XVII LEGISLATURA
COMUNICAZIONI
Missioni valevoli nella seduta del 9 marzo 2015.
Adornato, Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Alli, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Capezzone, Casero, Castiglione, Catania, Antimo Cesaro, Cicchitto, Cirielli, Costa, D'Alia, D'Ambrosio, Dadone, Dambruoso, De Girolamo, De Micheli, Del Basso de Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Ferranti, Ferrara, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Fraccaro, Franceschini, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Guerra, La Russa, Locatelli, Lorenzin, Lotti, Lupi, Lupo, Madia, Manciulli, Mannino, Marazziti, Merlo, Meta, Milanato, Orlando, Gianluca Pini, Pisicchio, Pistelli, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Domenico Rossi, Rossomando, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Schullian, Scotto, Sereni, Sisto, Speranza, Tabacci, Tofalo, Valeria Valente, Vargiu, Velo, Vignali, Villecco Calipari, Vitelli, Vito, Zanetti.
Annunzio di proposte di legge.
In data 6 marzo 2015 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
TURCO ed altri: «Modifiche all'articolo 7 del codice di procedura civile, in materia di elevazione del limite di valore delle cause civili attribuite alla competenza del giudice di pace» (2938);
LAVAGNO: «Norme sulla libertà religiosa e abrogazione della legislazione sui culti ammessi» (2939);
RIGONI: «Modifica dell'articolo 19 del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2013, n. 128, in materia di graduatorie per l'assunzione del personale delle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica» (2940).
Saranno stampate e distribuite.
Adesione di deputati a una proposta di legge.
La proposta di legge BUSTO: «Norme per la tutela e la promozione dell'ambiente e della salute dei cittadini attraverso una scelta alimentare che riduca il consumo di cibi di origine animale, e altre disposizioni per la promozione e diffusione di servizi di ristorazione a ridotto impatto ambientale ed elevato standard di salute» (2377) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Massimiliano Bernini, Nicola Bianchi, Colonnese, Cozzolino, De Lorenzis, De Rosa, Di Vita, Gagnarli, Luigi Gallo, Cristian Iannuzzi, Sibilia, Tofalo.
Assegnazione di un progetto di legge a Commissione in sede referente.
A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, il seguente progetto di legge è assegnato, in sede referente, alla sottoindicata Commissione permanente:
II Commissione (Giustizia):
S. 922. – Senatori MAURIZIO ROMANI ed altri: «Modifiche al codice penale e alla legge 1o aprile 1999, n. 91, in materia di traffico di organi destinati al trapianto, nonché alla legge 26 giugno 1967, n. 458, in materia di trapianto del rene tra persone viventi» (approvata dal Senato) (2937) Parere delle Commissioni I e XII.
Trasmissione dalla Corte dei conti.
Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 5 marzo 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria di Poste italiane Spa, per l'esercizio 2013. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 240).
Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla IX Commissione (Trasporti).
Trasmissioni dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale.
Il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, con lettere del 24 febbraio e del 3 marzo 2015, ha trasmesso tre note relative all'attuazione data agli ordini del giorno Luigi GALLO ed altri n. 9/2149/7, sul sostegno italiano ai rifugiati siriani in Libano, COLLETTI ed altri n. 9/2149/23, concernente l'invio alle Commissioni competenti di dati aggiornati sulla partecipazione italiana all'Iniziativa Adriatico-Ionica (IAI), e, per la parte di propria competenza, all'ordine del giorno BALDASSARRE ed altri n. 9/2149/35, concernente la comunicazione al Parlamento della pianificazione delle attività militari connesse alla missione ISAF, accolti dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 13 marzo 2014.
Il Ministro ha altresì trasmesso due note relative all'attuazione data agli ordini del giorno Manlio DI STEFANO n. 9/2598-AR/23, sulla missione TIPH (Temporary International Presence in Hebron), con particolare riferimento alla politica degli insediamenti dei coloni, accolto dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 17 settembre 2014, SPADONI n. 9/2679-bis-A/112, riguardante il sostegno all'azione italiana in termini di aiuti umanitari all'UNHCR, con particolare riferimento alle iniziative finalizzate a creare strutture specializzate nell'accoglienza e nel supporto soprattutto psicologico alle vittime della violenza del Kurdistan iracheno, accolto dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 30 novembre 2014.
Le suddette note sono a disposizione degli onorevoli deputati presso il Servizio per il Controllo parlamentare e sono trasmesse alla III Commissione (Affari esteri) competente per materia.
Trasmissione dal Ministro della difesa.
Il Ministro della difesa, con lettera del 27 febbraio 2015, ha trasmesso una nota relativa all'attuazione data all'ordine del giorno SCANU ed altri n. 9/2486-AR/25, accolto dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 31 luglio 2014, concernente la revisione della normativa sui richiami del personale militare.
La suddetta nota è a disposizione degli onorevoli deputati presso il Servizio per il Controllo parlamentare ed è trasmessa alla IV Commissione (Difesa) competente per materia.
Trasmissione dal Ministro della salute.
Il Ministro della salute, con lettera in data 5 marzo 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 30, quinto comma, della legge 20 marzo 1975, n. 70, la relazione sull'attività svolta dalla Lega italiana per la lotta contro i tumori (LILT) nell'anno 2013, corredata dal bilancio consuntivo e dal bilancio consolidato nonché dalla pianta organica per il medesimo anno.
Questa relazione è trasmessa alla XII Commissione (Affari sociali).
Trasmissione di delibere del Comitato interministeriale per la programmazione economica.
La Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica, in data 9 marzo 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, comma 4, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, le seguenti delibere CIPE, che sono trasmesse alle sottoindicate Commissioni:
n. 40/2014 del 30 ottobre 2014, concernente «Assegnazione di risorse ad interventi per la riqualificazione delle attività industriali e portuali e per il recupero ambientale nell'area di crisi industriale complessa di Trieste, nell'ambito del relativo accordo di programma sulla messa in sicurezza del sito» – alla V Commissione (Bilancio) e alla VIII Commissione (Ambiente);
n. 47/2014 del 10 novembre 2014, concernente «Assegnazione di risorse ad interventi per la riqualificazione e la riconversione del polo industriale di Piombino nell'ambito dell'accordo di programma del 24 aprile 2014 concernente la messa in sicurezza del sito di bonifica di interesse nazionale. Asse I – azione II – messa in sicurezza operativa della falda e del suolo» – alla V Commissione (Bilancio) e alla VIII Commissione (Ambiente);
n. 48/2014 del 10 novembre 2014, concernente «Finanziamento della quota di 4 milioni di euro per la copertura dell'accordo di programma quadro dell'8 aprile 2008 per gli interventi di bonifica e ripristino ambientale del sito di interesse nazionale di Fidenza» – alla V Commissione (Bilancio) e alla VIII Commissione (Ambiente);
n. 56/2014 del 10 novembre 2014, concernente «Nuovo programma irriguo nazionale. Regioni del Sud Italia – Differimento del termine per l'aggiudicazione definitiva dei lavori relativi all'intervento “A.G.C. n. 138 – Opere di completamento della diga Ponte di Chiauci sul fiume Trigno” nella regione Abruzzo» – alla V Commissione (Bilancio) e alla VIII Commissione (Ambiente);
n. 65/2014 del 10 novembre 2014, concernente «Ripartizione dei contributi previsti per l'anno 2012 a favore dei siti che ospitano centrali nucleari ed impianti del ciclo del combustibile nucleare (decreto-legge n. 314 del 2003, articolo 4, comma 1-bis, come convertito dalla legge n. 368 del 2003 e successive modifiche e integrazioni)» – alla V Commissione (Bilancio), alla VIII Commissione (Ambiente) e alla X Commissione (Attività produttive).
Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.
La Commissione europea, in data 6 marzo 2015, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alla III Commissione (Affari esteri), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Un partenariato mondiale per l'eliminazione della povertà e lo sviluppo sostenibile dopo il 2015 (COM(2015) 44 final), corredata dal relativo allegato (COM(2015) 44 final – Annex 1);
Proposte di decisione del Consiglio relative, rispettivamente, alla firma, a nome dell'Unione europea, e all'applicazione provvisoria nonché alla conclusione dell'accordo di esenzione dal visto per soggiorni di breve durata tra l'Unione europea e la Repubblica democratica di Timor Leste (COM(2015) 94 final e COM(2015) 104 final), corredate dai rispettivi allegati (COM(2015) 94 final – Annex 1 e COM(2015) 104 final).
Il Consiglio dell'Unione europea, in data 6 marzo 2015, ha trasmesso, ai sensi del Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
Posizione del Consiglio in prima lettura in vista dell'adozione del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 223/2009, relativo alle statistiche europee (5161/2/15 REV 2), corredata dalla relativa motivazione (5161/2/15 REV 2 ADD 1), che è assegnata in sede primaria alla I Commissione (Affari costituzionali);
Posizione del Consiglio in prima lettura in vista dell'adozione del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio concernente il monitoraggio, la comunicazione e la verifica delle emissioni di anidride carbonica generate dal trasporto marittimo e che modifica la direttiva 2009/16/CE (17086/1/14 REV 1), corredata dalla relativa motivazione (17086/1/14 REV 1 ADD 1), che è assegnata in sede primaria alla VIII Commissione (Ambiente).
Trasmissione dall'Autorità nazionale anticorruzione.
Il Presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione, con lettera in data 6 marzo 2015, ha trasmesso la segnalazione n. 3 del 2015, adottata ai sensi dell'articolo 6, comma 7, lettera f), del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, concernente le spese di gestione delle procedure di gara delle centrali di committenza – per l'utilizzo di piattaforme elettroniche (anche in ASP) ovvero per la stipula di convenzioni – poste a carico dell'aggiudicatario.
Questo documento è trasmesso alla VIII Commissione (Ambiente).
Trasmissione dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico.
Il Presidente dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, con lettera in data 5 marzo 2015, ha trasmesso una segnalazione, adottata ai sensi dell'articolo 2, comma 6, della legge 14 novembre 1995, n. 481, in merito ai sistemi efficienti di utenza e alla morosità nel settore idrico, con riferimento agli emendamenti presentati al disegno di legge recante «Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali» (atto Senato n. 1676, atto Camera n. 2093).
Questa segnalazione è trasmessa alla VIII Commissione (Ambiente) e alla X Commissione (Attività produttive).
Trasmissione dal difensore civico della regione Basilicata.
Il difensore civico della regione Basilicata, con lettera in data 3 marzo 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 16, comma 2, della legge 15 maggio 1997, n. 127, la relazione sull'attività svolta dallo stesso difensore civico nell'anno 2014 (Doc. CXXVIII, n. 29).
Questa relazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali).
Comunicazione di nomine ministeriali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con lettera in data 4 marzo 2015, ha dato comunicazione, ai sensi dell'articolo 9 della legge 24 gennaio 1978, n. 14, della nomina del professor Ugo Leone a commissario straordinario dell'Ente parco nazionale del Vesuvio.
Questa comunicazione è trasmessa alla VIII Commissione (Ambiente).
La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 6 marzo 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 19, comma 9, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, la comunicazione concernente il conferimento alla dottoressa Vinca Maria Sant'Elia, ai sensi del comma 4 del medesimo articolo 19, dell'incarico di livello dirigenziale generale di direttore dell'Ufficio centrale del bilancio presso il Ministero per i beni e le attività culturali, nell'ambito del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell'economia e delle finanze.
Questa comunicazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla V Commissione (Bilancio).
Atti di controllo e di indirizzo.
Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.
ERRATA CORRIGE
Nell’Allegato A al resoconto della seduta del 6 marzo 2015, a pagina 5, prima colonna, ultima riga, dopo la parola: «VI,» si intendono inserite le seguenti: «VIII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento),».
DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE: S. 1429 – DISPOSIZIONI PER IL SUPERAMENTO DEL BICAMERALISMO PARITARIO, LA RIDUZIONE DEL NUMERO DEI PARLAMENTARI, IL CONTENIMENTO DEI COSTI DI FUNZIONAMENTO DELLE ISTITUZIONI, LA SOPPRESSIONE DEL CNEL E LA REVISIONE DEL TITOLO V DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE (APPROVATO, IN PRIMA DELIBERAZIONE, DAL SENATO) (A.C. 2613-A) E ABBINATI PROGETTI DI LEGGE COSTITUZIONALE: D'INIZIATIVA POPOLARE; D'INIZIATIVA POPOLARE; VIGNALI; CIRIELLI; CIRIELLI; CIRIELLI; CAUSI; PISICCHIO; PISICCHIO; PISICCHIO; PISICCHIO; GIACHETTI; SCOTTO; FRANCESCO SANNA; PELUFFO ED ALTRI; LENZI; LAURICELLA ED ALTRI; BRESSA E DE MENECH; CAPARINI ED ALTRI; CAPARINI ED ALTRI; VACCARO; LAFFRANCO E BIANCONI; PALMIZIO; PALMIZIO; PALMIZIO; PALMIZIO; GIANCARLO GIORGETTI ED ALTRI; GIANCARLO GIORGETTI ED ALTRI; LA RUSSA ED ALTRI; ABRIGNANI ED ALTRI; TONINELLI ED ALTRI; GIANLUCA PINI; LAFFRANCO E BIANCONI; GINEFRA ED ALTRI; GIORGIA MELONI ED ALTRI; MIGLIORE ED ALTRI; D'INIZIATIVA DEL GOVERNO; BONAFEDE E VILLAROSA; PIERDOMENICO MARTINO; BRAMBILLA; GIANCARLO GIORGETTI ED ALTRI; CIRIELLI E GIORGIA MELONI; VALIANTE; QUARANTA ED ALTRI; LACQUANITI ED ALTRI; CIVATI ED ALTRI; BOSSI; LAURICELLA E SIMONI; DADONE ED ALTRI; GIORGIS ED ALTRI; LA RUSSA ED ALTRI; RUBINATO ED ALTRI; D'INIZIATIVA DEL CONSIGLIO REGIONALE DELL'EMILIA ROMAGNA; MATTEO BRAGANTINI ED ALTRI; CIVATI; FRANCESCO SANNA ED ALTRI (A.C. 8-14-21-32-33-34-148-177-178-179-180-243-247-284-329-355-357-379-398-399-466-568-579-580-581-582-757-758-839-861-939-1002-1259-1273-1319-1439-1543-1660-1706-1748-1925-1953-2051-2147-2221-2227-2293-2329-2338-2378-2402-2423-2441-2458-2462-2499)
A.C. 2613-A – Ordini del giorno
ORDINI DEL GIORNO
La Camera,
premesso che:
l'articolo 2 del disegno di legge costituzionale in esame riscrive l'articolo 57 della Costituzione prevedendo che novantacinque dei cento senatori sono «rappresentativi delle istituzioni territoriali», che «i Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i senatori tra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, tra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori», che «la durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti» e che «con legge approvata da entrambe le Camere sono regolate le modalità di attribuzione dei seggi e di elezione dei membri del Senato della Repubblica tra i consiglieri e i sindaci, nonché quelle per la loro sostituzione, in caso di cessazione dalla carica elettiva regionale o locale. I seggi sono attribuiti in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun Consiglio»;
i senatori, alla luce del nuovo articolo 57, diventano rappresentativi, presso lo Stato centrale, delle istituzioni regionali che li hanno eletti;
il nuovo Senato diventa lo spazio istituzionale destinato al confronto tra interessi centrali e regionali, con conseguente ridondanza delle funzioni oggi attribuite alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome;
nell'ottica di contenimento delle spese e di efficientamento dell'azione delle istituzioni pubbliche, nonché al fine di evitare che enti e istituzioni dotati di funzioni in parte sovrapponibili delineino indirizzi contrastanti, è opportuno eliminare tale ridondanza,
impegna il Governo
ad intervenire, anche tramite i propri poteri di iniziativa legislativa, al fine di sopprimere la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome e di compiere gli adempimenti conseguenti, fra i quali la riallocazione delle risorse umane e strumentali.
9/2613-A/1. Catalano.
La Camera,
premesso che:
in sede di approvazione del disegno di legge costituzionale recante «Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione» si prevedono delle modifiche all'articolo 64 della costituzione inerente i regolamenti parlamentari;
il fondamento dell'articolo 64 della Costituzione inerisce il potere attribuito alle Camere di adottare un proprio regolamento volto a disciplinarne l'organizzazione interna. In altre parole viene riconosciuta una posizione di autonomia ed indipendenza che trova fondamento nel potere legislativo di cui esse sono titolari. Tale forma di autonomia viene definita con il termine «autodichia»;
l'autodichia, nel corso degli anni, ha subito un'ampia, articolata e complessa evoluzione tanto da estendersi non solo a quella sfera intangibile di autonomia «strettamente funzionale all'esercizio indipendente delle attribuzioni proprie del potere legislativo» (così detta funzione primaria) ma anche alle attività degli uffici amministrati interni degli organi parlamentari ed ai rapporti con i dipendenti (così detta funzione secondaria non riferibile all'attività parlamentare) in quanto strumentali all'esercizio delle funzioni parlamentari tipiche;
in tal senso, rileva la recente sentenza della Corte costituzionale, n. 120/2014, dove, per la prima volta, la Corte entra nel merito dell'autodichia. La Consulta nel ribadire che: «I regolamenti parlamentari non rientrano espressamente tra le fonti-atto indicate nell'articolo 134, primo alinea della Costituzione – vale a dire tra le «leggi» e «gli atti aventi forza di legge» – che possono costituire oggetto del sindacato di legittimità rimesso a questa Corte. Nel sistema delle fonti delineato dalla stessa Costituzione, il regolamento parlamentare è espressamente previsto dall'articolo 64 come fonte dotata di una sfera di competenza riservata e distinta rispetto a quella della legge ordinaria e nella quale, pertanto, neppure questa è abilitata ad intervenire. L'articolo 134 della Costituzione, indicando come sindacabili la legge e gli atti che, in quanto ad essa equiparati, possono regolare ciò che rientra nella competenza della stessa legge, non consente di includere tra gli stessi i regolamenti parlamentari.», ritiene risieda in questo, e non in motivazioni storiche o in risalenti tradizioni interpretative (di cui la stessa è stata investita in passato), la ragion d'essere attuale dell'insindacabilità dei regolamenti in sede di giudizio di legittimità costituzionale;
la Corte prosegue affermando testualmente che: «Se tuttavia, adesso come allora, la ratio dell'insindacabilità dei regolamenti parlamentari è costituita – sul piano sistematico – dalla garanzia di indipendenza delle Camere da ogni altro potere, ciò non comporta che essi siano, come nel lontano passato, fonti puramente interne. Essi sono fonti dell'ordinamento generale della Repubblica, produttive di norme sottoposte agli ordinari canoni interpretativi, alla luce dei principi e delle disposizioni costituzionali, che ne delimitano la sfera di competenza. È su queste basi che si colloca il tema dell'estensione dell'autodichia e conseguentemente della sua legittimità. Gli articoli 64 e 72 Cost. assolvono alla funzione di definire e, al tempo stesso, di delimitare “lo statuto di garanzia delle Assemblee parlamentari” (sentenza n. 379 del 1996). È dunque all'interno di questo statuto di garanzia che viene stabilito l'ambito di competenza riservato ai regolamenti parlamentari, avente ad oggetto l'organizzazione interna e, rispettivamente, la disciplina del procedimento legislativo per la parte non direttamente regolata dalla Costituzione. In questo ambito, le vicende e i rapporti che ineriscono alle funzioni primarie delle Camere sicuramente ricadono nella competenza dei regolamenti e l'interpretazione delle relative norme regolamentari e sub-regolamentari non può che essere affidata in via esclusiva alle Camere stesse (sentenza n. 78 del 1984)»;
la Corte sino a questo punto della sentenza si limita a ribadire principi già consolidati nel nostro ordinamento ma, per la prima volta l'Organo supremo entra nel merito della c.d. funzione secondaria affermando che: «Se altrettanto valga per i rapporti di lavoro dei dipendenti e per i rapporti con i terzi, è questione controversa, che, in linea di principio, può dar luogo ad un conflitto fra i poteri; infatti, anche norme non sindacabili potrebbero essere fonti di atti lesivi di diritti costituzionalmente inviolabili e, d'altra parte, deve ritenersi sempre soggetto a verifica il fondamento costituzionale di un potere decisorio che limiti quello conferito dalla Costituzione ad altre autorità. L'indipendenza delle Camere non può infatti compromettere diritti fondamentali, né pregiudicare l'attuazione di principi inderogabili. Come affermato da questa Corte, davanti a ciò che» [...] esuli dalla capacità classificatoria del regolamento parlamentare e non sia per intero sussumibile sotto la disciplina di questo (perché coinvolga beni personali di altri membri delle Camere o beni che comunque appartengano a terzi), deve prevalere la «grande regola» dello Stato di diritto ed il conseguente regime giurisdizionale al quale sono normalmente sottoposti, nel nostro sistema costituzionale, tutti i beni giuridici e tutti i diritti (articoli 24, 112 e 113 della Costituzione) (sentenza n. 379 del 1996). Peraltro, negli ordinamenti costituzionali a noi più vicini, come Francia, Germania, Regno Unito e Spagna, l'autodichia sui rapporti di lavoro con i dipendenti e sui rapporti con i terzi non è più prevista. «La sede naturale in cui trovano soluzione le questioni relative alla delimitazione degli ambiti di competenza riservati è quella del conflitto fra i poteri dello Stato: «Il confine tra i due distinti valori (autonomia delle Camere, da un lato, e legalità-giurisdizione, dall'altro) è posto sotto la tutela di questa Corte, che può essere investita, in sede di conflitto di attribuzione, dal potere che si ritenga leso o menomato dall'attività dell'altro» (sentenza n. 379 del 1996);
in tale sede, del conflitto di attribuzione, la Corte può ristabilire il confine – ove questo sia violato – tra i poteri legittimamente esercitati dalle Camere nella loro sfera di competenza e quelli che competono ad altri, così assicurando il rispetto dei limiti delle prerogative e del principio di legalità, che è alla base dello Stato di diritto,
impegna il Governo
a conformarsi agli orientamenti della Corte Costituzionale, di cui alla sentenza n. 120 del 2014, adottando ulteriori iniziative normative volte a limitare l'autodichia all'esercizio delle attribuzioni proprie del potere legislativo uniformando in tal modo la Carta Fondamentale, in sede di revisione, agli ordinamenti degli altri stati membri dell'Unione Europea e uniformandosi all'indirizzo più volte auspicato dalla Corte di Strasburgo che ha, seppur in altre materie, sempre inteso assoggettare le proprie pronunce attenendosi a stretta interpretazione.
9/2613-A/2. Capelli.
La Camera,
premesso che:
con l'emendamento a prima firma Quintarelli (approvato all'unanimità durante l’iter della riforma costituzionale), concernente il coordinamento statistico e informatico della pubblica amministrazione, finalmente il nostro Paese potrà dotarsi a livello nazionale di iniziative di coordinamento per lo sviluppo digitale, in linea con l'invito rivolto, nel suo discorso di insediamento, dal Presidente della Repubblica;
si tratta di un tema importante che consentirà di cancellare l'anacronistica proliferazione di sistemi e servizi non interoperanti, che ha tanto contribuito a bloccare e a rallentare ogni aspetto della burocrazia italiana;
la modifica apportata al testo rappresenta un passo in avanti sul sentiero effettivo delle riforme, il primo sul tema che viene inserito in Costituzione, che si inscrive nel cammino avviato per rilanciare in maniera concreta le potenzialità e la competitività italiana,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di dare immediata attuazione ai provvedimenti che assicurino:
a) iniziative tese all'uso della leva tecnologica, per attuare politiche di contenimento della spesa;
b) una tempestiva ed efficace realizzazione di un coordinamento nazionale dell'anagrafe della popolazione residente;
c) un sistema di notificazione ed identificazione documentale, come previsto nella Strategia del Governo per la crescita digitale 2014-2020 nell'ambito del progetto «Italia Login».
9/2613-A/3. Quintarelli, Coppola, Buttiglione.
