiore a 5 chilometri dalla costa, le aree a sismicità elevata, a rischio frane o inondazioni e le «fasce fluviali», dove c’è una pendenza maggiore del 10 per cento, le aree naturali protette, che non siano ad adeguata distanza dai centri abitati, quelle a distanza inferiore di un chilometro da autostrade e strade extraurbane principali e ferrovie;
   la Sardegna secondo tutti i piani connessi e richiamati non rientra in alcun modo nelle priorità di esclusione;
   le simulazioni geosatellitari confermerebbero che la Sardegna sarebbe l'unica regione d'Italia a corrispondere a questi criteri individuati;
   sono concrete le possibilità per cui il Governo possa chiedere la disponibilità alla Sardegna come sede del deposito nazionale di scorie nucleari, considerata l'ampia presenza di aree non urbanizzate ed a bassa densità abitativa;
   la mappa consegnata dalla Sogin all'Ispra è inspiegabilmente secretata, a tutti i livelli istituzionali, negando così la possibilità ai governi regionali e ai livelli parlamentari di poter sapere quali territori sono stati individuati in via preliminare per la costruzione del deposito nazionale;
   in Sardegna grava il 60 per cento delle servitù militari italiane, con i tre poligoni militari più grandi d'Europa, depositi sotterranei di armi e munizioni, polveriere e aree militari delimitate in tutti i territori;
   l'assessore regionale all'ambiente Donatella Spano e il presidente della regione Sardegna Francesco Pigliaru hanno già fatto sapere di essere fermamente contrari all'ipotesi della costruzione del deposito nazionale di scorie nucleari in Sardegna, così come tutte le principali forze politiche rappresentate nel Parlamento e nel consiglio regionale della regione autonoma della Sardegna;
   il 15 e 16 maggio del 2011, i sardi si sono pronunciati attraverso un referendum consultivo popolare che chiedeva al popolo di esprimersi sulla presenza in Sardegna di centrali nucleari e siti di stoccaggio di scorie radioattive: il referendum ha raggiunto un quorum del 60 per cento (887.347 sardi al voto) che per il 97,1 per cento (848.691 sardi) ha detto «NO» a centrali nucleari e siti di stoccaggio di scorie nell'isola;
   i sardi, attraverso il voto popolare e la democrazia diretta, hanno quindi deciso di non mettere a disposizione la loro terra, che vivono e lavorano quotidianamente, per la costruzione di impianti di stoccaggio o depositi di scorie nucleari;
   sono tantissime le aree in Sardegna individuate anche dal Governo da sottoporre a bonifica e riconversione ambientale, per cui sarebbe incomprensibile aggiungere ulteriori servitù inquinanti –:
   se il Governo non ritenga quanto prima di rendere pubblici i documenti e consentire l'accesso agli atti consegnati da Sogin all'Ispra il 2 gennaio 2015;
   se non si intenda chiarire in via formale il fatto che la Sardegna, che ha deciso di non accettare depositi e centrali nucleari con referendum popolare, sarà esclusa da qualsiasi ipotesi di destinazione di rifiuti nucleari radioattivi.
(2-00809) «Piras, Pellegrino, Zaratti, Ricciatti, Ferrara, Scotto».


Iniziative a sostegno dell'integrazione e dell'inclusione scolastica degli alunni stranieri – 2-00808

I)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   l'8 gennaio 2015, in seguito al terribile attacco terroristico alla redazione del settimanale Charlie Hebdo a Parigi, l'assessore regionale all'istruzione della regione Veneto Elena Donazzan ha inviato una circolare (prot. N. 6175/C. 100. 06. 3. B. 2) a tutti i dirigenti scolastici richiedendo loro di adoperarsi perché i genitori dei «tanti alunni stranieri nelle nostre scuole» prendano apertamente posizione condannando la strage;
   «deve essere un fronte comune e impenetrabile – scrive la Donazzan – quello della condanna a quanto accaduto a Parigi. È stata colpita una capitale dell'Europa in uno dei simboli della nostra civiltà: la libertà di stampa e di espressione. Libertà sconosciute in altri paesi del mondo, certamente impedite in quegli Stati a matrice islamica così distanti culturalmente da noi, ma così pericolosamente vicini sia geograficamente che nelle comunicazioni sulla rete»;
   «non può più essere un alibi per non affrontare il problema – aggiunge la Donazzan – se non si può dire che tutti gli islamici sono terroristi, è evidente che tutti i terroristi sono islamici e che molta violenza viene giustificata in nome di una appartenenza religiosa e culturale»;
   «nessuna giustificazione, nessuna tolleranza può essere richiamata per fatti simili e l'Europa civile, libera e laica, che spesso dimentica di essere tale perché cristiana, deve ritrovare la forza di indignarsi e reagire – si legge ancora nella circolare ai Dirigenti scolastici – una condanna morale che deve scaturire dal profondo di una coscienza comune e che dobbiamo sviluppare nel luogo della educazione collettiva che è la scuola»;
   «è infatti una esigenza necessaria anche alla luce della presenza di stranieri a scuola e nelle nostre comunità – scrive ancora l'assessore all'istruzione della giunta Zaia – soprattutto a loro dobbiamo chiedere una condanna di questi atti, perché se hanno deciso di venire a vivere in Europa, in Italia, in Veneto è giusto che sappiano adeguarsi alle regole e alle consuetudini del nostro popolo e della nostra civiltà, quella che li sta accogliendo con il massimo della pienezza dei diritti, ma che ha anche dei doveri da rispettare»;
   «abbiamo visto in queste ore fallire il modello di integrazione finora adottato in Europa, nella Francia della terza generazione come in Italia della prima generazione e dobbiamo affermare che va rivisto con chiarezza di obiettivi e di modalità. Il primo cambio di rotta – conclude Elena Donazzan – è una ferma condanna senza alcun distinguo tra italiani, francesi o islamici, se questi ultimi vogliono veramente essere considerati diversi dai terroristi che agiscono gridando Allah è grande»;
   tali parole appaiono agli interpellanti non solo sconfortanti ma anche inadeguate a comprendere e gestire una fase tanto complessa e delicata: la tragedia di Parigi richiede ad avviso degli interpellanti una forte risposta di coesione e unità tra le varie culture che compongono la nostra società e le nostre scuole;
   richiede, altresì, da parte del Ministero l'ulteriore promozione di politiche scolastiche per l'integrazione degli alunni con cittadinanza non italiana e la verifica della loro attuazione (anche tramite monitoraggi), incoraggiare accordi interistituzionali e favorire la sperimentazione e l'innovazione metodologica didattica e disciplinare;
   inoltre, sarebbe auspicabile intervenire per il potenziamento degli organi istituiti presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con l'obiettivo di monitorare e potenziare l'attività di integrazione nelle scuole: lo scopo è quello di individuare un modello italiano che evidenzi le specificità delle condizioni individuando i punti di forza e facendoli diventare sistema, introducendo nuove pratiche e risorse aggiuntive e dando visibilità ai progetti che funzionano e alle nuove progettualità;
   per queste ragioni, in un momento come questo le strumentalizzazioni politiche fatte sulla pelle degli studenti e delle loro famiglie non sono solo gravi ma anche irresponsabili e vanno condannate;
   è inaccettabile che si considerino i ragazzi stranieri e le loro famiglie complici, se non addirittura colpevoli, fino a quando non rinnegheranno ciò che è accaduto;
   questa rappresenta la risposta peggiore, soprattutto se compiuta nelle scuole dove non dovrebbe mai prevalere l'intolleranza dettata dalla paura e dall'ignoranza ma il senso di responsabilità e di comunanza coinvolgendo i ragazzi in discussioni e iniziative che insegnino loro gli ideali di pace e fratellanza, a prescindere dalla propria confessione religiosa;
   è, inoltre, estremamente grave la colpevolizzazione senza ragioni di giovani ragazzi che sono certamente scossi emotivamente dalla drammaticità di questi fatti e che potrebbero vivere con angoscia, preoccupazione e dolore la richiesta fatta alle loro famiglie di scusarsi e condannare atti da loro non commessi e nemmeno condivisi;
   sono quegli stessi ragazzi che a Padova, Treviso, Verona, Rovigo e Venezia come in tantissime altre piazze hanno dato vita nei giorni scorsi a flash mob di solidarietà per tutte le vittime della strage di Parigi: erano ragazzi di ogni nazionalità, cultura, lingua e religioni e si sono tutti uniti sotto l'insegna «Je suis Charlie»;
   invece di promuovere iniziative come quella dell'assessore Donazzan occorrerebbe impegnarsi per costruire una via italiana alla scuola interculturale e all'integrazione anche degli alunni stranieri;
   nel nostro Paese, infatti, fin dalla prime presenze di studenti con cittadinanza non italiana, dirigenti e docenti hanno lavorato per costruire un dialogo continuo e questo nonostante le difficoltà di bilancio in cui versano molte delle scuole italiane, soprattutto per quel che concerne la realizzazione di tutti i progetti per il miglioramento dell'offerta formativa;
   nella regione Veneto si realizzano molti progetti a sostegno dell'integrazione e dell'inclusione scolastica degli alunni stranieri molti dei quali ottengono ottimi risultati nonostante la scarsità delle risorse messe a disposizione;
   sarebbe opportuno informarsi sull'attività realizzata nelle scuole prima di procedere a suggerire ai dirigenti come affrontare certi argomenti;
   cultura, educazione, integrazione e inclusione sociale sono strumenti fondamentali per non imbarbarirsi, per imparare a stare insieme in una comunità, a riconoscere l'altro e a rispettarlo: l'identità europea non è inconciliabile con l'integrazione e questo è un processo che comincia proprio dalle scuole –:
   se sia a conoscenza dei fatti sopra riportati e quali iniziative di competenza intenda promuovere per impedire che si verifichino nuovamente interferenze di questa gravità connotate da un forte approccio ideologico e non culturale che nuoce agli studenti e al lavoro svolto da dirigenti e insegnanti.
(2-00808) «Malpezzi, Martella, Coscia, Ghizzoni, Rotta, De Menech, Sbrollini, Narduolo, Naccarato, Camani, Rubinato, D'Arienzo, Ginato, Zoggia, Mognato, Zardini, Zan, Dal Moro, Crimì, Moretto, Miotto, Crivellari, Murer, Casellato, Cinzia Maria Fontana».


MOZIONI PALAZZOTTO ED ALTRI N. 1-00675, RIZZO ED ALTRI N. 1-00625, LOCATELLI ED ALTRI N. 1-00627 E GIANLUCA PINI ED ALTRI N. 1-00699 CONCERNENTI INIZIATIVE PER IL RICONOSCIMENTO DELLO STATO DI PALESTINA

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    i popoli israeliano e palestinese hanno diritto alla pace e alla sicurezza e ciò può essere garantito solo attraverso una forte azione da parte della comunità internazionale che porti ad una pace giusta e duratura basata sul rispetto del diritto internazionale e la piena applicazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite;
    il 29 novembre del 2012, con la risoluzione n. 67/19, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite, con una larghissima maggioranza, ha concesso lo status di osservatore permanente allo Stato di Palestina;
    attualmente sono 135 i Paesi che hanno deciso di riconoscere unilateralmente lo Stato di Palestina, tra questi diversi membri dell'Unione europea: Svezia, Repubblica Ceca, Bulgaria, Cipro, Slovacchia, Ungheria, Malta, Polonia e Romania;
    in particolare, il giorno 30 ottobre 2014, Margot Wallström, Ministro degli esteri, ha annunciato che la Svezia ha riconosciuto lo Stato di Palestina attraverso il seguente annuncio: «Il governo svedese considera che i criteri del diritto internazionale per un riconoscimento dello Stato di Palestina sono rispettati: un territorio, «sebbene senza frontiere fisse» una popolazione e un governo (...). Il riconoscimento è un contributo ad un futuro migliore per una regione che per troppo a lungo è stata caratterizzata da negoziati congelati, distruzione e frustrazione»;
    il 3 ottobre 2014 il primo Ministro svedese Stefan Löfven, durante il suo discorso di insediamento in Parlamento, aveva detto che: «Il conflitto tra Israele e Palestina può essere risolto solo con la soluzione a due Stati, negoziata secondo i dettami del diritto internazionale. Una soluzione a due Stati richiede il riconoscimento reciproco e la volontà di una convivenza pacifica. Per questo la Svezia riconosce lo Stato di Palestina»;
    il giorno 13 ottobre 2014 la Camera dei comuni inglese ha approvato a larghissima maggioranza la seguente mozione per riconoscere lo Stato di Palestina: «Questa Camera crede che il Governo dovrebbe riconoscere lo Stato di Palestina oltre allo Stato di Israele, come contributo ad assicurare una soluzione negoziata dei due Stati»;
    analoghe iniziative a quelle della Camera dei comuni britannica sono state prese dai Parlamenti di Irlanda, Spagna e Belgio, mentre il Parlamento francese ha votato il 28 novembre 2014 una mozione per il riconoscimento dello Stato di Palestina;
    l'Italia ha votato a favore della risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite che riconosce la Palestina come Stato osservatore delle Nazioni Unite e si è espressa da sempre sulla posizione «due Popoli due Stati», così come fa l'Unione europea fin dal 1980,

impegna il Governo

a riconoscere lo Stato di Palestina, così come è stato riconosciuto lo Stato di Israele, quale azione di politica estera che imprima una svolta positiva al necessario negoziato tra le parti per giungere alla soluzione «due popoli due Stati» e a garantire la coesistenza nella libertà, nella pace e nella democrazia dei due popoli.
(1-00675) «Palazzotto, Airaudo, Bruno Bossio, Franco Bordo, Capodicasa, Cenni, Cimbro, Cominelli, Costantino, D'Ottavio, Duranti, Ferrara, Fratoianni, Gandolfi, Giancarlo Giordano, Iori, La Marca, Kronbichler, Marcon, Matarrelli, Mattiello, Melilla, Migliore, Misiani, Mognato, Nicchi, Daniele Farina, Paglia, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Prina, Quaranta, Ricciatti, Romanini, Paolo Rossi, Sannicandro, Scotto, Zaccagnini, Zanin, Zaratti, Bossa».


   La Camera,
   premesso che:
    dal 1948 il popolo palestinese attende che sia riconosciuto dalla comunità internazionale lo Stato di Palestina;
    il 29 novembre 2012 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato a larga maggioranza la risoluzione n. 67/19 per la concessione dello status di osservatore permanente, come Stato non membro, allo Stato di Palestina. Tale risoluzione ha conferito allo Stato palestinese uno status equivalente, in seno all'Onu, a quello dello Stato della Città del Vaticano;
    la risoluzione n. 67/19 ha sicuramente rappresentato un importante passo verso il riconoscimento dei diritti fondamentali del popolo palestinese, ma l'attuale status non chiarisce, ad esempio, se la Palestina può o meno ricorrere alla Corte penale internazionale;
    il processo di pace sorto dagli accordi di Oslo del 20 agosto 1993 si è, di fatto, arrestato con l'uccisione di uno dei firmatari dell'accordo stesso, il Primo ministro israeliano Yitzhak Rabin, assassinato da estremisti sionisti contrari allo smantellamento delle colonie e alla costituzione dello Stato di Palestina. Da quel momento in poi il Governo d'Israele ha portato avanti una politica sempre più ostaggio degli estremisti delle colonie e gli insediamenti sui già scarsi territori palestinesi si sono moltiplicati a dispetto degli impegni sottoscritti e del diritto internazionale;
    l'espandersi continuo degli insediamenti illegali nei territori occupati di Cisgiordania e Gerusalemme est, la costruzione del muro di separazione, la distruzione di case e l'espulsione di palestinesi, la sottrazione di fondamentali risorse idriche ai palestinesi (l'acqua è sottoposta alla legge militare), nonché il protrarsi dell'embargo sulla striscia di Gaza, che ha preceduto e seguito gli attacchi militari con migliaia di vittime (si vedano le operazioni «Piombo fuso» e «Margine sicuro») compromettono qualsiasi sforzo per il processo di pace;
    sono continue le violazioni da parte del Governo israeliano della convenzione di Ginevra, a cui si aggiungono la detenzione arbitraria di migliaia di palestinesi (tra i quali Marwan Barghouti, il «Mandela palestinese», uno degli estensori degli accordi di Oslo), l'umiliazione a cui sono costretti i palestinesi nei continui checkpoint dei militari israeliani, il proseguimento di esecuzioni extragiudiziali e delle punizioni collettive (distruzione di case per rappresaglia);
    questa politica israeliana ha rafforzato e non indebolito le posizioni fondamentaliste religiose – un tempo marginali – tra i palestinesi, finendo per favorire l'ascesa di Hamas a discapito delle altre formazioni laiche;
    è urgente che la comunità internazionale adotti nuove iniziative per contribuire al rispetto del diritto internazionale e delle pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite;
    tutti i popoli del Medio Oriente hanno diritto alla pace e alla sicurezza e ciò può essere garantito a lungo termine solo attraverso una pace giusta e duratura basata sul rispetto del diritto internazionale e la piena e completa applicazione delle risoluzioni n. 242 del 1967 e n. 338 del 1973 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, sul ritiro delle forze di occupazione e lo smantellamento degli insediamenti, sul riconoscimento del diritto al rientro dei rifugiati in applicazione della risoluzione n. 194 del 1948 delle Nazioni Unite e sulla liberazione dei prigionieri politici palestinesi;
    sono 121 i Paesi in tutto il mondo che hanno già riconosciuto lo Stato di Palestina nei confini del 1967, secondo quanto previsto dalle citate risoluzioni delle Nazioni Unite, con Gerusalemme est quale sua capitale;
    in particolare, di grande significato è il recente riconoscimento dello Stato di Palestina che porta a 8 i Paesi membri dell'Unione europea che hanno reputato necessario questo riconoscimento, anche come pressione nei confronti del Governo d'Israele per farlo recedere dalla politica delle colonie e per riprendere il percorso di pace;
    il Parlamento britannico, la più antica democrazia liberale del mondo, con 274 voti favorevoli e 12 contrari, ha recentemente approvato una mozione che chiede al Governo di Londra di «riconoscere lo Stato palestinese al fianco dello Stato di Israele» come «contributo per assicurare la soluzione negoziata dei due Stati» nella regione,

impegna il Governo:

   a riconoscere pienamente e formalmente lo Stato di Palestina nei confini del 1967 secondo le risoluzioni delle Nazioni Unite;
   a proporre, nelle sedi internazionali, un atto analogo da parte di tutti i Paesi membri dell'Unione europea e della Nato, da intendersi anche come un contributo importante nella lotta al terrorismo del fondamentalismo religioso;
   a predisporre in tempi rapidi una visita del Presidente del Consiglio dei ministri in Israele e in Palestina per illustrare ai Governi di questi due Paesi il senso del riconoscimento dello Stato di Palestina e per contribuire al riavvio del processo e del negoziato di pace.
(1-00625) «Rizzo, Sibilia, Artini, Manlio Di Stefano, Basilio, Grande, Frusone, Di Battista, Corda, Spadoni, Tofalo, Del Grosso, Paolo Bernini, Scagliusi».


   La Camera,
   premesso che:
    il conflitto tra israeliani e palestinesi, che dura oramai da quasi settant'anni, ha avuto origine dalla suddivisione del mandato britannico sulla Palestina e dalla mancata attuazione delle decisioni e risoluzioni dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, tra le quali, ma non solo, la risoluzione n. 181 dell'Assemblea generale del 1947, la risoluzione n. 242 del Consiglio di sicurezza del 1967, la risoluzione n. 338 del Consiglio di Sicurezza del 1973, e che le summenzionate decisioni e risoluzioni hanno sempre indicato la finalità di un'equa ripartizione territoriale dei territori contesi e della costituzione di uno Stato arabo indipendente a fianco di quello israeliano;
    in diversi atti, dal 1974 in poi, si è assistito al progressivo riconoscimento del popolo palestinese e del suo rappresentante: l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina, quale soggetto avente titolo a partecipare al quadro definito dalle summenzionate risoluzioni;
    con la dichiarazione di indipendenza del 1988 e altri atti, tra cui il ritiro israeliano da Gaza e quello giordano dalla Cisgiordania, si è definita gradualmente una sovranità palestinese su parte dei territori descritti nelle risoluzioni dell'Onu, mentre un'altra significativa porzione rimane sotto occupazione israeliana, contrariamente ai deliberati della stessa Onu e al diritto internazionale;
    con gli accordi di Oslo nel 1993, sottoscritti dal Primo ministro israeliano Rabin e dal Presidente palestinese Arafat, si sono poste le condizioni di principio per un reciproco riconoscimento tra lo Stato di Israele e uno Stato palestinese;
    dal 2012, con la risoluzione dell'Assemblea generale dell'Onu n. 67/19, approvata anche con il voto favorevole dall'Italia, il riconoscimento storico dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp), quale rappresentante del popolo palestinese, è evoluto nello status di «Stato osservatore non-membro» con la definizione di «Palestina» e che l'Organizzazione delle Nazioni Unite ha successivamente riconosciuto il nome di «Stato di Palestina» per l'entità palestinese nel quadro della normale attività, superando il precedente nome di Autorità nazionale palestinese, ormai in disuso;
    risultano essere 134 i Paesi che, in epoche diverse, hanno riconosciuto la Palestina come Stato sovrano;
    la Svezia ha riconosciuto recentemente la Palestina in quanto Stato con una decisione che è oggi già operativa, andando ad aggiungersi a Repubblica Ceca, Bulgaria, Cipro, Slovacchia, Ungheria, Malta, Polonia e Romania nel quadro dell'Unione europea;
    una recente mozione parlamentare nel Regno Unito va nella stessa direzione;
    la recente crisi di Gaza ha portato alla morte di circa 73 israeliani e circa 2200 palestinesi, in gran parte civili, con enormi distruzioni delle infrastrutture civili, provocando una crisi umanitaria, tanto che oggi diversi Governi, tra cui quello italiano, sono impegnati a raccogliere cospicui fondi per sostenere la ricostruzione, allo scopo di normalizzare per quanto possibile la situazione e contenere future escalation del conflitto;
    le recenti vicende hanno dimostrato, ad avviso di molti autorevoli analisti, la necessità di rafforzare la leadership legittima del Presidente palestinese Abbas e delle istituzioni palestinesi con capitale Ramallah, scongiurando il rischio di un rafforzamento di altre entità politiche che pretendano di rappresentare i palestinesi;
    la richiesta palestinese di un riconoscimento statuale non appare compromettere in alcun modo i legittimi interessi israeliani, mentre una sua dilazione si configura come un mancato riconoscimento di una legittima aspirazione;
    il dialogo israelo-palestinese deve certo trovare una sua dimensione bilaterale e questa dimensione bilaterale non potrebbe che avere un impulso positivo dal porre entrambi gli interlocutori su un piano di parità formale;
    costituisce massimo interesse nazionale una soluzione pacifica del conflitto in Medio Oriente e, quindi, l'Italia può e deve assumere una sua posizione costruttiva che ne tuteli gli interessi e i valori;
    i rapporti di amicizia e collaborazione tra l'Italia, lo Stato di Israele e lo Stato di Palestina così come sopra definito sono di amicizia e collaborazione, nel quadro dello storico impegno italiano al progresso della pace nel Mediterraneo;
    la pace deve basarsi sulla legalità internazionale e in primo luogo sulle risoluzioni dell'Onu;
    già oggi la Palestina ha in Roma una rappresentanza diplomatica riconosciuta, così come l'Italia un Consolato per la Palestina a Gerusalemme (est),

impegna il Governo:

   a riconoscere in maniera completa e definitiva lo Stato di Palestina;
   a compiere tutti i passi necessari affinché la questione venga posta all'ordine del giorno in tutti i Paesi membri dell'Unione europea;
   a farsi maggiormente parte attiva nel sostenere il processo di pace tra Israele e Palestina, sulla base delle risoluzioni Onu e dell'esperienza consolidata nel corso del lungo e travagliato processo di pace.
(1-00627)
(Nuova formulazione) «Locatelli, Di Lello, Albanella, Albini, Amoddio, Beni, Bergonzi, Bruno Bossio, Capelli, Carrozza, Catalano, Cova, Damiano, Di Gioia, Di Salvo, Fassina, Fava, Fossati, Furnari, Giorgis, Grassi, Iori, Labriola, Lacquaniti, Laforgia, Lauricella, Lavagno, Lo Monte, Martelli, Marzano, Mattiello, Mauri, Migliore, Miotto, Nardi, Nicchi, Ottobre, Pastorelli, Piazzoni, Pilozzi, Pinna, Plangger, Paolo Rossi, Tidei, Venittelli, Zan, Zoggia, Bossa, Zampa».


