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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 27 marzo 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   L'VIII e la XIII Commissione,
   premesso che:
    mari e oceani ricoprono il 71 per cento della superficie della Terra e hanno un ruolo fondamentale sia per lo sviluppo economico sia per l'equilibrio ambientale del pianeta. Questo comporta una doppia sfida: contribuire alla crescita e alla creazione di posti di lavoro e allo stesso tempo assicurare che gli ecosistemi marini rimangano sani o siano risanati, essendo così in grado di offrire i loro benefici anche in futuro;
    si calcola che circa 110 milioni di posti di lavoro a livello globale dipendono da mari e oceani, dei quali 70 milioni dipendono da mari in salute. In Europa, più di 3 milioni di posti di lavoro sono direttamente collegati all'economia marittima e alcuni studi indicano che diverse centinaia di migliaia di posti di lavoro potrebbero essere creati in futuro;
    nel nostro paese sono 180 mila le imprese dell'economia del mare censite alla fine del 2013, pari al 3 per cento del totale imprenditoriale del paese. In termini di nuove imprese, rispetto al 2011 si è registrato un aumento del 2 per cento, con la nascita di 3.500 nuove attività. Un dato in controtendenza rispetto al –0.9 per cento, registrato dal resto delle altre imprese in Italia. Nel 2013 l'economia del mare ha prodotto un valore aggiunto di oltre 41 miliardi di euro, una forza produttiva con un bacino di forza lavoro che conta 800.000 occupati, il 3,3 per cento dell'occupazione complessiva del paese; più di un quinto delle imprese dell'economia del mare ha investito nel triennio 2010-2012 e/o ha programmato di investire nel 2013 in prodotti e tecnologie green a maggior risparmio energetico e/o minor impatto ambientale;
    l'Unione europea ha posto particolare attenzione al tema con la direttiva Strategia per il buono stato ambientale del mare (direttiva quadro 2008/56/CE, recepita dall'Italia con il decreto legislativo n. 190 del 2010), con la Comunicazione sul tema della «crescita blu» del 2012 (Blue Economy, COM 2012/494), con la direttiva Pianificazione dello spazio marittimo (204/89/EU) e infine con la Comunicazione sulla «innovazione blu» (COM 2014/254/2);
    usare i nostri mari per attività economiche porta infatti benefici solo se siamo in grado di minimizzare gli effetti sugli ecosistemi marini. Se la loro protezione fallisce, non solo miniamo il potenziale economico dell'economia blu, ma minacciamo anche i servizi ambientali che i nostri mari e oceani forniscono, come la regolazione climatica, la fornitura di fonti di energia rinnovabile e l'importante contributo alla biodiversità terrestre;
    in tale contesto, le due direttive europee citate svolgono un ruolo fondamentale: l'obiettivo di «stato ambientale buono», come previsto nella direttiva sulla Strategia marina, è il punto di riferimento per avere mari sani e dovrebbe garantire che attività e usi siano svolti in modo sostenibile;
    nel 2015, gli stati membri dovranno predisporre programmi di misure che includano azioni innovative ed economicamente efficaci per raggiungere lo stato ambientale buono entro il 2020. Fra sei anni, nel 2021, sarà predisposto il secondo programma di misure;
    le strategie che dovranno essere adottate dagli Stati membri entro il 2020 devono prevedere il rafforzamento di un approccio ecosistemico alla gestione delle attività umane, per assicurare che la pressione complessiva sia mantenuta entro livelli compatibili con il conseguimento del buon stato ambientale marino. Deve inoltre essere salvaguardata la capacità degli ecosistemi marini di reagire ai cambiamenti indotti dall'uomo, senza tralasciare di perseguire la progressiva eliminazione dell'inquinamento marino;
    la seconda direttiva europea chiave, sulla Pianificazione dello spazio marittimo, entrata in vigore nel settembre 2014 è uno strumento chiave per attuare la crescita blu e per garantire uno spazio marino sufficiente per settori promettenti come l'acquacoltura e l'energia eolica offshore. La direttiva rappresenta un passo importante per la governance marina nell'Unione europea, e l'Italia avrà un ruolo di primo piano nel mantenere l'iniziativa per l'attuazione della Pianificazione dello spazio marittimo nel Mediterraneo. Inoltre costituisce il primo obbligo giuridico di collaborazione tra paesi diversi, che sono chiamati a cooperare nella pianificazione sui loro mari a livello transfrontaliero;
    entro il 2016, gli stati membri devono recepire la direttiva e individuare le autorità competenti per la sua attuazione. Poi dovranno definire i piani entro il 2021, con una scadenza coincidente con quella della direttiva quadro sulla Strategia marina. La pianificazione marittima negli stati membri sarà essenziale per dare agli operatori certezza su quali sviluppi economici sono possibili, dove e per quanto tempo. Faciliterà l'inclusione delle questioni relative alla protezione ambientale nei processi di pianificazione e dovrebbe aiutare a trovare nuove soluzioni per un uso sostenibile degli spazi marittimi e costieri, contribuendo anche alla salvaguardia della salute degli ecosistemi;
    altri aspetti sono affrontati dalla Comunicazione sul tema della «crescita blu» del 2012. Questa Comunicazione si concentra su una serie di aree principali, come energia rinnovabile, acquacoltura, turismo, risorse minerarie e biotecnologie. In soli due anni la Commissione e gli stati membri hanno già emanato le linee guida strategiche sull'acquacoltura, un Piano di azione sul potenziale dell'energia dagli oceani e una Strategia europea per il turismo marittimo e costiero;
    per esprimere a pieno il potenziale economico dei nostri mari in modo sostenibile è necessaria innovazione. Questa può prendere diverse forme: sviluppi tecnologici nei settori dell'economia blu già citati, ma anche innovazione sistemica – cioè nuovi approcci di pensiero o di azione che possano portare importanti benefici per le comunità e gli ecosistemi marini;
    a maggio 2014 la Commissione ha pubblicato una Comunicazione sulla «innovazione blu», per sostenere questo processo. La Commissione è impegnata nell'estendere la copertura della Rete europea di osservazioni e dati marini (European Marine Observation and Data Network) per rendere disponibili e utilizzabili sempre più dati sullo stato dell'ambiente marino europeo. Per quanto riguarda il campo della ricerca, la Comunicazione ha annunciato una nuova piattaforma informativa sulla ricerca marina nell'ambito del programma Horizon 2020 e si lavorerà con gli stati membri per includervi le informazioni sui progetti di ricerca sul mare finanziati a livello nazionale;
    una delle maggiori minacce agli ecosistemi marini è rappresentato dai rifiuti: la Commissione Europea ha proposto l'ambizioso obiettivo di ridurli del 30 per cento a livello di Unione europea entro il 2020. Questo stimolerà l'innovazione, sia nell'industria marittima, sia, ancora di più, sulla terra ferma, che è l'origine stimata dell'80 per cento dei rifiuti in mare, mentre, secondo i report redatti dalla Fao e dall'Unep, il 10 per cento circa – corrispondente a 640.000 tonnellate – è costituito reti da pesca abbandonate e/o perse dai pescatori; si calcola che la loro rimozione potrebbe salvare migliaia di animali marini che ogni anno vi restano impigliati (tartarughe, uccelli, cetacei, pesci);
   a questo proposito, sarebbe importante, anche mediante accordi di programma tra le capitanerie di Porto, le autorità portuali, le imprese ittiche, le associazioni, e i comuni territorialmente competenti, consentire ai porti marittimi di avviare operazioni di raggruppamento e gestione di rifiuti raccolti durante le attività di pesca o altre attività di turismo subacqueo svolte da associazioni sportive, ambientaliste e culturali;
   in alcune realtà italiane sono già in corso progetti per la raccolta e il riciclaggio degli attrezzi da pesca abbandonati, comprese le cosiddette «reti fantasma», la raccolta dei galleggianti e dei rifiuti dai fondali marini, catturati nelle reti durante le attività di pesca, coinvolgendo i pescatori, le cooperative di pesca, i comuni, le Autorità marittime e le società di gestione e di trattamento dei rifiuti portuali;
    l'Italia, per la sua posizione geografica e lo sviluppo delle sue coste, ma anche per la sua storia, la sua cultura e le sue peculiarità paesaggistiche, è un paese pienamente coinvolto e impegnato nelle politiche di difesa degli ecosistemi marini e di sviluppo della blue economy;
    lungo le coste italiane, cultura e natura si sovrappongono in equilibri sempre diversi e unici nel loro genere, in un rapporto creativo e indissolubile anche con i diversi contributi provenienti da tutte le sponde del Mediterraneo, un mare unico per la sua storia, la posizione geografica e la varietà di specie animali e vegetali;
    lo scorso novembre, a Livorno, attori pubblici nazionali e internazionali, stakeholders, operatori, aziende e ricercatori si sono confrontati sulle opportunità che la Strategia marina può offrire in termini di crescita e lavoro;
    da questo incontro è nata la Carta di Livorno, un documento di indirizzo per una «strategia del mare» in grado di coniugare tutela ambientale e crescita economica e per rendere più forte l'Italia nei consessi internazionali sul tema marittimo;
    sono quattro le parole chiave della Carta: governance unitaria; connessione terra-mare, efficacia dei controlli, partecipazione. Quattro parole che coincidono con quattro obiettivi: una governance unitaria a livello nazionale per dotarsi di elevati livelli di coordinamento istituzionale e sinergie sui temi del mare; una connessione terra-mare per promuovere responsabilità e partecipazione delle comunità costiere; un'armonizzazione e un'efficacia maggiore dei controlli in mare e lungo le coste per ottenere standard unitari e livelli di controllo scientifico e operativo adeguati e, infine, l'implementazione delle iniziative di comunicazione e partecipazione a partire dalla Strategia marina di tutti gli attori coinvolti,

impegnano il Governo:

   a mettere in campo gli strumenti necessari al recepimento della direttiva europea sulla pianificazione dello spazio marittimo, svolgendo un ruolo di primo piano per l'attuazione della pianificazione dello spazio marittimo nel Mediterraneo, al fine di fornire agli operatori certezza su quali sviluppi economici sono possibili, dove e per quanto tempo e di favorire l'inclusione delle questioni relative alla protezione ambientale nei processi di pianificazione, contribuendo alla salvaguardia della salute degli ecosistemi marini;
   ad attuare gli impegni previsti dalla direttiva quadro Strategia marina in relazione alla protezione, alla salvaguardia e al ripristino dell'ambiente marino per preservare la diversità e la vitalità del mare, compreso il fondo marino, mantenendolo sano, pulito e produttivo;
   ad operare, nell'attuazione di tali impegni, in modo coordinato, a livello nazionale tra le amministrazioni titolate centrali e periferiche e a livello internazionale e comunitario insieme a tutte le altre comunità che si affacciano e vivono sul Mediterraneo;
   a promuovere l'utilizzo degli importanti strumenti di supporto e delle ingenti risorse che l'Unione europea ha messo a disposizione per sostenere l'attuazione della Strategia marina, quali Horizon 2020 e il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (Feamp);
   a promuovere e normare accordi di programma tra le capitanerie di Porto, l'autorità portuale, le imprese ittiche, le associazioni, e i comuni territorialmente competenti, per consentire ai porti marittimi di avviare operazioni di raggruppamento e gestione di rifiuti raccolti durante le attività di pesca o altre attività di turismo subacqueo svolte da associazioni sportive, ambientaliste e culturali;
   ad assumere iniziative per prevedere la possibilità, nell'ambito della definizione del sistema per la raccolta dei rifiuti marini, di utilizzare i pescherecci anche nei periodi di fermo biologico delle attività, possibilità ad oggi pressoché preclusa dalle normative vigenti.
(7-00644) «Venittelli, Borghi, Oliverio, Cenni, Minnucci, Carrescia, Massa, Arlotti, Ginoble».


   La II Commissione,
   premesso che:
    il codice di procedura civile dichiara pignorabili tutte le cose del debitore, quindi i beni suscettibili di valutazione economica. Se l'articolo 514 del codice di procedura civile vieta il pignoramento dei beni che hanno valore affettivo, come la fede nuziale, non si vede come si possa invece ritenere pignorabile un animale domestico che da anni vive insieme al suo proprietario. Il pignoramento deve colpire il patrimonio del debitore e non i suoi sentimenti. In questo caso, poi, alla violenza psicologica sul proprietario si aggiunge la sofferenza che s'infligge all'animale, sradicato dal suo ambiente per destinarlo a non si sanno quali strutture in attesa di un'improbabile vendita all'asta;
    bisognerebbe quindi attribuire innanzitutto un valore economico agli animali, cosa fattibile per animali da stalla, come i cavalli, o da pascolo, ma assolutamente improbabile nel caso di animali da compagnia che hanno solamente un valore squisitamente affettivo. Inoltre esiste l'elemento non trascurabile della ritorsione sull'affetto in materia di pignoramento: per evitare che il pignoramento dei beni di un proprietario possa tramutarsi in una forma indiretta di ritorsione psicologica sul debitore, la legge esclude il pignoramento di tutti quei beni che abbiano appunto un valore affettivo;
    in Paesi come Austria e in Germania è stabilito per legge che gli animali non sono cose e quindi non sono pignorabili. In Italia sono stati fatti passi avanti sul tema dei diritti degli animali con varie norme: dall'introduzione di pene per il maltrattamento, l'uccisione e il traffico illecito degli animali, fino all'inasprimento delle sanzioni per chi abbandona animali domestici, ma su questo punto la normativa non è stata cambiata. È bene ricordare che circa quattro famiglie su dieci possiedono un animale d'affezione. Si pensino soprattutto alle altro sempre più numerose sentenze che, in materia di separazione e divorzio, si trovano a dover decidere sull'affidamento dei detti animali domestici all'uno o all'altro che ne contendono l'affetto, quali veri e propri membri della famiglia;
    si ritiene pertanto doveroso inserire nell'ordinamento l'impignorabilità degli animali d'affezione, se si sostiene che l'animale domestico non è una cosa, perché non è suscettibile di valutazione economica, contrariamente agli animali da pascolo o da allevamento;
    infatti, il cane, il gatto e tutti gli animali così detti di compagnia, secondo la lingua italiana, sono cose e possono bene avere un loro valore economico, specie se funzionale a particolari servizi come caccia, ricerca di tartufi, guida di non vedenti, salvataggio in mare, guardia e simili. Nella lingua italiana il sostantivo cosa costituisce il nome più indeterminato e più comprensivo con il quale s'indice in modo generico, tutto quanto esiste;
    non si può dire, dunque, che non sono pignorabili gli animali di affezione perché non sono cose, ma non si può neppure dire che sono pignorabili tutte le cose non escluse espressamente dagli articoli 513 e seguenti del codice di procedura civile. Se così fosse, si potrebbero pignorare anche le persone, essendo comprese fra le cose. È dunque evidente che non sono pignorabili solo le cose espressamente escluse dagli articoli 513 e seguenti del codice di procedura civile o da norme speciali relative al pignoramento, ma sono impignorabili altre cose per ragioni desumibili dal sistema giuridico più in generale;
    in primis occorre dire che nel nostro ordinamento vige il principio generale secondo cui il debitore risponde dell'adempimento delle querelare obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri (articolo 2740 codice civile); ciò significa che il creditore, munito di titolo esecutivo, che abbia notificato il precetto, come ad esempio la cartella esattoriale regolarmente e tempestivamente notificata, può agire tramite ufficiale giudiziario per procedere con il pignoramento dei beni mobili o immobili, ma anche versi crediti che il debitore vanta nei confronti di terzi;
   il pignoramento deve essere eseguito sui beni che l'ufficiale giudiziario ritiene di pronta e facile liquidazione, nel limite del presumibile valore di realizzo pari all'importo del credito oggetto del precetto. In ogni caso, l'ufficiale giudiziario deve preferire, in ordine: Il denaro contante, gli oggetti preziosi, i titoli di credito e ogni altro bene che appaia di sicura realizzazione;
    nella legislazione europea dalla legge 4 novembre 2010, n. 201 di ratifica ed esecuzione della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, fatta a Strasburgo il 13 novembre 1987, gli animali sono considerati esseri senzienti, pertanto, nell'attuale ordinamento deve essere riconosciuto un vero e proprio diritto soggettivo all'animale da compagnia,

impegna il Governo

ad assumere una specifica iniziativa normativa che fissi il principio dell'impignorabilità del cane, gatto o altro animale domestico, poiché l'animale d'affezione non è da considerarsi una cosa e non può e non deve essere messo all'asta.
(7-00642) «Dambruoso, Vezzali».


   La III Commissione,
   premesso che:
    il Parlamento italiano, nel Senato della Repubblica e nella Camera dei deputati, segue da anni con costante attenzione la situazione del Myanmar, Paese strategico nel Sud est asiatico, guidato per decenni da una giunta militare e sottoposto a gravi violazioni dei diritti umani;
    l'Italia è vicina da tempo al popolo birmano e ha manifestato il suo sostegno sia attraverso le iniziative di associazioni, istituzioni locali e società civile, sia attraverso l'attività dell'Associazione parlamentare «Amici della Birmania» che, a partire dalla XIV legislatura, ha avuto contatti diretti con la realtà sociale e politica del Paese e con la leader dell'opposizione democratica, Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la Pace, per lunghi anni agli arresti domiciliari;
    negli ultimi quattro anni è in atto in Myanmar un processo di transizione verso la democrazia e di riconciliazione nazionale, avviato dal Capo del Governo Thein Sein e da Aung San Suu Kyi, dopo la sua liberazione, avvenuta nel novembre 2010, e la sua elezione al Parlamento birmano il 1o aprile 2012;
    l'esecutivo birmano ha intrapreso diversi gesti di apertura verso i gruppi etnici armati che combattevano da decenni contro la dittatura, firmando un accordo con le etnie Wa e Mongla e ufficializzando il cessate il fuoco con i ribelli Karen, protagonisti di una delle più lunghe insurrezioni armate della storia del Paese;
    nell'opera di pacificazione si è distinto il cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon e primo porporato della storia della Chiesa birmana, che sta operando per una mediazione tra le forze armate e le milizie etniche, esortando le parti in lotta ad incontrarsi per riprendere i negoziati di pace e mettere così fine a un conflitto armato che imperversa da decenni e ha causato migliaia di vittime e feriti, anche fra i civili;
    parallelamente il Governo birmano ha avviato un'azione di apertura nei riguardi della Comunità internazionale, avvalendosi anche del ruolo di presidente di turno dell'Associazione delle nazioni dell'Asia del sud orientale (ASEAN) nel 2014;
    l'Italia è convintamente schierata a sostegno dello sviluppo democratico del Myanmar, come è emerso dalla visita effettuata da Aung San Suu Kyi in Italia, dal 27 al 31 ottobre 2013, durante la quale ha incontrato il Presidente della Repubblica, il Presidente del Senato, la Presidente della Camera, il Presidente del Consiglio, il Ministro degli affari esteri, l'Associazione parlamentare «Amici della Birmania», le città di Roma, Torino, Bologna, Parma e l'Università di Bologna. In quella occasione Aung San Suu Kyi si è detta «toccata dall'accoglienza di Roma» – dove ha ricevuto la cittadinanza onoraria che le era stata conferita nel 1994 – ed ha affermato «L'Italia resti vicina alla Birmania», dando impulso sia alle relazioni politiche e istituzionali sia alla cooperazione economica, sociale e culturale per il progresso del suo Paese, la costruzione della sua democrazia e per la crescita dei rapporti tra l'Italia e la Birmania;
    sono stati avviati nuovi rapporti bilaterali di collaborazione politica ed economica con Rangoon, rinnovati da ultimo con la missione nella capitale birmana, nel febbraio scorso, del Sottosegretario agli affari esteri ed alla cooperazione internazionale, Benedetto Della Vedova, nel corso della quale egli ha ribadito il convinto sostegno dell'Italia al processo di transizione verso la democrazia ed ha sottolineato l'importanza che le prossime elezioni politiche, programmate entro l'anno, siano libere e trasparenti, in un contesto stabile e democratico pienamente funzionale anche all'attrazione di nuovi investimenti esteri. Il Sottosegretario ha anche incontrato Aung San Suu Kyi, presso la sede del Parlamento birmano. Nel corso del colloquio, Della Vedova ha ribadito l'importanza del ruolo da lei svolto, e che sarà chiamata ancora a svolgere, nell'evoluzione del processo democratico del Myanmar;
    tuttavia, pur in presenza di questi sforzi verso un'apertura democratica delle istituzioni politiche ed un nuovo ruolo internazionale del Paese, la Costituzione in vigore nel Myanmar, la cui revisione è oggetto di discussione politica e parlamentare, evidenzia ancora oggi elementi di forte criticità democratica, tra i quali la discriminazione sulle candidature alla Presidenza e alla Vicepresidenza dell'Unione birmana, l'assegnazione del 25 per cento dei posti ai militari nell'Assemblea dell'Unione e nella Camera delle nazionalità, e la previsione di procedure estremamente restrittive per l'approvazione degli emendamenti alla Costituzione;
    in particolare, la Costituzione al capitolo 3 punto f), prevede per il Presidente dell'Unione e il vicepresidente «non lui, i suoi genitori, il coniuge, uno dei figli legittimi o i loro coniugi devono avere legami con una potenza straniera, non deve essere soggetto al potere o cittadinanza di un Paese straniero», determinando con ciò una evidente discriminazione nei confronti di Aung San Suu Kyi, che ha manifestato l'intenzione di candidarsi alla Presidenza del Myanmar nelle prossime imminenti elezioni;
    in tale quadro, accanto ai segnali incoraggianti, non mancano episodi di gravissima tensione sociale, carica di opportunità alla vigilia delle nuove consultazioni politiche ma anche foriera di gravi tensioni come i recenti scontri, svoltisi nella città di Letpadan, tra la polizia e gli studenti che manifestano contro una controversa riforma dell'istruzione, conclusisi con atti di violenza da parte delle forze dell'ordine, arresti illegittimi e violazioni dei diritti umani;
    l'insicurezza e la precarietà economica di una società ancora largamente rurale è ora acuita dalla prosecuzione di gravi operazioni di confisca delle terre dei contadini perpetrate delle autorità governative, del tutto al di fuori di legalità, che espongono migliaia di persone all'incertezza ed alla povertà;
    il Parlamento italiano ha negli anni scorsi seguito costantemente l'evoluzione del quadro politico del Myanmar, anche attraverso l'adozione di appositi atti d'indirizzo come la risoluzione n. 8-00017, approvata dalla Commissione affari esteri il 16 ottobre 2013, e la risoluzione n. 7-00389, approvata dalla stessa Commissione il 18 giugno dello scorso anno, che impegna tra l'altro il Governo a garantire costante determinazione nell'intervenire in ogni sede, europea ed internazionale, per assicurare, in rapporto diretto con il Governo e con il Parlamento del Myanmar, con continuità l'ulteriore positiva evoluzione del processo democratico del Paese asiatico, anche nella prospettiva delle elezioni politiche del 2015; a sostenere l'apertura democratica del Myanmar e, quindi, l'eguale e pari partecipazione di tutti i partiti politici e di tutti i cittadini, senza alcuna esclusione, alla vita democratica ed istituzionale del Paese, nonché lo svolgimento di elezioni libere e democratiche; fermo restando il diritto all'autodeterminazione e alla sovranità legislativa di ogni Paese, a incoraggiare in ambito internazionale la modifica della Costituzione del Myanmar, in particolare nel punto in cui impedisce a chi abbia parenti di nazionalità straniera di candidarsi alle elezioni presidenziali, previsione che non ha fondamento nei principi democratici universalmente riconosciuti; a sostenere la legittima aspirazione del premio Nobel Aung San Suu Kyi, al pari di ogni altro cittadino birmano, a partecipare pienamente alla vita politico-elettorale nazionale;
    questi sono mesi cruciali per la transizione democratica in Myanmar in considerazione delle imminenti elezioni politiche;
    la collaborazione politica, economica e sociale tra l'Italia e il Myanmar, che vede uno sviluppo crescente, corrisponde all'interesse di entrambi i popoli e si inserisce nell'ambito dei rapporti tra l'Europa e l'Asia che aprono prospettive nuove per il futuro del mondo; il consolidamento della riforma democratica in Myanmar è fattore decisivo per lo sviluppo delle relazioni tra l'Unione europea e il Myanmar, e, dunque, tra l'Italia e il Myanmar, nell'ambito delle relazioni internazionali per l'armonico sviluppo dei Paesi nel mondo globale, il progresso civile delle nazioni e il conseguimento dei comuni obiettivi di salvaguardia dei diritti umani e della pace;
    l'evoluzione democratica del Myanmar, il rispetto dei diritti umani, la liberazione di tutti i prigionieri politici, il superamento dei conflitti etnici devono continuare ad essere considerati parte integrante dello sviluppo economico e sociale della Birmania;
    è evidente che l'attuale fase politica in Myanmar, alla vigilia delle elezioni, è decisiva e non può non prevedere in tempi rapidi il cambiamento della Costituzione, come testimonia il crescente movimento nel Paese per il conseguimento di questo obiettivo e come è costantemente auspicato dalla comunità internazionale;
    Aung San Suu Kyi è impegnata con coraggio, determinazione e con tutte le sue forze per il cambiamento della Costituzione, poiché è in gioco la libertà e il progresso del suo popolo, e per ricostruire la nazione sulla base della giustizia, della verità, della fiducia, della riconciliazione, della pace, dello sviluppo umano, di un'autentica democrazia in Myanmar;
    nel processo di transizione verso la democrazia in Myanmar è necessario che siano sostenute tutte le forze che credono nella democrazia, avendo anche presenti i rischi di inversione del cammino democratico che sempre si accompagnano alle grandi scelte di cambiamento,

impegna il Governo:

   a dare seguito alle risoluzioni n. 8-00017 n. 7-00389 approvate dalla Commissione Affari Esteri della Camera rispettivamente nelle sedute del 16 ottobre 2013 e del 18 giugno 2014;
   a incoraggiare in ambito internazionale la modifica della Costituzione del Myanmar, in particolare nel punto in cui impedisce a chi abbia parenti di nazionalità straniera di candidarsi alle elezioni presidenziali, previsione che non ha fondamento nei princìpi democratici universalmente riconosciuti, fermo restando il diritto all'autodeterminazione e alla sovranità legislativa di ogni Paese;
   a promuovere e sostenere una partecipazione più intensa dell'Italia al processo di transizione democratica in Myanmar, a partire dal sostegno al processo di preparazione di consultazioni elettorali libere e giuste, attraverso un costante confronto sia con le autorità di Governo sia con l'opposizione, ed in particolare con la leader dell'opposizione Aung San Suu Kyi;
   a promuovere, nelle idonee sedi multilaterali, anche attraverso petizioni internazionali, una costante verifica dello stato del rispetto dei diritti umani, attraverso la puntuale denuncia delle loro violazioni ed il monitoraggio dei risultati raggiunti, da affiancare a tutti le opportune iniziative di mobilitazione internazionale per la liberazione di tutti i prigionieri politici ed il superamento dei conflitti etnici;
   a promuovere la richiesta, nelle sedi internazionali, in Myanmar sia istituita una commissione d'inchiesta sulle recenti repressioni da parte della polizia delle manifestazioni degli studenti, come richiesto dalla Lega Nazionale per la Democrazia;
   a farsi promotore, anche nell'ambito dell'Expo 2015, di iniziative per la cessazione della confisca delle terre dei contadini;
   a valorizzare e sostenere le associazioni della società civile che in Italia hanno rapporti di amicizia e di collaborazione con il Myanmar.
(7-00643) «Zampa, Quartapelle Procopio, Chaouki, Cassano, Carra, Minnucci, Ribaudo, Marchi, Romanini, Gandolfi, Taricco, Iori, Cova, Piccione, D'Ottavio, Iacono, D'Incecco, Patriarca, Malisani, Maestri, Miccoli, Giuliani, Mura, Murer, Fedi, Zan, Lenzi, Capone, Rubinato, Cinzia Maria Fontana, Zanin, Manfredi, Cimbro, Moscatt, Rossi, Ghizzoni, Tullo, Sbrollini, Amoddio, La Marca, Villecco Calipari, Baruffi, Fregolent».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   l'Europa sta puntando alla svalutazione dell'euro per uscire dalla crisi ma sembra che in realtà ad avvantaggiarsi della moneta debole sia soprattutto la Germania, mentre il nostro, Paese, gravato dalla crisi economica in atto, rischia soltanto di vedere svendute le sue eccellenze del made in Italy e disarticolati i suoi distretti produttivi;
   l'Unione europea parla della svalutazione dell'euro come della soluzione alla crisi, perché dovrebbe produrre effetti positivi sull'economia dell'eurozona da due principali punti di vista: da un lato, dovrebbe incrementare le esportazioni e, dall'altro, produrre l'aumento dell'inflazione, dovuto all'incremento dei prezzi dei prodotti importati, tra cui le materie prime, in particolare il petrolio;
   l'euro è stato svalutato progressivamente di più di 14 punti percentuali da maggio 2014 ad oggi, arrivando ultimamente quasi alla pari con il dollaro;
   il rapporto di cambio di una moneta è una sorta di autoregolatore che ristabilisce costantemente gli squilibri fra le varie economie, ma, nel caso in cui ci sia una moneta comune come l'euro, invece, non si attribuisce alla moneta stessa questa essenziale funzione auto regolatrice;
   la Germania si è prima avvantaggiata della moneta unica e ora si avvantaggia della sua svalutazione, poiché, avendo saldi positivi record da anni, se avesse ancora il proprio marco autonomo, questo si sarebbe costantemente rivalutato, non solo nei confronti di tutte le monete, ma soprattutto nei confronti di quelle europee più deboli, invece con l'euro, si ritrova una valuta debole da sfruttare per l’export, come infatti sta facendo da anni, in contrasto, secondo l'interrogante, l'accordo sul Six-Pack: non sarebbe consentito che un Paese abbia per più di tre anni consecutivi un surplus delle partite concorrenti oltre il 6 per cento, pena una sanzione dello 0,1 del PIL, ma la Germania lo sta facendo da sette anni consecutivi, accumulato infrazioni per circa 25 miliardi di euro, per le quali però non viene ancora sanzionata;
   secondo l'economista Giuseppe Russo «Il principale squilibrio macroeconomico europeo è l'anomalo avanzo commerciale tedesco a tutto export (oltre 200 miliardi di euro di eccesso di produzione sui consumi) che la Germania non fa nulla per aggiustare»;
   per l'economia dell'Italia, invece, le esportazioni difficilmente possono essere un traino, visto che il nostro Paese esporta per circa il 40 per cento all'interno dell'area euro;
   i dati Istat del 18 marzo 2015 sul Commercio estero riferito a gennaio 2015 indicano un diffuso rallentamento del nostro export, anche EXTRA-UE, quindi nonostante la svalutazione dell'euro: a gennaio 2015, le esportazioni registrano una flessione in termini tendenziali (-4,2 per cento), determinata dalla diminuzione delle vendite verso entrambe le aree: -4,7 per cento per l'area Unione europea e -3,5 per cento per l'area extra Unione europea;
   dopo anni di declino economico, e con i vantaggi dell'euro debole, l'Italia starebbe diventando un terreno di caccia, visto che si sta mettendo in atto un pericoloso meccanismo di svendita delle nostre eccellenze: secondo fonti di stampa «i francesi hanno espugnato con sistematicità il nostro alimentare (Parmalat, Galbani, Eridania), il lusso (Bulgari, Gucci, Bottega Veneta, Pomellato, Loro Piana) e l'energia (Edison). Non solo. Lufthansa è uscita scornata dalla guerra nei cieli italiani contro i cugini di Air France e nel risiko bancario i tedeschi hanno lasciato campo libero alle varie Bnp-Paribas (azionista di controllo di Bnl) e Crédit Agricole (azionista di controllo di CariParma). Tolta Ras inglobata da Allianz e, appunto, Ducati, nell'ultimo decennio non si segnalano grandi deal targati Germania»;
   l'espansionismo tedesco risponde soprattutto a strategie diverse dalle classiche acquisizioni crossborder francesi, cinesi o americane: Berlino punta direttamente al cuore pregiato del made in Italy, la piccola media impresa con buoni prodotti e tecnologia inserita nelle filiere internazionali che la crisi rende sempre più esposta alle operazioni ostili; non a caso dal 2010 a oggi il 55 per cento delle circa 50 operazioni «Germania su Italia» ha riguardato il settore «industrial» (fonte: Kpmg);
   per alcuni osservatori economici, quella in atto nel nostro Paese sarebbe una vera e propria invasione pianificata: l'euro sarebbe nato su un patto di ferro franco-tedesco teso a deindustrializzare territori produttivi italiani, il nord Italia in particolare: il territorio di caccia di questa silenziosa guerra di mercato è la Brianza, la Pedemontana lombardo-veneta e la via Emilia, in pratica il meglio della nostra piccola e media industria in settori dove siamo leader mondiali come la meccanica, l'automotive, la filiera chimico-plastica e l'automazione che fanno la gran parte del nostro avanzo primario nel manifatturiero;
   secondo l'economista Giuseppe Russo, responsabile dell'Osservatorio italiano sulla filiera Automotive «Le nostre imprese del Quarto capitalismo fanno concorrenza alle Mittelstand, le loro imprese famigliari, ma i criteri di Basilea II e III mettono in grande difficoltà le nostre banche.» (le nostre imprese fino a 20-30 milioni di fatturato, a parità di dimensione e di qualità del credito, continuano a pagare il denaro mediamente 3 punti in più delle concorrenti tedesche), e se saltano i criteri di credito in un paese bancocentrico come l'Italia, «salta a cascata il sistema delle Pmi. Le migliori ce le compreranno i tedeschi (o i cinesi)»;
   «La carenza di credito è il vero demone che rende vulnerabile il nostro sistema d'impresa», spiega l'economista Bolognini: «Pensate alla scena di un imprenditore 60enne come ce ne sono tanti, con i figli sui trenta. Ha lavorato una vita, potrebbe andare ancora avanti ma comincia a preoccuparsi per il passaggio generazionale. Senza liquidità in cassa, anche se il business funziona, diventa difficile fare fronte a tutte le scadenze, le tasse, i fornitori, gli stipendi. Ecco che ti bussa alla porta un tedesco a cui indebitarsi non costa nulla, ti fa una valutazione industriale che si avvicina alle tue aspirazioni e che i fondi o le banche mai ti farebbero, e il gioco è fatto (...)»;
   nel febbraio 2014 un'inchiesta del Financial Times sollevava il tema dello shopping strategico tedesco: l'attenzione delle imprese tedesche si starebbe «concentrando sulla cosiddetta zona di crisi, dove possono venire in aiuto delle medie imprese italiane che spesso devono lottare per ottenere l'accesso al credito (...)»;
   secondo un recente report dello studio legale e tributario Roedl & Partner, l'Italia è al secondo posto (19 per cento) fra i paesi in cui le imprese familiari tedesche investono fuori dai confini della Germania, subito dopo gli Usa (24 per cento) e prima di Francia e Polonia (16 per cento). La maggior parte delle acquisizioni riguarda imprese con fatturati fra i 10 e i 100 milioni di euro. Ma soprattutto: «più che andare alla ricerca del mercato di sbocco italiano, cercano aziende con personale qualificato e prodotti, marchi o brevetti di eccellenza da commercializzare altrove», dov’è più facile avere credito da banche straniere;
   solo nei settori meccanica e automotive, la banca dati dell'Unioncamere al 31 ottobre 2014 conta ben 152 imprese con azionista di riferimento tedesco. Un numero destinato a crescere come dimostra l'accelerazione di questi ultimi mesi;

secondo un recente articolo dell’Huffigton post, la Germania avrebbe tanti modi per comprarci:
    «1) direttamente tramite acquisizioni;
    2) indirettamente con operazioni spurie: è il caso dei soldi che l'immancabile Kfw, in versione lupo cattivo travestito da nonna buona, presta da qualche tempo alle piccole imprese dei paesi mediterranei in difficoltà. Lo ha fatto con quelle spagnole, portoghesi e greche. Adesso lo farà con l'Italia, attraverso un accordo con Cassa depositi e prestiti;
    3) con operazioni mascherate da partnership strategiche dove i rapporti di forza sono tutti a vantaggio tedesco;
    4) pianificando lo sbarco in grande stile, come accadrà a marzo quando un plotone di 150 funzionari tedeschi si trasferirà per sette mesi in una struttura tra Busto Arsizio e Gallarate, adibita a quartier generale della missione Expo 2015. «Il nostro padiglione, uno dei più grandi dell'Esposizione Universale, proporrà ai visitatori uno sguardo sulle nuove soluzioni tedesche volte a garantire l'alimentazione del futuro», promette il direttore, Erol Altunay, mettendo nel mirino la ricca filiera agro-alimentare italiana»;
   l'Italia starebbe diventando terreno di caccia anche per le aziende cinesi, desiderose di giocare finalmente un ruolo di primo piano e prendere il controllo di marchi di valore ma in crisi di liquidità. Solo nel 2014 quelli della Repubblica Popolare Cinese sono stati il 27 per cento di tutti gli investimenti esteri in Italia;
   secondo il sindacalista Maurizio Landini, intervistato da Repubblica tv, quella della Pirelli, avvenuta in questi giorni, «è una svendita che dimostra la mancanza di una politica industriale in Italia. Si lascia che le aziende strategiche come Pirelli e Finmeccanica finiscano in mani straniere cedendo il controllo di tecnologie e conoscenze. Un grave errore»;
   il passaggio del controllo di Pirelli ai cinesi di ChemChina rischia di essere bissato a breve distanza da un'altra operazione che allontanerebbe un big del settore automobilistico via dall'Italia, ovvero Pininfarina, gruppo italiano di design automobilistico, che sembrerebbe interessare all'indiana Mahindra&Mahindra;
   secondo l'unione industriale di Bologna: «Senza una strategia industriale nazionale molte Pmi finiranno integrate in cicli di business all'estero, perderemo fiscalità, buoni posti di lavoro, competenze, catene di fornitura e know-how sapiente» –:
   se il Governo sia consapevole della situazione di svendita delle nostre eccellenze, descritta in premessa, e se e come intenda intervenire in merito, per proteggere il nostro patrimonio industriale che costituisce la colonna portante della nostra economia;
   se il Governo si stia preoccupando di salvaguardare e con quali modalità, non solo quello che resta della grande impresa nazionale, ma anche tutto il tessuto di piccole e medie imprese che caratterizzano la nostra produzione e che, a quanto sembra, è oggetto del «cherry picking» tedesco in atto;
   in che modo il Governo pensa di intervenire in sede europea per difendere i diritti del nostro Paese contro le violazioni dei patti da parte della Germania, perché quelle sanzioni che continuiamo a ricevere vengano anche applicate a quegli Stati, come la Germania, che poi non rispettano alcune regole sull’export;
   se e in che modo il Governo intenda promuovere l’export italiano, affinché la svalutazione della moneta europea possa davvero apportare dei benefici anche all'economia italiana.
(2-00913) «Sorial».