La Camera,
premesso che:
la riforma della Costituzione per il superamento del bicameralismo paritario apre nuove prospettive per un procedimento legislativo più efficace ed efficiente in grado di dare una risposta legislativa ai cittadini nei tempi e nei modi idonei alla complessità della società contemporanea;
solo la partecipazione dell'Italia all'Unione europea richiede una significativa e costante produzione normativa la cui complessità deriva dalle caratteristiche dell'ordinamento dell'Unione europea multiculturale (ventotto Stati membri con ordinamenti basati su tradizioni giuridiche differenti – common law e civil law) e multilinguistico (ventiquattro lingue ufficiali per la produzione normativa), con effetti che si ripercuotono inevitabilmente sulla coerenza dell'ordinamento;
la riforma costituzionale del Parlamento e del procedimento legislativo è certamente necessaria, ma non di per sé sufficiente per fare un concreto passo avanti che consenta di avere leggi chiare e non ambigue, che sia volta a realizzare una incisiva semplificazione dell'ordinamento con una riduzione del numero stesso di leggi e un loro efficace coordinamento. È importante non solo fare norme in maniera tempestiva, ma anche qualitativamente adeguata;
la chiarezza della legge è necessaria, per poter parlare di certezza del diritto, espressione di principii e valori fondamentali dell'ordinamento costituzionale. La comprensibilità dell'enunciato normativo costituisce infatti condizione perché possa essere imposto ai cittadini il rispetto delle leggi. L'eccesso (inflazione) di leggi aumenta le difficoltà per i destinatari delle norme di conoscerle e comprenderle e quindi applicarle;
sono stati numerosi i richiami della Corte costituzionale tra cui, ad esempio, la sentenza n. 31 del 1983, dove si afferma che: «la chiarezza del dettato legislativo contribuisce alla certezza del diritto e riduce le occasioni di controversie...» (punto 2 del considerato in diritto) e la sentenza n. 171 del 1987, laddove si chiarisce come la chiarezza del disposto normativo rappresenti, nel momento dell'applicazione, un «contributo essenziale alla certezza del diritto» (punto 2 del considerato in diritto);
l'eccesso di produzione, la scarsa qualità dei testi, la moltiplicazione dei livelli di produzione provocano contenzioso, incertezza normativa, complessità e costi nelle procedure e favoriscono abusi e corruzione;
la produzione normativa del Governo può e deve essere migliorata sia in fase di iniziativa che nell'esercizio dei poteri legislativi riconosciuti dalla Costituzione;
dagli anni Novanta sono state introdotte e più volte modificate regole per presidiare la chiarezza della legge, la loro efficacia e la semplificazione, con numerosi strumenti a disposizione del Governo, che tuttavia si sono rivelati spesso inefficaci e non sempre sono stati attuati;
occorre intervenire con la massima urgenza contestualmente e in parallelo al percorso di riforma costituzionale con un impegno preciso da parte del Governo a sfruttare al massimo e applicare correttamente le norme esistenti che, non a caso, sono anche in parte in fase di «costituzionalizzazione» nel disegno di legge costituzionale in corso di approvazione (articolo 16 in base al quale i decreti-legge recano misure di contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al titolo). Un impegno in questo senso è peraltro auspicato anche da qualificati esperti (si veda, da ultimo, Sabino Cassese, Che cosa fanno gli uffici legislativi dei ministeri ? in Giornale di diritto amministrativo n. 2/2013),
impegna il Governo:
ad organizzare e coordinare gli uffici legislativi e gli uffici della Presidenza del Consiglio dei Ministri preposti affinché possano svolgere con efficacia ed efficienza le proprie funzioni, assicurando che la produzione normativa del Governo e gli atti di iniziativa legislativa rispondano a criteri di omogeneità, chiarezza, proprietà della formulazione ed efficacia, e favoriscano la semplificazione e il riordino della legislazione vigente;
a implementare le regole di redazione tecnica e a sviluppare le metodologie per le valutazioni di impatto e gli strumenti di verifica e monitoraggio della legislazione e della loro attuazione anche attraverso l'adozione tempestiva di atti successivi;
ad attuare sistematiche operazioni di codificazione e semplificazione, in conformità alle norme vigenti.
9/2613-A/4. Vitelli, Mazziotti Di Celso, Monchiero, Antimo Cesaro, Cimmino, Galgano, Matarrese, Oliaro, Bombassei, Capua, Sottanelli, Vargiu, Quintarelli, Vecchio, Dambruoso, Rabino, D'Agostino.
La Camera,
premesso che:
il nuovo testo dell'articolo 55, quinto comma, della Costituzione, quale risultante dalle modifiche apportate dal disegno di legge in esame, stabilisce che il Senato, tra i vari compiti ad esso attribuiti, esercita funzioni di raccordo tra l'Unione europea e gli altri enti costitutivi della Repubblica, partecipa alle decisioni dirette alla formazione e all'attuazione degli atti normativi e delle politiche dell'Unione europea e ne valuta l'impatto;
le competenze attribuite da tale disposizione al Senato, in materia di rapporti con l'Unione europea, devono essere interpretate alla luce del dettato dell'articolo 55 nel suo complesso e, più in generale, del ruolo riconosciuto a ciascuna Camera nel nuovo assetto costituzionale definito dal disegno di legge in esame;
in particolare, è evidente che la Camera dei deputati, rappresentando la Nazione ed essendo titolare del rapporto fiduciario con il Governo, ai sensi del quarto comma dell'articolo 55, dovrà partecipare in via primaria, nell'esercizio delle sue funzioni generali di indirizzo e controllo, alla formazione della posizione dell'Italia nei processi decisionali dell'Unione europea;
la Camera eserciterà, inoltre, ogni altra funzione di raccordo tra Stato e Unione europea, avvalendosi degli strumenti previsti dalla legislazione e dal proprio regolamento;
il Senato, rappresentando le Istituzioni territoriali, dovrebbe invece partecipare alla formazione della posizione nazionale nei processi decisionali europei, limitatamente alle materie e ai profili di interesse regionale e territoriale, oltre a concorrere al raccordo tra le medesime Istituzioni territoriali e l'Unione europea;
è necessario prevenire il rischio che le due Camere definiscano posizioni contrastanti in relazione ad un medesimo progetto legislativo o altro documento o questione dell'Unione europea, indebolendo così la posizione del Paese nei negoziati europei;
in gran parte delle Costituzioni degli altri Paesi dell'Unione a sistemi bicamerali sono previste norme molto chiare e articolate, in merito alle funzioni di ciascuna delle Camere, in coerenza con il rispettivo ruolo costituzionale;
il dialogo politico, il controllo di sussidiarietà e le altre prerogative di intervento dei Parlamenti nazionali (che trovano la loro fonte nei Trattati e non presuppongono quindi il rapporto fiduciario con il Governo) dovrebbero continuare ad essere esercitate da ciascuna delle Camere secondo i rispettivi regolamenti,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di garantire, successivamente all'entrata in vigore della legge, che la posizione rappresentata dall'Italia nelle sedi decisionali dell'Unione europea sia coerente con gli indirizzi definiti dalla Camera dei deputati e, in relazione alle materie di cui all'articolo 117, terzo comma, con le indicazioni formulate dal Senato.
9/2613-A/5. Galgano, Schirò, Mazziotti Di Celso, Buttiglione, Locatelli.
La Camera,
premesso che:
il «sistema delle Conferenze» (Stato-Regioni, Stato-Città e autonomie locali e quella Unificata) ha finora svolto un ruolo di fondamentale importanza nei rapporti tra gli enti di cui si compone la Repubblica ai sensi dell'articolo 114 della Costituzione, costituendo sede di stabile e sistematico strumento di raccordo tra Stato e autonomie territoriali;
in particolare, tale strumento, realizzando una cooperazione di tipo organizzativo, ha permesso un'effettiva collaborazione tra Stato, Regioni ed enti locali, sia riguardo al processo legislativo in relazione ai criteri di riparto delle competenze legislative previsti dal vigente Titolo V della Costituzione, sia riguardo all'implementazione della legislazione in una prospettiva di leale collaborazione;
l'assetto delle competenze dello Stato e delle autonomie territoriali delineato dal Titolo V della Costituzione, come riformato nel 2001, nonostante l'operatività di sedi collaborative nell'ambito del sistema delle Conferenze, ha dato luogo, come è noto, ad un consistente contenzioso costituzionale; esso, a distanza di molti anni da quella riforma e nonostante orientamenti ormai consolidati della Corte costituzionale in merito al riparto delle competenze, continua ad impegnare in modo preponderante l'attività del Giudice delle leggi, alimentando la conflittualità tra il legislatore statale e i legislatori regionali;
il disegno di legge costituzionale in esame, innovando la configurazione istituzionale del Senato della Repubblica, delinea una seconda Camera rappresentativa degli enti territoriali, sia per la composizione, sia per la funzione di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica (Regioni, Città metropolitane e Comuni), che consente di indirizzare in senso cooperativo l'effettiva applicazione dell'assetto delle competenze disegnato dal Titolo V;
il medesimo disegno di legge costituzionale, anche al fine di ridurre il contenzioso costituzionale legato alla revisione del 2001, modifica il riparto della competenza legislativa tra lo Stato e le Regioni, prevedendo la soppressione della competenza concorrente e ridistribuendo le relative materie tra competenza esclusiva statale e competenza regionale;
il legame organico tra il nuovo Senato e le autonomie territoriali, in base al quale esse partecipano all'elaborazione della legislazione dello Stato, in sinergia con la nuova distribuzione di competenze legislative tra lo Stato e le regioni, consentirà di risolvere preventivamente in sede parlamentare, anziché di sindacato di costituzionalità, eventuali questioni connesse al riparto di competenze;
nel nuovo assetto delle competenze legislative, la previsione, contenuta nel disegno di legge in esame, di una «clausola di supremazia», che permette alla legislazione statale di intervenire in materie ad essa non riservate ove ne ricorrano i presupposti, consente un superamento delle fattispecie per le quali la Corte costituzionale ha elaborato il principio della cd. «attrazione in sussidiarietà» (o anche «chiamata in sussidiarietà»);
se l'intervento dello Stato a titolo di chiamata in sussidiarietà ha comportato una deroga all'ordinario assetto delle competenze imponendo di assicurare un adeguato coinvolgimento delle regioni, generalmente richiesto nella forme dell'intesa nell'ambito del sistema delle Conferenze o con la regione interessata, con il nuovo modello di regionalismo previsto dal disegno di legge costituzionale in esame, la partecipazione delle istituzioni territoriali alla composizione del Senato e l'intervento di tale Camera nel procedimento legislativo in cui sia eventualmente attivata la clausola di salvaguardia, realizzeranno su differenti basi rispetto al passato il coinvolgimento delle Autonomie nel procedimento legislativo;
con il disegno di legge in esame, il Parlamento diviene, in via esclusiva, la sede funzionale all'adozione di decisioni legislative condivise con le istituzioni territoriali, in quanto il concorso alla funzione legislativa da parte del Senato costituisce per ciascun membro che lo compone esercizio di responsabilità nei confronti delle istituzioni territoriali che ognuno rappresenta;
con la diretta partecipazione dei rappresentanti degli enti territoriali al procedimento legislativo, per il sistema delle Conferenze si apre quindi una nuova stagione di intervento, che troverà la sede propria sul piano delle decisioni consequenziali necessarie per l'implementazione e per l'attuazione delle leggi;
sarà quindi in ogni caso necessario preservare, al di fuori del circuito legislativo cui partecipa esclusivamente il nuovo Senato, una sede di composizione di diverse istanze, in vista dell'interesse generale, per le sole attività di natura amministrativa, tecnica e gestionale;
tale sede dovrà essere regolata secondo un modello che, rispetto a quello attualmente vigente, dovrà essere snellito, reso coerente con la riforma in esame ed ispirato a criteri di trasparenza e pubblicità dei procedimenti che in esso si svolgono;
pertanto, in tale contesto, occorrerà un intervento di riforma che mantenga sedi e forme di raccordo per livelli di attività differenti da quelli in cui si esplica la funzione legislativa, che tenga conto anche delle competenze di natura non legislativa attribuite dal disegno di legge in esame al nuovo Senato;
per tali profili, d'altro canto, le suddette sedi e forme di raccordo dovranno essere disciplinate in modo da assicurare che, per le attività per le quali potrebbe in concreto delinearsi un «doppio binario» per effetto dell'intervento del Senato, vi sia un esercizio coerente di responsabilità politica dei rappresentanti delle istituzioni territoriali,
impegna il Governo
ad adottare le iniziative necessarie per la riforma del sistema delle Conferenze in conformità a quanto indicato nelle premesse.
9/2613-A/6. Dorina Bianchi, Gigli, Rosato.
La Camera,
premesso che:
è sempre più urgente tutelare la salute dei cittadini italiani attraverso misure che possano essere ed apparire uguali sull'intero territorio nazionale. I primi articoli della nostra Costituzione garantiscono questi diritti in egual misura a tutti i cittadini. Non c’è dubbio però che molte, anzi moltissime persone, sperimentino una diversa qualità di cure a seconda del luogo, della regione, in cui vivono, dei suoi modelli assistenziali e della concreta attitudine al cambiamento che caratterizza il governo di quella regione;
nella attuale riforma la prima parte dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), si riferisce a tutti i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e non solo quelli sanitari, per cui pone le premesse per un modello di presa in carico globale dei bisogni dei cittadini, fin dalla loro nascita, con effetti che saranno realmente positivi per la loro qualità di vita complessiva;
ma l'esperienza maturata in ambito sanitario, dopo la precedente riforma della Costituzione, induce a concludere, sia pure dolorosamente, che in Italia, in realtà, si siano andati strutturando almeno venti sistemi sanitari regionali, ciascuno con caratteristiche proprie, per cui i costi complessivi della sanità sono cresciuti moltissimo e rivelano spiccate differenze nella qualità socio-assistenziale offerta ai malati in termini di prevenzione, intervento precoce e riabilitazione; dopo la revisione del Titolo V della Costituzione la ripartizione delle competenze legislative tra Stato e regioni, non era sufficientemente chiara; ma anche l'attuale revisione dell'articolo 117 non appare sufficientemente precisa nel definire l'esclusiva competenza statale in materie come la tutela della salute, la sicurezza alimentare e la tutela e la sicurezza sul lavoro,
impegna il Governo
a garantire che soprattutto nel campo della salute materno-infantile il diritto alla nascita venga assicurato in tutta Italia a tutti i bambini, garantendo che il parto si svolga in condizioni di massima sicurezza, definendo gli standard di eccellenza necessari, anche con un numero adeguato di letti di terapia intensiva neonatale e assicurando ad ogni bambino gli screening neonatali che possono consentire una diagnosi precoce delle patologie per le quali disponiamo di kit diagnostici efficaci.
9/2613-A/7. Binetti.
La Camera,
premesso che:
è sempre più urgente tutelare la salute dei cittadini italiani attraverso misure che possano essere ed apparire uguali sull'intero territorio nazionale. I primi articoli della nostra Costituzione garantiscono questi diritti in egual misura a tutti i cittadini. Non c’è dubbio però che molte, anzi moltissime persone, sperimentino una diversa qualità di cure a seconda del luogo, della regione, in cui vivono, dei suoi modelli assistenziali e della concreta attitudine al cambiamento che caratterizza il governo di quella regione;
nella attuale riforma la prima parte dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), si riferisce a tutti i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e non solo quelli sanitari, per cui pone le premesse per un modello di presa in carico globale dei bisogni dei cittadini, fin dalla loro nascita, con effetti che saranno realmente positivi per la loro qualità di vita complessiva;
ma l'esperienza maturata in ambito sanitario, dopo la precedente riforma della Costituzione, induce a concludere, sia pure dolorosamente, che in Italia, in realtà, si siano andati strutturando almeno venti sistemi sanitari regionali, ciascuno con caratteristiche proprie, per cui i costi complessivi della sanità sono cresciuti moltissimo e rivelano spiccate differenze nella qualità socio-assistenziale offerta ai malati in termini di prevenzione, intervento precoce e riabilitazione; dopo la revisione del Titolo V della Costituzione la ripartizione delle competenze legislative tra Stato e regioni, non era sufficientemente chiara; ma anche l'attuale revisione dell'articolo 117 non appare sufficientemente precisa nel definire l'esclusiva competenza statale in materie come la tutela della salute, la sicurezza alimentare e la tutela e la sicurezza sul lavoro,
impegna il Governo
a garantire che soprattutto nel campo della salute materno-infantile venga assicurato in tutta Italia che il parto si svolga in condizioni di massima sicurezza, definendo gli standard di eccellenza necessari, anche con un numero adeguato di letti di terapia intensiva neonatale e assicurando ad ogni bambino gli screening neonatali che possono consentire una diagnosi precoce delle patologie per le quali disponiamo di kit diagnostici efficaci.
9/2613-A/7. (Testo modificato nel corso della seduta) Binetti.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 35 del disegno di legge costituzionale in esame modifica l'articolo 122, primo comma, della Costituzione al fine di porre un limite agli emolumenti dei componenti degli organi regionali;
per effetto della modifica apportata si prevede che con legge statale siano stabiliti gli emolumenti spettanti al Presidente e agli altri membri degli organi elettivi regionali, sicché non possano comunque superare l'importo di quelli spettanti ai sindaci dei comuni capoluogo di regione;
altra disposizione concernente i consigli regionali è contenuta all'articolo 40, comma 2, del disegno di legge che vieta la corresponsione di rimborsi o analoghi trasferimenti monetari a carico della finanza pubblica in favore dei gruppi politici presenti nei Consigli Regionali;
non è corresponsione di denaro il mettere a disposizione da parte delle Regioni personale di supporto all'attività legislativa dei gruppi consiliari;
è necessario garantire il buon funzionamento dell'attività istituzionale, di studio e legislativa dei consiglieri regionali,
impegna il Governo:
affinché nella legge statale attuativa dell'articolo 35 (articolo 122 – limiti agli emolumenti dei componenti degli organi regionali) e dell'articolo 40 (disposizioni finali) sia chiarito che spetta alle Regioni mettere a disposizione dei gruppi consiliari idoneo personale per l'espletamento di attività di segreteria e di supporto legislativo così come previsto dall'articolo 2, lettera h) della legge 7 dicembre 2012, n. 213;
il personale messo a disposizione dei gruppi consiliari sia a carico della pianta organica della Regione oppure possa essere assunto dalla Regione a contratto a tempo determinato per l'intero mandato.
9/2613-A/8. Gasparini.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 35 del disegno di legge costituzionale in esame modifica l'articolo 122, primo comma, della Costituzione al fine di porre un limite agli emolumenti dei componenti degli organi regionali;
per effetto della modifica apportata si prevede che con legge statale siano stabiliti gli emolumenti spettanti al Presidente e agli altri membri degli organi elettivi regionali, sicché non possano comunque superare l'importo di quelli spettanti ai sindaci dei comuni capoluogo di regione;
altra disposizione concernente i consigli regionali è contenuta all'articolo 40, comma 2, del disegno di legge che vieta la corresponsione di rimborsi o analoghi trasferimenti monetari a carico della finanza pubblica in favore dei gruppi politici presenti nei Consigli Regionali;
non è corresponsione di denaro il mettere a disposizione da parte delle Regioni personale di supporto all'attività legislativa dei gruppi consiliari;
è necessario garantire il buon funzionamento dell'attività istituzionale, di studio e legislativa dei consiglieri regionali,
impegna il Governo
ad attivarsi affinché nelle regioni sia messo a disposizione dei gruppi consiliari idoneo personale, anche assunto dalla Regione a contratto a tempo determinato per l'intero mandato, per l'esclusivo espletamento di attività di segreteria e di supporto legislativo così come previsto dall'articolo 2, lettera h), della legge 7 dicembre 2012, n. 213.
9/2613-A/8. (Testo modificato nel corso della seduta) Gasparini.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 33 modifica l'articolo 119 Costituzione, che disciplina l'autonomia finanziaria degli enti territoriali: riscrivendo il secondo comma, dedicato alla finanza ordinaria degli enti territoriali, si prevede che l'autonomia fiscale degli enti territoriali vada esercitata, oltre che in armonia con la Costituzione, anche secondo quanto disposto dalla legge dello Stato a fini di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, anziché secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, in linea con l'attribuzione di tale ambito materiale alla competenza esclusiva dello Stato (articolo 117, secondo comma, lettera e);
il disegno di legge costituzionale in esame interviene, inoltre, sul quarto comma dell'articolo 119, dedicato al cosiddetto principio del parallelismo tra le funzioni esercitate dall'ente territoriale e il complesso delle risorse necessarie per esercitare tali compiti, stabilendo che le risorse di cui dispongono gli enti territoriali «assicurano» il finanziamento integrale delle funzioni pubbliche loro attribuite, laddove il testo vigente prevede che le risorse degli enti territoriali «consentono» di finanziare in modo integrale le funzioni pubbliche loro attribuite;
viene inoltre attribuita ad una legge statale la definizione di indicatori di riferimento di costo e di fabbisogno che promuovono condizioni di efficienza nell'esercizio delle funzioni medesime;
la legge n. 42 del 2009 stabilisce la struttura fondamentale delle entrate di regioni ed enti locali, definisce i principi che regoleranno l'assegnazione di risorse perequative agli enti dotati di minori capacità di autofinanziamento e delinea gli strumenti attraverso cui sarà garantito il coordinamento fra i diversi livelli di governo in materia di finanza pubblica. Nel definire i principi fondamentali del sistema di finanziamento delle autonomie territoriali, la legge delega distingue le spese che investono i diritti fondamentali di cittadinanza (sanità, assistenza, istruzione) e quelle inerenti le funzioni fondamentali degli enti locali, per le quali si prevede l'integrale copertura dei fabbisogni finanziari, rispetto a quelle che, invece, vengono affidate in misura maggiore al finanziamento con gli strumenti propri della autonomia tributaria, per le quali si prevede una perequazione delle capacità fiscali, ossia un finanziamento delle funzioni che tiene conto dei livelli di ricchezza differenziati dei territori;
per le suddette funzioni concernenti i diritti civili e sociali, spetta allo Stato definire i livelli essenziali delle prestazioni, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale in condizione di efficienza e di appropriatezza; ad essi sono associati i fabbisogni standard necessari ad assicurare tali prestazioni: la determinazione dei fabbisogni standard costituisce quindi un fondamento della fiscalità delineata dalla legge n. 42 del 2009,
impegna il Governo
ad assicurare, nell'ambito delle sue proprie prerogative, che lo Stato, anche alla luce del nuovo quarto comma dell'articolo 199 della Costituzione, nell'attribuzione delle risorse necessarie ai Comuni, alle Città metropolitane e alle Regioni per lo svolgimento delle funzioni pubbliche loro attribuite faccia riferimento anche ai livelli essenziali delle prestazioni.
9/2613-A/9. Piccione.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 116, secondo comma, della Costituzione, come novellato dal disegno di legge costituzionale in esame, introduce una nuova disciplina del «regionalismo differenziato», che consente alle Regioni a statuto ordinario di acquisire forme e condizioni ulteriori di autonomia legislativa in alcune delle materie che l'articolo 117, primo comma, della Costituzione attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato;
il disegno di legge costituzionale in esame valorizza la formula del regionalismo differenziato in una duplice direzione: da un lato, ampliando il novero delle materie per le quali possono essere richieste ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia rispetto a quello attualmente vigente (arrivando a comprendere l'organizzazione della giustizia di pace; le disposizioni generali e comuni in materia di istruzione, ordinamento scolastico, istruzione universitaria e programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica; le politiche attive del lavoro, l'istruzione e la formazione professionale; la tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici; l'ambiente e l'ecosistema; l'ordinamento sportivo; le disposizioni generali e comuni sulle attività culturali e sul turismo; il governo del territorio), dall'altro prevedendo che questa possibilità sia accessibile solo alle Regioni che presentano un bilancio in cui entrate e spese sono in equilibrio;
dal 2001 ad oggi nessuna Regione ordinaria ha ottenuto il riconoscimento di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia ai sensi dell'articolo 116 della Costituzione vigente sebbene una serie di iniziative siano nate a livello regionale in tal senso;
nel panorama del diritto comparato l'asimmetria del riparto di competenze tra lo Stato e i diversi enti territoriali presenti al suo interno è elemento oramai ricorrente perché idoneo a rispondere alle diverse caratteristiche, esigenze e capacità (di governo e finanziarie) degli enti territoriali all'interno del medesimo Stato,
impegna il Governo
a favorire e promuovere, in sede di attuazione della riforma della parte seconda della Costituzione, l'attivazione del regionalismo differenziato da parte delle Regioni con particolare riguardo alla Regione Veneto.
9/2613-A/10. Crimì, De Menech.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 116, secondo comma, della Costituzione, come novellato dal disegno di legge costituzionale in esame, introduce una nuova disciplina del «regionalismo differenziato», che consente alle Regioni a statuto ordinario di acquisire forme e condizioni ulteriori di autonomia legislativa in alcune delle materie che l'articolo 117, primo comma, della Costituzione attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato;
il disegno di legge costituzionale in esame valorizza la formula del regionalismo differenziato in una duplice direzione: da un lato, ampliando il novero delle materie per le quali possono essere richieste ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia rispetto a quello attualmente vigente (arrivando a comprendere l'organizzazione della giustizia di pace; le disposizioni generali e comuni in materia di istruzione, ordinamento scolastico, istruzione universitaria e programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica; le politiche attive del lavoro, l'istruzione e la formazione professionale; la tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici; l'ambiente e l'ecosistema; l'ordinamento sportivo; le disposizioni generali e comuni sulle attività culturali e sul turismo; il governo del territorio), dall'altro prevedendo che questa possibilità sia accessibile solo alle Regioni che presentano un bilancio in cui entrate e spese sono in equilibrio;
dal 2001 ad oggi nessuna Regione ordinaria ha ottenuto il riconoscimento di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia ai sensi dell'articolo 116 della Costituzione vigente sebbene una serie di iniziative siano nate a livello regionale in tal senso;
nel panorama del diritto comparato l'asimmetria del riparto di competenze tra lo Stato e i diversi enti territoriali presenti al suo interno è elemento oramai ricorrente perché idoneo a rispondere alle diverse caratteristiche, esigenze e capacità (di governo e finanziarie) degli enti territoriali all'interno del medesimo Stato,
impegna il Governo
a favorire e promuovere, in sede di attuazione della riforma della parte seconda della Costituzione, l'attivazione del regionalismo differenziato da parte delle Regioni con l'obiettivo di valorizzare le regioni più virtuose.
