XVII LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 392 di lunedì 16 marzo 2015
Pag. 1PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI DI MAIO
La seduta comincia alle 12,10.
RICCARDO FRACCARO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 13 marzo 2015.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Amici, Baldelli, Bellanova, Bergamini, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Casero, Castiglione, Cirielli, Costa, D'Alia, Dadone, Dambruoso, Damiano, De Girolamo, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Galati, Giacomelli, Gozi, La Russa, Lorenzin, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Merlo, Nicoletti, Orlando, Pes, Pisicchio, Pistelli, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Domenico Rossi, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Scotto, Sisto, Speranza, Tabacci, Valeria Valente, Velo, Vignali e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
I deputati in missione sono complessivamente settantacinque, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.
Discussione della proposta di legge: Ferranti ed altri: Modifiche al codice penale in materia di prescrizione del reato (A.C. 2150-A); e delle abbinate proposte di legge: Colletti ed altri; Mazziotti Di Celso ed altri; Pagano (A.C. 1174-1528-2767) (ore 12,15).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge Ferranti ed altri n. 2150-A: Modifiche al codice penale in materia di prescrizione del reato; e delle abbinate proposte di legge Colletti ed altri; Mazziotti Di Celso ed altri; Pagano nn. 1174-1528-2767.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta dell'11 marzo 2015.
(Discussione sulle linee generali – A.C. 2150-A)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Sinistra Ecologia Libertà ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.Pag. 2
Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza, deputato Stefano Dambruoso.
STEFANO DAMBRUOSO, Relatore per la maggioranza. Gentile Presidente, onorevoli colleghi, il tema della prescrizione dei reati ha assunto in questi ultimi anni un ruolo centrale nel dibattito parlamentare e politico, anche perché i frequenti casi di estinzione di processi per intervenuta prescrizione, con conseguente proscioglimento degli imputati prima di una pronuncia definitiva, hanno suscitato indignazione e polemiche, soprattutto con riferimento ai reati ambientali e ai gravi reati contro la pubblica amministrazione. Da ultimo, rammento a me stesso il clamore suscitato dalla «sentenza Eternit».
Vorrei precisare a questo proposito che però, ben prima che il Paese si fosse indignato per l'esito della «vicenda Eternit» (che è del 19 novembre 2014), la Commissione giustizia, a cui apparteniamo dal marzo 2013, aveva iniziato l'iter legislativo in materia di prescrizione. In particolare, già il 28 maggio 2014 si era avviato l'esame in sede referente, con una lunga ed approfondita indagine conoscitiva, che ha portato all'adozione del testo base.
Nell'ambito dell'indagine sono stati sentiti Franco Roberti, procuratore nazionale antimafia, Piercamillo Davigo, consigliere della II Sezione penale presso la Corte di cassazione, Francesco Greco, procuratore aggiunto presso la procura della Repubblica di Milano, Domenico Pulitanò, ordinario di diritto penale presso l'Università di Milano-Bicocca, nonché rappresentanti di Transparency International, l'associazione contro la corruzione, Fausto Giunta, ordinario di diritto penale presso l'università di Firenze, Glauco Giostra, ordinario di procedura penale presso l'università «La Sapienza» di Roma, nonché Tullio Padovani, ordinario di diritto penale presso la Scuola Superiore S. Anna di Pisa, Beniamino Migliucci, presidente dell'Unione camere penali italiane, e Rodolfo Maria Sabelli, presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Questo per dire di quanto sia stata approfondita l'analisi e l'attenzione posta dalla Commissione giustizia in tempi precedenti all'attenzione mediatica successiva al caso Eternit.
Dai lavori svolti in Commissione giustizia, il dato emerso in modo inconfutabile è che la prescrizione non rappresenta una causa di estinzione del reato come tutte le altre, ma svolge, secondo l'opinione comune, una funzione-cuscinetto a fronte dell'irragionevole durata dei processi penali italiani.
Tale assunto si basa su un grande equivoco o meglio su una visione solo parziale della prescrizione: la ratio dell'istituto è infatti, ovunque, identificata nell'oblio che cade sul reato una volta decorso un certo lasso di tempo che varia a seconda della gravità del reato; la condizione essenziale, però, perché sul fatto di reato cada l'oblio – e questo talvolta sfugge – è che lo Stato non abbia manifestato interesse alla sua persecuzione rimanendo inattivo.
La prescrizione del reato, quindi, va sempre posta in relazione alla volontà dello Stato di procedere o meno per un determinato fatto illecito, perseguendone l'autore, e non va utilizzata – a differenza di quanto a volte accade oggi – come strumento processuale per contenere la durata dei processi. Sul punto la Suprema Corte – la quinta sezione con la sentenza n. 18071 del 2010 – ha offerto una linea interpretativa molto chiara circa la «ragionevole durata del processo» che dice che «la ragionevole durata del processo» e il «termine massimo di prescrizione del reato per cui si procede» sono locuzioni che esprimono valori giuridici diversi, la prima avendo riguardo, in particolare, al tempo considerato congruo per giungere a una sentenza definitiva, così chiudendo o definendo la pendenza e le sue articolate implicazioni sulla vita dei singoli interessati (imputati, persone offese, soggetti danneggiati) e sulla società intera; la seconda, invece, individua il tempo oltre il quale viene meno l'interesse dello Stato alla punizione del singolo reato.
Da parte di tutti gli auditi nel corso delle indagini conoscitive è emersa, quindi, Pag. 3l'esigenza di riformare la disciplina vigente della prescrizione che non sembra rispondere alla ratio stessa dell'istituto: da un lato, il diritto all'oblio e, dall'altro, la volontà dello Stato di perseguire i reati finché vi sia l'interesse della società a punirli.
La prescrizione, invece, si è trasformata nel tempo in uno strumento che impedisce di portare a termine i processi per i reati di più difficile accertamento, nonostante l'interesse pubblico di accertare che il fatto sussista ancora. Scongiurare questo rischio non deve neanche significare che i processi possono durare all'infinito, il principio costituzionale di ragionevole durata del processo lo impedirebbe. Occorre quindi lavorare su due fronti: da un lato, sulla prescrizione e, dall'altro, sulla durata del processo.
La Commissione Giustizia sta procedendo proprio secondo questa direttiva in quanto con il provvedimento in esame si rimodula la prescrizione, mentre attraverso l'esame del disegno di legge n. 2798 del Governo recante «Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi e per un maggiore contrasto del fenomeno corruttivo, oltre che all'ordinamento penitenziario per l'effettività rieducativa della pena», il Governo sta mirando, con tutta questa parte di riforma, a ridurre i tempi del processo senza pregiudicare i diritti della difesa. Quindi, due spazi assolutamente paralleli ma non coincidenti.
Tale impianto normativo è indispensabile per contemperare le ragioni di tutte le parti in causa e soprattutto riconsiderare su un piano paritario anche gli interessi delle parti offese dal reato che attendono anni prima della sentenza definitiva e talvolta si vedono negare anche quella. Per quelle parti, per le persone offese, per le vittime l'oblio purtroppo non esiste – questo ce lo dobbiamo ricordare noi rappresentanti di chi ci ha eletti – perché chi è vittima di reato difficilmente riuscirà a dimenticare quanto gli è accaduto, qualunque tipo di reato, quando è rimasto vittima difficilmente riuscirà a dimenticarlo. Il testo approvato dalla Commissione va quindi ad incidere sull'attuale disciplina della prescrizione del reato, che ha visto una profonda riscrittura a seguito della legge n. 251 del 2005, nota anche come ex Cirielli. Preliminarmente si fa presente che si è stabilito di non toccare i termini della prescrizione fissati dall'articolo 157 del codice penale, ad eccezione dei reati di corruzione, per i quali vi è, in ragione del patto corruttivo, una davvero particolare esigenza di termini di prescrizione più lunghi rispetto a quelli ordinari.
La stessa legge ex Cirielli aveva già colto la distinzione che esiste fra una serie di reati e altri, tant’è vero che per l'omicidio colposo plurimo, piuttosto che per tutta una serie di norme, ad esempio, legate allo sfruttamento sessuale dei minori, all'associazione mafiosa, aveva previsto e ha previsto dei termini di prescrizione raddoppiati. L'esigenza di intervenire sulla disciplina della prescrizione è stata sottolineata anche dal primo presidente della Corte di cassazione, Giorgio Santacroce, nella Relazione sull'amministrazione della giustizia nell'anno 2014. Il primo presidente ha più volte affermato che l'attuale disciplina della prescrizione è gravemente insoddisfacente, anche a prescindere dal problema di definirne, per certe tipologie di reato, la decorrenza. Ma andiamo avanti, questi dati sono assolutamente allarmanti, tutti i dati sul numero di reati andati in prescrizione.
Sono decine di migliaia i processi che si concludono anticipatamente, addirittura in secondo o in terzo grado di giudizio, per effetto della prescrizione, impedendo così che la condanna a carico di imputati già ritenuti colpevoli dai giudici di primo grado possa divenire definitiva. L'imputato viene così irragionevolmente prosciolto, tutte le prove raccolte vengono disperse, la macchina giudiziaria ha lavorato a vuoto e le giuste aspettative di giustizia delle vittime – ricordiamocele sempre – restano drammaticamente senza tutela, con un ulteriore e non trascurabile pregiudizio per la credibilità del sistema penale nel suo complesso. Inoltre, la prospettiva della conquista della prescrizione durante il Pag. 4processo incentiva legittime strategie difensive dilatorie, che ingolfano però inutilmente la macchina della giustizia italiana.
La Commissione Giustizia, con il provvedimento in esame, ha cercato di rispondere in modo efficace a queste criticità, portando a termine un lavoro più volte avviato nel corso delle passate legislature, ma mai completato. Il testo di riforma della prescrizione approvato dalla Commissione giustizia della Camera tiene conto anche dell'impostazione della modifica della prescrizione prevista dall'articolo 5 del già citato disegno di legge n. 2798, che si ispira, inoltre, ai lavori della nota Commissione Fiorella e, in particolare, interviene modificando la disciplina delle cause di sospensione della prescrizione previste dall'articolo 159 del codice penale. Come si è detto, non si sono modificati i termini della prescrizione, con l'eccezione dei reati di corruzione. Si è preferito, piuttosto, intervenire sui meccanismi di sospensione.
A questo punto, se la mia collega Amoddio vuole proseguire, io avrei terminato i miei dieci minuti.
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la relatrice per la maggioranza, deputata Amoddio.
SOFIA AMODDIO, Relatrice per la maggioranza. Signor Presidente, come già detto – cercherò di non ripetere – negli ultimi anni, soprattutto in sede parlamentare, si sono moltiplicate le proposte di riforma dell'istituto della prescrizione. Mi riferisco alle diverse Commissioni che si sono succedute nelle diverse legislature, l'ultima la Commissione Fiorella.
Il rilievo dell'eccessiva brevità del termine di prescrizione è emerso anche dal Consiglio d'Europa e, in particolare, dal rapporto Greco, gruppo degli Stati del Consiglio d'Europa contro la corruzione, pubblicato nel 2009, nel quale si sottolineava che l'estinzione dei reati per prescrizione costituisce un grosso motivo di sfiducia della collettività nella giustizia. E quando si parla di prescrizione si evoca subito la ragionevole durata del processo, citata dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo all'articolo 6. Bene, questo parametro – mi lasci dire – rimane certamente violato nei riguardi della vittima nell'eventualità in cui – sottolineo: senza sua colpa – l'imputato usufruisca del maturare del termine della prescrizione. In altre parole, ogni processo che si concluda con l'estinzione del reato lede il sentimento delle vittime dei reati, che, per effetto della sostanziale impunità dei loro autori, rimangono processi il cui dispendio cade nel vuoto.
L'attuale disciplina della prescrizione del reato – entriamo nel testo normativo – è stata introdotta dalla legge cosiddetta Cirielli, n. 251 del 2005, che aveva sostanzialmente riscritto l'articolo 157 del codice penale, stabilendo che il tempo necessario a prescrivere corrisponde al massimo della pena edittale stabilita per ogni reato. In ogni caso – precisava l'articolo e precisa ancora oggi – in caso di delitto, il tempo necessario a prescrivere non può essere inferiore a sei anni e, in caso di contravvenzione, non può essere inferiore a quattro. Il testo normativo che viene fuori dalla Commissione giustizia lascia intatta questa parte, ma aggiunge al comma 6 che i termini di prescrizione per i reati di corruzione sono aumentati della metà del massimo della pena edittale per i reati di corruzione.
Sottolineo che questa previsione è derivata da una formulazione chiesta da noi relatori agli emendamenti presentati dal Governo, dal PD, da SEL e dal MoVimento 5 Stelle. La ragione di questo intervento, cioè di aumentare i termini di prescrizione per i reati di corruzione, è perché nella sostanza avviene spesso che questi reati, i reati corruttivi, si scoprono in un momento successivo alla commissione del reato. A differenza, per esempio, del reato di concussione, nel reato di corruzione non ci sono una vittima e un soggetto agente, ma vi sono due concorrenti posti sullo stesso piano. Quindi, non essendoci una parte offesa, è difficile la denuncia da parte della parte offesa e, nella maggioranza dei casi, la scoperta avviene dopo Pag. 5molto tempo dalla commissione del reato, con il grave rischio che il reato sia già prescritto.
Vorrei sottolineare anche che l'aumento dei termini di prescrizione nei reati di corruzione, contrariamente a quello che viene ventilato in questi giorni, non comporta necessariamente, come conseguenza, l'aumento della durata del processo, perché, se un processo si protrae oltre misura, e non per ragioni inerenti a sollecitazioni o ragioni dovute alle parti processuali, ricordo che l'imputato o la parte civile può sempre richiedere il risarcimento dei danni per irragionevole durata del processo di cui alla legge Pinto.
Aumentare i termini di prescrizione per i reati di corruzione non vuole dire che i processi durino più tempo; non vuole dire che il giudice possa protrarre indiscriminatamente un processo sine die, senza tempo, senza fine. Altro motivo che ci ha spinto a prevedere un aumento dei termini di prescrizione per i reati di corruzione: nel quadro del semestre europeo del 2013, sono state approvate dal Consiglio due raccomandazioni all'Italia con le quali si richiedeva espressamente di potenziare la repressione della corruzione, anche rivedendo la disciplina dei termini di prescrizione.
Ancora, la Commissione ha scritto che si tratta di un fenomeno che interessa tutti gli Stati europei e che costa all'economia europea circa 120 miliardi di euro all'anno, e la relazione riporta due sondaggi sulla percezione della corruzione tra i cittadini europei e tra le imprese. Da questi sondaggi si rileva che nelle imprese e nei cittadini la percezione della diffusione della corruzione in Italia registra il 97 per cento, che è il dato più alto dell'Unione europea dopo quello della Grecia.
Entriamo nell'articolo 2 del provvedimento. Se l'articolo 1 aumenta i termini di prescrizione per i reati di corruzione, l'articolo 2 del provvedimento aggiunge alla fine dell'articolo 158 del codice penale un nuovo comma, con cui si prevede che, per una serie di reati commessi ai danni dei minori, il termine di prescrizione decorre non dal giorno del commesso reato, ma dal compimento del quattordicesimo anno di età della persona offesa – attenzione – salvo che l'azione penale sia stata esercitata precedentemente. In questo caso, il termine decorre dall'acquisizione della notizia di reato.
Norme simili e molto più drastiche le ritroviamo in altri Paesi europei, e faccio solamente due casi: la Francia e la Germania. In Francia, a parte l'elevato termine di prescrizione nel caso di commissione di abusi sessuali nei confronti di minorenni, il termine di prescrizione per i reati commessi ai danni dei minori è sospeso fino al diciottesimo anno di età della vittima. E in Germania la prescrizione viene sospesa fino al trentesimo anno di età della vittima per i reati di abusi sessuali nei confronti dei minori.
Quindi, la soluzione adottata da questa Commissione giustizia è apparsa la più idonea a far sì che la vittima minorenne disponga di un tempo congruo per denunciare l'autore degli abusi, una volta superata anche quella situazione di dipendenza della vittima dall'autore del reato e una volta presa consapevolezza di quanto accaduto. Infatti, spesso i minorenni che sono vittime di abusi, e quindi vittime di reati, consapevolizzano questa esperienza molto tempo dopo.
Con l'articolo 3 del provvedimento si aggiungono a quelle già esistenti tre cause di sospensione, cause processuali: la rogatoria all'estero (il processo può sospendersi per un massimo di sei mesi, non per sei mesi, per un massimo di sei mesi), la perizia che comporta pareri di particolare complessità (la sospensione massima è tre mesi) e la presentazione della richiesta di ricusazione.
Inoltre, sono state aggiunte due cause di sospensione: dal deposito della sentenza di condanna di primo grado – sottolineo, sentenza di condanna di primo grado – fino al deposito della sentenza di grado successivo i termini di prescrizione sono sospesi per un tempo non superiore a due anni, e, dal deposito della sentenza di condanna di secondo grado fino alla pronuncia Pag. 6definitiva, i tempi di prescrizione possono essere sospesi per un tempo massimo non superiore ad un anno.
Perché questa modifica ? Perché accade troppo spesso che, dopo l'accertamento della responsabilità penale, quindi dopo una sentenza di condanna di primo grado, nelle more tra la sentenza di condanna di primo grado e il processo di secondo grado, maturi il termine di prescrizione del reato, vanificando così l'ingente impegno di energie materiali, umane ed economiche profuse anche dagli organi investigativi e da tutti gli organi giurisdizionali.
Quindi, l'idea di fondo da cui ci siamo mossi, per questa previsione, è che ad ogni riscontro processuale di colpevolezza corrisponda la necessità di bloccare, per un tempo definito, e per un massimo di tempo, il decorso della prescrizione, in modo tale da assegnare alla giurisdizione un tempo ragionevole per compiere la verifica della correttezza, in questo caso, della condanna.
Infine, con l'articolo 6, la Commissione ha accolto emendamenti del Governo, di Alleanza Popolare e di Forza Italia, in cui si prevedeva espressamente che la nuova legge sulla prescrizione si applica ai fatti commessi dopo l'entrata in vigore della legge, quindi la cosiddetta norma transitoria. Qui sottolineo che noi relatori nel testo base non avevamo inserito questa norma transitoria, perché essendo la prescrizione un istituto di diritto sostanziale, nel caso di successione di leggi nel tempo, qualora la norma sulla successiva è più gravosa per l'imputato, come in questo caso, si applica la legge precedente più favorevole al reo. Tuttavia, in questo caso, l'abbiamo inserita ugualmente, perché questa norma transitoria servirà a fugare dubbi interpretativi che potrebbero sorgere in sede processuale. Che l'istituto della prescrizione è un istituto di diritto sostanziale, lo testimoniano le sentenze della Corte europea, nonché della nostra Corte costituzionale.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia relazione (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti).
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, il deputato Colletti.
ANDREA COLLETTI. Relatore di minoranza. Grazie Presidente, finalmente, dopo un anno e mezzo, siamo riusciti a portare questa proposta di legge sulla prescrizione penale qui in Aula. Abbiamo calendarizzato noi la proposta di legge in Commissione, un anno e mezzo fa, e abbiamo calendarizzato noi questa proposta di legge in Aula, nonostante il Governo e la maggioranza abbiano cercato costantemente di allungare i tempi della sua eventuale approvazione. Solo per questo, però, dovremmo essere contenti, di altre cose, purtroppo, non siamo molto contenti ed è questo il motivo per il quale sono qui come relatore di minoranza. Ciò perché questa proposta di compromesso è purtroppo un'occasione persa, qualora dovesse essere votata così com’è uscita dalla Commissione. Oltretutto abbiamo un certo sentore che in Aula si farà ancora un passo indietro, per raggiungere un accordo all'interno del Governo stesso, dove ovviamente sono rappresentati partiti quali il Partito Democratico e un partito quale NCD, che è rappresentato dal Viceministro attualmente in Aula, che è costituito, in pratica, dagli ex di Forza Italia, coloro che hanno portato avanti la famigerata legge ex Cirielli, quella che è servita a molti per raggiungere la prescrizione per reati contro la pubblica amministrazione o per reati societari. Invece di fare un passo indietro, noi chiediamo con la nostra proposta di fare un passo in avanti e di arrivare finalmente ad una proposta di legge utile che serva davvero a risolvere i problemi del processo penale e delle sanzioni penali. Giusto per specificare cosa in Commissione ci è stato bocciato (non chiedevamo molto, non chiedevamo la luna): ci è stato bocciato, ad esempio, un aumento degli anni per raggiungere la prescrizione per i reati contro la pubblica amministrazione, Pag. 7per i reati societari, quali, ad esempio, la bancarotta fraudolenta, falso in bilancio, e per reati quali l'omicidio colposo che attualmente si prescrivono, quest'ultimo ad esempio, in soli sette anni e mezzo dall'omicidio stesso. Avevamo chiesto di abrogare anche l'articolo 161, comma 2, inserito dalla berlusconiana legge ex Cirielli, e anche questo ci è stato negato. Abbiamo, altresì, chiesto di sterilizzare la prescrizione con l'inizio del processo, ovvero con il rinvio a giudizio, o al massimo con la sentenza di condanna di primo grado. Tutte queste proposte ci sono, purtroppo, state bocciate da una maggioranza – ahimè – trasversale.
Ma arriviamo alla nostra proposta, al perché siamo arrivati a questa proposta. Ci è stato detto giustamente che la prescrizione costa moltissimo allo Stato italiano, secondo alcune statistiche, che secondo noi sono limitative, ci costa 86 milioni di euro ogni anno. Ma perché la prescrizione è stata fatta in tal modo ?
Questo perché, grazie alla prescrizione, molti reati, soprattutto quelli di allarme sociale – cioè quelli contro la pubblica amministrazione, quelli commessi dai colletti bianchi e dai politici – raramente riescono a raggiungere il terzo grado di giudizio, ovvero il giudizio di Cassazione. Questo perché, purtroppo, con l'attuale legge, ma anche in parte con quella che magari approveremo qui, la prescrizione decorrerà nonostante il rinvio a giudizio, nonostante la sentenza di condanna di primo grado e nonostante, magari, la sentenza di condanna di secondo grado, fino ad arrivare in Cassazione.
La questione che ci pongono in molti è che, in realtà, il problema non è la prescrizione: è la durata dei processi, l'abnorme durata dei processi. Cosa fare per ridurre l'abnorme durata dei processi ? Si potrebbe fare una cosa principalmente, dare più risorse al settore giustizia, prevedendo più concorsi, ad esempio nel settore amministrativo, cancellerie e quant'altro, e prevedendo ad esempio più concorsi per aumentare la pianta organica attuale dei magistrati. Ricordo che in molti tribunali abbiamo una carenza di magistrati che arriva al 20-25 per cento dell'intera pianta organica prevista dal Ministero della giustizia. E poi ci domandiamo perché i reati si prescrivono e perché i processi sono lunghi.
In realtà i processi sono lunghi anche a causa dell'attuale legge sulla prescrizione. Infatti, se un imputato vede come obiettivo la possibilità tra tre anni di arrivare alla prescrizione, è ovvio che mai cercherà il patteggiamento, è ovvio che mai cercherà un giudizio abbreviato o gli altri riti alternativi, è ovvio che cercherà, come gli permette il codice, attraverso i propri avvocati, di allungare il tempo del dibattimento del processo. Come fare per evitare tutto questo ? In una maniera molto semplice, bloccando, sospendendo, sterilizzando – chiamatelo come volete – il decorrere della prescrizione dal momento del rinvio a giudizio. In questo modo, anche se apparirà strano, avremmo in realtà processi molto più veloci per un semplice fatto, perché coloro che, sapendo di essere colpevoli, aspettano la santa prescrizione, chiederanno un patteggiamento o un giudizio abbreviato. In questo modo avremmo molti meno processi e quei processi che avremmo sarebbero molto più rapidi, perché avremmo ovviamente un ruolo molto minore per ogni giudice.
Il vero problema, quando si parla di prescrizione è che si parla sempre nell'ottica dell'indagato o dell'imputato. Si è persa qualsivoglia ottica di una parte troppo spesso ritenuta parte eventuale, sia dalla giustizia sia qui in politica, ovvero la vittima del processo. Per molti la vittima del processo, scusate, la vittima del reato, la cosiddetta parte offesa e poi parte civile, non esiste. Noi, invece, riteniamo che con questo progetto di legge finalmente potremmo dare voce a tutte quelle vittime dei reati, che ora non hanno più voce, e che invece potranno fare valere il loro dolore lì dentro il processo senza vedere, giorno dopo giorno, udienza dopo udienza, il malfunzionamento della giustizia. Si andrà allora a discapito dei più forti, di coloro che si possono permettere i migliori avvocati piuttosto che dei più deboli, di Pag. 8coloro che davvero cercano giustizia, di coloro che vogliono dimostrare la propria innocenza dentro il processo e non salvandosi in corner grazie alla prescrizione.
Quindi con la nostra proposta chiediamo tre semplici cose. In primo luogo un allungamento anche minimo dei termini minimi per la prescrizione. In secondo luogo la sospensione, la sterilizzazione, della prescrizione con l'inizio del processo, ovvero da quando l'indagato diviene imputato in un processo. In terzo luogo, proprio per velocizzare il processo, chiediamo di togliere tutte le fattispecie che prevedono l'interruzione della prescrizione, facendole incardinare come ipotesi di sospensione della prescrizione, in modo da dare almeno tempi certi per il pubblico ministero e per i giudici dibattimentali, cancellando così anche l'articolo 160 e cancellando finalmente e veramente l'articolo 161, comma 2, quella famigerata norma che ha fatto prescrivere migliaia e migliaia di processi. All'incirca ogni anno si prescrivono 120 mila reati e tutto questo è inaccettabile, perché per 120 mila reati, diciamo che la metà magari hanno 60 mila vittime, 60 mila persone che non hanno voce.
Sappiamo bene che tutta la politica, tutte le forze politiche difficilmente arriveranno a votare la nostra proposta di legge e il nostro testo alternativo e proprio per questo vogliamo almeno arrivare a un compromesso che non sia un compromesso al ribasso. Lì dove la maggioranza ha portato avanti un testo nel quale il tempo minimo per la prescrizione è pari al massimo della pena edittale, noi chiediamo che tale tempo minimo almeno arrivi alla pena massima maggiorata di un quarto, però per tutti i reati, prevedendo al massimo l'aumento della metà solo per i reati contro la pubblica amministrazione e per i reati societari.
Chiediamo, altresì, qualora non si voglia arrivare alla sospensione con rinvio a giudizio, di arrivare almeno alla sospensione con la sentenza di condanna, che prevede almeno un accertamento minimo di colpevolezza dell'imputato. Ci sembra il minimo. Pertanto, chiediamo ai relatori e alla maggioranza di arrivare a questo compromesso, perché sanno tutti che due anni per fare un vero procedimento di appello non sono abbastanza. Ci vuole almeno un anno solo per l'udienza in appello, figuriamoci per chiudere tutto il processo.
Il terzo punto è quello di allargare alcune altre ipotesi di sospensione della prescrizione. Ebbene, Presidente, qualora la maggioranza o anche una parte del Parlamento volesse arrivare a questo, volesse convergere con noi in questa ipotesi, noi saremmo pronti a votare favorevolmente questa proposta di legge, che – ripeto – abbiamo portato noi in Commissione e abbiamo portato noi in Aula, perché è davvero una delle urgenze del settore della giustizia penale.
PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
È iscritto a parlare il deputato Luca D'Alessandro, che non è presente in Aula.
È iscritta a parlare la deputata Morani. Ne ha facoltà.
ALESSIA MORANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho ascoltato con attenzione le relazioni dell'onorevole Dambruoso e dell'onorevole Amoddio, ma anche quella del relatore di minoranza Colletti, il quale afferma che è grazie al MoVimento 5 Stelle che siamo riusciti finalmente a calendarizzare questo provvedimento. Io dico che, però, questa affermazione non dà conto di un lavoro che è stato fatto in questa legislatura ed è una richiesta che è stata fatta dal Partito Democratico e anche da Scelta Civica di una calendarizzazione veloce di un provvedimento di riforma sulla prescrizione e non dà conto soprattutto del lavoro fatto dalla stessa presidente della Commissione Ferranti, insieme ad altri colleghi, nella passata legislatura, in cui si è tentato più volte di mettere mano ad una modifica della cosiddetta legge ex Cirielli, che io oggi festeggio come un traguardo essere finalmente arrivata in Aula.
Infatti, l'istituto della prescrizione del reato è certamente uno dei più controversi Pag. 9tra gli istituti del diritto penale sostanziale. Come è noto, è classificato tra le cause di estinzione del reato anche se la categoria è una categoria molto eterogenea poiché racchiude in sé istituti diversi, come ad esempio la sospensione condizionale della pena, che presuppone l'accertamento di un fatto di reato e anche la commisurazione della pena.
La prescrizione, pertanto, è un istituto a base temporale che estingue la potestà punitiva dello Stato per effetto del decorso del tempo. Il fondamento dell'efficacia estintiva della prescrizione, secondo gli orientamenti più recenti, si collega naturalmente al funzionamento della pena, o meglio al venir meno delle ragioni sostanziali che giustificano l'applicazione della pena quando è trascorso molto tempo o è trascorso sufficiente tempo dalla commissione del fatto di reato stesso. Si parla, perciò, comunemente di un diritto all'oblio, che si basa appunto sul principio del trascorrere del tempo.
Questo principio, però, non può implicare solamente l'applicazione del decorso del tempo, ma esige che si ricolleghino altri fattori, quali, ad esempio, i cambiamenti della società, i cambiamenti delle persone e, perciò, anche di colui che ha commesso il reato. Perciò, per decorso del tempo si intendono un insieme di fattori che sono appunto i cambiamenti sociali ed individuali che mettono in discussione la cosiddetta indefettibilità della pena, che è un principio di base del diritto penale.
Naturalmente, questo non vale in assoluto poiché esistono fatti di reato che esprimono un disvalore assoluto così grande che si sottraggono alla prescrizione. Al fine di determinare i tempi necessari alla prescrizione, occorre individuare il tempo in cui lo Stato rinuncia a punire, che deve essere un tempo ritenuto ragionevole, avuto riguardo alla gravità del reato e ad altre esigenze che possono essere meritevoli di considerazione. Tradizionalmente, la prescrizione, si è sostenuto, serve ad assicurare la ragionevole durata del processo. Secondo questa accezione, il cittadino ha diritto a non essere tenuto per un tempo indefinito in attesa che l'ordinamento valuti la sua posizione processuale e se, del caso, applichi anche la pena. In realtà, prescrizione e celerità del processo non sono connesse. Per tutelare la celerità del processo è, infatti, necessario individuare altri elementi, altri strumenti e, cioè, meccanismi processuali che possono essere utili a questo scopo. È innegabile, infatti, che fra gli effetti distorsivi della prescrizione per come l'abbiamo conosciuta fino ad oggi vi è uno scarsissimo utilizzo dei riti alternativi e un uso legittimo e consistente delle impugnazioni. La prescrizione serve ad assicurare, casomai, la non lentezza del processo, che è cosa diversa. La funzione tipica della prescrizione, così come avviene in altri Paesi come, ad esempio, nel Regno Unito con l'istituto del cosiddetto abuse of process, deve in realtà tutelare dalla durata largamente irragionevole del processo in quanto quella, sì, consiste in un vero e proprio abuso nei confronti del cittadino imputato.
La disciplina attuale della prescrizione la conosciamo tutti ed è contenuta negli articoli dal 157 al 161 del codice penale ed è stata introdotta dalla famosa, direi quasi famigerata, legge cosiddetta ex Cirielli. In particolare, l'articolo 6 della legge ex Cirielli ha riscritto l'articolo 157 del codice penale relativo al tempo necessario a prescrivere. L'ex Cirielli, com’è noto, ha sostituito il criterio adottato dal codice Rocco che era fondato sulle classi di reato individuate per fasce di pena e perciò di gravità. Il criterio utilizzato invece dalla ex Cirielli equipara il tempo necessario a prescrivere al massimo della pena edittale stabilita dalla legge per ciascun reato, stabilendo, in via generale, che, comunque, per i delitti il tempo necessario alla prescrizione non può essere inferiore a sei anni e per le contravvenzioni a quattro anni. A causa dell'inefficacia, ma anche inefficienza della ex Cirielli, il legislatore è intervenuto per alcuni particolari delitti dovendo raddoppiare i termini di prescrizione, calcolati, appunto, ai sensi dell'articolo 157 del codice penale, come ad esempio per l'omicidio colposo plurimo commesso con violazione delle norme del Pag. 10Codice della strada, per i reati di associazione mafiosa e di terrorismo, di sfruttamento sessuale dei minori, per i maltrattamenti e per l'incendio colposo. Occorre precisare, comunque, che l'articolo 157 prevede che l'imputato possa in ogni momento rinunciare alla prescrizione e che i reati puniti con l'ergastolo, direttamente o indirettamente, siano comunque imprescrittibili.
Dicevo che è un fatto storico e politico che la legge ex Cirielli si è dimostrata inefficiente, come si evince dalle statistiche sulle prescrizioni dei reati che sono state bene descritte dai due relatori per la maggioranza. Nel corso delle audizioni che abbiamo svolto in Commissione giustizia e che sono state molto utili ad approfondire un tema che appunto è molto complesso e dibattuto, il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, ha affermato, in maniera condivisibile, che la prescrizione comporta tre tipologie di inconvenienti, che possono essere inconvenienti di tipo economico, sostanziale e funzionale. Quelli di tipo economico sono quelli che riguardano lo spreco del denaro pubblico poiché, quando ci sono indagini e processi che finiscono in un nulla di fatto, è chiaro che l'enorme mole di denaro pubblico che viene investito per queste attività viene di fatto sprecata.
Vi sono inconvenienti di tipo sostanziale che, purtroppo, si concretizzano nella impunità di una quantità di reati piuttosto consistente, creando perciò una disuguaglianza davanti alla legge tra coloro che commettono un determinato reato e che vengono puniti e coloro che per lo stesso reato non vengono puniti, e inconvenienti di tipo funzionale che riguardano l'articolo 111, secondo comma, della Costituzione, cioè l'eccessiva lunghezza dei processi, che è in contrasto con la norma costituzionale e per la quale la CEDU ci ha ripetutamente condannato.
Il primo presidente della Corte di cassazione ha evidenziato, invece, che un sistema siffatto rende concreta la possibilità di non concludere il processo con pronunce di merito, cioè con pronunce che siano di assoluzione o di condanna, perciò tutto questo è un fattore di incentivo, come ho anche detto, di cosiddette «impugnazioni avventurose» – lo cito testualmente – e ha scoraggiato i riti alternativi. L'effetto di tutto questo è un enorme carico giudiziario delle corti d'appello e della Corte di cassazione che viene denunciato costantemente ogni anno all'inaugurazione degli anni giudiziari.
Infine, ma certamente non meno importante, questo sistema ha creato un senso diffuso di impunità soprattutto per i reati gravi ed odiosi di cui, ahimè, le cronache sono piene tutti i giorni, come i reati ambientali – la vicenda dell'Eternit e anche quella della Terra dei fuochi ne sono assolutamente esemplificative – ma anche le vicende più legate ai reati di corruzione quali, ad esempio, quelli più noti alle cronache, cioè Expo, Mose; e anche oggi – ahimè – ci sono stati degli arresti che riguardano appunto i reati di corruzione di cui abbiamo lungamente discusso.
Queste criticità sono state evidenziate anche dalla commissione presieduta dal professor Fiorella che era stata istituita dall'ex Ministro Severino durante il Governo Monti. Nella relazione di accompagnamento alla proposta di articolato presentata dalla commissione Fiorella, dopo aver sottolineato come da sola – cito testualmente – «la riforma della disciplina della prescrizione non possa risolvere ogni problema, sostanziale o processuale, connesso con il carico dei procedimenti e con la relativa mortalità», ma sia necessario «rinviare comunque ad altre sedi le proposte utili per le semplificazioni procedimentali che, nel rispetto dei diritti della difesa, contribuiscano a snellire il processo penale garantendone giustizia, efficienza e celerità», Fiorella mette in evidenza le esigenze che una riforma volta a garantire un funzionamento corretto della prescrizione deve soddisfare e, cioè, l'effettività del sistema penale che deve individuare tempi di prescrizione del reato abbastanza, anzi, sufficientemente lunghi per non pregiudicare le possibilità dell'autorità giudiziaria di esercitare appunto il cosiddetto ius puniendi che le compete; Pag. 11l'esigenza di assicurare che il processo si concluda in tempi ragionevoli ed evitare che questo processo gravi sull'imputato arbitrariamente come fosse una vera e propria pena supplementare ed anticipata.
Il testo che abbiamo approvato in Commissione giustizia tiene conto di tutte queste osservazioni, cioè dell'impostazione scaturita dai lavori della citata commissione Fiorella, nonché della riforma della prescrizione, che è stata varata dal Governo nel Consiglio dei ministri dello scorso 30 agosto 2014, e interviene anche sulla disciplina delle cause di sospensione della prescrizione previste nell'articolo 159 del codice penale.
Il nucleo della nostra proposta è fondato sulla sentenza di primo grado e, cioè, l'affermazione della responsabilità dell'imputato in primo grado diviene incompatibile con il decorso del termine utile al cosiddetto oblio collettivo, come è stato ricordato da più parti, rispetto al fatto commesso. Nel panorama europeo un sistema simile è previsto, ad esempio, in Germania ed è previsto in Svizzera, mentre in Spagna si verifica al momento dell'esercizio dell'azione penale. Occorre dar conto che ci sono anche proposte di legge che identificano nel momento dell'esercizio dell'azione penale il momento di interruzione della prescrizione.
Però, dal momento della pronuncia della sentenza di primo grado, la prescrizione non viene bloccata sine die: si introducono, perciò, periodi di sospensione che hanno l'obiettivo di poter svolgere in tempi congrui i giudizi di impugnazione, evitando così il pericolo dell'estinzione del reato per decorso del tempo dopo una condanna che, ancorché non definitiva, comunque sancisce in primo grado la responsabilità penale dell'imputato.
