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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 485 di venerdì 18 settembre 2015

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI

  La seduta comincia alle 9,30.

  PRESIDENTE. La seduta è aperta.
  Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

  ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretaria, legge il processo verbale della seduta di ieri.

  PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Caparini, Costa, Dellai, Epifani, Fedriga, Ferranti, Piccoli Nardelli, Rosato, Sanga, Tabacci e Valeria Valente sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente ottantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna).

Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 9,35).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.

(Chiarimenti e iniziative in merito alle procedure di mobilità che interessano il personale delle province e delle città metropolitane – n. 2-01054)

  PRESIDENTE. Passiamo alla prima interpellanza urgente all'ordine del giorno Cenni ed altri n. 2-01054, concernente chiarimenti e iniziative in merito alle procedure di mobilità che interessano il personale delle province e delle città metropolitane (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Cenni se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica. Ha a disposizione quindici minuti.

  SUSANNA CENNI. Grazie, Presidente. Sottosegretario, il tema sul quale, assieme a numerosi colleghi, ho deciso di interrogare il Governo riguarda fondamentalmente il destino di almeno 20 mila lavoratori. Ma il tema – se andiamo ad affrontare non solo la certezza del posto di lavoro, ma più complessivamente la valorizzazione delle professionalità – riguarda indubbiamente un numero più elevato di lavoratori attualmente ancora alle dipendenze delle amministrazioni provinciali del nostro Paese.
  Ma sto al punto. Il superamento delle province ha visto provvedimenti, durante la XVI e la XVII legislatura, orientati ad Pag. 2accorpare, a razionalizzare e poi riorganizzare e superare buona parte delle competenze costituzionalmente previste e messe in carico alle amministrazioni provinciali. Sono state poi ridisegnate queste competenze, assegnando loro una funzione di secondo grado.
  Però, ancor prima di giungere a queste decisioni, che hanno visto negli ultimi tempi, nell'anno passato, provvedimenti importanti, prima di giungere a passaggi significativi, si è iniziato ad operare un insieme di tagli ai trasferimenti piuttosto pesanti. Io ricordo che tra il 2011 e il 2014 i bilanci delle province sono stati decurtati con legge di oltre 3,7 miliardi di euro.
  La legge di stabilità del 2015 è intervenuta con un'ulteriore riduzione della spesa corrente: un miliardo di euro previsto per il 2015, 2 miliardi di euro per il 2016 e 3 miliardi di euro per il 2017. Io mi auguro – ma ascolterò il sottosegretario – che sia possibile correggere qualcosa di queste cifre. Sempre nella legge di stabilità, con un emendamento del Governo all'articolo 1, comma 421, fu inserito un taglio delle dotazioni organiche in misura del 50 per cento per il personale di ruolo delle province e del 30 per cento per quello delle città metropolitane. Secondo questo schema, circa 20 mila unità di personale dovrebbero essere dichiarate in soprannumero, ricollocate in altri uffici pubblici di comuni e regioni entro due anni e, in caso contrario, dal 2017 messe in mobilità.
  Sempre la legge n. 190 del 2014 nei commi dal 421 al 428 dispone, poi, una procedura, un iter: l'individuazione del personale che resta negli enti e quello da collocare in mobilità; l'emanazione di un decreto ministeriale per le procedure; il ricollocamento presso regioni ed enti locali o il ricollocamento presso altre amministrazioni dello Stato sulla base di una ricognizione dei posti realmente disponibili.
  Ed ancora, con circolare del 29 gennaio 2015, emanata dal Presidente del Consiglio, si forniscono indirizzi in virtù dei quali vanno determinati criteri per la definizione dell'elenco del personale che resta nella dotazione organica e, quindi, quello che dovrebbe effettivamente andare in mobilità. Nella circolare è previsto un vero e proprio cronoprogramma, rispetto al quale ovviamente ci sono dei ritardi, se andiamo a guardare quello che realmente è stato effettuato e messo in campo dal Governo. Manca il decreto previsto dal comma 423 della legge di stabilità, quindi criteri e procedure effettivi. Sappiamo che non tutte le regioni hanno proceduto a varare le norme di propria competenza: ad oggi mi risulta che siano sei le regioni in Italia che hanno normato in materia e che, quindi, hanno attivato la loro parte di competenza, anche per le categorie escluse dalla circolare del 29 gennaio, suddivise in provvedimenti differenti.
  Il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 83 del 2015, recante misure in materia fallimentare, che prevedeva 2 mila unità di personale da allocare da parte delle province nell'organizzazione della giustizia; ancora, il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 78 del 2015, che interviene in materia di enti locali e prevede il passaggio di personale della Polizia provinciale alle Polizie comunali e all'articolo 15 – se non sbaglio – la riorganizzazione dei centri per l'impiego.
  Quindi gli atti sono stati molti, sia quelli prodotti che alcuni che stiamo attendendo. Io ho letto e tutti quanti noi siamo stati molto attenti anche alle dichiarazioni che più volte, anche su sollecitazione delle organizzazioni sindacali e dell'UPI, l'Unione delle province, la stessa Ministra Madia ha espresso, quindi garantendo un impegno e garanzie per questi lavoratori e il loro completo riassorbimento; però, la realtà è che ad oggi c’è una grande preoccupazione in campo fra i lavoratori delle amministrazioni provinciali. Da una parte sappiamo che le garanzie sono state espresse pubblicamente in più occasioni, sono stati approvati vari atti presentati da parte di molti colleghi; io stessa ho depositato ordini del giorno sia in materia di garanzie per i lavoratori delle province sia sul tema delle Polizie provinciali, ma il Pag. 3senso di grande incertezza è ancora molto grande ed è un senso di incertezza legato ovviamente ai numeri e alle cose che sono state scritte nelle norme.
  Aggiungo, all'attenzione del sottosegretario e del Governo, che in questa fase questa situazione è anche molto influenzata dalla situazione delle amministrazioni provinciali che si trovano ad affrontare emergenze, come quelle delle alluvioni, con risorse limitate e con grande difficoltà di effettuare fino in fondo proprio quelle competenze proprie delle province; mi riferisco, per esempio, alle manutenzioni delle strade e a tutta la viabilità fortemente danneggiata da alluvioni. Quindi il tema che io vedo da sciogliere è quello delle risorse e quello del personale. Ovviamente l'interpellanza interviene soprattutto su questo, chiedendo al sottosegretario se esista oggi una ricognizione puntuale sul numero certo dei dipendenti che potrebbero essere messi in mobilità; se il cronoprogramma verrà realisticamente rispettato per come è stato prospettato dalle norme che ho citato; se davvero, come più volte manifestato dai Ministri competenti, saranno assicurati tutti i livelli occupazionali attuali appartenenti alle categorie contrattuali; se il Governo non ritenga di rivedere i termini perentori che sono stati scritti un anno fa nella legge di stabilità, così come se non ritenga di rivedere gli impegni dei tagli finanziari.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Angelo Rughetti, ha facoltà di rispondere.

  ANGELO RUGHETTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, ringrazio l'onorevole Cenni per l'occasione che dà, con la sua interpellanza, di poter fare il punto su un tema, su una questione molto rilevante e sulla cui attuazione il Governo sta procedendo con la massima attenzione e la massima perizia che questa legge merita.
  Le norme della legge di stabilità per il 2015 hanno avviato uno dei più grandi processi di mobilità della storia del nostro Paese: si tratta di un processo complesso non soltanto per il numero delle persone che vengono coinvolte, ma anche perché coinvolge tutti i livelli istituzionali indicati nell'articolo 114 della Costituzione. Quindi, è necessario avere la massima cura e la massima determinazione nel guidare tutti i passaggi che sono necessari per la piena attuazione. All'inizio di quest'anno, proprio d'intesa fra tutte le amministrazioni territoriali e il Dipartimento per gli affari regionali, sono state predisposte delle dettagliate linee guida per le amministrazioni interessate ed è di prossima pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 26 giugno 2015 con il quale sono state definite per la prima volta nella storia della Repubblica italiana le cosiddette «tabelle di equiparazione», che sono lo strumento attraverso il quale si può spostare il personale di un livello istituzionale verso altri livelli istituzionali, definendo prima l'inquadramento e la retribuzione. Senza dubbio la ricollocazione del personale in soprannumero è più facile nelle regioni che hanno approvato le leggi regionali, la Toscana è una di queste.
  Noi in alcuni casi abbiamo trovato massima collaborazione, in altri questa collaborazione non l'abbiamo avuta. Ricordo che due regioni hanno prima impugnato la legge n. 56 del 2014 e poi hanno impugnato anche la circolare a cui lei prima faceva riferimento. In ogni caso, anche per le regioni che dovessero presentare ulteriori ritardi, i criteri di mobilità sono stati definiti con il decreto ministeriale 14 settembre 2015, attualmente in attesa di registrazione da parte della Corte dei conti. Anche a tale riguardo, il ritardo nell'emanazione del decreto è anche dovuto alla mancata intesa che la regione Veneto ha voluto dare, in sede di Conferenza unificata, che ha prolungato di ulteriori quarantacinque giorni la firma e l'emanazione dello stesso decreto, che attualmente è alla registrazione della Corte dei conti.
  Per quanto riguarda le domande specifiche, ricordiamoci che la legge n. 56 del 2014 prevede che il personale esegua le Pag. 4funzioni, quindi una parte del personale resterà ancorata alle nuove province, una parte eseguirà le funzioni, come stabilito dalla legge regionale, e la parte restante sarà riallocata secondo le capienze che saranno individuate nei comuni, nelle regioni e nelle amministrazioni centrali. Il numero esatto dei dipendenti coinvolti potremmo averlo soltanto dopo che le province avranno inserito nel portale gli elenchi delle persone che verranno dichiarate in soprannumero. Fino a quel momento, possiamo fare soltanto delle stime, ma non abbiamo l'indicazione esatta.
  Al termine della procedura che definisce l'offerta di mobilità, il Dipartimento della funzione pubblica, provvederà a pubblicare sul portale tutti i posti che si sono resi disponibili, al netto quindi di quelli che sono stati già riallocati in funzione delle leggi regionali, nelle regioni, negli enti locali e nelle amministrazioni centrali. I posti saranno riferiti a ciascuna regione, distinti per funzione, per categoria, per inquadramento e suddivisi per provincia, comune capoluogo di regione, e per il comune di Roma, perché per questo è prevista una disposizione particolare, avendo Roma la sede del Governo.
  Confermiamo – e questo riguarda un'altra esplicita domanda che lei poneva nell'interpellanza – che l'attuazione delle disposizioni del decreto sulla mobilità garantirà la piena tutela degli attuali livelli occupazioni dei dipendenti degli enti di area vasta. È fondamentale che le regioni e gli stessi enti di area vasta adottino tutti gli atti di rispettiva competenza entro i tempi previsti dallo stesso decreto.
  In conclusione, il nuovo cronoprogramma, che è stato rivisto in funzione delle modifiche normative intervenute, con particolare riferimento al decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, appare coerente con il termine finale del 31 dicembre del 2016; quindi si conferma l'arco temporale complessivo, all'interno del quale alcuni termini sono stati rivisti, proprio in funzione sia delle necessità che si sono create sui territori, sia delle nuove disposizioni che sono state emanate.

  PRESIDENTE. L'onorevole Cenni ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  SUSANNA CENNI. Grazie, Presidente. Ringrazio il sottosegretario perché nella sua sintetica risposta è stato molto chiaro e mi auguro davvero che gli intenti che lui ha manifestato siano concretizzabili e che si concretizzino nei tempi previsti.
  Io, personalmente, non sono mai stata una convintissima sostenitrice del percorso che è stato intrapreso, ma sicuramente della necessità di un riordino da operare nel sistema degli enti locali, anche eventualmente con il superamento delle province.
  Credo che fosse necessario partire; credo che giustamente, strada facendo, probabilmente si aggiusteranno alcune cose; mi auguro che questo avvenga. Lei ha detto una cosa molto importante: la legge, fin dall'inizio, stabilisce che il personale esegua le funzioni. Tuttavia, essendoci soltanto sei regioni che, a oggi, hanno deliberato, questa logica non sarà così facilmente concretizzabile nei tempi previsti, quindi mi auguro che il Governo possa anche sollecitare, pur nella loro autonomia, le regioni a procedere su questa strada.
  Aggiungo un altro punto: alcune delle cose che, in qualche modo, potrebbero sembrare logiche, se leggiamo la norma, ma che nella realtà sono un po’ più complesse da attuare, sono alcune decisioni, per esempio quelle relative al trasferimento delle polizie provinciali nelle polizie municipali. Noi sappiamo che ci sono vincoli e difficoltà effettive nei comuni per recepire questo personale anche se non si tratta di numeri elevatissimi a livello nazionale.
  Aggiungo questo: a me sembra importante quello che lei ha detto, cioè la conferma di un impegno da parte del Governo per il pieno assorbimento all'interno di una mobilità – immagino nel contesto regionale – del personale eventualmente in esubero.
  Segnalo un'emergenza che c’è oggi, immediatamente e, soprattutto, da qui alla Pag. 5fine dell'anno. Alcune amministrazioni provinciali stanno cominciando a fare i conti, per capire se saranno in grado di pagare anche il personale che attualmente hanno per lo svolgimento delle proprie competenze e delle deleghe proprie delle province. Faccio un esempio peculiare, che da sempre è stato competenza di questi enti: la manutenzione stradale. Ebbene, hanno grandi difficoltà, se non verranno rivisti gli impegni di spesa.
  Segnalo solo un numero e concludo. Sulla manutenzione delle strade provinciali, stiamo parlando di 130 mila chilometri di strade, dal 2013 al 2014 i tagli hanno fatto sì che si passasse da 7.318 euro di manutenzione a chilometro a 2.170 di manutenzione a chilometro. Questo significa grandi problemi per la sicurezza e, ovviamente, in questo caso anche il personale che lavora su queste competenze ha difficoltà a lavorare e a fare bene il proprio mestiere. La ringrazio.