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico per sapere – premesso che:
   venerdì 20 marzo 2015 il Viceministro Casero ha risposto in aula all'interpellanza urgente posta dall'interpellante, n. 2-00898, concernente iniziative volte a tutelare l'economia italiana dai potenziali rischi legati alla svalutazione dell'euro e al prospettato aumento dell'inflazione, in relazione alle politiche monetarie della Banca centrale, ma non ha risposto ad alcune domande poste circa il supporto all'economia reale, se l'inflazione la metterà in difficoltà, le misure da mettere in campo per supportare l'export italiano e nemmeno circa le misure previste dal Governo per la delicata e rischiosa fase finale del quantitative easing;
   l'Europa sta puntando alla svalutazione dell'euro per uscire dalla crisi, e così da maggio 2014 ad oggi la moneta unica si è svalutata progressivamente di più di 14 punti percentuali arrivando ultimamente quasi alla pari col dollaro, questo anche attraverso l'operazione Quantitative Easing da parte della Banca centrale europea e la riduzione dei tassi di interesse;
   ci si aspetta dalla svalutazione dell'euro effetti positivi sull'economia dell'eurozona da due principali punti di vista: secondo gli economisti da un lato dovrebbe incrementare le esportazioni, dall'altro l'aumento dell'inflazione dovuto all'incremento dei prezzi dei prodotti importati (tra cui le materie prime e in particolare il petrolio);
   per quanto riguarda le esportazioni, l'Italia esporta per circa il 40 per cento all'interno dell'area euro ed inoltre il contesto è tutt'altro che favorevole ad una ripresa dell’export anche al di fuori dell'eurozona: tra sanzioni contro la Russia e Stati Uniti che puntano a ridurre il proprio deficit con l'estero, le esportazioni difficilmente possono essere un traino per la crescita;
   i dati Istat del 18 marzo scorso sul Commercio estero riferito a gennaio 2015 indicano un diffuso rallentamento del nostro export, anche Extra-Ue, quindi nonostante la valuta svalutata: a gennaio 2015, le esportazioni registrano una flessione in termini tendenziali (- 4,2 per cento) determinata dalla diminuzione delle vendite verso entrambe le aree: –4,7 per cento per l'area Ue e –3,5 per cento per l'area extra Unione europea;
   per quanto riguarda l'aumento dell'inflazione, a livello tecnico dovrebbe andare a contrastare la deflazione, ma in sé e per sé, «l'inflazione importata» potrebbe essere di modesta entità, perché i prezzi nei Paesi industrializzati sono relativamente poco sensibili all'aumento dei costi delle importazioni, ma soprattutto potrebbe avere sull'economia reale un effetto recessivo, non espansivo: se i prezzi aumentano a causa dell'aumento dei costi delle importazioni, la domanda in generale non ne può certo beneficiare, anzi, visto che i consumatori si ritroverebbero a fare i con conti prezzi più alti, ma con le stesse entrate di prima, con ogni probabilità potrebbero ridurre i loro già bassi consumi;
   il quantitative easing non è un piano esente da problemi, come dichiarato di recente dallo stesso Mario Draghi: «Siamo consapevoli che le nostre misure possono comportare dei rischi alla stabilità finanziaria»;
   secondo l'economista Marcello Esposito de lavoce.info: «La parte più delicata di un Qe o di una parziale monetizzazione del debito non sta nelle fasi iniziali, ma nella sua conclusione, fase estremamente complessa anche quando il "malato" risponde positivamente alle cure. Le bolle speculative alimentate dal Qe devono essere sgonfiate lentamente per evitare che scoppino e travolgano l'economia reale... Il problema potrebbe quindi sorgere se la Bce non avesse il tempo di aspettare i "fondamentali", ad esempio perché l'inflazione riparte, ma l'economia reale no»;
   secondo il docente universitario Paolo Becchi «È difficile capire come la recente svalutazione dell'euro del 25 per cento nei confronti del dollaro sia ora acclamata da molti politici, economisti e giornalisti come una manna dal cielo, mentre quando si ipotizza lo stesso scenario, riferendosi alla lira, ciò venga dipinto sempre dagli stessi come una catastrofe –:
   se il Governo abbia pienamente valutato quanto descritto in premessa e se si stia attivando, e in caso quali misure stia predisponendo, per affrontare la fase conclusiva del quantitative easing che è la più delicata e potrebbe stravolgere l'economia reale del nostro Paese;
   se e in quale modo il Governo intenda adoperarsi affinché la svalutazione dell'euro e il previsto aumento dell'inflazione non abbiano ricadute negative sui consumi già decisamente bassi a causa della crisi e in che modo abbia intenzione di sostenere dunque l'economia reale e i consumatori che, con le stesse esigue risorse economiche, si troveranno a dover affrontare prezzi più alti;
   se e in che modo il Governo intenda promuovere l’export italiano affinché la svalutazione della nostra moneta possa davvero apportare dei benefici anche alla nostra economia, nonostante il trend negativo attuale e futuro indicato dai recenti dati Istat riportati in premessa non facciano ben sperare;
   cosa pensi il Governo in merito alla possibilità di tornare effettivamente ad una moneta che si svaluta, ma nazionale, così come si sta svalutando l'euro e visto come viene guardata con favore la svalutazione della moneta, ma che permetta di svincolarci da tutta una serie di regole che l'euro porta con sé e che non permettono di attuare quegli investimenti produttivi, necessari per la ripresa economica del nostro Paese.
(2-00914) «Sorial».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TRIPIEDI, COMINARDI, ALBERTI, CHIMIENTI, CIPRINI, PESCO, CASO, DALL'OSSO, MANLIO DI STEFANO, CARINELLI, CANCELLERI, COLONNESE e SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 marzo 2015, sul quotidiano online «Repubblica.it», veniva pubblicata la notizia riguardante le prime stime di percorrenza dei veicoli nel tratto appena inaugurato dell'autostrada Pedemontana Lombarda, svolte da volontari di Legambiente che hanno rilevato che, dopo circa un mese e mezzo dall'inaugurazione della tratta «A» della nuova autostrada Pedemontana che unisce i paesi di Cassano Magnago (Varese) a Lomazzo (Como), la media delle auto che percorrono il tratto indicato della lunghezza di 15 chilometri, è di 18 mila al giorno contro le 60 mila previste dalla stessa società;
   nei rilevamenti dei passaggi svolti in una giornata feriale e nella fascia più critica, quella tra le otto e le nove del mattino, i volontari ambientalisti di Legambiente posizionati a circa metà del tragitto all'altezza di Cislago (Varese), hanno contato poco meno di 2.000 veicoli nei due sensi di marcia, pari all'incirca al traffico sostenuto di una normale strada extraurbana e non certo ad un volume di passaggi da autostrada;
   il dato della percorribilità della tratta «A» ben al di sotto della quota prevista, diventa molto più significativo rapportato al fatto che l'opera, dalla data della sua inaugurazione e almeno fino a tutta la durata dell'evento Expo 2015, non ha pedaggi per chi la percorre;
   il passaggio dell'autostrada Pedemontana, allo stato attuale ha devastato foreste secolari, molte delle quali quasi cancellandole dalle carte geografiche, come il bosco della Moronera a Lomazzo, il Bosco del Battù a Lentate Sul Seveso (Como), e grandi superfici dei boschi delle valli dell'Olona e del Lura. La tratta già realizzata è per il 30 per cento in gallerie naturali e artificiali e per il 41 per cento in trincea profonda. Ciò ha irrimediabilmente sconvolto l'idrologia della rete dei torrenti che dalla fascia prealpina convergono verso il milanese;
   il costo totale del progetto approvato dal CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica), prevedeva una spesa iniziale di 4,115 miliardi di euro, di cui 1,3 miliardi di contributo statale, come confermato in un'intervista in data 18 aprile 2014 sul sito personale dell'allora Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Maurizio Lupi. Ad oggi, il costo è lievitato a 5 miliardi di euro, come riportato dal mensile «Altreconomia» in un articolo del 23 ottobre 2014, mentre il costo dell'opera già realizzata ammonta, per chilometro, a 40 milioni di euro circa;
   in data 1o agosto 2014, il CIPE ha deciso di riservare l'esenzione fiscale totale di Ires, Irap e Iva dell'autostrada Pedemontana, fin dalle prime tratte completate, dall'anno 2016 al 2027, per un valore nominale di minori introiti per lo Stato di 800 milioni di euro pari, in valore attualizzato, ad una defiscalizzazione di 349 milioni di euro. Tali interventi sono stati necessari per l'attuale effettiva mancanza di fondi utili per il completamento dell'opera, denunciata in più occasioni anche dalla stessa società Pedemontana Lombarda spa;
   oltre ai costi insostenibili e alla distruzione dell'ambiente, tra gli svariati problemi che l'opera sta arrecando alla collettività e ai quali le istituzioni e i responsabili della progettazione ed esecuzione di Pedemontana non hanno ancora saputo dare risposte, vi è anche quello inerente ai rischi generati dai possibili imminenti scavi dei terreni e del trattamento degli stessi a tutt'oggi contaminati dalla diossina del disastro dell'ICMESA di Seveso del 10 luglio 1976, nella non ancora costruita tratta «B2». E ancora, quello delle numerose compensazioni ambientali su tutta la tratta, previste e promesse ma mai iniziate;
   la Pedemontana, nel prosieguo dei lavori, attraverserà la provincia di Monza e Brianza, che risulta essere la più edificata d'Italia. Lo stesso sito di Pedemontana Lombarda, indica che l'opera che parte dalla provincia di Varese e attraversa quella di Como, Monza e Brianza e arriva in quella di Bergamo, passerà nella sua totalità in aree tra le più edificate d'Europa;
   allo stato attuale, tecnicamente vi è la possibilità di interrompere i lavori della Pedemontana, in considerazione del fatto che l'autostrada è già confluita, come da progetto, nella già esistente strada statale 35 dei Giovi, più conosciuta come superstrada Milano-Meda;
   a giudizio dell'interrogante, i primi riscontri dei passaggi di auto inferiori di più di due terzi di quanto previsto dimostrano, anche a livello pratico, l'effettiva inutilità di tale opera, ancor più considerando che il tratto aperto al transito è completamente gratuito. La palese incapacità del Governo di risollevare il Paese dalla crisi economica ha diminuito i flussi di veicoli sulle strade nazionali, utilizzati perlopiù da lavoratori e dal trasporto di tipo commerciale. Ancor peggiore risulta essere l'incapacità da parte del Governo di progettare il futuro viabilistico del Paese che, invece di orientarsi verso importanti e serie politiche sulla viabilità tramite mezzi di trasporto collettivi e pubblici così come con successo viene fatto da anni nei Paesi centro e nord europei, continua a voler progettare nuove opere autostradali inutili. Un esempio recente è la appena inaugurata autostrada Brebemi, che collega l'autostrada A4 alla A58 (tangenziale Est Esterna Milano), per poi proseguire e confluire nella A51 (tangenziale Est Milano), con flussi di percorrenza effettivi stimati in meno di 20 mila vetture a fronte dei quasi 60 mila veicoli a regime inizialmente preventivati, come riportato in un articolo pubblicato sul «Corriere della Sera» in data 10 settembre 2014;
   ultima doverosa osservazione dell'interrogante è quella sugli studi di settore riguardanti i reali benefici tra costi e ricavi dell'opera Pedemontana Lombarda, che per il già citato eccessivo costo dell'opera, il devastante impatto ambientale e la più che bassa percorrenza di veicoli rilevata, li rendono fallimentari come fallimentare è da considerarsi l'opera stessa –:
   se il Governo non intenda formulare iniziative normative per sanzionare chi commetta errori sugli studi di settore riguardanti i reali benefici tra costi e ricavi delle grandi opere e dei componenti le società che approvano tali progetti, evitando di far ricadere i costi economici degli errati calcoli sulla collettività;
   se il Governo non reputi necessario, a seguito dell'ingente quantità di risorse mancanti che si vogliono comunque impiegare per il completamento dell'opera Pedemontana Lombarda e per il continuo disastro ambientale che porterà il proseguimento dei lavori, interrompere l'opera in prossimità degli attuali cantieri fermi alla tratta «B1»;
   quali soluzioni abbia previsto il Governo, nel caso si continuino i lavori, per risolvere le problematiche inerenti i terreni inquinati dalla diossina presenti nella tratta «B2» e quali soluzioni abbia considerato per iniziare le compensazioni ambientali previste come da progetto;
   se il Governo non intenda attuare una politica di miglioramento e potenziamento degli attuali servizi di trasporto pubblico e di veicoli commerciali sul modello dei Paesi centro e nord europei, nel massimo rispetto dell'ambiente, dei cittadini che economicamente contribuiscono alle realizzazioni di tali opere e della reale necessità di realizzazione di tali interventi, preferendola alla politica poco redditizia dello spostamento su gomma come evidenziato dai recenti e sopracitati casi di Pedemontana Lombarda e Brebemi.
(5-05195)


   GALLINELLA, L'ABBATE, PARENTELA, GAGNARLI e NESCI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   al fine di potenziare le politiche di coesione e di migliorare la gestione, l'attuazione e l'efficacia dei fondi strutturali e del fondo per lo sviluppo e la coesione per il periodo 2014-2020, con decreto-legge n. 101 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2013, è stata istituita l'Agenzia per la coesione territoriale sottoposta alla vigilanza del Presidente del Consiglio dei ministri;
   come stabilito dalla citata normativa, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 9 luglio 2014, è stato approvato lo statuto dell'Agenzia e con successivo provvedimento del 19 novembre 2014 è stato riorganizzato il nucleo tecnico di valutazione e verifica degli investimenti pubblici di cui al decreto legislativo n. 430 del 1997;
   la suddetta riorganizzazione ha disposto la costituzione, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri del nucleo di valutazione e analisi per la programmazione (NUVAP) e, presso l'Agenzia per la coesione, del nucleo di verifica e controllo (NUVEC) al quale tra l'altro, sono attribuite funzioni di audit ai sensi dei regolamenti comunitari e delle norme nazionali in materia di risorse aggiuntive, al fine di garantire la correttezza e la regolarità della spesa;
   ad oggi non risulta tuttavia emanato il regolamento che disciplina l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia e conseguentemente del NUVEC con l'impossibilità, da parte dell'IGRUE quale organismo di coordinamento nazionale della funzione di audit, di procedere alla designazione delle autorità di audit dei programmi operativi nazionali della programmazione 2014-2020;
   al fine di procedere alla fase attuativa dei PON 2014-2020, già approvati dalla Commissione europea, è pertanto necessario completare la relativa governance con la designazione dei comitati di sorveglianza ma soprattutto con l'operatività delle autorità di audit quale il NUVEC –:
   se non ritenga urgente, anche in considerazione dell'evidente ritardo con il quale si avvia la programmazione 2014-2020, che si proceda al completamento degli adempimenti normativi indispensabili a garantire la piena operatività dell'Agenzia per la coesione territoriale e in particolare all'adozione del regolamento e degli altri eventuali atti generali che disciplinano l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia e quindi del nucleo di verifica e controllo al quale sono attribuite funzioni di audit. (5-05198)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   come riporta un articolo dell’Informatore agrario, il meccanismo del cosiddetto reverse charge in agricoltura produrrebbe danni devastanti al settore dell'agricoltura nazionale;
   la maggiore associazione degli industriali italiani, contestando nel merito la normativa prevista con la legge di stabilità 2015, ha già presentato un ricorso alla Commissione europea in cui esprime la propria preoccupazione circa le conseguenze pratiche ed immediate dell'applicazione di questo meccanismo a carico delle aziende;
   questo meccanismo prevede che le aziende debbano sborsare, subito, l'Iva sulle fatture di acquisto senza poterla incassare per merci e servizi venduti con il risultato di un deficit finanziario per le aziende, costrette a chiedere il rimborso Iva allo Stato ed un tesoretto da gestire per il Governo, tanto più consistente quanto più lunghi saranno i tempi di restituzione dell'imposta alle imprese;
   le imprese, inoltre, dovranno sostenere maggiori costi, in termini di tempi persi a dedicarsi al disbrigo di pratiche burocratiche per richiedere detto rimborso ed in termini finanziari come conseguenza dell'obbligo di sottoscrivere delle fideiussioni (obbligatorie per legge) bancarie o assicurative per tutelarsi dalle false richieste;
   a questo evidente danno nei confronti nei confronti delle imprese si aggiunge la beffa della procedura d'infrazione nei riguardi dell'Italia proprio a causa dei ritardi nel rimborsi dell'Iva;
   per l'agricoltura, già martoriata da decine di balzelli e da ultimo l'Imu, l'applicazione della normativa sta iniziando a produrre i primi effetti nefasti ed altri ne giungeranno se non si interviene bene ed in tempi adeguati;
   i produttori di energia elettrica fotovoltaica o da biogas sono stati i primi ad essere colpiti: da gennaio il Gse non paga più l'Iva sul valore dell'energia. Gli agricoltori, però, pagano l'imposta sulle fatture d'acquisto per i servizi ed i materiali delle manutenzioni e per le prestazioni e i mezzi tecnici necessari, ad esempio, a produrre la bio-massa destinata ad alimentare il digestore;
   molti imprenditori non hanno avuto il tempo di recuperare l'Iva pagata sulle spese sostenute per la costruzione dell'impianto prima dell'introduzione del reverse charge, pertanto si trovano ora esposti nei confronti dello Stato per centinaia di migliaia di Euro;
   l'impatto maggiore si potrebbe avere nell'eventualità che la Commissione europea dia il «via libera» all'inserimento nella lista dei soggetti destinatari del meccanismo di cui sopra anche alla grande distribuzione organizzata;
   nasce da questa preoccupazione l'azione di Confindustria, secondo la quale la fattispecie è consentita dalla legislazione europea solo in presenza di rischi di frode ampiamente documentati, quale non è il caso dei fornitori di supermercati, ipermercati e discount;
   non possiamo correre il rischio che tale normativa venga applicata alle finanze delle tante cooperative e aziende agricole fornitrici della GDO, come ai produttori di latte e di carne in regime forfettario dell'Iva;
   a giudizio dell'odierno interrogante e dell'estensore dell'articolo dell'Informatore agrario si tratta di una vera e propria sottrazione di liquidità alle imprese in grado di metterne a rischio la loro stessa esistenza e non deve trovare applicazione in agricoltura;
   il primo effetto concreto sarà il blocco degli investimenti, un colpo alla competitività delle nostre imprese e della nostra economia nazionale che ha visto nel settore primario un elemento di tenuta sia del Pil che dell'occupazione –:
   quali iniziative di competenza intendano adottare i ministri interrogati per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-08589)


   REALACCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende dalle maggiori agenzie stampa nazionali, articoli sui quotidiani, allarmi lanciati da Legambiente, dal Kyoto Club e dal coordinamento Free la Commissione Europea, per tramite di una lettera inviata al Governo Italiano dal commissario Miguel Arias-Canete, ha espresso forti critiche sui ritardi e sulle contraddizioni nel recepimento della Direttiva europea 2012/27 sull'efficienza energetica;
   dette critiche rispetto al mancato o non corretto recepimento vanno dagli audit per capire lo stato di salute energetico delle abitazioni ai sistemi di trasmissione dell'energia, fino alla tutela della corretta informazione dei cittadini sui consumi e i risparmi alla distribuzione di energia. Nel mirino anche le misure volte ad eliminare gli ostacoli di ordine regolamentare e non regolamentare all'efficienza energetica e le misure per agevolare, attraverso strumenti finanziari, gli interventi di efficienza energetica;
   sono ben 35 i punti problematici riscontrati dagli uffici della Commissione;
   in particolare l'Italia ha recepito con decreto-legge 4 luglio 2014, n. 102 il testo dell'articolo 9 della citata ignorando, tuttavia, la contestuale e consistente implementazione dell'articolo 19 che prevede la norma degli «opposti incentivi» tra diversi proprietari, lasciando agli Stati membri legiferare ciascuno autonomamente (nel rispetto dei principi di proporzionalità e complementarietà dell'intervento comunitario), vista la diversità di regole per l'amministrazione degli stabili o per il rilascio delle licenze edilizie nei diversi Stati membri. Tuttavia il non aver implementato coerentemente l'articolo 19 potrebbe determinare nell'arco dei prossimi mesi un alto grado di litigiosità;
   numerosi studi e rapporti dimostrano senza dubbio che i cittadini e le imprese italiane avrebbero vantaggi enormi se si puntasse decisamente in questa direzione, perché si ridurrebbero la spesa energetica e le importazioni, migliorerebbero le prestazioni ambientali e si creerebbe lavoro attraverso l'innovazione. Dati ENEA confermano che le politiche di detrazioni fiscali relative al periodo 2007-2013, le famiglie italiane hanno realizzato 1,8 milioni di interventi di efficientamento energetico delle loro abitazioni per un importo totale pari a 22 miliardi di euro. Tale trend conferma che il successo delle detrazioni fiscali del Governo italiano come meccanismo per la diffusione dell'efficienza energetica presso i cittadini per ridurre l'inquinamento, i costi della bolletta energetica ed aumentare il comfort;
   il recepimento farraginoso e incompleto potrebbe ostacolare nel tempo gli scopi ultimi della citata direttiva: si pensi ad esempio all'assenza di recepimento di norme innovative per i condomini che per assicurare una spesa per l'efficientamento energetico possa essere presa allorquando sia richiesta da una minoranza di proprietari che si ritrovino «svantaggiati» o la previsione di un sistema correttivo della ripartizione delle spese che tenga conto in certa misura del consumo effettivo e in altra misura della diversa prestazione energetica dei diversi alloggi –:
   quali iniziative urgenti intendano mettere in campo, visti i 60 giorni di tempo per la risposta del Governo Italiano alla Commissione europea, il Presidente del Consiglio dei ministri e i Ministri interrogati al fine di sanare i sopracitati rilievi mossi dal commissario Arias-Canete. (4-08593)


   PETRAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi è stato condannato in primo grado dalla magistratura contabile quando svolgeva le funzioni di presidente della provincia di Firenze per aver assunto, con l'avallo della giunta comunale, quattro direttori generali con retribuzioni superiori a quelle massime previste dal vigente contratto collettivo nazionale di lavoro, laddove l'ente locale avrebbe potuto nominare un solo direttore ai sensi dell'articolo 108 del testo unico degli enti locali;
   quel decreto presidenziale, secondo la procura, avrebbe provocato un danno erariale pari a 1.175.351 euro. Ma nel successivo riesame della causa in sede di appello la sezione giurisdizionale centrale della Corte dei conti ha ribaltato la sentenza di condanna in assoluzione piena (decisione n. 10 del 4 febbraio 2015);
   nel testo della sentenza, con grande stupore si legge: «se è pur vero che il presidente Renzi ha indicato nominativamente i componenti della propria segreteria...; se è pur vero che il presidente Renzi ha preso visione dei relativi curricula, rendendolo consapevole del livello culturale degli interessati...; se è pur vero che i provvedimenti erano a firma del presidente della Provincia... ciò nonostante, non può non considerarsi il fatto che l'istruttoria amministrativa, i pareri resi nell'ambito dei procedimenti interessati e i relativi contratti sono stati curati dall’entourage amministrativo e dalla struttura amministrativa provincia che hanno sottoposto all'organo politico una documentazione corredata da sufficienti, apparenti garanzie tanto da indurre ad una valutazione generale di legittimità dei provvedimenti in fase di perfezionamento»;
   tale motivazione desta all'interrogante perplessità, sgomento e lascia un senso di vuoto;
   secondo quanto riportato da alcuni giornali, neppure dopo una settimana dalla pubblicazione della sentenza che ha assolto il Presidente del Consiglio, il Consiglio dei ministri su proposta dello stesso Renzi ha deliberato la nomina del magistrato Martino Colella che presiedeva il collegio giudicante all'alta carica di procuratore generale della Corte dei conti –:
   quali presupposti e quali motivazioni abbiano portato alla proposta di nomina del magistrato Martino Colella alla carica di procuratore generale della Corte dei conti. (4-08605)


   MICILLO, BUSTO, DE ROSA, DAGA, MANNINO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Villaricca (Napoli), a ridosso dell'istituto comprensivo Italo Calvino e della villa comunale di Via Bologna, vi è una cava denominata «AL.MA.», risalente al 1994 e oggi chiusa al conferimento e, almeno formalmente, messa in sicurezza;
   la presenza di tale cava desta preoccupazioni per tutti gli abitanti della zona, principalmente per l'incertezza della tipologia degli scarichi che vi si sono operati e per le emissioni che tutt'oggi si diffondono nell'aria e che sono percepibili chiaramente in prossimità della cava. A testimonianza della fondatezza della preoccupazione degli abitanti, basti pensare che questi, fino a qualche anno fa, avevano la visuale parzialmente coperta dalla presenza della cava ed ultimamente la visuale si è liberata in quanto la discarica si è materialmente «abbassata»;
   nessuna notizia si ha dell'esistenza di impianti di trattamento del percolato in tale cava per cui è certo che gli inquinanti provenienti dalla discarica, quali percolato ed altre sostanze, vengano assorbiti direttamente dal terreno;
   come se non bastasse, gli abitanti di via Bologna sono assillati anche delle discariche abusive presenti alla fine di via Bologna, a confine con i comuni di Giugliano e Qualiano;
   a detta degli abitati: «Con le giornate di vento siamo costretti a chiuderci in casa per la puzza nauseabonda proveniente dalle discariche»;
   cava AL.MA. prende il nome dalla società AL.MA. di Villaricca la quale a sua volta è riconducibile all'imprenditore Luca Avolio;
   la discarica dell'AL.MA. era al centro di un traffico di rifiuti che coinvolgeva il gotha criminale dello smaltimento dei rifiuti, così è riportato dalle dichiarazioni del pentito Gaetano Vassallo e così emerge dalla relazione finale della commissione bicamerale d'inchiesta sui rifiuti presieduta nella XVI legislatura da Gaetano Pecorella;
   Luca Avolio, il titolare dell'Alma, partecipava ai summit con Gaetano Vassallo, ora collaboratore di giustizia e l'avvocato Cipriano Chianese ritenuto il capo della cupola dei traffici di rifiuti tra nord e sud; importante è il passaggio della sentenza di condanna emessa dal giudice per l'udienza preliminare in data 19 luglio 1994, procedimento n. 9731/93 R.G. nei confronti di Gaetano Cerci ritenuto il braccio destro di Cipriano Chianese. Qui si ricostruisce anche il ruolo di Avolio: «... il Cerci era stato delegato da Francesco Bidognetti (detto Cicciotto e'Mezzanotte) a rappresentarlo, in quanto latitante, nella gestione del traffico di rifiuti [...] partecipando alle riunioni operative con i gestori delle discariche interessati dai traffici illeciti: Avolio, Vassallo e Chianese»;
   lo stesso Luca Avolio fu arrestato nell'ambito dell'inchiesta Adelphi, la sua discarica riceveva indebitamente le autorizzazioni per lo smaltimento dei rifiuti da parte dell'ex assessore provinciale Raffaele Perrone Capano –:
   se il Ministro intenda inviare un'ispezione del Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente nelle aree descritte al fine di valutare quanto segnalato in premessa. (4-08606)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta scritta:


   MERLO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   dai provvedimenti sinora assunti dal Governo sembrerebbe che le scuole d'italiano all'estero non sono una priorità: preferendo ridurre il numero degli insegnanti, per ridurre le spese;
   il ridimensionamento del personale era già stato previsto dalla spending review;
   per gli insegnanti italiani nel mondo: sono previsti circa 5 milioni di euro in meno per i prossimi anni, che dovrebbero significare una riduzione della busta paga del 10 per cento per tutti; tagli sono contenuti nella manovra per il 2015 e sono previsti non nel capitolo dedicato al Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca ma a quello per gli affari esteri e la cooperazione internazionale, da cui dipendono questi docenti;
   in particolare, si parla di una contrazione di 3,7 milioni nel 2015 e 5,1 milioni per il 2016 e il 2017 sugli stanziamenti per le indennità di servizio. Oltre allo stipendio tradizionale, infatti, gli insegnanti all'estero percepiscono un assegno «extra», che varia a seconda delle sedi di lavoro e che sino a d oggi non veniva sottoposto a tassazione, se non per una minima parte considerata reddito. Su questo trattamento ha deciso di intervenire il governo, quadruplicando l'imponibile;
   il provvedimento riguarda tutto il personale all'estero: già decurtato di 57 milioni tra il 2011 e il 2014, il fondo per le indennità di servizio passa da 212 a 170 milioni di euro l'anno, con un taglio pari circa al 20 per cento, Il risultato è stato quello di ridurre l'indebitamento netto di circa 31 milioni, ma a spese dei lavoratori;
   la spending review aveva già deciso un taglio di quasi il 50 per cento del contingente, passando dai circa mille insegnanti del 2010 a 624. Il ridimensionamento doveva essere attuato entro il 2017, ma ci si è arrivati con due anni d'anticipo sulla tabella di marcia, decidendo di non rinnovare tutti i mandati in scadenza;
   dall'Algeria al Venezuela, da New York negli Stati Uniti a Brazzaville nella Repubblica Democratica del Congo, le scuole d'italiano all'estero sono 51, di cui otto istituti onnicomprensivi statali, e 43 istituti paritari, a cui si aggiungono 79 sezioni italiane presso scuole straniere. In totale ospitano circa 31 mila alunni, di cui il 90 per cento stranieri, proprio per quella che è la loro funzione di promuovere la lingua e la cultura italiana nel mondo;
   i docenti però devono superare delle prove di lingua, e poi inserirsi in graduatorie a punteggio divise per classi di concorso e aree linguistiche. Sono queste liste a determinare la sede d'assegnazione, ciascuna delle quali prevede un coefficiente (sulla base di vari criteri come la distanza da casa, la pericolosità della regione, il costo e la qualità della vita, e altro) per calcolare l'importo dell'indennità di servizio;
   dal primo luglio 2015 quest'assegno avrà un regime fiscale decisamente più sfavorevole –:
   se il Ministro ritenga necessaria una riconsiderazione della spesa esposta in premessa, che sembra colpire i docenti con una serie di tagli lineari che non risolvono i problemi e riducono il servizio necessario per una prestazione minima, o se non ritenga necessaria una iniziativa normativa diretta ad una modifica immediata della disciplina del settore degli insegnanti italiani all'estero. (4-08591)