   La Camera,
   premesso che:
    si esprime profonda preoccupazione per il continuo aggravarsi della crisi che avvolge tutta la regione mediorientale e nordafricana, nella quale cresce l'influenza dell'Islam politico radicale e delle sue emanazioni jihadiste, dedite alla lotta armata anche in Europa;
    va evidenziato come tale situazione costituisca un'obiettiva preoccupazione che accomuna l'Europa allo Stato d'Israele, unico presidio democratico nella regione sopramenzionata insieme alla Tunisia;
    si rileva la circostanza che lo Stato d'Israele continua ad esser bersaglio di attacchi terroristici che tendono a negarne il diritto di esistere e a condizionarne il comportamento, provocandone ad arte le reazioni militari, secondo la triste logica del «tanto peggio tanto meglio»;
    va ricordato altresì come i territori appartenenti all'Autorità nazionale palestinese siano soltanto in parte sotto l'effettivo controllo dell'esecutivo basato a Ramallah e presieduto da Abu Mazen, trovandosi la Striscia di Gaza sotto la predominante influenza di Hamas, articolazione locale della Fratellanza Musulmana, e di gruppi collaterali di ispirazione jihadista;
    non si può non sottolineare come proprio Hamas sia stato all'origine, nel corso dell'ultimo decennio, di aspri confronti militari con lo Stato ebraico, cosa che permette di concludere che l'esecutivo presieduto da Abu Mazen non possiede il monopolio della forza armata nei territori amministrati dall'Autorità nazionale palestinese;
    inoltre si osserva come Hamas sia internazionalmente appoggiato dalla Turchia, Paese che ha promosso un tentativo di violare il blocco marittimo imposto nei confronti della Striscia di Gaza con la cosiddetta Freedom Flottilla ed è sospettato di sostenere anche il sedicente Stato Islamico sorto a cavallo tra Siria ed Iraq;
    la situazione geopolitica mediorientale appare estremamente delicata e complessa ed ogni passo unilaterale conseguentemente si ritiene un azzardo inopportuno;
    va apprezzato, comunque, che almeno parte del sistema politico palestinese ha accettato il metodo diplomatico come principale strumento d'iniziativa, archiviando la pratica pluridecennale del terrorismo da parte dell'Olp;
    tuttavia si ritiene che la causa del processo di pace debba avanzare attraverso il dialogo tra le parti coinvolte – Stato d'Israele ed Autorità nazionale palestinese – anche con il sostegno esterno assicurato dagli Stati Uniti, dall'Unione Europea e dalla Russia,

impegna il Governo:

   a non assecondare né agevolare ulteriori tentativi unilaterali dell'Autorità nazionale palestinese tesi ad ottenere il riconoscimento internazionale dello status di Stato sovrano senza che sia intervenuto un accordo bilaterale preventivo con lo Stato d'Israele;
   a sostenere la causa del dialogo diretto tra le parti coinvolte, anche con l'apporto dell'Unione europea, degli Stati Uniti e della Federazione Russa;
   a favorire ogni genere di misura che possa contribuire all'indebolimento di Hamas, in particolare escludendo il movimento islamista dalla gestione degli aiuti alla ricostruzione della Striscia di Gaza.
(1-00699) «Gianluca Pini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Prataviera, Rondini, Simonetti».


MOZIONI GRANDE ED ALTRI N. 1-00383, ZARATTI ED ALTRI N. 1-00708 E TIDEI ED ALTRI N. 1-00712 CONCERNENTI INIZIATIVE RELATIVE ALL'IMPATTO AMBIENTALE DELLA CENTRALE TERMOELETTRICA A CARBONE DI CIVITAVECCHIA

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    la città di Civitavecchia sin dagli anni 60 ha visto sul suo territorio la realizzazione di tre centrali termoelettriche. Nel 2003, con l'autorizzazione unica di cui al decreto MAP n. 55/02/2003 che ha recepito integralmente i contenuti del decreto di valutazione d'impatto ambientale n. 680/2003, Enel spa è stata autorizzata alla riconversione dell'impianto di Torrevaldaliga Nord da olio combustibile a carbone;
    la «Valutazione epidemiologica dello stato di salute della popolazione residente nei comuni di Civitavecchia, Allumiere, Tarquinia, Tolfa e Santa Marinella» redatta dal Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale del Lazio, studio pubblicato nel febbraio del 2012, attesta che la popolazione residente nel comune di Civitavecchia nel periodo 2006-2010 presenta un quadro di mortalità per cause naturali (tutte le cause eccetto i traumatismi) e per tumori maligni in eccesso di circa il 10 per cento rispetto alla popolazione residente nel Lazio nello stesso periodo;
    a seguito di molteplici richieste da parto della popolazione, allarmata per la propria salute, nel maggio 2013 l'Azienda Sanitaria Locale RMF ha deliberato l'istituzione del registro dei tumori;
    con decreto 114/2013 di rinnovo dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA) è stato autorizzato l'aumento delle ore di funzionamento della centrate da 6000 a 7500 e della quantità di carbone utilizzabile, ben 900.000 tonnellate in più, per un totale di 4.5 milioni di tonnellate, rispetto al progetto autorizzato con il decreto VIA 680/2003. Ciò implica un rilevante incremento del carico inquinante dall'impianto, demolendo, di fatto, le condizioni del giudizio di compatibilità ambientale espresso dalla regione Lazio che imposero la riduzione dei gruppi della centrale da 4 a 3 nel progetto di riconversione del 2003;
    il parere istruttorio conclusivo dell'autorizzazione integrata ambientale 2013 consente l'utilizzo di carbone con tenore di zolfo genericamente inferiore all'uno per cento, in contrasto con quanto prescritto dal Piano di Risanamento della qualità dell'Aria della regione Lazio, che prevede per gli impianti di combustione, ad uso industriale l'utilizzo di combustibili con tenore di zolfo inferiore allo 0,3 per cento. Peraltro, successivamente al rinnovo dell'AIA, con la mozione approvata dal consiglio regionale del Lazio n. 60 dell'8 ottobre 2013, si è ulteriormente confermata la volontà e la necessità di far rispettare il limite sul tenore di zolfo allo 0,3 per cento per l'impianto a carbone di Torrevaldaliga Nord;
    ENEL è una multinazionale controllata al 30 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze;
    la EEA, Agenzia Europea per l'Ambiente, nel novembre 2011 ha pubblicato uno studio sugli impatti sanitari, ambientali ed economici dell'inquinamento atmosferico dei principali impianti industriali europei, tra cui figura anche Enel, adoperando un metodo di indagine utilizzato anche nel processo Enel-bis sul caso di Porto Tolle e ripreso anche da Greenpeace nei propri studi;
    i risultati dello studio commissionato da Greenpeace nell'aprile 2012 per la centrale di Torrevaldaliga Nord di Civitavecchia, riprendendo la stessa metodologia utilizzata dall'Agenzia Europea per l'ambiente, stimano tra gli impatti sanitari ed ambientali 13 morti premature e 156 miliardi di euro di danni all'agricoltura per l'anno 2009 (tabella 13, dello studio Enel Today and Tomorrow; Hidden Costs of the path of Coal and Carbon versus Possibilities for a Cleaner and Brighter future di SOMO, autori Wilde, Ramsing, Racz, Scheele e Saarman);
    i periti dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) hanno recentemente quantificato per la centrale elettrica di Porto Tolle, riprendendo la stessa metodologia utilizzata da Greenpeace-Somo, 2,6 miliardi di euro di danni sanitari tra il 1998 e il 2009 e più di un miliardo per omessa ambientalizzazione. Tale stima del danno è attualmente usata dall'Avvocatura dello Stato che rappresenta i Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della salute contro Enel, alla quale si chiede di risarcire i danni causati nel tempo;
    nel decreto ministeriale n. 114 del 5 aprile 2013 di Rinnovo dell'Autorizzazione integrata ambientale, in evidente contrasto con l'articolo 6, comma 16 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e, più in generale, con la direttiva 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento), risulta «Non applicata» (pagina 92 dell'allegato parere istruttorio conclusivo) la migliore tecnica disponibile in relazione alle emissioni di monossido di carbonio (CO);
    in conseguenza di tale mancata applicazione, il valore limite di 120 mg/Nm3 previsto per le emissioni di monossido di carbonio (CO) nell'AIA, di cui al citato decreto ministeriale n. 114 del 5 aprile 2013 (pagina 111 dell'allegato parere istruttorio conclusivo) è ampiamente superiore ai livelli di emissione associati all'utilizzo delle best available techniques (30-50 mg/Nm3) previsti dal BREF (reference document on best available techniques) sui grandi impianti di combustione (Large Combustion Plants);
    la quota di controllo pubblico dovrebbe tradursi in un indirizzo industriale per il Paese;
    il «Rapporto annuale e dichiarazione di conformità», stilato da Enel in ottemperanza al Piano di Monitoraggio e Controllo, trasmesso al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel 2013 per Torrevaldaliga Nord mostra che i limiti sulle quantità di carbone utilizzabili e sulle ore di funzionamento vennero già superati nel 2012, quindi prima del riesame dell'AIA;
    il consiglio regionale del Lazio, con l'approvazione della mozione n. 60 dell'8 ottobre 2013, ha impegnato la giunta a far rispettare il limite del tenore di zolfo inferiore allo 0,3 per cento nel combustibile anche per l'impianto di Torrevaldaliga Nord come previsto dal Piano di risanamento della qualità dell'aria della Regione Lazio,

impegna il Governo

   a disporre il riesame, ai sensi dell'articolo 29-octies del decreto legislativo n. 152 del 2006, dell'autorizzazione integrata ambientale per l'impianto di Torrevaldaliga Nord, al fine di ripristinare i parametri di esercizio, ovvero un funzionamento di 6.000 ore all'anno equivalenti con l'utilizzo di 3.600.000 tonnellate all'anno di carbone, previsti dal decreto di valutazione di impatto ambientale 680/2003, salvo ulteriori riduzioni, di garantire l'applicazione delle migliori tecniche disponibili e il rispetto dei livelli di emissione ad esse associati in relazione al monossido di carbonio (CO), di fissare, secondo quanto previsto dal piano di risanamento della qualità dell'aria della regione Lazio, il limite dello 0,3 per cento in relazione al tenore di zolfo contenuto nel carbone;
   a permettere a organizzazioni non governative o comitati legalmente costituiti, di partecipare ai tavoli decisionali che, di fatto, hanno influenzato e influenzeranno la salute dei cittadini, i destini e lo sviluppo economico dei territori direttamente interessati.
(1-00383)
(Nuova formulazione) «Grande, Manlio Di Stefano, Spadoni, Vacca, Busto, Spessotto, Pinna, Vignaroli, Toninelli, Cozzolino, Lorefice, Scagliusi, Rostellato, Rizzetto, Ciprini, Tripiedi, Cominardi, Baldassarre, Colletti, Luigi Di Maio, Businarolo, Bonafede, Turco, Currò, D'Uva, Rizzo, Terzoni, Prodani, Nicola Bianchi, Tofalo, Battelli, Dall'Osso, Del Grosso, Massimiliano Bernini».


   La Camera,
   premesso che:
    la città di Civitavecchia, fin dai primi anni sessanta, ha subito la realizzazione di 3 diverse centrali termoelettriche con una concentrazione di emissioni che ha portato un impatto dirompente sulla salute della cittadinanza e sulle condizioni generali dell'ambiente, pregiudicando, peraltro, uno sviluppo e un'economia alternativi;
    il decreto VIA del 24 dicembre 2003 ha autorizzato Enel a riconvertire la centrale da olio combustibile a carbone impiegando tre gruppi da 660 megawatt ciascuno;
    i cittadini di Civitavecchia, Tarquinia, Allumiere, Tolfa, Santa Marinella, Cerveteri e Ladispoli già dal dicembre 2000, data in cui Enel cominciò a proporre l'idea della riconversione a carbone, si sono organizzati in molteplici comitati e associazioni volti ad impedire detta riconversione;
    i dati relativi alla salute pubblica nel comprensorio di Civitavecchia sono semplicemente allarmanti, tutti gli studi epidemiologici dai primi anni ’90 ad oggi dimostrano la gravità della situazione: nel provvedimento di valutazione dell'impatto ambientale per l'impianto Torrevaldaliga Nord (Tvn) si legge: «in un'area dove non è possibile escludere che le emissioni avvenute nel passato abbiano comportato un impatto sulla salute umana che non si sia ancora completamente manifestato»;
    nel biennio 1990-1991 l'Osservatorio epidemiologico regionale (OER) ha rilevato a Civitavecchia un'incidenza di mortalità per tumore ai polmoni, bronchi e trachea superiore al 35 per cento della media regionale. In dettaglio, nel 1996 l'OER, nell'analizzare i dati relativi al triennio 1990-92 ha accertato che Civitavecchia (comprensiva di Tolfa, Allumiere e Santa Marinella) è al secondo posto nel Lazio per mortalità per tumori e al primo per quella relativa ai tumori ai polmoni;
    nell'ottobre 1999 sempre l'OER ha riscontrato una mortalità delle donne nel territorio di Civitavecchia superiore del 12 per cento rispetto alla media del Lazio. Notevolissime le incidenze di mortalità per cancro alla trachea, ai bronchi e ai polmoni, nella misura del 23 per cento in più. Inoltre la rivista Occupational environmental medicine nel settembre 2004 ha pubblicato una ricerca che dimostra che nell'area di Civitavecchia il rischio di cancro al polmone sarebbe al 20-30 per cento rispetto alla media regionale;
    uno studio commissionato dal National institute of environmental hearth sciences (NIEHS) ha chiaramente messo in relazione l'aumento del rischio di avere il cancro al polmone con l'esposizione cronica alle polveri provenienti dalla combustione dei combustibili fossili;
    il centro pneumologico Conti Curzia di Civitavecchia, in una ricerca effettuata nel 2001 su ragazzi tra gli 11 e i 14 anni, ha riscontrato che il 56,3 per cento dei soggetti è affetto da asma, allergie e altre sindromi dell'apparato respiratorio, la percentuale più alta nella regione Lazio;
    uno studio dell'ottobre 2006 pubblicato in Epidemiologia e prevenzione, a cura di V. Fano, F. Forastiere, P. Papini, V. Tancioni, A. Di Napoli, C. A. Petrucci, ha evidenziato che: «l'analisi dei ricoveri ospedalieri aggiunge informazioni al quadro epidemiologico dell'area, con risultati coerenti con quelli di mortalità e che confermano i risultati di studi precedenti: tumore polmonare pleurico e asma bronchiale sono in eccesso. Una novità rispetto alle conoscenze già note è costituita dall'aumento di incidenza dell'insufficienza renale cronica, rilevato dal registro regionale dialisi»;
    il recente studio condotto dal Dipartimento di epidemiologia della Regione Lazio, relativo al periodo 2006-2010, fa emergere dei dati allarmanti. «A Civitavecchia il tasso di mortalità causato da tumori al polmone e alla pleura è il 30 per cento più alto rispetto al resto della regione Lazio». A dirlo è il dottor Francesco Forastiere, che ha condotto la ricerca. «Insieme a questo vi è anche un aumento delle morti per malattie respiratorie croniche - continua Forastiere - queste due malattie hanno un'origine non solo nel fumo di sigaretta, ma anche nell'esposizione nei posti di lavoro e nell'impatto ambientale». I fattori che hanno portato a questa condizione sono però molteplici. «C’è da considerare l'amianto presente sulle navi, le emissioni delle centrali, l'inquinamento del porto e tutta una serie di circostanze che hanno colpito il territorio negli ultimi venti/trent'anni», precisa Forastiere. Allora, i dati a disposizione non riguardano solamente gli ultimi anni, ma l'esposizione a cui è andata incontro la popolazione di Civitavecchia, Allumiere, Tarquinia, Tolfa e Santa Marinella a partire dagli anni ottanta;
    l'azienda sanitaria locale Asl RmF ha, nel mese di maggio 2013, deliberato l'istituzione del registro dei tumori, strumento epidemiologico ormai irrinunciabile per Civitavecchia ed il suo comprensorio a fronte dell'incidenza delle patologie tumorali riscontrate;
    in data 12 marzo 2013 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha rinnovato l'autorizzazione integrata ambientale (AIA) dell'impianto di Torrevaldaliga Nord aggravando ulteriormente la già precaria situazione ambientale e sanitaria. Ciò si evince dalla comparazione dei limiti emissivi, delle ore di funzionamento e della quantità di combustibile utilizzato nelle diverse autorizzazioni dal 2003 ad oggi (si vedano: decreto VIA n. 55 del 2003 del Ministero delle attività produttive, Limiti secondo le migliori tecnologie esistenti secondo le normative europee e nazionali, dati da report Enel 2011 e 2012, decreto AIA 2013);
    dalla comparazione si evince chiaramente che dal 2003 al 2013 si è prodotto un complessivo peggioramento delle condizioni di esercizio della centrale con particolare riferimento alle ore di funzionamento che passano da 6.000 a 7.500 all'anno in più per ogni gruppo della centrale Torrevaldaliga Nord;
    il consumo di carbone è passato da 3.600.000 a 4.500.000 tonnellate all'anno con un aumento di 900.000 tonnellate, pari al 25 per cento in più, rendendo nullo il parere della regione Lazio in fase di valutazione di impatto ambientale all'interno della quale veniva richiesta la limitazione di produzione di energia con 3 gruppi e non 4, proprio per limitare l'uso di combustibile fossile;
    va inoltre evidenziato come, ogni impianto, di qualsiasi tipo e a maggior ragione per una centrale dalla portata di 1950 megawatt, ha necessariamente bisogno di periodi di «fermo» per la manutenzione e la sicurezza;
    nell'anno 2013 Enel ha eseguito due fermate programmate di due delle tre caldaie presenti a Torrevaldaliga Nord. La prima è stata effettuata nel mese di maggio 2013 (per l'intero mese) mentre la seconda da ottobre a dicembre 2013 (per un totale di nove settimane);
    nell'anno in corso, anche in conseguenza delle maggiori ore di funzionamento degli impianti, pare che Enel abbia messo in programma due fermate per le caldaie sezione 4 e sezione 2 sempre nei mesi di maggio ed ottobre. A differenza del 2013 però i tempi di intervento saranno drasticamente ridotti; la fermata di Maggio sarà di sole due settimane e quella da Ottobre di sette settimane. Il solo spegnimento e raffreddamento della caldaia comporta due giorni. Il restringimento dei tempi di fermata produce inevitabilmente un peggioramento della qualità delle manutenzioni e, di conseguenza, dell'efficienza degli impianti (come nel caso dei filtri DESOX e GGH per l'abbattimento dei fumi);
    in aggiunta a questo, la riduzione dei tempi destinati alla manutenzione e alla qualità portano all'inevitabile diminuzione della sicurezza per i lavoratori, impegnati nel medesimo delicato lavoro ma con meno tempo a disposizione;
    anche sul piano occupazionale persistono molte criticità: dal 20 marzo Enel ha ridimensionato tutte le lavorazioni non indispensabili per il normale esercizio dell'impianto, ma di vitale importanza per l'imprenditoria locale. Le normali attività di manutenzione, se non supportate dalle cosiddette «attività polmone» non sono sufficienti per la sopravvivenza delle imprese che vi operano, anche perché la maggior parte delle attività possono essere effettuate solo ad impianto spento proprio per tutelare la sicurezza degli operatori;
    quanto suesposto rischia quindi di diminuire i livelli di sicurezza per i lavoratori e l'ambiente;
    un ulteriore aspetto critico (presente a pagina 109 del parere istruttorio conclusivo dell'AIA 2013) consiste nell'autorizzazione ad utilizzare carbone con tenore di zolfo inferiore all'1 per cento anziché inferiore allo 0,3 per cento come previsto dal piano di riqualificazione della qualità dell'aria della Regione Lazio;
    il 14 febbraio 2013 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha decretato la semplificazione della normativa che prevede la combustione del CDR (combustibile da rifiuti) o del CSS (combustibile solido secondario) e il declassamento del CSS da rifiuto a combustibile di qualità, all'interno di siti produttivi come cementifici o centrali termoelettriche;
    come detto, il comune di Civitavecchia ha deliberato di istituire attraverso la Asl RmF il registro dei tumori, quale studio dell'incidenza e della prevalenza dei tumori;
    il comune di Civitavecchia, attraverso un'ordinanza del sindaco del 26 aprile 2013, ha disposto il divieto totale ed assoluto di combustione presso le centrali elettriche e presso gli altri opifici industriali presenti sul territorio, con qualsiasi modalità e con l'utilizzo di qualsiasi procedimento tecnico, di rifiuti e di materiale di risulta, siano essi di natura organica o inorganica e ha ordinato che le forze dell'ordine, il Corpo della polizia locale, la Asl, 1'Arpa Lazio, l'Ispra ed il competente Servizio comunale ambiente curino l'attuazione ed il rispetto della disposizione;
    i comuni del territorio hanno approvato un'identica mozione che impegna le amministrazioni di competenza a mettere in campo ogni azione necessaria a impedire che le centrali di Torrevaldaliga Nord e di Torrevaldaliga Sud siano utilizzate per l'incenerimento del combustibile da rifiuti e combustibile solido secondario;
    la Provincia di Roma, nel pieno delle sue funzioni, si era più volte espressa, attraverso mozioni approvate all'unanimità del Consiglio, contro ogni ipotesi di incenerimento di rifiuti negli impianti di Torrevaldaliga Nord e Torrevaldaliga Sud,

impegna il Governo:

   a riaprire immediatamente la conferenza di servizi sull'autorizzazione integrata ambientale della centrale di Torrevaldaliga Nord al fine di un generale ridimensionamento delle condizioni di esercizio con una relativa diminuzione delle ore di lavorazione dell'impianto, delle quantità annue di carbone bruciabile e, in modo particolare, riguardo alla chiusura dell'impianto entro e non oltre il 2020 e, nel frattempo, a mettere in campo tutte le azioni necessarie a riconvertire le maestranze attualmente impiegate negli impianti termoelettrici;
   a garantire il rispetto dei limiti imposti dal piano di riqualificazione dell'aria della regione Lazio (per quanto riguarda il contenuto di zolfo > dello 0,3 per cento) nei combustibili utilizzati da parte della centrale termoelettrica di Torrevaldaliga Nord, nonché delle navi mercantili e da crociera che transitano nel porto di Civitavecchia;
   ad attivarsi al fine di far osservare, nell'ambito delle proprie competenze, tutte le prescrizioni e compensazioni previste nella valutazione di impatto ambientale di Torrevaldaliga Nord ai sensi del decreto n. 55 del 2003 e successive modificazioni, mai rispettate da Enel;
   ad assicurare che nel territorio di Civitavecchia sia scartata ogni ipotesi di nuova realizzazione e/o utilizzo degli esistenti impianti per la produzione di energia elettrica di termovalorizzazione e ossidazione termica di qualsiasi sostanza, compresi il CDR (combustibile da rifiuti) e il CSS (combustibile solido secondario);
   a mettere in atto tutte le iniziative di competenza, al fine di garantire la tutela e la sicurezza dei lavoratori delle centrali, anche con riferimento alla prevista suddetta riduzione, dal parte dell'Enel, dei tempi di fermata per manutenzione degli impianti;
   a garantire la piena partecipazione delle associazioni e delle comunità locali alle scelte decisionali inerenti all'attività degli impianti di Civitavecchia, per quanto riguarda le ricadute ambientali e sanitarie conseguenti alle medesime scelte.
(1-00708) «Zaratti, Pellegrino, Zaccagnini, Ricciatti, Ferrara, Scotto».


   La Camera,
   premesso che:
    l'area di Civitavecchia è sottoposta da molti anni ad una notevole pressione ambientale riconducibile all'attività di:
     a) un rilevante polo energetico costituito da due centrali termoelettriche, una delle quali alimentata a carbone;
     b) uno dei principali porti del mediterraneo, con rilevante traffico crocieristico e di trasporto auto;
     c) un'importante struttura di depositi costieri con una capacità di movimentazione di prodotti petroliferi di oltre un milione di tonnellate all'anno;
     d) un cementificio;
     e) un centro chimico che custodisce tuttora i gas nervini;
    il dipartimento di epidemiologia del servizio sanitario della regione Lazio nel suo rapporto pubblicato nel febbraio 2012 recita testualmente: «La popolazione residente nel comune di Civitavecchia nel periodo 2006-2010 presenta un quadro di mortalità per cause naturali (tutte le cause eccetto i traumatismi) e per tumori maligni in eccesso di circa il 10 per cento rispetto alla popolazione residente nel Lazio nello stesso periodo. Tale eccesso si conferma tra gli uomini residenti nell'area allargata ai comuni di Civitavecchia, Allumiere, Tarquinia, Tolfa e Santa Marinella ma non tra le donne. In riferimento alla mortalità per cause tumorali, si osserva tra gli uomini residenti a Civitavecchia un forte eccesso di rischio per tumore polmonare e della pleura. L'analisi allargata ai comuni del comprensorio conferma l'eccesso di rischio per tumore polmonare»;
    nel 2013, l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) ha classificato l'inquinamento atmosferico outdoor ed il materiale particellare fine come cancerogeni per l'uomo stabilendo che nessuna dose può essere considerata priva di effetti per la salute umana;
    il consorzio tra i comuni di Allumiere, Civitavecchia, Monte Romano, Santa Marinella, Tarquinia e Tolfa per la gestione dell'osservatorio ambientale, che gestisce la locale rete di monitoraggio dell'inquinamento atmosferico, nel suo rapporto per l'anno 2013 recita che la qualità dell'aria dei comuni di Allumiere, Civitavecchia, Monte Romano, Santa Marinella, Tarquinia e Tolfa rispetta sostanzialmente i criteri di protezione della salute e dell'ambiente dettati dalla normativa (decreto legislativo n. 155 del 2010). Fa eccezione l'ozono che, in analogia con oltre il 90 per cento delle stazioni di rilevamento in tutto il territorio nazionale, nelle postazioni di Allumiere e Sant'Agostino fa registrare concentrazioni che superano i limiti di legge o sono ad essi molto vicine. La valutazione dell'osservatorio, centrata prioritariamente sulla protezione della salute, ha adottato i riferimenti dell'Organizzazione mondiale della sanità che per molti inquinanti sono più restrittivi di quelli imposti dalla normativa. Questo approccio conferma la criticità dell'ozono, ma suggerisce di prestare attenzione anche al materiale particellare (PM10 e PM2,5), le cui concentrazioni in tutti i siti di rilevamento oscillano intorno ai valori di riferimento dell'Organizzazione mondiale della sanità;
    il rinnovo dell'autorizzazione integrata ambientale alla centrale Torrevaldaliga Nord rilasciato dal Ministro dell'ambiente e del territorio e del mare con decreto del 5 aprile 2013, rispetto al 2003:
     a) introduce la concentrazione giornaliera in chiave più restrittiva per tutti i macroinquinanti, ad eccezione del monossido di carbonio che resta inalterato;
     b) lascia inalterati i limiti orari degli ossidi di azoto e del biossido di zolfo, ma impone a quello delle polveri una riduzione quantificabile tra il 30 per cento ed il 50 per cento circa;
     c) interviene sui limiti inerenti le emissioni massime, riducendo quelli delle polveri e del biossido di zolfo del 60 per cento e del 50 cento rispettivamente;
     d) introduce un limite massimo all'emissione del monossido di carbonio che non consentirebbe alla centrale di operare al massimo livello delle emissioni di questo inquinante per più di 10 mesi all'anno circa;
     e) fissa alle emissioni di diossine e furani, che non sono trattate nelle migliori tecniche disponibili (Bat), limiti 10000 volte più bassi di quelli previsti per gli impianti di combustione dal decreto legislativo n. 152 del 2006 (Codice dell'ambiente);
    il citato decreto del 5 aprile 2013 del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prescrive alla centrale centrale Torrevaldaliga Nord un limite alle emissioni del monossido di carbonio (130 mg/m3) significativamente maggiore delle concentrazioni indicate nel Documento di riferimento europeo sulle migliori tecniche disponibili nell'intervallo 30-50 mg/m3;
    non sono noti gli esiti dei due studi di fattibilità prescritti al gestore dal citato decreto 5 aprile 2013 del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare relativamente:
     a) alla trasformazione della centrale Torrevaldaliga Nord dalla sola produzione di energia elettrica ad impianto di cogenerazione o trigenerazione (produzione di calore e raffrescamento per uso civile);
     b) all'installazione o implementazione di un sistema di abbattimento del monossido di carbonio ai camini della centrale;
    l'European IPPC Bureau della Commissione Europea ha pubblicato nel giugno 2013 il draft del Documento di riferimento europeo che aggiorna le migliori tecniche disponibili e l'approvazione finale di detto documento è prevista entro l'anno 2015,

impegna il Governo:

   a riesaminare l'autorizzazione integrata ambientale concessa alla centrale Torrevaldaliga Nord, al fine di adeguare le emissioni ai riferimenti suggeriti dalle nuove migliori tecniche disponibili (Bat), alla luce dei contenuti del Documento di riferimento europeo (Bref) in corso di pubblicazione da parte della Commissione europea;
   nelle more del riesame, a garantire la puntuale verifica del rispetto delle prescrizioni imposte dal provvedimento di autorizzazione integrata ambientale vigente, dando la più ampia pubblicità dell'esito dei controlli effettuati.
(1-00712) «Tidei, Minnucci, Carella, Ferro, Gregori, Piazzoni, Giuseppe Guerini, Laforgia, Morassut, Iori, Miccoli».


