Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 18 giugno 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    come è noto la crisi e il conflitto nell'Ucraina orientale tra le truppe governative di Kiev e i ribelli separatisti filo-russi ha determinato, già a partire dal mese di luglio 2014, da parte dell'Unione europea l'adozione di misure restrittive, nei confronti dell’export tecnologico verso la Russia e delle sue banche che stanno sostenendo, sia materialmente che finanziariamente, azioni che compromettono o minacciano la sovranità, l'integrità territoriale e l'indipendenza dell'Ucraina;
    già a partire dai primi giorni di agosto 2014, la Russia ha annunciato un embargo sulle importazioni dall'Ucraina di soia e prodotti da girasole e ha successivamente annunciato il blocco degli acquisti di pesche dalla Grecia, come pure di carne di pollo dagli Stati Uniti, ufficialmente dettate da criteri sanitari. Successivamente il Governo Russo, in risposta alle sanzioni decise dagli Stati Uniti e dall'Unione europea, ha annunciato una serie di misure economiche, concretizzatesi nel divieto di importazione, per la durata di un anno, di un nutrito elenco di generi alimentari dai 28 Paesi della UE, dagli USA, dal Canada, dalla Norvegia e dall'Austria. Detta messa al bando dovrebbe comportare la cancellazione di oltre 31 miliardi di euro su un totale di circa 52 miliardi di importazioni agroalimentari russe di carne, pollo, pesce, latte, uova, frutta e verdura; e all'orizzonte si prospetta una guerra commerciale che potrebbe avere conseguenze economiche molto pesanti per entrambe le parti;
    appare ovvio che la Russia abbia risposto all'assedio europeo e statunitense con la stessa moneta, e se gli Stati Uniti non hanno molto da perdere nella guerra commerciale con Mosca, molti Paesi europei, in primis l'Italia, hanno accusato invece pesantissime ripercussioni; inoltre, il perdurare della crisi ucraina rischia di determinare reciproche ulteriori e più gravi misure sanzionatorie e restrizioni;
    peraltro, il 17 giugno 2015 gli ambasciatori permanenti dei ventotto Stati dell'Unione europea hanno deciso all'unanimità di prorogare sino al 31 gennaio 2016 le sanzioni economiche contro la Russia, ritenuta colpevole di aver destabilizzato l'Ucraina, favorito la guerra civile ed essere intervenuta militarmente nella Repubblica ex sovietica, decisione che sarà poi formalmente approvata nei giorni successivi nella riunione dei ministri degli esteri in Lussemburgo (22 giugno); tutto ciò, proprio mentre crescono le tensioni tra Russia e Occidente;
    la guerra in Ucraina si riflette dunque in maniera immediata e pesantissima anche sull'Italia per via dell’embargo imposto dalla Russia sui prodotti agroalimentari dei Paesi UE, di cui l'Italia è il primo produttore. Una misura presa in risposta alle sanzioni che a sua volta l'Unione europea e gli Stati Uniti hanno applicato a Mosca e che rischia di far perdere al settore agroalimentare italiano tra 160 e i 200 milioni di euro di esportazioni, come stimato dalla Coldiretti;
    occorre tenere presente, purtroppo, che per quanto riguarda i numeri delle perdite derivanti dalle sanzioni, regna il caos più totale. Il Ministro dell'agricoltura Maurizio Martina ha parlato di «200 milioni di euro d'impatto, a partire dal 7 agosto 2014» mentre la Ministra dello sviluppo economico Federica Guidi ha stimato che si tratta «al massimo di 100 milioni la perdita in valore di export italiano verso la Russia». Ma anche nel corso del «IV Forum Italia-Russia. Scenari per un nuovo sviluppo», tenutosi presso la Bocconi nel novembre 2014, i numeri forniti sono diversi e parlano di 188 milioni di euro nel biennio 2014-2015 (perdite dirette derivanti dall’embargo) e di 3,7 miliardi di euro (tenendo conto di tutte le componenti, inclusa la mancata crescita di esportazioni). La contrazione dell’export verso la Russia è nell'ordine del 17 per cento nel 2014 e del 21 per cento nel 2015; invece, il danno stimato, secondo una ricerca della SACE, per il 2014-2015 per l'Italia, a seconda dell'evoluzione dello scenario internazionale, potrebbe comportare una perdita totale di valore tra i 938 milioni e i 2,4 miliardi di euro; secondo quanto emerge da una analisi della Coldiretti, sulla base dei dati Istat sul commercio extra Ue nel solo mese di gennaio, le esportazioni di prodotti Made in Italy in Russia nel 2015 sono crollate del 37 per cento per una perdita di oltre 246 milioni; l'Italia ha già perso nel 2014 oltre 1,25 miliardi di export in Russia per l'effetto dell’embargo e delle tensioni politiche che hanno frenato gli scambi;
    purtroppo, le sanzioni fanno ormai parte della discutibile «consuetudine», a parere dei presentatori, della politica internazionale e vi si preferisce ricorrervi per congelare le tensioni sia come monito che come misura cautelare per i vari Paesi;
    l’embargo dei prodotti agroalimentari ha colpito direttamente produzioni tipiche e di grande rilevanza per il nostro Paese, con particolare riferimento ai prodotti derivati dal latte, ai prodotti ortofrutticoli, alle carni suine e bovine e al pollame;
    la chiusura di un mercato di primario interesse per le imprese italiane, mercato fra l'altro in forte crescita nell'ultimo triennio, rischia di determinare conseguenze immediate e permanenti sull'occupazione già in grande affanno, tenendo conto che i fornitori italiani rischiano rapidamente di essere soppiantati dagli operatori di altri Paesi esportatori;
    l'Italia è il secondo partner commerciale della Russia in Europa dopo la Germania e il quarto a livello mondiale. Secondo dati Istat e Eurostat, nel 2013, le esportazioni italiane nella Federazione russa hanno raggiunto il loro massimo storico con 10,8 miliardi di euro;
    Mosca ha anche annunciato la cancellazione del progetto South Stream, che avrebbe dovuto fornire fino a 63 miliardi di metri cubi di gas l'anno agli europei, progetto al quale le italiane Eni e Saipem partecipavano con contratti che avrebbero portato ricavi all'Italia rispettivamente di 2,4 e 1,25 miliardi di euro;
    appare evidente come siano state completamente sottovalutate le conseguenze pratiche della decisione dell'Unione europea di comminare sanzioni alla Federazione russa; decisione (alla quale il Governo italiano ha contribuito attivamente, stante anche il ruolo di guida avuto nel trascorso semestre europeo) a giudizio dei proponenti decisamente miope dinanzi ai facilmente prevedibili effetti conseguenti, nei più svariati campi, a partire dal settore agroalimentare, il quale, valutata la situazione di congiuntura economica globale, non rischia la sola contrazione del fatturato, ma ben più gravi conseguenze sull'insieme della filiera produttiva, della trasformazione e del trasporto dei prodotti che potrebbero creare danni strutturali di medio e lungo periodo;
    con misure di sostegno decise il 18 agosto 2014, la Commissione europea ha reso disponibili 125 milioni di euro, del tutto insufficienti però, per risarcire i danni che subiranno i produttori della UE di frutta, ortaggi e prodotti agricoli deperibili a causa dell’embargo russo contro i prodotti alimentari occidentali; ma gli effetti potenziali dell’embargo russo sulle importazioni di prodotti alimentari occidentali vanno ben oltre gli effetti su questi prodotti. Per l'Unione europea l'effetto potenziale complessivo ammonta a una perdita di produzione annuale di 6,7 miliardi di dollari,

impegna il Governo:

   a sostenere, in sede multilaterale e bilaterale, ogni attività diplomatica volta a supportare la ripresa del dialogo fra le parti e a scongiurare il rischio di un pericoloso incremento della tensione internazionale a seguito della crisi ucraina, nonché per ottenere la revoca di sanzioni commerciali che colpiscono duramente il nostro Paese ovvero rivedere il sostegno italiano al reiterato regime di sanzioni previsto fino al gennaio 2016 che colpirà ancora più duramente gli interessi nazionali;
   ad attivarsi perché sia adottato ogni intervento necessario, in sede europea, al fine di garantire maggiori risorse per risarcire le imprese e i produttori europei danneggiati dall’embargo russo, prevedendo misure eccezionali per fronteggiare la situazione congiunturale venutasi a creare, tra le quali:
    a) l'eventuale acquisto dei prodotti rifiutati promuovendone l'utilizzo in mercati alternativi, anche al fine di garantire i servizi di ristorazione espletati nelle mense di qualsivoglia ente pubblico o per la fornitura ai servizi riservati all'accoglienza dei bisognosi (poveri, migranti, eccetera);
    b) misure di sostegno, aggiuntive rispetto a quelle previste dall'Unione europea, a supporto immediato dei comparti della filiera agroalimentare maggiormente coinvolti dall’embargo deciso dal Governo russo, con articolare riferimento all'eventuale differimento di alcune scadenze tributarie e al sostegno creditizio delle imprese più esposte;
    c) l'attenta e scrupolosa, verifica dell'entità delle richieste di risarcimento provenienti dai Paesi della UE che, a giudizio dei proponenti troppo semplicisticamente, dichiarano di aver ritirato ingenti quantitativi di frutta ed ortaggi.
(1-00913) «Grande, Manlio Di Stefano, Colletti, Sibilia, Spadoni, Del Grosso, Scagliusi, Di Battista».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VI e XII,
   premesso che:
    ogni anno in Italia muoiono circa 60.000 persone a seguito di un arresto cardiaco. La letteratura scientifica internazionale ha ampiamente dimostrato che un intervento tempestivo di primo soccorso contribuisce a salvare molte vite;
    uno studio condotto negli USA sulla disponibilità dei defibrillatori semiautomatici nei centri commerciali e nelle zone residenziali ha mostrato che la disponibilità di defibrillatori semiautomatici nei luoghi pubblici raddoppia la probabilità di sopravvivenza;
    con decreto ministeriale 24 aprile 2013 il Ministro della salute di concerto con il Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport ha previsto garanzie sanitarie al fine di salvaguardare la salute dei cittadini che praticano un'attività sportiva non agonistica o amatoriale;
    il decreto, emanato in attuazione dell'articolo 7 comma 11 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, ha lo scopo di prevedere delle garanzie sanitarie mediante l'obbligo di idonea certificazione medica, nonché dettando linee guida per l'effettuazione di controlli sanitari sui praticanti e per la dotazione e l'impiego, da parte delle società sportive sia professionistiche sia dilettantistiche, di defibrillatori semiautomatici e di eventuali altri dispositivi salvavita;
    i defibrillatori semiautomatici esterni attualmente disponibili sul mercato permettono a personale non sanitario specificamente addestrato di effettuare con sicurezza le procedure di defibrillazione, esonerandolo dal compito della diagnosi che viene effettuata dall'apparecchiatura stessa;
    l'articolo 5 del citato decreto ministeriale stabilisce che le società sportive dilettantistiche si dotano di defibrillatori semiautomatici nel rispetto delle modalità indicate dalle linee guida riportate nell'allegato E, e stabilisce altresì che l'onere della dotazione del defibrillatore e della sua manutenzione è a carico della società sportiva;
   in ogni impianto sportivo deve essere disponibile, accessibile e funzionante almeno un defibrillatore semiautomatico esterno con il relativo personale addestrato all'utilizzo;
   le linee guida pubblicate in Gazzetta Ufficiale il 20 luglio 2013 hanno definito i tempi massimi per le società sportive di adeguarsi, e precisamente per quelle professionistiche ottobre 2013 e per quelle dilettantistiche ottobre 2015;
   la regione Lazio, con la finalità di concorrere alla promozione della sicurezza nello sport, ha emanato nel 2012, l'avviso pubblico in attuazione dell'articolo 7 della legge regionale n. 11 del 6 aprile 2009 riguardante «Interventi per la promozione, il sostegno e la diffusione della sicurezza nello sport»;
    tale avviso intende sostenere quelle tipologie di azioni che, con costi e tempi ridotti, siano in grado di migliorare taluni aspetti della sicurezza negli impianti sportivi e ha l'obiettivo di supportare, in particolare, gli interventi per il miglioramento dei livelli di sicurezza degli impianti sportivi di piccole e medie dimensioni e delle zone di attività sportiva, attraverso l'acquisto di attrezzature sportive di base e di defibrillatori, nonché di interventi di messa a norma;
   le spese ammesse a contributo sono quelle necessarie per l'acquisto di attrezzature di base, di materiali, per le progettazioni, il piano di sicurezza, il rilascio da parte del Coni del parere di conformità alla normativa vigente, ma anche le spese per l'acquisto di un defibrillatore e quelle per la formazione del personale preposto al suo utilizzo,

impegna il Governo:

   a vigilare sull'applicazione della normativa in merito;
   ad assumere iniziative per la concessione di contributi agli impianti sportivi, in special modo a quelli dilettantistici che non godono di enormi risorse economiche, per l'acquisto, la manutenzione di defibrillatori e per la formazione del personale, sull'esempio della regione Lazio;
   a intervenire per favorire l'installazione e la manutenzione dei defibrillatori e la formazione del personale, considerate le scarse risorse economiche delle associazioni dilettantistiche, evitando il rischio di un mancato adeguamento alla normativa da parte delle medesime associazioni sportive a causa dell'eccessiva onerosità dell'obbligo imposto dalla legge ai danni dei cittadini;
   ad assumere iniziative, in collaborazione con gli enti locali e le regioni, volte a dotare almeno i centri storici cittadini di una rete di defibrillatori automatici, formando altresì la collettività sull'importanza di questi strumenti in grado di salvare vite umane e sul loro corretto utilizzo;
   ad assumere iniziative normative, nel rispetto delle proprie competenze e di quelle regionali, per l'introduzione di agevolazioni fiscali sull'acquisto dei defibrillatori da parte di associazioni ONLUS regolarmente iscritte al registro regionale e del volontariato.
(7-00708) «Lorefice, Grillo, Silvia Giordano, Mantero, Baroni, Di Vita, Crippa».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    in base al decreto ministeriale n. 346 del 4 agosto 2014, concernente il «Nuovo regolamento degli uffici dirigenziali non generali del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti», è stato stabilito che la direzione degli uffici della motorizzazione civile della Calabria ha sede a Reggio Calabria e che svolge attività di coordinamento delle proprie sezioni di Cosenza, Catanzaro, Crotone e Vibo Valentia;
    l'ufficio della motorizzazione civile di Catanzaro è stato da sempre ufficio compartimentale e di riferimento per la Calabria, anche in considerazione del ruolo di capoluogo di regione con la presenza anche degli uffici della giunta regionale, dell'assessorato ai trasporti, nonché sede della direzione regionale ACI;
    i suddetti uffici della motorizzazione civile di Catanzaro continuano, inoltre, ad avere esclusiva competenza regionale su: autolinee statali e internazionali, servizio mobilitazione, tessere di servizio, trattamento pensionistico, targhe per gli escursionisti esteri, gestione del FUA ovvero fondo unico amministrativo;
    in data 8 aprile 2015 è stata presentata l'interrogazione n. 5-05259 a prima firma On. D'Attorre al fine di chiedere al Governo se non vi fossero le condizioni per rivedere la decisione assunta;
    in data 11 giugno 2015: il Governo tramite il Sottosegretario alle, infrastrutture, On. De Caro, nel riportare una serie di elementi a supporto della decisione assunta ha affermato che la riorganizzazione degli uffici, non si è limitata alla semplice aggregazione di più sedi coordinate (sezioni) sotto la direzione di un unico dirigente, ma ponendosi anche l'obiettivo più ampio di porre in essere le condizioni abilitanti per l'attivazione di sinergie operative fra le diverse sedi e finalizzate ad offrire, a parità di risorse umane disponibili, un livello più elevato di servizio agli utenti e che stanti i vincoli imposti dalle norme di revisione della spesa viene ritenuto secondario il luogo fisico, che pure va definito, dove prevalentemente risiede il Direttore di ciascun ufficio;
    non si tratta di una questione di mero campanile ma di disamina attenta degli elementi non esclusivamente numerici ma anche di specificità territoriali e di articolazione di servizi per l'utenza anche in considerazione che nel caso specifico si tratta di un capoluogo di regione dove già sono presenti altri uffici;
   nelle altre regioni le sedi degli uffici sono state localizzate nelle città capoluogo di regione: Milano, Torino, Genova, Venezia, Bologna, Ancona, Perugia, Roma, Firenze, L'Aquila, Cagliari, Napoli e Bari, con l'unica eccezione della Calabria ove l'Ufficio e stato localizzato in un capoluogo di provincia escludendo la sede del capoluogo Catanzaro,

