Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 8 giugno 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    per contrastare non solo il riciclaggio dei capitali di provenienza illecita, ma anche l'evasione e l'elusione fiscale si è cercato di intervenire sulla disciplina della circolazione del contante, con la dichiarata finalità di aumentare la tracciabilità delle movimentazioni finanziarie per contrastare il riciclaggio dei capitali di provenienza;
    in particolare con il cosiddetto decreto-legge «salva Italia» (decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214) ha ridotto, a decorrere dal 6 dicembre 2011, da 2.500 euro a 1.000 euro la soglia dei pagamenti in contanti e di utilizzo degli assegni bancari/postali trasferibili, nonché dei libretti al portatore; con il cosiddetto decreto «semplificazioni» (decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dal decreto-legge n. 44 del 2012) si è introdotta una deroga alle norme sulla limitazione del contante in caso di acquisti effettuati da cittadini extra-Unione europea presso commercianti al minuto, nonché agenzie di viaggio e turismo e si sono disposte nuove sanzioni per i trasferimenti transfrontalieri di denaro contante. La materia è stata poi oggetto di numerosi interventi chiarificatori da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, dell'Agenzia delle entrate nonché, da ultimo, della Guardia di finanza con la circolare 19 marzo 2012, n. 83607;
    significativo è stato l'articolo 12 del decreto-legge cosiddetto «salva Italia» che ha ridotto, a decorrere dal 6 dicembre 2011, a 1.000 euro il limite per l'utilizzo del denaro contante, degli assegni bancari e postali e dei vaglia postali o cambiari, nonché dei libretti di deposito bancari o postali al portatore;
    per effetto delle modifiche apportate dal citato articolo 12, l'articolo 49 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231 (cosiddetto «decreto antiriciclaggio») sancisce ora che: è vietato il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi (anche se privati), quando il valore oggetto di trasferimento è complessivamente pari o superiore a 1.000 euro; il trasferimento è vietato anche quando è effettuato con più pagamenti inferiori alla soglia che appaiono artificiosamente frazionati. Tuttavia, il trasferimento può essere eseguito per il tramite di banche, istituti di moneta elettronica e Poste Italiane spa;
    la limitazione di 1.000 euro riguarda complessivamente il valore oggetto di trasferimento, indipendentemente dalla causale e si applica anche alle cosiddette operazioni frazionate, ossia a quei pagamenti che appaiono artificiosamente frazionati ovvero relativi a qualunque «operazione unitaria sotto il profilo economico, di valore pari o superiore ai limiti stabiliti dal presente decreto, posta in essere attraverso più operazioni, singolarmente inferiori ai predetti limiti, effettuate in momenti diversi ed in un circoscritto periodo di tempo fissato in sette giorni ferma restando la sussistenza dell'operazione frazionata quando ricorrano elementi per ritenerla tale». In ogni caso, come chiarito dal Ministero dell'economia e delle finanze con la circolare 4 novembre 2011, le operazioni di prelievo e/o di versamento di denaro contante richieste da un cliente ad una banca non concretizzano automaticamente una violazione dell'articolo 49 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231 e il nuovo limite si applica anche ad assegni, libretti al portatore e alle transazioni tramite money transfer;
    in base all'articolo 51 del decreto legislativo n. 231 del 2007, anch'esso modificato dal cosiddetto decreto-legge «salva Italia», i soggetti destinatari della normativa antiriciclaggio (ad esempio, intermediari finanziari e professionisti) che, nello svolgimento delle loro funzioni e nei limiti delle loro attribuzioni, hanno notizia di violazioni relative all'utilizzo di denaro contante, di assegni liberi e di libretti al portatore, entro 30 giorni, devono comunicare le infrazioni: al Ministero dell'economia e delle finanze, ovvero alle competenti ragionerie territoriali dello Stato, per la contestazione e gli adempimenti previsti dall'articolo 14 della legge n. 689 del 1981; alla Guardia di finanza la quale, ove ravvisi l'utilizzabilità di elementi ai fini dell'attività di accertamento, ne dà tempestiva comunicazione all'Agenzia delle entrate. La previsione della Guardia di finanza tra i destinatari delle comunicazioni delle violazioni, introdotta dall'articolo 8 del decreto-legge n. 16 del 2012 ha consentito una più incisiva azione di contrasto agli illeciti fiscali, grazie ad una sempre più accurata selezione dei soggetti a maggior rischio di evasione;
    al fine di far fronte all'evasione e di restringere le maglie larghe all'uso del contante, la soluzione ideale sarebbe la tracciabilità totale degli adempimenti fiscali. Tra le novità più importanti dal 2014 ad oggi si segnala:
     a) l'arrivo della e-fattura e dello «scontrino digitale», che limita l'utilizzo della carta moneta, almeno a partire dal 2017 (o dal 2018 se prevarrà la prudenza di coloro che gestiscono le strutture informatiche dello Stato). Nel frattempo un primo passo verso l'informatizzazione del fisco si avrà con l'operazione «730» precompilato che arriverà nelle cassette elettroniche di lavoratori dipendenti e pensionati. Andranno in soffitta nel giro di tre-quattro anni fatture, ricevute e scontrini fiscali cartacei ma anche i registri iva e quelli dei clienti-fornitori, finalizzati ad eventuali controlli del fisco, che oggi devono essere tenuti da chi esercita un'attività. Questi «vecchi» strumenti saranno sostituiti con supporti informatici, sul modello «cloud», che permetteranno a professionisti e commercianti di scambiarsi fatture in entrata e uscita tra di loro e all'Agenzia delle entrate di monitorare. Stesso sistema per gli «scontrini digitali»: sarà necessario un aggiornamento delle tecnologie e dei registratori di cassa che sarà favorito con un credito d'imposta di 100 euro;
     b) per quanto riguarda i canoni d'affitto, con effetto dal 1o gennaio 2014, la legge di stabilità 2014, (legge n. 147 del 2013) al comma 50 dell'articolo 1, ha previsto che i canoni di locazione delle abitazioni non possano più essere pagati in contanti disponendo che, indipendentemente dall'ammontare mensile del canone di locazione, per il pagamento dell'affitto debbano essere utilizzati mezzi di pagamento in grado di assicurare la tracciabilità dei flussi di denaro;
     c) è stato introdotto l'obbligo di adozione di strumenti pos per imprese e professionisti con il decreto ministeriale 24 gennaio 2014 che, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ha dato attuazione al disposto dell'articolo 15, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, per cui dal 1o gennaio 2014 è stato introdotto l'obbligo di accettare i pagamenti effettuati attraverso carte di debito, in favore di imprese e professionisti, per l'acquisto di prodotti o per la prestazione di servizi. Dal 28 marzo 2014 al 30 giugno 2014, saranno obbligati ad accettare pagamenti di importi superiori a 30,00 euro, effettuati con carte di debito, solo le imprese e i professionisti che nel 2013 abbiano registrato un fatturato superiore a 200.000,00 euro; dal 1o luglio 2014, tutte le imprese ed i professionisti saranno obbligati ad accettare i pagamenti di importo superiore a 30 euro effettuati con carte di debito;
    l'informatizzazione del fisco e delle relative possibilità di controllo darà maggiori strumenti per la lotta all'evasione. Contestualmente, potrebbe essere meno necessario agire «a monte» in modo radicale andando verso una totale abolizione del contante: il reato di autoriciclaggio, i possibili rafforzamenti del falso in bilancio e la rinuncia a depenalizzare le fatture false, renderanno più difficile la circolazione di denaro «nero» e quindi accettabili normali transazioni in banconote e monete metalliche;
    alla normativa nazionale diretta a disciplinare l'uso del contante si è aggiunta poi quella, di derivazione comunitaria, relativa ai passaggi di capitale attraverso le frontiere, anch'essa oggetto di recenti interventi normativi per effetto del decreto-legge «semplificazioni» che ha armonizzato ed allineato la normativa interna con quella comunitaria (rappresentata dal regolamento (CE) 1889/2005), stabilendo che ogni persona fisica che entra nel territorio nazionale o ne esce e trasporta denaro contante d'importo pari o superiore a 10.000 euro deve farne dichiarazione all'Agenzia delle dogane; tale disciplina si applica sia ai passaggi intracomunitari (dall'Italia verso un altro Paese dell'Unione europea e viceversa), sia a quelli extracomunitari (dall'Italia da e verso un Paese non appartenente all'Unione europea), a prescindere dalle modalità di trasporto del denaro contante (ad esempio, a mano, in un bagaglio da stiva), per via aerea, stradale, ferroviaria o marittima;
    sempre a livello europeo, all'inizio del 2005, l'allora commissario per il mercato interno, Charlie McCreevy aveva lanciato un'iniziativa per rimuovere gli ostacoli nel mercato del pagamenti europeo;
    dopo mesi di acceso dibattito, la direttiva europea sui servizi di pagamento è stata adottata dal Consiglio dei ministri dell'Unione europea nel marzo 2007. L'accordo finale obbligò i fornitori non bancari a limitare a 12 mesi la durata del credito transfrontaliero concesso, ma non introdusse alcuna restrizione alle operazioni nazionali; l'Esecutivo europeo ha presentato il 24 luglio 2013 una proposta di revisione della direttiva in questione e, parallelamente, un regolamento sulle commissioni interbancarie, applicata prima nei pagamenti transfrontalieri tra Stati membri e solo in un momento successivo ai pagamenti in ambito nazionale;
    scopo della direttiva sui servizi di pagamento è stato quello di creare un vero mercato europeo dei pagamenti, con il fine di abbassare i costi sia per i consumatori, che per gli istituti di pagamento. La direttiva è fondamentale anche per la creazione della Sepa (Area unica dei pagamenti in euro), che mira a introdurre le stesse procedure e gli stessi obblighi in tutta Europa per i trasferimenti di credito, gli addebiti diretti e le carte di pagamento;
    l'obiettivo primario della direttiva è quello di abbattere le barriere tecniche e legali che finora hanno ostacolato la creazione di un mercato europeo per i servizi di pagamento. La Commissione europea prevede un risparmio di 122 miliardi annui: in particolare, il maggior beneficio deriverebbe dalla fatturazione elettronica (il cosiddetto e-invoicing), per circa 110 milioni di euro l'anno;
    un ulteriore significativo miglioramento che deriva dalla direttiva europea sui servizi di pagamento è la possibilità di usare tutte le carte di debito in Europa e la Commissione europea prevede che una più elevata concorrenza nei servizi di pagamento spingerà sempre di più i consumatori a scegliere gli strumenti elettronici per il loro acquisti (carte di plastica, smart card, pagamenti tramite telefono cellulare o smartphone), favorendo la progressiva diminuzione del contante;
    secondo la Commissione europea, i costi relativi ai pagamenti ammontano al 3 per cento del prodotto interno lordo e sono dovuti principalmente alle spese legate al contante. Sbarazzarsi delle monete e delle banconote, quindi, comporterebbe un enorme risparmio per l'economia europea. Il contante è costoso perché ha un elevato costo di produzione e non è sicuro. Rubare il denaro fisico sarebbe, inoltre, più facile che sottrarre il credito elettronico. La Commissione europea stima, ad esempio, che il costo di una transazione in contante si aggira tra i 30 e i 55 centesimi di euro, mentre nel caso di un pagamento elettronico ammonta a pochi centesimi;
    non è quindi auspicabile che si vada verso un eccessivo allargamento delle maglie per l'uso del contante: il tetto massimo che si prospetta è dagli attuali 1.000 a 3.000 euro, ma per combattere il denaro «nero» sarebbe necessario mantenere più bassa la soglia della possibilità dell'uso del contante anche per i pagamenti tra privati;
    il comma 9 dell'articolo 12 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, ha stabilito che le imprese che gestiscono i circuiti di pagamento e le associazioni delle imprese definiscano, entro nove mesi, le regole generali per assicurare una riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento,

impegna il Governo

ad adottare iniziative normative di revisione della disciplina vigente in tema di uso del contante, che siano finalizzate a ridurre o mantenere inalterata l'attuale soglia limite di 1.000 euro e ad azzerare o quantomeno ridurre le commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, con il fine di abbassare i costi per i consumatori.
(1-00881) «Barbanti, Artini, Baldassarre, Bechis, Matarrelli, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco».


   La Camera,
   premesso che:
    la tracciabilità è uno strumento necessario per combattere l'evasione fiscale. Il Governo Monti aveva varato un pacchetto di misure per il contrasto dell'evasione fiscale. Lo strumento principale consisteva nella tracciabilità, in base alla quale non potevano essere effettuati pagamenti per importi superiori ai mille euro in contanti; la precedente soglia, stabilita dal Governo Berlusconi era pari a 2.500 euro;
    diversi studi dimostrano come un ricorso più diffuso ai pagamenti elettronici permetterebbe, da un lato, attraverso la tracciabilità delle transazioni, di coadiuvare le azioni di contrasto all'evasione fiscale ed al riciclaggio di denaro, di compliance fiscale e, quindi, favorire l'emersione di ricchezza sommersa, e, dall'altro, di ridurre il costo di gestione del denaro contante a tutto vantaggio dell'economia italiana, aspetto, quest'ultimo, spesso sottovalutato dagli esercenti stessi, ma che secondo dati diffusi dalla Banca d'Italia corrisponde allo 0,5 per cento del prodotto interno lordo, il 49 per cento del quali sarebbe sostenuto da banche ed infrastrutture per l'offerta dei servizi di pagamento, mentre il restante 51 per cento sarebbe a carico delle imprese;
    il costo dei contanti è elevato; un costo che deriva non solo dalla stampa delle banconote e dal conio delle monete, ma anche dalle spese di distribuzione e di controllo a cui si aggiungono gli oneri per la sicurezza per il trasporto e la conservazione dei valori;
    uno studio della Banca centrale europea ha evidenziato che l'Europa spende ogni anno lo 0,46 per cento del suo prodotto interno lordo (60 miliardi di euro) per il denaro. E in Italia, dove il denaro cartaceo è più diffuso che altrove, i costi ammontano a circa 10 miliardi di euro, pari allo 0,52 per cento del prodotto interno lordo (valore superiore a allo 0,40 per cento, rilevato nella media degli altri Paesi europei). Questo significa che per pagare il personale, le perdite, i furti, le apparecchiature, il trasporto, la sicurezza, i magazzini, la vigilanza e le assicurazioni si spende circa 200 euro a testa l'anno;
    c’è anche il tema del costo industriale di fabbricazione delle micro monete, quelle da 1 e 2 centesimi di euro che spesso e volentieri si perdono. Coniare una monetina da 1 centesimo ne costa 4,5, mentre per fabbricarne una da 2 centesimi si spendono 5,2 centesimi. Lo scorso autunno il gruppo parlamentare Sinistra Ecologia Libertà ha presentato una mozione alla Camera dei deputati sulla questione, calcolando che i costi di fabbricazione sono costati all'Italia 188 milioni di euro in dieci anni;
    la relazione esistente tra l'utilizzo del contante, strumento di pagamento di cui non è possibile seguire le tracce fiscali, e l'evasione è chiara ed è stata evidenziata da diversi studi. Si veda, ad esempio: Rogoff, Kenneth (1998), «Blessing or curse? Foreign and Underground Demand for Euro Notes, Economic PolicyA European Forum, 261-303», e Goodhart, C., e Krueger, M. (2001), «The Impact of Technology on Cash Usage, discussion paper 374, Financial Markets Group, London School of Economics and Political Science, London, UK»;
    esiste una precisa correlazione tra i prelievi in contante e l'incidenza dell'economia sommersa: la relazione tra l'importo medio unitario dei prelievi di contanti da sportelli automatici bancari, nei vari Paesi europei, e l'economia sommersa, espressa in percentuale di prodotto interno lordo, è chiaramente positiva. Dove si utilizza più contante, l'incidenza dell'economia sommersa è più elevata. In particolare, Grecia e Italia sono i Paesi europei che mostrano i prelievi di contanti di importo medio più elevato (rispettivamente 250 e 175 euro) e che contestualmente hanno la più alta incidenza sul prodotto interno lordo dell'economia sommersa;
    comunque, in Italia il ricorso alla moneta elettronica è sempre più diffuso, anche se il gap con il resto dell'Europa resta notevole e potrebbe essere colmato anche grazie agli elevati standard di sicurezza raggiunti. Infatti, l'ultimo Osservatorio Assofin-Crif Decision Solutions-GfK Eurisko, relativo al consuntivo del 2011, rileva la presenza nel nostro Paese di 71,2 milioni di carte per i pagamenti, una media di 1,2 per abitante, numero cresciuto sensibilmente negli ultimi vent'anni, ma che resta inferiore alla media dell'Unione europea (1,5), per non dire dei Paesi più virtuosi come il Regno Unito (2,4 per abitante) o la Svezia (2,2);
    e tuttavia, le operazioni fatte risultano ancora molto contenute nel confronto internazionale: ogni italiano ne fa annualmente solo 24,5 contro le 57 dell'area euro e le 191,1 degli Stati Uniti d'America;
    è, dunque, necessario un intervento organico che, da un lato, limiti fortemente l'utilizzo del denaro contante e, dall'altro, disponga una serie di incentivi per i consumatori e gli operatori del settore;
    alcune direttive europee e norme interne spingono in questa direzione, nella convinzione che tutto il sistema economico e finanziario tragga vantaggi da questa innovazione. Per dare un impulso importante alla maturazione del mercato italiano dei pagamenti elettronici ed avvicinarlo così agli standard europei, Governo e Parlamento hanno varato negli ultimi anni, accanto ad una serie di misure restrittive sull'uso del denaro contante e dei mezzi di pagamento al portatore e di definizione dell'ambito di applicazione dei pagamenti mediante carte di debito, anche una norma per la quale esiste l'obbligo di accettare da privati pagamenti per acquisti di prodotti e prestazioni di servizi di importo superiore a 30 euro a mezzo del cosiddetto pos (point of sale);
    in Italia, i costi complessivi legati al mantenimento ed all'uso del pos sono più alti del 50 per cento rispetto alla media europea. La interchange fee rappresenta circa il 70-90 per cento dell'importo della commissione che viene applicata nel rapporto fra banca dell'esercente e banca del consumatore nel momento della transazione con carte di pagamento. Nel luglio del 2013 la Commissione europea, nell'ambito della revisione della direttiva sui servizi di pagamento, ha presentato una proposta di limitazione dell’interchange fee che prevede un tetto dello 0,2 per cento della transazione per le carte di debito e dello 0,3 per cento della transazione per le carte di credito, tetto che per i primi 22 mesi sarà in vigore solo per le transazioni internazionali e, successivamente, entrerà in vigore anche per quelle nazionali. La stessa Unione europea si aspetta che da questa riduzione derivi una parallela riduzione delle commissioni finali sugli acquisti;
    numerose indagini condotte anche da autorità antitrust hanno dimostrato che l'elevato livello delle commissioni interbancarie produce effetti anticoncorrenziali ed alti costi per gli esercenti commerciali (che poi li riversano sui prezzi finali), ostacolando in tal modo la diffusione dei sistemi di pagamento alternativi e meno costosi, in grado di rendere più semplice la vita dei consumatori e di generare più transazioni per i commercianti;
    il costo delle macchine di incasso contante, applicato non in tutti i Paesi ed in maniera difforme (in certi Paesi incidono solo sulle operazioni transfrontaliere, in altri su tutte le transazioni), viene imputato agli esercenti nell'ambito più generale delle spese a loro fatturate per l'utilizzo delle carte di credito, e spesso finisce per essere ricaricato dagli stessi sul prezzo finale del prodotto a tutto danno del consumatore finale, costituendo, per questo, una restrizione alla concorrenza sui prezzi;
    l'Abi (Associazione bancaria italiana) ha avuto modo di dichiarare a proposito dell'approccio contrario alle macchine di incasso contante da parte della Commissione europea che: «se per Bruxelles le commissioni sono negative per la concorrenza, il costo delle carte di pagamento rischia di aumentare a discapito dei possessori», lasciando in tal modo intendere che la disapplicazione delle macchine di incasso contante comporterà inevitabili ripercussioni sui consumatori, dato che le banche scaricheranno le minori entrate interamente sui correntisti;
    una maggiore quanto auspicata diffusione della moneta elettronica deve passare necessariamente attraverso l'abolizione delle commissioni interbancarie multilaterali, pertanto il Governo deve intervenire in materia, anche di concerto con l'Abi,

impegna il Governo:

   a ridurre il limite dei pagamenti in contanti, che oggi è fissato a 1.000 euro, a 500 euro contestualmente alla riduzione delle commissioni e dei costi di gestione della moneta elettronica per imprese e cittadini;
   a prendere le opportune iniziative, anche normative, per:
    a) stabilire e ridurre con progressione annuale anche l'importo massimo mensile per i prelievi delle persone fisiche e giuridiche;
    b) stabilire l'obbligo di utilizzare strumenti telematici per l'effettuazione delle operazioni di pagamento delle spese delle pubbliche amministrazioni centrali e locali e dei loro enti;
    c) riservare la possibilità di dedurre o detrarre nell'ambito fiscale, sia per le persone fisiche che giuridiche, solo le spese effettuate con strumenti di pagamento che ne consentano la tracciabilità;
   a prendere le opportune iniziative, anche normative, al fine di abolire le commissioni interbancarie multilaterali;
   a prevedere per i commercianti ed i professionisti forme di defiscalizzazione che contemplino il riconoscimento di un credito di imposta a coloro che si dotano del terminale pos;
   a valutare misure di sostegno all'utilizzo della moneta elettronica (eliminazione di commissioni interbancarie, credito d'imposta per l'acquisto di pos, corsi rivolti alle persone anziane, bancomat gratuito per le persone con redditi bassi ed altro), da finanziare anche con i risparmi che via via deriverebbero al Ministero dell'economia e delle finanze, alle banche ed alle infrastrutture per l'offerta dei servizi di pagamento, dal minor utilizzo del contante.
(1-00882) «Paglia, Melilla, Marcon, Scotto».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo la Banca d'Italia il costo del contante, ripartito tra istituti bancari e imprese, è di circa 8 miliardi di euro l'anno, pari allo 0,6 per cento del prodotto interno;
    tale costo può essere definito un «costo occulto» in quanto non è tenuto in considerazione, dati gli importi esigui, sia dai consumatori, sia dai piccoli commercianti che quotidianamente, nelle transazioni economiche, ne sono assoggettati; vanno poi considerati anche i rischi connessi direttamente alla gestione del contante, quali furti, rapine, perdita ed errori;
    dal momento dell'introduzione delle banconote e monete in euro, nel 2002, l'ammontare della moneta in circolazione in Italia può essere considerato solo a livello di area e non a livello Paese;
    la Banca d'Italia nella sua recente «Relazione sulla gestione e sulle attività della Banca d'Italia sul 2014» ha segnalato che «oltre che dalla domanda dell'economia, l'alimentazione della circolazione è stata determinata in modo ancora consistente dalla progressiva sostituzione dei tagli della prima serie con le nuove denominazioni della seconda»;
    secondo il rapporto presentato dal Ministro dell'economia e delle finanze sulla realizzazione delle strategie di contrasto all'evasione fiscale, pubblicato ai sensi dell'articolo 6 del decreto-legge 24 aprile 2014 n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, il fenomeno dell'evasione fiscale assume nel nostro paese dimensioni ancora molto ampie e complesse;
    dal rapporto si evince che il tax gap – la differenza tra l'ammontare delle imposte che l'amministrazione fiscale dovrebbe raccogliere e il gettito effettivo – stimato dall'Agenzia delle entrate con riferimento all'iva, all'Irap e alle imposte dirette sulle imprese e sul lavoro autonomo ammonterebbe su base annua a 91 miliardi euro, pari al 7 per cento del prodotto interno lordo;
    la Banca d'Italia ha quantificato l'economia «non osservata» in Italia per un valore corrispondente al 27,4 per cento del prodotto interno nazionale; in particolare, l'incidenza media dell'economia sommersa ammonterebbe al 16,5 per cento, mentre il restante 10,9 per cento rappresenterebbe quella illegale;
    la Corte dei conti il 2 dicembre 2014 ha diffuso l’«Indagine sugli effetti dell'azione di controllo fiscale in termini di stabilizzazione della maggiore tax compliance», rilevando, alla luce delle analisi più recenti, che l'ammontare complessivo dei tributi e contributi annualmente evasi supera in Italia i 120 miliardi di euro l'anno;
    l'articolo 9, comma 1, lettera d), della legge 11 marzo 2014, n. 23 – cosiddetta delega fiscale – prevede, al fine di un rafforzamento dell'attività conoscitiva e di controllo, di incentivare, mediante una riduzione degli adempimenti amministrativi e contabili a carico dei contribuenti, l'utilizzo della fatturazione elettronica e la trasmissione telematica dei corrispettivi, nonché di adeguati meccanismi di riscontro tra la documentazione in materia iva e le transazioni effettuate, potenziando i relativi sistemi di tracciabilità dei pagamenti;
    mediante i decreti legislativi attuativi della delega fiscale, il Governo sta introducendo nuove strategie di contrasto all'evasione fiscale e miglioramento della compliance, in particolare nel settore dell'iva, che prevedono la diffusione degli strumenti di pagamento tracciabili, la fatturazione elettronica e la trasmissione telematica dei dati relativi alle transazioni B2B soggette ad iva, nonché dei corrispettivi;
    l'adozione anche nella pubblica amministrazione di strumenti di pagamento digitali può avere effetti positivi in termini di riduzione dei costi connessi alla gestione del contante e rischi connessi, come di maggiore efficienza nella gestione dei servizi al cittadino;
    l'obbligo di pagamento con mezzi tracciabili risulta attualmente in vigore per le seguenti fattispecie: i pagamenti relativi alle prestazioni libero professionali rese dai medici; i pagamenti riguardanti canoni di locazione di unità abitative per l'ottenimento delle agevolazioni e detrazioni fiscali da parte del locatore e del conduttore; le operazioni relative all'acquisto di servizi di pubblicità on-line e di servizi ad essa ausiliari, nonché i pagamenti effettuati a favore di società, enti, associazioni sportive dilettantistiche, associazioni senza fini di lucro e pro-loco e i versamenti da questi operati; inoltre, dal 1o luglio 2014 le imprese ed i professionisti che effettuano vendita di prodotti e prestazione di servizi sono tenuti ad accettare pagamenti con carte di debito per acquisiti superiori a 30 euro;
    l'articolo 12, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, il cosiddetto decreto-legge «salva Italia», al fine di contrastare l'evasione fiscale ed il riciclaggio di denaro, ha ridotto da 2.500 euro a 1.000 euro la soglia per i pagamenti in contanti; per evitare ricadute negative sul settore del turismo tuttavia tale limite non si applica ai non residenti in Italia per i quali il limite per i pagamenti in contanti, nel commercio al dettaglio e per le agenzie di viaggi, è fissato a 15.000 euro;
    il regolamento sulle commissioni applicate alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, emanato in attuazione di quanto disposto dal comma 10 del citato articolo 12 dal Ministero dell'economia e delle finanze, con decreto ministeriale 14 febbraio 2014, n. 51, fissa regole generali per assicurare la riduzione delle commissioni e le loro condizioni di trasparenza;
    le commissioni, oltre a remunerare i circuiti di pagamento e i servizi di issuing, coprono i costi finanziari relativi all'anticipazione delle somme transate all’acquirer e da questi al merchant, il rischio di mancata provvista futura (nelle carte di credito), la manutenzione e la sicurezza del sistema informatico;
    il regolamento (UE) n. 2015/751 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2015, relativo alle commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento basate su carta, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea il 19 maggio 2015, ha fissato tetti alle commissioni interbancarie, pari a 0,3 per cento per le carte di credito e a 0,2 per cento per le carte di debito, lasciando alcune decisioni sulle modalità di attuazione del regolamento agli Stati membri;
    il comunicato stampa del Ministero dello sviluppo economico del 28 luglio 2014, a seguito di un'analisi dei costi, ha evidenziato costi fissi in media intorno ai 2-5 euro mensili per terminali innovativi e intorno ai 10-15 euro per apparecchiature più tradizionali, che si traducono in un onere medio annuo tra 25-60 euro all'anno nel primo caso e 120-180 euro nel secondo;
    il ritardo dell'Italia nella diffusione dei pagamenti elettronici rispetto ad altri Paesi dell'eurozona va considerato anche alla luce dell'incessante innovazione tecnologica: nel 2014 è stato crescente l'impatto dei «new digital payment» – pagamenti a distanza (e-commerce), tramite smartphone (mpayment), in prossimità (contactless) – che in molti casi riducono ulteriormente la necessità di strumenti hardware. Secondo l'Osservatorio Mobile payment & commerce del Politecnico di Milano, i pagamenti digitali in Italia sono cresciuti del 3,6 per cento nel 2014 arrivando a quota 146 miliardi di euro, nonostante la riduzione dei consumi. Ma scorporando il dato è emerso che mentre i pagamenti di «vecchio tipo», con carta di credito o debito, sono avanzati dell'1,6 per cento (da 126 a 128 miliardi di euro), i cosiddetti «new digital payment» sono cresciuti del 20 per cento e valgono il 12 per cento del transato con carta, passando da 15 a 18 miliardi di euro, e che i primi dati del 2015 confermano il trend di avanzamento;
    secondo il rapporto statistico sulle frodi con le carte di pagamento del Ministero dell'economia e delle finanze, relativo all'anno 2013, il tasso di frode per il nostro Paese è pari allo 0,019 per cento; tale valore è inferiore tanto all'analogo valore di altri Paesi ad economia avanzata quali, ad esempio, Regno Unito, Francia ed Australia, quanto alla media dell'area Sepa (Area unica dei pagamenti in euro);
    l'attuazione delle disposizioni previste nella delega fiscale riguardanti in particolare l'implementazione della fatturazione elettronica e la trasmissione telematica dei corrispettivi, oltre che la nuova e rafforzata definizione delle frodi fiscali, l'introduzione del reato di autoriciclaggio, i rafforzamenti del falso in bilancio e l'adesione della maggior parte dei paesi, compresa la Svizzera, ai nuovi «Common reporting standard» per lo scambio di informazioni finanziarie, rendono più difficile la circolazione di denaro non tracciato creando le condizioni per una riduzione dei controlli massivi sul territorio da parte dell'amministrazione finanziaria e per rivedere la possibilità di alzare il limite di utilizzo di banconote e monete metalliche nelle transazioni,