MOZIONI SANDRA SAVINO E PALESE N. 1-00540, PRODANI, PELLEGRINO ED ALTRI N. 1-00047, FEDRIGA ED ALTRI N. 1-00704 E GIGLI E DELLAI N. 1-00705 CONCERNENTI INIZIATIVE PER L'ISTITUZIONE DI ZONE FRANCHE URBANE IN FRIULI VENEZIA GIULIA

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    l'istituzione delle zone franche urbane (zfu) è stata introdotta dall'articolo 1, comma 340, legge 24 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007), quale strumento di sostegno all'economia in determinate aree del territorio nazionale, particolarmente in ritardo sul versante dello sviluppo e della crescita, che, a seguito dell'espletamento di determinate procedure ed in armonia con il quadro regolatorio comunitario, possono beneficiare di una particolare fiscalità di vantaggio e di una mirata allocazione delle risorse;
    l'iniziativa s'inserisce all'interno di un panorama nazionale delle politiche di promozione dello sviluppo di una specifica parte geografica, finalizzato al concretizzarsi di una serie di sgravi fiscali e agevolazioni per le piccole e micro imprese, che avviano una nuova attività economica in territori ultraperiferici, con potenzialità di sviluppo inespresse;
    il riconoscimento dello status giuridico di zona franca, che prevede specifiche condizioni, quali essere territori ultraperiferici, a rischio di spopolamento e con una situazione socio economica di sottosviluppo, deve tener conto delle disposizioni legislative dello Stato, rafforzate dall'articolo 116 della Costituzione, che attribuisce al Friuli Venezia Giulia, alla Sardegna, alla Sicilia, al Trentino-Alto Adige/Südtirolo e alla Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, la disposizione di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale;
    nell'ambito delle caratteristiche riconducibili all'identificazione dei presupposti indispensabili per rendere operativa la misura d'aiuto, attraverso un regime di speciali agevolazioni, lo strumento della zona franca urbana, istituito nelle fasce confinarie regionali, che subiscono la concorrenza di sistemi fiscali, previdenziali e forme contrattuali di lavoro particolarmente vantaggiose, costituisce un contributo rilevante e moderno per promuovere il rilancio dell'economia territoriale;
    la fascia confinaria della regione autonoma Friuli Venezia Giulia con la Slovenia e con l'Austria, rappresentata dalle città di Trieste, Gorizia, Cividale e Tarvisio, nonché la zona di frontiera italo-austriaca del Brennero, nella provincia autonoma di Bolzano, da diversi anni è contraddistinta negativamente dal punto di vista socioeconomico dall'accresciuta concorrenza, essenzialmente di tipo fiscale, messa in atto dai Paesi confinanti;
    il trattamento fiscale e contributivo più favorevole, attuato oltre la linea di confine, da parte dell'Austria e della Slovenia, si rivela essere, infatti, notevolmente vantaggioso rispetto al confine orientale italiano, in considerazione del fatto che i benefici che si riscontrano oltre la fascia confinaria sono soprattutto quelli relativi alle imposte dovute, alle accise, al costo del lavoro e ai differenziali nel complesso più favorevoli dei costi della vita e dei servizi;
    gli effetti negativi e penalizzanti derivanti dall'elevata tassazione italiana, che complessivamente raggiunge livelli anche pari al 68 per cento, rispetto ai sopracitati Paesi confinanti, i quali raggiungono percentuali d'imposizione fiscale rispettivamente pari al 34 per cento e al 50 per cento, stanno determinando inoltre una progressiva delocalizzazione produttiva e commerciale delle imprese friulane;
    la vicinanza geografica all'Italia, unitamente ad un sistema in generale più favorevole, rappresentato da procedure amministrative più «snelle», da semplificazioni fiscali e burocratiche vantaggiose e da un tessuto ambientale che non ha pregiudizi nei confronti della figura imprenditoriale, stimola lo spostamento degli insediamenti produttivi e commerciali oltre le aree confinanti con l'Austria e la Slovenia, entrambi Stati membri dell'Unione europea;
    ulteriori elementi distintivi che inducono le imprese friulane a delocalizzare la propria attività aziendale, determinando considerevoli vantaggi per i relativi bilanci, derivano dallo spostamento della residenza fiscale oltre confine, in considerazione del fatto che tale decisione, oltre a non richiedere un grande sforzo logistico, eviterebbe la doppia imposizione dei redditi d'impresa;
    in termini complessivi, i benefici che riscontrano gli imprenditori interessati a stabilire la propria attività d'impresa in Austria e Slovenia sono rivolti, come in precedenza indicato, ad una complessiva imposizione fiscale più favorevole, se si valuta che in Slovenia e in Austria grava sulle società una pressione fiscale in media, rispettivamente, del 20 per cento e del 25 per cento, a differenza del livello di prelievo fiscale in Italia che ha raggiunto il 43,8 per cento del prodotto interno lordo nel 2013, con una base imponibile delle imposte (Irpef pari al 40 per cento, Ires al 27,5 per cento e Irap al 3,9 per cento) così elevata, che determina un dimezzamento del risultato economico delle società;
    i contributi previdenziali e sanitari, il trattamento di fine rapporto, le aliquote delle accise ed una più ampia e generale libertà d'azione, anche dal punto di vista giuridico, nel creare le condizioni ideali per «fare impresa», stanno conseguentemente provocando una vera «migrazione» delle imprese italiane verso le limitrofe Austria e Slovenia, i cui effetti negativi e penalizzanti si ripercuotono evidentemente sull'economia territoriale friulana, nonché su quella nazionale, in particolare dal punto di vista occupazionale;
    le numerose e articolate criticità sopraesposte configurano, pertanto, un quadro complessivo estremamente svantaggioso dal punto di vista concorrenziale per le imprese italiane, le cui zone di frontiera hanno rappresentato per molti anni lo snodo dei traffici via terra verso l'Europa, con innegabili benefici di natura economica per le popolazioni residenti;
    il successivo allargamento progressivo dell'Unione europea verso est e l'adozione della moneta unica hanno, inoltre, rappresentato ulteriori elementi distintivi svantaggiosi per il Friuli Venezia Giulia, provocando la perdita di un numero considerevole di opportunità commerciali e di servizi, con evidenti ricadute negative sull'economia locale, causate anche, come in precedenza riportato, dalla competizione degli Stati confinanti aumentata nel corso degli ultimi anni;
    l'adozione di strumenti in grado di sostenere il tessuto produttivo posizionato lungo le fasce di confine, al fine di favorire le attività industriali, commerciali, artigianali e turistiche, nonché di sostenere e promuovere lo sviluppo dell'economia locale, dell'occupazione e l'interscambio economico con i Paesi limitrofi, risulta pertanto urgente ed opportuno, al fine di interrompere il processo di delocalizzazione in corso dalla regione friulana e dare un nuovo impulso alla crescita della fascia confinaria friulana;
    si auspica l'introduzione di misure che possano rappresentare un efficace strumento moderno di politica economica e fiscale, in grado di tutelare in maniera costruttiva una parte consistente della sopraesposta regione di confine, volte alla semplificazione fiscale e burocratica e a sostenere la concorrenza operata dai Paesi esteri confinanti, una più ampia libertà di detassazione per le nuove imprese e per le imprese dei giovani, senza gravare sull'amministrazione dello Stato, un regime d'esenzione temporaneo dei dazi extra doganali e l'eliminazione delle imposte sui consumi e sui redditi limitatamente ai redditi prodotti nella zone franche possono costituire, nella totalità, un processo coordinato tra le istituzioni ed i soggetti interessati,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative, per quanto di competenza e in conformità alla disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato, a favore della regione Friuli Venezia Giulia, al fine di contrastare i fenomeni di disagio sociale ed economico causati dalla concorrenza degli Stati confinanti, di interrompere il processo di delocalizzazione degli impianti produttivi in corso, nelle aree oltre confine, e di favorire il rilancio economico e imprenditoriale friulano attraverso:
    a) l'istituzione, in via sperimentale e temporanea per la durata di tre anni, di una disciplina normativa analoga a quella delle zone franche urbane, di cui all'articolo 1, comma 340, legge 24 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007), a favore dei territori dei comuni di Trieste, Gorizia, Cividale, Tarvisio e Brennero, finalizzata a prevedere semplificazioni fiscali burocratiche dirette a contrastare la concorrenza dei sistemi più vantaggiosi, dal punto di vista fiscale, dei Paesi confinanti quali Austria e Slovenia;
    b) la previsione in via sperimentale e temporanea per la durata di cinque anni per i territori dei distretti industriali del Friuli Venezia Giulia dello status di zona franca, ai sensi del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio (UE) n. 952/2013 del 9 ottobre 2013 e del regolamento (CEE) n. 2454/93 della Commissione del 2 luglio 1993, quale elemento positivo di connessione tra il rilancio dell'economia locale e l'inversione di tendenza alla delocalizzazione degli insediamenti produttivi;
    c) la previsione di misure di agevolazione fiscale nei riguardi del settore marittimo al fine di favorire lo sviluppo turistico e l'attività portuale di Trieste, attraverso: l'esenzione da dazi e formalità doganali, prevedendo la libertà di sbarco, imbarco, trasbordo, deposito, manipolazione e lavorazione anche industriale delle merci in regime estero per estero, con mantenimento dell'origine, senza dazi doganali, tasse, aliquote e diritti marittimi; l'esenzione dalle imposte sui consumi e sui redditi limitatamente a quelli prodotti nelle zone franche; la riduzione degli oneri amministrativi per le società estere e la deregulation bancaria e assicurativa;
    d) l'introduzione di adeguate misure per l'incremento del commercio di determinati prodotti, in particolare riducendo la tariffa dei carburanti e dei generi di monopolio, i cui prezzi negli Stati confinanti sono particolarmente contenuti;
    e) l'introduzione di misure sperimentali per l'incremento della produttività del lavoro definendo le modalità di detassazione del salario di produttività, con riferimento al settore privato, e assumendo iniziative a beneficio dell'imprenditoria giovanile e dei titolari di reddito da lavoro dipendente.
(1-00540) «Sandra Savino, Palese».


   La Camera,
   premesso che:
    il porto franco di Trieste ha una lunga tradizione storica, avendo ottenuto il suddetto status dall'imperatore austriaco Carlo VI nel 1719. Tale regime è rimasto prerogativa del porto di Trieste anche in seguito al passaggio al Regno d'Italia dopo la Prima guerra mondiale;
    al termine della Seconda guerra mondiale – con il Trattato di Pace di Parigi del 1947 (allegato VIII), la risoluzione n. 16/1947 dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e il Memorandum di Londra del 1954 – il porto triestino ha conservato le sue peculiarità e i vantaggi derivanti dal mantenimento della legislazione speciale sia doganale che fiscale, con cinque punti franchi che godono dell'extraterritorialità doganale;
    gli articoli dall'1 al 20 dell'allegato VIII prevedono impegni precisi per l'Italia riguardo alla natura di tale porto, come la sua accessibilità «per l'uso in condizioni di eguaglianza per tutto il commercio internazionale», la sua amministrazione e la garanzia del regime di completa libertà di transito delle merci;
    l'articolo 5 del successivo Memorandum di Londra ha riconosciuto la validità dei dettami contenuti negli articoli dall'1 al 20 del sopracitato allegato VIII al Trattato di Pace;
    il superamento del Memorandum di Londra, da parte del Trattato di Osimo (1975), in merito ai rapporti tra l'Italia e l'allora Jugoslavia, non ha modificato quanto stabilito in relazione agli obblighi dell'Italia sul porto franco di Trieste;
    le peculiarità che distinguono quest'ultimo ed i suoi punti franchi vengono fatte salve nella legge n. 84 del 1994, sul «Riordino della legislazione in materia portuale», in ottemperanza al preciso obbligo assunto dal Governo italiano con la sottoscrizione dei trattati internazionali sopracitati;
    ad oggi il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti non ha emanato il decreto sull'organizzazione amministrativa del porto di Trieste, previsto nell'articolo 6, comma 12, della legge sopracitata;
    l'introduzione delle norme speciali per il porto di Trieste all'interno della legislazione portuale – attraverso il decreto previsto dalla legge n. 84 del 1994 e mai emanato – oltre a mettere fine alle incertezze sull'applicazione della normativa di agevolazione riservata allo speciale regime del relativo porto franco, darebbe piena attuazione alla riforma, finora incompiuta, del sistema portuale italiano e la necessaria, quanto dovuta, chiarezza normativa necessaria per il pieno sviluppo della portualità triestina;
    la mancata valorizzazione del punto franco nord, noto come porto vecchio, ed il suo progressivo declino dimostrano quanto gli impegni del Governo a mantenere il porto in perfetta efficienza siano stati disattesi. Tale problema è stato messo in evidenza quando, nel maxi emendamento alla legge di stabilità per il 2015, sono state inserite delle disposizioni riguardo alla sdemanializzazione per legge di gran parte dei 60 ettari rientranti nel perimetro del porto vecchio di Trieste nonché il trasferimento in altra area ancora da individuare, senza l'esplicito e doveroso coinvolgimento dell'autorità portuale, del punto franco;
    le disposizioni contenute nel maxiemendamento approvato – oltre a sancire per legge la fine della pubblica utilità dell'area in assenza di qualche pronunciamento precedente delle autorità competenti e senza il consenso della popolazione attraverso pronunciamenti ufficiali degli organi elettivi – destano delle preoccupazioni anche in relazione a contenuti che abbiano come oggetto una questione delicata come la trattazione dei punti franchi triestini regolati da specifici vincoli internazionali. Oltretutto, al patrimonio disponibile del comune di Trieste, la cui valutazione economica è strettamente connessa alla progettualità strategica ancora da stabilire per l'area, andrà trasferito un comprensorio decisamente superiore alle sue capacità finanziarie. Risulta evidente come l'immissione improvvisa del milione di metri cubi del porto vecchio di Trieste sul mercato immobiliare creerà delle criticità sul valore immobiliare dell'intero patrimonio cittadino pubblico e privato già interessato da un eccesso di offerta in particolare di grandi immobili storici;
    a tale situazione di prospettive tradite per il capoluogo giuliano si aggiunge la mancata attuazione della legge n. 19 del 1991 per quanto riguarda il centro off-shore del porto vecchio, in seguito a un estenuante rimpallo di responsabilità tra istituzioni italiani ed europee;
    la mancata attuazione delle disposizioni a favore del porto di Trieste risulta tra l'altro incomprensibile in seguito alla segnalazione, da parte del Governo, del progetto per un terminal off-shore del porto di Venezia quale priorità nazionale eleggibile per i finanziamenti della Banca europea per gli investimenti sotto il cosiddetto «Piano Juncker», scelta che ha scatenato la guerra tra i due scali. Si auspica, invece, che i due porti dell'Alto Adriatico possano essere inseriti in una visione strategica complessiva che permetta di competere con i grandi porti del nord Europa;
    l'articolo 4, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 107 del 2009 ed il successivo decreto ministeriale 24 dicembre 2012, nell'indicare in via generale i parametri di riferimento per l'adeguamento delle tasse e dei diritti marittimi in tutti i porti nazionali, ha introdotto una rilevante differenziazione fra il trattamento riservato al complesso dei porti nazionali ed il porto franco di Trieste, nel quale l'aumento delle tasse e dei diritti marittimi è pari al 100 per cento del tasso d'inflazione, anziché del 75 per cento come negli altri scali;
    tale trattamento difforme e discriminante riservato allo scalo giuliano, oltre a disattendere quanto stabilito nella normativa speciale a cui è sottoposto il porto di Trieste, è foriero di rilevanti danni economici per tutti coloro che operino nell'ambito dei punti franchi ed è attualmente oggetto di un ricorso al Consiglio di Stato;
    gli avvisi esplorativi alla vendita di cui attualmente sono oggetto Adriafer srl e Porto Servizi spa – entrambe società concessionarie di servizi primari all'interno del porto, che pertanto sarebbe opportuno che restassero in capo all'Autorità portuale di Trieste – potrebbero rappresentare ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo delle violazioni degli obblighi in merito all'amministrazione del porto franco, derivanti dall'allegato VIII al Trattato di pace;
    il mandato dell'attuale presidente dell'autorità portuale di Trieste è in scadenza il 19 gennaio 2015, circostanza che rende quanto mai urgente l'immediata nomina di un nuovo presidente che goda della piena fiducia delle istituzioni locali, in modo da tutelare la continuità amministrava ed evitare un logorante periodo di commissariamento che potrebbe avere come principale obiettivo quello di far slittare la nomina fino alla più volte annunciata riforma del sistema portuale;
    vista la posizione geografica di Trieste quale importante crocevia per sistemi intermodali nave-rotaia e la specificità dei fondali di cui dispone, il ruolo del capoluogo giuliano e del suo porto potrebbe trarre un grandissimo vantaggio strategico dall'estensione fino a Trieste del progetto della joint venture OBB – Breitspur Planungsgesellschaft mbH per la costruzione di una rete ferroviaria a scartamento largo da Košice (Slovacchia) a Bratislava e Vienna che ha per obiettivo quello di potenziare i volumi di traffico, migliorare i collegamenti diretti e ridurre il tempo del trasporto merci tra Asia ed Europa;
    risulta evidente come l'Italia dovrebbe considerare l'eccezionalità di un porto quale quello di Trieste, sia dal punto fisico che giuridico che fiscale, quale un'importantissima risorsa da valorizzare, una risorsa che, se sostenuta in maniera dovuta e in rispetto agli obblighi internazionali assunti dall'Italia, rappresenterebbe con assoluta certezza un elemento cardine della ripartenza economica di tutto il territorio nazionale;
    si ritiene necessario attivare politiche attive nei confronti della regione autonoma Friuli Venezia Giulia per avviare una concreta ripresa economica di tale territorio, che possa altresì favorire il tessuto economico-sociale del resto del Paese;
    al riguardo, si evidenzia che, in data 11 luglio 2014, è stato approvato dalla giunta regionale il «piano di sviluppo industriale FVG Rilancimpresa» che prevede, in particolare, riforme dei distretti industriali e dei consorzi, nonché generiche linee di intervento rispetto al sistema produttivo, che non sono assolutamente idonee e sufficienti per favorire un'incisiva ripresa economica e occupazionale, in considerazione delle prioritarie e specifiche problematiche che affliggono il Friuli Venezia Giulia;
    pertanto, oltre alla concreta attuazione e potenziamento della zona franca del porto di Trieste, va adottato un più ampio progetto che preveda l'attuazione di zone franche urbane nella fascia di confine della regione autonoma in questione;
    è noto che le zone franche urbane istituite dalla legge finanziaria 2007 (legge 24 dicembre 2006, n. 296, articolo 1, comma 340) sono aree infra-comunali di dimensione minima prestabilita dove si attuano programmi di defiscalizzazione per la creazione di piccole e micro imprese, il cui intento prioritario è favorire lo sviluppo economico e sociale di quartieri ed aree urbane caratterizzate da disagio sociale, economico e occupazionale, e con potenzialità di sviluppo di difficile realizzazione proprio a causa di determinate peculiarità del territorio di interesse;
    la zona franca è uno status giuridico riconosciuto, dunque, sulla base di parametri socio-economici quali: essere territori ultraperiferici, a rischio spopolamento e con situazione socioeconomica di sottosviluppo. Tali condizioni danno luogo al diritto di ottenere misure eccezionali per rivitalizzare l'economia delle aree interessate, attraverso il riconoscimento di un regime fiscale di favore che vuole attivare strumenti e forme di compensazione per consentire alle aree disagiate di mettersi alla pari con il resto del territorio nazionale;
    al riguardo, il Friuli Venezia Giulia nella fascia territoriale di confine accusa notevoli disagi a livello socio-economico. La situazione di tale area è divenuta ancora più critica con l'attuale crisi economica nazionale ed internazionale, che ha determinato ulteriori e gravi difficoltà alla popolazione residente, sia a livello occupazionale sia commerciale, con un sostanziale aumento della concorrenza tra Stati con un trattamento fiscale più favorevole per una moltitudine di beni e servizi attuato oltre il confine;
    sicché, le zone di frontiera situate lungo la fascia confinaria del Friuli con la Slovenia e con l'Austria – Trieste, Gorizia, Cividale e Tarvisio – sono gravemente penalizzate dal trattamento fiscale e contributivo più favorevole applicato oltre la linea di confine;
    sul punto, un'indagine condotta da Confartigianato nell'anno 2014 sostiene l'impossibilità di competere per le imprese regionali con le dirette concorrenti che operano oltre confine, proprio a causa della differente pressione fiscale, che può raggiungere addirittura il 65,8 per cento, indice che scende al 32,5 per cento in Slovenia e al 52,4 per cento in Austria. Inoltre, l'indagine mette in evidenza che la posizione di tali imprese viene aggravata da i maggiori costi del sistema imprenditoriale italiano sul costo del lavoro e sull'energia elettrica, nonché dalla lentezza delle procedure a causa dell'apparato burocratico italiano;
    orbene, rispetto alle aree in questione, Trieste, Gorizia, Cividale e Tarvisio, situate lungo la fascia confinaria del Friuli con la Slovenia e con l'Austria, bisogna intervenire con provvedimenti idonei, per risollevare un'economia gravemente provata e, dunque, favorire i settori dell'industria, artigianato, commercio e turismo, richiamando persone e imprese attraverso più favorevoli condizioni fiscali;
    tali interventi consentirebbero l'incentivazione dei consumi e la promozione occupazionale impedendo l'emigrazione dei residenti e la delocalizzazione delle imprese, fenomeni che ormai da tempo risultano sempre più preoccupanti in tali zone territoriali,

impegna il Governo:

   ad emanare immediatamente il decreto attuativo – previsto dall'articolo 6, comma 12, della legge n. 84 del 1994 – per l'organizzazione amministrativa dei punti franchi del porto di Trieste, che da oltre 20 anni attendono tale atto per dare piena attuazione a una riforma – finora incompiuta – del sistema portuale italiano e a garanzia della certezza del diritto necessario per il pieno sviluppo delle attività portuali triestine;
   ad assumere iniziative per apportare – prima di procedere con la realizzazione di quanto indicato dalla legge di stabilità 2015 in relazione al porto di Trieste – le necessarie e dovute modifiche, prevedendo il necessario accordo e la necessaria pianificazione strategica delle istituzioni sul futuro del porto vecchio, nel rispetto dei vincoli internazionali che regolano i punti franchi triestini;
   a rivedere – attraverso un'iniziativa normativa urgente – i contenuti dell'articolo 4, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 107 del 2009 e del successivo decreto ministeriale 24 dicembre 2012, facendo valere gli impegni assunti a livello internazionale riguardo al regime speciale dei punti franchi del porto di Trieste;
   ad assumere iniziative per sospendere immediatamente le procedure di vendita coinvolgenti le società Adriafer srl e Porto Servizi spa, ribadendo che la proprietà delle società che gestiscono servizi primari restino in capo all'autorità portuale;
   a nominare subito – alla scadenza del mandato dell'attuale presidente dell'autorità portuale di Trieste – il successore nel pieno possesso dei poteri, a garanzia di un impegno di lungo periodo, evitando l'incertezza di un periodo di commissariamento;
   a dare attuazione alla legge n. 19 del 1991 per quanto riguarda l’off-shore del porto vecchio di Trieste;
   a prendere in considerazione l'inserimento di Trieste nei progetti ferroviari internazionali – in particolare della joint venture OBB – Breitspur Planungsgesellschaft mbH per la costruzione di una rete ferroviaria a scartamento largo da Košice a Bratislava e Vienna – in modo da rilanciare il ruolo del porto quale nodo commerciale intermodale;
   a provvedere – ai sensi dell'articolo 1, comma 340, della legge 24 dicembre 2006, n. 296, alla costituzione di zone franche, in via sperimentale e temporanea, per un periodo non inferiore a tre anni, nei territori dei comuni di Trieste, Gorizia, Cividale e Tarvisio della regione autonoma Friuli Venezia Giulia, al fine di contrastare la situazione di svantaggio di tali realtà territoriali dovute alla concorrenza di regimi più vantaggiosi, in particolare quelli fiscali, che vigono in Austria e Slovenia.
(1-00047)
(Nuova formulazione) «Prodani, Pellegrino, Rizzetto, Fantinati, Da Villa, Crippa, Mucci, Malisani, Businarolo, Grande, Gallinella, Rizzo».