impegna il Governo

a rivedere la decisione assunta ai sensi del decreto ministeriale n. 346 del 4 agosto 2014 e, conseguentemente, a stabilire la sede della direzione regionale, per la Calabria, della motorizzazione civile nel capoluogo di regione Catanzaro.
(7-00709) «Mognato, Pagano, D'Attorre».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, onorevole Lapo Pistelli, dal primo luglio 2015 assumerà la carica di vicepresidente senior dell'Eni con delega ai rapporti con gli azionisti e alla promozione del business internazionale;
   l'onorevole Lapo Pistelli è stato co-firmatario di due proposte di legge entrambe e presentate la scorsa legislatura: la n. 2668 (Veltroni e altri), recante norme per la prevenzione delle situazioni di conflitto di interessi dei titolari di cariche di governo e per l'accesso alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza; e la n. 3700 (Lenzi e altri) recante disposizioni in materia di ineleggibilità e di incompatibilità tra il mandato parlamentare, gli incarichi di governo e cariche di amministratore locale;
   la legge n. 215 del 2004 («legge Frattini»), ha introdotto l'incompatibilità, per dodici mesi, per i titolari di cariche di Governo ad assumere incarichi in enti di diritto pubblico, anche economici, nonché in società aventi fine di lucro che operino in settori connessi con la carica ricoperta;
   il parere favorevole dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato (Antitrust) sul passaggio del deputato e viceministro Lapo Pistelli alla vicepresidenza dell'Eni appare basato sugli assunti che lo stesso non aveva poteri regolatori e amministrativi su Eni e dalle informazioni in possesso della stessa Autorità antitrust non sembra esserci evidenza di rapporti giuridici ed economici costituiti nell'ambito delle attribuzioni svolte dal richiedente con le società del gruppo Eni nel periodo in cui è stato svolto l'incarico di Governo;
   tale parere favorevole dell'Antitrust sembra essere, a parere degli interpellanti, molto equivoco e fa sorgere dubbi su un possibile conflitto di interessi. Infatti, il citato Pistelli aveva deleghe di Governo proprio sulle politiche ambientali ed energetiche, quindi su temi connessi all'attività dell'Eni –:
   se non ritenga ricorrano questioni di incompatibilità per conflitto d'interesse, al di là del parere non vincolante dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, relativamente al passaggio del Viceministro Lapo Pistelli dal Governo all'Ente nazionale idrocarburi.
(2-01014) «Del Grosso, Sibilia, Manlio Di Stefano, Grande, Spadoni, Di Battista, Scagliusi».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il Governo avrebbe previsto secondo quanto l'interrogante ha appreso in Sardegna 2000 nuovi sbarchi di migranti da attuarsi con il metodo dell'emergenza;
   tale emergenza secondo quanto si apprende deve essere comunque preventivamente pianificata con un piano di smistamento e alloggiamenti dei migranti in strutture immediatamente disponibili;
   il piano a quanto consta l'interrogante non verrebbe concordato con nessuna autorità territoriale ma il Governo confida che dinanzi alle navi cariche di profughi e migranti nessuno potrà obiettare;
   il piano passerebbe attraverso una comunicazione tra Ministeri emanata nei giorni scorsi con la quale sarebbe data attivata un'azione concentrica e simultanea: liberare entro pochi giorni le strutture carcerarie di Iglesias e Macomer, sgomberare la scuola penitenziaria di Monastir e disporre verifiche per l'utilizzo immediato del carcere di Buon Cammino e di quello di Bancali a Sassari;
   il piano operativo riguarderebbe innanzitutto la Sardegna e la sua principale caratteristica: il suo essere isola e isolata;
   un'ipotesi che appare all'interrogante scandalosa e contro tutte le disposizioni internazionali;
   si vuole sostanzialmente replicare quello accaduto con l'ultimo sbarco di 900 migranti che sono stati trattenuti nell'isola sostanzialmente impedendogli di raggiungere il continente;
   il tentativo sarebbe quello di creare una vera e propria barriera fisica che isoli gli immigrati dal resto del continente e impedisca loro di muoversi nel territorio nazionale con troppa facilità;
   la Sardegna sarebbe di fatto un vero e proprio campo di isolamento;
   le azioni sono state già messe in atto con effetti immediati;
   i primi provvedimenti li avrebbe disposti il Ministro della giustizia;
   il piano secondo le conclusioni dell'interrogante prevederebbe 800/1000 nella scuola penitenziaria di Monastir, 300/400 carcere di Iglesias, 300/400 carcere di Macomer;
   sarebbe in corso di valutazione secondo quanto risulta all'interrogante l'utilizzo del carcere panoramico di Buon Cammino a Cagliari e del centralissimo carcere di San Sebastiano a Sassari;
   la disposizione sarebbe, a quanto risulta all'interrogante quella di predisporre il tutto, ma di utilizzare le carceri di Cagliari e Sassari solo come extrema ratio proprio per la loro ubicazione nel cuore delle città;
   si tratterebbe di un piano inaccettabile e frutto solo di un retaggio statale che vede la Sardegna come destinazione privilegiata, una volta per i mafiosi, una volta per i migranti;
   un atteggiamento dello Stato che pensa di poter isolare i profughi e migranti in genere in Sardegna con lo scopo di allentare la pressione sul resto del continente;
   la realtà, come si è dimostrato in questi ultimi giorni, è completamente diversa sottoponendo agenti e forze dell'ordine ad un impegno oltre misura per contenere i migranti nei porti, visto che l'unico loro obiettivo era quello di lasciare il territorio sardo;
   si tratta di un comportamento del Ministero che l'interrogante giudica davvero irrazionale e scandaloso;
   si spendono soldi per trasferire i migranti in Sardegna e poi dopo giorni di tensione si è costretti a spendere altri soldi per trasferirli dall'altra parte del mare. Uno spreco di risorse pubbliche inaudito;
   il piano che si vorrebbe mettere in atto secondo l'interrogante sarebbe articolato in varie operazioni:
   operazione Iglesias — due giorni fa è scattata l'operazione Iglesias. Una squadra di agenti penitenziari sarebbe stata mandata nella casa circondariale di Iglesias in località Sa Stoia. Il carcere era stato chiuso 5 mesi fa con la scusa del freddo e da allora non è stato mai riaperto. Gli agenti hanno caricato tutto quello che era utile per l'amministrazione penitenziaria. Registri, suppellettili, attrezzature informatiche e poche altre cose. La disposizione data al responsabile della squadra era tassativa: portar via tutto quello che riguarda la gestione del personale e dei detenuti. Il carcere deve passare di gestione. Dalla giustizia passa al Ministero dell'interno. Nel carcere di Iglesias, a quel che l'interrogante rileva nelle ipotesi del Ministero, si pensa di stivare tra i 3/400 migranti, utilizzando anche la caserma agenti;
   operazione Monastir – Analoga operazione è in corso di svolgimento nella scuola penitenziaria di Monastir. Una scuola gioiello chiusa di punto in bianco e che in queste ore viene letteralmente svuotata da ogni tipo di attrezzatura ulteriore dell'amministrazione penitenziaria. Resta per il momento in piedi il poligono di tiro perché mancano i soldi per lo smantellamento. La struttura costata qualche milione di euro rischia di restare inutilizzata e in totale abbandono. Dentro la struttura di Monastir si calcola di stivare non meno di 800/1000 migranti. I requisiti dovrebbero essere quelli che all'interrogante risulterebbero essere indicati nel piano trasmesso alla prefettura: fuori dai centri abitati, monitorabili e autonomi nella gestione, dalle cucine agli alloggi. La struttura in questo caso è stata quasi del tutto svuotata e il decreto di chiusura già adottato. Nelle prossime ore il lavoro dovrà essere terminato. Saranno adibite ad ospitare migranti tutte le strutture dedicate agli allievi e al personale docente. Ma si sta pensando anche all'allestimento di brande anche nelle strutture collettive didattiche;
   operazione Macomer — struttura carceraria già smantellata. Portati via gli ultimi registri dopo l'intervento dell'autorità giudiziaria in seguito alla scandalo che aveva visto filmati da una troupe televisiva i registri delle telefonate dei terroristi islamici detenuti sino a poco tempo fa in quella struttura carceraria. Anche in questo caso le previsioni che l'interrogante avrebbe dovuto sono per eccesso stimate per 300/400 migranti. Da utilizzare sia gli spazi detentivi che quelli connessi del personale;
   operazione Buon Cammino — il piano prevederebbe un possibile utilizzo solo come extrema ratio ma dispone che tutto sia pronto per l'eventuale emergenza. E considerato il tipo di atteggiamento dello Stato, non c’è da farsi troppe illusioni. Il carcere di Buon Cammino che sarebbe dovuto passare alla regione per la cessazione della sua funzione statale in base all'articolo 14 dello statuto è rimasto in mano all'amministrazione statale che spostato all'interno della struttura alcuni uffici del Dap. Una sorta di capello sulla struttura per evitare che passasse alla regione. Ora l'operazione migranti è dietro l'angolo. Ordine di valutare l'ipotesi e comunque di tenersi pronti. L'unica remora di questo piano è quello della centralità della struttura. La disposizione romana, però, non la esclude, anzi;
   operazione San Sebastiano – il carcere di San Sebastiano di Sassari è anch'esso nell'elenco con le stesse prescrizioni per Buon Cammino in considerazione dell'alta criticità dell'essere al centro della città. In questo caso si parla solo di alcune parti del vecchio carcere. Alcune risulterebbero totalmente inagibili e probabilmente impossibili da utilizzare anche in emergenza anche se dopo il caso di Palmadula niente si può escludere visto l'atteggiamento dello Stato verso le norme di sicurezza;
   si tratta di un piano grave e inaccettabile;
   pensare alla Sardegna come ad un campo di isolamento, com’è avvenuto con l'ultimo sbarco è semplicemente incredibile;
   si tratta di un atteggiamento dello Stato che va respinto proprio per l'atteggiamento con il quale agisce e soprattutto in dispregio di comuni e comunità locali –:
   l'accoglienza è ben altra cosa rispetto a questa condotta dello Stato che pensa solo a stivare immigrati senza porsi nessun problema sulla gestione degli stessi;
   se non ritengano di bloccare e revocare qualsiasi disposizione che preveda questa a pianificazione dell'emergenza che vede la Sardegna regione isola e isolata da utilizzare come un vero e proprio campo di isolamento con tutto quello che ne consegue;
   se non intenda bloccare qualsiasi ulteriore trasferimento di migranti in Sardegna proprio in considerazione della illogicità dello stesso considerato che tutti coloro che vengono condotti in Sardegna raggiungono dopo 24 ore i porti per poter lasciare l'isola;
   se intendano far conoscere i costi del trasferimento in Sardegna e del conseguente rientro nel continente. (5-05856)

Interrogazioni a risposta scritta:


   AMODDIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   per decenni la dottrina e la giurisprudenza hanno dibattuto sul tema della risarcibilità dell'interesse legittimo che ha trovato il primo riconoscimento nella storica affermazione della risarcibilità delle posizioni di interesse legittimo contenuta nella sentenza n. 500/1999 delle Sez. Unite della Corte di Cassazione;
   in tale pronuncia si affermava che condizioni necessarie per poter accedere alla tutela risarcitoria ex articolo 2043 del codice civile sono, oltre alla lesione dell'interesse legittimo per effetto di un'attività illegittima e colpevole della pubblica amministrazione, la lesione dell'interesse al bene della vita al quale l'interesse legittimo si correla e il fatto che quest'ultimo interesse sia meritevole di tutela alla luce dell'ordinamento positivo; nella predetta sentenza ciò che più rileva è il criterio che, a detta delle Sezioni Unite deve essere utilizzato dal giudice per decidere della meritevolezza o meno dell'interesse al bene della vita del ricorrente e che era ricondotto al giudizio prognostico sulla fondatezza dell'istanza del soggetto, da condurre facendo riferimento alla normativa di settore e idoneo a consentire al giudice del risarcimento di stabilire se il pretendente deve ritenersi titolare di una mera aspettativa (non tutelabile) o, piuttosto, di una situazione che, secondo la disciplina applicabile e sulla base di un criterio di normalità, era destinata ad un esito favorevole e risulta, pertanto, giuridicamente tutelata; il giudizio sulla «spettanza» del provvedimento richiesto dovrebbe essere essenziale per il riconoscimento del processo amministrativo; infatti, solo se il provvedimento richiesto «spetta», si può configurare una vera lesione dell'interesse al bene della vita e, dunque, il diritto al risarcimento del danno;
   è noto che il codice del processo amministrativo al comma 4 dell'articolo 7 prevede che «sono attribuite alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie relative ad atti, provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni, comprese quelle relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e agli altri diritti patrimoniali consequenziali, pure se introdotte in via autonoma».
   il legislatore ha quindi positivizzato il diritto al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi, ma non è intervenuto nell'individuare gli elementi costitutivi della responsabilità della pubblica amministrazione ed i presupposti per il riconoscimento del risarcimento dei danni derivanti da atti illegittimi in materia di interesse legittimo;
   quanto sopra esposto non ha una valenza esclusivamente teorica per i cultori del diritto, atteso che ha refluenze di non poco conto nell'azione della pubblica amministrazione e nei giudizi risarcitori che seguono in ragione dell'impugnazione di provvedimenti o comportamenti posti in essere dalla pubblica amministrazione;
   sempre più spesso si leggono sentenze in cui la colpa della pubblica amministrazione è «in re ipsa» ed e conseguente all'annullamento dell'atto e ciò a prescindere da una verifica sulla colpa della pubblica amministrazione e della spettanza del bene della vita che per la cassazione a sezione unite era condizione necessaria per il riconoscimento del risarcimento dei danni;
   la problematica sopra esposta trova conferma in un giudizio pendente innanzi al Consiglio di Giustizia Amministrativa della regione siciliana in sede giurisdizionale del quale si riportano gli elementi salienti per meglio far comprendere agli interrogati cosa accade nel nostro sistema giuridico;
   con istanza assunta al protocollo del comune nel mese di aprile 2009 una società edile con sede in Siracusa ha presentato un progetto in variante ad una concessione edilizia per la demolizione e ricostruzione dell'edificio già esistente al fine di realizzare un complesso commerciale che il comune negava con provvedimento del settembre 2009;
   la società istante ha quindi impugnato innanzi al TAR di Catania il predetto provvedimento di diniego chiedendo un risarcimento dei danni per oltre 40 milioni di euro;
   il dirigente che aveva sottoscritto il diniego veniva sostituito da altro dirigente che in data 30 novembre 2010 annullava in autotutela il precedente diniego ed assentiva l'intervento de quo;
   alla luce del provvedimento di autotutela, la ricorrente rinunciava alla domanda di annullamento dei provvedimenti impugnati e coltivava il giudizio innanzi al TAR di Catania, esclusivamente ai fini del riconoscimento del risarcimento del danno articolato in diverse voci (maggiori oneri derivanti dalla ritardata realizzazione del centro commerciale, danno all'immagine e danno da disturbo) derivante dalla mancata tempestiva realizzazione del centro commerciale per effetto del ritardo cagionato dal comune di Siracusa nel rilascio del provvedimento autorizzatorio;
   le questioni giuridiche e di fatto oggetto del giudizio promosso dalla società innanzi al TAR di Catania possono così sintetizzarsi la società ricorrente oltre a sostenere la conformità del progetto alla disciplina urbanistica del piano regolatore generale del comune, assumeva che si fosse formato il silenzio assenso e pertanto il diniego oltre ad essere illegittimo risultava tardivo; la società sosteneva che il comportamento dell'amministrazione (diniego prima — e rilascio del titolo concessorio dopo) avesse comportato un danno di oltre 40.000.000,00 di euro;
   il provvedimento del 30 novembre 2010 – che annullava in autotutela il precedente diniego ed assentiva l'intervento – veniva impugnato dall'associazione Legambiente;
   il giudizio di primo grado promosso dalla società si concludeva con la sentenza del TAR di Catania n. 2323/2011 che rigettava le domande della stessa e statuiva:
    a) che sulla istanza di concessione/variante non si era formato il silenzio assenso;
    b) che la normativa di piano evidenzia prescrizioni di riferimento estremamente complesse e di difficile interpretazione;
    c) che pertanto l'adozione del provvedimento di diniego non era ascrivibile a colpa dell'apparato comunale;
   la società impugnava la sentenza del TAR di Catania innanzi al Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana in sede giurisdizionale che con la sentenza n. 605/2013 riformando la sentenza accoglieva l'appello ed ordinava al comune di Siracusa di provvedere al risarcimento dei danni patiti dall'appellante società – pur motivando – senza lasciare spazio a margini interpretativi – che l'intervento non era legittimamente assentibile per le ragioni esposte in sentenza;
   la sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa motivava inoltre, contrariamente alla pronuncia precedente del TAR che «sull'istanza originaria si era formato il silenzio assenso e l'illegittimità primaria posta in essere dal comune consiste nel non averlo riconosciuto, pur a fronte di documentate istanze prodotte in tal senso dalla società. Tale omissione, a giudizio del collegio, si presta sicuramente a fondare una responsabilità aquiliana dell'Amministrazione, colpevole appunto per non aver riconosciuto – senza che a tal fine fossero necessarie indagini giuridiche di particolare difficoltà per l'amministrazione del comune di Siracusa – quanto obiettivamente emergeva dagli atti circa lo snodo temporale del procedimento»;
   nel quantificare i danni il Consiglio di giustizia amministrativa individua il periodo termine «dal 10 ottobre 2009 al 30 novembre 2010 tuttavia dal periodo sopra delimitato (ottobre 2009/novembre 2010) va detratto il periodo in cui i lavori sono stati sospesi per adeguamento alle prescrizioni della Soprintendenza»;
   successivamente la società proponeva il ricorso per l'ottemperanza in esame, deducendo preliminarmente la nullità degli atti comunali;
   si riporta un capo della motivazione della sentenza n. 73/2015 emessa dal Consiglio di giustizia amministrativa che evidenzia un elemento critico della vicenda esposta;
   la sentenza di cognizione – dopo aver evidenziato che «i danni valutabili sono in linea generale quelli derivanti dal mancato riconoscimento comunale del possesso da parte di ...... del titolo tacito per il periodo che va dal 10 ottobre 2009 al 30 novembre 2010» – ha statuito che «dal periodo sopra delimitato va detratto il periodo in cui i lavori sono stati sospesi per adeguamento alle prescrizioni della Soprintendenza» impartite con la nota in data 26 febbraio 2010. Con tale nota – vale ricordarlo – la Soprintendenza aveva diffidato .... a proseguire nella realizzazione di opere... In concreto però – come dimostrato dalla documentazione allegata dalla ricorrente e in particolare dall'attestazione del Sovrintendente in data 30 novembre 2013 – alla diffida non ha mai fatto seguito un ordine di sospensione dei lavori i quali in sostanza non sono mai stati sospesi. Ciò comporta, in concreto, che l'interruzione del nesso di causalità materiale o di fatto (e cioè del collegamento tra condotta ed evento) ipotizzata nell'an dalla sentenza non si è in realtà mai verificata, di talché l'arco temporale del ritardo comunale nel rilascio/riconoscimento del titolo non è soggetto ad alcuna decurtazione nel quantum per questo motivo. La determina dirigenziale di diniego del risarcimento sopra citata è dunque da considerarsi nulla per violazione del giudicato, come dedotto dalla ricorrente. Resta per converso impregiudicato l'effetto che la attestata prosecuzione dei lavori anche nel periodo di carenza del titolo potrebbe spiegare sotto il diverso profilo della causalità giuridica (e cioè del nesso fra evento e danni) in sede appunto di delimitazione dell'area del danno risarcibile come conseguenza concreta e diretta dell'evento dannoso»;
   il Consiglio di giustizia amministrativa in sede di ottemperanza elimina dal periodo di riferimento per la quantificazione del risarcimento dei danni il periodo di sospensione dei lavori pér adeguamento alle prescrizioni impartite dalla soprintendenza il 26 febbraio 2010 in quanto i lavori non sono stati mai sospesi;
   quindi nella sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa del 2015 è dato per fatto acquisito nel processo che i lavori non sarebbero stati sospesi;
   se i lavori non sono stati sospesi nonostante il diniego della concessione edilizia non si comprende quali danni abbia subito la società; peraltro la criticità sopra evidenziata è manifestata nella medesima sentenza: «Resta per converso impregiudicato l'effetto che la attestata prosecuzione dei lavori anche nel periodo di carenza del titolo potrebbe spiegare sotto il diverso profilo della causalità giuridica (e cioè del nesso tra evento e danni) in sede appunto di delimitazione dell'area del danno risarcibile come conseguenza concreta e diretta dell'evento dannoso.»;
   si riporta un altro passaggio della sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa del 2015 che denota la mancanza della previsione legislativa enunciata, motivo determinante per la presente interrogazione: «Come è noto per quanto concerne il criterio di imputazione della condotta asseritamente lesiva, al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo non è richiesto un particolare impegno probatorio per dimostrare la colpa della pubblica amministrazione. Infatti, pur non essendo configurabile in mancanza di una espressa previsione normativa generalizzata una presunzione (relativa) di colpa della pubblica amministrazione per i danni conseguenti ad un atto o comportamento illegittimo, consolidata giurisprudenza valorizza al riguardo le regole di comune esperienza e la presunzione semplice di cui all'articolo 2727 Cod. civ. desunta dalla singola fattispecie, addossando in sostanza alla parte pubblica l'onere di comprovare trattarsi di un errore scusabile. Questa (sia pur attenuata) inversione dell'onere della prova in danno della pubblica amministrazione non opera però allorché si tratti di delimitare l'area del danno risarcibile.»;
   quindi per un verso il Consiglio di giustizia amministrativa ammette che manca una espressa previsione normativa di una generalizzata presunzione (relativa) di colpa della pubblica amministrazione per i danni conseguenti ad un atto o comportamento illegittimo, per altro verso ritiene che possa ricavarsi da regole di comune esperienza, addossando in sostanza alla parte pubblica l'onere di comprovare trattarsi di un errore scusabile;
   giova rilevare che nel giudizio promosso da Legambiente il TAR Catania rigettando il ricorso dell'associazione motivava sull'assentibilità della richiesta in senso opposto al Consiglio di giustizia amministrativa;
   pertanto sulla stessa fattispecie veniva a determinarsi un'altra pronuncia che contrariamente a quanto affermato dal Consiglio di giustizia amministrativa nella sentenza n. 605/2013 riteneva l'intervento ammissibile; sorge spontanea la considerazione per la quale se ben tre collegi amministrativi giudicano la stessa fattispecie in maniera diversa non si può ritenere il comportamento dell'amministrazione e quindi dei suoi dirigenti non scusabile e foriero di risarcimento di danni;
   i superiori fatti ed atti sopra menzionati stanno provocando un disorientamento, anche in coloro che rappresentano l'amministrazione comunale, ovvero i consiglieri comunali;
   infatti, risulta difficilmente accettabile come possa accadere che un'intera collettività sia chiamata a corrispondere di un danno a fronte: a) di una fattispecie che a detta del Consiglio di giustizia amministrativa manca di una espressa previsione normativa; b) di una disciplina urbanistica che, per espressa ammissione dei giudici, è particolarmente complessa; c) di una diversa interpretazione della formazione del silenzio assenso che i giudici di primo grado ritengono non formato, mentre i giudici del Consiglio di giustizia amministrativa ritengono formato, e quindi evidentemente non era e non è così agevole da ricavare; d) di una sentenza nella quale è affermato che la richiesta di concessione edilizia non era assentibile;
   il Consiglio di giustizia amministrativa con la sentenza n. 73/2015 ha nominato il CTU, affinché fornisca risposta ai quesiti posti dal collegio e relativi al risarcimento dei danni;
   quest'ultimo ha depositato la relazione della CTU ed ha quantificato i danni in euro 20.000.400,00;
   sulla relazione del CTU l'avvocato difensore del comune ha comunicato con nota del 13 aprile 2015, che nella vicenda in esame «emergono una serie di profili che non è agevole valori dare in seno al processo amministrativo, in quanto il Giudice amministrativo non è “attrezzato” per rilevare appieno alcune incongruente come, ad esempio, il deposito in giudizio di documenti pretesamente di data certa, ovvero i comportamenti apparentemente equilibrati ed irrispettosi del principio del contraddittorio tenuto dal C.T.U.»
   a fronte di un investimento di 11 milioni di euro come riportato nella sentenza e 12 mesi di ritardo durante i quali comunque i lavori sarebbero proseguiti, il danno sarebbe quasi il doppio dell'investimento;
   il consiglio comunale con deliberazione n. 89 dell'11 giugno 2015 ha dato mandato al sindaco ed alla giunta di porre all'attenzione degli organi giurisdizionali idonei i fatti riportati in una mozione approvata;
   al di là della fattispecie sopra esposta, l'interrogante reputa giusto che i Ministri interrogati debbano occuparsi di individuare gli elementi costitutivi della responsabilità, della pubblica amministrazione ed i presupposti per il riconoscimento del risarcimento dei danni derivanti da atti illegittimi in materia di interessi legittimi e ciò perché non debba più riprodursi quanto accaduto nella fattispecie concreta sopra esposta che peraltro sta comportando un notevole contenzioso di ogni genere innanzi alle autorità giudiziarie, un'ipotesi di danno per una collettività che in termini quantitativi provocherebbe effetti gravi per le finanze del comune e legittimi interrogativi di coloro che rappresentano gli interessi della collettività, ovvero i consiglieri comunali;
   è necessario chiarire quando e come risponde la pubblica amministrazione per i comportamenti e gli atti illegittimi dai quali derivano lesioni di interessi legittimi;
   all'interrogante non appare accettabile che innanzi a fattispecie sulle quali gli organi giurisdizionali hanno assunto decisioni contrastanti e quindi «in re ipsa» non di agevole soluzione possa configurarsi una responsabilità «tout court» della pubblica amministrazione e per un bene della vita che secondo il giudice di merito di secondo grado non spetterebbe –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri ed il Ministro di giustizia siano a conoscenza di quanto sopra esposto;
   se, in seguito a quanto esposto e delle motivazioni contenute nella sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa (ovvero «Ne consegue che, come rappresentato nel provvedimento di diniego, l'intervento non era legittimamente assentibile,... non essendo configurabile in mancanza di una espressa previsione normativa una generalizzata presunzione (relativa) di colpa della pubblica amministrazione per i danni conseguenti ad un atto o comportamento illegittimo») il Presidente del Consiglio dei ministri ed il Ministro intendano adottare un'iniziativa normativa urgente che tipizzi espressamente in quali casi e con quali modalità si configuri la colpa della pubblica amministrazione derivante da un atto o comportamento illegittimo e se è dovuto il risarcimento dei danni quando l'oggetto della richiesta del ricorrente istanza non spetta. (4-09510)