9/2613-A/10. (Testo modificato nel corso della seduta) Crimì, De Menech.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 40, quarto comma, primo periodo, del disegno di legge di revisione della parte seconda della Costituzione in discussione prevede che la legge dello Stato disciplini i profili ordinamentali generali degli enti di area vasta tenendo conto della specifica condizione delle aree montane;
la disposizione appena citata deve essere letta congiuntamente a quelle della legge n. 56 del 2014 che prevedono una normativa specifica per le province con territorio interamente montano e confinanti con Paesi stranieri (si veda l'articolo 1, commi da 51 a 57 e da 85 a 97);
tali riconoscimenti normativi si radicano in oggettive caratteristiche geografiche, fisiche, economiche, sociali ed etnico-culturali – fra cui la presenza di diverse minoranze linguistiche – che rendono indispensabile frenare lo spopolamento attualmente in atto;
questi territori, che pure presentano condizioni del tutto simili a quelle dei territori ad essi confinanti, siano essi Stati esteri o Regioni o Province autonome, godono di una autonomia normativa e finanziaria decisamente inferiore, a causa di ragioni storiche e di vincoli derivanti dal diritto internazionale pattizio;
la natura prettamente centralistica del decentramento amministrativo attuato dalle Regioni e il ruolo marginale e subalterno attribuito ai territori montani dalle politiche economiche, sociali e infrastrutturali regionali ha fortemente penalizzato i territori montani e, fra questi, quelli interamente montani e frontalieri;
sembra quanto mai necessario uno sforzo congiunto delle istituzioni per realizzare un progetto di riforma istituzionale che restituisca pari dignità e uguali opportunità ai territori montani, in particolare a quelli interamente montani e transfrontalieri, dove sia al contempo rinvenibile una pluralità di minoranze linguistiche e la vocazione a uno sviluppo economico integrato alle altre realtà territoriali dell'arco alpino,
impegna il Governo
a tenere nella dovuta considerazione in tutte le fasi di attuazione legislativa della riforma, la specificità delle aree montane, con particolare riferimento a quelle interamente montane e confinanti con Stati esteri, espressamente riconosciuta nel testo costituzionale, fermo restando il rispetto delle prerogative delle Regioni.
9/2613-A/11. De Menech, Crimì, Borghi.
La Camera,
premesso che:
in sede di esame del disegno di legge costituzionale n. 2613-A recante disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero di parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte seconda della Costituzione l'articolo 30 modifica l'articolo 117 della costituzione con una ridistribuzione delle materie tra competenza esclusiva statale e competenza regionale;
sinora il tema della formazione dell'apprendista ha sofferto la mancanza di uno strumento di governance capace di offrire un indirizzo sufficientemente unitario per i distinti sistemi regionali, che hanno dato luogo ad un panorama assai differenziato;
vi sono regioni che per la stessa qualifica da raggiungere prevedono un diverso numero di ore da destinare alla formazione esterna, regioni in cui vi è l'obbligo della formazione esterna ed in altre no, addirittura in altre è anche possibile effettuare la sola formazione in azienda;
alle Regioni sono state infatti assegnate ampie competenze in tema di formazione e lavoro e proprio a causa di queste disuguaglianze nel trattamento della formazione che si è reso necessario 1’ intervento della Corte Costituzionale per dirimere i conflitti che si venivano a creare tra Stato e parti sociali da un lato e Regioni dall'altro;
con una serie di sentenze la Corte Costituzionale ha in sintesi stabilito che, mentre la formazione da impartire all'interno delle aziende attiene precipuamente all'ordinamento civile, la disciplina di quella esterna rientra nella competenza regionale in materia di istruzione professionale, con interferenze però con altre materie, in particolare con l'istruzione, per la quale lo Stato ha varie attribuzioni in termini di norme generali e di determinazione dei principi fondamentali. Inoltre la sentenza n. 50 del 2005 ha richiamato il principio di leale collaborazione fra Stato e Regioni nel comporre e risolvere costruttivamente eventuali sovrapposizioni di competenze, evitando quindi una legiferazione unilaterale dell'istituto;
l'estrema complessità derivante da questo intreccio di normative ha scoraggiato l'utilizzo di tale istituto da parte delle imprese,
impegna il Governo
ad adottare, ogni iniziativa utile affinché, la disciplina relativa alla formazione professionale dell'apprendista sia definita dalla legislazione dello Stato, al fine di evitare, come già è accaduto in questi anni, ulteriori conflitti che si vengono a creare a causa della concorrenza di competenze tra Stato e Regione.
9/2613-A/12. Rostellato.
La Camera,
premesso che:
la Regione Sardegna con legge regionale n. 4 del 1997 concernente il «Riassetto generale delle province e procedure ordinarie per l'istituzione di nuove province e la modificazione delle circoscrizioni provinciali», ha provveduto a ridefinire l'ordinamento provinciale nel suo territorio, in attuazione dell'articolo 3, lettera b), del proprio Statuto;
l'articolo 1, comma 2, della citata legge prevede che «l'istituzione di nuove province e la modifica delle circoscrizioni provinciali sono stabilite con legge regionale (...)»;
in base a tale principio, con la legge regionale n. 9 del 2001, sono state istituite quattro nuove circoscrizioni provinciali: Olbia-Tempio, Carbonia-Iglesias, Medio- Campidano, Ogliastra;
con le elezioni provinciali del maggio 2005 le nuove province hanno acquisito piena capacità giuridica e l'assetto provinciale nella nuova configurazione di otto province;
all'indomani dell'esito dei referendum del 6 maggio 2012 con i quali sono state abrogate le leggi istitutive delle province di Carbonia-Iglesias, Medio Campidano, Ogliastra e Olbia Tempio, al fine di scongiurare un vuoto normativo, il Consiglio Regionale ha approvato la legge 25 maggio 2012, n.11;
con la legge regionale n. 15 del 28 giugno 2013, recante «Disposizioni transitorie in materia di riordino delle province» è stato disposto che:
a) il Consiglio regionale entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge approva una proposta di legge costituzionale di modifica dell'articolo 43 dello Statuto;
b) entro lo stesso termine il Consiglio regionale approva una legge di riforma organica dell'ordinamento degli enti locali. In detta legge, in attesa della modifica dell'articolo 43 dello Statuto, è disciplinato il trasferimento delle funzioni svolte dalle province, ad eccezione di quelle relative a: raccolta e coordinamento delle proposte dei comuni relativamente alla programmazione economica, territoriale e ambientale del territorio regionale di loro competenza e l'adozione di atti di programmazione territoriale a livello provinciale;
c) nelle more dell'approvazione della riforma organica, al fine di assicurare la continuità delle funzioni già svolte dalle province oggetto dei referendum abrogativi sono stati nominati i commissari straordinari i quali, sono stati chiamati a predisporre gli atti contabili, finanziari, patrimoniali, ricognitivi liquidatori necessari;
con delibera di Giunta Regionale della Regione Autonoma della Sardegna, n. 53/17 del 29 dicembre 2014. è stato approvato il disegno di legge concernente il «Riordino del sistema delle autonomie locali della Sardegna» che ridisegna il sistema delle autonomie locali e delle province in particolare prevedendo la soppressione delle quattro province (Carbonia-Iglesias, Medio-Campidano, Olbia-Tempio e Ogliastra) in esecuzione di quanto previsto dal referendum abrogativo regionale del 16 maggio 2012;
con la legge di stabilità per il 2015, le province subiscono un taglio dei trasferimenti statali pari a 1 miliardo di euro nel 2015, 2 miliardi nel 2016 e 3 miliardi nel 2017, ridimensionamenti di spesa che rischiano di creare non pochi problemi anche per il pagamento delle spettanze ai dipendenti provinciali;
in considerazione della specialità e della autonomia riconosciuta alla Regione Sardegna occorre che il Governo chiarisca in maniera inequivocabile l'applicabilità delle disposizioni già previste dalla legge 23 dicembre 2014, n. 190, nonché dalla successiva circolare di applicazione, la n. 1 del 30 gennaio 2015, predisposta dal Dipartimento della funzione pubblica anche per il personale delle otto province sarde al fine di evitare discriminanti penalizzazioni per il personale dipendente,
impegna il Governo
a porre in essere tutte le misure necessarie affinché possa trovare applicazione anche per i dipendenti delle otto province della Regione Sardegna quanto previsto dalla legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità per il 2015) ed in particolare ai commi 424 e 425 dell'articolo 1, nonché quanto disposto dalla circolare n. 1 del 30 gennaio 2015 del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione e del Ministro per gli affari regionali e le autonomie concernente le «Linee guida in materia di attuazione delle disposizioni in materia di personale e di altri profili connessi al riordino delle funzioni delle province e delle città metropolitane. Articolo 1, commi da 418 a 430 L. 190/2014».
9/2613-A/13. Cani.
La Camera,
premesso che:
per un lungo periodo di tempo la modificazione della Costituzione e l'approvazione delle leggi costituzionali si sono mantenute nell'alveo procedimentale disegnato dall'articolo 138 della Costituzione;
la crisi dei partiti negli anni novanta avviò una nuova fase. Fu, difatti, ritenuto che si dovesse apportare una deroga, pur temporanea rispetto al procedimento sancito ex articolo 138 della Costituzione: da un lato, laddove si trattasse di progetti di riforma costituzionale di ampia estensione, trovando formule meno macchinose e, dall'altro lato, prevedendo comunque una legittimazione popolare che passasse in ogni caso per la deliberazione referendaria;
la via del procedimento derogatorio rispetto all'articolo 138 della Costituzione fu così percorsa con le due leggi costituzionali, la n. 1 del 1993 (relativa alla Commissione bicamerale De Mita-Iotti) e la n. 1 del 1997 (istitutiva della Commissione bicamerale D'Alema). In questo modo si voleva approcciare alle riforme costituzionali attraverso 1’ ampia condivisione di tutte le forze parlamentari;
terminata questa fase con il fallimento delle due Bicamerali si tornò negli anni successivi entro il binario dell'articolo 138;
le «grandi riforme» della revisione del Titolo V e della parte seconda della Costituzione, cosiddetta Devolution, furono fortemente volute dai Governi che si succedettero e votate a colpi di maggioranza;
questa deriva maggioritaria nell'approvazione delle riforme costituzionali si caratterizzò sempre più con il mutamento nel 1993 in senso maggioritario del sistema elettorale;
la dimostrazione che queste riforme costituzionali fossero appannaggio esclusivo delle istanze di Governo è dimostrato dal fatto che per entrambe le riforme del 2001 e del 2006 fu promosso ed indetto il referendum confermativo (mai fino ad allora svoltosi anche dopo la legge sul referendum del 1970);
il 29 maggio 2013 furono approvate alcune mozioni che impegnavano il Governo a presentare un disegno di legge costituzionale volto ad introdurre una procedura straordinaria rispetto a quella prevista dall'articolo 138 della Costituzione tale da agevolare il processo di riforma, favorendo un ampia convergenza politica in Parlamento;
la storia recente è nota: il 22 febbraio 2014, con una staffetta interna al partito democratico a seguito delle dimissioni del Presidente del consiglio Enrico Letta, assume l'incarico di Presidente del consiglio Matteo Renzi, che annuncia fin dal discorso di insediamento di voler procedere con tutti gli strumenti a sua disposizione, e in tempi rapidi, al varo delle riforme della parte seconda della Costituzione;
abbandonata fin da subito, quindi, la volontà di giungere ad una riforma condivisa e frutto di larghe intese, il Governo Renzi ha imposto un ritmo forzato al disegno di legge costituzionale di iniziativa del Governo;
l'8 aprile 2014 è iniziato 1'esame al Senato del disegno di legge costituzionale; l'8 agosto 2014 votato dal Senato con 183 voti favorevoli (Pd, FI, Ncd, Sc, Popolari, Gal-Autonomie, Psi), 0 contrari, 4 astenuti, 14 assenti in missione e 118 assenti per netta contrarietà non solo nel merito ma soprattutto sul modus procedendi della riforma (Lega, M5S, Sel, ex-M5S, parte di FI e parte del Pd); il 16 dicembre 2014 è iniziato l'esame in I Commissione presso la Camera dei Deputati; il 10 febbraio 2015 è terminato 1’ esame degli emendamenti in Aula con l’«Aventino» di tutte le opposizioni dopo forzature della maggioranza e del Governo volte a neutralizzarne l'azione politica;
questi fatti mostrano uno scenario che se nella forma non si presenta contrario al metodo di revisione costituzionale ex articolo 138, in realtà è manifestamente incostituzionale rispetto ad una lettura del testo nella sua interezza, soprattutto rispetto all'articolo 1 che sancisce in modo chiaro ed evidente come la Costituzione non sia soggetta alle istanze Governative del momento, ma appartenga al Popolo;
è evidente l'opportunità di modificare l'articolo 138 della Costituzione al fine di prevedere una procedura rafforzata per quelle modifiche di ampia portata della Carta che garantisca l'imparzialità delle riforme dal volere programmatico e politico degli esecutivi e dei partiti di maggioranza che li sostengono,
impegna il Governo
a non adottare, per il futuro, nell'ambito delle proprie competenze, iniziative volte a contrastare o a ritardare le proposte di modifica dell'articolo 138 della Costituzione di iniziativa parlamentare volte a prevedere che le leggi di revisione della Costituzione che interessano modifiche sostanziali della forma di Stato e di governo presentate alle Camere siano esaminate e approvate da un'Assemblea Costituente composta da centocinquanta parlamentari costituenti eletti a suffragio universale con sistema proporzionale, nonché a tenere in maggiore considerazione, con particolare riferimento all'esame dei disegni di legge di riforma costituzionale, il ruolo del Parlamento.
9/2613-A/14. Matteo Bragantini.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge recante disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte seconda della Costituzione ha profondamente modificato la composizione del «nuovo» Senato delle Autonomie;
il disegno di legge costituzionale modifica le disposizioni dei Titoli I, II, III, V e VI della Parte seconda della Costituzione e delle disposizioni finali;
la riforma prevede, tra le altre cose, che in luogo degli attuali 315 senatori, a Palazzo Madama siederanno 100 eletti così ripartiti: 74 consiglieri regionali, 21 sindaci, 5 personalità illustri nominate dal Presidente della Repubblica;
saranno i Consigli regionali a scegliere i senatori, con metodo proporzionale, fra i propri componenti. Inoltre le regioni eleggeranno ciascuna un altro senatore scegliendolo tra i sindaci dei rispettivi territori, per un totale, quindi, di 21 primi cittadini;
la ripartizione dei seggi tra le varie Regioni avverrà «in proporzione alla loro popolazione», ma nessuna Regione potrà avere meno di due senatori. La durata del mandato di questi ultimi sarà di sette anni e non sarà ripetibile. Andranno quindi a sostituire i senatori a vita e saranno scelti con gli stessi criteri di oggi, ovvero «cittadini che hanno illustrato la patria per i loro altissimi meriti»;
il meccanismo di elezione dei sindaci, in particolare, presenta elementi di criticità come evidenziato dal dibattito che si è svolto nel corso dei lavori nelle commissioni Affari Costituzionali della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica;
come è stato osservato da alcuni costituzionalisti, anche nel corso delle audizione nelle Commissioni Affari Costituzionali nei due rami del Parlamento, Presidenti delle Giunte regionali e i sindaci dei Comuni capoluogo appartengono a un diverso circuito rappresentativo e non possono essere riconducibili, anche nei meccanismi di elezione, a un generico regionalismo che pure la nuova riforma intende promuovere come elemento centrale del nuovo Senato delle Autonomie;
la stessa Associazione Nazionale dei Comuni d'Italia (ANCI), pur apprezzando la riforma, ha espresso riserve per la drastica riduzione dei rappresentati di città e Comuni nel nuovo Senato delle Autonomie e ha chiesto che sia assicurata una effettiva rappresentatività dei sindaci metropolitani e delle città capoluogo di Regione, nonché di una congrua rappresentanza di sindaci espressione del sistema dei Comuni, anche attraverso meccanismi di elezione che non sia interamente delegati alle Regioni;
poiché il nuovo Senato non può essere considerato sic et simpliciter una «Camera delle Regioni», così come la definì Emilio Lussu nell'Assemblea Costituente, è opportuno che l'elezione dei rappresentanti regionali e dei comuni, nella fattispecie i sindaci, – un aspetto che alcuni costituzionalisti hanno evidenziato commentando il disegno di legge di riforma – sia trattata con meccanismi diversi, anche per non mortificare il ruolo che le autonomie locali hanno nel nostro ordinamenti giuridico e istituzionale;
la riforma intende conciliare, attraverso il nuovo Senato, il raccordo tra Stato e autonomie, rafforzando positivamente il ruolo delle Regioni. In questo quadro, diventa importante, e a maggiore ragione, valorizzare il ruolo e il protagonismo dei Comuni evitando che subiscano «quasi passivamente» la decisione attuata dal livello istituzionale regionale;
nell'ambito del nuovo modello di governance costituzionale, che semplifica e armonizza il contesto autonomistico italiano, sarebbe, pertanto, opportuno, introdurre spazi e momenti di concertazione e condivisione che evitino che l'integrazione della rappresentanza tra istituzioni regionali e comunali, favorisca o consenta, esclusivamente, aggregazioni su base politica;
l'aggregazione su base di rappresentanza degli enti locali può essere esaltata garantendo, invece, le logiche territoriali, attraverso, magari, un rappresentante per i piccoli comuni (quelli di montagna, ad esempio), uno per i comuni medi e uno o più rappresentanti per i comuni maggiori, con processi di elezione non riconducibili esclusivamente alle Regioni;
nell'impossibilità di costituzionalizzare la Conferenza Stato Città e autonomie locali, si potrebbe, nell'ambito del nuovo meccanismo di elezione dei sindaci nel nuovo Senato delle Autonomie, così come delineato dal nuovo testo di riforma, conferire ruolo all'Associazione nazionale dei comuni italiani,
impegna il Governo:
a farsi parte attiva, allorquando le nuove norme costituzionali entreranno in vigore, al fine di introdurre, nel meccanismo di elezione, da parte delle Regioni, dei 21 sindaci nel nuovo Senato delle Autonomie – così come stabilito dal disegno di legge in esame – una forma di consultazione con l'Associazione Nazionale dei Comuni d'Italia in ciascuna regione, in modo da rispettare il ruolo che la Costituzione attribuisce alle autonomie locali nel nostro ordinamento giuridico;
a favorire l'integrazione della rappresentanza tra Regioni e Comuni nel nuovo Senato delle Autonomie, favorendo la logica territoriale attraverso meccanismi di elezione che vedano la partecipazione diretta o indiretta delle associazioni di rappresentanza dei comuni.
9/2613-A/15. Mura.
La Camera,
premesso che:
il testo dell'articolo 119 come approvato dai padri costituenti prevedeva testualmente «Per provvedere a scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole, lo Stato assegna per legge a singole Regioni contributi speciali»;
a seguito, la riforma legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 «Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione» pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 248 del 24 ottobre 2001 all'articolo 5 riguardante il nuovo testo dell'articolo 119 ha eliminato l'esplicito riferimento al Mezzogiorno;
la questione Meridionale rimane ancora una delle questioni della nostra vita repubblicana in considerazione dei ritardi e degli squilibri tuttora presenti;
molto spesso si riscontrano nella declinazione di provvedimenti e atti di legge forme di ingiustificata penalizzazione nei confronti del Mezzogiorno come ad esempio per quanto riguarda il riparto di fondi nazionali sulla base della cosiddetta «spesa storica» che evidenziano davvero il limite di un mancato riconoscimento delle condizioni di partenza del territorio meridionale;
per quanto vi sia il riconoscimento della perequazione e della possibilità di intervento dello Stato per rimuovere pregiudizi si riscontra la necessità di individuare per il Mezzogiorno adeguati strumenti di intervento finalizzati a consentire una maggiore e migliore esigibilità dei diritti costituzionalmente garantiti,
impegna il Governo
a riconoscere attraverso apposite misure ed interventi di legge le peculiarità del Mezzogiorno con l'obiettivo di rimuovere gli squilibri economici e sociali così come avevano inteso originariamente i padri costituenti.
9/2613-A/16. Famiglietti, Tino Iannuzzi.
La Camera,
premesso che:
in sede di esame del disegno di legge costituzionale n. 2613-A recante disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero di parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte seconda della Costituzione, l'articolo 15 opera una modifica dell'articolo 75 della Costituzione, in cui si prevede, tra l'altro, un innalzamento, ai fini dell'approvazione del referendum, del requisito delle firme necessarie per la presentazione;
a tale nuova previsione costituzionale si deve aggiungere che il procedimento, previsto dalla legge n. 352 del 1970 per la richiesta di referendum, risulta essere sempre più inadeguato e inadatto a riconoscere la possibilità ai cittadini di esercitare le forme d'iniziativa popolare e di democrazia diretta che la Costituzione riconosce;
le modalità esclusivamente cartacee di raccolta e certificazione delle firme, l'obbligo di autenticare le sottoscrizioni in assenza di un servizio pubblico di vidimazione, l'inadeguatezza di molti Comuni nell'adempiere ai loro obblighi, rappresentano un ostacolo per il raggiungimento della soglia delle 500 mila firme autenticate e certificate;
altre democrazie di solida tradizione referendaria annoverano strumenti efficaci, razionali ed egualmente sicuri per procedere alla raccolta firme dei cittadini;
ad esempio l'ordinamento dello Stato svizzero prevede che chiunque può scaricare il modulo, messo a disposizione dalla Cancelleria federale, stamparlo e raccogliere le firme, senza necessità di una previa vidimazione da parte dell'autorità pubblica. Il controllo sulle firme è effettuato da funzionari comunali cui i soggetti promotori portano le liste prima del deposito alla Cancelleria federale, e dalla Cancelleria stessa dopo il deposito. In particolare, i funzionari comunali attestano che i firmatari godano del diritto di voto, mentre la Cancelleria federale verifica che le firme siano almeno pari al numero richiesto perché la richiesta di referendum sia valida,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di adottare, ogni iniziativa utile, anche di tipo normativo, volte ad innovare, attraverso modalità di semplificazione e digitalizzazione, la raccolta delle firme sul modello di quanto avviene a livello internazionale.
9/2613-A/17. Mucci, Barbanti, Segoni, Prodani, Artini, Rostellato, Bechis, Turco, Rizzetto, Baldassarre.
La Camera,
premesso che:
in sede di approvazione del disegno di legge costituzionale A.C. 2613-A e abbinate recante norme per il superamento del bicameralismo paritario e revisione del Titolo V della Parte seconda della Costituzione si rileva che il provvedimento in esame nasce dall'esigenza di fornire una risposta efficace alla richiesta, di snellimento del procedimento legislativo ordinario volto all'accelerazione dei procedimenti di approvazione delle leggi ed anche al risparmio di spesa;
il nuovo testo dell'articolo 55 della Costituzione, in combinato disposto con le altre modifiche recate dal disegno di legge in esame, con particolare riguardo alla disciplina del procedimento legislativo (articolo 70 della Costituzione), sancisce la fine del bicameralismo perfetto nel nostro ordinamento in favore dell'introduzione di una forma di bicameralismo differenziato;
viene dunque sostituita l'elezione a suffragio universale e diretto per il Senato con un'elezione di secondo grado ad opera delle assemblee elettive regionali;
la nuova previsione dell'articolo 122 della Costituzione, primo comma, ha rilievo anche ai fini delle previsioni dell'articolo 9 del disegno di legge, che, interviene sull'articolo 69 della Costituzione prevedendo che i soli membri della Camera dei deputati ricevano una indennità stabilita dalla legge;
la norma che modifica l'articolo 69 della Costituzione, limitando la corresponsione dell'indennità parlamentare ai soli membri della Camera dei deputati, si applica, ai sensi dell'articolo 41 del disegno di legge, «a decorrere dalla legislatura successiva allo scioglimento di entrambe le Camere»;
l'articolo 35, approvato dal Senato nel medesimo testo presentato dal Governo, modifica l'articolo 122, primo comma, della Costituzione, al fine di porre un limite agli emolumenti dei componenti degli organi regionali;
la determinazione degli emolumenti dei consiglieri regionali, infatti, viene sottratta all'autonomia regionale per essere assegnata alla legge statale;
è introdotto, a livello costituzionale, un limite massimo agli emolumenti del Presidente della giunta regionale e dei consiglieri regionali, individuato nell'importo spettante ai sindaci dei comuni capoluogo di regione;
il trattamento economico dei senatori-sindaci e dei senatori-consiglieri regionali eletti in secondo grado sarà, infatti, quello spettante per la carica di rappresentanza territoriale che rivestono;
appare quindi che uno degli effetti secondari principali della riforma del Senato con l'abbandono dell'elezione diretta possa essere individuato nel risparmio di spesa che dovrebbe essere apprezzato nel bilancio annuale del Senato, poiché verrebbero a mancare le voci di spesa relative alle indennità ed i rimborsi oggi erogati dal Senato a favore degli stessi Senatori,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità, di adottare ogni provvedimento, anche di natura normativa ovvero regolamentare, volto a disciplinare compiutamente la riduzione del personale del Senato della Repubblica in conseguenza dell'ampia riduzione del numero dei Senatori, ed il ricollocamento dei funzionari e dipendenti del Senato stesso, onde poter conseguire un apprezzabile risparmio di spesa per lo Stato nella gestione di tale organo legislativo costituzionale almeno commisurandolo proporzionalmente alla riduzione del numero dei Senatori.