impegna il Governo:

   a definire in tempi brevi l'attuazione del regolamento (UE) n. 2015/751 sui tetti alle commissioni interbancarie nelle parti in cui è lasciata la facoltà al Paese membro di adottare determinate misure, con la finalità di ridurre il costo dei mezzi di pagamento elettronici in Italia;
   ad assumere iniziative normative volte, da una parte, a incentivare gli strumenti di pagamento elettronici e a ridurne il costo e, dall'altra, contestualmente e condizionatamente, a valutare l'opportunità di rivedere la disciplina vigente in tema di uso del contante, ponendo l'Italia in linea con gli altri Stati europei che adottano restrizioni sulla circolazione della carta moneta e hanno raggiunto una significativa diffusione dei mezzi di pagamento diversi dal contante.
(1-00883) «Boccadutri, Causi, Bonifazi, Capozzolo, Carbone, Carella, Colaninno, Currò, De Maria, Marco Di Maio, Marco Di Stefano, Fragomeli, Fregolent, Ginato, Gitti, Gutgeld, Lodolini, Moretto, Pelillo, Petrini, Ribaudo, Sanga, Zoggia».


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legge 6 dicembre 2001, n. 201 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (cosiddetto «decreto salva Italia») ha ridotto da 2.500 a 1.000 euro la soglia dei pagamenti in contanti e di utilizzo del denaro contante, degli assegni bancari e postali trasferibili, nonché dei libretti al portatore;
    il combinato disposto dal decreto-legge «salva Italia» e la normativa antiriciclaggio di cui al decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, vieta il trasferimento del denaro contante anche nelle ipotesi di più pagamenti inferiori alla suddetta soglia ma strumentali alla medesima finalità ovvero la cui frazione sia oggetto di artifizio;
    l'articolo 15, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ha stabilito che, a decorrere dal 1o gennaio 2014, i soggetti che effettuano l'attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, sono tenuti ad accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito. Con decreto del Ministero dello sviluppo economico del 24 gennaio 2014, sono stati definiti gli ambiti di applicazione prevedendo l'obbligo di accettare pagamenti effettuati attraverso carte di debito per tutti i pagamenti di importo superiore a trenta euro;
    l'obbligo di accettare pagamenti effettuati attraverso carte di debito impone costi organizzativi ed economici connessi al doversi dotare di un pos (tecnologia di accettazione multipla di strumenti di pagamento). Tale imposizione risulta vessatoria per tutti i professionisti e le imprese italiane ai quali vengono imposte spese obbligatorie facilmente evitabili attraverso altri strumenti, quali, ad esempio, il bonifico elettronico e assegni bancari, strumenti che garantiscono gli stessi livelli di tracciabilità e di trasparenza per qualsiasi movimento di denaro;
    si introduce obbligatoriamente e ingiustamente un intermediario, la banca, alla quale viene garantito un introito aggiuntivo a discapito degli esercenti, pur non svolgendo alcun ruolo reale e concreto nel rapporto tra lo stesso e l'utente. Altresì, l'obbligo di dotazione di un pos genera un'ulteriore spesa fissa aggiuntiva anche per le nuove piccole e medie imprese (start-up);
    l'obbligo di accettare pagamenti effettuati attraverso carte di debito non è legato al reddito dell'impresa o del professionista e, quindi, risulta maggiormente vessatorio per piccole e micro imprese;
    è considerata scorretta la pratica commerciale che richieda un sovrapprezzo dei costi per il completamento di una transazione elettronica con un fornitore di beni o servizi, ai sensi dell'articolo 21, comma 4-bis, del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, come modificato dall'articolo 15, comma 5-quater, del sopra citato decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221;
    in Italia si è registrato un elevato utilizzo di denaro contante, circostanza quest'ultima acuita a causa dei 15 milioni di cittadini privi di conto corrente o strumenti di pagamento o gestione del denaro. Gli elevati costi per la tenuta dei conti correnti – tra i più alti d'Europa – riducono la propensione all'utilizzo dei medesimi e dei connessi strumenti di pagamento elettronici. Inoltre, anche i costi per le transazioni tramite pos (point of sale) sono mediamente più elevati del 50 per cento rispetto ai principali Paesi europei;
    il comma 9 dell'articolo 12 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, ha stabilito che le imprese che gestiscono i circuiti di pagamento e le relative associazioni di categoria, entro nove mesi dall'approvazione del medesimo decreto, avrebbero dovuto indicare le regole generali per assicurare una riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento. Nell'ipotesi di inottemperanza della medesima prescrizione si concede facoltà al Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico – sentite la Banca d'Italia e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato – di emanare un decreto con il quale disciplinare gli oneri a carico delle imprese ed il costo unitario del pagamento elettronico. Tuttavia, il decreto ministeriale 14 febbraio 2014, n. 51, non ha concretamente individuato le regole generali per assicurare una riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in quanto privo di una definizione, anche quantitativa, dei limiti massimi delle commissioni;
    il 20 aprile 2015 il Consiglio europeo ha adottato un regolamento che fissa un massimale per le commissioni interbancarie sui pagamenti effettuati con carte di debito e di credito, prevedendo un tetto massimo pari allo 0,2 per cento per carte di debito e allo 0,3 per cento per le carte di credito;
    l'articolo 34, comma 7, della legge n. 183 del 2011 prevedeva la gratuità, sia per l'acquirente che per il venditore, delle transazioni regolate con carte di pagamento presso gli impianti di distribuzione di carburanti di importo inferiore ai 100 euro,

impegna il Governo:

ad assumere ogni iniziativa, anche di carattere normativo, al fine di:
   a) prevedere che l'obbligo di accettare pagamenti effettuati attraverso carte di debito si applichi limitatamente ai pagamenti effettuati a favore dei soggetti esercenti e dei professionisti il cui fatturato sia superiore a duecentomila euro;
   b) escludere dall'obbligo tutte le nuove attività per i primi due anni di operatività;
   c) prevedere, per gli esercenti e i professionisti, la gratuità delle transazioni fino a 1.000 euro effettuate mediante carte di pagamento in modo simile a quanto precedentemente previsto per gli impianti di distribuzione di carburanti;
   d) a dare attuazione, in via generale ed al fuori dei suddetti casi, alle disposizioni di cui all'articolo 12, comma 9, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, definendo le regole generali per assicurare una concreta riduzione delle commissioni a carico degli esercenti e dei professionisti in relazione alle transazioni effettuate per il tramite di carte di pagamento e fissando, altresì, dei massimali da applicare alle medesime commissioni nei limiti individuati dal Consiglio europeo pari allo 0,2 per cento per le carte di debito e allo 0,3 per cento per le carte di credito.
(1-00884) «Alberti, Pesco, Ruocco, Cancelleri, Pisano, Crippa, Da Villa, Vallascas, Della Valle, Fantinati, Fico».


   La Camera,
   premesso che:
    a seguito della pronuncia del tribunale di Grosseto, che ha disposto la trascrizione di un matrimonio tra persone dello stesso sesso contratto all'estero, alcuni sindaci, insieme ad alcuni funzionari comunali, si sono interrogati sui presupposti giuridici e sull'effettiva legittimità di effettuare quella trascrizione;
    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo esistono ragioni in diritto che consentono di ritenere legittima e dovuta la trascrizione di tali matrimoni da parte del sindaco;
    a tal fine, è necessario inquadrare l'istituto della trascrizione del matrimonio nel nostro sistema e prendere in considerazione quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 4184 del 2012;
    appare necessario chiarire la reale portata del decreto del tribunale di Grosseto, che ha disposto la trascrizione del matrimonio tra persone dello stesso sesso contratto nello Stato di New York. Fino alla sentenza della Cassazione n. 4184 del 2012, gli ostacoli alla trascrizione del matrimonio tra persone dello stesso sesso erano prevalentemente due:
   a) la sua inesistenza;
   b) la sua contrarietà all'ordine pubblico;
    quanto alla questione dell'inesistenza del matrimonio tra persone dello stesso sesso, la Corte di Cassazione ha chiarito che, in base al disposto dell'articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (Carta di Nizza) e dell'articolo 12 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, come interpretato dalla Corte europea dei diritti umani, nella nozione di matrimonio rientra anche il matrimonio tra persone dello stesso sesso;
    il «presupposto naturalistico della fattispecie», ossia la diversità di sesso dei nubendi, non è più necessario per configurare l'esistenza giuridica del matrimonio. Quanto alla contrarietà all'ordine pubblico del matrimonio tra persone dello stesso sesso – rilevante sia in base all'articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000, «Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile», sia in base all'articolo 65 della legge n. 218 del 1995, in materia di diritto internazionale privato – essa va esclusa. In base alla sentenza della Corte di Cassazione n. 4184 del 2012 «l'intrascrivibilità di tale atto [matrimonio tra persone dello stesso sesso] dipende non già dalla sua contrarietà all'ordine pubblico» (par. 2.2.3. motivazione in diritto), bensì dalla possibilità di riconoscere gli effetti di questo atto di matrimonio all'interno del nostro Paese;
    secondo la Corte di Cassazione – lo si ribadisce – è invece possibile riconoscere l'esistenza e la validità di tali matrimoni, in quanto la nozione di matrimonio alla luce di ben due Carte sovranazionali, quali sono la Carta di Nizza e la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che fanno pienamente parte dell'ordinamento giuridico italiano, si è modificata fino a comprendere anche quello tra persone dello stesso sesso;
    la trascrivibilità del matrimonio tra persone dello stesso sesso celebrato all'estero si deve valutare alla luce dell'ordine pubblico internazionale. Come posto in rilievo dalla Corte di Cassazione, nella sentenza 26 aprile 2013, n. 10070 (nel richiamare anche la Corte di Cassazione, nelle sentenze 6 dicembre 2002, 17349, e 23 febbraio 2006, n. 4040), il concetto di ordine pubblico a fini internazionalprivatistici si identifica con quello indicato con l'espressione «ordine pubblico internazionale», da intendersi «come complesso di principi fondamentali caratterizzanti l'ordinamento interno in un determinato periodo storico o fondati su esigenze di garanzia, comuni ai diversi ordinamenti, di tutela dei diritti fondamentali dell'uomo» (Corte di Cassazione, sentenza n. 19405 del 2013). In base a quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella citata sentenza, si può affermare che l'ordine pubblico internazionale non è la proiezione esterna dei principi generali dell'ordinamento italiano desumibili dalle norme vigenti nel nostro Paese e dalla Costituzione, bensì la sintesi dei principi fondamentali caratterizzanti l'ordinamento giuridico italiano, che è inserito in «un sistema plurale» di fonti rispetto al quale «non si può ignorare la sinergia che proviene dall'interazione delle fonti sovranazionali con quelle nazionali», segnatamente la Carta di Nizza e la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, parti integranti dell'ordinamento ai sensi degli articolo 10, 11 e 117 della Costituzione (Corte di Cassazione, sentenza n. 19405 del 2013);
    la nozione di matrimonio che i firmatari del presente atto di indirizzo ritengono conforme a diritto nell'ordinamento giuridico italiano – secondo quanto affermato in conclusione dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 4184 del 2012 – comprende anche il matrimonio tra persone dello stesso sesso, in sintonia con quanto previsto dalla Carta di Nizza e dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo; non è più possibile ritenere contrario all'ordine pubblico internazionale italiano il matrimonio tra persone dello stesso sesso celebrato all'estero di cui si chieda la trascrizione in Italia;
    l'unico ostacolo alla trascrizione è l'inidoneità del matrimonio tra persone dello stesso sesso a produrre effetti nell'ordinamento italiano. In altri termini, secondo la Corte di Cassazione, pur essendo esistente e valido, il matrimonio tra persone dello stesso sesso non produrrebbe effetti in Italia. Tale aspetto della sentenza della Corte di Cassazione è stato superato dal tribunale di Grosseto, facendo notare come il matrimonio tra persone dello stesso sesso non sia privo di efficacia, perché produce effetti nell'ordinamento in cui è stato celebrato. Aggiunge poi – il tribunale di Grosseto – che la diversità di sesso non è requisito espressamente previsto per contrarre matrimonio nel codice civile;
    non vi è coincidenza tra la pronuncia della Corte di Cassazione e quella del tribunale di Grosseto: in base alla prima decisione gli effetti del matrimonio si devono produrre nel nostro Paese, mentre per il tribunale sembrerebbe bastare la produzione di effetti nel Paese in cui il matrimonio è stato celebrato. Di seguito, si cercherà di dimostrare come il matrimonio tra persone dello stesso sesso sia produttivo di effetti anche nel nostro Paese e che la trascrizione del matrimonio – una volta chiarita la sua funzione certificativa – è strumento necessario ai coniugi per consentire loro di far valere lo status coniugale in tutti i Paesi in cui è previsto il matrimonio tra persone dello stesso sesso;
    secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione in tema di trascrivibilità in Italia di matrimonio celebrato all'estero, ciò che è preminente è la constatazione della validità del matrimonio da trascrivere in base al principio locus regit actum, dal momento che: «le norme di diritto internazionale privato (...) attribuiscono ai matrimoni celebrati all'estero tra cittadini italiani ovvero tra italiani e stranieri immediata validità e rilevanza nel nostro ordinamento, sempre che essi risultino celebrati secondo le forme previste dalla legge straniera – e quindi spieghino effetti civili nell'ordinamento interno dello Stato straniero (Corte di Cassazione, sezione civile, sentenza n. 10351 del 1998);
    a questo primo requisito se ne aggiunge un secondo, ossia la sussistenza dei requisiti per contrarre matrimonio ai sensi dell'articolo 115 del codice civile. Secondo il tribunale di Grosseto, tra i requisiti previsti espressamente dal codice civile per celebrare matrimonio non vi è la differenza di sesso tra i nubendi. L'assenza di un tale riferimento nel passato veniva intesa come un vuoto normativo dovuto alla «tradizionale» necessità della differenza di sesso tra i nubendi. In tal senso, si è espressa la Corte costituzionale nella sentenza n. 138 del 2010, pur non escludendo la possibilità che legislativamente venga superato il tratto caratterizzante del matrimonio consistente nella differenza di sesso tra i nubendi, ricavabile da un'interpretazione sistematica del codice civile;
    secondo la Corte costituzionale, il requisito della differenza di sesso, a suo avviso necessario per la validità del matrimonio, si desumerebbe da un'interpretazione sistematica delle norme codicistiche in materia matrimoniale. Tale interpretazione della Corte costituzionale, peraltro espressa in una sentenza di rigetto e quindi vincolante soltanto nel giudizio a quo, va ora riconsiderata alla luce delle precisazioni contenute nella sentenza della Corte di Cassazione n. 4184 del 2012;
    la nozione di matrimonio va riconsiderata seguendo le indicazioni della Carta di Nizza e della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, come interpretata dalla Corte di Strasburgo. Pertanto, mentre in passato la differenza di sesso era considerata condizione necessaria per il cittadino italiano al fine di contrarre validamente matrimonio, al contrario oggi – pur nel silenzio del codice civile – la differenza di sesso è irrilevante per l'enucleazione di una nozione di matrimonio nel nostro Paese;
    nel caso di matrimonio tra due persone dello stesso sesso celebrato all'estero nei Paesi in cui è possibile, l'atto matrimoniale è valido tanto all'estero tanto in Italia, poiché la differenza di sesso non va più considerata una condizione necessaria per contrarre matrimonio ai sensi dell'articolo 115 del codice civile. In definitiva, rispettate le forme del Paese di celebrazione e constatata la validità del matrimonio tra persone dello stesso sesso, occorre trascrivere tale matrimonio;
    più volte la Corte di Cassazione ha dichiarato trascrivibili i matrimoni tra persone di sesso diverso celebrati all'estero anche quando potevano essere considerati nulli o annullabili o semplicemente inefficaci, poiché la trascrizione – per giurisprudenza costante della Corte di Cassazione – «non ha natura costitutiva, ma meramente certificativa e scopo di pubblicità di un atto già di per sé valido», dal momento che essa è «diretta unicamente a rendere pubblico che il cittadino ha contratto all'estero un matrimonio ritenuto valido dall'ordinamento locale»;
    in base alla sentenza n. 4184 del 2012, per il matrimonio tra persone dello stesso sesso sembra doversi operare un'eccezione all'interpretazione corrente delle norme in materia di trascrizione: un matrimonio siffatto non sarebbe trascrivibile in quanto inidoneo radicalmente a produrre effetti nel nostro Paese. Si vedrà come questa affermazione sia smentita dai fatti e dall'iscrizione dell'ordinamento italiano nel sistema del diritto europeo;
    con riferimento all'idoneità del matrimonio a produrre effetti in Italia, nell'Unione europea e in Paesi extra Unione europea, il matrimonio tra persone dello stesso sesso produce effetti nell'ordinamento italiano tutte le volte in cui occorra far applicazione di norme di fonte europea, nel rispetto di quanto stabilito dall'articolo 9 della Carta di Nizza. È quanto ha precisato il tribunale di Reggio Emilia, con decreto del 13 febbraio 2012, in un caso di ricongiungimento familiare tra un cittadino italiano e un cittadino non comunitario coniugati all'estero. A seguito di quella pronuncia il Ministero dell'interno ha emanato una circolare diretta a tutte le questure italiane in forza della quale ormai sono decine le coppie formate da persone dello stesso sesso, di cui una cittadina non comunitaria, che hanno ottenuto il ricongiungimento familiare. Dunque, non è vero che il matrimonio tra persone dello stesso sesso non produca effetti nell'ordinamento italiano. Produce effetti nell'ordinamento italiano tutte le volte in cui lo status coniugale sia il presupposto per l'applicazione in Italia di norme di fonte europea, per le quali la differenza di sesso tra i coniugi non è più un requisito per la validità e l'efficacia del matrimonio stesso ai sensi dell'articolo 9 della Carta di Nizza;
    dal punto di vista del diritto europeo e del diritto internazionale privato italiano, sono diverse le ragioni per la quali occorre disporre la trascrizione del matrimonio tra persone dello stesso sesso. Il matrimonio tra persone dello stesso sesso produce effetti quando uno dei due coniugi non è un cittadino comunitario, poiché consente l'ottenimento del ricongiungimento familiare, facendo applicazione in Italia di norme di origine europea. Seguendo la logica della Corte di Cassazione, un tale matrimonio è sicuramente trascrivibile. Ma se è così, non trascrivere il matrimonio quando i coniugi siano entrambi cittadini italiani, comporterebbe a loro carico una discriminazione fondata (non sull'orientamento sessuale, bensì) sulla cittadinanza: si riserverebbe ai cittadini italiani un trattamento peggiore rispetto a cittadini di Paesi non comunitari. Quindi, data la sicura trascrivibilità del matrimonio tra un cittadino italiano e un cittadino non comunitario, a mente della sentenza della Corte di Cassazione n. 4184 del 2012, occorre trascrivere anche un matrimonio tra due italiani o tra due cittadini europei o tra un italiano e un cittadino europeo, onde evitare una discriminazione fondata sulla cittadinanza;
    nel far applicazione del diritto europeo, quando il presupposto della norma è la sussistenza dello stato coniugale, non sarà rilevante la differenza di sesso dei nubendi, pena la violazione dell'articolo 9 della Carta di Nizza. Pertanto, quando si tratterà di dare effetti in Italia a norme di origine europea, il matrimonio tra persone dello stesso sesso avrà efficacia nel nostro Paese;
    poiché lo stato coniugale è possibile provarlo solo servendosi dell'atto di matrimonio iscritto (o trascritto come nel caso che si va analizzando) nel registro dei matrimoni dall'ufficiale dello stato civile, eccetto i casi di distruzione o smarrimento, trascrivere il matrimonio tra persone dello stesso sesso celebrato all'estero significa dare la possibilità di provare l'esistenza dello status coniugale e godere di tutti i benefici e le tutele derivanti dall'applicazione in Italia di norme europee;
    tenendo conto della funzione certificativa della trascrizione, occorre considerare che il diritto di libera circolazione delle persone nell'Unione europea comporta anche il diritto di circolare con il proprio status, nel nostro caso coniugale. Non si può trascurare di considerare, infatti, che cittadini italiani dello stesso sesso che hanno contratto matrimonio all'estero potrebbero circolare in quei Paesi europei in cui il matrimonio tra persone dello stesso sesso è valido ed efficace. In tali casi, sarà necessario per loro dare la prova del loro status e la certificazione che la trascrizione garantisce sarà un presupposto necessario per poter godere pienamente del loro diritto di libera circolazione in quanto cittadini europei;
    non si può trascurare come in moltissime relazioni giuridiche lo status coniugale, acquisito da due cittadini italiani dello stesso sesso in un Paese dove ciò è possibile, può essere rilevante. Si pensi al caso di altro cittadino di uno Stato estero in cui il matrimonio tra persone dello stesso sesso è possibile e che viva in Italia, il quale voglia accertarsi se può o meno contrarre matrimonio con uno dei due coniugi, qualora sia vietato nel suo Paese di origine (o, al pari dell'ordinamento italiano, addirittura sanzionato penalmente) il contrarre matrimonio con una persona già coniugata. Oppure, si pensi al caso di un creditore straniero che voglia accertare, procedendo a esecuzione in Italia, il regime patrimoniale dei due coniugi dello stesso sesso. In tutti questi casi le risultanze dello stato civile sono essenziali a garantire in un mondo globalizzato la certezza delle relazioni giuridiche;
    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo la trascrizione del matrimonio tra persone dello stesso sesso cittadini italiani appare possibile in quanto tale matrimonio non è da considerare in contrasto con l'ordine pubblico internazionale, alla luce del sistema plurale delle fonti che caratterizza l'ordinamento italiano. Inoltre, la stessa trascrizione appare necessaria al fine di:
   a) evitare una discriminazione fondata sulla cittadinanza ai danni dei coniugi dello stesso sesso, che siano cittadini italiani, in quanto il matrimonio tra persone dello stesso sesso di cui uno cittadino non comunitario è certamente trascrivibile in quanto esistente, valido, non contrario all'ordine pubblico e efficace nel nostro Paese, dal momento che il cittadino non comunitario in forza del suo status coniugale può ottenere il ricongiungimento familiare con il proprio coniuge;
   b) evitare una discriminazione fondata sull'orientamento sessuale tutte le volte in cui lo status coniugale sia presupposto necessario per l'applicazione in Italia di norme di fonte europea, dal momento che l'articolo 9 della Carta di Nizza non contempla la differenza di sesso come requisito necessario per esercitare il diritto a sposarsi;
   c) assicurare anche ai cittadini italiani la pienezza del diritto alla libertà di circolazione di cui sono titolari i cittadini europei, sancita dai trattati istitutivi dell'Unione europea, dal momento che sarà necessaria la prova del proprio status coniugale, attraverso la certificazione anagrafica dello stato civile, in tutti quei Paesi europei in cui il matrimonio tra persone dello stesso sesso è permesso;
   d) garantire la certezza delle relazioni giuridiche – finalità tipica cui assolve la funzione certificativa della trascrizione in parola – in cui lo status coniugale sia rilevante o perché coinvolgente un cittadino di un Paese in cui anche due persone dello stesso sesso possono contrarre matrimonio o perché occorre applicare in Italia norme di Paesi in cui due persone dello stesso sesso possono sposarsi,

impegna il Governo

ad adottare atti normativi secondari in conformità alle disposizioni sovraordinate in base al principio di gerarchia delle fonti, in modo che il diritto soggettivo dei cittadini non sia conculcato da atti che, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, violano norme e principi sovraordinati agli atti amministrativi dell'amministrazione statale.
(1-00885) «Bechis, Turco, Artini, Baldassarre, Barbanti, Matarrelli, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni».