   COLONNESE, LOREFICE e BRESCIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'8 maggio 2015 veniva ubicato sul territorio di Camipiglia Marittima, in prossimità della stazione ferroviaria, un centro di accoglienza di migranti, a quanto consta agli interroganti senza previa comunicazione ai cittadini. Il centro gestito dall'associazione «Diogene», ospita 57 migranti, uomini e giovani donne, fra cui 5 in stato di gravidanza e impiega alcune strutture ricettive del comune. Da quando diverse decine di profughi hanno cominciato a riversarsi sulle strade della cittadina sostando spesso intorno alle abitazioni site nella zona della stazione si è generato un certo allarmismo nella comunità locale che, ravvisando l'assenza di un piano di integrazione dell'autorità comunale, chiedeva un pronto intervento del primo cittadino di Campiglia –:
   se intendano assumere iniziative, anche normative, che stabiliscano la necessità in tali situazioni di convocare una conferenza dei sindaci dei comuni confinanti, cui riferire gli esiti in apposite assemblee pubbliche, con l'obiettivo di distribuire in maniera opportuna i flussi favorendo l'integrazione, il rispetto fra gli individui e la trasparenza ed evitando al contempo di destabilizzare e allarmare le comunità locali; se intendano fornire informazioni, circa: la gara d'appalto indetta per stabilire quale associazione e quali strutture si sarebbero occupate dell'accoglienza; le modalità operative dell'associazione vincitrice; l'effettiva sussistenza nelle strutture ospitanti di adeguati requisiti igienico-sanitari e di sicurezza; la frequenza con la quale i migranti di cui in premessa sono seguiti dai mediatori culturali; le misure adottate per la tutela delle donne e dei minori ospitanti; le modalità con le quali intendano garantire la tutela della sicurezza e l'ordine pubblico nei comuni ospitanti centri di accoglienza per migranti. (4-09525)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MANLIO DI STEFANO, DEL GROSSO, DI BATTISTA, GRANDE, SCAGLIUSI, SIBILIA e SPADONI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   dal 26 marzo 2015 il regno dell'Arabia Saudita, coadiuvato da altri otto paesi arabi (Egitto, Marocco, Sudan, Emirati arabi uniti, Kuwait, Qatar e Bahrein) con armi fornite dall'Occidente, sta conducendo attacchi aerei incessanti su città e villaggi yemeniti, su richiesta da parte del presidente yemenita Hadi fuggito a Riad per l'avanzata dei ribelli Houti. L'azione militare è stata avviata senza autorizzazione da parte dell'Onu;
   solo dopo tre settimane, il 14 aprile, il Consiglio di sicurezza si è pronunciato, con la controversa risoluzione n. 2216 che in sé non avalla l'intervento, ma nemmeno lo condanna, né chiede un cessate il fuoco, limitandosi a condannare l'azione degli Houti e a imporre un embargo alle armi nei loro confronti;
   il 15 giugno sono ripresi i negoziati a Ginevra, ma non sembra che questo porterà a una tregua nei bombardamenti;
   i bombardamenti a guida saudita appaiono indiscriminati e configurano crimini di guerra. Già nei primissimi giorni è stato colpito un campo profughi a Mazraq, con decine di morti civili. Secondo gli ultimi dati dell'Oms, i morti sono oltre 2.500, per metà civili, e oltre 11.000 i feriti. Decine di migliaia gli sfollati. Sono stati bombardati e distrutti quartieri della Città vecchia di Sana'a;
   l'organizzazione internazionale Human Rights Watch accusa – con foto e filmati – l'Arabia Saudita di aver usato bombe a grappolo fornite dagli Stati Uniti, nella provincia di Saada. L'Arabia Saudita è stata accusata di aver usato (almeno) una bomba ai neutroni di fabbricazione israeliana;
   sempre secondo alcune organizzazioni Onu, 20 milioni di yemeniti (l'80 per cento della popolazione) hanno bisogno di aiuti urgenti e di una tregua umanitaria, ma i bombardamenti non sono mai stati interrotti. Inoltre, un embargo, secondo testimonianze di organizzazioni umanitarie fornite al settimanale Famiglia Cristiana, de facto da parte saudita, con l'appoggio di navi statunitensi, non fa passare aiuti, cibo, carburante necessario a far funzionare i pozzi della poca acqua potabile;
   a causa dei bombardamenti a guida saudita contro i guerriglieri Houti, nemici di Al Qaeda nella penisola arabica (Aqap), Al Qaeda si sta rafforzando in Yemen e controlla ora Hadhramaut e il suo capoluogo Mukalla;
   il regno dell'Arabia Saudita ad oggi è il primo acquirente di sistemi d'arma del nostro Paese –:
   quale sia la posizione della diplomazia, atteso che, all'avvio dei bombardamenti sauditi, è stata offerta, tramite dichiarazioni del Ministro interrogato, «comprensione» verso l'Arabia Saudita prendendo atto «delle caratteristiche limitate e difensive» dell'attacco saudita;
   quali misure efficaci intenda adottare per porre fine all'embargo che impedisce il passaggio di aiuti umanitari allo Yemen;
   come intenda chiarire il fatto che le armi vendute all'Arabia Saudita non siano effettivamente usate in attacchi allo Yemen, con tutte le conseguenze in termini di morti, feriti e catastrofe umanitaria che ne sono derivati. (5-05853)

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano inglese «The Guardian» ha rivelato il 15 giugno 2015 che ci sarebbe un accordo segreto tra alcuni Paesi europei ed il dittatore eritreo Isaias Afewerki;
   secondo il «The Guardian» i Paesi europei in questione avrebbero avviato delle trattative segrete per convincere il regime eritreo, considerato da gran parte della comunità internazionale particolarmente sanguinario e repressivo, a rinforzare i controlli alle frontiere;
   l'obiettivo sarebbe, insomma, quello di blindare i confini per impedire con la forza la fuga dei cittadini eritrei verso l'Europa;
   in cambio l'Eritrea otterrebbe fondi o un ammorbidimento delle sanzioni;
   tra i Paesi coinvolti vi sarebbero la Norvegia, l'Inghilterra e l'Italia;
   in particolare, il Segretario di Stato norvegese Joran Kellmyr si sarebbe recato in Eritrea per concordare l'ipotesi di poter rispedire indietro i profughi eritrei, mentre funzionari italiani e britannici avrebbero viaggiato fino ad Asmara per testare la disponibilità del regime eritreo a collaborare per braccare i migranti sui confini;
   non più tardi della scorsa settimana le Nazioni Unite hanno reso pubblico un rapporto molto esplicito sulla «cultura del terrore» che domina in Eritrea;
   si parla di arresti sommari, stupri e torture sistematici, di un servizio militare che viene equiparato alla schiavitù, di persecuzioni politiche ed esecuzioni sommarie;
   ciononostante, Norvegia e Inghilterra nel corso del 2015 hanno già rifiutato molte domande di asilo politico di cittadini eritrei sostenendo che si trattava di migranti per motivi economici (il tasso di rifiuto è passato dal 13 per cento del 2014 al 23 per cento dei primi sei mesi del 2015);
   il Governo italiano non ha ancora rilasciato dichiarazioni sull'argomento;
   i fatti sono riportati, tra l'altro, nell'articolo pubblicato il 16 giugno 2015 dall'edizione online del quotidiano «Il Manifesto» con il titolo «Secondo il Guardian, anche l'Italia avrebbe chiesto all'Eritrea di bloccare i migranti.»;
   un qualsiasi accordo del genere rappresenta, secondo l'interrogante, una gravissima violazione del diritto di asilo proprio di ogni essere umano;
   eventuali accordi, ove esistenti, con un regime dittatoriale così feroce e sanguinario come quello di Afewerki, sarebbero a dir poco del tutto inopportuni –:
   se i fatti narrati corrispondano, anche solo parzialmente, a verità;
   laddove fosse avviata una trattativa con l'Eritrea, quali siano i termini della stessa. (4-09530)

DIFESA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIZZO, CORDA, BASILIO e FRUSONE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da organi di stampa che lo scorso marzo si sono svolte le operazioni navali Mare Aperto, «dopo un anno di fermo per lo svolgimento dell'attività Mare Nostrum», lasciando intendere, con tale affermazione del generale Graziano, che a causa dell'attività di concorso al soccorso nel Canale di Sicilia, la Marina Militare abbia dovuto rinunciare alla sua attività istituzionale di difesa nazionale;
   sempre da notizie di stampa, si apprende che la Guardia costiera avrebbe a disposizione sette navi della classe CP900 e una cinquantina di motovedette della classe CP300, tutte costruite utilizzando fondi dell'agenzia europea Frontex, da impegnare nel recupero dei migranti nei mediterraneo;
   per quanto è di conoscenza agli interroganti, nel porto di Lampedusa, operano in turnazione, solo 3 o 4 motovedette della suddetta classe CP300 dotate di bordi in gomma per evitare il ribaltamento dei barconi e le lungaggini nelle operazioni di trasbordo come avviene per le navi di stazza maggiore;
   le navi e le motovedette della Guardia costiera sono in grado di accogliere diverse centinaia di naufraghi e risultano essere più veloci e più economiche in termini di costo di navigazione rispetto alle navi impiegate nelle stesse operazioni dalla Marina Militare; in considerazione anche del diverso impiego di equipaggi che, nel caso delle motovedette è di soli 25/40 membri, mentre sulle fregate della Marina è di 200 marinai che godono, comunque, di indennizzi di missione per le operazioni in mare;
   oltre le operazioni di ricerca e soccorso, la Guardia Costiera si è sempre adoperata anche per le attività di sabotaggio delle imbarcazioni, successivamente al trasbordo dei naufraghi. Non a caso, riferendo a notizie della stampa, una loro motovedetta, lo scorso febbraio venne minacciata con armi da fuoco da parte di scafisti affinché i «Guardia Coste», dopo le operazioni di soccorso, non mettessero fuori uso il barcone;
   le navi della Guardia costiera di lunghezza pari a circa 100 metri, secondo quanto noto agli interroganti, dovrebbero avere un costo di circa 70 milioni di euro, mentre quelle di 60 metri di 15 milioni di euro. Le motovedette classe 300 «soltanto» 2 milioni. Mezzi decisamente più economici rispetto alle nuove navi «dual use» che la Marina Militare ha recentemente commissionato e che verranno consegnate nel prossimo decennio che nella migliore delle ipotesi al netto dei sistemi d'arma verrebbero a costare almeno 200 milioni di euro –:
   quante «ore di moto» sono state svolte dalle navi della Marina Militare negli anni 2013, 2014 e quante esercitazioni navali in navigazione siano state svolte nel 2013 e nel 2014;
   se si intenda ridurre al minimo e al solo concorso l'attività navale di soccorso e contrasto all'immigrazione clandestina già egregiamente svolta da Guardia di Finanza e Guardia costiera, al fine di salvaguardare le navi della Marina che secondo quanto dichiarato più volte dal Capo di Stato Maggiore Ammiraglio De Giorgi non sono più all'altezza della situazione, per fronte alle crisi e al mantenimento degli equilibri internazionali. (5-05840)


   RIZZO, LOREFICE, BASILIO, FRUSONE, PAOLO BERNINI, BARONI e DI VITA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   con la sentenza del tribunale, civile di Roma, n. 19437/10, veniva condannato il Ministero della difesa in solido con Ministero dell'economia e delle finanze a risarcire la famiglia D'Inverno per la morte del caporal maggiore dell'Esercito in congedo A.D., a causa della sua esposizione all'uranio impoverito contenuto nei munizionamenti, durante la missione di pace in Kosovo ha cui partecipato tra il 27 novembre del 1997 e il 7 maggio del 1998; il militare è deceduto per una forma fulminante di leucemia nel 2007;
   il 20 maggio 2015, come si apprende da fonti giornalistiche, la prima pronuncia della corte d'appello di Roma, sui casi dei decessi legati all'uso dell'uranio impoverito, in Kosovo ha confermato la condanna ai danni dello Stato, che dovrà risarcire euro 1.3000.000 ai familiari del militare deceduto;
   la decisione della prima sezione civile della corte d'appello di Roma conferma «in termini di inequivoca certezza», «il nesso di causalità tra l'esposizione alle polveri di uranio impoverito e la patologia tumorale»;
   viene ulteriormente confermata, dalla sentenza di condanna ai danni del Ministero della difesa, la condotta dei vertici delle Forze armate per aver omesso di informare i soldati «circa lo specifico fattore di rischio connesso dall'esposizione all'uranio impoverito»;
   sono centinaia le vittime, nelle Forze armate italiane, derivanti dall'esposizione all'uranio impoverito in scenari di missioni internazionali di pace; sono tutte vittime che attendono di essere risarcite, come sancito dalla corte d'appello di Roma nel caso del caporal maggiore dell'Esercito A.D. –:
   se il Ministero abbia già predisposto il pagamento dei risarcimenti cui è stato condannato a pagare in via giudiziaria;
   se il capitolo 1232 (spese per sentenze di condanna) sia capiente per il pagamento delle sentenze sopra riportate;
   se il Ministro intenda fornire elementi sulle conseguenze derivanti dalle condanne in giudizio subite, con particolare riferimento ai capitoli di spesa ai quali attingere per il pagamento delle somme dovute e se tali condanne incidano, in riduzione, su quali altri capitoli del bilancio della difesa. (5-05841)

Interrogazione a risposta scritta:


   DALL'OSSO, RIZZO, BASILIO, CIPRINI e COMINARDI. — Al Ministro della difesa, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la marina militare di Augusta dal 2000 ha esternalizzato i servizi di pulizia e di ristorazione;
   dal 2008 sono stati operati una serie di tagli, da un budget di 180.000 euro mensili ad uno di soli 23.000 euro;
   come ben espresso anche nell'interrogazione presentata dal collega deputato Rizzo n. 4-05857, vi è un documento della STAZIONE ELICOTTERI MM CATANIA a firma del Comandante in 2a C.F. FLORENTINO, n. 112 del 29 aprile 2014, con il quale si argomentano le nuove direttive sulla tenuta del «posto di rassetto e pulizia dei locali di vita e di lavoro» a seguito della netta riduzione dei volumi di servizi di pulizia dati in outsourcing a ditte appaltatrici;
   i tagli operati vedono un impiego medio di orario lavorativo pari a 3 ore e mezzo al giorno;
   vi è stata comunicazione di un implemento di risorse per la Marina Militare del Sud pari ad euro 140.000 da spalmarsi su 7 mesi a fronte di euro 500.0000 destinati al porto di La Spezia;
   i tagli operati al Sud sono di circa l'80 per cento delle risorse;
   ad avviso degli interroganti si sta affondando la dignità lavorativa del personale di questa base obbligando lo stesso a cercare un secondo lavoro vista l'irrisorietà della mansione principale –:
   per quale motivazione le risorse destinate ai porti del Nord e Centro siano decisamente superiori a quelle destinate al Sud;
   considerato che appare quanto mai penalizzante lo status quo descritto in premessa quali risoluzioni siano state pensate dall'Esecutivo al fine di uscire da questa impasse;
   se non ritenga di ripristinare le attività di esternalizzazione dei compiti di pulizia attraverso strumenti come la «permuta» già utilizzata dalla marina militare su altri fronti. (4-09518)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SOTTANELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dopo il forte impatto sui bilanci dello Stato causato dalla recente sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato illegittimo il blocco dell'adeguamento all'inflazione di oltre cinque milioni di pensioni, un altro grave effetto sui conti pubblici rischia di avere un'altra decisione della Consulta intervenuta su un delicato tema che si trascina oramai da anni, quello delle sigarette elettroniche;
   la Corte Costituzionale, confermando quanto già sentenziato dal TAR del Lazio prima e dal Consiglio di Stato poi, ha infatti dichiarato illegittima la tassa sulle e-cig istituita con decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, convertito, con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 99;
   in particolare, il citato provvedimento ha previsto un'imposta di consumo del 58,5 per cento sia sui dispositivi, e relative parti di cambio, sia sui liquidi, equiparando di fatto le sigarette elettroniche a quelle tradizionali, con la conseguente applicazione dello stesso livello impositivo su liquidi (con e senza nicotina) e hardware, e la stessa tipologia di regole (depositi fiscali, autorizzazione, regime tariffario dei prezzi);
   già il 29 aprile 2014 il TAR Lazio, con ordinanza n. 4510, ha sospeso i relativi decreti attuativi, a seguito del ricorso presentato dalle aziende aderenti ad ANAFE Confindustria nel tentativo di ristabilire una «giustizia impositiva», vista anche l'impossibilità di operare nel mercato causata dai Tardivi — come confermato anche dalla Corte dei conti in una lettera indirizzata al Ministro dell'economia e delle finanze il 3 dicembre 2013 in relazione al decreto ministeriale applicativo della legge, n. 99 del 2013 — e mal scritti provvedimenti dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli;
   i profili richiamati dal TAR sono stati confermati dalla Corte costituzionale, che ha ritenuto contrario all'articolo 3 della Costituzione e «del tutto irragionevole, l'estensione, operata dalla disposizione censurata, del regime amministrativo e tributario proprio dei tabacchi anche al commercio di liquidi aromatizzati e di dispositivi per il relativo consumo, i quali non possono essere succedanei del tabacco»;
   a parere della Consulta, inoltre, la norma bocciata «affida ad una valutazione, soggettiva ed empirica l'individuazione della base imponibile e nemmeno offre elementi dai quali ricavare, anche in via indiretta, criteri e i limiti volti a circoscrivere la discrezionalità amministrativa nella definizione del tributo», in aperta violazione dell'articolo 23 della Costituzione e a discapito anche del diritto di libera iniziativa economica, posto che gli operatori di settore si sono sempre trovati nell'impossibilità di pianificare correttamente i propri investimenti;
   la dura sentenza della Corte costituzionale, oltre a provocare un buco da 117 milioni nelle Casse dello Stato per il 2014, avrà pesanti ripercussioni anche sul recente decreto legislativo 15 dicembre 2014, n. 188, che, per quanto riguarda i «prodotti da inalazione senza combustione costituiti da sostanze liquide, contenenti o meno nicotina», ha previsto di determinare la tassa in base a un sistema di equivalenza con le sigarette (con uno sconto del 50 per cento, sull'accisa dei tabacchi lavorati), a cui è seguita la determina dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli che ha equiparato «un'unità di prodotto liquido da inalazione, pari a 1 milione, al consumo di 5,63 sigarette convenzionali» sulla base di arbitrarie modifiche dovute — per ammissione stessa dell'ADM — al fatto che la norma ISO 3308/2012, prevista dalla legge ai fini del calcolo dell'equivalenza, non risulta in alcun modo applicabile omogeneamente a sigarette tradizionali e sigarette elettroniche;
   in base a tale «equivalenza» è stata stabilita la nuova imposta di consumo di 0,37344 euro per millilitro di liquido, pari a 3,73 euro più IVA a ricarica, con un insostenibile impatto tra il 100 per cento, e il 150 per cento sui prezzi al pubblico, e del 300 per cento su quelli all'ingrosso;
   come prevedibile, tale livello di imposizione fiscale, oltre ad aver registrato forti ripercussioni negative sugli operatori di settore e in particolare sulle aziende produttrici di liquidi da inalazione adeguatesi alla legge, che hanno registrato un calo delle vendite nazionali di oltre il 70 per cento nei primi cinque mesi dell'anno in un mercato invece in pieno boom in Europa e in crescita di oltre il 20 per cento in Italia, ha spinto i consumatori ad approvvigionarsi da aziende e siti esteri, che vendono liberamente in Italia nonostante l'obbligo di nominare un rappresentante fiscale (ma non esiste obbligo senza sanzione) e senza quindi versare alcunché all'Agenzia delle, dogane e dei monopoli;
   ad oggi, peraltro, risulta non aver avuto alcun seguito la circolare dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli (Prot. R.U. 31986 del 18.3.2015) relativa ai controlli in materia di liquidi per sigarette elettroniche. Tale circolare, a firma del direttore della direzione centrale gestione accise e monopolio tabacchi, dottore Roberto Fanelli, ricorda obblighi e sanzioni per gli operatori e minaccia una azione repressiva nei confronti del commercio e della produzione illegale, nazionale ed estera;
   sarebbe opportuno che il settore delle sigarette elettroniche arrivasse presto ad avere finalmente un quadro chiaro della situazione relativa all'imposta di consumo, anche per far fronte ai danni provocati alle aziende, ai commercianti, ai consumatori ed allo Stato dalla incertezza relativa alle norme;
   in questo senso, emblematici sono i numeri relativi ad un settore che nel 2013 contava ancora, seppure sull'onda della novità commerciale, circa 4.000 rivenditori finali che oggi, invece, si è già ridotto drasticamente a poco più di 1.000, con la perdita di oltre 8.000 posti di lavoro tra negozi e aziende, e di decine di milioni di euro derivanti da imposte dirette e indirette a causa della migrazione all'estero di molte aziende e dello spostamento verso di esse della domanda dei consumatori –:
   quali provvedimenti ritenga opportuno adottare, anche attraverso il coinvolgimento degli operatori del settore, al fine di rivedere l'intero sistema impositivo dei liquidi da inalazione senza combustione, permettendo la sopravvivenza di un importante settore, già duramente provato dalla crisi economica, e, nel frattempo, se non ritenga comunque opportuno, anche per dare seguito alla sentenza della Corte costituzionale, prevedere un sistema di tassazione bilanciato, non eludibile (a differenza di quello attuale) e basato sulla nicotina, che consenta al mercato nazionale dei liquidi da inalazione di rimanere competitivo a livello internazionale, ciò anche per scongiurare il rischio concreto che gli acquisti da parte dei consumatori si spostino definitivamente sul mercato estero (favorito in maniera enorme dalla legislazione attuale) o su quello illegale, con gravi ripercussioni sulle casse dello Stato e notevoli rischi per la salute dei cittadini a causa dell'impossibilità di qualsiasi controllo sulla filiera internazionale. (5-05854)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI, FERRARA, SCOTTO, MELILLA, DURANTI, PLACIDO, SANNICANDRO, PIRAS, QUARANTA, PELLEGRINO e KRONBICHLER. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   uno studio di Confartigianato, riportato dal quotidiano La Stampa l'11 giugno 2015, ha analizzato l'impatto della tassazione sugli immobili produttivi delle imprese;
   dallo studio è emersa una crescita del prelievo fiscale su tali immobili, che tra le imposte imu e tasi arriva ad una aliquota media del 10 per mille circa (valore medio nazionale dell'imu 9,38 per mille, valore medio nazionale Tasi 0,59, per un prelievo totale del 9,97. Dati ITWorking);
   il dato si avvicina molto, come hanno significativamente sintetizzato gli organi di stampa, ad una tassazione simile a quella per le seconde case e beni di lusso;
   dai dati emerge ancora come la tassazione più elevata si registri in tre regioni del Mezzogiorno e due del Centro: Umbria (10,34 per mille), Campania (10,19 per mille), Sicilia (10,16 per mille), Lazio (10,15 per mille) e Calabria (10,14 per mille);
   per quanto riguarda le Marche, invece, l'ufficio studi di Confartigianato Marche ha evidenziato che nella provincia di Ascoli Piceno l'aliquota imu e tasi pesa per il 10,36 per mille, a Macerata il 10,33, a Pesaro Urbino il 10,22; a Fermo il 10,11, mentre ad Ancona l'aliquota è del 9,66 per mille;
   il presidente di Confartigianato Marche Salvatore Fortuna, sul punto ha evidenziato come «su laboratori, macchinari e capannoni si concentra un prelievo fiscale sempre più forte, aggravato dalla complicazione di aliquote diverse», pressione che mina fortemente la competitività delle imprese italiane, non di certo in un periodo florido (Il Corriere Adriatico, 18 giugno 2015);
   le elaborazioni di Confartigianato su dati ITWorking, mostrano ancora un quadro differenziato di aliquote nel Paese: il 24 per cento dei comuni applica una tassazione con aliquote superiori o uguali al 10,60 per mille; il 40,9 per cento dei comuni una tassazione con aliquote che oscillano tra il 9,10 e il 10,50 per mille; il 26,2 per cento dei comuni applica una aliquota compresa tra il 7,70 e il 9 per mille; mentre solo l'8,7 per cento dei comuni applica aliquote inferiori o uguali al 7,60 per mille;
   secondo stime riportate da La Stampa, il passaggio da ici a imu e quindi a tasi, tra il 2011 e 2014, avrebbe portato ad un aumento complessivo del prelievo sugli immobili pari al 153,5 per cento; colpendo prevalentemente gli immobili diversi dalla prima casa;
   inoltre viene segnalato come a rendere ancor più gravoso il prelievo fiscale vi sia l'indeducibilità totale o parziale di tali imposte –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei dati citati in premessa;
   se sia in grado di fornire una stima precisa del prelievo applicato sulla base del combinato disposto delle aliquote imu e tasi ai capannoni industriali;
   se non ritenga opportuno valutare l'ipotesi di assumere iniziative per una sospensione di tali imposte per gli immobili industriali dismessi o che abbiano sospeso le attività di produzione, sino alla ripresa delle attività stesse. (4-09520)