   PALAZZOTTO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   Federico Annibale – giovane cittadino italiano e studente per il master in development Studies presso la prestigiosa School of Oriental and African Studies (SOAS) dell'Università di Londra – è detenuto a Francoforte dalle ore 10 di mercoledì 18 marzo 2015, in attesa di processo senza che siano stati formulati capi d'imputazione a suo carico;
   Federico Annibale è stato arrestato mentre partecipava pacificamente alla mobilitazione internazionale di Blockupy per contestare la cerimonia di apertura della nuova sede della Banca centrale europea e chiedere il superamento delle politiche di austerity. I suoi rappresentanti legali non hanno ancora ricevuto prove che motivino la sua detenzione. Dovrebbe essere già stato rilasciato su cauzione, come è successo con tutti gli altri cittadini tedeschi arrestati nella stessa occasione. Ma nel suo caso la giustizia tedesca si è comportata diversamente;
   «A Francoforte – come denunciato da numero associazioni a tutela dei diritti e, nel corso di un dibattito parlamentare al Bundestag, dai deputati di Die Linke – questa settimana si è assistito alla sospensione delle libertà civili, con la detenzione usata come misura preventiva e punitiva»;
   Federico Annibale è stato arrestato nel pieno centro della città (la strada commerciale Zeil) lontano dai luoghi dove si sono verificati gli incidenti, mentre mangiava un panino seduto insieme ad amici. La polizia ha usato forza eccessiva durante l'arresto, nonostante lui non avesse opposto alcuna resistenza;
   secondo le associazioni tedesche che si occupano della tutela dei diritti civili appare inoltre evidente, anche dalla campagna stampa condotta da alcuni media tedeschi e dalla stessa Polizia del Land Assia, il tentativo di attribuire a «manifestanti stranieri» e italiani in particolare, contro ogni evidenza, la responsabilità degli incidenti che si sono verificati –:
   se il Governo intenda intervenire presso le autorità della Repubblica federale di Germania affinché Federico Annibale sia immediatamente scarcerato, possa lasciare liberamente il territorio tedesco per fare ritorno ai suoi studi e ai suoi affetti e gli sia assicurato un giusto processo, nel quadro di tutte le garanzie costituzionali previste dalla Grundgesetz;
   se il Governo intenda attivare, in ogni caso, ogni possibile strumento diplomatico per garantire a Federico il pieno sostegno legale. (4-08609)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 9 ottobre 2013, viene inaugurato a Crescentino (VC) il primo impianto al mondo per la produzione di bioetanolo da biomasse non alimentari – IBP spa –, di proprietà della Beta Renewables, joint venture di cui fa parte il gruppo Mossi Ghisolfi;
   dalla presentazione diffusa, dalla stessa bioraffineria, viene assicurato che l'impianto non produce reflui derivanti dalla produzione industriale e ha un riciclo dell'acqua pari al 100 per cento;
   il 25 febbraio 2015 si apprende, da fonti stampa, la notizia che, nel canale che esce dalla IBP attraversando la frazione Landoglio, l'acqua del rio è marrone e oleosa. A denunciare il fatto gli stessi abitanti che, preoccupati, hanno chiesto l'intervento della polizia locale, della Asl e dell'Arpa per le operazioni di controllo e monitoraggio. Nella dichiarazione di un residente si legge, infatti, che «a parte il colore e l'aspetto, la cosa più inquietante è che, a un certo punto, i pesci hanno iniziato a venire a galla e a boccheggiare, segno che forse quelle sostanze non fossero del tutto innocue»;
   il dirigente responsabile del dipartimento Arpa di Vercelli ha spiegato che «si è verificato uno sversamento dall'impianto IBP SpA nel fosso, dovuto alla rottura di un tubo del sistema di raffreddamento dell'impianto di produzione di bioetanolo. I tecnici Arpa sono intervenuti, la ditta ha incanalato le acque deviandone il percorso», volendo inoltre rassicurare i residenti sulla non pericolosità delle sostanze;
   in riferimento ai fatti sopracitati, il 27 febbraio 2015 l'area pianificazione e gestione del territorio del comune di Crescentino pubblica un avviso, a firma del sindaco, in cui si comunica che «presso l'impianto della Italian Bio Products spa, a causa della rottura meccanica avvenuta ad una delle piastre di uno degli scambiatori dedicati alla fase di idrolisi, le acque di raffreddamento sono state contaminate da fluido proveniente dal processo produttivo. Tale situazione ha generato un'anomalia a livello qualitativo nelle acque di scarico provenienti dallo spurgo torri di raffreddamento e destinate al corpo idrico ricettore fosso dell'Acqua Chiara»;
   il 19 marzo 2015 fonti stampa denunciano un altro allarme nelle acque del rio, diventate nuovamente marroni, maleodoranti e con una grande quantità di pesci morti. Gli abitanti commentano dicendo «se pensiamo che quest'acqua è la stessa impiegata per bagnare i campi e, di conseguenza, le cose che arrivano poi sulla nostra tavola, forse non c’è da stare poi tanto tranquilli»;
   secondo i residenti della zona non si tratta solo di singoli episodi, visto che, già altre volte, in passato si è assistito a simili episodi;
   l'Assessore all'Ambiente, recatosi sul posto, ha contattato i vertici dell'IBP che hanno parlato di un guasto all'impianto a causa di una paratia che perdeva acqua –:
   se il Ministro non ritenga opportuno, vista la distanza ravvicinata tra i due episodi, disporre verifiche e controlli da parte del personale appartenente al comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente (C.C.T.A.), in relazione all'oggettivo pericolo che si verifichi un danno ambientale, ai sensi dell'articolo 197, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
(5-05199)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   TONINELLI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   le province della Lombardia sono interessate da numerosi e gravissimi episodi di inquinamento ambientale, in particolare relativi alla presenza di numerose discariche abusive, indebitamente rimosse dall'intervento dello Stato nell'ambito delle procedure di infrazione avviate dall'Unione europea, fino a far parlare la stampa nazionale, relativamente a zone come quella del cremonese, del rischio che la presenza di discariche e rifiuti pericolosi trasformi le aree interessate in una nuova «terra dei fuochi», simile a quella più nota collocata nelle aree del napoletano e del casertano. Si possono ricordare, tra i casi più recenti, quelli del sequestro della discarica di Cavenago d'Adda (Lodi) dello scorso gennaio;
   a tali criticità si aggiungono tutte quelle derivanti dai sempre più frequenti rilievi di materiali altamente pericolosi nelle aree urbane: si pensi, per quanto riguarda alla sola città di Cremona, al sequestro preventivo un'area di 5.300 metri quadrati in via San Bernardo, confinante con una scuola frequentata da molti bambini le cui strutture erano già state oggetto di crolli risalente allo scorso ottobre, o i 26 garage sequestrati in via Giuseppina lo scorso gennaio, per limitarsi ai casi più recenti;
   si può fare riferimento, infine, al rapporto sugli illeciti ambientali di Legambiente «Ecomafia 2014», nel quale a fronte dei 29.274 infrazioni penali ambientali accertate negli ultimi 12 mesi, in calo del 14,2 per cento rispetto all'anno precedente su scala nazionale, vede un aumento del ciclo illegale del cemento nell'area di Brescia;
   a fronte di questa situazione, la struttura del Nucleo operativo ecologico dei carabinieri, con sede e Brescia e competente per le province di Brescia, Cremona, Mantova e Bergamo risulta essere attualmente composto da sole due unità operative. Questa situazione, è opportuno ricordarlo, fa riferimento ad un deficit di personale non solo riferito ad un arco temporale recente, ma lungamente risalente nel tempo –:
   quale sia nel dettaglio lo stato delle iniziative annunciate relativamente alla questione della carenze di personale presso la struttura del Nucleo operativo ecologico dei carabinieri di Brescia;
   se intenda assumere con urgenza ogni provvedimento necessario all'incremento dell'organico presso le strutture del succitato Nucleo operativo ecologico dei carabinieri di Brescia. (4-08594)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO, BARBANTI, ROSTELLATO, BALDASSARRE, ARTINI, PRODANI, SEGONI, TURCO, BECHIS e MUCCI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   a quanto è dato sapere, in Italia nei 29 tribunali per i minorenni e nelle corti d'appello minorili operano circa un migliaio di magistrati onorari. La normativa in materia prevede che siano «cittadini benemeriti», esperti di psichiatria, psicologia, pedagogia, sociologia, biologia. Gli stessi, vengono retribuiti in base all'attività che svolgono;
   il ruolo dei giudici onorari è rilevante considerando che in ogni tribunale minorile le corti sono composte da due giudici togati e da due onorari; in corte d'appello da tre togati e due onorari. A riguardo si fa presente che «Finalmente Liberi Onlus», organizzazione che si batte per la tutela dei minori, spesso sottratti alle famiglie d'origine con eccessiva facilità per l'affidamento alle case famiglia, ha indagato sui giudici onorari e ha scoperto che 151 nei tribunali, più 54 nelle corti d'appello, operano in totale e palese conflitto d'interessi. Difatti, questi 205 giudici, che ogni giorno decidono sull'affidamento di bambini a una casa-famiglia, dipendono loro stessi da tali strutture. In molti casi hanno contribuito a fondarle, ne sono azionisti, fanno parte dei loro consigli d'amministrazione;
   già in passato sono stati presentati atti di sindacato ispettivo che denunciano il predetto conflitto di interessi. È assurdo che i medesimi giudici che decidono l'affidamento dei minori alle case famiglia contribuiscono, in pratica, a far funzionare i centri che hanno creato o per i quali lavorano;
   è evidente l'incongruità e la gravità della situazione. Dall'indagine risulta che il 20 per cento circa dei magistrati minorili italiani ha un qualche interesse diretto (ed economico) a che i bambini siano destinati in un centro d'affido. Tali strutture per quei bambini affidati, ricevono dagli enti locali una retta giornaliera. L'associazione predetta ha individuato più casi dove la tariffa supera i 400 euro al giorno;
   intorno alle case famiglia vi è un business notevole, poiché in Italia è elevato il numero dei minori allontanati delle famiglie. Tra l'altro, questi centri, sembra siano gestiti senza alcuna trasparenza;
   nel 2010 il Ministero del lavoro e delle politiche sociali condusse il primo e forse unico studio approfondito sulla questione e scoprì che al 31 dicembre di quell'anno i bambini e i ragazzi portati via dalle loro famiglie erano 39.698. Tuttavia, tale statistica risulta approssimata per difetto. «Finalmente Liberi» stima che siano più di 50 mila. Si può pertanto ipotizzare che alimentino un «mercato» potenziale da 1 o 2 miliardi di euro l'anno;
   si ribadisce che, ad oggi, risulta la sussistenza di una moltitudine di giudici onorari in palese conflitto d'interessi, tuttavia, non si adottano urgenti e opportuni provvedimenti, considerando che è in gioco la tutela dei minori;
   ma vi è di più, il Consiglio superiore della magistratura (Csm) ha più volte emanato circolari nelle quali indica i criteri di incompatibilità dei giudici. Ma a quanto è dato sapere tali circolari restano inascoltate. A riguardo, gli stessi tribunali dei minori dovrebbero sorvegliare, ma ciò a quanto pare non avviene –:
   quali siano gli orientamenti del ministro interrogato in merito ai fatti premessi;
   se e quali iniziative normative urgenti intenda adottare il ministro interrogato per quanto di competenza rispetto ai fatti denunciati in premessa dall'associazione «Finalmente Liberi»; in particolare al fine di evitare che giudici onorari possano essere chiamati a far parte di collegi pur essendo in posizione di possibile conflitto di interesse;
   se e quali iniziative normative urgenti intenda adottare il ministro affinché siano efficacemente tutelati i minori coinvolti rispetto ai quali va deciso l'affidamento, considerando che a quanto sembra in Italia gli stessi siano affidati alle case famiglia anche quando non vi siano le condizioni per disporre tale provvedimento. (5-05201)

Interrogazione a risposta scritta:


   FAVA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   mercoledì 18 marzo 2015, a San Pietroburgo in Russia, veniva individuato e sottoposto a fermo di polizia, in esecuzione di un provvedimento emanato dalla direzione distrettuale antimafia di Roma, il latitante Nicola Di Mauro, ritenuto una figura di spicco del clan mafioso dei Fasciani;
   tale clan radicato da tempo sul litorale di Ostia e smantellato a seguito delle operazioni di polizia giudiziaria denominate «Alba Nuova» e «Tramonto» che hanno sin qui portato alla condanna in primo grado per il reato di associazione mafiosa di numerosi esponenti del sodalizio criminale (con sentenza del GUP di Roma, all'esito del processo abbreviato, del 13 gennaio 2014 e sentenza del tribunale di Roma, X sezione penale, all'esito di processo ordinario, del 30 gennaio 2015);
   Nicola Di Mauro è riuscito a sottrarsi alla cattura disposta nell'ambito dell'operazione «Tramonto» che ha portato all'arresto, il 4 marzo 2014, di 15 persone per diversi reati volti a favorire il sodalizio mafioso dei Fasciani di Ostia;
   secondo quanto riferito da alcune testate giornalistiche, Di Mauro è stato rilasciato dall'autorità giudiziaria russa a causa di alcuni vizi formali che inficerebbero la richiesta di cattura ed estradizione del latitante;
   a quanto consta all'interrogante taluni organi di stampa della Federazione russa stanno, a seguito della vicenda della scarcerazione del latitante Di Mauro, criticando il sistema giudiziario del nostro Paese, con particolare riferimento alle modalità di contrasto delle associazioni criminali mafiose –:
   quali provvedimenti il Ministro interrogato intenda adottare al fine di ottenere l'immediata estradizione di Nicola Di Mauro e per evitare l'ulteriore fuga di questo pericoloso latitante. (4-08600)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TARICCO, GRIBAUDO, BORGHI, BENAMATI, LAVAGNO e RABINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   che il 5 giugno 2008 i vertici della struttura tecnica del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, unitamente ai vertici di ENAV e di ENAC in un incontro con GEAC spa, la società di gestione dell'aeroporto di Cuneo, presso la sede della Direzione generale del Trasporto aereo del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, concordarono letteralmente che «nelle more dell'attivazione della procedura prevista nel contratto di programma 2007/2009, ancora in via di definizione, tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze e della difesa, ed ENAV spa, di procedere alla stipula di un accordo convenzionale che preveda l'attivazione del servizio TWR presso l'aeroporto di Cuneo .... I relativi costi aggiuntivi saranno sostenuti da GEAC medesima e regolati da apposita convenzione»;
   a quanto è dato sapere il servizio TWR su Cuneo, nonostante l'impegno assunto, non sarebbe stato inserito nel Contratto di Programma 2007/2009 mentre aeroporti con traffico minore e/o similare sembrerebbero esservi inclusi;
   il traffico presso detto scalo parrebbe essere cresciuto dagli originari 26.000 passeggeri del 2006 (anno di riferimento per il contratto di programma 2007/2009) agli oltre 290.000 passeggeri del 2013 di cui ben oltre la metà internazionali;
   ENAV, in accordo con l'ente vigilante ENAC, a sua volta sottoposto alla vigilanza del Ministero, avrebbe interrotto il servizio TWR sull'aeroporto di Cuneo per presunta morosità della società di gestione, con gravissime conseguenze per l'operatività dello scalo;
   altri aeroporti italiani, con numero di passeggeri e movimenti significativamente inferiori o similari a quelli di Cuneo, parrebbe abbiano beneficiato negli anni del servizio torre per 16 o 18 ore al giorno mentre a Cuneo sarebbe stato richiesto il pagamento per averlo per sole 8 ore –:
   se il Ministro interrogato, sia a conoscenza dei fatti di cui sopra;
   se risponda a verità che il Contratto di servizio 2007/2009 sia stato registrato alla Corte dei conti solo nel 2012;
   se siano stati approvati e registrati i contratti di servizio 2010/2012 e 2013/2015 e se negli stessi sia stato inserito il servizio TWR sull'aeroporto di Cuneo, anche tenuto conto che aeroporti con traffico minore e/o similare sembrerebbero esservi inclusi;
   se a partire dal 2012, ENAV abbia riscosso, ai sensi di tutta la regolamentazione di settore, le tariffe di terminale dai vettori che hanno usato il servizio di controllo del traffico aereo presso lo scalo di Cuneo Levaldigi, nonché se i provvedimenti adottati per l'aeroporto di Cuneo abbiano avuto precedenti con altre strutture aeroportuali;
   se sia possibile conoscere quali siano i criteri tecnici con cui, all'interno del contratto di programma con ENAV spa, vengono definiti i livelli di servizio nei singoli aeroporti. (5-05200)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LODOLINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   attualmente l'officina manutenzione rotabili diesel di Fabriano sta svolgendo manutenzione di mezzi diesel (Ale 668) con un organico di 37 lavoratori circa (16 dipendenti Trenitalia, gli altri dipendenti di ditte appaltatrici che gestiscono servizi accessori e di pulizia);
   la direzione trasporto regionale Marche di Trenitalia ha comunicato che, con l'arrivo di nuovi treni Diesel, il 31 dicembre 2015 ci sarà un fortissimo ridimensionamento dell'impianto di Fabriano, con una grande ripercussione sull'occupazione;
   in questo impianto per diverso tempo è stata svolta in maniera eccelsa la riparazione dei mezzi di RFI (cosiddetti carrelli di manovra) usati per la manutenzione della linea ferroviaria;
   officine che effettuano questo tipo di manutenzione ve ne sono soltanto due a livello nazionale (Cosenza e Bologna) e Rete ferroviaria italiana ha manifestato l'esigenza di individuare un altro sito per queste lavorazioni;
   l'impianto di Fabriano nel 2014 è stato messo a norma con l'acquisizione del certificato di prevenzione incendi che certifica, appunto, il rispetto della normativa prevenzione incendi ovvero la sussistenza dei requisiti di sicurezza specifici e in più sono stati effettuati interventi per la sicurezza dell'impianto stesso e dei lavoratori;
   negli anni passati questo impianto ha sostenuto una notevole capacità lavorativa (circa 100 persone tra ferrovieri e appalti) e che ancora oggi la struttura non è in grado di contenere e sostenere un simile carico di lavoro –:
   quali azioni il Governo intenda adottare per il mantenimento fisico e dei livelli occupazionali del deposito nella città di Fabriano e per il futuro degli stessi;
   se il Governo ritenga opportuno in qualità di azionista di riferimento avanzare a Rete ferroviaria italiana e a Trenitalia la richiesta che il Deposito-officine di Fabriano venga individuato come sito di manutenzione dei carrelli di manovra RFI tenuto anche conto della sua posizione baricentrica rispetto agli altri due impianti esistenti e del sito geograficamente strategico per la rete ferroviaria, in quanto vicino alla direttrice adriatica e sulla linea Ancona-Roma e Ravenna-Rimini-Roma. (4-08597)


   LODOLINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   sono di recente stati riavviati i lavori inerenti il maxi lotto 2 del Progetto Quadrilatero Marche-Umbria nella tratta Albacina-Serra San Quirico;
   per quanto riguarda l'attuale svincolo della Gola della Rossa a lavori ultimati sarà possibile utilizzarlo solo per l'immissione in direzione Fabriano-Perugia-Roma mentre il nuovo svincolo di Serra San Quirico permetterà l'ingresso e l'uscita in entrambe le direzioni;
   la piena funzionalità del suddetto nuovo svincolo è condizionata alla realizzazione di una rotatoria, ad un livello inferiore rispetto all'asse di progetto, connessa a due bretelle di raccordo: una per «Zona industriale» e una per «Serra San Quirico» comunque a carico della Quadrilatero, come pure a carico della Quadrilatero è la realizzazione del viadotto;
   la realizzazione dell'ulteriore tratto viario dal viadotto per «Serra San Quirico» fino alla stazione ferroviaria di Serra San Quirico è a carico di Rete ferroviaria italiana, impegno assunto in relazione al raddoppio ferroviario Falconara-Orte;
   a tutt'oggi non sembra imminente la realizzazione da parte di Rete ferroviaria italiana del raddoppio ferroviario e quindi della sottovia e della bretella di raccordo con la storica SS76;
   se non venisse realizzato tale collegamento con la vecchia strada non si avrebbe la piena funzionalità di tutta l'opera infrastrutturale con conseguenti disagi e un artificioso allungamento del percorso per raggiungere Serra San Quirico stazione e il capoluogo dal nuovo asse viario, con la conseguenza che il territorio di Serra San Quirico non avrebbe uno svincolo funzionale –:
   se non ritenga necessario attivarsi immediatamente per concordare con Quadrilatero, RFI, ANAS e, per quanto di competenza, gli altri enti coinvolti un quadro di azioni forti atte a garantire la piena funzionalità dello svincolo e la concreta e immediata realizzazione della viabilità secondaria di collegamento con Serra San Quirico Stazione e Serra San Quirico Capoluogo. (4-08598)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VALERIA VALENTE, BOSSA, CARLONI, DI LELLO, TINO IANNUZZI, GIORGIO PICCOLO, SALVATORE PICCOLO, MANFREDI, ROSTAN e SGAMBATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la città di Napoli, già costretta a registrare l'intensificarsi di atti di microcriminalità, di intimidazioni contro cittadini e esercizi commerciali, assiste impotente, dall'inizio dell'anno, a scontri armati nelle strade del centro storico ad opera di ignoti;
   l'ipotesi investigativa più accreditata è che sia in corso una ennesima faida di contrapposti clan camorristici per il controllo del territorio;
   la stampa napoletana va pubblicando resoconti sempre più inquietanti sulla recrudescenza della guerra tra bande e sulla pericolosità, per la cittadinanza, anche solo di transitare per il centro storico;
   nei raid armati, diurni e notturni, avvenuti nel quartiere Forcella e nella zona Duomo, pieno centro storico di Napoli, del 23 febbraio e del 16 marzo scorsi, in particolare, sono stati esplosi all'impazzata, numerosi colpi di arma da fuoco, esponendo al rischio di essere colpiti residenti e passanti e danneggiando numerose vetture in sosta;
   la grave situazione mette drammaticamente in gioco la sicurezza di cittadini e visitatori, seminando sconcerto e paura, in uno spazio urbano, quale è il centro storico di Napoli, dichiarato patrimonio dell'umanità dall'Unesco, ad alta densità abitativa e commerciale, sede di pubblici edifici e di beni culturali meta costante di fruitori e studiosi;
   nel centro storico sono allocate scuole, università, presidi sanitari ai quali deve essere garantita la regolare frequentazione in condizioni di piena sicurezza;
   la gravità degli ultimi episodi impongono sia assicurata una specifica salvaguardia dei luoghi attraverso la presenza dedicata e costante delle Forze dell'ordine –:
   se e come intenda intervenire il Ministro interrogato, nell'ambito delle sue proprie competenze, per rispondere alla drammatica recrudescenza di atti criminali che espongono a gravi rischi i cittadini di Napoli e, in particolare, se e come intenda garantire nel centro storico di Napoli una più incisiva e costante azione di controllo e vigilanza per assicurare adeguata tutela alla popolazione residente e ai frequentatori della zona a fronte di una vera e propria guerriglia armata a che si fronteggia nelle strade cittadine.
(5-05197)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come riporta il quotidiano Libero in un articolo di un paio di settimane fa, i carabinieri del comando provinciale di Roma stanno ricercando due libici che si sarebbero presentati in un'armeria romana per tentare di acquistare un giubbotto anti-proiettile ed un visore notturno;
   solo l'encomiabile scelta dell'armiere, che ha negato la vendita ai due nordafricani, ha evitato l'acquisto regolare di un kit idoneo a compiere un blitz armato;
   allo stesso armiere, i due potenziali acquirenti, si sono presentati come «libici» ed un loro identikit è stato diffuso alle volanti ed ai militari dell'Arma;
   ovviamente, i due libici hanno fatto perdere le loro tracce;
   la vicenda denunciata dal quotidiano Libero, rappresenta un chiaro segno della debolezza del nostro sistema di sicurezza interno: da dove sono arrivati questi due presunti attentatori libici, dove erano e sono diretti, chi li finanzia e chi li ha selezionati ed addestrati non è noto;
   proprio adesso che la Libia è diventata un'enorme polveriera senza controllo, l'Italia non può e non dovrebbe permettersi lo sbarco indiscriminato di migliaia di uomini adulti da un territorio dove imperversano e comandano migliaia di miliziani dello Stato islamico;
   al sindacato di Polizia Sap si è appreso che tra le migliaia di poliziotti in servizio attualmente soltanto 320 agenti sono addestrati per colpire bersagli in movimento, vale a dire affrontare situazioni come quella accaduta a Parigi nell'assalto alla redazione di Charlie Hebdo;
   secondo il Sindacato autonomo di polizia basterebbero 44 milioni di euro l'anno in più per migliorare ed efficientare la polizia di Stato, rafforzandone l'organico e mettendoli in grado di affrontare le nuove minacce –:
   quali iniziative di competenza abbia intenzione di adottare il Ministro interrogato per affrontare la sfida alla sicurezza nazionale posta dallo Stato islamico nei nostri riguardi. (4-08590)


   BRUNETTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a seguito degli ultimi accadimenti in merito ai fatti di cronaca relativi alle infiltrazioni mafiose nella città di Roma ed in particolare sul litorale di Ostia, si sono evidenziati scenari inquietanti sul governo del territorio e sulla difficoltà nella gestione amministrativa di questa fondamentale area a vocazione turistico–commerciale. Recentemente le istituzioni hanno lentamente abbandonato tutto questo vasto quadrante lasciando il litorale romano apparentemente nelle mani dei più spregiudicati;
   il tribunale di Ostia, presidio giudiziario territoriale, che garantiva il mantenimento della presenza dello Stato Italiano per un territorio di oltre 300.000 abitanti, dopo 13 anni di proficua attività è stato chiuso, spostando tutta l'attività giudicante ed investigativa nella Procura di Roma;
   la sovrintendenza archeologica di Ostia e Fiumicino è stata accorpata anch'essa a quella di Roma con evidenti difficoltà logistiche per la gestione di un territorio a forte valenza ambientale e con peculiarità naturali ed archeologiche uniche al mondo. Tra questi la costa del mare di Roma, il Polo archeologico di Ostia Antica che comprende i porti di Claudio e Traiano e gli innumerevoli reperti archeologici raffiguranti oltre 1000 anni di storia della Capitale d'Italia;
   la stessa autonomia delle amministrazioni territoriale, annunciata in passato, non ha mai avuto una reale attuazione. In particolare per il municipio di Ostia era stato approvato uno statuto speciale, mai attuato concretamente. Questo ha prodotto amministrazioni di quartiere sole ed inermi rispetto ai complessi problemi della gestione dei processi produttivi e commerciali. A questo si aggiunge il comportamento assente da parte di una amministrazione centrale capitolina lontana dai problemi reali dei territori;
   tutto questo evidenzia uno Stato apparentemente assente e ad una sicurezza territoriale non in linea con le esigenze dei cittadini –:
   quali orientamenti intenda esprimere in riferimento a quanto esposto in premessa e, conseguentemente, quali iniziative si vogliano intraprendere, nell'ambito delle proprie competenze, per porre rimedio alla situazione di grave allarme sociale e di mancanza di sicurezza che si è determinata sul litorale romano anche in considerazione del valore naturale, storico e archeologico dell'area;
   se non intenda ripristinare alcuni presidi locali relativi al controllo del territorio, per un maggior ed immediato intervento da parte delle istituzioni, al fine di scoraggiare chiunque sia dedito al malaffare e ristabilendo così la fiducia dei cittadini. (4-08602)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con la legge 30 marzo 2004, n. 92, è stato istituito il «Giorno del ricordo» in memoria delle vittime delle foibe, dell'esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati;
   anche quest'anno, il 10 febbraio è stato il giorno in cui le massime cariche istituzionali, Ministro interrogato compreso, hanno ricordato la tragedia che ha colpito gli italiani di Istria e Dalmazia alla fine della seconda guerra mondiale;
   anche quest'anno e come ogni anno, si sono verificati quelli che all'interrogante appaiono gli squallidi episodi di negazione di un'evidenza storica ed umana da parte dei residui di «comunismo internazionale»;
   questa pagina di storia, però, viene studiata male e poco, quando non proprio ignorata dal corpo docente;
   a giudizio dell'interrogante, occorre riscrivere concretamente la storia ed insegnarla nelle scuole senza condizionamenti ideologici;
   in occasione delle ultime celebrazioni della «Giornata del ricordo», il Ministro interrogato ha dichiarato, di fronte alle associazioni giuliano-dalmate, che «la coscienza vuole essere tutt'uno con la scienza a cominciare dalla storia;
   queste parole fanno onore al Ministro interrogato e trovano d'accordo gli italiani che hanno vissuto sulla propria pelle gli eventi che vuole ricordare la legge n. 92 del 2004 e quelli che, consapevoli dei fatti storici omessi, ne vogliono mantenere vivo il ricordo –:
   quali iniziative abbia intrapreso od abbia intenzione di intraprendere il Ministro interrogato in merito alle vicende esposte in premessa. (4-08596)


   CATALANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Giornale di Sicilia del 1o febbraio 2015 riporta il caso di C.C., dirigente scolastica di un istituto comprensivo di grado primario e secondario inferiore della provincia di Palermo, oggetto di procedimento disciplinare per aver partecipato ad attività coinvolgenti interessi finanziari della propria famiglia;
   tra i fatti contestati, si legge che l'istituto scolastico avrebbe nominato come consulente esterna la figlia della dirigente scolastica e avrebbe scelto l'agenzia viaggi del marito per organizzare gli spostamenti;
   per tali fatti il direttore generale dell'Ufficio scolastico regionale Maria Luisa Altomonte, su proposta della commissione disciplinare, ha sanzionato la dirigente scolastica con la sospensione per due mesi dal servizio e dallo stipendio, riconoscendole diverse attenuanti, fra le quali il fatto di aver richiesto ella stessa un'ispezione;
   risulta all'interrogante che, per i medesimi fatti, sia in corso un procedimento penale;
   a seguito della sospensione, la preside è stata assegnata a un istituto di grado superiore (scuola media superiore) sito nella città di Palermo –:
   di che notizie disponga il Governo in merito a quanto descritto in premessa;
   come sia possibile che un dirigente, a seguito dell'accertamento della commissione di illeciti disciplinari, venga rimosso dalla guida di un istituto di un medio comune e contestualmente promosso a una scuola più prestigiosa, di ordine superiore, sita nel capoluogo della regione. (4-08603)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIUSEPPE GUERINI, GUERRA, TENTORI, GANDOLFI, PASTORINO, BRAGA, LOCATELLI, GRIBAUDO, RICCIATTI, QUARANTA, PIAZZONI, CARNEVALI, MISIANI, SANGA, BAZOLI, LACQUANITI, GASPARINI, FRAGOMELI, BERLINGHIERI e MALPEZZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel gennaio 2015 la società Mercatone Uno, esercente su tutto il territorio nazionale attività di distribuzione di mobili, prodotti per la casa e arredo, ha presentato una domanda di ammissione al concordato preventivo dinanzi al Tribunale di Bologna;
   l'azienda ha inoltre reso noto che intende procedere ad una ridefinizione del numero dei punti vendita non più economicamente sostenibili, che potrebbero essere circa la metà della rete attuale;
   nell'elenco dei punti vendita in procinto di essere chiusi dovrebbero essere ricompresi, per quanto riguarda il territorio della regione Lombardia, quello sedente nel comune di Verdello (BG), oltre a quelli di Pessano con Bornago (MI), Tavernerio (CO) e Castegnato (BS);
   in data 20 marzo 2015, i sindacati Filcams – Cgil e dalla Fisascat – Cisl hanno proclamato presso il punto vendita di Verdello uno sciopero, al quale ha aderito la totalità dei lavoratori, per chiedere certezze in merito al futuro dell'impianto;
   l'azienda non ha fornito alcun chiarimento ed anzi, nella giornata di ieri, 25 marzo, i lavoratori hanno spontaneamente organizzato un presidio per cercare di impedire che alcuni mezzi dell'azienda procedessero di fatto allo svuotamento definitivo dei prodotti presenti all'interno del punto vendita per trasferirli in altra sede;
   non è chiaro se esista e quale sia il piano industriale di Mercatone Uno, che sembra piuttosto orientata ad una semplice dismissione di gran parte delle proprie attività –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere per la salvaguardia dei livelli occupazionali nei territori coinvolti, con particolare riferimento alla situazione del punto vendita di Verdello (BG), Tavernerio (CO), Pessano con Bornago (MI) e Castegnato (BS);
   se intenda intensificare l'attività del tavolo nazionale di confronto con lo scopo di tutelare la continuità lavorativa.
(4-08592)


   BARUFFI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica 18 giugno 1997 n. 246 ha modificato i requisiti di accesso in materia di assunzioni obbligatorie presso gli enti pubblici sostituendo l'articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994 n. 487;
   nella tabella allegata al suddetto regolamento sono definiti i criteri per la formazione delle graduatorie in base ai seguenti elementi:
    a) carico famigliare rilevato dallo stato di famiglia;
    b) situazione economica e patrimoniale del lavoratore, ivi compresi i beni mobili ed immobili dell'iscritto, con esclusione del suo nucleo famigliare;
    c) anzianità di iscrizione negli elenchi del collocamento obbligatorio;
    d) grado di invalidità;
   l'elemento di cui alla lettera b), non tenendo conto della situazione economica del nucleo famigliare del lavoratore iscritto, penalizza fortemente i nuclei famigliari mono-genitoriali con figli, che si vedono generalmente scavalcare nella graduatoria da lavoratori/lavoratrici con assenza di reddito o con basso reddito ma rientranti in un nucleo famigliare, del quale non si tiene conto dell'entità del reddito e del patrimonio del coniuge;
   il regolamento di cui sopra è stato emanato nel 1997, in una situazione economica e sociale del nostro Paese molto diversa da quella attuale ed è evidente quanto sia oggi particolarmente difficile inserirsi nel mercato del lavoro;
   a ciò si aggiunga che, secondo l'ultima rilevazione dell'Istat, quasi il 16 per cento delle famiglie italiane è formato da nuclei con un solo genitore (per circa l'85 per cento dei casi è la madre) che convive con uno o più figli minori e/o con figli maggiorenni non economicamente autonomi. Sono le cosiddette «famiglie monogenitoriali»: un fenomeno sempre esistito, ma che solo di recente si è reso più visibile, stante anche il numero di genitori «mono» pressoché raddoppiato nel giro di dieci anni;
   senza voler limitare il diritto all'accesso al lavoro, soprattutto quando ci si riferisce al collocamento obbligatorio, si ritiene comunque debbano essere rivisti i criteri sopra richiamati, proprio in funzione delle oggettive trasformazioni sociali ed economiche che hanno interessato in nostro paese negli ultimi vent'anni –:
   se non ritenga il Governo, a fronte delle premesse di cui sopra, di valutare l'opportunità di intervenire per riequilibrare i criteri di cui sopra, contemperando le legittime aspettative degli iscritti agli elenchi del collocamento obbligatorio.
(4-08599)


   PETRAROLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Fincantieri spa, uno dei gruppi cantieristici più grandi al mondo, è attivo nella progettazione e costruzione di mezzi navali a elevata complessità e alto valore aggiunto, dalle navi mercantili a quelle militari, dall’offshore ai mega yacht;
   l'azienda, nata nel 1959 come società finanziaria cantieri navali – Fincantieri società per azioni, si è trasformata nel 1984 in società operativa, a seguito della fusione per incorporazione di otto società da essa controllate, operanti nel campo della costruzione e riparazione navale e della realizzazione di componenti meccaniche e motori diesel;
   dall'articolo comparso sul sito internet dell'Agenzia ANSA in data 25 marzo 2015 intitolato «Fincantieri, microchip nelle scarpe sciopero allo stabilimento di Muggiano» si apprende che la società Fincantieri starebbe predisponendo, nelle scarpe dei lavoratori, un microchip che secondo i sindacati potrebbe essere utilizzato per il controllo a distanza, in contrasto con quanto previsto dall'articolo 4 dello statuto dei lavoratori;
   l'azienda, che è in trattativa per il rinnovo del contratto integrativo, in scadenza ad aprile prossimo, avrebbe prospettato l'uso di mezzi tecnologici per individuare la posizione del dipendente: un microchip nelle scarpe per aprire automaticamente i tornelli o in caso d'incidenti, per individuare l'area; d'intervento;
   la notizia ha scatenato la protesta dei lavoratori negli stabilimenti del gruppo siti a Muggiano, Riva Trigoso, Marghera e Sestri, che hanno indetto anche delle giornate di astensione dall'attività lavorativa –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa e quali azioni intenda attuare per evitare, anche dal punto di vista normativo, l'utilizzo dei microchip come strumento d'individuazione del lavoratore. (4-08607)


   PETRAROLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Taranto, con Determinazione D.D. n. 176 del 27 agosto 2013, affidava attraverso la gara d'appalto n. 03/2013 alla ditta Italpulizie Srl il servizio di pulizia delle aree demaniali e manutenzione patrimonio edilizio comunale, per la durata di sei mesi;
   la ditta Italpulizie srl procedeva all'assunzione di n. 35 unità lavorative a tempo indeterminato parziale, con la qualifica di operaio-ausiliario, ai sensi del decreto legislativo 61 del 2000 e dell'articolo 46 decreto legislativo 276 del 2003, per un totale di 140 ore lavorative giornaliere;
   la giunta municipale di Taranto, con deliberazione n. 37 del 2014, approvava l'atto d'indirizzo per avviare una procedura a evidenza pubblica capace di assicurare la continuità dei servizi: nel dettaglio ci si riferisce alla manutenzione delle parti comuni degli immobili ERP e alla pulizia del verde pubblico degli impianti sportivi, ricadenti nel territorio di Taranto;
   con provvedimento D.D. n. 172, la direzione patrimonio del comune di Taranto indiceva nuova gara d'appalto mediante procedura aperta ex articolo 55 del decreto legislativo 163 del 2006. Nel medesimo provvedimento si esprimeva parere favorevole riguardo alla regolarità contabile del dirigente pro-tempore della direzione risorse finanziare, con lo stanziamento delle somme nel bilancio 2014;
   la direzione dell'ufficio tecnico in data 11 settembre 2014 chiedeva al dirigente del settore finanze del comune di Taranto un incremento del capitolo di spesa, al fine di consentire l'impegno necessario nelle more dell'espletamento della gara, richiesta rimasta inevasa;
   solo in data 2 febbraio 2015, il dirigente del settore risorse finanziarie comunicava l'indisponibilità delle somme necessarie, poiché non previste nel bilancio 2014;
   la mancata allocazione delle risorse necessarie per l'espletamento della gara d'appalto da parte del comune di Taranto, ha costretto la ditta Italpulizie Srl ad attivare le procedure di licenziamento, stante il ritiro degli atti d'indizione della gara e la revoca di tutti gli atti consequenziali;
   il contratto collettivo nazionale di lavoro per il personale dipendente da imprese esercenti servizi di pulizia e servizi integrati/multiservizi del 31 maggio 2011 prevede che alla scadenza del contratto di appalto possano verificarsi 2 casi:
    a) in caso di cessazione di appalto a parità di termini, modalità e prestazioni contrattuali l'impresa subentrante si impegna a garantire l'assunzione senza periodo di prova degli addetti esistenti in organico sull'appalto risultanti da documentazione probante che lo determini almeno 4 mesi prima della cessazione stessa, salvo casi particolari quali dimissioni, pensionamenti, decessi;
    b) in caso di cessazione di appalto con modificazioni di termini, modalità e prestazioni contrattuali, l'impresa subentrante – ancorché sia la stessa che già gestiva il servizio – sarà convocata presso l'Associazione territoriale cui conferisce mandato, o in assenza presso la Direzione Provinciale del Lavoro o eventuale analoga istituzione territoriale competente, ove possibile nei 15 giorni precedenti con la rappresentanza sindacale aziendale e le Organizzazioni sindacali stipulanti territorialmente competenti per un esame della situazione, al fine di armonizzare le mutate esigenze tecnico-organizzative dell'appalto con il mantenimento dei livelli occupazionali, tenuto conto delle condizioni professionali e di utilizzo del personale impiegato, anche facendo ricorso a processi di mobilità da posto di lavoro a posto di lavoro nell'ambito dell'attività dell'impresa ovvero a strumenti quali part-time, riduzione orario di lavoro, flessibilità delle giornate lavorative, mobilità;
   inoltre, nel contratto collettivo nazionale di lavoro citato è indicato che nelle procedure di cambio di appalto l'impresa subentrante, fermo restando quanto previsto dalle lettere a) e b) di cui sopra, assumerà in qualità di dipendenti i lavoratori dipendenti e i soci-lavoratori con rapporto di lavoro subordinato trasferiti dall'azienda cessante;
   i lavoratori, la cui età media è di 50 anni, si sono dichiarati disponibili a transitare presso le altre ditte che ora lavorano per conto del comune di Taranto –:
   se il Ministro intenda acquisire, per il tramite dei suoi uffici periferici, elementi in merito alla vertenza con gli operai dell'Italpulizie Srl, anche al fine di salvaguardare i livelli occupazionali. (4-08608)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   ABRIGNANI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   Valerio Fabio Alberti, commissario straordinario di tre istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, (IRCCS), Istituto Regina Elena, San Gallicano e Lazzaro Spallanzani di Roma ha predisposto il Regolamento di organizzazione e funzionamento (ROF) che, secondo gli indirizzi della regione, dovrà portare alla fusione gestionale, amministrativa e sanitaria dei tre storici IRCCS pubblici romani. Le direzioni scientifiche resteranno tre, per garantire, in linea puramente teorica, il mantenimento delle diverse mission specialistiche. L'eventuale approvazione del regolamento, a parere dell'interrogante, snaturerebbe in modo irreversibile tre grandi realtà ospedaliere e di ricerca per la città di Roma;
   il Piano elaborato dal commissario straordinario Alberti ha suscitato molte polemiche, tanto che i medici degli istituti coinvolti hanno proclamato lo stato di agitazione. I medici e la dirigenza sanitaria degli istituti interessati hanno espresso un giudizio estremamente critico, dichiarando quanto segue: «La proposta di riorganizzazione degli Istituti Regina Elena e San Gallicano rischia di screditare il carattere scientifico di eccellenza ed alta specialità dell'istituto oncologico e di quello dermatologico, soprattutto se rapportato a quanto si verifica negli altri IRCCS italiani in particolare nel settore dei tumori». Al commissario e all'intero vertice aziendale viene mosso il rilievo di non aver per nulla compreso le esigenze degli ammalati e dei lavoratori e di trascurare anche la gestione ordinaria per carenza di assunzione di responsabilità sulle azioni correnti;
   in prospettiva il piano di riorganizzazione potrebbe causare la progressiva riduzione della ricerca sperimentale e traslazionale, sempre accuratamente valorizzata e implementata negli altri IRCCS perché ritenuta fondamentale per il progresso nelle terapie e per garantire adeguata assistenza ai pazienti nella pratica clinica. L'approvazione del Piano avrebbe come conseguenza anche il declassamento dell'oncoematologia, che assicura ogni anno assistenza e cure di qualità a molte centinaia di pazienti affetti da linfomi, mielomi e leucemie; il piano di riorganizzazione comporterebbe anche il depotenziamento della medicina nucleare che, negli istituti coinvolti è riconosciuta, a livello scientifico, come la migliore a Roma e nel Lazio, per numero e qualità delle prestazioni erogate. Viene inoltre strutturalmente ridimensionata la psiconcologia, che ha finora aiutato migliaia di pazienti ad affrontare e superare i gravissimi problemi familiari, sociali, relazionali e lavorativi legati alla grave patologia oncologica. Il piano interverrebbe anche nell'ambito della chirurgia addominale, con la riduzione di risorse e strutture dedicate;
   inoltre il Piano prevede, presso l'Istituto nazionale tumori di Roma, l'eliminazione del dipartimento di oncologia medica che è elemento costitutivo di tutti gli altri 11 IRCCS oncologici. I medici lamentano che il piano proposto dal commissario non tiene conto per nulla dell'incredibile evoluzione clinico-scientifica, nella lotta al cancro, registrata negli ultimi 15 anni, non prevedendo la nascita di nuove strutture, ad esempio dedicate allo sviluppo di nuovi farmaci, di terapie palliative, di cure simultanee, di tumori ereditari e della riabilitazione oncologica che corrispondono a precise nuove esigenze dei pazienti e sono ormai indispensabili in ogni istituto di oncologia di eccellenza; Tutto ciò viene stabilito con un Piano che vede il parere contrario all'unanimità dei comitati tecnico-scientifici dei due istituti;
   l'istituto dermatologico San Gallicano, storico ed unico IRCCS pubblico e riferimento clinico e culturale per la cura delle patologie dermatologiche, nel piano proposto risulta fortemente ridotto con due sole strutture complesse superstiti;
   lo stato di agitazione dichiarato dai sanitari del Regina Elena e del San Gallicano, oltre che per i problemi interni ai due istituti è dovuto anche alla paventata ipotesi di una fusione con l'istituto per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani; questa fusione, sostenuta in un'ottica di risparmi, porta all'accorpamento di personale, sia nei laboratori che nelle corsie e negli ambulatori, anche se gli istituti ospitano pazienti con patologie, nella stragrande maggioranza dei casi, diverse tra loro;
   l'interrogante considera indispensabile promuovere un confronto tra la regione Lazio e i medici dirigenti sanitari degli istituti coinvolti, che porti ad una soluzione che tenga conto dei rilievi documentati avanzati dal personale medico, al fine di modificare il piano di riorganizzazione proposto, verificando e tenendo conto, al contempo, della riorganizzazione in atto negli altri 11 IRCCS oncologici italiani;
   il 9 ottobre 2014, è stata approvata la delibera n. 174 interna agli istituti San Gallicano e Regina Elena, con la quale si è disposto l'adeguamento, cioè l'aumento del 20 per cento per i compensi del commissario straordinario e dei vertici dei due istituti con un esborso per l'ente di oltre un milione di euro, che, ancor più in contesto di perdurante crisi economica e di continui tagli, risulta totalmente ingiustificabile –:
   di quali elementi disponga il Governo, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attivazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali, circa il processo di riorganizzazione descritto in premessa anche al fine di valutare se vi siano rischi per la qualità della ricerca scientifica;
   se il Ministro interrogato, per quanto di competenza, e anche per il tramite del commissario ad acta, intenda assumere iniziative per evitare che possibili errori di valutazione sulla gestione di processi di riorganizzazione quale quello descritto in premessa possano comportare rilevanti effetti sull'equilibrio della spesa sanitaria. (4-08595)