   La Camera,
   premesso che:
    l'istituzione delle zone franche urbane è stata disposta dall'articolo 1, comma 340, della legge 24 dicembre 2006, n. 296, legge finanziaria per il 2007, che ha a tal fine costituito nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico un apposito fondo di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009 per il finanziamento di programmi di intervento da realizzarsi nelle sopradette zone;
    la legge 24 dicembre 2007, n. 244, articolo 2, commi 561, 562 e 563, della legge finanziaria per il 2008, ha confermato il sopradetto stanziamento e ha definito in maggior dettaglio le agevolazioni fiscali e previdenziali in favore delle aree ricadenti nelle zone franche urbane;
    l'articolo 37 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012, per dare concreta attuazione allo strumento delle zone franche urbane, ha previsto la possibilità che le risorse rivenienti dalla riprogrammazione dei programmi cofinanziati dai fondi strutturali 2007-2013 nell'ambito del Piano di azione per la coesione, nonché ulteriori risorse regionali potessero essere destinate anche al finanziamento delle agevolazioni previste per le zone franche urbane. Le agevolazioni consistono nell'esenzione dal pagamento delle imposte sui redditi, dell'Irap, dell'imposta sugli immobili e dei contributi sulle retribuzioni da lavoro dipendente, in favore delle imprese di micro e piccole dimensioni localizzate o che si localizzano nelle zone franche urbane individuate dalla precedente delibera Cipe n. 14 del 2009;
    il sopradetto articolo, attuato con il decreto interministeriale 10 aprile 2013, ha previsto la possibilità di individuare ulteriori zone delle regioni ammissibili all'obiettivo convergenza, nonché di estendere tali agevolazioni nelle aree industriali delle medesime regioni dove è stata avviata una procedura di riconversione industriale;
    lo spirito della legge è quello di accordare un regime di esonero contributivo e fiscale alle piccole e micro imprese che si insediano nelle aree ricadenti nelle zone franche urbane e che sono caratterizzate da disagio sociale, economico ed occupazionale, favorendone lo sviluppo economico e sociale;
    attualmente le zone franche urbane sono localizzate in 22 città distribuite sul territorio nazionale, le quali, ad eccezione di Ventimiglia e Massa Carrara, sono prevalentemente concentrate al centro e al sud del Paese;
    lo strumento della zona franca urbana potrebbe essere efficacemente impiegato per contrastare la competizione di sistemi fiscali, previdenziali e burocratici più vantaggiosi dei Paesi confinanti con l'Italia, come l'Austria e la Slovenia che, da diversi anni, hanno messo in atto una forte concorrenza, di tipo prevalentemente fiscale, nei confronti della fascia confinaria della regione del Friuli Venezia Giulia e, in particolare, nell'area di Tarvisio per il valico austriaco e a tutto il confine con la Slovenia;
    le zone della fascia confinaria della regione autonoma Friuli Venezia Giulia subiscono, quindi, un grave danno dal punto di vista socio economico dall'attuazione di più efficaci politiche di semplificazione amministrativa, burocratica e fiscale dei Paesi confinanti, determinandosi per tali zone i presupposti per il riconoscimento dello status giuridico di zone franche urbane;
    i benefici riconosciuti oltreconfine, in riferimento alle imposte sulle accise, al costo del lavoro e ai differenziali più favorevoli del costo della vita e dei servizi e, più in generale, l'adozione di politiche che stimolano la nascita di figure imprenditoriali e l'ingessamento nel mondo del lavoro dei giovani, rappresentano delle vere e proprie opportunità di sviluppo per le aziende friulane che da tempo hanno attuato una progressiva delocalizzazione produttiva oltre confine;
    gli effetti sul territorio di origine delle imprese dislocanti sono devastanti, generando nel medio e lungo periodo un depauperamento di risorse economiche ed occupazionali, con ricadute sull'economia territoriale friulana e, più in generale, su quella dell'intero Paese;
    particolarmente colpite sono le zone distrettuali per le quali si rende necessaria l'adozione di politiche di rilancio favorendo anche lo sviluppo di produzioni e di occupazione locale;
    si rende, quindi, necessario interrompere il processo di delocalizzazione delle imprese dalla regione friulana attraverso l'attuazione di un'organica azione di difesa e di sostegno del tessuto produttivo posizionato lungo le fasce di confine al fine di promuovere lo sviluppo dell'economia locale e dell'occupazione nei territori interessati;
    unico punto di forza della regione è il porto franco di Trieste che, ad oggi, costituisce un unicum nell'ordinamento giuridico italiano e comunitario, in virtù di ragioni storiche e politiche che lo hanno sempre visto come luogo deputato a vantaggi fiscali e prerogative giuridiche di natura eccezionale in considerazione della sua posizione strategica;
    dopo la Seconda guerra mondiale, al porto di Trieste è stato, infatti, riconosciuto uno «status internazionale» sia dal Trattato di Pace di Parigi del 1947, sia dagli allegati a questo, in particolare dagli articoli 1-20 dell'allegato VIII, «Strumento relativo al porto franco di Trieste», e dagli articoli 34 e 35 dell'Allegato VI, «Statuto permanente del territorio libero di Trieste»;
    il porto franco di Trieste, come stabilito dall'articolo 1 dell'allegato VIII, svolge la funzione internazionale di «assicurare che il porto ed i mezzi di transito di Trieste possano essere utilizzati in condizioni di uguaglianza da tutto il commercio internazionale secondo le consuetudini vigenti negli altri porti franchi del mondo»;
    attualmente i vantaggi riconosciuti al porto consistono, sostanzialmente, in due regimi di specialità, ossia la massima libertà di accesso e transito e l'extradoganalità (o «extraterritorialità doganale»), che riconoscono, tra gli altri vantaggi: il diritto all'ingresso di navi e merci senza discriminazioni con possibilità di sosta, per un tempo indeterminato, in regime di esenzione fiscale e senza necessità di autorizzazioni di imbarco e sbarco; il divieto di ingerenza doganale e quindi anche di controllo doganale sulle merci in entrata e in uscita (che si svolge solo ai varchi), salvo specifiche eccezioni; nessun limite di tempo allo stoccaggio delle merci e nessuna formalità doganale da espletare o diritto doganale da pagare fin quando le merci restano nei punti franchi; tasse portuali ridotte e sistema dogale semplificato per il transito di merci su ferrovia, oltre che transito semplificato per i mezzi commerciali destinati all'estero in transito da e per il porto di Trieste;
    nello specifico, il porto franco triestino gode della possibilità di manipolazione e trasformazione, anche a carattere industriale, delle merci, in completa libertà da ogni vincolo dogale; del cosiddetto «credito doganale», o meglio del diritto, per le merci importate nel mercato comunitario attraverso i punti franchi, di pagamenti dei relativi dazi e delle imposte doganali con dilazione fino a 6 mesi dopo la data dello sdoganamento ad un tasso annuo particolarmente ridotto (50 per cento dell'Euribor a 6 mesi); della possibilità di estensione dei punti franchi;
    i confini dei punti franchi del porto di Trieste sono fissati dall'articolo 3 dell'allegato VIII, secondo cui «l'area del porto libero include il territorio e le installazioni delle zone franche del porto di Trieste entro i limiti dei confine del 1939», il quale, inoltre, stabilisce che «in caso sia necessario dover incrementare l'area del porto libero tale incremento può essere fatto su proposta del direttore del porto libero con decisione del Consiglio di Governo e con l'approvazione dell'Assemblea popolare»;
    in virtù della clausola di salvaguardia di cui all'articolo 307 del Trattato di Roma e in ragione del suo regime giuridico internazionale, il porto franco triestino è l'unica zona franca situata nell'Unione europea che gode di un regime speciale, più favorevole rispetto alla disciplina prevista dal Codice doganale comunitario per le zone e i depositi franchi, ma non adeguatamente valorizzata;
    al fine di implementare ed incentivare lo sviluppo industriale di questa zona, che comporterebbe, naturalmente, un conseguente sviluppo economico di tutta la regione friulana, ma anche non pochi vantaggi in termini di concorrenzialità e produttività dell'intero Paese a livello internazionale, sarebbe opportuno estendere i confini dei territori ricompresi nei suoi punti franchi, prevedere regimi fiscali agevolati e discipline normative più flessibili in materia di regolamentazione del lavoro e maggiori più convenienti condizioni di agevolazione fiscale e doganale;
    logisticamente, i territori ricompresi all'interno delle zone franche potrebbero essere ampliati al fine di permettere, il più possibile, l'insediamento di attività industriali che attualmente non possono svilupparsi in maniera adeguata, poiché le zone ricomprese nei porti franchi, trovandosi a ridosso della città, limitano spazialmente l'insediamento di industrie e di altre attività di tipo produttivo;
    nella stessa logica di valorizzazione di un così importante punto strategico, accanto al potenziamento della presenza di attività industriali, sarebbe opportuno prevedere una nuova disciplina in termini di regolamentazione del mercato del lavoro, predisponendo strumenti giuridici che permettano una maggiore flessibilità delle regole in materia di reclutamento del personale e la detassazione del costo del lavoro per le imprese che operano all'interno della stessa zona franca;
    infine, si rende opportuno potenziare ed estendere le agevolazioni fiscali, ma soprattutto doganali, afferenti all'eccezionale status giuridico extradoganale che, potendo usufruire di una serie di condizioni maggiormente favorevoli rispetto a quelle normalmente riconosciute alle zone franche nazionali e comunitarie, potrebbero non poco contribuire alla formazione di una zona economica speciale molto più competitiva, in grado di contrastare le zone franche vicine, come, ad esempio, quelle del Nord Africa, non sottoposte alle più stringenti normative comunitarie,

impegna il Governo:

   nel rispetto dell'autonomia speciale della regione, ad assumere iniziative per favorire il rilancio economico ed industriale dei territori friulani attraverso:
    a) l'istituzione di zone franche urbane a favore dei territori ricadenti nella fascia confinaria della regione Friuli Venezia Giulia ed in particolare nell'area di Tarvisio per il valico austriaco e in tutto il confine con la Slovenia;
    b) l'introduzione di misure di sostegno dei territori dei distretti industriali del Friuli Venezia Giulia interessati dai processi di delocalizzazione produttiva, attraverso il riconoscimento dello status di zona franca, finalizzato a prevedere una riduzione degli oneri burocratici, fiscali e sociali tale da incentivare le imprese alla permanenza nei luoghi d'origine e all'assunzione di forza lavoro locale;
    c) l'introduzione a regime nelle sopradette aree di misure di detassazione del salario di produttività con riferimento al settore privato, con particolare riferimento all'imprenditoria giovanile e ai titolari di reddito da lavoro dipendente;
    d) il potenziamento, in termini di concorrenza e produttività, della zona del porto franco di Trieste prevedendo, come già specificato in premessa, l'ampliamento dei confini dei territori attualmente ricompresi nei suoi punti franchi, la previsione di regimi fiscali agevolati in materia di regolamentazione e di costo del lavoro e l'attuazione delle condizioni di extraterritorialità.
(1-00704) «Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    il Trattato di Parigi del 1947, alla fine della Seconda guerra mondiale, assegnava al porto di Trieste cinque punti franchi per favorire gli investimenti nell'area di Trieste e l'apertura di nuovi sbocchi verso un'ampia area dell'Europa;
    con la caduta del muro di Berlino, la fine della Guerra fredda e l'allargamento dell'Unione europea, quella motivazione è divenuta più che mai attuale proprio in virtù della posizione geopolitica del Friuli Venezia Giulia, baricentrica rispetto al cuore della nuova Europa;
    al contrario, da diversi anni, l'area di confine compresa tra la regione autonoma Friuli Venezia Giulia, la Slovenia e l'Austria, rappresentata dalle città di Trieste, Gorizia, Cividale e Tarvisio, subisce un'agguerrita concorrenza, soprattutto dal punto di vista fiscale, messa in atto dai Paesi confinanti, che sta causando pesanti ricadute economiche negative;
    dall'analisi dei modelli di sviluppo di quelle aree industriali di confine emergono sostanziali differenze nei sistemi di tassazione;
    in Slovenia il livello di tassazione sul reddito riservato alle imprese che investono e offrono lavoro sul territorio è pari al 20 per cento. Particolari riduzioni e agevolazioni sono riconosciute alle imprese operanti in zone economiche depresse. Inoltre, nella determinazione del reddito d'impresa, i coefficienti di ammortamento delle immobilizzazioni sono in genere fra quelli più elevati presenti nell'Unione europea, quindi molto favorevoli per le imprese che così possono recuperare, in un lasso temporale più breve, i costi per gli investimenti realizzati. Per le imprese che realizzano esportazioni almeno pari al 51 per cento del fatturato è prevista una detassazione del reddito imponibile in relazione a investimenti per nuovi impianti o ampliamenti, ovvero per incrementi occupazionali. I dividendi sono tassati al 15 per cento, sia per i soggetti residenti sia per i non residenti, fatta salva l'applicazione delle convenzioni contro le doppie imposizioni;
    per quanto riguarda l'Austria, le società che hanno una propria sede legale o amministrativa sul territorio subiscono una tassazione pari al 25 per cento sui redditi ovunque prodotti. Per le aziende straniere, la Carinzia offre alle imprese contributi sugli investimenti fino ad un massimo del 35 per cento e fino al 60 per cento sulle spese nel settore ricerca e sviluppo (nel resto dell'Austria ci si ferma al 35 per cento);
    in Italia, a fronte di un tax rate teorico del 31,4 per cento (27,5 per cento Ires e 3,9 per cento Irap) se ne registra uno effettivo complessivo che, per le piccole e medie imprese, può arrivare a superare il 68,5 per cento. Se questo dato lo si confronta con quello della media europea, pari al 42 per cento, è facile comprendere perché il nostro Paese sia confinato agli ultimi posti della classifica del «Fare business» stilata dalla Banca mondiale;
    a fronte di tale situazione nei Paesi confinanti e dell'elevata tassazione in Italia, le imprese del Friuli Venezia Giulia guardano con attenzione alle opportunità offerte da Austria e Slovenia. L'interesse degli imprenditori non è tuttavia dettato solo dal miglior tax rate gravante sulle imprese, ma anche dal sistema degli incentivi, dalla burocrazia snella, dall'efficienza del sistema giudiziario e dal più basso costo delle fonti energetiche;
    secondo l'Ice il numero delle aziende italiane che negli ultimi anni hanno deciso di delocalizzare o trasferire integralmente le proprie attività in Slovenia supera quota 600, mentre quelle che hanno scelto l'Austria superano le 900 unità;
    secondo la Confapi del Friuli Venezia Giulia, il dato che sorprende, e che preoccupa, è che negli ultimi tempi anche le piccole e le micro imprese stanno iniziando a valutare l'eventualità di trasferirsi, finendo per compromettere nei presupposti ogni prospettiva di ripresa dell'economia regionale, caratterizzata dalla presenza di un tessuto di piccole e medie imprese che nei decenni passati hanno rappresentato il cuore produttivo pulsante della regione e una parte significativa del Nord-Est produttivo;
    completano il quadro degli aspetti che rendono attraenti questi Paesi le convenzioni contro le doppie imposizioni, il veloce rimborso dell'iva a credito, la deducibilità quasi totale dei costi aziendali, una complessità burocratica ridotta ai minimi termini, il recepimento delle normative comunitarie in modo tale da non far gravare sulle imprese altra burocrazia e costi aggiuntivi, le autorizzazioni amministrative quasi automatiche, il contenzioso tributario limitato, l'amministrazione finanziaria efficiente e atteggiata in modo «friendly» nei confronti delle imprese virtuose;
    si sta registrando altresì in Friuli Venezia Giulia uno spostamento della residenza fiscale oltre confine, in considerazione del fatto che tale decisione, oltre a non richiedere un grande sforzo logistico, è in grado di evitare la doppia imposizione dei redditi d'impresa;
    questa tendenza a delocalizzare, alimentata significativamente dalla convenienza fiscale, può essere fermata contrapponendole un «sistema Italia» capace di rendere nuovamente attraente il nostro Paese per i nuovi insediamenti e per il potenziamento di quelli esistenti;
    con la legge finanziaria per il 2007 (articolo 1, comma 340, della legge 24 dicembre 2006, n. 296) sono state istituite le zone franche urbane al fine di sostenere lo sviluppo economico in alcune aree depresse del Paese attraverso una fiscalità di vantaggio, nell'ambito delle procedure derogatorie previste dalla legislazione comunitaria;
    i requisiti necessari ordinari per il riconoscimento dello status giuridico di zona sono quelli di essere territori ultraperiferici, a rischio di spopolamento e con una situazione socio economica di sottosviluppo, ma sarebbe opportuno altresì tenere in conto delle specifiche disposizioni legislative dello Stato, rafforzate dall'articolo 116 della Costituzione, che attribuiscono al Friuli Venezia Giulia, e alle altre regioni a statuto speciale, forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti adottati con legge costituzionale;
    è indubbio, infatti, che l'applicazione della zona franca urbana nelle fasce confinarie regionali che subiscono maggiormente la concorrenza di sistemi fiscali, previdenziali e forme contrattuali di lavoro particolarmente vantaggiose, possa rappresentare uno strumento strategico importante per promuovere il rilancio dell'economia territoriale;
    questa possibilità risulterebbe oltremodo importante per il rilancio dell'economia della regione Friuli Venezia Giulia alla luce del progressivo allargamento dell'Unione europea verso i Paesi dell'est e potrebbe fornire una significativa opportunità per scambi commerciali e di servizi, con evidenti ricadute positive sull'economia locale che è caratterizzata da un tessuto produttivo fatto di piccole e medie imprese industriali, commerciali, artigianali e turistiche,

impegna il Governo:

   ad agire con tempestività al fine di scongiurare il rischio di una deindustrializzazione dell'area, ed in particolare:
    a) a considerare l'opportunità, per quanto di competenza e in conformità alla disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato, di introdurre per la regione di confine sopradetta un regime di fiscalità di vantaggio, anche temporaneo, in materia di dazi doganali ed extra-doganali, di imposte sui consumi e sui redditi limitatamente a quelli prodotti nella zona franca, al fine di interrompere il processo di delocalizzazione già in atto per effetto di una concorrenza impari degli Stati confinanti;
    b) a sostenere le imprese operanti nell'area sopra individuata attraverso un'incisiva semplificazione fiscale e burocratica, per consentire alle nuove imprese e alle imprese dei giovani di poter competere, oltre che sul piano fiscale, anche su quello organizzativo con le imprese omologhe dei Paesi confinanti in quell'area;
    c) a prevedere iniziative volte a contrastare i fenomeni di disagio sociale ed economico causati dalla concorrenza degli Stati confinanti, a interrompere il processo di delocalizzazione degli impianti produttivi in corso, nelle aree oltre confine, e a favorire il rilancio economico e imprenditoriale friulano.
(1-00705) «Gigli, Dellai».


MOZIONI FEDRIGA ED ALTRI N. 1-00607, PESCO ED ALTRI N. 1-00709 E PAGLIA ED ALTRI N. 1-00714 CONCERNENTI INIZIATIVE PER LA SOSPENSIONE DELL'APPLICAZIONE DEGLI STUDI DI SETTORE