   RICCIATTI e SCOTTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a quasi due anni dal commissariamento di Banca delle Marche, avvenuto nell'ottobre 2013, continuano ad essere riportate, da diversi organi di stampa, indiscrezioni sulle possibili soluzioni per il salvataggio dell'istituto marchigiano;
   il 2 marzo 2015 il quotidiano online La Repubblica riferisce di un probabile «piano B», ipotesi alternativa rispetto a quella seguita sino ad oggi per l'aumento di capitale, che i commissari starebbero considerando;
   secondo quanto riporta l'articolo di stampa citato, il Credito Fondiario-Fonspa, che svolge un ruolo primario in questa fase di transizione per Banca delle Marche, è impegnato in un progetto che prevede la divisione dell'Istituto di credito in una «bad bank», nella quale far confluire i crediti problematici, stimati in circa 5,5-6 miliardi di euro e con il Fondo interbancario nel ruolo di garante; ed una «good bank» con 10 miliardi di crediti sani, che le consentirebbero di avere una posizione competitiva sul mercato italiano. Tuttavia affinché tale progetto sia realizzabile è necessario un aumento di capitale stimato in circa un miliardo di euro, «di cui 300 messi a disposizione dal Credito Fondiario (che ha già deliberato, a sua volta, un aumento di capitale) e altri 100 milioni che arriverebbero dal Fondo Interbancario. Quanto ai 600 milioni mancanti – riferisce ancora l'articolo de La Repubblica – Bankitalia preferirebbe che a sottoscriverli fosse un altro operatore bancario, anche perché il congelamento dell'istituto in questo anno e mezzo ha impedito investimenti sul fronte dell'innovazione»;
   ad oggi, nonostante indiscrezioni su diverse manifestazioni di interesse da parte di altri gruppi bancari, nessuna di queste pare essere sufficientemente concreta, anche a seguito della riforma sulle banche popolari, che impone la trasformazione in società per azioni delle banche più grandi, e che dovrebbe orientare il mercato verso una aggregazione degli istituti di credito; tra le varie ipotesi sarebbe allo studio quella di un possibile interesse del Banco Popolare attraverso la Fondazione Cariverona, e in aggiunta, ma anche come ipotesi alternativa, la partecipazione di alcuni fondi internazionali, tra i quali è stato segnalato un interesse degli statunitensi Beauport Financial ed Elliott (Il Resto del Carlino, 25 marzo 2015, La Repubblica.it Affari&Finanza, 2 marzo 2015);
   ad incombere sulla delicata situazione dell'istituto bancario vi sono limiti temporali stringenti, costituiti dal termine del commissariamento – non più prorogabile – previsto per ottobre del corrente anno, e dall'introduzione del nuovo sistema di regole e procedure di fonte comunitaria, da applicarsi in caso di dissesto di banche di grandi dimensioni per evitare contagi sistemici (Bank Recovery and Resolution Directive). L'Italia, al pari di diversi altri Stati europei, è attualmente inadempiente nel recepire la direttiva, ma il Ministero interrogato ha assicurato che l’iter per l'approvazione di un decreto legislativo è stato avviato (Il Sole 24 Ore.it, 29 maggio 2015);
   sul fronte delle responsabilità della precedente gestione della Banca, che ha portato all'attuale situazione di dissesto, infine, si segnalano il recente provvedimento della Consob, che ha accertato le violazioni e quantificato le sanzioni amministrative a carico di 16 ex vertici di Banca Marche, «per carenze informative nel prospetto dell'aumento di capitale 2012; che portò all'emissione di circa 212 milioni di nuove azioni al prezzo di 0,85 euro, per un controvalore complessivo di 180 milioni di euro» (Ansa, 9 giugno 2015); e la proroga delle indagini concessa dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Ancona sino ad ottobre 2015 e l'apertura di un fascicolo da parte della procura della Repubblica di Roma su possibili reati istituzionali, a seguito di segnalazioni pervenute da parte di Banca d'Italia e Consob (Cronache Maceratesi.it, 22 maggio 2015) –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione alla vicenda di cui in premessa e quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, per agevolare una rapida soluzione del dossier Banca delle Marche tenuto conto dei risvolti occupazionali considerato anche il rilevante ruolo svolto dall'Istituto per l'economia e per il risparmio della regione Marche. (4-09527)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   RIZZO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la stampa, nazionale e locale, ha dato enorme risalto allo studio su «L'osservatorio per il monitoraggio degli effetti sull'economia delle riforme della giustizia» che ha preso in considerazione i 139 tribunali italiani;
   lo studio si è basato su 4 tabelle: durata media dei processi, piante organiche, pendenze ultratriennali e dati corti di appello dando risalto esclusivamente ad una sola delle tabelle elaborate, ossia quella relativa alla durata media dei processi civili;
   in questa tabella (durata media dei procedimenti civili), il tribunale di Caltagirone è relegato al 113o posto sui 139 tribunali presenti nel territorio nazionale;
   la CGIL di Caltagirone, ed in particolare la FP giustizia di Caltagirone, fanno rilevare che la lettura della sola tabella relativa ai tempi medi di definizione dei processi civili è fuorviante se non si tengono presenti anche altri fattori;
   infatti, se si esamina la tabella relativa alle carenze delle piante organiche si nota che il vero problema consiste nella carenza delle piante organiche sia del personale amministrativo che del personale di magistratura;
   infatti, il tribunale di Caltagirone è posizionato al 18o posto per scopertura nelle piante organiche dei magistrati e al 33o posto per scopertura nelle piante organiche del personale amministrativo sempre sui 139 uffici presenti –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare circa la completa copertura delle piante organiche, tenendo presente che, per quanto riguarda il personale amministrativo, con la mobilità da altre pubbliche amministrazioni (Ministeri e/o province) può essere risolto solo il problema della carenza delle piante organiche relative alle qualifiche inferiori (ausiliari ed operatori), mentre per le figure apicali (cancellieri, funzionari e direttori) serve personale qualificato, in quanto è impensabile affidare la gestione di una cancelleria a personale non qualificato proveniente da altri settori, e per i quali ultimi occorrerebbe bandire nuovi concorsi. (4-09513)


   ALBANELLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la stampa, nazionale e locale, ha dato grande risalto allo studio iniziato dall’«Osservatorio per il monitoraggio degli effetti sull'economia delle riforme della giustizia», presso il Ministero della giustizia, presieduto dalla ex Guardasigilli Paola Severino: due milioni di cause, delle 5 milioni pendenti, 139 tribunali messi in classifica considerando la capacità di smaltire vecchi processi e non solo con conseguente valutazione dei costi;
   si apprende che lo studio si è basato, dunque, su 4 tabelle: 1. durata media dei processi; 2. piante organiche; 3. pendenze ultratriennali e 4. dati corti di appello;
   si è dato, però, risalto esclusivamente ad una sola delle tabelle elaborate, ossia a quella relativa alla durata media dei processi civili;
   in questa tabella (durata media dei procedimenti civili) il tribunale di Caltagirone è relegato al 113o posto sui 139 tribunali presenti nel territorio nazionale;
   la CGIL di Caltagirone, ed in particolare la FP Giustizia di Caltagirone hanno sottolineato come la lettura della sola tabella relativa ai tempi medi di definizione dei processi civili è fuorviante se non si tengono presenti anche altri fattori: infatti, se si esamina la tabella relativa alle carenze delle piante organiche si nota che il vero problema del tribunale suddetto consiste nella grave carenza delle piante organiche sia del personale amministrativo che della magistratura;
   il tribunale di Caltagirone è infatti posizionato al 18o posto per scopertura nelle piante organiche dei magistrati, e al 33o posto per scopertura nelle piante organiche del personale amministrativo sempre sui 139 uffici presenti ma, nonostante questo, il tribunale, grazie anche all'impegno e al sacrificio del personale, ha svolto un buon lavoro, in quanto, su 4.920 processi iscritti, ne ha definito 4.417 (riferendosi ai processi civili) –:
   quali iniziative si intendano adottare al fine di provvedere alla completa copertura delle piante organiche, tenendo presente che, per quanto riguarda il personale amministrativo, con la mobilità da altre pubbliche amministrazioni (Ministeri e/o province) potrebbe essere risolto solo il problema della carenza delle piante organiche relative alle qualifiche inferiori (ausiliari ed operatori), mentre per le figure apicali (cancellieri, funzionari e direttori) serve personale qualificato, in quanto è impensabile affidare la gestione di una cancelleria a personale non qualificato e adeguatamente formato, proveniente da altri settori, e per i quali ultimi occorrerebbe bandire nuovi concorsi. (4-09521)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PILOZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il trasporto ferroviario delle merci in Italia è oggi notevolmente penalizzato a discapito del trasporto su gomma, che beneficia di molti contributi pubblici e di politiche di incentivazione che, nel corso degli anni, hanno portato ad una situazione in cui la gran parte delle merci continua a viaggiare su strada contribuendo in maniera importante all'inquinamento atmosferico complessivo del nostro Paese, oltre che incidere pesantemente sulla sicurezza stradale con un tributo pesante in termini di vite umane e di costi per il sistema sanitario nazionale;
   ai fini di una possibile inversione di tendenza, gli snodi ferroviari a supporto delle aree industriali risultano di fondamentale importanza poiché consentono un collegamento diretto ed immediato tra le realtà produttive, che necessitano di movimentare merci in entrata e in uscita, con il più rapido, efficiente e pulito mezzo di trasporto: il treno;
   negli ultimi anni però, RFI, la società che gestisce le linee ferroviarie statali, ha limitato notevolmente l'utilizzo degli snodi ferroviari, con particolare riferimento al transito delle merci classificate come pericolose, e ciò in particolare dopo i tragici eventi accaduti presso la stazione ferroviaria di Viareggio, del 29 giugno 2009, che causarono purtroppo decessi e feriti, anche a causa della presenza nello scalo proprio di merci pericolose;
   da allora, dopo attenta valutazione di tutti i possibili rischi, Rete ferroviaria italiana ha riaperto diversi nodi ferroviari al transito di tali categorie di merci poiché ubicati al di fuori degli spazi urbani e privi di rischi specifici di incidenti;
   il raccordo ferroviario di Anagni, in provincia di Frosinone, allacciato al km 60+125 della linea lenta Roma – Napoli via Cassino e posto a circa 700 metri a sud della stazione, è uno di quelli che RFI sospese all'indomani dell'incidente ferroviario di Viareggio in attesa di valutarne i possibili rischi connessi al transito delle merci pericolose;
   vi è da constatare in proposito che, fino alla decisione di vietare la sosta delle merci pericolose, lo snodo di Anagni era utilizzato a tal fine da molte imprese presenti sul territorio;
   oggi, le stesse imprese continuano ad avere necessità di trasportare merci classificate come pericolose che, in mancanza del raccordo ferroviario, vengono trasportate su gomma, aumentando notevolmente i rischi di incidente, atteso anche il pessimo stato di manutenzione delle strade dell'area industriale e la profonda antropizzazione delle aree stradali che conducono al vicino casello dell'autostrada A1;
   il raccordo ferroviario di Anagni è posto al di fuori del centro urbano e pertanto, una valutazione dei rischi conseguenti al transito delle merci pericolose risulterebbe agevole e non particolarmente complesso;
   la riapertura dello snodo ferroviario di Anagni al transito di tale categoria di merci andrebbe a ridurre il rischio di incidente atteso che oggi, come detto, quelle merci vengono trasportate su gomma aumentando il rischio incidente, come desumibile da tutti gli indicatori statistici, rispetto al trasporto ferroviario –:
   se sia a conoscenza del fatto che la società RFI, ha disposto il divieto della sosta delle merci pericolose in arrivo e in partenza dal raccordo ferroviario di Anagni, in provincia di Frosinone, allacciato al km 60+125 della linea lenta Roma – Napoli via Cassino e se, alla luce delle precedenti considerazioni, non ritenga opportuno richiedere alla società RFI una celere valutazione dei rischi connessi alla riapertura dello stesso scalo ferroviario al transito delle merci pericolose. (5-05835)


   GRIBAUDO e TARICCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 15 giugno 2015 Trenitalia e le sigle sindacali FILT CGIL, FIT CISL, UILTRASPORTI, UGL TAF e Fast Ferrovie hanno firmato un accordo avente per oggetto le iniziative per la tutela della sicurezza in seguito al recente episodio di aggressione ad un lavoratore di Trenord in Lombardia;
   in base a tale accordo, si prevede la sospensione di servizi pubblici fondamentali su alcune tratte considerate a rischio;
   gli stessi firmatari dell'accordo rilevano in premessa, «la salvaguardia e l'incolumità dei lavoratori e dei clienti attiene a profili di ordine pubblico, e, quindi, esterni al sistema azienda;
   ciò nondimeno individuano unilateralmente, a partire dal 26 giugno 2015, la soppressione di treni di cui alla tabella allegata al detto accordo;
   per il Piemonte, ciò significherebbe mettere in forte difficoltà linee particolarmente frequentate come la Torino-Savona-Ventimiglia e la Torino-Cuneo. Inoltre, si precisa, altre cancellazioni potrebbero essere previste sulla base di ulteriori valutazioni in sede territoriale;
   va confermata anche in questa sede la piena solidarietà al lavoratore ferito nella brutale aggressione dell'11 giugno 2015;
   quali siano gli orientamenti del Ministro su quanto esposto e quali iniziative urgenti di competenza intenda intraprendere, atteso che le soppressioni contenute nell'accordo del 15 giugno avrebbero verosimilmente come principale risultato una grave penalizzazione per l'utenza, in particolare quella pendolare;
   quali ulteriori iniziative per quanto di competenza intenda mettere in campo per la salvaguardia della sicurezza di lavoratori e passeggeri sulle tratte ferroviarie italiane. (5-05843)


   MURA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Sardegna è la regione in Italia che paga maggiormente il prezzo dell'isolamento non solo per la sua condizione geografica ma anche per un sistema di trasporto aereo che costringe i residenti a recarsi negli scali della penisola – diversi da Roma e Milano le cui tratte sono coperte dalle tariffe in continuità territoriale 1 (CT1) – con elevati costi economici e sociali;
   occorre uno sforzo per superare, come richiamato nelle mozioni approvate dai due rami del Parlamento, e da ultimo dal Consiglio regionale della Sardegna, gli svantaggi derivanti dall'insularità attraverso un modello di continuità aerea che sia molto più ampia di quella attuale;
   il mancato avvio della cosiddetta continuità territoriale 2 (CT2) — che copre le tratte tra la Sardegna e le città diverse da Roma e Milano — costringe i viaggiatori sardi a recarsi a Torino, Verona, Bologna, Napoli e Palermo con le compagnie low cost che, affidandosi alle logiche del libero mercato, non sono sottoposte a nessun obbligo di garanzia dei voli e di tariffe calmierate;
   senza un accordo tra le istituzioni, anche nazionali, e le compagnie aeree, i disagi per i passeggeri sardi sono destinati ad aumentare, con la prevedibile cancellazione di alcune rotte, la diminuzione della frequenza dei voli e il conseguente incremento delle tariffe;
   la Francia, per garantire la continuità territoriale aerea e marittima della Corsica (poco più di 350 mila abitanti) investe quasi 130 milioni di euro l'anno. La Sardegna, che ha quattro volte gli abitanti della Corsica, per la continuità aerea ne spende, totalmente a carico del proprio bilancio, meno di 50;
   occorre quindi garantire il diritto alla mobilità dei sardi tutto l'anno, con tariffe agevolate da e per le più importanti città della penisola, senza al contempo penalizzare gli utenti non residenti;
   un sistema agevolato di tariffe per i non residenti, soprattutto nei periodi di bassa stagione, è infatti considerato un fattore capace di far crescere il turismo nell'isola e aiutare l'economia regionale;
   un modello misto che assicuri la mobilità e insieme lo sviluppo turistico deve quindi necessariamente prevedere sia la CT1 sia la CT2, con lo scopo di consentire ai sardi di viaggiare in piena libertà (anche per ragioni di lavoro e salute) e incentivare l'arrivo di turisti che possono consentire alle imprese locali di poter offrire prodotti e servizi a un mercato più ampio di quello attuale;
   quali iniziative intenda assumere per assicurare ai sardi il diritto alla mobilità che l'attuale regime di continuità territoriale limita fortemente;
   se non ritenga opportuno convocare un tavolo con la regione Autonoma della Sardegna, i vettori aerei e le parti sociali per la definizione di un modello di continuità territoriale, che consenta a tutti – sardi e non – di viaggiare a costi sostenibili tutto l'anno, assicurando la mobilità da un lato e lo sviluppo turistico dall'altro, un sistema di continuità, che al pari di quello che la Francia assicura alla Corsica, possa contare su un importante apporto finanziario da parte dello Stato;
   quali iniziative intenda assumere affinché le rotte dalla Sardegna verso importanti città come Torino, Verona, Bologna, Napoli e Palermo siano coperte da tariffe agevolate attraverso un modello di continuità territoriale che oggi è assicurato solo per le città di Roma e Milano. (5-05844)


   CATALANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il progetto del collegamento ferroviario AV/AC Verona-Padova ha per obiettivo il quadruplicamento, con caratteristiche di alta velocità/alta capacità, della tratta Verona-Padova, e la realizzazione della tratta AV/AC Verona-Vicenza-Padova costituisce parte della trasversale est-ovest Torino-Milano-Venezia, inserita nel corridoio europeo mediterraneo;
   nel corso del 2012 è stato predisposto – su incarico conferito dalla camera di commercio di Vicenza, quale capofila per l'attuazione di una convenzione stipulata tra regione del Veneto, provincia di Vicenza, comune di Vicenza e la stessa camera di commercio – uno studio di prefattibilità avente ad oggetto l'attraversamento del territorio della città di Vicenza da parte della linea ferroviaria AC/AV, in affiancamento a quella storica e con localizzazione della relativa stazione AC/AV in zona Vicenza Ovest-fiera;
   le parti della citata convenzione hanno concordato che i successivi sviluppi progettuali per l'attraversamento del territorio vicentino da parte della tratta AV/AC Verona-Padova siano effettuati avendo a riferimento la soluzione progettuale più ampiamente descritta nello studio di prefattibilità, che prevede l'eliminazione della galleria di Altavilla Vicentina (ad ovest di Vicenza) e della galleria di sottoattraversamento di Vicenza, la realizzazione della nuova stazione «Vicenza Fiera», a servizio del traffico AV/AC, regionale e merci, e l'interramento della linea storica e della linea AV/AC in «zona Ferrovieri», quale intervento di «ricucitura urbana»;
   il progetto contempla il mantenimento dell'attuale sede a 4 binari in corrispondenza della trincea di viale Risorgimento e la realizzazione della nuova stazione «Vicenza Tribunale» a servizio del traffico regionale e interregionale, nonché con funzioni di «volano ferroviario» per ammortizzare le eventuali disfunzioni dovute alla mancata realizzazione di nuovi binari nella trincea di viale Risorgimento, con conseguente realizzazione di interventi idraulici necessari per ridurre il rischio generato dal fiume Retrone e dal fiume Bacchiglione (by-pass idraulico del fiume Retrone sotto monte Berico e sfioro del fiume Bacchiglione nell'alveo del Retrone e bacinizzazione delle golene del Bacchiglione per laminarne le portate);
   come si legge su «la domenica di Vicenza» del 8 maggio 2010 la stazione di Vicenza è già stata oggetto di lavori di riqualificazione e ristrutturazione conclusi nel 2007, consistenti nella completa ristrutturazione dell'edificio, in termini di funzionalità, estetica e servizi per gli utenti, tali da rendere l'attuale stazione, che dispone di doppi binari ancora sottoutilizzati, pienamente efficiente;
   in data 18 dicembre 2014 il quotidiano «Vicenza Today» ha dato voce a diffuse perplessità in merito al progetto e alle sue conseguenze sul territorio di Vicenza;
   si osserva, in particolare, che nei 32 chilometri fra Montebello e Grisignano sarà realizzato un quadruplicamento della linea esistente. Che passerebbe dai due binari attuali a quattro, in affiancamento alla linea storica, mentre la tensione resterebbe pari a 3 kV, a differenza della maggior parte delle linee TAV italiane, con tensione a 25 kV;
   in ragione della minor tensione, la velocità massima raggiungibile dovrebbe assestarsi sui 220 km/h, ridotti a 140 km/h nel tratto urbano di Vicenza; detto questo, la relazione generale di Italferr non fa una stima dei tempi di percorrenza sulla nuova linea, ad oggi un Frecciabianca da Vicenza a Milano impiega 1 ora e 50 minuti, e non risultano effettuate stime sull'effettivo risparmio di tempo conseguente alla nuova opera;
   inoltre, il progetto rileva che, per avere una fermata Tav in città, questa debba contare su un bacino di circa 800 mila potenziali utenti, ampiamente superato secondo la stima dei promotori;
   ciò nonostante, la mappa del potenziale bacino di utenza della nuova stazione in progettazione è stata realizzata calcolando tutti i luoghi da cui si può arrivare in meno di 30 minuti alla stazione Vicenza Fiera;
   questo bacino risulterebbe sovrastimato, in quanto ricomprendente gli abitanti di Padova, Verona e dei loro hinterland, che però verosimilmente continueranno a recarsi nelle stazioni delle loro rispettive città e non prenderanno l'auto per raggiungere la stazione di Vicenza;
   i promotori ipotizzano ad esempio che «se dall'Arcella sicuramente un cittadino prenderebbe un treno a Padova, già da Abano Terme potrebbe essere avvantaggiato dal salire a Vicenza, in direzione di Milano", ma tale affermazione appare azzardata (su viamichelin.it da Abano alla stazione di Padova si impiegano 22 minuti senza pedaggio autostradale, mentre dalla cittadina termale alla Fiera a Vicenza ce ne vogliono 38, con 2,30 euro di pedaggio) indebolendo così i presupposti della necessità di una stazione in zona fiera;
   inoltre, risulta che «la nuova stazione sarebbe il 50 per cento più lontana dal cuore della città, e se corso Palladio è l'asse principale del centro, la porta ovest è piazza Castello e la porta est piazza Matteotti, dall'attuale stazione a piazza Castello ci sono 600 m (8 minuti a piedi), e dalla stazione tribunale a piazza Matteotti c’è 1 chilometro (14 minuti), quasi il doppio del tempo»;
   non sarebbe poi stato considerato, nell'analisi dei costi e benefici dell'opera, la maggior gravosità del servizio di trasporto pubblico locale necessario a collegare le nuove opere con il centro urbano;
   quanto al rischio idrogeologico, le due nuove stazioni insisteranno su terreni ad alto rischio allagamento, secondo la mappa del rischio idraulico e geologico redatta dall'Autorità di Bacino Brenta-Bacchiglione;
   quanto al rischio al patrimonio storico-artistico, verrebbe scavato un tunnel sotto Monte Berico per collegare a nord viale Fusinato e a sud Borgo Berga, passando sotto la settecentesca Villa Valmara;
   l'attuale progetto del tunnel, con costo stimato in 60 milioni di euro, non presenterebbe gallerie di fuga, pur previste obbligatoriamente dalla legislazione vigente per tunnel di quella lunghezza (superiore a 500 metri);
   benché i tecnici di Italferr, come si evince dalla loro relazione, abbiano calcolato espropri per 426 mila metri quadrati, e demolizioni per 29 mila 500 metri quadrati, con una stima prudenziale di 107 milioni Euro di indennizzi, quest'ultima appare radicalmente sottostimata, tenendo la stessa conto del mero valore immobiliare degli immobili e non degli indennizzi per le attività produttive che dovranno traslocare (ad esempio con la richiesta di indennizzo, da parte delle sole Acciaierie Valbruna, di circa 300 milioni di euro);
   sono stati infine denunciate, anche nel citato articolo di Vicenza Today situazioni di possibile conflitto di interesse intercorrente tra i progettisti dell'opera e il sindaco, in ragione di un contributo alla campagna elettorale di quest'ultimo e alla luce di precedenti incarichi affidati ai primi;
   se quanto esposto trovi conferma di quali elementi disponga il Governo;
   se al Governo risulti l'esistenza di analisi costi-benefici tali da soddisfare – cumulativamente e non alternativamente – requisiti di completezza, terzietà, comparatività e che tengano conto del traffico che verrebbe reindirizzato dalle opere preesistenti;
   quale sia, per quanto di competenza, l'orientamento del Governo circa i verosimili incrementi di spesa rispetto a quella preventivata;
   se il Governo, anche alla luce delle indagini in corso in materia di grandi opere, valuti le analisi disponibili tuttora sufficienti a giustificare la realizzazione dell'opera e gli ingenti costi finanziari e ambientali conseguenti, ovvero ritenga opportuna una più completa istruttoria e indagine tecnica. (5-05845)


   MARTELLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   13 dipendenti della società ATA, una delle tre compagnie che gestisce i servizi di terra dell'aeroporto Marco Polo di Venezia hanno ricevuto nella giornata del 16 giugno 2015 la lettera di licenziamento per i lavoratori messi in mobilità;
   in data 17 giugno le organizzazioni sindacali aziendali e di categoria hanno proclamato uno sciopero immediato con adesione dei dipendenti non solo della Ata ma anche delle altre due società, Gh Italia e Avia-partner, che gestiscono i servizi aeroportuali;
   sono annunciate in arrivo altre 30 lettere di licenziamento il che porterebbe complessivamente ad un terzo dei lavoratori Ata ad essere interessati da suddetto provvedimento;
   per ora i disagi in aeroporto per i passeggeri in arrivo e in partenza sarebbero abbastanza contenuti, ma la situazione potrebbe peggiorare e lo sciopero potrebbe determinare la paralisi dello scalo veneziano in uno dei periodi più critici dell'anno per il grande afflusso di viaggiatori;
   il prefetto di Venezia ha convocato per le ore 10 del 18 giugno 2015 una riunione con i rappresentanti delle organizzazioni sindacali delle società di gestione dei servizi di terra nonché di Enac e Save per affrontare una situazione delicatissima;
   con interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05590 in data 13 maggio 2015 il sottoscritto aveva già posto al Governo la problematicità della situazione degli handling chiedendo un intervento finalizzato ad evitare il loro licenziamento –:
   quali iniziative il Governo, per quanto di competenza, intenda porre in essere al fine di individuare soluzioni utili ed evitare il licenziamento degli addetti in questione nonché fornire una prospettiva a tutti gli addetti delle tre società di gestione, salvaguardando i livelli occupazionali in uno degli scali più importanti del Paese. (5-05848)


   FABBRI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il cosiddetto «Protocollo Neve» sancito tra la regione Emilia Romagna, le province di Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna, i comuni di Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna, Casalecchio di Reno, Sasso Marconi, il compartimento di polizia stradale per l'Emilia Romagna, Autostrade per l'Italia ed il Consorzio per la realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità Milano Bologna (TAV) consente ad Autostrade per l'Italia, in via unilaterale, di bloccare l'accesso ai mezzi pesanti, in caso di rischio neve, nel tratto appenninico dell'A1, Bologna-Firenze;
   il 5 febbraio 2015 si è verificata un'intensa nevicata sull'intero territorio dell'Emilia Romagna e già dal giorno precedente il protocollo in questione è stato messo in atto da Autostrade per l'Italia, in via preventiva, mettendo in grande difficoltà i comuni a ridosso del tratto appenninico, in particolare Casalecchio di Reno e Sasso Marconi a loro volta impegnati con i propri soli mezzi per prepararsi all'emergenza;
   stabilito infatti il divieto di ingresso in autostrada, nella serata di giovedì 4 febbraio il traffico pesante è stato dirottato, in assenza di un'area di accumulo in prossimità del casello autostradale, nel parcheggio privato dell'Unipol Arena, in zona commerciale/industriale nel comune di Casalecchio di Reno e individuato dal piano della prefettura come area di accumulo veicoli;
   nelle ore delle intense nevicate i mezzi sgombraneve del comune di Casalecchio di Reno, impegnati in altre zone del territorio, sono stati dirottati presso l'area di sosta individuata per i mezzi pesanti per garantire loro l'accesso e la permanenza nell'area. I costi conseguiti sono gravati sul comune di Casalecchio di Reno, così come i disagi dovuti alla mancata o ritardata pulizia di alcune strade comunali, nonostante la chiusura dell'A1 rispondesse ad un problema di gestione ottimale del traffico sul tratto autostradale da parte della società privata Autostrade per l'Italia;
   il piano neve autostradale prevede nello specifico che la polizia municipale di Casalecchio di Reno operi interdizioni vigilate ai caselli autostradali (fra l'altro situati fuori dal territorio comunale), già nella fase di pre-allerta:
   nell'ultimo evento del 5 febbraio 2015 è stata garantita una presenza prolungata ai caselli che ha comportato turni straordinari di servizio nell'arco delle 24 ore per due giorni consecutivi. Ciò inoltre ha implicato una minore presenza della polizia municipale sul territorio di Casalecchio di Reno e Sasso Marconi, fortemente colpito dalle conseguenze della intensa nevicata, soprattutto nella giornata di venerdì 6 febbraio;
   nell'audizione tenuta dalla Commissione attività produttive della Camera dei deputati del 18 marzo 2015, la società Terna ha dichiarato che i ritardi per il ripristino delle cabine di alta tensione danneggiate in Emilia-Romagna durante le nevicate del 5-6 febbraio si sono verificati anche a causa della difficoltà di raggiungere i capoluoghi di provincia interessati a causa della chiusura dell'A1;
   seppur trattandosi di un tratto circoscritto del tratto appenninico dell'A1, Bologna-Firenze, ma particolarmente strategico, la sua chiusura improvvisa e con tempi di comunicazione ridotti produce inevitabilmente gravi effetti alla circolazione, disagi e problemi di sicurezza su buona parte del territorio nazionale;
   non appare corretto all'interrogante un concessionario di un tratto autostradale per rispondere ai propri obblighi/esigenze di corretta e sicura gestione del tratto autostradale in concessione possa, anche se a seguito di convenzione, far ricadere tutti gli oneri derivanti dagli obblighi contrattuali di corretta e sicura gestione sugli enti locali in prossimità dei caselli autostradali senza alcuna compartecipazione o compensazione degli oneri indotti –:
   se non ritenga necessario verificare la rispondenza degli standard di servizio previsti dalla convenzione unica con quelli effettivamente erogati da Autostrade per l'Italia rispetto all'obbligo di tenere aperto e funzionale il tratto autostradale oggetto della concessione;
   se la chiusura del tratto autostradale per rischio neve sia tra le soluzioni ottimali per garantire la sicurezza stradale ovvero se non debbono essere adottate altre soluzioni per garantire percorribilità e sicurezza, e se nei tratti autostradali del nord Italia attraversanti il tratto alpino si attuino le medesime procedure.
(5-05852)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RIZZO, DELL'ORCO, CORDA, BASILIO e FRUSONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da quanto si apprende da organi di stampa, la Guardia costiera avrebbe a disposizione sette navi della classe CP900 e una cinquantina di motovedette della classe CP300, tutte costruite utilizzando fondi dell'agenzia europea Frontex, da impegnare nel recupero dei migranti nel Mediterraneo;
   per quanto di conoscenza degli interroganti, nel porto di Lampedusa, a turno, operano solo 3 o 4 motovedette della suddetta classe CP300 capaci di caricare fino a 150 naufraghi e dotate di bordi in gomma per evitare il ribaltamento dei barconi e le lungaggini nelle operazioni di trasbordo come avviene per le navi di stazza maggiore;
   le navi e le motovedette della Guardia costiera sono in grado di accogliere diverse centinaia di naufraghi e risultano essere più veloci e più economiche in termini di costo di navigazione rispetto alle navi impiegate nelle stesse operazioni dalla Marina militare; considerando anche il diverso impiego di equipaggi che, nel caso delle motovedette è di soli 25/40 membri, mentre sulle fregate della Marina è di 200 marinai che godono, comunque, di indennizzi di missione per le operazioni in mare;
   oltre le operazioni di ricerca e soccorso, la Guardia costiera si è sempre adoperata anche per le attività di sabotaggio delle imbarcazioni, successivamente al trasbordo dei naufraghi. Non a caso, riferendo a notizie della stampa, una loro motovedetta, lo scorso febbraio venne minacciata con armi da fuoco da parte di scafisti affinché i «Guardia Coste», dopo le operazioni di soccorso, non mettessero fuori uso il barcone;
   le navi della Guardia costiera di lunghezza pari a circa 100 metri, secondo quanto noto agli interroganti, dovrebbero avere un costo di circa 70 milioni di euro, mentre quelle di 60 metri di 15 milioni di euro. Le motovedette classe 300 «soltanto» 2 milioni. Mezzi decisamente più economici rispetto alle nuove navi «dual use» che la Marina militare ha recentemente commissionato e in consegna nel prossimo decennio e che nella migliore delle ipotesi al netto dei sistemi d'arma verrebbero a costare almeno 200 milioni di euro;
   in merito all'attività di ricerca e salvataggio nel canale di Sicilia il Consiglio di Rappresentanza a livello nazionale della Guardia costiera, in conseguenza dell'enorme sforzo in termini di uomini impiegato, con la delibera n. 124/XI del 15 aprile 2015, ha chiesto al Comando generale della Guardia costiera di «valutare l'opportunità di un aumento del personale e degli organi tabellari» al fine di razionalizzare gli incarichi del ruoli più alti;
   lo stesso Consiglio di rappresentanza con la delibera n. 125/XI del 15 aprile 2015 ha chiesto altresì di aumentare l'attività addestrativa nell'uso delle armi portati e nei corsi MGA, oltre che ottenere adeguate dotazioni di bordo (giubbotti antiproiettile, fondine cosciale e strumenti di coazione fisica) al fine di poter meglio garantire la sicurezza a bordo;
   se il Ministro intenda aumentare il dispositivo impegnato nelle operazioni di ricerca e salvataggio nel mar Mediterraneo almeno di una nave della Guardia costiera e raddoppiare la presenza delle motovedette sull'isola di Lampedusa, auspicando i giusti riconoscimenti economici (straordinari ed accessori) e morali al personale impegnato in queste attività;
   se intenda accogliere la delibera del Consiglio di rappresentanza a livello nazionale della Guardia costiera aumentando l'organico disponibile per le attività di pattugliamento nella misura di duecento militari di truppa il cui costo graverebbe, per i bilanci del Ministero, per circa 4 milioni di euro come desumibile dalla prima stesura della legge di stabilità 2015 poi emendata;
   quali programmi di addestramento all'uso delle armi portatili svolga il personale della Guardia costiera con particolare riferimento a coloro che risultano impegnati in servizio nel canale di Sicilia e con quale tipologia di armi;
   se, unitamente ai medici e ai soccorritori imbarcati sulle unità della Guardia costiera, si intenda predisporre la presenza di due «Guardia Coste» equipaggiati alla tutela del personale di bordo con idonei dispositivi di difesa;
   se il Ministero intenda stilare un programma di massima al fine di rinforzare la flotta navale per rispondere sempre più adeguatamente alle esigenze connesse con l'immigrazione del canale di Sicilia sotto l'aspetto di economicità e di operatività, ciò al fine di evitare sovrapposizioni di compiti fra chi deve esercitarsi e prepararsi per attività belliche e di difesa nazionale di propria competenza e chi deve essere pronto istituzionalmente a procedere a soccorsi e alla polizia marittima. (4-09515)


   VIGNAROLI, DELL'ORCO, DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI, CARINELLI, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO e SPESSOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 27 marzo 2014 è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 72, il decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 46, di attuazione della direttiva 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali che amplia il novero delle imprese soggette ad autorizzazione integrata ambientale, includendo anche alcune attività autorizzate ex articolo 208 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni;
   conformemente a quanto disposto all'articolo 29, comma 2, del decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 46 «i gestori delle installazioni esistenti che non svolgono attività già ricomprese all'Allegato VIII alla Parte Seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, come introdotto dal decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128» hanno presentato entro il 7 settembre 2014 l'istanza per il primo rilascio della autorizzazione integrata ambientale, ovvero istanza di adeguamento ai requisiti del Titolo III-bis della Parte Seconda, nel caso in cui l'esercizio debba essere autorizzato con altro provvedimento;
   l'articolo 29, comma 3 del decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 46 dispone che «l'autorità competente conclude i procedimenti avviati in esito alle istanze di cui al comma 2, entro il 7 luglio 2015» e che «nelle more della conclusione dell'istruttoria delle istanze di cui al comma 2, e comunque non oltre il 7 luglio 2015, gli impianti possono continuare l'esercizio in base alle autorizzazioni previgenti»;
   l'articolo 82, comma 2 della direttiva 2010/75/UE non fissa una scadenza per la validità dei titoli autorizzativi previgenti ed attualmente validi ma si limita a fissare un termine, appunto il 7 luglio 2015, entro cui gli Stati membri dovranno applicare disposizioni legislative, regolamentari e amministrative conformi alla direttiva stessa relativamente agli impianti che sono in funzione prima del 7 gennaio 2013 e che inoltre tali disposizioni sono rivolte agli Stati membri ed alle autorità competenti e non alle imprese che da queste dipendono per l'espletamento dei propri obblighi;
   va considerato il ritardo già registrato in alcune regioni, o province delegate, nell'avvio delle procedure di cui all'articolo 29 del decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 46;
   la previsione in parola contrasta, ad avviso degli interroganti, inoltre con i principi generali previsti dalla legge n. 234 del 12 che, con un rinvio alla legge n. 246 del 2005; prevedono espressamente che «gli atti di recepimento di direttive comunitarie non possono prevedere l'introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiore rispetto a quelli minimi richiesti dalle direttive medesime», al fine di evitare il fenomeno del cosiddetto «golg plating» –:
   quali iniziative intenda promuovere il Ministro interrogato al fine di evitare l'eventuale ingiustificato blocco delle attività delle imprese nel caso del mancato rispetto del termine del prossimo 7 luglio 2015 da parte delle autorità competenti, cui spetta il rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale, e il conseguente, probabile, contenzioso che si genererà a seguito delle azioni di risarcimento intraprese dalle imprese nei confronti delle pubbliche amministrazioni;
   se il Ministro non ritenga altresì opportuno promuovere l'avvio delle iniziative normative necessarie per riallineare le disposizioni nazionali al quadro normativo europeo al fine di non penalizzare in modo immotivato il settore imprenditoriale nazionale rispetto ai concorrenti esteri, prevedendo l'abrogazione dell'inciso «comunque non oltre il 7 luglio 2015». (4-09516)