Il periodo di sospensione per i giudizi di impugnazione è, però, oggetto di computo, ai fini del termine di prescrizione, se la sentenza di condanna sia riformata o annullata, perché viene meno il presupposto che giustifica la sospensione e, come già detto, quindi, la condanna di primo grado.
Occorre precisare, però, che il computo del periodo utile al maturarsi della prescrizione potrà essere fatto solo dopo che la riforma o l'annullamento della sentenza di condanna siano stati pronunciati e che, pertanto, essa non potrà in alcun modo incidere su quella decisione. Questo significa che il giudice non potrà prendere in considerazione come soluzione alternativa alla riforma o all'annullamento la dichiarazione della prescrizione in forza del computo del periodo sospeso, poiché, prima della pronuncia della sentenza di riforma o di annullamento, questo computo è precluso.
Questa previsione poggia sul fatto che ad ogni conferma della fondatezza dell'ipotesi accusatoria deve corrispondere la necessità di sospendere, almeno temporaneamente, il decorso della prescrizione, così da assegnare alla giurisdizione un tempo ragionevole per compiere la verifica della correttezza della decisione nei gradi di giudizio successivi. Infatti, pur avendo comunque previsto un termine massimo entro il quale l'esercizio della potestà punitiva dello Stato risulti definitivamente precluso, la giurisdizione, comunque, ha possibilità di sfruttare al meglio il tempo che le è concesso.
La ragione di questa previsione è fondata sulla necessità, appunto, come abbiamo detto, di non porre nel nulla il lavoro processuale svolto, come anche detto dal Procuratore nazionale antimafia Roberti. Perciò, salvo per i casi in cui nella fase preliminare e nel giudizio di primo grado non si siano interamente consumati i termini di prescrizione, l'autorità può utilizzare il tempo che resta – perché se lo è risparmiato nelle fasi precedenti di giudizio – per giungere ad una pronuncia definitiva sui fatti.
Inoltre, il testo che abbiamo approvato in Commissione giustizia tiene conto anche di altre proposte di legge di iniziativa parlamentare, poiché abbiamo inserito la previsione della sospensione del corso della prescrizione anche in caso di rogatorie all'estero per un massimo di sei mesi e anche in caso di perizie di particolare complessità per un massimo di tre mesi.Pag. 12
Credo, però, che una delle previsioni più importanti di questo testo riguardi i reati di corruzione. Il testo prevede un aumento della metà del termine massimo di prescrizione per i reati di corruzione propria, impropria e in atti giudiziari. Questa previsione, che è frutto di un lavoro fatto dai relatori Amoddio, Dambruoso, dal Partito democratico, da SEL e dal MoVimento 5 Stelle, tiene conto di una necessità importante, cioè quella di intervenire sui tempi di prescrizione nei reati corruttivi; corruzione che, per il nostro Paese, rappresenta un vero e proprio cancro che abbiamo il dovere di debellare.
Il nostro intervento mette al centro il cosiddetto patto corruttivo, che, proprio per sua natura, impedisce il più delle volte di essere scoperto a ridosso della commissione dello stesso. Questo correttivo sui reati più gravi di corruzione ci consente anche di adeguarlo alle indicazioni che sono state più volte oggetto di raccomandazione da parte del Groupe d'Etats contre la corruption del Consiglio d'Europa e, in particolare, nel 2014, il rapporto Greco ci ha indicato che, nel quadro del semestre di coordinamento delle politiche economiche del 2013, l'Italia doveva rafforzare il quadro giuridico di contrasto della corruzione, anche rivedendo proprio la normativa sulla prescrizione; raccomandazione che è stata espressa anche dall'OCSE nel primo rapporto sulla corruzione, dove sono stati invitati i Paesi aderenti – e, in particolare, quindi, l'Italia – ad allungare i tempi di prescrizione e rendere più efficienti i processi.
Il testo approvato in Commissione introduce, poi, un'altra importante novità per quanto concerne la decorrenza della prescrizione per i reati commessi con l'abuso di minori, e su questo vorrei dire alcune cose in particolare.
Il termine di prescrizione, in questi casi, non decorre dal fatto di reato e, quindi, dal momento della consumazione del reato, ma abbiamo stabilito che decorra dal compimento del quattordicesimo anno di età del minore, salvo che l'azione penale non sia stata precedentemente esercitata. Questa soluzione tiene in equilibrio due esigenze: quella della vittima del reato, che deve avere, quanto meno, un tempo per denunciare il fatto, se riesce a superare la propria situazione di dipendenza morale e materiale dall'autore dell'abuso, e quella dell'imputato per evitare che l'intervento penale abbia luogo a una distanza temporale eccessiva rispetto al presunto fatto commesso. La previsione che abbiamo inserito è conforme a quella di diversi Stati europei, in particolare a quella della Germania, dell'Austria, della Francia, dei Paesi Bassi e della Svezia, in virtù anche della Convenzione di Lanzarote del luglio 2010.
Personalmente, nonostante l'avanzamento che è stato fatto stabilendo al quattordicesimo anno di età il dies a quo da cui parte il termine prescrizionale per i reati commessi con abuso dei minori, ritengo che andrebbe fatto uno sforzo ulteriore, innalzando a 18 anni il termine di decorrenza della prescrizione, poiché ritengo che il compimento del quattordicesimo anno di età non sia sufficiente a superare lo stato di dipendenza, di timore o di terrore in cui vivono i bambini vittime di abusi. La casistica, infatti, narra di denunce fatte anche a distanza di moltissimi anni e, trattandosi di reati riprovevoli, ritengo che questo Parlamento possa innalzare con coraggio al diciottesimo anno di età il momento da cui far partire la prescrizione. Infine, il testo della Commissione non modifica la disciplina dell'interruzione del corso della prescrizione, rispetto alla legge cosiddetta ex Cirielli, se non prevedendo, come ulteriore causa di interruzione, anche l'interrogatorio delegato dal PM alla polizia giudiziaria.
In conclusione, signor Presidente, ritengo che le forze politiche abbiano fatto un buon lavoro di sintesi, approvando un testo equilibrato e capace di porre rimedio alle inefficienze e storture della legge «ex Cirielli». È chiaro che non ci possiamo fermare qui e cioè la volontà riformatrice di questa maggioranza e in particolare del Partito Democratico vuole andare avanti. In poco più di due anni abbiamo introdotto importanti novità legislative e, accanto alla riforma della prescrizione, abbiamo Pag. 13il dovere di riformare anche il processo penale per garantire strumenti idonei, come ho già detto, nel rispetto delle garanzie della difesa e delle altre parti processuali, per un processo giusto e veloce.
Io credo, venendo alle osservazioni che sono state fatte dall'onorevole Colletti, che sia vero che servano modifiche della prescrizione, ma serve un'azione riformatrice a trecentosessanta gradi del processo penale, e la faremo, e serve anche una poderosa riorganizzazione della macchina della giustizia che, devo dire, il Ministero ha iniziato, sotto la guida del presidente Barbuto, che attiene proprio al funzionamento dei tribunali e alle mancanze di organico, sia del personale amministrativo, ma, anche, aggiungo, della magistratura. Credo che, accanto alla riforma della prescrizione, vi siano alcuni istituti particolarmente importanti come il nuovo strumento della particolare tenuità del fatto; attendiamo il decreto legislativo sulla depenalizzazione, poiché nella legge delega che abbiamo approvato ormai da un anno è contenuta anche una massiccia opera di depenalizzazione dei cosiddetti reati bagatellari, quelli cioè puniti con la multa e l'ammenda, accanto al disegno di legge che, naturalmente, è ora in Senato, conosciuto come disegno di legge Grasso sull'anticorruzione che, all'onor del vero, devo dire, avevamo presentato, a firma Ferranti, anche qui alla Camera; credo che il Partito Democratico possa essere particolarmente soddisfatto per l'azione di riforma che abbiamo portato avanti fino ad ora e che naturalmente non si fermerà qui.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega D'Alessandro. Ne ha facoltà.
LUCA D'ALESSANDRO. Gentile Presidente, onorevoli colleghi, innanzitutto una doverosa premessa: il tema della prescrizione si incrocia inevitabilmente con il tema del diritto alla difesa costituzionalmente garantito; pertanto, il legislatore non può introdurre norme che violino uno dei principi cardine della Costituzione, impedendo al cittadino innocente di potersi difendere adeguatamente in tempi ragionevoli, come d'altra parte è previsto dalle norme sul giusto processo.
Purtroppo, il provvedimento che giunge oggi all'esame di quest'Aula va nella direzione opposta, e, come tutti i provvedimenti in materia di giustizia posti all'attenzione del Parlamento in questa legislatura, sembra più il prodotto di spinte ideologiche e di superficialità. Invece di intervenire sulle inefficienze di una parte della magistratura, le si dà il solito aiutino. Non si riescono a concludere i processi in dieci anni ? Che problema c’è ? Allunghiamo i tempi, di cinque, dieci – perché no ? –, anche di venti anni. Con buona pace dei cittadini, di quelli normali e invisibili, ma stritolati dagli ingranaggi di questa perversa macchina giudiziaria, che saranno costretti a convivere per un terzo della loro esistenza nelle aule di un tribunale.
La sinistra continua a strumentalizzare i temi di giustizia, e ad agire senza avere una visione strategica di ampio respiro, senza prevedere interventi strutturali e riforme compiute, intervenendo con soli interventi tampone e norme spot prive di efficacia.
In tema di prescrizione, la discussione in atto, che in Commissione giustizia ha visto il testo del Governo contrapporsi in diversi punti a quello portato avanti inizialmente dal Partito Democratico, la sensazione evidente è, infatti, quella di un tema legato a questioni più che altro ideologiche, dimenticando che la stessa è una delle caratteristiche dello Stato liberale, è una delle garanzie fondamentali del cittadino. Ciò che manca è, infatti, la responsabilità, l'organizzazione giudiziaria: il giudice, e chiunque ha responsabilità organizzative, dovrebbe essere in grado di garantire la celebrazione dei processi, che si fa anche seguendo un ordine cronologico, tenendo conto dei termini di prescrizione.
Nuove norme in maniera di prescrizione, che a loro volta si desumono da diversi provvedimenti attualmente all'attenzione di Camera e Senato, creano solo Pag. 14ulteriore confusione. E confusione – in materia di giustizia e, nello specifico, in materia processuale – significa colpire non solo i cittadini, ma anche le imprese che pensano di voler investire in Italia, e, in particolare, quelle che nel nostro Paese già operano quotidianamente, per non parlare di tutte le spese coinvolte in processi che, a causa di questo provvedimento, diventeranno pressoché «eterni».
In uno Stato di diritto non è concepibile garantire le prerogative dei cittadini attraverso l'allungamento dei tempi di prescrizione. I diritti dei cittadini si garantiscono attraverso la celebrazione di processi celeri. Non è in discussione la nostra battaglia contro la corruzione e contro il malaffare, che dev'essere condotta senza «se» e senza «ma»: ciò che è in discussione è la garanzia di giustizia, e di celebrazione dei processi, il rispetto delle Garanzie con la «G» maiuscola.
Con questo provvedimento, assieme ad altri che hanno già provveduto o stanno provvedendo ad aumentare le pene, e alle sospensioni previste, l'unico risultato che riusciremo ad ottenere è quello di un aumento inconcepibile della prescrizione, che non ci può trovare d'accordo. Combattere la corruzione e il crimine non significa che i cittadini debbano stendere in eterno la celebrazione di un processo. La lentezza e l'inefficienza della giustizia non può ricadere su di loro. Il Governo guarda il problema dal lato sbagliato: si devono velocizzare i tempi. Basti pensare che, dall'ultima analisi della Commissione europea pubblicata la scorsa settimana, l'Italia è terzultima per i tempi della giustizia civile. Per quanto riguarda quella penale, essa marcia a passo di carica solo quando il processo serve a dare notorietà, fama e onori (quando non si concludono, come in molti casi, con un'ignominiosa sconfitta e la conseguente perdita della faccia).
Nel nostro Paese la giustizia viene resa con grande ritardo, con la conseguenza che l'effetto della sentenza non arriva mai ed è sostituito da quello di provvedimenti cautelari o che dovrebbero essere, invece, a garanzia dell'imputato. Molti magistrati, anch'essi sfiduciati verso i tempi della giustizia, largheggiano – o, forse, è meglio dire abusano – con la custodia cautelare, svincolandola dal suo reale scopo e finalizzandola a sostituire un obiettivo punitivo, che difficilmente arriverà o arriverà molto in ritardo con la sentenza definitiva. L'anticipo vergognoso e incostituzionale di una pena che, alla luce delle molte assoluzioni nel merito, non potremmo che definire ingiusta.
Che dire dell'effetto degli avvisi di garanzia, trasformatisi da tutela per l'indagato a sentenze di condanna vere e proprie, anticipatorie di verdetti della Cassazione che arriveranno dopo anni ed anni di gogna e, come detto, magari per stabilire che il tizio era totalmente innocente ? La presunzione di innocenza prevista dalla Costituzione è travolta, fatta a pezzi, a causa di questi perversi meccanismi che vivono e si mantengono grazie alla lunghezza dei processi. Dal verso opposto, consentono a chi è colpevole davvero di far perdere credibilità ed efficacia alla sua condanna definitiva, che può giungere dopo molti anni dal fatto, su una persona che è diversa, magari molto diversa, rispetto a colui che l'ha commesso.
Un sistema giustizia di un Paese civile dovrebbe mettere al centro l'uomo, la persona, perché dietro ad ogni numero delle fredde statistiche che siamo abituati a leggere c’è una persona, una storia, ci sono emozioni, sentimenti e spesso famiglie che si logorano nell'attesa di una sentenza.
Anche il parere della Commissione affari costituzionali rileva che il combinato disposto delle disposizioni che aumentano i termini di prescrizione e di quelle in tema di sospensione della prescrizione sopra citate sembrano non pienamente rispondenti al principio della ragionevole durata del processo di cui all'articolo 111, comma secondo, della Costituzione.
Entrando nel merito del provvedimento, si rileva inoltre che viene introdotta un'ulteriore ipotesi di sospensione del corso della prescrizione, per un termine di tre mesi, collegandolo al caso di perizie che comportino pareri di «particolare Pag. 15complessità». Tale disposizione appare carente sotto il profilo della determinatezza, rischiando di tradursi in un vulnus del principio di legalità di cui all'articolo 25 della Costituzione. Come rilevato dalla stessa Commissione affari costituzionali, tale previsione sembra affidare alla valutazione discrezionale dell'autorità giudiziaria la possibilità di disporre la sospensione del decorso dei termini per la prescrizione attraverso l'ammissione di una perizia ritenuta di particolare complessità, generando in tal modo una potenziale lesione del diritto alla difesa dell'imputato, di cui all'articolo 24 della Costituzione.
Unica cosa positiva che siamo riusciti ad ottenere, è l'introduzione di una chiara clausola che impedisca la retroattività delle nuove norme: una disposizione che doveva essere scontata, ma che invece non era inizialmente prevista nel suo testo base. Testo che è stato portato avanti con prepotenza, senza nemmeno sentire le ragioni dell'altra parte della maggioranza dell'Esecutivo, quella di Area Popolare, che si è correttamente posta contro questo provvedimento.
In definitiva, si tratta di un provvedimento che non risolve quella unanimemente riconosciuta come la maggiore criticità del sistema giustizia nel nostro Paese, ovvero la durata eccessiva e spropositata dei processi. E vorrei più di ogni altra cosa rilevare e sottoporre al Governo ancora una volta una questione di metodo, invitandolo ad affrontare il tema giustizia nel suo complesso, con un intervento globale e coerente, che abbia una vocazione riformatrice, una visione; e soprattutto abbandonando ogni approccio ideologico, che purtroppo – e lo dico con vero dispiacere – caratterizza ancora oggi ogni provvedimento su questo tema. Per tali motivi, il gruppo Forza Italia voterà no a questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Buttiglione. Ne ha facoltà.
ROCCO BUTTIGLIONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, io sarei lieto se potessi condividere le convinzioni radicate espresse dal collega adesso, o prima anche dalla collega del Partito Democratico. Io invece sono perplesso: confesso di non capire e di avere qualche problema; Area Popolare dirà quale sarà la sua posizione definitiva, penso dopo una riflessione che si svolgerà al termine del dibattito su questo tema.
Perché sono perplesso ? Noi stiamo aumentando i termini di prescrizione per alcuni reati, aggiungendo alla pena edittale una metà di tempo: io però non ho chiara quale sia la pena edittale ! Per la corruzione di pubblico ufficiale la pena edittale è di 8 anni o di 10 ? Stando all'ordinamento vigente, è di 8 anni; ma stando a varie notizie che arrivano dal Senato, potrebbe essere di 10, o anche di più.
Stiamo ragionando di prescrizione del reato, e ovviamente il tema della prescrizione del reato si incrocia col tema della durata del processo. La prescrizione forse è troppo breve, ma il processo è sicuramente troppo lungo, e oggi è lecito il sospetto che l'unico limite alla durata del processo sia la durata della prescrizione. Esistono proposte per separare questi due elementi, la durata del processo dalla durata della prescrizione ? Esistono; ma non sappiamo se saranno approvate e non sappiamo quale sarà il loro effettivo contenuto.
Prendiamo la corruzione di pubblico ufficiale: prima parlavamo di 8 anni, più una metà fa 12, più 3 anni in caso di condanna in primo e in secondo grado, arriviamo a 15: potrebbe esser ragionevole. Ma sono 15 o 18 ?
Se aumentiamo la pena edittale non saranno più quindici ma saranno diciotto. Stiamo decidendo di una prescrizione di quindici anni o di diciotto anni per questi reati ? Non lo sappiamo. Forse sarebbe stato più opportuno – lungi da me il voler rivolgere una critica al Viceministro della giustizia che ci ascolta – darci un unico provvedimento che contenesse questi tre elementi: la prescrizione del reato, la prescrizione eventuale del processo o i rimedi. Pag. 16Io preferirei la prescrizione del processo, mi sembra più semplice, ma ci possono essere anche altri rimedi, che ci sono in altri ordinamenti simili al nostro, i quali, pur senza arrivare ad una vera e propria prescrizione del processo, prevedono la possibilità di sanzionare il processo troppo lungo e di facilitare il raggiungimento di una ragionevole durata del processo, che è un principio costituzionale.
Io avrei gradito trovare nello stesso provvedimento una cosa e l'altra e l'altra ancora, perché onestamente non so bene su cosa stiamo votando. Vedo che il provvedimento che ci arriva dal Senato contiene un articolo 4 molto lungo, quello che invece è residuato alla Camera è un articolo 4 cambiato e anche molto breve. Senza entrare nel contenuto dell'articolo 4 approvato dal Senato, vedo che esso si poneva in qualche modo il problema della durata del processo penale.
Non dico che lo risolvesse bene, non dico che lo risolvesse male, non intendo pronunciarmi su questo, bisognerebbe riflettere a lungo ma il Senato si è posto il problema della durata del processo penale, e perché se lo è posto ? Perché ha intuito quella che è una connessione che fanno tutti, che è intuitiva, che è immediata: tra prescrizione e processo penale esiste un rapporto strettissimo; decidendo della prescrizione noi di fatto decidiamo anche della durata del processo. Perché questo tema della durata del processo è così importante ? Intanto, formalmente perché il diritto a un processo ragionevole – ragionevole significa anche ragionevolmente breve – è un diritto costituzionalmente protetto, costituzionalmente garantito e c’è un antico assioma che dice che la giustizia ritardata, è giustizia denegata.
Poi perché esistono i colpevoli, che tentano di evitare il processo per arrivare alla prescrizione e sono contenti tanto più quanto più dura il processo, perché più dura il processo e più è possibile che raggiungano l'impunità attraverso lo strumento della prescrizione. Bene, ho preso nota delle argomentazioni del collega grillino, ha ragione, ma nel mondo in cui vivo io ci sono anche gli innocenti e gli innocenti invece non mirano ad allungare il processo, vorrebbero avere un processo breve e vedono oggi, nella prescrizione del reato, l'unico limite alla durata del processo. Noi dobbiamo raggiungere un difficile equilibrio e stiamo parlando della libertà delle persone; è l'equilibrio fra il diritto dello Stato di punire, la pretesa punitiva dello Stato, dietro la quale c’è naturalmente anche il dolore della vittima del reato o l'indignazione nel caso in cui il reato abbia toccato le finanze dello Stato attraverso la corruzione ma anche abbia danneggiato i soggetti privati che magari hanno concorso ad un appalto avendo i titoli per vincerlo e invece l'hanno perso.
C’è la pretesa punitiva dello Stato, ma c’è anche la situazione del cittadino, il quale è ingiustamente accusato, perché in Italia la dilatazione dei tempi processuali fa in modo che il processo divenga una pena. Viene messa in dubbio la mia onorabilità, immaginiamo che io sia accusato e venga messa in dubbio la mia onorabilità, mi possono arrivare dei provvedimenti cautelari che mi impediscono di usare i miei conti correnti, possono arrivare dei provvedimenti i quali mi impediscono di gestire con piena libertà la mia azienda, mi può fallire l'azienda; quelli di noi che frequentano di più le aule dei tribunali sanno che non sono esempi astratti ma sono esempi concreti. Posso subire una detenzione preventiva, i miei figli possono essere additati a scuola come figli di un ladro e mia moglie magari può anche divorziare perché è umano che a un certo punto si stufi di questa situazione.
Quanto tempo può durare un processo ? Quanto tempo possiamo ragionevolmente immaginare che una persona umana regga alla durata del processo ? E poi alla fine gli diremo che è innocente ? Certo, adesso c’è anche la responsabilità civile dei giudici, ma facciamo affidamento sul fatto che c’è la responsabilità civile dei giudici per non preoccuparci di porre dei limiti alla durata del processo ? Ma allora la responsabilità civile dei giudici dovrebbe essere ampia e generalizzata, noi giustamente l'abbiamo ristretta a casi in cui la durata del processo derivi da dolo o colpa Pag. 17grave, da ignoranza inescusabile di stati di fatto o di diritto e così via. E nei casi in cui, invece, si arriva alla fine a sentenza di assoluzione e i giudici precedenti non hanno avuto né dolo né colpa grave, hanno fatto bene il loro mestiere e si sono sbagliati perché è un mestiere difficile e, come sbagliano i chirurghi, sbagliano talvolta anche i giudici, che cosa diciamo all'imputato ? Ecco l'esigenza di un bilanciamento, che riuscirebbe meglio se noi potessimo inserire nella nostra valutazione intanto qualche dato certo, la pena edittale dalla quale cominciamo a dare le nostre valutazioni, e poi anche qualche idea più precisa su cosa intendiamo fare per intervenire sulla durata del processo.
Voglio aggiungere anche che la prescrizione ha una sua ragion d'essere, non è che questo istituto venerabile, che esiste da tempo immemorabile, sia stato inserito lì per favorire i colpevoli; la prescrizione esiste perché più ti allontani dal momento in cui il fatto è stato commesso, più è difficile costruire validi elementi di prova. Provare un fatto avvenuto vent'anni fa è più difficile che provare un fatto avvenuto ieri, per la banale ragione che i testimoni possono essere morti e uno ha anche il diritto di non ricordarsi. Provate a immaginare: viene qualcuno e vi chiede: ma tu cosa stavi facendo alle 18,30 del 10 marzo del 1995 ? Non lo so. Se dovessi difendermi da un'accusa sarei in grande difficoltà, quindi è più difficile aggregare validi elementi di prova.
In genere, l'allarme sociale è destato dal fatto, che dopo vent'anni si è esaurito, ma probabilmente anche dopo quindici anni, che lo Stato ha minori ragioni di riaffermare, attraverso la punizione del reo, la validità della norma. E quanto alla funzione emendativa della pena, dopo tanti anni, gli uomini cambiano; se si è emendato, si era già emendato da solo, se non si è emendato da solo, è dubbio che, a questo punto, sia la pena del carcere ad emendarlo.
Allora, c’è un po’ un'area di chi pensa che il meglio sarebbe: «prescrizione mai». Invito i colleghi che la pensano così a riflettere sulle ragioni per cui esiste l'istituto della prescrizione, che sono anche le ragioni per le quali non può essere troppo lungo, non può essere indefinitamente lungo. E poi ci sono alcune osservazioni più di dettaglio. Leggo dal parere della I Commissione permanente, la Commissione affari costituzionali: «rilevato, al riguardo, che il combinato disposto delle disposizioni che aumentano i termini di prescrizione e di quelle in tema di sospensione della prescrizione sopra citate sembrano non pienamente rispondenti al principio della ragionevole durata del processo di cui all'articolo 111, comma 2 della Costituzione». Allora, forse c’è una connessione, che qualche collega negava, tra termini di prescrizione e durata del processo. Non lo dico io, lo dice la I Commissione (affari costituzionali): c’è nella situazione concreta, nella situazione della Repubblica italiana. Certo, se noi avessimo norme le quali ci garantiscano la ragionevole durata del processo, indipendentemente dalla prescrizione, tale connessione non ci sarebbe. Ma dove sono queste norme ? L'articolo 4 approvato dal Senato tentava di introdurle – giuste, sbagliate, sufficienti, insufficienti, esagerate – perché mai è scomparso quell'articolo 4 ? Non l'ho capito.
Non fa una bella impressione la scomparsa di questo articolo 4. Certo, vi è un altro provvedimento che di questo si occuperà, ma noi, intanto, decidiamo senza sapere quali saranno i contenuti di questo altro provvedimento. E poi, per quello che riguarda l'accertamento peritale, che comporta una sospensione della prescrizione, di nuovo, non io, ma la I Commissione, quella che tutela i diritti costituzionali dei nostri cittadini, ci dice che: «(...) la suddetta disposizione appare carente sotto il profilo della determinatezza, rischiando di tradursi in un vulnus del principio di legalità di cui all'articolo 25 della Costituzione, tenuto conto della natura istruttoria dell'accertamento peritale».
Di cosa si tratta ? Si tratta del fatto che l'ulteriore sospensione del corso della prescrizione per un termine massimo di tre mesi è collegata a perizie di particolare complessità. Ho fatto il professore e, Pag. 18quando facevo il professore, avevo una buona regola: mai introdurre un termine tecnico senza spiegarlo. Qui la «particolare complessità» viene introdotta senza spiegazioni.
E non è che venga introdotta senza spiegazioni per poveri deputati ignoranti, come me, che hanno fatto filosofia – no, veramente sono anche laureato in diritto, me lo ero dimenticano in questo momento –, che sono professori di filosofia, e non professori di diritto, ma anche i miei colleghi esperti di diritto penale mi dicono che l'espressione «particolare complessità», collegata alle perizie, è un'espressione che non ci dà criteri precisi e determinati per una scelta.
Non si tratta di mettere in dubbio la necessaria e inevitabile discrezionalità del giudice, ma la discrezionalità si esercita sempre all'interno di paletti, di indicazioni. Quali sono queste indicazioni ? Quand’è che decidiamo che una perizia è di particolare complessità ? E chi lo decide, il giudice da solo e di sua iniziativa ?
Sempre la I Commissione continua facendo presente che: «(...) tale previsione sembra affidare alla valutazione discrezionale dell'autorità giudiziaria la possibilità di disporre la sospensione del decorso dei termini per la prescrizione attraverso l'ammissione di una perizia ritenuta di particolare complessità, generando, in tal modo, una potenziale lesione del diritto di difesa dell'imputato di cui all'articolo 24 della Costituzione».
Abbiamo, dunque, l'articolo 24 della Costituzione sul diritto di difesa, l'articolo 25 sul principio di legalità e, soprattutto, l'articolo 111 sulla ragionevole durata del processo. La I Commissione ci dà molti elementi, su cui, credo, noi siamo tenuti a riflettere.
Che io sappia, è un parere votato all'unanimità, e quindi vuole dire che non esprime una valutazione di parte: è una valutazione di cui dobbiamo farci carico. Infine, sempre la I Commissione ci invita a valutare: «(...) l'opportunità di modificare la disposizione di cui all'articolo 3, comma 1, capoverso comma 3-quater, che prevede un'ulteriore ipotesi di sospensione del corso della prescrizione, relativa al caso di perizie che comportino pareri di particolare complessità (...)». È una raccomandazione che tira le fila di quanto precedentemente contenuto nelle osservazioni.
Credo che su queste cose si possa condurre un dialogo sereno. Nessuno vuole lasciare i corrotti a piede libero, siamo tutti convinti che la corruzione sia un cancro di questo Paese e che vada combattuta, ma questo non ci autorizza a dimenticare l'accusato innocente: 120 mila procedimenti si prescrivono in Italia ogni anno, è stato detto, giustamente. È la cifra esatta, però vorrei ricordare che in Italia abbiamo tanti procedimenti, tantissimi.
Quei 120 mila procedimenti vanno considerati in rapporto ad alcuni milioni di procedimenti che sono in atto nel sistema giudiziario italiano; non rappresentano una percentuale straordinariamente preoccupante. E, se vi sono, forse, su quei 120 mila, 60 mila colpevoli che la scampano, vi sono anche 60 mila innocenti che, invece, vedono la fine del loro tormento. Infatti, questa è la realtà: degli accusati, in Italia, grosso modo, metà vengono condannati e metà vengono assolti, metà sono innocenti e metà sono colpevoli.
Dobbiamo valutare la cosa anche dal punto di vista di quella metà che sono colpevoli. Ma siamo convinti, poi, che la sanzione penale sia lo strumento migliore contro la corruzione o quello su cui bisogna porre la maggiore attenzione ? Io non ne sono convinto. Dovremmo portare la nostra attenzione su altre leggi.
Vi racconto un'esperienza personale. Qualche anno fa, abbiamo approvato qui, in quest'Aula, una legge sull'Expo a Milano. Io, in Commissione, feci notare che quella legge sembrava fatta apposta per favorire la corruzione, perché quella legge, copiando altre leggi (con le quali pure ci sono stati fenomeni corruttivi importanti o, comunque è stato sollevato il dubbio, perché non sono finiti i procedimenti) cosa fa ? Sostanzialmente, applicando all'Expo delle ordinanze che erano state emanate in circostanze realmente di necessità e urgenza, garantiva un diritto praticamente Pag. 19illimitato di dare gli appalti a chi si volesse, a trattativa privata, senza procedura di evidenza pubblica, senza nessuna garanzia. È stata approvata in questo Parlamento, non in un altro Parlamento. E quando feci notare che sembrava che aprisse lo spazio alla corruzione, mi dissero tutti che mi sbagliavo, che non era così, le garanzie c'erano ed erano rilevanti. Da dove nasceva il problema ? Dal fatto che se c’è l'alluvione non si fa una procedura di evidenza pubblica per comprare il pane che serve a dare da mangiare agli alluvionati, ma quando si fanno dei grandi lavori come l'Expo, non ci si può appellare alle stesse ragioni.
Vi faccio un altro esempio: noi abbiamo votato poco fa una legge, la quale sostanzialmente dà una specie di immunità penale all'amministratore delegato dell'Ilva di Taranto, e perché gli dà l'immunità penale ? Gli dà l'immunità penale perché abbiamo creato un groviglio di leggi per il quale è impossibile, o molto difficile, che qualcuno possa esercitare quella funzione senza incappare in un modo, o nell'altro, nella legislazione vigente. Non dovremmo porci il problema intanto di fare una legge sugli appalti la quale sia semplice, di facile attuazione, che consenta di fare anche le grandi opere (non so se il Giubileo di Roma avrà bisogno di grandi opere, ma se ne avesse bisogno, anche di fare le grandi opere per il Giubileo) con la legislazione ordinaria, senza una legislazione speciale che poi contrappone all'eccesso di garanzie della legislazione ordinaria un eccesso di eccezionalità e di caduta di garanzie per le opere che devono essere fatte in fretta ? Non dovremmo concentrare, se volessimo veramente combattere la corruzione, la nostra attenzione su questo tipo di provvedimenti: rifare la legge sugli appalti, ma anche rimediare alla confusione e al disordine della legislazione, perché la corruzione si insinua dove c’è confusione e disordine della legislazione ? Io mi fermo qui, ci sarebbero molte altre cose da dire, invitando tutti a riflettere fuori dalla solita contrapposizione fra i garantisti e i giustizialisti, dove sembra che i giustizialisti vogliano mandare in galera tutti, anche gli innocenti, e i garantisti vogliano lasciare a piede libero tutti, anche i colpevoli. Vogliamo ragionare per cercare un giusto punto di incontro che offra il massimo possibile di garanzia che i colpevoli vadano in galera e che gli innocenti non siano chiamati a soffrire ingiustamente e non si vedano rubata la vita, perché un processo che può durare diciotto, venti anni, è un processo che ti ruba la vita. Come fai a ricostruirtela dopo ? Da dove cominci ? D'altro canto, noi abbiamo a che fare con fenomeni che non sono solo di corruzione, ma di corruzione quasi ostentata, in cui non ci si preoccupa neanche di salvare le apparenze. Allora vogliamo unirci alla ricerca di questo giusto equilibrio ? Noi di Area Popolare siamo disponibili ad un dialogo che abbia questi contenuti e che investa questo provvedimento, ma anche altri provvedimenti paralleli, troppo evidentemente connessi con questo, tanto da renderci difficile decidere su questo provvedimento, non avendo contezza di ciò che si intenda fare sugli altri due che io ho nominato. Grazie per la vostra attenzione (Applausi dei deputati del gruppo Area Popolare (NCD-UDC)).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Molteni. Ne ha facoltà.
NICOLA MOLTENI. Grazie Presidente, ovviamente raccolgo gran parte delle considerazioni che il collega Buttiglione ha fatto, considerazioni e riflessioni dalle quali emergono evidentemente delle criticità e delle perplessità in merito a questo progetto di legge. Sono perplessità che provengono da una forza politica che già in Commissione votò contro questo testo e che qui in Aula ribadisce tutte quelle perplessità e tutti quei dubbi che mi auguro il dibattito parlamentare possa fugare.
Quindi, se da un lato accolgo queste riflessioni, dall'altro lato mi sia consentito, in prima battuta, fare presente alla collega Morani – che poc'anzi è intervenuta ricordando questa grande riforma della giustizia – che questa grande riforma della Pag. 20giustizia francamente è una «grande» riforma che tale è, forse, solo ed esclusivamente per i colleghi del Partito Democratico. Però credo che i cittadini, i cittadini che ci stanno ascoltando e che sono qua presenti in Aula, di questa grande riforma francamente vedano ben poco.
È una grande riforma che è rimasta nelle slide di Palazzo Chigi o nei selfie del Presidente Renzi, ma che ad oggi ha avuto, rispetto a quella famosa conferenza stampa del 30 giugno 2014, ben poca applicazione. Il sistema giustizia oggi non presenta modifiche e migliorie rispetto al passato ed i problemi di ieri sono esattamente i problemi di oggi in materia di giustizia. Quindi è una politica fino ad oggi che definirei, come ho già avuto modo di dire in altri interventi da parte del Governo in materia di giustizia, totalmente fallimentare.
Il tema della prescrizione, che riguarda il progetto di legge che oggi ci apprestiamo a discutere, è evidentemente un tema delicato, un tema complesso, un tema che ha assunto nel corso degli anni anche una grande valenza di natura politica, un tema che è dibattuto dal 2005, anno in cui venne approvata la legge ex Cirielli, che ha sostanzialmente modificato il sistema e il meccanismo di calcolo della prescrizione, ancorandolo ad una data e a un termine certo, quello del massimo di pena edittale, modificando quindi il sistema precedente che, attraverso il sistema degli scaglioni per gravità di reato, prevedeva un sistema esattamente opposto.
Il dibattito quindi, ormai, da dieci e passa anni, si incentra sul fatto se la legge ex Cirielli sia una legge buona oppure no, sia una legge giusta oppure no, sia una legge sbagliata oppure no. Per trarre un primo rendiconto e una prima valutazione sulla bontà o meno di questa legge, credo siano i dati e i numeri che iniziano a fare capire e a mettere sul tavolo qualche riflessione ulteriore, se è vero com’è vero che nel 2003 i processi estinti per prescrizione, quindi i processi prescritti, erano circa 207 mila e nel 2012 – quindi abbondantemente dopo l'entrata in vigore della legge ex Cirielli – i processi prescritti erano 113 mila. Qualcuno dirà troppi e probabilmente sono troppi, ma ben il 40 per cento in meno rispetto ai processi che si prescrivevano prima dell'entrata in vigore della legge ex Cirielli. In base a questo dato e alla luce delle considerazioni, delle riflessioni e anche delle audizioni che opportunamente sono state fatte in Commissione giustizia su questo tema, ho paura che il tema della prescrizione sia diventato nel corso degli anni e nel corso del tempo più una battaglia ideologica della sinistra e di una parte della magistratura, anziché una vera e propria battaglia di diritto e anziché una vera e propria battaglia di giustizia per potere avere un sistema giustizia migliore ed efficiente.
Io dico subito – lo ho detto anche Commissione e lo dico subito anche in Aula – che credo che oggi la priorità principale dei cittadini del nostro Paese sia quella di avere una ragionevole durata del processo e questo nell'ottica dell'articolo 111 della Costituzione sul giusto processo. I cittadini oggi lo chiedono alla politica, al Parlamento e al Governo. Cittadini e imprese e famiglie chiedono di avere giustizia in tempi certi, giustizia in tempi possibilmente rapidi. Chiedono alcuni principi e alcuni presupposti che oggi nel dibattito non ho ancora sentito citare.
I cittadini chiedono la certezza del diritto, chiedono la certezza della pena ed oggi la necessità principale di chi ci sta ascoltando e di chi vive il nostro Paese non è quella di allungare i tempi e i termini della prescrizione, ma è di accorciare i processi. Qual è il rischio che io vedo nel vostro progetto di legge, dove vengono allungati i termini di prescrizione ? Il rischio che io vedo – è un rischio manifesto, un rischio chiaro – è che l'allungamento dei termini di prescrizione possa portare a un allungamento dei termini e dei tempi del processo. Questo renderebbe il sistema giustizia del nostro Paese, oggi già poco credibile, ulteriormente poco credibile agli occhi dei cittadini.