   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni si sta diffondendo sempre di più un mercato di pagamenti tramite moneta elettronica aperto all'interazione tra i diversi Paesi, conferendo dei sistemi comuni e in grado di offrire transazioni veloci attraverso qualsiasi strumento tecnologico;
    la diffusione della moneta elettronica sta crescendo esponenzialmente, tanto che secondo stime del centro di analisi e previsioni Berg Insight, se nel 2009 gli utenti che usufruivano di pagamenti elettronici erano circa 55 milioni, alla fine del 2015 saranno circa 894 milioni, registrando un aumento di circa il 60 per cento annuo;
    il legislatore è, dunque, intervenuto negli ultimi anni con provvedimenti volti ad introdurre una più stretta disciplina sulla circolazione del contante con la finalità di aumentare la tracciabilità dei movimenti finanziari, per contrastare sia il riciclaggio dei capitali sia l'evasione fiscale;
    il cosiddetto decreto-legge «salva Italia» (decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214) ha ridotto, a decorrere dal 6 dicembre 2011, da euro 2.500 ad euro 1.000, la soglia dei pagamenti in contanti e di utilizzo degli assegni bancari/postali trasferibili, nonché dei libretti al portatore;
    a seguito di tali restrizioni, il decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (cosiddetto decreto-legge «semplificazioni»), ha introdotto una deroga alle norme sulla limitazione del contante di acquisti effettuati da cittadini extra-Unione europea presso commercianti al minuto, nonché agenzie di viaggio e turismo ed ha disposto nuove sanzioni per i trasferimenti transfrontalieri di denaro contante. Il cosiddetto decreto-legge «semplificazioni» ha, dunque, previsto l'esonero dalla limitazione di euro 1.000 sull'utilizzo del contante per gli acquisti effettuati da turisti con cittadinanza extra-Unione europea, non residenti in Italia, presso specifici operatori;
    ulteriori restrizioni sono state inserite anche per le corresponsioni dei canoni di affitto: infatti, la legge di stabilità per il 2014 (legge n. 147 del 2013), al comma 50 dell'articolo 1, prevede che i canoni di locazione delle abitazioni non possono più essere pagati in contanti. Pertanto, indipendentemente dall'ammontare mensile del canone di locazione, per il pagamento dell'affitto devono essere utilizzati metodi di pagamenti che registrino la tracciabilità dei flussi di denaro;
    in merito alla disciplina sui pos (point of sale) il decreto del Ministero dello sviluppo economico del 24 gennaio 2014 ha dato attuazione alla norma dell'articolo 15, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, che prevede l'obbligo, a decorrere dal 1o gennaio 2014, per i soggetti che effettuano attività di vendita di prodotti e prestazione di servizi, anche professionali, di accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito. Il decreto del Ministero dello sviluppo economico, all'articolo 2, specifica che l'obbligo di accettare pagamenti effettuati attraverso carte di debito si applica a tutti i pagamenti di importo superiore a trenta euro disposti per l'acquisto di prodotti o la prestazione di servizi;
    è importante rilevare che all'interno dell'Unione europea ben 11 Paesi non hanno fissato alcun limite all'utilizzo del contante, mentre oltre all'Italia soltanto 5 Paesi hanno introdotto una soglia massima. Nello specifico, la Grecia di euro 1.500, la Spagna di euro 2.500, il Belgio e la Francia di euro 3.000, mentre solamente il Portogallo ha stabilito la soglia massima di utilizzo di contante a euro 1.000;
    a fronte di tali interventi normativi si è aperto un importante dibattito sul futuro della moneta fisica. Nello specifico, alcuni sostengono che lo sviluppo della moneta digitale soppianterà progressivamente l'uso del circolante, degli strumenti di pagamento tradizionali, nonché ad una progressiva riduzione dell'esigenza delle banche di detenere riserve in moneta della banca centrale. Ad avviso di altri, invece, è opportuno porre l'accento sulla semplicità dell'utilizzo del contante, sulla sua minore vulnerabilità, rispetto a strumenti di pagamento più sofisticati e, soprattutto, sull'anonimità ad essa associata;
    è importante rilevare che in un mondo digitale l'uso del contante rimane un'esigenza imprescindibile per il funzionamento dell'economia e, inoltre, le evidenze empiriche non sembrano indicare una riduzione del circolante nei Paesi più industrializzati: quelli cioè che avrebbero dovuto risentire, in via principale, delle conseguenze dell'uso della moneta digitale;
    da una statistica condotta dal Fondo monetario internazionale, dalla Banca dei regolamenti internazionali e dalla Banca centrale europea emerge che tra il 1990 e il 2000 c’è stata una sostanziale invarianza del rapporto circolante/prodotto interno lordo nell'ambito dei G10 più l'Australia. Belgio, Francia e Svezia presentano una riduzione del rapporto circolante/prodotto interno lordo, mentre altri Paesi, quali l'Italia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti, presentano un aumento dello stesso;
    un limite stringente alla circolazione del contante, così come previsto attualmente nell'ordinamento italiano, rappresenta l'ennesimo colpo a un'economia già in forte crisi, in cui la contrazione dei consumi ha penalizzato fortemente la ripresa. Senza dimenticare, infine, i costi che sostengono gli esercenti commerciali, i quali sono in tal modo costretti, loro malgrado, a cedere una fetta dei loro pagamenti agli istituti finanziari;
    se da una parte uno dei maggiori vantaggi del passaggio ad una moneta completamente elettronica porterebbe come beneficio una considerevole diminuzioni delle dimensioni dell'economia sommersa e illegale, dall'altra porterebbe ad una diminuzione nonché violazione della privacy del cittadino;
    ogni movimento sarebbe dunque tracciato, senza considerare il fatto che alle compagnie che offrono servizi di carte di credito e di debito verrebbe dato un potere più grande dovuto al possesso di informazioni molto più dettagliate sui singoli utenti;
    secondo uno studio Censis del 2014, soprattutto a fronte della crisi economica, gli italiani hanno preferito tenere i soldi liquidi, a disposizione per ogni evenienza. Infatti, il valore di contanti e depositi bancari è aumentato, secondo il Censis, di 234 miliardi di euro negli ultimi 7 anni: le consistenze sono passate dai 975 miliardi di euro del 2007 a 1.209 miliardi nel 2014, con un incremento del 9,2 per cento in termini reali. La liquidità costituisce, quindi, il 30 per cento del portafoglio delle attività finanziarie delle famiglie, mentre era solo il 25 per cento nell'anno prima della crisi;
    l'Istat, nell'indagine «I consumi degli italiani», segnala che il mezzo di pagamento più diffuso tra le famiglie è il denaro contante, soprattutto nel caso degli anziani, single (95,9 per cento) o in coppia (92,8 per cento). Il 37,9 per cento delle famiglie usa il bancomat e il 10,9 per cento la carta di credito;
    la Cgia di Mestre, attraverso uno studio, ha rilevato come nel nostro Paese l'utilizzo di banconote sia sempre più in crescita. Nel 2014 la massa monetaria complessiva ha raggiunto i 164,5 miliardi di euro e l'incremento percentuale è stato del 30,4 per cento, con una variazione dell'incidenza delle banconote sul prodotto interno lordo del + 2,4 per cento, con un aumento dell'inflazione del 10 per cento;
    è stato rilevato che circa 15 milioni di italiani non hanno un proprio conto corrente presso una banca e questo comporta inevitabilmente un diffuso utilizzo di contante. Ne deriva, quindi, che, non avendo alcun rapporto con gli istituti di credito, milioni di persone non utilizzano alcuna forma di pagamento tracciabile;
    un dato importante da rilevare è che non vi è una stretta correlazione tra l'utilizzo del contante e l'evasione fiscale. Infatti, seppur nel 2010 e 2011 l'utilizzo del contante sia diminuito, l'evasione, anziché conoscere una battuta d'arresto, è aumentata;
    a conferma di tale ipotesi, infatti, tra il 2000 e il 2012, l'utilizzo del denaro è rimasto stabile fino al giugno del 2008, mentre l'evasione fiscale ha registrato delle oscillazioni fino al 2006 per poi decrescere fino al 2010. Tra il 2010 e il 2011 l'utilizzo del contante si è ulteriormente abbassato e l'evasione, invece, è salita al 16 per cento del prodotto interno lordo, per poi regredire nel 2012 sotto al 14 per cento;
    in riferimento ai costi del pos (point of sale), relativi in particolar modo all'installazione e alla gestione, risultano abbastanza elevati considerato che hanno una componente fissa e una variabile. I costi fissi coprono la disponibilità dell'apparecchiatura pos e dipendono dalle diverse funzionalità che il terminale può offrire e dal tipo di tecnologia utilizzata per il collegamento, mentre i costi variabili sono legati al numero e all'ammontare delle transazioni effettuate dalla clientela e dipendono dal tipo di circuito utilizzato;
    dagli ultimi dati ufficiali (riferiti al dicembre 2012) della Banca dei regolamenti internazionali, peraltro ripresi anche nell'appendice della relazione annuale presentata da Banca d'Italia il 31 maggio 2015, emerge che in Italia sono istallati nei punti di vendita 1.501.600 terminali pos, contro 1.834.000 della Francia e 720.000 della Germania;
    per quanto riguarda l'ammontare totale in euro delle transazioni, in Francia si attestano sui 398 miliardi, in Germania sui 174 miliardi e, infine, in Italia sui 160 miliardi. Inoltre, per l'utilizzo dei bonifici emergono differenze ancora più marcate tra i tre Paesi europei considerati, anche se in questo caso è la Germania (56.600 miliardi di euro) che supera di oltre il doppio la Francia (24.100 miliardi di euro) e di circa 7 volte l'Italia (7.800 miliardi di euro);
    all'articolo 12, comma 9, del decreto-legge cosiddetto «salva Italia» viene stabilito che entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, l'Associazione bancaria italiana e le associazioni delle imprese rappresentative a livello nazionale avrebbero dovuto definire le regole generali per assicurare un'equilibrata riduzione delle commissioni a carico dei beneficiari delle transazioni effettuate mediante carte di pagamento;
    all'articolo 12, comma 10, del decreto-legge cosiddetto «salva Italia» viene stabilito che, in caso di mancata definizione e applicazione delle misure definite ai sensi del comma 9, le stesse dovranno essere fissata con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, sentite la Banca d'Italia e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato;
    alla luce di quanto previsto dalla normativa in vigore ed essendosi tenuti diversi incontri tra le associazioni di imprese, non è stato ancora raggiunto una sintesi su un testo che preveda una «equilibrata riduzione delle commissioni» nei tempi previsti;
    il Ministero dell'economia e delle finanze, con decreto 14 febbraio 2014, n. 51, ha, invece, emanato un regolamento sulle commissioni applicate alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, ai sensi dell'articolo 12, commi 9 e 10, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214;
    tale regolamento non ha provveduto in alcun modo a dare attuazione a quanto stabilito dall'articolo 12, comma 9, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, in merito alla definizione di «regole generali per assicurare una riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuale mediante carte di pagamento»;
    a febbraio 2015 il Presidente del Consiglio dei ministri Renzi ha manifestato la volontà di alzare il limite di 1.000 euro a 3.000, al fine di «allentare la briglia» in favore di una maggiore flessibilità. L'innalzamento della soglia limite per l'utilizzo del contante, ha poi precisato Renzi, sarà varato solo dopo l'adozione del decreto legislativo sulla fattura elettronica;
    il 24 aprile 2015 il Consiglio dei ministri ha approvato, in esame preliminare, tre decreti attuativi della riforma fiscale (legge delega n. 23 del 2014), che ora passano alle Camere per il prescritto parere, tra i quali vi è anche quello relativo all'introduzione della «fatturazione elettronica». In particolare, quest'ultimo è volto ad introdurre misure volte ad incentivare, mediante la riduzione degli adempimenti amministrativi e contabili, a carico dei contribuenti, l'utilizzo della fatturazione elettronica e la trasmissione telematica dei corrispettivi, nonché di adeguati meccanismi di riscontro tra la documentazione in materia di imposta sul valore aggiunto (iva) e le transazioni effettuate, potenziando i relativi sistemi di tracciabilità dei pagamenti, nonché a prevedere specifici strumenti di controllo relativamente alle cessioni di beni effettuate attraverso distributori automatici;
    a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, l'approvazione di tale decreto sancisce, quindi, la possibilità da parte dell'attuale Governo di poter rispettare l'impegno di cui a febbraio 2015 il Presidente del Consiglio dei ministri Renzi si era assunto la responsabilità in prima persona,

impegna il Governo:

   a porre in essere ogni iniziativa normativa al fine di procedere ad una revisione della disciplina attualmente in vigore in merito alla riduzione del limite per la tracciabilità e il contrasto all'uso del contante, innalzando la soglia limite dai 1000 euro ai 3000 euro, in armonia con quanto previsto negli altri principali Paesi europei;
   a dare piena attuazione alla disposizione di cui all'articolo 12, comma 9, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, al fine di stabilire regole generali per assicurare un'equilibrata riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, proseguendo celermente nella convocazione e nella tenuta dei tavoli tecnici presso il Ministero dello sviluppo economico, al fine di promuovere accordi fra sistema bancario e le associazioni imprenditoriali, volti all'abbattimento dei costi di gestione dei pos, assumendo iniziative per prevedere anche forme di defiscalizzazione degli oneri connessi all'installazione ed alla gestione dei dispositivi sotto forma di credito d'imposta;
   ad assumere iniziative per prevedere l'innalzamento dell'importo minimo oltre il quale si applica l'obbligo di accettare pagamenti elettronici o l'esclusione temporanea dal provvedimento dei settori di attività a basso margine di redditività, individuati attraverso apposito tavolo cui partecipino il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell'economia e delle finanze e le parti sociali;
   ad assumere iniziative volte a incrementare la trasparenza delle diverse proposte commerciali delle banche, anche attraverso la pubblicizzazione dei valori della commissioni interbancarie delle diverse banche.
(1-00886) «Brunetta, Palese, Occhiuto».


   La Camera,
   premesso che:
    nel mese di ottobre 2014 il Ministro dell'interno ha emanato la circolare sul tema della trascrizione nei registri dello stato civile dei matrimoni celebrati all'estero tra persone dello stesso sesso. La circolare rivolta ai prefetti della Repubblica ed ai commissari del Governo per la provincia di Trento e di Bolzano prevede, in particolare, che: ove risultino adottate direttive da parte dei sindaci in materia di trascrizione nei registri dello stato civile dei matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all'estero e nel caso in cui gli stessi sindaci abbiano dato esecuzione alle suddette trascrizioni, i prefetti devono rivolgere ai sindaci formale invito al ritiro di tali disposizioni ed alla loro cancellazione. In caso di inerzia da parte dei sindaci, si deve procedere al successivo annullamento d'ufficio degli atti suddetti illegittimamente adottati;
    la circolare è sostanzialmente corretta, in quanto, ai sensi dell'articolo 27, comma primo, della legge n. 218 del 1995, la capacità matrimoniale e le altre condizioni per contrarre matrimonio sono regolate dalla legge nazionale di ciascun nubendo al momento del matrimonio. Si sottolinea, al proposito, che il codice civile italiano (articolo 107) prevede che: «la diversità di sesso dei nubendi rappresenti un requisito necessario affinché il matrimonio produca effetti giuridici nell'ordinamento interno»;
    tutto ciò è affermato anche dalla Corte di Cassazione e dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 138 del 2010;
    una soluzione diversa non è contemplata nemmeno dal diritto europeo (articolo 12 del Convenzione europea dei diritti dell'uomo e articolo 9 della Carta di Nizza) che rimette ai legislatori nazionali le scelte in ordine alla disciplina del matrimonio;
    è, inoltre, da sottolineare che il requisito della diversità di sesso, previsto dal citato articolo 107 del codice civile, nonché da altre disposizioni dello stesso codice, è tradizionalmente e costantemente annoverato dalla dottrina e dalla giurisprudenza tra i requisiti indispensabili per l'esistenza del matrimonio. Infatti, l'istituto del matrimonio nell'ordinamento italiano si configura come un istituto pubblicistico diretto a disciplinare determinati effetti che il legislatore tutela come diretta conseguenza di un rapporto di convivenza tra persone di sesso diverso (filiazione, diritti successori, legge in tema di adozioni);
    la Costituzione, all'articolo 29, primo comma, prevede che: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio»; e nel secondo comma aggiunge che: «il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare». Si deve, pertanto, ribadire che la norma suddetta, anche durante il dibattito sviluppatosi nell'Assemblea costituente, non prese in considerazione le unioni omosessuali, ma al contrario intese riferirsi al matrimonio nel significato tradizionale di detto istituto;
    i Costituenti, nell'elaborazione dell'articolo 29 della Costituzione, discussero di un istituto che aveva una precisa conformazione ed un'articolata disciplina nell'ordinamento civile. Pertanto, in assenza di diversi riferimenti è inevitabile concludere che essi tennero presente la nozione di matrimonio definita dal codice civile entrato in vigore nel 1942, che stabiliva e tuttora stabilisce che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso. In tal senso, è orientato anche il secondo comma della disposizione citata, che, affermando il principio di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ebbe riguardo proprio alla posizione della donna cui intendeva attribuire pari dignità e diritti nel rapporto coniugale;
    occorre, inoltre, sottolineare come la Corte costituzionale, dopo aver trattato del matrimonio, abbia ritenuto necessario occuparsi della tutela dei figli (articolo 30), assicurando parità di trattamento anche a quelli nati fuori dal matrimonio, sia pur compatibilmente con i membri della famiglia legittima. La giusta e doverosa tutela, garantita ai figli naturali, nulla toglie al rilievo costituzionale attribuito alla famiglia legittima ed alla potenziale finalità procreativa che vale a differenziare il matrimonio dall'unione omosessuale;
    il Governo, tra l'altro, nel rispondere all'interpellanza urgente n. 2-00794, ha chiarito come la normativa vigente attribuisca inequivocabilmente la funzione di stato civile alla competenza dello Stato. La normativa attuale, infatti, prevede che le funzioni di stato civile vengano svolte dallo Stato che esercita la competenza in ambito territoriale attraverso il sindaco quale ufficiale di Governo. In tale veste il sindaco è tenuto, ai sensi dell'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000, ad uniformarsi alle istruzioni che vengono impartite dal Ministero dell'interno nella sua qualità di organo avente la titolarità primaria in materia. Parimenti sintomatica è la disposizione che prevede che la vigilanza sugli uffici dello stato civile spetta al prefetto;
    pertanto, in una relazione del tipo di quella appena evidenziata, risulta del tutto appropriato l'esercizio da parte del prefetto di annullamento, che è tipica manifestazione di una sovraordinazione gerarchica. Quindi, il prefetto esercita un suo potere proprio in virtù delle norme previste dall'ordinamento;
    il Ministro dell'interno, con la circolare del 7 ottobre 2014, ha sensibilizzato i prefetti a rivolgere un formale invito ai sindaci sia al ritiro di eventuali direttive emanate in materia di trascrizione dei matrimoni di persone dello stesso sesso celebrati all'estero, sia alla cancellazione delle conseguenti trascrizioni, qualora effettuate, proprio perché in contrasto con la normativa statale interna e, quindi, non solo con la norma primaria, ma anche con le circolari;
    nel nostro Paese, pertanto, anche sulla base delle considerazioni svolte, non è possibile che ci si sposi tra persone dello stesso sesso. Quindi, nel caso ciò avvenga in qualsiasi forma, i matrimoni contratti non possono essere trascritti nel registro dello stato civile italiano, perché non è consentito dalla legge,

impegna il Governo

ad intraprendere, nel solco della circolare del Ministro dell'interno del 7 ottobre 2014, ogni opportuna iniziativa volta a garantire la corretta tenuta dei registri dello stato civile, al fine di evitare che, in sede di trascrizione degli atti di matrimonio, siano poste in essere attività in contrasto con la disciplina normativa dell'istituto del matrimonio medesimo, fondata sulla diversità di sesso dei coniugi, secondo il dettato dell'articolo 29 della Costituzione e il consolidato orientamento dalla Corte costituzionale e dalla Corte di Cassazione.
(1-00887) «Lupi, Binetti, Pagano».


   La Camera,
   premesso che:
    l'onorevole Giuseppe Castiglione, già Presidente della provincia di Catania, risulta indagato, assieme ad altre cinque persone, nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti per il Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo;
    i reati ipotizzati sono turbativa d'asta e turbata libertà del procedimento di scelta del contraente. L'onorevole è indagato in qualità di «soggetto attuatore per la gestione del Cara di Mineo» quando era presidente della Provincia di Catania;
    «Con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, poste in essere tra il 2001 ed il 2014 – scrive la procura di Catania – in concorso tra loro e nelle rispettive qualità, con collusioni ed altri mezzi fraudolenti turbavano le gare di appalto per l'affidamento della gestione del Cara di Mineo del 2011, prorogavano reiteratamente l'affidamento e prevedevano condizioni di gara idonee a condizionare la scelta del contraente con riferimento alla gara d'appalto del 2014»;
    la gara di appalto in questione (del 2014) era già stata segnalata dal presidente dell'Autorità anticorruzione, Raffaele Cantone, il quale aveva, in data 25 febbraio sceso, firmato un parere di illegittimità della gara d'appalto vinta dal consorzio comprendente «La Cascina», oggi al centro dell'inchiesta;
   tale parere poi veniva anche formalizzato attraverso una lettera inviata al Ministro dell'interno, Angelino Alfano, in data 27 maggio in cui il Presidente dell'Autorità anticorruzione definiva l'appalto di gestione del Cara di Mineo «illegittimo». Nella lettera si segnalava la delibera del Consorzio di Comuni «Calatino Terra di Accoglienza» che confermava l'appalto del Centro di accoglienza per richiedenti asilo nonostante un parere contrario dell'Anticorruzione nelle mani delle imprese che lo avevano vinto, in testa «La Cascina»;
    l'appalto sulla gestione del Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo era già finito all'attenzione nel primo giro di carte riferito all'inchiesta «Mafia capitale» partita con l'operazione «Mondo di mezzo» il 2 dicembre del 2014;
    nell'ambito dell'inchiesta «Mafia Capitale» erano già emersi inquietanti elementi riguardo a numerose attività criminali connesse alla gestione dei flussi migratori e dei centri di accoglienza per i richiedenti asilo che dimostrerebbero come alcuni personaggi, oggi arrestati o indagati, avrebbero, con grave danno alla collettività, tratto vantaggi personali grazie a rapporti privilegiati anche con gli uffici del Ministero dell'interno;
    dalle intercettazioni della «prima» inchiesta di Mafia Capitale emergeva questo appalto «blindato», con l'azienda vincitrice, la Cascina ristorazione, che avrebbe pagato al componente della commissione aggiudicatrice «un compenso da 10 mila euro al mese». Almeno così sosteneva Luca Odévaine che, intercettato, riferendosi al bando in questione aggiungeva: «Sarà difficile che se lo possa aggiudicare qualcun altro»;
    nell'appalto la base d'asta era stata fissata a 97 milioni di euro: «Una clausola che risulta in contrasto con il principio di trasparenza non essendo stati individuati gli importi per le singole attività in affidamento – scrive Cantone nel parere del 25 febbraio – l'assenza di concorrenza e convenienza per la stazione appaltante è dimostrata dal fatto che v’è stato solo un concorrente che ha partecipato alla procura, il gestore uscente, cui è stato aggiudicato l'appalto con un ribasso molto ridotto pari all'un per cento». Per questi motivi, la procedura utilizzata «è illegittima» e tutti gli atti «vengono inviati alle procure competenti»;
    il Centro di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) di Mineo è stato inaugurato il 18 marzo 2011 a seguito della proclamazione dello stato di emergenza nel territorio nazionale in relazione all'eccezionale afflusso di cittadini stranieri provenienti dalle regioni del Nord Africa con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 aprile 2011;
    la struttura di Mineo attualmente ospita oltre 4.000 migranti, a fronte di una capienza stimata di 2000 unità, ed è un non luogo dove le vite dei migranti vengono sospese per oltre due anni e dove c’è una situazione disastrosa dal punto di vista sanitario e dei servizi;
    a prescindere dall'eventuale responsabilità penale dell'onorevole Castiglione, che rimane innocente fino a che non intervenga una condanna definitiva, appare tuttavia necessario che l'Italia e le sue istituzioni siano salvaguardate nel loro prestigio e nella loro dignità, nonché siano messe in condizione di lavorare serenamente in questo delicato momento;
    ragioni di opportunità e di precauzione dovrebbero indurre il Governo ad evitare che una persona sottoposta ad indagini così per gravi delitti, espressivi di una collusione tra politica e sodalizi criminosi, in attesa di dimostrare la sua piena innocenza, possa continuare ad esercitare la proprie funzioni di governo peraltro delicate in relazione allo svolgimento di EXPO 2015,

impegna il Governo

a invitare l'onorevole Giuseppe Castiglione a rassegnare le dimissioni da Sottosegretario di Stato del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.
(1-00888) «Scotto, Palazzotto, Fratoianni, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Melilla, Nicchi, Paglia, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaccagnini, Zaratti».