   VIGNAROLI, DELL'ORCO, DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI, CARINELLI, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO e SPESSOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   le radiazioni dei veicoli per esportazione sono aumentate negli ultimi anni di circa il 40 per cento (da 491.838 unità nel 2009 a 753.671 nel 2013 secondo dati ACI), costituendo oltre il 40 per cento di tutti i veicoli ritirati dalla circolazione in Italia, e questo per un'applicazione distorta dell'articolo 103 del codice della strada in base alla quale si poteva radiare la vettura dal pubblico registro automobilistico senza però avere evidenza che il veicolo fosse stato effettivamente esportato e reimmatricolato nel Paese di destinazione;
   questa pratica consente di eludere la normativa ambientale sull’export dei rifiuti generando effetti negativi a livello ambientale. Infatti, non sempre i veicoli radiati per esportazione vengono effettivamente esportati; sovente rimangono in territorio italiano; vengono prelevati senza particolari accorgimenti i pezzi di ricambio, e ciò che resta è abbandonato in aree pubbliche con conseguente danno per l'ambiente. Analogamente può verificarsi che i veicoli radiati vengono effettivamente esportati, ma non reimmatricolati, andando ad alimentare mercati illeciti dei ricambi e ad approvvigionare centri di raccolta stranieri;
   ciò comporta, inoltre, effetti negativi nei confronti delle imprese italiane che hanno effettuato investimenti, spesso assai onerosi, al fine di essere in regola con le normative dettate dal legislatore comunitario, effetti negativi consistenti nella sottrazione di grandi quantità di materiale, sia destinato ai centri di demolizione che reimmettono nel mercato ricambi usati, sia di centinaia di migliaia di tonnellate di rottami di ferro che necessitano all'industria siderurgica nazionale e che la stessa è poi obbligata ad importare da altri Stati. In definitiva la vendita di veicoli fuori uso destinati all'esportazione produce, per il sistema Italia, molti più costi e inefficienze rispetto ai possibili benefici;
   l'ACI ha previsto che a partire dal 14 luglio 2014 alle formalità di radiazione per esportazione deve essere sempre allegata la fotocopia della carta di circolazione estera o l'attestazione di avvenuta reimmatricolazione all'estero. Tale previsione, che da sola avrebbe consentito di risolvere appieno la problematica, è stata tuttavia sminuita dalla successiva previsione della possibilità che, in attesa della reimmatricolazione all'estero, la radiazione per esportazione del veicolo possa avvenire dietro presentazione di documentazione comprovante l'avvenuto trasferimento del veicolo (ad esempio, bolla doganale, documento di trasporto, fattura di vendita, e altro). Nonostante ciò, stime dei dati relativi alle radiazioni per esportazione avvenute nel 2014 dimostrano che tale circolare ha comunque ottenuto un effetto positivo, seppur con una riduzione non significativa –:
   quali iniziative il Governo intenda porre in atto per definitivamente chiarire che la radiazione per esportazione deve avere come unica finalità la reimmatricolazione del veicolo all'estero per l'effettiva circolazione dello stesso sul territorio straniero, evitando che la normativa continui ad agevolare «scappatoie» per l'esportazione di veicoli all'estero da destinare alla demolizione, che dovrebbe invece correttamente ricadere nel caso di esportazione di rifiuti, e non di esportazione di beni, garantendo alle imprese la possibilità di un ritorno degli investimenti fatti e permettendo in questo modo al tessuto produttivo italiano di approvvigionarsi delle materie prime di cui ha bisogno senza dover ricorrere all'importazione delle stesse. (4-09517)


   LUIGI DI MAIO, DELL'ORCO, DE LORENZIS e CARINELLI. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. Per sapere premesso che:
   in seguito alla pubblicazione dell'interrogazione a risposta scritta n. 4-09473 circa l'accanimento di Trenitalia contro i pendolari di lunga distanza abbonati alle tratte cosiddette ad alta velocità, il deputato interrogante stato sommerso di segnalazioni; di cittadini in merito ad ulteriori problematiche che i pendolari vivono quotidianamente sulla loro pelle;
   in particolare, viene segnalata un'altra vergognosa regola vessatoria nei confronti dei pendolari: la non duplicabilità degli abbonamenti alle tratte cosiddette ad alta velocità, sebbene questi siano nominali;
   ci comporta che in caso di smarrimento o furto (per esempio in caso di borseggio) dell'abbonamento il consumatore non viene in alcun modo tutelato e necessario acquistare un nuovo abbonamento a prezzo pieno;
   peraltro, qualora l'abbonamento venga acquistato online, questo deve comunque essere stampato alle biglietterie self service e possibile effettuare questa operazione una sola volta;
   viene altresì segnalato che nel trasporto regionale, ad esempio in Emilia Romagna, invece possibile acquistare l'abbonamento su internet e stamparlo da una stampante privata e, in caso di smarrimento o furto, possibile procedere alla ristampa, cosa del tutto logica essendo nominale;
   purtroppo, quando si ha a che fare con Trenitalia, quasi sempre la logica, la razionalità e il rispetto per l'utenza non sembrano essere tra i capi saldi delle politiche aziendali;
   a proposito di questo assurdo divieto, occorre rilevare che l'Autorità Garante della Concorrenza e del mercato, con il provvedimento n. 22102 del 2011, ha multato Trenitalia per un comportamento simile (non si tratta di duplicazione di abbonamento, ma di un normale biglietto, anche se le due cose sono similari in quanto anche nel caso dell'abbonamento possibile risalire al proprietario, tramite la Cartafreccia o comunque Trenitalia nelle condizioni di generare anche per l'abbonamento un PNR), sanzionando come tale pratica commerciale scorretta si ponga in contraddizione, con quanto previsto dal secondo comma dell'articolo 20, nonché dall'articolo 22 del Codice del consumo;
   occorre a questo proposito segnalare anche il parere della Camera di commercio di Milano che individua come clausola vessatoria la mancata possibilità di ottenere una copia dell'abbonamento mensile inserita da Trenitalia nel contratto di acquisto dell'abbonamento (si veda pagina 105 del rapporto In treno senza pensieri) –:
   se il Governo non ritenga, per quanto di competenza in quanto azionista di riferimento di Trenitalia di intervenire sui vertici di Trenitalia al fine di sanare le sopraindicate condizioni vessatorie che colpiscono una categoria di lavoratori che già di per sé deve quotidianamente affrontare pesanti criticità. (4-09519)


   RAMPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in Calabria sono presenti tre arterie stradali, la A3, la strada statale 106 e la strada statale 18 che collegano la regione al resto d'Italia e queste strade sono attualmente tutte e tre contemporaneamente interessate da lavori di manutenzione e/o messa in sicurezza con disagi notevoli per automobilisti e trasportatori;
   il tratto cosentino della A3 Salerno-Reggio Calabria è chiuso per verifica tecnica a seguito del crollo del vecchio «viadotto Italia» costato, peraltro, la vita ad un giovane operaio venticinquenne che ha fatto un volo di ottanta metri;
   a seguito del crollo del suddetto viadotto la Procura di Castrovillari ha disposto una perizia per accertare l'entità dei danni riportati dal nuovo ponte che gli corre accanto, investito dal tracollo di un troncone del primo, costringendo quindi alla deviazione del flusso veicolare su percorso alternativo;
   la strada statale 106, cosiddetta jonica, è del tutto inadeguata a gestire gli attuali volumi di traffico a causa di una serie criticità infrastrutturali storiche dovute ad un'errata progettazione della stessa, oltre che per la carente illuminazione, la pessima manutenzione del manto stradale, la presenza di un guard-rail completamente fuori norma e una cartellonistica stradale a tratti fatiscente e in stato di degrado, e per questi motivi detiene il triste primato di essere la strada più pericolosa d'Italia, tanto da essere stata sopranominata «strada della morte»;
   i lavori del «Megalotto3» che interessano proprio la strada statale 106 nel tratto Sibari-Crotone non sono ancora stati approvati e tantomeno dati in appalto;
   la strada statale 18 «Tirrena Inferiore» è chiusa in più tratti a causa di lavori di manutenzione ed è attualmente interessata da percorrenza a senso unico alternato in tratti saltuari;
   le difficoltà infrastrutturali del territorio calabrese sono aggravate da aeroporti regionali del tutto inadeguati a far fronte alla crescente domanda di servizi e dalla incomprensibile scelta di Trenitalia di chiudere le stazioni sulla tratta jonica con conseguente soppressione dei treni, in ossequio ad una spending review ad avviso dell'interrogante illogica;
   le carenze infrastrutturali sin qui descritte determinano gravi disagi per le attività produttive del territorio calabrese, e in particolar modo per l'agricoltura ed il turismo, e rendono altamente difficoltosa la fruibilità del territorio;
   allo stato attuale la regione Calabria è quasi completamente isolata dal resto della penisola per l'inadeguatezza delle infrastrutture dei trasporti alle esigenze del territorio per quanto riguarda sia i trasporti aeroportuali, sia quelli su gomma, sia quelli su strada ferrata;
   richieste d'investimento nel miglioramento della rete infrastrutturale calabrese si susseguono da decenni senza trovare accoglimento, al punto che sono decenni che, tra rinvii e mancate approvazioni, vengono negati alla strada statale 106 Jonica i lavori di ampliamento previsti nel «Megalotto 3» di cui sopra;
   con l'estate alle porte si paventa il rischio che il territorio calabrese non riesca ad assorbire l'ingente flusso di traffico stradale dal Nord verso la Calabria, posto che la regione è una tra le mete più ambite del turismo estivo, che costituisce una voce fondamentale per l'economia calabrese –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere rispetto alle problematiche esposte in premessa, al fine di sostenere e potenziare lo sviluppo della regione. (4-09522)


   RAMPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nella seduta del 10 giugno 2015 la Commissione trasporti della Camera dei deputati ha espresso il parere di competenza sullo «Schema di contratto di programma tra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ed ENAV Spa per il triennio 2013-2015»;
   nel documento la Commissione trasporti ha espresso la seguente osservazione: che «sia adottato, nell'impostazione del contratto di programma relativo al triennio 2016-2018, il criterio generale per cui sarà assicurata la fornitura del servizio di torre da parte di ENAV negli aeroporti individuati come aeroporti di interesse nazionale nel Piano nazionale degli aeroporti; in coerenza con tale criterio, siano inclusi nell'Allegato del contratto di programma 2016-2018 recante l'elenco degli aeroporti gestiti da ENAV (corrispondente all'allegato D dello schema di contratto di programma in esame) aeroporti, quali quelli di Cuneo Levaldigi e di Comiso, prevedendo per tali aeroporti la fornitura del servizio di torre da parte di ENAV», senza che sia fatta menzione alcuna dell'aeroporto Sant'Anna di Crotone;
   a una interrogazione a risposta immediata in Assemblea del 18 marzo 2015 sulla fornitura di servizi Enav allo scalo crotonese il Ministro aveva risposto affermando che «in sede di rinnovo del contratto di programma, anche in funzione del nuovo Piano nazionale degli aeroporti, saranno valutate le esigenze connesse ai servizi ENAV per il nuovo triennio, in relazione al complesso degli aeroporti di interesse nazionale. Quindi saranno verificate le azioni di razionalizzazione ed efficientamento del settore e dei relativi servizi. In tale sede, ovviamente, in ordine di rinnovo, per il quale sono già in corso le procedure istruttorie, saranno valutate anche le esigenze ancora una volta — non è la prima volta — prospettate in questa sede e in quest'Aula dell'aeroporto sant'Anna di Crotone, che ricordo è stato inserito come aeroporto di interesse nazionale proprio per il valore di continuità territoriale che è stato riconosciuto all'aeroporto di Crotone»;
   il contratto di programma dei servizi Enav per il triennio 2016-2018 non è ancora stato approvato, e di conseguenza lo scalo crotonese, se così ancora non fosse, potrebbe ancora essere inserito –:
   quali siano gli intendimenti rispetto alla fornitura dei servizi Enav all'aeroporto di Crotone in regime di convenzione, al fine di sostenere questo importante scalo, e soprattutto in considerazione della recente dichiarazione di fallimento della società di gestione dello stesso aeroporto. (4-09526)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   QUARTAPELLE PROCOPIO e FIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si sta assistendo alla peggiore crisi dei rifugiati della nostra epoca, con milioni di donne, uomini e bambini che, anche attraverso lunghe migrazioni, lottano per sopravvivere tra guerre brutali e reti di trafficanti;
   l'emergenza umanitaria richiede di essere affrontata con diversi piani di intervento coordinati e coerenti al livello internazionale, europeo, nazionale e locale;
   il comune di Milano dal 18 ottobre 2013 a oggi ha accolto più di 64.000 profughi; 10.000 sono i migranti arrivati nei primi mesi del 2015, di cui la quasi totalità proverrebbe dall'Eritrea e dalla Siria e presenterebbe pertanto i requisiti per la presentazione della richiesta di protezione internazionale;
   in particolare, nelle ultime settimane, cresce al ritmo di centinaia di nuovi arrivi al giorno il numero dei profughi a Milano che si trattengono nella stazione centrale, dove è stato necessario allestire un presidio sanitario, nonché le strutture per la distribuzione di beni di prima necessità, alla raccolta dei quali hanno contribuito spontaneamente numerosissimi cittadini milanesi guidati da un virtuoso senso di solidarietà e accoglienza; le Ferrovie dello Stato italiane sono state in prima linea nell'affrontare l'emergenza profughi, fornendo sostegno in ogni modo per superare questo difficile momento e mettendo a disposizione locali e aree; appare tuttavia ineludibile la necessità di tornare alla normalità, restituendo completamente le stazioni ai viaggiatori e alla loro reale funzione; a tal fine, è previsto il trasferimento dei migranti nei locali di via Sammartini, la cui ristrutturazione ed agibilità si auspica possano essere assicurate in tempi celeri;
   gli attori coinvolti nelle azioni di sostegno dei profughi, tuttavia, lamentano forti criticità nella gestione della situazione, alla cui soluzione non contribuiscono le forti resistenze di alcune istituzioni locali, e che difetta tuttora di puntuali analisi e programmazioni del fenomeno in crescita su scala nazionale, con l'effetto, tra l'altro, di avvicinare gli sfollati alle realtà e ai traffici legati alla criminalità organizzata;
   parallelamente all'accoglienza dei rifugiati, la città metropolitana di Milano sta ospitando Expo2015, il più importante evento internazionale degli ultimi anni, e assume la responsabilità di gestire il confluire di milioni di visitatori e di turisti, assicurandosi di promuovere l'immagine della città e del Paese come istituzioni capaci di rispondere efficacemente alle emergenze, di tutelare il decoro degli spazi pubblici e di salvaguardare i diritti fondamentali dei migranti –:
   se e quali iniziative il Governo stia predisponendo per intensificare le procedure di identificazione dei profughi giunti a Milano, anche per rilevarne formalmente i luoghi di provenienza, assicurare un più adeguato sostegno alle istituzioni locali nelle operazioni d'accoglienza dei migranti confluiti a Milano e garantire il pieno rispetto delle norme fondamentali in materia di diritto di asilo e di protezione umanitaria, nonché per promuovere la sicurezza e la civile convivenza con i cittadini residenti a Milano. (5-05836)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAGLIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la società italiana è attraversata da sempre più profonde disuguaglianze, che a fronte della concentrazione in poche mani di grandi patrimoni vede sempre più persone incapaci di avere quote di reddito sufficienti a condurre un'esistenza dignitosa;
   tale situazione si è aggravata nella crisi, che per molti ha significato e significa contrazione o discontinuità nel reddito disponibile, con conseguente difficoltà ad accedere stabilmente anche a beni e servizi indispensabili alla vita;
   fra questo va segnalata in particolare la disponibilità di un alloggio, il cui costo è sempre più disallineato rispetto alle possibilità economiche di molte famiglie, che si trovano di fatto escluse dal mercato degli affitti, senza che questo significhi garanzia di accesso a case popolari o altre forme di welfare abitativo;
   anche a Bologna, peraltro, i sindacati hanno recentemente denunciato come regolamenti in via di aggiornamento producano di fatto tempi lunghissimi di accesso al patrimonio ERP, con il risultato di una sua parziale inutilizzazione, a fronte di una grande domanda inevasa;
   nella stessa Bologna si registrano peraltro migliaia di case private sfitte, anche di lungo periodo, considerata la tendenza a ritenere il patrimonio immobiliare un bene d'investimento svincolato dall'utilizzo e anche dalla capacità di produrre reddito, favorendo invece la pura rendita;
   come più volte sottolineato dall'amministrazione comunale, le stesse proprietà di enti pubblici come FS, Ausl, INPS, potrebbero fornire un'importante risposta all'emergenza abitativa, se messe anche solo temporaneamente a disposizione;
   nonostante numerose sollecitazioni istituzionali in tal senso, non risulta tuttavia che risposte soddisfacenti siano finora arrivate dalle proprietà;
   in questo quadro si inserisce il fenomeno dell'occupazione di immobili inutilizzati da destinarsi a soggetti impossibilitati a soddisfare in altro modo un bisogno fondamentale come quello alla casa, riconosciuto da gran parte della dottrina come diritto costituzionale;
   esso agisce certo fuori dalla legalità formale, ma non appare privo di legami con il dettato costituzionale, che stabilisce nella proprietà un diritto, ma che ne determina anche la funzione sociale, funzione che evidentemente viene a cadere quando un bene fondamentale come la casa viene tenuto inaccessibile fino a pregiudicarne la fruibilità per tutti;
   lo stesso comune di Bologna ha peraltro più volte sottolineato come, considerate le difficoltà di bilancio degli enti locali indotte dai tagli del Governo e dal patto di stabilità, non ci sarebbero le condizioni per rispondere adeguatamente con soluzioni alternative per chi attualmente vive negli immobili oggetto di occupazione;
   fra questi va ricordato quello di viale Aldini 116, di proprietà privata, inutilizzato da anni e occupato da ottobre 2014, dove attualmente risiedono famiglie, anziani e minori, senza che si siano mai registrati episodi problematici sotto il profilo della convivenza interna ed esterna;
   a quanto si apprende, questo potrebbe essere oggetto di sgombero nelle prossime ore, senza che sia assicurata da parte delle istituzioni alcuna possibile presa in carico dei soggetti ivi alloggiati –:
   se non si ritenga, alla luce di un'emergenza abitativa riconosciuta, della presenza di minori, della necessità di contemperare nei fatti diritto di proprietà e funzione sociale della stessa, di assumere ogni iniziativa di competenza per evitare gli sgomberi in situazioni come quella di viale Aldini, favorendo piuttosto la ricerca sul piano cittadino di soluzioni praticabili che consentano la garanzia per tutti di quello che appare a tutti gli effetti un diritto umano. (4-09509)


   PAGLIA, FRATOIANNI, PASTORINO, SCOTTO e QUARANTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da giorni si assiste alla chiusura di fatto della frontiera italo-francese di Ventimiglia-Mentone da parte delle autorità francesi, limitatamente al passaggio di persone identificate come migranti e risultanti sprovviste di permesso di soggiorno;
   tale situazione è determinata dal rifiuto delle autorità transalpine di consentire il transito di migranti non ancora identificati in Italia e qui giunti attraverso il Mare Mediterraneo, unico canale a consentire di fatto l'accesso all'Europa a decine di migliaia di donne e uomini in fuga da guerre, violenza e situazioni di rischio estremo;
   si è così verificato l'afflusso di centinaia di migranti a Ventimiglia, che rivendicano il diritto a raggiungere le proprie famiglie in altri Paesi europei, senza che questo sia reso loro possibile e quindi confinati alla frontiera;
   nei giorni scorsi non si sono registrate situazioni di tensione, ma si è invece potuto assistere ad una continua manifestazione di solidarietà da parte dei residenti locali, che hanno supplito anche ad evidenti carenze dello Stato nella gestione dell'emergenza;
   a rompere questo equilibrio è intervenuto nella mattina del 16 giugno 2015 lo sgombero forzato e violento di decine di migranti dal piazzale antistante la frontiera, messo in opera dalle forze di polizia, anche con l'utilizzo improprio di un mezzo della CRI, evidentemente non utilizzabile a scopo di trasporto forzoso di esseri umani;
   a quanto si apprende, tale sgombero, che ha portato semplicemente allo spostamento dei migranti di 5 chilometri, tanto dista la stazione FS dalla frontiera, sarebbe avvenuto su input diretto del Viminale –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero e perché il Ministero abbia improvvisamente deciso di mettere in atto un'operazione chiaramente inutile, se non dannosa, sotto il profilo dell'ordine pubblico, e comunque lesiva della dignità di persone che manifestano semplicemente il diritto di ogni essere umano a stabilire la propria residenza laddove siano garantire condizioni minime di esistenza;
   se non ritenga per il futuro di doversi astenere da simili iniziative. (4-09523)