   SORIAL, COMINARDI, ALBERTI e BASILIO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è di questi giorni di fine marzo la notizia riportata dalla stampa locale con il titolo: «Brescia galleggia sui veleni», che l'Arpa avrebbe rilevato in questa zona la presenza di cromo VI fino a 4 mila volte i limiti consentiti dalla legge;
   il cromo esavalente è una sostanza che «sulla base di evidenze sperimentali ed epidemiologiche è stata classificata dalla IARC (International Agency for research on Cancer) come cancerogena per l'uomo (classe I)» (Fact sheet: «Cromo esavalente», Ispesl, dipartimento di medicina del lavoro, Centro ricerche Parma CERT); diversi studi, infatti, hanno dimostrato la pericolosità e tossicità del cromo esavalente se ingerito o se ne vengono respirati i fumi;
   nella sua nota prot. 24 febbraio 2014 – 0006603 inviata su richiesta dell'interrogante, l'ISS (Istituto superiore di Sanità) spiega che «il Cromo esavalente, diffuso in composti di origine industriale quali cromati e tiolati, è caratterizzato da elevata tossicità e cancerogenicità» infatti «il Cr (VI) è stato classificato dalla IARC (International Agency for research on Cancer) nel gruppo 1 (cancerogeno per l'uomo) sulla base di studi epidemiologici che hanno dimostrato associazione tra esposizione per via inalatoria al Cr(VI) e cancro al polmone», e, anche se «l'esposizione per ingestione a Cr(VI) è associata a mino grado di rischio», «uno studio di cancerogenesi a lungo termine in roditori, effettuato dall'NTP (National Toxicology Program), ha evidenziato che la somministrazione del Cr(VI) per via orale è associato ad un'aumentata incidenza di tumori della cavità orale nel ratto e dell'intestino tenue nel topo in entrambi i sessi» e che «i composti di Cr(VI) sono genotossici in un ampio range di test di genotossicità in vitro e in alcuni studi in vivo in seguito a somministrazione per via orale»;
   sempre secondo la nota dell'Istituto superiore di sanità di cui sopra, anche se l'esposizione per ingestione al Cr(VI) è legata ad un rischio minore poiché i composti del cromo esavalente nel tratto gastrointestinale dell'uomo sono ridotti efficientemente a composti Cromo III, che non è pericoloso, «tuttavia non si può escludere che anche a bassi livelli di esposizione una piccola percentuale possa eludere la riduzione a Cr(III), riduzione che determina i potenziali effetti tossici o cancerogeni»;
   nel comune di Brescia e nella provincia, le morti per tumore al fegato, casi di cancro al pancreas, cancro alla laringe, incidenza per malattie pneumologiche e altre malattie legate all'aria e all'alimentazione e a quello che viene ingerito sono elevatissime e sono oltre la media nazionale;
   come ormai è tristemente noto e già più volte segnalato anche di recente dall'interrogante con altri atti di sindacato ispettivo, la situazione dell'inquinamento da cromo VI a Brescia e provincia è molto grave, ma i risultati dell'ultima campagna di monitoraggio dell'acqua di falda all'interno del sito Caffaro svolta dall'Arpa sono ancora più gravi del previsto: l'agenzia per la protezione dell'ambiente ha comparato lo stato della falda nel 1982 ad oggi, ed è risultato che l'inquinamento sotterraneo si sarebbe esteso e i picchi massimi sarebbero saliti ancora perché la falda è risalita fino a 15 metri (15 metri all'Iveco, 10 alla Caffaro), e salendo, la falda va a toccare i terreni inzuppati di inquinanti, portandoseli via;
   i geologi Arpa spiegano nel loro studio che la falda è salita di diversi metri negli ultimi anni visto che non ci sono più le aziende siderurgiche che pompavano dal sottosuolo miliardi di litri l'anno per le loro produzioni, e ciò metterebbe a repentaglio anche la seconda di falda, quella dove attingono i pozzi dell'acquedotto, poiché i due gruppi acquiferi sono purtroppo comunicanti in più punti, infatti sono stati trovati di recente cromo e solventi cancerogeni in 19 dei 46 pozzi cittadini;
   sotto l'azienda chimica Caffaro, che ha prodotto Pcb e pesticidi, si troverebbero fino a 410 microgrammi al litro di cromo, che non era prodotto nell'azienda, e nonostante il pompaggio di 10 milioni di litri d'acqua l'anno per evitare il contatto con la terra altamente inquinata, la falda sotto l'azienda contiene comunque un cocktail velenoso di solventi clorurati, che utilizzava: dal tetracloruro al triclorometano, dall'esacloroesano ai pcb (fino a 30 volte i limiti); inquinamento che si sposta anche sotto il vicino campo d'atletica Calvesi, dove il tricolorometano è triplicato in estate (133 volte oltre i limiti);
   il rischio maggiore sembra esserci proprio per tutti quei cittadini che utilizzano ancora pozzi privati, che pescano nella prima falda: il 4 marzo la Loggia ne ha chiusi quattro a Folzano (il cromo arrivava a 300 microgrammi per litro);
   l'emergenza delle emergenze da cromo VI resta la galvanica Baratti-Inselvini di via Padova: il picco massimo è ancora 4360 volte oltre i limiti di legge, anche se si è dimezzato dopo le bonifiche iniziate dall'azienda; per l'Arpa questo è uno dei focolai responsabili del fiume di inquinamento che viaggia verso sud;
   un'altra galvanica, l'ex Forzanini di via Ancona, chiusa nel 1990, sarebbe al secondo posto nella classifica delle criticità qui il cromo esavalente è 364 volte oltre i limiti;
   sarebbe grave anche l'inquinamento registrato all'ex deposito di automezzi in via Monte Maniva (tra via Rose di sotto e via Dalmazia), dove il metallo cangerogeno arriva a 514 microgrammi per litro;
   secondo la direttrice dell'Arpa-Brescia, Maria Luisa Pastore, «Per quanto riguarda l'inquinamento da cromo, Brescia è una delle situazioni peggiori d'Italia», situazione che anno dopo anno sembra diventare sempre più grave, anche perché le complesse bonifiche sotterranee sembrano tardare a partire;
   solo il 3 marzo 2015, è stata fornita finalmente una risposta, peraltro risultata insoddisfacente per l'interrogante, all'interrogazione n. 3-01321 datata dicembre 2013 sul grave problema della presenza del cromo VI nell'acqua di Brescia e dintorni: il Sottosegretario di Stato per la salute, Vito De Filippo, rispondendo all'interrogazione ha, ad avviso dell'interrogante, dato conto di interventi tardivi delle istituzioni considerata la gravità della situazione dell'inquinamento da cromo VI;
   secondo lo studio dell'Arpa, i veleni vanno rimossi dal terreno ma, vista la situazione, il lavoro di bonifica sembra essere più complicato del previsto perché prima si dovrà mettere in sicurezza la falda –:
   se il Governo sia la corrente degli ultimi rilevamenti dell'Arpa relativamente alla sempre più preoccupante presenza di cromo VI a Brescia, come descritto in premessa, e se non intenda adottare provvedimenti anche urgenti, con particolare riferimento alla necessaria tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini delle aree interessate, anche attraverso un'iniziativa normativa che vada nella direzione di un'implementazione di maggiori controlli e sanzioni più alte in caso di reati ambientali di questo genere, prevedendo un utilizzo delle risorse economiche che eventualmente ne deriverebbero per la necessaria attività di bonifica e messa in sicurezza dei territori coinvolti;
   in quale modo il Governo intenda intervenire in relazione alla messa in sicurezza della falda di cui in premessa, che è un'azione, come sottolineato dai tecnici dell'Arpa, necessaria e prioritaria per evitare che le sostanze inquinanti continuino a spostarsi avvelenando altri territori, rendendo poco utili soprattutto nel lungo termine, le stesse bonifiche di superficie;
   se il Governo non ritenga necessario e in tal caso in quale modo intenda procedere, per quanto di sua competenza, perché venga effettuata monitoraggio della situazione delle acque sotterranee continuamente aggiornato e una opportuna comunicazione dei rischi connessi all'utilizzo dei pozzi privati per tutti i cittadini della zona che ne fanno uso. (4-08604)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LATRONICO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 45 della legge 23 luglio 2009, n. 45, istituiva un Fondo per la riduzione del prezzo alla pompa dei carburanti nelle regioni interessate dalla estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi accrescendo di un altro 3 per cento il valore delle royalties petrolifere a carico delle compagnie concessionarie e oltre 330 mila lucani hanno usufruito di questo beneficio attraverso la carta carburante;
   l'articolo 36 del decreto-legge n. 133, del 2014, «Sblocca Italia» ha modificato la denominazione del suddetto Fondo in: «Fondo per la promozione di misure di sviluppo economico e l'attivazione di una social card nei territori interessati dalle estrazioni di idrocarburi liquidi e gassosi»; per la Basilicata le risorse di tale fondo per il biennio 2013 — 2014 ammontano a circa 130 milioni di euro da inserire in diversi settori d'intervento: social card, misure di sviluppo economico a favore dei sistemi di impresa, delle piccole e medie imprese, artigiani;
   il decreto-legge n. 133 del 2014, cosiddetto «Sblocca Italia» è intervenuto con una serie di disposizioni volte a semplificare e accelerare le procedure per favorire le trivellazioni di idrocarburi nel nostro Paese; sono state qualificate le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale come attività di interesse strategico, di pubblica utilità, urgenti e indifferibili; sono state introdotte semplificazioni per ridurre i tempi necessari per il rilascio della VIA e dei titoli abilitativi per la ricerca e la produzione di idrocarburi, prevedendo il rilascio di un titolo concessorio unico; è trasferita dalle regioni al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare la competenza al rilascio del provvedimento di VIA relativamente ai progetti relativi ad attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi sulla terraferma;
   nei giorni scorsi è stato sottoscritto l'accordo preliminare tra il Sottosegretario allo sviluppo economico Vicari, ed il presidente della regione Basilicata Pittella relativo alle modalità procedurali di utilizzazione delle risorse derivanti dall'articolo 45 della legge 23 luglio 2009, n.45, come modificato dall'articolo 36 dal decreto-legge n. 133 del 2014, Sblocca Italia;
   l'articolo 16 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, come novellato dall'articolo 36, comma 1, del decreto-legge Sblocca Italia, prevede che una quota pari al 30 per cento dell'Ires versato dalle compagnie petrolifere per effetto dell'incremento delle attuali produzioni minerarie concorra a finanziare un fondo di sviluppo delle infrastrutture e delle attività produttive, oltre che delle misure necessarie per una rigorosa ed attiva tutela ambientale del territorio;
   dal 2001 al 2012 i fondi derivanti dall'estrazione del petrolio in Basilicata, e assegnati ai Comuni ammontano a circa un miliardo di euro. Circa l'80 per cento delle amministrazioni ha utilizzato questi fondi per spese correnti –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare per verificare la salvaguardia degli obiettivi della qualificazione della spesa e della sua finalizzazione verso prospettive produttive del territorio lucano;
   se non ritenga opportuno individuare, anche con successive iniziative normative, un fondo permanente per lo sviluppo economico e infrastrutturale della Basilicata. (5-05196)

Interrogazione a risposta scritta:


   RAGOSTA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sull'isola d'Ischia (Napoli) il rifornimento di benzina, gasolio e gpl avviene sistematicamente attraverso una non meglio precisata società di navigazione;
   da informazioni assunte sul quotidiano il Golfo, che negli ultimi mesi ha condotto un'inchiesta sul «caro carburante» sull'isola d'Ischia, il punto principale di raccolta sull'isola è dato dall'Ambrosino distribuzione che rifornisce la quasi totalità dei distributori sparsi sul territorio isolano gestendone in proprio il servizio;
   da anni sussiste una disparità di trattamento dei costi dei carburanti sull'isola d'Ischia (Napoli), rispettò alla vicina terraferma, con differenze che sull'isola d'Ischia hanno toccato anche punte maggiorate al consumatore finale di circa 20/30 centesimi al litro; divergenza di costi tra l'isola d'Ischia ed altre località italiane insulari che mai si sono verificati sull'isola d'Elba e in Sardegna;
   sull'isola ci sono impianti serviti ed impianti self service durante la notte e gli orari di chiusura dei distributori e il prezzo resta invariato anche durante il servizio self service;
   il 9 agosto del 2007 la Guardia di finanza, su delega dell'autorità garante della concorrenza e del mercato, effettuò accertamenti presso tutti distributori di carburante dell'isola d'Ischia in seguito ad una denuncia all'Autorità garante della concorrenza e del mercato di Domenico Savio, attuale consigliere comunale a Forio d'Ischia. Savio – supportato da una petizione di 5000 firme di cittadini – denunciò all'autorità che sull'isola d'Ischia il costo del carburante supera di gran lunga la media nazionale, i prezzi della città di Napoli e anche quelli della vicina isola di Capri;
   successivamente anche l’ex sindaco di Forio, Franco Regine, denunciò all'autorità tale anomalia tutta ischitana chiedendo «richieste di chiarimenti e provvedimenti calmieranti» e la stessa Autorità garante della concorrenza e del mercato, indirizzando una nota il 9 maggio 2010 al Sindaco di Forio (Ischia) lo informò che era stato avviato un procedimento di verifica dei prezzi applicati dai distributori dell'isola d'Ischia rappresentando – in una nota – che «laddove se ne riscontrino gli estremi verranno applicate le disposizioni di cui alla legge n. 287 del 1990 recante norme e sanzioni in materia di tutela della concorrenza e del mercato»... l’ex sindaco di Forio dichiarò alla stampa: «La gravosa situazione degli eccessivi rincari del carburante sull'isola d'Ischia che ha fatto conquistare alla nostra comunità il singolare primato del distributore di benzina più caro d'Italia è finalmente oggetto di verifiche da parte dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato». «Tali aumenti – aggiunse l’ex sindaco Franco Regine – non possono essere giustificati dai costi sostenuti dalle compagnie per il trasporto via mare dei carburanti, che solo in minima parte incidono sul prezzo finale degli stessi» e di tale circostanza sembrerebbe averne preso coscienza anche l'Antitrust, autorità di controllo che ha il potere di sanzionare eventuali comportamenti anticoncorrenziali. Tale situazione – concluse l’ex sindaco Regine – incide direttamente sui costi di molti beni e servizi forniti sull'isola e indirettamente colpisce fortemente la competitività economica e produttiva d'Ischia rispetto ad altre località ad economia prettamente turistica situate in terraferma»;
   immediatamente dopo anche la procura della Repubblica di Napoli avviò un fascicolo di indagine delegando la guardia di finanza;
   «Subito dopo l'intervento dell'Antitrust – ebbe ad affermare Savio agli organi di stampa – il costo della benzina sull'isola d'Ischia scese di colpo e si attestò quasi sulla media nazionale ma qualche settimana dopo, passata la bufera, tornò ad essere più cara»;
   il 10 gennaio 2010 Antonio Pinto, amministratore della Ambrosino distribuzione che fornisce la quasi totalità di impianti sull'isola, dichiarò all'ANSA: «Ad Ischia ci sono impianti serviti ed impianti self service. Quelli che mancano sono gli impianti «fai da te» senza personale che possono praticare un prezzo leggermente inferiore rispetto agli altri, per l'assenza di costi di gestione. Ad Ischia – concluse Pinto – non c’è concorrenza al ribasso, quindi il prezzo lo fa il mercato»;
   il 28 agosto 2010 per conto della Figisc Anisa – Federazione italiana gestori impianti stradali carburanti – intervenne sulla polemica, inerente il prezzo della benzina sull'isola d'Ischia, il segretario provinciale Claudio Burani, che ebbe ad affermare: «Gli impianti carburanti presenti nell'isola d'Ischia sono tutti di proprietà o convenzionati con società petrolifere di rilievo internazionale, pertanto i prezzi dei carburanti praticati all'utenza finale sono quelli imposti dalle stesse società, secondo il marchio di appartenenza, ed uguali per tipologia di impianti e territorio». E riguardo alla disparità di prezzo con la terraferma per spese di trasporto la Ficisc Anisa precisò: «Il prezzo dei carburanti per uso autotrazione nell'isola d'Ischia, rispetto a quelli praticati dalle società nell'area continentale di Napoli, non tiene conto delle reali spese di trasporto per le isole, in quanto queste vengono assorbite quasi del tutto dalle stesse società»;
   il 19 febbraio 2015 il quotidiano Il Golfo – che esce sulle isole di Ischia, Procida e Napoli – ha fortemente denunciato che il costo della benzina e del diesel alla pompa è nettamente superiore a quello praticato in terraferma, pubblicando a supporto elementi probatori fotografici con prezzi praticati in terraferma e sull'isola;
   in data 15 marzo 2015 sempre sul quotidiano Il Golfo è stata pubblicata in prima pagina la notizia che gli uomini delle Fiamme Gialle di Ischia, coordinati dal tenente Paolo Aiello, comandante della tenenza isolana, hanno eseguito la scorsa, settimana, una vasta operazione di controlli ai distributori di carburante sparsi sull'isola d'Ischia. Dalle verifiche degli uomini della Guardia di finanza sarebbero state riscontrate irregolarità in circa metà dei distributori presenti nei comuni isolani. In particolare, sarebbe stato verificato che i gestori degli impianti non hanno adempiuto all'obbligo di comunicazione dei prezzi di vendita praticati al pubblico e delle successive variazioni, secondo quanto previsto dall'attuazione dall'articolo 51 della legge 23 luglio 2009 n. 99, recante – Misure per la conoscibilità dei prezzi dei carburanti – decreto ministeriale 15 ottobre 2010 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 26 novembre 2010, n. 277) e decreto ministeriale 17 gennaio 2013 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 63 del 15 marzo 2013). In sintesi: non avrebbero comunicato all'Osservatorio prezzi e tariffe presso il Ministero dello sviluppo economico i prezzi e le variazioni di prezzi praticati nel corso dell'ultima settimana. La Guardia di finanza avrebbe inflitto le sanzioni previste per legge (fino a 3000 euro di multa);
   negli ultimi giorni sul quotidiano Il Golfo sono stati pubblicati alcuni articoli corredati di fotografie in cui si prova che il prezzo praticato alla pompa bianca (no logo) sita in località Pilastri, nel comune di Ischia, è stato lo stesso, identico, rispetto a quello del distributore AGIP sito alla via Morgioni, in contrasto con le normative di legge vigenti –:
   come avvenga il rifornimento di benzina, gasolio e gpl sull'isola e quindi con quale società di navigazione viaggino i tir e quale sia la capacità di trasporto di ogni automezzo in termini di litri trasportati;
   se il costo del trasporto via mare sia o meno a carico dei distributori isolani ed in che misura incida tale costo sul prezzo al consumatore, ciò sia per quanto concerne l'isola d'Ischia ma anche su scala nazionale (nella misura in cui si intende sapere se il costo della benzina a Milano e Palermo abbia una differenza di costo per la relativa distanza);
   quanta benzina, gasolio e gpl arrivi e venga venduta in un anno sull'isola d'Ischia;
   se, anche per il tramite dell'osservatorio nazionale sui prezzi, intenda acquisire elementi in merito al motivo per il quale il prezzo della benzina e del diesel ai distributori è più caro rispetto alle altre località italiane tenendo conto di quanto affermato da Claudio Burani, segretario provinciale della Figisc Anisa – Federazione Italiana gestori impianti stradali carburanti – nell'agosto 2010. (4-08601)

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Binetti n. 1-00483, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 239 del 4 giugno 2014.

   La Camera,
   premesso che:
    in data 2 luglio 2014 la Camera dei Deputati ha approvato a grandissima maggioranza una mozione unitaria che aveva come oggetto la tutela della libertà religiosa: la mozione impegnava il governo su vari fronti, che hanno ancora piena attualità, anche perché nel tempo sono andati moltiplicandosi gli episodi di intolleranza con grave pregiudizio non solo per la libertà, ma anche per la vita delle persone;
    la mozione approvata il 2 luglio 2014 sollecitava il governo a denunciare ogni forma di persecuzione nei confronti delle minoranze religiose, in particolare quelle cristiane che vivono in alcuni contesti in cui sono maggiormente vulnerabili; a promuovere misure di prevenzione dell'intolleranza in particolare nei confronti delle diverse esperienze religione; a sostenere iniziative che promuovano il dialogo interreligioso; a rafforzare le politiche per la cooperazione internazionale, specialmente nei Paesi in cui le minoranze religiose, in particolare, quelle cristiane sono pesantemente discriminate; ad adottare le opportune iniziative, anche in sede ONU, in, materia di libertà religiosa, per monitorare gli episodi di persecuzione religiosa, impegnando i diversi Stati ad intervenire tempestivamente nella prevenzione dell'intolleranza e del fanatismo religioso; ad assumere iniziative presso il Governo del Pakistan per rafforzare il rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo e, in particolare, del diritto di libertà religiosa; infine ad assumere iniziative a sostegno delle minoranze religiose con particolare attenzione all'educazione;
    all'ONU 1'11 marzo 2015 Heiner Bielefeldt, relatore speciale sulla libertà di religione o di credo durante la 28.ma sessione del Consiglio dei diritti umani a Ginevra ha affermato: «Esistono violenze commesse in nome della religione e questo può portare a massicce violazioni dei diritti umani, compresa la libertà di religione o di credo». Il rapporto è in realtà un atto di accusa contro gli Stati che, implicitamente o esplicitamente, appoggiano violenze commesse in nome della religione, le tollerano sul loro territorio o ne hanno istituzionalizzato, anche, il funzionamento. L'analisi delle cause di questo tipo di violenza è l'essenza del rapporto. Si parla infatti di gruppi armati terroristici barbari o della strumentalizzazione della religione per fini di potere o politici; altre volte si tratta di politiche di esclusione etnica o religiosa, oppure della mancanza di uno Stato di diritto che garantisca pace e stabilità ed eviti l'emergere di forme di radicalizzazione religiosa. Altre cause però risiedono nella mancanza di istruzione, della quale approfitta l'irrazionalità della violenza religiosa o nei media stessi che si trasformano in vettori di violenza. Infine, le autorità religiose e politiche che non condannano le barbarie commesse in nome della religione, complici nel promuovere e far crescere tali atti violenza;
    le persecuzioni contro i cristiani sono cresciute in modo esponenziale nella attuale situazione in Iraq e in altri Paesi del Medio Oriente dove il sedicente «Califfato» islamico marchia con una N come Nazareni le case dei cristiani, costretti a fuggire in massa. La lettera N da marchio d'infamia è diventata simbolo di una battaglia di libertà religiosa. Un marchio della vergogna non per chi lo subisce ma per gli jihadisti che lo impongono, come è avvenuto sulle case dei cristiani a Mosul: N come Nazareno, cioè cristiano;
    fino al 1990, anno della Prima Guerra del Golfo, i cristiani in Iraq erano circa 600.000, il 3,2 per cento della popolazione, stimata in 18 milioni. Con gli anni dell'embargo (1990-2003) inizia il calo: sono circa 554.000 nel 2003, così ripartiti: 370.000 caldei; 100.000 siriaci cattolici e ortodossi; 50.000 assiri; 20.000 armeni; 10.000 protestanti; 4.000 latini. Nel 2003, con l'occupazione dell'Iraq e l'inizio degli attentati contro chiese e clero, si accelerano l'esodo verso Nord e l'emigrazione all'estero. Nel 2010 i cristiani sono stimati attorno ai 400.000. Con l'occupazione di Mosul e di parte della Piana di Ninive, la presenza cristiana è a rischio estinzione. Oggi i cristiani sono stimati attorno ai 250.000, meno dell'i per cento della popolazione; «La difesa della libertà religiosa è la cartina di tornasole per verificare il rispetto di tutti gli altri diritti umani in un Paese». Così disse Giovanni Paolo II nell'ottobre del 2003 ai partecipanti all'assemblea parlamentare dell'OSCE (Organization for Security and Co-operation in Europe). «Se in un Paese la libertà religiosa non è rispettata, difficilmente lo saranno gli altri diritti umani». In quella, come in molte altre occasioni, Papa Wojtyla sottolineò «la dimensione internazionale del diritto alla libertà di religione e la sua importanza per la sicurezza e la stabilità della comunità delle nazioni», incoraggiandone la difesa e la promozione da parte dei singoli Stati e di altri organismi internazionali;
    oggi circa il 74 per cento della popolazione mondiale – quasi 5,3 miliardi di persone – vive in Paesi in cui la libertà religiosa è soggetta a gravi violazioni e limitazioni, che si traducono spesso in vere e proprie persecuzioni religiose. Recenti studi dimostrano che almeno i tre quarti dei casi di persecuzioni religiose nel mondo riguardano i cristiani. Sono almeno 500 milioni i cristiani che vivono in Paesi in cui subiscono persecuzione, mentre altri 208 milioni vivono in Paesi in cui sono discriminati a causa del proprio credo;
    anche il numero di cristiani uccisi ogni anno in ragione della propria fede è tristemente elevato. Le stime variano da 100 mila a poche migliaia. Non è tuttavia rilevante sapere se vi è un cristiano ucciso in odio alla fede ogni cinque minuti, oppure ogni giorno. Anche un solo cristiano che sia reso martire per la propria fede è comunque troppo, soprattutto in una civiltà che si definisce pluralista e che fa della tutela dei diritti umani la vera cifra della nostra modernità;
    tra i colpevoli di discriminazioni e persecuzioni ai danni di gruppi religiosi vi sono numerosi governi. «La libertà religiosa è qualcosa che non tutti i paesi hanno – ha ricordato Papa Francesco rientrando dal suo viaggio in Terra Santa – Oggi ci sono martiri cristiani, cattolici e non cattolici. In alcuni posti non puoi portare un crocifisso, avere una Bibbia, o insegnare il catechismo ai bambini. E io credo che in questo tempo ci siano più martiri che nei primi tempi della Chiesa»; in Corea del Nord la libertà religiosa è completamente negata. Il governo controlla le attività religiose e chiunque partecipi ad attività religiose non autorizzate è arrestato e soggetto a torture o perfino esecuzioni. Migliaia di nordcoreani sono internati nei campi di lavoro per motivi religiosi – almeno 15 mila su un totale di 150 mila prigionieri – e se rifiutano di rinunciare alla loro fede, subiscono abusi perfino peggiori di quelli cui sono soggetti gli altri detenuti. Molto simile la situazione dell'Eritrea, nota non a caso come la Corea del Nord d'Africa, dove si contano dai 2 mila ai 3 mila prigionieri arrestati a causa del loro credo religioso. Prigionieri che subiscono atroci torture e sono costretti a vivere in condizioni disumane;
    in Cina il controllo dello Stato sulle attività religiose è andato tristemente aumentando negli ultimi anni, così come il numero degli arresti di cristiani, buddisti e musulmani e la distruzione di edifici religiosi. Recentemente nella provincia di Zhejang oltre sessanta chiese sono state demolite o danneggiate. La Costituzione riconosce sulla carta la libertà di religione, ma autorizza le sole attività religiose «normali», senza tuttavia fornirne alcuna definizione. Chiunque partecipi a riunioni o manifestazioni religiose non «autorizzate» è arrestato e può subire torture e abusi. Stessa sorte è toccata ai numerosi cattolici che, per fedeltà al Papa, hanno rifiutato di aderire all'Associazione Patriottica Cattolica Cinese;
    lo stretto controllo governativo limita in modo rilevante la libertà religiosa anche in altri Paesi asiatici, quali Laos, Vietnam, Malesia, Kazakhistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Vietnam;
    uno dei Paesi in cui la libertà religiosa è meno tutelata è senza dubbio il Pakistan. – Qui lo strumento d'elezione per la discriminazione e la persecuzione delle minoranze religiose è la cosiddetta legge anti-blasfemia – corrispondente ad alcuni articoli del codice penale pachistano che punisce con la pena di morte chi insulta il profeta Maometto e con il carcere a vita chi profana il Corano. In Pakistan sono detenute 36 delle 43 persone arrestate con l'accusa di blasfemia in tutto il mondo. 17 di queste sono state condannate alla pena capitale, mentre le altre stanno scontando una pena detentiva a vita. Senza contare le migliaia di omicidi extra-giudiziali compiuti a causa di tale norma;
    anche se tra gli accusati non mancano appartenenti alla maggioranza musulmana, i dati dimostrano come la legge – che non prevede l'onere della prova per chi accusa e si presta dunque facilmente ad un uso improprio – è soprattutto utilizzata per colpire le minoranze religiose. Nel 2013 su 32 casi registrati, 12 hanno riguardato imputati cristiani: si tratta del 40 per cento delle denunce, in un Paese in cui la minoranza cristiana rappresenta appena il 2 per cento della popolazione;
    un'altra piaga che colpisce le minoranze religiose del Pakistan è il rapimento e la conversione forzata all'Islam di adolescenti e bambine. Secondo i dati ufficiali, ogni anno circa 750 giovani cristiane e 250 indù sarebbero rapite e obbligate a convertirsi per contrarre matrimonio islamico. Ma dal momento che la percentuale dei crimini riportati è minima, si ritiene che i casi siano almeno il doppio;
    in questi giorni il caso di Meriam Yahya Ibrahim Ishaq, la donna sudanese condannata a morte per apostasia, ha portato all'attenzione internazionale il dramma in atto nei Paesi in cui è vietato convertirsi dall'Islam ad altra religione. In 21 Paesi il reato di apostasia è regolato dal codice penale e alcuni di questi, tra cui Iran, Sudan, Arabia Saudita, Egitto, Somalia, Afghanistan, Qatar, Yemen, Pakistan e Mauritania contemplano la pena di morte per questo tipo di reato;
    gravi sono le violazioni alla libertà religiosa nei Paesi in cui la legge islamica è fonte di diritto, sia che questa venga applicata a tutti i cittadini – come ad esempio in Sudan – sia che sia fatta distinzione tra musulmani e non musulmani. In 17 dei 49 Paesi a maggioranza islamica, l'Islam è riconosciuto come religione di Stato. Un primato sancito dalla costituzione che implica molteplici conseguenze: dall'esclusione delle minoranze dalla pratica religiosa – è questo il caso dell'Arabia Saudita – fino a forme di tolleranza vincolate a rigidi controlli delle attività religiose; in Medio Oriente, in seguito alla cosiddetta Primavera araba, abbiamo assistito ad un aumento della pressione di gruppi fondamentalisti ed una crescente ostilità nei confronti della minoranza cristiana. In Egitto nel solo 2013 sono stati distrutti o danneggiati oltre 200 tra chiese, edifici religiosi e attività gestite da cristiani; in alcune aree di diversi Paesi del mondo arabo – tra cui Egitto, Iraq e Siria – gli estremisti pretendono dai cristiani il pagamento della jizya, la tassa imposta ai non musulmani durante l'impero ottomano;
    la radicalizzazione dei gruppi fondamentalisti ha contribuito ad alimentare il massiccio esodo di cristiani dal Medio Oriente. Se appena un secolo fa essi rappresentavano circa il 20 per cento della popolazione mediorientale, oggi raggiungono a stento il 4 per cento. Tra i fattori che spingono i cristiani ad abbandonare il proprio Paese vi è la concezione, tradizionalmente diffusa nelle società islamiche, che i non musulmani siano cittadini di seconda classe. Tale concezione non di rado porta a gravi discriminazioni in ambito scolastico e lavorativo e perfino a disparità nell'applicazione della giustizia;
    uno dei Paesi simbolo delle difficoltà cristiane nell'area è senza dubbio l'Iraq, che negli ultimi 25 anni ha visto diminuire la propria comunità cristiana da un milione e mezzo di fedeli a poco più di 300 mila; anche in molte aree dell'Africa la pressione dei gruppi fondamentalisti islamici è andata fortemente aumentando, con gravi conseguenze per la popolazione locale e in particolar modo per i non musulmani. Caso emblematico è quello della Nigeria, dove dal 2009 ad oggi si sono intensificati gli attacchi della setta islamica Boko Haram. – Nel Nord a maggioranza islamica i fondamentalisti hanno distrutto o danneggiato centinaia di chiese e ucciso migliaia di persone, oltre 2 mila soltanto negli ultimi 12 mesi. Da una ricerca condotta nell'ottobre del 2012 è risultato che su 1201 cristiani uccisi in odio alla fede durante l'anno, ben 791 avevano trovato la morte in Nigeria. Il Governo è stato più volte accusato di non aver saputo reagire in maniera adeguata, anche a causa della dilagante corruzione che caratterizza l'apparato statale; nonostante i cristiani subiscano le maggiori persecuzioni in Paesi di religione islamica, non si può dimenticare che nei Paesi islamici ci sono anche molti moderati che desiderano dialogare con la popolazione cristiana per dare vita ad iniziative politiche e sociali condivise; il dialogo con loro è fondamentale per costruire modelli nuovi di convivenza e di pace, a vantaggio di tutti, In Italia e nei diversi paesi; molti dei Paesi citati sono firmatari della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, la quale esige dai Paesi firmatari il rispetto di diritti civili e politici, incluso quello alla libertà religiosa;
    la Dichiarazione universale dei diritti umani, all'articolo 18 stabilisce che: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti»,

impegna il Governo:

   a promuovere l'istituzione di una giornata europea per ricordare i martiri uccisi in odio alla fede e alla religione, non solo i martiri cristiani ma i martiri appartenenti a tutte le fedi e religioni;
   a valutare il rispetto della libertà religiosa come una delle condizioni fondamentali per la concessione di aiuti a Paesi terzi, considerando la libertà religiosa uno dei principali diritti umani;
   ad organizzare con regolarità incontri con i rappresentanti delle minoranze religiose presenti in Italia per acquisire informazioni dirette sulle loro condizioni e poter quindi realizzare interventi umanitari più efficaci;
   ad inserire il tema del rispetto della libertà religiosa nell'agenda degli incontri internazionali tra i membri del nostro Governo e i governi di altri Paesi, specie se in questi Paesi tale diritto non è pienamente garantito;
   ad assicurare protezione ai perseguitati per motivi religiosi, in coerenza con le deliberazioni adottate dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite;
   ad assumere iniziative affinché parte degli aiuti destinati ad altri Paesi siano devoluti a progetti per la promozione delle minoranze religiose, con particolare attenzione all'educazione, ad esempio con l'offerta di borse di studio per appartenenti alle minoranze religiose;
   a richiedere che nei Paesi partner una quota dei posti nel pubblico impiego sia riservata alle minoranze religiose e che venga introdotto, nei diversi livelli dell'istruzione, lo studio storico ed introduttivo delle religioni cui appartengono le minoranze religiose;
   ad assumere, in particolare, l'iniziativa in sede europea e internazionale della costituzione di una compagine, aperta ai principali attori regionali, che reagisca alle violenze più efferate e tuteli popolazioni e comunità oggetto di massacri e di persecuzioni solo per ragioni di fede religiosa;
   ad aggiornare periodicamente la Camera sullo stato dei lavori e sui risultati ottenuti.
(1-00483)
(ulteriore nuova formulazione) «Binetti, Buttiglione, Gigli, Fauttilli, Calabrò, De Mita, Cera, Preziosi, Pagano, Sberna, Piepoli, Fitzgerald Nissoli, Fucci, Bueno, Adornato, D'Alia».