   La Camera,
   premesso che:
    da notizie di stampa si apprende che il Sottosegretario allo sviluppo economico del Governo Renzi, la senatrice Simona Vicari, risulta essere indagata dalla procura antimafia di Roma per aver «contraffatto» le sue visite in carcere a Totò Cuffaro, spacciando per propri assistenti amici e «fedelissimi» dell'ex governatore della regione siciliana;
    il Sottosegretario Vicari al Ministero dello sviluppo economico è delegata anche ad occuparsi di lotta alla contraffazione;
    l'ipotesi di reato per il Sottosegretario Vicari è di concorso in falso e, sempre secondo quanto riportato dalla stampa, potrebbe anche aggravarsi ulteriormente;
    insieme alla Vicari hanno ricevuto un avviso di garanzia anche Giuseppe Firrarello, cugino di Vito Bonsignore, a sua volta indagato nel cosiddetto «sistema Incalza», nonché suocero di Giuseppe Castiglione, altro sottosegretario del Governo Renzi al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, indagato anche lui in relazione alle vicende del centro di assistenza richiedenti asilo di Mineo;
    il sottosegretario Vicari è stata coinvolta, poco più di un mese fa, in un'altra vicenda poco chiara, ovvero quella relativa alle intercettazioni dell'inchiesta napoletana sulla metanizzazione dell'isola di Ischia. In quell'occasione è emerso l'ennesimo scandalo legato ad episodi di corruzione, che ha visto protagonisti esponenti politici, imprenditori e manager, sfociato nell'arresto di diverse persone nell'ambito di un'inchiesta partita dalla procura di Napoli su un giro di presunte tangenti relativo alla metanizzazione dei comuni dell'isola di Ischia;
    a seguito di quell'inchiesta sono stati arrestati, tra gli altri, il sindaco del comune di Ischia, Giuseppe Ferrandino, detto Giosi, esponente di spicco del partito democratico campano, di suo fratello Massimo e di altre sette persone, tra cui i vertici della Coop cpl Concordia (acronimo di Cooperativa di produzione lavoro di Concordia), una delle più antiche cooperative rosse del modenese, fondata nel 1999 a Concordia sulla Secchia e specializzata nella produzione, gestione e distribuzione di sistemi energetici, con un ruolo di primo piano a livello internazionale nel settore del gas metano;
    nell'ambito dell'inchiesta, supportata anche da intercettazioni ambientali e telefoniche, i reati ipotizzati vanno dall'associazione a delinquere alla corruzione (anche internazionale), dalla turbata libertà degli incanti al riciclaggio, all'emissione di fatture per operazioni inesistenti, anche attraverso un sistema di scambio di voti in cambio di appalti;
    in una email citata nel corposo fascicolo di oltre 10 mila pagine di allegati all'ordinanza di custodia, uno degli arrestati, Franco Simone, a cui era affidato il settore delle relazioni istituzionali della Cpl Concordia, rivolgendosi ad alcuni vertici della coop modenese, citava proprio il nominativo dell'attuale sottosegretario in quota Ncd allo sviluppo economico sotto il Governo Letta e confermata con l'Esecutivo Renzi, Simona Vicari;
    in particolare, la Vicari, secondo quanto sintetizzato dal giudice, «si sarebbe impegnata con loro e su loro indicazione avrebbe fatto assegnare 140 milioni al completamento delle opere di metanizzazione, di cui beneficerà anche la Cpl»;
    sulla vicenda di Ischia il gruppo parlamentare del Movimento 5 Stelle aveva, a suo tempo, presentato una specifica interrogazione a risposta in Commissione, ancora in attesa di risposta;
    a distanza di poco più di un mese il sottosegretario Simona Vicari si ritrova ad essere indagata dalla procura di Roma e tra l'altro si deve ancora capire perché il signor Danilo Rocca Bonini, rinviato a giudizio dal Gup di Genova, per frode fiscale, avesse la disponibilità di una stanza al Ministero dello sviluppo economico, figurando peraltro in alcuni verbali di incontri come rappresentante del Ministero stesso;
    inoltre, è necessario ricordare che il Sottosegretario Vicari, nello scorso autunno, è stata condannata dal tribunale di Palermo, a risarcire la somma di 218 mila euro più gli interessi legali, al comune di Cefalù, avendo percepito per ben cinque anni, dal 1997 al 2002, una doppia indennità, nonostante il divieto di cumulo;
    sempre il sottosegretario Vicari, inoltre, è stata, insieme a Cuffaro, al senatore Renato Schifani e all'attuale Ministro dell'interno Alfano, una delle beneficiarie di vacanze di lusso, gratis o scontate, offerte a suo tempo dal signor Carmelo Patti, sospettato, secondo quanto riporta la stampa, di essere un prestanome del boss mafioso Matteo Messina Denaro;
    l'articolo 10 della legge n. 400 del 23 agosto 1988 recante «Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri» sancisce che i sottosegretari di Stato sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro che il Sottosegretario è chiamato a coadiuvare, sentito il Consiglio dei ministri;
    prima di assumere le funzioni, i Sottosegretari di Stato prestano giuramento nelle mani del Presidente del Consiglio dei ministri con la seguente formula: «Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell'interesse esclusivo della nazione»;
    il rapporto fiduciario tra Camere e Governo non può non riflettersi anche sul rapporto con i Sottosegretari di Stato, in considerazione del loro ruolo di indirizzo, di supporto e di supplenza dell'attività di Governo nelle sedi parlamentari;
    alla luce di quanto descritto in premessa in relazione al comportamento del sottosegretario Simona Vicari, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo sono venute meno le convinzioni per la permanenza della senatrice Simona Vicari alla carica ed alle funzioni di Sottosegretario di Stato,

impegna il Governo

ad avviare immediatamente le procedure di revoca – su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio dei ministri – della nomina a Sottosegretario di Stato della senatrice Simona Vicari.
(1-00889) «Businarolo, Sarti, Colletti, Ferraresi, Baroni, Massimiliano Bernini, Sorial, Grillo, Simone Valente, Battelli».


   La Camera,
   premesso che:
    la normativa nazionale, che non consente la celebrazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso e la sua trascrizione nei registri dello stato civile, è stata ritenuta costituzionalmente legittima;
    ai sensi del codice civile, la diversità di sesso dei nubendi costituisce un requisito sostanziale necessario affinché il matrimonio produca effetti giuridici nell'ordinamento interno, posto che, allo stato, l'istituto del matrimonio si fonda sulla diversità di sesso dei coniugi, come si evince dall'articolo 107 del codice civile;
    con sentenza n. 138 del 2010 la Corte costituzionale ha affermato che l'articolo 29 della Costituzione si riferisce alla nozione di matrimonio definita dal codice civile come unione tra persone di sesso diverso e questo significato del precetto costituzionale non può essere superato con interpretazioni creative, né, peraltro, con specifico riferimento all'articolo 3, comma 1, della Costituzione, le unioni omosessuali possono essere ritenute tout court omogenee al matrimonio;
    con sentenza n. 170 dell'11 giugno 2014, la Corte costituzionale è intervenuta sulla normativa che prevede l'automatica cessazione degli effetti civili del matrimonio in caso di rettificazione di attribuzione di sesso di uno dei due coniugi, affermando che «la nozione di matrimonio presupposta dal Costituente (cui conferisce tutela l'articolo 29 della Costituzione) è quella stessa definita dal codice civile del 1942 che stabiliva e tuttora stabilisce che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso, segnalando il requisito dell'eterosessualità del matrimonio»;
    la Corte costituzionale ha stabilito che tra le formazioni sociali di cui all'articolo 2 della Costituzione, in grado di favorire il pieno sviluppo della persona umana nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico, rientra anche l'unione omosessuale, ma ha evidenziato che spetta al Parlamento, nell'esercizio della sua piena discrezionalità politica, individuare con atto di rango legislativo le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, scegliendo, in particolare, se equiparare tout court il matrimonio omosessuale a quello eterosessuale, ovvero introdurre forme diverse di riconoscimento giuridico della stabile convivenza della coppia omosessuale;
    allo stato dell'attuale normativa nazionale italiana, il matrimonio celebrato all'estero tra persone dello stesso sesso risulta privo dei requisiti sostanziali necessari per procedere alla sua trascrizione, ai sensi dell'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000, come confermato dalla giurisprudenza, la quale ha affermato che «l'intrascrivibilità delle unioni omosessuali dipende non più dalla loro inesistenza e neppure dalla invalidità, ma dalla loro inidoneità a produrre, quali atti di matrimonio, qualsiasi effetto giuridico nell'ordinamento italiano» (Corte di Cassazione, sentenza n. 4184 del 2012);
    la disciplina nazionale risulta perfettamente coerente con la normativa internazionale ed europea. L'articolo 12 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali individua il diritto di contrarre matrimonio tra i diritti umani fondamentali della persona, stabilendo inequivocabilmente che «l'uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l'esercizio di tale diritto», mentre l'articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (cosiddetta Carta di Nizza) demanda alle legislazioni nazionali il compito di disciplinare l'esercizio di questo diritto;
    tutto ciò trova conferma anche nella giurisprudenza citata e in quella della Corte europea dei diritti dell'uomo, che, con pronuncia del 24 giugno 2010, ha affermato che il rifiuto dell'ufficiale di stato civile di adempiere le formalità richieste per la celebrazione di un matrimonio tra persone dello stesso sesso non contrasta con la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, osservando che il matrimonio ha connotazioni sociali e culturali radicate che possono differire molto da una società all'altra, sicché va rimessa ai legislatori nazionali di ciascuno Stato aderente la decisione di permettere o meno il matrimonio omosessuale e la conseguente decisione in merito alla trascrivibilità o meno dello stesso;
    in questo quadro la circolare del 7 ottobre 2014 del Ministro dell'interno, per arginare iniziative dei sindaci che, in quanto ufficiali di Governo, sovrintendono alla tenuta dei registri di stato civile, ha fornito direttive relative all'intrascrivibilità dei matrimoni tra persone dello stesso sesso derivante «dalla loro inidoneità a produrre, quali atti di matrimonio, qualsiasi effetto giuridico nell'ordinamento italiano», in considerazione del difetto di un requisito sostanziale richiesto dalla normativa vigente in materia di stato e capacità delle persone (la diversità di sesso dei nubendi), che non può essere superato dalla mera circostanza dell'esistenza di una celebrazione valida secondo la lex loci ma priva dei requisiti sostanziali prescritti dalla legge italiana relativamente allo stato e alla capacità delle persone;
    con la stessa circolare il Ministro ha, altresì, disposto che i prefetti invitino i sindaci ad annullare tali trascrizioni;
    in data 18 ottobre 2014 il sindaco del comune di Roma ha provveduto alla trascrizione nel registro dei matrimoni presso l'ufficio di stato civile del comune di Roma di un matrimonio contratto a Barcellona (Spagna) il 18 settembre 2010;
    con decreto del 31 ottobre 2014, prot. n. 247747/2014, il prefetto della provincia di Roma ha disposto l'annullamento delle trascrizioni nel registro dello stato civile di Roma capitale dei matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all'estero, ordinando all'ufficiale di stato civile di Roma capitale di provvedere a tutti i conseguenti adempimenti materiali nei registri dello stato civile;
    in data 9 marzo 2015 il tribunale amministrativo regionale del Lazio ha accolto un ricorso presentato per l'annullamento del decreto prefettizio;
    su un caso identico e sostanzialmente contestuale si è pronunciato il 21 maggio 2015 anche il tribunale amministrativo regionale del Friuli Venezia Giulia, annullando anche in questo caso il decreto prefettizio;
    la sentenza del tribunale amministrativo regionale del Friuli Venezia Giulia precisa in termini chiari che:
    a) «17.2. La trascrizione effettuata dal sindaco di Udine quale ufficiale di governo risulta, quindi, illegittima perché esulante dai suoi poteri e doveri, contraria alla legge e contrastante con le direttive del suo superiore gerarchico, il Ministro dell'interno, e in ultima analisi poco rispettosa – ancorché inconsapevolmente – del riparto tra i poteri dello Stato definito dalla Costituzione repubblicana;
   b) 17.3. La doverosa rimozione peraltro di tale illegittima trascrizione non può avvenire con l'intervento del prefetto, che non ha alcun potere a riguardo, ma solamente ad opera dell'autorità giudiziaria ordinaria ex articolo 95 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000, in sede di volontaria giurisdizione, con l'intervento del pubblico ministero, cui spetta la tutela dell'interesse pubblico al rispetto della legalità in materia di stato civile»;
    la giurisprudenza ha più volte affermato che nelle materie di competenza statale, nelle quali il sindaco agisce nella veste di ufficiale del Governo, spetta al prefetto promuovere ogni misura idonea a garantire l'unità di indirizzo e di coordinamento, promuovendo le misure occorrenti e svolgendo, così, una fondamentale funzione di garante dell'unità dell'ordinamento in materia, anche esercitando «il potere di annullamento d'ufficio degli atti adottati dal sindaco quale ufficiale di governo, che risultano essere illegittimi o che comunque minano la menzionata unità di indirizzo»;
    tuttavia, la disciplina dello stato civile prevede che «nessuna annotazione può essere fatta sopra un atto già iscritto nei registri se non è disposta per legge ovvero non è ordinata dall'autorità giudiziaria» (articolo 453 del codice civile);
    il sistema dello stato civile, pertanto, prevederebbe puntuali possibilità di intervento sui registri dello stato civile, tra cui non è compresa quella posta in essere dal prefetto, per cui, in sostanza, un intervento quale quello posto in essere nel caso di specie dall'amministrazione centrale competerebbe solo all'autorità giudiziaria;
    dal combinato disposto degli articoli 5, comma 1, lettera a), e 95, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000 non si prevedono, pertanto, competenze o poteri di annullamento o di autotutela aventi ad oggetto la trascrizione di matrimoni, ma solo la possibilità di disporre l'annotazione di rettificazioni operate dall'autorità giudiziaria;
    in definitiva, una trascrizione nel registro degli atti di matrimonio può essere espunta e/o rettificata solo in forza di un provvedimento dell'autorità giudiziaria e non anche adottando un provvedimento amministrativo da parte dell'amministrazione centrale, neanche esercitando il potere di sovraordinazione che, effettivamente, il Ministro dell'interno vanta sul sindaco in tema di stato civile; quindi, in base al principio della riserva di legge dettato in materia (si confronti l'articolo 97, terzo comma, della Costituzione), affinché un organo amministrativo possa annullare d'ufficio un provvedimento adottato da un altro organo, occorre un'espressa previsione di legge;
    in data 27 marzo 2015, rispondendo ad una interpellanza urgente sul medesimo caso, il Vice Ministro dell'interno sottolineava come l'amministrazione dell'interno, rispondendo a vari atti di sindacato ispettivo, avesse espresso l'avviso della sussistenza in capo al prefetto – fermo restando il potere dell'autorità giudiziaria – della titolarità del potere di annullamento d'ufficio delle trascrizioni illegittimamente eseguite; potere collegato direttamente alle funzioni di vigilanza del prefetto sull'ordinata tenuta dei registri dello stato civile e costituente la tipica manifestazione di una sovraordinazione gerarchica del prefetto medesimo al sindaco quale ufficiale di Governo;
    il membro del Governo confermava che l'orientamento del Ministero dell'interno sulle unioni omosessuali e sulla trascrizione di quelle celebrate all'estero era ispirato al presupposto che l'intera disciplina dell'istituto del matrimonio sia fondata sulla diversità di sesso dei coniugi e che le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio, né sono destinatarie della medesima disciplina dettata per quest'ultimo, ragion per cui, come precisato dalla Corte di Cassazione, il matrimonio omosessuale è inidoneo a produrre lo stesso effetto giuridico nell'ordinamento nazionale;
    il Vice Ministro affermava, inoltre, che le coppie omosessuali non possono, al momento, far valere né il diritto a contrarre matrimonio, né il diritto alla trascrizione delle unioni celebrate all'estero, sottolineando che anche il tribunale amministrativo regionale del Lazio, nella citata sentenza, si è conformato a questo consolidato orientamento;
    nelle conclusioni della risposta all'atto di sindacato ispettivo rilevava, altresì, che l'ordinamento già prevede la possibilità per l'interessato di ottenere la cancellazione di un atto indebitamente trascritto nei registri dello stato civile, proponendo ricorso al tribunale competente e che un analogo potere di iniziativa compete anche al procuratore della Repubblica;
    in conclusione, tenuto conto degli interventi richiamati e delle recenti pronunce giurisprudenziali, emerge l'esigenza in uno Stato diritto di rimuovere gli atti pubblici illegittimi con le procedure previste dall'ordinamento, evitando oneri che gravino sul contribuente per le attività che si devono porre in essere per ripristinare la legalità. A tal proposito è sintomatico sottolineare che il tribunale amministrativo regionale del Friuli Venezia Giulia ha già ritenuto di disporre la trasmissione degli atti di causa alla procura regionale della Corte dei conti per la somma stanziata dal comune di Udine per intervenire a supporto del ricorrente nella richiesta di annullamento del decreto del prefetto (punto 3.8 della sentenza),

impegna il Governo

ad adottare iniziative, anche di rango normativo, volte a prevedere la nullità delle trascrizioni sui registri dello stato civile dei matrimoni contratti all'estero da persone dello stesso sesso al fine di evitare il perpetuarsi di atti contrari alla legge.
(1-00890) «Gigli, Dellai, Sberna».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni I e IV,
   premesso che:
    la strage nel Canale di Sicilia, avvenuta nella notte tra il 18 ed il 19 aprile, testimonia ancora una volta la nostra impotenza di fronte ad un fenomeno di inaccettabile sacrificio di vite umane;
    nel 2014, circa 219.000 migranti hanno attraversato il Mediterraneo, di questi, 171.100 hanno raggiunto l'Italia;
    si stima che 26.000 fossero minori;
    nei primi due mesi del 2015, sono giunti in Italia via mare circa 7.800 migranti, altri 470 sono morti in mare: l'incremento è di 30 volte superiore al numero di vittime registrato nello stesso periodo del 2014;
    si stima che, negli ultimi 10 anni, il numero dei decessi nel Mediterraneo sia superiore a 20.000;
    l'Italia aveva fronteggiato l'emergenza migranti con l'operazione Mare Nostrum, la quale, grazie all'invio delle navi fino alla costa libica, ha salvato centinaia di vite;
    l'interruzione delle operazioni si è rivelata secondo i firmatari del presente atto un errore: le rilevazioni statistiche, infatti, dimostrano che alla conclusione di Mare Nostrum non è seguita una riduzione dell'intensità dei flussi migratori;
    non vi è quindi deterrente per la disperazione dei migranti;
    i dati allarmanti impongono una riflessione concreta: l'Unione europea ha un ruolo fondamentale ai fini di una convergenza di tutti i Paesi verso una politica comune che argini realmente la piaga dell'immigrazione clandestina. Tuttavia, a fronte dell'esigenza sempre più impellente, soprattutto per il nostro Paese, di arginare il fenomeno, è necessario porre in essere misure immediate nell'ambito delle operazioni tecniche, nazionali, connesse alla gestione dei flussi;
    il dispositivo navale messo a disposizione dalla marina militare per le operazioni search and rescue (SAR) risulta, per quanto incrementato a fronte di una attenzione parlamentare sul tema, appena sufficiente a rispondere alle eventuali crisi, dato il costante incremento dei flussi migratori;
    il Centro di soccorso e prima accoglienza di Lampedusa può contenere fino a 300 migranti in condizioni dignitose; i lavori di ripristino della struttura incendiata sono quasi completati, ma a detta dell'ente gestore, qualora si verificassero situazioni emergenziali con oltre mille migranti da gestire il centro potrebbe non poter rispondere al meglio alla situazione di crisi;
    l'impiego delle navi traghetto consentirebbe l'ottimizzazione dell'utilizzo di navi militari, per le operazioni strettamente connesse al salvataggio, garantendo la massima priorità alle operazioni di soccorso,

impegnano il Governo

ad attivare le procedure finalizzate alla realizzazione di una piattaforma logistica, da inserire nella catena SAR, anche attraverso l'uso di almeno due navi traghetto con capienza ciascuna non inferiore a mille passeggeri, ai fini di un potenziamento delle attività di assistenza, ricerca e soccorso in mare dei migranti.
(7-00698) «Artini, Mucci, Rizzo, Rizzetto, Bechis, Prodani, Segoni, Turco, Baldassarre, Barbanti».