Credo che la certezza del processo, avere un processo certo, che in tempi certi, che in tempi rapidi esaurisce il proprio Pag. 21corso, per dare giustizia, sia una priorità e una necessità. Quindi, il primo rischio che avverto nel vostro progetto di legge è che l'allungamento dei termini di prescrizione ricadrà inevitabilmente nell'allungamento dei tempi del processo e questo credo che renda la giustizia ancora meno credibile. I cittadini vogliono fidarsi di questa giustizia, vogliono fidarsi di una giustizia che possa riconoscere in modo inequivocabile la certezza di un diritto.
Abbiamo più volte definito la prescrizione una causa di estinzione del processo. La prescrizione è la cancellazione temporale della pretesa punitiva dello Stato, è l'arco temporale all'interno del quale lo Stato esercita la propria pretesa punitiva. Io credo che la pretesa punitiva dello Stato deve essere esercitata in tempi rapidi. Non possiamo permetterci, tanto nell'interesse dell'imputato quanto e anche soprattutto nell'interesse della parte offesa, della parte lesa, che i cittadini rimangano ancorati e rimangano pendenti sotto processo per troppo tempo, che rimangano sotto processo per una vita e che rimangano sotto processo in maniera pressoché sostanzialmente eterna. Perché ? Perché la distanza che intercorre tra il fatto e il giudicato deve essere il più breve possibile. Questo vale per gli imputati, ma vale anche per le parti lese, per le vittime dei reati, vittime rispetto alle quali noi abbiamo dimostrato più volte attenzione, a differenza del Governo e a differenza del Partito Democratico.
Questo dibattito sulla prescrizione, che casualmente avviene dopo che, poche settimane fa, quest'Aula ha votato una legge che è stata fortemente contestata anche dalla magistratura – mi riferisco alla responsabilità civile dei magistrati –, potrebbe apparire, Presidente, come il tentativo di un bilanciamento di questo Governo rispetto alla responsabilità civile dei magistrati. Infatti, è vero in parte, Presidente, quello che lei ha dichiarato in questi giorni, cioè che questa legge entra in Parlamento avversata tanto dalla magistratura quanto dagli avvocati. Io direi che appare più avversata dagli avvocati, non tanto dalla magistratura, perché se noi andiamo a prendere i resoconti delle audizioni – che io mi sono letto – non mi pare che da parte della magistratura ci siano critiche rispetto all'orientamento che prende questo progetto di legge. E quindi questo dibattito rischia di essere come il tentativo, da parte del Governo, di cedere rispetto a una parte della magistratura, che vede nella responsabilità civile dei magistrati – che noi non abbiamo votato perché non è responsabilità civile dei magistrati, ma è una responsabilità civile dello Stato rispetto al magistrato – una cedevolezza da parte del Governo.
Ancora, abbiamo più volte sentito dire che la prescrizione è stata più volte vista ed è stata più volte definita come la malattia del sistema, come la malattia di un sistema, la malattia del sistema processuale. Temo, invece, che la prescrizione non sia la malattia, ma il sintomo di un sistema processuale malato, che rischia ulteriormente di aggravarsi esattamente nel momento in cui si decide politicamente di allungare i tempi della prescrizione.
E, quindi, allungare i tempi della prescrizione non risolve la malattia, ma rischia di aggravare la patologia del sistema. E questo ce lo dice, ce l'ha detto ed è venuto a dirlo in Commissione anche il professor Tullio Padovani, ordinario di diritto penale presso la Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa il quale, in un intervento assolutamente apprezzato e condiviso, ci ha parlato del problema della prescrizione. Tra l'altro, è un problema tipicamente italiano perché in altri Paesi questo problema non è avvertito o, meglio, non è avvertito nelle stesse dimensioni e con la stessa portata con cui è avvertito nel nostro Paese. Il professor Padovani ci dice due cose e io credo siano due elementi di ulteriore riflessione da mettere sul tavolo nel momento in cui si intraprende questo percorso di modifica della prescrizione. Il primo elemento di valutazione è insito nella funzionalità del processo penale, ovvero un cattivo funzionamento della macchina giustizia. Sapete come la penso: io credo che nel nostro Paese ci siano tantissimi magistrati bravi, tantissimi magistrati in prima linea, che Pag. 22fanno con dovere e con impegno il proprio lavoro, a servizio dello Stato, come dei veri e propri servitori del nostro Paese, ma il tema della prescrizione non può essere affrontato se precedentemente non si affronta il problema del funzionamento del processo, con tutte le conseguenze e con tutti i problemi di cattivo funzionamento legati ai fattori che sono stati citati poc'anzi anche dal collega Buttiglione, che sono problemi di funzionamento del processo all'interno del nostro Paese.
Vi è un altro tema rispetto al quale non ci si può nascondere, un tema che deve essere necessariamente affrontato attraverso una modifica costituzionale, ma che deve essere inevitabilmente messo sul tavolo come termine, come tema di discussione. È il tema dell'obbligatorietà dell'azione penale, un tema che non può essere liquidato, come avete fatto voi, in maniera sommaria attraverso uno schema di decreto legislativo che è stato approvato la settimana scorsa in Consiglio dei ministri sulla non punibilità dei fatti di particolare tenuità. Discrezionalità è altra cosa. Quello è un provvedimento. Esattamente il giorno stesso in cui è stato approvato in Consiglio dei ministri il disegno di legge sulla buona scuola, è stato approvato quello schema di decreto legislativo sulla cattiva giustizia, perché quel provvedimento va esattamente nella direzione opposta rispetto a quello che voi chiedete e dite di fare, cioè che non ci siano più quelle maglie di impunità che a vostro avviso sono dettate dal termine di prescrizione eccessivamente breve. A nostro avviso, l'impunità purtroppo l'avete garantita voi in questi anni attraverso i decreti svuota-carceri che hanno minato e che hanno negato la certezza della pena.
Quindi, io credo che prima o poi il Parlamento e il Governo dovranno responsabilmente prevedere anche il dibattito in merito all'obbligatorietà dell'azione penale, che non può più continuare ad essere un totem rispetto al quale il dibattito rimane abbondantemente precluso. E, quindi, come dicevo prima, la prescrizione è intesa come arco temporale entro il quale la pretesa punitiva dello Stato deve essere esercitata. Allungando la prescrizione non si avranno più condanne, né tantomeno si avranno più colpevoli, ma allungando la prescrizione ci sarà un unico meccanismo, che è il meccanismo di assoluzione dello Stato rispetto al fatto che lo Stato stesso non fa dignitosamente e in maniera chiara il proprio mestiere. Allungare i termini della prescrizione non porterà ad avere più colpevoli e ad avere più condanne, ma porterà unicamente ad assolvere lo Stato rispetto a quello che fa e che probabilmente fa male o che non fa e che dovrebbe fare. E, quindi, queste sono le perplessità e le critiche sul provvedimento complessivo. Evidentemente, in questa proposta di legge ci sono alcuni aspetti che invece valutiamo in maniera differente.
Non accetto che si dica che il tema della corruzione – che è un tema assolutamente presente nel dibattito politico e costituisce un problema evidentemente serio che mina fortemente non solo il principio di legalità ma mina fortemente anche il sistema economico del nostro Paese – non accetto che si tenti di pulirsi la coscienza sul tema della corruzione unicamente allungando i tempi della prescrizione.
Lo ricordava bene prima il collega Buttiglione: sul tema della corruzione si è fatto probabilmente poco e quel poco che è stato fatto probabilmente è stato fatto male. Perché lo dico ? Lo dico perché il Viceministro Costa si ricorderà benissimo il dibattito che venne fatto all'interno di quest'Aula sulla legge Severino. Vorrei capire qual è il disegno organico del Governo sulla corruzione, vorrei capire, come dice oggi il presidente dell'Autorità anticorruzione Cantone, se sulla legge Severino bisogna fare, sì o no, un tagliando. Credo che il Governo e in modo particolare il Partito Democratico debbano dire a quest'Aula e al Paese se la legge Severino è stata una legge sbagliata. Il Partito Democratico deve dire se la legge Severino è stata una legge fatta unicamente per mandare a casa Berlusconi, per far decadere Berlusconi, oppure se la legge Severino oggi va «tagliandata» e se la legge Severino Pag. 23oggi va rivista perché ci sono situazioni analoghe che non riguardano più il presidente Berlusconi ma riguardano altri esponenti politici di sinistra. Bisogna dire se la legge Severino ha fallito nella sua parte iniziale – quella relativa alla prevenzione perché la corruzione si batte anche facendo prevenzione e la parte prima della legge Severino ovviamente andava ad introdurre nuovi elementi di controllo e di trasparenza all'interno delle pubbliche amministrazione – oppure se non va bene la parte successiva riguardante i reati e la repressione.
Vorrei ricordare che in quel dibattito si disquisì molto, ad esempio, sull'introduzione del reato di traffico di influenze illecite o della corruzione tra privati. Vorrei ricordare al Parlamento che il reato di traffico di influenze illecite, che all'epoca sembrava necessario, anzi fondamentale, anzi improcrastinabile introdurre, è uno dei 157 reati potenzialmente non punibili perché reato punito con pena fino a cinque anni e quindi reato che rientra nella possibilità di archiviazione qualora il pubblico ministero lo ritenga di particolare tenuità.
Queste sono le incongruenze rispetto alle quali il Governo, ma in modo particolare, lo ripeto, il Partito Democratico deve fare chiarezza. Non si sconfigge e non si affronta la corruzione negando un principio sacrosanto o non applicando un principio sacrosanto che è il principio della certezza della pena.
Queste sono, Presidente, alcune delle perplessità che noi abbiamo. Le manifestiamo: le abbiamo manifestate in Commissione, le manifestiamo qui in Aula, le manifesteremo in occasione del dibattito e della votazione sugli emendamenti.
Rimane il fatto – e vado a concludere – che, oltre all'aspetto giuridico, all'aspetto tecnico, c’è poi un aspetto politico che all'interno di questo Parlamento dovrà essere chiarito. E l'aspetto politico deriva – lo abbiamo poc'anzi sentito dalle parole che in parte condivido del collega Buttiglione – dalla visione unitaria che questo Governo ha sulla prescrizione e sulla corruzione e, ad esempio, sul falso in bilancio. Infatti, ad oggi, non c’è alcuna visione unitaria, non c’è visione unitaria né nel Partito Democratico né nella maggioranza né all'interno dello stesso Governo e rimangono sul tappeto alcuni temi che sono per noi assolutamente fondamentali per il miglior funzionamento del sistema giustizia rispetto ai quali il Governo deve fare chiarezza: un Governo che non solo sulla giustizia ma anche sulla giustizia si sta dimostrando confuso e con una linea disomogenea e disorganica.
Vogliamo capire cosa intendono fare sulla prescrizione, vogliamo capire cosa intendono fare sulla corruzione, vogliamo capire cosa intendono fare sul falso in bilancio, vogliamo capire cosa intendono fare sulla legge Severino – se verrà ridiscussa e ridefinita oppure no – vogliamo capire che cosa avete intenzione di fare sull'arretrato civile e penale (9 milioni di processi civili e penali pendenti), sull'irragionevole durata del processo, tema che viene evitato rispetto a questo dibattito, ma che è centrale rispetto al dibattito della prescrizione; vogliamo capire che cosa avete intenzione di fare sulla riforma dei giudici di pace e della magistratura onoraria.
Sono tutti temi che rimangono nel limbo, tutti temi che rimangono sospesi, tutti temi che ci portano, anche rispetto alla prescrizione, ad esprimere un giudizio fortemente negativo sull'operato del Governo e della maggioranza anche sul tema della giustizia.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Sannicandro. Ne ha facoltà.
ARCANGELO SANNICANDRO. Signor Presidente, egregi colleghi, è opinione condivisa non soltanto in quest'Aula, ma anche nel Paese, che la giustizia in Italia è malata. Lo dicono le statistiche del Ministero, lo ha detto anche il Ministro Orlando quando è venuto qui in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario: milioni e milioni di processi, milioni di processi che, con tutta la buona volontà, i magistrati non riescono a smaltire in tempo ragionevole.Pag. 24
Perché ciò accade ? Accade innanzitutto, io ritengo, perché la nostra cultura ci porta a sanzionare qualunque illecito con la sanzione penale. C’è una sorta di panpenalismo generale, per cui abbiamo reati su reati: non credo che ci sia qualcuno che possa dire quanti sono gli illeciti penali nel nostro ordinamento.
Poi, c’è anche una deficitaria situazione circa l'organico dei magistrati. Si parla sempre di carenze di magistrati, si parla di carenza del personale amministrativo, si dice, in breve, che la quota di PIL che l'Italia assegna al problema giustizia è inferiore a quella che gli altri Paesi hanno riconosciuto. Tutto questo non lo possiamo eludere né possiamo depistare, noi stessi e la pubblica opinione, parlando di prescrizione. La prescrizione è un argomento che è sempre esistito, che ha una sua validità sostanziale, ma non può diventare il capro espiatorio di questa situazione fallimentare.
C’è anche un problema che attiene al procedimento penale. Noi abbiamo introdotto il sistema accusatorio, che doveva funzionare proprio come sistema che impedisse o, meglio, evitasse che tutti i procedimenti andassero a dibattimento. La realtà, invece, è tale: dovremmo fare, come è stato detto, una revisione di questa normativa, rivedere il processo, perché, appunto, accade che si va sempre, sostanzialmente, al processo.
Poi, c’è il problema enorme dell'obbligatorietà dell'azione penale. Questa obbligatorietà nei fatti non sussiste, perché nessun pubblico ministero può «sforare» ventiquattro ore di lavoro al giorno, per cui è costretto ad effettuare una selezione dei fascicoli che si trova davanti ad esaminare. Non solo, ma l'obbligatorietà dell'azione penale, in verità, è stata intesa anche nel modo più largo possibile, cioè portata fino al punto in cui c’è una mera indagine. Quindi, è ovvio che in tale maniera si copre tutto l'arco delle possibilità.
Questa obbligatorietà dell'azione penale nei fatti non c’è e, quindi, bisogna ripensare a questo istituto. Se così stanno le questioni, allora, ripeto, non possiamo fare della prescrizione il capro espiatorio e caricare la prescrizione anche di funzioni che non ha. Ce lo dice la Corte costituzionale, la quale, già nel lontano 1971, disse che è: «(...) interesse generale di non più perseguire i reati rispetto ai quali il lungo tempo decorso dopo la loro commissione abbia fatto venire meno, o notevolmente attenuato, insieme al loro ricordo, anche l'allarme della coscienza comune, ed altresì reso difficile, a volte, l'acquisizione del materiale probatorio».
È la sentenza n. 202 del 1971. Ma c’è anche un altro aspetto: a distanza di tempo non siamo più certi di giudicare la stessa persona, perché un ragazzo di vent'anni che ha commesso uno scippo, giudicato a trent'anni, credo che verosimilmente non sia più la stessa persona; non solo, ma il principio costituzionale della rieducazione della pena che fine fa quando un processo viene celebrato a tanta distanza di tempo ?
Quindi, la prescrizione va considerata per quello che è, e cioè il decorso di un arco temporale sufficiente, adeguato perché la pretesa punitiva dello Stato sia venuta meno e perché il cittadino non è stato soddisfatto nella sua richiesta di un processo celere. Ora, che cosa accade ? Noi riformiamo questo istituto, ma sempre sotto il versante dell'allungamento, sostanzialmente, dei tempi perché la prescrizione si realizzi, e quale strumento adoperiamo ? Adoperiamo l'intensificazione delle occasioni di sospensione del procedimento e anche quelle di interruzione del procedimento; in questa maniera noi abbiamo raschiato il barile, qualunque attività possibile che possiamo enucleare dalle fattispecie concrete viene utilizzata, fino in fondo, per portare i termini di prescrizione più lontano possibile.
Ora, è evidente, è già stato detto qui, non lo dobbiamo ripetere, che dilatare i tempi di prescrizione significa dilatare la perdita di un arco della vita personale, trasformare parte della propria esistenza in un calvario che, da parte nostra, non può che essere considerato inammissibile. Noi con questo proposta di legge procediamo esattamente in questa direzione.Pag. 25
Poi ci sono anche delle contraddizioni. Abbiamo deliberato di aumentare i termini prescrizionali per quanto riguarda la corruzione, ma non ho capito per quale motivo fra i reati della pubblica amministrazione si sia scelta solo la corruzione; il reato di peculato per quale motivo è stato escluso, considerato che è un reato di gran lunga più grave, in certi casi, come pena edittale e come fenomeno, e che pure è diffuso, indiscutibilmente ? Quindi, c’è anche questa contraddizione in sé.
Ora, la critica, in un certo senso, è sistemica e lo è perché, in effetti, si vuole contrabbandare questa riforma come una riforma di sistema, ma tale non è, perché si muove sempre sul versante dell'effetto, ma non intende andare alla causa. È stato già detto, comunque, che provvederemo sotto questi aspetti, però provvederemo in un'altra occasione, con un altro disegno di legge, con altri strumenti. Qualcuno ha già ricordato in quest'Aula, questa mattina, che se vogliamo affrontare il problema alla radice lo dobbiamo affrontare contemporaneamente, altrimenti, pur allungando i termini della prescrizione, è evidente che il problema lo si sposta in avanti, ma non lo si risolve, quindi non si tratta di una riforma, ma semplicemente di un adattamento alle esigenze concrete di questo particolare momento.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Daniele Farina. Ne ha facoltà.
DANIELE FARINA. Grazie Presidente, il Parlamento può fare tutte le riforme del mondo, ma se i dati restano quelli attuali non ci sarà mai una vera giustizia. Sono le parole, recenti, di Filippo Leonardo, presidente del tribunale del riesame di Reggio Calabria; il dato specifico da lui citato è quello dello squilibrio tra magistratura inquirente e giudicante.
Ma io lo traduco con quanto andiamo affermando da tempo: non si fanno riforme veramente efficaci a costo zero.
Abbiamo lavorato molto in questa legislatura sulla materia della giustizia, ma, sempre o quasi, in assenza di risorse aggiuntive per il servizio giustizia, anzi a volte con l'idea che, riformando, se ne poteva risparmiare qualcuna. E, infatti, eccoci qua. Ma viene da chiedersi: qua dove ?
Ci siamo sentiti raccontare che la prescrizione è la benzina dei processi, quale madrina del malcostume da avvocato di utilizzare tecniche dilatorie al fine di arrivare alla prescrizione. Sarà anche vero, ma abbiamo anche ascoltato che il 70 per cento dei reati si prescrive in fase di indagine preliminare, dove – come è noto – gli avvocati c'entrano poco o nulla. Abbiamo anche ascoltato che, dal 2005 ad oggi, il numero delle prescrizioni si è dimezzato. Eppure, siamo qui a discuterne come se fosse un'emergenza.
Abbiamo sentito anche in quest'Aula da parte del relatore come la prescrizione abbia avuto parte principale, secondo lui, nella sentenza sulla terribile strage di amianto di Casale Monferrato, purtroppo non l'unica, non isolata. Abbiamo anche visto che associazioni vicine anche a Sinistra Ecologia Libertà hanno raccolto firme per riformare, a partire da quel caso, l'istituto della prescrizione; però, poi, ci siamo un po’ resi conto, almeno dalle nostre parti, che in realtà quella prescrizione del reato di Casale Monferrato aveva molti padri e che non era forse quello il punto da usare in maniera un po’ populistica per arrivare ad una riforma della prescrizione, perché quel processo si è svolto in quattro anni, un tempo record per la giustizia italiana. Il problema non sono stati quei quattro anni, ma i quarant'anni precedenti, nei quali una cattiva politica e anche una cattiva magistratura non hanno avuto il coraggio di spingere in avanti, dentro anche un processo penale, ciò che i Cittadini per Casale, i sindacati, in tanti siamo andati denunciando.
Quindi, io credo che su questa questione, il provvedimento sui reati ambientali, il reato di disastro ambientale, che ci torna indietro dal Senato, se approvato celermente da questo ramo del Parlamento, potrà fare molto più che non una riforma della prescrizione.
Ci siamo sentiti raccontare addirittura che la prescrizione è una sconfitta dell'ordinamento Pag. 26giuridico, ma io mi chiedo: è possibile che un istituto di diritto sostanziale sia una sconfitta, piuttosto che una legittima parte dell'ordinamento ? In verità, dell'orrida prescrizione non parlava nessuno; c'era ma non accadeva, o accadeva molto di rado.
Altri due istituti di diritto sostanziale, l'amnistia e l'indulto, la prevenivano con sistematica cadenza. Ma, a tal proposito, sappiamo come è andata a finire e oggi, che di amnistia e di indulto non si parla più, la signora prescrizione è diventata una star.
Questo gruppo ha ripetutamente fatto notare che le carceri della Repubblica detengono, in rapporto agli altri Paesi europei, un inspiegabilmente alto numero di detenuti per violazione del testo unico sugli stupefacenti e un inspiegabilmente basso numero di detenuti per reati legati alla corruzione o contro la pubblica amministrazione. Quell’«inspiegabilmente» è totalmente ironico ovviamente perché è invece chiaro il lavoro del cattivo legislatore degli scorsi anni, lavoro che è stato chiarissimo, oltre che cattivo: dannazione per alcuni reati e salvazione per altri.
Per questo, SEL ha proposto di riformare, proprio con riguardo alla corruzione e ai reati contro la pubblica amministrazione, l'istituto della prescrizione e alla fine qualche piccolo risultato è arrivato, ma, ahimè, molto timido, e il collega Sannicandro ricordava altri reati di corruzione contro la pubblica amministrazione che abbastanza inspiegabilmente non fanno parte del testo che esaminiamo.
Dunque, poco ma buono però il nostro consenso finisce lì, perché il resto della riforma è poco di buono. Perché, per presunte necessità sistemiche, stabiliamo un regime di sospensione dei processi per tutti i reati che avrà come unico effetto il loro allungamento fino, potenzialmente, a tre anni. Quindi, processi irragionevolmente lunghi. Io cito sempre l'esempio del furto in un supermercato, del taccheggio, che, essendo furto aggravato, si prescriverà potenzialmente in tempi anche superiori ai 9 anni e allora mi chiedo: in quella data, a quella data che interesse avremo tutelato ? L'interesse della vittima ? Quello della collettività ? O quello dell'imputato, cittadino potenzialmente anche innocente ? Ecco, io direi, nessuno di questi interessi alla data del 2024.
La riforma funziona così: siccome la macchina è scassata, invece di ripararla per farla andare più veloce, e sto parlando ovviamente della macchina della giustizia, e ritornano le risorse mancanti, noi spostiamo l'ora o meglio la data dell'appuntamento, la spostiamo per tutti, vittime, imputati e ovviamente ordinamento. Io non guardo con preoccupazione alla prossima chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, avremo problemi ma li affronteremo; i problemi stanno soprattutto nel ritardo di alcune regioni che tuttavia non devono autorizzare slittamenti. Non sono preoccupato, e torno all'argomento, perché i matti veri sono già fuori e circolano anche in Parlamento e in tribunale come quelli che volevano interrompere la prescrizione dal momento del rinvio a giudizio e – aggiungo io facendo una battuta – perché non farla decorrere dalla sentenza di Cassazione a questo punto ? Sono quelli che raccontano che così cambierà poco o nulla e invece noi temiamo che cambierà eccome per le vittime e per gli imputati, compresi i tanti innocenti che non sono un errore statistico, visto i dati che abbiamo a disposizione. Dunque cambierà poco in bene e assai, temo, in male.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 2150-A)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore di minoranza, deputato Colletti, che però non vedo in Aula. Prendo atto che la relatrice per la maggioranza, deputata Amoddio, il relatore per la maggioranza, deputato Dambruoso, nonché il rappresentante del Governo si riservano di intervenire nel prosieguo del dibattito.Pag. 27
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Sospendo la seduta che riprenderà alle ore 14,45.
La seduta, sospesa alle 14,10, è ripresa alle 14,50.
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Cicchitto e Mannino sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
I deputati in missione sono complessivamente settantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.
In morte dell'onorevole Nicola Bellisario.
PRESIDENTE. Comunico che è deceduto l'onorevole Nicola Bellisario, già membro della Camera dei deputati nella VI legislatura.
La Presidenza della Camera ha già fatto pervenire ai familiari le espressioni della più sentita partecipazione al loro dolore, che desidera ora rinnovare anche a nome dell'Assemblea.
Discussione del disegno di legge: S. 1749 – Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4, recante misure urgenti in materia di esenzione IMU. Proroga di termini concernenti l'esercizio della delega in materia di revisione del sistema fiscale (Approvato dal Senato) (A.C. 2915).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 2915: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4, recante misure urgenti in materia di esenzione IMU. Proroga di termini concernenti l'esercizio della delega in materia di revisione del sistema fiscale.
Ricordo che nella seduta del 4 marzo 2015 sono state respinte le questioni pregiudiziali Cancelleri ed altri n. 1, Caon ed altri n. 2 e Palese ed altri n. 3.
(Discussione sulle linee generali – A.C. 2915)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la VI Commissione (finanze) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza, deputato Fragomeli.
GIAN MARIO FRAGOMELI, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, oggi iniziamo la discussione della conversione del decreto-legge recante misure urgenti in materia di esenzione IMU, nonché proroga di termini concernenti l'esercizio della delega in materia di revisione del sistema fiscale. È doveroso premettere che non si tratta di un passaggio normativo di carattere iniziatico, principalmente per tre motivi.
In primis perché la materia oggetto del provvedimento non rappresenta una nuova imposta: l'IMU sui terreni agricoli fin dalla sua prima applicazione ha interessato anche i terreni che possono essere adibiti all'esercizio delle attività agricole, come previsto dall'articolo 2135 del codice civile; diversamente si è sempre trattato di un'applicazione di carattere generale alla quale sono state applicate delle deroghe/esenzioni per alcuni territori, quelli appunto risalenti alla circolare n. 9 del 1993.Pag. 28
In second'ordine non ha un carattere iniziatico in quanto questo provvedimento chiude la normativa sulla copertura di uno dei più importanti ed impegnativi provvedimenti del Governo Renzi, il decreto-legge n. 66 del 2014, più comunemente conosciuto come «gli 80 euro in busta paga», i 640 euro per il periodo maggio-dicembre 2014: in sostanza uno dei maggiori tagli effettuati negli ultimi anni alla contribuzione fiscale dei lavoratori e delle lavoratrici fino a 26.000 euro di reddito, portato poi a regime nel 2015. Ebbene, il gettito previsto dall'imposta IMU sui terreni agricoli, i 350 milioni di euro hanno finanziato inizialmente circa 4 euro di questi 80 euro, cioè circa il 5 per cento; per poi scendere, a seguito delle varie modifiche al decreto-legge, a poco più del 3 per cento. Di questo stiamo parlando, quando parliamo del gettito dell'IMU agricola rispetto alla copertura del decreto-legge n. 66 del 2014.
In ultimo, e non certo per importanza, questo provvedimento è stato sicuramente conseguente ad un altro puntuale interventismo parlamentare, che voglio sintetizzare in pochissimi passaggi. Fin dal mese di luglio 2014 infatti abbiamo evidenziato, con un'osservazione al parere al decreto legislativo n. 100 (per intenderci, il primo riguardante l'attuazione della riforma del catasto), una verifica su questa tipologia di terreni. Successivamente, con la presentazione dopo l'emanazione del decreto ministeriale 28 novembre 2014, attuativo del decreto-legge n. 66, di ben tre risoluzioni in Commissione finanze alla Camera, la prima delle quali a firma PD, finalizzata all'introduzione di franchigie e detrazioni per i contribuenti e a salvaguardare forme di compensazione per i mancati incassi da parte dei comuni; e a seguire altre due risoluzioni ad opera di Forza Italia e del Nuovo Centrodestra. Il 22 gennaio 2015 con la trasmissione di una lettera al Presidente del Consiglio Matteo Renzi, sottoscritta da ben 106 deputati del Partito Democratico, lo abbiamo invitato ad un suo pronto intervento prima della scadenza del 26 gennaio, alla quale è seguita il giorno successivo l'approvazione del presente decreto-legge da parte del Consiglio dei ministri.
Quindi, tornando ai contenuti, è fondamentale evidenziare che, fin dalla sua prima formulazione, il decreto si è contrassegnato per la sua portata estensiva, nel senso di un aumento dei comuni esenti, secondo la definizione di comuni montani appunto, dall'applicazione dell'IMU ai terreni agricoli. In particolare, con modifiche apportate al Senato di quattro articoli, l'articolo 1 interviene sui criteri di esenzione del versamento dell'IMU sui terreni montani e parzialmente montani, prorogando ulteriormente al 10 febbraio il termine per il versamento dell'imposta dovuta all'anno 2014, secondo nuovi criteri. Un decreto quindi che ha rimodulato quelle che erano le precedenti classificazioni dei comuni esenti; ricordiamo che, nella loro prima stesura, queste agevolazioni riguardavano sostanzialmente il carattere altimetrico dei comuni e della residenza municipale.
Tornando quindi ad una connotazione di comune montano, essa è invece legata alla prevalenza del territorio montano all'interno del medesimo comune. È chiaro che la vicenda dell'IMU sui terreni agricoli, come dicevo prima, seppur non abbia un carattere particolarmente innovativo, è una questione che ha riguardato per molti anni una particolare normativa, particolari forme di esenzione che sarebbe molto lungo riprendere ma sicuramente il primo aspetto normativo è rinvenibile dall'introduzione dell'IMU, dal decreto legislativo n. 504 del 1992. Subito dopo, nel 1993, a definire in modo più puntuale i comuni esenti ci ha pensato la ex circolare 9, che ha chiarito tutte le tipologie di comuni montani o parzialmente montani o i cosiddetti comuni collinari svantaggiati. In quella circolare erano rinvenibili tutte le caratteristiche di esenzione rispetto a questa imposta. È chiaro che, come dicevo poc'anzi, il decreto-legge n. 66 con questa richiesta di copertura di circa 350 milioni ha demandato poi ad un provvedimento attuativo, appunto a un decreto ministeriale, Pag. 29che è stato però emanato solo nel novembre 2014, quindi a ridosso di quella che era la scadenza iniziale di questo pagamento, che, vi ricordo, era del 16 dicembre 2014, quindi a stretto ridosso, identificando appunto tre caratteristiche altimetriche dei comuni: sotto i 280 metri, nessun comune era esente dal pagamento di questa imposta; dai 280 metri ai 600 metri erano esenti solo particolari soggetti in questo caso gli agricoltori e gli imprenditori agricoli, comunque coloro che erano iscritti alla previdenza agricola, e solo per i comuni che avevano residenza municipale superiore ai 600 metri era rinvenibile invece un'esenzione totale, quindi che riguardava la totalità dei contribuenti proprietari di terreni agricoli. Questo è un elemento importante rispetto a questi decreti; in qualche modo le precedenti esenzioni non differenziavano la tipologia del contribuente, non c'era una connotazione soggettiva, era eminentemente oggettiva, quindi legata appunto alla definizione del comune. Con il decreto ministeriale attuativo del decreto-legge n. 66 del 28 novembre si fa un passo diverso e si introducono quindi delle particolari agevolazioni legate solo ed esclusivamente agli agricoltori. Successivamente i passaggi sono stati complicati e chiaramente il fatto che il decreto ministeriale sia uscito molto a ridosso della scadenza del 16 dicembre ha provocato anche dei ricorsi amministrativi ai giudici amministrativi di comuni e di organizzazioni di comuni e ciò chiaramente ha provocato anche un maggior carattere di sospensione di questo tributo, tant’è che, come dicevo poc'anzi, il nostro intervento, la nostra lettera è nata a ridosso della scadenza del 10 febbraio, che era molto critica e molto complicata. In sostanza, questo decreto è intervenuto in data 24 gennaio e ha permesso di ampliare, come dicevo prima, i comuni esenti. Se, inizialmente, dalla nuova ridefinizione fatta dal decreto ministeriale 28 novembre, ci trovavamo di fronte a circa 1.500 comuni esenti dall'applicazione di questo tributo, successivamente all'introduzione di questo tributo, nella sua prima formulazione, siamo passati a circa 3.500 comuni, a cui si aggiungono altri 655 comuni parzialmente montani per i quali, come dicevo prima, è prevista l'esenzione solo dei contribuenti che sono agricoltori. Quindi, capite che, complessivamente, per il mondo dell'agricoltura, ciò ha voluto dire passare dai 1.500 comuni a più di 4.300 comuni esenti, quindi anche questo è un passaggio importante. Nei lavori che si sono poi avuti successivamente nella discussione al Senato, altro si è cercato di fare e, come dicevo anche poco fa, di ampliare sempre di più il regime di esenzione o comunque di agevolazione; infatti, dove non si è riusciti a lavorare sulle esenzioni, si è lavorato comunque attraverso le agevolazioni. Ricordo che, comunque, al Senato è stata introdotta un'esenzione anche per i comuni delle isole minori; è stata rimarcata l'entrata a regime da subito del non pagamento dei terreni inusucapibili e quindi anche questo è stato un elemento importante che ha fatto chiarezza, a prescindere dall'altitudine, quindi anche questo elemento ha riguardato tutte le tipologie di comuni. Si è poi riusciti anche al Senato ad introdurre un'ulteriore detrazione di 200 euro per i comuni considerati svantaggiati, i comuni collinari.
Anche questo è stato un passaggio importante perché, seppur l'Italia sia molto diversificata da questo punto di vista, quindi non è facile dire che questo tipo di agevolazione in qualche modo sia tradotta in un'esenzione, è pur vero che, in molte zone d'Italia, una valorizzazione di questo tipo è quasi assimilabile ad un'esenzione, perché magari chi è proprietario di pochi ettari di terreno si è trovato di fronte a un valore impositivo molto prossimo a quello dell'agevolazione dei 200 euro.
Questo non è chiaramente vero per tutta Italia. Ci troviamo in altre realtà e in altre zone italiane, invece, dove la valorizzazione dei terreni agricoli, da un punto di vista dominicale, è superiore e, quindi, ci troviamo di fronte magari a situazioni dove, invece, questa rimane una semplice agevolazione e rimane, invece, per gli agricoltori un'importante quota di questa imposta da pagare, quindi è giusto premettere anche questo passaggio. Diciamo poi Pag. 30che lo sforzo che è stato fatto anche successivamente, importante dal mio punto di vista, è che è stata sostanzialmente introdotta quella che viene considerata una proroga implicita, nel senso che sono stati spostati i termini della non applicazione di sanzioni e interessi rispetto al ritardato pagamento al 31 marzo.
Ciò vuol dire che coloro che pagheranno entro il 31 marzo questo tributo non pagheranno nulla di più di quello che era originariamente previsto, quindi è una sostanziale proroga del termine. Questo è importante ed è altresì importante che questo decreto venga convertito non solo per questa proroga importante, ma perché, come dicevo prima, tornare indietro, tornare al precedente regime normativo vorrebbe dire riescludere oggettivamente circa duemila comuni in esenzione e altri millecinquecento comuni in agevolazione, quindi la mancata conversione di questo decreto sarebbe molto critica. Chiaramente, infatti, la platea dei contribuenti crescerebbe notevolmente e, in più, come ho appena detto, crescerebbe anche perché non pagherebbero l'imposta per il suo valore, ma la pagherebbero con le sanzioni e gli interessi. Siamo tutti consci del fatto che il 10 febbraio è trascorso e, quindi, anche questo è un elemento assai critico, di cui bisogna tener conto a proposito del fatto che tale decreto debba essere convertito.
Riguardo poi al tema delle coperture, è chiaro che vi è un tema importante e critico che ha riguardato, in particolare, l'annualità 2014 e mi riferisco allo sforzo che è stato compiuto per introdurre queste agevolazioni e queste esenzioni. Circa 90 milioni di euro sono stati recuperati nel passaggio dal precedente regime derogatorio dei comuni montani, con la nuova definizione del decreto ministeriale 28 novembre rispetto poi al ritorno alla circolare n. 9 del 1993. Quanto a questa sovrapposizione, a questo ampliamento dei comuni esentati, inoltre, vi ricordo che non è secondario che, per il 2014, anche i comuni che, in qualche modo, sono in esenzione solo per la normativa del 28 novembre, quindi non più applicabile in futuro, ma per il 2014, risultano comunque esentati.
Quindi, ci troviamo di fronte oggettivamente a una platea più ampia di comuni esentati dal pagamento dell'IMU sui terreni agricoli. Quindi, uno sforzo importante è stato fatto per il 2014; per il 2015 entrerà a regime, invece, come dicevo prima, un'agevolazione di 200 euro per tutti i comuni collinari svantaggiati. Quindi, è giusto evidenziare questi temi, perché, se pensate che parlavamo di 350 milioni di euro complessivi, di 359 milioni di euro complessivi per l'esattezza, quasi circa un terzo sono stati ritrovati a copertura di quella che era un'imposta di difficile definizione.
Riguardo poi al passaggio importante delle agevolazioni, queste hanno previsto ad oggi una copertura di circa 15 milioni. È chiaro che tutto quello che viene detto fino adesso, cioè una continua rincorsa da parte del Parlamento e del Governo per ampliare la platea dei comuni esenti, e quindi dei contribuenti esenti, ha provocato anche alcune difficoltà rispetto alle scadenze e anche al pagamento da parte di alcuni soggetti che hanno pagato con la precedente scadenza. Quindi, in questo decreto al Senato è già stata inserita una certa modalità di rimborso, che deve essere effettuata per gli enti impositori, quindi parliamo di comuni che, in qualche modo, dovranno rimborsare i cittadini che hanno pagato con la precedente scadenza definita quindi vi è un rapporto tra pubblica amministrazione e contribuente; vi è poi una ridefinizione di quello che è il rapporto della contribuzione, attraverso il fondo di solidarietà comunale, tra lo Stato e i comuni medesimi.