(Rinvio dell'interpellanza urgente Rigoni ed altri n. 2-01020)

  PRESIDENTE. Dovremmo ora passare all'interpellanza urgente Rigoni ed altri n. 2-01020.
  Avverto che, su richiesta dei presentatori e con il consenso del Governo, lo svolgimento dell'interpellanza è rinviato ad altra seduta.

(Iniziative per la predisposizione dello schema-tipo delle convenzioni tra università e regioni finalizzate alla regolamentazione delle attività svolte dal personale medico universitario per conto del Servizio sanitario nazionale – n. 2-01048)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Gigli e Dellai n. 2-01048, concernente iniziative per la predisposizione dello schema-tipo delle convenzioni tra università e regioni finalizzate alla regolamentazione delle attività svolte dal personale medico universitario per conto del Servizio sanitario nazionale (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Gigli se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  GIAN LUIGI GIGLI. Grazie, Presidente. Signor sottosegretario, l'attività clinica di quelle che furono un tempo le facoltà di medicina e che oggi sono i dipartimenti, che si fanno carico dei corsi di laurea in medicina e nelle varie professioni sanitarie, costituisce da sempre, per così dire, croce e delizia dei rettori. La delizia perché all'attività, appunto, in ambito clinico si accompagnano per le strutture universitarie prestigio, forza indubbiamente, legame con i territori e capacità di attrarre fondi per quanto riguarda la ricerca clinica. Ma anche croce, per le ristrettezze economiche in cui il più delle volte – anzi, direi generalmente – questa attività si trova ad essere esercitata e per le tensioni che derivano al sistema universitario a causa dei non adeguatamente definiti rapporti con il Servizio sanitario nazionale. Tanto più questo avviene oggi, da quando nella maggior parte degli atenei non esistono più i policlinici universitari, ma l'attività delle cliniche universitarie si svolge all'interno, appunto, di aziende ospedaliero universitarie.
  Questo si accompagna ad un ridimensionamento de facto dell'autonomia universitaria, pure prevista dalla nostra Costituzione, a causa delle forte dipendenza economica delle università dalle regioni e ai conseguenti condizionamenti che le regioni stesse sono in grado di esercitare sugli atenei. Basti pensare che la stessa scelta dei direttori generali delle aziende ospedaliere universitarie, pur essendo competenza in capo, da un lato, al rettore e, dall'altro, al presidente della giunta regionale, di fatto è esercitata, pressoché totalmente, dalla giunta stessa, con semplicemente un benestare che il rettore il più delle volte non può non dare.
  Poi, tutto questo si accompagna all'invecchiamento dei docenti e dei ricercatori, a causa delle difficoltà di avanzamento di carriera e delle limitazioni imposte alla loro sostituzione, a causa di esigenze di tipo budgetario del sistema universitario e Pag. 6non a caso osserviamo, in parallelo accanto a questo, il tentativo di sostituirsi, da parte delle regioni stesse, come enti finanziatori di nuovi posti di docente universitario.
  E poi, soprattutto, le tensioni si determinano anche per la mission oggettivamente diversa dei dipartimenti universitari, che come sappiamo accanto all'assistenza devono farsi carico anche della didattica e della ricerca, rispetto a quella della sanità regionale che è, ovviamente, maggiormente sensibile ad altri temi che non sono la didattica e la ricerca, ma sono piuttosto gli orari, il numero delle prestazioni, gli esami inutili e quant'altro. Ciò sta portando a tensioni e anche ad un autentico braccio di ferro nelle varie sedi che esitano abitualmente, per quello che è stata la mia possibilità di ricognizione, in una sorta di progressivo arretramento – come dicevo prima – delle specificità della componente universitaria e in un arretramento della stessa autonomia degli atenei. Io ritengo che buona parte della responsabilità di quello che sta accadendo sia legata anche all'incertezza del quadro di riferimento normativo che abbiamo di fronte a livello nazionale. In teoria tutto sarebbe chiaro, in realtà così non è. Sappiamo che già l'articolo 39 della legge n. 833 istitutiva del Servizio sanitario nazionale si faceva carico immediatamente, aveva di fronte agli occhi, la necessità di specifiche convenzioni da stipularsi tra le università e le unità sanitarie locali; si faceva carico della preoccupazione che le convenzioni, previste in quell'articolo 39, fossero stipulate sulla base di schemi-tipo da emanare entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge ed approvati dal Ministero della pubblica istruzione e da quello della sanità, sentite le regioni, e così via. Il decreto legislativo n. 517 del 1999, nel disciplinare i rapporti tra Servizio sanitario nazionale ed università, si preoccupava di chiarire che era necessario avere davanti un periodo sperimentale, così veniva definito, della durata di quattro anni. Quindi, evidentemente, era una materia sulla quale c'era bisogno ancora di dare delle certezze. Bene, queste certezze, evidentemente, non sono arrivate perché nel decreto della Presidente della Repubblica n. 382, della 1980, con cui si è disposto il riordino della docenza universitaria, all'articolo 102, si richiama che per quanto riguarda il personale docente universitario e i ricercatori, essi assumono gli oneri dell'assistenza e i diritti e i doveri previsti, secondo le modalità stabilite negli schemi-tipo di convenzione, che abbiamo già richiamato, citati dall'articolo 39 della legge n. 833. Ebbene, nonostante questo, noi arriviamo al 2010, con la legge n. 240, all'articolo 6, dove ancora si richiama che entro centoventi giorni dalla entrata in vigore della legge dovrebbe essere predisposto lo schema-tipo delle convenzioni al quale debbono attenersi le università e le regioni nel regolare i rapporti in materia di attività sanitarie svolte per conto del Servizio sanitario nazionale. Siamo partiti dal 1978 arriviamo al 2010 e tutto questo non è stato ancora realizzato. La fase sperimentale dei rapporti prevista dal decreto legislativo n. 517 è anch'essa largamente superata e nessun provvedimento è stato evidentemente preso e quello che si è venuto a determinare ha creato disparità evidenti tra regione e regione sulla modalità di stipula delle convenzioni tra università, facoltà di medicina e Servizio sanitario nazionale per quanto attiene all'attribuzione delle attività assistenziali per il personale universitario medico operante nelle aziende ospedaliere universitarie, determinando evidenti disparità nell'attribuzione degli incarichi assistenziali, nella retribuzione economica, nel monte orario dell'attività di servizio, nella possibilità stessa di espletamento delle funzioni previste dallo stato giuridico universitario. Mi riferisco particolarmente alle limitazioni imposte all'attività didattica e di ricerca che dovrebbero andare addirittura prima della stessa attività assistenziale, sulle quali, come lei sa, il Ministero dell'università, attraverso l'ANVUR, valuta sistematicamente la qualità dell'attività del docente universitario.
  Ecco, le chiedo quindi, sottosegretario, se il Ministero non ritenga opportuno procedere finalmente e in modo rapido, Pag. 7d'intesa con le regioni ovviamente, alla predisposizione di uno schema-tipo di convenzione al quale le università e le regioni, così come previsto dall'articolo 6, comma 13, della legge n. 240 del 2010, debbano, non possano, ma debbano attenersi.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, Gabriele Toccafondi, ha facoltà di rispondere.

  GABRIELE TOCCAFONDI, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Grazie Presidente, l'onorevole interpellante interroga il Ministero circa quanto previsto dall'articolo 6, comma 13, della legge n. 240 del 2010 in merito alla mancata attuazione, d'intesa con le regioni, della predisposizione dello schema-tipo delle convenzioni cui devono attenersi università e regioni. In particolare, la norma stabilisce che il MIUR, di concerto con il Ministero della salute e d'intesa con la Conferenza Stato-regioni e sentita la conferenza dei presidi delle facoltà di medicina e chirurgia riguardo alle strutture cliniche e di ricerca transnazionale necessarie per la formazione nei corsi di laurea di area sanitaria di cui alla direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 settembre 2005, predisponga lo schema-tipo delle convenzioni al quale devono attenersi le università e le regioni per regolare i rapporti in materia di attività sanitarie svolte per conto del Servizio sanitario nazionale.
  Le finalità sottese alla normativa relativa ai rapporti università-regioni in ambito sanitario sono quelle di realizzare un idoneo coordinamento delle rispettive funzioni istituzionali delle suddette istituzioni, al fine di assicurare la coerenza della programmazione generale dell'attività assistenziale dell'azienda ospedaliera con la programmazione didattica e scientifica delle università, disciplinando, tanto l'apporto nel settore assistenziale delle facoltà mediche alla realizzazione degli obiettivi della programmazione sanitaria regionale, quanto l'utilizzazione da parte delle facoltà mediche, per esigenze di ricerca e di insegnamento, di idonee strutture ospedaliere, ivi compreso l'apporto di queste ultime ai compiti didattici e di ricerca specifici delle università. Il tutto nel rispetto del presupposto, sancito dall'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517, secondo il quale l'attività assistenziale necessaria per lo svolgimento dei compiti istituzionali delle università è determinata nel quadro della programmazione nazionale e regionale in modo da assicurarne la funzionalità e la coerenza con le esigenze della didattica e della ricerca.
  Si ricorda, infatti, che la collaborazione ed il coordinamento tra Servizio sanitario nazionale ed università, iniziata attraverso i policlinici universitari ed i complessi convenzionati misti, ha trovato una compiuta attuazione con l'adozione del citato decreto legislativo n. 517 del 1999. Tale decreto, in particolare, riunifica in un unico modello l'azienda ospedaliero-universitaria con funzioni di assistenza, di ricerca e di didattica. L'integrazione di tali funzioni costituisce una linea di azione centrale, non solo per l'organizzazione delle aziende ospedaliero-universitarie, ma anche per l'efficacia e la sostenibilità dell'intero Servizio sanitario nazionale. Il richiamato decreto legislativo n. 517 del 1999 individua nei protocolli d'intesa tra regioni e università lo strumento principe, come ha ricordato anche l'onorevole interpellante, che deve definire i criteri per l'integrazione della triplice missione aziendale, ribadendo l'opzione per un modulo organizzativo a carattere convenzionale, deputato al coordinamento delle complesse funzioni inerenti le aziende sanitarie sede di insegnamento universitario. Le linee guida concernenti i protocolli d'intesa, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 maggio 2001, delineano le modalità da seguire per lo svolgimento delle attività assistenziali delle università nel quadro, appunto, della programmazione nazionale e regionale. Il compito dei suddetti protocolli è quello di individuare strumenti idonei e modalità efficaci per contribuire in modo effettivo Pag. 8all'integrazione tra assistenza, didattica e ricerca, posto che per una qualificata formazione delle figure professionali sanitarie è indispensabile che all'attività didattico-scientifica si affianchi la pratica clinica sui degenti.
  Le aziende ospedaliero-universitarie avrebbero dovuto superare il dualismo storico esistente tra policlinici universitari e aziende miste, risolvendo atavici problemi che in passato hanno fortemente condizionato l'organizzazione e la gestione dei nosocomi di formazione sanitaria, specie quelli concernenti l'utilizzazione del personale universitario docente, ricercatore e tecnico-amministrativo, convenzionato con il Servizio sanitario regionale.
  Ciò posto, dunque, si può evidenziare come l'apporto di tali istituzioni diventa reciproco e bidirezionale, vedendo, da un lato, la docenza universitaria di materie cliniche impegnata nella realizzazione degli obiettivi della programmazione sanitaria regionale – sotto il coordinamento, per ciò che concerne lo svolgimento dell'attività assistenziale degli organi di governo dell'azienda ospedaliera – e dall'altro la regione impegnata a strutturare piani organizzativi aziendali che tengano conto dell'inscindibilità esistente, per i professori universitari di materie cliniche, tra le funzioni assistenziali e quelle di didattica e di ricerca.
  La stipula di tali convenzioni tra aziende ospedaliere regionali ed atenei mira, dunque, anche a disciplinare tali rapporti oltre che ad individuare, in quanto rispondenti a precisi requisiti di idoneità, le strutture assistenziali dell'azienda sanitaria da potere utilizzare ai fini didattici e di ricerca, dovendo le stesse risultare dotate di risorse assistenziali e socio-assistenziali idonee a garantire tanto l'esplicarsi del triennio clinico del percorso di laurea magistrale in medicina e chirurgia quanto lo svolgimento delle attività professionalizzanti dei medici in formazione specialistica; a cui si aggiungono, ovviamente, anche le attività formative pratiche svolte nell'ambito dei corsi di laurea e laurea magistrale delle professioni sanitarie.
  Fatta questa doverosa premessa anche normativa, occorre ricordare che nel 2011 il MIUR ha sottoposto al Ministero della salute uno schema-tipo, che è stato inoltrato, a cura della competente direzione generale, al coordinamento tecnico della commissione salute per preliminari valutazioni. Ad oggi, non risulta pervenuto il parere del citato organo.
  È peraltro recente il riordino degli ordinamenti didattici di tutte le tipologie di scuola di specializzazione di area sanitaria, che il Ministero ha effettuato con l'emanazione del decreto interministeriale 4 febbraio 2015 n. 68.
  In continuità con il processo di riordino in atto, occorre ricordare che sarà imminente anche l'emanazione del decreto con il quale verranno identificati i requisiti e gli standard per l'accreditamento delle scuole stesse ai fini dell'attivazione del relativo corso di studio, accreditamento nell'ambito del quale dovranno essere anche identificati gli indicatori di attività formativa ed assistenziale necessari alle singole strutture sanitarie affinché possano fare parte della rete formativa dell'ateneo che è e rimane, nell'impianto normativo appena emanato con il richiamato decreto interministeriale n. 68 del 2015 il dominus della formazione sanitaria sia pre laurea sia post laurea.
  A seguito delle precitate innovazioni normative, dunque, è parso opportuno riprendere lo schema-tipo che la Conferenza dei rettori delle università Italiane (CRUI) aveva inviato all'attenzione sia del Ministero della salute sia del MIUR alla fine dello scorso anno e farne oggetto di una nuova riflessione.
  Riflessione che, peraltro, ha subito un ulteriore rallentamento alla luce del cosiddetto Patto per la salute – avviatosi nell'autunno dello scorso anno ma ancora non conclusosi – in quanto la materia degli schemi-tipo interferisce obiettivamente con la disciplina dei contorni dei rapporti convenzionali che devono necessariamente intercorrere tra aziende ospedaliere regionali, facenti parte della rete formativa universitaria, ed atenei.Pag. 9
  Stante quanto sopra, si può assicurare che il MIUR intende comunque addivenire alla formazione di un nuovo schema-tipo in adempimento di quanto previsto dall'articolo 6, comma 13, della legge n. 240 del 2010.
  Con riferimento alla proposta avanzata dall'onorevole interpellante circa eventuali iniziative, anche di rango normativo finalizzate a ribadire la centralità delle università nella formazione pre laurea e post laurea dei laureati in medicina e nelle professioni sanitarie, si osserva che già nell'ordinamento vigente è previsto che i titoli di laurea in medicina e chirurgia, i titoli di laurea abilitanti alle professioni sanitarie ed i titoli di specializzazione di area sanitaria siano rilasciati dalle università.
  Peraltro, al fine di garantire la prescritta capacità formativa, gli atenei si avvalgono della rete formativa delle strutture del Servizio sanitario nazionale. Ciò, infatti, garantisce l'adeguatezza delle strutture e delle attrezzature ritenute necessarie per la didattica, servizi generali e diagnostici adeguati, sia in termini qualitativi che quantitativi, qualità delle prestazioni erogate.
  Con particolare riguardo alla formazione specialistica, si rappresenta che, nell'ambito dei lavori del tavolo politico, istituito ai sensi dell'articolo 22 del Patto per la salute 2014/2016 con il compito di individuare, anche alla luce delle esperienze degli altri Paesi dell'Unione europea, specifiche soluzioni normative finalizzate a una valorizzazione delle risorse umane del Servizio sanitario nazionale, è emersa l'esigenza di valorizzare il ruolo della rete formativa regionale per lo svolgimento delle attività teoriche e pratiche dei medici in formazione, fermo restando il ruolo delle università nella formazione pre e post laurea.
  Va, infatti, considerato che, secondo le disposizioni del decreto legislativo n. 368 del 1999, come modificato, in particolare, dal decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, la formazione dello specializzando implica la partecipazione guidata alla totalità delle attività mediche dell'unità operativa presso la quale è assegnato dal consiglio della scuola e la graduale assunzione di compiti assistenziali nonché l'esecuzione di interventi con autonomia vincolata dalle direttive ricevute dal tutor della struttura sanitaria stessa.
  Si ritiene, pertanto, che già l'ordinamento vigente riconosca all'università la propria funzione formativa, salvaguardando allo stesso tempo, in considerazione della specificità della formazione di cui trattasi, il ruolo della rete formativa regionale.