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Moretto n. 4-08586 del 26 marzo 2015.

Ritiro di una firma da una mozione.

  La mozione Luigi Di Maio e altri n. 1-00741, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 febbraio 2015: è stata ritirata la firma del deputato Cariello.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   CHAOUKI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da articoli pubblicati su L'Huffington Post, Corriere.it e da altri organi d'informazione la vicenda di Danilo, bambino affetto dalla sindrome di Down che accompagnato dal padre Andrea presso il Centro estivo «Ottavia» per ragazzi dai 4 ai 13 anni in via delle Canossiane a Roma, dopo una giornata di attività con gli altri bambini sarebbe stato allontanato e invitato a non tornare più al Centro;
   secondo quanto riportato da Huffington Post il padre del ragazzo avrebbe dichiarato sulla vicenda: «Sono andato a prenderlo alle 16,30 e ho visto molti bambini, ma solo una ragazza e un assistente; mi dicono che il titolare, un certo Ivano, mi voleva parlare. Beh, tale Ivano ha detto che era molto dispiaciuto, ma Danilo non poteva frequentare il centro, era difficile da gestire e lui non aveva personale da dedicargli»;
   a questo punto il padre, Andrea, avrebbe provato a dire che, se eventualmente avevano un tutor da dedicargli, lo avrebbe pagato a parte, oppure avrebbe potuto metterlo lui, ma la risposta sarebbe stata «no»: «Sai, poi non vorrei che crei problemi agli altri bambini che, tornati a casa, si lamentino di Danilo... e magari i genitori portino via i loro figli dal centro;
   il genitore di Danilo è stato pertanto invitato a portare via suo figlio e a non fare ritorno presso il centro giochi;
   sulla vicenda è intervenuto sia il presidente del XIV Municipio, Valerio Barletta, il quale ha proposto ai genitori l'iscrizione di Danilo presso un centro sportivo municipale nonché la presidente della commissione capitolina politiche sociali e della salute, Erica Battaglia;
   impedire a Danilo di stare con gli altri bambini si traduce in un atto di discriminazione basata sul suo stato di persona con disabilità, che viola l'articolo 5, l'articolo 7 e l'articolo 9 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dal nostro Paese con la legge n. 18 del 2009 –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se non ritenga doveroso intervenire predisponendo, ogni iniziativa di competenza, anche normativa, volta a far sì che fatti analoghi, a quello successo a Danilo non si ripetano.
(4-05206)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, concernente l'allontanamento di un bambino down da un centro estivo a causa della sua condizione di disabilità, si fa presente che il dipartimento per le pari opportunità è venuto a conoscenza di tale vicenda nell'ambito della quotidiana attività di monitoraggio dei media posta in essere dall'ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali al fine di verificare l'esistenza di fenomeni discriminatori su tutto il territorio nazionale.
  In particolare, secondo quanto riportato dagli organi di stampa, il responsabile del centro estivo avrebbe giustificato tale allontanamento con la carenza di personale professionalmente preparato per seguire il bambino.
  A seguito di tale vicenda il presidente del XIV municipio di Roma Capitale ha organizzato un incontro tra la famiglia del bambino ed il sindaco, a conclusione del quale è stata proposta l'iscrizione gratuita ad un centro sportivo municipale.
  Considerato, pertanto, l'esito della vicenda questo dipartimento ha ritenuto opportuno chiudere l'attività istruttoria a suo tempo avviata.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriGraziano Delrio.


   D'INCÀ, SPESSOTTO, COZZOLINO, BUSINAROLO, BRUGNEROTTO, DA VILLA e BENEDETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   lo Stato italiano, nell'estate del 2013, ha ratificato la convenzione di Istanbul che indica le azioni da compiere per: prevenire, perseguire ed eliminare il fenomeno della violenza sulle donne e la violenza domestica; contribuire ad eliminare ogni forma di discriminazione contro le donne e promuovere la concreta parità tra i sessi; promuovere la cooperazione internazionale e sostenere ed assistere le organizzazioni e le autorità incaricate dell'applicazione della legge in modo che possano collaborare efficacemente;
   il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per, contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, prevede in sostanza, oltre all'inasprimento delle pene, all'articolo 5-bis (azioni per i centri antiviolenza e le case-rifugio), di incrementare il Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, di cui all'articolo 19, comma 3, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 22, di 10 milioni di euro per l'anno 2013, di 7 milioni di euro per l'anno 2014 e di 10 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2015;
   dopo la conversione del suddetto decreto-legge cosiddetto «decreto sul femminicidio», il Governo aveva attivato i tavoli interministeriali aprendo un confronto tra istituzioni ed associazioni per elaborare il nuovo piano nazionale antiviolenza, con l'obiettivo di individuare le misure per prevenire il fenomeno e dare risposte adeguate alle richieste di aiuto;
   si è scoperto che ad oggi di questi fondi solo 2.260.000 euro finiranno ai centri antiviolenza già esistenti, mentre non si hanno evidenze degli altri 14.740.000 a disposizione delle regioni, che devono finanziare progetti sulla base di nuovi bandi;
   a tal proposito la regione Veneto nell'aprile 2013 ha approvato la legge n. 5 del 23 aprile 2013 «Interventi regionali per prevenire e contrastare la violenza» che prevede una serie di interventi regionali, stabilendo con successiva delibera del 13 ottobre 2013 la concessione dei contributi diretti a finanziarie tali attività e tali strutture, stanziando complessivamente 400.000,00 euro (a fronte di un totale di 34 strutture mappate). Successivamente però il 27 maggio 2014 la stessa regione ha comunicato che i contributi stanziati per il 2014 sono esattamente la meta dell'anno precedente, cioè 200.000,00 euro in totale. Cifra a giudizio degli interroganti risibile, soprattutto a fronte della cronica difficoltà denunciata dai centri antiviolenza (veneti e nazionali) connessa proprio ai finanziamenti insufficienti e discontinui;
   il riparto dei fondi contro la violenza sulle donne stanziati, così come previsto dal decreto-legge n. 93 del 2013, trasmesso dal dipartimento pari opportunità alla Conferenza delle regioni antiviolenza prevede quasi sei milioni di euro per nuovi centri antiviolenza, nove milioni di euro per gli interventi regionali già in essere per il sostegno alle vittime e ai loro figli e 1,1 milioni di euro rispettivamente per i centri antiviolenza e le case rifugio esistenti;
   è evidente che tale riparto dei fondi penalizzerebbe grandemente i centri antiviolenza autonomi (circa 3.000 euro cadauno) rispetto a quelli istituzionali, in contrasto con le raccomandazioni europee e quanto sostenuto dalla stessa convenzione di Istanbul, secondo cui i Governi devono privilegiare le azioni dei centri antiviolenza privati gestiti da donne in quanto servizi indipendenti. Centri che in Italia operano da oltre vent'anni, sono luoghi di buone pratiche per fronteggiare il fenomeno della violenza contro le donne ed hanno sviluppato una storica esperienza e competenza, da cui nessun progetto sulla violenza contro le donne può prescindere;
   pertanto, l'apertura di centri antiviolenza istituzionali, in tempi così rapidi (per non perdere i finanziamenti) e prescindendo dalla esperienza dei centri autonomi, comporta il rischio che alle donne vittime di violenza e ai loro figli/e vengano offerti servizi generici, depotenziati nella qualità e nell'efficacia, marginalizzando le pratiche «di genere» messe in campo dalle organizzazioni di donne e riconosciute come le più valide ed efficaci su questa materia sia dall'ONU che dalle istituzioni europee, contribuendo in questo modo ad umiliare e condannare alla chiusura i centri antiviolenza già esistenti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suesposti;
   se e quali iniziative intenda intraprendere, ed in quali tempi, per rinnovare «il piano nazionale antiviolenza» e assegnare i fondi già previsti dal decreto-legge n. 93 del 2013 per il biennio 2013/2014, individuando chiari criteri di distribuzione, al fine di consentire alle regioni di finanziare interamente i progetti già approvati, come nel caso della regione Veneto suesposto e consentire così che i centri antiviolenza e le case rifugio siano finanziati in maniera certa e costante, sottraendoli all'incertezza, alla sopravvivenza o al rischio di chiusura. (4-05786)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, concernente la prevenzione e il contrasto della violenza di genere, per quanto di competenza, si forniscono i seguenti elementi informativi.
  In primo luogo, per quanto concerne l'adozione del Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere di cui all'articolo 5 del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93 (convertito dalla legge n. 119 del 2013), recante «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province», si fa presente che, tenuto conto della complessità degli interventi da porre in essere per l'adozione del suddetto Piano, il compito di elaborarlo è stato affidato ad una task force interistituzionale (costituita il 22 luglio 2013) che riunisce tutti i Ministeri interessati (pari opportunità, giustizia, interno, salute, istruzione, esteri, difesa, economia e finanze, lavoro, sviluppo economico) e i rappresentanti della autonomie territoriali e del mondo dell'associazionismo, coordinata dal dipartimento per le pari opportunità.
  Al fine, di giungere in tempi rapidi all'elaborazione del Piano, i lavori della suddetta task force sono stati organizzati costituendo sette sottogruppi tematici di lavoro, ai quali hanno partecipato i rappresentanti delle amministrazioni statali, delle associazioni, delle regioni e degli enti locali, denominati «Codice Rosa»; «Comunicazione»; «Valutazione del rischio»; «Formazione»; «Educazione», «Reinserimento vittime» e «Raccolta Dati».
  I citati sottogruppi tematici stanno lavorando al fine di fornire proposte di intervento volte a determinare i contenuti del Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, come previsto dall'articolo 5, comma 2, lettere a-1), del decreto legge n. 93 del 2013.
  Premesso quanto sopra, in considerazione del fatto che il Governo si è impegnato ad adottare il citato Piano entro il prossimo mese di ottobre, con mia lettera del 10 luglio 2014, nell'evidenziare che il tema della prevenzione e del contrasto della violenza contro le donne è un «tema centrale nell'agenda politica di questo esecutivo», ho chiesto ai Ministri dei dicasteri facenti parte della citata task force interistituzionale di fornire quanto prima al dipartimento la documentazione utile all'elaborazione del Piano.
  Con lettera del 31 luglio 2014, il dipartimento ha sollecitato le amministrazioni capofila dei sette sottogruppi tematici di lavoro di trasmettere, entro il mese di settembre 2015, previa condivisione con i rappresentanti degli enti territoriali e delle associazioni facenti parte di ciascun sottogruppo, il proprio documento conclusivo utile per l'elaborazione del Piano.
  Si fa presente, altresì, che in attuazione di quanto previsto dall'articolo 5, comma 2, lettera d), del decreto legge n. 93 del 2013, che attribuisce al Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere il compito di «potenziare le forme di assistenza e di sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli attraverso modalità omogenee di rafforzamento della rete dei servizi territoriali, dei centri antiviolenza e dei servizi di assistenza alle donne vittime di violenza», sono stati stanziati ed assegnati sul fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità 10 milioni di euro per l'anno 2013 e 7 milioni di euro per l'anno 2014 (articolo 5-bis, comma 1, decreto legge 93 del 2013).
  Tali risorse, per un ammontare pari a 17 milioni di euro, secondo quanto previsto dall'articolo 5-bis, comma 2, del sopracitato decreto legge, devono essere annualmente ripartite tra le regioni dal Ministro delegato per le pari opportunità «previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le Province autonome di Trento e Bolzano, tenendo conto dei seguenti criteri:
   a) della programmazione regionale e degli interventi già operativi per contrastare la violenza nei confronti delle donne;
   b) del numero dei centri antiviolenza pubblici e privati già esistenti in ogni regione;
   c) del numero delle case-rifugio pubbliche e private già esistenti in ogni regione;
   d) della necessità di riequilibrare la presenza dei centri antiviolenza e delle case-rifugio in ogni regione, riservando un terzo dei fondi disponibili all'istituzione di nuovi centri e di nuove case-rifugio al fine di raggiungere l'obiettivo previsto dalla raccomandazione Expert Meeting sulla violenza contro le donne – Finlandia, 8-10 novembre 1999.».
  Nel rispetto di quanto previsto dal citato articolo 5-bis, comma 2, del decreto-legge n. 93 del 2013, il dipartimento per le pari opportunità ha predisposto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che ripartisce, in un'unica soluzione, le risorse stanziate per gli esercizi finanziari 2013 e 2014, e sul quale, nel mese di luglio, è stata sancita l'intesa in conferenza Stato-Regioni.
  Con il citato provvedimento si è inteso, pertanto, procedere alla ripartizione delle suddette risorse finanziarie ammontanti complessivamente a 16.449.385 euro, in considerazione del fatto che lo stanziamento previsto dalla normativa sopra indicata, di 7 milioni di euro per l'anno 2014, è stato ridotto in applicazione dell'articolo 2 del decreto legge 28 gennaio 2014, n. 4 e dell'articolo 16 del decreto legge 24 aprile 2014, n. 66, per un importo complessivo pari a euro 550.615.
  Il riparto delle citate risorse finanziarie, basato sui dati rappresentanti da ciascuna regione, è in un'unica soluzione e nel pieno rispetto dei criteri stabiliti dal richiamato articolo 5-bis del decreto-legge 93 del 2013.
  La scelta di procedere alla ripartizione delle risorse 2013 e 2014 in un'unica soluzione, in sede di prima applicazione, è stata assentita dal Vice Ministro, pro tempore, con delega alle pari opportunità, su richiesta delle regioni, atteso che la norma primaria è entrata in vigore ad ottobre del 2013 e, a partire dal 2015, assegna a regime 10.000.000,00 di euro al fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità.
  Si rappresenta, in particolare, che i criteri di riparto stabiliti nel menzionato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sono da ritenersi riferibili, come fase di prima applicazione, solo ed esclusivamente agli anni 2013 e 2014, come è previsto dall'articolo 2, comma 1, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
  A partire dal 2015 le regioni, infatti, in un'ottica di maggiore trasparenza dell'utilizzo delle risorse medesime, saranno tenute a trasmettere al dipartimento per le pari opportunità informazioni e dati secondo quanto indicato nel richiamato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (articolo 3, comma 2).
  Con il riparto delle risorse finanziarie a regime, dall'anno 2015, il dipartimento avrà a disposizione dati, forniti dalle regioni, relativi all'esistenza dei centri antiviolenza e delle case rifugio nel territorio nazionale, nonché avrà la possibilità di individuare, sulla base dei requisiti minimi uniformi su tutto il territorio nazionale, stabiliti mediante l'intesa di cui all'articolo 3, comma 4, del citato decreto, i centri antiviolenza e le case rifugio che potranno accedere al finanziamento.
  Per quanto attiene il regime di prima applicazione, è previsto (articolo, 3, comma 3) che, ove sussista il mancato utilizzo delle risorse da parte delle Regioni, secondo le modalità del decreto medesimo, l'amministrazione procederà alla revoca del finanziamento.
  Al fine di una maggiore chiarezza sui criteri di riparto delle risorse finanziarie previsti dal decreto de quo, si rappresenta che è stato necessario rispettare la norma primaria (articolo 5-bis, decreto-legge 93 del 2013), la quale prevede che solamente «un terzo dei fondi», cioè il 33 per cento delle risorse stanziate per gli anni 2013 e 2014 (articolo 5-bis, comma 2, lettera d) del decreto-legge 93 del 2013) – pari a 5.428.297,05 euro – siano destinati all'istituzione di nuovi centri antiviolenza e case rifugio.
  Il resto delle risorse sono state suddivise sulla base degli altri criteri sopra elencati contenuti nel citato articolo 5-bis, tenendo ben presente che la disposizione primaria conferisce al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri solamente il compito di ripartire e non già di disciplinare l'erogazione delle risorse e che in materia di politiche sociali, di competenza esclusiva regionale, è necessario rispettare l'autonomia degli enti territoriali, come più volte affermato dalla Corte costituzionale.
  Ciò nonostante, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ha stabilito ulteriori criteri rispetto alla norma primaria, prevedendo che le risorse dello Stato da ripartire, siano «aggiuntive» a quelle già stanziate dalle Regioni per gli interventi operativi, previsti nell'ambito della programmazione adottata a livello regionale, volti ad attuare azioni di assistenza e di sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli.
  Pertanto, la rimanente somma pari a 11.021.087,95 euro è destinata, nella misura dell'80 per cento al finanziamento degli interventi regionali già operativi volti ad attuare forme di assistenza e di sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli, previsti dalla programmazione regionale; nella misura del 10 per cento a centri antiviolenza pubblici e privati già esistenti nelle regioni e nella rimanente misura del 10 per cento, alle case rifugio pubbliche e private già esistenti in ogni regione.
  Si fa presente, infine, che, sulla base del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri registrato dalla Corte dei Conti in data 6 agosto 2014, sono stati adottati i relativi ordini di pagamento alle regioni, attualmente in corso di registrazione da parte del competente ufficio di ragioneria.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriGraziano Delrio.


   DI LELLO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi due anni, l'Esercito ha avviato uno studio teso ad attuare una serie di provvedimenti finalizzati al conseguimento degli obiettivi di riduzione dell'area infrastrutturale logistica dell'Esercito imposti da diverse disposizioni legislative, tra cui il decreto legislativo 28 gennaio 2014 n. 7, che potessero confluire nel cosiddetto «piano per la revisione dello strumento militare terrestre»;
   nell'ambito di tale «riordino» si è previsto di privilegiare l'area operativa rispetto a quella del supporto generale che ha iniziato ad interessare tutte le aree della Forza armata comprese quelle logistiche e infrastrutturali;
   nell'incontro tenutosi ai primi di dicembre del 2014 tra lo Stato Maggiore dell'Esercito e le rappresentanze sindacali, i vertici militari, nell'ambito del progetto di riordino in senso riduttivo dello strumento militare terrestre e allo scopo di continuare a ricercare soluzioni essenziali ed efficaci tese al contenimento dei costi di gestione attraverso una spinta ottimizzazione degli spazi disponibili, hanno fatto sapere che è allo studio un progetto teso a ottimizzare/razionalizzare gli immobili militari nella città di Napoli. I principi ispiratori di tale studio sono basati sulla necessità di individuare una distribuzione degli spazi il più possibile ottimale per ciascuna tipologia di immobile, ricercando, ove fattibile, l'accentramento di più funzioni in spazi unici. Ciò per dismettere gli immobili non, più necessari ai fini istituzionali, ammodernare in modo mirato i soli immobili cosiddetti «strategici» e sfruttare da parte di più utenti le aree comuni (mensa, circolo, aule, parcheggi, aree sportive e addestrative, e altro) per eliminare le spese superflue di mantenimento;
   nello specifico, ha sottolineato lo Stato Maggiore, saranno avviate le procedure per il trasferimento, quale primo provvedimento di riallocazione di enti e comandi in un minor numero di sedi, del 10o reparto genio e infrastrutture, situato a Fuorigrotta, dal comprensorio della «Canzanella» alla Caserma Minucci;
   la notizia, anche se entrambe le parti si sono riservate alcune riflessioni, ha destato molta preoccupazione nella città in quanto la sede si trova in un'area particolarmente sensibile della città di Napoli, Fuorigrotta, e, oltre ai propri compiti istituzionali, ha sempre svolto una funzione deterrente per ogni forma di devianza sociale;
   senza parlare delle conseguenze economiche e dell'eventuale perdita di capacità lavorativa che si verrebbe a creare con il trasferimento altrove della struttura in una zona particolarmente difficile di Napoli dove è già molto alto il tasso di disoccupazione, vi sono particolari situazioni di squilibrio sociale e dove, la mancanza di simboli e testimonianze dello Stato come tale reparto, creerebbe seri problemi di ordine;
   a rimarcare la necessità di mantenere operativo il 10o reparto genio e infrastrutture si è espressa anche la 2a commissione consigliare della X municipalità Bagnoli Fuorigrotta che si è fatta promotrice, attraverso i propri rappresentanti consiliari, di ogni iniziativa utile affinché gli enti preposti possano riconsiderare le determinazioni in merito al trasferimento del reparto sopra menzionato –:
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia intenzione di assumere, pur nell'ambito di una revisione in senso riduttivo di tutte le aree dell'Esercito che tenga però conto del contesto territoriale nel quale i reparti, distaccamenti, basi operative o altro sono collocati, in merito al reparto di cui sopra, al fine di non danneggiare ulteriormente un territorio già fortemente degradato e dove la mancata presenza dello Stato, in ogni sua espressione, farebbe solo acuire marginalità già presenti. (4-07494)

  Risposta. — Il decreto legislativo n. 7 del 2014, discendente dalla legge n. 244 del 2012, non prevede per il 10o reparto infrastrutture, di stanza a Napoli, provvedimenti di riorganizzazione/soppressione.
  Il trasferimento di sede di detto reparto dalla caserma «Canzanella» alla caserma «Minucci» sita nella medesima città e sede del sovraordinato comando infrastrutture sud, rientra nel progetto di razionalizzazione infrastrutturale degli immobili di Forza armata ricadenti all'interno della città di Napoli.
  Ciò si è, peraltro, reso necessario in quanto la caserma «Canzanella» versa in mediocre stato manutentivo e con la presenza di vari fabbricati inagibili, contrariamente alla caserma «Minucci», immobile di recente realizzazione che è in ottimo stato.
  Inoltre, quest'ultimo immobile è nell'attualità solo parzialmente occupato e avrebbe, peraltro, spazi già prontamente idonei ad ospitare un reparto e un comando dell'area infrastrutturale, garantendo in tal modo anche la continuità e l'immediatezza dell'azione di direzione.
  In tale quadro, esaminate le potenzialità delle infrastrutture presenti nella città di Napoli, l'ipotesi di razionalizzazione infrastrutturale risulta essere pienamente perseguibile e la più vantaggiosa per la Forza armata, in quanto è attuabile in tempi brevi, a costi contenuti e consentirebbe di rendere disponibile la caserma «Canzanella» anche per il raggiungimento degli obiettivi della legge di stabilità 2014.
  Peraltro, l'ipotesi in argomento risulta funzionalmente vantaggiosa, considerando i benefici che deriverebbero dall'accentramento presso un unico comprensorio delle funzioni di più enti appartenenti alla stessa area e le economie di scala conseguenti all'unificazione di tali funzioni (vigilanza, servizi di manutenzione e altro).
  Per completezza di informazione, si rende noto che è già stato conferito mandato all'ispettorato delle infrastrutture dell'esercito di avviare le attività tecnico amministrative finalizzate all'individuazione degli interventi da effettuare, connessi al trasferimento del 10o reparto infrastrutture.
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   DI VITA, CECCONI, DALL'OSSO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, MANTERO, GRILLO, BARONI, CHIMIENTI, LUIGI DI MAIO, BUSINAROLO, MUCCI, DI BENEDETTO, LUPO e LOMBARDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   sulla base delle indicazioni provenienti dalla Convenzione del Consiglio d'Europa, fatta ad Istanbul l'11 maggio 2011, concernente la lotta contro la violenza contro le donne e in ambito domestico di Istanbul, recentemente ratificata dal Parlamento, il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito in legge 15 ottobre 2013, n. 119, e pubblicato in Gazzetta Ufficiale 15 ottobre 2013, n. 242, recante il titolo «Nuove norme per il contrasto della violenza di genere che hanno l'obiettivo di prevenire il femminicidio e proteggere le vittime», mira a rendere più incisivi gli strumenti della repressione penale dei fenomeni di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e di atti persecutori (staiking);
   l'articolo 5 del decreto, in particolare, dispone un nuovo piano straordinario di protezione delle vittime di violenza sessuale e di genere che prevede azioni di intervento multidisciplinari, a carattere trasversale, per prevenire il fenomeno, potenziare i centri antiviolenza e i servizi di assistenza, formare gli operatori;
   in particolare, il comma 1 dell'articolo 5 prevede che «Il Ministro delegato per le pari opportunità, anche avvalendosi del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità di cui all'articolo 19, comma 3, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, elabora, con il contributo delle amministrazioni interessate, e adotta, previa acquisizione del parere in sede di conferenza unificata, un «Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere», di seguito denominato «Piano», che deve essere predisposto in sinergia con la nuova programmazione comunitaria per il periodo 2014-2020;
   ebbene, nonostante le risorse di cui alla citata norma siano state allocate nel 2013 – 10 milioni in 4 anni il finanziamento, compreso il 2013 – e che il lavoro delle Commissioni interministeriali di redazione del Piano nazionale risulti ad uno stadio avanzato, si è purtroppo registrato un netto rallentamento procedurale a causa del cambio di Governo;
   in merito alla chiusura dei lavori preparatori del Piano previsto dal decreto femminicidio, il 6 febbraio 2014 l'onorevole Maria Cecilia Guerra, al tempo ancora Viceministro con delega alle pari opportunità, dichiarava alla stampa: «La chiusura è molto vicina, due settimane “per comporre il mosaico” del lavoro dei diversi gruppi, due mesi per l'approvazione, con un passaggio in Conferenza unificata»;
   in seguito all'avvicendamento con il Governo Renzi, in data 30 aprile 2014, la stessa Maria Cecilia Guerra, non più Viceministro, rilasciava una nuova intervista nella quale, contrastando con quanto entusiasticamente prospettato nella sua precedente dichiarazione pubblica in merito, dichiarava che il Piano antiviolenza non era tuttavia ancora stato completato, non mancando di attribuire specifiche responsabilità all'attuale premier: «[..] in parte questo timore c’è proprio per la complessità del piano, che richiede una guida politica forte che in questi quasi due mesi di Governo Renzi non ha avuto. Prima con l'abolizione del Ministero e ora per via di questa delega ancora in capo al Presidente del Consiglio. Mi permetto di dubitare non certo delle buone intenzioni di Renzi nei confronti di questo problema, ma semplicemente del fatto che i compiti del suo ufficio gli lascino lo spazio per occuparsene. Per ora, appunto è tutto fermo. Chi ha l'autorità politica per convocare i gruppi di lavoro del piano? Ci vuole anche una riconferma delle responsabilità dal momento che il Governo è cambiato e non c’è più il Ministero. In teoria i gruppi li dovrebbe convocare Renzi stesso, ma faccio fatica a credere che con il mestiere che fa possa assumere un ruolo operativo nei confronti del piano»;
   a parere degli interroganti l'importanza del Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri non può non ritenersi cruciale, giacché competente del coordinamento dette iniziative normative e amministrative in tutte le materie attinenti in particolare la promozione dei diritti della persona, delle pari opportunità e della parità di trattamento, la prevenzione e rimozione di ogni forma e causa di discriminazione;
   ad oggi la Presidenza del Consiglio dei ministri non ha dunque ancora provveduto all'assegnazione della delega concernente le pari opportunità ad alcun membro del Governo, risultando quindi nelle mani del Presidente del Consiglio stesso che per evidenti ragioni, innanzitutto di ordine pratico, non riesce ad esercitare in maniera efficace tale competenza;
   l'ultima assegnazione di tale delega, infatti, risale al 10 luglio 2013, quando con proprio decreto l'allora Presidente del Consiglio dei ministri, onorevole Enrico Letta, conferì all'ex Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Enrico Giovannini, la delega in materia. Funzioni in materia, come detto, esercitate per il tramite dell’ex Viceministro Maria Cecilia Guerra;
   la delega alle pari opportunità riguarda competenze ed argomenti importantissimi e centrali nel welfare, tendenti a garantire l'assenza di ostacoli alla partecipazione economica, politica e sociale di un qualsiasi individuo, soprattutto dei soggetti più deboli, per ragioni connesse in particolare al genere, religione e convinzioni personali, razza e origine etnica, disabilità, età, orientamento sessuale. Per tali ragioni, a parere degli interroganti, la stessa meriterebbe di essere oggetto di una assegnazione specifica;
   in tale direzione, con rispettivi atti di indirizzo e controllo, i deputati del Movimento 5 Stelle in Commissione affari sociali e in Commissione bicamerale infanzia e adolescenza hanno chiesto, fin dalle dimissioni dell'ex Ministro per le pari opportunità del Governo Letta, Josefa Idem, che il Governo si impegnasse a propone la nomina di un nuovo Ministro senza portafoglio con delega alle pari opportunità; ciò nonostante si continua a registrare negativamente un generale disinteresse politico in merito da parte dei colleghi delle commissioni anzidette, non avendo questi dato seguito alla questione sollevata né attraverso un concreto atto di impulso, né, men che meno, di semplice adesione alle richieste avanzate, rendendosi in tal modo complici della descritta situazione di impasse;
   la mancata assegnazione della delega in questione genera altresì forti perplessità e preoccupazioni relativamente al corretto funzionamento di uffici facenti capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri, cooperanti stabilmente con il dipartimento per le pari opportunità;
   l'UNAR (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali), ad esempio, svolge l'importante funzione di garantire, in piena autonomia di giudizio e in condizioni di imparzialità, l'effettività del principio di parità di trattamento fra le persone, anche in un'ottica che tenga conto del diverso impatto che le stesse discriminazioni possono avere su donne e uomini, nonché dell'esistenza di forme di razzismo a carattere culturale e religioso, ai sensi dell'articolo 7, comma 2, del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215 e del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'11 dicembre 2003;
   a tal proposito si ricorda lo scalpore che destò la notizia del 14 febbraio 2014, la quale riportava dell'invio di una nota formale di demerito al direttore dell'UNAR da parte dell'allora Viceministro del lavoro e delle politiche sociali con delega alle pari opportunità, onorevole Maria Cecilia Guerra, relativamente alla diffusione di materiale didattico dell'UNAR per l'educazione alle diversità nelle scuole, elaborato dall'istituto Beck;
   ad aggravare il quadro vi e anche il nodo relativo ai Comitati unici di garanzia, costituiti ormai da tre anni con la finalità di prevenire ogni forma di discriminazione nei luoghi di lavoro, la cui effettività del funzionamento resta tuttora un punto interrogativo;
   forti dubbi permangono altresì riguardo il rinnovo del Gruppo di monitoraggio e supporto alla costituzione e sperimentazione dei Comitati unici di garanzia per le pari opportunità, istituito il 18 aprile 2012 con decreto della Presidenza del Consiglio del ministri, la cui durata in carica biennale, stando alla lettera dell'articolo 4 del decreto, sarebbe cessata lo scorso aprile, salvo il caso di eventuale proroga dei componenti uscenti. Tale ultima circostanza, però, non è ad oggi riscontrabile documentalmente da questa interrogante;
   anche tali specifiche questioni, che quotidianamente destano numerose polemiche nell'opinione pubblica, restano dunque tutt'oggi aperte a causa della perdurante mancanza, reiterata anche dalla neo Presidenza del Consiglio dei ministri, di una nomina alle pari opportunità –:
   se sia a conoscenza dei fatti citati in premessa;
   se intenda fornire al Parlamento elementi circa l'attuale stato di elaborazione ed attuazione del Piano antiviolenza di cui al citato articolo 5, comma 1, del decreto femminicidio;
   se sia stata stabilita una data ufficiale di emanazione del Piano antiviolenza o, in caso contrario, quando si preveda che ciò potrà verosimilmente accadere;
   se intenda proporre nel più breve tempo possibile la nomina di un Ministro senza portafoglio cui affidare la delega relativa alle politiche delle pari opportunità, individuando così un nuovo membro del Governo, che possa rappresentare un solido punto di riferimento, operativo ed efficace, nel dispiego delle necessarie iniziative sociali che ai temi citati fanno riferimento. (4-05144)

  Risposta. — In primo luogo, per quanto concerne il quesito posto dall'interrogante circa «l'attuale stato di elaborazione ed attuazione» del Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere di cui all'articolo 5 del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93 (convertito dalla legge n. 119 del 2013), recante «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province», si fa presente che, tenuto conto della complessità degli interventi da porre in essere per l'adozione del suddetto Piano, il compito di elaborarlo è stato affidato ad una task force interistituzionale (costituita il 22 luglio 2013) che riunisce tutti i Ministeri interessati (pari opportunità, giustizia, interno, salute, istruzione, esteri, difesa, economia e finanze, lavoro, sviluppo economico) e i rappresentanti della autonomie territoriali e del mondo dell'associazionismo, coordinata dal dipartimento per le pari opportunità.
  Al fine di giungere in tempi rapidi all'elaborazione del Piano, i lavori della suddetta task force sono stati organizzati costituendo sette sottogruppi tematici di lavoro, ai quali hanno partecipato i rappresentanti delle amministrazioni statali, delle associazioni, delle regioni e degli enti locali, denominati «Codice Rosa»; «Comunicazione»; «Valutazione del rischio»; «Formazione»; «Educazione», «Reinserimento vittime» e «Raccolta Dati».
  I citati sottogruppi tematici stanno lavorando al fine di fornire proposte di intervento volte a determinare i contenuti del Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, come previsto dall'articolo 5, comma 2, lettere a-1), del decreto legge n. 93 del 2013.
  Premesso quanto sopra, in considerazione del fatto che il Governo si è impegnato ad adottare il citato Piano entro il prossimo mese di ottobre, con mia lettera del 10 luglio 2014, nell'evidenziare che il tema della prevenzione e del contrasto della violenza contro le donne è un «tema centrale nell'agenda politica di questo esecutivo», ho chiesto ai Ministri dei dicasteri facenti parte della citata task force interistituzionale di fornire quanto prima al dipartimento la documentazione utile all'elaborazione del Piano.
  Con lettera del 31 luglio 2014, il Dipartimento ha sollecitato le Amministrazioni capofila dei sette sottogruppi tematici di lavoro di trasmettere, entro il mese di settembre 2015, previa condivisione con i rappresentanti degli enti territoriali e delle associazioni facenti parte di ciascun sottogruppo, il proprio documento conclusivo utile per l'elaborazione del Piano.
  Contestualmente il dipartimento, al fine di «potenziare le forme di assistenza e di sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli attraverso modalità omogenee di rafforzamento della rete dei servizi territoriali, dei centri antiviolenza e dei servizi di assistenza alle donne vittime di violenza», come stabilito dall'articolo 5, comma 2, lettera d), del decreto legge n. 93 del 2013, ha predisposto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che ripartisce, in un'unica soluzione, le risorse finanziarie, stanziate per gli esercizi finanziari 2013 e 2014 sul fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, ammontanti complessivamente a circa 17 milioni di euro, sul quale è stata sancita nel mese di luglio l'intesa in conferenza Stato-Regioni.
  Sulla base del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, registrato dalla Corte dei Conti in data 6 agosto 2014, sono stati adottati i relativi ordini di pagamento alle regioni, attualmente in corso di registrazione da parte del competente ufficio di ragioneria.
  In merito al quesito dell'interrogante relativo alla necessità di procedere alla «nomina di un Ministro senza portafoglio cui affidare la delega relativa alle politiche di pari opportunità», fermo restando che rientra, in base alla normativa vigente, nelle determinazioni del Presidente del Consiglio dei ministri delegare le funzioni di propria competenza, si rappresenta che l'articolo 2 del decreto legislativo 198 del 2006 stabilisce che «spetta al Presidente del Consiglio dei ministri promuovere e coordinare le azioni di Governo volte ad assicurare pari opportunità, a prevenire e rimuovere le discriminazioni».
  In merito ai dubbi sollevati dall'interrogante circa l'effettivo funzionamento dei «Comitati Unici di Garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni (CUG), si fa presente che sul sito istituzionale del dipartimento per le pari opportunità (http://www.pariopportunita.gov.it/index.php/archivio-dossier/2010-carfagna-qstrumento-unico-contro-le-discriminazioni-al-lavoroq), sono disponibili specifici approfondimenti relativi alla costituzione e al funzionamento dei citati organismi che, a fine 2012, come si legge nel «Rapporto di sintesi per l'anno 2012 sull'attuazione della Direttiva emanata in data 23 maggio 2007 recante Misure per attuare parità e pari opportunità tra uomini e donne nelle amministrazioni pubbliche», erano già presenti in 60 amministrazioni, sulle 104 totali che hanno partecipato alla rilevazione.
  Secondo il citato rapporto, pubblicato sul sito del dipartimento per le pari opportunità (http://www.pariopportunita.gov.it/images/report-pari-opp-pa-dicembre2013.pdf), il comitato unico di garanzia risulta costituito nel 100 per cento delle agenzie e degli enti di previdenza, nell'89,0 per cento delle amministrazioni centrali, nell'88,9 per cento degli enti pubblici non economici, nell'80,0 per cento degli istituti o enti di ricerca, nel 66,7 degli enti di previdenza e nel 34,6 per cento delle università.
  Per quanto concerne, infine, la richiesta dell'interrogante circa l'utilità di assegnare a un Ministro le specifiche deleghe in materia di politiche antidiscriminatorie di pari opportunità, si fa presente che in data 1o ottobre 2014 Giovanna Martelli è stata nominata consigliere in materia di pari opportunità dal Presidente del Consiglio dei ministri.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriGraziano Delrio.