Infatti, chiaramente, vi sono comuni che, a fronte di queste agevolazioni, non percepiranno più le risorse previste, non più i 350 milioni, ma i circa 230 milioni per l'annualità 2014, perché, come dicevo, sommavano più forme di agevolazioni, e quindi è chiaro che anche i comuni avranno una mancanza di gettito. A questo si è detto che bisognerà rispondere attraverso la definizione di una corresponsione. Pag. 31Su questo tema, preannuncio già che vi saranno degli ordini del giorno, in quanto la materia esplicitata nel decreto non è chiarissima sulla portata di questo rimborso, nel senso che la definizione attuale sembra rimanere nelle maglie di un'orizzontalizzazione del contributo.
Cosa intendo dire ? Intendo dire che le risorse devono essere trovate all'interno di una perequazione comunale. Siccome, però, le esenzioni sono state superiori alla previsione, sicuramente, in questa prima applicazione, bisognerà prevedere delle risorse aggiuntive sul fondo di solidarietà comunale per coprire tutte queste forme di agevolazioni che sono state previste.
Non da ultimo, ricordo anche che nel decreto è stato inserito un passaggio fondamentale sulla questione della sospensione degli adempimenti dei versamenti per l'isola di Lampedusa: tutti noi sappiamo lo stato emergenziale in cui versa in relazione all'eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai Paesi del Nord Africa. Quindi, anche su questo tema, è importantissimo rimarcarlo.
Il disegno di legge – quindi, non il decreto, ma il disegno di legge in sé – all'articolo 1 introduce un altro importante tema, che è quello della proroga di tre mesi del termine per l'esercizio della delega. Questo contenuto riprende, sostanzialmente, delle identiche proposte di legge a firma Capezzone e Causi, che abbiamo avuto modo di rivalutare anche in Commissione finanze.
Si tratta di una proroga di tre mesi, e quindi si passa dal 31 marzo al 26 giugno 2015. È una proroga particolare, ci tengo a rimarcarlo, in quanto è determinata nella sua indeterminatezza, nel senso che prevede, però, ulteriori 90 giorni durante l'esame in Commissione nel caso in cui i decreti attuativi provengano negli ultimi 30 giorni prima dello scadere del 26 giugno.
Perché è importante questo aspetto ? Noi abbiamo voluto fortemente una procedura rafforzata sui decreti attuativi della delega fiscale. Abbiamo creduto fin dall'inizio che i passaggi parlamentari siano fondamentali per confrontarsi con il Governo, e quindi non solo un unico passaggio, ma, anche nell'eventualità che non vengano accolte le condizioni e le osservazioni poste, in particolare, dalle Commissioni finanze di Camera e Senato, un ulteriore e successivo passaggio. Ebbene, pensiamo che una proroga non debba inficiare assolutamente questo rapporto dialettico, positivo, che, in qualche modo, riguarda la materia fiscale.
Quindi, crediamo che, seppur siano stati dati tre mesi, fino al 26 giugno, si sia aperta questa finestra temporale, che, in qualche modo, garantisce ulteriori tre mesi, e sia un passaggio temporale importante, perché è la dimostrazione di quanto sia fondamentale che le Camere diano il loro apporto nella lettura dei decreti attuativi di una riforma epocale come la delega fiscale, che riguarda moltissimi italiani e moltissime imprese.
Quindi, da questo punto di vista, siamo convinti che sia un passaggio cruciale. In ultimo, chiaramente, il decreto individua delle coperture finanziarie che riguardano molti fondi del mondo agricolo, che riguardano, in particolare, una ridefinizione di quella che era l'imposta regionale, l'IRAP sui produttori agricoli, che, in qualche modo, la legge di stabilità aveva esteso anche ai cosiddetti tempi determinati, che sappiamo essere una tipologia contrattuale molto estesa nel mondo agricolo.
Ne siamo consapevoli, però vi era la necessità di trovare una copertura che, ribadisco, anche il mondo dell'agricoltura, anche tutto il sistema Italia, e quindi anche il Ministero delle politiche agricole, in qualche modo, doveva dare a un importante passaggio come quello del bonus degli 80 euro. Penso che, fondamentalmente, nella misura e nei termini, poco più del 3 per cento, non sia sbagliato dire che è un contributo importante che anche l'agricoltura poteva dare a questo importante investimento di oltre 6,4 miliardi che ha riguardato il bonus degli 80 euro.
Concluderei qui questo aspetto, ribadendo che vi è un impegno attraverso gli ordini del giorno; infatti, come ho detto, il decreto in esame è immodificabile, perché sarebbe drammatico non convertire questo Pag. 32provvedimento, che ha una portata ampliativa di quelli che erano i comuni esenti e i contribuenti esenti dal pagamento di questa imposta.
Però non deve venire meno un impegno, attraverso gli ordini del giorno, che è quello, in qualche modo, di riuscire a impegnare tutta la macchina finanziaria dello Stato, intendo quindi sia il Ministero competente il MEF, che l'Agenzia delle entrate in particolare, in quella che deve essere una rivisitazione importante. Noi lo dicemmo in sede di riforma del catasto a luglio: in Italia forse c’è ancora una forma di sperequazione rispetto ai valori dominicali dei terreni agricoli e questo sicuramente nel momento in cui si introduce, sia pure non di elevata portata, una specifica imposizione tributaria, deve essere al centro dell'attenzione di un'operazione di verifica. Noi siamo consapevoli che la delega fiscale in questo momento riguarda solo in parte questo aspetto, non riguarda la riforma del catasto, riguarda solo i fabbricati e non i terreni, ma su questo tema ci dobbiamo impegnare, perché dobbiamo riuscire ad estendere questo impegno.
Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia relazione (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti).
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza Busin, che non vedo in Aula.
Ha facoltà, quindi, di intervenire il relatore di minoranza L'Abbate.
GIUSEPPE L'ABBATE. Relatore di minoranza. Grazie Presidente, oggi siamo qui in Aula a discutere di un decreto-legge che non doveva esistere, perché non deve esistere l'IMU sui terreni agricoli. Questo è un decreto che, in realtà, serve a mettere una toppa all'enorme buco creato dal Governo Renzi. L'arrampicata sugli specchi da parte del Governo è alquanto evidente, perché dice di non avere introdotto un'ulteriore tassa, perché c'era già l'ICI dal 1993, però ne estende la platea. Quindi, mentre prima a pagare l'ICI erano in pochi, adesso viene estesa la platea a gran parte dei terreni agricoli e viene detto che non è introdotta una nuova tassa, ma viene estesa una che c'era già, che praticamente è come introdurla. Quindi sarebbe bello farlo vedere e farlo dire direttamente agli agricoltori che sono oggi qui fuori a Montecitorio e spiegarlo a loro in questi termini. Successivamente a questa estensione dell'IMU sui terreni agricoli, interviene questo decreto per cercare di rimediare un po’, viste le forti proteste che ci sono state in tutto il territorio italiano. Si cerca un po’ di rimediare e di allargare di nuovo leggermente la platea degli esentati. Ma perché è stata introdotta questa IMU agricola (perché va spiegato ai cittadini) ? Per coprire la misura degli 80 euro introdotti da Renzi a maggio, una misura prettamente elettorale, dato che non ha ottenuto nessuno degli effetti che si era preposta. Si parlava di un aumento dei consumi pari al 15 per cento addirittura, quando invece tutti i dati ci dicono che c’è stato un aumento dei consumi pari allo 0,51 per cento, forse si fa confusione un po’ con i numeri. Quindi è una misura che è servita solo dal punto di vista elettorale, ma che è andata a penalizzare quelli che sono i nostri produttori, i nostri imprenditori agricoli. Adesso, mentre da una parte Renzi si fa bello con gli italiani, perché regala 80 euro, che tra l'altro non sono neanche andati alla fascia più povera degli italiani, scarica la patata bollente sui sindaci, perché saranno loro ad andare a riscuotere questo ulteriore balzello e se non riusciranno a farlo, dato che purtroppo molti agricoltori dicono di non riuscire a pagare questa tassa, vedranno minor fondi nelle casse del comune, quindi avranno maggiore difficoltà nell'amministrare e, dunque, saranno costretti a tagliare servizi per i cittadini; doppio danno, oltre la beffa ! È un decreto che è in pieno stile Renzi, va a violare costantemente gli articoli della Costituzione, perché viola l'articolo 72, comma 4, l'articolo 76 e l'articolo 77, ma a questo ormai ci siamo abituati, dato che la decretazione d'urgenza arriva costantemente, Pag. 33ormai è diventata una prassi di questo Governo che decreta anche quando non c’è né bisogno.
Viola anche i principi sanciti dalla Costituzione con l'articolo 44. Tale norma attribuisce all'attività agricola una funzione sociale, quindi, è questa la grande importanza dell'agricoltura che abbiamo in Italia. Infatti nella Costituzione viene sancita la funzione sociale dell'agricoltura, quindi l'agricoltore diventa custode del territorio, quell'agricoltore che dovrebbe essere premiato perché sta lì anche in difficoltà, tutela il territorio ed è un presidio del territorio. In un territorio italiano dove bastano quattro gocce d'acqua per farlo cadere giù, bisognerebbe premiare chi resta lì e con interventi agronomici sui terreni tutela il nostro territorio. E invece no, questo Governo preferisce tassarli.
Viene violato inoltre l'articolo 53 della Costituzione, che vincola l'imposizione fiscale alla capacità contributiva. Questa è invece una patrimoniale dal basso, è una patrimoniale per i poveri quest'IMU agricola, perché non c’è in questo provvedimento nessuna logicità nell'introduzione di questa tassa, in quanto si fa in base ad una classificazione ISTAT dei terreni, qualcosa di puramente folle. Infatti non si va a tassare il reddito, ma si va a tassare per un principio che non ha nessuna logicità. Chi ci dice che i terreni totalmente esenti, perché considerati montani dall'ISTAT, non riescono a dare una redditività maggiore dei terreni che invece non sono considerati montani e che quindi devono pagare la tassa ? Anche qui il Governo si dimostra in piena e in totale confusione, perché aveva soltanto bisogno di raschiare un po’ il barile e trovare 350 milioni di euro per un puro spot elettorale di maggio 2014.
Noi abbiamo presentato diverse proposte in Commissione. Abbiamo detto di effettuare prima una revisione sulla fiscalità patrimoniale, ma questo purtroppo non è stato fatto. Infatti, se si fossero volute le cose fatte bene, se si fosse voluto fare le cose in un certo modo, in maniera precisa, allora sarebbe stato più opportuno fare una revisione della fiscalità. Ma è una nostra proposta che è stata bocciata.
Abbiamo chiesto anche di aggiornare le rendite catastali in base alla redditività dei terreni, dato che il catasto agricolo è oramai vetusto e non rispecchia in realtà quella che è la redditività. Ma anche quest'altra proposta ci è stata bocciata. Quindi è un Governo sordo, un Governo che non vuole ascoltare i consigli delle opposizioni, che invece vengono viste solo come un ostacolo al percorso e alla volontà del Governo. Abbiamo chiesto anche di aggiornare i parametri Istat, dato che sono vecchi di oltre vent'anni e, invece, puntualmente ci è stato detto di no da questo Governo.
Vi è anche la questione legata alla disparità di trattamento dei territori contigui. Pensate a quegli agricoltori che magari si trovano su un territorio dove alcuni saranno esenti dal pagamento dell'IMU e altri no. Si tratta di territori magari contigui. Quindi un agricoltore vedrà e avrà una concorrenza sleale da parte di un altro, perché uno avrà una tassa in più da pagare ed un altro, invece, non dovrà magari pagare nulla. Questa è pura follia da parte del Governo, come se non bastasse l'Europa, come se non bastassero gli accordi scellerati, fatti sempre dal Partito Democratico in Europa, che costringono e mettono in forte difficoltà i nostri imprenditori agricoli, nell'anno in cui si parla di Expo, nell'anno in cui il Ministro Martina, che mi dispiace non vedere qui in Aula, non è riuscito a proferire una sola parola su questo provvedimento.
Anzi, lui ha detto che in realtà serviva per coprire gli 80 euro. Proprio da lui serviva una presa di posizione più forte nel Consiglio dei Ministri per difendere le imprese agricole. Invece, lui, che si sciacqua la bocca, che parlando si vanta tanto dell'Expo Italia, che ha come titolo «Nutrire il pianeta», non fa nulla per evitare l'introduzione di una tassa verso quella categoria, rappresentata dagli imprenditori agricoli, che produce quel cibo che serve per nutrire il pianeta.
Ma l'altra assurdità di questa misura è l'abrogazione delle agevolazioni IRAP introdotte Pag. 34nella legge di stabilità. Quindi, mettetevi nei panni di un imprenditore agricolo che a dicembre 2014 sa di avere delle esenzioni IRAP se assume del personale; tre giorni dopo queste esenzioni non esistono più e, invece di ottenere delle esenzioni, si ritrova a pagare una tassa in più. Come è possibile fare impresa in questo Paese ? Come è possibile tutelare i nostri imprenditori, i nostri agricoltori in questo Paese, quando da un giorno all'altro non sanno che fare ?
Per di più c’è anche una categoria di imprenditori agricoli che credeva di avere l'esenzione IRAP per nuove assunzioni.
PRESIDENTE. Dovrebbe concludere.
GIUSEPPE L'ABBATE, Relatore di minoranza. Concludo, Presidente. Successivamente si è ritrovata a pagare l'IMU e successivamente, con il cambio dei parametri, magari adesso aspetta un rimborso da parte dello Stato, perché ha pagato, e adesso non gli spetta più quel pagamento.
Allora, qui non c’è un minimo di programmazione. Questo è un Governo che naviga a vista, è un Governo che ha soltanto bisogno di spot elettorali. Noi siamo stanchi di spot elettorali, continueremo la nostra battaglia qui in Aula. Dato che in Commissione quasi non abbiamo avuto neanche la possibilità di discutere gli emendamenti, dato che la maggioranza è stata sorda, cercheremo di difendere le nostre idee e le nostre proposte qui in Aula ripresentando tutti i nostri emendamenti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
È iscritta a parlare la deputata Capozzolo. Ne ha facoltà.
SABRINA CAPOZZOLO. Signor Presidente, il disegno di legge che stiamo esaminando interviene su due rilevanti aspetti normativi di natura fiscale e tributaria: la proroga di tre mesi del termine per l'esercizio della delega fiscale e l'estensione delle esenzioni in materia di IMU sui terreni agricoli.
In precedenza, con il DM 28 novembre 2014, venivano esentati dal pagamento dell'IMU agricola i terreni agricoli dei comuni ubicati a un'altitudine di 601 metri e oltre, individuati dai dati ISTAT, e i terreni agricoli dei comuni ubicati a un'altitudine compresa tra i 281 metri e i 600 metri in possesso dei coltivatori diretti e degli imprenditori agricoli professionali iscritti alla previdenza agricola.
Fin da subito i criteri individuati nel decreto sono stati oggetto di discussioni ed hanno generato qualche preoccupazione. Il Partito Democratico, tra i primi, ha evidenziato come i nuovi criteri altimetrici non fossero idonei e lo ha fatto sia con gli atti di indirizzo parlamentare che con iniziative politiche.
Anche a fronte delle sollecitazioni avanzate dalle associazioni di categoria interessate e dall'ANCI, il Governo responsabilmente è venuto incontro alle esigenze dei comuni e degli imprenditori agricoli e il 23 gennaio 2015 ha approvato il decreto-legge n. 4 del 2015, che fin dalla sua prima formulazione si è contrassegnato per la sua portata estensiva, disponendo cioè un aumento del numero di comuni considerati montani, ai quali vanno poi aggiunti i terreni dei comuni parzialmente esenti, in possesso degli agricoltori.
È però doveroso specificare che non si tratta di un nuovo tributo. Infatti, dalla sua prima applicazione con l'ICI, questo tributo ha interessato circa un quarto dei comuni italiani. Diversamente con la circolare ministeriale n. 9 del 14 giugno 1993 venivano individuati i terreni agricoli esenti, in quanto ricadenti in aree montane o di collina, gli ex svantaggiati. L'introduzione del bonus IRPEF, attribuito ai redditi più bassi, tramite decreto-legge, ha richiesto un notevole sforzo finanziario da parte di tutti i Ministeri, anche con la rivisitazione di esenzioni e di agevolazioni fiscali di natura diversa, compresa quella relativa all'IMU sui terreni agricoli, che, però, corrisponde a meno del 5 per cento della complessiva copertura del bonus.Pag. 35
L'articolo 1 del decreto-legge in esame interviene sui criteri di esenzione dal versamento dell'IMU sui terreni montani e parzialmente montani, prorogando ulteriormente al 10 febbraio 2015 il termine per il versamento dell'imposta dovuta per l'anno 2014, secondo i nuovi criteri applicativi stabiliti dal medesimo articolo.
In particolare, il comma 1 dispone che, a decorrere dall'anno 2015, l'esenzione si applica: ai terreni agricoli, nonché a quelli non coltivati, ubicati nei comuni classificati totalmente montani, di cui all'elenco dei comuni italiani stabiliti dall'ISTAT; ai terreni agricoli, nonché a quelli incolti, ubicati nei comuni delle isole minori (questa è stata una modifica introdotta al Senato); ai terreni agricoli, nonché a quelli incolti, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola, ubicati nei comuni classificati parzialmente montani, ai sensi sempre del citato elenco ISTAT.
Il nuovo sistema di esenzione è, dunque, complessivamente meno restrittivo rispetto a quello del 28 novembre 2014 in quanto, con il richiamo all'elenco ISTAT, si passa da 1.498 comuni precedentemente esenti a 3.546 comuni considerati totalmente montani ed esenti. Per quanto riguarda i comuni parzialmente esenti, si arriva a 655 unità. Si consideri che al riguardo, a seguito delle modifiche introdotte al Senato, l'ambito delle esenzioni viene ulteriormente esteso. In particolare, il comma 1-bis, a decorrere dall'anno 2015, per i terreni definiti di collina svantaggiata, ubicata in circa 1.600 comuni, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali iscritti alla previdenza agricola, dispone una detrazione di 200 euro dell'IMU dovuta, portando così a 5.500 il numero dei comuni che godono dell'esenzione dell'IMU.
Il comma 5 dispone la proroga al 10 febbraio 2015 del termine per il versamento da parte dei contribuenti dell'imposta dovuta per il 2014 secondo i criteri fissati nei commi precedenti. Al Senato è stata introdotta la previsione di non applicabilità di sanzioni e di interessi nel caso di ritardo del versamento dell'imposta complessivamente dovuta per l'anno 2014 qualora, però, il versamento sia effettuato entro il termine del 31 marzo 2015. Sempre al Senato è stato introdotto il comma 5-bis, il quale dispone che i contribuenti che hanno effettuato versamenti dell'IMU relativamente ai terreni che risultavano imponibili sulla base del precedente sistema e che per effetto delle disposizioni di cui all'articolo in esame sono esenti, hanno diritto al rimborso da parte del comune di quanto versato o alla compensazione qualora il medesimo comune abbia previsto tale facoltà con il proprio regolamento.
Si ricorda che il nuovo regime di esenzione dell'IMU dei terreni montani e parzialmente montani, determinato dai commi 1 e 4 dell'articolo 1 del provvedimento, risulta complessivamente meno restrittivo rispetto a quello definito dalla precedente normativa ed è questo il dato fondamentale da non sottovalutare. Pertanto, le variazioni compensative di risorse disciplinate dai commi in esame sono conseguenti alla ridefinizione del gettito stimato in applicazione del nuovo criterio di individuazione dei terreni esenti indicato nella relazione tecnica in circa 268,7 milioni di euro annui rispetto a quanto previsto con il precedente sistema, con minor recupero complessivo di risorse dal 2015 di circa 91 milioni di euro. In particolare, con il comma 7, sono definiti gli importi e le modalità. Alle variazioni compensative si procede, per i comuni delle regioni a statuto ordinario e delle regioni Sicilia e Sardegna, per le quali la finanza degli enti locali è ancora a carico dello Stato, nell'ambito del Fondo di solidarietà comunale e con la procedura prevista dai commi 128 e 129 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2013. Per i comuni delle regioni Friuli Venezia Giulia e Valle d'Aosta secondo le norme rispettive dei propri statuti.
Non è di certo un provvedimento risolutivo, non è certo un provvedimento perfetto, anzi evidenzia come sia necessaria la modernizzazione del catasto agricolo e, in Pag. 36realtà, è forse questo il vero problema che bisognerà affrontare, e di come ci sia l'urgenza di affrontare l'intera tematica in modo strutturale e complessivo. Ed è per questo che l'impegno del Partito Democratico è proprio quello di portare avanti in questo senso e dare il proprio contributo politico in quella che sarà la stesura della local tax.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Molteni. Ne ha facoltà.
NICOLA MOLTENI. Grazie Presidente, il provvedimento sull'IMU per i terreni agricoli è l'ennesima vessazione e l'ennesima tassa, ma soprattutto è una nuova difficoltà per i contribuenti e per i comuni. Anche oggi siamo qui a trattare un altro provvedimento che definire un pasticcio infinito e che crea una totale incertezza sembra riduttivo. Perché crea incertezza ? Per le obiettive condizioni nelle quali si trovano i contribuenti che si sono visti più volte modificare i criteri nel giro di pochi mesi e, quindi, sono preoccupati sulla portata e sull'ambito di applicazione delle disposizioni normative. Voglio ricordare a quest'Aula che il 17 giugno il TAR del Lazio si esprimerà in merito alla controversia e, quindi, potrebbe accadere che oggi ci troviamo a discutere e ad approvare l'ennesima modifica a questa imposta iniqua e magari tra tre mesi potrebbero cambiare le cose perché la giustizia amministrativa ha svolto quella funzione correttiva degli errori di questo Governo che, invece, spetterebbe al Parlamento.
Ritengo doveroso fare una breve cronistoria dell'imposizione IMU sui terreni agricoli.
Il decreto legislativo n. 504 del 1992 cosiddetto «decreto ICI» disciplinava l'esenzione dal tributo locale per i terreni agricoli. Successivamente è stata emanata una circolare del Ministero dell'economia e delle finanze n. 9 del 1993 con la quale si identificavano i comuni suddivisi per provincia di appartenenza sul cui territorio i terreni agricoli erano totalmente o parzialmente esenti prima dall'ICI e poi dall'IMU. Successivamente il decreto-legge n. 16 del 2012, cosiddetto «decreto semplificazioni», prevedeva che con un apposito decreto ministeriale venissero individuati sia i comuni nei quali dal 2014 si applicava l'esenzione per i terreni agricoli che per i soggetti che li possedevano, fossero essi coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali iscritti alla previdenza agricola. Anche la circolare n. 3 del 2012 del dipartimento delle finanze aveva precisato che il possesso di terreni agricoli in aree montane o di collina – facendo sempre riferimento alla circolare n. 9 del 1993 – non comportava il pagamento dell'IMU. Tale interpretazione veniva poi confermata anche in una successiva circolare del 2013 dell'Agenzia delle entrate, dove si specifica che tutti i terreni incolti montani o di collina sono esenti da IMU, a prescindere dalla qualificazione agricola degli stessi.
Ma le cose cambiano radicalmente, a Governo Renzi appena insediato, nell'aprile 2014 con il decreto-legge n. 66 il cosiddetto «decreto IRPEF» o meglio conosciuto come «decreto bonus degli 80 euro», servito per finanziare la marchetta elettorale delle europee del Presidente Renzi. Questo decreto prevedeva l'emanazione di un decreto ministeriale, che individuasse i criteri con i quali si potevano identificare i comuni nei quali – a decorrere dall'anno di imposta 2014 – applicare l'esenzione IMU per i terreni agricoli sulla base della loro altitudine, diversificando «eventualmente» tra possessori che siano coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali, iscritti nella previdenza agricola, e gli altri soggetti diversi. Questa operazione doveva garantire alle casse dello Stato un maggior gettito complessivo annuo non inferiore a 350 milioni di euro, già a decorrere dal 2014 per coprire proprio parte degli 80 euro. E così si è intervenuti a gamba tesa, riducendo le agevolazioni fino ad allora riconosciute al settore agricolo modificando le condizioni di esenzione. Infatti si passava dai circa 6.103 comuni esenti fino ad allora, a 1.498 comuni, meno di un quarto.
Il decreto ministeriale emanato il 28 novembre 2014 in attuazione della suddetta Pag. 37disposizione – in grave ritardo rispetto ai tempi previsti e pieno di macroscopiche incongruenze – prevedeva tre fasce di comuni alle quali applicare l'esenzione secondo il criterio dell’«altitudine dal centro» ovvero della sede comunale. Sopra i 600 metri tutti i comuni erano esenti, tra i 281 metri e i 600 metri erano esenti dall'imposta i terreni agricoli posseduti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali, mentre al di sotto dei 280 metri erano tutti soggetti passivi di imposta. Questa classificazione aveva portato alla paradossale situazione che terreni agricoli ubicati al di sopra dei 600 metri ma con la sede nel comune al di sotto dei 600 metri venissero considerati, invece, passivi di imposta anziché esenti nonostante innegabilmente montani.
A fine novembre i comuni, a bilanci di esercizio chiusi, si sono visti tagliare il Fondo di solidarietà per un totale complessivo di 360 milioni. Solo il 28 novembre, infatti, 4.300 sindaci hanno preso atto che avrebbero dovuto ancora interpretare il ruolo di esattori per conto dello Stato e dunque far pagare le imposte ai proprietari dei terreni entro addirittura il 16 dicembre, dunque in una manciata di giorni. Era incomprensibile il criterio scelto per stabilire le esenzioni ovvero quello dell'altezza del municipio e una follia non tenere conto, in qualche modo, dell'altezza del terreno. Assurdo far scoprire al contribuente quasi a fine anno che entro pochi giorni avrebbe dovuto pagare un nuovo balzello, ma soprattutto che doveva pagarlo anche per tutto il 2014, pressoché già terminato. Inoltre, un sindaco fa il bilancio di previsione convinto di poter contare su risorse certe, ancorché limitate dai continui tagli, e poi arriva il Governo, che deve stupire il mondo con effetti speciali, che cambia repentinamente le «carte in tavola».
Di conseguenza, a seguito della confusione generata da questi nuovi criteri, dal brevissimo lasso di tempo intercorrente tra la data dell'emanazione del decreto ministeriale e la data del versamento della rata unica per l'anno 2014 e gli innumerevoli interventi dei parlamentari, soprattutto della Lega Nord, e delle associazioni di categoria interessate, il 16 dicembre 2014, giorno della scadenza, veniva pubblicato ed entrava immediatamente in vigore un nuovo decreto-legge n. 185 del 2014 che prorogava al 26 gennaio 2015 il pagamento della rata unica dell'IMU. Infine, il 1o gennaio di quest'anno, con l'entrata in vigore della legge di stabilità 2015, veniva praticamente assorbito il decreto-legge n. 185, traslando in essa la data del 26 gennaio 2015 quale termine per il versamento della rata unica per il 2014 dell'IMU. Il suddetto decreto n. 185 – oggi decaduto – sembra quindi essere stato una sorta di «passaggio ponte» approfittando della decretazione d'urgenza, come oramai è prassi consolidata di questo Governo, per prorogare un termine che doveva fin dall'inizio essere fissato in modo più appropriato senza dover ricorrere ai numerosi slittamenti del termine che hanno generato solo confusione e schizofrenia legislativa.
In tutto questo, il TAR del Lazio, il 22 dicembre 2014, emanava un decreto presidenziale che accoglieva la domanda di sospensione del decreto ministeriale del 28 novembre presentata dall'ANCI, regioni e altri soggetti interessati, fissando, per la trattazione collegiale, la camera di consiglio al 21 gennaio 2015 e decidendo, in quella sede, di non confermare la sospensiva dell'obbligo di pagamento, ma di rinviare al prossimo 17 giugno il giudizio sul merito della controversia.
Nonostante la doverosa revisione dei criteri di esenzione e che le modifiche apportate siano certamente migliori rispetto al testo originario, ma soprattutto rispetto al decreto ministeriale del 28 novembre 2014, queste misure non sono ancora sufficienti per eliminare le storture di questa imposizione fiscale, si poteva e si deve certo fare meglio e di più.
L'IMU agricola è una nuova patrimoniale, che si aggiunge alle odiate IMU e TASI, alle tasse sulle case e sui capannoni. Tra TASI sui fabbricati rurali, IMU sui terreni agricoli, rivalutazione dei redditi dominicali, riduzioni delle agevolazioni sul gasolio per agricoltura e altre vessazioni Pag. 38stiamo parlando di un settore, quello agricolo, che ha dovuto subire tagli per una cifra che si aggira intorno al miliardo di euro.
Voglio segnalare a chi se lo fosse dimenticato che la Lega Nord, sin da subito – dal decreto n. 66 dell'aprile scorso, da quando è iniziato tutto questo calvario, poi con il «decreto competitività», la legge di stabilità, il «milleproroghe» e, soprattutto, il decreto odierno –, ha fatto resistenza a questa imposta presentando emendamenti soppressivi: tutto nell'assoluto silenzio della maggioranza, anche se molti parlamentari, solo tardivamente, si sono accorti della sua assurdità e hanno persino avuto l'ardire di ergersi a paladini e unici difensori del comparto agricolo attaccato.
Al Senato siamo riusciti ad ottenere due significativi risultati su problemi che per primi abbiamo posto all'attenzione. In primo luogo, il rimborso dell'imposta per chi ha già provveduto al pagamento e che ora, con i nuovi criteri, risulta essere esentato e, in secondo luogo, l'azzeramento delle sanzioni e degli interessi di mora per chi pagherà l'imposta 2014 in ritardo rispetto al 10 febbraio, ancorché entro il 31 marzo.
Nel decreto non è stata presa in considerazione l'esenzione per coloro che hanno i terreni in zone colpite da calamità naturali (alluvioni, terremoti, valanghe) o da avversità atmosferiche (gelo, grandine, ghiaccio, siccità, piogge) e che, quindi, si trovano a dover affrontare difficoltà produttive tali da rendere particolarmente onerosa la corresponsione dell'imposta. Quando si verifica una calamità, il danno spesso non riguarda un anno solo, una sola stagione o un certo periodo di tempo, visto che può accadere che, a seguito di quella calamità, le colture siano completamente danneggiate anche per anni. Con questo decreto, che ha il solo merito di ridurre il danno, si avranno comunque entrate per circa 268 milioni, anziché 359, un piccolo sconto.
Ormai è chiaro che l'IMU sui terreni agricoli serve solo per fare cassa: si tassano i terreni agricoli quasi fossero un «tesoretto» ! Si sta infliggendo un duro colpo all'agricoltura del nostro Paese. Gli interventi del Governo a sostegno dell'agricoltura nell'ultimo periodo sono stati solo proclami perché, invece, è stata usata come un bancomat.
L'IMU è un'imposta che mortifica e svilisce il settore agricolo, gli agricoltori e il loro lavoro, penalizzando quei territori che molto spesso partono già svantaggiati. Noi siamo per l'assoluta abolizione dell'IMU dai terreni agricoli, ma speriamo almeno che il provvedimento possa essere ancora migliorato, anche tramite l'approvazione dei nostri emendamenti, in quanto è necessario eliminare le incongruenze che ancora esistono rispetto alle reali condizioni e caratteristiche dei terreni.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Massimiliano Bernini. Ne ha facoltà.
MASSIMILIANO BERNINI. Grazie Presidente, colleghi, membri del Governo, le manifestazioni spontanee di migliaia di agricoltori che in queste settimane si sono tenute nelle varie piazze italiane e che continueranno a tenersi anche questa settimana, compresa quella di stamani, qui davanti a Montecitorio, stanno a significare una cosa molto semplice: gli agricoltori non vogliono questa imposta sui terreni agricoli decisa dal Governo Renzi e dall'attuale maggioranza.
Il malumore, però, non è solo degli agricoltori e di tutto il mondo agricolo, ma anche dei sindaci, che si vedranno decurtare una quota del Fondo di solidarietà comunale, corrispondente all'importo IMU che dovranno riscuotere localmente. I nostri sindaci, insomma, sono ridotti al rango di esattori per conto del Governo Renzi, come se fossero dei novelli gabellieri. E chi fossero i gabellieri lo sappiamo tutti: nel Medioevo o nella Sicilia del latifondo, erano gli incaricati a riscuotere le tasse per conto dello Stato o del padrone, con la possibilità di trattenersi una percentuale dei proventi.
Ora con l'Imposta municipale propria, si ripropone questa desueta tradizione, di cui sia il MoVimento 5 Stelle che gli Pag. 39italiani non sentono affatto la necessità. L'unica novità in questo frangente è che la parte del padrone che riscuote la gabella, la fa il Governo Renzi.
Purtroppo però ai sindaci, di questa imposta, rimarrà ben poco ! Infatti, mentre da un lato è certa la decurtazione del trasferimento di risorse dallo Stato ai comuni dal Fondo di solidarietà, dall'altra, non è altrettanto assodata la riscossione dell'IMU sui terreni agricoli da parte dei comuni che già ad oggi denunciano mancati introiti. Insomma, tutta la tensione sociale scaturita da questa gabella, dovrà essere gestita e affrontata dai «primi cittadini» che da soli dovranno confrontarsi coi cittadini proprietari di un appezzamento di terreno, con gli imprenditori agricoli professionali, con i coltivatori diretti e con le altre categorie che vivono del lavoro nei campi e che si sentono vessate dall'attuale Esecutivo.
E poi una domanda resta del tutto insoluta, nell'ambito di questo dibattito sull'IMU sui terreni agricoli: nel caso del mancato gettito da parte delle casse comunali, come potranno i comuni garantire i servizi essenziali a fronte della mancanza di risorse ? Insomma, come si potranno garantire i servizi indispensabili dei comuni (indispensabili per la collettività), tra i quali ricordo i servizi connessi con la giustizia, i servizi connessi alla distribuzione dell'acqua potabile, oppure i servizi per l'illuminazione pubblica, per l'istruzione primaria e secondaria, gli stipendi al personale dell'amministrazione comunale e via discorrendo ?
E a lanciare questo segnale d'allarme non siamo soltanto noi del MoVimento 5 Stelle, bensì l'ANCI (Associazione nazionale dei comuni italiani) o l'UNCEM (Unione nazionale comuni, comunità ed enti montani) che, anche per queste ragioni, presentarono, non più tardi del dicembre scorso, un ricorso al TAR Lazio sulla classificazione altimetrica prevista dal decreto ministeriale del MEF del 28 novembre 2014, per intenderci quello delle demenziali quote di 600 metri sul livello del mare, di 281-600 metri sul livello del mare o fino a 281 metri sul livello del mare, che si riferivano all'ubicazione della sede comunale, atte a valutare l'esenzione dal pagamento. Si tratta di parametri altimetrici, lo ripeto, assolutamente demenziali.
Ed è grazie a questo ricorso che oggi discutiamo della conversione del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4, altrimenti avremmo ancora a che fare con la rivolta di alcuni sindaci che proponevano il trasferimento delle sedi comunali a quote economicamente più convenienti. Ricordo che il ricorso in questione è stato accolto in prima istanza, sospendendo temporaneamente il decreto ministeriale del 28 novembre 2014 fino al 21 gennaio e poi, durante la seduta del 21 gennaio, il TAR ha deciso, pur non annullando il pagamento e la scadenza dell'IMU per i terreni agricoli, di rinviare l'udienza di merito per il giorno 17 giugno 2015 e riguardante la legittimità dei parametri adottati. Ma su queste questioni, che toccano la vita reale delle persone e dei loro più diretti rappresentanti, come al solito, il Governo Renzi tace, con tutto che lo stesso signor Renzi è stato sindaco di una delle più importanti città italiane e che, quindi, dovrebbe conoscere bene le difficoltà delle amministrazioni locali.
Ma torniamo al merito della conversione del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4, che si intitola: Misure urgenti in materia di esenzione IMU. Sicuramente il provvedimento rispetto al decreto ministeriale del MEF del novembre scorso, opera un passo in avanti nella direzione dell'esenzione dalla tassa sulla terra, e infatti il numero dei comuni esentati sale da 1.498 a 3.546, per quanto riguarda i totalmente montani, e a quota 655 per i comuni parzialmente montani. Tuttavia per noi, questo non è sufficiente e, quindi, rimaniamo fortemente contrari al provvedimento.
Questo decreto-legge rappresenta una misura repressiva e caotica, emanata in tutta fretta per trovare le coperture del cosiddetto Bonus Irpef (sarebbero gli 80 euro di Renzi), ossia una palese marchetta elettorale del Presidente del Consiglio Renzi ai tempi delle Europee del 2014, che Pag. 40non ha giovato minimamente alla ripresa economica del nostro Paese o al benessere reale delle famiglie italiane. Inoltre, la misura è fortemente discriminatoria e ingiusta, visto che si punisce una categoria, gli agricoltori, a vantaggio di un'altra, ossia i lavoratori dipendenti e assimilati.
Un altro elemento di contrarietà è dato dal fatto che si tassa un bene strumentale, la terra, senza la quale non si potrebbero ottenere i beni primari, come le derrate agricole necessarie al sostentamento della popolazione, oltre che i numerosi prodotti di qualità che sono venduti anche all'estero col secondo brand più famoso al mondo dopo la Coca-Cola, ovvero: made in Italy.
Inutile ricordare all'Aula che la nuova imposta rischierà di soffocare i segnali positivi di ripresa che vengono proprio dal settore agricolo, in termini di occupazione e di PIL, e che potrebbero rappresentare il volano di una sicura ripresa economica del nostro Paese e di tutta l'economia del sistema Paese.
Inoltre, continuando a tassare la terra, rischiamo di rendere la nostra agricoltura sempre meno competitiva nei confronti degli altri mercati europei ed extraeuropei, facendola concorrere con prodotti sempre più vantaggiosi dal punto di vista del prezzo finale.
Per quanto riguarda i criteri altimetrici adottati anche dall'ultimo decreto-legge del 24 gennaio 2015 e che fanno riferimento alla cosiddetta montagna legale dell'ISTAT del 1952, si trascura, a nostro avviso, ogni criterio di equità, determinando di fatto delle vere e proprie ingiustizie sociali. Infatti, i criteri dell'ISTAT, partono dal presupposto che i terreni montani o semimontani siano quelli meno redditizi a causa di situazioni svantaggiose dovute all'acclività delle superfici, che potrebbero ad esempio rappresentare un impedimento all'applicazione di una meccanizzazione nella fase di preparazione del terreno o di raccolta.