9/2613-A/18. Turco, Artini, Baldassarre, Barbanti, Bechis, Mucci, Prodani, Rizzetto, Rostellato, Segoni.
La Camera,
premesso che:
l'applicazione del primo comma dell'articolo 40 (Disposizioni finali) deve assicurare in ogni caso la salvaguardia dei livelli occupazionali e dello specifico patrimonio professionale dei lavoratori, garantendo, in particolare la prosecuzione dei quattro rapporti di lavoro a tempo determinato in essere presso il segretariato generale del CNEL, fino al completamento della procedura di reclutamento speciale per le suddette unità di personale in possesso dei requisiti normativi e comunque non oltre il termine del 31 dicembre 2016, termine previsto dall'articolo 4, comma 9 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito con modificazioni dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125 e dalla Circolare applicativa PCM-Dipartimento della funzione pubblica n. 5 del 21 novembre 2013 «Indirizzi volti a favorire il superamento del precariato»;
questi quattro lavoratori con contratto di lavoro a tempo determinato, sono tutti vincitori di un concorso pubblico, per titoli ed esami, bandito nel 2007, i primi tre con riserva di posti per il personale titolare di contratto di collaborazione coordinata e continuativa, nell'ambito del percorso di stabilizzazione dei precari della PA prefigurato dalla legge finanziaria per il 2007 (articolo 1, comma 529, della legge 296 del 2006). Il contratto a tempo determinato per gli anni 2008-2010 è stato rinnovato per altri tre anni – per esigenza del Segretariato Generale, in considerazione della carenza di personale e dell'intensa attività derivante dall'avvio della IX Consiliatura del CNEL – fino alla scadenza del 30 novembre 2013. Nelle more del perfezionamento del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di rideterminazione della pianta organica, a seguito della pressione delle OO.SS. e dell'entrata in vigore del decreto legge n. 101 del 2013, il CNEL ha via via prorogato i rapporti in essere fino al 31 dicembre 2014;
i tre lavoratori a tempo determinato che hanno usufruito della riserva di posti citata, sono precari storici del Consiglio e lavorano ininterrottamente per il CNEL, dal 1992, dal 1993, dal 1997 e dal 2008; in pratica 23 anni, 22 anni, e 17 anni, di lavoro continuato con unica committenza, nonché 6 anni di tempo determinato;
il concorso del 2007 doveva essere il primo passo del percorso di stabilizzazione che, a tutt'oggi, risulta appena avviato, infatti, l'atto di programmazione triennale del fabbisogno di personale – prodromico all'emanazione di un bando di concorso per un posto, che consente di procedere alla c.d. proroga finalizzata dei 4 lavoratori fino al termine del concorso e comunque non oltre il 31 dicembre 2016 – è attualmente (ottobre 2014) alla firma del Presidente del CNEL (ed è stato oggetto dell'attenzione dei media: «il CNEL, che sta per essere soppresso, sta assumendo» è stato scritto);
trattandosi di personale già in servizio, è assicurata l'invarianza della spesa. Peraltro, l'onere economico a regime – con particolare riguardo a quello contributivo – risulterà inferiore una volta completata la stabilizzazione avviata;
il personale di ruolo del segretariato generale del consiglio trasferito deve potere mantenere la posizione giuridica ed economica, con riferimento alle voci del trattamento economico fondamentale e accessorio, in godimento all'atto del trasferimento, nonché l'anzianità di servizio maturata; le corrispondenti risorse possono essere trasferite all'ente destinatario, incluse quelle destinate a finanziare le voci fisse e variabili del trattamento accessorio nonché la progressione economica orizzontale, secondo quanto previsto dalle disposizioni contrattuali vigenti. Esse possono andare a costituire specifici fondi, destinati esclusivamente al personale trasferito, nell'ambito dei più generali fondi delle risorse decentrate del personale delle aree e dirigenziale;
i compensi di produttività, la retribuzione di risultato e le indennità accessorie del personale trasferito devono rimanere determinati negli importi goduti antecedentemente al trasferimento e non possono essere incrementati fino all'applicazione del contratto collettivo decentrato integrativo sottoscritto conseguentemente al primo contratto collettivo nazionale di lavoro stipulato dopo la data di entrata in vigore della presente legge;
la dotazione organica del personale dell'ente di destinazione deve essere incrementata di un contingente pari a quello previsto dalla dotazione organica del segretariato generale del CNEL di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 13 gennaio 2014. L'ente di destinazione deve subentrare in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi relativi ai rapporti di lavoro in essere,
impegna il Governo
ad assicurare in ogni caso la salvaguardia dei livelli occupazionali e dello specifico patrimonio professionale dei lavoratori del CNEL, garantendo, in particolare la prosecuzione dei quattro rapporti di lavoro a tempo determinato in essere presso il segretariato generale del Consiglio, fino al completamento della procedura di reclutamento speciale per le suddette unità di personale in possesso dei requisiti normativi e comunque non oltre il termine del 31 dicembre 2016.
9/2613-A/19. Placido, Quaranta, Costantino.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 40 del provvedimento al nostro esame, al comma 1, prevede che: «Il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL) è soppresso. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, nomina, con proprio decreto, un commissario straordinario cui è affidata la gestione provvisoria del CNEL, per le attività relative al patrimonio, compreso quello immobiliare, nonché per la riallocazione delle risorse umane e strumentali presso la Corte dei conti, nonché per gli altri adempimenti conseguenti alla soppressione.»;
tra le funzioni svolte dal CNEL risulta particolarmente utile quella relativa all'archivio dedicato alla contrattazione nazionale – settori pubblico (fino alla tornata contrattuale 2006-2009) e privato. In questo archivio sono consultabili i contratti collettivi nazionali del settore privato depositati al CNEL in attuazione dell'articolo 17 della legge 30 dicembre 1986, n. 936, nonché i contratti collettivi nazionali di comparto del settore pubblico depositati prima dell'entrata in vigore dell'articolo 55 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, che ha introdotto l'obbligo per le Pubbliche Amministrazioni di trasmettere al CNEL i contratti collettivi nazionali ed integrativi, oltre che, ovviamente, i contratti del settore pubblico post-decreto n. 150 del 2009;
l'archivio citato è ripartito in tre sezioni:
Archivio corrente, dove si riportano i contratti collettivi attualmente vigenti in ciascun settore o categoria del lavoro pubblico e del lavoro privato;
Archivio storico, dove confluiscono i contratti collettivi trasferiti dall'Archivio corrente al momento del rinnovo;
Analisi avanzate sui CCNL, dove è possibile utilizzare l'applicativo che consente di classificare i contratti secondo i principali istituti, in base a uno schema di classificazione originariamente predisposto in collaborazione con il CED della Corte di Cassazione e con il Ministero del Lavoro;
presso il CNEL sono altresì presenti:
la raccolta degli accordi di solidarietà trasmessi al CNEL, secondo quanto stabilito dall'articolo 5, comma 1-ter, del decreto-legge 20 marzo 2014, n. 34, convertito con modificazioni dalla legge 16 maggio 2014, n. 78;
la raccolta degli accordi Governo – Parti Sociali;
la raccolta degli accordi interconfederali;
una raccolta campionaria sulla contrattazione decentrata;
la sede più appropriata per la conservazione e la gestione di tali raccolte contrattuali, una volta venuto meno il CNEL, è senz'altro il Ministero del lavoro e delle politiche sociali,
impegna il Governo
a prendere le opportune iniziative al fine di riallocare le risorse umane e strumentali attualmente preposte ed utilizzate per la gestione degli archivi relativi ai contratti ed agli accordi di cui in premessa presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
9/2613-A/20. Airaudo, Placido, Costantino.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 1 del provvedimento riscrive l'articolo 55 della Costituzione introducendo in essa il principio della promozione dell'equilibrio di genere in Parlamento, da attuarsi attraverso le leggi che stabiliscono le modalità di elezione delle Camere, rafforzando in tal modo il principio sulla parità di accesso alle cariche elettive, già sancito dall'articolo 51 della Costituzione;
l'articolo 2 del provvedimento definisce, modificando l'articolo 57 della Costituzione, una diversa composizione ed una nuova modalità di elezione del Senato della Repubblica, che sarà espressione di un'elezione di secondo livello i cui componenti verranno scelti tra i membri dei Consigli regionali e delle Province autonome di Trento e di Bolzano e, nella misura di uno per ciascuno, tra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori;
il suddetto principio della promozione dell'equilibrio di genere, introdotto nel corso dell'esame del provvedimento al Senato, non è parimente sancito al novellato articolo 57 della Costituzione che tratta la nuova modalità di elezione del Senato della Repubblica, con grave pregiudizio circa la effettiva parità di presenza femminile nella nuova assemblea;
attualmente, infatti, quasi tutti i consigli regionali italiani, chiamati in qualità di «grandi elettori» ad eleggere i membri del nuovo Senato, sono a stragrande maggioranza composti da rappresentanti appartenenti al sesso maschile: si pensi, ad esempio al Consiglio regionale di Puglia ove siedono solo 3 donne su 70 consiglieri regionali. Né fa ben sperare a titolo esemplificativo quanto accaduto lo scorso 26 febbraio sempre in seno al Consiglio regionale di Puglia che, chiamato ad approvare a maggioranza la nuova legge elettorale per il rinnovo dello stesso, ha affossato gli articoli che, al fine di garantire la parità di genere, miravano ad introdurre la doppia preferenza;
nonostante la legge 23 novembre 2012, n. 215, rechi disposizioni volte a garantire il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali, l'effettiva promozione della parità tra uomini e donne nell'accesso alle cariche elettive attraverso la predisposizione di misure che permettano di incentivare l'accesso del genere sottorappresentato alle cariche elettive non è ancora attualmente assicurata da tutti i sistemi elettorali regionali;
è pertanto necessario che, nella fase attuativa del rinnovato dettato dell'articolo 57 della Costituzione, sia assicurato il rispetto, qualunque siano le leggi elettorali che gli organi costituzionali approveranno in futuro, del principio di non discriminazione fra i sessi;
la conquista del principio universale di uguaglianza è oggi messa profondamente in crisi da vari fattori, per questo i diritti non possono essere soltanto garantiti in astratto, ma vanno assicurati in concreto facendo accompagnare il principio di uguaglianza con quello di non discriminazione. Non è pensabile varare una riforma costituzionale senza prevedere regole cogenti che, al fine di dare piena attuazione agli articoli 3 e 51 della Costituzione, promuovano la presenza femminile in tutte le istituzioni,
impegna il Governo
ad adottare le opportune iniziative normative volte al superamento della discriminazione di genere, garantendo per ogni futura carica elettiva, il rispetto nella rappresentanza dell'equilibrio tra donne e uomini.
9/2613-A/21. Nicchi, Costantino, Quaranta.
La Camera,
premesso che:
sempre più frequentemente i movimenti e i partiti politici adottano per la composizione delle proprie liste elettorali, metodi di elezioni primarie;
si sono verificati casi che hanno evidenziato situazioni anomale in alcuni seggi elettorali;
spesso le elezioni primarie impattano considerevolmente sulla politica regionale e nazionale,
impegna il Governo
a valutare di prevedere una legislazione per i partiti o movimenti politici che adottano per la composizione delle proprie liste elettorali metodi di elezioni primarie, anche tenendo conto delle norme generali relative alle elezioni di riferimento.
9/2613-A/22. Costantino, Scotto, Quaranta.
La Camera,
premesso che:
uno dei motivi adotti dalla maggioranza e dal Governo per impostare la riforma costituzionale delineata dal provvedimento al nostro esame, riguardava i risparmi che la finanza pubblica avrebbe conseguito riducendo il numero dei Senatori e abolendo la loro elezione diretta da parte dei cittadini;
è lecito dubitare della sincerità di tali proposito in quanto la riforma delineata mantiene in essere il Senato sia pure con un numero ridotto di membri e mantiene un numero spropositato per il nostro Paese di membri della Camera dei deputati;
un vero risparmio si otterrebbe, viceversa, da una forte riduzione proporzionata del numero dei deputati e dei senatori,
impegna il Governo
ad adottare, per il futuro, le opportune iniziative normative volte a conseguire l'obiettivo dell'ulteriore riduzione proporzionata del numero dei parlamentari.
9/2613-A/23. Melilla, Quaranta, Costantino.
La Camera,
premesso che:
il Presidente del Consiglio dei ministri e diversi esponenti della maggioranza hanno delineato un orizzonte di diversi anni, fino alla fine dell'attuale legislatura, per il completamento dell'azione e del programma di governo, con particolare riguardo al completamento dell'iter delle riforme costituzionali e della stessa riforma della legge elettorale che peraltro concerne unicamente la Camera dei deputati;
con la sentenza del 13 gennaio 2014, n. 1, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 83, comma 1, numero 5, e comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957 n. 361, e dell'articolo 17, commi 2 e 4, del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione del Senato della Repubblica), nonché l'illegittimità costituzionale degli articoli 4, comma 2, e 59 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, e dell'articolo 14, comma 1, del decreto legislativo n. 533 del 1993, nella parte in cui non consentono all'elettore di esprimere una preferenza per i candidati,
impegna il Governo
a mettere in essere tutte le azioni di propria competenza, ferma restando l'autonomia delle Camere, affinché tale percorso riformatore, con particolare riferimento alla nuova legge elettorale che deve essere pienamente coerente con la sentenza citata in premessa, non sia interrotto prima della conclusione dell'insieme dell'opera di riforma avviata.
9/2613-A/24. Scotto, Quaranta, Sannicandro, Costantino.
La Camera,
premesso che:
il delicato tema del conflitto di interesse richiede al più presto una nuova disciplina, considerati i forti limiti in termini di efficacia della pur vigente normativa introdotta dalla legge n. 215 del 2004 (la cd. «legge Frattini»);
in linea con quanto previsto sulla materia negli altri Paesi europei, lungi dal vertere sulla mera incompatibilità, il tema non può che essere disciplinato in primis quanto ad una definizione precisa e puntuale circa cosa sia il conflitto di interessi, nonché i soggetti destinatari di una nuova disciplina che si auspica finalmente completa ed efficace. Non appare infatti congrua ed incisiva una regolamentazione della materia che non consideri, oltre ai titolari di cariche di Governo, i parlamentari, le Authority, nonché i titolari di cariche di governo regionali e locali (ivi compresi i componenti degli organi delle istituende città metropolitane);
sarebbe stata necessaria, accanto e prima di una rinnovata disciplina complessiva del tema, l'introduzione nella nostra Carta fondamentale di un espresso richiamo – al pari di altri Paesi europei, quali ad esempio la Francia e la Spagna – al principio in base al quale «a chiunque siano affidate funzioni pubbliche è fatto obbligo di operare nell'esclusiva cura degli interessi pubblici e in assenza di conflitti d'interessi», da introdurre all'articolo 54 della Costituzione che, come noto, tratta dei doveri dei cittadini cui siano affidate funzioni pubbliche,
impegna il Governo
ad adottare le opportune iniziative normative volte a conseguire l'obiettivo di una rinnovata disciplina del conflitto di interesse sia tramite una legge ordinaria che tramite l'inserimento del principio, richiamato in premessa, nella nostra Carta costituzionale.
9/2613-A/25. Daniele Farina, Sannicandro, Quaranta, Costantino.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 29 del disegno di legge al nostro esame, modificando l'articolo 114 della Costituzione, abolisce le Province, le cui funzioni sono state distribuite tra le Regioni, i Comuni e, nelle aree metropolitane, le Città metropolitane;
mentre l'articolo 33, modificando l'articolo 119 della Costituzione, stabilisce che: «I Comuni, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea;
i Comuni, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri e dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio, in armonia con la Costituzione e secondo quanto disposto dalla legge dello Stato ai fini del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;
la legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante;
le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti assicurano il finanziamento integrale delle funzioni pubbliche dei Comuni, delle Città metropolitane e delle Regioni. Con legge dello Stato sono definiti indicatori di riferimento di costo e di fabbisogno che promuovono condizioni di efficienza nell'esercizio delle medesime funzioni, sulla base di indicatori di riferimento di costo e di fabbisogno che promuovono condizioni di efficienza;
per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Città metropolitane e Regioni;
i Comuni, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato. Possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento, con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l'equilibrio di bilancio. È esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti»;
disposizioni di non facile realizzazione per molte città metropolitane che, in realtà, hanno ereditato una pesante situazione di bilancio dalle precedenti amministrazioni provinciali;
ad esempio, la città metropolitana di Milano è nell'impossibilità concreta di chiudere in pareggio il bilancio 2015 denunciando 114 milioni di deficit per la parte corrente. A questa cifra si devono aggiungere le penalità per lo sforamento del Patto di stabilità ereditato dalla Provincia;
per completare il quadro del bilancio triennale della città metropolitana di Milano, si prevedono 163 milioni di deficit per il 2016 e 212 nel 2017. Si aggiungono ancora i trasferimenti di parte del gettito di imposte provinciali allo Stato, in larga misura l'imposta di trascrizione delle auto e l'aliquota della RC Auto, per complessivi 58 milioni di euro, pari al 47 per cento delle entrate fissate a 360 milioni;
i risparmi ottenuti con la soppressione della vecchia Provincia sono pari a soli 1,4 milioni di euro per minori spese del Presidente, assessori e consiglieri provinciali;
la Provincia gestiva una serie di servizi ai cittadini che non si possono interrompere, ma le risorse disponibili da parte della Città metropolitana coprono solo alcuni mesi dell'anno 2015,
impegna il Governo
a prendere le opportune iniziative al fine di garantire risorse adeguate alle Città metropolitane, anche valutando l'opportunità di rinunciare alle percentuali degli introiti derivanti dai proventi delle imposte provinciali.
9/2613-A/26. Franco Bordo, Quaranta, Costantino.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento al nostro esame delinea un nuovo Senato della Repubblica: l'articolo 2, modificando l'articolo 57 della Costituzione, prevede che «i Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i senatori tra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, tra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori»;
le circoscrizioni regionali furono definite in un'altra era, quando la società era ancora molto agricola e non esisteva il mercato unico. I confini regionali non corrispondono più ad ambiti ottimali per il buon governo: quasi 70 anni dopo che sono stati disegnati e dopo 40 anni di funzionamento, si può pensare a rivedere lo stato delle cose;
l'Italia del 2014 è totalmente diversa da quella del ’70 e questa differenza con gli anni andrà accentuandosi, ed è chiaro a tutti, che parte dell'inefficienza delle Regioni è dovuta ai loro confini territoriali: servizi come welfare, sanità e istruzione non possono più essere gestiti all'interno di confini vecchi di 40 anni;
diverse forze politiche ne propongono l'accorpamento: da Forza Italia al Partito democratico allo stesso Movimento 5 stelle. Lo stesso presidente della Conferenza delle Regioni, Chiamparino, ritiene che occorra costruire un processo di riforma degli enti locali che porti alla fine ad avere in Italia «una ventina di macroaree» partendo però non dai confini delle Regioni ma dall'aggregazione delle loro funzioni. Con l'obiettivo di creare entità programmatorie che sono al massimo convenzioni tra le regioni esistenti. E se poi funziona questa potrebbe diventare la base per parlare anche di confini e di macroregioni;
ad oggi vengono spesi 1.160 milioni di euro per mantenere i consigli regionali, l'aggregazione ipotizzata potrebbe far risparmiare allo Stato almeno 400 milioni di euro;
questo processo andrebbe realizzato senza costruire nuove strutture e può diventare il primo passo verso aggregazioni future più strutturate. Per creare queste nuove entità programmatorie che siano al massimo convenzioni tra le regioni esistenti, sarebbe auspicabile che si potesse decostituzionalizzare il processo di aggregazione delle Regioni,
impegna il Governo
a prendere le opportune iniziative per facilitare e sostenere un processo di aggregazione «dal basso» che stimoli i territori ad aggregarsi in macroregioni al fine di raggiungere una soglia minima di abitanti tale da garantire efficienza amministrativa ed efficacia nell'erogazione dei servizi.
9/2613-A/27. Pannarale, Quaranta, Costantino.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 31 del provvedimento al nostro esame sostituisce interamente il testo dell'articolo 117 della Costituzione, prevedendo l'abrogazione delle disposizioni del vigente testo costituzionale con cui si individuano materie di legislazione concorrente e l'attribuzione alla competenza legislativa esclusiva dello Stato delle materie «ordinamento della comunicazione» (lettera t) del secondo comma dell'articolo 117), «infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e di navigazione di interesse nazionale e relative norme di sicurezza» e «porti e aeroporti civili di interesse nazionale e internazionale» (lettera z) del medesimo comma), proprio in considerazione della rilevanza nazionale degli interventi relativi alle suddette materie;
il terzo comma del nuovo articolo 117 della Costituzione stabilisce che: «Spetta alle Regioni la potestà legislativa in materia di... pianificazione del territorio regionale e mobilità al suo interno, di dotazione infrastrutturale, di programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali, di promozione dello sviluppo economico locale e organizzazione in ambito regionale dei servizi alle imprese ...»;
un compiuto inquadramento costituzionale del tema del trasporto pubblico richiederebbe, contestualmente alla previsione della competenza regionale per quanto attiene alla mobilità all'interno del territorio della regione (articolo 117, terzo comma), il riconoscimento dell'esigenza dell'intervento dello Stato per determinare e assicurare livelli essenziali delle prestazioni concernenti il diritto alla mobilità, quale diritto che deve essere garantito su tutto il territorio nazionale attraverso un adeguato sistema di trasporto pubblico,
impegna il Governo
ad adottare le opportune iniziative normative volte a garantire livelli essenziali delle prestazioni concernenti il diritto alla mobilità su tutto il territorio nazionale anche tramite l'intervento dello Stato.
9/2613-A/28. Piras, Quaranta, Scotto, Costantino.