  PRESIDENTE. L'onorevole Gigli ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  GIAN LUIGI GIGLI. Signor Presidente, signor sottosegretario, io la ringrazio per la lunga ed esaustiva ricognizione che ha operato sul tema, sulla quale non ho nulla da eccepire. Mi consenta, però, di dirle, innanzitutto, che la risposta è in qualche modo disarmante, nel senso che noi arriviamo per sua ammissione alla conclusione che lo schema tipo previsto ab initio, proprio, di tutta questa annosa vicenda è stato inoltrato nel 2011, siamo arrivati alla fine del 2015 e sono certo che nemmeno per il 2015 questo schema tipo vedrà l'alba. Tuttavia, a parte questo aspetto disarmante, io credo che la prosecuzione nel tempo di questa sorta di braccio di ferro – così l'ho definito – che – mi consenta di dirlo – è in atto anche per quanto riguarda il tavolo che sta lavorando intorno al Patto per la salute, abbia bisogno di un chiarimento su quello che è il ruolo, lo specifico ruolo del docente universitario di medicina. Come lei stesso ha ammesso, per la natura della materia, il docente di medicina non può essere un professore di liceo, non può essere un professore di liceo che fa le sue lezioni in una cattedra e poi, dopo, appalta, per così dire, il resto alle strutture sanitarie, perdendo peraltro il controllo completamente, anche, molte volte, di quello che viene detto, fatto e insegnato in queste strutture, non avendo in realtà possibilità di intervenire in materia.Pag. 10
  Allora, mi chiedo e le chiedo se è interesse di questo Paese, da un lato, dequalificare l'insegnamento stesso poiché, innanzitutto, non si vede perché uno debba assumersi oneri, responsabilità e valutazioni anche da parte del Ministero, come ho detto, se questa sua specificità non è ampiamente riconosciuta nei fatti; non si vede perché debba assumersele queste responsabilità, è molto più semplice fare il docente di una struttura ospedaliera alla quale, appunto, questa funzione eventualmente viene appaltata, non ci sono responsabilità, non ci sono valutazioni su questo tipo di cose. Ma aggiungo, anche, che cosa succede all'attività scientifica delle facoltà di medicina della quale pure il nostro Paese si avvale e che è un fiore all'occhiello del nostro sistema ?
  Credo che un docente, sempre più espropriato del suo ruolo, da un lato, e sempre più vessato da una situazione dettata dal sistema aziendalistico ed economicismo del servizio sanitario nazionale, da un altro, che lo porta ad essere uno che ha di mira soprattutto il numero delle prestazioni, il cartellino da timbrare e quant'altro, tutto questo sta finendo per dequalificare, piano piano – non sono effetti che si vedono nell'immediato –, la stessa attività scientifica di quelle che furono le facoltà di medicina.
  Noi ci stiamo orientando, senza dirlo, verso un sistema del cosiddetto dell'ospedale di insegnamento, dove tutti quanti (si dice sul modello americano) fanno attività di tipo didattico. Tuttavia, abbiamo a che fare con un sistema diverso negli Stati Uniti, nel quale gli ospedali fanno a gara per attrarre le persone più qualificate anche dal punto di vista scientifico, per offrire la migliore didattica perché c’è una competizione. Il nostro è un sistema totalmente diverso che ha a che fare con un sistema sanitario nazionale e con una università che è regolamentata in gran parte dallo Stato che fornisce poi adeguati titoli agli studenti formati. Questo ospedale di insegnamento non può essere un ospedale nel quale vi sono alcuni che sono sottoposti a concorsi ed hanno determinati tipi di responsabilità aggiuntive ed altri che lavorano alla pari, nello stesso modo – verso questo si sta andando –, i quali non sono sottoposti agli stessi concorsi e alle stesse valutazioni.
  Chiedo almeno che questa vicenda venga chiarita nel più breve tempo possibile e che non ci siano ulteriori dilazioni nella definizione di questo schema tipo, perché quello che accade, altrimenti, le ripeto, di volta in volta, nelle singole situazioni, in mancanza di un quadro di riferimento nazionale, il grido di allarme che si leva è che soccombe chi poi non ha i mezzi: le università non hanno i mezzi, a cominciare da quelli finanziari, il servizio sanitario regionale ce li ha, anche se spesso li spende male e li utilizza per una politica di condizionamento sempre più oppressiva e sempre più pesante. La ringrazio e spero che vorrà farsi portatore anche su questi tavoli delle esigenze che ho cercato di rappresentarle.

(Elementi in ordine all'attuazione del piano straordinario di assunzioni nel comparto della scuola di cui alla legge 13 luglio 2015, n. 107 – n. 2-01077)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Luigi Gallo ed altri n. 2-01077, concernente elementi in ordine all'attuazione del piano straordinario di assunzioni nel comparto della scuola di cui alla legge 13 luglio 2015, n. 107 (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Luigi Gallo se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  LUIGI GALLO. Signor Presidente, cara Ministra, che non c’è, sapevamo tutti che prima o poi sarebbe arrivato questo momento, il momento in cui tutti gli slogan, tutta la propaganda, le interviste, le comparsate televisive, si sarebbero scontrate con la realtà del primo giorno di scuola, il suo primo esame, l'esame di quella che il MoVimento 5 Stelle e il mondo della scuola non riesce a chiamare riforma, ma solo una violenza cinica e spietata verso tutti gli attori del mondo della scuola, Pag. 11studenti, docenti, lavoratori della scuola, genitori, tutti schiacciati da un'arroganza di procedere, sempre e comunque, secondo le direttive di Bruxelles, al taglio strutturale della spesa pubblica, dalla sanità all'istruzione. Andiamo ai fatti e alle domande, così i cittadini possono da soli farsi un'opinione e capire che la lunga corsa del Governo e del Partito Democratico di approvare una legge che scontentava tutti ad oggi ha partorito un topolino e tanti guasti al sistema di istruzione nazionale.
  È il vostro sito ministeriale a dare i dati. La legislazione vigente prima della buona scuola, avrebbe garantito quest'anno 36.627 stabilizzazioni. Voi approvate velocemente la legge n. 107, perché ne volete di più: dite, più di 100 mila per il prossimo anno; dicevate 150 mila. È il vostro grande bluff. Scrivete 55 mila contratti virtuali nella legge, solo giuridici e non economici, significa per intenderci senza stipendio per i docenti, ma non finisce qui: 48 mila stabilizzazioni che erano garantite dal vostro piano già ad inizio anno non ci sono più è la stessa Ministra ad annunciare in conferenza stampa 38 mila stabilizzazioni. Naturalmente, abbondate sempre perché sono precisamente 37.400, ovvero solo 1000 in più rispetto a quelle già previste dalle leggi vigenti.
  Inchiodata dai numeri, la Ministra che non c’è, invece di rispondere sul merito, sul flop del piano di stabilizzazione, sulla scuola nel caos, sugli esodi forzati, sull'esclusione dei docenti dell'infanzia e i docenti abilitati – che il PD considera di serie B, nonostante siano precari di lungo corso ampiamente formati e specializzati nelle nostre università italiane –, la Ministra cosa risponde ? Dice di voler regalare ai parlamentari del MoVimento 5 Stelle un computer e un corso di programmazione per fare due conti. In realtà, non ci vuole un pc, basta una semplice calcolatrice; ce la possiamo permettere anche noi parlamentari del MoVimento 5 Stelle, che ci dimezziamo lo stipendio e restituiamo i soldi nel fondo per dare liquidità agli imprenditori delle piccole e medie imprese, che hanno bisogno di liquidità per le loro idee e per i loro progetti. Stupisce, invece, che non se la possa permettere la Ministra che non c’è, con il suo stipendio e con gli elevati costi di dirigenti e di strutture del Ministero. Allora, eccola qua la calcolatrice, non ci vuole tanto, il conto è ben fatto. Abbiamo 37.400 stabilizzazioni, effettuate per il primo giorno di scuola, meno 36.627 stabilizzazioni che erano previste per leggi vigenti, uguale a 773 stabilizzazioni in più. A fronte dei dati appena esposti, cara Ministra che non c’è, a fronte di chi afferma che l'80 per cento dei docenti stabilizzati hanno già accettato una supplenza annuale, deve dare anche le stime delle supplenze che il Ministero prevede per quest'anno scolastico 2015-2016. Avevate detto: fine della «supplentite»; per una volta date un dato vero, perché siamo in Parlamento e qui rispondo ai cittadini italiani.
  Un altro cruciale problema che sottende il vostro grande inganno, il vostro grande imbroglio sulla scuola, sono le stabilizzazioni aggiuntive, che saranno solo virtuali, come detto, senza stipendio. A questo punto oggi vogliamo risposte chiare sull'utilizzo del vostro fondo della «buona scuola». Se non serve a pagare i docenti, come verrà utilizzato ? Quante risorse avete già risparmiato ? Quanti soldi spesi realmente ? Perché qui l'inganno è macroscopico. In legge di stabilità, nel 2014, tagliate più di mezzo miliardo di euro al settore istruzione, bloccate l'adeguamento degli stipendi di tutti i lavoratori della scuola e cancellate i soldi per le supplenze brevi e per gli esoneri per i vicari, che mettono a rischio l'inizio della scuola, visto che mancano quasi 2 mila dirigenti scolastici; e così trovate i soldi, per 1 miliardo di euro, per il fondo della vostra – solo vostra – «buona scuola». Se questi soldi non li utilizzate, resteranno solo i tagli, come abbiamo più volte ribadito per smascherare i numeri fasulli sull'investimento per la scuola. Sappiamo tutti che i soldi non spesi ritornano al Ministero Pag. 12dell'economia e delle finanze e quindi avete solo scherzato e preso in giro gli italiani.
  L'ultimo quesito che pongo al Ministro che non c’è è di quelli che fanno sobbalzare sulla sedia. È la prima volta nella storia della Repubblica che avvengono delle assunzioni statali senza una graduatoria pubblica: impossibile per gli aventi diritto confrontare gli elenchi e i punteggi e controllare la correttezza del procedimento. Per questo vi siete permessi di dire che le assunzioni erano a prova di ricorso, perché fate delle assunzioni al buio e, alla richiesta di trasparenza, la Ministra risponde: fidatevi di noi. Avete violato qualsiasi normativa sulla trasparenza. Meritereste l'anticorruzione al Ministero, perché siete in difetto. Le graduatorie dovevano essere pubbliche prima delle stabilizzazioni; le graduatorie degli aspiranti all'assunzione si formalizzano prima dei contratti. Se ci sono stati degli errori, come potranno i docenti far valere la giustizia ? Vi chiediamo quindi la pubblicazione immediata delle graduatorie per l'assunzione su fase B e fase C.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, Gabriele Toccafondi, ha facoltà di rispondere.