A parte che dal 1952 ad oggi la meccanizzazione agraria ha superato molti limiti tecnici, grazie anche al know-how delle aziende italiane ed alla ricerca condotta dalle nostre università, al punto che oggi non sussistono più impedimenti nell'utilizzo delle macchine o delle attrezzature agricole anche in montagna, anche cioè in condizioni orografiche particolarmente difficili, soprattutto si osserva come le colture più redditizie siano molto spesso ubicate proprio nelle fasce collinari e montane, mentre le coltivazioni di pianura, destinate alla cerealicoltura o alle coltivazioni orticole, risentono maggiormente della concorrenza straniera.
Inoltre, in queste aree, molti agricoltori denunciano il fatto che, per pagare l'IMU sui terreni agricoli, sono costretti ad utilizzare gli aiuti diretti stabiliti dalla PAC e che avrebbero – lo sappiamo tutti – ben altro scopo.
Quindi, a differenza di quanto riportato nell'articolo 53 della nostra Costituzione, nell'imposta manca ogni riferimento ai criteri di progressività e di capacità contributiva, visto che si colpisce la nuda terra e non la redditività dell'agricoltore.
A causa di ciò, molti coltivatori diretti, imprenditori agricoli professionali, ma anche pensionati che hanno lavorato in agricoltura e che non hanno più la partita IVA, sono costretti a svendere i terreni che finiranno nelle mani dei pochi che hanno in questo momento la liquidità per acquistarli, ossia i soliti gruppi di potere che gestiscono appunto il potere economico e finanziario, prefigurando perciò l'inizio di un nuovo latifondismo.
In merito a quest'ultimo aspetto, ravvisiamo un altro grave elemento di incostituzionalità, alla luce dell'articolo 44 della Carta costituzionale che recita: «Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua estensione secondo le regioni e le zone agrarie (...)».
Ricordo che questa norma ha lo scopo di bloccare sul nascere ogni tentativo di istituzione del latifondo e che è il frutto delle dure battaglie contadine dell'inizio del secolo scorso, portate avanti da grandi Pag. 41personaggi come Peppino Di Vittorio, e che hanno determinato le grandi conquiste sociali della nostra civiltà.
In conclusione, Presidente, non ci soddisfano affatto i parametri dell'ultimo decreto-legge n. 4 del gennaio scorso, tantomeno quelli del decreto ministeriale del 28 novembre 2014, e consideriamo questa IMU sui terreni agricoli come una gabella, ovvero una tassa odiosa che colpisce in modo arbitrario o scriteriato i beni di primaria necessità e mette a repentaglio l'autosufficienza alimentare del nostro Paese nonché la stessa sovranità alimentare.
Insomma, agli agricoltori, oltre al danno, si profila anche la beffa, visto che ci troviamo proprio nell'anno dell'Expo in cui l'agricoltura e l'agro-alimentare sono posti al centro del dibattito pubblico, riconoscendone la notevole importanza sociale e strategica per l'economia del nostro Paese.
Il Governo dovrebbe porgere maggiore attenzione alle esigenze degli agricoltori, che sicuramente si aspettano altre misure (la sburocratizzazione, la banda larga, incentivi per il rinnovo del parco macchine, eccetera), di certo non nuove tasse (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Pastorelli. Ne ha facoltà.
ORESTE PASTORELLI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il decreto-legge n. 4 del 2015 affronta il nodo dell'imposizione fiscale sui terreni agricoli, il quale ha subito molteplici mutamenti normativi negli ultimi mesi.
Il tutto a discapito di quei principi di certezza giuridica e di affidamento del cittadino nella legge che dovrebbero essere alla base del nostro Paese.
Non è la prima volta che affrontiamo il tema dell'IMU agricola e di quali criteri utilizzare per stabilirne l'esenzione. Un problema, quest'ultimo, centrale e non solo per il mondo dell'agricoltura ma per il nostro territorio in generale. È chiaro, infatti, che l'imposizione fiscale particolarmente pressante sui terreni agricoli, specie quelli di piccole dimensioni, può scoraggiare i relativi possessori dal mantenere la proprietà e la corretta funzionalità.
Il Governo con questo decreto-legge ha inteso porre una disciplina impositiva certamente meno restrittiva utilizzando però, quale riferimento per l'esenzione, un elenco delle altimetrie dei comuni diffuso dall'ISTAT, il quale ha già mostrato evidenti limiti circa la sua aderenza con la realtà. Non solo in comuni parzialmente montani, oltre al dato altimetrico, viene richiesta per l'esenzione la conduzione del fondo da parte di coltivatori diretti ovvero degli imprenditori agricoli professionali escludendo così dalla esenzione stessa molti cittadini che, pur curando il proprio fondo, non sono agricoltori professionali a tutti gli effetti.
Come sapete nel passaggio al Senato del presente disegno di legge sono stati inseriti alcuni emendamenti volti ad aumentare la platea dei soggetti esenti. Tra le altre cose viene, infatti, previsto che, a decorrere dall'anno 2015, per i terreni ubicati nei comuni di cui all'allegato 0A, circa 1600, se posseduti e condotti da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli professionali, vi è una detrazione di 200 euro dall'IMU. Se, invece, in corrispondenza dell'indicazione del comune è riportata la annotazione «parzialmente delimitato», e sono circa 340, la detrazione spetterà unicamente per le zone del territorio comunale che ricadono nel perimetro della esenzione ai sensi della circolare MEF n. 9 del 1993.
Ebbene, vale la pena chiarire come questi terreni, definiti «di collina svantaggiata», ricadenti nei comuni di cui alla citata circolare erano già in precedenza esenti senza che rilevasse l'essere montani o parzialmente montani. Mentre oggi tale esenzione è direttamente e prima di tutto ancorata a specifiche qualità del conduttore e non del fondo stesso; anche di tale evoluzione occorre quindi tenere conto nell'esaminare il presente provvedimento, se è vero infatti che il sistema di esenzione Pag. 42del decreto-legge n. 4 del 2015 è complessivamente meno restrittivo di quello designato dal decreto ministeriale del 28 novembre 2014.
In prospettiva dobbiamo prendere atto della generale tendenza ad aumentare la pressione fiscale su un bene, la terra agricola, che meriterebbe ben altro trattamento. Questo è, infatti, un punto politico cruciale: dobbiamo capire se una eccessiva tassazione sui terreni agricoli si ripercuoterà con maggiore incisività proprio sul piccolo agricoltore il quale, invece, proprio con la sua quotidiana attività agricola, presiede e mantiene un territorio che sappiamo essere fragilissimo. Se tassiamo i terreni agricoli senza tenere conto di questi aspetti andremo incontro ad un progressivo abbandono dei campi quando il delicato quadro idrogeologico del nostro Paese ci chiede di muoverci proprio in direzione opposta verso una valorizzazione delle attività agricole anche non professionali.
In questo senso e con riferimento ai criteri per l'esenzione dell'IMU agricola, dovremmo abbandonare del tutto rigidi riferimenti altimetrici o quelli connessi a un particolare status del conduttore e differenziare, invece, tra i terreni incolti e quelli produttivi e ben presidiati, tra terreni ricadenti in aree effettivamente svantaggiate dal punto di vista delle colture praticabili e quelli che non lo sono; criteri, dunque, che afferiscono alla reale condizione agronomica del fondo e alla effettiva attività che su di esso si svolge, quali veri ed unici presupposti economici dell'imposizione fiscale.
Le misure contenute nel decreto-legge n. 4 del 2015, così come integrate dagli emendamenti approvati in Senato, rappresentano dunque un apprezzabile sforzo nella direzione di abbassare la pressione fiscale sui terreni agricoli rispetto allo scorso anno, ma i mezzi per fare ciò devono essere ancora perfezionati ed ulteriormente affinati.
In particolare, segnalo la necessità di elaborare diversi criteri per l'esenzione da tale imposta, criteri più aderenti alla realtà, che premino chi coltiva i fondi a qualsiasi titolo e nel rispetto di precise regole, contribuendo così a preservare il territorio dal rischio idrogeologico. Un terreno coltivato equivale a un terreno presidiato, tassare quest'ultimo ed esentare coloro che, al contrario, tengono in stato di abbandono i propri terreni va contro il buonsenso e contro gli interessi del Paese.
In conclusione, dunque, auspico che si adotti questa prospettiva nell'esame del provvedimento del Governo, il quale costituisce una prima risposta sul tema dell'IMU agricola alla quale dovranno seguire necessariamente ulteriori interventi.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Zaccagnini. Ne ha facoltà.
ADRIANO ZACCAGNINI. Signor Presidente, colleghi, qui ci troviamo a discutere dell'IMU agricola mentre c’è una grande mobilitazione in tutto il comparto e nel settore primario da parte degli agricoltori. Questa mobilitazione ci dovrebbe anche far rendere conto di quanto odiata è questa tassa e di come probabilmente sia una tassa assolutamente costruita male e iniqua.
Il Paese reale è in ginocchio e piegato dalla crisi e questo Governo la sta affrontando introducendo sempre più tasse e tagli ai servizi. Vengono colpiti tutti i settori, dalla scuola alla sanità, diritti sindacali e dei lavoratori, si è arrivati ora anche al settore dell'agricoltura per coprire gli 80 euro di cui Renzi aveva bisogno per il suo spot elettorale.
L'IMU è una tassa ingiusta per il comparto, così come stanno segnalando la maggior parte delle associazioni, cooperative, realtà del settore agricolo che giustamente si organizzano per la mobilitazione nel tentativo disperato di arrivare all'orecchio di chi oggi si dimostra cieco e sordo.
Come gruppo SEL non possiamo che esprimere un parere contrario, tanti sono i punti critici e, mi si consenta, paradossali. L'agricoltura non è un bancomat, come il decreto ministeriale aveva inteso nella sua proposta iniziale, con un'imposta di tassazione lineare e indiscriminata. Pag. 43Siamo a livelli di sofferenza e di mera sussistenza a volte per il comparto agricolo e ciò che il Governo tassa è il fondo di un barile ormai usurato.
Premetto che i nuovi criteri adottati si rifanno all'elenco dei comuni della cosiddetta montagna legale elaborata dall'ISTAT, che fissa tra i suoi parametri che almeno l'80 per cento del territorio comunale sia posto sopra i 600 metri di altitudine. È da più parti indicato come il criterio più corretto da applicare. Questi terreni saranno completamente esentati come pure saranno esentati i terreni posseduti e condotti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali, iscritti nella previdenza agricola e ubicati nei comuni classificati come parzialmente montani dagli elenchi ISTAT. Tutti gli altri dovranno invece pagare. Ma, prima, i terreni in collina erano tutti esenti e non solo quelli dei coltivatori diretti e degli imprenditori agricoli, quindi è un peggioramento e un inasprimento quello che esce comunque dal Parlamento, che ha mitigato l'inasprimento del provvedimento governativo.
La nota di Palazzo Chigi, inoltre, precisa che per l'anno 2014 non è comunque dovuta l'IMU per quei terreni che erano esenti in virtù del decreto del MEF del 28 novembre 2014 e che invece risultano imponibili per effetto dei criteri sopra elencati.
Detto ciò, partendo dall'analisi meramente tecnica, ciò che risulta evidente è l'iniquità dell'imposta. Si basa, infatti, su un criterio altimetrico che classifica i terreni sulla base di tabelle ISTAT vecchie di decenni. In questo senso, il provvedimento non dà risposte sufficienti ed atte a superare tutti quegli elementi di iniquità che ancora sono presenti nella tassazione dei terreni, a partire dalla soppressione definitiva dell'imposta, al fine di evitare un ulteriore appesantimento fiscale sul comparto agricolo e agroalimentare, già precedentemente penalizzato dalla riduzione delle aliquote agevolative in materia di accise sul gasolio.
L'assegnazione di gasolio agricolo ha visto una riduzione perpetrata dai precedenti Governi rispettivamente del 10 per cento nel 2013, del 15 per cento nel 2014, e, a decorrere dal 1o gennaio 2015, è stata stabilita una ulteriore riduzione del 23 per cento. Inoltre, c’è stato il taglio dei fondi per il piano irriguo nazionale e la soppressione e il ridimensionamento di enti di ricerca agricoli. Tutto ciò determina gravissime ripercussioni sul piano produttivo e occupazionale e di prospettiva per l'intero settore primario.
Oggi la soluzione per salvare il mondo dell'agricoltura, già particolarmente provato da una tassazione insostenibile e da un mercato che vede l'assalto di forti competitor stranieri, capaci di imporre sempre più i propri prodotti sui banchi della distribuzione italiana ed europea, è rappresentata dall'esentare dal pagamento dell'IMU tutti i terreni agricoli coltivati e non, in particolare quelli posseduti da piccole e medie realtà e aziende agricole, a cui aggiungere quelli destinati a pascolo, bosco, silvicoltura, prato permanente, ad aree di interesse ecologico e tutti quelli danneggiati da calamità naturali, limitatamente all'anno successivo a quello in cui si verifica l'evento calamitoso. Ma di tutto questo nel provvedimento non vi è traccia.
In Parlamento c’è stata una mitigazione dell'inasprimento, ma comunque l'IMU è una tassa che rimane iniqua e insostenibile, elaborata male soprattutto, e serve un intervento di revisione strutturale del decreto con la cancellazione o modifica sostanziale della norma che riduce sensibilmente i territori esenti da IMU. I terreni utilizzati dagli agricoltori sono beni strumentali delle imprese. Gli agricoltori non vogliono continuare ad essere considerati come una categoria assistita, ma come attività a cui applicare norme che consentano di operare con dignità ed equità fiscale.
Ricordo che in questo 2015 ci sarà inoltre la riduzione sui premi PAC, che dal 2015 al 2020 si abbatteranno di oltre il 40 per cento e – ripeto – la riduzione nell'assegnazione del carburante agricolo.
Siamo in ritardo con l'attuazione della riforma della PAC. Dopo il primo decreto ministeriale di novembre si stanno rimettendo Pag. 44in discussione orientamenti e decisioni già assunte a suo tempo, mentre gli agricoltori devono con cognizione predisporre i piani produttivi.
Consideriamo, come gruppo SEL, prioritaria la cancellazione o comunque la sostanziale modifica dell'IMU. Questa tassa non fa che aumentare l'abbandono dell'agricoltura soprattutto da parte di quei giovani che si stanno avvicinando alla terra grazie ad alcune opportunità offerte dal nuovo PSR e dalla nuova PAC, ma soprattutto grazie all'iniziativa personale e collettiva di tanti che vedono nell'attività agricola un'attività non solo imprenditoriale, ma anche con valore sociale ed ecologico. Un ginepraio di provvedimenti, in particolare il passaggio dall'ICI all'IMU che si sono susseguiti, che hanno fissato criteri differenti, date diverse e contraddittorie. Anche il criterio altimetrico – lo ripeto – non è affatto equo.
Questo provvedimento è stato fatto con grande superficialità, danneggia irreversibilmente l'agricoltura e non dà alcuna sicurezza. Gli stessi sindaci dei vari comuni, che stanno scendendo in piazza perorando la causa degli agricoltori e imprenditori agricoli, contestano questa tassa e ribadiscono una vera e propria difficoltà, che sta nel fatto che non sapranno mai il dato reale fra gettito stimato e gettito accertato, per coprire il taglio del fondo di solidarietà.
Le conseguenze negative, inoltre, non saranno solo per gli operatori del settore primario, ma per tutta la collettività, dal momento che il comparto agricolo è trainante per la nostra economia, in particolare il settore del biologico è in costante crescita anche nella fase di crisi economica.
Il futuro del nostro Paese è legato allo sviluppo del territorio e al rafforzamento dell'agricoltura. Il comparto agricolo, ancora importante in termini di PIL, ma soprattutto in termini di benessere collettivo, è capace di dare risposte sociali ed economiche sia in termini occupazionali che di qualità della vita. Per questo la politica deve riconoscergli il giusto ruolo e valore.
Valorizzare il territorio e potenziare le aree rurali diventa, pertanto, strategico per promuovere lo sviluppo dell'intero Paese. Il Governo, a pochi giorni dall'inaugurazione di Expo 2015, vanta una ripresa del settore dell'agricoltura, sciorina dati sul ritorno dei giovani all'agricoltura, ma, con l'introduzione di questa tassa e le sue caratteristiche di iniquità, non fa che contraddirsi. Mi domando se i fondi erogati per Expo 2015, una grande vetrina, a mio avviso, senza sostanza e contenuti, senza la proposta di un modello agricolo ecocompatibile e fondato sulla giustizia sociale, non potessero essere utilizzati per incentivare l'economia del settore, per consentire di superare una crisi strutturale che colpisce anche l'agricoltura tradizionale.
Per non parlare della narrazione tossica sostenuta per l'Expo, che non riprende i contenuti di un modello agricolo vicino alle persone, ma, anzi, lo mistifica nei fatti, con proposte per l'agroalimentare legato a lobby dell'agroindustria e all'ideologia della mercificazione del cibo. E, quindi, di cosa parleranno i documentari di approfondimento sulle varie regioni ed i prodotti tipici ? Che cosa racconteranno ? Di aziende agricole in chiusura, campi abbandonati, poiché su di essi ha gravato non solo la crisi economica, ma anche l'eccessiva tassazione ?
Promuoviamo un evento come Expo 2015 sul diritto al cibo, contro gli sprechi alimentari, sulla tipicità del made in Italy, e poi introduciamo l'IMU agricola, disincentivando proprio la spinta ad investire nel settore e incentivando, al contempo, l'abbandono dei campi; o – altra cosa che viene fatta da questo Governo – togliamo l'indicazione obbligatoria in etichetta del luogo di produzione. Anche su questa, la nostra richiesta è quella di reintrodurla.
Riporto, inoltre, l'appello dei giovani dell'Agia, l'associazione under 40 della CIA: l'IMU agricola non ha ragione di esistere. Come si fa a tassare uno strumento imprescindibile per la vita e il lavoro agricolo ? Come si può pretendere Pag. 45una tassa su un bene strumentale per la produzione non solo di cibo, ma anche di benessere per la comunità tutta ?
Il Governo italiano continua a sbandierare slogan a favore del ritorno dei giovani in agricoltura, continua a dire che il futuro del nostro Paese siamo noi e che l'agricoltura sarà il volano per farci uscire dalla crisi, ma poi ci obbliga a pagare un'imposta iniqua non sulla produzione, ma, addirittura, sullo strumento per produrre, a prescindere da quanto quel terreno abbia reso in termini economici all'agricoltore, a prescindere se sia stato vittima di calamità o di altri eventi incontrollabili.
Nonostante la dichiarata attenzione verso i giovani e la centralità dell'agricoltura per far ripartire l'economia, l'IMU si trasferisce per intero sul costo per l'utilizzazione del fattore terra, in mancanza di specifiche deroghe nel caso di uso a titolo gratuito o affitto per i giovani. Lo stesso Governo ha sottolineato più volte come siano troppi, a oggi, i terreni rimasti abbandonati, e poi, con questa IMU, incentiva l'abbandono del settore agricolo, esorta i nostri agricoltori a lasciare un comparto in perenne difficoltà e noi giovani a gettare la spugna e cercare un'alternativa migliore, con meno rischi dal punto di vista economico.
Quella stessa Italia che, con Expo, sta facendo dell'agroalimentare il suo punto di forza, che si sta facendo bella agli occhi del mondo con il lavoro degli agricoltori, li ricompensa con questa indegna moneta. Siamo invece, come spesso proposto in Commissione al Governo, per una politica in grado di incentivare l'accesso alla terra ai giovani agricoltori con regimi di defiscalizzazione fiscale, comodato d'uso di terreni demaniali e varie altre proposte, che abbiamo portato, come SEL, in Commissione.
Non si può essere favorevoli, ora, a questa tassa, ovviamente, che va ad ostacolare proprio ciò per cui in Commissione abbiamo lavorato, per un altro modello agricolo e, soprattutto, un sostegno e un'incentivazione a questo nuovo modello. Vi è, inoltre, la presunta inapplicabilità del decreto IMU, altra grave criticità, che scarica sui comuni tutto l'onere e la responsabilità. Questo crediamo sia un esempio, assolutamente da criticare, da condannare, di responsabilità istituzionale da parte del Governo e di semplificazione della vita dei comuni. Non è questo il modo in cui si deve agire quando si ha la responsabilità di governare e di mettere in condizione gli enti locali di poter amministrare al meglio.
Vi è l'elevato rischio di contenzioso a cui andrebbero incontro i comuni in caso di emissione di avvisi di accertamento per mancato pagamento dell'IMU sui terreni agricoli, non più esenti per l'anno 2014 ai sensi del suddetto decreto. I motivi sono tanti: in primo luogo, l'imposizione dell'IMU sui terreni agricoli per l'anno 2014 violerebbe l'articolo 3 della legge n. 212 del 2000, lo Statuto del contribuente, le cui norme si configurano come principi generali dell'ordinamento tributario e si pongono in una posizione privilegiata nella gerarchia delle fonti che disciplinano la materia fiscale.
In sostanza, l'articolo 3 afferma con forza il principio dell'irretroattività in materia fiscale, sulla base del principio generale di irretroattività delle leggi.
Vi è poi la violazione dell'articolo 27, in secondo luogo, della legge n. 448 del 2001 in cui si afferma appunto che il termine per deliberare le aliquote e le tariffe dei tributi locali, compresa l'aliquota dell'addizionale comunale all'IRPEF di cui all'articolo 1, comma 3, del decreto legislativo 28 settembre del 1998, n. 360, recante istituzione di un'addizionale comunale all'IRPEF, e successive modifiche, e le tariffe dei servizi pubblici locali, nonché per approvare i regolamenti relativi alle entrate degli enti locali, è stabilito entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione. I regolamenti sulle entrate, anche se approvati successivamente all'inizio dell'esercizio, purché entro il termine di cui sopra, hanno effetto dal 1o gennaio dell'anno di riferimento.
In terzo luogo, vi è la violazione del comma 169 della legge n. 296 del 2006: gli Pag. 46enti locali deliberano le tariffe e le aliquote relative ai tributi di loro competenza entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione. Dette deliberazioni, anche se approvate successivamente all'inizio dell'esercizio, purché entro il termine innanzi indicato, hanno effetto dal 1o gennaio dell'anno di riferimento. In caso di mancata approvazione entro il suddetto termine, le tariffe e le aliquote si intendono prorogate di anno in anno.
Dunque, le su esposte tesi, inoltre, hanno trovato conferma nella copiosa giurisprudenza amministrativa: la sentenza del TAR della Campania n. 5321 del 2005; le sentenze del Consiglio di Stato n. 6400 del 2006, nn. 3808 e 3817 del 2014.
Posto che non è accettabile tassare gli agricoltori, e i cittadini in genere, con scadenze così brevi, è certamente il caso di aprire una seria riflessione su quali criteri di proporzionalità è possibile usare per non colpire indiscriminatamente l'attuale tessuto rurale e non danneggiare il presidio sociale imprescindibile per la vita dei territori agricoli che svolgono soprattutto le aziende familiari e contadine. Posto il principio che la terra non va tassata, mi domando perché i criteri per l'IMU agricola non sono stati individuati in relazione alla redditività economica e alla superficie agricola posseduta.
Per queste ragioni ho parlato di tassa iniqua e paradossale. Sulla base di quanto sopra, si richiede un intervento in sede di conversione del decreto-legge, al fine di eliminare l'imposizione dell'IMU sui terreni agricoli, scongiurando così il rischio elevato che tale norma arrechi più danni, che benefici, ai comuni già fortemente penalizzati dal taglio dei trasferimenti e dal notevole incremento della tassazione a livello locale. La copertura finanziaria è il vero nocciolo della questione, per il mancato gettito fiscale dell'IMU agricola per un'eventuale modifica dell'IMU stessa. Per individuare una copertura finanziaria per i 350 milioni di euro, che poi sono diventati 268 milioni, si potrebbe operare in vari modi: intervenire sul gioco d'azzardo, sulle spese militari, in particolare gli F35, ma anche – perché no ? – attraverso proposte come legalizzare la cannabis e tassarla, che porterebbe un gettito di circa di 4 miliardi di euro l'anno, oppure quella che ho avanzato per rideterminare certi criteri; mi riferisco alla proposta della rideterminazione anche dei canoni annui per i permessi di prospezione e ricerca e le concessioni di coltivazione e stoccaggio nel settore energetico, in modo da riequilibrare anche l'impatto negativo sul settore agricolo di queste attività, legate alle fonti fossili e ad un modello di sviluppo non ecocompatibile. In particolare, i criteri da adottare al posti di quelli attuali sull'IMU agricola dovrebbero essere proporzionati alla redditività economica dei terreni agricoli: una vigna non può pagare come un campo di pomodori e un campo di pomodori non può pagare come un bosco. Questo criterio di equità deve essere legato a quello della tassazione sulle grandi concentrazioni fondiarie, ovvero, in base all'articolo 44 della Costituzione che recita: «Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua estensione, secondo le regioni e le zone agrarie, promuove e impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive; aiuta la piccola e la media proprietà. La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane».
Così recita la Costituzione e, in base a questo, se c’è qualcosa da tassare, questa è la grande proprietà, con differenze tra pianura, collina e montagna, dove la terra ha valore differente. La media della superficie delle aziende agricole italiane si aggira attorno agli 8-10 ettari e sta aumentando questa superficie media, a discapito della vera agricoltura locale interconnessa con il territorio, che crea valore aggiunto con il presidio nelle zone marginali e con produzioni tradizionali di qualità.
Vorrei anche comunque spezzare una lancia a favore della montagna in risposta anche al collega Massimiliano Bernini, che affermava che la montagna oramai con la Pag. 47meccanizzazione è, per così dire, parificata alla collina e alla pianura. Bisognerebbe credo fare un ragionamento un po’ più approfondito su questo. Non credo che possano essere messe al momento sullo stesso piano e credo che la montagna, come recita la Costituzione, debba continuare ad essere tutelata in maniera specifica.
Dunque, ho proposto con un emendamento per l'Aula che la tassazione sia applicata solo per chi ha più di 10 ettari in pianura, 20 in collina e 40 in montagna e proporzionati in base alla destinazione d'uso agricolo del terreno, ovvero vigna, seminativo, erborato, bosco e via dicendo, e, quindi, al suo valore. Le soglie sono indicative e non danno il senso di quello che servirebbe per disincentivare le grandi aggregazioni fondiarie e per incentivare, invece, le nuove aziende agricole dei giovani, che non raggiungono praticamente mai queste soglie, ma sono uno spunto di riflessione successiva per il Governo per individuare, appunto, dei criteri migliori e soprattutto equi.
Se dunque vogliamo una tassa equa, dobbiamo individuare una platea di contribuenti tra quanti hanno già molta proprietà terriera e magari neanche la utilizzano appropriatamente, ma solo come bene rifugio o investimento finanziario. Questo fenomeno, tra l'altro, amplifica la diseguaglianza sociale e mercifica sempre più il bene comune della terra e il suo prodotto: il cibo. In questo contesto di sofferenza dell'agricoltura italiana è evidente a tutti come c’è un forte rischio di appropriazione di aziende agricole in difficoltà, che vanno all'asta anche perché non riescono a pagare le tasse – come in questo caso, potrebbe avvenire nei prossimi anni o il prossimo anno – e che vanno alle agro-mafie che comprano la terra con la liquidità proveniente da attività criminali. Quindi, viene riciclato il denaro nero e spesso queste aziende vengono usate come discariche abusive, dove interrare rifiuti di ogni genere. Questo è un fenomeno che è in corso nel nostro Paese, in particolare nel Mezzogiorno, ma non solo nel Mezzogiorno e questo accaparramento di aziende da parte delle agro-mafie viene tutto coperto con delle produzioni agricole, dove spesso non vengono tutelati i lavoratori, ma viene imposto il sistema del caporalato e del lavoro in nero.
Di fronte a tutto questo non si vede un Governo, il Governo Renzi, attivo nel contrasto a questo fenomeno di cui ci sono giunte particolare segnalazioni da tutt'Italia, da tutto il Paese. Abbiamo prodotto interrogazioni parlamentari in merito, ma crediamo che l'attenzione debba essere maggiore da parte del Governo e anche dell'antimafia.
L'IMU agricola è, dunque, una tassa ideata da un Governo che vuole fare cassa per coprire una concessione spot, quella degli 80 euro, e che usa l'agricoltura come un bancomat, una tassa che non tiene conto delle diversità dei territori, dei terreni, della loro destinazione d'uso agricola e del contesto del settore primario in generale, che non tiene conto del fatto che, per un principio di equità sociale e proporzionalità, si deve cercare di colpire i grandi proprietari terrieri, in modo da tutelare le piccole e le medie proprietà, che sono sostanzialmente le aziende agricole che costituiscono il nervo principale della nostra agricoltura, essendone la maggioranza. Queste aziende agricole, piccole e medie, contadine e familiari, sono quelle che portano avanti l'agricoltura tradizionale e le pratiche agricole più innovative ed ecocompatibili.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Oliverio. Ne ha facoltà.
NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. Signor Presidente, signori del Governo, onorevoli colleghi, in politica come nella vita ci sono momenti in cui bisogna rinunciare ad usare il pronome «io», occasioni in cui le differenze cadono, protagonismi e particolarismi lasciano spazio al bene comune e a una visione inclusiva e partecipativa.
Oggi stiamo vivendo uno di questi momenti e lo stiamo vivendo con l'esame di un provvedimento che riguarda tantissime Pag. 48realtà produttive, tanti agricoltori e lavoratori, ai quali noi intendiamo rivolgerci con serietà ed obiettività e liberi da qualsiasi condizionamento di parte o di partito, con il solo scopo di salvaguardare una rete composta da decine di migliaia di imprenditori, che, con le loro famiglie, tengono in piedi uno dei settori strategici della nostra economia. Un settore anticiclico, che si è opposto naturalmente alle dinamiche della grande recessione degli ultimi anni, confermandosi volano anticrisi. Parliamo di un comparto che è riuscito a creare nuovo lavoro e ricchezza ben distribuita, nel pieno di una congiuntura economica che non ha pari nella storia repubblicana. Il vento della recessione ha soffiato forte, ma le radici del settore primario hanno dimostrato di esserlo molto di più.
Secondo stime INEA, l'agricoltura ha prodotto nel 2013 qualcosa come 52,5 miliardi di euro di ricchezza. Nel 2014 l’export dell'agroalimentare ha conquistato il secondo record storico di fila: dopo i 33,6 miliardi di euro del 2013 siamo passati a 34,3 miliardi di euro e ciò nonostante l'embargo russo. Nel 2013 i posti di lavoro riconducibili ad attività agricole sono aumentati di 150 mila unità, contribuendo su scala nazionale ad un aumento del 7,1 per cento dei livelli occupazionali. Le imprese agricole condotte da giovani con meno di 35 anni sono salite a 49.871: un aumento dell'1,5 per cento.
Ed ecco perché possiamo affermare con indubbia certezza che l'agricoltura ha concorso a salvare il Paese dal tracollo economico. A tale proposito ed entrando nel merito del provvedimento, voglio ricordare che l'introduzione dell'IMU sui terreni agricoli ha concorso alla copertura finanziaria del bonus di 80 euro per i redditi medio-bassi e che tale scelta mostra oggi i suoi effetti positivi sulla ripresa dell'occupazione e dell'attività produttiva del Paese. Anche chi, irriducibile, non ha mai smesso di criticare la misura in nome di un non meglio precisato benaltrismo non può oggi negare l'evidenza. Quel provvedimento ha innescato un processo di integrazione e di sviluppo economico. A giovarne è stato il sistema economico nazionale nel suo complesso, perché per far ripartire la domanda interna non c’è migliore strategia del sostenere il potere d'acquisto dei ceti medi e popolari. È lì che si concentra la più significativa propensione all'acquisto di beni e servizi, una realtà tanto più vera nelle aree disagiate e interne del nostro Mezzogiorno.
Signor Presidente, oggi siamo chiamati a compiere insieme un altro importante passo nella giusta direzione, a muoverci verso un obiettivo di equità e giustizia sociale che riconosca la necessità di redistribuire anche in agricoltura il carico dei sacrifici, alleggerendo le fasce medie e disagiate e non facendo pagare a coloro che lavorano la terra, ai coltivatori diretti e agli agricoltori. Ed è per questa ragione che riteniamo indispensabile un tavolo di concertazione tra il Governo e le parti interessate, fra queste gli agricoltori e le loro rappresentanze di categoria, da far seguire all'approvazione definitiva del decreto IMU, per arrivare con un successivo provvedimento a misure sempre più eque: metodo che abbiamo già sperimentato quando abbiamo cancellato l'IMU sui fabbricati rurali.
Il provvedimento all'esame di quest'Aula è comunque già stato migliorato. I nuovi criteri introdotti dal decreto ministeriale e dall'esame in Senato hanno ampliato il novero delle esenzioni, includendo, ad esempio, i terreni agricoli dei comuni ubicati a un'altitudine superiore a 600 metri e delle isole minori. Sulla base dei nuovi criteri, i comuni da considerarsi esenti aumenterebbero da 1.498 a 3.456. L'esenzione parziale coinvolgerebbe, inoltre, 665 comuni parzialmente montani. A questi si aggiungono altri 1.600 comuni della cosiddetta collina svantaggiata, su cui verrà applicata una franchigia di 200 euro: nel complesso, pertanto, 5.600 comuni. Il recupero di questa franchigia sta ad indicare che l'80 per cento delle aziende agricole in quei territori sarà esentato dal pagamento dell'IMU, ovvero che circa l'80 per cento ritorna al regime in vigore prima del 28 novembre 2014.Pag. 49
Questa detrazione da sola già consente, per esempio, di tenere indenni dal tributo superfici agricole che vanno da 3,8 ettari di seminativo o 21 ettari di bosco o 3,7 ettari di prato irriguo o 3 ettari di vigneto in Piemonte, a 10 ettari di seminativo o 38 ettari di bosco o 11 ettari di seminativo o 2,3 ettari di frutteto o 8 ettari di vigneto o di uliveto nel Lazio, a 1,7 ettari di orto irriguo o 3,2 ettari di uliveto o 3 ettari di vigneto in Calabria. Sono dati eloquenti, che non ammettono ulteriori commenti.
Il nostro lavoro, però, non finisce qui; si riparte dai positivi risultati conseguiti al Senato per una rivisitazione dei criteri di esenzione che tenga conto della redditività dei terreni agricoli a partire dai comuni e che assicuri criteri di equità e di giustizia e che valorizzi il lavoro – ripeto: il lavoro – di chi coltiva la terra. Non una patrimoniale tout court, ma una valorizzazione dell'agricoltura attiva e produttiva, una premialità a chi vive del lavoro della terra, a chi contribuisce con i fatti ad evitare lo spopolamento dei comuni di montagna o di collina svantaggiata. L'esenzione dell'IMU, così come prevista, è un vero strumento per preservare la tipicità, la cultura e la tradizione delle nostre colture agricole, oggi caratterizzate da tante aziende a conduzione familiare e da agricoltori che spesso ereditano piccoli appezzamenti di terreno destinati a diventare sempre più piccoli. Insomma, un modo per difendere e tutelare la tipicità del nostro territorio.
Poi, ad onor del vero (e questo lo ammetto), nel provvedimento ci sono delle incoerenze, come quella, per esempio, che l'IMU non si paga su terreni montani o collinari coltivati con produzioni agricole pregiate in grado di assicurare buoni redditi e si paga, invece, su terreni con colture poco redditizie solo perché collocate sotto una certa altitudine. Diverse, poi, le aree interne non esentate: zone isolate ed economicamente depresse, collocate specialmente nel Mezzogiorno, ma non solo, che andrebbero maggiormente sostenute. Contraddizioni che vanno sanate con atti lungimiranti e coesivi, coinvolgendo gli attori sociali nel processo decisionale. Per questo, subito dopo l'approvazione del provvedimento, dobbiamo aprire un cantiere comune, stabilendo obiettivi chiari e condivisi, e dare fiducia a un metodo di lavoro che richiama tutti alla responsabilità. Partiamo da una buona base, che è costituita dai contenuti del parere votato in Commissione agricoltura che prevede alcuni importanti elementi. Anzitutto, va verificata l'applicazione delle esenzioni introdotte per i terreni svantaggiati, al fine di prevedere, con un successivo provvedimento, una revisione dei criteri di esenzione dall'IMU che si adatti alla reale situazione dei terreni agricoli e assicuri la coerenza della misura dell'imposta con la reale capacità contributiva della realtà produttiva. Vanno, poi, valutati interventi per quei comuni con caratteristiche non uniformi, che presentano al loro interno zone svantaggiate, a cui va riconosciuto un regime agevolato. Come va considerata la necessità di includere nel novero delle esenzioni e delle detrazioni anche le aree protette e i siti di interesse comunitario.
Altro asse su cui lavorare è quello della differenziazione tra il gettito accertato e riscosso e il gettito previsto, con l'introduzione di compensazioni per i comuni che abbiano provveduto per tempo a tutti gli adempimenti. Fondamentale, poi, il riconoscimento dei regimi agevolati per i tanti agricoltori che hanno subito danni da gravi fitopatie che quest'anno stanno compromettendo intere colture agricole. Il pensiero va subito, naturalmente, agli agricoltori della Puglia, colpiti dal batterio della Xylella fastidiosa, ma anche a tante altre piaghe quali la tristezza degli agrumi, il cinipide del castagno, la diabrotica, la mosca del ciliegio e la mosca dell'ulivo. Per gli agricoltori colpiti da queste calamità e da eventi atmosferici per i quali sia stato dichiarato lo stato di emergenza devono avere riconosciute deroghe specifiche, con la sospensione degli adempimenti fiscali, tributari, contributivi e dei premi assicurativi e la successiva attivazione di strumenti di rateizzazione a tasso zero.
Va infine recuperata per il comparto primario l'applicazione delle agevolazioni Pag. 50IRAP abrogate dal provvedimento in esame ai fini della copertura finanziaria.