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    gli studi di settore consistono di elaborazioni statistiche, economiche e matematiche sulla base dei quali l'Agenzia delle entrate stima un ammontare di ricavi per ciascun settore economico;
    nel corso degli ultimi anni, in particolare dall'inizio della crisi economica e finanziaria, l'applicazione pedissequa da parte delle agenzie fiscali degli studi di settore come strumento per decidere automaticamente l'adeguatezza delle dichiarazioni dei redditi, anziché come mero parametro di statistico di analisi, ha portato a distorsioni evidenti;
    le difficoltà economiche peculiari di molte aziende non sono in alcun modo considerate né considerabili nello strumento dello studio di settore, che è diventato, dunque, da strumento di semplificazione fiscale, un elemento di rigidità ed una fonte di ulteriori aggravi negli adempimenti fiscali delle aziende;
    il crollo della redditività delle imprese durante l'attuale crisi economica rende, di fatto, oggi gli studi di settore inutilizzabili e non aderenti alla realtà, tanto che dal 2009 in avanti si è assistito ad una contrazione crescente delle dichiarazioni che decidono di adeguarsi ai parametri degli studi di settore;
    sui redditi 2006 e 2007 oltre 600 mila partite iva avevano integrato i ricavi dichiarati in modo da risultare conformi al software Gerico ed evitare contenziosi con il fisco;
    nel 2008 coloro che avevano scelto gli «adeguamenti» erano stati 520 mila;
    nel 2009 ancora meno, 420 mila, sino a scendere nel 2012 a 330 mila;
    non è noto il dato di quanti hanno negli stessi anni deciso di chiudere la partita iva proprio perché troppo onerosa, a causa della presunzione di reddito degli studi di settore;
    nel 2011 si è garantito uno «scudo» dagli accertamenti a coloro che si allineavano ai minimi di entrate previsti per il settore;
    già nel 2009 la Corte di cassazione ha stabilito che la forza probatoria degli studi di settore può considerarsi mera «presunzione semplice», per cui essi non potrebbero essere utilizzato a fini di accertamento;
    la stessa Corte dei conti, nella sua relazione sul rendiconto dello Stato per l'anno 2013, ha testimoniato la perdita di efficacia di questo strumento,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per sospendere entro tempi rapidissimi l'applicazione degli studi di settore.
(1-00607)
(Nuova formulazione) «Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 62 sexies, comma 3, del decreto legge 30 agosto 1993, n. 331 convertito dalla legge n. 427 del 1993, consente l'accertamento ex articolo 39, comma 1, lettera d), nei casi in cui risulti l'esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dall'applicazione degli studi di settore;
    attraverso gli studi di settore, dunque, l'Agenzia delle Entrate è legittimata a ricostruire la redditività di una determina attività d'impresa o professione e ricostruire la posizione reddituale del contribuente;
    in particolare, partendo dalle relazioni esistenti tra le variabili strutturali e contabili delle imprese e dei lavoratori autonomi con riferimento al settore economico di appartenenza, ai processi produttivi utilizzati, all'organizzazione, ai prodotti e servizi oggetto dell'attività, alla localizzazione geografica e agli altri elementi significativi (ad esempio area di vendita, andamento della domanda, livello dei prezzi, concorrenza, e altro), lo studio di settore consente di stimare i ricavi o i compensi che possono essere attribuiti al contribuente; in tal modo, lo studio di settore diventa uno strumento di controllo basato sulla comparazione tra i ricavi o compensi dichiarati e quelli direttamente desumibili dalla sua applicazione;
    lo stesso contribuente può utilizzare lo studio di settore per verificare, in fase dichiarativa, il posizionamento rispetto alla congruità (il contribuente è congruo se i ricavi o i compensi dichiarati sono uguali o superiori a quelli stimati dallo studio, tenuto conto delle risultanze derivanti dall'applicazione degli indicatori di normalità economica) e alla coerenza (la coerenza misura il comportamento del contribuente rispetto ai valori di indicatori economici predeterminati, per ciascuna attività, dallo studio di settore);
    lo studio di settore, dunque, da un lato assurge a strumento di controllo dell'Agenzia delle entrate circa l'attendibilità dei ricavi o compensi dichiarati dal contribuente; dall'altro, a strumento di indirizzo del contribuente in fase dichiarativa, potendo egli decidere, in caso di incongruità o incoerenza, di uniformarsi comunque al risultato dello studio di settore oppure di discostarsene, ritenendo sussistere comprovate ragioni che ne legittimano la disapplicazione;
    quest'ultimo profilo evidenzia come lo studio di settore assuma di fatto anche una funzione deterrente o, meglio ancora, «condizionante» nelle scelte del contribuente il quale, spesso, pur di non esporsi ad un potenziale controllo dell'amministrazione finanziaria, decide di «adeguarsi» alle risultanze dello studio di settore, sebbene siano superiori ai ricavi o compensi effettivamente conseguiti. In altre parole, la prassi applicativa degli studi di settore evidenzia non pochi casi in cui il contribuente decide di uniformarsi allo studio di settore, sopportando il pagamento di un'imposta maggiore rispetto a quella dovuta al fine di scongiurare il rischio di un accertamento;
    in un tal contesto, dunque, gli studi di settore dovrebbero garantire un elevato grado di attendibilità ovvero rappresentare il più possibile la realtà imprenditoriale del singolo contribuente. Ma al riguardo, è nota la posizione assunta dagli interpreti e, soprattutto, dalla giurisprudenza di legittimità, che ha clamorosamente «bocciato» la valenza degli studi di settore. In più occasioni, infatti, la Suprema Corte di Cassazione ha affermato che i dati comparativi forniti dagli studi altro non sono che parametri astratti e meramente statistici ovverosia il risultato di una estrapolazione statistica di una pluralità di dati disomogenei (Suprema Corte di Cassazione, Sezione Unite, sentenza 10 dicembre 2009 n. 26635, preceduta dalla relazione tematica n. 94 del 4 luglio 2009 redatta dall'Ufficio del massimario della Suprema Corte). Conseguentemente, gli studi di settore sono stati ritenuti idonei a ricostruire la situazione reddituale del contribuente solo se confortati da altri elementi desunti, in contraddittorio con il contribuente, dalla realtà economica dell'impresa;
    l'astratta applicazione degli studi di settore, dunque, non garantisce l'attendibilità delle risultanze in termini di ricavi e compensi da dichiarare, potendo in alcuni casi generare significativi effetti distorsivi. Tale aspetto, a dir poco preoccupante in termini di certezza del diritto ed equità del prelievo, è stato notevolmente accentuato dalla crisi economica degli ultimi anni. La particolare congiuntura economica ha determinato il crollo della redditività delle imprese e professionisti con ovvie ricadute i termini di attendibilità di ricavi. Uno scenario questo, che ha accentuato ulteriormente l'incapacità degli studi di settore a rappresentare adeguatamente la reale situazione reddituale dei contribuenti. Tanto è vero che lo stesso Ministero dell'economia e delle finanze ha ritenuto opportuno intervenire con i decreti ministeriali del 23 dicembre 2013 e del 2 maggio 2014, apportando correttivi «anticrisi» agli studi di settore. In particolare, il decreto ministeriale del 2 maggio 2014 ha previsto quattro tipologie di correttivi:
     1. modifica del funzionamento dell'indicatore di normalità economica «durata delle scorte»;
     2. correttivi specifici per la crisi;
     3. correttivi congiunturali di settore;
     4. correttivi congiunturali individuali;
    i detti correttivi, analoghi a quelli introdotti per gli studi applicati al periodo di imposta 2011 e 2012, sono stati applicati ai soggetti che hanno dichiarato, nel periodo d'imposta 2013, ricavi o compensi inferiori al ricavo puntuale di riferimento determinato dallo studio di settore;
    non va sottaciuto, poi, come gli studi di settore rappresentino in molti casi uno «scudo» a danno dell'amministrazione finanziaria ovvero a favore di quei contribuenti che, pur conseguendo ricavi o compensi superiori a quelli desumibili dallo studio di settore, si adeguano alle sue risultanze scontando un'imposta minore a quella effettivamente dovuta. Se per un verso lo studio di settore rappresenta un disincentivo all'evasione per i contribuenti che si attestano al di sotto dei ricavi standardizzati (invogliandoli ad adeguarsi), è altrettanto vero che gli stessi studi di settore rappresentano un agevole incentivo alla sottofatturazione proprio per le attività d'impresa e professionali più redditizie (e che dovrebbero maggiormente contribuire al sostentamento delle spese pubbliche);
    l'adozione dei suddetti correttivi anticrisi andrebbe estesa anche al periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2014, considerato il perdurante stato di crisi economica;
    allo stesso modo sarebbe opportuno potenziare la compliance tra amministrazione finanziaria e contribuente in armonia con i principi fondamentali dell'ordinamento tributario sanciti dallo Statuto dei diritti del contribuente e degli orientamenti in ambito comunitario (tra cui il principio dell'obbligatorietà del contraddittorio anticipato per ogni forma di accertamento, espresso dalla sentenza 18 dicembre 2006 C. 349/077 - «Sopropè»), semmai incentivando le forme e gli strumenti di contraddittorio che rappresentano oggi un elemento indefettibile del procedimento di accertamento. A tal fine, sarebbe senz'altro proficua l'attivazione di forme di contraddittorio, anticipate rispetto alla fase dichiarativa, e dirette ad assicurare il costante monitoraggio dell'attività imprenditoriale o professionale ed il suo andamento economico: in tal modo, ancor prima del termine di presentazione della dichiarazione dei redditi annuale, l'amministrazione finanziaria e il contribuente avrebbero la possibilità di vagliare ed esprimersi sulla reale situazione economica dell'impresa o professione esercitata rispetto alle risultanze degli studi di settore, uniformando la successiva dichiarazione dei redditi all'effettiva situazione reddituale dell'impresa (con conseguenti positive ricadute anche in termini di contenzioso tra amministrazione e contribuenti);
    in ogni caso, nell'ottica del potenziamento della collaborazione tra amministrazione e contribuenti, sarebbe auspicabile per il futuro l'abolizione degli studi di settore quale strumento di rilevazione statistica del reddito favorendo, viceversa, procedure di controllo più attinenti alle oggettive caratteristiche di esercizio dell'impresa o professione e, quindi, maggiormente idonee a rilevare la ricchezza effettivamente prodotta. Tutto ciò potrà ovviamente essere favorito anche attraverso interventi diretti ad una progressiva riduzione della pressione fiscale effettiva, da un maggiore investimento di risorse finanziarie per il potenziamento delle risorse umane in forza all'amministrazione finanziaria impiegate nell'esecuzione dei controlli e verifiche fiscali nonché, infine, dal complessivo miglioramento qualitativo dell'attività di accertamento,

impegna il Governo:

   ad aggiornare i parametri, le metodologie di calcolo e le funzioni di stima dei ricavi presunti relativi alle differenti attività soggette agli studi di settore affinché siano allineati, in maniera realistica e puntuale, alla perdurante situazione di crisi economica e finanziaria che attanaglia, da oltre cinque anni, gli esercenti attività di impresa, arte e professione, prevedendone l'applicazione già alle dichiarazioni dei redditi relative al periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2014;
   a prevedere, con decorrenza dal periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2015, la riforma degli studi di settore sostituendoli, o in ogni caso affiancandoli, con sistemi di controllo che incentivino una compliance preventiva tra contribuenti ed amministrazione finanziaria, anche attraverso la predisposizione di strumenti informatici gratuiti che consentano agli esercenti di confrontare in tempo reale l'andamento economico e finanziario delle proprie attività rispetto ai modelli statistici standard, comprendere le cause di eventuali scostamenti e porvi rimedio, ove necessario senza attendere i termini previsti per i dichiarativi fiscali;
   a prevedere specifiche procedure di verifica dell'attendibilità dello studio di settore per i contribuenti che presentino un risultato di congruità e coerenza, basate sulla valutazione delle concrete caratteristiche di esercizio dell'attività d'impresa o professionale, garantendo la partecipazione attiva del contribuente alla procedura di controllo;
   ad assumere iniziative, anche normative, volte a promuovere in ogni caso la piena collaborazione tra i contribuenti e l'amministrazione finanziaria nel procedimento di autoliquidazione delle imposte istituendo, a tal fine, appositi canali di assistenza che aiutino i contribuenti a verificare spontaneamente la correttezza formale e l'adeguatezza sostanziale delle proprie risultanze contabili, in un'ottica che stimoli l'adempimento volontario, la fiducia reciproca tra contribuenti ed amministrazione finanziaria, la certezza del diritto e l'emersione della ricchezza effettivamente prodotta e riduca, al contempo, il ricorso a strumenti statici di rilevazione del reddito ed il conseguente proliferare del contenzioso tributario, in armonia e attuazione dei principi di leale collaborazione e obbligatorietà del contraddittorio in via preventiva espressi dallo statuto del contribuente e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea;
   per il perseguimento dei precedenti impegni, a potenziare le risorse umane in forza all'amministrazione finanziaria e a ottimizzare l'attività di accertamento, stabilendo obiettivi che privilegino principalmente la qualità dei controlli, la tutela del contribuente, l'equità distributiva e gli aspetti di educazione fiscale e di leale collaborazione.
(1-00709) «Pesco, Alberti, Barbanti, Cancelleri, Ruocco, Pisano, Villarosa».


   La Camera,
   premesso che:
    il Governo nell'estate 2014 non ha fatto mistero dell'intenzione di voler mettere in cantiere una revisione degli attuali strumenti per l'accertamento tributario, i cosiddetti studi di settore, ben più approfondita rispetto a quelle periodiche che si sono avvicendate fino ad oggi, adottando nuovi indicatori di coerenza e di normalità economica. Infatti, l'imperante crisi economica che ancora morde fortemente tutti gli strati dell'economia italiana ha oramai reso poco rappresentativi i parametri e gli algoritmi su cui si basa la valutazione della capacità reale di produrre reddito da parte di un contribuente, come, del resto, testimoniato dalla stessa Corte dei conti che, nella Relazione sul rendiconto generale dello Stato per l'anno 2013, attribuisce agli studi di settore, soprattutto nell'ambito della lotta all'evasione fiscale, una perdita dell'efficacia;
    lo stesso piano antievasione del Governo contempla l'adozione di «nuovi indicatori di coerenza economica e di normalità economica» la cui introduzione servirà a contrastare i fenomeni di infedeltà dichiarativa nella fase di presentazione della dichiarazione dei redditi, «inducendo», si legge nel piano, «un prevedibile incremento dei comportamenti dichiarativi corretti e, indirettamente, quindi, della base imponibile e del relativo gettito fiscale». Inoltre, obiettivo di tale aggiornamento, che dovrebbe anche tenere conto di un'auspicata ripresa economica, è quello di arrivare, da una parte, ad una maggiore efficacia in termini di compliance fiscale, e dall'altra, a controlli più serrati sugli accessi a quei regimi premiali che garantiscono ai contribuenti virtuosi uno scudo dagli accertamenti tributari;
    altro obiettivo evidenziato dall'amministrazione finanziaria è quello della necessità che i dati presenti negli studi di settore vengano sempre maggiormente impiegati quale strumento di selezione per l'ulteriore attività di controllo, piuttosto che quale mero strumento accertativo diretto;
    gli studi di settore, introdotti dall'articolo 62-sexies del decreto-legge n. 331 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 427 del 1993, nell'ambito di una tutela dell'interesse pubblico all'individuazione di contribuenti infedeli, sono strumenti diretti a facilitare la ricostruzione induttiva dei redditi d'impresa e di lavoro autonomo, qualora l'amministrazione finanziaria ravvisi incongruenze tra redditi dichiarati e presunti, attraverso la determinazione di funzioni di ricavo e compenso per gruppi omogenei di contribuenti operanti nello stesso settore di attività, rappresentando anche uno strumento statistico attraverso il quale il fisco italiano rileva i parametri con i quali monitorare la movimentazione economica delle stesse. Si tratta, quindi, di una raccolta sistematica di dati attraverso i quali poter valutare la capacità reale di produrre reddito e che possono, quindi, essere impiegati per l'accertamento induttivo qualora risultassero anomalie fra questi e il reddito dichiarato. Essi vengono elaborati mediante analisi economiche e tecniche statistico-matematiche, che consentono di stimare i ricavi o i compensi che possono essere attribuiti al contribuente, individuando anche le relazioni esistenti tra le variabili strutturali e contabili delle imprese e dei lavoratori autonomi con riferimento al settore economico di appartenenza, ai processi produttivi utilizzati, all'organizzazione, ai prodotti e servizi oggetto dell'attività, alla localizzazione geografica e agli altri elementi significativi (ad esempio area di vendita, andamento della domanda, livello dei prezzi, concorrenza ed altro);
    il sopracitato articolo 62-sexies, comma 3, del decreto-legge n. 331 del 1993, per legittimare l'accertamento, richiede espressamente che si verifichi una grave incongruenza tra i ricavi o i compensi dichiarati dal contribuente e quelli desumibili «dagli» studi di settore. Se il legislatore avesse voluto attribuire a questi ultimi valore di presunzione legale relativa, avrebbe potuto semplicemente stabilire che gli accertamenti possono essere fondati «sugli» studi di settore. Il legislatore, pertanto, non ha ritenuto sufficiente il risultato degli studi di settore come fatto noto per determinare acriticamente i risultati conseguiti dal contribuente, ma ha richiesto ulteriormente la presenza di «gravi incongruenze» tra questi ultimi e gli studi di settore;
    infatti la Corte di cassazione nel 2009, ma anche successivamente ed a più riprese, ha chiarito che la mera difformità delle percentuali di ricarico applicate, rispetto a quelle emergenti dagli studi di settore, non legittima un accertamento analitico-induttivo, ma occorre che le risultanze degli studi di settore siano «confortate da altri indizi», mettendo in tal modo in discussione la valenza probatoria dello strumento induttivo di accertamento fiscale. D'altra parte già la stessa Agenzia delle entrate precedentemente, con la circolare n. 58/E del 27 giugno 2002, aveva affermato, e quindi riconosciuto, che l'importo determinato in base agli studi di settore ha valore di presunzione relativa;
    ciò dimostra che nel corso degli anni si è consolidato un orientamento giurisprudenziale piuttosto scettico verso una determinazione della ricchezza non facilmente conciliabile con i criteri «analitico aziendali»: secondo tale consolidata giurisprudenza gli studi di settore, pur rappresentando indici rilevatori di possibili antinomie nel comportamento fiscale del contribuente, costituiscono una presunzione semplice che da sola non può realizzare motivazione fondante di un avviso di accertamento;
    di contro e con la previsione dell'utilizzo degli studi di settore nel procedimento di accertamento induttivo, a partire dal periodo di imposta 2011, gli studi di settore sono tornati ad essere al centro delle misure antievasione per le piccole/medie attività di impresa e di lavoro autonomo e, contestualmente, si sono fortemente ampliate le possibilità di rettifica delle dichiarazioni da parte degli uffici tributari, che possono così, per legge, disattendere le risultanze delle scritture contabili non solo quando la loro veridicità è messa in dubbio da contraddizioni ed inesattezze inerenti alla contabilità, ma anche quando i dati della dichiarazione non risultino congrui con quelli ricavati dagli studi di settore;
    per la legislazione, gli studi di settore, secondo il ricorso ad un criterio dimensionale, si applicano a tutte le imprese fino al limite superiore di ricavi dichiarati di 5.164.569 euro annui, esclusi quelli di natura finanziaria, mentre non si applicano ai contribuenti in regime forfettario e sostitutivo (e cioè piccole imprese esercenti attività soggette agli studi di settore, ma che hanno ricavi inferiori ai limiti minimi per la loro applicazione);
    la legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015), nell'ambito di un rinnovato rapporto di collaborazione tra fisco e contribuenti, consente all'amministrazione finanziaria di poter incrociare i dati di 128 banche dati pubbliche al fine di verificare eventuali anomalie tra spese effettuate e reddito dichiarato. La stessa legge ha previsto un regime agevolato per alcuni esercenti attività d'impresa e arti e professioni in forma individuale, attraverso un regime forfetario di determinazione del reddito da assoggettare a un'unica imposta in sostituzione di quelle dovute, prevedendo, al contempo, un regime contributivo opzionale attraverso la soppressione del versamento dei contributi sul minimale di reddito;
    tale nuovo assetto, che di fatto ha determinato la soppressione di tutti i previgenti regimi di favore (regime fiscale di vantaggio, disciplina delle nuove iniziative produttive e regime contabile agevolato), opera automaticamente al ricorrere di precisi requisiti (l'aver sostenuto spese per lavoro dipendente, accessorio e per collaboratori non superiori a 5 mila euro lordi e l'essersi avvalsi di beni strumentali, anche a titolo di locazione, noleggio o leasing, il cui costo a fine anno non superi i 20 mila euro), prevedendo, inoltre, l'esclusione dell'applicazione degli studi di settore;
    infatti, sul fronte delle misure di esonero, ad esempio cosiddetto regime dei minimi, prima dell'entrata in vigore dei sopradetti nuovi regimi agevolativi introdotti dalla legge di stabilità 2015, prevedeva l'esonero dall'applicazione degli studi di settore in fase di avvio dell'impresa o di apertura della partita iva (start-up), così come, a partire dal periodo d'imposta per il 2012, l'amministrazione finanziaria, tenendo conto dei minori compensi percepiti dai lavoratori autonomi nei primi anni di attività professionale, applica agli studi di settore dei correttivi, prevedendo parametri di coerenza economica in grado di rappresentare meglio la situazione di inizio carriera ed uno sconto maggiore nei primi due anni di attività e che si riduce ogni due anni fino al limite dei sei anni;
    da tale breve disamina dei regimi emerge che molte piccole e medie imprese, che per requisiti reddituali o di spesa per beni strumentali si posizionano per poco al di sopra del limite minimo reddituale imposto dalla legislazione attuale ai fini dell'esonero dell'applicazione alle stesse degli studi di settore, nonostante gli attuali avversi fattori economici di contesto (crisi del mercato produttivo, credit crunch, calo delle commesse e altro) che rendono sempre più difficile la sopravvivenza sul mercato e nonostante rappresentino, con una diffusione territoriale che garantisce uno sviluppo geografico equilibrato, la spina dorsale del tessuto produttivo italiano, vengono penalizzate da una politica di accertamento fiscale che le sottomette a parametri di congruenza superati o poco rappresentativi della realtà imprenditoriale delle stesse;
    peraltro, gli studi di settore, escludendo di fatto dagli accertamenti i soggetti congrui, determinano uno stato di evasione legalizzata per molti contribuenti, la cui capacità reddituale eccede significativamente quella prevista, senza che esista alcuna necessità di renderla nota,

impegna il Governo:

   a ricorrere agli studi di settore impiegandoli esclusivamente quale strumento di selezione per l'ulteriore attività di controllo piuttosto che quale mero strumento accertativo;
   a recuperare risorse immediate dalla lotta all'evasione, anche al fine di dare risposte e segnali tangibili alla sempre più diffusa e pressante esigenza di legalità ed equità, colpendo i veri evasori, migliorando la qualità dell'attività di accertamento e la scelta adeguata del tipo di controllo, fattori che, sinergicamente combinati, devono portare ad una riduzione del tax gap, attraverso l'emersione di una maggiore base imponibile;
   a proseguire sul cammino già tracciato dalla cosiddetta delega fiscale al fine di aumentare la compliance fiscale e generare nei contribuenti la percezione della correttezza e proporzionalità dell'azione di controllo, con misure normative che, superando i metodi di accertamento induttivo e presuntivo, come gli studi di settore, incoraggino la regolarizzazione tributaria spontanea delle piccole e medie imprese, ma senza addossare alle stesse gli oneri connessi all'accertamento;
   ad assumere iniziative per ampliare la fascia di esclusione dagli studi di settore nei primi 3 anni di attività rispetto a quella attualmente prevista dal regime dei minimi, intervenendo in particolar modo sui parametri relativi ad investimenti e spese per il personale;
   ad assumere iniziative per introdurre per le piccole e medie imprese forme di tassazione diversificata delle loro attività e di componenti rappresentative delle varie fasi del ciclo produttivo.
(1-00714) «Paglia, Scotto, Melilla, Marcon, Ricciatti, Ferrara».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)


MOZIONI MANTERO ED ALTRI N. 1-00594, BINETTI ED ALTRI N. 1-00702, RONDINI ED ALTRI N. 1-00703, NICCHI ED ALTRI N. 1-00706, PALESE N. 1-00707 E GARAVINI ED ALTRI N. 1-00710 CONCERNENTI INIZIATIVE PER IL CONTRASTO DEL GIOCO D'AZZARDO

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    il gioco d'azzardo patologico è stato riconosciuto ufficialmente come patologia nel 1980 dall'Associazione degli psichiatri americani ed è stato classificato nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali IV come «disturbo del controllo degli impulsi non classificati altrove», tanto che nell'edizione di maggio 2013 del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali è stato inquadrato nella categoria delle cosiddette «dipendenze comportamentali»;
    il fenomeno del gioco d'azzardo patologico riguarda le fasce della popolazione più deboli quali i disoccupati, i giovani, i pensionati e gli indigenti, come dimostrano i dati forniti dall'Eurispes;
    con la liberalizzazione del mercato portata avanti dai Governi che si sono succeduti negli ultimi anni, non si è avuto alcun reale beneficio per le casse pubbliche: infatti, dalla documentazione consegnata dal direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli alla VI Commissione parlamentare (Finanze) della Camera dei deputati nel giugno del 2013, si rileva come negli ultimi anni, a fronte dell'aumento esponenziale del fatturato delle società attive nel settore, viene rilevato: la diminuzione delle entrate erariali, il mancato gettito d'iva conseguente alla diminuzione dei consumi, i costi indiretti necessari per la cura delle vittime da gioco d'azzardo patologico e non ultimi i costi sociali per il sostegno alle famiglie per lo più a carico dei comuni;
    le stime riguardanti il gioco d'azzardo in Italia indicano la sua progressiva diffusione sul territorio nazionale; per l'anno 2012, nel nostro Paese, nel business dell'azzardo sono stati spesi circa 88 miliardi di euro, oltre 6 volte rispetto ai 14 miliardi di euro spesi nel 2000, questo ne fa la terza industria nazionale con il 4 per cento del prodotto interno lordo prodotto. Tali cifre rendono l'Italia il terzo Paese al mondo per quote di denaro speso nel gioco d'azzardo e il primo nell'Unione europea;
    nel nostro Paese, sono circa un milione i giocatori patologici e altri tre milioni di persone si trovano in una situazione di rischio e necessitano cure, attività di prevenzione e sostegno sociale, da parte delle autorità locali civili e sanitarie, secondo quanto riportato dal Consiglio nazionale delle ricerche in un'analisi dei dati Opsad Italia 2010-2011;
    nonostante il notevole impatto sociale e sanitario, continuano ad essere autorizzati e pubblicizzati nuovi giochi che attentano allo stato di crisi che molte famiglie sono costrette a vivere, come da ultimo la nuova lotteria Sisal «Vinci casa», un gioco che fa leva sulle paure dei cittadini sempre più in balia della crisi economica, in un momento in cui l'emergenza abitativa ha raggiunto livelli senza precedenti in Italia;
    dal 7 febbraio 2011, è iniziata la sperimentazione dei biglietti «Gratta e Vinci» anche negli uffici postali, mediante un accordo tra Lottomatica group spa e Poste italiane, generando un problema di regolamentazione; invero, come riportato da alcune testate giornalistiche, secondo parte della giurisprudenza di diritto del lavoro, il problema è di discriminare le attività strettamente connesse al servizio universale postale rispetto a quelle di natura commerciale-finanziaria-ludica (gratta e vinci) peculiari dell'ufficio postale standard. Un servizio pubblico che incentiva una piaga sociale è intollerabile, dato che è stato provato che la riduzione dell'offerta sia l'arma più importante per combattere il gioco d'azzardo patologico;
    gli studi hanno evidenziato che tra i soggetti più a rischio ci sono gli anziani che sono anche tra i maggiori utenti degli uffici postali;
    vi sono, inoltre, sale bingo con servizio di babysitting, dove i genitori possono lasciare i figli in «parcheggio» mentre giocano, come il caso di Cesano Maderno (in provincia di Monza e della Brianza), dove i locali sono separati ma comunque in un'unica stessa struttura, e di Lovere (in provincia di Bergamo), in cui si trova un ristorante e discobar con annessa sala gioco dove famiglie, giocatori e bambini condividono gli stessi spazi;
    da un articolo apparso sul sito post.it si apprende che i giornalisti della Gazzetta dello Sport protestano per la nascita di un'agenzia di scommesse sportive addirittura interna al gruppo RCS, ipotizzando un conflitto d'interessi;
    stando a quanto riportato nel comunicato, GazzaBet sarà un'agenzia di scommesse sportive on-line interna al gruppo RCS ma gestita da un operatore esterno, così da sfruttare il marchio e il nome Gazzetta dello Sport;
    i giornalisti della Gazzetta dello Sport che contestano l'iniziativa hanno sollevato una serie di questioni «di carattere etico, giuridico e deontologico» e una – piuttosto consistente – legata a un possibile conflitto di interesse che si verrebbe a creare all'interno di RCS. Infatti tra gli azionisti del gruppo RCS ci sono anche diversi proprietari di importanti club della Serie A di calcio come l'Inter, la Juventus, la Fiorentina e il Torino; i giornalisti temono dunque che questa condizione possa compromettere l'indipendenza del giornale;
    le ricerche della Direzione nazionale antimafia segnalano cifre allarmanti anche per quanto riguarda il coinvolgimento delle mafie e il gioco illegale: infatti, secondo una ricerca, ammonterebbe a 15 miliardi di euro il fatturato, stimato, del gioco illegale nel 2012;
    un'infiltrazione, quella della mafia, confermata, oltre che dalle indagini giudiziarie e dalle notizie di cronaca, anche da studi e ricerche compiuti da associazioni e da esperti nel settore, dalle relazioni pubblicate dalle medesime forze dell'ordine, tra le quali anche la Direzione nazionale antimafia, e dal lavoro svolto dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, soprattutto nei settori più redditizi del sistema, quali gli apparecchi da intrattenimento (new slot e videolottery, di cui circa 200 mila sarebbero illegali), le scommesse sportive e il gioco on-line;
    la criminalità organizzata utilizza il gioco d'azzardo attraverso diversi canali: sia come business, gestendo direttamente sale gioco, sia utilizzando gli strumenti per loro tradizionali e, dunque, costringendo gli esercenti – con la forza dell'intimidazione – a noleggiare gli apparecchi dalle ditte vicine al clan; ma la criminalità ha anche fatto ricorso, per aumentare gli introiti, alla gestione di apparecchi irregolari. Uno dei modi utilizzati per il riciclo di denaro riguarda l'utilizzo delle videolottery, macchinette che accettando banconote, anche di grosso taglio, e, rilasciando ticket, non distinguono tra vincite e denaro immesso, consentendo al giocatore di ritirare il denaro anche senza aver giocato effettivamente, ottenendo, quindi, di fatto, denaro ripulito,

impegna il Governo:

   ad assumere un'iniziativa normativa che vieti l'apertura delle sale da gioco ovvero locali commerciali con slot, vicino ai luoghi definiti sensibili, stabilendo un minimo di 500 metri di distanza, per combattere il proliferare delle slot;
   ad assumere iniziative per obbligare i gestori di sale a chiedere un documento d'identità, per impedire il gioco ai minori, oltre a garantire il libero accesso nei luoghi aperti al gioco agli psicologi delle asl;
   ad evitare autorizzazioni di nuove tipologie di gioco, come ad esempio il «Vinci Casa», che inevitabilmente provocano illusioni in coloro che non hanno un tetto o altro dove vivere e per sopravvivere;
   ad intervenire, per quanto di competenza, affinché all'interno degli uffici di Poste Italiane venga rimossa la vendita di «gratta e vinci» mediante distributori e operatori;
   ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, al fine di evitare il riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite tramite il gioco d'azzardo e, nella fattispecie, le videolottery;
   ad aprire un tavolo, in sede di Conferenza unificata, per valutare la possibilità di ridurre i locali del gioco d'azzardo in città, in base al numero degli abitanti;
   ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, finalizzate ad impedire conflitti di interesse come quelli denunciati in premessa riguardanti l'agenzia di scommesse sportive interna al gruppo RCS, nonché ulteriori disagi economici e sociali che ne potrebbero derivare;
   ad avviare uno studio epidemiologico di concerto con l'Osservatorio nazionale sulla dipendenza da gioco d'azzardo patologico, trasferito con l'approvazione della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015) presso il Ministero della salute, per accertare tutti i costi diretti ed indiretti sostenuti dallo Stato per prevenire e curare la dipendenza da gioco d'azzardo patologico, con particolare riferimento ai costi sociali, economici e psicologici ad essa associati, nonché ai relativi fattori di rischio, in relazione alla salute dei giocatori e all'indebitamento delle famiglie, trasmettendo al Ministro della salute un rapporto annuale sull'attività svolta.
(1-00594)
(Nuova formulazione) «Mantero, Baroni, Grillo, Di Vita, Silvia Giordano, Cecconi, Lorefice, Dall'Osso, Liuzzi, Simone Valente, Battelli».