  GABRIELE TOCCAFONDI, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Signor Presidente, da quest'anno, grazie alla legge n. 107 del 2015, lo Stato ha la facoltà di potenziare il sistema scolastico, incrementando di ben 55.258 posti l'organico docente e assumendo in ruolo, su questi nuovi posti e sugli altri liberi da anni, 102.734 docenti, 66.107 in più rispetto a quanti se ne sarebbero potuti assumere a legislazione previgente.
  La gran parte di queste assunzioni sarà effettuata quest'anno, le ultime entro novembre quando terminerà la cosiddetta «fase C» del piano straordinario di assunzioni. Alcuni posti potranno invece essere occupati solo l'anno venturo, grazie al concorso previsto sempre dalla legge n. 107 del 2015. Attualmente, infatti, vi sono classi di concorso – come sappiamo, su tutti matematica – in cui il numero di docenti iscritti nelle graduatorie utili per le assunzioni è inferiore al numero dei posti disponibili. È quindi ineludibile attendere il nuovo concorso per coprire questi posti in modo stabile. Quanto alle fasi «zero», «A» e «B» del piano assunzionale, sono regolarmente terminate nei tempi previsti, ovvero 8 agosto le fasi «zero» ed «A», e 2 settembre per quanto riguarda la fase «B».
  Le assunzioni effettuate nelle fasi «zero» ed «A» hanno seguito le regole già usate da molti anni, e quindi ben conosciute da tutti i docenti iscritti nelle varie graduatorie coinvolte. I posti rimasti vacanti al termine della fase «A» sono stati tutti e solo quelli per i quali non vi erano più aventi diritto in base alla legislazione previgente, essendo esaurite le graduatorie delle relative province (GAE) o regioni (concorso). La copertura di tali posti nella fase «B» è avvenuta, quindi, sulla base di nuove regole, introdotte dalla legge n. 107 del 2015.
  A questo riguardo, dal combinato disposto della medesima legge n. 107 e delle leggi previgenti se ne rileva che: gli iscritti nelle graduatorie del concorso precedano gli iscritti nelle GAE; gli iscritti nella prima fascia delle GAE precedano i colleghi iscritti nella seconda, e così via sino alla quarta fascia; a parità di graduatoria e fascia, venga prima il docente con maggior punteggio, indipendentemente dalla provenienza geografica; a parità di punteggio, si applicano le preferenze previste dalla legge. I quattro criteri sopra elencati determinano un ordine tra i partecipanti al piano assunzionale.
  Ricordando che la partecipazione alla fase «B» (e alla successiva fase «C») è stata volontaria, il Ministero per individuare il posto da assegnare a ciascuno dei docenti partecipanti alla fase «B» ha utilizzato l'unico metodo compatibile con i vincoli sopra illustrati. Per descriverlo è opportuno ricorrere ad una esemplificazione.
  Sia dia il caso dell'aspirante docente, iscritto nelle GAE, classi di concorso A043, Pag. 13A050, che esprime quale prima preferenza la provincia di Bergamo, quale seconda Lodi e così via sino alla centesima preferenza. Egli è iscritto nelle GAE di provenienza con un punteggio nella A050 superiore a quello della A043. Nella A043 i posti disponibili a Bergamo sono 37, a Lodi solo 15; nella A050 i posti sono rispettivamente 16 e 1. In questa situazione l'aspirante docente trova posto nella prima provincia secondo il suo individuale ordine di preferenza, cioè gli viene proposto uno dei 37 posti disponibili a Bergamo nella A043, oppure uno dei 16 disponibili nella A050, nel caso in cui tra gli aspiranti che lo precedono in ciascuna classe di concorso, secondo l'ordine definito, ve ne siano al massimo 36 nella A043 oppure 15 nella A050 che hanno ottenuto un posto a Bergamo. Nel caso in cui vi sia posto a Bergamo per l'aspirante docente sia nella A043 che nella A050, il posto offerto sarà della A050, cioè la classe di concorso in cui vanta maggior punteggio.
  Nel caso in cui tutti i posti disponibili a Bergamo, sia per la classe A043 che per la A050, siano offerti a docenti partecipanti al piano assunzionale che precedono l'aspirante docente nell'ordine previsto, allora egli potrà ottenere un posto a Lodi, sua seconda preferenza, purché tra gli aspiranti che lo precedono in ciascuna classe di concorso secondo l'ordine definito ve ne siano al massimo 14 nella A043, oppure nessuno nella A050, che hanno ottenuto un posto a Lodi.
  Nel caso in cui tutti i posti disponibili a Bergamo e a Lodi, sia per la classe A043 che per la A050, siano offerti a docenti partecipanti al piano assunzionale che precedono l'aspirante docente nell'ordine previsto, si procede con la terza preferenza espressa dallo stesso, e poi con la quarta eccetera, con lo stesso metodo sopra illustrato.
  Da tanto ne discende che tutti i docenti hanno ricevuto una proposta in fase B sulla prima provincia possibile, secondo l'ordine di preferenza indicato, tenuto conto delle preferenze espresse dai colleghi che li precedono per punteggio.
  Ogni docente partecipante alla fase B potrà verificare la correttezza dell'operato dell'Amministrazione consultando gli elenchi del personale destinatario di una proposta di assunzione nell'ambito della fase B.
  A tal fine il MIUR ha inviato una nota a tutti i direttori degli uffici scolastici regionali invitandoli ad ottemperare alla pubblicazione degli elenchi degli assunti per la propria regione di competenza. Detti elenchi, reperibili e consultabili sui siti delle direzioni regionali e degli uffici provinciali del MIUR, sono esaustivi, poiché specificano: provincia proposta per l'assunzione, ordine della scuola in cui è proposta l'assunzione, tipologia di posto (posto comune o di sostegno), classe di concorso, area disciplinare, tipologia di graduatoria (provinciale ad esaurimento o merito di concorso), cognome, nome, data di nascita, fascia, conseguimento o meno del titolo di sostegno, punteggio, eventuale possesso di un titolo di preferenza di ciascun destinatario delle nomine effettuate nella fase B del piano.
  La quarta ed ultima fase del piano di immissione in ruolo, cosiddetta fase C, avverrà dopo che le istituzioni scolastiche avranno comunicato agli uffici scolastici regionali il fabbisogno dei docenti da utilizzare nell'ambito dell'organico aggiuntivo previsto dalla tabella 1 allegata alla legge n. 107 e dopo che i predetti uffici avranno determinato la quota di organico spettante a ciascuna istituzione scolastica delle regioni. Si ritiene che dette operazioni saranno concluse, come anticipato, entro la fine del prossimo mese di novembre.
  Quanto alla richiesta dell'onorevole interrogante di conoscere l'importo degli eventuali risparmi che potrebbero determinarsi nell'esecuzione del piano assunzionale, si sottolinea che l'ammontare dei risparmi effettivamente realizzati potrà essere determinato solo a consuntivo, a seguito di una verifica da effettuare congiuntamente tra Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il Ministero dell'economia e delle finanze. I risparmi saranno integralmente destinati all'istruzione scolastica per le finalità previste dalla legge n. 107.

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  PRESIDENTE. L'onorevole Luigi Gallo ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  LUIGI GALLO. Signor Presidente, non mi ritengo soddisfatto, perché resto sempre un po’ sconcertato quando il sottosegretario Toccafondi glissa sui numeri.
  Partiamo dalle supplenze: lei resta sostanzialmente silente, non ci dà delle stime né dei dati. I sindacati parlano di 60-80 mila supplenze annuali per quest'anno e di 30 mila supplenze per gli insegnanti di sostegno, tra l'altro non specializzati, perché non abbiamo insegnanti di sostegno adeguati con la specializzazione e l'abilitazione. Quindi, nel terzo millennio c’è una programmazione zero da parte di un Ministero strategico per il Paese, come quello per l'istruzione.
  Tutte le vostre promesse, quindi, sono saltate. Non è garantita nessuna continuità didattica agli studenti, altro che fine della supplentite millantata dal Presidente del Consiglio ! E, purtroppo, le vittime sono ancora i genitori e gli studenti. Ne sono stato vittima anch'io: ricordo un anno scolastico in cui cambiai tre docenti di statistica. Era il 1995 ed è scontato sottolineare che l'intera classe non ha minimamente beneficiato di questa piaga della scuola italiana.
  Dopo vent'anni non è cambiato nulla. Sono cambiati solo i colori dei Governi, centrodestra e centrosinistra, le loro promesse, i loro annunci e i loro imbrogli. Vi nascondete dietro a un dito e volete parare i colpi, visto il vostro schianto clamoroso con la realtà, dicendo che tutto andrà a regime entro pochi anni. Ma la Ministra, che non c’è, non doveva arrivare a questo. Un Governo competente, che non stava agli ordini di Bruxelles, un Governo «a cinque stelle», avrebbe fatto un piano assunzionale razionale, che avrebbe portato i risultati subito, già dal primo anno.
  Era tutto previsto nelle nostre proposte di legge, che avete bocciato qui in Parlamento: assumere da tutte le categorie di precari, assumere i docenti dell'infanzia, assumere il personale amministrativo, assumere i dirigenti scolastici, internalizzare i servizi di pulizia. Lo avremmo fatto con gli stessi soldi vostri, sulle supplenze che oggi voi dovete continuare a pagare; con gli stessi soldi degli appalti che continuerete a regalare. Ma a voi serviva creare una nuova categoria di esodati, di esclusi.
  È la prova scientifica che voi non volete investire nella scuola. Per questo vi volete liberare delle varie categorie di precari, altrimenti avreste predisposto un piano pluriennale di assorbimento di tutti quelli che hanno già dato tanto alla scuola con anni di supplenza e abilitazione alle spalle.
  La Ministra che non c’è dice che tutti i soldi verranno spesi, quindi reinvestiti nella stessa istruzione. Questa, perlomeno, è la garanzia che non portiamo i soldi fuori dal comparto ed è l'unica notizia positiva che abbiamo. Però, abbiamo una notizia falsa: si è detto che si aumentavano gli investimenti, ma questi investimenti non sono aumentati perché ci sarà un risparmio che andrà al prossimo anno. Quindi, rispetto agli investimenti per quest'anno – vedremo a consuntivo, ma noi lo abbiamo già ampiamente denunciato –, resteranno o le stesse risorse o addirittura avremo un segno negativo rispetto allo scorso anno.
  Il Ministero dell'istruzione, sotto il Governo del Presidente del Consiglio mai scelto da nessuno, sembra essersi trasformato in una grande Las Vegas. Le stabilizzazioni a tempo indeterminato si trasformano in pagherò. Non sappiamo quando partiranno questi stipendi. Lei dice, sottosegretario, che partiranno a novembre. Però, per partire a novembre, dovremmo avere i piani dell'offerta formativa già programmati, scritti da tutte le scuole e da tutti i dirigenti, che indicano quali docenti vogliono. È fantascienza, se consideriamo che oggi, nei primi giorni di scuola, le scuole sono iniziate ad orario ridotto, senza personale, non ci sono i dirigenti, stanno rimandando tante scelte che dovevano essere fatte nei primi collegi dei docenti, come i comitati di valutazione, che le scuole non vogliono perché inseriscono un sistema di competizione sfrenata all'interno delle scuole che non valorizza l'impegno di tutti i lavoratori della scuola.Pag. 15
  E voi adottate anche un modello vecchio. Se analizzassimo le ricerche scientifiche in questo campo, potremmo vedere che i lavoratori cognitivi non si premiano con i soldi, ma con ambienti confortevoli, con stipendi che non provocano preoccupazione rispetto a come arrivare a fine mese. È tutta una serie di accorgimenti di altro tipo che, ormai, la ricerca scientifica dimostra. Siamo preoccupati per i bilanci creativi del sindaco di Firenze, sempre sotto indagine da parte della Corte dei conti, che scriveva «inosservanza dei principi contabili di attendibilità, veridicità e integrità del bilancio».
  Ma la cosa grave è che questo Governo ha fatto scomparire ogni procedura pubblica e chi viene assunto è baciato dalla fortuna, è baciato da Renzi in persona, mica se lo è meritato più di altri per studio, per lavoro, per i sacrifici che ha fatto da vent'anni a questa parte. Queste sono le prime assunzioni della storia della Repubblica effettuate al buio, senza graduatoria pubblica, presentata in precedenza. Ma non vogliamo questa Repubblica delle banane che guida Renzi. Il disegno della scuola avviato da Renzi è talmente privatistico che siamo arrivati alla chiamata con criteri poco trasparenti: un antipasto di quello che potrà fare il dirigente scolastico ogni tre anni con i docenti attraverso la chiamata diretta.
  Ma finché la scuola sarà pubblica non si può fare. Da quando esiste la procedura pubblica di assunzione, nessuno mai, neanche con i Governi Berlusconi, l'ha mai violata. Quindi, scriveremo all'anticorruzione e chiederemo conto ai responsabili dell'anticorruzione del Ministero e di tutti i centri scolastici centrali, regionali e provinciali che non hanno pubblicato queste graduatorie e che non le hanno pubblicate integralmente, indicando anche gli esclusi, quelli che andavano in coda a quelli che sono stati assunti.
  Ma le responsabilità politiche di un Governo buio, che ha dimenticato regole e giustizia, sono tutte del Partito Democratico e del trio Renzi, Giannini e Faraone: il peggio che poteva capitare alla scuola pubblica italiana.