È da questi elementi che dobbiamo ripartire. Tutto questo va fatto mettendo insieme le rappresentanze sociali, il mondo del lavoro, le associazioni datoriali e quelle bancarie. Tutte realtà che hanno dimostrato in questi anni grande responsabilità. Va dato loro ascolto, va concepito uno spazio di lavoro comune. Non c’è via migliore per redistribuire il carico dei sacrifici secondo il principio che chi ha di più deve contribuire di più. Per sostenere, come abbiamo fatto con il decreto sul bonus degli 80 euro, il reddito dei ceti più esposti agli effetti della crisi e, con esso, i consumi di un Paese che riparte nell’export, ma continua a soffrire nel mercato interno. È una sfida, Presidente, che ora dobbiamo raccogliere insieme ed è per questo che il Partito Democratico è pienamente impegnato a sostenere il provvedimento e a riaprire la possibilità di un tavolo di concertazione che aiuti l'agricoltura a riemergere nuovamente e ad essere più forte (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Capezzone. Ne ha facoltà.
DANIELE CAPEZZONE. Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghe e colleghi, molto, molto brevemente come presidente di Commissione mi sia consentito di ringraziare il relatore, l'onorevole Fragomeli e il rappresentante del Governo l'onorevole Zanetti e i rappresentanti di tutti i gruppi per come ciascuno ha cercato di fare la propria parte pur in una circostanza pur così dire sfortunata nel palleggio tra Camera e Senato perché in questo caso a questo ramo del Parlamento tocca, ahimè, l'ultimo scorcio dei 60 giorni e quindi realisticamente non ci sarà spazio purtroppo per la modifica di un provvedimento controverso. Mi spoglio dei panni di presidente di Commissione e intervengo invece come rappresentante del mio gruppo per verbalizzare tre gravissime insoddisfazioni e tre elementi di contrarietà nel merito del provvedimento una prima volta rispetto al complesso delle scelte fiscali del Governo anzi dei Governi perché, al di là di ogni faziosità, noi dobbiamo riconoscere che sia i Governi di centrodestra sia i governi tecnici sia i Governi di centrosinistra hanno mancato, per ragioni e in forme diverse, l'occasione di una svolta fiscale nel Paese e, in particolare, se si resta nel territorio delle tassazioni patrimoniali perché anche in questo caso di questo si tratta, ben difficilmente si potrà fare tesoro degli elementi esogeni che potrebbero produrre una ripresa significativa e sostenuta. Procedendo così, con questo tipo di tassazione ma col complesso invece della tassazione che grava sulle imprese, sul complesso della tassazione immobiliare, sul complesso della tassazione sulle persone fisiche, con quel livello di imposizione noi saremo inchiodati a una crescita da zero virgola, saremo inchiodati a muoverci da tartaruga anziché librare le ali e liberare una crescita come le condizioni esterne (quantitative easing, rapporto euro-dollaro, crollo del prezzo del petrolio) consentirebbero. Quindi questo è un primo elemento complessivo di contrarietà non solo rispetto al testo ma rispetto al contesto della politica fiscale in cui questa tessera si inserisce.
Il secondo elemento di contrarietà riguarda invece specificamente questo provvedimento. Vede, signor Presidente, signor rappresentante del Governo, so di trovare nell'onorevole Zanetti un ascolto sensibile culturalmente da questo punto di vista: peggio della tassazione elevata c’è solo la tassazione elevata accompagnata dall'incertezza e dalla complicazione. Qui è un caso da manuale in cui l'incertezza, il rincorrersi delle scadenze, crea una casistica che sembra appartenere per così dire alla casistica gesuitica della controriforma (il mio terreno sì, il tuo no; il mio comune sì, il tuo no; tu sei esentato, io invece no) crea una situazione di assoluto caos che si aggiunge alla gravità di una tassazione sbagliata, che peraltro incide su un settore già gravato da tanti segni meno. Conosciamo la realtà delle accise sui combustibili agricoli, conosciamo la realtà dei trasporti, conosciamo l'andamento dei costi Pag. 51in questo settore, si aggiunge anche questo elemento che certamente non aiuta.
Chiudo questo secondo elemento di contrarietà con un'unica piccola, piccola speranza: che dal male di questa situazione possa venire un piccolo bene, non attraverso la riforma normativa che, temo, non ci sarà, ma almeno attraverso un impegno che nella Commissione è emerso in modo trasversale e che credo preluda alla presentazione di ordini del giorno che il Governo si è impegnato a guardare con, immagino, positività e che riguarda proprio il tema di alcune coltivazioni, in particolare le coltivazioni dell'ulivo, che, in alcune regioni meridionali del nostro Paese, sono state colpite da fitopatie gravissime. Non si tratta di episodi isolati e marginali, si tratta di episodi drammatici per la loro gravità, che rischiano di mettere in ginocchio una produzione.
Sarebbe stata cosa buona e giusta prevedere l'esenzione totale qui ed ora; questo non è stato possibile: male. Ma almeno sembra esserci un impegno – so che vi sarà la presentazione di un ordine del giorno da parte del collega Palese del mio gruppo, ma anche da parte del collega L'Abbate del MoVimento 5 Stelle, immagino da parte dei rappresentanti di tutti i gruppi di maggioranza e opposizione – affinché il Governo si impegni in altra sede – vedremo come, naturalmente vigileremo in modo positivo – a dare sollievo fiscale alle imprese e ai territori colpiti da questo tema.
Chiudo con il terzo ed ultimo elemento di contrarietà e di grave insoddisfazione che riguarda l'andamento della delega fiscale, che qui trova una proroga. Chi parla ha la ventura di essere stato relatore della delega fiscale ed anche estensore delle parti più innovative del provvedimento; un provvedimento su cui si è lavorato in modo unitario nella prima parte della legislatura, senza voti contrari. Voglio ricordare che ci fu il voto favorevole di tutti i gruppi e anche i gruppi che non espressero voto favorevole – il gruppo del MoVimento 5 Stelle e il gruppo di SEL – espressero, però, un'astensione positiva e collaborativa. Perché ? Perché avevamo lavorato bene, con il Parlamento protagonista, con, per la prima volta da tanto tempo, una serie di misure pro impresa, pro contribuenti, in una chiave positiva.
Per una serie di ragioni – qui mi spiace essere severo –, questo fu un vero e proprio regalo del caso e del Parlamento al Governo Renzi. Questa legge è andata in Gazzetta Ufficiale nel marzo dell'anno passato; il Governo, in quelle settimane, giurava, si è trovato questo pacco dono sul tavolo. Sarebbe stato possibile, in poche settimane, varare una dozzina di decreti delegati, avendo alle spalle il sostegno di tutto il Parlamento. Cosa è successo ? Sono passati undici mesi e abbiamo avuto soltanto tre decreti delegati: uno sbagliato sulla prima parte del catasto che abbiamo dovuto correggere in Commissione, perché si erano dimenticati di coinvolgere le associazioni dei proprietari; un altro mezzo sbagliato sulla dichiarazione precompilata, che ora mostra i suoi effetti; un altro ancora sbagliato, perché sui tabacchi aumenta le accise, aumenta le tasse, in direzione contraria a ciò che la delega fiscale prevedeva. Poi, il pasticcio indicibile del 24 dicembre, poi, una proroga che noi stessi avevamo proposto per non cestinare il lavoro.
Mi permetto di dire una cosa. I colleghi della maggioranza conoscono il mio approccio non fazioso, il mio approccio di sfida in positivo al Governo, al «più uno» e non al «meno uno», ma, scusatemi, con riferimento alla narrativa renziana, secondo la quale vi sarebbe un Governo che fa, che agisce, che è dinamico, che lavora, notte e giorno e, invece, un Parlamento che frena, che blocca, le opposizioni che impantanano, qui è vero esattamente il contrario: cioè, un Governo, mi spiace, fannullone, che su questo non agisce. Ora inserisce questa proroga, ma tra poco le settimane volano via: erano stati annunciati per le settimane passate altri schemi di decreti delegati che ancora non vediamo.
Questa proroga nasce dal fatto che noi stessi, facendo i conti, abbiamo spiegato al Governo che, se avessero proceduto senza proroga, tutto sarebbe finito nel cestino. Pag. 52Che si fa ? Vogliamo uscire dalla fiction tutti quanti ? Chi parla è, come noto, autocritico rispetto anche alle esperienze di Governo del centrodestra sulla materia fiscale. Quindi, siamo, da questo punto di vista, credibili, perché non giochiamo in modo fazioso a dire «quando noi», «dove voi», eccetera, ma, in questo caso, davvero c'era un'occasione di lavoro comune, con un atto di serietà di tutto il Parlamento e un atto di fiducia del Parlamento verso il Governo. Ora che si fa ?
Staremo a vedere, certo, però, questo non depone a favore della narrazione alla quale facevo cenno prima. Allora, Presidente, mi avvio a concludere e ripeto: contrarietà rispetto a un approccio fiscale complessivo che, a nostro avviso, non fa sufficientemente tesoro delle condizioni esterne che consentirebbero la ripresa; contrarietà rispetto a questo provvedimento che è una tassazione patrimoniale, in più gravata da elementi di caos e di incertezza e, in terzo luogo, contrarietà e delusione per come non si stia facendo tesoro di un grande strumento di riforma strutturale come poteva, può e potrà essere la delega fiscale.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Benedetti. Ne ha facoltà.
SILVIA BENEDETTI. Grazie Presidente, quando un Governo degno di tale nome governa il proprio Paese ha una grande responsabilità nei confronti dei propri cittadini, perciò deve stare bene attento a lavorare in maniera razionale, logica e programmata. Non mi sembra certo il caso del Governo Renzi che si sveglia la mattina e decide di rivedere la questione dell'IMU agricola. L'IMU non è un'imposta nuova e per l'applicazione dell'esenzione si è fatto riferimento, fino al decreto ministeriale del 28 novembre scorso, alla circolare ministeriale n. 9 del 14 luglio del 1993. Tale circolare prevedeva l'esenzione per i terreni agricoli ricadenti in area montana o di collina, fornendo un elenco.
Dal 1993 ad oggi chiaramente le cose sono cambiate; ora, una revisione di questi parametri non sarebbe stata una cosa negativa se, appunto, non fosse stata una revisione soltanto in virtù dei 359 milioni di euro che servono per il famoso bonus IRPEF di 80 euro di Renzi. Chiederei volentieri agli agricoltori se sono contenti di fare il Bancomat per i fruitori target degli 80 euro del geniale Matteo che, ovviamente, li ha calcolati in virtù dell'elettorato che poteva attrarre per sé alle elezioni europee.
Insomma, agricoltori, avete fatto la campagna elettorale dell'attuale Premier, sapete chi ringraziare, ma sappiamo già che vi state facendo sentire, basta vedere le manifestazioni in tutta Italia e anche quella di oggi qui fuori. Allora, vi invito a rincarare la dose, fatevi sentire ancora di più, perché non è possibile che un Governo imposti una tassa in funzione del risultato elettorale di un singolo partito politico. Questo non lo dico mica io, peraltro, non lo dice il MoVimento 5 Stelle, c’è un'agenzia del 26 febbraio con una dichiarazione del Ministro Martina dove candidamente ammette che questi soldi, i soldi di questa IMU agricola rivisitata alla meno peggio, alla «carlona» se vogliamo dire così, sono, appunto, la copertura di questo 80 euro.
Torniamo al decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 28 novembre scorso che cambia i parametri per individuare i terreni agricoli soggetti al pagamento IMU e, come già detto anche dal mio collega Bernini, lo fa in base al parametro altimetrico, stabilendo la scadenza del pagamento al 16 dicembre 2014. Quindi, avevo già sottolineato la scorrettezza di questa scadenza imposta da questo decreto per il pagamento dell'imposta: in meno di un mese, in tempo di crisi, si chiede agli agricoltori di avere i soldi per pagare l'IMU dall'oggi al domani. Certo, come no. Tra l'altro i parametri stabiliti – è già stato ricordato, ma lo ripetiamo, perché purtroppo la Costituzione in questo Paese va continuamente ricordata, perché la si dimentica troppo spesso in tutti i suoi articoli – sono incostituzionali. A 600 metri sopra il livello del mare tutti i terreni sono esentati, tra i 281 metri e i Pag. 53600 metri sopra il livello del mare sono esentati solo i terreni degli imprenditori agricoli professionali e dei coltivatori diretti. Fino ai 281 metri sopra il livello del mare non c’è nessuna esenzione. E ricordiamola questa Costituzione, c’è un articolo, il 53, che dispone che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. La norma che modula l'esenzione dall'IMU solo in ragione di parametri fisici è del tutto logica, perché non tiene conto della capacità produttiva di quei terreni – poi andremo anche a vedere perché – e serve solo ed esclusivamente a fare cassa.
E infatti ecco che i comuni si muovono con dei prevedibilissimi ricorsi al TAR e riporto un'Ansa della settimana scorsa, ad esempio, che si riferisce al comune di Spoleto che aderisce all'azione congiunta proposta dall'ANCI Umbria per il ricorso al TAR del Lazio contro questo decreto-legge che ha introdotto la nuova classificazione dei comuni montani e non montani. Il comune di Spoleto è stato classificato nella categoria P, cioè comune parzialmente montano, questo significa che l'esenzione del pagamento IMU sui terreni agricoli è valida solo per i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli a titolo principale.
E questa è una norma che rappresenta – non è una dichiarazione nostra – un vero e proprio balzello imposto dal Governo che va a gravare direttamente su molti cittadini. Quindi, al comune di Spoleto ci si è mossi con azioni di ricorso al TAR – quindi, altro ingorgo della burocrazia – dopo questo decreto interministeriale che ridefiniva le esenzioni dei terreni agricoli dall'applicazione dell'Imu e che imponeva anche il mancato trasferimento nei confronti dello stesso comune di Spoleto di più 720 mila euro. Adesso, spiegatemi in questi tempi come si fanno a trovare questi soldi !
La filosofia del far cassa continua comunque anche con il decreto-legge n. 4 del 24 gennaio 2015, emanato per rivedere questa IMU sui terreni agricoli per il 2015 con effetti anche sul 2014, quindi continuiamo, anzi continuate, il Governo continua a lavorare in maniera assolutamente sconclusionata e cercando di rappezzare qua e là quello che può fare, se ci riesce.
Cosa fa questo decreto-legge ? Proroga il termine del pagamento al 10 febbraio e ridefinisce i parametri dell'esenzione in base alla classificazione – attenzione – dei comuni elaborata dall'ISTAT. Con queste modifiche, il gettito previsto, tra l'altro, secondo il parere del relatore di maggioranza passato in Commissione Agricoltura, è di 278 milioni di euro. Allora, diamo un'occhiata alla classificazione dei comuni ISTAT e pagamento IMU «Montagna legale» con cui si stabilisce che: quelli totalmente montani hanno l'esenzione totale dell'IMU agricola, per i parzialmente montani vale solo per l'imprenditore agricolo professionale-coltivatori diretti, i non montani non hanno nessuna esenzione. E poi c’è l'esenzione per quei terreni dati in comodato o in affitto ai coltivatori diretti o agli imprenditori agricoli professionali nelle aree totalmente o parzialmente montane.
C’è una piccola precisazione dello stesso ISTAT, che dichiara di non avere fornito alcun dato per la classificazione delle zone montane, parzialmente tali o per nulla interessate, sottolineando come ad oggi la classificazione dei comuni per grado di montanità sia ancora quella elaborata dalla commissione censuaria istituita presso il Ministero dell'Economia sulla base dell'articolo 1 della legge n. 991 del 1952, poi aggiornata nel 1955 e nel 1957. La legge n. 142 del 1990 ha poi di fatto soppresso lo strumento giuridico, cioè questa commissione censuaria, che consentiva il periodico aggiornamento della classificazione dei comuni per grado di montanità. Adesso, siamo nel 2015 e il Governo vuole fare evidentemente un lavoro come Dio comanda e quindi trova una strada per rivedere questa classificazione cosa che, prima di emanare questo decreto, era difficile fare. E infatti non si è posto il problema di una classificazione vecchia di quasi sessant'anni.
Non si pone nemmeno il problema di una revisione del catasto agricolo: ci sono due limiti non da poco perché, in primo Pag. 54luogo, ormai abbiamo una reale redditività dei terreni e le rendite catastali che non corrispondono più; in secondo luogo, non c’è coincidenza tra le colture indicate nel catasto e le colture effettive ad oggi su quei terreni. Questo perché – attenzione, altra nota di merito sul lavoro metodico di questo Governo – l'ultima revisione del catasto agricolo fornisce un quadro risalente a oltre settanta anni fa. Ma c'era fretta, fretta per questi 80 euro. Allora, il testo parte dal Senato e arriva alla Camera per essere convertito entro il 23 marzo 2015, con l'IMU 2015 che si pagherà a giugno e a dicembre 2015, e con rattoppi di vario tipo. Un esempio che mi viene in mente è la clausola di salvaguardia per l'anno d'imposta 2014, per cui sono comunque esentati dal pagamento tutti i soggetti esentati ai sensi del decreto ministeriale del 28 novembre 2014 (comuni sopra i 600 metri) e che col decreto-legge n. 4 del 2015 diventano soggetti d'imposta.
Quindi, c'era fretta e adesso arrivano anche i rattoppi tramite comunicato, con rappresentanti della maggioranza, che voteranno favorevolmente su questo provvedimento, che si affrettano prima a proporre un tavolo di concertazione con Governo e soggetti interessati da far seguire all'approvazione definitiva del decreto sull'IMU agricola per arrivare con un successivo provvedimento a misure sempre più aderenti e rispondenti in pieno alla differenti esigenze delle molteplici realtà territoriali del nostro Paese. Agricoltori, dunque, intanto pagate in silenzio, poi si vedrà. Questo vi dice il Governo e la maggioranza. Poco importa che già siate in una situazione difficile, poco importa che il comparto agricolo sia l'unico che continua a far registrare un PIL positivo, poco importa se Renzi va all'Expo a sventagliare quant’è bella l'agricoltura italiana, quella che voi agricoltori portate avanti tutti i giorni.
Intanto pagate questo balzello, basato su parametri di altri tempi, ringraziate il Governo Renzi e poi forse vi considereranno, forse (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare la deputata Gagnarli. Ne ha facoltà.
CHIARA GAGNARLI. Grazie Presidente, oggi in quest'Aula siamo a discutere un decreto-legge che interviene sui criteri di esenzione del versamento dell'IMU sui terreni agricoli montani e parzialmente montani, richiamando, come criteri per l'esenzione, non più i parametri altimetrici del decreto ministeriale del 28 novembre 2014, la cui disciplina è stata sospesa con deliberazione del Tar del Lazio, ma la classificazione in comuni totalmente montani, parzialmente montani e non montani elaborata dall'ISTAT.
Oggi, Presidente, in quest'Aula si vedrà parlare del provvedimento per il gruppo MoVimento 5 Stelle solo componenti della Commissione agricoltura, malgrado questa Commissione sia stata esclusa dai lavori in sede referente e relegata alla votazione di un semplice parere. Parere che, ricordiamo, la maggioranza, anzi il PD, si è votato da solo non avendo il coraggio e la dignità di inserire neanche delle condizioni per la Commissione finanze ma limitandosi a semplici e inutili osservazioni. Riteniamo una scelta assurda l'esclusione della Commissione agricoltura, che indica una visione limitata delle conseguenze non solo economiche, che avrà l'introduzione dell'IMU. Mi è venuto in mente che sarebbe come se un agricoltore decidesse di affidare la propria terra, a un certo punto, solo alla cura del ragioniere.
Da dove nasce questa iniqua imposta ? Ad aprile 2014, in pieno delirio preelettorale, Renzi annuncia un bonus di 80 euro riservato ad una fascia di lavoratori dipendenti e, mi dispiace contraddire il collega del PD che ha prima ricordato che questi 80 euro hanno rilanciato i consumi, ma proprio qualche giorno fa il Ministro dell'economia ha detto che non ha provocato nessun effetto, anzi gli italiani li hanno usati per pagare i debiti, e come dargli torto ?
Proprio dal «decreto Irpef» nasce tutta la complicata questione IMU: il Governo nella articolata ricerca delle coperture per il bonus promesso, pensa a recuperare i 350 milioni mancanti dalla revisione delle Pag. 55regole IMU sui terreni con il decreto ministeriale del 28 novembre 2014 fissando fantasiosi criteri di pagamento in base all'altitudine della casa comunale e come termine per il pagamento dell'imposta il 16 dicembre, scadenza prorogata poi al 26 gennaio 2015. In tutto questo il Tar del Lazio si pronuncia con un'ordinanza del 21 gennaio non confermando la sospensiva ma rinviando al 17 giugno la decisione in merito alla legittimità del provvedimento.
Con il decreto-legge n. 4 del 24 gennaio 2015 il Governo prova, quindi, a risolvere un pasticciaccio da lui stesso creato, un clima di incertezza normativa con gravi ripercussioni per i comuni coinvolti e per i contribuenti. Viene, quindi, prorogato al 10 febbraio il termine di scadenza e si rivedono i criteri di esenzione richiamando l'elenco delle altimetrie dei comuni ISTAT e stabilendo l'esenzione per i terreni parzialmente montani alla conduzione da parte di coltivatori diretti e imprenditori agricoli.
Il Governo continua a coniare slogan a favore degli imprenditori, del ritorno dei giovani all'agricoltura, decanta le meraviglie di EXPO per il rilancio dell'agricoltura italiana, ma al tempo stesso mortifica gli agricoltori. E mortifica anche chi fa il prezioso lavoro di manutenzione del territorio e della terra semplicemente nella sua funzione di bene strumentale per la produzione di cibo, obbligando al pagamento di un'imposta sullo strumento della produzione a prescindere se quel terreno abbia reso o meno in termini economici o se sia stato vittima di calamità atmosferiche, fitopatie o altri eventi non controllabili. Come si può sostenere un nuovo balzello su un territorio già di per sé fragile, dove l'agricoltore è spesso l'unico presidio ?
Le modifiche apportate al Senato su questo provvedimento sono decisamente insufficienti soprattutto se si considera che per assicurare la copertura finanziaria delle disposizioni introdotte, vengono abrogate alcune agevolazioni sempre del settore agricolo, che consentivano ai produttori agricoli soggetti a IRAP e alle società agricole di usufruire della integrale deducibilità IRAP relativa al costo del lavoro non solo per i lavoratori a tempo indeterminato ma anche per quelli a tempo determinato impiegati con contratto triennale e con 150 giornate lavorate.
Ma tra le criticità più evidenti di questo decreto c’è sicuramente la disparità di trattamento tra territori contigui ed affini per caratteristiche morfologiche ed economiche oltre che la mancata valutazione della redditività delle colture, soprattutto quelle tipiche, del rischio idrogeologico, della dimensione delle aziende agricole e di altri aspetti tipici delle diverse realtà rurali territoriali.
Un imprenditore agricolo che ha terreni su comuni contigui, ad esempio uno classificato come parzialmente montano e l'altro pianeggiante, si troverà nella situazione di dover pagare l'IMU sui terreni ubicati nel comune definito pianeggiante, ma non ci troviamo di fronte sempre lo stesso imprenditore ? Si verrà a creare una concorrenza sleale tra proprietari terreni dei diversi comuni, contraddizione ancora più evidente se pensiamo che pagheranno sempre coloro che mantengono i propri terreni per produzioni di famiglia e che comunque non ne ricevono nessun reddito.
L'IMU agricola, signor Presidente, è l'ennesima tassa sul macinato, la tassa della disperazione, che contribuì in quel caso sì a risanare le finanze pubbliche, ma sulle spalle delle fasce più deboli della popolazione, e sembra quanto mai attuale quello che disse al tempo Carlo Dossi: se dai ladri e dagli assassini ci possiamo difendere, chi mai ci salva da questi con privilegio governativo e licenza dell'autorità (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) ?
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 2915)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore di minoranza, deputato L'Abbate, Pag. 56che però ha esaurito anche il tempo. Prendo atto che il relatore per la maggioranza, deputato Fragomeli, che ha venti secondi, si riserva di intervenire nel prosieguo. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Discussione delle mozioni Fitzgerald Nissoli, Porta ed altri n. 1-00445 e Dall'Osso ed altri n. 1-00761 concernenti iniziative per la tutela dei diritti previdenziali dei lavoratori italiani emigrati in paesi non appartenenti all'Unione europea (ore 16,55).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Fitzgerald Nissoli, Porta ed altri n. 1-00445 e Dall'Osso ed altri n. 1-00761 concernenti iniziative per la tutela dei diritti previdenziali dei lavoratori italiani emigrati in paesi non appartenenti all'Unione europea (Vedi l'allegato A – Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni. È iscritta a parlare la deputata Fitzgerald Nissoli, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00445 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.
FUCSIA FITZGERALD NISSOLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, con questa mozione che ho proposto assieme al collega Fabio Porta e largamente condivisa dal resto dell'Aula vogliamo porre all'attenzione del Governo la necessità di adeguare le convenzioni internazionali bilaterali con i Paesi extra Unione europea in materia di sicurezza sociale, considerato che l'Inps eroga all'estero circa 500 mila prestazioni pensionistiche, oltre a quelle erogate agli emigrati rientrati. Come è noto vi è una ripresa dell'emigrazione italiana all'estero in un contesto storico in cui le migrazioni internazionali hanno caratterizzato la storia dell'Italia unita; in particolare l'Italia nel ventesimo secolo è stata connotata da forti movimenti di lavoratori verso Paesi ad economia più sviluppata, in grado di accogliere forza-lavoro. Di conseguenza questo ha portato alla necessità di stipulare adeguate convenzioni bilaterali e un coordinamento delle legislazioni interne in materia previdenziale nella prospettiva del riconoscimento di alcuni diritti previdenziali ai lavoratori migranti.
Bisogna riconoscere all'Italia il merito di essere stata antesignana a livello mondiale per quanto riguarda i trattati bilaterali sulla sicurezza sociale, come quello stipulato con la Francia nel 1904, un percorso che è proseguito incrociandosi con l'azione delle organizzazioni internazionali del lavoro e che ha portato l'Italia a stipulare accordi anche con i Paesi d'oltremare in seguito alle nuove ondate migratorie verificatesi dopo la Seconda guerra mondiale. In particolare, nel 1973 l'Italia ha stipulato un importante accordo con gli Stati Uniti mentre nel 1977 ne ha stipulato un altro con il Canada. Tali accordi di sicurezza sociale si ispirano ai principi della parità di trattamento, dell'unicità della legislazione applicabile, nonché alla totalizzazione dei periodi assicurati, alla esportabilità delle prestazioni previdenziali e alla collaborazione tra le autorità competenti e gli organismi di sicurezza sociale dei Paesi contraenti gli accordi. Infatti nell'accordo con gli Stati Uniti si legge: le persone alle quali si applicano le disposizioni del presente accordo sono sottoposte agli obblighi e sono ammesse ai benefici della legislazione di sicurezza sociale di ciascuno Stato contraente alle stesse condizioni delle persone che sono soggette unicamente alla legislazione di sicurezza sociale di tale Stato. È Pag. 57un principio importante che segna un traguardo in materia di diritti dei lavoratori migranti.
Tuttavia, l'attuale complessità del fenomeno migratorio e i mutamenti che sono intercorsi in questi anni, con una ripresa dell'emigrazione dall'Italia verso l'estero, in cui vi è anche una presenza di liberi professionisti, oltre che di lavoratori ex Inpdap, rende necessario un aggiornamento degli accordi in essere, in modo da contemplare nuove e più penetranti tutele per i lavoratori migranti dei giorni d'oggi.
Se a livello comunitario il problema non si pone, poiché, conformemente al regolamento n. 883 del 2004, vige una disciplina ampia e tecnicamente avanzata, che permette di garantire un'adeguata protezione sociale dei cittadini comunitari, che si muovono liberamente all'interno dell'Unione europea, lo stesso non si può dire per i cittadini che si recano nei Paesi al di fuori dell'Unione europea, con i quali vigono ancora convenzioni bilaterali da aggiornare sia sul piano sostanziale che formale.
Inoltre, vi sono Paesi, come alcuni dell'America latina, con i quali non abbiamo ancora stipulato adeguate convenzioni, nonostante una rilevante presenza migratoria italiana. Pertanto, i periodi di lavoro prestati nei Paesi dell'Unione europea, più Islanda, Norvegia e Svizzera, sono utilizzabili sul piano previdenziale dai dipendenti pubblici italiani mediante totalizzazione gratuita, mentre i periodi di lavoro prestati negli altri Paesi del mondo possono esser utilizzati dagli stessi dipendenti pubblici solo mediante riscatto oneroso, come previsto dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 184 del 1997.
Memori del richiamo della Corte costituzionale contenuto, nella sentenza n. 369 del 19 dicembre 1985, alla necessità di emanare norme in grado di garantire i lavoratori occupati in Italia, abbiamo ritenuto di impegnare il Governo a rivedere, istituendo anche un tavolo tecnico ad hoc, le convenzioni internazionali esistenti e di promuovere di nuovo, dove necessario, alla luce dei mutamenti avvenuti nei contesti socio-politici internazionali e di quelli avvenuti sul piano della legislazione interna dei Paesi contraenti, gli accordi, affinché siano più efficaci, nell'intento di tutelare adeguatamente i diritti di tutte le categorie di lavoratori, ponendo fine alla disparità di trattamento tra lavoratori pubblici e privati e lavoratori del settore privato appartenenti ancora al regime previdenziale esclusivo o i tanti che lavorano a progetto ed iscritti nella gestione separata dell'INPS. Siamo convinti che bisogna superare questa situazione di disagio. Ce lo chiede la Costituzione agli articoli 3, 36 e 38, nonché la necessità di adeguarci ai principi generalmente riconosciuti dalle normative e convenzioni internazionali in materia di sicurezza sociale.
Onorevoli colleghi, signor sottosegretario, credo che siano motivazioni sufficienti per spronare il Governo ad agire, nella convinzione che il trattamento previdenziale dell'emigrato è legato a questi importanti strumenti internazionali di coordinamento sia a livello bilaterale che multilaterale.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Dall'Osso, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00761. Ne ha facoltà.
MATTEO DALL'OSSO. Signor Presidente, l'Italia da sempre è riconosciuto come un Paese di emigrazione. Sin dal 1800 ha visto i propri connazionali spostarsi dapprima in Sudamerica, poi nel Nordamerica, e nel secondo dopoguerra, dopo essere emigrati anche nel nord Europa, in Sudafrica ed in Australia.
La tutela dei lavoratori italiani all'estero, da sempre sostenuta dai sindacati ovvero dai patronati, dalla CGIL e dalle ACLI, ha visto nel corso degli anni un modificarsi di norme e convenzioni. In tale contesto, la mozione presentata dal MoVimento 5 Stelle, a mia prima firma, vuole porre al centro dell'attenzione dell'Esecutivo la necessità del rinnovo e della revisione delle convenzioni in essere con i Paesi cosiddetti di vecchia emigrazione, al fine di garantire, sia ai protagonisti della vecchia emigrazione sia a quelli della nuova, un sistema contributivo certo e Pag. 58garantito da norme nuove ed adatte a diversi contesti lavorativi. Viceversa, negli ultimi anni il flusso migratorio italiano ancora in essere ha spostato il proprio interesse verso Paesi non ancora membri dell'Unione europea, ma di prossima entrata o candidatura, verso ben altri distanti lidi dell'Unione sia geograficamente sia politicamente.
A tale proposito, al fine di garantire anche un futuro di rientro ai giovani emigrati che vada a valorizzare, e non a penalizzare, con un sistema pensionistico, vista anche una futura revisione della disgraziata legge Fornero, stipulato ad hoc per il lavoro italiano all'estero, diventa quanto mai prioritario per questo Paese porre in essere delle convenzioni con tali Paesi, quali, appunto, la Russia, la Cina, l'India, il Brasile, il Sud Africa, il cosiddetto BRIC, considerato anche quanto previsto dall'articolo 35, comma 4, della nostra Costituzione e le battaglie sostenute su questi banchi da molti miei predecessori.
Ovviamente, questi accordi richiedono una reciprocità, richiesta anche per quel concerne la tutela sociale, come, ad esempio, il reddito di cittadinanza, che non farebbe trovare in imbarazzo il nostro Governo nel momento in cui venisse adottato. Qui stiamo parlando del reddito di cittadinanza: una misura che è prevista in 25 Paesi dell'Unione europea su 28; siamo esclusi noi, la Grecia, l'Ungheria. Ditemi voi !
Quindi, è un consiglio che do al Governo: approvate questo reddito di cittadinanza, che è già in Commissione bilancio. I soldi, per approvarlo, ci sono, ci sono eccome i soldi, altrimenti non sarebbe stato approvato dalla Commissione bilancio al Senato. Questo reddito di cittadinanza, pensi, è il doppio, più del doppio, anzi, di quello ricevuto dai tedeschi. Quindi, invito il Parlamento a riflettere sull'importanza di approvare prima possibile il reddito di cittadinanza, al fine di non far trovare in imbarazzo il Governo durante questi accordi bilaterali. Lo diciamo per voi, per voi del Governo: come potete non trovarvi in imbarazzo, se non approvate un reddito di cittadinanza per nove milioni di cittadini italiani ?
Vi invito, pertanto, a votare favorevolmente su questa mozione. In più, signor Presidente – questo è rivolto a lei, Vicepresidente: mi ascolta ? –, oggi è il primo giorno nel quale si può festeggiare il nostro secondo compleanno in Parlamento. Per questo motivo, le rinnovo i miei applausi e congratulazioni. In più, come vede, noi siamo sempre meno all'interno delle istituzioni, in Parlamento. Questa fila, questa fila accanto a me – ora, lo so, non vede nessuno –, una volta era del MoVimento 5 Stelle e questo è il mio primo intervento come membro della Commissione lavoro.
Prima ero in Commissione affari sociali e questa fila non era composta dai deputati che vi sono adesso, ma da deputati del MoVimento 5 Stelle; in questa fila vi erano gli stessi miei colleghi del MoVimento 5 Stelle presenti nella Commissione affari sociali. Ora, invece, non so, hanno deciso altre strade e, effettivamente, è dura rimanere qui.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Marco Fedi. Ne ha facoltà.
MARCO FEDI. Presidente, sottosegretario, onorevoli colleghi, il tema che affrontiamo oggi è particolarmente importante. Per questa ragione, credo sia stato utile aver raggiunto un testo unificato con la collega Nissoli, che vede anche la firma di molti colleghi del Partito Democratico e che sono certo vedrà in Aula un voto comune di questo Parlamento e un impegno del Governo.
La prima considerazione che vorrei fare riguarda la natura stessa del tema: le convenzioni bilaterali. Non si tratta unicamente, come qualcuno potrebbe pensare, di riconoscere diritti previdenziali, consentire la totalizzazione, questo strano meccanismo che consente di totalizzare, di sommare periodi di contribuzione versati in Paesi diversi o la portabilità, cioè la piena trasferibilità della pensione contributiva; parliamo di un diritto, del diritto Pag. 59di avere riconosciuti il lavoro svolto e i contributi versati. Un tema che affianca tutte le altre forme di tutela dei diritti umani e di protezione della persona. È il riconoscimento che diritti e doveri, anche economici, devono affermarsi in una dimensione internazionale e globale, attraverso le convenzioni bilaterali, sempre più anche multilaterali. Dobbiamo ricordarlo per evitare che queste scelte appaiano legate esclusivamente alla presenza di nostri connazionali nel mondo, sicuramente importante e significativa, come è stato ricordato, nei Paesi extraeuropei, oppure alle nuove emigrazioni in Italia.
È, invece, veramente un tema di politica internazionale anche questo, è affermazione di diritti e doveri delle persone, riconoscendo che queste oggi, sia nella protezione umana, come nella tutela previdenziale o nei doveri fiscali, vivono realtà complesse che superano i confini nazionali e l'Italia è un Paese moderno che deve dare risposte di livello internazionale in una logica di reciprocità che consente anche ad altri Paesi di crescere e di riconoscere il valore delle convenzioni bilaterali.
La nostra epoca è caratterizzata da una mobilità lavorativa transnazionale che interessa sempre di più tutti i settori e tutte le attività lavorative, nessuno più sfugge. Oggi il nostro Paese si trova ad affrontare un nuovo esodo di giovani verso il mondo e il tema delle tutele previdenziali deve tornare ad essere centrale anche per loro. La mobilità in ambito dell'Unione europea oggi è tutelata sia nella fase professionale, ad esempio con il riconoscimento delle qualifiche, che nella tutela previdenziale.
Per i Paesi extraeuropei dobbiamo continuare a lavorare, invece, per aggiornare le convenzioni già esistenti, ai cambiamenti in campo nazionale, ma anche alle nuove esigenze: dai fondi privati e complementari, ad esempio, assicurandone la piena portabilità, fino ai nuovi meccanismi di totalizzazione in sistemi previdenziali che mutano in ciascuno dei Paesi extraeuropei dove le nostre nuove migrazioni arrivano.
Così come dobbiamo lavorare per il riconoscimento delle qualifiche professionali e dei titoli di studio, così come dobbiamo superare anacronistiche distinzioni tra pensioni pubbliche e private, che ancora oggi limitano l'applicazione di tanti accordi, vere e proprie discriminazioni tra categorie di lavoratori.
Le pensioni liquidate con la totalizzazione di contribuzione italiana ed estera al gennaio 2014 erano 793.432, a gennaio 2014 sono stati disposti a favore dei pensionati all'estero 358.210 pagamenti pensionistici; quindi, circa il 50 per cento delle pensioni in regime internazionale è liquidato, sulla base di contribuzione italiana e di Paesi dell'Unione europea, in Italia o nei Paesi in ambito UE.
A ciò dobbiamo aggiungere che, se è vero che l'INPS paga pensioni verso l'estero, l'estero paga pensioni verso l'Italia. Per citare solo un esempio, l'Australia, attraverso il Centrelink corrisponde verso l'Italia un totale di circa 16.800 pensioni tassate in Italia, contro le circa 45 mila pensioni pagate verso l'Australia dall'Italia. Ma le pensioni australiane sono di importo medio decisamente superiore a quello italiano, quindi l'effetto economico sull'Italia è visibile.