   La Camera,
   premesso che:
    il Governo ha tra le proprie prerogative quella di compiere scelte di politica economica usando ove occorra la leva fiscale. La legge di stabilità 2015 appena approvata prevede una riduzione degli introiti per i concessionari di Stato che gestiscono per conto della Repubblica italiana gli apparecchi automatici da intrattenimento, avvalendosi di una rete capillare di aziende individuate come terzi incaricati della raccolta. La scelta compiuta dal Governo è quella di attingere al settore del gioco, ed in particolare dagli apparecchi da intrattenimento, prelevando un importo pari a 500 milioni di euro, annui, in aggiunta a quelli che, ad oggi già vengono prelevati, pari a circa 4 miliardi di euro annui. Il Governo ha indicato chiaramente che la somma è dovuta da tutti i soggetti della filiera: non solo dai 13 concessionari;
    la legge di stabilità 2015, in attesa del riordino della disciplina dei giochi pubblici prevista nell'ambito della delega fiscale, disciplina (comma 644) l'attività delle agenzie di scommesse ed estende l'applicazione del piano straordinario di contrasto del gioco illegale, istituendo una apposita banca dati (comma 645). Sono aumentate le imposte sul gioco illegale (commi 646-648) e il comma 649, introdotto al Senato, prevede una riduzione pari a 500 milioni di euro dei compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori di filiera nell'ambito delle reti di raccolta del gioco con newslot e videolottery, mentre il nuovo comma 650, demanda a decreti ministeriali l'adozione di misure di sostegno dell'offerta di gioco. Le maggiori entrate sono state così destinate: 387 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015, al fondo per interventi strutturali di politica economica, e 150 milioni di euro al fondo per la riduzione della pressione fiscale (nuovi commi 651 e 652);
    il comma 649 della legge appare a molti degli operatori del settore in contrasto con l'articolo 14, comma 2, lettera g), della legge 11 marzo 2014, n. 23 (delega fiscale) che parla di variazione di aggi e compensi in funzione di una progressività legata ai volumi di gioco, e non di generica una tantum annuale. Il comma 649 appare inoltre in contrasto con le norme europee sulla tassazione e potrebbe indurre un ricorso alla Corte di giustizia dell'Unione europea contro l'aumento retroattivo della tassazione. La richiesta dei 500 milioni di euro fatta ai concessionari, in base al numero di apparecchi o videoterminali installati e censiti al 31 dicembre 2014, è indipendente dal fatto che gli stessi apparecchi abbiano lavorato un giorno, un mese o l'intero anno;
    la norma oltre a stabilire il principio che tutti i soggetti della filiera devono contribuire al reperimento della somma indicata, non chiarisce quanti siano e chi siano questi soggetti e se ci sono dei soggetti che siano in qualche modo esclusi. Sarebbe stato sufficiente identificarli facendo riferimento al decreto istitutivo del cosiddetto Ries, il registro dei soggetti abilitati. L'importo di 500 milioni di euro appare come una prestazione patrimoniale obbligatoria, imposta a soggetti sufficientemente identificati, non bene, ma comunque identificati, a cui però non comunica l'esatta quantificazione dovuta per legge. La nuova imposta obbliga i concessionari a versare «in aggiunta a quanto versato allo Stato ordinariamente, a titolo di imposte ed altri oneri dovuti a legislazione vigente e sulla base delle convenzioni di concessione» ulteriori 500 milioni di euro;
    la ripartizione tra i concessionari dovrebbe essere proporzionale al volume di affari e quindi agli apparecchi di cui all'articolo 110, comma 6, lettere a) e b), del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (TULPS) gestiti nell'esercizio che si chiude con il 31 dicembre 2014. I 500 milioni di euro riguardano sia il comma 6, lettera a) (new slot o AWP), che il comma 6, lettera b (VLT). Dal comma 6, lettera a), ogni anno i concessionari percepiscono lo 0,5 per cento di ritorno come deposito cauzionale pari a circa 220 milioni di euro. (si veda il decreto direttoriale prot. n. 21213 del 12 marzo 2014 – Individuazione dei criteri e delle modalità di restituzione ai concessionari della rete telematica per la gestione degli apparecchi da divertimento ed intrattenimento del deposito cauzionale versato dai medesimi per l'anno 2014);
    secondo il legislatore con la delega fiscale «degli aggi e dei compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori di filiera» non esisterà categoria di apparecchi a vincita esclusa dall'obbligo di contribuire alla nuova imposta. Il rischio è che, dal momento che una apparecchiatura AWP che rende 1000 euro al giorno viene tassata come una che ne incassa 100, i concessionari scelgano di installare gli apparecchi a più alto reddito. Ma in questo modo cresce anche il rischio di indurre in forma ancora più grave una patologia come il gioco d'azzardo patologico, perché si dismetterebbero gli apparecchi che rendono meno, ma garantiscono un intrattenimento meno pericoloso. In questo modo, come naturale conseguenza, si innalzerà il livello di malessere sociale derivante dal gioco d'azzardo patologico e la leva fiscale, che avrebbe dovuto contenere il fenomeno «negativo delle slot-machine», potrebbe ottenere un risultato contrario a ciò che ci si prefiggeva di ottenere. Alla potenziale riduzione del gettito fiscale, si sommerebbe la riduzione del numero dei soggetti che lavorano nel comparto del gioco;
    le associazioni di categoria, scrivendo al Presidente del Consiglio dei ministri, hanno espresso il loro sconcerto di fronte alla relazione della ragioneria generale dello Stato del 13 dicembre 2014 nella quale il settore del gioco veniva dipinto come una realtà alla quale «non corrisponde una vera attività lavorativa». Mentre invece si tratta di un settore che conta 4.000 aziende sul territorio nazionale, con un indotto che occupa oltre 180.000 addetti e relative famiglie e oltre 110.000 esercizi pubblici, che a loro volta coinvolgono ulteriori 390.000 persone. È evidente che la legge delega dovrà senza indugio (cioè prima che si creino paralisi e danni a privati ed erariali, di interesse pubblico quali cali di gettito o dilagare dell'illegalità) porre rimedio alle lacune della norma;
    altro aspetto problematico della legge è il trattamento riservato al mercato parallelo della distribuzione del gioco al quale è stata offerta una sanatoria a condizioni agevolate. Uno dei problemi che la normativa sul gioco d'azzardo infatti deve ancora affrontare con chiarezza è quella che riguarda i Centri di trasmissione dati, una sorta di rete parallela al sistema concessorio dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli di Stato. Si tratta di un fenomeno che negli anni ha raggiunto proporzioni enormi, se si pensa che il volume delle scommesse raccolte da questi centri è dell'ordine di 2 miliardi e mezzo l'anno contro i 3,7 miliardi dei negozi regolari: astronomica appare l'evasione fiscale connessa a questo sistema parallelo;
    secondo l'amministratore delegato di Stanleybet, i Centri di trasmissione dati sono già legali, per cui non debbono aderire al condono. Secondo lui si tratta di Centri internazionali che negli ultimi anni sono stati spesso discriminati rispetto ai centri nazionali: l'adesione al condono spoglierebbe i Centri di trasmissione dati di tutti i diritti acquisiti dopo anni e anni di battaglie giudiziarie. La nuova normativa comprometterebbe la possibilità di riordinare il sistema nel 2016 e quindi non consentirebbe di adeguarlo ai principi di parità e di uguaglianza tra operatori nazionali e comunitari. Si crea anche il rischio che possano accedere al condono soggetti che gestiscono scommesse clandestine in proprio, senza nessun collegamento con un bookmaker estero. Queste persone, dal passato non sempre limpido, possono oggi pagare il condono proposto e aderire alla regolarizzazione. La legge di stabilità in definitiva è stata approvata, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, solo ed esclusivamente per finalità di raccolta fiscale,

impegna il Governo:

   a considerare come la leva fiscale, prevista dalla legge recante la delega fiscale e dalla stessa legge di stabilità 2015 recentemente approvata, non esaurisce la gravità dei problemi sollevati dalla dipendenza grave dal gioco d'azzardo che rende oggettivamente difficile la vita delle persone che ne sono affette e delle loro famiglie;
   a valutare come meglio integrare le norme legate al gioco d'azzardo in una visione d'insieme che tenga conto di tutte le modalità in cui si sviluppa il gioco, che crea dipendenza, non solo quindi VLT e new slot, ma anche i nuovi giochi che proliferano quotidianamente secondo le modalità del gratta e vinci, i giochi on-line e quelli che sfruttano i canali dei Centri di trasmissione dati;
   a non ridurre le problematiche legate al gioco d'azzardo alla sola dimensione economico-fiscale e a promuovere misure di ordine preventivo e terapeutico-riabilitativo più efficaci ed incisive, così come proposte da iniziative all'esame dei competenti organi parlamentari;
   ad attivare il nuovo osservatorio che dovrebbe svolgere funzioni di controllo sui modelli di gioco che continuamente sorgono e sostituiscono i precedenti, quando questi sembrano aver esaurito la loro funzione di stimolo sui giocatori, posto che il fenomeno delle dipendenze dal gioco è in crescita costante;
   ad assumere iniziative per rivedere in modo concreto le dinamiche pubblicitarie legate alla promozione dei nuovi giochi, prestando attenzione anche alla pubblicità che appare nei luoghi di prossimità alle sale da gioco o a quella diretta che si fa nei locali tipo bar, tabaccherie e altro, in cui spesso la capacità di attrazione è molto spiccata;
   a valutare la possibilità di assumere ogni iniziativa di competenza per rendere più omogenee le norme relative a distanze ed orari, a numero di apparecchi da gioco e altro, superando l'attuale difformità che ai firmatari del presente atto di indirizzo appare eccessiva.
(1-00702) «Binetti, Buttiglione, D'Alia, Piccone, Tancredi, Garofalo, Saltamartini, Causin, Cera, Calabrò, Roccella, Alli, Pagano, Scopelliti, Sammarco».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo il Ministero della salute per ludopatia (o gioco d'azzardo patologico) si intende l'incapacità di resistere all'impulso di giocare d'azzardo o fare scommesse, nonostante l'individuo che ne è affetto sia consapevole che questo possa portare a gravi conseguenze. Per continuare a dedicarsi al gioco d'azzardo e alle scommesse, chi è affetto da ludopatia trascura lo studio o il lavoro e può arrivare a commettere furti o frodi. Questa patologia condivide alcuni tratti del disturbo ossessivo compulsivo, ma rappresenta un'entità a sé;
    il gioco d'azzardo patologico è una delle prime forme di «dipendenza senza droga» studiate che ha ben presto attratto l'interesse della psicologia e della psichiatria, ma anche dei mezzi di comunicazione di massa, degli scrittori e dei registi, al punto che si continua spesso a riparlarne in relazione alle sue conseguenze piuttosto serie sulla salute ed in particolare sull'equilibrio mentale che questo tipo di problema è in grado di produrre;
    per cominciare ad individuare gli indicatori della patologia da gioco, è estremamente importante chiarire innanzitutto la necessità di operare una distinzione tra giocatori d'azzardo e giocatori patologici. Per molte persone, infatti, numerosi giochi d'azzardo tra quelli elencati sono piacevoli passatempi, in taluni casi occasionali e in altri abituali, ma anche in quest'ultimo caso non significa che il gioco sia necessariamente patologico, dal momento che non è la quantità il fattore discriminante del problema. Il giocatore compulsivo, infatti, si pone lungo un continuum che conta diverse tappe dai confini spesso sfumati che vanno dal gioco occasionale, al gioco abituale, al gioco a rischio fino al gioco compulsivo. Di conseguenza, il gioco d'azzardo patologico si configura come un problema caratterizzato da una graduale perdita della capacità di autolimitare il proprio comportamento di gioco, che finisce per assorbire, direttamente o indirettamente, sempre più tempo quotidiano, creando problemi secondari gravi che coinvolgono diverse aree della vita;
    i testi scientifici dicono come un giocatore veramente dipendente sia una persona in cui l'impulso per il gioco diviene un bisogno irrefrenabile e incontrollabile, al quale si accompagna una forte tensione emotiva ed una incapacità, parziale o totale, di ricorrere ad un pensiero riflessivo e logico;
    si può parlare di una vera e propria «dipendenza dal gioco d'azzardo» se sono presenti sintomi di tolleranza, come il bisogno di aumentare la quantità di gioco, sintomi di astinenza, come malessere legato ad ansietà e irritabilità associati a problemi vegetativi o a comportamenti criminali impulsivi e sintomi di perdita di controllo manifestati attraverso incapacità di smettere di giocare. Se prevalgono altri sintomi maggiormente legati al deficit nel controllo degli impulsi, il comportamento di gioco patologico impulsivo va ricondotto soprattutto ad un problema in quest'area, senza che si possa necessariamente parlare di dipendenza;
    gli operatori del settore lanciano un ulteriore allarme su quello che diventerà una ulteriore emergenza: il disagio psicologico che investe i familiari delle persone affette da ludopatia. Dagli studi tra i più colpiti risultano essere i minori che vengono travolti da una situazione che non riescono a gestire e che provoca ansie, problemi scolastici ed altre patologie;
    di recente, l'articolo 5 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, ha inserito la ludopatia nei livelli essenziali di assistenza (Lea), con riferimento alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da questa patologia;
    lo Stato prevede di incassare dal settore giochi circa 35,7 miliardi di euro nel triennio 2015-2017. È quanto chiariscono le tabelle del «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2015 e bilancio pluriennale per il triennio 2015-2017», approvato contestualmente alla legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015) e pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Secondo le tabelle di previsione, nel 2015 dai giochi dovrebbero arrivare oltre 11,85 miliardi: 6,6 miliardi dai proventi del lotto, oltre 4,7 miliardi dai «proventi dei giochi» e 480 milioni dalle lotterie. La cifra è destinata a salire nel 2016, fino a raggiungere quota 11,88 miliardi (sempre 6,6 miliardi dal lotto, con l'aggiunta dei 484 milioni dalle lotterie e degli oltre 4,81 miliardi di proventi giochi). La cifra è ulteriormente in rialzo fino agli 11,95 miliardi nel 2017, grazie al contributo dei 6,6 miliardi del lotto, dei 4,86 miliardi di proventi dei giochi, dei 489 milioni provenienti invece dalle lotterie;
    secondo i dati della guardia di finanza è di 23 miliardi di euro il valore del giro d'affari del gioco illegale in Italia nel 2013. Di questi 23 miliardi, ben 1,5 provengono direttamente dal gioco online. Il settore del gioco costituisce poco più del 13 per cento del giro d'affari complessivo dell'economia illegale, valutato a circa 175 miliardi di euro per l'anno appena concluso;
    nel 2013 la Guardia di finanza ha effettuato complessivamente 9.471 interventi, nel settore del monopolio del gioco e delle scommesse: di questi, 3.425 sono stati scoperti irregolari. 3.545 sono le violazioni riscontrate, 10.171 i soggetti verbalizzati. Sono stati sottoposti a controllo 2.035 punti di raccolta scommesse clandestini, collegati a bookmaker privi di concessione in Italia (in crescita del 30 per cento rispetto al 2012); sono stati rilevati 6,6 milioni di imposta unica inevasa e sono state sequestrate somme per un totale di 860 mila euro. Risultano essere 1.918 gli apparecchi di gioco non conformi sequestrati – il 25 per cento in meno rispetto all'anno precedente. La crescita più significativa si osserva però nel sequestro di locali per la raccolta di scommesse senza la concessione ministeriale: sono 557 i punti sequestrati, con un aumento del 240 per cento rispetto all'anno precedente;
    un problema di fondo continua ad essere eluso. Non si tratta di decidere se sia giusto o meno, ad esempio, stanziare 50 milioni di euro per la lotta alla ludopatia, ossia alla mania del gioco d'azzardo. Bisogna al contrario capire se le strutture pubbliche che ci sono davvero capaci di fare qualcosa per combattere questo brutto vizio, oppure no. Solo così si può evitare di sprecare denaro;
    tra le misure inserite nella legge di stabilità 2015 in materia di gioco non c’è solo l'innalzamento del prelievo erariale unico (PREU) la diminuzione del payout e il recupero di somme dai centri che operano in Italia senza autorizzazione, si prevedono anche misure di contrasto alla ludopatia e, in dettaglio che, «nell'ambito delle risorse destinate al finanziamento del Servizio sanitario nazionale, quello relativo all'attuazione del Patto per la salute 2014-2016, a decorrere dal 2015 una quota pari a 50 milioni di euro è annualmente destinata alla cura delle patologie connesse alla dipendenza da gioco d'azzardo». Alla ripartizione dell'importo si provvede annualmente all'atto di assegnazione delle risorse spettanti alle regioni e province autonome a titolo di finanziamento del fabbisogno sanitario standard regionale,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per sancire il divieto della pubblicità del gioco d'azzardo che rappresenterebbe un reale contrasto alla ludopatia, destinando i fondi che lo Stato ora chiede ai concessionari del settore alla pubblicità, alla cura e alla prevenzione delle patologie derivati dal gioco;
   ad assumere iniziative per modificare la legislazione vigente in modo che venga dato ai sindaci e alle giunte comunali un reale potere di controllo sulla diffusione e sull'utilizzo degli strumenti di gioco sul proprio territorio;
   ad intensificare i controlli contro il gioco clandestino, al fine di contrastare l'attività della criminalità che si è inserita nel settore, recuperando parte delle risorse che sfuggono all'erario e a destinare le medesime alla lotta alle ludopatie, restituendo la quota di 50 milioni di euro al finanziamento del Servizio sanitario nazionale;
   a promuovere protocolli precisi e stringenti che disciplinino le procedure di intervento per chi si occuperà del sostegno e del recupero sia dei soggetti affetti da ludopatie sia dei loro familiari al fine di evitare abusi e illeciti.
(1-00703) «Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    il purtroppo costante aumento in questi ultimi anni delle offerte di gioco pubblico, sempre nuove e invasive, con il conseguente forte aumento della domanda indotta, è stato favorito anche da una situazione sociale, quale quella di una crisi economica in atto, che spinge sempre più persone a cercare nella fortuna la possibile uscita dalle difficoltà economiche;
    soprattutto in questi ultimi anni lo Stato ha incentivato l'offerta di nuovi giochi, che gli hanno garantito un evidente, e molto «facile» ritorno in termini di consistenti entrate tributarie, senza però tenere in debito conto le ricadute sociali ed economiche fortemente negative connesse a questa decisione. Il gioco d'azzardo compulsivo è una forma morbosa che si sta sempre più trasformando in un'autentica malattia sociale;
    la scelta di incrementare il settore del «gioco pubblico» nel nostro Paese, se ha avuto alcuni aspetti positivi legati a una riduzione delle offerte di gioco illegali, oltre all'aumento conseguente delle entrate erariali, sta mostrando però forti e sempre più preoccupanti ricadute negative in termini di «spesa sociale». Il dilagare dei giochi e l'influenza che essi esercitano soprattutto sui soggetti psicologicamente più fragili, stanno infatti determinando e determineranno sempre di più, conseguenze pesanti a livello sociale e sulla vita di molte persone e famiglie. A questo va aggiunta l'attrattiva che questo settore esercita per le organizzazioni malavitose che hanno capitali da riciclare;
    la ricerca pubblicata nel 2009 dall'Eurispes, ha evidenziato come il fatturato dell'industria del gioco, la pone come il terzo settore del Paese;
    il 2 agosto 2012, la Commissione affari sociali della Camera, ha approvato il Documento conclusivo relativo all'indagine conoscitiva relativa agli aspetti sociali e sanitari della dipendenza dal gioco d'azzardo;
    quanto emerso dalla suddetta indagine conoscitiva, gli italiani spendono 1200 euro pro-capite all'anno per i giochi e l'universo dei giocatori è di 30 milioni di persone, delle quali, come riferito in primo luogo dall'associazione Libera, ma ribadito anche da altri soggetti auditi, sono a rischio di dipendenza circa 2 milioni mentre sono 800 mila i giocatori patologici;
    se in Italia si stimano in 393 mila i tossicodipendenti, i giocatori patologici sono il doppio;
    giocano le persone che anche in passato cercavano di risolvere i problemi economici con il gioco, ma ora la platea si è enormemente allargata e questo ha determinato l'ampliamento della fascia della dipendenza. Sono interessati con una certa prevalenza i ceti meno abbienti e le persone più povere da un punto di vista relazionale che cercano, attraverso il gioco, di coltivare un sogno che talvolta però si traduce in un incubo. Il fenomeno è legato alla scarsa diffusione della cultura scientifica ed alla larga tendenza a convincersi di poter acquistare un sogno;
    a giocare di più sono gli uomini, con bassa scolarizzazione e tra questi prevalgono coloro hanno una situazione lavorativa precaria;
    secondo l'ANCI, che riferisce ricerche condotte sulla materia, il 10 per cento gioca ad almeno 6 o più giochi, il 10 per cento gioca più di tre volte alla settimana. Il 4,2 per cento spende parecchie centinaia di euro al mese. Il 7,2 per cento è rappresentato da giocatori a rischio e di questi il 2,1 per cento ha le caratteristiche del giocatore patologico;
    quando l'impulso a giocare si fa persistente, e diventa difficile porvi dei limiti, il gioco d'azzardo si definisce patologico, ossia diventa una vera e propria malattia. Il giocatore patologico è colui che gioca più denaro di altri, più a lungo e più spesso di quanto lui stesso ha previsto e soprattutto più di quanto si può permettere. E ciò accade perché ha perso la libertà di astenersi;
    sono migliaia i giocatori patologici in terapia nei SERD (servizio per le dipendenze), ossia i centri per le dipendenze delle nostre Asl, che ora si occupano – con zero risorse in più – oltre che di alcolisti, tossicodipendenti e altro, anche dei malati da gioco. Altri malati si appoggiano invece ad associazioni di volontariato e centri di ascolto. Tra queste persone in cura nei SERD, circa il 40 per cento sono precari, disoccupati, pensionati, casalinghe, fasce deboli della popolazione;
    molto spesso poi, il gioco d'azzardo patologico (g.a.p.) è accompagnato da altre dipendenze, quali alcool, sostanze stupefacenti, e pertanto si rende necessario instaurare percorsi di cura integrati fra SERD e i centri per la salute mentale;
    una più recente indagine sul gioco d'azzardo nei minori, condotta da Datanalysis e promossa da SIMPe e l'Osservatorio Nazionale sulla salute dell'infanzia e dell'adolescenza (Paidòss) e presentata all'International Pediatric Congress on Environment, Nutrition and Skin Diseases, organizzato a Marrakech dal 24 al 26 aprile 2014, ha evidenziato come sono circa 800 mila gli adolescenti italiani fra i 10 e i 17 anni che giocano d'azzardo e 400 mila i bimbi fra i 7 e i 9 anni che si sono già avvicinati al mondo di lotterie, scommesse sportive, bingo e altro. Inoltre in più della metà delle famiglie, i computer di casa non hanno filtri per impedire di accedere ai siti per il gioco on-line vietati ai minori. Si tratta di uno studio che tratteggia scenari preoccupanti, per questo parte dai pediatri dalla SIMPe, la società italiana medici pediatri, una campagna di sensibilizzazione «Ragazzi in gioco» rivolta ai professionisti e agli studenti delle scuole;
    la medesima indagine, ha segnalato come il 35 per cento degli adulti conosce ragazzini che frequentano sale giochi e in un caso su tre vi ha incontrato minori, dai quali peraltro ha ricevuto la richiesta di giocare al loro posto per eludere i divieti che impediscono alcune tipologie di scommesse a chi non è maggiorenne;
    come ricordato dalla campagna di sensibilizzazione di «Mettiamoci in gioco» contro i rischi del gioco d'azzardo, presentata il 14 novembre 2014, e promossa da Acli, Ada, Adusbef, Anci, Anteas, Arci, Associazione Orthos, Auser, Aupi, Avviso Pubblico, Azione Cattolica Italiana, Cgil, Cisl, Cnca, Conagga, Ctg, Federazione Scs-Cnos/Salesiani per il sociale, Federconsumatori, FeDerSerD, Fict, Fitel, Fp Cgil, Gruppo Abele, InterCear, Ital Uil, Lega Consumatori, Libera, Scuola delle Buone Pratiche/Legautonomie-Terre di mezzo, Shaker-pensieri senza dimora, Uil, Uil Pensionati, Uisp, il gioco d'azzardo ha conosciuto una fortissima crescita nel nostro Paese, che rimane tra i primi al mondo per consumo di giochi. Si è passati da un fatturato di 24,8 miliardi di euro nel 2004 agli 88,5 miliardi di euro del 2012. Solo nel 2013 vi è stato un leggero calo del fatturato (84,7 miliardi di euro);
    come sottolineato dal comunicato della suddetta campagna, il 56,3 per cento del fatturato viene dagli «apparecchi» (slot machine e VLT), ma è in significativa ascesa il gioco on-line;
    al crescere del fatturato non sono però seguiti maggiori introiti per le casse dello Stato. Come ricorda il comunicato della campagna «Mettiamoci in gioco», nel 2004, l'erario ha incassato dal gioco azzardo 7,3 miliardi di euro (il 29,4 per cento del fatturato complessivo), mentre nel 2013 ha registrato un'entrata di 8,1 miliardi (pari al 9,5 per cento del fatturato, nel 2013 era stato addirittura il 9 per cento). Dunque, una cifra non indifferente per le finanze pubbliche, ma molto più bassa del giro d'affari attivato dal settore, con le sue pesanti ricadute sociali e sanitarie che comportano un notevole dispendio di risorse economiche per farvi fronte;
    va ricordato che il 29 gennaio 2014, è stata depositata alla Camera una proposta di legge d'iniziativa popolare recante «Disposizioni per il divieto del gioco d'azzardo», che propone una soluzione radicale del problema, ossia il divieto assoluto e totale dei giochi con puntata di denaro, da considerare giochi d'azzardo (uniche eccezioni: il lotto, escluso il lotto istantaneo, le lotterie nelle loro varie forme e le scommesse sugli eventi sportivi);
    il CNR stima in 17 milioni (42 per cento delle persone residenti in Italia tra i 15 e i 64 anni) il numero di coloro che hanno giocato almeno una volta in un anno, in 2 milioni gli italiani a rischio minimo e in circa un milione i giocatori ad alto rischio (600-700 mila) o già patologici (250-300 mila);
    le patologie connesse alla dipendenza da gioco d'azzardo ancora oggi non sono state inserite all'interno dei livelli essenziali di assistenza (Lea), nonostante che già l'allora decreto-legge n. 158 del 2012 (cosiddetto decreto Balduzzi) avesse previsto che l'aggiornamento dei Lea, comprensivo di dette patologie, avrebbe dovuto essere aggiornato entro dicembre 2012;
    la legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità per il 2015) ha disposto uno stanziamento a partire dal 2015, nell'ambito delle risorse destinate al finanziamento del Servizio sanitario nazionale, di una quota pari a 50 milioni di euro da destinare alla prevenzione, alla cura e alla riabilitazione delle patologie connesse alla dipendenza da gioco d'azzardo;
    inoltre, in attesa del riordino della disciplina in materia di giochi pubblici che discenderà dai decreti attuativi di cui all'articolo 14 della legge n. 23 del 2014, (cosiddetta delega fiscale) volti, tra l'altro, ad affrontare la spinosa questione della rimodulazione degli aggi e dei compensi ai concessionari dei giochi, la suddetta legge di stabilità 2015 interviene prevedendo, a fini condonistici, una maggiore imposizione fiscale per quegli operatori del settore presenti nel nostro Paese senza una regolare licenza;
    dette disposizioni, che vorrebbero operare nel solco di assicurare una maggiore tutela delle fasce sociali più deboli ed esposte, e dei minori d'età, nonché una maggiore prevenzione e contrasto alla «ludopatia», sono però affiancate, con una sorta di vera e propria schizofrenia normativa, da norme che testimoniano l'inconfessato obiettivo del Governo di proseguire con politiche espansive dell'azzardo;
    lo Stato conta infatti di incassare nel triennio 2015-2017, grazie a giochi, lotto e lotterie, circa 35,7 miliardi di euro così ripartiti: oltre 11,85 miliardi nel 2015; 11,88 miliardi nel 2016; 11,95 miliardi nel 2017, con un aumento dell'entrate tributarie pari a +2,5 per cento;
    va inoltre segnalato come il Governo, interrogato lo scorso 21 ottobre 2014 presso la Commissione finanze con l'atto di sindacato ispettivo n. 5/03835 con il quale veniva sollevata la questione della mancata pianificazione nazionale di cui all'articolo 7, comma 10 del decreto legge n.158 del 2012, (cosiddetto decreto Balduzzi) da parte all'Amministrazione autonoma dei monopoli, alla quale lo stesso decreto attribuisce competenza decisoria esclusiva in tema di distribuzione delle sale giochi sul territorio, ed il mancato coinvolgimento fino ad oggi degli enti locali al procedimento di autorizzazione e di pianificazione, come del resto previsto dalla stessa legge di delega fiscale, ha dato una risposta, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, elusiva che non solleva quei comuni che nel frattempo hanno, invece, stabilito con proprio regolamento per ragioni di ordine pubblico distanze minime dai luoghi sensibili dal soccombere ai ricorsi presentati nei loro confronti,