  PRESIDENTE. Onorevole Gallo, siccome lei ha ripetutamente fatto riferimento alla «Ministra che non c’è» – non lo faccio ovviamente per noi, che sappiamo perfettamente come funzionano le cose, ma per chi ascolta da fuori –, ricordo che non solo è prassi e consuetudine che a rispondere alle interpellanze urgenti vi siano i sottosegretari, che, peraltro, ci sono anche per questo, altrimenti non si capirebbe bene la ragione.
  Le vorrei anche dire che la formula che noi adottiamo fa riferimento al fatto che lei sia soddisfatto o meno non certo della presenza del Ministro o di un sottosegretario, ma del contenuto che viene dato – e lei ha chiaramente detto che non è soddisfatto – alle risposte che le vengono fornite. Quindi, per amor di verità, non è assolutamente una novità che non sia presente il Ministro nella fase delle interpellanze urgenti.

(Iniziative a favore degli agricoltori delle regioni Toscana ed Emilia-Romagna danneggiati dagli eccezionali eventi atmosferici verificatisi nei mesi di settembre 2014 e febbraio 2015 – n. 2-01075)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Molea n. 2-01075, concernente iniziative a favore degli agricoltori delle regioni Toscana ed Emilia Romagna danneggiati dagli eccezionali eventi atmosferici verificatisi nei mesi di settembre 2014 e febbraio 2015 (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Molea se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  BRUNO MOLEA. Signor Presidente, signor sottosegretario, l'interpellanza odierna ha per oggetto alcuni eventi meteorologi di grande portata che hanno investito le regioni in particolare della Toscana e dell'Emilia Romagna. Mi riferisco, per quanto riguarda la Toscana, al Pag. 16fenomeno del 19 settembre del 2014, dove in pochi minuti un fenomeno veramente di grande portata dal punto di vista meteorologico – gli esperti lo chiamano «downburst» – ha di fatto con un vortice colpito le province di Firenze, Prato, Pistoia, Lucca e Pisa, recando gravissimi danni alle aree coltivate di quelle zone. Successivamente, il 5 e 6 febbraio 2015, eccezionali piogge alluvionali causate da una straordinaria depressione tirrenica hanno causato delle piene fluviali di grandissima portata sui bacini romagnoli. Questo come conseguenza ha avuto allagamenti diffusi su tutto il reticolo idraulico secondario che ha ovviamente determinato alluvioni consistenti di tutti i campi coltivati e in taluni casi addirittura provocato anche eventi franosi di grande intensità. In conseguenza di tutto questo, la regione ha fatto richiesta al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali per ottenere la declaratoria di «eccezionalità» di questi eventi, declaratoria che chiaramente consente di attivare poi la procedura per le provvidenze in favore degli agricoltori toscani e romagnoli in questo caso colpiti. L'accoglimento di questa richiesta da parte del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali permetterà poi appunto di avere il riconoscimento di tali danni e di conseguenza l'attivazione di quel Fondo nazionale, che è previsto, per la solidarietà e che consente l'integrazione salariale per i lavoratori agricoli e la possibilità anche di accedere al credito agevolato per le imprese colpite da questi eventi. In base al decreto legislativo n. 102 del 2004, lo stesso Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali dovrà decidere quanti fondi e con quale percentuale potrà intervenire in questa direzione. Chiedo pertanto al Ministro quali iniziative ritenga opportuno porre in essere a favore degli agricoltori danneggiati per consentire di uscire da una situazione di crisi generata da questo fenomeno del tutto eccezionale e che non è neanche l'unico fenomeno che sta gravando in maniera particolare sul comparto agricolo del nostro Paese.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, Gabriele Toccafondi, ha facoltà di rispondere.

  GABRIELE TOCCAFONDI, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Signor Presidente, con riguardo all'interpellanza in oggetto, evidenzio che entrambe le regioni hanno presentato formale richiesta di riconoscimento di dichiarazione dell'eccezionalità delle avversità atmosferiche. Al riguardo faccio altresì presente che la proposta della regione Emilia Romagna è stata integralmente accolta con decreto di declaratoria del 15 luglio 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 173 del 28 luglio. Per la Toscana, invece, siamo in attesa di supplementi di informazione da parte della regione necessari al perfezionamento dell'istruttoria. Non appena verranno fornite le informazioni richieste, procederemo, come Ministero delle politiche agricole, alla predisposizione del decreto di declaratoria, con il quale potranno essere attivate le provvidenze del Fondo di solidarietà nazionale di cui al decreto legislativo n. 102.
  Con l'occasione, ricordo che gli interventi previsti dal predetto decreto legislativo, per il sostegno alle imprese agricole colpite da avversità atmosferiche eccezionali, possono essere attivati a condizione che il danno sulla produzione lorda vendibile risulti superiore al 30 per cento ed esclusivamente per le avversità e le colture danneggiate non comprese nel Piano assicurativo annuale per la copertura dei rischi, le cui polizze sono agevolate da un contributo statale fino al 65 per cento per gli eventi atmosferici accaduti nel 2015.
  Infine, con riguardo alle risorse disponibili, preciso che, per i territori colpiti dalle avversità atmosferiche di eccezionale intensità nel corso dell'anno 2014 e fino alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 51 del 2015, oltre alla dotazione annuale del Fondo di solidarietà nazionale, si devono considerare anche le risorse messe a disposizione ai sensi dell'articolo 5 di tale decreto-legge, che, per i richiamati territori, ha previsto eccezionalmente Pag. 17l'estensione della risarcibilità dei danni subiti dalle imprese agricole anche in favore delle imprese che non hanno sottoscritto polizze assicurative agevolate.

  PRESIDENTE. L'onorevole Molea ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  BRUNO MOLEA. Grazie, Presidente. Io ringrazio il sottosegretario per la puntuale risposta; sono però parzialmente soddisfatto perché tuttavia non posso non sottolineare come, pure essendo prevista tutta una serie di procedure che andranno nella direzione di dare aiuti e sostegno alle imprese agricole dei territori colpiti, la tempistica ha una sua importanza, soprattutto in questo caso, quindi riuscire a intervenire con tempestività nei confronti soprattutto della regione Emilia Romagna, che ha già ottenuto la declaratoria di «eccezionalità», è cosa fondamentale. Lo è proprio per consentire a quelle imprese di rimettersi immediatamente nelle condizioni di produrre, quindi di riprendere a pieno la loro attività e di garantire conseguentemente il livello occupazionale attualmente in atto per quelle imprese.
  Comunque, la ringrazio per la risposta.