Il costo delle convenzioni, quindi, deve intendersi mediato, se non in alcune situazioni addirittura superato, dall'elemento della reciprocità in campo previdenziale e fiscale. In sostanza, ai sostenitori della tesi secondo cui le convenzioni costano troppo, per i quali l'Italia dovrebbe chiudersi in una sorta di splendido isolamento, ricordiamo i vantaggi economici e fiscali, il valore della reciprocità come strumento internazionale e la tutela delle persone, come aspetto centrale della tutela dei diritti umani.
Nella mozione chiediamo che, alla luce delle importanti e sostanziali modifiche intervenute in questi ultimi anni nel nostro sistema previdenziale, venga istituito un tavolo tecnico che veda la presenza dei rappresentanti dei ministeri interessati, dell'INPS e dei patronati nazionali con il preciso compito di: monitorare lo stato delle convenzioni bilaterali di sicurezza Pag. 60sociale in essere – cioè quelle gia esistenti – verificando la loro compatibilità con le modifiche intervenute nel nostro sistema previdenziale e l'eventuale conseguente necessità di rinegoziarle sulla base di nuove esigenze di tutela internazionale; verificare, a fronte dell'aumentata mobilità internazionale di lavoratori e lavoratrici, sia in uscita che in ingresso in Italia, la necessità di stipulare nuovi accordi bilaterali di sicurezza sociale, completando quindi il quadro giuridico di salvaguardia dei diritti sociali e aggiornando quelli in vigore, a garanzia di una più adeguata, efficace ed ampia tutela previdenziale.
Il sistema previdenziale italiano con l'INPS si è impegnato ad assicurare ai residenti all'estero, per quanto reso possibile dalle caratteristiche dei vari Paesi, un trattamento analogo a quello riservato ai pensionati in Italia. Non sono mancati negli anni problemi, dal ritardo della verifica reddituale, con i conseguenti indebiti, alle lentezze nei pagamenti con le tante disfunzioni organizzative e burocratiche. Riteniamo incomprensibile, come è stato ricordato dalla relatrice Fitzgerald Nissoli, l'eliminazione dell'unità di consulenza per la sicurezza sociale del Ministero degli affari esteri, strumento di ricerca, consulenza e progettazione per l'avvio di negoziati bilaterali.
Le convenzioni bilaterali di sicurezza sociale non devono tutelare solo la vecchia emigrazione. Stanno emergendo, infatti, moderne figure di nuovi migranti italiani, come i liberi professionisti, i ricercatori, i piccoli imprenditori, gli artigiani, gli insegnanti, gli studenti, i lavoratori al seguito delle imprese e i tanti giovani che si recano a lavorare all'estero anche per lunghi periodi, dove versano i contributi e pagano le tasse, che sono esclusi dall'attuale regime delle convenzioni bilaterali.
Crediamo sia indispensabile superare ogni ingiustificata distinzione tra lavoratori pubblici e privati, sia in termini previdenziali che fiscali. Riteniamo sia opportuno rivedere anche i modelli OCSE, spesso superati e da aggiornare. L'esperienza di questi anni dimostra che lo scambio di informazioni a livello previdenziale e fiscale migliora il sistema di pagamento delle pensioni in termini di equità e che il regime fiscale, dallo scambio di informazioni, può migliorare in termini anche di contrasto ad elusione ed evasione fiscale.
Lo scambio di informazioni garantisce, in sostanza, la trasparenza e la legalità nazionale ed internazionale dell'intero sistema delle convenzioni bilaterali. Dobbiamo ancora migliorare il regime dei cambi per assicurare efficienza e trasparenza per i pagamenti extra-euro. Le stesse modalità di pagamento sul conto corrente, le procedure di verifica dell'esistenza in vita e la verifica annuale dei redditi devono migliorare.
In sostanza – e questo è un appello che rivolgo al Governo – i miglioramenti nei rapporti con la pubblica amministrazione, con l'INPS, con la Citibank, che paga le pensioni all'estero per le pensioni pagate nel mondo, devono essere in linea con le migliori pratiche amministrative e con l'agenda digitale e per la comunicazione elettronica che ci vede impegnati in Italia.
L'idea di parità di trattamento – e con questo concludo –, estesa anche alle procedure burocratiche amministrative, è quello che chiediamo.
Infine, quanto al ruolo insostituibile all'estero e in Italia dei patronati, una convenzione che affidi ai patronati, nel ruolo di sussidiarietà che già svolgono accanto alla rete consolare nel mondo, un ruolo di ulteriore assistenza e sostegno ai nostri connazionali stabilmente residenti nel mondo, ai nuovi migranti che si spostano nel mondo e anche alle imprese nei rapporti previdenziali locali.
Darebbe tutto questo, Presidente, un forte segnale di rinnovato interesse in questo settore da parte del Parlamento e, auspichiamo, anche da parte del Governo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Picchi. Ne ha facoltà.
GUGLIELMO PICCHI. Signor Presidente, colleghi, Governo, il tema oggetto di questa mozione è un tema fondamentale, che riguarda il nostro Paese e le migliaia Pag. 61di giovani – e non solo – che ogni anno sono costretti ad emigrare perché il nostro Paese non è in grado di offrire soluzioni lavorative adeguate e che, quindi, l'unica strada che possono intravedere è quella dell'emigrazione.
Negli ultimi anni il numero di cittadini italiani che sono andati a lavorare all'estero è costantemente cresciuto, è cresciuta la mobilità, sono cresciuti i contratti e le formule di lavoro a cui questi cittadini sono andati incontro.
Pertanto, come Paese ci troviamo ad affrontare problemi nuovi, problemi più complessi e problemi rispetto alle vecchie convenzioni bilaterali che il nostro Stato aveva stipulato nel corso degli anni con tantissimi Paesi, che non sono più sufficienti ed attuali. Siamo spesso di fronte a mobilità nuova, che riguarda diversi Paesi. Non più lavoratori che si trasferivano dall'Italia verso l'estero e che, quindi, poi avevano un percorso misto di carattere bilaterale tra l'Italia e il Paese in cui andavano a lavorare, ma c’è il caso di multilateralità dei Paesi in cui vengono offerte le prestazioni lavorative da parte dei nostri cittadini. Quindi, il problema di una totalizzazione che vada a ricostruire l'intera carriera contributiva dei nostri connazionali e il problema della portabilità sono problemi fondamentali che devono essere affrontati in modo più adeguato rispetto a quanto è avvenuto finora.
C’è da superare tutta una serie di anacronistiche differenziazioni, come tra il settore pubblico e il settore privato. Prendiamo atto che il Governo sta facendo degli sforzi in questa direzione. Già recentemente questo Parlamento ha affrontato ratifiche di trattati internazionali sulla previdenza sociale. Mi viene in mente, per esempio, quello con il Giappone, che abbiamo esaminato poche settimane fa, o quello con la Turchia. Però questo non basta.
Credo che si debba impegnare il Governo anche a uno sforzo in seno all'Unione europea. Infatti, come ho detto, oramai molti lavoratori offrono le proprie prestazioni lavorative in più Paesi europei, quindi ci sono più Paesi in cui hanno versato i propri contributi e diventano necessari strumenti che non siano solo su base bilaterale, ma su base multilaterale, per far sì che totalizzazione e portabilità degli strumenti pensionistici possano essere raggiunte con efficacia.
Naturalmente non è solo ed esclusivamente un problema di cittadini italiani che vanno a lavorare all'estero, ma il problema riguarda anche tutti i trattamenti di quei cittadini, comunitari e non comunitari, che vengono a svolgere le proprie prestazioni in Italia e, quindi, sono soggetti anche loro a un sistema misto, per cui hanno lo stesso problema dei nostri connazionali.
Non dobbiamo, però, limitarci solo ad affrontare il problema per risolvere i problemi pensionistici dei nostri connazionali cercando di semplificargli la vita e di far sì che tutti i contributi e tutte le prestazioni che sono stati versati in vari Paesi, secondo vari regimi, secondo varie forme contrattuali, portino poi all'esito sperato della pensione. Questa mozione è veramente l'occasione per porre la nostra attenzione sul come mai il nostro Paese non è in grado di offrire a tanti giovani, a tanti lavoratori opportunità di lavoro qui in Italia e, quindi, costringe il Paese all'emigrazione. Non è solo un problema di nicchia degli italiani all'estero, è un problema di un intero Paese che non sa offrire quello che dovrebbe ai propri giovani.
Pertanto, ben venga questa mozione, ma spero che sia l'occasione – continuerò su questo punto successivamente nelle dichiarazioni di voto in Aula – per affrontare in modo più radicale il problema del lavoro in Italia e il problema del perché 150 mila persone l'anno scorso sono state costrette ad emigrare.
Come singolo, ho sottoscritto questa mozione, per cui ringrazio i colleghi Fitzgerald Nissoli e Porta che hanno lavorato bene nello scrivere questa mozione e nel portare il tema all'attenzione dell'Aula. Dispiace che questa discussione sulle linee generali avvenga in un'Aula deserta. Ringrazio lo stesso i colleghi di tutti i gruppi che sono intervenuti e che sono presenti, ma questo forse ci dice anche quanto Pag. 62scarsa attenzione ci sia – e di questo me ne rammarico – da parte del Governo sul problema che ho detto, ossia dell'emigrazione dei nostri connazionali. Fa bene cercare di porre rimedio, ma andiamo a curare le cause per cui i nostri giovani sono costretti ad emigrare.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Binetti. Ne ha facoltà.
PAOLA BINETTI. Presidente, membro del Governo, colleghi, l'argomento che stiamo toccando oggi è uno di quegli argomenti un po’ di frontiera, in cui l'immigrazione e l'emigrazione sembrano veramente due facce di una stessa medaglia. Ma anche il tema della giustizia e il tema della solidarietà sembrano due aspetti di una stessa realtà. Il problema che oggi la collega Fucsia Fitzgerald Nissoli ha voluto mettere a fuoco con questa mozione, che ho sottoscritto in maniera davvero convinta e volentieri, è quello di quegli italiani che, trovandosi all'estero a svolgere un'attività professionale di vario tipo, versano dei contributi nel loro Paese e, quindi, assolvono a un dovere che è un dovere concreto, un dovere reale, ma, poi, al loro ritorno in Italia, non sempre riescono a ricostruire quello che è un itinerario di contributi che gli permetta di avere quella pensione che soddisfi anche le caratteristiche di una vita dignitosa.
Ci sono in questo senso difficoltà che vanno sotto vari aspetti. Dal punto di vista del luogo, per esempio, l'Italia ha delle convenzioni bilaterali, come con l'Argentina, ma non ce l'ha con il Cile; ce l'ha con il Paraguay, ma non ce l'ha con l'Uruguay. In altre parole, abbiamo dei Paesi che sono in qualche modo più disponibili ad una relazione di collaborazione con l'Italia rispetto ad altri Paesi. Ma, poi, un'altra delle difficoltà che noi abbiamo messo a fuoco con questa mozione per esempio è che i lavoratori cosiddetti privati riescono ad avere una copertura migliore di quella che riescono ad avere i lavoratori pubblici.
Abbiamo un'altra osservazione interessante da fare: i nuovi profili professionali emergenti (studenti, ricercatori, liberi professionisti) che vanno all'estero non riescono ad avere quella possibilità del riconoscimento dei contributi versati analoga a quella avrebbero se si trovassero in Italia. Abbiamo, cioè, una serie di situazioni in cui ci troviamo davanti ad un problema che, se misurato e letto dal punto di vista del soggetto, quindi dal punto di vista del lavoratore, fa dire allo stesso: io ho fatto tutto quello che potevo, ho rispettato la normativa vigente in questo Paese, ho veramente dato alla mia vita il senso di un lavoro professionale intenso e competente. Molte volte queste persone tengono francamente alta anche l'immagine dell'Italia, andando all'estero; sono ricercatori brillanti, sono imprenditori geniali, sono artigiani che veramente riescono a portare lo stile italiano, il famoso made in Italy, ad un livello che lo rende competitivo rispetto a quelle che sono le altre maestranze locali. Sono persone che ci fanno dire che l'Italia è un Paese veramente prestigioso, ma un prestigio che si misura con il lavoro svolto da queste persone in quei Paesi.
Certo, una volta vissuta un'attività professionale così impegnativa e così intensa all'estero, noi dobbiamo contemplare quella che chiamiamo veramente la nostalgia di casa, il desiderio di tornare in Italia, il desiderio, come hanno espresso molte persone in diverse interviste, di morire da italiani e di morire in Italia, di ricollegarsi a pezzi di famiglia. E in questo senso quell'attività professionale intensa, svolta ai livelli della massima competenza possibile e che, insisto, ha contribuito a mantenere alta la bandiera dell'Italia, quando queste persone tornano in Italia, sembra aver perduto di consistenza, sembra aver perduto quello spessore di onore personale, sociale e nazionale che aveva quando erano fuori.
È chiaro che, attraverso questa mozione, desideriamo sollecitare il Governo, anche perché le convenzioni in essere, le convenzioni con i Paesi in cui sono state attivate, e che in qualche modo restano attive, sono tuttavia convenzioni vecchie e superate: nessuna di loro è stata rinnovata dopo l'approvazione della legge Fornero Pag. 63con i cambiamenti che la suddetta ha introdotto. Sono il frutto di una buona politica di qualche anno fa che non ha avuto quel maquillage che non è soltanto estetico; è soprattutto un maquillage etico e funzionale che ha permesso a queste persone di potersi reinserire nel loro Paese in condizioni prima di tutto di autonomia e poi di giustizia. Occorre intervenire su questa normativa, rivederla prima di tutto, rivedere il senso delle convenzioni, verificare che le suddette esprimano, perlomeno per quanto attiene al nostro Paese, il rispetto della normativa italiana e che vengano fatte davvero con quei Paesi in cui, ad oggi, i flussi migratori dell'Italia verso l'estero sono più importanti e più significativi. Ad esempio, non ci sono Paesi che possano essere considerati Paesi dell'est-asiatico, mentre invece sappiamo quanto sono forti i flussi migratori anche qualificati verso Paesi come la Cina. Sono presi in considerazione con convenzioni parzialmente i Paesi dell'America latina, gli Stati Uniti e il Canada e l'Australia, quest'ultima oltretutto da poco tempo, ma certamente le convenzioni non coprono altre regioni. Pertanto, occorre rivedere i contenuti di questa normativa, di questi accordi, rivedere i luoghi con cui si fanno questi accordi, rivedere i profili professionali per i quali si fanno questi accordi. Sono tutti aspetti che non sono secondari ma che danno ragione di una revisione culturale ordinata, precisa, puntuale che dice quali sono i diritti e i doveri di queste persone, in che misura sono tutelati questi diritti e doveri con accordi internazionali precisi e in che misura questi accordi sono coerenti con la normativa italiana attuale e non solo con la normativa italiana vecchia e, terzo aspetto, quali sono i profili professionali emergenti ai quali si devono assicurare condizioni veramente di sicurezza. In ordine a questo aspetto vorrei spezzare una lancia che mi sta particolarmente a cuore nei confronti dei giovani. La disoccupazione italiana, che per i giovani raggiunge il 49 per cento, è drammatica. Possiamo dire che un giovane su due in Italia non trova lavoro ed è l'intelligenza di questi giovani che li spinge ad investire la loro vita in un fronte di impegno e anche di realizzazione professionale all'estero. Sarebbe un peccato se, mutate le condizioni sociali, mutate le condizioni imprenditoriali e mutate le condizioni economico-finanziarie in Italia, questi giovani volessero tornare, portando il senso positivo di un'esperienza maturata all'estero di competenze acquisite e non potessero inserirsi nei modi e nei tempi opportuni. Per questo noi chiediamo che questa mozione venga presa in seria considerazione. Ci fa piacere che al tavolo del Governo non ci sia nessuno ma pensiamo che questa non sia voce di colui che grida nel deserto e quindi ci auguriamo davvero che, perlomeno nei fatti, qualcuno risponda concretamente e coerentemente alle richieste che vengono poste. Grazie infinite, signor Presidente, grazie a tutti i colleghi che sono presenti, grazie al Governo seduto al tavolo del Governo e prossimamente speriamo in risposte positive.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Il Governo intende intervenire o si riserva di farlo successivamente ?
LUIGI BOBBA, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Successivamente.
PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.
Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione della Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 dicembre 2006 (A.C. 2674) e dell'abbinata proposta di legge: Tidei e Porta (A.C. 1374) (ore 17,30).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge di ratifica n. 2674: Ratifica ed esecuzione Pag. 64della Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 dicembre 2006; e dell'abbinata proposta di legge Tidei e Porta, n. 1374.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta dell'11 marzo 2015.
(Discussione sulle linee generali – A.C. 2674)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Eleonora Cimbro.
ELEONORA CIMBRO, Relatrice. Signor Presidente, colleghi deputati, la Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 dicembre 2006, trae origine da una forte richiesta delle associazioni latinoamericane di famiglie di desaparecidos e poi sostenute da ONG operanti in tutti i continenti, che furono largamente coinvolte nel lungo iter di elaborazione del testo.
Ricordo che la sparizione forzata è una pratica criminale che generalmente identifichiamo con le dittature latinoamericane, ma che ha origini marcatamente europee: basti pensare alle migliaia di persone scomparse durante la dittatura nazista e, più di recente, a tutte le vicende legate alle «extraordinary renditions», pratica fortemente condannata dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani che l'ha definita «una gravissima violazione degli articoli 3 e 5 della Convenzione di Roma».
In America Latina, il metodo è stato, però, utilizzato come strumento politico e repressivo all'interno della cosiddetta guerra contro-insurrezionale, volta all'eliminazione fisica degli oppositori militanti e delle persone critiche dei regimi dittatoriali e prosegue oggi anche in numerosi altri contesti, a partire da quello siriano: solo nel 2013, il Working Group on enforced or involuntary disappearances ha ricevuto 208 denunce di nuovi casi provenienti da ventuno Paesi.
Le sparizioni forzate rientrano tra le violazioni più gravi dei diritti umani, poiché ledono il diritto della persona alla sicurezza e alla tutela da parte della legge, il diritto a non essere arbitrariamente privata della libertà personale e il diritto a non essere oggetto di tortura e di altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti. In alcune circostanze, le sparizioni forzate possono portare anche a violazioni del diritto alla vita, della libertà di espressione, religione e associazione e del divieto di non discriminazione.
Per lungo tempo, l'assenza di un meccanismo specifico a livello internazionale, volto a proteggere le vittime e a punire i colpevoli di sparizioni ha rappresentato una lacuna nel diritto internazionale. Le norme internazionali, infatti, prendevano in considerazione il fenomeno sotto un'ottica parziale.
Dopo un primo intervento, a carattere non vincolante, dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1992, soltanto nel 2006 si è arrivati a questo testo convenzionale, che rappresenta uno strumento giuridico efficace per affrontare in maniera organica il fenomeno delle sparizioni, saldando così gli aspetti di diritto internazionale dei diritti umani con quelli di diritto umanitario e di diritto penale internazionale.
La Convenzione si caratterizza, pertanto, per un approccio globale al fenomeno delle sparizioni forzate, proponendosi di combatterlo in ogni sua forma e non solo al ricorrere di determinati presupposti, quali, per esempio, l'esistenza di Pag. 65un conflitto armato o la configurabilità di un attacco generalizzato e sistematico nei confronti della popolazione civile.
Il nostro Paese ha attivamente partecipato al Gruppo di lavoro che ha elaborato la Convenzione, fornendo un contributo di rilievo, riconosciuto ed apprezzato dalle altre delegazioni, grazie anche a un efficace concerto con le altre amministrazioni interessate, in particolare, i Ministeri della giustizia, della difesa e dell'interno. Coerentemente con il percorso delineato, l'Italia ha cosponsorizzato la risoluzione dell'Assemblea generale, che ha adottato il testo che è stato sottoscritto dal nostro Paese il 3 luglio 2007.
Negli ultimi anni, l'Assemblea generale dell'ONU ha adottato – anche per impulso dell'Italia – numerose risoluzioni per sollecitare la ratifica da parte di tutti gli Stati della Convenzione, l'ultima delle quali è stata approvata per consensus il 24 novembre 2014. Nel 2010, l'Assemblea generale ha inoltre istituito, il 30 agosto, la giornata internazionale per ricordare le vittime delle sparizioni forzate.
La Convenzione è stata aperta alla firma il 6 febbraio 2007 a Parigi ed è entrata in vigore il 23 dicembre 2010, trenta giorni dopo il deposito del ventesimo atto di ratifica o adesione. Attualmente, è stata ratificata – o vi hanno aderito – quaranta Stati, di cui sette sono membri dell'Unione europea (Austria, Belgio, Francia, Germania, Lituania, Paesi Bassi e Spagna).
La Convenzione configura quale reato l'arresto, la detenzione, il rapimento od ogni altra forma di privazione della libertà posta in essere da agenti dello Stato o da persone o gruppi di persone che agiscono con l'autorizzazione, il sostegno o l'acquiescenza dello Stato, seguiti dal rifiuto di riconoscere la privazione della libertà o dall'occultamento della sorte riservata alla persona scomparsa e del luogo in cui questa si trova, ponendola al di fuori della protezione della legge.
Il principale obbligo per gli Stati parti della Convenzione è dunque quello di prevedere, all'interno della legislazione nazionale, una norma che condanni come reato la pratica delle sparizioni forzate.
Per quanto attiene al nostro ordinamento, ricordo che, benché il reato di sparizione forzata non sia codificato con tale nomen iuris nella legislazione italiana, esiste una serie di disposizioni normative sanzionatorie delle condotte integranti gli estremi della suddetta fattispecie criminosa, come accade, d'altronde, per molti dei crimini contro l'umanità previsti dall'articolo 7 dello Statuto di Roma: si pensi, ad esempio, agli articoli 605 (sequestro di persona), 606 (arresto illegale), 607 (indebita limitazione di libertà personale) e 608 (abuso di autorità contro arrestati o detenuti) del codice penale. Ovviamente con tali reati possono concorrerne altri, quali le percosse, ex articolo 581 del codice penale, e le lesioni personali, di cui agli articoli 582 e 590 sempre del codice penale, a seconda che la condotta posta in essere dal soggetto agente sia connotata da dolo o da colpa.
Le spese relative all'attuazione della Convenzione sono poste a carico del bilancio delle Nazioni Unite, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica dello Stato. Le risorse per farvi fronte sono, infatti, già contenute nel bilancio ordinario biennale dell'ONU 2014-2015.
Concludo, dunque, Presidente, raccomandando una rapida conclusione dell'iter di approvazione del disegno di legge, sul quale si sono espresse positivamente le Commissioni affari costituzionali, giustizia, difesa, bilancio e affari sociali. Consentitemi, inoltre, di esprimere il mio vivo apprezzamento alla collega Marietta Tidei che, con la presentazione di un'analoga proposta di legge (A.C. 1374) abbinata al disegno di legge governativo e con la presentazione di un'interrogazione a risposta immediata, svolta nella seduta del 13 novembre 2013, ha efficacemente sollecitato nei mesi scorsi un impegno diretto dell'Esecutivo e dello stesso Parlamento in questa direzione.
PRESIDENTE. Dovrebbe concludere, collega.
Pag. 66ELEONORA CIMBRO, Relatrice. La ratifica di questa importante Convenzione, oltre a porci in linea con i principali partner europei, conferma pienamente l'impegno del Governo e del Parlamento italiani in questa materia, particolarmente importante anche alla luce dell'avvio in questi giorni, a Ginevra, presso il Consiglio per i diritti umani dell'ONU, della Revisione periodica universale riguardante il nostro Paese.
PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
È iscritto a parlare il deputato Marco Fedi. Ne ha facoltà.
MARCO FEDI. Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
MARCO FEDI. Vorrei, inoltre, svolgere alcune brevi considerazioni in relazione a questa importante ratifica. La Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalla sparizione forzata è un altro elemento della cultura giuridica internazionale, un ulteriore tassello dell'impianto di protezione dei diritti umani e di tutela delle persone a cui l'Italia dà il proprio sostegno. Condivido in pieno l'illustrazione della ratifica condotta dalla relatrice, la collega Eleonora Cimbro, e volevo ricordare anche io che la Commissione affari esteri, anche su stimolo dei colleghi Marietta Tidei e Fabio Porta, che hanno presentato un apposito provvedimento di ratifica di iniziativa parlamentare, ha consentito il rapido avvio di questo provvedimento di cui auspichiamo un iter sollecito anche alla luce della recrudescenza del fenomeno in molte aree del mondo.
Nella precedente legislatura in molte audizioni con le Madri di Plaza De Mayo era stata ribadita l'urgenza della ratifica: con la ratifica della Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate facciamo, in conclusione, onore al nostro Paese. Siamo un passo più vicini a garantire quel quadro di legalità internazionale che ci vede protagonisti nella storia delle Nazioni Unite.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Picchi. Ne ha facoltà.
GUGLIELMO PICCHI. Grazie Presidente, intervengo in merito alla ratifica di una importante Convenzione su una materia importante quale quella delle sparizioni forzate che sono una delle più gravi violazioni dei diritti umani. L'Italia è sempre stata in prima fila e la storia di questa Convenzione dimostra l'attenzione e il contributo del nostro Paese al fine di arrivare alla redazione di questa Convenzione.
Tanto attivo era stato il nostro Paese nello scrivere e nell'arrivare all'approvazione della Convenzione, tanto lento, ahimè, è stato poi successivamente nel ratificare questa Convenzione. Ricordiamo che è entrata in vigore nel 2010, quando il ventesimo Paese aveva ratificato la Convenzione approvata nel 2006. Purtroppo, noi arriviamo con cinque anni di ritardo e più volte siamo stati richiamati in sede ONU e invitati alla ratifica di questa importante Convenzione. Finalmente ci siamo e risolviamo molte problematiche.
Ricordiamo che questa era una Convenzione partita da quanto avvenuto negli anni Settanta in Argentina con i desaparecidos. Basta vedere i dati del 2014: le sparizioni forzate sono state oltre duecento, le sparizioni forzate da oltre ventuno Paesi. Questo dimostra quanto mai sia attuale la necessità di affrontare con una Convenzione ONU questo problema e credo che l'Italia, finalmente, dopo tanto lavoro, possa approvare la Convenzione ed evitare di essere nuovamente richiamata dopo l'ampio e proficuo lavoro che era stato svolto in sede di Nazioni Unite.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Buttiglione. Ne ha facoltà.
ROCCO BUTTIGLIONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il cammino per arrivare a questa Convenzione è lungo. Come è stato ricordato, inizia con la terribile storia dei desaparecidos in Argentina, ma anche in Cile e in altri Paesi dell'America latina. Abbiamo a che fare con Stati criminali, che negano le libertà democratiche e che eliminano senza processo i loro avversari, con un capitolo particolare dedicato ai minori, cioè ai figli degli avversari del regime che vengono dati in adozione talvolta proprio a coloro che hanno ucciso i loro genitori; storie terribili.
Noi ovviamente voteremo a favore di questa ratifica; mi consenta però di esprimere alcune perplessità. Nato in quel clima, il provvedimento arriva all'Assemblea delle Nazioni Unite molto dopo, quando già è maturata una diversa situazione: la situazione del terrorismo – noi abbiamo a che fare con i sequestri operati dai terroristi – in cui anche è in vigore il Patriot Act negli Stati Uniti e con il Patriot Act e con provvedimenti non così corposi, ma comunque incidenti del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del nord, si delineano strategie antiterrorismo, le quali molto facilmente potrebbero essere considerate come ricadenti all'interno del bando dato da questo provvedimento. Questa è la ragione per cui soltanto quaranta Paesi lo hanno ratificato e, tra i Paesi che lo ratificano, mancano firme importati, manca la firma degli Stati Uniti, manca la firma del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del nord, mancano le firme di molti Paesi che hanno a che fare con il fenomeno del terrorismo.
Allora, io mi permetto di suggerire che si inizi rapidamente una ripresa di contatti per ottenere l'adozione di uno strumento legale che possa avere il consenso di tutti i Paesi, perlomeno di tutti i Paesi che condividono con noi alcuni fondamentali principi di civiltà giuridica anche per assicurare l'effettiva applicazione delle norme qui contenute. Senza di questa, noi rischiamo di approvare una norma «bandiera», la quale troverà forti difficoltà nella sua applicazione nelle situazioni concrete spesso terribili del mondo di oggi.
C’è in particolare un punto che desta perplessità, all'articolo 1. Ho qui il testo inglese, quindi traduco all'impronta, ma correttamente credo: «Nessuna circostanza eccezionale, né lo stato di guerra, né la minaccia di guerra, né l'instabilità politica interna, o una qualunque altra emergenza pubblica possono essere invocate come giustificazione per l’enforced desappearance, la sottrazione forzata».
Su questo bisognerà che noi facciamo una riflessione ulteriore insieme con i Paesi che sono effettivamente coinvolti in queste situazioni. È invece importante da un altro punto di vista rinforzare ciò che si dice sui minori. Noi abbiamo disapparizioni forzate di minori che non sono riconducibili a questo quadro o non sono pienamente riconducibili a questo quadro. Penso al traffico di persone umane per fini di prostituzione, penso al traffico di minori per fini di riduzione in schiavitù, penso al traffico di minori ma anche di adulti per finalità di sfruttamento sessuale e per finalità di trapianti illegali. Su tutto questo credo che sia necessaria una riflessione ulteriore integrando questo strumento con altri strumenti già approvati dalle Nazioni Unite per arrivare ad una regolamentazione più complessiva e che sia anche sostenuta da un appoggio più ampio della comunità internazionale.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche del relatore e del Governo – A.C. 2674)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, onorevole Eleonora Cimbro.
ELEONORA CIMBRO, Relatrice. Sì, semplicemente riferendomi all'ultimo intervento dell'onorevole Buttiglione, volevo chiarire che dal nostro punto di vista Pag. 68questo sicuramente è un passo in avanti però tutte le riflessioni che il collega ha fatto sono all'attenzione del lavoro sia della Commissione che anche di questo Parlamento.
PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Sull'ordine dei lavori e per la risposta ad uno strumento del sindacato ispettivo (ore 17,48).
CLAUDIA MANNINO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà, per due minuti.
CLAUDIA MANNINO. Grazie Presidente, intervengo per sollecitare al Ministro delle infrastrutture Lupi a rispettare una adempienza che è a lui intestata in base alla legge n. 298 del 1985. In particolare, l'articolo 9 prevede che entro il 15 marzo di ogni anno il Ministro delle infrastrutture sviluppi una relazione che spieghi lo stato di attuazione e di efficacia delle norme di prevenzione e repressione dell'abusivismo edilizio. Crediamo che questo sia un atto dovuto, anche alla luce dei ripetuti danni che si manifestano a seguito dell'elevato rischio idrogeologico che è presente sul nostro territorio nazionale, e anche alla luce della proposta di legge di salvaguardia del suolo che in questo momento è in discussione presso la Commissione.
Intervengo anche per sollecitare risposta ad un atto di sindacato ispettivo a prima firma della collega Di Benedetto e sottoscritta da diversi nostri colleghi del MoVimento 5 Stelle, il n. 5-04685, che richiama a delle spiegazioni relative a delle dichiarazioni fatte dal procuratore generale della Corte dei conti, Nottola, sull'esistenza o meno del concetto di mafia. Oggi quelle dichiarazioni hanno destato particolare stupore e speriamo che, appunto, il Governo venga a rispondere presto a questa interrogazione.
Ordine del giorno della seduta di domani.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.
Martedì 17 marzo 2015, alle 10:
1. – Svolgimento di interpellanze e interrogazioni.
(ore 12)
2. – Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 1749 – Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4, recante misure urgenti in materia di esenzione IMU. Proroga di termini concernenti l'esercizio della delega in materia di revisione del sistema fiscale (Approvato dal Senato) (C. 2915).
— Relatori: Fragomeli, per la maggioranza; Busin e L'Abbate, di minoranza.
3. – Seguito della discussione delle mozioni Fitzgerald Nissoli, Porta ed altri n. 1-00445 e Dall'Osso ed altri n. 1-00761 concernenti iniziative per la tutela dei diritti previdenziali dei lavoratori italiani emigrati in paesi non appartenenti all'Unione europea.
4. – Seguito della discussione del disegno di legge:
Ratifica ed esecuzione della Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 dicembre 2006 (C. 2674)
e dell'abbinata proposta di legge: TIDEI e PORTA (C. 1374).
Relatrice: Cimbro.
La seduta termina alle 17,50.
Pag. 69TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DELLA DEPUTATA SOFIA AMODDIO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLA PROPOSTA DI LEGGE N. 2150-A ED ABBINATE
SOFIA AMODDIO, Relatrice per la maggioranza. Negli ultimi anni – in sede parlamentare – si sono moltiplicate le proposte di riforma dell'istituto della prescrizione.
Nelle trascorse legislature si sono istituite diverse commissioni di studio, tutte con lo scopo di riformulare l'istituto della prescrizione rispetto all'attuale formulazione della legge approvata nel 2005 «cosiddetta legge Cirielli».
Il tema della prescrizione dei reati ha assunto in questi ultimi anni un ruolo centrale nel dibattito parlamentare e politico, anche perché i frequenti casi di estinzione di processi per intervenuta prescrizione, con conseguente proscioglimento degli imputati prima di una pronuncia definitiva, hanno suscitato indignazione e polemiche soprattutto con riferimento a reati ambientali ed a gravi reati contro la pubblica amministrazione. Da ultimo, ricordo il clamore suscitato dalla «sentenza Eternit».
Vorrei precisare, a questo proposito, che ben prima che il Paese si fosse indignato per l'esito della «vicenda Eternit» (19 novembre 2014) la Commissione Giustizia aveva iniziato l'iter legislativo in materia di prescrizione. In particolare, il 28 maggio 2014 si era avviato l'esame in sede referente, che è stato caratterizzato da una lunga ed approfondita indagine conoscitiva che ha portato all'adozione del testo base.
L'esigenza di intervenire sulla disciplina della prescrizione è stata sottolineata dal primo Presidente della Corte di Cassazione, Giorgio Santacroce, nella Relazione sull'amministrazione della giustizia dell'anno 2014, svoltasi il 23 gennaio 2015.
Il rilievo dell'eccessiva brevità del termine di prescrizione è emerso nel Consiglio d'Europa. In particolare vorrei citare il rapporto del GRECO (il Gruppo di Stati del Consiglio d'Europa contro la corruzione), pubblicato nel 2009, nel quale si sottolinea che l'estinzione dei reati per prescrizione costituisce motivo di sfiducia della collettività nella giustizia.
Quando si parla di prescrizione si evoca subito la ragionevole durata del processo, citata dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, all'articolo 6. Questo parametro rimane certamente violato nei riguardi della vittima nelle eventualità in cui – senza sua colpa – l'imputato usufruisce del maturare della prescrizione. In altre parole ogni processo che si conclude con l'estinzione del reato lede il sentimento di giustizia della collettività e, in particolare, si ledono le giuste aspettative delle vittime dei reati per effetto della sostanziale impunità dei loro autori.
L'attuale disciplina della prescrizione del reato (dagli articoli da 157 a 161 del codice penale) è stata introdotta dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251 che aveva sostanzialmente riscritto l'articolo 157 del codice penale, prescrivendo che il tempo necessario a prescrivere corrisponda al massimo della pena edittale stabilita dalla legge per ogni singolo reato, e precisando comunque, che in caso di delitto, il tempo necessario a prescrivere non può essere inferiore a 6 anni mentre in caso di contravvenzione non può essere inferiore a quattro anni.
L'articolo 1 del testo approvato dalla Commissione giustizia lascia intatta questa parte ed interviene sul comma 6 dell'articolo 157 c.p. aggiungendo che i termini di prescrizione – per i reati di corruzione – sono aumentati della metà del massimo della pena edittale.
Si tratta dei reati di corruzione per l'esercizio della funzione (articolo 318 del codice penale), corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio (articolo 319 del codice penale) e corruzione in atti giudiziari (articolo 319-ter del codice penale).
Tale previsione è derivata da una riformulazione chiesta dai relatori agli emendamenti presentati dal Governo, dal Pd, Sel e dal MoVimento 5 Stelle.
La ragione di tale intervento si ravviene nella circostanza obiettiva che il momento Pag. 70della scoperta dei reati corruttivi spesso avviene successivamente-rispetto al momento in cui il reato si consuma – e ciò avviene perché nel reato di corruzione – a differenza per esempio del reato di concussione – non c’è una vittima ed un autore di reato ma vi sono due concorrenti di reato (il corrotto ed il corruttore) – esiste un patto criminoso tra i due soggetti e pertanto nessuno dei due è incentivato a presentare denuncia, perché scatterebbe la propria responsabilità penale. Nella maggior parte dei casi la scoperta avviene molto tempo dopo la commissione del reato, con il grave rischio che il reato è già prescritto quando si scopre.
Vorrei sottolineare che l'aumento dei tempi di prescrizione per i reati di corruzione non comporta come necessaria conseguenza l'aumento della durata del processo. Se un processo si protrae oltre misura – e non per ragioni dovute alle parti processuali – ricordo che la parte può sempre ricorrere con la richiesta del risarcimento danni per l'irragionevole durata di cui alla legge Pinto. Ciò vuol dire che il giudice in ogni caso non può indiscriminatamente protrarre un processo sine die, solo perché è previsto un termine più lungo di prescrizione per quel determinato reato.
Altri motivi ci hanno spinto a prevedere un aumento dei termini di prescrizione per i reati di corruzione.
Nel quadro del semestre europeo del 2013 sono state approvare dal Consiglio ECOFIN due raccomandazioni per l'Italia con le quali si richiede specificamente di potenziare il quadro giuridico relativo alla repressione della corruzione, anche rivedendo la disciplina dei termini di prescrizione. La disciplina italiana della prescrizione per i casi di corruzione è stata in seguito oggetto di esame da parte della Commissione europea con la pubblicazione del 3 febbraio 2014 della prima Relazione dell'Unione sulla lotta alla corruzione.