impegna il Governo:

   a provvedere in tempi rapidi all'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (Lea), e all'inserimento all'interno dei medesimi, delle patologie connesse alla dipendenza da gioco d'azzardo;
   ad attivarsi fin da subito, con proprie iniziative normative, affinché la propaganda pubblicitaria del gioco d'azzardo, in tutte le sue forme, venga vietata nel territorio nazionale;
   ad assumere iniziative per stanziare ulteriori indispensabili risorse a integrazione di quelle, peraltro insufficienti, già previste dalla legge n. 190 del 2014, per la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle patologie connesse alla dipendenza da gioco d'azzardo, con particolare riferimento al rafforzamento dei SERD (servizi per le dipendenze) per la presa in carico dei giocatori patologici;
   a prevedere, laddove necessario, opportune forme di sostegno finanziario anche diretto, nei confronti dei soggetti coinvolti e dei loro nuclei familiari;
   a individuare, quale ulteriore fonte di finanziamento della cura e riabilitazione per le suddette patologie, una quota delle entrate derivanti dal gioco lecito – a carico quindi sia dello Stato che dei concessionari e gestori – nonché una quota delle sanzioni comminate a concessionarie o gestori degli apparecchi da gioco;
   a individuare forme e modalità premiali e un pubblico riconoscimento agli esercizi commerciali che si impegnano, per un determinato numero di anni, a rimuovere o a non installare apparecchiature per giochi con vincita in denaro;
   a introdurre idonei sistemi automatici per impedire l'accesso alle slot e ai giochi on-line, da parte dei minori;
   ad assumere iniziative per vietare l'esercizio di nuove sale da gioco e di nuovi punti vendita in cui si esercita come attività principale l'offerta di scommesse a una distanza inferiore a 500 metri da scuole di ogni ordine e grado, strutture sanitarie, luoghi di culto, centri di aggregazione e altri luoghi sensibili, prevedendo nelle more dell'applicazione della suddetta distanza minima nonché dell'emanazione dei decreti attuativi di cui al citato articolo 14 della legge n. 23 del 2014, che l'Amministrazione autonoma dei monopoli si uniformi, con proprie direttive, a quanto ad oggi già disposto dai singoli comuni in tema di regolamentazione di distanze dai luoghi sensibili, al fine di dare tempestiva regolamentazione ad un settore particolarmente delicato;
   ad assumere comunque, per quanto di competenza, iniziative normative che attribuiscano ai sindaci competenze in materia di apertura, ubicazione e orari delle sale da gioco;
   a introdurre un criterio per regolare e limitare le nuove autorizzazioni e sospendere la proliferazione dei giochi d'azzardo, individuando opportuni parametri a cui agganciarsi, quali, per esempio il tasso di crescita del Paese, o un determinato rapporto tra le autorizzazioni per nuove sale giochi e i cittadini residenti;
   ad agevolare, per quanto di propria competenza, l’iter delle proposte di legge in materia, già all'esame della Commissione affari sociali della Camera dal settembre 2013.
(1-00706) «Nicchi, Matarrelli, Paglia, Ricciatti, Ferrara, Franco Bordo, Scotto».


   La Camera,
   premesso che:
    come noto, per ludopatia (o gioco d'azzardo patologico) si intende l'incapacità di resistere all'impulso di giocare d'azzardo o fare scommesse, nonostante l'individuo che ne è affetto sia consapevole che questo possa portare a gravi conseguenze. Per continuare a dedicarsi al gioco d'azzardo e alle scommesse, chi è affetto da ludopatia trascura lo studio o il lavoro e può arrivare a commettere furti o frodi;
    questa patologia condivide alcuni tratti del disturbo ossessivo compulsivo, ma rappresenta un'entità a sé. È stata individuata come evidenza scientifica già dal 1980 da parte dell'Associazione degli psichiatri americani, ed il gioco d'azzardo patologico è presente già dal 1994 nel «Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali» classificato come «disturbo del controllo degli impulsi»;
    recentemente, poi, l'Organizzazione mondiale della sanità ha inserito il gioco d'azzardo patologico tra i disturbi delle abitudini e degli impulsi in forte comorbilità con altri quadri patologici quali depressione, ipomania, disturbo bipolare, impulsività, abuso di sostanze (alcol, tabacco, sostanze psicoattive illegali), disturbi di personalità (antisociale, narcisistico, borderline), deficit dell'attenzione con iperattività, disturbi da attacchi di panico con o senza agorafobia, disturbi fisici associati allo stress (ulcera peptica, ipertensione arteriosa);
     il tema del gioco d'azzardo patologico è ormai assurto all'attenzione delle aule parlamentari, dove con chiarezza sono emersi i contorni preoccupanti del problema e si è iniziato a lavorare per la realizzazione di iniziative finalizzate alla prevenzione e alla cura di questa dipendenza;
    nella scorsa legislatura, nel corso dell'audizione svolta presso la XII Commissione affari sociali della Camera dei deputati nel contesto dell'indagine conoscitiva sugli aspetti sociali e sanitari della dipendenza dal gioco d'azzardo, è stato evidenziato come la dipendenza da gioco d'azzardo presenti «quadri clinici, che hanno in comune con la dipendenza da sostanze (alcol e stupefacenti) il comportamento compulsivo che produce effetti seriamente invalidanti»;
    nell'ambito della stessa indagine conoscitiva, è inoltre emerso che particolare attenzione deve essere riservata al problema dell'accesso al gioco d'azzardo da parte dei minori. In Italia, infatti, il fenomeno interessa circa 450.000 studentesse e 720.000 studenti, ovvero il 47,1 per cento dei giovani che frequentano le scuole secondarie di secondo grado. Tra i maschi in genere il disturbo inizia negli anni dell'adolescenza, mentre nelle donne inizia all'età di 20-40 anni;
    inoltre, da quanto emerge dagli ultimi dati dello studio Ipsad (Italian population survey on alcohol and other drugs) dell'Istituto di fisiologia clinica del Cnr di Pisa, nei 3 anni dal 2008 al 2011, la percentuale di persone tra i 15 e i 64 anni che ha puntato soldi almeno una volta su uno dei tanti giochi presenti sul mercato (Lotto, Superenalotto, Gratta e vinci, scommesse sportive, poker on line) è passata dal 42 al 47 per cento. Si tratta di circa 19 milioni di scommettitori, di cui ben 3 milioni a rischio ludopatia, soprattutto uomini, disoccupati e persone con un basso livello di istruzione;
    dai dati registrati, emerge la crescita, anche tra gli adolescenti, della «febbre del gioco»: ammonta a più di un milione il numero di studenti che hanno riferito, nel 2012, di aver puntato denaro sui giochi e, nonostante una chiara legislazione restrittiva per i minori, risulta che ben 630.000 under 18 hanno speso almeno 1 euro giocando d'azzardo;
    secondo l'indagine condotta sempre dall'Ipsad, che ha coinvolto 45.000 studenti delle scuole superiori e 516 istituti scolastici di tutta la nazione, nell'ultimo anno il 45,3 per cento degli studenti ha puntato somme di denaro. Ad essere maggiormente coinvolti nel gioco risultano essere i ragazzi (55,1 per cento contro il 35,8 per cento delle ragazze) e si stima che siano 100.000 gli studenti che già presentano un profilo di rischio moderato e 70.000 quelli con una modalità di gioco problematica;
    dai recenti dati elaborati dall'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, emerge per il comparto giochi una raccolta di 62 miliardi e 355 milioni di euro nel periodo gennaio-ottobre 2012, l'esistenza di 400.000 apparecchi da intrattenimento e 6.181 locali o agenzie autorizzati, frequentati da 15 milioni di giocatori abituali;
    l'articolo pubblicato su Avvenire il 13 giugno 2013 riporta i dati preoccupanti elaborati dalla Consulta Nazionale delle fondazioni e associazioni antiusura, in base ai quali la dedizione ossessiva a slot machine, videopoker e gratta e vinci sottrae ogni anno 70 milioni di ore lavorative e dirotta almeno 20 miliardi di euro dall'economia reale, cancellando così 115.000 posti di lavoro;
    lo stesso articolo pubblica i dati emersi dallo studio del sociologo Maurizio Fiasco, consulente della Consulta, che quantifica l'emorragia economica provocata dall'azzardo e il tempo usato dai giocatori per le diverse tipologie di azzardo; si legge nell'articolo «le nuove slot machine hanno totalizzato 28 miliardi di giocate, pari a oltre 46 milioni di ore passate a schiacciare tasti; 5 miliardi le giocate alle videolottery (8,3 milioni di ore); 2,2 miliardi per le “grattate” sui Gratta e vinci (quasi 37 milioni di ore); 15 miliardi le giocate on line (circa 167 milioni di ore); 35 miliardi le giocate a lotto, superenalotto e altri giochi tradizionali (230 milioni di ore). Totale: 49 miliardi di operazioni di gioco, pari a 69 milioni 760.000 ore perse inseguendo un miraggio»;
    secondo il sociologo, inoltre, l'azzardo «drena risorse ai consumi, già in forte contrazione»: se nel 2012 sono stati giocati 90 miliardi, tenendo conto del pay out, cioè le vincite, sono almeno 20 i miliardi di euro sottratti al commercio e ai servizi destinati alla vendita. Lo studio ha anche calcolato il «potenziale di occupazione dissipato dalla spesa per giochi, valutabile in circa 90.000 addetti nel commercio e servizi e circa 25.000 addetti nell'industria»;
    l'articolo 5 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, recante «Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute» ha inserito la ludopatia nei livelli essenziali di assistenza (Lea), con riferimento alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da questa patologia;
    tuttavia, se da un verso è indispensabile prevedere forme di riabilitazione per tale patologia, è ancora più importante attenzionare il fenomeno sul versante della prevenzione, poiché nulla è stato fatto fino ad ora su questo aspetto;
    l'articolo 7 del decreto citato, infatti, si limita a raccomandare ai «gestori di sale da gioco e di esercizi in cui vi sia offerta di giochi pubblici, ovvero di scommesse su eventi sportivi, anche ippici, e non sportivi» di «esporre, all'ingresso e all'interno dei locali, il materiale informativo predisposto dalle aziende sanitarie locali, diretto a evidenziare i rischi correlati al gioco e a segnalare la presenza sul territorio dei servizi di assistenza pubblici e del privato sociale dedicati alla cura e al reinserimento sociale delle persone con patologie correlate alla g.a.p. (gioco d'azzardo patologico)». Viene inoltre raccomandato di «inserire formule di avvertimento sul rischio di dipendenza dalla pratica di giochi con vincite in denaro (...) schedine, tagliandi di gioco (...) su apposite targhe esposte nelle aree ovvero nelle sale in cui sono installati i videoterminali (dedicati a gioco d'azzardo) e al momento dell'accesso dei siti Internet». Misure che comunque si sono rilevate assolutamente insufficienti per prevenire il fenomeno;
    è ormai innegabile che stiamo di fronte ad una «nuova malattia sociale» che, sovente, genera fenomeni di disgregazione familiare e di impoverimento totale, oltre ad un aumento esponenziale del rischio di cadere nel gravissimo fenomeno dell'usura ed in patologiche dipendenze. È per questo che occorre un'azione forte e decisa perché nel più breve tempo possibile possano essere poste in essere tutte le disposizioni volte ad arginare e a prevenire il fenomeno della ludopatia,

impegna il Governo:

   ad assumere ogni iniziativa utile al fine di regolamentare l'apertura delle sale da gioco ovvero dei locali commerciali con slot, ad una distanza di sicurezza pari almeno a 500 metri rispetto a luoghi sensibili, quali scuole, ospedali, farmacie e altro e comunque proporzionando il numero dei locali adibiti al gioco al numero degli abitanti residenti;
   a prevedere adeguati meccanismi di controllo al fine di non permettere la partecipazione a slot o comunque l'ingresso in sale da gioco ai minori d'età, se del caso prevedendo anche sanzioni amministrative pecuniarie per i gestori delle sale o per i somministratori dei giochi;
   ad assumere ogni iniziativa utile al fine di evitare il riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite legate al gioco d'azzardo.
(1-00707) «Palese».


   La Camera,
   premesso che:
    in Italia il fenomeno del gioco d'azzardo è in continua crescita e in questi anni sta assumendo dimensioni sempre più rilevanti, come si può rilevare dall'andamento delle statistiche dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato relative alla quantità di denaro giocato. In parallelo si stanno anche rafforzando le evidenze scientifiche che dimostrano come la pratica del gioco d'azzardo possa dar luogo a forme di vera e propria dipendenza (gioco d'azzardo patologico) o a comportamenti a rischio (gioco d'azzardo problematico);
    i dati aggiornati ad ottobre 2012 confermano la grande espansione del gioco d'azzardo in tutta Italia, con il primato per il fatturato della Lombardia (1.284 milioni di euro), seguita nell'ordine dal Lazio (797), dalla Campania (688), dell'Emilia-Romagna (573), del Veneto (503), del Piemonte (484), della Sicilia (468), della Puglia (438), della Toscana (433), dell'Abruzzo (203). Per quanto riguarda la spesa pro capite al primo posto si colloca l'Abruzzo con 155,28 euro a testa, seguito da Lazio (144,83), Lombardia (132,31), Emilia-Romagna (131,96), Molise (127,52), Liguria (122,23), Marche (121,97), Campania (119,30), Umbria (118,74), Valle D'Aosta (118,29), Toscana (117,91);
    il gioco d'azzardo è la terza industria italiana, con il 3 per cento del prodotto interno lordo nazionale, 5.000 aziende, 120.000 addetti, 400.000 slot machine, 6.181 punti gioco autorizzati, oltre il 15 per cento del mercato europeo e oltre il 4,4 per cento del mercato mondiale, il 23 per cento del mercato mondiale del gioco on-line. Nel 2011 sono stati giocati 79.814 miliardi di euro, 70.262 miliardi di euro nei primi 10 mesi del 2012, il 12 per cento della spesa delle famiglie italiane. Sono 15 milioni i giocatori abituali, 2 milioni quelli a rischio patologico, circa 800.000 i giocatori già malati. Sono necessari 5-6 miliardi di euro l'anno per curare i dipendenti dal gioco, mentre le tasse incassate dallo Stato sono 8 miliardi di euro;
    le persone più interessate al gioco sono le fasce più deboli e fragili della società: giocano il 47 per cento degli indigenti, il 56 per cento delle persone appartenenti al ceto medio-basso; il 70,8 per cento di chi ha un lavoro a tempo indeterminato, l'80,2 per cento dei lavoratori saltuari, l'86,7 per cento dei cassintegrati. Giocano di più e con più soldi i ragazzi delle scuole professionali, e giocano il 61 per cento dei laureati, il 70,4 per cento di chi ha il diploma superiore, l'80,3 per cento di chi ha la licenza media. Giocano anche gli adolescenti: si stima che giochi il 47,1 per cento degli studenti tra i 15 e i 19 anni: il 58,1 per cento dei ragazzi e il 36,8 per cento delle ragazze. Gli adolescenti sono più a rischio dipendenza: circa il 4-8 per cento ha un problema di gioco e il 10-14 per cento è a rischio di diventare giocatore patologico. Giocano pure i bambini: l'8 per cento dei bambini tra i sette e gli undici anni gioca con denaro on-line;
    la dipendenza dal gioco è una vera e propria malattia che compromette lo stato di salute fisica e psichica del giocatore, il quale non riesce a uscirne da solo. Il malato di gioco (gioco d'azzardo patologico) è cronicamente e progressivamente incapace di resistere all'impulso di giocare e spesso si trova nella condizione di dover chiedere prestiti a usurai o a fonti illegali; a volte giunge alla perdita del lavoro per assenteismo. Tutto questo produce sofferenza e difficoltà di relazione anche all'interno della famiglia;
    le sale giochi proliferano sempre di più in tutti i centri urbani e, tuttavia, le amministrazioni locali non riescono ad intervenire efficacemente per fermare il dilagante fenomeno, anche per la mancanza di poteri effettivi da parte delle autorità comunali di imporre norme restrittive in grado di impedire almeno la vicinanza delle sale giochi con i luoghi cosiddetti «sensibili» o per far rispettare una distanza congrua fra una sala e l'altra;
    il gioco d'azzardo on-line, conosciuto anche da molti come gambling on-line, sta diventando sempre più pericoloso, proprio perché, a differenza di quello terrestre, abbatte tutte le inibizioni;
    sul portale dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato sezione gioco è possibile avere un'ampia informazione su tutti i giochi presenti suddivisi per: gioco del lotto; giochi numerici a totalizzatore; giochi a base sportiva; giochi a base ippica; apparecchi da intrattenimento; giochi di abilità, carte, sorte a quota fissa; lotterie; bingo; gioco a distanza; mentre non vi sono dati circa il fenomeno del gioco in Italia, né dati aggiornati sono presenti sul sito del Ministero della salute o sul sito della Presidenza del Consiglio dei ministri, dipartimento antidroga;
    diversamente dal modello legislativo e giurisprudenziale europeo, che è influenzato da principi di libera concorrenza, a livello nazionale si ritiene invece che il gioco d'azzardo debba essere sottoposto a concessione, distinguendolo dalle altre attività di gioco. Il tutto allo scopo di evitare e prevenire possibili infiltrazioni del crimine organizzato e/o fenomeni di illegalità e di garantire che si tratti di un'attività regolamentata e trasparente;
    nel corso della passata legislatura la Commissione parlamentare affari sociali ha promosso un'indagine conoscitiva sugli aspetti sociali e sanitari della dipendenza dal gioco d'azzardo dalla quale è emerso nel testo conclusivo l'esigenza di disporre di una conoscenza dei dati epidemiologici tecnicamente e scientificamente validati, la necessità di nuove regole per limitare l'offerta dei giochi, tutelare i minori, liberare l'industria del gioco dagli inquinamenti della malavita ed affrontare il tema della presa in carico dei giocatori patologici;
    in questi ultimi anni più volte il Parlamento e il Governo sono intervenuti a normare questa materia, basta ricordare:
     a) il decreto-legge n. 158 del 2012 (cosiddetto decreto Balduzzi), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, che all'articolo 5, comma 2, ha riconosciuto la ludopatia come una patologia che caratterizza i soggetti affetti da sindrome da gioco con vincita in denaro, così come definita dall'Organizzazione mondiale della sanità, prevedendo anche l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza con riferimento alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da ludopatia; all'articolo 7, comma 4, dispone dal 1o gennaio 2013, al fine di contenere la diffusione delle dipendenze dalla pratica di gioco con vincite in denaro, il divieto di messaggi pubblicitari di giochi con vincite in denaro nelle trasmissioni televisive, radiofoniche e nelle rappresentazioni teatrali o cinematografiche rivolte prevalentemente ai giovani; su giornali, riviste, pubblicazioni, durante trasmissioni televisive e radiofoniche, rappresentazioni cinematografiche e teatrali, nonché via internet, che incitano al gioco ovvero ne esaltano la sua pratica, ovvero che hanno al loro interno dei minori, ovvero che non avvertono del rischio di dipendenza dalla pratica del gioco; al comma 4-bis dispone che la pubblicità dei giochi che prevedono vincite in denaro deve riportare in modo chiaramente visibile la percentuale di probabilità di vincita che il soggetto ha nel singolo gioco pubblicizzato; infine il comma 5-bis prevede che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca segnali agli istituti di istruzione primaria e secondaria la valenza educativa del tema del gioco responsabile affinché gli istituti, nell'ambito della propria autonomia, possano predisporre iniziative didattiche volte a rappresentare agli studenti il senso autentico del gioco e i potenziali rischi connessi all'abuso o all'errata percezione del medesimo;
     b) la legge 11 marzo 2014, n. 23 (cosiddetta delega fiscale), all'articolo 14, ove si prevede che il Governo è delegato ad attuare il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici, indicando, tra i principi e criteri direttivi cui deve uniformarsi, l'introduzione e la garanzia di applicazione di regole trasparenti e uniformi nell'intero territorio nazionale in materia di titoli abilitativi all'esercizio dell'offerta di gioco, di autorizzazioni e di controlli, garantendo forme vincolanti di partecipazione dei comuni competenti per territorio al procedimento di autorizzazione e di pianificazione, che tenga conto di parametri di distanza da luoghi sensibili validi per l'intero territorio nazionale, della dislocazione locale di sale da gioco e di punti di vendita in cui si esercita come attività principale l'offerta di scommesse su eventi sportivi e non sportivi, nonché in materia di installazione degli apparecchi idonei per il gioco lecito;
     c) la legge n. 190 del 23 dicembre 2014 (legge di stabilità 2015) all'articolo 1, comma 133, dove si prevede che nell'ambito delle risorse destinate al finanziamento del Servizio sanitario nazionale a decorrere dall'anno 2015 una quota pari a 50 milioni di euro è annualmente destinata alla prevenzione, alla cura e alla riabilitazione delle patologie connesse alla dipendenza da gioco d'azzardo come definita dall'Organizzazione mondiale della sanità. Una quota delle risorse, nel limite di 1 milione di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017, è destinata alla sperimentazione di modalità di controllo dei soggetti a rischio di patologia, mediante l'adozione di software che consentano al giocatore di monitorare il proprio comportamento generando conseguentemente appositi messaggi di allerta, nonché lo spostamento sotto il Ministero della salute dell'Osservatorio nazionale istituito ai sensi dell'articolo 7, comma 10, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189,

impegna il Governo:

   a dare rapida attuazione a quanto disposto dall'articolo 14 della legge 11 marzo 2014, n. 23, con l'emanazione dei previsti decreti sul riordino della normativa in materia di giochi pubblici e del regime autorizzativo all'esercizio dell'offerta di gioco;
   a predisporre canali ufficiali di informazione nonché una divulgazione periodica con cadenza annuale dei dati statistici relativi al gioco d'azzardo, con particolare attenzione ai dati relativi ai giocatori, alle somme giocate e ai territori più coinvolti;
   ad assumere iniziative per attribuire ai comuni le opportune competenze in materia di pianificazione dell'ubicazione di sale gioco e punti di vendita in cui si esercita l'offerta di scommesse, nonché in materia di installazione di apparecchi idonei per il gioco lecito, anche al fine di garantire il rispetto di parametri di distanza da luoghi sensibili validi per l'intero territorio nazionale;
   ad assumere iniziative per adottare le necessarie disposizioni tese ad impedire l'accesso dei minori ai locali adibiti al gioco d'azzardo e agli apparecchi di gioco, nonché a tutelare i soggetti maggiormente vulnerabili e a rischio di gioco d'azzardo patologico;
   ad assumere iniziative per l'introduzione di nuove disposizioni vincolanti in materia di pubblicità del gioco d'azzardo, con particolare attenzione alla tutela dei minori e dei soggetti vulnerabili, nonché all'esigenza di vietare messaggi pervasivi oppure ingannevoli o illusori circa le probabilità di vincita;
   a valutare possibili iniziative utili a prevenire l'eventualità che gli apparecchi per il gioco d'azzardo divengano strumenti di riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite;
   a garantire attraverso il Ministero della salute adeguate risorse destinate alla cura e alla riabilitazione delle patologie connesse alla dipendenza da gioco d'azzardo;
   a predisporre, anche attraverso l'Osservatorio nazionale sulla dipendenza da gioco d'azzardo patologico, campagne di informazione e sensibilizzazione sui rischi connessi al gioco d'azzardo patologico.
(1-00710) «Garavini, Miotto, Beni, Lenzi, Causi, Ginato, Gelli, Murer, Carnevali, Sbrollini, D'Incecco».