(Iniziative per assicurare lo sviluppo economico e infrastrutturale della regione Sardegna e per fronteggiare le criticità connesse alla sua condizione insulare – n. 2-01080)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Pili e Pisicchio n. 2-01080, concernente iniziative per assicurare lo sviluppo economico e infrastrutturale della regione Sardegna e per fronteggiare le criticità connesse alla sua condizione insulare (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Pili se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  MAURO PILI. Grazie, Presidente. Non è la prima e non credo sarà l'ultima interpellanza su un tema che ricorre in quest'Aula, cioè quello della vertenza Sardegna. Sono costretto a riproporre, ancora una volta, il tema della vertenza Sardegna, dopo i reiterati annunci propagandistici del Presidente del Consiglio che, giungendo in Sardegna, pur non conoscendo un solo tema della vertenza Sardegna, ha detto: «Entro l'estate, massimo a settembre, tutte le questioni relative alla Sardegna saranno affrontate e risolte». Si tratta di propaganda a buon mercato di chi ha fatto degli spot propagandistici la sua regola di Governo.
  Sono costretto a riproporla in quest'Aula e in questo contesto perché, molto spesso, bisogna ricordare ai Governi – e non mi limito a questo, ma nell'interpellanza richiamo anche quelli precedenti – che nel mezzo del mar Mediterraneo c’è un'isola, la Sardegna, che, per un errore della storia, che spero a breve possa essere risolto, fa parte di uno Stato, lo Stato italiano, uno Stato che si è dimenticato e che si dimentica della Sardegna e che contrasta gli elementari bisogni di una terra e di un popolo, senza dare alcun tipo di risposta compiuta, uno Stato che rimanda.
  Non vi è una sola vertenza della Sardegna che possa essere affrontata e risolta. Non c’è stata in questi anni una sola vertenza che è stata affrontata e portata a soluzione. Un errore della storia, ma anche una maledizione moderna di questi Governi, che pensano di trattare la Sardegna come una colonia, come una provincia di Stato, come un territorio da governare attraverso una prefettura.
  In questa interpellanza, onorevole Presidente, poniamo al Governo alcune questioni che non sono campanilistiche. Io vorrei che il Governo e lo stesso Parlamento non valutassero queste nostre rivendicazioni come rivendicazioni campanilistiche; sono le rivendicazioni di un popolo che chiede giustizia ed equità rispetto a temi che sono straordinariamente decisivi per il suo futuro, per metterlo alla pari di quello degli altri.
  Non si chiedono né favori né vantaggi, ma si chiede di mettere la Sardegna e i Pag. 18sardi alla pari con le altre regioni italiane ed europee, perché questa è un'isola sempre più isolata. È un'isola che ha davvero messo davanti a sé un ostacolo, un muro insormontabile, che ha visto, in questi ultimi due mesi, per esempio, la Sardegna totalmente isolata: non si può andare e non si può uscire, né per i sardi né per coloro che vengono in Sardegna per altre ragioni.
  Un'isola isolata per volontà, per compromissione dei poteri forti che dallo Stato, dai Governi che si sono succeduti, per arrivare alla regione, che è complice di questa situazione, vedono le compagnie aeree e marittime in mano a faccendieri che utilizzano la Sardegna soltanto per fare un bancomat, soltanto per incassare, per fare una slot machine estiva.
  Questo non può essere consentito. In uno Stato di diritto non si potrebbe consentire e non sarebbe consentito, per esempio, alla Tirrenia di diventare compagnia di navigazione unica di collegamento tra la Sardegna e il resto del continente. Ci sono 73 milioni di euro dello Stato dati per non dare servizi, anzi i servizi si tagliano, perché questo è quello che è stato concordato tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la regione Sardegna, insieme alla Tirrenia, ma si tiene il contributo statale di 73 milioni di euro. Davvero una situazione inaccettabile.
  Ma di cosa stiamo parlando ? Di un vantaggio per la Sardegna ? No ! Stiamo parlando di un diritto universale, che è quello di poter essere collegati, di avere la mobilità, che è esso un diritto universale in questo caso violato e vietato per la Sardegna e per i sardi. Un'isola senza trasporti, ed è il primo tema dell'interpellanza.
  Ma qual è l'interesse pubblico di avere in piedi una convenzione, come quella con la Tirrenia, che stanzia, appunto, 73 milioni di euro e non garantisce la continuità territoriale, né estiva né invernale, che non garantisce le tratte elementari, per esempio quelle del sud della Sardegna con il resto del Paese, che taglia servizi e che mantiene tariffe che sono ormai consolidate rispetto a quello che la stessa Autorità garante della concorrenza e del mercato ha affermato essere tariffe illegittime, ingiustificate rispetto al costo del carburante, rispetto al costo del servizio e rispetto al costo del personale ? Cioè, c’è uno Stato che finanzia chi lucra sui trasporti da e per la Sardegna.
  Poi c’è una Sardegna senza energia, senza energia a costo equo che la metta non in condizioni di vantaggio ma che la metta in termini di riequilibrio energetico dei costi rispetto alla media europea. Non si stanno chiedendo tariffe agevolate per le imprese, per le industrie della Sardegna, per l'intero sistema produttivo sardo; si chiede di rimettere in equilibrio il sistema produttivo sardo attraverso l'elemento cardine del fattore, appunto, energetico, decisivo per le produzioni.
  E ci sono tanti speculatori, mandati da Roma, mandati dallo «sblocca Italia» a fare, per esempio, perforazioni nel nord della Sardegna, nei mari del nord al confine con il santuario dei cetacei, mandati dal Ministero dello sviluppo economico perché c’è una norma bislacca secondo la quale si può imporre alla Sardegna di realizzare perforazioni in mare, come se fossimo davvero una colonia.
  Ci sono 450 mila ettari inquinati in Sardegna. È la terra che ha la maggior parte di terreni inquinati d'Italia e non si è avviata una sola bonifica. Da Porto Torres passando per Ottana e arrivando a Macchiareddu, nel Sulcis, non c’è un solo metro quadro di terreno che è stato bonificato. L'ENI sistematicamente, con la complicità dello Stato, continua a creare illusioni, a presentare progetti e poi ad impugnarli al TAR e poi a ripresentarli. È così, ormai, da più di dieci anni si va avanti.
  Poi, ci sono 36 mila ettari occupati da basi militari. L'Unione europea sta indagando su questa situazione, perché sono basi militari che ricadono puntualmente in siti di importanza comunitaria, i cosiddetti SIC, che hanno una valenza sull’habitat naturalistico e noi vediamo invece sistematicamente, da settembre in poi, questi siti bombardati. Si prendono di mira gli Pag. 19isolotti, li si bombarda sino a quando quegli isolotti spariscono dalla faccia della terra, non per esercitazioni militari ma per i giochi di chi vende le armi, di chi specula, di chi fa gli affari, di chi ha dietro l'industria dell'armamento e interessi senza precedenti.
  È una terra senza ferrovie. La Commissione trasporti della Camera ha, all'unanimità, stabilito che per la Sardegna e per la Calabria dovevano essere stanziati 100 milioni di euro, da qui ai prossimi quattro anni, per quanto riguarda le ferrovie. Nella legge di stabilità non si parla minimamente nelle previsioni di questo stanziamento per la Sardegna Se l'indice infrastrutturale ferroviario dell'Italia è 100, la Sardegna ha 15, ovvero è il più basso indice infrastrutturale in Europa. Ebbene, dei faccendieri della regione hanno acquistato treni per 80 milioni di euro, detti «treni veloci», che sono fermi da 415 giorni nella stazione ferroviaria di Cagliari, senza aver fatto un solo metro lineare. Sono i treni più lenti del mondo, costati 80 milioni di euro, perché non ci sono le reti ferroviarie per poterli far funzionare. Senza strade ! Se l'indice infrastrutturale stradale italiano è 100, in Sardegna è 45.
  Vi siete dimenticati di partite rilevantissime come, per esempio, quella della scuola. Avete considerato i docenti sardi, la scuola sarda, alla pari di una normale scuola di Firenze o di un docente di Firenze che prende un treno, un Frecciarossa, e in un'ora si collega a Milano, a Roma, in Umbria, arriva in qualsiasi altra parte d'Italia. In Sardegna, no ! Avete considerato la Sardegna alla pari delle altre regioni italiane sapendo che vi era un gap infrastrutturale fondamentale come quello dei trasporti. C'erano 4 mila docenti che puntavano alla stabilizzazione, che avevano i titoli. Hanno presentato domanda soltanto in 1.747 e di questi 1.747 hanno trovato posto soltanto in 155, quindi un fallimento, anche da quel punto di vista, che avete messo in campo.
  E poi ci sono le vertenze industriali. A me dispiace che non sia venuto qui a rispondere il plurinominato De Vincenti, perché lui ha la continuità politica da Monti, da Letta, da Renzi, ed ha seguito, guarda caso, le vicende industriali più importanti dello sviluppo della Sardegna. Non ne ha conclusa e definita una, è stato il sottosegretario, il Viceministro, del rinvio sistematico, dell'imbroglio, fatto ai danni dei sardi, dei lavoratori e di quelle imprese. Cito per tutti l'Alcoa. Ma come è possibile che ripetutamente in quest'Aula sia venuto un esponente del Governo, che avrebbe come primo obbligo quello dell'onestà intellettuale, di dire le cose come stanno, a dirci reiteratamente che il tema non era quello dell'energia, che non bisognava soltanto risolvere il problema dell'energia, ma che c'erano altri problemi.
  Oggi si scopre che a maggio 2015, dopo che il sottoscritto reiteratamente ha proposto, chiesto, sostenuto, la tesi che bisognava affrontare prima di tutto il tema dell'energia, del costo dell'energia elettrica su quei territori, De Vincenti ha trasmesso, non si sa con quale formula, all'Unione europea una richiesta di procedura di valutazione. È venuto il Commissario europeo nei giorni scorsi, ha incontrato il Ministro dello sviluppo economico e si è detto che i risultati sono per il momento top secret. Certo, perché non è stato definito assolutamente niente. Nei verbali interni, che io ho fortunatamente avuto, c’è scritto sostanzialmente questo: il Ministro Guidi ha chiesto di anticipare la decisione per quanto riguarda gli energivori di tutto il sistema italiano e ha detto, per quanto riguarda l'insularità, l'interrompibilità dell'energia elettrica, che non vi era alcuna urgenza e che poteva essere differita anche quella scelta. Infatti, il Commissario europeo ha detto «parleremo di tutte le vertenze a dicembre». Ma allora di che cosa stiamo parlando ?
  Tre anni, sono passati tre anni dalla chiusura dell'Alcoa, del sistema dell'alluminio primario, con tutto quello che ne consegue. Ebbene, ad oggi, il Governo italiano, con De Vincenti, che ripeto, è la continuità politica tra Monti, Letta e Renzi, perché non c’è differenza tra i tre Governi, ha imbrogliato i sardi, ha imbrogliato quei lavoratori. Non vi è ad Pag. 20oggi nessun provvedimento, mentre per l'Ilva di Taranto emanate l'ottavo decreto, per far ripartire quella situazione. Si dice: ma è una vertenza ambientale. No, non conoscete nemmeno il parallelismo che vi è tra la vertenza Sulcis e quella dell'Ilva di Taranto, perché hanno lo stesso decreto di rischio di area ambientale. Quindi, sostanzialmente, tutti i presupposti che c'erano per Taranto vi erano anche per il Sulcis, vi erano per il riconoscimento, così com’è stato fatto per l'acciaio come materia prima straordinariamente importante per il Paese, anche e soprattutto per l'alluminio. Non lo avete fatto per non disturbare l'ENEL, per non disturbare i vostri amici dell'ENEL, che, chiamati a fare un accordo bilaterale, hanno sempre detto di no.
  E, poi, nei giorni scorsi si è parlato di insularità. L'ha fatto il Ministro Delrio, in maniera molto superficiale, molto fumosa. Ha detto: stiamo discutendo, stiamo valutando. C’è la legge n. 42 del 2009, che dice sostanzialmente, all'articolo 22, che bisogna misurare e compensare il divario insulare. Bisogna, cioè, stanziare per la Sardegna e per le regioni insulari – in questo caso parlo di una regione insulare ultraperiferica, come la Sardegna può essere inquadrata –, misurare il gap e riequilibrarlo. Non deve essere dato alla Sardegna un termine proporzionale, ma deve essere dato il termine del recupero di quel tipo di elemento. Tutto questo non è stato fatto, ma è stato dimenticato quell'elemento del riequilibrio che è coesione del Paese. C’è una violazione costituzionale che deve essere sanata e deve essere sanata in fretta perché in Sardegna come non mai sta crescendo quella voglia di mettere fine a quell'errore della storia, a quella maledizione moderna, per interrompere il rapporto con lo Stato italiano. Non fate aprire questo varco che potrà essere molto più ampio di quello che voi potete immaginare perché non siamo più disposti a tollerare altre negligenze da parte dello Stato.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Gianclaudio Bressa, ha facoltà di rispondere.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Grazie Presidente, come ha ricordato anche l'onorevole Pili, non è la prima volta che affrontiamo in Aula i temi della situazione generale della Sardegna. In più occasioni in quest'Aula sono state già date delle risposte documentando quale sia stata l'attività del Governo relativamente ai molti temi che venivano sollevati con l'interpellanza. In modo particolare, io faccio riferimento alle sedute del 22 maggio di quest'anno e del 17 luglio sempre di quest'anno; sedute in cui molte delle questioni che vengono sollevate quest'oggi hanno trovato risposte molto chiare e se esaustive lo giudicherà il Parlamento. Quello che, però, vorrei fare prima di entrare nel merito rispetto ad un aggiornamento di quelle risposte, è svolgere alcune considerazioni circa le affermazioni molto forti che l'onorevole Pili ha pronunciato oggi in premessa alla sua interpellanza. Credo che il richiamo da lui più volte fatto all'onestà intellettuale debba costringere tutti a un confronto su che cosa sia stata e che cosa sia la storia della regione Sardegna nel panorama nazionale. Ecco, definire una colonia una regione che ha uno Statuto di autonomia speciale della forza di quello della regione Sardegna è un'affermazione puramente propagandistica. Io vorrei ricordare che, unica tra le regioni speciali, la Sardegna ha, all'articolo 13 del proprio Statuto, la previsione di un piano organico che deve essere redatto e attuato dallo Stato e dalla regione per favorire la rinascita economica e sociale dell'isola. Strumento che non è stato utilizzato e non è stato utilizzato per, uso un eufemismo, un'attuazione da parte delle giunte regionali della Sardegna molto avara. Il Governo Renzi, che non fa propaganda a buon mercato, ma cerca di recuperare un gap molto pesante di ritardi sulla Sardegna, è quello che sta cercando lentamente, ma in maniera convinta e determinata, di fare. Vengo ora a quelli che ho definito in premessa aggiornamenti Pag. 21rispetto alle domande che l'interpellanza pone, cominciando dalla vicenda della Tirrenia.
  Con riferimento alla società Tirrenia e in particolare al profilo della concentrazione azionaria, si rinvia a quanto è già stato illustrato nella seduta del 17 luglio, soggiungendo che il Ministero delle infrastrutture e trasporti ha fatto presente che dalla costante attività di vigilanza svolta, ai sensi convenzionali, dai Ministeri competenti, non risultano emergere elementi che integrino gli estremi per l'applicazione, richiesta dagli interpellanti della revoca della convenzione del 18 luglio 2012 per l'esercizio di servizi di collegamento marittimo a regime di pubblico servizio con le isole maggiori e minori, per motivi di pubblico interesse, stipulata con la Compagnia italiana di navigazione, quale società aggiudicataria della gara gestita dall'amministrazione straordinaria Tirrenia per la cessione del compendio aziendale.
  Non risultano, infatti, comprovati elementi atti a giustificare l'applicazione dell'articolo 15 della convenzione, né tali motivi appaiono esplicitati dagli onorevoli interpellanti che in tale quesito considerano tale richiesta di applicazione «anche alla luce del nuovo gravissimo monopolio generato dall'acquisizione dell'intero pacchetto azionario da parte dello stesso socio che detiene la compagnia Moby Lines (...) per manifesta inadempienza rispetto all'interesse pubblico con gravissime limitazioni al servizio di continuità marittima e l'utilizzo di un contributo di 73 milioni di euro che appare sotto ogni punto di vista ingiustificabile e di dubbia legittimità, avviando procedure corrette di evidenza pubblica per la gestione della continuità territoriale marittima da e per la Sardegna».
  Ad avviso del citato Ministero, le mutate condizioni societarie ed il denunciato asserito venir meno sostanziale del principio di concorrenza non costituiscono motivazioni per la rescissione della convenzione ai sensi dell'articolo 15 della stessa, né conseguenzialmente, si ravvisa la sussistenza di presupposti per l'assegnazione del contributo di sovvenzione mediante nuova e diversa procedura di evidenza pubblica.
  Non si registrano, altresì, ad oggi, vertenze pendenti a livello istituzionale né gravissime limitazioni al servizio di continuità marittima indicate dall'interpellante nei servizi di collegamento con la Sardegna.
  Riguardo alla tematica relativa alla continuità territoriale e della tariffa unica, anche in questo caso rinvio alle risposte fornita dal Governo nella seduta del 22 maggio 2015. In tema di continuità territoriale aerea attualmente c’è una competenza «mista» Stato-regione in ordine all'indizione delle gare ed all'individuazione dei capitolati di gara della continuità territoriale aerea (tecnicamente rappresentati dalle condizioni di volo, dalla frequenza, capienza nei diversi periodi dell'anno, remunerazione del servizio). La determinazione dei principi compete al Ministero delle infrastrutture, lo svolgimento effettivo della gare alla regione.
  È stata posta all'attenzione della Commissione una bozza di schema di norma con la quale le funzioni che attualmente fanno capo allo Stato dovrebbero essere assegnate alla regione, ricongiungendosi a quelle già esercitate dalla stessa. Tale mutamento di competenza dovrebbe essere previsto tenendo conto del necessario bilanciamento di valori costituzionalmente rilevanti nell'ambito della materia della continuità territoriale. A tale riguardo la Commissione ha convenuto di approfondire i profili di compatibilità con il diritto dell'Unione europea, unitamente all'impatto finanziario (un maggior onere a carico dello Stato andrebbe quantificato e coperto ed in primis dovrebbero essere chiarite e dettagliate le effettive funzioni attribuite).
  La Commissione ha pertanto invitato i rappresentanti regionali a ridefinire una organica proposta di schema, che prenda spunto da una piattaforma di principi, da sottoporre alle valutazioni politiche oltre che amministrative dei Ministeri interessati, allo stato non ancora elaborata.Pag. 22
  Con riferimento alla questione energetica, ad integrazione degli elementi di risposta forniti dal Governo nella seduta del 22 maggio 2015, si evidenzia che il motivo della sospensione di fatto del progetto Galsi è determinato da una differente politica da parte algerina sulla futura contrattualistica del gas, in quanto i contratti di lungo periodo tipo «Take or Pay», legati ai prezzi del greggio, sono oramai ovunque modificati per adattare le forniture ai nuovi scenari di mercato, con contratti di minore durata ed agganciati ai prezzi spot, ciò che è anche richiesto dalle imprese per ridurre i propri costi energetici.
  A questo si aggiunge che la domanda di gas è diminuita, a livello europeo ed italiano, per lo sviluppo delle fonti rinnovabili, per l'incremento dell'efficienza energetica nonché per la congiuntura economica.
  Pur a fronte della menzionata più recente contrazione dei volumi di gas importati da parte italiana, l'Algeria rimane per l'Italia un paese strategico dal punto di vista degli approvvigionamenti energetici.
  Per quanto riguarda la questione dell'Alcoa e le altre questioni sollevate di Ottana – e come il Presidente del Consiglio aveva indicato – entro il mese di settembre verranno fatti i tavoli per definire compiutamente le questioni e siamo prossimi all'istituzione di questi tavoli, fermo restando che non ripeto tutte le cose che sono già state ricordate nelle due precedenti sedute parlamentari e che rilevano le attività poste in essere dal Ministero per lo sviluppo economico sulle questioni che vengono qui ripetutamente richiamate e che già hanno trovato una precisa, puntuale ricostruzione nelle precedenti risposte.
  Per quanto riguarda la questione infrastrutturale, circa le infrastrutture stradali, come è noto, l'ANAS in Sardegna gestisce una rete che comprende circa 2.900 chilometri di strade. Attualmente sono in corso di esecuzione dieci interventi per un importo complessivo di circa 773 milioni di euro. Tali interventi riguardano principalmente i lavori di adeguamento dell'itinerario Sassari-Olbia (otto interventi per un investimento complessivo di 605 milioni di euro). Sono, inoltre, in corso i lavori di completamento del tratto dal chilometro 32,300 al chilometro 35 della SS 131 Carlo Felice (7 milioni di euro) e i lavori di costruzione del tratto Cagliari-Pula lungo la SS 195 Sulcitana. L'ANAS ha appaltato ulteriori 2 interventi relativi ai lavori di adeguamento dell'itinerario Sassari-Olbia per un investimento pari a 196 milioni di euro circa. Tali interventi sono tuttora in fase di progettazione esecutiva da parte dell'impresa appaltatrice.
  Lungo la SS 125 Orientale Sarda sono stati appaltati due interventi inseriti nell'Accordo programmatico quadro rafforzato 2014 stipulato con la regione Sardegna per un investimento complessivo di 74 milioni di euro: la SS 125 Orientale Sarda, 1o lotto e 4o lotto, secondo stralcio, sempre sulla strada, Orientale Sarda.
  Per quanto riguarda gli interventi in corso di appalto per complessivi 55 milioni di euro, qui, relativamente a tutta una serie di programmi, siccome si tratta di un intervento molto lungo, io darei lettura degli importi complessivi lasciando poi il testo...