La Camera,
premesso che:
la legge costituzionale n. 1 del 2012 ha introdotto all'interno della nostra Carta costituzionale il principio del pareggio di bilancio. Si tratta di una modifica costituzionale che è stata disastrosa per il nostro sistema economico, già fortemente danneggiato;
nell'ambito di un quadro di recessione globale, la zona Euro mostra infatti particolari difficoltà, ed il peggioramento dell'economia si è accompagnato a una crisi sociale senza precedenti, mentre si sono sviluppati movimenti xenofobi e antieuropei; l'Europa ha risposto alla crescente instabilità dei mercati finanziari imboccando la strada dell'austerità. A partire dalla primavera 2010 sono stati così varati programmi di riequilibrio dei conti pubblici ambiziosi, simultanei e concentrati in un lasso di tempo relativamente breve. Nei Paesi periferici il riequilibrio dei conti pubblici è avvenuto al prezzo di pesanti ricadute economiche e sociali (catastrofiche, nel caso greco), ed è stato parzialmente vanificato dalla recessione indotta dalle politiche di austerità;
è sostanzialmente l'analisi delle cause profonde della crisi ad essere sbagliata. Essa viene fatta risalire alla «crisi dei debiti sovrani», mentre i debiti sovrani sono peggiorati a seguito della crisi e non viceversa. Nel biennio della grande recessione l'aumento del rapporto tra debito pubblico e PIL è stato nei Paesi periferici solo leggermente superiore alla media dell'eurozona. La sfiducia dei mercati finanziari è stata innescata dai crescenti squilibri macroeconomici tra i sistemi produttivi più forti (Germania in primis), molto competitivi e in forte avanzo commerciale, e i Paesi periferici considerati – a causa di debolezze strutturali che sono andate aggravandosi negli anni duemila – meno capaci in prospettiva di onorare i propri debiti pubblici;
questi sono i motivi che hanno portato all'introduzione in Costituzione del c.d. pareggio di bilancio, attraverso le modifiche all'articolo 81, come previsto dal cd. «Fiscal compact». I risultati di questo provvedimento sono stati largamente fallimentari;
d'altra parte sbagliata è la premessa. Pensare che il taglio nei deficit pubblici possa essere compensato dall'aumento di altre componenti della domanda aggregata è una pia illusione. Come mostrato in studi e dall'esperienza pratica (vedi Grecia), il moltiplicatore fiscale in una fase di recessione è positivo, e l'austerità porterà quindi ad un calo del Pil maggiore del calo del debito rendendo impossibile raggiungere l'obiettivo della riduzione del rapporto debito/Pil; diversi documenti dell'Unione europea testimoniano una transizione dei poteri dagli stati nazionali all'oligarchia dell'UE, una vera espropriazione della democrazia a favore di una tecnocrazia che risponde di fatto solo ai poteri finanziari ed a ristretti gruppi sociali che di tali politiche di austerità si stanno avvantaggiando in maniera scandalosa; tra il 1976 e il 2006 la quota dei salari (incluso il reddito dei lavoratori autonomi) sul Pil è diminuita in media di 10 punti, scendendo dal 67 al 57 per cento circa. In Italia è andata peggio: il calo ha toccato i 15 punti, dal 68 al 53 per cento (dati Ocse), un trasferimento di ricchezza, a favore soprattutto del capitale finanziario, pari – in moneta attuale – a 240 miliardi di euro;
per tali motivi, in questa fase sarebbe necessario che il governo sostenesse, in sede europea, la radicale modifica del trattato sulla convergenza dei bilanci, il cosiddetto «Fiscal compact», una delle cause della recessione, concordando con i partner europei misure sostanziali a favore dello sviluppo sostenibile, a partire da una europeizzazione non parziale del debito sovrano almeno per la quota che supera il 60 per cento del Pil, secondo le proposte avanzate da diversi economisti anche italiani; chiedere nell'immediato lo slittamento della scadenza per il raggiungimento del pareggio di bilancio in termini strutturali e per l'avvio della riduzione dello stock del debito e/o l'esclusione di alcune spese per investimenti dai saldi del Patto di stabilità;
un primo passo in questa direzione può compierlo il nostro Paese, attraverso l'eliminazione del principio del pareggio di bilancio dalla nostra Carta costituzionale;
andrebbe riaffermato un corretto equilibrio tra principi costituzionali. L'intero costituzionalismo moderno ha, infatti, preteso una tutela privilegiata dei diritti fondamentali delle persone. Pretesa che non può essere abbandonata in nessuna contingenza economica, neppure nelle fasi avverse del ciclo economico. In ogni caso il rispetto dei diritti fondamentali delle persone deve essere perseguito, anche nei casi di più rigorose manovre di contenimento dei disavanzi pubblici;
occorre, dunque, cancellare il principio del pareggio di bilancio e collegare comunque le politiche di bilancio dello Stato alla salvaguardia dei «diritti fondamentali delle persone» come stabiliti dal nostro ordinamento costituzionale. In particolare, occorre eliminare le parti dell'articolo 81 che impongono regole di equilibrio puramente economico-finanziario senza alcuna garanzia per i diritti, e con l'aggiunta, invece, della garanzia di tutela dei diritti che deve essere assicurata in sede di definizione della legge generale sulla contabilità e la finanza pubblica;
il principio costituzionale di salvaguardia dei diritti fondamentali delle persone deve evidentemente impegnare l'intero Stato apparato ed essere garantito sull'intero territorio nazionale. Deve dunque coinvolgere – oltre lo Stato centrale – tanto l'insieme delle pubbliche amministrazioni, quanto ogni altro livello di governo;
per questo diventa necessario modificare l'articolo 97 per affermare che le pubbliche amministrazioni nel momento in cui devono assicurare gli equilibri economici e finanziari, devono altresì operare sempre «nel rispetto dei diritti fondamentali delle persone»;
per quanto riguarda, invece, le autonomie territoriali (Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni) si deve modificare all'articolo 119 che – riprendendo quanto già attualmente imposto dall'articolo 117 comma 2, lettera m) – assicuri un'attribuzione di risorse in relazione alle esigenze di tutela dei diritti sociali e civili comunque sufficienti per salvaguardare i livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale,
impegna il Governo
ad adottare, per il futuro, le opportune iniziative normative volte a conseguire l'obiettivo di una profonda revisione degli attuali articoli 81, 97 e 119 della nostra Costituzione secondo i criteri esposti in premessa.
9/2613-A/29. Marcon, Melilla, Costantino, Quaranta.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 138 della Costituzione norma le modalità per il processo di revisione della Carta costituzionale;
l'articolo 138 prevede che il Parlamento si esprima su una legge costituzionale con due votazioni (due per il Senato e due per la Camera in maniera incrociata). Per la prima votazione non è richiesta alcuna maggioranza qualificata e, perciò, la legge costituzionale o di revisione costituzionale può essere approvata anche a maggioranza semplice. Nella seconda votazione è richiesta la maggioranza assoluta per dar corso ad un procedimento referendario di tipo confermativo, oppure la maggioranza dei 2/3 dei componenti che confermerebbe senza bisogno di referendum la reale necessità di approvazione della legge o della revisione;
infatti, l'articolo 138 prevede che le leggi stesse siano sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti;
il sistema descritto dall'articolo 138 ha lo scopo di garantire e proteggere il nostro ordinamento democratico. Infatti, i membri dell'Assemblea costituente avevano vissuto l'esperienza del regime fascista ed avevano assistito allo svuotamento delle norme dello Statuto Albertino, poste a tutela delle libertà fondamentali dei cittadini, e alla loro sostituzione con le leggi ordinarie autoritarie ed antidemocratiche. Il timore che si potesse ripetere una simile esperienza spinse i costituenti ad adottare un diverso tipo di Costituzione, non più flessibile come lo Statuto Albertino, ma rigida;
in ogni caso, sarebbe opportuno che sul disegno di legge al nostro esame fosse poi comunque possibile dare la parola ai cittadini, col referendum;
a più riprese la dottrina si è posta il problema della idoneità della procedura dell'articolo 138 a realizzare revisioni particolarmente ampie della Costituzione, fermo restando in ogni caso il necessario rispetto dei principi supremi e la distinzione tra potere costituente e potere costituito;
già l'Assemblea costituente se ne mostrò consapevole: il presidente Terracini sostenne che in merito alle modifiche della Carta ci si doveva limitare a revisioni parziali. L'ostacolo principale ad ammettere nel nostro ordinamento la possibilità di un ampia revisione della Costituzione è rappresentato, per molti autori, da un particolare momento della procedura prevista dall'articolo 138, ovvero dal referendum;
in ogni caso, qualora le modifiche apportate fossero ampie e su diversi argomenti, come nel provvedimento al nostro esame, nel rispetto dello spirito con i quali i costituenti hanno redatto l'articolo 138 e per rispettare l'impostazione della giurisprudenza costituzionale sull'omogeneità del quesito referendario, è opportuno ricorrere a referendum parziali, frazionando il testo di revisione in più quesiti,
impegna il Governo
ad adottare tutte le iniziative di propria competenza volte a favorire che il testo del provvedimento, una volta completato il suo iter parlamentare, sia sottoposto al giudizio dei cittadini tramite una consultazione referendaria, nonché, per il futuro, le opportune iniziative normative al fine di poter ricorrere ad un procedimento referendario di tipo confermativo su più quesiti differenziati per materie omogenee.
9/2613-A/30. Fratoianni, Quaranta, Costantino.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 11 del provvedimento al nostro esame modifica l'articolo 71 della Costituzione, aggiungendo, in fine, il seguente comma: «Al fine di favorire la partecipazione dei cittadini alla determinazione delle politiche pubbliche, la legge costituzionale stabilisce condizioni ed effetti di referendum popolari propositivi e d'indirizzo, nonché di altre forme di consultazione, anche delle formazioni sociali. Con legge approvata da entrambe le Camere sono disposte le modalità di attuazione»;
si tratta di una disposizione frutto dell'influenza del mutamenti sociali e soprattutto della democrazia locale di prossimità, laddove diversi comuni, da anni, nei propri statuti hanno contemplato varie tipologie referendarie, anche approvative e/o confermative e strumenti di partecipazione e consultazione diretta dei cittadini alle scelte delle amministrazioni;
la disposizione è un passo in avanti, la cui effettività, tuttavia, si potrà misurare soltanto attraverso la disposizione legislativa che ne determinerà i criteri attuativi;
appare fondato il rischio che pur trattandosi di istituti diversi, dette tipologie referendarie, prive di natura prescrittiva e di vincoli procedimentali, possano confondersi con gli istituti della petizione e dell'iniziativa popolare, già previsti dall'articolo 50 e dallo stesso articolo 71 della Costituzione,
impegna il Governo
ad adottare le opportune iniziative normative volte ad incrementare gli strumenti di democrazia diretta anche nell'obbiettivo di garantire un equilibrato rapporto tra gli strumenti della democrazia partecipativa e quelli della democrazia della rappresentanza.
9/2613-A/31. Palazzotto, Costantino, Quaranta.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 11 del provvedimento al nostro esame modifica l'articolo 71 della Costituzione, aggiungendo, in fine, il seguente comma: «Al fine di favorire la partecipazione dei cittadini alla determinazione delle politiche pubbliche, la legge costituzionale stabilisce condizioni ed effetti di referendum popolari propositivi e d'indirizzo, nonché di altre forme di consultazione, anche delle formazioni sociali. Con legge approvata da entrambe le Camere sono disposte le modalità di attuazione»;
l'articolo 15 del provvedimento al nostro esame modifica l'articolo 75 della Costituzione prevedendo che l'indizione di un referendum popolare per deliberare l'abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente forza di legge, debba essere richiesta da cinquecentomila elettori o da cinque Consigli regionali; la proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto o, se avanzata da ottocentomila elettori, la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera dei deputati, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi;
la partecipazione popolare alle consultazioni referendarie, insieme ad altre modalità di esercizio della democrazia diretta, devono essere sostenute ed incoraggiate, evitando l'annullamento delle consultazioni stesse per il non raggiungimento di un quorum eccessivamente elevato;
alcuni paesi di lunga tradizione democratica quali, ad esempio, la Confederazione elvetica, non prevedono per i referendum popolari il raggiungimento di nessuna soglia di partecipazione per la validità del voto stesso; nella nostra stessa Costituzione non è stabilito, dall'articolo 138, nessun quorum per la validità del pronunciamento popolare per il referendum confermativo delle modifiche alla Carta costituzionale,
impegna il Governo
a prendere le opportune iniziative, affinché per la validità dei referendum popolari propositivi e d'indirizzo non sia richiesto alcun quorum.
9/2613-A/32. Ricciatti, Quaranta, Costantino.
La Camera,
premesso che:
le moderne tecnologie, come sperimentato in altri Paesi, quali la Svizzera, il Belgio e la Florida, e la stessa Unione europea, consentano di utilizzare strumenti efficaci e sicuri per procedere alla raccolta delle firme dei cittadini;
esiste, infatti, il diritto di iniziativa dei cittadini europei di proporre alla Commissione europea un atto legislativo: esso consente ad un milione di cittadini europei (firme che vanno raccolte in un anno anche tramite Internet) di prendere direttamente parte all'elaborazione delle politiche dell'UE, invitando la Commissione europea a presentare una proposta legislativa;
gli organizzatori della raccolta delle firme su scala europea che desiderano raccogliere le dichiarazioni di sostegno per via elettronica sono tenuti ad attivare un sistema di raccolta online, accessibile dal loro sito, che risponda ai requisiti tecnici e di sicurezza di cui all'articolo 6, paragrafo 4, del regolamento riguardante l'iniziativa dei cittadini e alle specifiche tecniche dettagliate previste da un regolamento specifico (regolamento di esecuzione (UE) n. 1179/2011 della Commissione),
impegna il Governo
ad adottare ogni iniziativa utile, anche di tipo normativo, al fine di regolare idonee forme di raccolta delle firme a sostegno delle richieste di referendum abrogativo e delle proposte di legge d'iniziativa popolare a livello locale o nazionale, anche attraverso il supporto elettronico-informatico.
9/2613-A/33. Ferrara, Costantino, Quaranta.
La Camera,
premesso che:
l'introduzione del voto elettronico rappresenta un fatto di democrazia già adottato in diversi Paesi. Oltre che rispondere alle esigenze di innovazione che il Paese richiede e bloccare i reiterati brogli che i seggi e le schede classiche hanno sempre consentito, si potrà fare conto su risultati definitivi di conteggio in tempo reale eliminando anche l'assoluta inaffidabilità degli exit poll oggetto di errori colossali;
i cittadini da un lato si astengono dalle consultazioni ai seggi, mentre rilevanti settori della popolazione partecipano a consultazioni via internet, segno di un desiderio di maggiore partecipazione alla vita pubblica del nostro Paese, che può essere utilmente assecondato mediante l'implementazione delle nuove tecnologie;
inoltre, il voto elettronico consentirebbe agli italiani che risiedono fuori dai confini nazionali di votare, se lo desiderano, in alternativa ai candidati della circoscrizione Estero, i candidati presentati nelle circoscrizioni in Italia, nonché di partecipare alle consultazioni referendarie. Attualmente il diritto di voto per gli italiani all'estero è regolato dalla legge 27 dicembre 2001, n. 459, recante «Norme per l'esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all'estero», che ha istituito la circoscrizione Estero. Con il voto diretto mediante sistema elettronico telematico gli italiani residenti all'estero potranno votare per l'elezione dei propri rappresentanti nell'ambito della circoscrizione Estero o, in alternativa, nell'ambito delle circoscrizioni in Italia, senza l'obbligo di recarsi di persona nel seggio elettorale italiano se intendono votare per le elezioni politiche, per le europee o per i referendum;
in questo modo, considerando che il numero degli aventi diritto al voto appartenenti alle comunità italiane situate fuori confine è pari a circa 4 milioni di elettori, appare necessario, oltre che utile, equiparare il pieno diritto di voto di questi italiani residenti all'estero, favorendo così la loro partecipazione,
impegna il Governo
a prendere le opportune iniziative al fine di sperimentare l'utilizzo del voto elettronico nelle consultazioni elettorali europee, nazionali e locali, nonché in quelle referendarie.
9/2613-A/34. Sannicandro, Costantino, Quaranta.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 11 del provvedimento al nostro esame modifica l'articolo 71 della Costituzione, aggiungendo, in fine, il seguente comma: «Al fine di favorire la partecipazione dei cittadini alla determinazione delle politiche pubbliche, la legge costituzionale stabilisce condizioni ed effetti di referendum popolari propositivi e d'indirizzo, nonché di altre forme di consultazione, anche delle formazioni sociali. Con legge approvata da entrambe le Camere sono disposte le modalità di attuazione»;
si tratta di una disposizione frutto dell'influenza del mutamenti sociali e soprattutto della democrazia locale di prossimità, laddove diversi comuni, da anni, nei propri statuti hanno contemplato varie tipologie referendarie, anche approvative e/o confermative e strumenti di partecipazione e consultazione diretta dei cittadini alle scelte delle amministrazioni;
la disposizione è un passo in avanti, la cui effettività, tuttavia, si potrà misurare soltanto attraverso la disposizione legislativa che ne determinerà i criteri attuativi,
impegna il Governo
a favorire, nelle sedi opportune, l'approvazione di norme volte a distinguere nei loro effetti, le tipologie referendarie di cui all'articolo 71 della Costituzione così come modificato dall'articolo 11 del disegno di legge al nostro esame, dagli istituti della petizione e della legge di iniziativa popolare, già previsti dall'articolo 50 e dallo stesso articolo 71 della Costituzione.
9/2613-A/35. Kronbichler, Quaranta, Costantino.
La Camera,
premesso che:
il provvedimento al nostro esame contiene una vistosa contraddizione che riguarda l'età minima per essere eletti alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica;
l'articolo 2 del provvedimento al nostro esame, modificando l'articolo 57 della Costituzione, prevede che «i Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i senatori tra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, tra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori», e dunque consente l'elezione di senatori di età pari a 18 anni;
mentre il Decreto del Presidente della Repubblica del 30 marzo 1957, n. 361, prevede, all'articolo 6, che siano eleggibili a deputati gli elettori che abbiano compiuto il venticinquesimo anno di età entro il giorno delle elezioni;
non esiste nessun motivo logico per tale differenziazione,
impegna il Governo
a prendere le opportune iniziative per parificare, per il futuro, l'età richiesta per essere eleggibili alla Camera dei deputati ed al Senato della Repubblica.
9/2613-A/36. Quaranta, Costantino.
La Camera,
premesso che:
in linea con il processo di riforma degli enti territoriali già in atto, come fissato nella legge n. 56 del 2014, (c.d. legge Delrio), l'articolo 29 del provvedimento modifica l'articolo 114 della Costituzione, sopprimendo il riferimento alle province quali enti costitutivi della Repubblica. Le province vengono dunque meno quali enti costituzionalmente necessari, dotati, in base alla Costituzione, di funzioni amministrative proprie;
il percorso di attuazione della riforma dei suddetti enti sposterà, secondo un preciso ed affrettato timing stabilito dai commi da 418 a 430 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015), funzioni e personale corrispondenti in altri enti, attraverso una riduzione della dotazione organica del personale, nella misura del 50 per cento per le province e del 30 per cento per le città metropolitane, e l'avvio delle relative procedure per la mobilità per le unità in esubero;
il primo step del suddetto timing prevede che entro il prossimo 1o aprile, ogni ente dovrà individuare il personale che intende mantenere per gestire le nuove funzioni, mentre il rimanente personale dovrà essere riassorbito, da regioni, comuni o da altre amministrazioni statali;
il numero esatto di lavoratori coinvolti dal suddetto piano di esuberi, secondo i calcoli ministeriali, dovrebbe essere vicina alle 15.000 unità. Si tratta, come sostengono diversi osservatori, del più grande processo di mobilità dei dipendenti pubblici mai realizzato nel nostro Paese: una diaspora che entro il 2016 dovrebbe interessare l'intero numero dei dipendenti in uscita dalle piante organiche provinciali;
tutto dipenderà, naturalmente, dalle funzioni che verranno assegnate a Comuni o Regioni, le quali per prime dovranno allargare i propri organici, dal momento che dovranno integrare la quota più ampia di lavoratori. Stessa linea dovrà essere seguita anche da Stato e Comuni, gli altri due livelli istituzionali, in cui, secondo i dettami della legge di stabilità 2015, saranno dirottati i lavoratori delle Province in esubero;
a seguito della circolare n. 1 del 2015, con la quale il Ministero per la semplificazione e la Pubblica amministrazione ha dettato le linee guida per il ricollocamento del suddetto personale in esubero, dal 25 febbraio è stato proclamato lo stato di agitazione capillare a livello territoriale, di tutto il personale delle amministrazioni provinciali, che in assenza di idonee garanzie e risposte certe per i lavoratori e per i servizi alle comunità, proseguirà ad oltranza. Troppe, secondo i sindacati confederali, sarebbero le incertezze legate al piano di esuberi: l'indeterminatezza sui tempi e sulle modalità attraverso le quali il Governo e le Regioni intendono portare a conclusione il percorso di riassetto territoriale; l'incertezza sulla complessiva tenuta del sistema, soprattutto dopo i preoccupanti tagli apportati ai finanziamenti degli enti locali con la legge di stabilità 2015, e sulle effettive garanzie a salvaguardia dei livelli occupazionali e salariali;
non si può, in ogni caso, non prendere atto della circostanza che molte amministrazioni pubbliche hanno estrema difficoltà ad accettare l'influenza nella propria autonomia della scelta normativa di congelare le nuove assunzioni al fine di assorbire tutto il personale delle disciolte province;
qualsiasi ipotesi di indiscriminata messa in mobilità di lavoratori pubblici va contrastata attraverso una gestione condivisa del processo di riforma dell'assetto istituzionale che consenta di riorganizzare il sistema valorizzando il capitale umano,
impegna il Governo
a rispettare i termini e a giungere, entro il 31 dicembre 2016, al pieno ricollocamento di tutto il personale delle province al fine di evitare il collocamento in disponibilità anche di un solo dipendente e scongiurare l'avvio dei licenziamenti al termine di tale periodo;
a conciliare la ricollocazione del personale provinciale alle effettive esigenze lavorative degli enti interessati, senza mortificare le professionalità acquisite;
a tutelare e valorizzare tutti i lavoratori interessati dal suddetto processo amministrativo di riorganizzazione, anche al fine di non disperdere il patrimonio professionale di quanti, sino ad oggi, sono stati quotidianamente al servizio dei cittadini;
ad avviare un confronto serio che assicuri ai cittadini ed ai lavoratori interessati la piena sostenibilità del sistema e la salvaguardia occupazionale intervenendo, se necessario, anche normativamente per correggere i tagli finanziari a regioni, province e comuni.
9/2613-A/37. Duranti, Franco Bordo, Airaudo, Placido, Quaranta, Costantino.
La Camera,
premesso che:
la caratteristica distintiva del nostro Paese, la reputazione universalmente riconosciuta all'Italia è la bellezza. Nel processo di globalizzazione economico, sociale e culturale che, dalla fine del novecento, sta interessando anche il nostro Paese si è rilevato che il valore aggiunto che l'Italia può vantare non risiede nella produzione e nella crescita di beni di consumo omologati e livellati verso il basso, bensì nel valorizzare i processi creativi che da sempre hanno declinato il valore dell'Italia in tutte le sue forme: artistiche, materiali e immateriali, culturali, architettoniche, paesaggistiche e naturali, facendone un Paese unico al mondo, fino all'ultima declinazione che ha generato il made in Italy universalmente riconosciuto;
per superare la crisi e il declino e vincere la sfida della globalizzazione l'Italia può contare sull'unicità del suo territorio, sullo spessore della sua storia, sulla qualità della sua cultura, sulla grandezza delle sue produzioni artistiche. Questo patrimonio, che in Italia si concreta in essenze e realtà materiali e immateriali, esclusive e originali, rende grande e incomparabile il nostro Paese, ne costituisce la sua reputazione ed è la sostanza del suo futuro. La bellezza si qualifica come la peculiarità dell'Italia. Il Bel Paese;
la conservazione, la tutela e la promozione di tutto il patrimonio della nazione sono un atto di principio e un dovere nei confronti delle generazioni future. Dal riconoscimento e dalla valorizzazione di tale patrimonio dobbiamo ripartire per dare un futuro sostenibile e certo al nostro Paese;
risulta perciò giusto e necessario riconoscere la bellezza nella nostra Carta costituzionale come valore costituzionalmente protetto,
impegna il Governo
ad adottare le opportune iniziative normative volte a recepire nella Costituzione il principio che la Repubblica riconosce la bellezza quale elemento costitutivo dell'identità nazionale, la conserva, la tutela e la promuove in tutte le sue forme materiali e immateriali: storiche, artistiche, culturali, paesaggistiche e naturali.
9/2613-A/38. Pellegrino, Bray, Matarrese, Marazziti, Marti, Pisicchio, di Salvo, Zaratti, Quaranta, Costantino, Cominelli, Quintarelli, Gitti, Ribaudo, Laforgia, Oliverio, Malpezzi, Iacono, Sbrollini, Cimbro, Latronico, Zoggia, Abrignani, Carrozza, Fiorio, Lauricella, Matarrelli, Melilla, Preziosi, Zappulla, Zaccagnini, Prina, Pastorelli, Palese, Boccuzzi, Albini, Amoddio, Amato, Beni, Becattini, Ciracì, Carra, Capone, D'Ottavio, Fabbri, Folino, Gnecchi, Patriarca, La Marca, Sgambato, Verini, Gigli, Mariani, Covello, Paolo Rossi, Romanini, Taricco, Bratti, Prina.