   Le Commissioni X e XIV,
   premesso che:
    l'attuale quadro normativo a tutela delle opere dell'ingegno e a garanzia dei diritti di proprietà intellettuale si caratterizza per complessità e frammentarietà, con particolare riguardo alla disciplina brevettuale e alle modalità di deposito e di riconoscimento dei brevetti in ambito europeo;
    allo stato, infatti – e nelle more della ratifica del brevetto unico europeo, approvato dal Consiglio dell'Unione europea ed Europarlamento nel mese di dicembre 2012 –, prosegue l'attività dell'Ufficio europeo dei brevetti nell'ambito dell'Organizzazione europea dei brevetti (European Patent Organization-Epo) istituita con la Convenzione sul brevetto europeo sottoscritta a Monaco di Baviera il 5 ottobre 1973;
    l'EPO è nato con l'obiettivo di facilitare e ridurre gli oneri relativi alle procedure di deposito dei brevetti attraverso un iter unificato per tutti i Paesi aderenti alla Convenzione;
    in particolare l'Ente svolge attività di ricerca e confronto su precedenti documenti brevettuali e sulle pubblicazioni tecnico-scientifiche inerenti alla materia oggetto dell'istanza, formula valutazioni preliminari sulla brevettabilità delle invenzioni, è competente per l'esame delle opposizioni legali presentate contro i brevetti stessi;
    una volta concesso, il brevetto europeo deve essere nazionalizzato negli stati della Convenzione, attivando procedure di convalida nei singoli Paesi, con un considerevole aumento degli oneri a carico del soggetto titolare dell'invenzione (sino a 36 mila euro per ottenere un brevetto valido in tutti i Paesi membri, a fronte dei 1.850 degli Stati Uniti e dei 600 della Cina);
    a fare lievitare ulteriormente i costi è l'obbligo di presentare all'EPO tutta la documentazione in una lingua dell'Unione, scelta limitatamente tra inglese, francese e tedesco, con traduzioni certificate e, ove richiesto, anche nella lingua nazionale del Paese in cui viene presentata istanza di convalida;
    questo stato di cose rischia di rappresentare un ostacolo insormontabile per aziende, ricercatori e inventori italiani, soprattutto in una fase, come quella attuale, di grave crisi recessiva, che ha indebolito il tessuto produttivo e sociale, con ripercussioni sui livelli produttivi e occupazionali;
    in molti casi, per contenere i costi che altrimenti risulterebbero insostenibili, le imprese selezionano un ristretto numero di Paesi con un conseguente effetto negativo sull'efficacia del titolo brevettuale; ricercatori e inventori italiani lamentano anche difficoltà nelle relazioni con l'EPO, dovute ai vincoli relativi alle lingue ufficiali riconosciute, ai tempi considerati eccessivamente lunghi dell’iter di accoglimento e alla stessa scarsa chiarezza del procedimento. Tutte difficoltà che rischiano di incrinare la credibilità dell'istituzione europea;
    il tessuto produttivo italiano si è sempre contraddistinto per qualità delle produzioni, abilità professionali, innovazione nei processi produttivi, tutti aspetti che sono riassunti nella ingegnosità e nella capacità inventiva degli operatori italiani in misura tale che il nostro Paese è sempre stato ai primi posti in Europa per numero di brevetti depositati;
    dal rapporto 2013 dell'EPO, risulta un calo di richieste presentate all’European Patent Office da parte degli operatori italiani: -2,7 per cento nel 2013 (pari a 4.663 richieste contro le 4.735 del 2012, anno in cui si era registrato un calo del 3,4 per cento);
    il dato desta preoccupazione soprattutto se confrontato con l'andamento crescente del numero complessivo dei depositi, che nel 2013 ha raggiunto la cifra record di 265.690 istanze presentate (+2,8 per cento rispetto al 2012);
    nonostante l'andamento negativo per numero di brevetti presentanti, l'Italia si è contraddistinta per qualità e innovazione delle proposte, registrando un +5 per cento rispetto al 2012 e un +18 per cento rispetto al 2009 per quanto concerne i brevetti concessi, segno inequivocabile ai grandi capacità, abilità e ingegno;
    sulla questione della tutela brevettuale sembra rappresentare un'opportunità l'istituzione del brevetto unico europeo che potrebbe offrire alle imprese la possibilità di ottenere con un'unica procedura un brevetto valido per tutti i Paesi membri, abbattendo di circa l'80 per cento gli attuali costi;
    il brevetto unitario – ancora in attesa di ratifica da parte degli Stati membri – è stato oggetto di un ricorso alla Corte di giustizia da parte di Italia e Spagna (ricorso successivamente rigettato) perché ancora una volta la normativa riconosce, quali lingue ufficiali per i procedimenti di deposito dei brevetti, unicamente l'inglese, il francese e il tedesco;
    il tessuto produttivo italiano, per poter competere nel mercato interno e internazionale deve puntare sull'innovazione e sulla qualità, tutti aspetti che corrispondono a una vocazione che affonda le radici in una grande tradizione artigiana fatta di saperi e competenze di altissimo livello che devono ricevere un'adeguata tutela a livello internazionale,

impegnano il Governo:

   ad attivarsi con celerità presso le istituzioni ed organi dell'Unione europea al fine di rimuovere quegli ostacoli in materia di tutela della proprietà intellettuale che attualmente rappresentano un limite allo sviluppo e alla competitività delle imprese italiane a livello internazionale, nonché un grave limite allo sviluppo e al pieno riconoscimento delle capacità e dell'ingegno dei ricercatori e degli inventori italiani;
   a farsi promotore, in seno alle istituzioni ed organi dell'Unione europea di un'azione incisiva volta a superare le limitazioni derivanti dal riconoscimento di tre sole lingue europee nei procedimenti di deposito, rilascio e convalida del brevetto europeo, attivandosi per individuare una soluzione che rimuova l'attuale esclusione dell'uso della lingua italiana dai procedimenti ovvero individuando risorse e strumenti finanziari a carico dell'istituzione europea a copertura delle spese di traduzione;
   a farsi promotore di un processo di riordino dei procedimenti relativi al riconoscimento del brevetto europeo attraverso la previsione di una procedura chiara e definita, scandita da date certe, che si concluda entro un termine ragionevole di tre anni, eventualmente esteso a 4 nei casi di particolare complessità, entro il quale possa essere fissato l'eventuale contraddittorio con la commissione esaminatrice, facendo sì che, in ogni caso, le procedure prevedano che, in fase di esame dell'istanza, l'esaminatore risponda celermente, entro tre mesi, alle eccezioni sollevate dall’Applicant;
   a farsi promotore di iniziative affinché il pagamento delle tasse di mantenimento decorra dalla data di concessione del brevetto, mentre nulla dovrebbe essere dovuto durante l’iter della pratica oltre le tasse di esame e di riesame;
   a farsi promotore di iniziative affinché eventuali copie conformi di traduzioni asseverate in lingua inglese non debbano essere, esse stesse, in bollo qualora siano accompagnate dalla documentazione legale originaria in lingua madre;
   a promuovere la lingua italiana e la diffusione del plurilinguismo in generale in tutte le sedi decisionali europee al fine di realizzare una concreta parità di condizioni e trattamento tra cittadini e aziende d'Europa;
   a farsi promotore, presso le istituzioni europee, di iniziative volte alla verifica del rispetto dei princìpi del multilinguismo, così come sanciti dai trattati internazionali;
   a farsi promotore, presso le istituzioni europee, di un'incisiva azione volta a valorizzare nei contesti istituzionali l'uso della lingua italiana e del multilinguismo in generale.
(7-00697) «Vallascas, Battelli, Crippa, Cancelleri, Da Villa, Della Valle, Fantinati».


   La XI Commissione,
   premesso che:
    negli ultimi anni la crisi economica, il calo della domanda interna e dei consumi delle famiglie ha determinato un mutamento del panorama occupazionale e produttivo nel settore della grande distribuzione;
    la catena francese di supermercati Auchan spa, è una delle principali aziende attive nel settore italiano della grande distribuzione organizzata (GDO) di beni alimentari e non alimentari, presente sul territorio italiano dal 1989;
    ad oggi il gruppo Auchan si è sviluppato a livello mondiale con punti vendita presenti in 16 Paesi che possono contare 330.700 dipendenti. In Italia dispone di 57 ipermercati in undici regioni, impiegando oltre 18.000 lavoratori;
    i marchi del gruppo, che in Italia sono Simply Market – galleria Auchan – La Bottega Sma – Auchan Mobile e Iper Simply, nel 2014 hanno fruttato a livello mondiale 63 miliardi di euro di fatturato;
    nel 2013 Immochan SA, la società immobiliare internazionale del gruppo Auchan, ha ceduto 13 centri commerciali e due retail park di proprietà di Gallerie Commerciali Italia del gruppo francese Auchan, costituendo un fondo di investimento immobiliare dal valore di circa 635 milioni di euro gestito dalla Morgan Stanley Sgr, società di gestione immobiliare del gruppo Morgan Stanley in Italia;
    la scelta di dismettere i 15 suddetti centri, continuando comunque a mantenere la proprietà dell'ipermercato di riferimento e permettere alla controllata Gallerie Commerciali Italia di continuare a gestire le gallerie cedute, in quanto i centri permettono di ottenere un rendimento del 7,5 per cento, è stata finalizzata a finanziare l'ampliamento di altri immobili in Italia ritenuti strategici;
    a settembre 2014, un'operazione simile è stata conclusa tra Auchan spa ed Enpam, l'Ente nazionale di previdenza ed assistenza medici e odontoiatri, il quale ha sottoscritto l'80 per cento di un fondo immobiliare, gestito da Antirion SGR, dove la suddetta Immochan SA ha fatto confluire tre gallerie commerciali. Il fondo ha un patrimonio iniziale del valore di 266 milioni di euro, ma è estendibile fino a 700 milioni di euro, in quanto è stato costituito in modo da poter essere ampliato con successivi apporti;
    anche per quanto riguarda questa operazione il gruppo Auchan ha dichiarato per voce del dottor Edoardo Favro, amministratore delegato di Gallerie Commerciali Italia, di voler impiegare una parte degli introiti dell'operazione, quantificata in 150 milioni di euro, in operazioni finanziarie volte al reinvestimento in Italia. Nel mese di ottobre del 2014 Auchan spa, ha siglato un accordo internazionale di collaborazione con Metro AG, la grande multinazionale tedesca leader nella distribuzione e cash and carry, con l'obiettivo di realizzare sinergie e risparmi nel medio e lungo termine per aumentare la massa critica in fase di contrattazione con l'industria. L'accordo prevede anche l'acquisto congiunto di prodotti senza marca, che Metro e Auchan potranno rivendere senza nome o sotto i propri marchi aumentando in modo esponenziale i propri guadagni;
    il giorno 24 novembre dello stesso anno Auchan spa emette un comunicato stampa, per annunciare il proprio rafforzamento mediante un accordo con Sisa spa, un'azienda italiana della distribuzione organizzata con una rete di 1558 punti vendita, che recita «Auchan e Sma hanno siglato oggi un accordo di lungo periodo con Sisa. Il mandato all'acquisto conferito da Sisa alla centrale di acquisto Auchan-Sma, entrerà in vigore da gennaio 2015 e porterà ad acquisti congiunti superiori a otto miliardi di euro. La centrale d'acquisto Auchan grazie a questa alleanza con Sisa e i propri partner si afferma come terza centrale d'acquisto italiana»;
    durante lo svolgimento di queste fruttifere operazioni finanziarie, la multinazionale francese ha reso noto a molti suoi dipendenti sparsi in tutta Italia, la stragrande maggioranza dei quali appartengono al IV livello del contratto collettivo nazionale del commercio, di voler procedere ad una riduzione del personale;
    la causa di questi licenziamenti sarebbe da ricercare, secondo Auchan, nel calo dei consumi che colpisce tutta la grande distribuzione;
    nel 2014 il gruppo Auchan ha di fatto registrato una flessione del 12,5 per cento rispetto al 2013, ma ha visto in crescita il fatturato a cambi costanti al +1,5 per cento;
    a giudizio dei firmatari del presente atto, alla luce delle circostanze fin qui evidenziate, il gruppo Auchan sembrerebbe detenere una importante capacità di gestione economica e finanziaria, viste le innumerevoli manovre e operazioni adottate a livello globale per far fronte alle sfide del mercato e, in tal senso, non si comprende quale sia la motivazione della strategia adottata in Italia nei confronti dei lavoratori che prestano la loro attività all'interno di questo settore. Inoltre, in tale situazione di crisi economica ed occupazionale, la disapplicazione unilaterale dei contratti integrativi aziendali potrebbe comportare prima di tutto, in assenza di un partecipato processo di concertazione tra le aziende e i lavoratori e le associazioni sindacali, un mutamento in peius delle condizioni di lavoro e dei diritti dei lavoratori fino ad arrivare, come specificato anche in precedenza, ad una perdita definitiva del posto di lavoro con inevitabile ricaduta sui livelli occupazionali;
    tale vicenda risulta ancora problematica in virtù del rilascio delle relative autorizzazioni e della realizzazione di nuovi poli e centri commerciali su tutto il territorio nazionale, che spesso si trasformano in vere e proprie «cattedrali nel deserto», con le relative conseguenze sulla libera concorrenza degli operatori economici;
    del resto, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, da un punto di vista normativo, l'articolo 31 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, inerente alla liberalizzazione dell'apertura di nuovi esercizi commerciali senza contingenti limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi natura, andrebbe integralmente abrogato – ed in tal senso è stata presentata la proposta di legge n. 750 a prima firma del deputato Dell'Orco – al fine di disincentivare ed impedire l'apertura di nuove aree commerciali, vista la crisi dei livelli occupazionali nel settore della grande distribuzione,

impegna il Governo:

   ad aprire un tavolo di contrattazione tra le parti coinvolte, rendendo tempestiva informazione alle competenti Commissioni parlamentari, al fine di tutelare e salvaguardare i livelli occupazionali;
   ad adottare tutte le misure utili per l'individuazione di soluzioni alternative ai licenziamenti, prevedendo un uso diffuso di strumenti di sostegno ai lavoratori a partire dai contratti di solidarietà, al fine di riconoscere condizioni di lavoro nettamente più favorevoli agli stessi.
(7-00699) «Cominardi, Alberti, Chimienti, Ciprini, Lombardi, Dall'Osso, Tripiedi, Pesco».

ATTI DI CONTROLLO

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   BORGHESE e MERLO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 21 del Decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, sull'autenticazione delle sottoscrizioni, stabilisce:
    a) l'autenticità della sottoscrizione di qualsiasi istanza o dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà da produrre agli organi della pubblica amministrazione, nonché ai gestori di servizi pubblici è garantita con le modalità di cui all'articolo 38, comma 2 e comma 3;
    b) se l'istanza o la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà è presentata a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1 o a questi ultimi al fine della riscossione da parte di terzi di benefici economici, l'autenticazione redatta da un notaio, cancelliere, segretario comunale, dal dipendente addetto a ricevere la documentazione o altro dipendente incaricato dal sindaco; in tale ultimo caso, l'autenticazione è redatta di seguito alla sottoscrizione e il pubblico ufficiale, che autentica, attesta che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza, previo accertamento dell'identità del dichiarante, indicando le modalità di identificazione, la data ed il luogo di autenticazione, il proprio nome, cognome e la qualifica rivestita, nonché apponendo la propria firma e il timbro dell'ufficio –:
   se i Ministri interrogati ritengano doveroso impegnarsi affinché si rendano effettivi i diritti costituzionali dei cittadini italiani residenti all'estero, facendo in modo da concedere, attraverso un'iniziativa normativa urgente in tal senso, il potere di autentica delle firme ai consoli e ai vice consoli onorari, previo incarico del console generale di riferimento ai sensi dell'articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000 n. 445.
(4-09384)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   PELLEGRINO, ZAN e ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la commissione per la valutazione di impatto ambientale della regione autonoma Friuli Venezia Giulia ha recentemente concluso una procedura di screening relativa al progetto di dragaggio del canale Coron, nella laguna di Grado e Marano, ritenendo di non sottoporre a procedura di valutazione di impatto ambientale il progetto stesso;
   nel corso della procedura hanno presentato osservazioni a vario titolo critiche il comune di Marano Lagunare, l'osservatorio geofisico nazionale, associazioni ambientaliste e soggetti privati;
   il progetto esaminato rappresenta la terza ipotesi di dragaggio e movimentazione dei sedimenti inquinati da mercurio, sostanza pericolosa prioritaria, che si succede in tre anni con soluzioni radicalmente diverse, poiché nel 2011 si ipotizzava il conferimento dei sedimenti in cassa di colmata nella Laguna di Venezia, nel 2012 si proponeva lo scarico dei sedimenti a mare, ed ora si intende depositare i sedimenti in altro prossimo canale interno alla laguna;
   la richiamata urgenza di realizzazione del dragaggio, addotta come una delle motivazioni nell'escludere la procedura di valutazione di impatto ambientale, appare quindi discutibile, oltreché estranea al merito della procedura; nonostante la soluzione progettuale sia diversa da quella iniziale la procedura della gara d'appalto non è stata rivista;
   fra le controdeduzioni formulate dalla Commissione regionale per la valutazione di impatto ambientale per motivare il non ricorso a tale procedura, non vengono raccolte quelle dell'OGN, secondo cui l'intervento progettato produce modificazioni significative all’habitat della fauna ittica con effetti negativi, e quindi di danno ambientale, in particolare nel caso del ripetersi di eventi climatici estremi, come per le recenti stagioni estate ed inverno 2012;
   i valori di concentrazione del mercurio, proveniente da attività minerarie ed industriali precisamente individuate, risultano essere tra 1,5 e 3 volte superiori al valore di riferimento normativo;
   il conferimento dei sedimenti avviene con riempimento di un canale nonostante questo sia non conforme alle previsioni del piano regolatore generale comunale del comune interessato; si può ritenere che il progetto di riversare i sedimenti nella stessa area lagunare, Sito di interesse comunitario, in un canale posto tra aree in concessione per attività di molluschicoltura sia a monte che a valle, non tenga conto di un parere dell'Istituto superiore di sanità del maggio scorso, nel quale si afferma che «un dragaggio invasivo potrebbe comportare più un rischio, tenuto conto della delicatezza dell'ecosistema lagunare, che non un reale vantaggio per l'ambiente e la salute umana»;
   risulta ancora vigente per questo ambito lagunare la legge speciale per Venezia con relativo protocollo di gestione dei fanghi del 1993, primo firmatario il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, così come esteso dalla legge n. 388 del 2000 alla Laguna di Grado e Marano –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della riperimetrazione del sito inquinato di interesse nazionale (ridotto oggi alla sola area degli stabilimenti Caffaro ed alla foce dell'Ausa) che ha escluso tutta l'area lagunare, senza peraltro restituire l'area stessa agli usi legittimi;
   sia a conoscenza del progetto in questione e del suo iter procedurale e, in particolare se disponga di elementi in merito agli effetti che tale decisione di esclusione dalle procedure di valutazione di impatto ambientale produce sull'area individuata;
   se ritenga che l'intenzione di depositare i sedimenti inquinati provenienti dal dragaggio in laguna sia compatibile con la situazione dell'inquinamento chimico nella stessa, considerati i pareri espressi in merito dall'Istituto superiore di sanità e dall'ISPRA nel corso del 2012;
   quali siano, al momento, le sue competenze in merito alla situazione della laguna di Grado e Marano e se, in particolare, ritenga ancora operanti per la stessa il protocollo del 1993. (3-01522)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la legge 14 gennaio 2013, n. 10 recante Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani, attribuisce al Comitato per lo sviluppo del verde pubblico – istituito presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – il compito di predisporre e trasmettere alle Camere, entro il 30 maggio di ogni anno, una relazione contenente «i risultati del monitoraggio e la prospettazione degli interventi necessari a garantire la piena attuazione della normativa di settore»;
   l'articolo 4 della medesima legge 10 del 2013 prevede che il Comitato per lo sviluppo del verde pubblico presenti, in allegato alla relazione richiamata nel punto precedente, un rapporto annuale sull'applicazione nei comuni italiani delle disposizioni di cui al decreto del Ministro dei Lavori Pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, relative agli strumenti urbanistici generali e attuativi, e in particolare ai nuovi piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate, ai nuovi regolamenti edilizi con annesso programma di fabbricazione e relative lottizzazioni convenzionate e alle revisioni degli strumenti urbanistici;
   in base allo stesso articolo 4 comma 2 è, altresì, previsto che «I comuni che risultino inadempienti rispetto alle norme di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 e, in particolare, sulle quantità minime di spazi pubblici riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi da osservare in rapporto agli insediamenti residenziali e produttivi, approvano le necessarie varianti urbanistiche per il verde e i servizi entro il 31 dicembre di ogni anno»;
   la relazione annuale 2013, presentata alle Camere dal comitato per il Verde Pubblico il 30 maggio 2014, non conteneva, in allegato, il previsto rapporto annuale sull'applicazione del decreto ministeriale 1444/1968;
   la relazione annuale 2014 presentata il 30 maggio 2015, da conto, al capitolo 7, del supporto assicurato dall'ISPRA al Comitato per il verde pubblico, che si sostanzia nello svolgimento di attività di monitoraggio (con un'analisi quanti-qualitativa del verde pubblico nei principali comuni italiani), di attività di studio e di ricerca (riferiti a progetti internazionali e attività dell'agenzia riferite ad aspetti specifici) e di comunicazione e divulgazione scientifica;
   all'interno del citato capitolo 7 sono descritte le cosiddette «Attività di monitoraggio del verde pubblico e dei sistemi naturali in ambito urbano e periurbano (articolo 3 comma 2, d), e); articolo 4 comma 1)» e; per l'esattezza sono riportati, sinteticamente, i dati contenuti nell'edizione 2014 del X Rapporto dell'ISPRA dedicato alla «Qualità dell'ambiente urbano» che, come è noto, ha come oggetto 73 città italiane;
   in questa sezione del capitolo 7 si evidenziano alcuni dati del citato Rapporto dell'ISPRA – giudicati significativi dagli estensori della Relazione – riguardanti la disponibilità del verde procapite (metri quadri per abitante), la percentuale di verde pubblico calcolato rispetto alla superficie comunale e la diffusione dei censimenti e dei regolamenti del verde, alla luce dei quali si formulano delle considerazioni di carattere generale, anche un po’ generiche, sull'azione delle amministrazioni riferita alla gestione e all'incremento del verde pubblico e sulle imprecisate difficoltà che le stesse amministrazioni incontrano;
   nella stessa sezione del capitolo 7 della relazione, a pagina 105, si da poi conto o meglio si segnalano «numerose esperienze virtuose in corso d'opera – come per esempio quelle descritte nei contributi raccolti in Reticula (vedi Allegati) – che sfuggono alla rilevazione statistica, ma che cionondimeno rappresentano l'inizio di un cambio di rotta e l'avvio di una pianificazione più attenta al sistema del verde urbano e periurbano», rispetto alle quali si segnala che «una corretta pianificazione del verde alla scala locale non può non partire dal superamento del mero approccio al verde di stampo urbanistico e di standard territoriale, per arrivare al definire il verde nei termini di infrastruttura verde»;
   a quest'ultimo riguardo, all'interno della stessa sezione del capitolo 7, vengono segnalate iniziative ed azioni amministrative in corso (l'Inventario nazionale delle foreste urbane e periurbane avviato sempre dall'ISPRA, la rete Natura 2000 di cui alla Direttiva Habitat e le esperienze di forestazione urbana nei Piani d'Azione per l'energia sostenibile), che dimostrano secondo gli interroganti come il comitato prediliga un approccio alle problematiche connesse al verde pubblico, alternativo o che comunque sembra prescindere del tutto dall'applicazione del richiamato decreto ministeriale 1444 del 1968, al quale, però la legge istitutiva dello stesso Comitato fa espresso riferimento, anche e soprattutto per quel che concerne la redazione della Relazione annuale;
   nel successivo capitolo 8 rubricato «Indagini concordate con ISTAT per monitorare il livello di attuazione della Legge 10/2013 nei comuni capoluogo di provincia», si da conto dei risultati della somministrazione, ai comuni capoluogo di provincia, del cosiddetto modulo «Verde urbano» nell'ambito dell'indagine «Dati ambientali nelle città» – che l'Istat utilizza dal 2000 – finalizzata alla raccolta di dati e produzione di informazione statistica sulle principali dimensioni della qualità dell'ambiente nelle città, tra le quali è compreso il verde urbano;
   nel capitolo 8, si elencano i quesiti che sono stati inseriti nel questionario relativo al verde urbano per il rilevamento riferito al 2015 – riferiti all'applicazione di alcune disposizioni della legge 10 del 2013 – e che riguardano le modalità di esecuzione e le caratteristiche del censimento del verde urbano, l'applicazione delle disposizioni relative all'obbligo di porre a dimora un albero per ogni neonato, la redazione del bilancio arboreo e infine la promozione di iniziative locali per lo sviluppo degli spazi verdi urbani;
   all'interno del capitolo 8, si da conto delle modifiche apportate al modulo dell'indagine Istat «Dati ambientali nelle città» che consentono di sapere, per quanto riguarda i 116 comuni capoluogo di provincia, le superfici classificabili come verde urbano, quelle che sono ricomprese all'interno del perimetro delle aree protette e quelle destinate all'uso agricolo, con l'avvertenza, riportata in nota, che sono dati che non si possono sommare visto che in alcuni casi si hanno delle parziali sovrapposizioni;
   nello stesso capitolo, si precisa che lo stesso questionario del verde urbano contiene una sezione dedicata agli strumenti di pianificazione e governo, con alcuni quesiti destinati a raccogliere dati sull'approvazione del Piano del Verde urbano, sulla redazione di Regolamenti del verde (limitati al solo verde pubblico o verde privato e relativi ad entrambe le componenti), e infine sulla presenza sul territorio comunale di reti ecologiche e di alberi monumentali (dichiarati di notevole interesse pubblico ai sensi del Codice dei beni culturali – decreto legislativo n. 42 del 2004);
   lo stesso questionario del verde urbano contiene, anche, una sezione dedicata alla raccolta di dati sui siti della Rete Natura 2000, sulle aree naturali protette e i parchi agricoli (presenza ed estensione), e infine una sezione dedicata al verde urbano a gestione pubblica, finalizzata alla raccolta di dati sull'estensione e numerosità di alcune tipologie del verde urbano, tra i quali non sono compresi riferimenti univoci alla classificazione urbanistica, al regime patrimoniale e/o all'effettiva fruibilità delle stesse aree verdi, e dunque, elementi utili a verificare l'applicazione del più volte citato decreto ministeriale 1444/1968;
   negli allegati, sono riportati, in modo più dettagliato, le informazioni e i dati descritti e valutati all'interno dei capitolo 7 ed 8 della relazione;
   a causa della copertura del campione, della natura e del livello di aggregazione dei dati forniti (la disponibilità pro capite di verde riferita all'intero territorio comunale, per esempio, non dice praticamente nulla dell'effettiva possibilità di goderne da parte dei cittadini, anche in considerazione del fatto che il campione esaminato riguarda grandi città, e di dimensioni significativamente diverse), dell'indeterminatezza delle informazioni sulla disponibilità delle aree verdi rilevate, e dell'assenza totale di riferimenti alla classificazione urbanistica delle medesime aree secondo gli interroganti, la Relazione non contiene – neanche in modo molto approssimativo – gli elementi necessari per la verifica dell'applicazione nei comuni italiani delle disposizioni di cui al decreto del Ministro dei Lavori Pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, come richiesto dal citato articolo 4 comma della legge 10 del 2013 –:
   se, in che modo – e in tempo utile per la predisposizione della prossima relazione annuale – intenda mettere il Comitato per lo sviluppo del verde pubblico in condizione di non dover riutilizzare/rielaborare i dati del Rapporto annuale dell'ISPRA sulla qualità dell'ambiente urbano, ma di poter acquisire e utilizzare le informazioni relative all'applicazione del decreto ministeriale 1444/1968, da parte dei comuni italiani e, dunque, di poter predisporre allegare alla relazione il rapporto annuale, conformemente a quanto richiesto dall'articolo 4, comma 1, della legge n. 10 del 2013;
   se e in che modo – sulla base dei dati non sufficientemente circostanziati contenuti nel rapporto annuale presentato il 30 maggio 2015 – ritenga che quanto previsto dall'articolo 4, comma 2, della legge n. 10 del 2013 possa comunque trovare applicazione e che sia, dunque, assicurata l'approvazione delle varianti urbanistiche, da parte dei comuni inadempienti rispetto alle norme di cui al decreto ministeriale 1444/1968, tra i quali vanno annoverati anche quelli che non ottemperano all'obbligo di ripianificare le aree con destinazione pubblica dopo che, come è accaduto a Roma ormai due anni fa, è scaduto il termine quinquennale di efficacia dei vincoli preordinati all'espropriazione;
   se e in che modo – al fine di poter disporre di un elenco dei comuni che si trovano nelle condizioni descritte dall'articolo 4 comma 2 – intenda acquisire le necessarie informazioni sul regime urbanistico delle aree verdi presenti all'interno dei singoli territori comunali, e dunque anche sull'efficacia dei vincoli espropriativi apposti in sede di pianificazione generale e/o attuativa che – come è stato ricordato in precedenza, è accaduto a Roma – dopo cinque anni decadono, con la conseguenza che l'acquisizione e la funzionalizzazione delle stesse aree, a beneficio delle comunità locali, possa avvenire soltanto attraverso appositi provvedimenti volti alla reiterazione dei vincoli e alla corresponsione ai proprietari delle aree in questione di una apposita indennità, ai sensi dell'articolo 39 del decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001. (4-09374)