  PRESIDENTE. Può lasciare il testo al collega Pili, ma non agli atti della Camera.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Allora lo consegnerò al collega Pili, a meno che il collega Pili non voglia che tali dati restino agli atti, nel qual caso sono pronto a leggerli, cosa che porterà via un po’ di tempo... se il collega Pili accetta...

  PRESIDENTE. Collega Pili, abbiamo il seguente problema, essendo un'interpellanza urgente non si può lasciare agli atti altro di quello che viene pronunciato, però se l'integrazione della documentazione viene data direttamente a lei e lei è disponibile... benissimo, può procedere.

Pag. 23

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Ringrazio il collega Pili e riassumo solo gli importi complessivi: interventi in corso di appalto per complessivi 55 milioni di euro con fondi CIPE; interventi inseriti nello schema di piano pluriennale 2015/2019, undici interventi per un importo complessivo di 967 milioni di euro; ulteriori interventi in corso di progettazione che sono tutti riferibili all'Accordo di programma quadro e qui seguono due pagine di interventi che mi permetto poi di consegnare direttamente all'onorevole Pili.
  Per quanto riguarda il nuovo regime entrate e zone franche, con riferimento alla problematica relativa alla definizione di un nuovo regime di entrate per la regione Sardegna si precisa, come già evidenziato nella citata seduta del 22 maggio 2015, che dopo una serie di incontri tra i rappresentanti della regione e quelli dell'amministrazione finanziaria, in data 24 febbraio 2015 è stato siglato un accordo sottoscritto dal Ministro dell'economia e delle finanze e dal presidente della regione autonoma della Sardegna in materia di compartecipazione della regione ai tributi erariali, con il quale la regione Sardegna si è impegnata a concordare il testo delle norme di attuazione in materia finanziaria da sottoporre alla commissione paritetica di cui all'articolo 56 dello Statuto entro il 30 giugno 2015; nelle more, lo Stato ha riconosciuto alla regione Sardegna, a titolo di compartecipazioni spettanti alla medesima regione per gli anni dal 2010 al 2014, l'ulteriore somma complessiva di 300 milioni di euro da erogare entro il marzo 2015. A seguito dell'emanazione delle relative norme di attuazione, saranno definiti gli esatti importi a credito o a debito da parte della Regione.
  Tale accordo riveste una particolare importanza in quanto, oltre all'erogazione delle somme dovute alla Sardegna a titolo di compartecipazione ai tributi erariali per gli anni dal 2010 al 2014 – conseguente alle disposizioni dell'articolo 1, comma 834, della legge n. 296 del 2006, che attraverso la modifica dell'articolo 8 dello Statuto, ha ridefinito il regime delle entrate regionali assicurando alla Regione Sardegna un maggior gettito a far data dal 2010 – prevede un formale impegno della Regione a concordare il testo delle norme di attuazione in materia finanziaria. Ed invero, la mancanza nelle norme statutarie di criteri analitici per l'esatta quantificazione delle compartecipazioni regionali ad alcuni tributi erariali, richiede necessariamente l'adozione di norme di attuazione che definiscano in maniera chiara le modalità di calcolo delle suddette compartecipazioni, sulle quali in passato si sono registrate difformi posizioni interpretative che non hanno finora consentito l'approvazione delle norme di attuazione statutaria.
  A tale proposito occorre precisare che, dopo numerosi incontri ed approfondimenti portati all'attenzione anche della sotto-commissione tecnico-politica, deputata all'esame della vertenza entrate nell'ambito dei lavori del Tavolo tecnico per l'autonomia finanziaria e lo sviluppo industriale e infrastrutturale della Sardegna, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nella riunione del 15 marzo si era pervenuti ad uno schema di decreto legislativo attuativo dell'articolo 8. Il successivo 11 ottobre 2012, detto schema è stato approvato da parte della commissione paritetica per la Regione Sardegna, ma in assenza del parere che il Consiglio regionale avrebbe dovuto emettere sull'articolato in questione ai sensi dell'articolo 56 non è stato possibile compiere gli ulteriori passaggi istituzionali finalizzati alla sottoposizione del testo al Consiglio dei Ministri per la definitiva approvazione. Pertanto, l'impegno assunto dalla Regione di concordare il testo delle norme di attuazione in materia finanziaria da sottoporre alla rinnovata commissione paritetica di cui all'articolo 56, comporta che si arrivi ad una condivisione definiva delle modalità di calcolo delle compartecipazioni ai tributi erariali, e conseguentemente alla completa attuazione all'articolo 8 dello Statuto.Pag. 24
  In tal modo, viene assicurato alla Regione un flusso di entrate che permette di far fronte alle situazioni di criticità riguardo alle quali, peraltro, l'articolo 1, comma 511 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (la legge di stabilità), ha previsto che, a decorrere dall'anno 2015, le riserve di cui all'articolo 1, comma 508, della legge di stabilità dell'anno precedente, afferenti al territorio della Sardegna, non sono trattenute dallo Stato, ma sono finalizzate nella misura di 50 milioni di euro alle spese in conto capitale della regione e per il restante importo alla riduzione del debito regionale e degli enti locali ricadenti nel territorio della medesima regione, a dimostrazione che anche in mancanza di norme di attuazione l'attenzione da parte dello Stato per quanto concerne la situazione economico-finanziaria della Sardegna è sempre presente.
  Occorre, infine, evidenziare che l'iter di approvazione delle norme di attuazione è stato riavviato con la riunione che si è svolta in data 10 settembre ultimo scorso presso il Ministero dell'economia e delle finanze, cui hanno partecipato i rappresentanti della Regione e quelli dell'Amministrazione finanziaria, per l'esame congiunto dello schema di decreto legislativo attuativo dell'articolo 8 dello Statuto. In relazione alle zone franche, nel rinviare sempre alla seduta del 22 maggio 2015, si fa presente che di recente con il decreto-legge n. 78 del 2015, convertito il 6 agosto scorso, è stata prevista all'articolo 13-bis l'istituzione di una zona franca nel territorio dei comuni della regione Sardegna colpiti dall'alluvione del 18 e 19 novembre 2013 per il quale è stato dichiarato lo stato di emergenza con deliberazione del Consiglio dei Ministri del 19 novembre 2013.
  Quanto poi all'attuazione di una zona franca integrale nel territorio della medesima regione come strumento di riequilibrio di divario industriale, si fa presente che l'articolo 12 dello Statuto della Regione Sardegna, dopo aver affermato che il regime doganale della Regione rimane di esclusiva competenza dello Stato, prevede che possano essere istituiti «punti franchi» nella medesima Regione. A detta norma si è data attuazione con il decreto legislativo 10 marzo 1998, n. 75, che ha istituito «zone franche» nei porti di Cagliari, Olbia, Oristano, Porto Torres, Portovesme, Arbatax ed in altri porti e aree industriali ad essi collegati o collegabili.
  L'articolo 1, comma 2, del citato decreto legislativo n. 75 del 1998 stabilisce anche che la delimitazione territoriale delle predette zone franche e la determinazione di ogni altra disposizione necessaria per la loro operatività sia effettuata, su proposta della Regione Sardegna, con separati decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, in virtù della riserva allo Stato della competenza in materia di regime doganale, sancita dal menzionato articolo 12 dello Statuto speciale.
  Successivamente, con il DPCM del 7 giugno 2001, sono state dettate le disposizioni per la delimitazione territoriale e per l'operatività della sola zona franca di Cagliari. Non sono, però, seguiti atti finalizzati all'effettivo funzionamento di tale zona franca, né sono stati adottati altri decreti per la delimitazione di ulteriori zone franche nel territorio regionale.
  Premesso quanto sopra, preme sottolineare che l'intera materia doganale è attualmente di esclusiva competenza dell'Unione europea e che l'individuazione del territorio doganale della Comunità è stabilita dal diritto comunitario. In particolare, si evidenzia che l'articolo 3 del Codice doganale comunitario definisce tale territorio come l'insieme dei territori geografici dei singoli Stati membri, fatta eccezione di specifiche e limitate parti di essi. Per quanto attiene al territorio della Repubblica italiana, il citato articolo 3 prevede che lo stesso sia interamente incluso nel territorio doganale comunitario, fatta eccezione per il territorio dei comuni di Livigno e di Campione d'Italia e delle acque nazionali del lago di Lugano racchiuse fra la sponda ed il confine politico della zona situata fra Ponte Tresa e Porto Ceresio.
  Le disposizioni in materia di zone franche stabilite nel predetto statuto della regione Sardegna devono, quindi, essere lette alla luce dell'intervenuto mutamento Pag. 25del quadro normativo comunitario in materia di territorio doganale e zone franche. A tal proposito, è opportuno evidenziare che tale normativa comunitaria prevederebbe la possibilità per gli Stati membri di istituire zone franche interne al territorio doganale comunitario, ma intende queste ultime come luoghi di magazzinaggio e di trasformazione e non come aree dove possano essere previste particolari esenzioni di natura doganale. Infatti, l'introduzione di una merce in una zona franca, dal punto di vista fiscale, non attribuisce alcuna esenzione dai tributi né uno specifico vantaggio fiscale, ma ha, come unica conseguenza, la sospensione delle imposte gravanti in attesa di una destinazione doganale definitiva, al pari di quanto accade introducendo merci in un deposito doganale o vincolando le stesse ad un regime sospensivo di altro tipo. In tal senso, non è consentito il consumo delle merci introdotte nella zona franca senza il pagamento delle relative imposte.
  Appare evidente che l'istituto doganale in discussione, così come definito nella normativa comunitaria, sia finalizzato ad individuare aree ben definite e delimitate, di modesta estensione territoriale, all'interno delle quali è consentito sottoporre le merci in ingresso alle citate operazioni di magazzinaggio, trasformazione e ad altre lavorazioni autorizzate, in cui deve risultare peraltro agevole l'espletamento della prevista attività di vigilanza doganale. Qualora, invece, si intendesse istituire zone franche all'esterno del territorio doganale comunitario (circostanza che attribuirebbe effettivamente privilegi tributari in relazione al pagamento dei diritti doganali), ciò necessiterebbe della modifica dell'estensione del territorio doganale comunitario, che può essere attuata esclusivamente attraverso la modifica del suddetto Codice doganale, da attuare mediante uno strumento normativo di pari rango. In merito ad un'eventuale richiesta dello Stato italiano alle istituzioni comunitarie di modifica del suddetto territorio doganale, si evidenzia che la questione deve essere evidentemente valutata in sede politica e nel complesso delle relazioni fra lo Stato italiano e l'Unione europea.
  Per quanto riguarda le questioni poste in materia di ambiente, riguardo alla questione dell'esiguità e assenza di proporzionalità delle risorse stanziate per il rischio idrogeologico, ossia 16 milioni di euro a fronte degli 81 milioni richiesti per Olbia e Cagliari, il Ministero dell'ambiente ha comunicato che, insieme alla struttura di missione contro il rischio idrogeologico, ha condotto la selezione degli interventi finanziabili secondo le procedure, i criteri e le modalità definite dal DPCM del 28 maggio 2015, quest'ultimo condiviso con le regioni e le province autonome in sede di Conferenza unificata. In seguito a tale selezione, tra gli interventi proposti dalla regione autonoma della Sardegna è risultato idoneo all'immediato finanziamento e pertanto inserito nella parte attuativa del Piano, l'intervento dal titolo «Opere di mitigazione del rischio idraulico nel territorio comunale di Olbia. Vasche. Lotto 1», per un valore complessivo di 16.300.000 euro. Gli ulteriori interventi proposti dalla regione per i comuni di Olbia e Cagliari, valutati in base ai criteri del suddetto DPCM, non sono rientrati tra quelli immediatamente finanziabili e sono pertanto stati inseriti nella sezione programmatica del Piano.
  Ultima questione quella relativa al patrimonio militare. In merito alle questioni relative a predisporre iniziative concrete tese all'attuazione dell'articolo 14 dello statuto speciale della Sardegna, con l'immediata dismissione del patrimonio militare relativo a immobili ubicati in aree strategiche per lo sviluppo delle comunità locali, a partire dalla città di Cagliari, e occupate da servitù militari inutilizzate o sottoutilizzate e a far cessare, per quanto di competenza, la distruzione ambientale e naturalistica nelle aree militari della Sardegna (oggetto di procedura di infrazione) e di dover predisporre un piano di riconversione delle aree oggetto di servitù militari di cui la Sardegna continua ad essere gravata garantendo la piena occupazione sia in termini di sicurezza che protezione Pag. 26civile, il Ministero della Difesa ha comunicato che, in data 8 gennaio 2015, è stato aperto un tavolo di confronto istituzionale, in cui si è concordato lo sviluppo di specifiche attività mirate a definire i lavori e le percentuali della effettiva realtà militare in Sardegna, in rapporto anche al dato nazionale, attraverso l'individuazione di misure di riequilibrio e di armonizzazione in termini di riduzione quantitativa e qualitativa dell'incidenza delle attività militari. Esigenze di armonizzazione e mitigazione sono riconducibili alla riduzione dell'estensione dei poligoni del demanio militare e delle aree soggette a servitù militari e connesse occupazioni temporanee, alla tutela ambientale e della salute nei poligoni, alla riconversione delle attività svolte nei poligoni, all'impatto della presenza militare sulle prospettive di sviluppo dei territori, al riavvio dei processi di dismissione dei beni militari in applicazione dell'articolo 14 dello statuto sardo. Il tavolo, tra l'altro, costituisce occasione per garantire trasparenza e informazione alle popolazioni, a partire dai dati sullo stato dei luoghi e sulla salute, ma anche da una approfondita analisi degli eventuali costi da mancati sviluppi alternativi dei territori, condotta secondo standard internazionali.