La Camera,
premesso che:
la caratteristica distintiva del nostro Paese, la reputazione universalmente riconosciuta all'Italia è la bellezza. Nel processo di globalizzazione economico, sociale e culturale che, dalla fine del novecento, sta interessando anche il nostro Paese si è rilevato che il valore aggiunto che l'Italia può vantare non risiede nella produzione e nella crescita di beni di consumo omologati e livellati verso il basso, bensì nel valorizzare i processi creativi che da sempre hanno declinato il valore dell'Italia in tutte le sue forme: artistiche, materiali e immateriali, culturali, architettoniche, paesaggistiche e naturali, facendone un Paese unico al mondo, fino all'ultima declinazione che ha generato il made in Italy universalmente riconosciuto;
per superare la crisi e il declino e vincere la sfida della globalizzazione l'Italia può contare sull'unicità del suo territorio, sullo spessore della sua storia, sulla qualità della sua cultura, sulla grandezza delle sue produzioni artistiche. Questo patrimonio, che in Italia si concreta in essenze e realtà materiali e immateriali, esclusive e originali, rende grande e incomparabile il nostro Paese, ne costituisce la sua reputazione ed è la sostanza del suo futuro. La bellezza si qualifica come la peculiarità dell'Italia. Il Bel Paese;
la conservazione, la tutela e la promozione di tutto il patrimonio della nazione sono un atto di principio e un dovere nei confronti delle generazioni future. Dal riconoscimento e dalla valorizzazione di tale patrimonio dobbiamo ripartire per dare un futuro sostenibile e certo al nostro Paese;
risulta perciò giusto e necessario riconoscere la bellezza nella nostra Carta costituzionale come valore costituzionalmente protetto,
impegna il Governo
a favorire, nelle sedi opportune, l'esame delle proposte volte a recepire nella Costituzione il principio che la Repubblica riconosce la bellezza quale elemento costitutivo dell'identità nazionale, la conserva, la tutela e la promuove in tutte le sue forme materiali e immateriali: storiche, artistiche, culturali, paesaggistiche e naturali.
9/2613-A/38. (Testo modificato nel corso della seduta) Pellegrino, Bray, Matarrese, Marazziti, Marti, Pisicchio, di Salvo, Zaratti, Quaranta, Costantino, Cominelli, Quintarelli, Gitti, Ribaudo, Laforgia, Oliverio, Malpezzi, Iacono, Sbrollini, Cimbro, Latronico, Zoggia, Abrignani, Carrozza, Fiorio, Lauricella, Matarrelli, Melilla, Preziosi, Zappulla, Zaccagnini, Prina, Pastorelli, Palese, Boccuzzi, Albini, Amoddio, Amato, Beni, Becattini, Ciracì, Carra, Capone, D'Ottavio, Fabbri, Folino, Gnecchi, Patriarca, La Marca, Sgambato, Verini, Gigli, Mariani, Covello, Paolo Rossi, Romanini, Taricco, Bratti, Prina.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 1 del disegno di legge al nostro esame reca disposizioni in materia di controllo parlamentare sull'operato del Governo in relazione alle funzioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;
nel corso della XVII legislatura e fino alla data del 3 marzo 2015, sono stati presentati nei due rami del Parlamento 32.735 atti di sindacato ispettivo (di cui 22.693 alla Camera e 10.042 al Senato). Di questi, sottratti gli atti di indirizzo, risultano presentati 20.854 atti che fanno riferimento alla funzione di controllo del Parlamento (di cui 15.341 alla Camera e 5.513 al Senato);
il Governo ha risposto solo a 6.553 di quest'ultimi, pari a circa il 31 per cento degli atti di controllo; la funzione di controllo parlamentare è tra le più importanti tra quelle attribuite alle Camere,
impegna il Governo
a favorire, per quanto di sua competenza, l'efficace esercizio della funzione parlamentare di controllo, anche prendendo le opportune iniziative per aumentare il numero di risposte agli atti di sindacato ispettivo da parte dei Ministri, nonché la loro tempestività.
9/2613-A/39. Zaratti, Melilla, Quaranta, Costantino.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge al nostro esame introduce all'articolo 31, importanti innovazioni con riguardo al riparto di competenze legislative e regolamentari tra Stato e regioni di cui all'articolo 117 della Costituzione attraverso la soppressione della competenza concorrente e una redistribuzione delle materie tra competenza esclusiva statale e competenza regionale;
in base al nuovo riparto di competenze, la materia ambientale rimane nell'ambito della competenza esclusiva statale (lettera s), ma muta denominazione in quanto, in luogo della «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema», si fa riferimento ad «ambiente ed ecosistema»;
la competenza in materia ambientale andrebbe integrata con un riferimento esplicito allo «sviluppo sostenibile» alla luce dell'evoluzione e del dibattito, anche internazionale, che si è svolto negli ultimi anni in ordine alla necessità di coniugare la dimensione ambientale, economica e sociale dello sviluppo;
la materia ambientale andrebbe integrata con un riferimento esplicito alla «difesa del suolo», al fine di sottolineare l'esigenza di interventi incisivi ed efficaci di tutela in risposta alle peculiarità e alle criticità del territorio italiano;
sarebbe opportuno fare più correttamente riferimento agli «ecosistemi» anziché all’«ecosistema», al fine di ricomprendere in tale materia gli ecosistemi naturali e quelli artificiali,
impegna il Governo
ad adottare le opportune iniziative normative volte a tutelare l'ambiente e gli ecosistemi, nonché a predisporre un adeguato ed efficace programma pluriennale di difesa del suolo.
9/2613-A/40. Zaccagnini, Pellegrino, Zaratti, Quaranta, Costantino.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 1 del provvedimento al nostro esame ha modificato l'articolo 55 della Costituzione stabilendo che: «Il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali. Concorre all'esercizio della funzione legislativa nei casi e secondo le modalità stabiliti dalla Costituzione, nonché all'esercizio delle funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica (...)»;
l'articolo 2 del provvedimento al nostro esame ha invece modificato l'articolo 57 della Costituzione disponendo che: «Il Senato della Repubblica è composto da novantacinque senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali (...)»;
la nuova configurazione dei poteri e delle funzioni del Parlamento e in particolare la nuova composizione del Senato impatta sulla Conferenza Stato-regioni, il cui ruolo andrà necessariamente ridefinito, al fine di evitare sovrapposizioni istituzionali,
impegna il Governo
a prendere le opportune iniziative, in accordo con la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, al fine di ridefinire il ruolo della Conferenza Stato-regioni alla luce della riforma del Senato della Repubblica di cui al provvedimento al nostro esame.
9/2613-A/41. Paglia, Costantino, Quaranta.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 1 del provvedimento al nostro esame ha modificato l'articolo 55 della Costituzione stabilendo che: «Il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali. Concorre all'esercizio della funzione legislativa nei casi e secondo le modalità stabiliti dalla Costituzione, nonché all'esercizio delle funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica (...)»;
l'articolo 2 del provvedimento al nostro esame ha invece modificato l'articolo 57 della Costituzione disponendo che: «Il Senato della Repubblica è composto da novantacinque senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali (...)»;
la nuova configurazione dei poteri e delle funzioni del Parlamento e in particolare la nuova composizione del Senato impatta sulla Conferenza Stato-regioni, il cui ruolo andrà necessariamente ridefinito, al fine di evitare sovrapposizioni istituzionali,
impegna il Governo
a prendere le opportune iniziative al fine di ridefinire il ruolo della Conferenza Stato-regioni alla luce della riforma del Senato della Repubblica di cui al provvedimento al nostro esame.
9/2613-A/41. (Testo modificato nel corso della seduta) Paglia, Costantino, Quaranta.
La Camera,
premesso che:
le disposizioni del titolo V della parte II della Costituzione, nei tredici anni di applicazione della riforma del 2001 hanno determinato fenomeni di incertezza e confusione nella ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni ed hanno conseguentemente prodotto un elevato contenzioso costituzionale;
l'articolo 30, del provvedimento al nostro esame, prevede che tra le materie che con legge dello Stato possono essere attribuite ad alcune Regioni, siano comprese l'istruzione, l'ordinamento scolastico, l'istruzione universitaria e la programmazione strategica della ricerca scientifica, di cui alla lettera n) del secondo comma del nuovo articolo 117;
in realtà, si tratta di settori dell'ordinamento di primario interesse nazionale, connessi ai diritti di cittadinanza e per i quali, quindi, appare opportuno garantire la massima omogeneità su tutto il territorio nazionale;
inoltre, in relazione a quanto previsto all'articolo 31, si deve chiarire che l'attribuzione alla competenza legislativa esclusiva delle Regioni della materia della promozione del diritto allo studio anche universitario, non esclude la possibilità per lo Stato di adottare disposizioni generali in materia, in considerazione del fatto che gli interventi pubblici in tale direzione sono essenzialmente finalizzati alla rimozione degli ostacoli e delle disparità che incontrano i ragazzi nell'esercizio di tale diritto, e che tali ostacoli sono anche legati alle differenze, di risorse e di capacità organizzative, che si registrano nelle diverse aree del Paese,
impegna il Governo
ad adottare le opportune iniziative normative volte a garantire la massima omogeneità su tutto il territorio nazionale delle disposizioni concernenti l'istruzione, l'ordinamento scolastico, l'istruzione universitaria e la programmazione strategica della ricerca scientifica, nonché a prevedere la possibilità dello Stato di adottare disposizioni generali in materia di diritto allo studio.
9/2613-A/42. Giancarlo Giordano, Pannarale, Quaranta, Costantino.
La Camera,
premesso che:
le modifiche proposte al Titolo V della Costituzione dal disegno di legge in esame riducono l'ambito spettante alla potestà legislativa regionale rispetto alle norme costituzionali ancora in vigore, operando una riforma ad orientamento «centripeto», che per quanto concerne la materia sanitaria tenderebbe a superare le difformità esistenti fra i sistemi sanitari regionali;
si possono esprimere perplessità sulla circostanza che la nuova formulazione dell'articolo 117 sia in grado di operare una definitiva chiarezza sulla ripartizione delle competenze legislative tra Stato e regioni, in particolare per quanto riguarda la locuzione «disposizioni generali e comuni» per qualificare la competenza esclusiva statale in alcune materie tra cui la tutela della salute, la sicurezza alimentare e la tutela e la sicurezza del lavoro;
la prima parte dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), si riferisce a tutti i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e non solo a quelli sanitari;
nell'articolo 117, risulta attribuita allo Stato in via esclusiva la potestà legislativa in materia di politiche sociali, in quanto è da considerarsi complementare rispetto a quella della tutela della salute al fine di garantire indirizzi nazionali uniformi in temi di integrazione socio-sanitaria;
l'articolo 117, quarto comma, come modificato dall'articolo 31 del disegno di legge al nostro esame, prevede che: «Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell'interesse nazionale.»;
la nuova configurazione dei poteri e delle funzioni del Parlamento e in particolare la nuova composizione del Senato impattano sulla Conferenza Stato-regioni, il cui ruolo andrà necessariamente ridefinito, al fine di evitare sovrapposizioni istituzionali in particolare nel settore sanitario,
impegna il Governo
ad adottare le opportune iniziative normative volte a:
ridefinire il ruolo della Conferenza Stato-Regioni onde evitare sovrapposizioni istituzionali in particolare nel settore sanitario;
prevedere che la clausola di supremazia di cui all'articolo 117, quarto comma, consenta in maniera esplicita allo Stato di intervenire anche quando lo richieda la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali;
prevedere, in caso di inerzia dello Stato nell'adozione delle disposizioni generali e comuni in materia di tutela della salute, che le regioni possano legiferare in tale materia in attesa della legge statale, al fine di evitare lacune normative.
9/2613-A/43. Matarrelli, Nicchi, Quaranta, Costantino.
La Camera,
premesso che:
il sostegno alla cultura diffusa, alla lettura, alla conoscenza del passato, alla percezione dei processi come strumento di comprensione della complessità sono obiettivi nazionali, strumenti di sviluppo civile ed economico del Paese, elementi di integrazione ed emancipazione;
la legge di riforma dei livelli di governo del Paese si prefigge lo scopo di un riordino complessivo delle competenze con l'obiettivo di rendere più efficaci ed efficienti i processi decisionali e gestionali;
le Province, per rispondere ad esigenze della propria comunità, in particolare in campo culturale, hanno istituito nel tempo musei, fondazioni, consorzi, biblioteche;
con il superamento delle Province diversi servizi culturali rimangono orfani di un riferimento certo, cosa particolarmente significativa per i sistemi bibliotecari e per i sistemi museali che negli anni attraverso lo sviluppo di reti di comuni, forme innovative di gestione, sono stati luoghi di innovazione, eccellenza, con misurabili impatti sociali ed economici, anche attraverso gestioni associate che hanno permesso di contenere i costi, rendere più efficienti i servizi, condividere mezzi informatici, acquisti, servizi di trasporto;
queste funzioni non sono né del tutto riconducibili alle funzioni fondamentali oggi previste dalla legge né sono state adottate su delega o per conferimento regionale. Per queste funzioni è necessario ed urgente un intervento del Governo. Le Regioni non sono oggi giuridicamente tenute a farsi carico di questo importante e per questo serve un lavoro sinergico tra Stato e Regioni che può avvenire solo sotto la guida del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo,
impegna il Governo
nel primo provvedimento utile, a:
garantire la sopravvivenza dei servizi culturali, quali i sistemi bibliotecari provinciali e i sistemi museali;
individuare nel Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo l'ente di riferimento cui afferiscono tali strutture, nell'ottica di una politica nazionale di promozione e sviluppo culturale che sviluppi, valorizzando i livelli di autonomia, le specificità territoriali, le innovative forme di gestione, un piano nazionale di riorganizzazione e crescita di queste forme capillari di diffusione della cultura, formazione permanente, educazione all'informazione, emancipazione culturale e centri di confronto critico con il mondo della cultura e dell'informazione.
9/2613-A/44. Rampi, Narduolo, Manzi, Zardini, Scuvera, Cominelli, Mauri, Ghizzoni, Blazina, Carocci, Malisani.
La Camera,
premesso che:
il sostegno alla cultura diffusa, alla lettura, alla conoscenza del passato, alla percezione dei processi come strumento di comprensione della complessità sono obiettivi nazionali, strumenti di sviluppo civile ed economico del Paese, elementi di integrazione ed emancipazione;
la legge di riforma dei livelli di governo del Paese si prefigge lo scopo di un riordino complessivo delle competenze con l'obiettivo di rendere più efficaci ed efficienti i processi decisionali e gestionali;
le Province, per rispondere ad esigenze della propria comunità, in particolare in campo culturale, hanno istituito nel tempo musei, fondazioni, consorzi, biblioteche;
con il superamento delle Province diversi servizi culturali, cosa particolarmente significativa per i sistemi bibliotecari e per i sistemi museali che negli anni attraverso lo sviluppo di reti di comuni, forme innovative di gestione, sono stati luoghi di innovazione, eccellenza, con misurabili impatti sociali ed economici, anche attraverso gestioni associate che hanno permesso di contenere i costi, rendere più efficienti i servizi, condividere mezzi informatici, acquisti, servizi di trasporto;
queste funzioni non sono né del tutto riconducibili alle funzioni fondamentali oggi previste dalla legge né sono state adottate su delega o per conferimento regionale. Per questo serve un lavoro sinergico tra Stato e Regioni,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di adottare utili iniziative in un quadro di competenza condivisa con le autonomie in cui la tutela dell'interesse pubblico soddisfatto da queste istituzioni trovi nel Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo il riferimento per definirne il futuro.
9/2613-A/44. (Testo modificato nel corso della seduta) Rampi, Narduolo, Manzi, Zardini, Scuvera, Cominelli, Mauri, Ghizzoni, Blazina, Carocci, Malisani.
La Camera,
premesso che:
la riforma all'esame non solo modificherà in forma incisiva la Costituzione del 1948, ma – nel combinato disposto con la nuova legge elettorale – è destinata a produrre effetti profondi sul nostro ordinamento in relazione a forma di Governo e assetto dello Stato;
tale riforma si muove su due assi: l'atteso superamento del bicameralismo paritario e una revisione del titolo V della Costituzione, con l'obiettivo di ricondurre in capo allo Stato centrale alcune materie fondamentali;
in occasione del compimento della prima lettura tra Camera e Senato sarà possibile – e persino doveroso alla luce dell'impatto di tale riforma – trarre un primo bilancio, anche al fine di valutare possibili modifiche tali da perfezionare il quadro di riferimento costituzionale per le prossime generazioni;
sempre di più occorrerà dotarsi di una Carta costituzionale capace di adattarsi non solo al trascorrere degli anni, ma ai cambiamenti sistemici e a mutate contingenze interne e internazionali;
la Carta costituzionale costituisce, per definizione, l'architrave della nostra organizzazione politica, sociale, giuridica ed economica, il comune patrimonio di valori e principi di un'intera Comunità, capace di raccontarne in parte la sua storia e di presagirne, in qualche modo, il suo futuro, a partire dalle regole fondamentali sui cui si reggerà la convivenza civile;
appare, dunque, quanto mai opportuno, in vista del referendum confermativo che lo stesso Governo ha più volte preannunciato di voler tenere anche al di fuori delle maggioranze previste dall'articolo 138 della Costituzione, prevedere un coinvolgimento che sia il più ampio possibile di vasti settori della società civile, al fine non solo di verificare il percorso fin qui compiuto e i possibili miglioramenti approntabili in corso d'opera, ma anche di coinvolgere pienamente sindaci e amministratori locali, i vertici delle Regioni, esperti, costituzionalisti e tutti coloro che a diverso titolo sperimenteranno nella quotidianità gli effetti di questa riforma,
impegna il Governo
a convocare una convenzione nazionale promossa congiuntamente alla Conferenza Stato-Regioni e all'Anci in modo da offrire ad amministratori locali, sindaci, vertici delle Regioni, esperti, costituzionalisti e a tutti coloro che a vario titolo saranno quotidianamente coinvolti da questa riforma, l'occasione di essere partecipi del cambiamento in atto e verificarne il percorso fin a quel punto compiuto, nonché di contribuire a possibili futuri miglioramenti.
9/2613-A/45. Cuperlo.
La Camera,
premesso che:
la riforma all'esame non solo modificherà in forma incisiva la Costituzione del 1948, ma – nel combinato disposto con la nuova legge elettorale – è destinata a produrre effetti profondi sul nostro ordinamento in relazione a forma di Governo e assetto dello Stato;
tale riforma si muove su due assi: l'atteso superamento del bicameralismo paritario e una revisione del titolo V della Costituzione, con l'obiettivo di ricondurre in capo allo Stato centrale alcune materie fondamentali;
in occasione del compimento della prima lettura tra Camera e Senato sarà possibile – e persino doveroso alla luce dell'impatto di tale riforma – trarre un primo bilancio, anche al fine di valutare possibili modifiche tali da perfezionare il quadro di riferimento costituzionale per le prossime generazioni;
sempre di più occorrerà dotarsi di una Carta costituzionale capace di adattarsi non solo al trascorrere degli anni, ma ai cambiamenti sistemici e a mutate contingenze interne e internazionali;
la Carta costituzionale costituisce, per definizione, l'architrave della nostra organizzazione politica, sociale, giuridica ed economica, il comune patrimonio di valori e principi di un'intera Comunità, capace di raccontarne in parte la sua storia e di presagirne, in qualche modo, il suo futuro, a partire dalle regole fondamentali sui cui si reggerà la convivenza civile;
appare, dunque, quanto mai opportuno, in vista del referendum confermativo che lo stesso Governo ha più volte preannunciato di voler tenere anche al di fuori delle maggioranze previste dall'articolo 138 della Costituzione, prevedere un coinvolgimento che sia il più ampio possibile di vasti settori della società civile, al fine non solo di verificare il percorso fin qui compiuto e i possibili miglioramenti approntabili in corso d'opera, ma anche di coinvolgere pienamente sindaci e amministratori locali, i vertici delle Regioni, esperti, costituzionalisti e tutti coloro che a diverso titolo sperimenteranno nella quotidianità gli effetti di questa riforma,
impegna il Governo
a favorire il più ampio dibattito, con il coinvolgimento delle istituzioni anche locali e di tutti i soggetti interessati, in vista dello svolgimento del referendum ai sensi dell'articolo 138 della Costituzione.
9/2613-A/45. (Testo modificato nel corso della seduta) Cuperlo.
La Camera,
premesso che:
nell'ambito del Titolo II «Rapporti etico-sociali» della Costituzione, ovvero nella parte relativa all'elencazione dei cd. diritti sociali, gode di un particolare rilievo il diritto alla salute ex articolo 32 della Costituzione, unico diritto in tutta la Carta costituzionale cui viene riconosciuto e attribuito il carattere di «fondamentale»;
per molte associazioni di pazienti e malati la competenza sulle politiche sanitarie non è adeguatamente e funzionalmente definita nella riforma costituzionale all'esame delle Camere ed è dunque diffusa l'esigenza di una maggiore specificazione del diritto alla salute, da garantire attraverso i livelli essenziali delle prestazioni e i principi fondamentali di esclusiva competenza statale;
secondo la giurisprudenza costituzionale consolidata la dizione «diritti sociali» ricomprenderebbe anche i «diritti sanitari», per cui, nel corso della discussione alla Camera dei deputati, è stato da più parti sostenuto che un'eventuale ulteriore precisazione in tal senso nel nuovo testo costituzionale sarebbe stata pleonastica;
la riforma del Titolo V della Costituzione approvata nel 2001 ha dato vita a ventuno sistemi sanitari diversi, in territori con differente gettito fiscale, con differente capacità e appropriatezza di spesa, con differente strutturazione dei sistemi sanitari regionali e della loro appropriatezza nella risposta ai bisogni sanitari, incapaci di assicurare in egual misura i livelli essenziali delle prestazioni e dell'assistenza sanitaria, con il rischio concreto di disapplicazione dei principi di equità e universalità del nostro sistema sanitario;
tale difformità di prestazioni erogate rischierebbe di penalizzare e di peggiorare l'inadeguatezza dei sistemi sanitari regionali più deboli e, nei contesti più difficili, andrebbe inevitabilmente a limitare maggiormente le tutele sanitarie delle fasce più deboli e meno protette della popolazione;
l'esigenza del rafforzamento dell'azione statale di perequazione e di verifica è peraltro presente nelle stesse conclusioni dell'indagine conoscitiva sulla sostenibilità del welfare sanitario italiano, condotta tra il 2013 e il 2014 dalle Commissioni affari sociali e bilancio della Camera, che hanno sottolineato la necessità di garantire con maggior forza identici diritti di salute a tutti i cittadini italiani, sull'intero territorio nazionale;
la sentenza n. 203 del 2008 della Corte Costituzionale ha precisato e chiarito che «proprio per assicurare l'uniformità delle prestazioni che rientrano nei livelli essenziali di assistenza (LEA), spetta allo Stato determinare la ripartizione dei costi relativi a tali prestazioni tra il Servizio sanitario nazionale e gli assistiti, sia prevedendo specifici casi di esenzione a favore di determinate categorie di soggetti, sia stabilendo soglie di compartecipazione ai costi, uguali in tutto il territorio nazionale»,
impegna il Governo
ad assumere le opportune iniziative per la piena tutela del diritto alla salute in tutte le regioni italiane, garantendo l'intervento perequativo delle opportunità e quello di verifica e di controllo da parte dello Stato.
9/2613-A/46. Vargiu, Matarrese, Cimmino, Fauttilli, Capelli, Sbrollini, Sottanelli, Ciracì, Binetti, Capua, Catania, Rabino, Fucci, Calabrò.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge di revisione costituzionale in esame ha profondamente modificato funzioni e composizione del Senato della Repubblica;
con la modifica prevista dall'articolo 1 del disegno di legge, che modifica l'articolo 55 della Costituzione e rivisita profondamente le funzioni proprie dei due rami del Parlamento, consegue la configurazione di un diverso assetto costituzionale, caratterizzato, in primo luogo, da un bicameralismo differenziato, in cui il Parlamento continua ad articolarsi in Camera e Senato, ma i due organi hanno composizione diversa e funzioni in gran parte differenti;
l'articolo 2 del disegno di legge – modificando l'articolo 57 della Costituzione – definisce una diversa composizione e una nuova modalità di elezione del Senato della Repubblica: in particolare, rispetto ai 315 senatori elettivi previsti dal testo costituzionale vigente, il nuovo Senato è composto da 95 senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali, eletti dai consigli regionali o delle province autonome;
l'articolo 10, inoltre, che sostituisce l'articolo 70 della Costituzione, prevede il superamento del bicameralismo perfetto, differenziando i poteri che ciascuna delle due Camere esercita nella formazione delle leggi;
il nuovo articolo 70 disciplina quindi il procedimento legislativo innovando profondamente rispetto all'attuale assetto: vengono infatti delineate due tipologie di procedimento, bicamerale e monocamerale, cui si affianca una specifica procedura, monocamerale con ruolo rinforzato del Senato, per le sole leggi che applicano la cosiddetta clausola di supremazia, prevista dal nuovo quarto comma dell'articolo 117;
in base alla nuova architettura, il procedimento legislativo bicamerale, caratterizzato oggi da un ruolo paritario delle due Camere che esercitano collettivamente e con gli stessi poteri la funzione legislativa, sarà mantenuto solo per alcune categorie di leggi, individuate al primo comma dell'articolo 70 della Costituzione;
di sicuro siamo ben lungi dal superamento del bicameralismo perfetto in quanto sono ancora presenti due Camere, con un Senato non eletto dai cittadini, ma nominato dalle rappresentanze delle istituzioni territoriali (Regioni e province autonome);
i tempi attuali, infine, ci impegnano ad avere procedure decisionali più veloci, maggiore certezza nei percorsi legislativi e, peraltro, un crescente contenimento della spesa pubblica;
impegna il Governo
a procedere, nel percorso delle riforme costituzionali, all'abolizione secca del Senato della Repubblica, affidando le uniche funzioni alla Camera dei Deputati eletta a suffragio universale diretto, evitando per quanto possibile l'ipotesi attuale di un bicameralismo a geometrie variabili con due Camere aventi competenze diverse (nonché diverse modalità d'elezione) che potrebbe produrre dannosi ritardi nei tempi di approvazione delle leggi.