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 27 maggio 2015, nel corso di una registrazione televisiva su un'emittente locale calabrese, il candidato sindaco del movimento cinque stelle Giuseppe D'Ippolito ha denunciato l'esistenza di una terra dei fuochi anche a Lamezia Terme. D'Ippolito, con il supporto di fotografie, ha fatto vedere come, lungo il rettifilo che conduce a S. Eufemia, accanto al letto del fiume del fiume Bagni, esista ancora la vecchia discarica comunale non bonificata, dove sono sotterrati, in una estensione di vari ettari, diverse tonnellate di rifiuti che col tempo sono via via riemersi;
   il candidato sindaco di Lamezia Terme ha testimoniato – riportando le immagini sulla sua pagina facebook – come in questo sito siano state ammassate, tra le altre cose, tonnellate di vetro che potevano essere destinate al riciclo;
   con piogge anche di modesta entità il fiume Bagni esce dai propri argini sversando acqua inquinata nei terreni antistanti – coltivati ad oliveto – e nel mare, che dista solo poche centinaia di metri;
   il rapporto di caratterizzazione della discarica «Bagni» – come descritto nella valutazione ambientale strategica nel piano strutturale comunale della città di Lamezia Terme, di cui si riporta un estratto conferma quanto già emerso dai precedenti esami svolti sull'area di riferimento, ovvero che le potenziali fonti di contaminazione sono localizzate, in prevalenza, dove è ubicato l'ammasso di rifiuti solidi urbani;
   dal punto di vista degli inquinanti presenti nel suolo, le risultanze analitiche evidenziano una contaminazione da molteplici parametri, con superamenti dei valori di soglia prefissati dalla normativa vigente (Decreto legislativo n. 152/2006 e successive modificazioni ed integrazioni) soprattutto nello strato intermedio e profondo;
   i principali inquinanti presenti in quantità rilevanti sono: arsenico, stagno e idrocarburi C>12, per i quali le analisi hanno rilevato superamenti in molti di punti dell'area esaminata;
   in rapporto agli elevati valori riscontrati il rapporto ipotizza, per quanto concerne l'arsenico, «che una presenza così significativa [...] oltre a fenomeni di contaminazione chiaramente legati all'esistenza dell'ammasso di rifiuti all'interno del sito, possa avere anche un'origine di tipo naturale, essendo il sito di Lamezia un deposito alluvionale ed essendo vicino ad una zona termale, posta immediatamente a monte del sito.»;
   invece, con riferimento alle quantità rilevanti di idrocarburi pesanti, è stato ipotizzato «che, oltre all'abbandono, all'interno del sito, di contenitori di oli e gasolio, di origine abusiva, possano essere intervenuti fattori legati a fenomeni di combustione accaduti nel sito, probabilmente anteriori all'apertura della discarica di RSU.»;
   la presenza di tali fattori inquinanti in quantità rilevanti hanno evidenziato, in sede di analisi di rischio, la non accettabilità dello stesso e la conseguente necessità di avviare la bonifica del sito;
   le acque di falda, nell'area in esame, presentano superamenti nei valori di ferro e manganese, probabilmente riconducibili alle caratteristiche idrogeochimiche del territorio, peraltro proprie di ampie zone del territorio calabrese. Dal rapporto emerge in ogni caso anche la significativa presenza di piombo e solfati;
   infine, la massa di RSU presente in discarica è risultata essere ancora «biologicamente attiva, con una discreta quantità di biogas ancora residente all'interno del sito». Con ogni probabilità, i rifiuti «sono ancora in fase degradativa e non mostrano un significativo grado di mineralizzazione»;
   ciò che lascia più stupiti è la dichiarazione che l'arsenico potrebbe essere contenuto nelle fonti termali dove centinaia di cittadini si recano di continuo per sottoporsi a bagni sulfurei e cure sanitarie –:
   se intenda promuovere una verifica da parte del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente nell'ottica di scongiurare il pericolo di inquinamento ambientale derivante dallo sversamento in mare e nei terreni coltivati del percolato prodotto dalla discarica comunale di Lamezia Terme a ridosso del fiume Bagni.
(4-09382)


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è da segnalare con carattere di urgenza gli ennesimi caso di mala gestione degli spiaggiamenti di cetacei (sono innumerevoli le segnalazioni pervenute all'interrogante), derivate dalla mancata applicazione dei necessari protocolli – per altro ben noti a livello internazionale sia per gli spiaggiamenti dei cetacei vivi che morti – a tutela della specie stessa, per la relativa indagine necroscopica necessaria per scoprirne le cause del decesso, ma anche per la tutela della salute e dell'incolumità pubblica;
   a San Menaio (Foggia) già nel febbraio 2015 fu rinvenuto un «delfino» spiaggiato e ancora nella giornata del 6 aprile 2015 è stato rinvenuto un tursiope spiaggiato, come riporta la stampa locale;
   il ritrovamento del cetaceo, in fase iniziale di decomposizione e il sotterramento dello stesso con l'ausilio di una escavatrice, è avvenuto presso Torre Mileto e Marina di Lesina (Lesina Foggia) il giorno 5 giugno scorso;
   il tutto è stato ampiamente documentato da alcuni lungimiranti cittadini che descrivono e dimostrano, tramite le immagini, come si siano susseguiti, di fatto, una serie di comportamenti gravemente omissivi e, ad avviso dell'interrogante anche di dubbia legittimità. Il tutto è verificabile dal video pubblicato sul sito: www.sannicandro.org;
   le notizie apprese anche dai mass media riguardano inoltre una serie di cetacei spiaggiati e deceduti di cui non vi è però traccia e nessuna risposta da parte delle locali autorità competenti nonostante le reiterate richieste di alcune associazioni animaliste;
   sempre nella giornata del 6 aprile 2015 è stato rinvenuto un esemplare di grampus griseus presso San Vincenzo (Livorno) e gli interventi messi in pratica sono evidentemente poco conformi ai protocolli internazionali, basti vedere in quali condizioni meteo marine si è cercato di riportare al largo il soggetto;
   i cetacei appartengono a specie particolarmente protette e sono patrimonio indisponibile dello Stato;
   è necessaria specifica formazione e comprovata professionalità ed esperienza dei veterinari coinvolti e degli operatori tutti;
   è ben nota la trasmissione di patologie da e per i cetacei e il possibile ruolo di vettore che gli operatori possono rappresentare per numerose e gravi patologie quali per esempio il morbillivirus (Dolphin Morbillivirus Infection in a Captive Harbor Seal (Phoca vitulina) Sandro Mazzariola) quale è trasmissibile come nel caso in questione posto dal dottor Mazzariol da un operatore intervenuto su un tursiope spiaggiato che è stato vettore del virus nei confronti di una foca detenuta presso Zoomarine di Torvaianica;
   nel caso di Sannicandro come sia stato possibile occultare i corpi di animali appartenenti peraltro a specie particolarmente protette;
   in particolare, se sia nota la dinamica dell'interrogante in una spiaggia pubblica dell'animale senza aver escluso possibili zoonosi e, inoltre, come si spieghi che non sia stato segnalato l'interramento e impedito dell'accesso alla spiaggia stessa per le ragioni di cui sopra;
   se e quali interventi siano garantiti e per tramite di quale atto formale (non risulta vi siano circolari e altri atti) relativamente alle azioni intraprese dai Ministeri per il funzionamento della rate di pronto intervento operativa per i cetacei spiaggiati – pubblicizzata anche a mezzo stampa – e quali siano gli enti di riferimento e a che titolo siano stati coinvolti e da quale data, quali siano i provvedimenti, le determinazioni e gli atti ufficiali emanati dai Ministeri tesi a garantire il corretto servizio di intervento sui cetacei spiaggiati e con quali economie, strumenti, mezzi e coordinamento. (4-09386)


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sono continui i sequestri da parte del Corpo forestale dello Stato – i dati sono rinvenibili sul portale del CFS e sulla stampa – relativi a diversi strumenti illegali e tra i tanti le tagliole, destinati alla cattura di fauna selvatica che appartiene al patrimonio indisponibile dello Stato;
   il regolamento (CEE) n. 3254/91 del Consiglio vieta l'uso di tagliole nell'Unione europea. Il divieto riguarda anche più ampiamente l'importazione nell'Unione europea di pellicce e di prodotti manufatti di alcune specie di animali selvatici originari di Paesi che utilizzano per la loro cattura tagliole o metodi non conformi alle norme concordate a livello internazionale in materia di cattura mediante trappole senza crudeltà;
   il divieto d'uso di tagliole ed altri strumenti di cattura è previsto dalla legge n. 157 del 1992, articolo 21, lettera u), e confermato dalla sentenza: «Tagliole, lacci e trappole costituiscono mezzi di caccia vietati.» Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza n. 3066 o 12910 del 13 ottobre 1998, registro generale n. 15954/98, depositata in cancelleria l'11 dicembre 1998;
   tali divieti nazionali ed europei scaturiscono dalla attenta indagine scientifica effettuata che ha dimostrato le gravi sofferenze inflitte agli animali nella cattura con simili dispositivi;
   la tagliola, in particolare, imprigiona l'animale e determina gravissime lesioni fisiche e psicologiche e per queste ragioni è stata vietata;
   le trappole finalizzate all'immobilizzazione non sono state considerate corrispondenti alle norme in materia di cattura senza crudeltà;
   la decisione nasce dagli evidenti danni fisici e psicologici osservati negli animali: ferite gravi, lacerazioni dei legamenti, dei tendini, macerazione dei tessuti molli, congelamento delle estremità;
   è pertanto evidente che l'uso delle tagliole sia vietato in tutto il territorio italiano e che l'eventuale uso e la verifica di cattura di qualunque specie selvatica possono anche integrare gli estremi del reato di «furto venatorio»;
   a giudizio dell'interrogante l'utilizzo di tali dispositivi per la cattura di qualunque specie animale può integrare il reato di maltrattamento animale ai sensi del 544-ter del codice penale come ampiamente descritto nell'analisi giuridica «Bracconaggio, furto venatorio e maltrattamento» a commento della sentenza del tribunale di Varese n. 1528 del 20 novembre 2013 a cura dell'avvocato Carla Campanaro (http://www.dirittoambiente.net) –:
   quale siano gli interventi urgenti che i Ministri interrogati intendano porre in essere per garantire il rispetto della normativa vigente, la prevenzione e la tutela della fauna selvatica quale patrimonio indisponibile dello Stato;
   se, in considerazione della portata del fenomeno, non si consideri opportuno assumere iniziative per porre il divieto di vendita, anche on line, di qualunque dispositivo atto alla cattura della fauna selvatica con evidenti finalità illecite e con caratteristiche sopra descritte;
   se non ritengano opportuno predisporre la diffusione di tabellonistiche informative, nonché, ove ne ricorrano i presupposti, circolari per i sindaci e i comuni sui divieti sopracitati;
   se, in considerazione di quanto descritto in premessa, non ritengano di dover debitamente informare ed ulteriormente richiamare l'attenzione delle forze dell'ordine deputate all'intervento e alla prevenzione di tali reati per un rafforzamento del sistema dei controlli. (4-09387)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BASILIO, RIZZO e TOFALO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il Generale di Divisione dell'Esercito Paolo Gerometta, attuale Direttore Generale di PERSOMIL (direzione generale per il personale Militare), ricopre contemporaneamente anche l'incarico di Presidente della sezione esercito del COCER (Consiglio Centrale della Rappresentanza militare);
   il predetto doppio incarico ha indotto alcuni media a definire l'Ufficiale in parola «Generale-Sindacalista», mettendo in discussione la molteplicità delle cariche ricoperte e la loro incompatibilità nell'ordinamento militare, a causa dell'evidente contrapposizione di ruoli e di funzioni;
   nell'ambito dell'amministrazione della difesa spetta a PERSOMIL il potere disciplinare e di determinazione del trattamento giuridico, economico e di avanzamento del personale militare, mentre spetta al COCER la funzione di rappresentanza e di tutela degli interessi del medesimo personale;
   appare alquanto inopportuno che il medesimo ufficiale possa ricoprire contemporaneamente due funzioni contrapposte tra loro, assumendo su di se sia la difesa degli interessi dell'Amministrazione della Difesa che quelli, presumibilmente diversi, della Rappresentanza militare;
   già in passato, peraltro, il generale Gerometta aveva ricoperto contemporaneamente l'incarico di Capo del I reparto affari giuridici ed economici del personale presso SME e l'incarico di presidente della sezione Esercito del COCER;
   consta all'interrogante, inoltre, che la posizione del generale Gerometta non sia l'unico caso di potenziale conflitto di interesse nelle Forze armate;
   attualmente anche nell'ambito della Marina militare, infatti, risulta anomala la condizione del Contrammiraglio Pietro Luciano Ricca, contemporaneamente a capo del COCER Marina e del 1o reparto di SMM;
   è innegabile che l'attribuzione di due incarichi contrapposti tra loro in capo allo stesso ufficiale pregiudica la serenità, la trasparenza e la corretta amministrazione della difesa, oltre a ridimensionare la funzione di tutela del personale militare a cui è istituzionalmente preposto il COCER –:
   se il Ministro non ritenga opportuno, effettuate le dovute valutazioni, provvedere in tempi rapidi ad un avvicendamento del generale Gerometta alla presidenza del COCER Esercito ovvero alla direzione di PERSOMIL. (5-05740)

Interrogazione a risposta scritta:


   BASILIO. — Al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   organi di stampa nazionali riportano in questi giorni la notizia di un accordo-memorandum, firmato a Bruxelles da Italia, Francia e Germania in occasione dell'ultima seduta del Consiglio Europeo Esteri-Difesa del 15 maggio scorso, avente ad oggetto la realizzazione di nuovi velivoli a pilotaggio remoto, già definiti «euro-droni» per un futuro impiego in attività di ricognizione, riconoscimento e sorveglianza di carattere europeo;
   in particolare, il predetto progetto, che prende il nome di RPAS (remotely piloted aircraft system), rientrerebbe tra quelli affidati alla European defence agency e dovrebbe coinvolgere i principali gruppi dell'industria della difesa europea, come Dassault (Francia), Airbus Defence e Space (Francia/Germania) e Finmeccanica-Alenia Aermacchi (Italia);
   tale progetto è stato presentato come una importante evoluzione nel campo dell'industria della difesa europea e nell'utilizzo della tecnologia in ambito militare, tanto che l'AD di Finmeccanica Mauro Moretti lo ha ritenuto «un passo decisivo per l'agenda della difesa e della sicurezza europea»;
   si ritiene, infatti, che la realizzazione dei nuovi velivoli da parte dei gruppi industriali europei consentirà agli stessi di superare il colosso dell'industria statunitense della difesa e di assumere piena autonomia nel settore;
   l'accordo stipulato il 15 maggio 2015 riguarderebbe la fase iniziale di definizione dei requisiti tecnici e militari, oltre che la fattibilità complessiva del progetto, a cui seguirebbe una seconda fase che dovrebbe portare alla realizzazione di un prototipo entro il 2020 e, successivamente, all'operatività dei primi esemplari nel 2025;
   dal punto di vista tecnologico, i nuovi velivoli dovrebbero essere dotati di due turbogetti ed essere certificati per operare senza restrizioni nello spazio aereo europeo; dalle informazioni sinora pubblicate non è chiaro se sia stata definita la possibilità di armare i velivoli;
   nonostante gli effetti certamente positivi sul piano industriale e per lo sviluppo tecnologico applicato al comparto difesa-sicurezza, sussistono dubbi e perplessità circa l'eventualità che i nuovi «droni europei» possano essere armati ed essere utilizzati, quindi, anche in funzione offensiva;
   è di poche settimane fa la notizia che a causare la morte nel gennaio scorso del cooperante italiano Giovanni Lo Porto, in servizio in Pakistan per la ONG «Welt Hunger Hilfe» e preposto alla costruzione di alloggi di emergenza, fu un drone americano armato, utilizzato per bombardamenti durante un raid statunitense contro Al Qaida;
   sussistono, al contempo, dubbi e perplessità circa la possibilità che la conduzione di tali velivoli avvenga, da remoto, da parte di piloti privi di concreta esperienza di volo e, quindi, potenzialmente privi della capacità di comprendere la reale capacità offensiva di un drone armato –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se gli stessi corrispondano al vero;
   se non ritengano opportuno, anche alla luce delle notizie diffuse dai mass-media, specificare dettagliatamente le caratteristiche tecnico-operative dei nuovi velivoli a pilotaggio remoto, con particolare riferimento alla possibilità che gli stessi possano essere armati;
   se non ritengano opportuno effettuare una stima dell'incidenza costi/benefici che tale progetto potrà arrecare all'industria della difesa italiana. (4-09381)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   PARENTELA, ALBERTI, PISANO, VILLAROSA, CANCELLERI e PESCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   dal punto di vista civilistico le parti sono libere di stabilire il prezzo della compravendita di un terreno edificabile ma l'ultima parola resta sempre all'Agenzia delle entrate che potrà contestarne la congruità rispetto al valore teorico del bene ricavato applicando le quotazioni dell'Osservatorio del mercato immobiliare (OMI) pubblicate semestralmente agli immobili costruiti in quella zona stimando il valore del terreno nella misura di un terzo rispetto a quello complessivo dei fabbricati già edificati;
   secondo il costante orientamento della giurisprudenza, la stima OMI non può rivestire natura di presunzione legale, ma di presunzione semplice, costituendo un atto di parte, che pur ritenuto sufficiente per la motivazione dell'atto di rettifica, è di per sé privo di valore probatorio ove non supportato da elementi certi e precisi. Incombe pertanto all'ufficio, che ha fatto propria la stima dell'Agenzia del territorio, supportare la pretesa con elementi precisi e concordanti in grado di disattendere il valore indicato nell'atto di compravendita sottoposto a rettifica;
   con circolare n. 18/e del 14 aprile 2010, la stessa Agenzia delle entrate ha espresso il suo parere favorevole all'archiviazione delle controversie per le quali l'accertamento di valore (ai fini IVA però) ed il relativo contenzioso sono stati fondati unicamente sui valori OMI;
   la succitata circolare consegue all'abrogazione disposta dall'articolo 24 della legge comunitaria 2008 dell'articolo 54, comma 3 del decreto del Presidente della Repubblica 633 del 1972 in materia di IVA e all'articolo 39 lettera d) decreto del Presidente della Repubblica 600 del 1973 (in materia di imposte dirette) che ha fatto venir meno la possibilità per l'amministrazione finanziaria di rettificare, solo in materia di IVA e di imposta sul reddito, il valore dichiarato nell'atto di compravendita in base al raffronto con il valore normale desunto dalle valutazioni OMI, cui era stata attribuita natura di presunzioni legali a favore del fisco;
   in teoria, quindi, permane per l'amministrazione finanziaria la possibilità di utilizzare la stima OMI in materia di imposta di registro, ove in effetti, ai sensi dell'articolo 51, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, il valore imponibile è quello venale in comune commercio, in correlazione al quale, ai sensi dell'articolo 52 dello stesso decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, l'ufficio può esercitare il potere di rettifica del corrispettivo dichiarato in misura inferiore;
   recentemente, un crescente numero di comuni, ha imposto, sui terreni edificabili, il pagamento dei tributi locali sul valore stabilito dalle stime OMI piuttosto che continuare a consentire il calcolo della tassazione sul reale prezzo di mercato come era finora in uso. Questo scaltro stratagemma ha consentito di aumentare la tassazione poiché il valore OMI risulta quasi sempre più elevato e non in linea con i prezzi realmente riscontrabili in comune commercio basti pensare che il presidente di Confedilizia, nel giugno 2014, a seguito di un monitoraggio a campione in varie città italiane su 2.500 acquisti di immobili presso le aste giudiziarie, ha denunciato che: «i valori di mercato si stanno riducendo fino a un quinto delle stime OMI». Chi, poi, possiede terreni considerati dai comuni edificabili, pur non avendone i requisiti e solo perché ricadenti in zone edificabili, subisce anche la beffa di pagare pesanti tasse nonostante gli sia preclusa la possibilità di costruirci alcunché;
   la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma, n. 547/5/13, depositata il 31 ottobre 2013, con riferimento ai valori OMI, ribadisce che essi rappresentano medie indicative di valori rilevati o stimati, non hanno alcun peso legale e non possono essere utilizzati come unico mezzo per determinare il valore degli immobili;
   sul sito dell'Agenzia delle entrate, a dimostrazione di quanto il sistema sia complesso e farraginoso, si precisa che «al momento non è ancora possibile fornire valori delle aree edificabili poiché sia l'architettura della relativa Banca Dati, che le modalità di rilevazione ed elaborazione delle quotazioni sono in una nuova fase di studio e sperimentazione»;
   nel periodo ottobre – dicembre 2014 le controversie di carattere tributario pervenute in entrambi i gradi di giudizio sono state 68.834, con un incremento del contenzioso del 18,6 per cento (pari a +10.804 controversie), rispetto al quarto trimestre dello scorso anno. La riduzione del contenzioso «obiettivo prioritario dell'Agenzia cui deve essere finalizzata tutta l'attività svolta presso gli Uffici» risulta dunque completamente disatteso –:
   se non ritenga opportuna un'iniziativa normativa che possa fare ulteriormente chiarezza sul punto, confermando definitivamente l'orientamento di avversità ai valori OMI;
   se non intenda assumere iniziative per rimediare al paradosso per cui si pagano tributi su prezzi teorici maggiorati mentre il valore reale dei terreni continua a scendere;
   se il Ministro non ritenga di dover intervenire in materia portando avanti la lotta all'evasione ma evitando, al contempo, che nelle maglie del fisco restino intrappolati gli onesti cittadini, i quali, oltre a soffrire il peso di questa crisi economica si trovano persino a subire l'onta di essere trattati da evasori;
   quali iniziative di natura normativa intenda intraprendere al fine di non ostacolare ulteriormente la difficile ripresa del mercato immobiliare e salvaguardare al contempo la credibilità del sistema Paese. (4-09388)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   POLVERINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nella mattina del 5 giugno 2015 si è verificato uno scontro tra due convogli della linea B della Metropolitana di Roma nella stazione Eur – Palasport che ha causato il ferimento di 21 persone;
   lo stato precario di manutenzione e sicurezza che interessa l'armamento riguardante le tratte tra le stazioni Laurentina – Eur Fermi (dir. Rebibbia), Castro Pretorio — Policlinico (nelle due direzioni) e Ponte Mammolo – Rebibbia (dir. Rebibbia) della linea B della Metropolitana di Roma, per non parlare dello stato di illuminazione in cui versano alcuni tratti delle gallerie, era già stato segnalato in data 20 maggio 2015 dalla Segreteria nazionale – Federazione autoferrotranvieri UGL e sottoposto all'attenzione del Ministro interrogato ed a quella dell'assessore ai trasporti di Roma Capitale, Improta –:
   quali iniziative urgenti intenda assumere, per quanto di competenza, per fare chiarezza sulla dinamica dell'incidente ovvero se siano state adottate tutte le misure di emergenza previste per evitare collisioni di tale portata e soprattutto per verificare gli standard di sicurezza dei trasporti pubblici nella Capitale e garantire l'incolumità degli utenti e dei lavoratori.
(4-09378)