   FAENZI e RUSSO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da fonti di stampa, la Corte dei conti europea, ha presentato una relazione sull'inefficiente funzionamento della politica agricola comune – PAC, criticando in modo rilevante l'operato della Commissione europea;
   i magistrati contabili ritengono, infatti, che l'Esecutivo comunitario, non ha esercitato un'adeguata supervisione sul processo di disaccoppiamento dei pagamenti diretti agli agricoltori, determinando pertanto gravi errori nel passaggio avvenuto negli anni scorsi, da un sistema basato sugli aiuti legati alle quantità prodotte, al nuovo regime di pagamenti sganciati dalla produzione;
   la Commissione europea in particolare, secondo quanto descrive il suindicato articolo, non avrebbe adeguatamente gestito il calcolo effettuato dagli Stati membri, dei diritti degli agricoltori al sussidio dell'Unione europea, nell'ambito del regime di pagamento unico 2010-12, valutato in circa 4,2 miliardi di euro;
   la distribuzione degli aiuti nei medesimi Stati membri, inoltre, non risulterebbe essere stata conforme ai principi di non discriminazione degli agricoltori, di proporzionalità e di sana gestione finanziaria;
   i suesposti rilievi critici si dimostrerebbero inoltre, perfino più gravi, prosegue il medesimo articolo, in considerazione della cristallizzazione definitiva dei diritti all'aiuto imposta dall'ultima riforma che fissa gli importi dei nuovi pagamenti diretti sui premi percepiti nel 2014;
   a giudizio degli interroganti, nonostante le reazioni della Commissione europea alle suesposte valutazioni negative, che tendono tuttavia a rassicurare quanto rilevato dalla magistratura contabile europea, che ha evidenziato come agli Stati membri sia stato concesso un ampio livello di discrezionalità nella scelta delle modalità di attuazione del nuovo regime di pagamento, le osservazioni contenute all'interno della relazione predisposta dalla Corte dei conti europea destano perplessità e necessitano comunque di una precisazione da parte del Ministro interrogato, al fine di conoscere in particolare se dalle risultanze del documento contabile, possano derivare conseguenze sfavorevoli in grado di incidere sui futuri pagamenti agli agricoltori italiani, nell'ambito delle ripartizioni previste con gli altri Paesi membri, per i prossimi esercizi finanziari –:
   se trovi conferma il contenuto delle notizie di stampa esposte in premessa secondo le quali la Commissione europea non ha esercitato una supervisione adeguata sul «processo di disaccoppiamento» concernente il sostegno dell'Unione europea agli agricoltori adottato nell'ambito del «controllo dello stato di salute» della politica agricola comune;
   in caso affermativo, se, in conseguenza dei criteri definiti dagli Stati membri che talvolta non rispettavano i princìpi dell'Unione europea, specie quelli di non discriminazione degli agricoltori, di proporzionalità, della sana gestione finanziaria e dei diritti all'aiuto degli agricoltori, che si caratterizzano spesso per calcoli non corretti, potrebbe derivare un impatto negativo e sfavorevole anche sui futuri regimi di pagamento a favore degli agricoltori a partire dal 2015;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere, per evitare che le imprese agricole italiane possano essere penalizzate da eventuali revisioni connesse al processo di disaccoppiamento concernente il sostegno comunitario agli agricoltori per i prossimi anni. (4-06592)

  Risposta. — Le notizie pubblicate dagli organi di stampa su una certa «inadeguatezza» nella supervisione da parte della Commissione europea sul processo di disaccoppiamento dei pagamenti diretti agli agricoltori, trovano conferma nella relazione speciale della Corte dei conti europea n. 8 del 2014.
  Infatti, nel rilevare che le autorità competenti non sempre hanno calcolato e assegnato agli agricoltori i diritti all'aiuto in maniera corretta, e considerando altresì che tali diritti rimangono validi per la durata del regime di pagamento unico (a meno che non siano ricalcolati), la Corte ha evidenziato come dette inesattezze possano ripercuotersi sui pagamenti fino al 2021 in quegli Stati membri che, come l'Italia, scelgono di basare il calcolo dei nuovi pagamenti sulla base dell'attuale livello di sostegno.
  L'organo di controllo europeo, pertanto, ha raccomandato alla commissione di attivarsi affinché gli Stati membri rettifichino i diritti all'aiuto, la cui entità non sia stata calcolata secondo le norme applicabili, al fine di recuperare le somme erroneamente corrisposte a seguito di diritti all'aiuto indebitamente assegnati.
  Alla luce di tali prescrizioni la commissione, nel comunicare al predetto organo di controllo le misure correttive intraprese per ovviare alle criticità segnalate, ha precisato che i nuovi orientamenti prevedono che gli organismi di certificazione provvedano alla valutazione delle procedure poste in essere dagli organismi pagatori onde garantire la corretta attribuzione dei diritti all'aiuto.
  Inoltre, nelle more dell'attivazione delle nuove procedure di certificazione dei conti, abbiamo richiamato l'attenzione di Agea coordinamento sui contenuti della relazione speciale n. 8 del 2014, al fine di evitare che eventuali errori di calcolo dei diritti assegnati nel passato possano ripercuotersi nel sistema dei diritti applicabili dal 2015.
  Evidenzio infine che, dopo apposita procedura di gara per la selezione del soggetto incaricato della certificazione dei conti degli organismi pagatori per gli esercizi finanziari 2015 – 2017 (che, in base alle linee direttrici della commissione UE in materia di certificazione annuale dei conti, deve verificare anche le procedure esistenti per garantire la corretta attribuzione dei diritti agli agricoltori nell'ambito dei riscontri circa l'adeguata gestione delle spese a carico del bilancio dell'Unione europea), il 14 novembre 2014 si è provveduto alla stipula del contratto relativo alla fornitura di detto servizio con il soggetto aggiudicatario della gara.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   FITZGERALD NISSOLI, MARTI, NIZZI, CIRACÌ e RABINO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   Daniele Bosio, funzionario diplomatico attualmente sospeso dal servizio, si trova ancora nelle Filippine, coinvolto in un processo per traffico e abuso di minori;
   il processo, avviato nell'aprile 2014, non ha ancora avuto nemmeno una udienza di sostanza, ma solo udienze di carattere procedurale, tutte caratterizzate dai tentativi, sempre riusciti, dell'accusa di ritardare il procedimento e quindi l'accertamento della verità;
   negli oltre sette mesi trascorsi dall'arresto di Bosio si è succeduta una lunga serie di violazioni delle procedure previste dalla stessa legge filippina. In particolare il giorno dell'arresto, Daniele Bosio è stato interrogato senza difensore e senza che venisse informato dei suoi diritti costituzionali; gli è stata fatta firmare una rinuncia ai propri diritti durante le indagini preliminari senza la presenza del proprio avvocato e senza che gli venissero spiegate le conseguenze della sottoscrizione detta rinuncia stessa; le indagini preliminari non sono state terminate entro i quindici giorni previsti dalla legge, ma dopo oltre sessanta; nella fase preliminare delle indagini, importanti documenti a discarico di Bosio (le dichiarazioni giurate dei genitori dei bambini che lo scagionavano dall'accusa gravissima di traffico) non sono stati accolti dal giudice; l'accusa e il «private prosecutor», affiliato alla ONG che ha denunciato Bosio, hanno presentato una lunga serie di richieste di cambiamento del giudice naturale assegnatogli dalla legge, tutte infondate nella forma e nel merito: una volta durante le indagini preliminari e tre volte dopo l'avvio del processo;
   a quanto consta agli interroganti due settimane fa il giudice ha infine accolto l'ennesima richiesta di ricusazione volontaria rinunciando a continuare a presiedere il processo per evitare ulteriori ingiustificati ritardi; la nuova sezione del tribunale cui è stato assegnato il prosieguo del processo è vacante ed è presieduta da un giudice supplente, titolare di un'altra sezione in una città diversa. Tale doppio incarico, che potrebbe prolungarsi per oltre un anno, secondo la prassi nel Paese, allungherà inevitabilmente a dismisura i tempi del processo, già caratterizzato da ingiustificati e indebiti ritardi;
   il «private prosecutor», affilato alla organizzazione non governativa che ha denunciato Bosio, continua a partecipare alle udienze senza alcun titolo legale, nonostante l'opposizione ripetutamente espressa dell'avvocato della difesa, influenzando pesantemente e in senso dilatorio l'atteggiamento del pubblico ministero nel processo;
   è ormai pressoché inevitabile che i tempi massimi del processo, prescritti dalle disposizioni della Corte Suprema delle Filippine in 180 giorni dalla chiamata in giudizio, saranno superati, aggiungendo un'ulteriore violazione alle procedure previste dalla legge;
   ancora non è stata stabilita, dopo la ricusazione volontaria del primo giudice assegnatario, la nuova agenda delle udienze;
   tutto questo avviene nonostante, in occasione dell'unica udienza di sostanza del processo, quella a seguito della quale è stata concessa a Daniele Bosio la libertà su cauzione, le prove a carico sono state considerate «insufficienti» dal giudice;
   sembra che vi siano stati, ritardi non comprensibili che hanno caratterizzato e stanno tuttora caratterizzando il processo, tenuto anche conto delle funzioni esercitate da Daniele Bosio al momento dell'arresto e dalla visibilità che la vicenda ha assunto per la politica locale –:
   se il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale intenda porre attenzione al caso di Daniele Bosio tenendo conto dei suoi diritti alla difesa e ad un giusto processo;
   se non intenda avviare con il Governo filippino un dialogo politico che, nel rispetto della sovranità di quel Paese amico, superi l’impasse e contribuisca a far chiarezza sulla vicenda in maniera rapida e positiva, tenendo conto che tutti gli elementi finora emersi durante il processo, oltre alla sua lunga storia personale di volontariato a favore dell'infanzia, depongono a favore dell'innocenza di Daniele Bosio;
   se non ritenga di intervenire affinché Daniele Bosio possa attendere in Italia lo sviluppo di un processo che potrebbe risultare dispendioso per la difesa, particolarmente lungo nei tempi, soprattutto considerata la delicatissima condizione di un connazionale solo e da otto mesi costretto, senza impiego né stipendio, in terra straniera. (4-07681)

  Risposta. — L'impegno della Farnesina e dell'ambasciata a Manila sul caso del signor Daniele Bosio è stato massimo sin dal primo momento, come conferma la tenace azione di assistenza consolare offerta in loco della nostra rappresentanza diplomatica e come testimoniano i ripetuti interventi, a livello anche politico, svolti a tutela dei diritti del connazionale che hanno consentito prima la sua ospedalizzazione in una struttura adeguata e poi la sua liberazione su cauzione.
  Di recente, in relazione alla vicenda richiamata dall'interrogante della auto-ricusazione da parte del giudice fin qui investito del procedimento, è stato svolto un passo ad alto livello, che ci ha consentito di attirare l'attenzione degli interlocutori filippini sul pericolo che l'aggressività della pubblica accusa nei confronti del nostro connazionale stravolga l'ordinata dialettica processuale. Continuiamo, a Manila e a Roma, a sensibilizzare il Governo filippino affinché al signor Bosio sia assicurato un processo rapido ed equo.
  Come negli altri casi di detenuti italiani all'estero, naturalmente, il dialogo a livello politico non può incidere sulla sfera di autonomia ed indipendenza della magistratura di un Paese sovrano, ma deve al contrario svolgersi nel pieno rispetto per le Autorità giudiziarie straniere, anche e proprio in vista della garanzia dei diritti della difesa e di un equo processo.
  Giova quindi confermare che, mentre ogni sforzo continuerà ad essere posto in essere perché siano tutelati i diritti del signor Bosio, la contestazione dinnanzi all'autorità giudiziaria di eventuali irregolarità procedurali occorse nell'ambito del procedimento e alla luce dell'ordinamento locale, come quelle menzionate dall'interrogante, resta esclusivo appannaggio dei legali. Si ricorda in ogni caso che all'inizio della vicenda, come già evidenziato in sede parlamentare, il connazionale non ha firmato «una rinuncia ai propri diritti [...] senza che gli venissero spiegate le conseguenze della sottoscrizione della rinuncia» ma, su consiglio del suo avvocato, ha prestato consapevolmente il consenso all'avvio dell'indagine preliminare, che gli consentiva di produrre elementi in proprio favore. Senza questa firma sarebbe stato concreto il rischio di un rinvio a giudizio entro le trentasei ore successive all'arresto sulla base delle evidenze in possesso del magistrato in quel momento.
  Per quanto riguarda, infine, la richiesta formulata dall'interrogante di un intervento della Farnesina allo scopo di permettere al signor Bosio di attendere in Italia l'esito del processo, si fa presente che l'arresto del connazionale è avvenuto mentre quest'ultimo si trovava in vacanza in un Paese diverso da quello in cui svolgeva la sua missione diplomatica e l'accusa riguarda unicamente comportamenti privati.
  Si conferma in conclusione che la Farnesina e l'ambasciata d'Italia a Manila continueranno a dedicare al caso del signor Daniele Bosio tutta l'attenzione necessaria e ad assicurare la massima assistenza al connazionale, perseguendo con ogni utile mezzo la tutela dei suoi diritti nell'ambito delle proprie attribuzioni istituzionali.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   GALLINELLA e COZZOLINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il primo intervento normativo volto a disciplinare l'esistenza del Corpo nazionale dei vigili del fuoco (CNVVF) è la legge 27 dicembre 1941, n. 1570, che lo istituisce e ne definisce compiti e ruolo all'interno della società; in particolare all'articolo 8, comma 1, la legge afferma che «gli appartenenti ai corpi dei vigili del fuoco, sia permanenti che volontari, sono agenti di pubblica sicurezza»;
   la legge 1570 del 1941 è stata successivamente aggiornata con la legge 13 maggio 1961, n. 469, che ha confermato il riconoscimento al personale del CNVVF di funzioni di polizia giudiziaria e amministrativa senza tuttavia ribadire le funzioni di pubblica sicurezza;
   il Nuovo ordinamento dell'amministrazione della pubblica sicurezza, legge 1° aprile 1981, n. 121, all'articolo 1 elenca le forze responsabili della tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, assimilate alla Polizia di Stato, lasciando fuori il Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Contribuendo così ad alimentare l'idea che i VVF pure considerando la legge 1570 del 1941, non fossero più «de facto» forze di pubblica sicurezza;
   dall'entrata in vigore della legge 121 del 1998, il CNVVF ha più volte espresso la propria perplessità e le criticità della norma a fronte del ruolo effettivamente svolto dai Vigili del fuoco quali responsabili, in prima persona, della sicurezza sia dei cittadini che soccorrono che del patrimonio ad essi appartenente; inoltre, il mancato riconoscimento tra le forze di polizia ha comportato inevitabili differenze nel trattamento economico dei vigili del fuoco rispetto alle altre forze di pubblica sicurezza, pur svolgendo mansioni che spesso comportano rischi dello stesso livello;
   molti sono stati i ricorsi ai tribunali amministrativi, e diversi anche i pronunciamenti costituzionali (tra tutti la sentenza 342 del 2000) che però hanno ribadito la forza della legge 121 rispetto ai precedenti normativi e confermato che i vigili del fuoco non sono assimilabili alle altre forze di polizia;
   nel 2006, un nuovo decreto, il n. 139 interviene ancora una volta sulle funzioni e i compiti del CNVVF, ribadendo che il rapportato di impiego del personale è disciplinato in regime di diritto pubblico e che il CNVVF svolge funzioni di polizia giudiziaria ma facendo inoltre salve, all'articolo 35, le disposizioni previste dal già citato articolo 8 comma 1 della legge 1570 del 1941;
   a fronte di tale evidente incertezza della norma nell'attribuire le funzioni di pubblica sicurezza o polizia al CNVVF sono all'ordine del giorno le proteste e le rivendicazioni sindacali del personale dei VVF, che vive ogni giorno nell'incertezza di come il proprio ruolo nella società debba essere inquadrato e sentendosi spesso penalizzato di fronte al trattamento, anche economico, delle altre forze di polizia che con vitale importanza contribuiscono a garantire la sicurezza dei cittadini e del territorio italiano –:
   se, in base a quanto esposto in premessa e alle rivendicazioni che negli anni hanno interessato il Corpo nazionale dei vigili del fuoco relativamente alla loro funzione di sicurezza pubblica nella società, non intenda chiarire definitivamente la funzione del CNVVF definendo la sua inclusione o meno tra le forze di polizia, con il conseguente adeguamento del trattamento del personale in servizio. (4-06556)

  Risposta. — L'articolo 8 della legge 27 dicembre n. 1570 del 1941 e l'articolo 6 del decreto legislativo n. 139 del 2006 stabiliscono che gli appartenenti al Corpo nazionale dei vigili del fuoco sono agenti di pubblica sicurezza «nell'ambito delle proprie funzioni istituzionali», attribuendo agli stessi i benefici riconosciuti agli agenti della forza pubblica «nei viaggi di servizio».
  Come noto, il Corpo nazionale è chiamato ad assicurare le funzioni di salvaguardia della vita umana e di tutela dei beni della collettività attraverso l'azione di soccorso pubblico, della prevenzione incendi, della protezione civile e della difesa civile, come ribadito dal citato decreto legislativo n. 139 del 2006.
  In ragione di tale ruolo nel sistema generale della sicurezza del Paese, la legge delega n. 252 del 2004 ha ricondotto il rapporto di impiego dei personale dai regime privatistico a quello di diritto pubblico, al pari di quanto già previsto per gli altri corpi dello Stato, istituendo un apposito comparto di negoziazione: «vigili del fuoco e soccorso pubblico».
  Pur essendo parte integrante del sistema di sicurezza, il Corpo nazionale ha, però, compiti diversi da quelli attinenti alla prevenzione e alla repressione di reati, alla sicurezza delle istituzioni e alla difesa militare, propri degli organismi inclusi nei comparti sicurezza e difesa.
  La specifica connotazione delle sue attribuzioni fa sì che il Corpo nazionale non rappresenti un «Corpo di pubblica sicurezza».
  In questo senso va letta la scelta del legislatore che – con la legge n. 121 del 1981 – non ha ricompreso i vigili del fuoco nella categoria delle Forze di polizia ivi espressamente individuate.
  Tuttavia, la riforma dell'ordinamento dei vigili del fuoco introdotta dal decreto legislativo n. 217 del 2005 è incentrata su una ristrutturazione di ruoli, qualifiche e avanzamenti professionali sostanzialmente speculare a quelli delle Forze di polizia.
  Le differenze tuttora esistenti, specie con riferimento al trattamento economico e previdenziale, tra il personale in questione e quello delle Forze di polizia, sono in via di progressivo superamento, come dimostrano vari interventi legislativi di questi anni.
  Sul piano concreto, particolarmente significativo è stato il riconoscimento della specificità del ruolo assegnato al personale del comparto «soccorso pubblico», introdotto dall'articolo 4, comma 3, del decreto-legge n. 185 del 2008, convertito dalla legge n. 2 del 2009 e ribadito dall'articolo 19 della legge n. 183 del 2010, laddove riconosce detta specificità alle Forze armate, alle Forze di polizia ed al Corpo nazionale, ai fini della definizione degli ordinamenti e della tutela economica, pensionistica e previdenziale.
  Il processo di armonizzazione dei trattamenti economici del personale del Corpo nazionale con quello delle Forze di polizia ha trovato riscontro ancora nel richiamato decreto-legge n. 185 del 2008, che, in sede di conversione, ha destinato risorse aggiuntive all'attuazione dei patti per il soccorso pubblico da stipularsi annualmente tra Governo e parti sindacali, nonché all'istituzione di una speciale indennità operativa per il servizio di soccorso tecnico urgente espletato all'esterno.
  Ulteriori passi in avanti, sotto il profilo dell'armonizzazione del trattamento economico, si sono registrati sia con il decreto- legge n. 39 del 2009 (cosiddetto «decreto-legge Abruzzo»), convertito dalla legge n. 77 del 2009, con il quale è stata ripristinata l'indennità di missione anche per il personale del Corpo nazionale, analogamente a quanto già previsto per il personale dei comparti sicurezza e difesa, sia con il decreto-legge n. 78 del 2009, convertito dalla legge n. 102 del 2009, nel quale sono stati assegnati, per la speciale indennità di soccorso esterno, ulteriori 15 milioni di euro.
  Inoltre, con decreto-legge n. 195 del 2009, convertito dalla legge n. 26 del 2010, è stata riconosciuta l'indennità di trasferimento anche in favore del personale del Corpo nazionale, risolvendo così sul piano ordinamentale una disarmonia esistente tra i comparti sicurezza e difesa e quello del soccorso pubblico.
  Le misure adottate per l'armonizzazione dei trattamenti economici si inseriscono, peraltro, in un contesto di disposizioni nel cui ambito il Corpo nazionale, diversamente dal passato, risulta espressamente ricompreso assieme ai comparti sicurezza e difesa.
  Al riguardo, si evidenzia che nella legge di stabilità 2015 è stato previsto, anche per i vigili del fuoco, il superamento del cosiddetto blocco stipendiale (articolo 21, comma 3).
  La difficile congiuntura economico-finanziaria che sta interessando l'Europa e il nostro Paese ha fatto sì che le ridotte risorse a disposizione rallentassero il progressivo allineamento del personale del comparto soccorso pubblico con quello dei comparti sicurezza e difesa.
  Tale allineamento, tuttavia, è destinato a proseguire, ferma restando – sotto il profilo ordinamentale – la distinzione delle funzioni e dei ruoli del Corpo nazionale, delle Forze di polizia e delle Forze armate.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   GARAVINI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il Land tedesco della Saar, nell'ambito di una riorganizzazione del proprio sistema universitario, ha deliberato la progressiva eliminazione delle cattedre che rimarranno scoperte all'università del Saarland; per motivi biografici, le prime cattedre che resteranno senza un titolare saranno quelle di italianistica, che pertanto verranno cancellate;
   il progetto di riorganizzazione ha fra gli scopi previsti quello di favorire una maggiore europeizzazione dell'università del Saarland, non considerando tuttavia che la tutela e lo sviluppo delle lingue dei popoli dell'Unione rappresenta uno degli obiettivi primari della dell'Unione sul piano culturale; nei fatti, inoltre, la decisione colpisce uno dei presidi più riconosciuti dello scambio interculturale fra Italia e Germania, in un Land nel quale la comunità italiana è la prima per numero di residenti stranieri;
   l'università del Saarland è uno dei centri di eccellenza dell'italianistica a livello mondiale, in particolare per l'edizione del LEI (Lessico etimologico dell'italiano e dei suoi dialetti, un progetto realizzato in collaborazione con l'Accademia della Crusca), pubblicato dal 1979, il cui completamente è previsto per il 2032;
   i curatori di quest'opera monumentale e di altre in preparazione (oltre al LEI, il Deonomasticon Italicum e il Dictionnaire Étymologique Roman) dirigono un gruppo di ricerca formato da numerosi collaboratori, spesso italiani. Fra i curatori di queste opere vi sono inoltre membri dell'Accademia nazionale dei Lincei, corrispondenti stranieri dell'Accademia della Crusca, dottori honoris causa di università italiane e destinatari di un diploma di prima classe con medaglia d'oro ai benemeriti della cultura e dell'arte da parte del Presidente della Repubblica Ciampi;
   lo Stato italiano ha assecondato questa positiva esperienza finanziando durante gli anni alcuni lettorati di italiano presso l'università del Saarland –:
   se i Ministri interrogati non ritengano di avviare con l'urgenza che la situazione richiede un dialogo con le competenti autorità tedesche volto ad assicurare la sopravvivenza di uno dei centri di eccellenza dell'italianistica all'estero e a definire un programma di collaborazione che ne preveda lo sviluppo sia in un'ottica di rapporti interculturali tra i due Paesi che di più alta europeizzazione della formazione di livello universitario. (4-07334)

  Risposta. — Il sostegno alle cattedre universitarie di italiano rientra tra le priorità dell'azione di promozione dello studio dell'italiano nel mondo, nel rispetto dell'autonomia decisionale dei singoli ordinamenti universitari. Ne è prova, da ultimo, l'istituzione di uno specifico gruppo di lavoro sulla tematica in questione nel corso degli «stati generali della lingua italiana», tenuti a Firenze il 21 e 22 ottobre scorsi.
  Sin dai primi giorni in cui è stato reso noto il progetto di riorganizzazione del sistema universitario del
land tedesco della Saar, l'ambasciata a Berlino, in stretto coordinamento con la Farnesina, si è attivata presso le autorità locali al fine di verificare ogni utile via per preservare la locale cattedra di Italianistica.
  In questo quadro, lo scorso 19 gennaio il nostro ambasciatore a Berlino, insieme al console generale a Francoforte, ha incontrato il Ministro presidente del
land Annegret Kramp-Karrenbauer e il presidente (rettore) dell'università professor Volker Linneweber. Ad entrambi ha espresso preoccupazione per la prospettata decisione ed ha sottolineato l'enorme danno che tale misura arrecherebbe alla consolidata presenza della cultura italiana nella regione.
  Il ministro presidente del
land, pur ricordando le esigenze di bilancio del Saarland che sono all'origine dei prospettati tagli, si è detta disponibile ad esplorare soluzioni che consentano il mantenimento, almeno in parte, dell'attuale offerta formativa dell'italiano presso l'università del Saarland.
  Con il medesimo atteggiamento disponibile si è espresso il rettore dell'università, che ha richiamato il forte orientamento europeo dell'ateneo e ha ricordato la tradizione di contatti con le università italiane, con le quali è in corso una collaborazione per il progetto di grande valore scientifico del lessico etimologico italiano (LEI), menzionato anche dall'interrogante e vero e proprio fiore all'occhiello del dipartimento di lingue e letterature romanze di Saarbrucken.
  Il rettore ha assicurato il proprio impegno a sostenere proposte alternative di contenimento dei costì elaborate dalla Facoltà e tese a salvaguardare la cattedra di linguistica, cui è collegato il progetto del LEI. Si sono inoltre immaginate ulteriori forme di sostegno da parte italiana, secondo lo schema pubblico-privato.
  La Farnesina, in stretto raccordo con la nostra Ambasciata a Berlino, non mancherà dì proseguire la propria azione al fine di assicurare, d'intesa con le locali autorità, la sopravvivenza della cattedra di italianistica e porre le basi per una rinnovata collaborazione scientifico-culturale.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   SILVIA GIORDANO, MANTERO, LOREFICE, DAGA, BUSTO, MANNINO, NUTI, DIENI, D'AMBROSIO, DALL'OSSO, DI VITA, LOMBARDI, FRACCARO e COZZOLINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'Associazione guardie ambientali d'Italia è un ente di volontariato riconosciuta come «Associazione protezione ambientale» ai sensi e per gli effetti dell'articolo 13 della legge 8 luglio 1986 n. 349, ed opera sul territorio nazionale dal 2004 con riconoscimento del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con decreto n. 075/09, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana;
   il comune di Roccapiemonte (Salerno) con delibera n. 119 del 12 settembre 2014 protocollo n. 13986 ha affidato alla G.A.DIT. (ente di volontariato riconosciuta come Associazione di protezione ambientale) il servizio di trasporto scolastico per la sorveglianza e l'accompagnamento degli alunni durante il percorso sugli scuolabus dal punto di prelievo al plesso scolastico frequentato, per la salita e discesa dagli stessi mezzi, oltre che per infondere maggior senso di sicurezza e presenza istituzionale con attività di vigilanza davanti agli istituti di istruzione nei plessi di: Santa Maria delle Grazie, Casali e Via Pigno –:
   se il Ministro interrogato intenda verificare se l'Associazione guardie ambientali d'Italia sia ancora in possesso dei requisiti per essere individuata come associazione di protezione ambientale, posto che la principale se non esclusiva attività di tale tipologia di associazioni dovrebbe essere, ad avviso degli interroganti, quella di tutela dell'ambiente. (4-06875)

  Risposta. — L'associazione «Guardie Ambientali d'Italia» (G.A.DIT.), con sede in Montopoli di Sabina, provincia di Rieti, è stata individuata quale associazione con finalità di protezione ambientale di cui all'articolo 13 della legge n. 349 del 1986, con decreto ministeriale n. 075/09 del 24 luglio 2009.
  Nell'anno 2011 è stato avviato l’
iter volto a verificare il perdurare delle condizioni che legittimano la permanenza nel pertinente elenco delle associazioni ambientaliste individuate ai sensi della richiamata disposizione normativa, il quale si è concluso con l'emanazione del decreto ministeriale n. SEC-DEC-0000480 del 9 luglio 2012.
  In tale occasione, anche per la G.A.DIT., sulla base della documentazione da essa prodotta – volta a dimostrare la rispondenza del requisito della continuità e rilevanza esterna dell'attività di protezione ambientale – le valutazioni svolte hanno confermato il possesso dei requisiti necessari per il mantenimento in essere del riconoscimento in parola.
  È stato precisato, poi, dalla competente direzione generale di questo Ministero, di aver programmato a breve l'avvio del nuovo procedimento di valutazione e revisione, assicurando che sarà propria cura in tale occasione, come da prassi, richiedere a ciascuna associazione attualmente riconosciuta tutti gli elementi informativi atti a comprovare il perdurante possesso dei necessari requisiti cui il riconoscimento è subordinato, tra i quali quello concernente la continuità e la rilevanza esterna dell'attività di protezione ambientale svolta dal soggetto interessato.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GRIMOLDI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   circolano da tempo indiscrezioni secondo le quali la Difesa starebbe programmando di smaltire con un ossidatore termico ciò che resta dell'arsenale chimico nazionale, da distruggere interamente secondo gli impegni sottoscritti internazionalmente dal nostro Paese, rinunciando così alla prassi, di per sé non meno inquietante, che ne prevedeva in precedenza l'impasto in blocchi di cemento abbandonati all'aria aperta, e quindi esposti agli effetti dell'erosione atmosferica;
   verrebbero in questo modo distrutti i residui aggressivi prodotti ai tempi della seconda guerra mondiale, inclusi oltre 20 mila proiettili ancora carichi di agenti chimici, con l'apporto delle competenze del CETLI NBC, acronimo che significa centro tecnico logistico interforze, nucleare, batteriologico e chimico, situato nel comprensorio militare di Santa Lucia, alle porte di Civitavecchia, considerato a livello internazionale un'eccellenza nel campo del disarmo chimico;
   l'eventualità prospettata è naturalmente motivo di preoccupazione tra gli abitanti di Civitavecchia, già esposti alle conseguenze dell'inquinamento generato dalla locale centrale termoelettrica e varie altre attività industriali connesse o comunque adiacenti, che hanno diritto alla tutela della propria salute ed alle opportune rassicurazioni da parte dello Stato e della regione;
   di contro, proprio il carattere militare dei siti in cui sono stoccate le vecchie armi chimiche nazionali li esclude da qualsiasi serio controllo da parte delle agenzie deputate alla tutela della salute della popolazione –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per tutelare il diritto alla salute di coloro che abitano, lavorano o semplicemente transitano nell'area di Civitavecchia, rispetto al pericolo insito nello smaltimento degli arsenali chimici militari nazionali risalenti alla seconda guerra mondiale e se, in particolare, non sia possibile prevedere lo spostamento del CETLI NBC e delle sue attività di smaltimento in altro sito, lontano da insediamenti abitati o d'interesse turistico e naturalistico. (4-04358)

  Risposta. — Con la ratifica della «Convenzione di Parigi sulla proibizione delle armi chimiche», entrata in vigore il 29 aprile 1997, gli Stati parte si sono impegnati a distruggere tutte le armi chimiche esistenti nei loro territori, a non detenere o fabbricarne altre e a non farvi ricorso per alcun motivo.
  Il consiglio esecutivo dell'organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPAC) considera la distruzione di tutte le armi chimiche in possesso dell'Italia obiettivo imprescindibile e monitora regolarmente i progressi conseguiti nel settore attraverso ispezioni e richieste di aggiornamenti.
  Per ottemperare a tali obblighi è prevista, da parte dell'amministrazione difesa, l'acquisizione e l'installazione di un «ossidatore termico» che permetterà di smaltire tutte le tipologie di armi chimiche attualmente stoccate, nonché quelle che potrebbero essere rinvenute in futuro.
  La scelta di dotarsi di tale sistema operata dal centro tecnico logistico interforze nucleare batteriologico chimico (CeTLI-NBC) di Civitavecchia – unico impianto nazionale abilitato allo stoccaggio e alla distruzione di armi chimiche non convenzionali, ai sensi dell'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 16 luglio 1997, n. 289, confluito nell'articolo 22 del codice dell'ordinamento militare – è stata effettuata a seguito di approfondimenti tecnico-scientifici condotti anche in ambito internazionale. Da essi è emerso che la tecnica migliore per la distruzione del materiale chimico da utilizzare è costituita dalla termo-degradazione mediante pirolisi dell'aggressivo chimico, la quale consente di smaltire sostanze chimiche non eliminabili con la tecnologia attualmente in uso presso il CeTLI e riduce, nel contempo, l'impatto ambientale.
  Inoltre l'utilizzo di un ossidatore termico risulta preferibile ad altri sistemi per la demilitarizzazione di munizionamento a caricamento speciale, poiché:
   riduce l'impatto ambientale, in quanto i proietti detonano per effetto del calore generato elettricamente (fino a temperature di circa 500oC) all'interno di apposite camere; pertanto, le emissioni in atmosfera saranno ampiamente contenute entro i limiti imposti dalla vigente normativa e i relativi valori costantemente monitorati in tempo reale, cautelando il sedime da ogni eventuale contaminazione ambientale;
   limita le operazioni di movimentazione e di manipolazione dei proiettili, incrementando la sicurezza dell'infrastruttura e del personale addetto alle lavorazioni.