9/2613-A/47. Altieri, Marti, Distaso, Fucci, Chiarelli, Ciracì.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge costituzionale in discussione risponde all'esigenza, espressa con costanza nel dibattito politico e istituzionale degli ultimi dieci anni, di superare il bicameralismo paritario previsto dalla costituzione del 1948, modificando la composizione e le funzioni del Senato della Repubblica;
il Senato della Repubblica diviene Camera rappresentativa delle istanze territoriali: sarà composto da novantacinque senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali e da cinque senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica. I Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano eleggono con metodo proporzionale i senatori fra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, fra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori. Ad ogni Regione è assegnato un numero di rappresentanti proporzionale alla propria popolazione, che non può essere inferiore a due;
l'assetto della nuova composizione intende trasformare il Senato in un organo in grado di veicolare nel circuito decisionale statale, in particolare nel procedimento di formazione delle leggi, le istanze che provengono dai territori;
il Senato della Repubblica riformato concorre all'esercizio della funzione legislativa, e delle funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica e tra questi ultimi e l'Unione Europea; partecipa alle decisioni dirette alla formazione e all'attuazione degli atti normativi e delle politiche dell'Unione europea e ne valuta l'impatto; concorre alla valutazione delle politiche pubbliche e della attività delle pubbliche amministrazioni, alla verifica dell'attuazione delle leggi statali, nonché all'espressione dei pareri sulle nomine di competenza del Governo nei casi previsti dalla legge;
a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta nel nostro ordinamento si è sviluppato un sistema di conferenze territoriali – conferenza Stato-Regioni, conferenza Stato-città e conferenza unificata – chiamate a garantire la cooperazione e il raccordo tra i diversi livelli di governo presenti nel nostro ordinamento; da allora fino ad oggi il novero delle competenze attribuite alle conferenze è sensibilmente aumentato anche in ragione dell'assenza di una sede istituzionale di coordinamento fra gli enti costitutivi della Repubblica;
impegna il Governo
affinché in sede di attuazione del disegno di legge costituzionale in esame siano assunte le iniziative opportune per adeguare il sistema delle conferenza Stato-Regioni alla presenza di una seconda Camera del Parlamento nazionale rappresentativa delle istanze territoriali nell'ambito del procedimento legislativo e della funzione di raccordo tra gli enti costitutivi della Repubblica.
9/2613-A/48. Lattuca.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge costituzionale in discussione risponde all'esigenza di superare il bicameralismo paritario previsto dalla Costituzione del 1948 espressa con costanza nel dibattito politico e istituzionale degli ultimi anni, modificando la composizione e le funzioni del Senato della Repubblica, che diviene una Camera rappresentativa delle istituzioni territoriali, i cui membri sono eletti dai Consigli regionali;
ai sensi del disegno di legge in esame il nuovo Senato della Repubblica sarà composto da novantacinque senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali e da cinque senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica. I Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano eleggeranno con metodo proporzionale i senatori fra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, fra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori. Ad ogni Regione è assegnato un numero di rappresentanti proporzionale alla propria popolazione, che non può essere inferiore a due. L'assetto della nuova composizione intende trasformare il Senato in un organo in grado di veicolare nel circuito decisionale statale, in particolare nel procedimento di formazione delle leggi, le istanze provenienti dal territorio;
la rappresentanza delle istanze territoriali che il Senato della Repubblica riformato è chiamato a svolgere sarebbe istituzionalmente più efficace e politicamente più autorevole se al suo interno sedessero i Presidenti delle Giunte regionali, che pure guidando i governi regionali sono membri delle Assemblee legislative regionali e godono a tutti gli effetti dell'elettorato passivo per entrare a far parte della seconda Camera del Parlamento nazionale,
impegna il Governo
ad assumere, nel rispetto delle competenze e della libertà di scelta dei Consigli regionali e dei Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano, le iniziative opportune al fine promuovere la presenza al Senato della Repubblica dei Presidenti di Regione.
9/2613-A/49. Pollastrini, Lattuca.
La Camera,
premesso che:
nel corso della XVI legislatura, come è noto, in concomitanza con l'acuirsi delle tensioni sui debiti sovrani dell'area dell'Euro, a livello comunitario fu deciso di prevedere negli ordinamenti nazionali ulteriori e più stringenti regole per il consolidamento fiscale e con la legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 venne approvata una profonda modifica dell'articolo 81, che facendo seguito a quanto già previsto nel cd. Fiscal compact, introduceva tra le altre cose in Costituzione il principio dell'equilibrio strutturale delle entrate e delle spese del bilancio;
in particolare, il secondo comma del novellato articolo 81 ha poi previsto che il ricorso all'indebitamento sia consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali, che ai sensi dell'articolo 5 della legge costituzionale n. 1 del 2012 possono consistere in gravi recessioni economiche, crisi finanziarie e gravi calamità naturali;
tuttavia, è ormai evidente con il protrarsi drammatico degli effetti della crisi sulle diverse economie europee che una politica economica con effetti anti-ciclici, capace dunque non solo di contrastare il rischio di una profonda recessione, ma capace anche di stimolare efficacemente una nuova crescita economica che possa condurre l'Italia finalmente fuori dalla recessione non può che passare attraverso nuove e consistenti spese per investimento, anche rendendo possibile in tali ipotesi il ricorso all'indebitamento;
come recentemente dichiarato, infatti, anche dallo stesso Commissario europeo per gli affari economici e monetari, la responsabilità fiscale è una condizione non sufficiente per rilanciare crescita e occupazione e per farle ripartire servono anche riforme strutturali e investimenti;
occorre dunque quanto prima introdurre forme maggiori di flessibilità, che consentano di non contabilizzare ai fini del calcolo del debito e del deficit le spese infrastrutturali e quelle comunque destinate ad investimenti strategici, e che consentano la loro esclusione ai fini dell'apertura delle procedure per deficit eccessivo o per squilibri macro-economici;
del resto ciò appare in qualche modo in linea non solo con le dichiarazioni più volte manifestate dallo stesso Presidente del Consiglio in merito alla necessità di cambiare la politica economica in Europa, ma anche con la recente comunicazione della Commissione europea sulla flessibilità, denominata «Per incoraggiare le riforme strutturali e gli investimenti»:
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di rinegoziare nelle opportune sedi europee una profonda modifica della disciplina attualmente vigente al fine di garantire che le spese infrastrutturali vengano scomputate dal deficit e che sia reso possibile il ricorso all'indebitamento quando questo abbia come obiettivo le spese per investimento.
9/2613-A/50. Carlo Galli, Pollastrini, Cuperlo.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge all'esame non affronta adeguatamente alcuni temi fondamentali per un dettato costituzionale moderno e consapevole delle reali esigenze dei cittadini;
la Costituzione, nel testo vigente, sancisce all'articolo 53 della Costituzione i principi per i quali «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.»;
diversi studi economici concordano nel mostrare dati allarmanti sulle politiche della pressione fiscale in Italia che, attestatasi nel 2014 al 43,5 per cento, vede il nostro Paese sul primo gradino per quanto concerne la tassazione effettiva;
oltre al pesante carico fiscale annuo che grava sulle famiglie, bisogna rilevare ulteriori effetti recessivi, visto che una parte significativa del gettito è stata impiegata per sostenere e ripianare il debito pubblico, e non per interventi di stimolo alla crescita, comprimendo così la capacità economica e la propensione alla spesa di cittadini e imprese;
nel corso del dibattito parlamentare è stata più volte proposta la possibilità di prevedere, direttamente all'interno della Costituzione, la definizione di un limite al prelievo fiscale in rapporto al prodotto interno lordo nazionale,
impegna il Governo
a valutare la possibilità di introdurre, attraverso provvedimenti successivi, anche di rango costituzionale, un tetto alla pressione fiscale che non superi il 40 per cento del prodotto interno lordo nazionale, e che comunque risulti agganciato alle fluttuazioni della media europea, e, in ogni caso, ad adottare ogni opportuna iniziativa volta a realizzare una diminuzione della pressione fiscale per i cittadini e le imprese.
9/2613-A/51. Gelmini.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 2 del disegno di legge in esame trasforma il Senato sia riguardo alla sua composizione numerica, sia riguardo alle modalità di elezione;
il Senato sarà composto da novantacinque senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali, eletti dai consigli regionali o dalle province autonome di Trento e Bolzano con metodo proporzionale tra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, tra i sindaci dei comuni dei rispettivi territori; oltre alla diminuzione del numero dei componenti viene quindi prevista una elezione di secondo grado, che sostituisce l'elezione popolare diretta;
come stabilito dall'articolo 1, comma 2, della Costituzione «la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione»;
è necessario salvaguardare sia l'esigenza di rappresentatività, e, quindi, un rapporto organico dei senatori con i consigli regionali per tutta la durata del mandato, e sia il consenso dei cittadini: pertanto non è possibile che la scelta di chi, tra i consiglieri regionali debba essere anche senatore, sia rimessa ai soli gruppi consiliari, senza valutare in alcun modo il consenso ottenuto tra i cittadini;
sarebbe stato opportuno prevedere, in alternativa all'elezione diretta del Senato, che almeno una quota dei senatori fosse designata tra quei componenti dei consigli regionali i quali, nell'ambito del proprio raggruppamento politico, avessero ottenuto, alle elezioni regionali, il maggior consenso personale, o comunque secondo altro criterio idoneo ad assicurare che l'individuazione dei senatori discenda comunque direttamente dalla scelta elettorale dei cittadini della regione,
impegna il Governo
ad adottare le opportune iniziative normative volte a garantire che, nell'ambito dell'elezione dei senatori da parte dei consigli regionali, sia assicurata la rappresentanza delle opposizioni.
9/2613-A/52. Ciracì.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 21 del testo in esame interviene sull'elezione del Presidente della Repubblica (articolo 83 della Costituzione), sopprimendo la previsione della partecipazione all'elezione dei delegati regionali, alla luce delle nuova composizione del Senato di cui fanno parte rappresentanti delle regioni e degli enti locali;
inoltre, viene modificato il sistema dei quorum per l'elezione del Capo dello Stato, prevedendo la maggioranza dei due terzi dei componenti fino al terzo scrutinio, la maggioranza dei tre quinti dei componenti dal quarto scrutinio e la maggioranza dei tre quinti dei votanti dal settimo scrutinio. Attualmente, per i primi tre scrutini è necessaria la maggioranza dei due terzi dei componenti, mentre dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta;
nel testo vigente della Costituzione il Capo dello Stato non ha una legittimazione popolare nello svolgere il suo ruolo di garante attivo del buon funzionamento dello Stato;
l'elezione diretta del Capo dello Stato con poteri di direzione politica è una soluzione fondamentale per ragione storiche, politiche e istituzionali; è infatti necessario un Capo dello Stato eletto direttamente dai cittadini che abbia la forza democratica e politica di far funzionare lo Stato e sbloccare gli stati di crisi;
ad un Parlamento caratterizzato da una Camera dei deputati dai poteri rafforzati, nel quadro di un bicameralismo non più paritario in cui il Senato cessa di essere una camera politica direttamente eletta, andava posto come contrappeso un Presidente della Repubblica eletto direttamente dai cittadini;
l'elezione diretta del Presidente della Repubblica vuol dire democrazia, abilitando chi ha il consenso dei cittadini a rendere effettiva la sovranità popolare oggi bloccata da complicazioni esasperanti che impediscono di governare;
l'elezione diretta del Capo dello Stato avrebbe potuto essere la risposta più efficace a quelle spinte verso forme più dirette di partecipazione dei cittadini e rappresenterebbe la migliore garanzia per la sovranità popolare;
l'elezione diretta del Presidente della Repubblica consentirebbe al nostro Paese di presentarsi in sede europea con un vertice istituzionale dotato di una forte legittimazione democratica e quindi più credibile e più capace di far valere in quella sede le idee e gli interessi dell'Italia,
impegna il Governo
a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni recate dal provvedimento, al fine di riconsiderare la possibilità di intervenire attraverso ulteriori progetti di riforma costituzionale, prevedendo nel nostro ordinamento l'elezione del Presidente della Repubblica a suffragio universale e diretto da parte di tutti i cittadini che hanno compiuto la maggiore età.
9/2613-A/53. Polverini.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame, pur incidendo ampiamente sulle disposizioni di cui al Titolo V della Costituzione, non risolve adeguatamente il problema della riorganizzazione territoriale della Repubblica con riguardo alle Regioni; il testo si limita infatti a razionalizzare la competenza legislativa regionale riportando allo Stato il potere di legiferare su alcune materie, nonché abolendo l'attuale competenza concorrente delle regioni;
la modifica del Titolo V della Costituzione ha prodotto competenze che spesso costituiscono duplicazioni di quelle dello Stato e aggravano la complessità e i tempi degli atti amministrativi; apparati pesanti, per dotazioni di mezzi e di personale, sviluppando un enorme numero di enti strumentali e società partecipate, e un consistente aumento della spesa pubblica, provocato in gran parte da questi fattori;
uno dei principali ostacoli che storicamente si frappongono alla compiuta realizzazione del regionalismo italiano è la scarsa consistenza, in termini di territorio e popolazione, di molte Regioni, che non raggiungono la «massa critica» necessaria all'esercizio di diversi poteri che ad esse sono stati devoluti;
la sfiducia della popolazione nei confronti delle regioni appare persistente e inarrestabile, come dimostra la scarsa affluenza delle ultime elezioni regionali di Emilia-Romagna e Calabria del 23 novembre 2014;
nel corso del dibattito parlamentare è stato sollevato il tema della revisione dell'assetto territoriale attraverso l'istituzione di macroregioni, ponendo la discussione su un altro piano, sicuramente di slancio propositivo dal punto di vista strategico e operativo;
l'istituzione di macroregioni garantirebbe maggiore efficienza ed economicità della programmazione territoriale, nonché della coesione territoriale e dei livelli essenziali delle prestazioni, alle economie di scala possibili nel governo di vaste aree omogenee; eviterebbe gli squilibri territoriali determinati dalla istituzione di città metropolitane dotate di competenze simili a quelle delle attuali regioni (in particolare a seguito della legge n. 56 del 2014, la cosiddetta «legge Delrio»), e la restante parte del territorio delle aree limitrofe. Inoltre, inciderebbe positivamente sui costi della politica, riducendo la dimensione degli apparati e gli sprechi;
la riforma costituzionale si limita a razionalizzare la competenza legislativa regionale riportando allo Stato il potere di legiferare su alcune materie, nonché abolendo l'attuale competenza concorrente delle Regioni,
impegna il Governo
a verificare la possibilità di intervenire anche attraverso una propria iniziativa legislativa di rango costituzionale, coinvolgendo tutte le realtà interessate, per rivedere l'intero assetto territoriale e disporre la fusione di regioni esistenti.
9/2613-A/54. Russo.
La Camera,
premesso che:
uno dei principali ostacoli che storicamente si frappongono alla compiuta realizzazione del regionalismo italiano è la scarsa consistenza, in termini di territorio e popolazione, di molte Regioni, che non raggiungono la «massa critica» necessaria all'esercizio di diversi poteri che ad esse sono stati devoluti;
la sfiducia della popolazione nei confronti delle regioni appare persistente e inarrestabile, come dimostra la scarsa affluenza delle ultime elezioni regionali di Emilia-Romagna e Calabria del 23 novembre 2014;
nel corso del dibattito parlamentare è stato sollevato il tema della revisione dell'assetto territoriale attraverso l'istituzione di macroregioni, ponendo la discussione su un altro piano, sicuramente di slancio propositivo dal punto di vista strategico e operativo;
l'istituzione di macroregioni garantirebbe maggiore efficienza ed economicità della programmazione territoriale, nonché della coesione territoriale e dei livelli essenziali delle prestazioni, alle economie di scala possibili nel governo di vaste aree omogenee; eviterebbe gli squilibri territoriali determinati dalla istituzione di città metropolitane dotate di competenze simili a quelle delle attuali regioni (in particolare a seguito della legge n. 56 del 2014, la cosiddetta «legge Delrio»), e la restante parte del territorio delle aree limitrofe. Inoltre, inciderebbe positivamente sui costi della politica, riducendo la dimensione degli apparati e gli sprechi;
la riforma costituzionale razionalizza la competenza legislativa regionale riportando allo Stato il potere di legiferare su alcune materie, nonché abolendo l'attuale competenza concorrente delle Regioni,
impegna il Governo
a verificare la possibilità di intervenire anche attraverso una propria iniziativa legislativa di rango costituzionale, coinvolgendo tutte le realtà interessate, per rivedere l'intero assetto territoriale e disporre la fusione di regioni esistenti.
9/2613-A/54. (Testo modificato nel corso della seduta) Russo.
La Camera,
premesso che:
per coesione territoriale si intende la riduzione dei divari territoriali e del raggiungimento di una condizione di «equipotenzialità» delle opportunità di sviluppo tra le Regioni;
la coesione territoriale, al pari della coesione economica e sociale, tende alla sostenibilità dello sviluppo;
il concetto di «coesione territoriale» è soprattutto un concetto politico fondato sull'idea centrale di equità e quindi di coesione tra i territori a un determinato livello;
all'interno della coesione territoriale, i territori comunali possono assumere un ruolo molto importante come motore di sviluppo, in quanto centro dell'innovazione e della crescita economica, a vantaggio delle Regioni;
la presa in considerazione della dimensione territoriale a livello europeo testimonia, tuttavia, l'importanza della coesione territoriale;
l'obiettivo di coesione territoriale garantisce condizioni ottimali di competitività a tutti i territori, tenendo conto, in particolare, della diversità delle situazioni geografiche e demografiche;
per applicare il principio di coesione territoriale nelle politiche dell'Unione europea si dovrà necessariamente passare per una comprensione condivisa di questo concetto e una conoscenza precisa di questi meccanismi ai vari livelli territoriali;
la coesione territoriale è uno strumento che può alimentare, agli opportuni livelli territoriali, trasferimenti di esperienze e, nella migliore delle ipotesi, strategie comuni e integrate di sviluppo territoriale;
per conseguire la coesione territoriale è necessario un coordinamento tra il livello locale e quello sovra-locale, mantenendo sempre alta l'attenzione sulle capacità locali di organizzarsi in processi di sviluppo che facciano leva sulle specificità dei luoghi;
la coesione territoriale evidenzia il bisogno di un approccio integrato, al fine di affrontare i problemi su una scala geografica appropriata, che può richiedere la cooperazione delle autorità locali, regionali e nazionali,
impegna il Governo
ad adottare ogni opportuna iniziativa affinché, nel processo di attuazione delle nuove norme costituzionali e comunque, più in generale, nell'ordinamento, sia garantita la piena tutela del principio di coesione territoriale e la piena eguaglianza tra i cittadini nella fruizione dei servizi pubblici essenziali e dei relativi livelli delle prestazioni.
9/2613-A/55. Occhiuto.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge costituzionale in esame riscrive ampiamente l'articolo 117 della Costituzione, in tema di riparto di competenza legislativa e regolamentare tra Stato e regioni;
l'elenco delle materie è profondamente modificato ed è soppressa la competenza concorrente, con una redistribuzione delle materie tra competenza esclusiva statale e competenza regionale;
fin dall'approvazione nel 2001 della riforma del titolo V della parte II della Costituzione, il problema principale è stato quello di una chiara individuazione del contenuto delle materie, al fine di determinare una netta linea di demarcazione tra competenza statale e competenza regionale;
le modifiche apportate all'elenco di materie dell'articolo 117 della Costituzione intervengono su un assetto ancora caratterizzato da forti incertezze interpretative ed applicative;
l'attribuzione di una determinata disciplina normativa alla sfera di competenze dello Stato o delle regioni non sempre si fonda su criteri definiti, in quanto la ripartizione, così come delineata dal nuovo articolo 117 della Costituzione, dà luogo ad una serie di interferenze e sovrapposizioni fra i diversi ambiti materiali tali da rendere incerta l'attività dell'interprete;
come dimostrato dall'enorme contenzioso costituzionale sul punto, per determinare i confini tra attribuzioni statali e regionali, bisogna spesso attendere l'intervento della Corte Costituzionale, le cui decisioni, per loro stessa natura, soffrono del forte limite della riferibilità a singole e specifiche disposizioni e pertanto non risultano idonee alla costruzione di un corpus unitario e definito di principi-guida;
il testo così come delineato non porta affatto alla diminuzione dell'attuale pesante contenzioso fra Stato e Regioni, malgrado l'espansione dei poteri legislativi dello Stato, nel momento in cui la tecnica elencativa di ciò che spetta allo Stato o, invece, alle Regioni, appare largamente imprecisa ed incompleta;
tutta questa profonda riforma del regionalismo in senso riduttivo, non si applicherebbe, se non in alcuni modestissimi ambiti, alle cinque Regioni ad autonomia speciale, e cioè a quelle Regioni di cui più si discute criticamente, determinando un trattamento manifestamente diseguale;
inoltre, la stessa riforma del Titolo V della Costituzione, così come riscritta, tornando ad accentrare materie che, nel riordino effettuato nel 2001, erano state erroneamente assegnate alle Regioni, potrebbe maturare l'eccesso opposto, e produrre una inefficienza del sistema, non ponendosi tra l'altro in maniera costruttiva nell'ambito del rapporto Stato-Regioni e in particolar modo nei confronti della composizione del «nuovo» Senato,
impegna il Governo
ad assumere iniziative volte a rendere più chiara ed esaustiva e, soprattutto, più funzionale, la delimitazione tra competenza statale e competenza regionale, e ridurre notevolmente il contenzioso in merito.
9/2613-A/56. Palese.
La Camera,
premesso che:
nelle disposizioni transitorie del provvedimento in esame, e più specificatamente all'articolo 39, comma 11, è stabilito che la riforma costituzionale, per la parte relativa alla rivisitazione del titolo V della Costituzione, non si applica alle Regioni a Statuto speciale né alle Province autonome di Trento e Bolzano, finché non si abbia adeguamento dei loro Statuti sulla base di intese con le medesime Regioni e Province autonome;
come da modifica apportata nel corso dell'esame del testo, si prevede inoltre che sino alla revisione dei predetti statuti speciali resta ferma la disciplina vigente prevista dai medesimi statuti e dalle relative norme di attuazione, ai fini di quanto previsto dall'articolo 120 della Costituzione;
è tuttora vigente l'articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 secondo cui, fino all'adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni della legge costituzionale di cui sopra si applicano anche alle Regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite;
con questa nuova previsione si contravviene allo spirito della riforma costituzionale stessa, creando una zona franca costituzionale tra regioni a statuto speciale e regioni a statuto ordinario nell'applicazione del titolo V, in quanto le regioni a statuto speciale risultano escluse dall'applicazione del nuovo riparto di competenze venendo meno l'interesse nazionale e dando vita così ad un impianto che rischia di creare forti discriminazioni tra i cittadini italiani, nonché fonte ulteriore di contenzioso costituzionale e amministrativo,
impegna il Governo
ad assumere ogni iniziativa di propria competenza volta ad accelerare l'approvazione dei nuovi Statuti, e, quindi, ad applicare le nuove disposizioni del Titolo V della Costituzione agli enti dotati di autonomia speciale, anche con riferimento alla Provincia autonoma di Bolzano, evitando così di incorrere in discriminazioni e disfunzionalità legislative.