MOZIONI RAMPELLI ED ALTRI N. 1-00666, KRONBICHLER ED ALTRI N. 1-00700, BORGHESI ED ALTRI N. 1-00701 E GALLINELLA ED ALTRI N. 1-00711 CONCERNENTI INIZIATIVE IN SEDE EUROPEA VOLTE A RICHIEDERE LE DIMISSIONI DEL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE EUROPEA JEAN-CLAUDE JUNCKER

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    la lotta all'evasione fiscale è uno degli impegni fondamentali nei quali è fortemente concentrata l'Italia al fine di perequare il sistema fiscale e tributario rispetto a cittadini, famiglie e imprese;
    le istituzioni europee hanno in varie circostanze richiamato il nostro Paese ad impegnarsi maggiormente nel contrasto all'evasione fiscale, indicando l'Italia come «maglia nera» dell'economia sommersa, che si attesterebbe su un valore complessivo di 180 miliardi di euro;
    nell'eurozona l'evasione fiscale costituisce uno dei principali problemi in quanto coinvolge numerosi Stati fondatori dell'Unione europea, quali la Germania (con 159 miliardi di euro), la Francia (con 121 miliardi di euro), la Gian Bretagna con (75 miliardi di euro) e la Spagna con (73 miliardi di euro);
    il fiscal compact che l'Italia, insieme agli altri Paesi dell'Unione europea, è tenuta a rispettare, ha un peso estremamente rilevante sui conti dello Stato italiano e delle famiglie;
    il fatto che il Governo non sia in grado di incassare le risorse fiscali e tributarie derivanti da attività illecite impedisce l'alleggerimento della pressione fiscale;
    Jean-Claude Juncker, eletto Presidente della Commissione europea il 1o novembre 2014, è stato Primo ministro del Lussemburgo per diciotto anni, dal 1995 al 2013;
    secondo un'inchiesta giornalistica realizzata dall’International consortium of investigative journalism e pubblicata, in questi giorni, il Governo del Lussemburgo avrebbe promosso accordi con trecento aziende in tutto il mondo, trentuno delle quali in Italia, per spostare flussi finanziari enormi pagando tasse minime;
    oltre a multinazionali quali Amazon, Ikea, Deutsche Bank, Procter&Gamble, Pepsi, Gazprom, sembrerebbero essere coinvolti anche Finmeccanica e alcuni istituti di credito italiani, quali Unicredit, Intesa San Paolo, Banca Marche e Banca Sella;
    i cronisti dell’International consortium of investigative journalism hanno scoperto un quadro inquietante dei rapporti tra enormi multinazionali e le autorità del Granducato;
    secondo quanto riporta l'Espresso, che ha avuto l'esclusiva per l'Italia, si tratta di «un'emorragia di fondi, perfettamente legale, che sottrae risorse dall'economia del resto dell'Ue»;
    secondo l'Espresso, dalle multinazionali alle banche, dalle imprese famigliari ai grandi marchi della moda, migliaia di società hanno trovato rifugio all'ombra del «fisco leggero» del Granducato, in un sistema cresciuto anche grazie al lungo Governo di Jean-Claude Juncker;
    per anni il Lussemburgo è stato fra i Paesi (ultimamente in tandem solo con l'Austria) che hanno rallentato e perfino «preso in ostaggio» la gran parte degli altri Stati membri sulla controversa tassazione delle rendite da risparmio dei cittadini non residenti, in stretta alleanza con i cinque Paesi terzi (Svizzera, Liechtenstein, Monaco, San Marino e Andorra) e ha rallentato la marcia verso lo scambio automatico delle informazioni fiscali tra amministrazioni, rimanendo aggrappato alla difesa sempre più indifendibile di parti sostanziali del segreto bancario;
    la prossima settimana in Australia si ritrovano i Capi di Stato e di Governo del G20 per certificare al massimo livello politico le proposte Ocse contro quella che, con un eufemismo, viene chiamata «ottimizzazione fiscale» per intraprendere procedure di trasparenza;
    l'Esecutivo europeo è per definizione il «guardiano» della regole e la fiducia nei suoi confronti deve essere totale, ed è a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo inaccettabile che sia presieduto da un personaggio coinvolto in fatti come quelli di cui in premessa,

impegna il Governo

ad attivarsi in sede europea per chiedere le immediate dimissioni del Presidente della Commissione europea in quanto non compatibile, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, con il ruolo di garante ed esecutore delle politiche di rigore fiscale e di lotta all'evasione ed elusione.
(1-00666) «Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, Corsaro, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    il Consorzio internazionale per il giornalismo investigativo ha condotto un'inchiesta il cui risultato dimostra che 340 aziende hanno spostato una parte delle loro sedi legali in Lussemburgo per quella pratica di «ottimizzazione fiscale» che sottintende l'utilizzo di metodi leciti o quasi per pagare meno tasse «senza contare fondi di investimento di quasi tremila miliardi di euro di attività nette, secondi solo agli Stati Uniti»;
    da questa inchiesta si evincono documenti ufficiali che dimostrano come il neopresidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, una delle più importanti cariche europee, nella sua passata vita politica cioè quando ricopriva l'incarico di Primo ministro del Lussemburgo, è stato responsabile di accordi segreti con grandi multinazionali che, grazie a queste intese, sono riuscite a sottrarre decine di miliardi di tasse ai Paesi dell'Unione europea in cui avrebbero dovuto pagarle;
    per Bloomberg, una delle più note multi-testate finanziarie del mondo, il popolo lussemburghese sarebbe divenuto uno dei più ricchi al mondo, secondo solo al Qatar, perché «regole di segreto bancario simili a quelle svizzere» e «meccanismi di elusione fiscale approvati dal governo» hanno contribuito a garantire un ingente afflusso di capitali. Gli accordi fiscali, descritti nei documenti trapelati, presumibilmente consentivano a multinazionali come Apple e Deutsche Bank, di ridurre i loro oneri fiscali sui profitti maturati in altri Paesi. Il risultato è che «le aliquote fiscali applicate erano minime». Di conseguenza, «si potrebbe dire che Juncker abbia reso ricco il proprio paese andando a borseggiare gli altri stati, inclusi, soprattutto, quelli dell'Unione europea che è ora chiamato a servire», ha rimarcato l'agenzia;
    l'Espresso in contemporanea con altre grandi testate europee come Bbc, The Guardian, Le Monde, Süddeutsche Zeitung, ha pubblicato i documenti riservati che dimostrano come il Lussemburgo di Juncker sia stato un invidiabile paradiso fiscale per tante imprese internazionali, comprese le italiane finora emerse. Vantaggi legittimi in quanto la legislazione europea consente la concorrenza fiscale tra un Paese e l'altro mentre vieta gli aiuti di Stato. E i «tax ruling» lussemburghesi potrebbero configurarsi come tali nei confronti di alcune aziende particolarmente beneficiate da una fiscalità generosa;
    tale passato comportamento di Jean-Claude Juncker è del tutto incompatibile con il ruolo assunto di Presidente della Commissione europea che necessita di una personalità autorevole e meritevole di fiducia da parte di tutti i cittadini dell'Unione europea danneggiati dalle politiche condotte durante il suo quasi ventennale incarico di Primo ministro lussemburghese;
    la permanenza nell'incarico di Presidente dell'Unione europea di Juncker non aiuta la causa europea, in quanto la sua posizione come capo dell'istituzione che sta indagando le pratiche fiscali da lui supervisionate quando era Primo ministro del Lussemburgo, è in evidente conflitto di interesse, e pertanto la credibilità delle istituzioni, se lasciasse l'incarico, se ne avvantaggerebbe,

impegna il Governo

a promuovere l'attivazione, in conformità alle disposizioni del Trattato dell'Unione europea, delle procedure volte alla cessazione dalla carica del Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker per le ragioni esposte in premessa, valutando altresì l'ipotesi di promuovere nelle sedi competenti il ricorso alla Corte di giustizia dell'Unione europea in base all'articolo 247 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea per chiedere che il Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker sia dichiarato dimissionario dalla carica ricoperta per incompatibilità con i requisiti richiesti per tale importante ruolo.
(1-00700) «Kronbichler, Pannarale, Scotto, Palazzotto, Paglia».


   La Camera,
   premesso che:
    dal novembre 2014 il neo Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker è al centro di uno scandalo definito LuxLeaks emerso a seguito di una inchiesta giornalistica internazionale condotta da un network americano, The International Consortium of Investigative Journalism (ICIJ), e pubblicata in esclusiva per l'Italia dal settimanale l'Espresso, dove emerge che il Granducato di Lussemburgo abbia stretto accordi fiscali, circa 550, a favore di oltre 340 società negli anni dal 2002 al 2010, garantendo aliquote fiscali più basse rispetto all'ordinario. Si parla di aliquote dell'1 per cento che porterebbero ad un risparmio fino a circa il 95 per cento delle imposte dovute nei paesi di origine;
    nel periodo in cui questi accordi sono stati approvati dall'autorità fiscale del Lussemburgo il Presidente Juncker ricopriva la carica di Primo ministro, carica che ha rivestito per ben 18 anni dal 1995 al 2013;
    l'accordo fiscale del quale si fa riferimento nell'inchiesta è il cosiddetto «tax ruling» ovvero quella pratica che permette di conoscere in anticipo il trattamento di questioni fiscali internazionali. In concreto sono delle lettere di intenti emesse da un Paese che forniscono ad una società chiarimenti sul modo in cui sarà calcolata l'imposta da pagare e ottenere garanzie giuridiche. Sulla base del tax ruling le multinazionali, con controllate in diversi Stati, scelgono la destinazione più vantaggiosa dell'imponibile;
    i tax ruling (trattamenti fiscali predefiniti), siglati in Lussemburgo da PriceWaterhouseCoopers (Pwc) – una delle «big four» mondiali della consulenza – sottolinea l'inchiesta, sono perfettamente legali quando questi sono utilizzati dagli Stati membri come strumento per attirare gli investimenti delle imprese, ma se vengono usati a danno della libera concorrenza possono essere considerati aiuti di Stato illegali;
    gli Stati membri, nell'ambito della libera concorrenza nel mercato interno, possono intervenire mediante risorse statali per promuovere alcune attività economiche o proteggere alcune industrie nazionali, questi sono chiamati aiuti di Stato che però, in alcuni casi, possono falsare la concorrenza. Gli aiuti di Stato, infatti, sono vietati dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (articolo 107 TFUE), ma sono previste alcune deroghe che li autorizzano a patto che siano giustificati da obiettivi di comune interesse, ad esempio aiuti destinati a servizi di interesse economico generale, sempre che non alterino la concorrenza in misura contraria al comune interesse. Il controllo sugli aiuti di Stato è effettuato dalla Commissione europea e consiste nel valutare l'equilibrio tra gli effetti positivi e negativi degli aiuti;
    l'ex commissario alla concorrenza Joaquín Almunia aveva già aperto nei confronti del Lussemburgo due indagini una relativa ad Amazon e l'altra a Fiat Finance and Trade accusate di aver ottenuto aiuti di Stato illegali. Il neo commissario alla concorrenza Margrethe Vestager ha dichiarato che sulle due indagini aperte dal suo predecessore e sul caso LuxLeaks sarà presa una decisione entro la prossima primavera, in quanto allo stato attuale non si può ancora dire se i tax ruling in questione siano legali o meno e se quindi li si possa considerare aiuti di Stato illegali;
    il Granducato di Lussemburgo ha più holding che abitanti, conta infatti appena 550 mila abitanti. È un paese altamente ricco, basti pensare che il reddito pro capite è di circa 105 mila dollari, il più alto al mondo, quasi il triplo di quello italiano, e che deve il suo benessere alla tasse in quanto da più di 50 anni è meta preferita delle aziende alla ricerca di un trattamento fiscale di favore;
    il sistema fiscale lussemburghese funziona secondo un reciproco accordo dove le aziende spostano i loro flussi finanziari in cambio della possibilità di un trattamento tributario di eccezione. A farne le spese, però, sono i Paesi di origine delle società costretti a rinunciare al gettito sugli affari dirottati nel paradiso fiscale. Il sistema lussemburghese è molto più sofisticato ed efficiente degli altri paradisi fiscali, quali le Cayman, Panama o le Isole vergini britanniche, in quanto più aderente alle normative internazionali;
    dall'inchiesta dell'ICIJ emerge che secondo i dati Ocse, nel 2013 il Lussemburgo avrebbe ricevuto investimenti diretti esteri per 2.280 miliardi di dollari e che soltanto 122 siano andati all'economia reale, il resto si pensa siano soldi portati nel Granducato per sottrarli semplicemente al fisco dei Paesi in cui erano stati prodotti e che quindi sarebbero dovuti essere tassati;
    nonostante l'attuale legislazione europea consenta la concorrenza fiscale tra i Paesi membri è del tutto evidente che un simile sistema di difformità di regimi fiscali, che utilizzano tra l'altro la stessa moneta, sia una delle contraddizioni evidenti di questo tipo di Europa. Un'Europa dove i cittadini italiani che sono costretti a subire aumenti di tasse, riduzione del potere di acquisto dei salari ed una disoccupazione in costante ed inesorabile crescita, vedono le grandi multinazionali avere benefici fiscali smisurati a fronte di guadagni miliardari;
    paradosso del caso LuxLeaks è che il Presidente Juncker si trova ora nella situazione di un «conflitto di interessi» ricoprendo l'incarico di Presidente della Commissione europea e, quindi, come tale dover vigilare sul rispetto delle regole europee, e al tempo stesso essere stato l'artefice di un sistema fiscale, in qualità di Primo ministro del Lussemburgo e quindi direttamente responsabile delle politiche fiscali del suo Paese, che ha permesso a ben 343 aziende di togliere miliardi di euro di risorse economiche ai paesi di origine;
    il Presidente della Commissione europea Juncker ha rilasciato dichiarazioni nelle quali ha promesso di impegnarsi per l'armonizzazione dei regimi fiscali europei e continuare nella lotta all'evasione ed elusione fiscale nell'Unione europea. Dichiarazioni che ora sembrano alquanto stridenti con i fatti accaduti, ovvero di aver causato gravi squilibri e danni al mercato interno europeo;
    si attendono con fiducia le conclusioni delle indagini, conclusioni che l'attuale commissario alla Concorrenza ha promesso arriveranno entro il secondo trimestre di quest'anno, al fine di fare piena luce sul caso LuxLeaks. Sarebbe opportuno che nel frattempo il Presidente Juncker faccia un passo indietro e si faccia, quindi, giudicare da privato cittadino e possa così lasciare la guida della Commissione europea ad una figura seria e trasparente;
    a fine novembre 2014 il Parlamento europeo, riunito in sessione plenaria a Strasburgo, ha respinto una mozione di censura al Presidente Juncker a seguito dello scandalo LuxLeaks, sostenuta anche dalla Lega Nord. Con questo atto di indirizzo si vuole dare una seconda opportunità al Governo italiano di ritornare sui propri passi,

impegna il Governo

ad attivarsi in sede europea affinché si arrivi alle dimissioni del Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, che appare responsabile di politiche di elusione fiscale aggressiva, rimediando in questo modo a quello che i firmatari del presente atto di indirizzo ritengono un clamoroso errore di valutazione, fatto in occasione della designazione del Presidente della Commissione europea, al fine di salvaguardare milioni di cittadini ed imprese europee che sono giornalmente danneggiati da questa Europa che risponde solo agli interessi delle banche e della finanza e non tiene in debita considerazione le loro istanze, permettendo così l'elezione di un nuovo Presidente garante e difensore dei diritti dei cittadini europei.
(1-00701) «Borghesi, Fedriga, Allasia, Attaguile, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    la lotta alla frode e all'evasione fiscale è una delle maggiori sfide dell'Unione europea in considerazione dell'ingente perdita di denaro derivante da tali illeciti che, non soltanto vanificano gli sforzi di risanamento dei bilanci nazionali, ma mettono in discussione il principio di equità e di uguaglianza dei cittadini;
    alcuni Stati membri dell'Unione europea, come il Granducato del Lussemburgo, predispongono sistemi fiscali che parrebbero agevolare l'evasione e l'elusione fiscale, causando una potenziale perdita di gettito fiscale pari a diversi miliardi di euro;
    da un'inchiesta giornalistica recente denominata LuxLeaks si apprende che l'attuale Presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, che per oltre 10 anni è stato primo Ministro del Granducato del Lussemburgo, abbia approvato numerosi accordi fiscali «speciali» con i quali il Granducato del Lussemburgo ha concesso ad oltre trecento aziende e multinazionali (tra cui Amazon, Ikea, Deutsche Bank, Procter&Gamble, Pepsi e Gazprom) un trattamento fiscale agevolato grazie alla cosiddetta tax ruling;
    altresì, dal giugno 2014, la Commissione europea indaga su presunti aiuti di Stato illegali sotto forma di accordi fiscali illeciti tra il Granducato del Lussemburgo e il gruppo Fiat e Amazon;
    le strutture fiscali sono predisposte da società legali e fiscali con sede in Lussemburgo e da grandi società di revisione e consulenza contabile come PricewaterhouseCoopers, Ernst & Young, Deloitte e KPMG. Si ricorda che le richiamate società sono state selezionate dalla Banca centrale europea per l’«Asset quality review» preposta a valutare la solidità delle maggiori banche europee;
    se per molto tempo tali accordi sono stati considerati pienamente legali, ancorché abbiano sottratto all'intera economia europea ingenti quantitativi di denaro, l'esecutivo comunitario ha recentemente chiesto l'apertura di un'inchiesta sulle intese tra il Paese del Benelux ed alcune società tra cui anche una italiana, ritenendo che tali accordi abbiano consentito a quest'ultime di pagare meno tasse di quanto avrebbero dovuto e precisando che, in tal caso, si sarebbero configurati aiuti di Stato incompatibili con le norme dell'Unione europea;
    è all'esame delle istituzioni europee la modifica della direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale, al fine, tra l'altro, di ampliare, in ambito europeo, l'ambito di applicazione dello scambio automatico d'informazioni sui dividendi, le plusvalenze e gli altri redditi a partire dal 2015, anno in cui tale obbligo sarà in vigore anche per redditi da lavoro, compensi per dirigenti, pensioni, assicurazioni sulla vita e proprietà e redditi immobiliari;
    è doveroso precisare che lo scambio automatico di informazioni è stato introdotto nella direttiva per la tassazione dei risparmi (2003/48/CE) ed è in vigore dal 2005, ma Austria e Lussemburgo hanno da sempre usufruito di un regime di deroga scegliendo di adottare una ritenuta d'acconto al 35 per cento invece dello scambio di informazioni e, altresì, hanno rallentato l'adozione di normative sulla tassazione delle rendite da risparmio dei cittadini non residenti;
    il 14 ottobre 2014 il Consiglio dei ministri delle finanze dell'Unione europea, nell'ambito dell'esame della sopradetta proposta, ha concesso, al Lussemburgo e all'Austria, una dilazione dei tempi entro i quali aderire allo scambio automatico di informazioni tra gli Stati membri. Per il Lussemburgo la deroga è pari a due anni, mentre per l'Austria è pari a tre anni. Allo scadere delle medesime dovrebbe venir meno l'attuale rigido segreto bancario che caratterizza i loro sistemi fiscali e finanziari;
    tale decisione contrasta con il rigido orientamento comunitario che impone misure di austerità sempre più gravose per i cittadini e pare invece evidenziare un'attitudine molto più conciliante nei confronti degli evasori fiscali e degli intermediari bancario-finanziari che spesso si adoperano per occultare al fisco consistenti patrimoni;
    le motivazioni di tale atteggiamento dilatorio nei confronti di due Stati membri dell'Unione europea suscitano più di un dubbio in merito alla possibilità che alcuni Governi, attraverso l'avallo di una posizione estremamente conciliante, finiscano di fatto per favorire il sussistere di paradisi fiscali e la costituzione di «fondi neri» da utilizzare per gli scopi più disparati;
    sembra del tutto inopportuno, sia sul piano politico che sul piano morale, che il responsabile dei sopraddetti accordi fiscali ricopra, oggi, il ruolo di Presidente della Commissione europea, anche in relazione alle stesse competenze che dovrà svolgere la Commissione europea;
    durante il mandato da Primo ministro Juncker ha reso il Granducato del Lussemburgo un’«oasi» finanziaria e fiscale per almeno 340 grandi società internazionali e di fondi d'investimento con almeno 3.000 miliardi di attivi netti, secondo solo agli Stati Uniti, e facendo della sua popolazione la più ricca dopo il Qatar;
    di recente gli accordi bilaterali tra Italia e Lussemburgo consentirà a quest'ultimo di confluire nella White list, «assicurando» un maggior scambio di informazioni fiscali tra i due Paesi. Tale accordo, al pari di altri già sottoscritti, non saranno da soli sufficienti ad escludere ogni possibile forma di evasione ed elusione fiscale internazionale, tanto è vero che Bloomberg ha dichiarato che attraverso complesse procedure è possibile ridurre la tassazione per le aziende fino allo 0,25 per cento;
    in Italia la soglia di povertà ha raggiunto quasi 9 milioni di italiani e nel 2014 sono fallite circa 111 mila aziende;
    le aziende italiane sono subordinate ad una pressione fiscale che arriva fino al 70 per cento e per tal motivo è comprensibile che gli accordi fiscali del Lussemburgo, le pratiche di elusione fiscale e l'assenza di una normativa europea che punisca seriamente ogni forma di abuso ed elusione fiscale renderanno il nostro Paese sempre meno competitivo nello scenario internazionale con ulteriori conseguenze negative in termini di prodotto interno lordo e disoccupazione,

impegna il Governo

ad attivarsi nelle competenti sedi europee per richiedere le immediate dimissioni del Presidente della Commissione europea in quanto ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo non compatibile con il ruolo di garante dell'applicazione di politiche di rigore e di lotta all'evasione fiscale che costituiscono le priorità dell'Esecutivo da lui presieduto.
(1-00711) «Gallinella, Villarosa, Pesco, Alberti, Pisano, Barbanti, Cancelleri, Ruocco».