   QUARTAPELLE PROCOPIO e FIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella zona est di Milano negli ultimi due anni c’è stato un incremento degli insediamenti abusivi di nomadi, principalmente di etnia Rom, dislocati per lo più in aree ex industriali ora dismesse e abbandonate dalle proprietà;
   alcuni degli insediamenti finora conosciuti si trovano nei seguenti luoghi: via Sbodio 14, via Sbodio 16, via Folli, via Oslavia angolo Arrighi, via Arrighi 18, via Cima (Palazzina Ferrovia), via Caduti Missione di Pace (T9), via Crespi (capannone con entrata di fianco a centralina elettrica), via Cima/Trentacoste n. 8 (ex deposito Comunale Area Tecnica), via Caduti di Marcinelle sul lato sinistro andando verso Segrate, sotto tangenziale entrando dal parcheggio BRACCO di via Caduti di Marcinelle, sotto tangenziale parcheggio CESI via Rubattino, via Cima (tra via San Faustino e via Bistolfi), parcheggio Sacro Cuore;
   una parte di queste persone, nonostante le sollecitazioni, ha finora rifiutato i percorsi di integrazione proposti dal comune di Milano;
   viene percepito in zona un incremento di episodi di vandalismo e microcriminalità che stanno portando i residenti ad una sempre maggiore esasperazione;
   i cittadini si sono riuniti in un comitato con lo scopo di denunciare il degrado e l'insicurezza che si è creata nel quartiere interessato dagli insediamenti abusivi;
   nonostante i ripetuti sgomberi effettuati dal comune la situazione non è migliorata, in quanto gli insediamenti vengono ripristinati immediatamente finito lo sgombero –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, si stiano mettendo in atto, o si intendano assumere, anche tramite le prefetture, per porre rimedio all'attuale situazione di degrado e per mettere in sicurezza le aree sottoposte a insediamenti abusivi. (4-09528)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in merito alle operazioni di attribuzione degli incarichi dirigenziali (conferme, mutamenti, mobilità interregionale), con decorrenza dal 1o settembre 2015, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha indirizzato, con atto unilaterale, la nota 15510 del 21 maggio 2015 ai direttori generali degli uffici scolastici regionali;
   in tale nota, è stato riportato nella prima pagina in modo corretto ed integrale l'ordine previsto per l'assegnazione degli incarichi dirigenziali dall'articolo 11, comma 5, del CCNL dell'area V sottoscritto l'11 aprile 2006. Di seguito, nell'elencare nel dettaglio la procedura delle operazioni, si introduceva nella lettera d) la nuova tipologia del «mutamento dell'incarico a seguito di sottodimensionamento delle istituzioni scolastiche», separandola dalla lettera b) «mutamento dell'incarico a seguito di ristrutturazione o riorganizzazione dell'ufficio dirigenziale» e collocandola in una fase successiva al conferimento di nuovo incarico e all'assegnazione degli incarichi ai dirigenti che rientrano dal collocamento fuori ruolo;
   si è trattato di un'iniziativa, a giudizio dell'interrogante, invasiva dell'autonomia delle scuole, che deborda dalle attribuzioni ministeriali, passibile di ricorso; sono stati chiesti ai dirigenti ed alle scuole adempimenti formali, privi di fondamento giuridico e di utilità in un momento di grande impegno dei docenti per la valutazione di fine anno e per gli esami e, del personale delle segreterie, per la conclusione dell'anno scolastico e la definizione degli organici (ancora con le regole vigenti);
   l'interrogante ritiene che i molteplici velati tentativi di organizzare gli atti propedeutici all'attuazione del disegno di legge sulla riforma della scuola, ancora all'esame del Senato, siano di dubbia legittimità e rischino di gettare scompiglio nelle scuole –:
   quali decisioni urgenti intenda assumere il Ministro per porre fine a simili iniziative assunte ad avviso dell'interrogante sostanzialmente a dispetto delle competenze del Parlamento;
   se intenda procedere all'immediato ritiro dei suesposti atti amministrativi, anche per evitare futuri ricorsi che sicuramente pioveranno copiosi, e rischiano di travolgere quei dirigenti dell'amministrazione scolastica che avranno assunto decisioni prima dell'approvazione definitiva del testo;
   come sia stato possibile che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca abbia assunto questa iniziativa, senza alcun confronto a livello nazionale con le parti sociali, calpestando completamente l'autonomia delle scuole (tanto celebrata nel disegno di legge governativo) e che invece, evidentemente, va difesa da quello che appare all'interrogante uno sconfinamento dell'amministrazione scolastica, visto che la scuola avrebbe bisogno di regole, di trasparenza e soprattutto di buone scelte per il futuro, non di iniziative confuse di dubbia legittimità e dagli effetti destabilizzanti su tutti i soggetti coinvolti. (4-09529)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ALLASIA e SIMONETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da tempo i 133 lavoratori della Rotoalba, la storica industria grafica albese di via Liberazione, sono rimasti senza reddito, dopo le sospensioni dal lavoro fatte dalla società nell'ottobre 2014;
   il 28 maggio scorso il tribunale di Asti ha messo la parola fine sull'esistenza dell'azienda, guidata nell'ultimo periodo dalla Guido Veneziani editore di Milano, con la dichiarazione di fallimento, la nomina di Salvatore Bellassai curatore fallimentare e la convocazione della prima adunanza dei creditori, in programma il 22 luglio 2015;
   spetterà ora al curatore fallimentare attivare le procedure per la presentazione della domanda di cassa integrazione, ma nel mentre la regione Piemonte dovrebbe intervenire, tramite l'Agenzia Piemonte Lavoro, a sostegno dei lavoratori, anticipando il trattamento di cassa integrazione;
   è stato firmato a fine anno dai sindacati un protocollo d'intesa per l'anticipo del trattamento di integrazione salariale con comune di Alba, provincia di Cuneo e Banca regionale europea, di recente sottoposto a modifiche della causale da quella «per ristrutturazione aziendale» a quella di «crisi aziendale per cessazione di attività»;
   una forte tensione aleggia tra i lavoratori interessati dal provvedimento, in particolar modo preoccupati delle conseguenze sulla propria copertura reddituale qualora i tempi di emanazione del decreto di approvazione della cassa integrazione andrebbero oltremodo per le lunghe, come spesso accade;
   inoltre sembrerebbe che il protocollo d'intesa prevede il riconoscimento di 6 mensilità e poi il nulla, salvo la possibilità di accedere alla cassa integrazione straordinaria, secondo una normativa più favorevole per le aziende grafico-editoriali –:
   se trovi conferma l'ipotesi prevista per le aziende grafico-editoriali, ovvero la possibilità per i 133 lavoratori della Rotoalba di accedere, dopo i sei mesi di integrazione salariale, alla cassa integrazione straordinaria;
   se e quali eventuali iniziative, per quanto di propria competenza, il Governo intenda adottare per favorire e sostenere la ricollocazione lavorativa di lavoratori rimasti disoccupati involontariamente per dichiarazione di fallimento delle aziende datrici di lavoro. (5-05846)


   BURTONE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Helesi impianto industriale ubicato presso in Valbasento in provincia di Matera che fa capo alla Perivallontiki Ateve e che nell'impianto lucano produceva pallet box per agricoltura, pattumiere per ecologia e contenitori per la spazzatura impiegava 21 addetti attualmente in mobilità;
   la società greca ha beneficiato degli incentivi pubblici legati al contratto di localizzazione stipulato nel 2006 ma non ha mai avuto vita tranquilla;
   inizialmente contava circa 42 unità lavorative e dopo una serie di ricorsi a periodi di cassa integrazione straordinaria e al non rinnovo dei contratti a termine nel 2012 ha definitivamente cessato la propria attività;
   le organizzazioni sindacali hanno chiesto in data 16 giugno 2015 un incontro presso la regione Basilicata in merito al futuro dell'impianto;
   tale richiesta nascerebbe dal verificare un presunto interessamento all'impianto da parte di un importante gruppo industriale europeo;
   ove fosse confermato tale interessamento saremmo in presenza di una notizia molto importante in un contesto difficile come quello valbasentano;
   in relazione a quanto riportato l'interrogante ritiene quanto meno opportuna una convocazione in sede ministeriale al fine di capire il futuro di questa realtà produttiva dando alcuni elementi di chiarezza ai lavoratori –:
   se e quali iniziative il Governo intenda porre in essere al fine di verificare se davvero vi siano interessamenti di natura industriale nei confronti dell'impianto di Pisticci e quali strumenti sia possibile attivare al fine di consolidare segnali di ripresa industriale anche in Valbasento. (5-05849)


   ALLASIA e SIMONETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   si profila la chiusura dello storico stabilimento di Corona di Leini, la Elco, che produce circuiti stampati ad alta tecnologia, da decenni attivo nel territorio torinese;
   la proprietà ha dichiarato 42 esuberi, vale a dire l'intero organico dell'azienda –:
   se il Governo non ritenga di intervenire urgentemente con tutti gli strumenti a disposizione, anche in termini di moral suasion, al fine di scongiurare la chiusura del sito produttivo e, di conseguenza, i 42 licenziamenti;
   se i Ministri interrogati non ritengano doveroso convocare con urgenza un tavolo istituzionale che coinvolga i Ministeri del lavoro e delle politiche sociali e dello sviluppo economico, la proprietà della Elco e le rappresentanze sindacali, per addivenire a soluzioni di salvaguardia per gli attuali livelli occupazionali;
   se e quali iniziative di competenza il Ministro dello sviluppo economico intenda intraprendere per salvaguardare i presidi produttivi nel territorio torinese, già pesantemente colpito dalla perdurante crisi economica. (5-05850)


   DELL'ARINGA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come noto, l'applicazione della importante normativa sulla responsabilità solidale tra imprese ha prodotto nel tempo non poche incertezze applicative;
   tra queste incertezze si segnala senz'altro quanto espresso dall'INPS, tramite una nota informale al Parlamento, in materia di responsabilità solidale e regolarità contributiva, affermando che: «L'Inps certifica la regolarità del debitore in solido, in ragione della circostanza che la regolarità contributiva attestata con il DURC deve essere accertata con riguardo a tutti gli adempimenti riconducibili all'unicità del rapporto assicurativo e previdenziale instaurato tra l'impresa richiedente e l'Ente nei cui confronti gli adempimenti medesimi devono essere assolti (interpello n. 3/2010 del 2 aprile 2010). In ragione di ciò, la posizione debitoria di un soggetto dalla quale discende un vincolo di solidarietà per l'impresa richiedente il DURC, non impedisce l'attestazione di regolarità in capo a quest'ultima, tenuto conto che l'adempimento del debitore in solido è esterno al rapporto previdenziale instaurato. Le precisazioni effettuate in ordine alla modalità con la quale viene valutata l'incidenza di un debito per solidarietà ai fini del rilascio del DURC, consentono di chiarire che il medesimo debito correlato ad un accertato vincolo di solidarietà continua a permanere sotto il profilo civilistico pur in presenza di un Documento che abbia attestato la regolarità del debitore chiamato in solido»;
   da tale interpretazione, alla luce di un «vincolo di solidarietà», ne discende l'impressione di un DURC svalutato, forse presupponendo che, per un verso, il soggetto appaltante non debba far affidamento assoluto sull'attendibilità del DURC, dall'altro, che lo stesso imprenditore possa avere altri e ulteriori strumenti per l'accertamento della reale condizione contributiva di un soggetto terzo con il quale si sia instaurato un temporaneo rapporto di collaborazione produttiva;
   peraltro, tale orientamento appare in netta controtendenza rispetto a quanto recentemente statuito in ambito fiscale, laddove con l'articolo 28, comma 1, del decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175, con il quale si sono soppresse le disposizioni contenute nei commi 28, 28-bis e 28-ter dell'articolo 35, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, relativi alla responsabilità solidale in materia fiscale –:
   quali iniziative intenda assumere, anche di carattere normativo, al fine di risolvere l'incongruità o, quantomeno, l'incertezza normativa che discende dall'interpretazione adottata dall'INPS in materia di responsabilità solidale contributiva, anche in caso dell'attestazione del DURC, in analogia con quanto già disposto in materia fiscale. (5-05855)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PALAZZOTTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il progetto CreAZIONI Giovani impegna 4.350.000 euro ed è stato attivato nel mese di maggio 2013 dalla regione siciliana, in particolare dall'assessorato regionale alle politiche sociali;
   i fondi disponibili provengono dal fondo nazionale per le politiche giovanili e da risorse proprie della regione siciliana;
   le prime linee di intervento messe a bando nel maggio 2013 prevedevano interventi per complessivi 2.650.000 euro e riguardavano: linea di intervento 1 «giovani Talenti», linea di intervento 2 «tradizionalmente», linea di intervento 3 «Giovani e legalità»;
   fin dall'inizio della fase di raccolta delle domande si sono manifestati ritardi, intoppi burocratici e difficoltà. In particolare a causa del meccanismo di presentazione delle stesse domande che dovevano essere consegnate brevi manu negli uffici dell'assessorato e non si prevedeva la possibilità di utilizzare sistemi più rapidi ed efficienti come, ad esempio, la PEC (posta elettronica certificata);
   al termine della prima caotica fase, risultavano presentate, nel marzo 2014, 2.200 domande circa;
   nonostante la scadenza per far pervenire le domande era segnata a settembre 2013 si è comunicato ai richiedenti l'ammissibilità delle stesse con un ritardo di 6 mesi;
   la seconda fase della verifica, ovvero la presentazione della graduatoria ha mosso i primi passi soltanto nel gennaio 2014, con la nomina di una prima commissione apposita;
   per quanto concerne la linea di intervento 1 «giovani Talenti» (finanziato con 1.150.000 euro di cui 800.000 euro a valere sul Fondo nazionale politiche giovanili e 350.000 euro quali risorse regionali) la graduatoria veniva pubblicata nel mese di agosto 2014;
   nel febbraio 2015 la graduatoria veniva considerata decaduta poiché nella commissione apposita che aveva valutato i progetti veniva riscontrata la presenza di consulenti esterni, contravvenendo così ad apposita prescrizione contenuta nei vari bandi relativi all'intervento CreAZIONI Giovani;
   identica sorte toccava alla graduatoria relativa alla linea di intervento 3 «Giovani e legalità», pubblicata nel gennaio 2015;
   la linea di intervento 3 risulta finanziata con 800.000 euro, di cui 600.000 euro a valere sul Fondo nazionale politiche giovanili e 200.000 euro quali risorse regionali;
   nel mese di aprile 2015 veniva, finalmente, pubblicata la graduatoria definitiva per la linea di intervento 3;
   il 17 giugno 2015 è uscita la graduatoria provvisoria della linea di intervento 2 «tradizionalmente», finanziata con 700.000 euro, di cui 500.000 euro a valere sul Fondo nazionale politiche giovanili e 200.000 euro quali risorse regionali;
   ad oggi non si hanno ulteriori notizie relativamente all’iter della linea di intervento 1;
   relativamente alla linea 3, nonostante la pubblicazione della graduatoria, non risultano ancora comunicazioni ufficiali ai presentatori dei progetti selezionati;
   in data 7 agosto 2014 veniva pubblicato l'avviso pubblico relativo alla linea di intervento 4 «giovani protagonisti di sé e del territorio», finanziata con la somma di 1.100.00 euro ripartiti tra fondo nazionale politiche giovanili per 800.000 euro e risorse proprie della regione per 300.000 euro;
   solo in data 26 marzo 2015 dal dirigente generale del dipartimento regionale famiglia e politiche sociali veniva redatto il decreto contenente l'avviso pubblico relativo alla misura 5 «Giovani in Europa», pubblicato su GURS in data 17 aprile 2015, finanziato con 850.000 euro, di cui 600.000 euro a valere sul Fondo nazionale per le politiche giovanili e 250.000 euro a valere sulle risorse regionali;
   relativamente alla linea 4 e 5 non risultano ulteriori passi in avanti da parte dell'assessorato regionale –:
   quali siano i criteri sulla base dei quali vengono finanziati, dal Fondo nazionale politiche giovanili, i progetti presentati dalle regioni e se vi sia un meccanismo di verifica sul buon esito dei progetti stessi;
   se il Ministro non intenda intervenire per verificare il corretto e proficuo utilizzo del finanziamento nazionale al progetto CreAZIONI Giovani, operato tramite il Fondo nazionale politiche giovanili e gestito e cofinanziato dalla regione Sicilia. (4-09514)


   VEZZALI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   non risultano all'interrogante che, ad oggi, siano state rifinanziate le risorse destinate ai contratti di solidarietà, di cui all'articolo 5, della legge n. 236 del 1993, che avrebbero dovuto essere ampliate sin dalla legge n. 190 del 23 dicembre 2014 (legge di stabilità per il 2015);
   il contratto di solidarietà costituisce uno strumento prioritario per la concessione di misure di sostegno al reddito, in continuità di rapporto di lavoro per le imprese artigiane e per quelle non rientranti nel campo di applicazione degli ammortizzatori sociali ordinari;
   detti contratti rappresentano oggi una tutela del reddito dei lavoratori dipendenti, in quanto consentono al tessuto produttivo costituito dalle imprese non rientranti nel campo di applicazione della cassa integrazione e quindi, prive di tale ammortizzatore sociale, di evitare i licenziamenti, preservando i livelli occupazionali, e proseguire la propria attività produttiva;
   la dotazione di risorse stanziata per l'anno 2014 per il finanziamento dei contratti di solidarietà non sembra essere sufficiente a garantire la copertura delle relative domande già presentate presso gli Uffici competenti, che hanno altresì bloccato anche la presa in carico delle domande per il 2015 in assenza di indicazioni sullo stanziamento –:
   quali urgenti iniziative, anche di carattere normativo, intenda porre in essere, in attesa dell'attuazione della delega legislativa contenuta nella legge n. 183 del 2014, che prevede la messa a regime di tale tipologia di contratti di solidarietà, al fine del rifinanziamento di tale strumento di sostegno al reddito, sia per il 2015 che per la copertura delle domande relative all'anno 2014. (4-09531)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   OLIVERIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   poco dopo le tredici di mercoledì 17 giugno 2015 si è registrata una intensa ondata di maltempo che con una violentissima grandinata ha interessato un ampio ambito territoriale della Calabria e in particolar modo il comprensorio del crotonese;
   la tromba d'aria e la tempesta di grandine, i cui chicchi avevano oltre cinque centimetri di diametro, hanno colpito soprattutto la fascia costiera crotonese che va da Cirò Marina a Crotone;
   in pochi minuti i comuni costieri e quelli collinari come Cirò, Umbriatico, Crucoli e Rocca di Neto e le campagne sono state letteralmente bombardate dai chicchi di grandine, e poi da violenti nubifragi;
   questa ondata di maltempo ha provocato molti danni alle colture in un periodo particolare dell'anno quando sono in piena crescita si parla di danni per il 90 per cento delle colture ortive e vigneti;
   ad essere maggiormente compromessi sono stati sicuramente i vigneti ma anche uliveti, le colture cerealicole pronte per la raccolta;
   l'entità dell'evento, specie nei vigneti, ha colpito non solo la produzione in atto ma anche le gemme compromettendo il processo produttivo della prossima annata;
   non sono rimasti indenni purtroppo i frutteti con la fragilità che è propria di questo periodo;
   in Calabria gli eventi atmosferici stanno assumendo una fenomenologia sempre più violenta e le sue caratteristiche orografiche e l'essere in mezzo a due mari espongono il territorio ad eventi improvvisi e di una intensità impressionante;
   questo rende il lavoro degli agricoltori sempre più complicato con un aumento dei rischi e delle incertezze per produzioni e raccolti di pregio e qualità;
   sicuramente è un passo importante quello intrapreso dal Governo di aumentare le risorse per fronteggiare le calamità naturali così come previsto dal decreto-legge n. 51 del 2015 concernente disposizioni urgenti in materia di rilancio dei settori agricoli in crisi, di sostegno alle imprese agricole colpite da eventi di carattere eccezionale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e se non intenda valutare, sentite le autorità competenti, di proclamare in tempi rapidi lo stato di calamità per i territori interessati dall'ondata di maltempo nonché di attivare un tavolo istituzionale con i territori e le organizzazioni di categoria per individuare opportuni strumenti di sostegno per gli operatori delle filiere danneggiate dall'evento calamitoso. (5-05839)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Sardegna è una regione considerata ad alto rischio nel mondo per incidenza di sclerosi multipla;
   la malattia — caratterizzata da un disturbo infiammatorio cronico del sistema nervoso centrale e che colpisce in prevalenza i giovani adulti, di sesso femminile in particolare — ha una distribuzione geografica eterogenea, ma ha tassi di incidenza maggiori nelle popolazioni che risiedono nei Paesi delle latitudini più elevate;
   la Sardegna, in questo senso, rappresenta un'eccezione;
   lo confermano alcuni studi effettuati finora, dai quali si evince anche un ulteriore andamento allarmante che si riferisce al Sulcis-Iglesiente: il territorio — nel contesto già ad alto rischio come quello sardo — presenta un'incidenza della malattia ancora superiore;
   la malattia colpisce 210,4 persone su una base di 100 mila abitanti;
   un tasso di prevalenza ben più elevato rispetto a quello (già notevole) registrato nelle altre due aree della Sardegna finora esaminate, ovvero il Centro e il Nord ovest che contano, rispettivamente, 157 e 102 ammalati su una base sempre di 100 mila abitanti;
   tali elementi emergono da uno studio compiuto dai medici e ricercatori del Centro sclerosi multipla dell'ospedale Binaghi insieme alla Divisione neurologica del Brotzu, al Dipartimento di salute pubblica dell'Università di Cagliari e quello di Epidemiologia e statistica medica dell'Università di Pavia;
   si tratta di una ricerca compiuta tra il 2007 e il 2010, per essere approvata nel 2011 e poi pubblicata nella rivista specialistica PubMed;
   si tratta dell'unica ricerca con valenza scientifica che ha permesso agli studiosi di confermare una circostanza allarmante: la Sardegna è, nel mondo, una delle zone a più alto rischio per la malattia e il Sulcis (nello studio sono comprese anche Siliqua e Teulada) persino di più;
   il tasso di prevalenza è il numero di casi in rapporto a una base, convenzionale, di 100 mila abitanti. Il numero di pazienti osservati nel territorio è di 292, così distribuiti:
   Carbonia: 65 Iglesias: 71; Domusnovas: 28 (numero più elevato in rapporto agli abitanti e alle previsioni dei ricercatori); Carloforte: 3 (numero più basso in rapporto agli abitanti); Buggerru: 0; Calasetta: 3; Fluminimaggiore: 4; Giba: 7; Gonnesa: 9; Masainas: 3; Musei: 1; Narcao: 5; Nuxis: 3; Perdaxius: 3; Piscinas: 4; Portoscuso: 13; San Giovanni Suergiu: 10; Santadi: 9; Sant'Anna Arresi: 1; Sant'Antioco: 16; Tratalias: 2; Villamassargia: 8; Villaperuccio: 3; Siliqua: 13; Teulada: 8;
   risultano in totale 292 pazienti di cui 198 donne e 94 uomini –:
   se non ritenga il Ministro di dover avviare un più approfondito studio al fine di individuare, ai fini anche della ricerca, le peculiarità della Sardegna — e del Sulcis Iglesiente in particolare — rispetto ad altre zone d'Italia e del mondo quali cause o concause dell'insorgenza della malattia;
   se non ritenga necessario disporre la costituzione di un gruppo di ricerca permanente nel Sulcis Iglesiente per consentire ai ricercatori di avere una conoscenza più ampia del territorio stesso;
   se non ritenga di dover assumere iniziative per concentrare l'attenzione delle strutture di ricerca nazionali sul territorio sardo e in particolare del Sulcis Iglesiente per mettere in atto un piano di ricerca scientifica applicata che possa individuare le cause e conseguentemente prevenire tale incidenza così rilevante e grave;
   se non ritenga di informare i comitati scientifici competenti del Ministero della salute sulla ricerca richiamata in premessa, al fine di approfondire il tema e trarne indicazioni ulteriori utili a fronteggiare tale emergenza. (5-05842)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   è notizia di questi giorni che Poste Italiane si appresterebbe a varare un programma di chiusure parziali o addirittura totali per 32 uffici postali in Basilicata;
   la Cgil immediatamente ha dato l'allarme;
   i 32 uffici coinvolti nel periodo dal 17 giugno 2015 al 12 settembre 2015 sottrarranno alla popolazione dei comuni coinvolti una serie di servizi e creeranno non pochi disagi alle comunità;
   ad essere interessati da tali misure sono anche uffici postali a Matera, città che ormai è una meta turistica affermata, o all'interno di siti industriali, dove peraltro si era ipotizzata la chiusura totale dell'ufficio postale, come nel caso di Pisticci Scalo;
   quanto prospettato appare una scelta sbagliata e grave che pone un problema anche in riferimento alla gestione di un pubblico servizio –:
   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda attivare per verificare quanto riportato in premessa e scongiurare tali disservizi, richiamando Poste Italiane al rispetto del contratto di servizio. (5-05837)