9/2613-A/57. Biancofiore.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 10 del disegno di legge in esame sostituisce il testo dell'articolo 70 della Costituzione, il quale attualmente prevede che «la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere»;
il nuovo testo modifica l'attuale disciplina del procedimento legislativo nel tentativo di adeguarla alla nuova architettura costituzionale definita dal disegno di legge, che si fonda, in primo luogo, sul superamento del bicameralismo perfetto;
il superamento del bicameralismo perfetto passa necessariamente, più che dall'eliminazione dell'elezione diretta di una camera, da un diverso e semplificato iter legislativo;
il nuovo procedimento legislativo definito dall'articolo 70 della Costituzione, come risultante dalle modifiche contenute nell'articolo 10 del disegno di legge in esame, si fonda sulla seguente ripartizione: per talune categorie di leggi è mantenuto il procedimento legislativo bicamerale, caratterizzato da un ruolo paritario delle due Camere, che esercitano collettivamente e con gli stessi poteri la funzione legislativa, come nel sistema attualmente vigente (articolo 70, primo comma, tra cui figurano le leggi costituzionali, le modalità di attuazione dei nuovi referendum popolari propositivi e d'indirizzo, le leggi sull'ordinamento, sulla legislazione elettorale, sugli organi di governo e sull'individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane, la legge che stabilisce le norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea);
per tutti gli altri disegni di legge la relativa approvazione spetta alla sola Camera dei deputati (articolo 70, secondo comma), ferma restando la possibilità di un intervento del Senato nel corso dell'iter legislativo (procedimento monocamerale partecipato) su richiesta di un terzo dei componenti ed entro dieci giorni dall'approvazione della Camera del disegno di legge. Nei trenta giorni successivi, il Senato può deliberare proposte di modificazione, sulle quali la Camera si pronuncerà in via definitiva a maggioranza semplice (articolo 70, terzo comma). Qualora il Senato non disponga di procedere all'esame o sia inutilmente decorso il termine per deliberare, ovvero quando la Camera si sia pronunciata in via definitiva, la legge può essere promulgata;
nell'ambito di tale procedimento, vi sono due eccezioni: per i disegni di legge riguardanti materie non riservate alla legislazione esclusiva, ma su cui il Governo interviene a tutela dell'interesse nazionale (articolo 117, quarto comma), la Camera dei deputati può non conformarsi alle modificazioni proposte dal Senato e approvati a maggioranza assoluta dei suoi componenti, solo pronunciandosi nella votazione finale a maggioranza assoluta dei suoi componenti; la legge di bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo (articolo 81, quarto comma), e approvati dalla Camera, sono esaminati dal Senato che può esprimere su essi proposte di modificazione entro quindici giorni dalla data di trasmissione;
contemporaneamente i poteri legislativi del nuovo Senato risultano configurati in maniera confusa: da questi potrebbero quindi derivare dubbi di legittimità costituzionale su molte leggi statali approvate con i diversi procedimenti previsti nel progetto di revisione costituzionale;
l'iter di formazione delle leggi, previsto nel disegno di legge in esame, è complesso e farraginoso, considerando che coesistono troppi procedimenti legislativi differenti a seconda non solo delle diverse tipologie di leggi, ma addirittura delle diverse materie disciplinate, con il rischio di incorrere in un vasto contenzioso di legittimità costituzionale,
impegna il Governo
ad adottare, nell'ambito delle proprie competenze, le opportune iniziative al fine di rendere più coerente il superamento del bicameralismo perfetto con un iter legislativo che sia snello ed efficace, ed evitare che sorga un contenzioso costituzionale su molte leggi statali approvate con i diversi procedimenti previsti.
9/2613-A/58. Prestigiacomo.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge di revisione costituzionale è intervenuto sul Titolo V della Parte Il della Costituzione, in particolare modificando gli articoli 114, 116, 117, 118, 119, 120 e 122;
una riforma costituzionale che fin dal titolo del provvedimento risulta improntata anche al «contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni», avrebbe potuto e dovuto intervenire in maniera più complessiva sul riassetto dell'istituto regionale, sia semplificandone il funzionamento, sia prevedendo l'accorpamento e la ridefinizione delle attuali regioni, come auspicato dagli stessi presidenti e dalla Conferenza delle Regioni;
una riduzione delle Regioni e una razionalizzazione delle loro funzioni deve significare meno burocrazia, meno sprechi con risparmi di spesa sensibili e misurabili dai cittadini,
impegna il Governo
ad avviare un'ampia riflessione sull'attuale configurazione del sistema regionale, attivando un nuovo processo di revisione costituzionale, a partire dal progetti di legge già presentati alla Camera, che porti ad adeguare e ammodernare l'istituto regione.
9/2613-A/59. Galati.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge di riforma costituzionale in esame, nelle disposizioni transitorie di cui all'articolo 39, non specifica nel dettaglio le modalità secondo le quali i Consigli regionali e provinciali dovranno procedere, in sede di prima applicazione, all'elezione dei componenti del Senato della Repubblica;
si ritiene che sia interesse del Paese che, per l'elezione del Senato della Repubblica, in sede di prima applicazione del presente disegno di legge, si tenga secondo norme chiare e coerenti;
impegna il Governo
ad adottare ulteriori iniziative normative, con gli strumenti a sua disposizione, volte a garantire, in sede di prima applicazione delle norme inerenti la composizione del Senato della Repubblica, un uniforme svolgimento delle operazioni di voto e, quindi, a farsi carico di risolvere le seguenti criticità: l'indicazione dei soggetti titolati a presentare le liste di candidati; i tempi e le modalità secondo le quali dovranno essere presentate le liste di candidati; l'indicazione delle modalità tramite le quali sarà garantita l'elezione di un solo sindaco per ogni Regione; l'indicazione delle modalità secondo le quali dovrà essere individuata la lista che si dovrà far carico dell'elezione del sindaco; l'indicazione delle modalità secondo le quali si dovrà procedere in caso di decadenza o dimissioni di un consigliere o di un sindaco eletto senatore.
9/2613-A/60. Parisi.
La Camera,
premesso che:
il presente disegno di legge di riforma costituzionale modifica le modalità di elezione del Senato della Repubblica prevedendo la sua composizione tramite elezioni di secondo grado;
il presente disegno di legge di riforma costituzionale interviene altresì sulle competenze legislative delle Regioni e sull'organizzazione degli enti di area vasta;
si ritiene che, in ottemperanza della Carta europea dell'autonomia locale, firmata a Strasburgo il 15 ottobre 1985 e ratificata dallo Stato italiano con la legge 30 dicembre 1989, n. 439, i rappresentanti dei cittadini nei Consigli delle Città metropolitane dovrebbero essere eletti con suffragio libero, segreto, paritario, diretto ed universale;
impegna il Governo
ad adottare ulteriori iniziative normative, con gli strumenti a sua disposizione, volte a garantire la reale possibilità per i cittadini di eleggere direttamente i propri rappresentanti presso i Consigli delle Città metropolitane.
9/2613-A/61. Faenzi.
La Camera,
premesso che:
seguendo un approccio già manifestato nei recenti tentativi di riforma, il legislatore costituzionale attuale opera una cesura con la tradizione del linguaggio costituente, adottato nell'elaborare il testo del 1948;
in particolare si fa largo uso della tecnica regolamentare a scapito di una formulazione compromissoria delle disposizioni costituzionali, che rappresenti la sintesi tra orientamenti e visioni culturali e politiche diverse. In secondo luogo il testo conosce spesso interpolazioni e ricorso ad incidentali che, mettendo a rischio la sintassi dei testi, solleva comunque un problema di appesantimento delle singole disposizioni e di coordinamento e coerenza tra disposizioni diverse. In alcuni casi il ricorso, peraltro già avvenuto in passato, a formule come «interesse nazionale» o «interesse all'unità giuridica ed economica della Repubblica» pone alcuni problemi: una non facile concretizzazione delle formule, concretizzazione che comunque appare essere nella disponibilità apparentemente insindacabile del potere esecutivo; una certa inattualità delle formule utilizzate dal momento che l'ordinamento italiano partecipa all'Unione europea, che è un fenomeno che supera ontologicamente il concetto di unità nazionale di ordinamento, che risulta formalmente separato da altri sistemi;
sotto specifico profilo della tecnica di normazione, il legislatore costituente ricorre ancora, soprattutto con riferimento ai rapporti tra Stato e Regioni ed in sede di procedimento legislativo, alla tecnica della enumerazione delle materie;
questa scelta segnala alcuni problemi: non ci si rende conto che i conflitti tra livelli istituzionali locali e centrali nella riforma del 2001 sono stati determinati proprio dall'uso di questa tecnica di enumerazione e non dalla presenza delle materie concorrenti. Questa tecnica risulta inadatta nella gestione di politiche pubbliche trasversali, di fasci di competenze che necessariamente richiedono la partecipazione di diversi soggetti;
è ancora più inadatta se affidata ad elenchi poco chiari e contenenti ambiti materiali generici, come «ambiente», «tutela della salute», «coesione sociale», e così voi, da cui ne deriva una inevitabile vindicatio potestatis da parte di più livelli con la conseguenza di un inevitabile conflitto nell'individuazione del soggetto volta per volta titolato all'adozione di provvedimento legislativo o amministrativo;
in sostanza si riprodurrà la vecchia competenza concorrente definita però attraverso categorie nuove e incerte, che in quanto tali andranno a produrre, non a ridurre, i conflitti;
sarebbe stato opportuno adottare una formulazione del testo del disegno di legge costituzionale per adeguarne il tono linguistico a quello originario della Carta, eliminando sovrabbondanza di frasi incidentali ed eccessivo ricorso a norme di dettaglio, tipiche della legislazione di natura secondaria, superando la «tecnica di enumerazione delle materie» sia con riferimento alle nuove competenze Stato- Regioni che ai nuovi rapporti tra Senato e Camera dei Deputati in quanto tecnica cui la giurisprudenza costituzionale attribuisce le ragioni dei conflitti dopo la riforma del 2001 e rivedendo il ricorso a formule, in sede di enumerazione delle competenze, come «ambiente» «tutela della salute» e «coesione sociale» e così via, al fine di evitare una reintroduzione implicita di nuove forme di competenza concorrente determinata da categorie nuove ed incerte
impegna il Governo
per il futuro, ad adottare, con particolare riferimento alla redazione dei disegni di legge costituzionali, un linguaggio coerente con quanto esposto nell'ultimo capoverso delle premesse.
9/2613-A/62. Centemero.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge di riforma all'esame dell'Aula contiene numerose criticità che in particolare diversi costituzionalisti ed esperti hanno avuto modo di stigmatizzare, anche nel corso delle audizioni svolte in Commissione affari costituzionali; criticità che solo in parte sono state superate dagli emendamenti approvati nel corso del dibattito parlamentare;
particolarmente critica è la sommatoria tra riforma costituzionale e riforma elettorale, nelle proposte attualmente in discussione. Questo «combinato disposto» spiana la strada ad un orizzonte nel quale il momento più basso della legittimazione parlamentare nella storia della Repubblica produce il cambiamento più radicale degli ultimi 60 anni. È una contraddizione stridente che scuote le basi del vivere civile, perché elimina le fondamenta sicure e ci consegna ad un «mostro giuridico» che sarà oggetto di contestazione perenne;
dal combinato disposto delle due riforme è di tutta evidenza il prefigurarsi di un pregiudizio dei principi supremi della medesima Costituzione. Nella sentenza che ha giudicato illegittima la legge elettorale, la Corte costituzionale ha infatti chiaramente sottolineato che le ragioni della governabilità non devono prevalere su quelle della rappresentatività. Ammesso pure che tale principio non sia violato dal disegno di legge elettorale attualmente in discussione, dovrebbe sollevare più di una preoccupazione il fatto che il nuovo sistema conceda il premio di maggioranza ad una sola lista, e che la Camera, con i suoi 630 deputati, possa senza difficoltà decidere, a maggioranza, in merito a tutte o quasi tutte le cariche istituzionali. Un sistema complessivo che risulterebbe quindi privo di bilanciamento, ovvero di quei pesi e contrappesi necessari per garantire l'equilibrio politico istituzionale tra poteri, e tra le diverse forze politiche in campo, a piena garanzia del popolo sovrano;
entrando ancora nel merito del testo di riforma costituzionale, sono molte le critiche condivise riguardo ad inefficienze tecniche del testo, che incidono in particolare sul procedimento legislativo e sul riparto di competenze Stato-Regioni. Il testo così come delineato non porterebbe affatto alla diminuzione dell'attuale pesante contenzioso fra Stato e Regioni, malgrado l'espansione dei poteri legislativi dello Stato, nel momento in cui la tecnica elencativa di ciò che spetta allo Stato o, invece, alle Regioni, appare largamente imprecisa ed incompleta. Contemporaneamente i poteri legislativi del nuovo Senato risulterebbero configurati in maniera confusa: da questi potrebbero quindi derivare dubbi di legittimità costituzionale su molte leggi statali approvate con i diversi procedimenti previsti nel progetto di revisione costituzionale. Inoltre, tutta questa profonda riforma del regionalismo in senso riduttivo, non si applicherebbe, se non in alcuni modestissimi ambiti, alle cinque Regioni ad autonomia speciale, e cioè a quelle Regioni di cui – a ragione o torto – più si discute criticamente, determinando un trattamento manifestamente diseguale. Inoltre, la stessa riforma del Titolo V della Costituzione, così come riscritta, tornando ad accentrare materie che, nel riordino effettuato nel 2001, erano state erroneamente assegnate alle Regioni, matura, a parere di molti, l'eccesso opposto, che non è funzionale all'efficienza del sistema, non ponendosi in maniera costruttiva nell'ambito del rapporto Stato-Regioni,
impegna il Governo
alla luce del combinato disposto delle proposte di legge che modificano il sistema elettorale, ad adottare ogni opportuna iniziativa nella fase di attuazione del disegno di legge volta a tutelare complessivamente il bilanciamento del sistema, ovvero a garantire pesi e contrappesi necessari all'equilibrio politico istituzionale tra poteri, e tra le diverse forze politiche in campo, a piena garanzia del popolo sovrano.
9/2613-A/63. Brunetta.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 30 del disegno di legge in esame modifica il terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione, che disciplina l'ipotesi di estensione di forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni a statuto ordinario (cosiddetto «regionalismo differenziato»). A seguito delle modifiche apportate: viene ridotto l'ambito delle materie nelle quali possono essere attribuite particolari forme di autonomia alle regioni ordinarie (organizzazione della giustizia di pace; istruzione, ordinamento scolastico, istruzione universitaria; ricerca scientifica e tecnologica; beni culturali e paesaggistici; ambiente e ecosistema; ordinamento sportivo; attività culturali; turismo; governo del territorio e, a seguito di una modifica introdotta in Assemblea, politiche attive del lavoro e istruzione e formazione professionale); è introdotta una nuova condizione per l'attribuzione, essendo necessario che la regione sia in condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio; l'iniziativa della regione interessata non è più presupposto necessario per l'attivazione del procedimento legislativo aggravato, ma solo condizione eventuale; l'attribuzione delle forme speciali di autonomia avviene con legge «approvata da entrambe le Camere», senza però richiedere più la maggioranza assoluta dei componenti, ferma restando la necessità dell'intesa tra lo Stato e la regione interessata;
l'articolo 116, comma 3 della Costituzione è stato introdotto dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, che ha modificato radicalmente il Titolo V della Costituzione e, di conseguenza, l'originario regionalismo italiano. In virtù di questa novellata disposizione costituzionale possono essere attribuite alle Regioni a statuto ordinario «forme e condizioni particolari di autonomia» permettendo, dunque, alle stesse di ampliare le proprie competenze amministrative e legislative. Il procedimento di conferimento di una maggiore autonomia, ai sensi dell'articolo 116 comma 3 della Costituzione del testo vigente, richiede l'iniziativa della Regione interessata, il parere degli enti locali (obbligatorio ma non vincolante), il rispetto dei principi previsti dall'articolo 119 della Costituzione – in materia di autonomia finanziaria – e l'intesa fra Stato e Regione interessata. La legge dello Stato è poi approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti;
le ulteriori materie, elencate nel testo vigente della Costituzione, che possono essere attribuite alle Regioni sono quelle previste sia all'articolo 117, comma 3, rientranti nella legislazione concorrente, sia alcune materie di competenza esclusiva dello Stato, comprese nell'elenco di cui all'articolo 117, comma 2. Tali materie sono: giurisdizione e norme processuali, ordinamento civile e penale e giustizia amministrativa, limitatamente all'organizzazione della giustizia di pace; quelle generali sull'istruzione e, infine, sulla tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali;
si tratta, dunque, di quello che viene definito meccanismo di differenziazione regionale, il quale consente alle singole realtà regionali, non più solamente a quelle speciali, di differenziarsi in determinate materie e con le modalità appena esposte, sulla base delle diverse esigenze locali. È proprio questa la ragion d'essere del federalismo: valorizzare le diversità e le potenzialità tra le Regioni;
le Regioni Toscana, Lombardia, Veneto e Piemonte, proprio utilizzando lo strumento dell'articolo 116, comma 3 della Costituzione, hanno intrapreso questo percorso di «differenziazione»;
il modello di regionalismo differenziato, malgrado il tentativo avviato da queste quattro Regioni, non è si è mai realizzato poiché il procedimento ad esso previsto non è giunto a conclusione in nessun caso;
si tratta, certamente, di un'occasione mancata considerato che l'idea di uniformità, attuata sino a questo momento, non ha di certo consentito la riduzione del divario tra Nord e Sud del Paese; appare, invece, indubbiamente positivo per l'efficienza del Paese che le Regioni più virtuose ottengano ulteriori competenze e funzioni, nel tentativo di ottenere risultati migliori e più adatti alle specifiche esigenze del territorio;
impegna il Governo
a sostenere con ogni iniziativa, nella fase di attuazione della riforma, lo sviluppo del processo di regionalismo differenziato a norma del nuovo articolo 116 della Costituzione, con l'obiettivo di rendere effettiva la previsione costituzionale e premiare le regioni più virtuose, esaltando e valorizzando le potenzialità intrinseche di ciascuna Regione.
9/2613-A/64. Squeri.
La Camera,
impegna il Governo
a sostenere con ogni iniziativa, nella fase di attuazione della riforma, lo sviluppo del processo di regionalismo differenziato a norma del nuovo articolo 116 della Costituzione, con l'obiettivo di rendere effettiva la previsione costituzionale e premiare le regioni più virtuose, esaltando e valorizzando le potenzialità intrinseche di ciascuna Regione.
9/2613-A/64. (Testo modificato nel corso della seduta) Squeri.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge di revisione costituzionale del Titolo I e del Titolo V della Parte II della Costituzione, nonché della disposizione riguardante il CNEL, ha profondamente modificato il vigente articolo 70 della Costituzione sul procedimento legislativo. In particolare, il nuovo comma quarto del citato articolo stabilisce che i disegni di legge di cui all'articolo 81, quarto comma, approvati dalla Camera dei deputati, siano esaminati dal Senato della Repubblica, che può deliberare proposte di modificazione entro quindici giorni dalla data della trasmissione. Sulle proposte di modificazione del testo deliberate dal Senato la Camera dei deputati si pronuncia in via definitiva;
durante l'esame del disegno di legge di revisione costituzionale, sia in Commissione referente che in Assemblea, molteplici sono stati gli emendamenti volti a modificare il contenuto del menzionato articolo 81 della Costituzione, nel testo modificato dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1;
occorre ricordare che l'obbligo di introdurre negli ordinamenti nazionali regole, costituzionali o legislative, volte ad assicurare il rispetto dei valori di riferimento relativi al disavanzo e al debito fissati a livello europeo non discende dalle disposizioni dei Trattati in materia di Unione economica e monetaria, ma da impegni previsti da strumenti di diversa natura introdotti nel quadro della nuova governance economica europea;
agli Stati membri era lasciata la facoltà di scegliere lo strumento giuridico più idoneo cui ricorrere, purché di natura vincolante;
l'approvazione di una così radicale modifica dell'articolo 81 si è realizzata in un clima reso pesante dopo l'esplosione degli interessi sul debito pubblico;
la legge 24 dicembre 2012, n. 243, approvata al termine della scorsa legislatura, ha dato attuazione al principio del pareggio di bilancio, introducendo modalità e condizioni eccessivamente rigorose, che rischiano di rendere necessarie anche nei prossimi anni politiche di austerità eccessive, solo dannose per il Paese, e in particolare per lo sviluppo, il lavoro e la stessa stabilità dei conti pubblici,
impegna il Governo
a quasi due anni dalla modifica dell'articolo 81 della Costituzione, ad avviare una profonda riflessione, anche attraverso un dibattito parlamentare, sulle modalità con cui il nostro Paese ha dato seguito agli impegni presi a livello europeo, prevedendo anche adeguati strumenti normativi volti a modificare sia la vigente formulazione dell'articolo 81, sia la legge 24 dicembre 2012, n. 243, correggendone le parti che più rischiano di avere effetti negativi per il Paese.
9/2613-A/65. Laffranco.
La Camera,
premesso che:
nell'ambito della decennale discussione in materia di riforme costituzionali, molteplici sono stati gli interventi a favore del presidenzialismo e del premierato forte, manifestatisi già in Assemblea costituente;
nel corso delle ultime legislature diverse proposte di riforma hanno posto particolare attenzione alla forma di governo, proponendo o la modifica della forma di Stato in senso presidenziale e prevedendo la elezione del Presidente della Repubblica a suffragio universale e diretto o, quantomeno, il rafforzamento esplicito dei poteri del premier, anche ipotizzando il potere di nomina e di revoca dei ministri;
il presente disegno di legge di revisione costituzionale non scioglie alcuni nodi fondamentali, la cui risoluzione è indispensabile per dare al Paese un modello moderno e funzionale di gestione dello Stato;
nell'attuale momento di crisi della politica, l'opzione presidenzialista può contribuire al rafforzamento della partecipazione e della democrazia;
impegna il Governo
al termine dell'esame dei disegni di legge di revisione costituzionale del Titolo I e del Titolo V della Parte Il della Costituzione, nonché della disposizione riguardante il CNEL, di avviare immediatamente un nuovo processo di revisione costituzionale in senso presidenziale.
9/2613-A/66. Bianconi.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 15 del disegno di legge costituzionale ha apportato modifiche all'articolo 75 della Costituzione in tema di referendum abrogativi prevedendo, in particolare, due quorum di validità differenti a seconda che la proposta referendaria sia stata avanzata da cinquecentomila o ottocentomila elettori: nel primo caso la proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, mentre nel secondo se ha partecipato la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera dei deputati, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi;
attualmente il procedimento per la presentazione delle richieste referendarie previste dalla Costituzione è dettato dalla legge 25 maggio 1970, n. 352, e successive modificazioni. La normativa, come ben noto a coloro che in questi decenni hanno cercato di utilizzare tale strumento di democrazia diretta, risulta ormai inadeguata e tortuosa;
accanto ad ostacoli procedurali, la raccolta delle sottoscrizioni dei cittadini elettori in calce a quesiti referendari è resa difficoltosa da ulteriori impedimenti quali l'assenza di un servizio pubblico di autenticazione, le difficoltà di molti Comuni nell'adempiere ai loro obblighi, la mancanza di una adeguata informazione istituzionale, a cominciare da quella offerta dal servizio pubblico radiotelevisivo;
il combinato disposto delle modifiche costituzionali apportate e di una normativa di riferimento vetusta rischiano di accentuare un dato di fatto ormai acclarato: solo in condizioni straordinarie i comitati promotori riusciranno a raggiungere la soglia minima prevista di firme debitamente autenticate e certificate, rendendo quasi impossibile il raggiungimento delle ottocentomila sottoscrizioni necessarie per far scattare la previsione dell'ulteriore quorum introdotto dal quarto comma del novellato articolo 75 della Costituzione;
impegna il Governo:
ad adottare ogni iniziativa utile, anche di tipo normativo e indipendentemente all'approvazione definitiva del disegno di legge costituzionale, volta ad adeguare ai tempi e alle nuove tecnologie le procedure previste dalla legge n. 352 del 1970, introducendo modalità semplificate di autenticazione e certificazione delle firme, cominciando da una puntuale disciplina della sottoscrizione per via telematica dei referendum popolari.
9/2613-A/67. Capezzone.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge di revisione costituzionale del Titolo I e del Titolo V della Parte II della Costituzione, nonché della disposizione riguardante il CNEL, ha profondamente modificato funzioni e composizione del Senato della Repubblica;
i senatori non saranno eletti più direttamente dal popolo, ma da poco più di mille cosiddetti «grandi elettori» che altro non sono che i consiglieri regionali. In altri sistemi costituzionali che contemplano elezioni indirette di assemblee legislative, il numero dei grandi elettori è decisamente maggiore: in Francia l'elettorato passivo del Senato è riservato ad un collegio elettorale composto, in ogni dipartimento, dai Deputati e dai Consiglieri generali e regionali e dai delegati dei Consigli municipali, per un totale di più di 150mila elettori;
il Senato continuerebbe a partecipare al procedimento di revisione costituzionale, a eleggere due giudici costituzionali e a partecipare alla funzione legislativa in non poche materie di grande importanza
impegna il Governo
a valutare, anche proponendo specifiche proposte emendative nel seguito dell’iter della riforma, se la portata della potestà legislativa attribuita al nuovo Senato della Repubblica sia consona al basso grado di rappresentatività collegato al meccanismo elettorale scelto per il rinnovo dell'Assemblea di Palazzo Madama.
9/2613-A/68. Francesco Saverio Romano.