   PARENTELA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Galatro nella Piana di Gioia Tauro provincia di Reggio Calabria è stata costruita la diga più alta d'Europa (104 metri) con una superficie di lago di oltre un chilometro quadrato ed una capacità di portata di 26,5 milioni di metri cubi d'acqua;
   il progetto di massima venne concepito essenzialmente per poter derivare l'acqua a scopo irriguo durante la stagione estiva, invasando i serbatoi durante il periodo invernale;
   quella della diga del Metramo è una storia infinita: il suo costo è lievitato attraverso sette perizie di varianti e 112 stati di avanzamento lavori passando dagli iniziali 15 miliardi di lire ai 39 all'approvazione del progetto nel lontano 1978 (esecutivo approvato nel 1981). Alla fine il costo è salito a 420 miliardi di vecchie lire a cui andranno ad aggiungersi altri 71 miliardi per la canalizzazione, solo in parte disponibili. I lavori, avviati nel 1981, furono solo in parte completati nel 1994 e l'opera venne collaudata venti anni dopo (4 aprile 2013) dopo dal Servizio nazionale dighe;
   non sono mai state realizzate le opere finalizzate al sistema di canalizzazione e distribuzione a valle, fondamentali per il trasporto dell'acqua e quindi per consentire «l'uso agricolo, potabile, industriale» nella piana di Rosarno-Gioia Tauro oltre a non essere mai stata ultimata la galleria di derivazione dell'acqua verso i piani di Ghilina a completamento dello schema idrico;
   il sindaco di Galatro Carmelo Panetta, nella lettera di convocazione della riunione operativa tenutasi il 12 marzo scorso con il consorzio di bonifica, la regione Calabria ed il prefetto ha affermato: «... visto lo stato di piena dell'invaso e quantunque i diversi Enti, a ciò preposti, hanno confermato la volontà di procedere al suo collaudo, ancora oggi non vi è documentazione in proposito, tale da rassicurare circa la sicurezza dell'opera... e dato atto che non vi sono sistemi di sorveglianza (e se esistono, il comune di Galatro non ne è a conoscenza) atti a segnalare eventuali deficienze della struttura... per questo ha indetto la riunione operativa onde discutere e dare concreta attuazione agli adempimenti normativi in merito»;
   in una precedente occasione, proprio nell'aula del consiglio comunale, il sindaco Panetta ha affermato che: «più volte ha scritto agli Enti preposti per smuovere le acque, quando l'acqua ha raggiunto il massimo livello, ma non sono mai venuto a capo di nulla, nonostante la denuncia che in una eventuale emergenza, l'amministrazione non è in grado di allestire un eventuale piano di evacuazione e gli argini non sono in grado di reggere a una eventuale emergenza... Qualcuno deve farsi carico del problema, perché il problema esiste e, considerato che la diga così come è adesso non serve a nessuno e gestirla in questi termini rappresenta solo un pericolo che non ci porta nessuna utilità... il nostro progetto è riuscire a far mettere d'accordo i vari soggetti interessati per un progetto di sviluppo per la diga... bisogna trovare un progetto per usare la diga... Renderla sicura e utile... altrimenti svuotiamola !»;
   non è mai stata fatta chiarezza sulle voci che circolano su presunti carichi di rifiuti tossici e radioattivi che si troverebbero seppelliti nei muraglioni della diga sulla Castagnara oggetto di due articoli de il Quotidiano dell'agosto 2009;
   la diga del Metramo è l'esempio più emblematico delle 12 dighe progettate in Calabria e rimaste incompiute, simbolo di cattiva programmazione, illegalità e spreco di denaro pubblico;
   il Regno Unito in meno di un decennio ha ultimato il tunnel nella Manica, l'Italia in 30 anni non è riuscita a completare una diga locale;
   in Calabria, l'unico settore, oltre a quello turistico, che può determinare occupazione e reddito è certamente quello agricolo, unitamente all'industria di trasformazione dei prodotti stessi. Non vi è dubbio quindi che quest'opera, che consentirà l'utilizzazione di tanti milioni di metri cubi d'acqua, rendendo irrigue vaste zone di territorio, rappresenti uno dei punti basilari del processo di evoluzione di una regione che versa in uno stato di grave emergenza occupazionale e sociale –:
   se, una volta effettuate opportune analisi di campione dei fondali dell'invaso per verificare eventuali tracce di radiogeni, non ritenga opportuno, in caso di esito negativo, intervenire affinché, tra le grandi incompiute possa trovare una corsia di emergenza la diga sul Metramo di cui la collettività, l'economia agricola, l'indotto, non possono più prescindere, complice la precarietà dell'assetto idrogeologico;
   se non ravvisi l'urgenza di verificare eventuali deficenze della struttura non essendo, l'amministrazione comunale, in grado, allo stato attuale, di far fronte ad un'eventuale emergenza con un piano di evacuazione dei cittadini che vivono nei pressi della diga. (4-09380)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel 2014 sono arrivati in Italia oltre 12000 minori stranieri non accompagnati, di cui la maggior parte sono bambini e ragazzi in fuga dalle guerre;
   il Governo italiano, per garantire un'adeguata assistenza ed un percorso di integrazione a queste persone, ha istituito nel 2015 attraverso il Ministero dell'interno un fondo di emergenza per il miglioramento delle capacità di accoglienza;
   si tratta di circa 7,5 milioni di euro ripartiti in dieci progetti da 140000 euro in tutto il territorio nazionale;
   in queste settimane stanno emergendo numerose denunce relativamente alle condizioni di almeno sei strutture di prima accoglienza gestite dall'Arci Napoli situate nel territorio comunale di Casoria;
   l'Arci Napoli, per gestire tali strutture, ha vinto un bando da circa 740000 euro;
   riprese video mostrano pareti ammuffite, infiltrazioni e pessime condizioni igieniche nei bagni e nelle cucine;
   operatori che hanno lavorato in quelle strutture hanno confermato tale situazione, specificando che in quei centri mancavano anche beni e generi di prima necessità (dai vestiti al cibo), e che i minori portati lì presentavano patologie, come scabbia e bronchiti cronache, implicanti la necessità di cure e condizioni di vita adeguate;
   gli operatori intervistati hanno parlato di una pressoché totale inesistenza di mediatori culturali delegati a seguire il percorso di accoglienza ed integrazione di tali minori;
   è stata segnalata, inoltre, come una corposa porzione di turni presso le strutture in questione sia coperta da volontari del servizio civile privi di qualsiasi formazione in materia di accoglienza, integrazione e/o mediazione culturale;
   gli operatori intervistati affermano di aver già in passato segnalato all'Arci Napoli la situazione, senza ricevere risposta e senza essere più confermati alla scadenza del contratto;
   i fatti narrati sono riportati nella videoinchiesta pubblicata dal quotidiano online «Fanpage.it» il 5 giugno 2015 con il titolo «Strutture fatiscenti e scarsa assistenza: il business dei centri d'accoglienza per minori stranieri» –:
   se non ritenga doveroso ed urgente intervenire al fine di fare immediatamente luce e chiarezza sulla gestione delle strutture di prima accoglienza site nel comune di Casoria e dei fondi ad esse destinati;
   se non ritenga doveroso ed urgente verificare se anche altrove, sul territorio nazionale, vi sono casi analoghi. (4-09376)


   VEZZALI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 30 e 31 maggio 2015, ignoti rompevano i vetri dell'ufficio della dirigente scolastica dell'istituto comprensivo Marchetti di Senigallia, lanciando un oggetto infuocato che ha prodotto un inizio di incendio;
   a detta degli inquirenti l'azione era mirata proprio alla dirigente scolastica, già precedentemente minacciata con scritti anonimi a lei recapitati;
   a detta della stessa dirigente scolastica, il clima all'interno della scuola è teso a causa di conflitti venutisi a creare tra corpo docenti, personale ata e presidenza;
   in considerazione del fatto che la dirigente parrebbe essere vittima di persecuzioni e attentati alla sua persona, l'ennesimo episodio occorso risulta essere grave per l'incolumità degli ottocento studenti che frequentano il plesso scolastico –:
   cosa il Governo intenda fare per salvaguardare la sicurezza della scuola e dei suoi studenti;
   se non intendano procedere immediatamente, per quanto di competenza, con misure cautelative per evitare epiloghi ancora più gravi. (4-09377)


   GUIDESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 31 maggio 2015 si è svolta a Lodi una manifestazione di propaganda islamica, promossa dai cosiddetti «Giovani Musulmani», con l'idea di sensibilizzare ed avvicinare la cittadinanza all'Islam;
   la manifestazione è stata autorizzata dal comune e ha contemplato l'allestimento di un gazebo nei pressi di una chiesa cattolica;
   nel corso delle loro attività al gazebo, giovani musulmane avrebbero offerto alle donne che si avvicinavano la possibilità di provare ad indossare un velo islamico, tipologia di indumento, ad avviso dell'interrogante, in alcune forme incompatibile con le vigenti norme di pubblica sicurezza in materia di riconoscibilità delle persone –:
   di quali informazioni il Governo disponga a proposito dell'organizzazione nota come Giovani musulmani;
   se i Giovani musulmani nel nostro Paese ed a Lodi in particolare siano sottoposti ad un qualsiasi genere di monitoraggio;
   se il Governo consideri compatibile con le esigenze di ordine pubblico la scelta di permettere che la manifestazione promossa dai Giovani musulmani avesse luogo proprio dinanzi ad una Chiesa cattolica. (4-09383)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che a parere degli interpellanti sostanzialmente a dispetto delle prerogative del Parlamento e della normativa vigente – con riferimento al disegno di legge attualmente in discussione al Senato sulla cosiddetta «buona scuola», il Governo si comporta come se il medesimo fosse stato già approvato definitivamente nel testo della Camera, tanto da metterne immediatamente in pratica le disposizioni;
   si tratta di un disegno di legge presentato dopo che era stato ipotizzato un decreto legge sulla stessa materia che il Governo, nel marzo 2015, ha all'ultimo momento deciso di non presentare, in aperta contraddizione con le più recenti dichiarazioni del Presidente del Consiglio che a Genova ha affermato di voler utilizzare più tempo nella discussione parlamentare: «ci metteremo una settimana in più..., purché si arrivi ad una riforma con il massimo coinvolgimento». Invece il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sembra aver fretta, fretta sempre cattiva consigliera nell'attuazione di una nuova normativa talmente complessa da essere, a parere degli interpellanti, comunque di difficile attuazione;
   si apprende infatti che, dopo una riunione in viale Trastevere con i direttori degli uffici scolastici regionali, siano state predisposte le circolari per chiedere ai dirigenti scolastici di individuare quali e quanti docenti servirebbero per il cosiddetto «organico potenziato dell'autonomia» di ogni singola istituzione scolastica, così come definito dall'articolo 2 del disegno di legge n. 1934, attualmente all'esame della 7a Commissione istruzione del Senato;
   ai dirigenti scolastici verrebbe richiesto: «Nelle more della conclusione dell’iter parlamentare di approvazione del disegno di legge si invita codesta dirigenza scolastica ad individuare le aree omogenee di attività e i relativi fabbisogni di personale secondo l'allegata scheda, avendo cura di specificare, per ciascuna area, le classi di concorso di riferimento», con buona pace delle competenze, pur ancora previste dal disegno di legge in discussione, sia del collegio docenti che del consiglio di istituto;
   ma è proprio sulla questione dei cosiddetti «ambiti territoriali» e della «individuazione» fatta dai dirigenti scolastici che potrebbero arrivare modifiche e novità dalla discussione in Senato al disegno di legge e, quindi, ad avviso degli interpellanti la richiesta fatta dagli uffici scolastici regionali, oltre ad essere in anticipo e illegittima rischia di essere superata proprio «dall’iter parlamentare di approvazione»;
   inoltre, anche presso le scuole la cosiddetta Buona Scuola è data come già approvata e al di là di ogni opinione e condotta contraria delle lavoratrici e dei lavoratori, si ritiene egualmente «superata» ogni normativa vigente. È il caso della legge 12 giugno 1990, n. 146 – Norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Presso l'I.P.S.S.S. «Edmondo De Amicis» di Roma, infatti, il dirigente scolastico con circolare n. 227 del 5 giugno 2015 avente per oggetto «condotta in occasione di eventuale adesioni a scioperi» comunica la «sua» normativa vigente e le «sue» relative «disposizioni organizzative», tra cui quelle per cui il personale docente e ATA che «non intenda presenziare allo scrutinio», dovrebbe comunicarlo «preventivamente» e che è possibile la sostituzione del personale in sciopero –:
   come il Governo intenda provvedere nel merito rispettando le prerogative costituzionali del Parlamento e la legge e assumendo iniziative sia per il ritiro e l'eventuale sospensione della circolare per i dirigenti scolastici sull'individuazione del presunto «fabbisogno di personale», sia per il ritiro della circolare del 5 giugno 2015 del dirigente scolastico dell'I.P.S.S.S. «Edmondo De Amicis» di Roma sull'obbligo di comunicazione preventiva dell'esercizio del diritto di sciopero e sulla possibilità di sostituzione dei lavoratori in astensione dal lavoro.
(2-00999) «Scotto, Giancarlo Giordano, Pannarale, Fratoianni».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GHIZZONI. —Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 24 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, ha introdotto la figura del ricercatore universitario a tempo determinato abolendo quella di ricercatore universitario di ruolo;
   il comma 3, lettere a) e b), del medesimo articolo introduce due tipologie della medesima figura, convenzionalmente indicate come «ricercatori TDa» o «ricercatori TDb»;
   la legge stabilisce che i posti di ricercatore TDb siano riservati a candidati che hanno usufruito di contratti di ricercatore TDa, ovvero, per almeno tre anni anche non consecutivi, di assegni di ricerca ai sensi dell'articolo 51, comma 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, ovvero ancora di borse post-dottorato ai sensi dell'articolo 4 della legge 30 novembre 1989, n. 398, o di analoghi contratti, assegni o borse in atenei stranieri;
   la stessa legge n. 240 del 2010, all'articolo 22, ha introdotto gli assegni di ricerca, sostanzialmente innovando la pregressa disciplina degli assegni di ricerca (articolo 51, comma 6, legge n. 449 del 1997), della quale peraltro recepisce le caratteristiche principali, ed abrogandola mediante l'articolo 29, comma 11, lettera d);
   il comma 3 del medesimo articolo 22 stabilisce che nessuno possa essere titolare di assegni di ricerca per un periodo superiore a quattro anni, fatto salvo il periodo di eventuale iscrizione a un corso di dottorato di ricerca;
   negli ultimi anni sono stati stipulati decine di migliaia di assegni di ricerca ex articolo 22, legge n. 240 del 2010 e istituiti purtroppo poche centinaia di posti di ricercatore TDa o TDb, tanto che recentemente, essendo già molti assegnisti vicini al termine massimo di quattro anni, l'articolo 6, comma 2-bis, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2015, n. 11, ha prorogato di due anni il termine stabilito dal comma 3 dell'articolo 22 della legge n. 240 del 2010 in modo da consentire loro la partecipazione alle selezioni per ricercatori a tempo determinato che si auspica possano finalmente partire in congruo numero;
   si è però aperta una delicata questione interpretativa in merito alla possibilità, per gli assegnisti ex articolo 22, legge n. 240 del 2010 che abbiano già svolto un triennio di assegno di ricerca, di partecipare alle selezioni per ricercatori TDb alla pari dei loro omologhi assegnisti ex articolo 51, legge n. 449 del 1997;
   risulta all'interrogante che le università si comportino in modo difforme le une dalle altre in base ad una diversa interpretazione dell'articolo 24, comma 3, lettera b), della legge n. 240 del 2010, alcune consentendo, altre negando l'accesso alle selezioni per ricercatori TDb agli assegnisti ex articolo 22, legge n. 240 del 2010, con almeno un triennio di assegno;
   il precariato universitario ha superato da tempo i livelli di guardia in presenza di un sostanziale blocco delle assunzioni, per cui anche un posto di ricercatore a tempo determinato rappresenta un'opportunità unica e irrinunciabile per molti ricercatori precari, in particolare se di tipo TDb, ovvero in tenure-track cioè con promessa di assunzione in ruolo a condizione che si consegua l'abilitazione ad associato nel triennio di validità del contratto a tempo determinato;
   è comunque utile che alle selezioni per ricercatori TDb possa partecipare il massimo numero di assegnisti o di altri ricercatori precari senza artificiose esclusioni in base a norme alquanto capziose e comunque di incerta interpretazione;
   sarebbe naturale che tutte le università utilizzassero la stessa interpretazione della legge vigente sotto l'aspetto estremamente delicato delle selezioni del personale;
   è tuttora in vigore l'articolo 22, comma 9, della legge n. 240 del 2010 che stabilisce che nessuno può essere titolare per più di dodici anni, anche non consecutivi, degli assegni di ricerca o dei posti di ricercatore a tempo determinato introdotti dalla stessa legge, per cui una mancata ammissione degli assegnisti alle selezioni per posti di ricercatore TDb potrebbe allungare loro surrettiziamente il periodo di precariato col rischio di raggiungere il limite massimo previsto dalla legge –:
   se il Ministro non ritenga opportuno intervenire urgentemente, anche sulla base delle considerazioni espresse in premessa, per chiarire e favorire un'univoca interpretazione tra gli atenei in merito alla possibilità per gli assegnisti ex articolo 22, legge n. 240 del 2010, di partecipare alle selezioni di ricercatore TDb. (5-05739)

Interrogazione a risposta scritta:


   GHIZZONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 22, della legge 4 novembre 2005, n. 230, ha abrogato gli articoli 1 e 2 della legge 3 luglio 1998, n. 210, che regolavano le procedure per la valutazione comparativa ai fini del reclutamento dei professori universitari di ruolo;
   ciò nonostante, in forza del disposto dell'articolo 12, comma 2, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, nonché dell'articolo 4-bis, comma 16, del decreto-legge 3 giugno 2008, n. 97, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 agosto 2008, n. 129, procedure di valutazione comparativa ai sensi della legge n. 210 del 1998 si sono svolte anche molti anni dopo l'abrogazione delle relative norme e si sono addirittura concluse, a causa di contenziosi instauratisi nel frattempo, anche successivamente all'entrata in vigore della legge 30 dicembre 2010, n. 240, che ha ulteriormente modificato le norme per la chiamata dei professori universitari di ruolo;
   l'articolo 29, comma 4, della legge n. 240 del 2010 stabilisce che coloro che hanno conseguito l'idoneità prevista dalla legge n. 210 del 1998 possono comunque essere destinatari di chiamata ai sensi della medesima legge sino al termine del periodo di durata dell'idoneità;
   il comma 8 del medesimo articolo ha altresì stabilito che, ai fini delle procedure di chiamata regolate dall'articolo 18 della legge n. 240 del 2010; l'idoneità ex legge n. 210 del 1998 è equiparata all'abilitazione scientifica nazionale introdotta dall'articolo 16 della legge n. 240 del 2010;
   l'articolo 8, comma 3, lettera a), della legge n. 240 del 2010 ha abolito il periodo triennale di straordinariato e di conferma rispettivamente per i professori di prima e di seconda fascia;
   risulta all'interrogante che alcuni idonei a concorsi banditi ai sensi della legge n. 210 del 1998 sono stati chiamati su posti di professore associato in data successiva a quella di entrata in vigore della legge n. 240 del 2010, quindi quando era stato già abolito il periodo di conferma;
   ciò nonostante le università interessate li hanno inquadrati come professori associati non confermati;
   quindi, allo scadere del triennio, costoro dovranno essere sottoposti a giudizio di conferma, a differenza degli abilitati chiamati direttamente su posti di professore associato ai sensi della legge n. 240 del 2010, senza bisogno di alcuna conferma, nonostante l'equiparazione tra idoneità e abilitazione disposta dalla medesima legge –:
   se il Ministro non ritenga opportuno dare indicazioni univoche agli atenei sull'interpretazione da dare alle norme citate in premessa e, in particolare, se non ritenga che per tutti i professori chiamati dopo l'entrata in vigore della legge n. 240 del 2010 debba valere il principio dell'abolizione del periodo di straordinariato o di conferma, anche ai fini di semplificare le procedure senza dover tornare a insediare le commissioni di ordinariato o di conferma in base a norme abrogate già dieci anni fa. (4-09375)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GINEFRA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 4 giugno i lavoratori e le lavoratrici degli ipermercati Coop di Puglia e Basilicata hanno scioperato per l'intera giornata per ribadire la propria contrarietà al piano di mobilità avviato da Coop Estense e ai propositi di esternalizzazione e precarizzazione all'interno dei punti vendita;
   Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil hanno denunciato che «l'azienda vorrebbe scaricare sui lavoratori gli effetti di una crisi dei consumi legata alla lunga fase congiunturale — con la Puglia che ha registrato una perdita di posti di lavoro negli ultimi sei anni di oltre 150 mila unità — tagliando salari, chiedendo di lavorare domeniche e festivi, continuando a essere ultra flessibili, e a fronte di tutto questo esternalizzare alcuni reparti e mansioni, portando dentro i punti vendita lavoro precario e sottopagato»;
   con tali scelte Coop Estense, sempre a detta delle sigle sindacali confederali, avrebbe posto in essere «comportamenti non all'altezza della storia della cooperazione italiana... trattando il Sud, i suoi soci, i suoi consumatori, soprattutto i suoi lavoratori in maniera differente da quelli dell'Emilia»;
   emergerebbe, sempre dal documento delle sigle sindacali, che i conti di Coop Estense sarebbero in attivo, con un utile salito del 22 per cento e con un processo di fusione avviato con altre due centrali cooperative che dà vita a un colosso da quasi 5 miliardi di fatturato;
   con nota all'interrogato Ministero il sindaco di Bari, l'ingegner Antonio Decaro, ha manifestato la sua «apprensione per gli esiti della trattativa in corso presso il Suo Ministero relativamente alla vertenza che vede contrapposti 147 lavoratori e la Coop estense e auspicato che si possa trovare una soluzione a salvaguardia degli attuali livelli occupazionali, evitando scelte aziendali che potrebbero determinare l'acuirsi di conflitti sociali in un territorio già fortemente compromesso»;
   per i sindacati da quanto si evince dai documenti prodotti un accordo sarebbe ancora possibile, escludendo le esternalizzazioni. Questi, infatti, darebbero la loro disponibilità, come già dichiarato ai tavoli di trattativa, a ragionare con i lavoratori del contratto integrativo –:
   quali iniziative intenda assumere per scoraggiare tale scelta aziendale apprezzando la disponibilità al confronto offerta dai sindacati, a partire dalla riunione convocata al Ministero il prossimo 16 giugno. (5-05741)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NICCHI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende da fonti di stampa da aprile a settembre centinaia di grossi pullman si spostano carichi di lavoratrici tra le province di Brindisi, Taranto e Bari per la stagione delle fragole, delle ciliegie e dell'uva da tavola. Grottaglie, Francavilla Fontana, Villa Castelli, Monteiasi, Carosino, sono solo alcuni dei nomi della geografia del caporalato italiano che sfrutta le donne. Il nome del caporale è scritto in grande, stampato sulla fiancata dei bus, insieme al numero di cellulare. «E per questo che nessuno li ferma», dice Teresa, nome di fantasia dell'inchiesta giornalistica;
   il potere del caporale si misura dal numero di pullman che possiede, perché questo è indice anche della quantità di lavoratori che riesce a controllare. Si va dalle cinquanta alle oltre 200 persone. Il caporale prende dall'azienda circa 10 euro a donna e sui grandi numeri guadagna migliaia di euro a giornata. «Nel magazzino per il confezionamento dell'uva da tavola dove lavoro ci sono mille operaie italiane, portate lì da più di dieci caporali diversi», racconta Antonio, bracciante della provincia di Taranto. In questi giorni i pullman percorrono quasi cento chilometri, dalla Puglia fino alle aziende agricole che producono fragole nel Metapontino, tra Pisticci, Policoro e Scanzano Jonico, in provincia di Matera;
   questi proprietari conferiscono il prodotto a dei consorzi di commercianti con sede nel nord Italia che hanno magazzini in loco. L'intermediario prende una percentuale variabile, almeno del 2 per cento, poi si aggiungono i costi delle cassette e la tariffa del 12 per cento pagata al «posteggiante», il personaggio che la espone in vendita ai mercati generali. Alla fine si arriva a un prezzo al consumatore anche di 7 euro al chilo nei supermercati di Milano;
   gli orari di lavoro e la paga variano a seconda del tipo di raccolta. Ma la regola sono impieghi massacranti e sottosalario. Alle fragole si lavora per sette ore, ma se sono mature e vanno raccolte subito si arriva anche a 10 ore. Nei magazzini di confezionamento si arriva anche a 15 ore. Ogni donna deve raccogliere una pedana di uva pari a 8 quintali. Se ci mette più tempo la paga resta uguale, per cui alla fine il salario reale è meno di 4 euro l'ora. «C’è il pregiudizio che le donne iscritte negli elenchi agricoli siano false braccianti – spiega Giuseppe Deleonardis, segretario della Flai Cgil Puglia – invece vivono una condizione di sfruttamento pari agli immigrati. Nel sottosalario, a parità di mansioni con gli uomini, c’è un'ulteriore differenza retributiva: se la paga provinciale sarebbe di 54 euro e all'uomo ne danno in realtà 35, la donna non va oltre 27 euro»;
   il salario ufficiale è di 50-60 euro. Ma vengono segnate la metà delle giornate di lavoro effettivamente lavorate. Le braccianti vengono costrette a firmare buste paga che rispettano i contratti, perché le aziende hanno bisogno di dimostrare che sono in regola per poter accedere ai finanziamenti pubblici. Di fatto continuano a pagare un terzo o al massimo la metà del salario dovuto, richiedendo indietro i soldi conteggiati in busta paga;
   «In provincia di Taranto, con inquadramento minimo, posso avere una busta paga “ufficiale” di 47 euro lordi, però in realtà me ne arrivano 27, massimo 28 a giornata – racconta Antonietta – L'azienda ci dà il foglio di assunzione, noi dobbiamo portarlo con noi tutti i giorni nel caso ci dovesse essere un controllo. L'autista del pullman risulta essere un dipendente dell'agenzia di viaggio». I datori di lavoro mettono la paga del caporale sull'assegno che percepiscono le lavoratrici, le quali riscuotono e danno al caporale la sua parte in nero;
   nei campi italiani succede di tutto, approfittando della disperazione e della crisi economica. C’è chi aspira a diventare una «fissa» della squadra del caporale come se fosse una specie di nota di merito in graduatoria. Chi subisce molestie sessuali o la richiesta di prostituirsi per poter lavorare. Ci sono donne caporali che sono anche proprietarie di pullman. Ma la figura più ambigua è quella che tutti chiamano «la fattora», una sorta di kapò al femminile con una funzione di ricatto. È lei la persona di fiducia del caporale che controlla le lavoratrici sul campo. «Il suo ruolo è di subordinare psicologicamente le braccianti, garantendo loro assunzioni se rinunciano ai diritti», spiega Deleonardis. «Alla minima protesta, rimostranza o insubordinazione si resta a casa per punizione – dice Teresa –. Anche se ti lamenti perché non vuoi viaggiare nel cofano del pulmino»;
   il fenomeno del caporalato in Italia è una piaga sempre più profonda. E la novità è che negli ultimi due anni c’è stato un aumento costante della manodopera femminile: donne ghettizzate, violentate e sfruttate che vanno lentamente a sostituire i braccianti di sesso maschile: oggi – dicono i dati che sta raccogliendo la Flai Cgil e che si pubblicano in anteprima – le straniere schiavizzate in agricoltura sono 15 mila (contro i 5 mila uomini). Sono quasi sempre giovani mamme, ricattabili proprio perché hanno figli piccoli da mantenere. Un dato impressionante, che si somma ad un altro elemento preoccupante: il numero sempre crescente delle lavoratrici italiane, che, se non schiavizzate, sono comunque gravemente sfruttate; sempre secondo le stime del sindacato, in Campania, Puglia e Sicilia, le tre regioni a maggiore vocazione agricola, sono almeno 60 mila, in proporzione crescente rispetto alle straniere. Vengono pagate 3-4 euro l'ora, ma anche meno in alcuni territori, e costrette a turni massacranti;
   i caporali che operano in Puglia vanno a reclutare le ragazze soprattutto nelle zone agricole della Romania, nelle campagne intorno a Timisoara o a Iasi, zona al confine con la Moldavia. Le imbarcano su pullman da 50 posti. Il viaggio dura un giorno e una notte. «Organizzano viaggi verso il sud Italia – racconta Concetta Notarangelo, coordinatrice del progetto Caritas in Puglia – ma sappiamo per certo che arrivano anche in Emilia Romagna. Ma nessuno ha il coraggio di denunciare. Qui non si tratta di caporali e basta, si tratta di organizzazioni criminali. Malavita. Il caporale è solo un anello della catena. Gli annunci per questi lavori escono addirittura su un giornale romeno. Non è solo un passaparola. E le donne hanno paura. Ma senza denunce nessuno viene punito. In tre anni che seguo il progetto Caritas abbiamo raccolto in tutto 15 denunce. E poi è comunque difficile provare il reato, ci sono alcuni processi in corso, ma per ora nessuna condanna»;
   in Campania ad essere schiavizzate sono le donne africane. «Se non accettano di avere rapporti sessuali con il datore di lavoro (quasi sempre italiano, ndr) non vengono pagate – spiega Cinzia Massa, responsabile immigrazione Flai Campania –. Non hanno permesso di soggiorno, ed essendo clandestine sono le più ricattabili»;
   secondo i dati della Flai Cgil solo in Puglia sono tra le 30 e le 40 mila le donne gravemente sottopagate, a cui vanno aggiunte diverse altre migliaia in Campania e in Sicilia. A volte partono alle tre di notte e tornano a casa di pomeriggio. I caporali intascano 12 euro per ogni donna che hanno «procurato». Anche se hanno un regolare contratto, vengono pagate 20-25 euro al giorno. Mentre sulla busta paga ne risultano 45. Succede soprattutto nel Casertano e nel Salernitano. «Mentre lavorano – denuncia ancora il sindacato – le donne vengono controllate da un guardiano, che grida continuamente di non distrarsi e di essere più veloci. Per andare in bagno hanno 10 minuti a turno. E se qualcuna si rifiuta di andare sui campi in un giorno di festa, come il 15 agosto, viene “punita”: per qualche giorno non la fanno lavorare». E se una ragazza è considerata troppo ribelle non viene scelta. Le donne selezionate vengono caricate sui furgoni o ammassate – anche in 30 – in camion telonati. Per questo «trasporto bestiame» ogni lavoratrice paga fino a 7 euro a viaggio;
   gli addetti all'agricoltura in Italia sono un milione e 200 mila. Nel 43 per cento dei casi – è il dato dell'Istat – si tratta di lavoro sommerso. E il giro d'affari legato al business delle agromafie, secondo le stime della direzione nazionale antimafia, è di 12,5 miliardi di euro all'anno. «Il caporalato – spiega Stefania Crogi, segretario generale Flai Cgil nazionale – è stato riconosciuto come reato penale solo nell'agosto 2011, ed è punibile con l'arresto da 5 a 8 anni. Prima era prevista solo una sanzione pecuniaria. Ma non sempre si riesce a provarlo, anche a causa delle difficoltà che incontrano le vittime nel denunciare. Serve un percorso di protezione» –:.
   se non intendano avviare politiche, anche a carattere normativo, che stronchino drasticamente ogni sfruttamento possibile senza tolleranza di sorta su casi come quelli descritti in premessa;
   se non ritengano, per quanto di competenza, di rafforzare politiche di controllo sanitario sui luoghi di lavoro in cui queste persone vengono fatte lavorare per molte ore al giorno;
   quali azioni, per quanto di competenza, intendano intraprendere al fine di controllare e reprimere ogni forma di sfruttamento del lavoro, nonché il fenomeno del caporalato, attraverso una rigorosa applicazione della normativa vigente. (4-09379)