   LATRONICO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni Poste italiane spa ha dato vita ad un processo di razionalizzazione degli uffici tramite la riduzione degli orari di apertura, l'accorpamento o la loro definitiva chiusura, provocando disfunzioni nell'offerta del servizio e arrecando danni ai cittadini;
   il nuovo piano industriale presentato Poste italiane spa prevede la chiusura di 450 uffici postali e la riduzione del servizio a giorni alterni per 609 uffici postali, con pesanti ripercussioni sulle comunità interessate che non disporranno più di quei servizi essenziali da sempre offerti dagli uffici postali;
   la chiusura prevista o la limitazione degli orari degli uffici pongono in gravi difficoltà le famiglie, le imprese, i turisti; in particolare, nei piccoli comuni, e specialmente in quelli montani, la soppressione di un ufficio postale rappresenterebbe il venire meno di un servizio essenziale per la comunità e un disagio, soprattutto per le fasce deboli (anziani e meno abbienti), che avranno maggiori difficoltà a raggiungere comuni vicini che dispongono dell'ufficio postale e che non hanno accesso agli strumenti telematici che oggi costituiscono in parte l'alternativa all'ufficio postale;
   i servizi postali sono di vitale importanza per le famiglie e le imprese per l'esecuzione di tantissime attività quotidiane, quali il prelievo di contante per i titolari di conti correnti postali, il pagamento delle utenze, il deposito di valuta nei libretti postali al portatore, l'invio di comunicazioni urgenti;
   la VI sezione del Consiglio di Stato l'11 marzo 2015, con la sentenza n. 1262/15, ha accolto l'appello di un piccolo comune della Campania e ribadito la pubblica utilità degli uffici postali e la loro «influenza sociale», in special modo per quei piccoli centri situati in zone rurali e montane;
   la decisione del Consiglio di Stato si fonda su due argomentazioni: la prima è legata al criterio di distribuzione degli uffici nella distanza massima di accessibilità al servizio espressa in chilometri percorsi dall'utente, fissato dal decreto del Ministero dello sviluppo economico del 7 ottobre 2008, recante «Criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale pubblica»; mentre la seconda considerazione, che trova fondamento anche in altre pronunce favorevoli ai comuni, riguarda le motivazioni su cui è basata la chiusura dell'ufficio postale, che nel caso specifico hanno avuto riguardo al solo profilo economico e gestionale;
   in particolare in Basilicata la società prevede di chiudere gli uffici di Tricarico (Calle), Ferrandina (Borgo Macchia), Maratea (Acquafredda), Avigliano Scalo, Latronico (Agromonte), Baragiano, Filiano (Dragonetti e Sterpito), Latronico (Magnano), Marsicovetere, San Severino Lucano (Mezzana), Bella (San Cataldo), Bella (Sant'Antonio Casalini) Atella (Sant'Ilario) Filiano (Sterpito) Lavello Gaudiano, Melfi (San Nicola); mentre a giorni alterni gli uffici di Cirigliano, Calvera, Guardia Perticara, San Paolo Albanese, Teana Rivello, Missanello, Armento Campomaggiore, Carbone, Castelgrande, Castelluccio Superiore, Castelmezzano, Cersosimo, Lauria (Cogliandrino e Seluci), Maratea (Porto) Monticchio Bagni, Marsico Nuovo (Pergola), Filiano (Scalera), Trivigno. Molti di questi uffici sono ubicati in zone di montagna e collinari e servono piccoli centri abitati, con popolazione anziana, che nel periodo invernale sperimentano disagio nei collegamenti, e rappresentano un punto di riferimento importante anche con funzioni sociale;
   dal 17 giugno 2015 al 12 settembre 2015 subiranno una riduzione dell'operatività per chiusura totale o pomeridiana 32 uffici postali, tra cui importanti centri urbani come Matera, Capitale europea della cultura per il 2019 (dove è prevista la chiusura dell'ufficio postale di Matera Città, 15 turni pomeridiani, ufficio postale di Matera 1, 12 turni, ufficio postale di Matera 4, 11 turni e ufficio postale Matera 2 chiusura totale 12 giorni), Nova Siri, Senise, Avigliano, Rionero che in estate vedono il rientro dei fuori sede e un afflusso maggiore di turisti –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno, per quanto di competenza, continuare ad adoperarsi per promuovere un confronto tra Poste italiane ed autorità regionali volto a trovare soluzioni alternative, che tengano conto delle particolari situazioni locali, prestando attenzione agli aspetti sociali ed economici che gli stessi svolgono sul territorio. (5-05838)


   GRIBAUDO e PARIS. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 27 maggio 2015 il tribunale di Asti ha accolto l'istanza di fallimento della RotoAlba, storica azienda di Alba (Cuneo) nel settore poligrafico; stando alle dichiarazioni rese dai commissari nominati dopo la precedente richiesta di concordato preventivo formulata il novembre 2014 da parte della proprietà con l'impegno di mettere a punto un piano industriale per ripianare i debiti e rilanciare l'attività a seguito dei controlli da costoro effettuati, è risultato che gli stipendi non venivano regolarmente pagati e non c'erano contratti di fornitura;
   i 130 lavoratori dell'azienda vivono oggi in una situazione di fortissimo disagio ed incertezza, di fronte al rischio di perdere il posto di lavoro. Nei mesi scorsi hanno per questa ragione dato vita a numerose occasioni di sciopero per richiedere il pagamento degli arretrati e risposte sul proprio futuro; la preoccupazione di lavoratori e famiglie è largamente condivisa anche dalle istituzioni locali: il Consiglio comunale di Alba ha recentemente approvato, nel corso di una seduta aperta ai lavoratori e alla cittadinanza il 29 maggio 2015, un ordine del giorno presentato dalla totalità dei gruppi consiliari istitutivo di un tavolo permanente per il monitoraggio della situazione e per chiedere l'impegno dei livelli superiori di governo; la società Guido Veneziani Editore, dal 2012 proprietaria della RotoAlba, in passato aveva prospettato investimenti che avrebbero forse potuto aprire nuovi scenari produttivi nel sito di Alba;
   la mancanza di interventi adeguati, sommata alla successiva cessazione delle attività produttive, in mancanza di ipotesi di nuove acquisizioni, rischia invece oggi di cancellare non solo una realtà produttiva di pregio e, per lungo tempo, qualificante della città di Alba (Cuneo), ma soprattutto di condizionare negativamente la prospettiva occupazionale e di vita di un numero rilevante di persone, insieme alle loro famiglie; il sito produttivo può tutt'oggi vantare riconosciute professionalità e gode di buona reputazione conquistata nel passato con importanti pubblicazioni; potenzialità queste che, in presenza di serie prospettive di investimento, potrebbero configurare nuove prospettive produttive –:
   quali iniziative il Governo intenda mettere in campo per favorire nuove possibilità di sviluppo che prefigurino la riapertura del sito, al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e le professionalità esistenti in questa realtà di grande rilevanza per l'albese e per la provincia di Cuneo. (5-05847)


   FABBRI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 12 comma 18-bis del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, ha disposto che «..le funzioni già svolte da Buonitalia Spa sono attribuite all'Agenzia per la Promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane di cui all'articolo 14 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111»;
   per quanto riguarda i dipendenti di Buonitalia Spa, la suddetta norma ha stabilito che, «Con decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, da emanare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, è disposto il trasferimento delle funzioni e delle risorse umane di Buonitalia Spa, in liquidazione, all'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane», prevedendo altresì che l'inquadramento nei ruoli dell'Agenzia dei dipendenti in questione, in servizio al 31 dicembre 2011, avverrà previo espletamento di un'apposita procedura di verifica dell'idoneità sulla base di una tabella di corrispondenza approvata con il predetto decreto;
   in data 28 febbraio 2013, veniva pubblicato il citato decreto interministeriale, con cui si trasferiscono le funzioni ed il personale dipendente di Buonitalia Spa individuato nominalmente con apposita tabella allegata allo stesso;
   nelle more di emanazione del richiamato decreto interministeriale – intervenuta ben sette mesi dopo – il liquidatore di Buonitalia Spa ha disposto il licenziamento dei dipendenti, creando ulteriori difficoltà al loro trasferimento nei ruoli dell'Agenzia che sarebbe dovuto avvenire senza soluzione di continuità;
   a tale trasferimento sarebbe dovuta succedere la prevista procedura di verifica dell'idoneità da effettuarsi, nella finalità della legge, solo per ottimizzare il livello di inquadramento previsto dalla tabella di corrispondenza nell'ambito della struttura dell'ICE;
   la legge di stabilità del 27 dicembre 2013 n. 147, al comma 478 ha modificato l'articolo 12 comma 18-bis del decreto legge 6 luglio 2012 n. 95, precisando che la verifica d'idoneità dei dipendenti di Buonitalia, va espletata anche in deroga alle facoltà assunzionali dell'Agenzia, che i dipendenti vanno inquadrati anche in posizione di sovrannumero e stanziando ulteriori 1,5 milioni di euro anno a favore dell'ICE per la copertura dei costi relativi alle retribuzioni ed ai contributi dei suddetti dipendenti. Con la legge di stabilità del 27 dicembre 2013 n.147 si è ancora di più chiarito che la finalità delle norme emanate e la salvaguardia dei posti di lavoro;
   il TAR Lazio a gennaio 2014 ha peraltro condannato i Ministeri interessati ad emanare il decreto attuativo con la tabella di corrispondenza che è stata, infine, pubblicata in data 30 ottobre 2014;
   nel periodo di tempo intercorso tra l'emanazione dell'articolo 12 comma 18-bis del decreto-legge 6 luglio 2012 n. 95 (agosto 2012) ad oggi, sia il tribunale del lavoro di Roma e, come già detto, il TAR Lazio si sono pronunciati sulla vicenda, condannando i Ministeri coinvolti ad emanare la tabella di corrispondenza, e dichiarando inesistenti i licenziamenti dei dipendenti in ben quattro diverse sentenze, nei cui dispositivi è stato affermato che, a partire dal 1o marzo 2013, il personale di Buonitalia è trasferito «ope legis» all'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane (nuova ICE o ITA);
   sia la sentenza del TAR Lazio, sia le sentenze del tribunale del lavoro di Roma, stigmatizzavano la condotta tenuta dai Ministeri coinvolti e dall'ICE, dichiarandola illegittima e tesa ad eludere la «ratio» della norma che è quella di salvaguardare l'occupazione e le competenze tecniche sviluppate dai dipendenti della Società, condannando contestualmente l'ICE al risarcimento della mancata retribuzione dei dipendenti di Buonitalia;
   si sottolinea che, nonostante le citate quattro sentenze del tribunale del lavoro di Roma siano già esecutive e siano intervenute anche le sentenze della Corte di appello di Roma che rigettano le richieste di inibitoria presentate dall'Agenzia, non si è proceduto, da parte della stessa, ad eseguirne i relativi dispositivi, rendendo cioè operativo il trasferimento e costringendo così gli stessi dipendenti a porre in essere provvedimenti di esecuzione forzata oltre al risarcimento dei danni subiti, che porteranno ad incrementare ulteriormente i costi sostenuti dal pubblico erario, visto che sia il TAR Lazio che il tribunale di Roma hanno condannato i Ministeri coinvolti e l'Agenzia, anche al pagamento delle spese processuali;
   in considerazione della priorità data da questo Esecutivo alla soluzione dei problemi legati alla disoccupazione e al tema più generale del lavoro e nel ricordare nuovamente che i 19 dipendenti di Buonitalia sono stati licenziati e quindi lasciati senza stipendio da ormai due anni, si ritiene doveroso evidenziare la necessità di adottare ogni ulteriore iniziativa politica o legislativa atta a superare le difficoltà emerse in questi ultimi tre anni;
   tali difficoltà si sono pienamente evidenziate anche nelle modalità scelte dal Management dell'ICE per lo svolgimento della prevista «prova selettiva di idoneità». In casi analoghi, (IPI, ANAS Spa, Cinecittà Spa, collegato alla legge di stabilità 2014, per quanto riguarda il riordino delle società controllate, come nel caso di Buonitalia dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali) tale prova o non e stata prevista o, se prevista, è stata effettuata mediante valutazione dei titoli posseduti dal personale trasferito o colloquio sulle attività svolte in precedenza per verificare il livello di professionalità acquisito;
   il Management dell'ICE ha invece bandito una selezione, e tutto ciò ad avviso dell'interrogante in contrasto con la «ratio» e le finalità delle norme;
   il risultato di questo concorso è stato che, tutti i dipendenti di Buonitalia sono risultati non idonei. Un risultato a dir poco paradossale visto che la maggior parte dei dipendenti Buonitaria ha svolto per molti anni attività lavorativa nell'ambito del marketing e della promozione internazionale;
   i dipendenti Buonitalia sono stati costretti, pertanto, a presentare un ulteriore ricorso al TAR Lazio affinché si pronunci sulla correttezza del procedimento posto in atto dal Management dall'ICE, considerato anche il fatto che tale comportamento non ha tenuto conto neppure del parere del dipartimento della funzione pubblica e cerca di eludere con un atto amministrativo quanto previsto dalle norme di legge;
   ed infine occorre ricordare che è stata più volte affermata, sia in risposta ad interrogazioni parlamentari, sia in audizioni alla Commissione agricoltura della Camera che in articoli di stampa, ma mai eccepita giudiziariamente, una presunta incostituzionalità delle norme in questione, ovvero che le norme hanno una valenza puramente formale –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano intraprendere nei confronti dell'Agenzia affinché venga dato immediato seguito al disposto normativo e se intenda accertare la sussistenza di una responsabilità dirigenziale alla luce di quanto indicato in premessa. (5-05851)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CAUSIN. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il nostro Paese non dispone di un Piano che gli consenta l'autosufficienza energetica e, per tale motivo, importa grandi quantità di gas e petrolio da altri Paesi tra cui la Russia e la Libia nei quali, peraltro, sono in corso conflitti armati;
   la stessa Europa non ha perseguito una politica di autonomia energetica e, per gli approvvigionamenti energetici, dipende in gran parte dalla Russia (circa un quarto del gas utilizzato nell'Unione europea);
   gli Stati baltici e la Finlandia dipendono quasi totalmente dalla stessa Russia come pure la Germania che importa da quel Paese circa 1/3 del petrolio e del gas di cui ha bisogno;
   si prevede che entro il 2030 l'Europa dovrà importare l'80 per cento del gas e questo la può esporre ad una significativa dipendenza, anche da un punto di vista politico, dalla Russia. Pertanto l'Unione europea deve acquisire maggiore autonomia dal punto di vista energetico diversificando allo stesso tempo le fonti di energia rinnovabili (nucleare e shale gas) per garantire agli stessi Stati membri l'autosufficienza energetica –:
   quali siano la quantità e la qualità dell'energia acquistata dalla Russia e quali soggetti effettuino tali acquisti presso la stessa nazione;
   quali siano le società russe dalle quali si acquisti energia;
   se nell'ultimo anno si sia acquistato gas naturale e petrolio o prodotti petroliferi raffinati dalla Libia e quali siano i soggetti che vendono tali prodotti e che rapporti abbiano con i due Governi che attualmente sono insediati in Libia;
   se non sia necessario chiarire anche da quali altri Paesi arabi si importi petrolio e gas naturale. (4-09511)


   MURA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Sardegna è la regione dove il costo del gpl è il più alto d'Italia: la maglia nera spetta all'Ogliastra con una media di 0,799 euro al litro seguita dalla provincia Carbonia-Iglesias dove si spende mediamente 0,741 euro al litro;
   i dati dei quarantuno punti vendita sardi sono stati registrati il 27 maggio nel cervellone dell'Osservatorio prezzi carburanti del Ministero dello sviluppo economico e poi elaborati da Staffetta Quotidiana, giornale specializzato nel settore dell'energia;
   su scala regionale, il gas viene utilizzato per alimentare auto, caldaie e fornelli è dunque il più caro d'Italia, con 0,682 al litro contro i 0,600 del Veneto;
   l'alto costo del gpl in Sardegna ripropone il tema di una politica energetica che possa finalmente consentire l'introduzione nell'isola del gas naturale nel territorio, tenendo conto delle peculiarità regionali come la distribuzione della popolazione e la dimensione della domanda;
   la Sardegna può rappresentare un'opportunità per l'identificazione e l'implementazione di soluzioni più efficaci e snelle, anche in un'ottica di controllo e limitazione dell'investimento pubblico, valorizzando i distretti gas già esistenti e creando nuove opportunità per i diversi settori economici;
   le tecnologie attualmente disponibili permettono infatti l'adozione di soluzioni alternative alla costruzione di grandi infrastrutture fisiche per la distribuzione del gas, come ad esempio le pipeline virtuali, mediante utilizzo del GNL (gas naturale liquido) attraverso depositi costieri di facile accesso marittimo e stradale, che favoriscano in prima istanza la distribuzione attraverso idonee autocisterne, o anche via costa, attraverso specifiche bettoline;
   tale scenario, oltre ad avere minori tempi di implementazione, ha il pregio di consentire una diversificazione delle fonti di approvvigionamento e delle tipologie di distribuzione, favorendo economie nell'acquisto, maggiore concorrenza, minore dipendenza dai fornitori ed una logica di scalabilità, nell'ottica di una infrastrutturazione progressiva della rete;
   la regione Sardegna ha posto con forza al Governo la questione della metanizzazione dell'isola, anche in un recente incontro dedicato proprio all'approvvigionamento energetico regionale;
   l'Esecutivo nazionale ha raccolto con attenzione la richiesta della regione autonoma della Sardegna, osservando come questa si muova in linea con la Strategia energetica nazionale –:
   se siano a conoscenza di questa situazione e quali iniziative intendano assumere per impedire che l'alto costo dei carburanti, in particolare del gpl che serve ad alimentare auto, caldaie e fornelli, possa rappresentare un ulteriore svantaggio per la Sardegna;
   quali iniziative intendano adottare per assicurare in tempi rapidi una soluzione strutturale per la metanizzazione della Sardegna, anche attraverso l'adozione di soluzioni alternative alla costruzione di grandi infrastrutture fisiche per la distribuzione del gas;
   quali iniziative intendano assumere per attivare le disponibilità finanziarie per il mantenimento dei regimi di essenzialità energetica attualmente vigenti in Sardegna, nonché per la perequazione, nelle more del compimento del processo di metanizzazione, dei maggiori costi energetici gravanti sulle famiglie e sulle imprese della Sardegna. (4-09512)


   MANFREDI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Società Sisal spa, che opera in Italia con regime concessorio da parte dei Monopoli di Stato nel settore del gioco ha preannunciato la necessità di effettuare licenziamenti collettivi per la delocalizzazione del proprio call center a Tirana, in Albania, implicando nel processo 97 persone;
   Sisal spa ha dichiarato inoltre di voler procedere alla cessione del ramo d'azienda di 12 agenzie dirette (L'Aquila, Ascoli Piceno, Barletta, Corato, Bergamo, Latina, Manfredonia, Molfetta, Napoli – Giordano Bruno, Napoli – Via Diocleziano, Roma Tuscolana, Torino – Via Nizza), un'agenzia Wincity (Pescara), un'agenzia Bingo (Napoli), coinvolgendo in quest'ultima operazione altri 180 lavoratori;
   alla base di queste scelte della Sisal vi sarebbe l'imposta aggiuntiva di 48 milioni di euro sulle slot prevista dalla legge di stabilità del 2015;
   la Società Sisal spa, mediante tali decisioni, ad avviso dell'interrogante scarica l'aggravio fiscale interamente sui propri dipendenti e nel contempo ha disdetto il contratto integrativo aziendale, frutto di una contrattazione ventennale per abbassare il costo del personale (incidente per il 10 per cento dei costi totali);
   sempre nell'ottica del contenimento del costo del personale Sisal spa ha aperto un'acquisizione, mediante asta giudiziale, alle concessioni dei punti SNAI-SIS, per l'assorbimento di 200 dipendenti e si è avvalsa di 300 collaboratori per allargare la rete commerciale –:
   quali siano, per quanto di competenza, gli orientamenti del Governo sulla scelta della Sisal di delocalizzare il call center, se ritenga che la modalità prescelta dall'azienda concessionaria in merito al procedimento di cessione di ramo d'azienda sia conforme all'attuale sistema normativo e quali iniziative intenda intraprendere al fine di affrontare e risolvere questa grave vicenda occupazionale (4-09524)

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Labriola e Pisicchio n. 2-01007, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Furnari.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta immediata in Commissione Sottanelli n. 5-05827 del 17 giugno 2015.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Pilozzi n. 4-06884 del 14 novembre 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05835;
   interrogazione a risposta orale Vezzali n. 3-01299 dell'11 febbraio 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-09531.