  Quanto all'ipotesi di una rilocazione del CeTLI-NBC e delle relative attività, si evidenzia che la presenza del centro nella territorialità di Civitavecchia non ha mai evidenziato, di fatto, alcuna correlazione associabile all'insorgenza o alla maggiore incidenza di una patologia sulla popolazione ovvero sul personale adibito alla gestione dell'impianto.
  L'immagazzinamento, la custodia e la demilitarizzazione del munizionamento chimico sono effettuati, infatti, nel rispetto di elevatissimi
standard di sicurezza a tutela degli abitanti delle aree circostanti e dei lavoratori, utilizzando professionalità peculiari, specificamente formate e addestrate.
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   GUIDESI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull'origine etnica (UNAR) è stato istituito con il decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, di recepimento della direttiva comunitaria n. 2000/43/CE ed opera nell'ambito del dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri;
   l'UNAR ha la funzione di garantire, in piena autonomia di giudizio e in condizioni di imparzialità, l'effettività del principio di parità di trattamento fra le persone, di vigilare sull'operatività degli strumenti di tutela vigenti contro le discriminazioni e di contribuire a rimuovere le discriminazioni fondate sulla razza e l'origine etnica analizzando il diverso impatto che le stesse hanno sul genere e il loro rapporto con le altre forme di razzismo di carattere culturale e religioso. In particolare UNAR svolge inchieste al fine di verificare l'esistenza di fenomeni discriminatori nel rispetto delle prerogative dell'autorità giudiziaria;
   l'UNAR nelle esercizio delle proprie funzioni è stata più volte soggetta a critiche per aver travalicato le proprie competenze. La Presidenza del Consiglio dei ministri è stata più volte interessata, in modo ufficiale, con lo strumento del sindacato ispettivo, in merito ad una gestione non sempre coerente delle attività istituzionali dell'UNAR;
   con lettera protocollata (Caso 8272), l'UNAR ha intimato all'amministratore hosting del sito web «Voxnews.info», la rimozione dal proprio sito di un articolo intitolato: «Ragazzina stuprata per ore da 30 immigrati: è emergenza», con la motivazione che tale articolo trasmette un messaggio distorto della realtà e contribuisce a creare un atteggiamento ostile nei confronti degli stranieri nonché incitante alla xenofobia e all'odio razziale contravvenendo alla normativa nazionale ed internazionale in materia;
   stando alle informazioni ricavabili on line in merito alla pubblicazione sul sito voxnews.info è facilmente desumibile che l'articolo in oggetto altro non è che la traduzione rielaborata di una notizia pubblicata dal giornale britannico Daily Mail. La notizia, in lingua originale, è stata riportata da numerose testate giornalistiche;
   il concetto di democrazia è strettamente collegato al rispetto del principio basilare, garantito ex articolo 21 della Costituzione, della libertà dell'informazione e della possibilità, per i cittadini, di crearsi liberamente una propria opinione, che peraltro può considerarsi formata solo se vi sia una reale pluralità delle fonti di diffusione e se l'acquisizione delle informazioni sia correttamente garantita;
   l'articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, afferma: «ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere»;
   il combinato disposto per considerare insindacabile ed incensurabile il diritto all'informazione si basa sulla veridicità della notizia e sull'interesse collettivo della stessa. Stando alle informazioni in possesso dell'interrogante, la segnalazione dell'UNAR non si appella a nessuno di questi due fondamentali presupposti. Ossia, l'UNAR, non intimerebbe la rimozione della notizia perché non vera o perché priva di un fondamento di interesse per la collettività, ma soltanto perché ne ravviserebbe nella sua veridicità una leva atta ad alimentare un sentimento discriminatorio e xenofobo verso la comunità straniera presente nel nostro Paese;
   a quanto consta all'interrogante l'atto in questione (Caso 8272) UNAR è stato sottoscritto dal consigliere Marco de Giorgi. È necessario ricordare che la Costituzione ex articolo 28 attribuisce ai funzionari e dipendenti dello Stato responsabilità penali, civili e amministrative degli atti compiuti in violazione dei diritti;
   è manifestamente palese come il responsabile del provvedimento in questione, ad avviso dell'interrogante oltrepassando l'ambito delle proprie attribuzioni, abbia violato il principio costituzionalmente garantito del diritto all'informazione –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, non si ravvisi nell'atto, protocollato Caso 8272, una violazione del principio costituzionalmente garantito del diritto all'informazione e, nel caso, quale modalità di intervento si intenda adottare per sanzionare quello che all'interrogante appare un comportamento di dubbia legittimità. (4-06114)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, concernente una presunta violazione da parte dell'ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (UNAR) – Dipartimento per le pari opportunità, del principio costituzionale del diritto all'informazione nella trattazione del caso 8272, si forniscono i seguenti elementi informativi.
  Il 13 marzo 2014 è giunta presso il
contract center dell'UNAR – dipartimento per le pari opportunità, una segnalazione relativa ad una notizia pubblicata il 10 marzo 2014 sul sito internet «Catena umana», avente il seguente titolo: «Ragazzina stuprata per ore da 30 immigrati: è emergenza» (http://catenaumana.it/ragazzina-stuprata-per-ore-da-30-immigrati-e-emergenza/).
  Tale notizia, secondo le ricerche effettuate dalla stessa associazione segnalante, non appariva confermata dalle agenzie di stampa o da testate giornalistiche, ma sembrava essersi diffusa a seguito di un post dal titolo omonimo pubblicato il 21 febbraio 2014 sul sito
Voxnews (htty://voxnews.info/2014/02/21/stuprata-per-ore-da-gang-di-immigrati-e-emergenza-in-gb/).
  Il post in questione veniva, infatti, ripreso da più siti
web con un sistema quasi automatico di «copia e incolla», generando una serie di commenti da parte degli utenti.
  In particolare, secondo l'UNAR, il linguaggio utilizzato nel citato post suggerisce al lettore un'associazione diretta tra il crimine di stupro e la comunità immigrata (si veda, ad esempio, l'affermazione «Del resto, nei loro paesi di provenienza, tra i quali l'India (ndr. lo stupro) è una pratica tristemente “normale”. E sappiamo che, geneticamente, gli zingari sono indiani delle caste basse. Tutto torna»).
  La presenza di affermazioni riconducibili solo in parte al testo originario dell'articolo pubblicato il 21 febbraio 2014 in lingua inglese sul sito
dailymail.co.uk, unitamente alla constatazione che i fatti riportati nella traduzione corrispondono solo parzialmente a quanto riportato nel suddetto testo, omettendo elementi importanti, hanno delineato un quadro particolarmente grave in grado di veicolare idee incitanti all'odio e alla discriminazione razziale oltre che suscettibile di provocare comportamenti xenofobi e intolleranti.
  In particolare, l'UNAR ha ravvisato nella mancata traduzione della parte finale dell'articolo pubblicato sul
Daily Mail un tentativo da parte di Voxnews di rielaborare i fatti in chiave discriminatoria.
  Infatti, la parte non tradotta – proveniente dalla coordinatrice delle indagini legate alla vicenda di cui trattasi – era volta a sottolineare che gli abusi sessuali perpetrati a danno di minori non provengono da una particolare cultura o comunità.
  Pertanto, dopo aver inviato delle note formali agli amministratori dei siti
internet che avevano ripreso la notizia senza alcun tipo di verifica, a completamento dell'attività istruttoria posta in essere, l'UNAR ha inviato in data 19 giugno 2014 una lettera di segnalazione all'osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (OSCAD), operante presso il dipartimento della pubblica sicurezza, direzione centrale della polizia criminale del Ministero dell'interno, ed alla polizia postale per le verifiche di competenza.
  A conclusione del procedimento istruttorio, il 18 settembre 2014 l'ufficio ha provveduto ad inviare una nota di segnalazione anche al signor Gianni Togni, amministratore del sito
web Voxnews.info, nella quale si chiede la rimozione definitiva delle affermazioni arbitrariamente inserite nell'articolo ivi pubblicato.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriGraziano Delrio.


   LOMBARDI e FRUSONE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia, sulla scorta dei principi costituzionali di garanzia della dignità umana e di tutela del lavoratore, da tempo ha adottato una legislazione all'avanguardia per quanto riguarda la prevenzione e la repressione del mobbing;
   si riconosce che l'Esercito italiano, pur avendo utilizzato da tempo politiche di prevenzione e di monitoraggio, è per sua stessa natura fortemente sensibile a fenomeni di mobbing, sia perché struttura fortemente gerarchizzata sia, ancor più, perché il vincolo di gerarchia a giudizio dell'interrogante viene talvolta – ancora oggi – interpretato in maniera arbitraria da una gerarchia ancorata troppo spesso a schemi di un passato remoto, portata a confondere la responsabilità verso il sottoposto in «sudditanza» del sottoposto;
   a riprova di ciò è sufficiente verificare l'abnorme contenzioso pendente nei vari gradi di giudizio collegato all'ambito lavorativo (per trasferimenti, promozioni, punizioni, malattie, concorsi e altro) con costi per l'erario inaccettabili;
   anche la gestione dei concorsi sta rivelando la inadeguatezza della gestione delle risorse umane da parte dell'Esercito italiano: per esempio lo scorso anno, nonostante oltre 8.000 candidati, non si è riusciti a coprire tutti i posti disponibili messi a concorso per l'Accademia di Modena e quest'anno, sempre per l'Accademia di Modena, al termine di un lungo percorso selettivo fatto di quiz preselettivi, commissioni mediche, colloqui psicologici, prove ginniche, prove scritte e orali di cultura, si è ritenuto di complicare ulteriormente il già lungo e costoso iter (per ogni prova vi sono commissioni, oneri per l'utilizzo delle strutture, straordinari e missioni per i commissari, costi per gli immancabili contenziosi e altro) con un tirocinio che a fronte di circa 150 ragazzi ammessi per i 121 posti disponibili ha visto alla fine dei 30 giorni di tirocinio 17 inidonei e circa 50 ragazzi ritirati per motivi «non chiari», con ulteriori aggravi di costi e dubbi sull'efficacia di un concorso che presenta inaccettabili ridondanze (in Accademia, infatti, si ripetono valutazioni psicologiche oppure i test di educazione fisica, e altro);
   si ritiene, in particolare, che quest'ultimo concorso, con una graduatoria finale di uscita dal tirocinio che per quasi il 50 per cento è stata completamente stravolta rispetto alla graduatoria di entrata ponga alcuni interrogativi: ad avviso dell'interrogante o non ha funzionato la fase concorsuale non individuando i candidati idonei «all'altezza» o non ha funzionato il tirocinio che si è mosso su criteri di valutazione che appaiono in forte distonia con i principi adottati nelle fasi precedenti al tirocinio. Risulta, difatti, che è la prima volta che ad un tirocinio si verifica una così accentuata discrasia tra la graduatoria di inizio e quella di fine tirocinio;
   in un momento economicamente così travagliato per la nostra Repubblica non si può accettare che si sprechino risorse per ammettere al passaggio finale di un concorso un così elevato numero di candidati che, per quasi un anno, sono stati selezionati e testati constatando poi che una elevata percentuale è inidonea o rinuncia al concorso: il risultato è, in ogni caso, quello che all'interrogante appare un inaccettabile spreco di fondi pubblici perché la Forza armata non riesce a saper gestire, nei suoi vertici, lo strumento concorsuale;
   tale situazione pone il fondato timore che non sia stato ancora sufficientemente metabolizzato, specie tra alcune alte «gerarchie» dell'Esercito italiano, il concetto di «servizio pubblico» e di «buona amministrazione» che i pubblici amministratori devono garantire secondo gli specifici compiti e attribuzioni –:
   se il Ministro non intenda verificare l'efficacia e i costi dei concorsi per allievi ufficiali per l'Accademia militare degli ultimi anni, verificando le ragioni delle inefficienze delle procedure concorsuali, ivi inclusi i costi del contenzioso amministrativo che è stato generato;
   se non ritenga il Ministro di informare la magistratura contabile per una più approfondita e obiettiva valutazione di tutti i costi frutto di ogni inefficienza;
   se non ritenga, infine, il Ministro di avviare una totale e, soprattutto, definitiva rivisitazione delle procedure concorsuali che garantisca il minore costo per lo Stato e la massima efficienza sotto il profilo selettivo. (4-06934)

  Risposta. — Il tirocinio, da decenni, costituisce parte integrante delle procedure concorsuali per il reclutamento degli allievi ufficiali dell'accademia militare.
  In tale periodo di addestramento gli aspiranti:
   entrano in contatto con il mondo militare, verificando la saldezza della vocazione alle armi;
   sono valutati per il rendimento fornito in condizioni di stress psico-fisico, nonché per la capacità di adeguarsi ai principi della disciplina militare.

  Durante le prove addestrative vengono effettuate attività ginnico-sportive che sono valutate non tanto sotto il profilo della performance in senso stretto, quanto sotto l'aspetto attitudinale, per misurare la predisposizione e la volontà dell'aspirante a migliorarsi dal punto di vista del rendimento fisico a seguito di uno specifico addestramento.
  In questa fase è fisiologico che alcuni aspiranti si rendano conto che la vita militare non corrisponde più alle proprie aspettative e, per tale ragione, rinunciano a proseguire l’
iter concorsuale.
  In merito alla «così accentuata discrasia tra la graduatoria di inizio e quella di fine tirocinio» si osserva che in una procedura concorsuale come quella del reclutamento di allievi ufficiali, ogni aspirante deve cimentarsi in più prove valutative ed i risultati dei candidati non possono essere omogenei in tutte le fasi.
  Conseguentemente, tra la graduatoria di ammissione al tirocinio – ultima prova concorsuale – e la graduatoria finale del concorso possono verificarsi dei diversi posizionamenti tra i candidati che non costituiscono disfunzioni della procedura selettiva, ma più semplicemente sono il frutto di una comparazione complessiva da parte della commissione esaminatrice, basata sulla oggettiva valutazione dei risultati ottenuti dai candidati nelle varie fasi concorsuali.
  Il contenzioso relativo al periodo di tirocinio è estremamente basso, se non addirittura nullo.
  In ordine, poi, all’«inaccettabile spreco di fondi pubblici» si osserva che l'ammissione ai corsi regolari dell'accademia militare comporta delle spese per l'amministrazione militare in termini di tasse universitarie, materiale didattico, addestramento, vitto e alloggio.
  In tale quadro, la rigida selezione effettuata durante il tirocinio ha lo scopo di enucleare i soggetti migliori, cioè che offrono le maggiori garanzie, di ultimare un percorso formativo altamente selettivo (e costoso per l'amministrazione), evitando così di investire su personale destinato a rivelarsi, poi, inidoneo alla vita militare.
  La procedura selettiva, infatti, ha lo scopo precipuo di individuare soggetti che per proprie capacità culturali, intellettive e fisiche ma anche sotto il profilo caratteriale e motivazionale, siano in grado di affrontare un percorso formativo universitario e addestrativo militare altamente impegnativo che li trasformerà in adulti responsabili, pronti a operare ovunque lo Stato chieda loro di intervenire.
  Per tali considerazioni, l'attuale procedura concorsuale per la selezione degli allievi ufficiali dell'accademia militare, lungi dall'essere inefficiente o non informata ai principi di buona amministrazione, appare improntata ad un equilibrato rapporto costo-efficacia ed idonea a selezionare adeguatamente i futuri quadri dirigenti della Forza armata e a perseguire l'obiettivo di un'ordinata alimentazione dei ruoli.

Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   PARENTELA, GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, L'ABBATE, BENEDETTI e LUPO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è, dopo la Cina, il primo produttore mondiale di actinidia, più conosciuto come kiwi. Un primato che – grazie alla qualità delle produzioni italiane – rende il nostro Paese anche leader nell'esportazione. Nel nostro Paese, infatti, si producono, ogni anno, mediamente, 300 mila tonnellate che, oltre ad alimentare la domanda interna, vengono esportate all'estero ed, in particolare, negli Stati uniti;
   a partire dal 2008 si è assistito alla diffusione della batteriosi dell'actinidia, una malattia ad elevato rischio fitosanitario causata dal batterio Pseudomonas syringae pv. actinidiae Takikawa, Serizawa, Ichikawa, Tsuyum & Goto (di seguito denominato PSA), che ha provocato danni gravissimi alla coltura dei kiwi in tutto il territorio nazionale, complice anche la mancanza di efficaci mezzi di cura;
   i primi risultati di una ricerca volta a prevenire la diffusione del batterio PSA sono stati presentati in data 22 luglio 2014 dal Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA), al Ministro interrogato nel corso del convegno conclusivo dei progetti INTERACT «Interventi di coordinamento ed implementazione delle azioni di ricerca, lotta e difesa al cancro batterico dell'Actinidia (Psa)» ed ARDICA: «Azioni di ricerca e difesa al cancro batterico dell'Actinidia (Psa)», strettamente collegati tra loro e condotti dal CRA con il Centro servizi ortofrutticoli (CSO) di Ferrara;
   dagli studi è emerso che i principali fattori predisponenti la malattia sono gelate e forte piovosità, mentre i periodi più a rischio sono autunno-inverno e inizio primavera. È stata accertata, inoltre, una chiara correlazione tra composizione chimica del suolo e la predisposizione alla batteriosi;
   i ricercatori – da quanto si legge sul sito del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura – avrebbero migliorato e velocizzato le tecniche diagnostiche oltre ad aver definito e sperimentato tecniche agronomiche che vanno dall'individuazione del momento in cui svolgere i trattamenti per ridurre al massimo la possibilità di diffusione nei e tra i frutteti alle forme di allevamento della pianta che, aumentando la circolazione dell'aria all'interno della chioma e riducendo il volume di legno colonizzabile dal batterio, riducono significativamente l'incidenza della malattia, fino all'individuazione di alcuni nuovi composti chimici e di origine biologica in grado di ridurle efficacemente la severità e l'incidenza della malattia in pieno campo;
   il dottor Marco Scortichini il direttore dell'unità di ricerca per la frutticoltura del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura di Caserta ha affermato che «È possibile constatare che, dove vengono scrupolosamente applicati gli accorgimenti tecnico-agronomici, emersi delle nostre ricerche, si riesce a convivere con la “batteriosi”, anche in aree dove l'incidenza della malattia negli anni passati era fortissima e dove permangono ancora tutti i fattori predisponenti l'insorgenza della stessa»;
   Thomas Bosi del CSO di Ferrara ha affermato al convegno «Batteriosi del kiwi» promosso dal Crpv di Cesena e dalla regione Emilia-Romagna e tenutosi il 16 aprile 2014 a Faenza (Ra) che «L'impatto del Psa sui mercato del kiwi non è stato elevato» ma che «È però vero che c’è stata una ricaduta pesante sulle singole aziende agricole che hanno visto un importante aumento dei costi di produzione (in ragione delle maggiori spese per manodopera e mezzi tecnici) ed una minore resa produttiva degli impianti». «Infine da segnalare» – seguita Thomas Bosi – «come la geografia produttiva del kiwi sia in forte trasformazione: le zone tradizionalmente coltivate ad actinidia sono in calo e vengono sostituite da nuove aree a digiuno di questa specie frutticola» –:
   se non ritenga opportuno intraprenda tutte le necessarie misure di controllo fitosanitarie e quali interventi intenda promuovere sul piano della diffusione di un'adeguata attività informativa tese a salvaguardare un comparto frutticolo, quale è quello del kiwi, nonché tutti gli agricoltori interessati. (4-06110)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto, concernente la problematica relativa al cancro batterico dell'actinidia, più conosciuto come Kiwi, causato da pseudomonas syringae pv. actinidiae, riferisco quanto segue.
  Il batterio
pseudomonas syringae pv. actinidiae, organismo nocivo di origine asiatica, è stato segnalato per la prima volta in Italia nel 1994, nella provincia di Latina, non facendo però registrare considerevoli danni alle colture di actinidia.
  Solo recentemente è stato riscontrato un ceppo più aggressivo del batterio che determina danni rilevanti agli actinidieti e, in particolare, alla cultivar a polpa gialla, più sensibile alla malattia. Ad oggi, la batteriosi interessa tutti i principali Paesi produttori di actinidia.
  Sulla base delle segnalazioni relative alla diffusione e ai danni ingenti provocati in Italia dal
pseudomonas syringae pv. actinidiae, il segretariato dell'organizzazione europea e mediterranea per la protezione dei vegetali (EPPO) ha inserito, alla fine del 2009, il succitato patogeno nell’alert list.
  Rilevo che, l'emergenza derivante dalla diffusione del batterio è stata, inoltre, discussa in sede di comitato fitosanitario nazionale al fine di individuare gli strumenti normativi più idonei per regolamentare il commercio di vegetali di actinidia e definire adeguate strategie di lotta al batterio.
  In merito, è stato emanato un primo provvedimento di lotta obbligatoria alla batteriosi, il decreto ministeriale 7 febbraio 2011, che definisce in dettaglio i requisiti per la produzione di vegetali sensibili (disciplinare di produzione vivaistica) e le misure fitosanitarie da adottare sul territorio in seguito all'individuazione di focolai della batteriosi.
  In base al citato decreto, i servizi fitosanitari regionali devono effettuare indagini ufficiali annuali volte ad accertare la presenza del cancro batterico nei territori di competenza e notificare immediatamente al servizio fitosanitario centrale la presenza del batterio in una parte del proprio territorio in cui tale presenza non era stata ancora riscontrata. I Servizi regionali, a seguito delle predette indagini, istituiscono nei territori di competenza le aree contaminate, le aree di contenimento e le relative aree di sicurezza, dove adottare le misure fitosanitarie identificate.
  La problematica è stata portata anche all'attenzione del comitato fitosanitario permanente di Bruxelles, con l'obiettivo di definire misure comuni per la lotta al
pseudomonas syringae pv. actinidiae a livello di Unione europea.
  Infatti, la direttiva 2000/29/CE, che rappresenta il riferimento normativo per il settore fitosanitario, non prescrive che vegetali e prodotti vegetali di actinidia spp siano sottoposti ad ispezione fitosanitaria nel luogo di produzione o nel paese d'origine per poter essere, rispettivamente, spostati o introdotti nel territorio dell'Unione.
  A tale riguardo, preciso che, gli esperti del servizio fitosanitario nazionale hanno elaborato, in collaborazione con i ricercatori del CRA-PAV di Roma, un
pest risk analysis che è stato presentato agli Stati membri nel corso della riunione dei comitato fitosanitario permanente.
  È stata, pertanto, emanata la decisione 2012/756/UE del 5 dicembre 2012, relativa alle «misure per impedire l'introduzione e la diffusione nell'Unione di
pseudomonas syringae pv. actinidiae» che stabilisce prescrizioni specifiche per la produzione e l'importazione di actinidia nell'Unione europea.
  Tale provvedimento è stato recepito nell'ordinamento nazionale con il decreto ministeriale 20 dicembre 2013, che ha inoltre sostituito il precedente decreto ministeriale di lotta obbligatoria.
  Infine, preciso che l'attuazione sul territorio nazionale delle disposizioni contenute nelle norme fitosanitarie è competenza dei servizi fitosanitari regionali, che svolgono pertanto una periodica attività di monitoraggio nelle aree produttive e di ispezione presso le attività vivaistiche, impartendo, altresì, prescrizioni obbligatorie e curando la divulgazione di strategie di profilassi e difesa fitosanitaria.

Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   PRODANI, CATALANO e BUSINAROLO. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sono numerosi i tassisti e gli autisti italiani che svolgono servizio noleggio con conducente (NCC) sottoposti negli ultimi mesi al fermo di polizia in Germania con l'accusa di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina;
   secondo le autorità tedesche, infatti, sarebbero centinaia gli immigrati clandestini che giunti in Italia per lo più via mare, avrebbero poi usato auto NCC, pulmini e taxi per attraversare il confine e raggiungere la Germania;
   il 4 settembre 2014 il quotidiano Il Corriere della sera ha pubblicato l'articolo intitolato «L'odissea vissuta dal tassista padovano “Sbattuto in cella senza sapere il perché«” che riporta il caso emblematico di Fabio Forin, incarcerato e successivamente prosciolto da ogni accusa;
   fermato nel luglio scorso dalla polizia tedesca a Rosenheim per aver trasportato da Milano immigrati clandestini, Forin avrebbe ricevuto un trattamento molto duro e gli sarebbe stato concesso di effettuare una telefonata per informare del suo stato i propri familiari solo quattro giorni dopo il fermo;
   al cittadino italiano sarebbe stato affiancato un'interprete dopo il processo per direttissima, quando gli sarebbe stato spiegato l’iter dei giorni successivi che lo ha visto, poi, rilasciato e prosciolto da tutte le accuse;
   desta sgomento e indignazione, se confermato, quanto raccontato da Forin in merito alla richiesta di informazioni al Ministero degli affari esteri da parte della moglie, che non aveva notizie del congiunto dalla sua telefonata: «quando mia moglie ha chiamato la Farnesina le hanno detto che è pieno di mariti che vanno a prostitute all'estero e di stare tranquilla, che prima o poi sarei tornato. Il consolato poi non sapeva nemmeno della mia detenzione»;
   secondo il presidente dalla cooperativa Tassisti Vicentini Pierpaolo Campagnolo intervistato da Il Fatto Quotidiano il 2 settembre 2014, «Non è obbligatorio sapere chi portiamo, molti dei profughi che si sono allontanati dalla città li abbiamo portati noi. Quando il cliente è presentabile e paga nessuna legge ci impone di chiedergli l'identità. Lo stesso vale per il noleggio con conducente»;
   a giudizio dell'interrogante destano perplessità le dichiarazioni sulla vicenda dei tassisti e autisti italiani arrestati in Germania rese dal ministro dell'interno Angelino Alfano, secondo il quale «salutiamo con favore ogni iniziativa dell'autorità giudiziaria tedesca che stronchi chiunque affronti tale traffico. E siamo pronti a ogni azione congiunta e comune per attenuare e risolvere il fenomeno»;
   ad oggi non esiste nessuna normativa che obbliga tassisti e autisti NCC ad identificare i passeggeri –:
   se sia vero quanto riportato da Fabio Forin alla stampa sulla condizione inaccettabile della sua detenzione in Germania;
   se la Farnesina abbia davvero fornito alla moglie una risposta del genere, circostanza che renderebbe doverosa e necessaria l'adozione di provvedimenti disciplinari a carico del responsabile;
   quali iniziative, anche di natura normativa, possano essere adottate per proteggere tassisti e autisti che buona fede trasportano all'estero clandestini.
(4-06073)

  Risposta. — In merito ai quesiti sollevati dall'interrogante, si premette che i controlli su strada sono svolti dalla Polizia tedesca ai sensi del Regolamento (CE) n. 562/2006, che istituisce il cosiddetto Codice Schengen e che prevede che anche i settori di polizia di frontiera terrestre degli Stati membri possano predisporre adeguati servizi di controllo nelle zone di retro-valico, volti a contrastare, in particolare, la criminalità transfrontaliera. Il personale di polizia può pertanto sottopone veicoli e passeggeri al controllo di sicurezza, in seguito al quale potrebbero emergere elementi di reato riconducibili all'articolo 12, comma 3, del decreto legislativo n. 286 del 1998, contenente il Testo Unico sull'immigrazione. Tale articolo prevede l'arresto obbligatorio in flagranza per chiunque «in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l'ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina».
  Il fenomeno degli stranieri irregolari che utilizzano auto a noleggio con conducente o taxi per raggiungere la Germania dall'Italia è tenuto in costante osservazione dal servizio per la cooperazione internazionale di polizia della direzione centrale della polizia criminale del nostro Ministero dell'interno. Sin dallo scorso anno il consolato generale d'Italia a Monaco di Baviera ha ricevuto numerose segnalazioni relative all'arresto di cittadini italiani che avevano trasportato in territorio tedesco cittadini extracomunitari privi di documenti.
  Per quanto riguarda il caso segnalato dall'interrogante, risulta che lo scorso 22 luglio la Polizia tedesca abbia fermato lungo un'autostrada vicino a Monaco tre furgoni (tra i quali quello guidato dal signor Forin) che trasportavano in convoglio un totale di 25 stranieri irregolari, tutti di probabile nazionalità siriana.
  Subito dopo essere stato informato del fermo, il nostro consolato si è attivato per ottenere dalla competente procura tedesca un permesso di visita a favore della moglie del signor Forin e, come dalla stessa richiesto, di altri due familiari. Parallelamente, l'ufficio consolare ha fornito alla moglie del connazionale informazioni sul procedimento in corso e, pochi giorni dopo il fermo, le ha inoltrato i permessi di visita, rilasciati e trasmessi dalle autorità tedesche in formato digitale.
  Si esclude nel modo più netto che nel corso di contatti telefonici siano state fornite da parte degli uffici del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale risposte simili, nei toni o nei contenuti, a quanto raccontato dal signor Forin.
  Ad oggi non risultano altri contatti né richieste di intervento da parte della moglie del signor Forin o dello stesso connazionale né il legale di quest'ultimo si è fatto interprete i nuove richieste di assistenza. Nessun comportamento discriminatorio nei confronti del connazionale è stato segnalato al nostro ufficio consolare.
  Si assicura che la Farnesina, anche per il tramite dell'ambasciata a Berlino e del consolato generale a Monaco di Baviera, continuerà a seguire le vicende richiamate dall'interrogante, fornendo ai connazionali coinvolti l'assistenza consolare necessaria nel rispetto dei limiti posti dal sistema giudiziario locale.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro dell'interno, con bando di cui al decreto del 30 luglio 2013, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 207 del 4 settembre 2013, ha definito le modalità di presentazione delle domande di contributo a valere sul Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo da parte degli enti locali che intendono prestare dal gennaio 2014, per tre anni, servizi di accoglienza integrata in favore di persone richiedenti e titolari di protezione internazionale e umanitaria;
   il comune di Velletri con la deliberazione n. 162 del 10 ottobre 2013 ha individuato, con affidamento diretto, la «Casa della Solidarietà – Consorzio di Cooperative Sociali» come ente attuatore e collaboratore per la progettazione, organizzazione e gestione dei servizi di accoglienza di cui al predetto bando;
   con la deliberazione n. 90 dell'8 maggio 2014, riconoscendo, su pressioni dei consiglieri e dei partiti di opposizione, primo tra tutti Fratelli d'Italia-AN, ed a distanza di circa sei mesi, di non aver rispettato i princìpi generali della trasparenza e della par condicio per non aver individuato, nell'ambito di un progetto di coprogettazione il soggetto privato cui affidare lo svolgimento dei servizi mediante il ricorso ad un confronto concorrenziale, ha disposto di procedere, in regime di autotutela, alla revoca parziale della deliberazione 162 nella parte in cui viene individuato quale soggetto attuatore e collaboratore per coprogettazione, organizzazione e gestione dei servizi di accoglienza la predetta «Casa della Solidarietà»;
   con la lettera prot. 286 A.G. del 9 maggio 2014, spedita il 13 maggio 2014 al Ministero dell'interno, su sollecitazione dello stesso, il comune ha chiesto l'autorizzazione ad una novazione soggettiva del soggetto attuatore e dell’équipe multidisciplinare collegata, ed ha comunicato che, nelle more dell'espletamento di una procedura ad evidenza pubblica per l'individuazione del nuovo soggetto attuatore, l'avvio del servizio sarà temporaneamente affidato alla predetta «Casa della Solidarietà»;
   il Ministero dell'interno, con lettera del 4 giugno 2014, facendo riferimento ad una generica corrispondenza con il comune di Velletri, ha autorizzato, sommariamente e senza entrare nei particolari, l'individuazione di un diverso ente gestore è conseguentemente un ulteriore immobile ove operare l'attività di accoglienza, nonché la proroga di attivazione del servizio di accoglienza, in attesa che siano espletate le procedure di aggiudicazione;
   il ricorso alla novazione soggettiva è espressamente vietato dal pur richiamato articolo 11 del bando, che testualmente recita: «Non può essere sottoposto a novazione soggettiva il rapporto tra l'ente locale associato o aderente, e l'ente attuatore, predeterminato per l'attivazione del progetto fin dal mese di gennaio ai fini dell'ammissibilità della domanda»;
   l'affidamento diretto e temporaneo alla «Casa della Solidarietà», per il tempo necessario all'individuazione del nuovo soggetto attuatore con gara ad evidenza pubblica, si configura secondo l'interrogante come una ulteriore procedura contra legem;
   l'espletamento di una nuova procedura ad evidenza pubblica per l'individuazione di un nuovo ente attuatore appare all'interrogante irregolare, in quanto il Ministero dell'interno nel citato bando aveva previsto che le domande fossero presentate entro 45 giorni dalla data di pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana (pubblicazione: 4 settembre 2013 – scadenza presentazione domande: 19 ottobre 2013), dichiarando inammissibili le domande spedite dopo la decorrenza di tale termine;
   la «Casa della Solidarietà» sarebbe quindi stata individuata di fatto con una procedura amministrativa contra legem, posto che la revoca dell'ente attuatore disposta con la deliberazione comunale n. 90, ha determinato la nullità dell'intera procedura;
   inoltre, l'articolo 11 del bando in questione evidenzia chiaramente che il ricorso alla novazione soggettiva è espressamente vietato e che le sole variazioni che si possono concedere, per comprovati motivi, riguardano essenzialmente «gli elementi costitutivi del progetto» che danno luogo, evidentemente, a novazione oggettiva;
   l'aver seguito una procedura scorretta, da parte del comune di Velletri, nell'individuazione dell'ente attuatore, non può costituire valido motivo per presentare, a tempo scaduto di oltre sei mesi, una propria candidatura a fruire del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo, a danno di altri enti locali che hanno partecipato alla gara per la richiesta dei fondi e ne sono rimasti esclusi per punteggio inferiore, pur avendo adempiuto a tutte le disposizioni previste dal bando –:
   se la citata lettera del Ministero dell'interno sia da considerare come autorizzazione alla novazione soggettiva e, laddove la stessa lettera sia da considerare come autorizzazione all'espletamento di una gara ex novo, in base a quali eccezionali ed ad avviso dell'interrogante irrituali valutazioni sia stata concessa tale autorizzazione, tenuto conto che i termini di presentazione delle domande di contributo a valere sul Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo da parte degli enti locali sono scaduti il 19 ottobre 2013. (4-05233)

  Risposta. — Come riferito nell'interrogazione in esame, il comune di Velletri ha presentato al Ministero dell'interno, in risposta al bando di cui al decreto ministeriale 30 luglio 2013, una domanda di contributo per la ripartizione del fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo, triennio 2014-2016.
  Il progetto formulato dal comune di Velletri prevedeva, quale soggetto attuatore e collaboratore in coprogettazione, il consorzio di cooperative casa della solidarietà (delibera comunale n. 162 del 10 ottobre 2013).
  Successivamente, nel maggio/giugno 2014, il predetto comune – in conformità alla delibera dell'autorità di vigilanza sui contratti pubblici e in osservanza agli articoli 65, 68 e 225 del codice dei contratti nonché alla direttiva europea 2004/18/CE – ha svolto, previo assenso della commissione di valutazione di cui all'articolo 8 del bando, una procedura concorrenziale ad evidenza pubblica, al fine di individuare un nuovo ente gestore del progetto, nonché una diversa struttura di accoglienza rispetto a quella precedentemente segnalata, per la quale erano state riscontrate, nel frattempo, delle irregolarità amministrative. Al termine della selezione, i servizi previsti dal progetto sono stati affidati alla cooperativa sociale domus caritatis.
  Si esprime l'avviso che, per l'affidamento dei servizi in questione, il comune di Velletri abbia seguito una procedura conforme alle disposizioni del citato bando ministeriale, con particolare riferimento all'articolo 11.
  Infatti, in base ad un'interpretazione sistematica di tale disposizione, si ritiene che il divieto di novazione soggettiva tra l'ente locale e quello attuatore non vada inteso in termini assoluti, ma quale prescrizione volta a evitare che gli enti locali assegnatari del contributo possano decidere in via autonoma, nel corso dell'espletamento dei servizi, di sostituire l'ente gestore valutato dalla commissione di valutazione sopra citata, con altro che non sia in possesso della richiesta pluriennale e consecutiva esperienza nella materia.
  La reale
ratio di tale divieto è confermata dalla seconda parte dell'articolo, in cui si precisa che, in assenza del requisito dell'idoneità dell'ente attuatore, l'ente locale può richiedere la variazione dell'ente medesimo alla commissione che, acquisito il parere del servizio centrale dello SPRAR, accoglie l'istanza ove sussistano comprovati motivi.
  D'altra parte, si rileva come non vi sia stata alcuna assegnazione temporanea dei servizi alla casa della solidarietà, in quanto il progetto Sprar di Velletri ha avuto inizio a decorrere dal 25 luglio 2014, data di affidamento alla cooperativa sociale domus caritatis, risultata vincitrice del bando. A partire da tale data è stato rideterminato l'ammontare del finanziamento assegnato al comune di Velletri per l'anno 2014.
  Si soggiunge che nessun danno è stato arrecato ad altri enti locali – partecipanti al bando ma non ammessi al finanziamento – in quanto, come si evince dalle graduatorie pubblicate il 29 gennaio 2014, sono stati ammessi al contributo tutti gli enti locali i cui progetti sono risultati ammissibili dalla commissione, in applicazione dell'articolo 4 del citato bando.
  Si assicura, comunque, che il Ministero dell'interno vigila costantemente affinché i progetti finalizzati all'accoglienza e all'integrazione in favore dei richiedenti la protezione internazionale siano realizzati attraverso un utilizzo efficiente delle risorse pubbliche e siano gestiti con la massima correttezza e trasparenza.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   REALACCI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il «Regolamento legno» n. 995 del 2010 è un regolamento dell'Unione europea del 20 ottobre 2010 volto a contrastare il commercio all'interno dell'Unione di legname non legale, proveniente da filiera garantita. Esso vieta la commercializzazione di legno raccolto illegalmente e dei prodotti da esso derivati nell'Unione europea e stabilisce alcuni obblighi degli operatori. Il regolamento si applica in tutti gli Stati membri a partire dal 3 marzo 2013;
   a un anno dall'entrata in vigore dell'importante sopracitato regolamento, le associazioni ambientaliste Greenpeace, Legambiente, Terra ! e WWF denunciano la mancata applicazione in Italia della normativa europea promossa per fermare il commercio di legno non certificato nei 28 Paesi dell'Unione europea;
   dopo la sua emanazione nel 2010, il Governo avrebbe dovuto garantirne l'applicazione ma secondo quanto si apprende da alcuni articoli di stampa e sui social media l'attività di controllo nazionale sul legno illegale stenta a decollare. Fatto ancor più grave se si considera che l'Italia è tra i più importanti mercati al mondo per il commercio del legno. Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, l'autorità incaricata di vigilare sulla norma, come lamentano le maggiori associazioni ambientaliste del Paese, sembra non aver ancora messo in atto i controlli e le sanzioni da applicare a chi commercia legno tagliato illegalmente o a chi non applica la dovuta diligenza, ovvero chi non controlla la filiera di legno dall'origine;
   oltre all'Italia, altri Paesi dell'Unione europea come la Spagna, la Lituania e l'Ungheria, sono il fanalino di coda nell'implementazione e attuazione del regolamento continuando a permettere l'entrata nei mercati di legno proveniente da conflitti sociali e ambientali in importanti aree forestali come quelle del bacino del Congo, dell'Amazzonia, del Sud-est asiatico, con la distruzione delle isole del Borneo e Sumatra e delle foreste dell'estremo oriente in Russia –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto lamentato dalle maggiori associazioni ambientaliste e se esso corrisponda al vero;
   conseguentemente, quali iniziative urgenti intenda mettere in campo per dare piena attuazione ed effettività al sopraddetto regolamento comunitario, regolamento self-executing in tutti gli Stati membri. (4-04116)


   REALACCI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il «Regolamento legno» n. 995 del 2010 è un regolamento dell'Unione europea del 20 ottobre 2010 volto a contrastare il commercio all'interno dell'Unione di legname non legale, proveniente da filiera garantita. Esso vieta la commercializzazione di legno raccolto illegalmente e dei prodotti da esso derivati nell'Unione europea e stabilisce alcuni obblighi degli operatori. Il regolamento si applica in tutti gli Stati membri a partire dal 3 marzo 2013;
   a più un anno dall'entrata in vigore dell'importante sopracitato regolamento, le associazioni ambientaliste, anche in questi giorni, Greenpeace, Legambiente, Terra ! e WWF stanno reiterando le denunce di mancata applicazione in Italia della normativa europea promossa per fermare il commercio di legno non certificato nei 28 Paesi dell'Unione europea;
   dopo la sua emanazione nel 2010, il Governo avrebbe dovuto garantirne l'applicazione ma secondo quanto si apprende da alcuni articoli di stampa e sul social media l'attività di controllo nazionale sul legno illegale stenta a decollare Fatto ancor più grave se si considera che l'Italia è tra i più importanti mercati al mondo per il commercio del legno. Il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, l'autorità incaricata di vigilare sulla norma, come lamentano le maggiori associazioni ambientaliste del Paese, sembra non aver ancora messo in atto i controlli e le sanzioni da applicare a chi commercia legno tagliato illegalmente o a chi non applica la dovuta diligenza, ovvero chi non controlla la filiera di legno dall'origine;
   lo sfruttamento di legno illegale, oltre a depauperare irreversibilmente estesissime e preziosissime aree di flora ad alto fusto, nasconde sovente lo sfruttamento in condizioni terribili di lavoratori indigeni;
   il 16 maggio 2014, il titolare del Dicastero delle politiche agricole, alimentari e forestali onorevole Martina, si era impegnato da subito a emanare gli adeguati strumenti normativi per garantire la rigorosa applicazione del sopracitato regolamento legno, ma fino ad oggi l'impegno non ha avuto esito;
   l'interrogante sulla medesima questione ha presentato l'atto di sindacato ispettivo n. 4/04116 senza aver ottenuto risposta, nonostante i ripetuti solleciti –:
   se il Ministro voglia dare seguito al suo impegno pubblico conseguentemente a quanto lamentato dalle maggiori associazioni ambientaliste;
   quali iniziative urgenti intenda mettere in campo per dare piena attuazione ed effettività al sopraddetto regolamento comunitario, in tutti gli Stati membri. (4-05498)

  Risposta. — Con riguardo alle interrogazioni in oggetto, ricordo che il 3 marzo 2013 è entrato in vigore il regolamento dell'Unione europea n. 995 del 2010, che disciplina l'attività degli operatori della filiera legno e dei prodotti derivati immessi per la prima volta sul mercato comunitario e fissa l'obbligo per gli stessi di corredare con chiare attestazioni la relativa origine legale e tracciabilità.
  Rilevo, inoltre che la legge di delegazione europea 2013 ha individuato nel Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali l'autorità competente nazionale per l'applicazione del suddetto regolamento e del regolamento n. 2173 del 2005.
  Pertanto, in attuazione dei predetti regolamenti (regolamenti Flegt e Eutr) inerenti il commercio di legno e prodotti derivati, è stato emanato il pertinente decreto legislativo n. 178 del 30 ottobre 2014, pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale n. 286 del 10 dicembre 2014.
  In tale contesto, in linea con quanto previsto dal decreto ministeriale n. 18799 del 27 dicembre 2012 è stato disposto l'avvio delle attività di controllo da parte del corpo forestale dello Stato.

Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   RIZZO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 3o stormo dell'Aeronautica militare ha sede presso l'aeroporto di Villafranca di Verona. Attualmente lo Stormo ha il compito principale di assicurare le capacità di «Sopravvivenza Operativa» e il «Sostegno Logistico» ai Reparti e alle componenti mobili del sistema di comando e controllo proiettati a operare al di fuori delle proprie sedi stanziali. Inoltre, cura la predisposizione di procedure, metodologie, attrezzature idonee a ottimizzare e razionalizzare l'attività delle dipendenti articolazioni in occasioni di rischieramenti campali, assicurando la manutenzione degli equipaggiamenti e attrezzature in dotazione;
   la base aerea di Villafranca (VR) presso la quale risiede il 3o Stormo è soggetta ad una ristrutturazione interna, secondo un piano di ristrutturazione gestito da DIPMA (direzione per l'impiego del personale militare dell'aeronautica);
   la ristrutturazione interna prevede la chiusura di due reparti e la cessione alle autorità civili dell'aeroporto di Verona della torre di controllo;
   la ristrutturazione riguarderebbe solo il personale turnista in torre (CTA), mentre è stato coinvolto il personale ATA (assistente traffico aereo) in quanto le due categorie cooperano unitamente e sono inscindibili in qualsiasi altro aeroporto militare italiano;
   il personale over 50 è quello maggiormente in difficoltà avendo una vita consolidata in loco e lo spostamento in altra; sede rischia di comportare la separazione dalla famiglia e comunque gravi difficoltà al proseguimento della vita affettiva e familiare, specie in questo periodo di crisi economica che influisce negativamente su questo personale stremato da interminabili rivoluzioni lavorative e comunque con un'anzianità prossima al congedo in virtù dei 35 anni effettivi di servizio;
   quali siano le ragioni inderogabili che hanno spinto il Ministero della difesa a proporre di trasferire anche il personale over 50 ATA (a differenza di quanto opportunamente pianificato con il personale CTA) in altra sede anziché lasciarlo nell'ente in ristrutturazione con cambio di mansione lavorativa;
   se non ritenga di dover rivedere le decisioni riguardanti la mobilità del personale over 50, rispetto alla legge 86 del 2001 qualora l'Aeroporto/Base militare non sia in chiusura imminente, dando la possibilità di rimanere in sede con mansioni differenti, anche perché tale decisione comporterebbe un notevole risparmio per le casse del Ministero della difesa (gran parte di essi infatti potrebbero essere prossimi alla quiescenza attese le riduzioni di personale già predisposte). (4-05438)

  Risposta. — Le linee di condotta per l'impiego del personale aeronautico interessato alla ristrutturazione di enti sono contenute nella direttiva di Forza armata.
  Tale pubblicazione, per la parte di interesse, stabilisce che la direzione per l'impiego del personale militare dell'aeronautica (Dipma), nel caso di riordino di enti, provveda alla ricollocazione del personale militare con un piano generale finalizzato a:
   soddisfare prioritariamente le esigenze funzionali della Forza armata cercando di applicare, ove possibile, il principio del minor disagio nei confronti del personale;
   prevedere, per quanto possibile, il mantenimento del personale nella stessa area geografica in cui presta servizio e, ove non possibile, individuare enti/reparti in aree progressivamente più distanti.

  La citata pubblicazione prevede, inoltre, che si debba far ricorso alla riqualificazione del personale qualora:
   nell'ente di destinazione vi sia l'esigenza di colmare carenze professionali;
   risulti possibile ed economicamente conveniente;
   sussista un'accettabile previsione temporale di permanenza nella nuova attività.

  Nel caso della ristrutturazione del 3o stormo di Villafranca, la cessione dei Servizi di Navigazione Aerea, conclusasi nel mese di maggio 2014, ha comportato, di fatto, la chiusura della Torre di Controllo, ove presta servizio sia il personale CTA (controllori traffico aereo) che ATA (assistenti traffico aereo), per un totale di 29 unità.
  Le nuove tabelle ordinative organiche del reparto, prevedono un nucleo ATM (assistenti tecnici manutentori) di proiezione con la possibilità di reimpiegare esclusivamente personale CTA per un totale di numero 7 unità.
  Ciò posto, la direzione per l'impiego competente, in aderenza alle linee di condotta innanzi richiamate, ha coerentemente considerato la possibilità di impiegare il personale ATA in enti
viciniori a Villafranca (nella fattispecie presso il 6o Stormo Ghedi – 60 chilometri – e presso il servizio di coordinamento e controllo dell'aeronautica militare di Abano Terme – 100 chilometri), senza dover procedere alla riqualificazione dello stesso per una relativa permanenza presso il 3o stormo.
  Ciò al fine di non disperdere professionalità pregiate che potessero essere utilmente impiegate in reparti vicini alla sede di Villafranca.
  Tuttavia, in via di eccezione, numero 2 sottufficiali ATA a meno di 5 anni dal congedo per limiti di età, che avevano espresso l'intenzione di permanere presso la stessa sede di servizio, sono stati impiegati in extra-organico presso il reparto.
  Si assicura, ad ogni buon conto, che l'impiego presso gli enti
viciniori è stato concertato dalla stessa direzione con il personale interessato, in un'ottica di ragionevole bilanciamento degli interessi pubblici e privati coinvolti.
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   SORIAL. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 16 dicembre 2014 un terribile attacco rivendicato dalla sigla Ttp (Tehreek-e-Taliban Pakistan), è stato sferrato in Pakistan a danno di un istituto scolastico per i figli di militari a Peshawar, costato la vita di 148 persone, delle quali 130 ragazzi e bambini;
   sono più di 122 i feriti causati dall'attentato, di cui 80 in modo grave;
   gli assalitori hanno tenuto in ostaggio per ore circa 500 persone tra studenti, tra 6 e 16 anni, e insegnanti;
   «abbiamo scelto con attenzione l'obiettivo da colpire con il nostro attentato. Il governo sta prendendo di mira le nostre famiglie e le nostre donne. Vogliamo che provino lo stesso dolore», ha detto il portavoce dei talebani pachistani, Mohammed Umar Khorasani, rivendicando l'attacco iniziato alle 10.30 locali (le 6.30 italiane);
   Khorasani avrebbe annunciato che l'attentato di Peshawar «è solo un trailer» che precede altri nuovi attacchi;
   secondo quanto raccontato da una fonte dell'esercito alla tv americana Nbc, i terroristi avrebbero anche dato fuco a un insegnante e costretto i bambini a guardarlo mentre moriva;
   l'azione costituirebbe una vendetta per l'operazione lanciata dall'esercito pakistano contro i miliziani nel Nord Waziristan e nella Khyber agency, denominata «Zarb-e-Azb» e lanciata il 15 giugno dalle forze della sicurezza pakistana contro i Talebani e i miliziani della rete Haqqani nel Nord Waziristan a seguito di un attacco all'aeroporto di Karachi; l'attacco alla scuola sarebbe stato effettuato dunque per colpire ogni istituzione collegata all'esercito fino a quando non si fermeranno le loro operazioni e gli omicidi extra giudiziari dei detenuti talebani che secondo Khorasani verrebbero uccisi e gettati per le strade;
   l'operazione dell'esercito a cui il portavoce dei Talebani fa riferimento avrebbe costretto oltre 800 mila civili ad abbandonare le proprie case, mentre l'esercito ritiene di aver liberato il 90 per cento della regione tribale dai militanti;
   i talebani afghani hanno condannato l'attentato definendolo un atto «contro l'Islam»;
   in seguito all'attacco dei taliban alla scuola di Peshawar il Governo pakistano ha deciso la linea dura: in un vertice anti-terrorismo presieduto dal Premier Nawaz Sharif, l'Esecutivo ha deciso la sospensione della moratoria sulla pena di morte decisa nel 2008, anche se solo relativamente ai reati di terrorismo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei terribili fatti esposti in premessa e se non consideri urgente assumere ogni iniziativa, per quanto di competenza, affinché si faccia piena luce su quanto accaduto, tanto sui crimini quanto sui responsabili diretti di siffatte intollerabili efferatezze, che non possono essere perpetrate né tantomeno essere lasciate impunite e per promuovere azioni tali da contrastare il ripetersi di simili atrocità;
   se non intenda esercitare una decisa azione per promuovere una posizione congiunta dell'Europa all'interno della comunità internazionale, volta ad affermare le ragioni di una mutua cooperazione contro il terrorismo di gruppi estremistici e contro decisioni come la sospensione della moratoria della pena di morte di cui sopra, perché si evitino nefaste spirali di violenza ed odio. (4-07406)

  Risposta. — A seguito dei gravi fatti menzionati dall'interrogante, il Presidente del Consiglio dei ministri ha subito espresso il suo cordoglio al primo ministro pakistano, Sharif, condannando duramente la viltà dell'attacco. Il nostro ambasciatore, per manifestare la vicinanza del nostro Paese, ha partecipato, assieme ad altri capi missione europei, a una fiaccolata in strada promossa dal Ministero degli esteri pakistano. In tale occasione, il Vice Ministro degli affari esteri, nel ringraziare per la solidarietà ricevuta, ha confermato tutta la determinazione del Governo di Islamabad a eliminare la piaga del terrorismo.
  L'Italia ritiene indispensabile promuovere la cooperazione internazionale per contrastare il terrorismo. Sul piano multilaterale, l'impegno italiano ed europeo si colloca nel quadro di una crescente mobilitazione globale, sia in seno alle Nazioni Unite sia nell'ambito del
global counterterrorism forum GCTF (forum che riunisce 30 membri, tra cui l'Unione europea, i G7/G8 e i Paesi più rappresentativi dei vari continenti, incluso il Pakistan). Ciò è completato, a livello bilaterale, da collaborazioni rafforzate che si ispirano ad un approccio trasversale, capace di tenere nel debito conto i vari nessi esistenti tra rispetto dei diritti umani, sviluppo economico e sociale, stabilità e sicurezza.
  Riguardo alla ripresa delle esecuzioni capitali, l'Italia ha sostenuto la decisione della delegazione dell'Unione europea in Pakistan di emanare, in coordinamento con i capi missione degli Stati membri accreditati nel Paese, un comunicato. Quest'ultimo, rilasciato il 24 dicembre 2014, ha espresso rincrescimento per la sospensione della moratoria delle esecuzioni capitali in atto dal 2008 e riaffermato l'opposizione dell'Unione europea a tale misura, in tutte le circostanze. Nel ribadire che la pena di morte non è uno strumento efficace nella lotta contro il terrorismo, con tale comunicato si è manifestato l'auspicio di una pronta revoca del provvedimento.
  Il nostro sostegno al passo è coerente con l'impegno italiano, assieme ad una coalizione transregionale di paesi, nella campagna per la moratoria della pena di morte che ha come elemento centrale l'approvazione, con cadenza biennale, di una risoluzione dell'assemblea generale dell'ONU. La quinta risoluzione di questo tipo è stata approvata il 18 dicembre 2014 con un record di 117 voti a favore, 38 contrari e 34 astensioni. Nell'occasione, il Pakistan ha confermato il suo tradizionale voto contrario.

Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleLapo Pistelli.


   SPADONI, MANLIO DI STEFANO, SIBILIA, GRANDE, DI BATTISTA, SCAGLIUSI e DEL GROSSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il rapporto della peer review condotta nel 2014 dall'OECD sulle attività del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale nell'ambito dei finanziamenti per lo svolgimento delle attività di cooperazione e sviluppo hanno rilevato sostanziali criticità tali da ravvisare l'indicazione di una sostanziale riforma nella gestione degli aiuti allo sviluppo;
   nel corso degli anni il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha provveduto alla chiusura di alcuni uffici di cooperazione all'estero – unità tecniche locali – probabilmente nei Paesi che non rientravano tra quelli suscettibili di attività di cooperazione e sviluppo;
   per quanto riguarda il Marocco, dopo la chiusura dell'UTL attuata nel 2011, risulta che si siano prodotti nuovi e sostanziali impegni di spesa e che siano state assegnate le competenze per le attività in Marocco alla Tunisia con delibera 105 del 18 ottobre 2012 predisponendo allo scopo un'apposita missione;
   sono stati erogati ulteriori finanziamenti, da ultimo con atto n. 59 del 29 aprile 2014 del direttore generale della direzione generale per la cooperazione allo sviluppo per finanziare un «Fondo per il Coordinamento dei programmi» per 64.000 di euro;
   per la Cina, la cui UTL presso l'ambasciata d'Italia a Pechino è stata chiusa nel giugno 2012, sono stati stanziati ulteriori finanziamenti quali:
    1) con delibera 25 del 17 febbraio 2014 si è proceduto a un rifinanziamento di un fondo in loco per un importo di 47.000 euro a dono che in presenza dell'UTL era stato sospeso nel 2011 per delle attività nel settore sanitario;
    2) con delibera 26 del 17 febbraio 2014 si è proceduto a un rifinanziamento di un fondo in loco per un importo di 56.000 euro a dono che in presenza dell'UTL era stato sospeso nel 2011 per delle attività nel settore ambientale;
    3) con delibera 27 del 17 febbraio 2014 si è proceduto a un rifinanziamento di un, fondo in loco per un importo di 47.000 euro a dono che in presenza dell'UTL era stato sospeso nel 2011 per delle attività nel settore dei beni culturali;
    4) con atto n. 56 del 24 aprile 2014 si è proceduto a una conferma di validità di un finanziamento di un fondo in loco per un importo di 38.388,48 euro a dono che in presenza dell'UTL pare fosse stato sospeso nel 2011 per delle attività nel settore dei beni culturali;
   in Serbia, Bosnia, Kosovo, dopo la chiusura dell'UTL di Belgrado avvenuta nel 2013, sono stati stanziati ulteriori finanziamenti quali:
    1) con atto n. 36 del 13 marzo 2014 si è proceduto all'ulteriore stanziamento di 136.000 euro per «continuare a fornire assistenza tecnica e supporto alle Autorità locali» per la realizzazione di un'iniziativa già in corso denominata «Regional housing programme» e finanziata per un importo a dono di 5.000.000 euro con delibera n. 113 del 19 dicembre 2012;
    2) con delibera n. 124 del 7 ottobre 2014 viene costituito un fondo in loco in Bosnia pari a 1.200.000 euro, a valere sul capitolo di spese ordinarie e non di, emergenza;
    3) con delibera n. 129 del 7 ottobre 2014 viene costituito un fondo in loco in Serbia pari a 800.000 euro – a valere sul capitolo di spese ordinarie e non di emergenza –:
   se dalla chiusura delle UTL siano state effettuate missioni in loco e a quanto ammonti la spesa complessiva;
   quale sia lo stato di realizzazione dei progetti in corso, sia a dono sia attraverso i crediti di aiuto;
   se in relazione ai fatti di cui in premessa siano state inoltrate o si intendano inoltrare segnalazioni alla magistratura contabile per gli eventuali seguiti di competenza. (4-06960)

  Risposta. — Nel fornire un riscontro ai quesiti posti dall'interrogante, si sottolinea, a titolo di premessa, come la chiusura delle sedi menzionate abbia creato importanti economie strutturali assicurando, nel contempo, un adeguato livello di funzionalità e monitoraggio dei progetti grazie a un efficace coordinamento fra la Farnesina e le sedi coinvolte.
  L'aumento di spesa per brevi missioni che è stato necessario affrontare è di un ammontare assolutamente inferiore rispetto alle economie suddette e si prevede che nel corso dei prossimi esercizi finanziari andrà progressivamente riducendosi di pari passo con il completarsi delle attività.

Marocco.
  L'intero programma di cooperazione allo sviluppo del Paese è stato definito nel Memorandum d'intesa firmato nel maggio 2009 dall'allora Ministro degli affari esteri. Franco Frattini. La chiusura dell'UTL di Rabat nel dicembre 2011 (a causa di difficoltà finanziarie determinate da successivi tagli di bilancio sui capitoli corrispondenti) non ha ad ogni modo comportato il contemporaneo arresto del consistente portafoglio attività, già avviate o già comunque concordate con le autorità locali.

  Stato di realizzazione dei progetti in corso:
   programma di conversione del debito di cui all'accordo firmato nel 2009 per un valore di 20 milioni di euro: 3 linee di intervento, di cui una conclusa (PNRR), mentre le altre 2 si concluderanno fra fine 2014 ed inizio 2015;
   programma di conversione del debito di cui all'accordo firmato nell'aprile 2013 per 15 milioni di euro: 3 linee di intervento, di cui due sono state avviate nel corso del 2014 ed una di prossimo avvio;
   programma di sostegno ai servizi sanitari della regione di Settat, del valore di circa 1,9 milioni di euro, prevede la ristrutturazione di 23 strutture sanitarie di base che operano nella regione, la dotazione di attrezzature elettromedicali e la formazione di operatori sanitari, tecnici e medici. Si prevede la conclusione del progetto nel primo semestre 2015;
   progetto pager II, con un contributo triennale DGCS pari a circa 4,5 milioni di euro, il progetto intende migliorare l'accesso alle risorse idriche e all'igiene ambientale nella provincia di Settat attraverso l'allacciamento all'acqua potabile di scuole e dispensari sanitari. Il progetto ha registrato gravi ritardi dalla sua approvazione e solo a partire dall'anno in corso è stato possibile procedere alla finalizzazione delle gare per i lavori di allacciamento dell'acqua potabile in 44 scuole e 19 dispensari;
   iniziativa di lotta alla povertà nelle zone rurali del Marocco attraverso il sostegno al settore del microcredito, del valore complessivo di oltre 7 milioni di euro, di cui 6 milioni a credito di aiuto e 1,2 milioni a dono finalizzati a fornire assistenza tecnica alle 5 associazioni di microcredito meno avanzate. Il progetto ha avuto significativi ritardi dalla sua approvazione ed è stato effettivamente avviato solo nel 2014 con la reiscrizione in bilancio della I tranche del dono.
  Inoltre, come previsto dalle linee-guida DGCS 2014-2016, sono state attivate nuove iniziative a credito di aiuto:
   valutazione tecnica di una richiesta in articolo 7 della legge n. 49 del 1987 di finanziamento di una Impresa mista nel settore culturale di Marrakech per un ammontare richiesto a credito di aiuto di 4.2 milioni di euro;
   perfezionamento di una iniziativa in matching per una gara di forniture all'ente ferrovie marocchino (ONCF – Office nationale chemin de fer) per 13 milioni di euro.
   credito di aiuto in programmazione per un ammontare di 20 milioni di euro, richiesto dal governo del regno del Marocco a rafforzamento del programma nazionale per le strade rurali a cui l'Italia ha già partecipato attraverso il programma di conversione del debito sopra richiamato.
  Considerati i volumi consistenti di attività e di risorse finanziarie in essere, sopra descritti, la DGCS ha prima disposto con delibera n. 105 del 18 ottobre 2012 l'estensione delle competenze dell'UTL di Tunisi anche al Marocco al fine di garantire l'esecuzione delle attività, mentre successivamente la DGCS ufficio III ha confermato la costituzione di un fondo in loco di coordinamento indispensabile a garantire la necessaria attività di monitoraggio del volume di cooperazione.
  Missioni in loco e relativi costi:
   con la chiusura della UTL in Marocco disposta nel dicembre 2011 si sono maturate economie di spesa pari complessivamente a circa euro 159.500 su base annua.

  I costi di funzionamento su base annua infatti ammontavano ad euro 86.500 ed i costi della lunga missione del direttore della UTL ammontavano ad euro 73.000.
  II numero di missioni di assistenza e monitoraggio disposte dalla DGCS in Marocco ha subito un lieve calo dopo la chiusura dell'UTL (2011 – 5 missioni; 2012 – 8 missioni; 2013 – 4 missioni), stante la necessità di svolgere correttamente i compiti di istituto e di verifica della efficacia della azione amministrativa.
  In termini di costi non vi è stato un sostanziale aumento dei costi delle missioni in parola che comunque incidono in misura non rilevante sui costi della attività di cooperazione nel Paese (2011 – 5.000 euro; 2012 – 7.000 euro; 2013 – 13.000 euro).
  Nel corso del mese di maggio 2014 è stato disposto, senza aggravio di spesa, lo spostamento della sede di servizio di un esperto di cooperazione già presente presso l'UTL di Tunisi in Marocco in conseguenza della decisione adottata dal comitato direzionale di affidare la competenza tecnica delle iniziative di cooperazione in Marocco alla UTL in Tunisia.

Balcani.
  Per quanto riguarda la Bosnia-Erzegovina e la Serbia, con le delibere menzionate nell'atto parlamentare in oggetto (n. 124 e n. 129 del 7 ottobre 2014) si è inteso concretizzare il pledge effettuato dall'Italia alla conferenza per la ricostruzione di Bosnia e Serbia dopo le alluvioni. Gli straordinari eventi atmosferici del maggio 2014 hanno infatti creato enormi devastazioni nei due Paesi balcanici ed hanno spinto la comunità dei donatori, con il particolare impulso della Commissione europea, ad organizzare a luglio una speciale «pledging conference» per raccogliere fondi per la ricostruzione. L'annuncio effettuato dall'Italia in quell'occasione si concretizza quindi con la costituzione di due fondi in loco presso l'ambasciata di Sarajevo e l'ambasciata di Belgrado, con i quali verranno effettuati interventi di messa in sicurezza delle infrastrutture idriche o a beneficio delle popolazioni dei due paesi colpiti. I fondi sono stati appena erogati in loco e ci sia augura che gli interventi saranno avviati al più presto.

  Stato di realizzazione dei progetti in corso in Bosnia.
   regional housing programme: programma multilaterale che si inquadra nella più ampia strategia della comunità internazionale rivolta a risolvere il problema dei profughi e degli sfollati nella ex Jugoslavia tramite un finanziamento globale pari a circa 584 milioni di euro dalla comunità internazionale (di cui 5 milioni della cooperazione italiana, per soli interventi in Bosnia). A questo, è stato collegato un fondo in loco come misura di sostegno alle autorità bosniache nell'attività di selezione dei beneficiari per la realizzazione del programma multilaterale, a cui dovrebbero quindi essere assegnate le unità abitative una volta completate. Il fondo ha consentito di attivare il sostegno al Ministero dei diritti umani e rifugiati bosniaco attraverso la copertura delle spese logistiche delle commissioni di selezione dei beneficiari dell'RHP e attraverso fornitura di consulenze e personale di supporto ai competenti uffici, per consentire alle autorità di procedere all'attività di selezione. Ad oggi è stata inoltre raccolta la maggior parte del materiale rilevante per la realizzazione dello Studio socio-economico per il reinserimento dei beneficiari selezionati nelle 6 municipalità pilota e per la guida, che dovrebbero essere finalizzati entro la fine dell'anno. Le autorità bosniache, a partire dal Ministro per i rifugiati e diritti umani hanno espresso la propria piena soddisfazione per il sostegno italiano, chiedendone l'estensione anche per il 2015.
   Progetto european regional master in democracy and human rights for south-east Europe (ERMA-DHR): il contributo complessivo della cooperazione italiana al programma è pari a 320.000 euro. Il progetto è rivolto ai giovani dei paesi del sud-est Europa e mira a far loro acquisire un background solido nel settore dei diritti umani e dei processi di democratizzazione ed è stato normalmente avviato, come ogni anno.
   Azioni pilota per lo sviluppo rurale integrato e la rivitalizzazione del territorio in Bosnia Erzegovina. Il contributo complessivo della DGCS pari a 949.000 euro, si pone l'obiettivo di sostenere l'agricoltura e lo sviluppo rurale nell'area di Srebrenica e Bratunac, attraverso la fornitura di assistenza tecnica e attrezzature per il sostegno alla produzione ad agricoltori dell'area. Il programma è stato completato per oltre il 90 per cento.
   Iniziativa Pet Roboris – gestione coordinata delle attività di protezione civile nella bassa valle della Spreča e nel territorio di Srebrenica. Scopo del progetto, è contribuire al rafforzamento del sistema della protezione civile nella valle della Spreča, attraverso la creazione di un sistema di coordinamento intercomunale e l'integrazione del volontariato con le forze istituzionali. Il contributo complessivo della DGCS è pari a 602.000 euro. Il programma è stato completato per oltre il 90 per cento e, a seguito delle alluvioni dello scorso maggio, è in corso di verifica con le municipalità interessate se le attrezzature richieste in passato per il rafforzamento delle locali autorità di protezione civile siano ancora attuali.
  Stato di realizzazione dei progetti in corso in Kosovo:
   agricoltura e sviluppo rurale: progetto, presentato dallo IAM Bari, che intende assistere il Ministero dell'agricoltura, foreste e sviluppo rurale del Kosovo nell'attuazione di azioni sul territorio nel quadro del processo d'integrazione europea e degli standard che l'Unione europea richiede. In particolare, si vogliono ottenere produzioni integrate di ortofrutta da collocare sul mercato nazionale, caratterizzate da alto livello di salubrità, ed è prevista l'assistenza tecnica a livello ministeriale per creare le condizioni e strutturare un servizio nazionale che possa generare un contesto favorevole allo sviluppo dell'agricoltura biologica. Il finanziamento approvato ammonta a euro 2.200.000 ed è stata erogata la prima annualità di circa 800 mila euro. Il programma tuttavia ha registrato ritardi in fase di esecuzione ed è stata avviata una verifica delle modalità implementative, d'intesa con le autorità locali.
   sviluppo del sistema sanitario: iniziativa che si propone di sostenere il Ministero della sanità in Kosovo nella realizzazione del master plan sulla salute in alcune sue componenti riguardanti le strutture sanitarie di primo, secondo e terzo livello. Il finanziamento approvato ammonta ad euro 3.069.900. Ad oggi il reparto di cardiochirurgia è funzionante.
  Stato di realizzazione dei progetti in corso in Serbia:
   Progetto linea di credito a supporto delle PMI serbe attraverso il sistema bancario nazionale e a sostegno dello sviluppo locale attraverso le aziende municipalizzate: l'iniziativa è stata approvata nel 2008 e prevede un finanziamento a credito d'aiuto di 30.000.000,00 euro e di uno a dono di 707.332,00 euro. L'iniziativa è il seguito della prima linea di credito, del valore di 33,25 milioni di euro, già implementata con successo. Fino ad oggi nell'ambito della prima linea di credito è stato concesso un totale di 161 crediti. Grazie ai crediti concessi, si stima che siano stati creati oltre 700 nuovi posti di lavoro. Dai fondi della seconda linea di credito sono stati erogati 17 crediti per un valore totale di 3,4 milioni di euro e si stima che siano stati creati 31 nuovi posti di lavoro.
   Programma sostegno all'economia serba mediante finanziamento per l'acquisto di beni in cinque settori prestabiliti (protocollo antonione). Il Programma prevede l'erogazione di un finanziamento a dono per l'acquisto di beni e servizi correlati a beneficio dei Ministeri per un ammontare pari ad euro 12.911.422,48 che sono stati erogati in due tranche del valore di euro 6.455.711,24. A seguito di alcune difficoltà operative che si sono manifestate presso l'allora Ministero delle Finanze e concernenti le attività di procurement, è stato necessario rivedere gli accordi operativi. Dopo un intenso percorso negoziale, è stata nominata nel corso del 2012 la nuova stazione appaltante: l'ufficio per l'integrazione europea (SEIO), istituzione leader nel progetto. In tal senso, si sono formalizzati gli accordi che hanno comportato relativa approvazione da parte del Governo. Inoltre, ai fini di un'implementazione trasparente del programma, è stato istituito lo steering committee i cui membri sono i rappresentanti di tutti i ministeri di linea e altre istituzioni rilevanti per il programma. Attualmente si è in attesa di ricevere le proposte progettuali che rispecchiano le priorità del Paese affinché si possa procedere con l'avvio delle gare per l'acquisto dei beni indicati dai ministeri serbi.
   Desk per l'Unione europea II. L'importo complessivo del progetto è euro 39.400.00 e l'obiettivo del progetto è di: a) migliorare il coordinamento e la complementarietà tra i programmi di cooperazione bilaterale finanziati dalla DGCS e l'assistenza finanziaria dell'Unione europea (in particolare lo Strumento di Assistenza alla Pre-adesione – IPA); b) migliorare il coordinamento e la complementarietà tra i settori di intervento tra i Paesi UE come previsto dal Codice di condotta in materia di divisione dei compiti nell'ambito della politica di sviluppo; c) rafforzare, in termini qualitativi e quantitativi, la partecipazione delle istituzioni e degli enti pubblici e privati italiani ai programmi comunitari, sviluppando sinergie tra gli attori italiani e i partner locali. Le attività di EU DESK hanno previsto la partecipazione in forma attiva a tutti i tavoli di coordinamento generale organizzati dall'ufficio per l'integrazione Europea del Governo serbo, nonché ai tavoli di coordinamento settoriale organizzati dalla Delegazione dell'Unione europea in Serbia.
  Missioni in loco e relativi costi:
   Con la chiusura della UTL in Belgrado disposta nel dicembre 2013 si sono maturate economie di spesa su base annua di circa euro 359.000.
   I costi di funzionamento su base annua infatti ammontavano ad euro 271.000 (Belgrado 182.500 e Sarajevo 88.500 euro) ed i costi della lunga missione del Direttore della UTL ammontavano ad euro 88.000.
   In considerazione del ridimensionamento del nostro impegno di cooperazione nell'area, legato anche all'avanzamento del processo di adesione, il numero di missioni nell'area è sostanzialmente diminuito dal 2013 al 2014: nel 2013 erano state disposte 18 missioni (13 Bosnia e 5 Serbia) nel corso del 2014 ne sono state disposte solamente 4 (2 Bosnia e 2 Serbia), pur registrando un aumento dei costi, dovuti alla predisposizione di lunghe missioni, che non hanno comunque inciso negativamente sull'economia di spesa registrata (16.000 euro nel 2013 contro i 33.000 euro del 2014). Infatti l'aumento intercorso fra il 2012 e 2013 pari a circa 17.000 euro, oltre ad essere una spesa amministrativa assolutamente modesta in relazione ai costi complessivi dell'APS verso l'area, deve valutarsi nel quadro del generale risparmio derivante dalla chiusura della UTL sopraricordato (pari a 359.500 euro annui).

Cina.
  Come per tutti i paesi non prioritari, a prescindere della chiusura dell'UTL di Pechino, le linee guida della DGCS prevedevano che venissero mantenuti gli impegni già assunti sul piano bilaterale, derivanti da accordi internazionali sottoscritti tra le Parti (mentre invece è stato possibile rinegoziare e alla fine cancellare gli impegni non riferiti ad accordi internazionali).
  Sulla base di Accordi stipulati tra il 2001 e il 2006, sono infatti ancora attive quattro linee di credito, nei settori «vocational training», sanitario, culturale e ambientale.
  È stato in più occasioni condiviso con la controparte cinese l'obiettivo di accelerare la conclusione delle attività della cooperazione italiana nel Paese. Nell’annual consultation meeting bilaterale del maggio 2013 è stato fissato il 30 giugno 2014 quale termine ultimo per l'identificazione dei rimanenti progetti. I fondi non impegnati a fronte di contratti o procedure di licitazione in corso, e su cui non sono identificati specifici progetti, sono stati revocati.
  Gli accordi prevedono una Programme implementation unit (PIU) che in loco svolge attività di sostegno all'identificazione e formulazione dei progetti, di monitoraggio dell'attuazione degli stessi e di assistenza tecnica ai beneficiari. I progetti sono comunque approvati da un joint committee bilaterale paritetico ove l'Italia può, verificare la conformità delle iniziative proposte con le previsioni degli accordi che regolano le linee di credito.
  I finanziamenti indicati ai punti 1), 2) e 3) dell'interrogazione sono stati volti a finanziare i fondi in loco, per le diverse linee di credito, quale contributo italiano al funzionamento della PIU (Unità attiva peraltro anche durante l'esistenza dell'UTL, essendo finanziata sin dal 2005).
  A seguito della chiusura dell'UTL, le funzioni svolte dalla PIU si sono rivelate ancor più rilevanti per l'ordinata conclusione delle attività di cooperazione allo sviluppo in Cina.
  Tali fondi in loco non sono stati «sospesi» nel 2011 in presenza dell'UTL, come si afferma invece nell'interrogazione.
  II punto 4) dell'interrogazione si riferisce erroneamente ad un finanziamento di fondo in loco; si tratta in realtà di una conferma di validità della delibera che aveva istituito un fondo esperti per il monitoraggio dei progetti sulla linea di credito Culturale, al fine di rendere potenzialmente disponibili (non ad impegnare) i relativi importi residui.

  Stato di realizzazione dei progetti in corso:
   Settore sanitario, mediante il credito di aiuto sono stati finanziati quattro progetti ospedalieri mentre per un quinto è in via di pubblicazione il bando di gara. Le attività sono consistite nella fornitura di apparecchiature elettromedicali e formazione sanitaria e si sono concentrate principalmente nelle province interne dello Shaanxi e di Sichuan.
   Settore ambientale, è stato finanziato con credito d'aiuto un progetto per la riconversione e smaltimento di materiali inquinanti ed è attualmente in corso l'aggiudicazione di una gara per la fornitura di apparecchiature e servizi nel golfo marino di Beibù, mentre è in fase di definizione un progetto di salute animale.
   Settore culturale, mediante il credito d'aiuto, è stato finanziato un progetto di protezione e valorizzazione del patrimonio artistico di siti storici, ed è in via di definizione un progetto di fornitura di laboratori per la protezione del patrimonio culturale.
   «Vocational training» è in via di chiusura un'iniziativa finanziata a dono a partire dal 2001, volta alla formazione professionale e miglioramento dei servizi per l'impiego nelle province dello Shaanxi e di Sichuan, mentre è in fase di definizione un progetto di formazione per la conservazione del patrimonio culturale.
  Missioni in loco e relativi costi:
   con la chiusura della UTL in Cina disposta nel giugno del 2012 si sono maturate economie di spesa su base annua di circa euro 205.800.
  I costi di funzionamento su base annua infatti ammontavano ad euro 75.800 ed i costi della lunga missione del direttore della UTL ammontavano ad euro 130.000.
  Al fine di mantenere gli impegni derivanti da accordi internazionali, come precedentemente ricordato, sono state svolte delle missioni di cooperazione in Cina in linea con quanto avveniva in precedenza: sono state fatte circa 10 missioni annue con un costo complessivo pari a circa 75.000 euro annui.
Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleLapo Pistelli.