   MARCON. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nei cantieri Arcese Trasporti di Montecchio Maggiore (che lavora in appalto per la multinazionale Usa Xylem), Altavilla Vicentina e Bologna lavora in appalto la cooperativa Libera di Occhiobello;
   il 3 maggio 2015, vista la pessima situazione economica, la cooperativa aveva convocato l'assemblea dei soci proponendo l'apertura dello stato di crisi, con pesanti ricadute sulle retribuzioni;
   i lavoratori hanno già la quota sociale da versare obbligatoriamente alla cooperativa di 5.000 euro, gli stipendi differiti di due mesi (a maggio hanno preso lo stipendio di marzo);
   i lavoratori in assemblea hanno bocciato la proposta della cooperativa sullo stato di crisi, e dopo una settimana la cooperativa ha dato la disdetta ad Arcese Trasporti;
   alla richiesta d'incontro Arcese Trasporti si è limitata a comunicare che «obiettivo della Scrivente sarà la continuità, lavorativa e occupazionale dei soci di Libera impiegati negli appalti», impegnandosi a far mettere in contatto la nuova società subentrante, il consorzio Gaia, con le organizzazioni sindacali per la definizione del cambio d'appalto»;
   le organizzazioni sindacali ADL Cobas e SI Cobas hanno chiesto un incontro urgente al fine di gestire il cambio di appalto alla stessa Arcese, che si è sempre rifiutata di sedersi attorno a un tavolo per discutere sia dell'uscita della cooperativa precedente, in modo da avere garanzie su ciò che spetta ai lavoratori, sia del nuovo appalto che è stato assegnato al Consorzio Gaia, con sede a Roma;
   ora la situazione è bloccata dal fatto che Arcese pretende di far sottoscrivere ai lavoratori, sia nel vicentino che a Bologna, un contratto a tempo determinato per 6 mesi (attualmente hanno tutti il tempo indeterminato e lavorano lì da anni), con la promessa di assumerli a tempo indeterminato alla scadenza dei sei mesi;
   Arcese sostiene che questo è legato alla scadenza dell'appalto con Xylem il prossimo 31/12, ma ciò appare all'interrogante poco verosimile, posto che l'obbiettivo reale sembrerebbe essere quello di accedere agli sgravi fiscali del Jobs Act, cosa che garantirebbe ad Arcese un risparmio contributivo, per quanto riguarda solo i lavoratori di Montecchio e Altavilla, di circa 620.000 euro in tre anni;
   la questione dei sei mesi è fondamentale per loro perché la normativa prevede che gli sgravi possono essere concessi alle imprese che assumono a tempo indeterminato lavoratori che, almeno nei sei mesi precedenti, non avevano contratti a tempo indeterminato;
   i lavoratori non hanno intenzione di accettare questa proposta, dopo anni di lavoro e sfruttamento, per tornare in una situazione di precarietà e “ricattabilità” come quella data dal tempo determinato;
   la situazione al momento è che i lavoratori sono stati diversi giorni in sciopero, e da lunedì 1o giugno sono senza lavoro e senza prospettive –:
   quali iniziative intenda intraprendere, anche a carattere normativo, per impedire il consumarsi di questa situazione ai danni dei lavoratori e dello Stato, che finisce solo per attribuire qualche milione di euro alle imprese con gli sgravi del Jobs Act. (4-09389)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   PAOLO BERNINI. —Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   due ampi e dettagliati recenti servizi giornalistici – Report Rai tre del giorno 17 maggio 2015 dal titolo «I peccati della carne» e Announo La 7 del giorno 21 maggio 2015 – hanno evidenziato, fornendo adeguate informazioni, elementi ed inequivocabili immagini circa le condizioni di allevamento e detenzione dei suini in alcuni allevamenti italiani, la mancata tracciabilità del prodotto e i danni causati dagli allevamenti stessi: sia ambientali che per il mancato rispetto dei precetti basilari previsti dalle normative vigenti sul benessere animale (Direttiva 2008/120/Ce e decreto legislativo 7 luglio 2011, n. 122, attuazione della direttiva 2008/120/CE che stabilisce le norme minime per la protezione dei suini);
   in particolare, nel servizio di Anno uno di La 7, andato in onda il 21 maggio 2015, e come da numerosi report realizzati, sì è riscontrata la presenza di maiali feriti con orecchie e code mangiate quale sintomo evidente di stress e di cannibalismo a causa delle condizioni di gestione e di sovraffollamento degli allevamenti, cadaveri lasciati nei corridoi degli allevamenti, suini morti in mezzo ai box in presenza di altri animali, scrofe affette da gravi infezioni all'apparato riproduttore causate anche dai parti continui e dalle condizioni di gestione delle stesse, piccoli suinetti incapaci di camminare, di cui alcuni con le zampe incastrate nelle grate del pavimento, piccoli schiacciati dalle madri a causa delle «gabbie parto» che non consentono loro di muoversi, presenza di
numerose patologie tumorali, evidenti infezioni oculari non curate, maiali malati lasciati in disparte nei corridoi o in box separati, isolati e «scartati» e lasciati agonizzare senza alcuna assistenza veterinaria;
   nell'anno 2010 in Italia sono stati uccisi e macellati 13.760.401 maiali (elaborazione su da Istat). Il Nord Italia rappresenta il maggior luogo di allevamento di maiali d'Italia, con oltre l'80 per cento degli allevamenti concentrati tra Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto;
   in Italia, secondo i dati (all'aprile 2015) desunti dall'Anagrafe nazionale zootecnica – Statistiche izs (http://statistiche.izs.it) si citano tre regioni in cui si conta la presenza di:
   a) Piemonte: 516.619 suini con 2690 allevamenti;
   b) Lombardia: 3.239.549 suini con 8.838 allevamenti;
   c) Emilia Romagna: 1.120.311 suini con 4413 allevamenti;
   sempre secondo la stessa fonte risultano essere stati censiti in Piemonte ben 2.734 allevamenti su 2.960 in Lombardia solo 2.544 allevamenti su 8.838,e in Emilia Romagna 935 su 4.413, ciò a significare che i controlli se sono stati effettuati lo sono stati in modo inadeguato e superficiale poiché le immagini di strutture prese a campione mostrano tutt'altra evidenza, e in alcune regioni i controlli sono decisamente scarsi, come per esempio in Emilia Romagna;
   dal 1o gennaio 2013, inoltre, in tutti gli Stati membri dell'Unione europea è vietato allevare le scrofe in gabbie individuali, ad eccezione delle prime quattro settimane di gravidanza e della settimana prima del parto, mentre nelle immagini del servizio di Announo nelle le gabbie individuali erano presenti animali che non erano in gravidanza;
   dal 1993 il CRPA (Centro ricerche produzioni animali www.crpa.it) «oltre all'attività di monitoraggio dei costi di produzione ha creato una banca dati degli indici tecnici degli allevamenti suinicoli, per fornire ai produttori uno strumento di confronto e valutazione del livello di efficienza della suinicoltura italiana. Migliorare la produttività della scrofaia è elemento indispensabile per un allevamento che voglia rimanere sul mercato con costi di produzione competitivi e in grado di permettere redditi positivi all'allevatore. Il campione 2013 conta circa 50.000 scrofe» (www.crpa.it);
   come evince chiaramente è quindi elemento ed obiettivo fondamentale per i produttori cercare di ridurre i costi di produzione ed eludere i dovuti parametri di gestione e allevamento che la norma prevede a tutela del «benessere animale»;
   il decreto legislativo 7 luglio 2011, n. 122, attuazione della direttiva 2008/120/CE stabilisce le norme minime per la protezione dei suini con criteri chiari e specifici sulla modalità di detenzione e allevamento della specie che non sono stati riscontrati né nelle ispezioni effettuate durante le due indagini giornalistiche né da alcune ispezioni eseguite dall'interrogante, né in quelle eseguite da associazioni non governative quali Eital, Animal Equality;
   in attuazione del decreto legislativo 7 luglio 2011, n. 122, è stato stabilito il piano nazionale benessere animale con nota del Ministero della salute prot. 0013029 – P – 13 luglio 2010 che risulta evidentemente disatteso;
   relativamente agli allevamenti sono previsti campionamenti dal piano nazionale residui: PNR 2013 in applicazione del decreto legislativo 16 marzo 2006, n. 158, e s.m., nota DGISAN prot. n. 1567-P del 17 gennaio 2013;
   relativamente alle ispezioni sull'alimentazione animale queste sono previste in applicazione del Reg. (CE) 183/2005 – piano nazionale alimentazione animale: nota DGSAF prot. 0021822-P del 28 maggio 2013;
   relativamente alle ispezioni per il controllo sulla farmacosorveglianza, queste sono previste per quanto stabilito dal decreto legislativo, 6 aprile 2006 n. 193 – nota DGSAF prot. 01466- P- 26 gennaio 2012;
   relativamente ai campionamenti previsti dal piano nazionale alimenti animali: PNAA 2012, 13, 14 e Addendum 1/2013, nota DGSAF prot. 10873-P del 28 maggio 2013;
   sono previsti campionamenti ed ispezioni extra piano (su segnalazione o sospetto) con o senza preavviso, e con prelievo di mangimi, acqua di abbeverata o altra matrice in funzione delle norme specifiche di settore, con rilascio alla parte di aliquote campionarie ove previsto e di copia del verbale di campionamento;
   per quanto previsto dalla direttiva 2006/778/CE relativa alla «Decisione della Commissione, del 14 novembre 2006, relativa 4i requisiti minimi applicabili alla raccolta di informazioni durante le ispezioni effettuate nei luoghi di produzione in cui sono allevate alcune specie di animali» [notificata con il numero C(2006) 5384] (Testo rilevante ai fini del SEE) è necessario procedere con una idonea e puntuale raccolta di informazioni;
   le gabbie utilizzate negli allevamenti oggetto del servizio giornalistico di Announo, nonostante i divieti, sono realizzate affinché gli animali non possano muoversi, girarsi o compiere altri movimenti fatta eccezione per due passi in avanti e due indietro causando quindi un evidente maltrattamento perseguito dal codice penale;
   le immagini registrate e andate in onda – sia da Report che da Announo – hanno mostrato l'inequivocabile condizione di sovraffollamento degli allevamenti presi a campione e a seguito di un appello all'interrogante sono pervenute molte segnalazioni di allevamenti in cui le condizioni sono similari a quelle mostrate: condizioni del tutto insalubri, somministrazione di cibo agli animali dove sono raccolte le deiezioni, presenza di ratti, assenza di controllo veterinario e altro. Strutture dove vige la logica dei grandi numeri e viene a mancare del tutto il benché minimo rispetto dei criteri previsti per il benessere gli animali che la scienza riconosce come fonte di estremo disagio psicofisico per gli animali e quindi causa di maltrattamento (Environmental enrichment induces optimistic cognitive biases in pigs Catherine Douglasa, Melissa Batesonb, Clare Walsha Anaïs Béduéc, Sandra A. Edwardsa);
   i maiali sono animali che la scienza etologica e la medicina veterinaria riconoscono, in una infinita quantità di pubblicazioni (tra cui: Cognitive testing of pig (Sus scrofa) in translational biobehavioral research Birgitte R. Kornum, Gitte M. Knudsen; Are Pigs as Smart as Dogs and Does It Really Matter? Intelligence is a slippery concept and should not be used to assess suffering, Marc Bekoff) come animali dalle elevate capacità cognitive e con esigenze proprie della specie esigenze che in tali allevamenti, vengono costantemente negate causando gravi sofferenze fisiche e psicologiche;
   nell'anno 2010 in Italia sono stati uccisi e macellati 13.760.401 maiali (elaborazione su dati Istat). Il Nord Italia rappresenta il maggior luogo di allevamento di maiali d'Italia, con oltre l'89 per cento) degli allevamenti concentrati tra Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto. La sola Lombardia, con l'impressionante cifra di 3.239.549 suini con 8.838 allevamenti, rappresenta quasi il 50 per cento del comparto suinicolo nazionale. Basti pensare che le sole province di Brescia e Mantova contano ben 2,8 milioni di maiali nei loro allevamenti intensivi;
   i danni ambientali sono enormi e in alcuni comuni quali Cadelbosco Sopra, Bagnolo, Gualtieri e Novellara – solo citati ad esempio – l'Arpa conferma l'inquinamento causato dagli allevamenti di suini e la conseguente contaminazione delle falde acquifere, tanto che in alcuni di questi comuni non si è nelle condizioni di poter usare l'acqua corrente per via dell'inquinamento causato dagli allevamenti presenti localmente;
   in uno studio dell'Arpa Piemonte si descrive con evidente chiarezza il danno causato dagli allevamenti: «il settore zootecnico ha significativi impatti su diverse matrici ambientali: aria, acqua e suolo. Per quanto riguarda le acque riveste un ruolo molto importante l'inquinamento da nitrati causato dal rilascio di sostanze azotate negli acquiferi superficiali. Gli impatti ambientali derivati dalla lisciviazione delle sostanze azotate applicate ai terreni verso gli acquiferi sottesi sono ben inquadrati dall'individuazione delle aree vulnerabili da nitrati operata dal decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2007 n. 12R che riguardano gran parte della sezione della Provincia di Cuneo. Nel caso dell'atmosfera gli impatti maggiori si hanno dalle emissioni di ammoniaca, metano e protossido di azoto. Le emissioni di ammoniaca sono derivate principalmente dall'agricoltura intensiva e dagli allevamenti. L'ISPRA indica che l'ammoniaca prodotta dal settore agricolo rappresenta il 95 per cento delle emissioni nazionali di questo gas, di cui il 59 per cento deriva dal settore zootecnico. Il metano di origine agricola rappresenta il 40 per cento delle emissioni totali a livello nazionale, le quali derivano principalmente dalla zootecnia»;
   le stesse associazioni veterinarie evidenziano tale situazione, in particolar modo la SIVEMP (Sindacato italiano veterinari medicina pubblica), che in un articolo denuncia: «Benessere suini: molti gli allevatori non in regola con le nuove norme, ma mancano i soldi per adeguamenti strutturali. Molti allevamenti non sono in regola con le nuove norme sul benessere. Ma mancano i soldi per investire nell'aggiornamento delle strutture. Ma mentre nella Ue già 18 paesi membri hanno adeguato i loro allevamenti alle nuove norme ed altri 5 sono ormai prossimi a completare l'aggiornamento dei reparti di riproduzione, in Italia si stima che circa la metà degli allevamenti non abbia ancora provveduto a mettersi in regola...» (www.sivempveneto.it);
   se prevedono che:
    1. Il Ministero della salute, le regioni e le province autonome e le aziende sanitarie locali effettuano ispezioni nell'ambito delle rispettive competenze per accertare l'osservanza delle disposizioni del presente decreto e del suo allegato I. Tali ispezioni riguardano ogni anno un campione statisticamente rappresentativo dei vari sistemi di allevamento nel territorio nazionale e possono essere effettuate in concomitanza di controlli attuati per altri fini.
    2. Entro il 30 giugno di ogni anno, il Ministero della salute presenta alla Commissione una relazione su supporto elettronico contenente le informazioni raccolte e registrate, conformemente alla decisione 2006/778/CE, nel corso delle ispezioni effettuate durante il precedente anno solare.
    3. Il Ministero della salute fornisce l'assistenza necessaria agli esperti della Commissione che effettuano ispezioni secondo le procedure comunitarie ed adotta le misure necessarie per tener conto dei risultati di tali ispezioni. Gli esperti osservano particolari misure di igiene, al fine di escludere qualsiasi rischio di trasmissione di malattie –:
   se siano a conoscenza del livello di inquinamento ambientale causato dagli allevamenti suinicoli e che, per esempio, solo per citarne alcuni di Cadelbosco Sopra, Bagnolo, Gualtieri e Novellara, costringe la popolazione a non utilizzare l'acqua corrente per il consumo umano a causa degli elevati tassi di contaminazione riscontrati;
   in che modo, rispetto al decreto legislativo 7 luglio 2011, n. 122, recante attuazione della direttiva 2008/120/CE che stabilisce le norme minime per la protezione dei suini, sia garantita la corretta applicazione dello stesso e con quali risultati soprattutto relativamente all'articolo 6 del decreto legislativo n. 122 del 2011 (ispezioni);
   se i Ministri non ritengano necessario fornire informazioni corrette ed adeguate ai consumatori relativamente alla presenza di nitrato di potassio – che si trasforma in nitrosammine, dalla spiccata azione cancerogena – nei prodotti derivati dai suini, in particolare nel prosciutto, posto che queste sostanze largamente diffuse e contenute in molti prodotti in vendita nel territorio italiano, come risulta dal dossier diffuso dalla trasmissione Report sopracitata;
   in che modo i Ministri possano spiegare la persistente presenza di allevamenti che non rispondono in alcun modo alle normative vigenti in tema di benessere animale e riduzione dell'impatto ambientale e come intendano agire immediatamente per porre fine a questa condizione che reca danni ai consumatori, ai cittadini, all'ambiente e soprattutto agli animali;
   quali iniziative intendano intraprendere immediatamente i Ministri, alla luce delle denunce giornalistiche e quelle delle associazioni non governative, tenuto conto che tali informazioni saranno oggetto di una nota informativa dell'interrogante ai commissari Ue ambiente ed agricoltura, nonché alla all'FVO (Food and Veterinary Office european Commission) e alla Dg per la sanità e la sicurezza alimentare dell'Ue, con la richiesta di invio di osservatori dell'Ue. (4-09385)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GAGNARLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 14 gennaio è stata sottoscritta una convenzione di durata biennale tra il comune di Montefranco (Terni) ed una associazione di volontariato al fine dichiarato della «promozione delle adozioni di cani di proprietà del comune»;
   tale convenzione prevede che l'associazione contraente realizzi gli affidi dei cani presso privati residenti nell'Unione europea e contempla l'obbligo per il comune a «sostenere i costi necessari per la preparazione dei cani ai fini della movimentazione comunitaria»;
   il trasferimento all'estero dei cani randagi da parte dei comuni è fenomeno preoccupante, e fortemente avversato dalla gran parte delle associazioni animaliste e dai cittadini, un fenomeno le cui dimensioni al momento attuale sfuggono a valutazioni realistiche e che interessa diverse regioni, Umbria compresa;
   di recente il TAR di tale regione ha proceduto all'annullamento di adozioni di cani in Germania, gli animali erano provenienti dal canile di Stroncone;
   con la sentenza pronunciata in data 16 giugno 2014 il TAR medesimo, anche sulla base della relazione fornita dal Ministero della salute, ha rigettato il ricorso presentato contro la decisione del comune di Terni di negare l'adozione in Germania di un cane ospitato nel canile di Colleluna, rilevando, tra l'altro, come il fattore della tracciabilità degli animali sia fondamentale ed imprescindibile;
   a tal proposito il Ministero della salute ha preparato le linee guida sulla movimentazione di cani e gatti dal nostro Paese verso l'estero, ponendo precise condizioni e regole, a cui debbono attenersi i servizi veterinari delle Asl, i comuni, le associazioni;
   la regione Umbria ha condiviso tali linee guida da oltre un anno e mezzo, ma non risulta che abbia dato loro applicazione, né per quanto riguarda i controlli a campione post affido di animali oltre confine, né per quanto attiene l'istituzione della commissione relativa;
   il trasferimento all'estero di cani e gatti vaganti, a cui ricorrono certi comuni, si pone ad avviso dell'interrogante in evidente contrasto con la legge nazionale per la tutela degli animali di affezione e la prevenzione del randagismo, n. 281 del 1991. Con tale intervento normativo, che ha rappresentato un'autentica svolta nelle politiche di tutela, il legislatore ha chiaramente definito i compiti delle regioni, dei comuni, delle ASL, ponendo al centro misure di contenimento delle nascite attraverso la sterilizzazione, l'anagrafe canina, le adozioni, le strutture di ospitalità: tutto questo in un'ottica di responsabilità e di responsabilizzazione degli enti locali e delle autorità veterinarie;
   interventi sul territorio che non ammettono l'elusione della questione randagismo con lo «smistamento» dei cani in altri Paesi, senza garanzia di tracciabilità – ben prevista dalla legge nazionale – né di tutele efficaci, come il divieto di soppressione vigente in Italia dal 1991 –:
   se non intenda approfondire le dimensioni e tutti gli aspetti di tale questione;
   quale sia lo stato di attuazione delle Linee guida predisposte dal Ministero della salute, tradotte in 12 punti che affrontano le procedure di movimentazione di cani per l'adozione in Paesi esteri, di quali elementi disponga in merito al rispetto di tutte le condizioni previste dai 12 punti della procedura operativa di movimentazione citata anche con riferimento al caso descritto in premessa e quali eventuali iniziative di competenza intenda assumere. (5-05742)

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta orale Campana e altri n. 3-01516, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 maggio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Carnevali, Iori.

Ritiro di un documento di indirizzo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: Risoluzione in Commissione Vallascas n. 7-00419 del 16 luglio 2014.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: Interrogazione a risposta scritta Mannino n. 4-09320 del 3 giugno 2015.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Pellegrino e altri n. 4-00665 del 30 maggio 2013 in interrogazione a risposta orale n. 3-01522.

ERRATA CORRIGE

  Interpellanza Pesco e altri n. 2-00997 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 435 del 4 giugno 2015. Alla pagina 25668, prima colonna, alla riga sedicesima, deve leggersi: «come mai, dello spostamento al» e non come stampato.