Secondo la Commissione si tratta di un fenomeno che interessa tutti gli Stati membri e che costa all'economia europea circa 120 miliardi di euro all'anno. La relazione riporta i risultati di due sondaggi sulla percezione della corruzione tra i cittadini europei e tra le imprese.
Da tali rilevazioni risulta che la percezione della diffusione della corruzione in Italia registra il dato del 97 per cento, che è il più alto nell'Unione europea dopo quello della Grecia.
L'articolo 2 del provvedimento aggiunge alla fine dell'art 158 c.p. un nuovo comma con cui si prevede che per una serie di reati commessi ai danni di minori – previsti dall'articolo 392 comma 1-bis del c.p.p. – il termine di prescrizione decorre non dal giorno del commesso reato, ma dal compimento del quattordicesimo anno d'età della persona offesa, salvo che l'azione penale sia stata esercitata precedentemente. In questo caso il termine di prescrizione decorre dall'acquisizione della notizia di reato.
Norme simili ed anche più drastiche le ritroviamo in altri Stati Europei.
In Francia, a parte l'elevato termine di prescrizione nel caso di commissione di abusi sessuali verso minorenni, il termine di prescrizione è sospeso fino al compimento del diciottesimo anno di vita della vittima.
In Germania la prescrizione viene sospesa fino al compimento del trentesimo anno di vita della vittima, nel caso di abusi sessuali nei confronti di minori o commessi a seguito dello sfruttamento di una posizione gerarchica o di una situazione di svantaggio della vittima.
La soluzione adottata dalla Commissione è apparsa la più idonea per far sì che la vittima minorenne disponga di un tempo congruo per denunciare l'autore degli abusi una volta superata la situazione di dipendenza dall'autore del reato ed avere preso consapevolezza di quanto accaduto.
Si tratta dei seguenti reati:
Maltrattamenti contro familiari e conviventi (articolo 572 c.p.);
Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (articolo 600 c.p.);
Prostituzione minorile (articolo 600-bis c.p.);Pag. 71
Pornografia minorile (articolo 600-ter c.p.);
Detenzione di materiale pornografico (articolo 600-quater c.p.), anche relativamente a pornografia virtuale (articolo 600-quater.1 c.p.);
Turismo sessuale (articolo 600-quinquies c.p.);
Tratta di persone (articolo 601 c.p.);
Acquisto e alienazione di schiavi (articolo 602 c.p.);
Violenza sessuale (articolo 609-bis c.p.);
Atti sessuali con minorenne (articolo 609-quater c.p.);
Corruzione di minorenne (articolo 609-quinquies c.p.);
Violenza sessuale di gruppo (articolo 609-octies c.p.);
Adescamento di minorenne (articolo 609-undecies c.p.);
Atti persecutori (articolo 612-bis c.p.).
Con questa disposizione, il legislatore dà attuazione – seppur in modo parziale – alla Convenzione di Istanbul, contro la violenza nei confronti delle donne, ratificata dall'Italia con la legge n. 77 del 2013. La Convenzione, all'articolo 58, infatti, richiede agli Stati di adottare le misure legislative necessarie per garantire che il termine di prescrizione per intentare un'azione penale relativa ai reati di violenza sessuale «sia prolungato per un tempo sufficiente e proporzionato alla gravità del reato, per consentire alla vittima minore di vedere perseguito il reato dopo aver raggiunto la maggiore età».
L'articolo 3 modifica l'articolo 159 c.p. del provvedimento. Si aggiungono a quelle già esistenti numero tre ulteriori cause di sospensione della prescrizione. Tali cause riguardano la richiesta di una rogatoria all'estero (il processo può sospendersi fino ad un massimo di 6 mesi), una perizia che comporta pareri di particolare complessità (sospensione massima di tre mesi) la presentazione della richiesta di ricusazione.
Inoltre sono state inserite due ulteriori cause di sospensione.
Dal deposito della sentenza di condanna di primo grado sino al deposito della sentenza del grado successivo i termini di prescrizione sono sospesi per un tempo non superiore a due anni e dal deposito della sentenza di condanna di secondo grado sino alla pronuncia della sentenza definitiva la prescrizione rimane sospesa per un tempo non superiore ad un anno.
Perché questa modifica ?
Accade troppo spesso che dopo l'accertamento della responsabilità – ovvero dopo una sentenza di condanna di primo grado, in cui si sono acquisite le prove – il reato si prescrive nelle more della fissazione del processo in appello e stessa situazione si verifica dopo la sentenza di condanna di secondo grado, nelle more della fissazione del processo in cassazione vanificando così l'ingente impegno di energie materiali e umane profuso dagli organi investigativi e giurisdizionali.
L'idea di fondo da cui muove tale previsione è che ad ogni riscontro processuale della fondatezza dell'ipotesi accusatoria corrisponda la necessità di bloccare – almeno temporaneamente – il decorso della prescrizione, così da assegnare alla giurisdizione un tempo ragionevole per compiere la verifica della correttezza della decisione di condanna nei gradi di impugnazione.
Da un lato si impone, dunque, la necessità di assicurare alla giurisdizione tempi congrui allo svolgimento delle attività per accertare la responsabilità del fatto-reato ed applicare la relativa sanzione, dall'altro occorre evitare che il maturare della prescrizione a processo inoltrato, dia luogo ad uno spreco di risorse umane, materiali e di tempo, nonché alla frustrazione della legittima pretesa punitiva dello Stato e delle istanze di giustizia avanzate dalle vittime del reato.
Infine per l'articolo 6 la Commissione ha accolto gli emendamenti del governo, di Alleanza Popolare e di Forza Italia e si Pag. 72prevede espressamente che la nuova legge sulla prescrizione si applica ai fatti commessi dopo l'entrata in vigore della legge.
Noi relatori nel testo base non avevamo inserito una norma transitoria perché essendo la prescrizione un istituto di diritto sostanziale – nel caso di successioni di leggi nel tempo qualora lo norma successiva è più gravosa per l'imputato (come in questo caso) si applica la legge precedente – se più favorevole al reo.
Che la prescrizione sia un istituto di diritto sostanziale è stato ribadito – oltre che dalla giurisprudenza europea, anche dalla giurisprudenza della Corte costituzionale – si vedano, in particolare, le sentenze n. 393 del 2006 e 275 del 1990.
In ogni caso l'inserimento della norma servirà a fugare dubbi interpretativi che potrebbero sorgere in sede processuale.
TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO GIAN MARIO FRAGOMELI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE N. 2915.
GIAN MARIO FRAGOMELI, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente oggi iniziamo la discussione per la conversione del decreto-legge n. 4 del 2015, recante misure urgenti in materia di esenzione IMU nonché la proroga dei termini concernenti l'esercizio della delega in materia di revisione del sistema fiscale.
È doveroso premettere che non si tratta di un passaggio normativo dal carattere iniziatico, principalmente per tre motivi:
in primis perché la materia oggetto del provvedimento non rappresenta una nuova imposta, l'IMU sui terreni agricoli, fin dalla sua prima applicazione, ha interessato anche i terreni che possono essere adibiti all'esercizio delle attività agricole (articolo 2135 c.c.); Diversamente si è sempre trattato di un'applicazione di carattere generale alla quale sono state applicate delle deroghe-esenzioni per alcuni territori (ex circolare 9 del 1993);
in second'ordine in quanto questo provvedimento chiude la normativa sulla copertura di uno dei più importanti e impegnativi provvedimenti del Governo Renzi, il decreto-legge n. 66 del 2014, più comunemente conosciuto come «gli 80 euro in busta paga», i 640 euro per il periodo maggio-dicembre 2014. In sostanza uno dei maggiori tagli effettuati negli ultimi anni alla contribuzione fiscale dei lavoratori e delle lavoratrici fino a 26 mila euro di reddito, portato poi a regime nel 2015. Ebbene il gettito previsto dall'imposta IMU sui terreni agricoli (euro 350 mln) ha finanziato inizialmente circa 4 euro (dei sopraccitati 80 euro) cioè il 5 per cento, per poi scendere a poco più del 3 per cento.
In ultimo e non certo per l'importanza, questo provvedimento è stato sicuramente conseguente ad un puntuale interventismo parlamentare, sintetizzabile nei seguenti passaggi:
fin dal mese di luglio 2014, infatti, abbiamo evidenziato con una osservazione al parere del decreto legislativo n. 100 (per intenderci, il primo riguardante l'attuazione della riforma del Catasto) una verifica su questa tipologia di terreni;
successivamente, con la presentazione (dopo l'emanazione del decreto 28 novembre 2014 attuativo del decreto-legge n. 66) di ben 3 risoluzioni in Commissione Finanze alla Camera, la prima delle quali a firma Pd (finalizzata all'introduzione di franchigie/detrazioni per i contribuenti ed a salvaguardare forme di compensazione per i mancati incassi da parte dei comuni) e, a seguire altre due presentate da Forza Italia e NCD;
il 22 gennaio 2015, con la trasmissione di una lettera al Presidente Renzi – sottoscritta da ben 106 deputati del Partito democratico – per invitarlo ad un suo pronto intervento prima della scadenza del 26 gennaio, alla quale è seguita il giorno successivo l'approvazione del presente decreto da parte del Consiglio dei Ministri.
Tornando ai contenuti è fondamentale evidenziare che, fin dalla sua prima formulazione, Pag. 73il decreto si è contrassegnato per la sua portata estensiva – nel senso di un aumento dei Comuni esenti (secondo la definizione di Comuni montani) – dall'applicazione dell'IMU sui terreni agricoli. In particolare con le modifiche apportate al Senato, di 4 articoli, l'articolo 1 interviene sui criteri di esenzione dal versamento dell'IMU sui terreni montani e parzialmente montani prorogando ulteriormente, al 10 febbraio 2015, il termine per il versamento dell'imposta dovuta per l'anno 2014, secondo i nuovi criteri applicativi stabiliti dal medesimo articolo.
Un decreto che ha rimodulato l'iniziale classificazione dei Comuni esenti (i già richiamati montani) superando la definizione impropriamente legata all'altitudine rilevata presso la sede municipale per tornare ad una classificazione, seppur storicizzata ma connaturata al prevalente carattere montano del territorio comunale.
Al riguardo merita richiamare brevemente il quadro normativo relativo al regime IMU dei terreni agricoli, rammentando in primo luogo che l'articolo 7, comma 1, lettera h), del decreto legislativo n. 504 del 1992, in materia di ICI, ha previsto l'esenzione per i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina (ai sensi dell'articolo 15 della legge n. 984 del 1977). Per individuare la lista dei terreni esenti il legislatore si è richiamato all'elenco allegato alla circolare ministeriale n. 9 del 14 giugno 1993. Detta esenzione è stata estesa all'IMU dall'articolo 9, comma 8, del decreto legislativo n. 23 del 14 marzo 2011.
Successivamente l'articolo 22, commi 2 e 2-bis, del decreto-legge n. 66 del 2014 ha demandato ad un decreto del Ministro dell'economia e finanze – da adottarsi entro il 24 settembre 2014 – la revisione dei criteri di esenzione IMU sui terreni agricoli sulla base del criterio dell'altitudine, diversificando tra terreni posseduti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali, e disponendo che da tale revisione dovesse derivare l'ottenimento di un maggior gettito annuo non inferiore a 350 milioni di euro a decorrere dal 2014.
Si è contestualmente prevista l'esenzione dall'IMU per i terreni a immutabile destinazione agro-silvo-pastorale a proprietà collettiva indivisibile e inusucapibile non ricadenti in zone montane o parzialmente montane.
In attuazione di quanto previsto dall'articolo 22 del decreto-legge n. 66, il decreto ministeriale 28 novembre 2014 ha stabilito l'esenzione IMU per:
i terreni agricoli dei comuni ubicati a un'altitudine di 601 metri e oltre, individuati sulla base dell'Elenco comuni italiani, pubblicato sul sito internet dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), tenendo conto dell'altezza riportata nella colonna Altitudine del centro;
i terreni agricoli dei comuni ubicati a un'altitudine compresa fra 281 metri e 600 metri, individuati sulla base del medesimo elenco, in possesso dei coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali, iscritti nella previdenza agricola.
Lo stesso decreto ministeriale prevedeva che il versamento dell'IMU per l'anno 2014 fosse effettuato in un'unica rata entro il 16 dicembre 2014.
La questione come già anticipato ha costituito oggetto di specifica attenzione da parte della Commissione Finanze, la quale ha approvato in materia, il 18 dicembre 2014. le risoluzioni 8-00094 Fragomeli, 8-00095 Sandra Savino e 8-00096 Pagano, le quali, in sintesi, sollecitavano il Governo a disporre una proroga del pagamento, nonché una revisione dei criteri di esenzione.
Sulla scorta di tali atti di indirizzo, nonché delle richieste espresse in tal senso da numerosi parlamentari direttamente al Governo e delle sollecitazioni pervenute dalle associazioni di categoria interessate e dall'ANCI, l'Esecutivo è intervenuto una prima volta con il decreto-legge n. 185 del 2014, che, all'articolo 1, ha disposto la proroga al 26 gennaio 2015 del termine – già fissato al 16 dicembre 2014 – per il versamento dell'IMU dovuta per l'anno 2014 sui terreni agricoli situati in zone montane e collinari. Il decreto-legge ha Pag. 74inoltre previsto che l'imposta dovuta sia calcolata ad aliquota base, fatta salva l'approvazione di specifiche aliquote per i terreni agricoli da parte degli enti locali, nonché la possibilità per i Comuni di accertare convenzionalmente nel bilancio 2014, a titolo di maggior gettito IMU derivante dalla revisione dei terreni agricoli montani, l'importo dei tagli recati dal decreto ministeriale 28 novembre 2014. La previsione di proroga è stata poi trasposta nell'articolo 1, commi 692-693 e 701, della legge di stabilità 2015.
Contestualmente, peraltro, sono stati presentati alcuni ricorsi dinanzi al giudice amministrativo avverso il decreto ministeriale 28 novembre 2014. In particolare, il TAR Lazio, adito da alcuni enti locali, ha sospeso l'efficacia del decreto ministeriale 28 novembre 2014 con atto del 22 dicembre 2014, fissando la trattazione collegiale in camera di consiglio per il giorno 22 gennaio 2015. In tale data il TAR ha rinviato la trattazione del merito della controversia al 17 giugno 2015.
In tale contesto il comma 1 dell'articolo 1 del decreto-legge dispone che, a decorrere dall'anno 2015, l'esenzione dall'IMU si applica:
ai sensi della lettera a), ai terreni agricoli nonché a quelli non coltivati, ubicati nei Comuni classificati totalmente montani di cui all'elenco dei Comuni italiani ISTAT (che prevede la suddivisione dei comuni in «totalmente montani», «parzialmente montani» e «non montani»);
ai sensi della lettera a-bis), introdotta durante l'esame al Senato, ai terreni agricoli nonché a quelli non coltivati, ubicati nei comuni delle isole minori di cui all'articolo 25, comma 7, allegato A, della legge n. 448 del 2001;
ai sensi della lettera b), ai terreni agricoli, nonché a quelli incolti, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali (IAP), iscritti nella previdenza agricola, ubicati nei Comuni classificati parzialmente montani ai sensi del citato elenco ISTAT.
In sintesi, la nuova disciplina delineata dal decreto-legge, rispetto al decreto ministeriale 28 novembre 2014, richiama, quale riferimento per l'esenzione, non più il riferimento alla quota altimetrica del centro (identificato nella casa comunale), ma la classificazione indicata nell'elenco dei comuni predisposto dall'ISTAT ai sensi dell'articolo 1 della legge n. 991 del 1952 sulla base delle indicazioni trasmesse dall'Unione nazionale comuni comunità enti montani (UNCEM); tale elenco, nella colonna R, indica con la lettera T i comuni totalmente montani, con la lettera P i comuni parzialmente montani, e con le lettere NM i comuni non montani.
Inoltre, relativamente ai terreni agricoli ubicati in Comuni parzialmente montani, ai fini dell'esenzione IMU si richiede, oltre al possesso, la conduzione anche in comodato ed in affitto da parte dei coltivatori diretti e degli imprenditori agricoli professionali a soggetti della stessa categoria (coltivatori diretti e IAP).
Il nuovo sistema di esenzione è dunque complessivamente meno restrittivo e ancor più a seguito delle modifiche introdotte dal Senato, rispetto a quello del decreto ministeriale 28 novembre 2014.
Segnatamente, sul piano numerico, rispetto al regime di cui al predetto decreto ministeriale 28 novembre 2014:
per quanto riguarda i Comuni considerati totalmente montani e in cui i terreni agricoli sono completamente esenti, si passa da 1.498 a 3.546 unità;
per quanto riguarda i Comuni parzialmente esenti il numero ammonta a circa 655 unità.
Il comma 1-bis, introdotto nel corso dell'esame al Senato, dispone inoltre, a decorrere dall'anno 2015, per i terreni ubicati nei comuni di cui all'allegato OA del decreto-legge, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola, una detrazione di 200 euro dall'IMU dovuta ai sensi dell'articolo 13, comma 8-bis, del decreto-legge n. 201 del 2011. Nell'ipotesi in cui nell'allegato, in Pag. 75corrispondenza dell'indicazione del comune, sia riportata l'annotazione parzialmente delimitato (PD), la detrazione spetta unicamente per le zone del territorio comunale che ricadono nel perimetro delle esenzioni ai sensi della citata circolare ministeriale n. 9 del 14 giugno 1993.
In sostanza la previsione si riferisce ai terreni (definiti «collina svantaggiata») ubicati in quei comuni che erano in precedenza esenti, in quanto inclusi nella predetta circolare MEF 9/1993 e che, nella classificazione riportata dall'ISTAT, non risultano essere né montani (e dunque esenti), né parzialmente montani (e dunque anch'essi esenti ai sensi del comma 1, lettera b), dell'articolo I).
Il totale dei comuni elencati nell'Allegato OA è di circa 1624, di cui circa 344 indicati con l'annotazione parzialmente delimitato (PD).
Il comma 2 estende l'esenzione di cui al comma 1 e la detrazione di cui al comma 1-bis anche al caso di concessione dei terreni interessati in comodato o in affitto a coltivatori diretti e a imprenditori agricoli professionali.
Ai sensi del comma 3, i criteri di esenzione di cui ai commi i e 2 si applicano anche all'anno 2014.
In base al comma 4, per il 2014 l'IMU non è comunque dovuta se i terreni che risultano imponibili ai sensi del nuovo sistema, sono invece esenti in virtù del previgente regime di cui al già citato decreto ministeriale 28 novembre 2014.
Il secondo periodo mantiene ferma l'esenzione per i terreni a immutabile destinazione agro-silvo-pastorale a proprietà collettiva indivisibile e inusucapibile che non ricadano in zone montane o di collina ai sensi del predetto decreto ministeriale 28 novembre 2014. 11 terzo periodo specifica che per il 2014 sono esenti dall'IMU i terreni agricoli e non coltivati ubicati nei comuni delle isole minori di cui al già citato allegato A della legge n. 448.
Il comma 5 dispone la proroga al 10 febbraio 2015 del termine per il versamento da parte dei contribuenti dell'imposta dovuta per il 2014.
In tale ambito al Senato è stata introdotta la previsione secondo cui non sono applicate sanzioni ed interessi nel caso di ritardato versamento dell'imposta complessivamente dovuta per l'anno 2014, qualora il versamento sia effettuato entro il termine del 31 marzo 2015.
Il comma 5-bis, inserito nel corso dell'esame al Senato, dispone che i contribuenti che hanno effettuato versamenti dell'IMU relativamente ai terreni che risultavano imponibili stilla base del precedente regime e che, per effetto delle disposizioni di cui all'articolo 1, sono invece esenti, hanno diritto al rimborso da parte del comune di quanto versato o alla compensazione, qualora il medesimo comune abbia previsto tale facoltà, con proprio regolamento.
I commi da 7 a 9 disciplinano quindi le variazioni compensative di risorse conseguenti dall'attuazione del nuovo sistema di esenzione, in base agli importi determinati, per ciascun comune, negli allegati A, B e C, a decorrere dall'anno 2015, nonché per l'anno 2014.
In particolare, con il comma 7 sono definiti gli importi e le modalità – diverse per i comuni delle regioni a statuto ordinario e delle regioni Sicilia e Sardegna e per i comuni delle autonomie speciali – attraverso le quali operare le variazioni compensative di risorse per ciascun comune, a decorrere dall'anno 2015.
Le entità delle variazioni sono indicate, per ciascun comune, nell'allegato A del provvedimento, che, nel suo complesso, indica un maggior gettito per i comuni di 268,65 milioni di euro, inferiore peraltro di 90,85 milioni di euro rispetto al maggior gettito stimato con il precedente sistema (che era pari 359,5 milioni).
Alle variazioni compensative si procede:
per i comuni delle Regioni a statuto ordinario e delle Regioni Siciliana e Sardegna – per le quali la finanza degli enti locali è ancora a carico dello Stato – nell'ambito del Fondo di solidarietà comunale;Pag. 76
per i comuni delle regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta secondo le norme dei rispettivi statuti.
I commi 8 e 9 definiscono gli importi e le modalità di compensazione delle variazioni di risorse relative all'anno 2014, per i singoli comuni, conseguenti dall'attuazione del nuovo sistema di esenzione.
In dettaglio, ai sensi del comma 8 per il 2014, le variazioni sono quelle indicate, per ciascun comune, nella misura di cui all'Allegato B del decreto-legge che evidenzia, complessivamente, un gettito per i comuni, con il nuovo regime di esenzione, pari a circa 230,69 milioni di euro.
Il medesimo comma 9 autorizza inoltre i comuni interessati dai rimborsi a rettificare sulla base degli importi indicati nel medesimo allegato C, gli accertamenti a titolo di fondo di solidarietà comunale e di gettito IMU previsti nel bilancio 2014.
Nel corso dell'esame al Senato è stato introdotto il comma 9-bis, il quale prevede l'attribuzione ai comuni di un contributo pari a 15,5 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015, al fine di assicurare ai comuni stessi il ristoro del minor gettito dell'IMU derivante per essi dall'applicazione della detrazione introdotta dal comma 1-bis, di cui 15,35 milioni in favore dei comuni delle regioni a statuto ordinario, della Regione siciliana e della regione Sardegna, e 0,15 milioni in favore delle regioni Friuli Venezia Giulia e Valle d'Aosta.
La norma specifica che il contributo è ripartito con decreto del Ministero dell'interno, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, sulla base di una metodologia, da adottarsi sentita la Conferenza Stato-città e autonomie locali.
L'articolo 1-bis, inserito nel corso dell'esame al Senato, differisce dal 31 dicembre 2014 al 15 dicembre 2015 la sospensione degli adempimenti e dei versamenti fiscali, contributivi e assicurativi obbligatori per i datori di lavoro privati e per i lavoratori autonomi operanti nel territorio dell'isola di Lampedusa a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza in relazione all'eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai Paesi del Nord Africa.
Tale sospensione era stata originariamente disposta dall'articolo 23, comma 44, del decreto-legge n. 98 del 2011 e successivamente prorogata da numerosi provvedimenti. Da ultimo, il decreto-legge n. 192 del 2014, all'articolo 10, comma 8, ha differito tale termine al 31 dicembre 2014.
La norma demanda ad un provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate il compito di definire le modalità e i termini per effettuare gli adempimenti tributari diversi dai versamenti.
Per quanto riguarda il contenuto del disegno di legge, il nuovo comma 1-bis dell'articolo 1, introdotto nel corso dell'esame al Senato, proroga di tre mesi il termine per l'esercizio della delega in materia fiscale prevista dalla legge n. 23 del 2014.
La norma, riprendendo sostanzialmente il contenuto delle identiche proposte di legge C. 2729 Capezzone e C. 2772 Causi, di cui la Commissione Finanze della Camera ha avviato l'esame il 15 gennaio 2015, modifica l'articolo 1, comma 1, alinea, della citata legge delega, ampliando innanzitutto, alla lettera a), da dodici a quindici mesi (anziché venti come proposto nelle citate proposte di legge) il termine complessivo per l'esercizio della delega, che verrebbe quindi a cadere il 26 giugno 2015 in luogo del 31 marzo 2015, senza intervenire sul termine per l'esercizio della delega all'adozione di disposizioni integrative e correttive, né sui termini per l'espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari.
La lettera b) del comma 1-bis introduce nel citato articolo 1 della legge n. 23 un nuovo comma 7-bis, il quale prevede che, qualora il termine per l'espressione del parere parlamentare cada negli ultimi trenta giorni precedenti il termine finale di scadenza della delega, ovvero successivamente a tale termine, operi una proroga automatica di novanta giorni del predetto termine di delega.
In merito si ricorda che la procedura per l'emanazione dei decreti legislativi attuativi Pag. 77prevede attualmente che le Commissioni parlamentari competenti hanno 30 giorni (prorogabili di altri 20) per l'espressione del parere, trascorsi i quali il provvedimento può essere comunque adottato. Si prevede altresì una procedura rafforzata, analoga a quella prevista per i decreti attuativi della legge sul federalismo fiscale: qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, il Governo è tenuto a trasmettere nuovamente i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modifiche. I pareri definitivi delle Commissioni competenti per materia sono espressi entro dieci giorni, decorsi i quali i decreti possono essere comunque adottati. Il Governo, nei 18 mesi successivi dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto attuativo, può adottare eventuali decreti correttivi e integrativi.
In tale contesto, per ragioni di coordinamento, la lettera c) del comma 1-bis sopprime il terzo periodo del comma 5 dello stesso articolo 1, il quale attualmente prevede un limitato meccanismo di slittamento del termine di delega solo nel caso in cui le Commissioni competenti chiedano una proroga di venti giorni del termine per l'espressione del loro parere.
L'articolo 2 reca la copertura finanziaria del decreto-legge.
In particolare a tal fine il comma 1 abroga alcune agevolazioni in materia di imposta regionale sulle attività produttive – IRAP, in precedenza applicabili ai produttori agricoli.
In dettaglio, la lettera a) del comma 1 abroga, a decorrere dal 24 gennaio 2015 (dalla data di entrata in vigore del decreto in esame), i commi 13 e 14 dell'articolo 5 del decreto-legge n. 91 del 2014.
Si tratta di norme che hanno disposto, per i produttori agricoli rientranti nell'ambito di applicazione dell'IRAP, alcune deduzioni dalla base imponibile del medesimo tributo relative al costo del lavoro.
In particolare, gli abrogati commi 13 e 14 avevano esteso alcune deduzioni IRAP per lavoro dipendente (disciplinate dall'articolo 11, comma 1, lettera a), numeri 2), 3) e 4) del decreto legislativo n. 446 del 1997), nella misura del 50 per cento degli importi ivi previsti, a:
produttori agricoli soggetti ad IRAP, ovvero ai produttori agricoli titolari di reddito agrario, tranne quelli con volume d'affari annuo non superiore a 7.000 euro che si avvalgono del regime speciale IVA per i produttori agricoli, sempre che non abbiano rinunciato all'esonero da tale regime;
società agricole.
Le predette deduzioni si sarebbero applicate in relazione ai lavoratori a tempo determinato con un contratto di durata di almeno tre anni e con almeno 150 giornate lavorate all'anno.
Le deduzioni abrogate erano pari a:
1) 3.750 euro, su base annua, per ogni lavoratore dipendente impiegato nel periodo di imposta, aumentate a 6.750 euro per i lavoratori di sesso femminile nonché per quelli di età inferiore ai 35 anni;
2) fino a 7.500 euro, su base annua, per ogni lavoratore dipendente impiegato nel periodo d'imposta nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise. Puglia. Sardegna e Sicilia, aumentate a 10.500 euro per i lavoratori di sesso femminile nonché per quelli di età inferiore ai 35 anni; tale deduzione, alternativa a quella di cui al numero 1), può essere fruita nel rispetto dei limiti derivanti dall'applicazione delle regole europee sugli aiuti de minimis;
3) il 50 per cento dei contributi assistenziali e previdenziali relativi ai lavoratori assunti con il contratto a tempo determinato.
La disposizione si sarebbe applicata – previa autorizzazione della Commissione UE – a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2013, senza tuttavia incidere sull'acconto dovuto per il medesimo periodo d'imposta.Pag. 78
La lettera b) abroga alcune disposizioni della legge di stabilità 2015, in particolare:
l'ultimo periodo dell'articolo 11, comma 4-octies, del decreto legislativo n. 446 del 1997 (introdotto dall'articolo 1, comma 20, della richiamata legge di stabilità 2015), la quale consentiva ai produttori agricoli soggetti a IRAP, nonché alle società agricole, di usufruire dell'integrale deducibilità dell'IRAP relativa al costo del lavoro non solo per i dipendenti a tempo indeterminato, ma anche per ciascun lavoratore agricolo dipendente a tempo determinato impiegato nel periodo d'imposta, purché avesse lavorato almeno 150 giornate e con contratto almeno triennale;
il comma 25 della richiamata legge n. 190 del 2015, che subordinava l'applicazione della suddetta agevolazione al settore agricolo all'autorizzazione della Commissione Europea (a cura del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali).
Il comma 2 dell'articolo 2 indica analiticamente la copertura finanziaria della maggior parte degli oneri derivanti dall'articolo 1 del provvedimento, valutati, a seguito delle modifiche introdotte dal Senato, in 225,8 milioni di euro per l'anno 2015 ed in 96 milioni di euro annui a decorrere dal 2016, a cui si fa fronte:
quanto a 45,2 milioni di euro per l'anno 2015 e a 31,9 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016, mediante corrispondente utilizzo delle risorse derivanti dalle abrogazioni in materia di IRAP per i produttori agricoli disposte al comma 1;
quanto a 126,6 milioni di euro per l'anno 2015, 47,9 milioni di euro per l'anno 2016 e a 53.1 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017, mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica (FISPE);
quanto a 3 milioni di euro per l'anno 2015, a 11,2 milioni di euro per l'anno 2016 e a 6 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017, mediante una corrispondente riduzione del fondo speciale di parte corrente, utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
quanto a 2 milioni di euro per l'anno 2015 e a 1 milione di euro a decorrere dall'anno 2016, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente, utilizzando in parte l'accantonamento relativo al Ministero dell'economia;
quanto a 4 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015, mediante riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente, attraverso il parziale utilizzo dell'accantonamento relativo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per 2 milioni di euro, dell'accantonamento relativo al Ministero della salute per 1 milione di euro e dell'accantonamento relativo al Ministero della giustizia per 1 milione di euro;
quanto a 45 milioni di euro per l'anno 2015, mediante il versamento all'entrata delle risorse disponibili sul fondo iscritto nello stato di previsione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, istituito con le risorse derivanti dalla procedura di riaccertamento dei residui passivi del bilancio dello Stato.
Il comma 2-bis reca invece la copertura finanziaria degli oneri derivanti specificamente dal comma 1-bis dell'articolo 1, introdotto dal Senato, pari a 15,5 milioni di euro annui a partire dall'anno 2015, a cui si fa fronte mediante riduzione del fondo speciale di parte corrente, utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dell'economia e delle finanze.
L'articolo 3 regola l'entrata in vigore del decreto-legge. Nel caso in cui questo decreto dovesse decadere si tornerebbe alla precedente normativa più restrittiva riguardo alle esenzioni più che duplicando la platea dei contribuenti. Questi ultimi sarebbero poi tutti oltre il termine di pagamento per l'annualità 2014 – nel senso che verrebbe meno anche la sostanziale/implicita Pag. 79proroga del pagamento al 31 marzo 2015 – dovendo pagare anche interessi e sanzioni.
TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO MARCO FEDI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI RATIFICA N. 2674 ED ABBINATA PROPOSTA DI LEGGE N. 1374.
MARCO FEDI. La convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalla sparizione forzata è un altro elemento della cultura giuridica internazionale, un ulteriore tassello dell'impianto di protezione dei diritti umani e di tutela delle persone, a cui l'Italia dà il proprio sostegno. Il primo elemento è la sua entrata in vigore.
Il 23 dicembre 2010, trascorsi 30 giorni dal deposito della ventesima ratifica, è entrata in vigore la Convenzione internazionale contro le sparizioni forzate.
Secondo la definizione contenuta nel preambolo della Dichiarazione delle NU sulla protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate (adottata dall'Assemblea Generale il 18 dicembre 1992), le sparizioni forzate si verificano nel momento in cui delle persone vengono arrestate, detenute o rapite coattivamente, o private in qualsiasi altro modo della loro libertà da parte di agenti dello Stato, di servizi, gruppi organizzati o soggetti privati che agiscono in nome dello Stato o con il suo appoggio diretto o indiretto, e che si rifiutano di rivelare la sorte delle persone rapite, il luogo in cui esse sono custodite o di ammetterne la privazione di libertà, con la conseguente sottrazione di queste persone alla tutela della legge.
Il fenomeno delle sparizioni forzate costituisce una delle più odiose violazioni dei diritti umani, poiché ad essere negata è la dignità stessa della persona. La vittima, privata di tutti i propri diritti e per questo sottratta alla protezione della legge, è relegata ad una situazione di totale vulnerabilità nelle mani dei perpetratori di tale crimine.
Questa pratica, inoltre, infligge gravi sofferenze ai familiari ed ai conoscenti della persona scomparsa, a causa di un'attesa senza fine e della totale incertezza circa la sorte, il luogo di detenzione e le possibilità di ritorno della persona scomparsa.
L'Italia ha firmato la convenzione il 3 luglio 2007 e ci accingiamo ora a ratificarla.
La Commissione affari esteri, anche su stimolo dei colleghi Marietta Tidei e Fabio Porta che hanno presentato un apposito disegno di legge di ratifica di iniziativa parlamentare, ha avviato il rapido esame di questo provvedimento di cui auspichiamo un iter sollecito anche alla luce della recrudescenza del fenomeno in molte aree del mondo.
Nella precedente legislatura in molte audizioni, con le madri di Plaza de Majo, era stata ribadita l'urgenza della ratifica.
Oggi, con la ratifica della Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate, facciamo onore al nostro Paese e siamo un passo più vicini a garantire quel quadro di legalità internazionale che ci vede protagonisti nella storia delle Nazioni Unite.
L'articolo 1 della Convenzione dispone che «Nessuna circostanza, di alcun tipo, si tratti di stato di guerra o minaccia di guerra, instabilità politica interna o qualunque altra emergenza pubblica, potrà essere invocata per giustificare la sparizione forza».
Gli stati parti si impegnano a giudicare le persone accusate di aver attuato o partecipato a sparizioni forzate, oppure a estradare tali sospetti verso paesi che possano esercitare la loro giurisdizione.
La Convenzione riconosce il diritto delle vittime (la persona scomparsa e qualsiasi individuo che ha ricevuto danno e sofferenza come risultato diretto della sparizione) a conoscere la verità in relazione alla circostanza della sparizione forzata e al destino della persona scomparsa. Gli stati parte si impegnano ad adottare tutte le misure per contrastare il fenomeno delle sparizioni forzate e per garantire alle vittime il diritto alla giustizia e Pag. 80alla riparazione. Le persone vittime di questi comportamenti hanno diritto di ricevere un risarcimento per quanto da loro sofferto, anche nella forma della riabilitazione della loro onorabilità o della loro memoria. I figli dei desaparecidos non possono essere separati dalle loro famiglie e conservano il diritto alla loro identità.
La Convenzione, entrata in vigore al deposito del trentesimo strumento di ratifica, costituisce il primo strumento ad hoc giuridicamente vincolante di portata universale ed è il risultato di quattro anni di negoziati svoltisi all'interno di uno specifico gruppo di lavoro istituito dalla Commissione diritti umani.
La Convenzione stabilisce innanzitutto un diritto assoluto a non diventare vittima di sparizioni forzate (articolo 1), definite un crimine contro l'umanità (articolo 5). Vengono quindi individuati una serie di obblighi in capo agli Stati al fine di prevenire le sparizioni forzate, tra cui: proibizione della detenzione segreta; impegno a detenere le persone in strutture ufficialmente riconosciute e controllate, e che conservino un registro di tutti i detenuti; rispetto dei principi dell'habeas corpus; diritto ad ottenere informazioni sui detenuti. La Convenzione riafferma, inoltre, il diritto delle vittime al riconoscimento della verità e ad un'equa riparazione per sé e per i propri parenti, così come il diritto a formare delle associazioni ed organizzazioni per contrastare il fenomeno delle sparizioni forzate. La Convenzione tratta anche il problema del rapimento dei bambini i cui genitori sono vittime di sparizione forzata, la falsificazione della loro identità e la conseguente adozione.
Gli strumenti internazionali di cui disponiamo sono:
la Dichiarazione delle NU sulla protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate (adottata dall'Assemblea Generale il 18 dicembre 1992);
lo Statuto della Corte penale internazionale, che all'articolo 7(1)(i) definisce le sparizioni forzate un crimine contro l'umanità «se commesso nell'ambito di un esteso o sistematico attacco contro popolazioni civili, e con la consapevolezza dell'attacco».
I meccanismi di controllo sono affidati al Comitato sulle sparizioni forzate previsto dall'articolo 26 della Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate che prevede l'istituzione di un Comitato sulle sparizioni forzate, con il compito di monitorare l'implementazione degli obblighi assunti dagli Stati, ricevere ricorsi interstatali e individuali, e la possibilità di avviare una procedura umanitaria d'urgenza per effettuare ispezioni sul campo e sottoporre all'attenzione dell'Assemblea Generale quelle situazioni in cui il ricorso alle sparizioni forzate è diffuso e sistematico.
Oltre ai meccanismi previsti dalla Convenzione, abbiamo il Gruppo di Lavoro delle NU sulle sparizioni forzate e involontarie (WGEID), istituito nel 1980 dalla Commissione diritti umani con il mandato di assistere le famiglie delle persone scomparse al fine di determinare in maniera definitiva la sorte dei loro parenti (qualunque essa sia), stabilendo innanzitutto un canale di comunicazione con il Governo interessato, quest'ultimo chiamato ad investigare in maniera obiettiva su ciascun caso individuale.