  PRESIDENTE. L'onorevole Pili ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  MAURO PILI. Signor Presidente, non posso ovviamente dichiararmi soddisfatto, e prendo atto ancora una volta di un Governo che sfugge alle questioni sostanziali, e anzi il sottosegretario arditamente ha detto che il Governo documenta le risposte. Non c’è un solo documento, non c’è un solo atto che chiuda, che definisca una questione posta: un atto, un decreto ! Un qualsiasi atto amministrativo che il Governo o qualche Ministro poteva mettere in campo sulle questioni poste.
  Altrettanto arditamente il sottosegretario ripropone il tema della colonia. La visione che avete, e che ha messo in campo lo Stato in questi anni della Sardegna è quella di una colonia, e a niente serve un richiamo destituito di ogni fondamento rispetto all'autonomia speciale della Sardegna. Perché poi se guardiamo la partita ultima della zona franca, un tema contenuto nello Statuto autonomo speciale della Sardegna viene derubricato a una modifica da trattare con l'Unione europea: quindi cancellando di fatto quella prerogativa che diceva...
  Sulla fiscalità avete l'esempio, che è classico, del concetto che questo Governo ha della Sardegna: è la risposta del sottosegretario per quanto riguarda le zone franche. Ha detto: abbiamo inserito le zone alluvionate in regime di zona franca. Stiamo parlando di una questione di serie A cioè la zona franca integrale della Sardegna, e voi la derubricate a porzioni di territorio colpite dalle alluvioni ! Vuol dire che lo Statuto autonomo della Sardegna per voi è carta straccia, ed è dimostrato con questo esempio che lei, sottosegretario, ha fatto.
  Ha richiamato il Titolo III dello Statuto: l'articolo 13, che parla del piano straordinario, quella previsione che lo Statuto e i costituenti avevano fatto per dire, la Sardegna, bisogna recuperare quel gap. Guarda caso l'unica proposta di piano di rinascita nel 2003 è partita dalla regione autonoma della Sardegna e dal sottoscritto in qualità di presidente, predisposta quella proposta di piano di rinascita e riproposta in quest'Aula come proposta di legge con il PARIS, Piano attuativo per il riequilibrio dell'insularità della Sardegna, che ripropone quell'articolo 13, quell'attuazione; ma stranamente tutti i Governi che si sono succeduti in questi ultimi dieci anni lo hanno ignorato. Altro che scaricare sulla regione: c’è il testo che è nella disponibilità dello Stato, della proposta del piano di rinascita ! Ebbene, lo avete ignorato, lo hanno generato e continuate ad ignorarlo.
  Ha detto il sottosegretario, l'unica cosa che ha detto: si va avanti lentamente. Certo, molto lentamente si va avanti con molte complicità: per esempio quella sulla Tirrenia. Dice il Ministero: non risultano elementi per far venir meno la convenzione, Pag. 27e in particolar modo non vi è nemmeno l'interesse pubblico a far venir meno quella convenzione.
  Se i biglietti per arrivare in Sardegna sono quelli più alti che ci sono nel Mediterraneo; se la Sardegna è stata isolata, perché basta vedere tutti i dati, tutti gli elementi ripetutamente (nel sud della Sardegna sono state cancellate le rotte di connessione con Cagliari, la città capoluogo della Sardegna, rispetto alle altre rotte italiane; è stato cancellato il collegamento con l'Ogliastra, ossia la cancellazione della rotta su Arbatax, per limitare ulteriormente il servizio); se vi è soprattutto una violazione fondamentale di quell'azione di trasparenza che doveva essere messa in campo rispetto anche alla Commissione europea, quei 73 milioni di euro a cosa servono ? Servono per coprire delle differenze tra il costo reale del servizio e il disavanzo economico ? No, servono per dare un regalo a Tirrenia, Onorato e compagni, così come fu stabilito, in maniera bipartisan, dal centrosinistra e dal centrodestra nel 2012.
  Cosa c'entra la competenza regionale sulla continuità aerea ? Stiamo parlando di un diritto universale, che è quello di garantire la Sardegna. Per due mesi è stato interrotto il servizio pubblico e lo Stato ne ha la competenza primaria, in quanto deve essere un dovere dello Stato quello della salvaguardia del diritto alla mobilità.
  Nessuno ha fatto niente. Basterebbe citare i soldi che Alitalia ha regalato alle varie fondazioni, a partire da quelle del PD, di Vedrò, per esempio, con il simbolo che già nel 2012 campeggiava nelle manifestazioni dell'ex Presidente del Consiglio e di quanti altri. C’è, dunque, una compromissione alla radice della politica rispetto al tema dei trasporti !
  Emblematica la risposta sul gas: nemmeno la possibilità di aggiornarsi al ritorno del Ministro Guidi, perché il Presidente del Consiglio algerino, due giorni fa, ha detto al Ministro Guidi: intendiamo portare avanti il progetto del gas; non vogliamo che quel progetto possa essere scavalcato da quello che passa, invece, dalla Spagna e che la centralità dell'Italia possa essere garantita anche rispetto alle problematiche internazionali, per esempio, con la Russia per avere un'ulteriore fonte di approvvigionamento. Dice il sottosegretario: abbiamo ridimensionato i consumi. Ma come ? Ma l'ENI non ha trovato un giacimento importante sulle coste egiziane e c’è stato un battage ? Forse quello non rientra nel dimensionamento del calcolo che avete fatto ? Stranamente risulta per quel Galsi. Ma perché volete tagliare il Galsi, che pure Prodi aveva avallato, dopo che il sottoscritto lo aveva proposto e firmato nel 2003 ? Perché volete fare i rigassificatori in Sardegna, perché ci sono le cooperative rosse che sono pronte a realizzare in Sardegna tre rigassificatori, che saranno devastanti per la costa, per tenere ancora sotto scacco la Sardegna e non consentire quell'opera, che consentirebbe, invece, di raggiungere l'obiettivo di connettere le reti transeuropee energetiche alle regioni insulari.
  Che dire della risposta sull'Alcoa ? Il Presidente del Consiglio – dice il sottosegretario – si è impegnato ad aprire dei tavoli a settembre. Tavoli, ancora ? Sembrate l'Ikea ! Sembrate un Governo che fa tavoli. Se contassi quante volte lei ha citato la parola «tavoli», forse l'Ikea sarebbe un piccolo negozietto di tavoli a confronto, perché voi sostanzialmente state puntando a prendere ancora tempo su un tema, quello dell'Alcoa, che è aperto da tre anni ! Da tre anni quello stabilimento è chiuso e per tre anni è stato detto: apriamo tavoli tecnici, politici, industriali, di ogni genere ! Tavoli e tavoli, fino ad arrivare a denunciare i lavoratori e a metterli sotto accusa per una manifestazione fatta a Roma, anche quello atto ignobile di questo o del precedente Governo.
  E, poi, si arriva alla risposta sulle strade. Dice il sottosegretario: abbiamo stanziato 700 milioni per la Sassari-Olbia. Falso ! Sono soldi della Sardegna, sono il riparto dei fondi CIPE, che riguardano le regioni del Mezzogiorno e rientravano tra i fondi FAS. Quando c’è stata la negoziazione nel 2006 disse lo Stato, allora con un Governo di centrodestra: non abbiamo i Pag. 28soldi, li prendete dai fondi CIPE. Non dite che sono fondi dello Stato: sono fondi di un riparto che è oggettivo, misurato e parametrato, che riguarda la Sardegna.
  E poi, sulla SS 131, la più importante arteria viaria della Sardegna, si sta realizzando un intervento – perché poi le cifre si dicono così, ma bisogna leggerle attentamente – dal chilometro 32,300 al chilometro 35,000.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Questi sono quelli appaltati.

  MAURO PILI. Sono quelli in fase di realizzazione... L'unico intervento che si sta facendo sulla SS 131 è quello tra il chilometro 32,300 e il chilometro 35,000. Allora è evidente che stiamo parlando di 3 chilometri. Lo Stato sta realizzando 3 chilometri di strada e per quell'intervento sono in corso cantieri da dieci anni ! Quei 3 chilometri sono stati appaltati dieci anni fa ! E lo Stato e l'ANAS non sono riusciti a fare, in dieci anni, 3 chilometri di arteria viaria della Sardegna !
  Poi si cita la SS 195; non citatela !
  Dica al Ministro di stare più attento, di non citarla, perché quella è una strada appaltata da quattro anni ed ha, in base ai dati pubblicati nel sito dell'Anas, il 5 per cento di realizzazione, cioè in quattro anni è stato realizzato il 5 per cento dei lavori. Poi dice che i 55 milioni di euro sono manutenzioni – molto meno di quello che spettava alla Sardegna – e dice: alla fine abbiamo stanziato 967 milioni di euro. Falso, perché i dati sono, appunto, quelli che vanno edulcorati dal precedente passaggio.
  Per le entrate, chiudo il capitolo: è un imbroglio l'accordo fatto nel 2006 da Prodi con Soru, che ha scaraventato sulla Sardegna la continuità territoriale, i trasporti e la sanità...

  PRESIDENTE. Concluda.

  MAURO PILI. ...e c’è stato un taglio netto su questo.
  Sulle basi militari non vado oltre, perché ha detto il sottosegretario che è stato aperto un tavolo a gennaio 2015.
  Stiamo parlando di questioni serie, sostanziali, che riguardano la vita di un popolo e di una comunità ed anche il rapporto tra lo Stato e quella che è stata definita regione speciale autonoma. Bene, voi, con questo atteggiamento state frantumando quel minimo residuo di collegamento tra lo Stato italiano e la regione Sardegna. Con questo atteggiamento, che vuole tavoli ovunque e che non affronta e non risolve, voi state portando la Sardegna verso la strada inequivocabile dell'indipendenza.

(Iniziative in ambito europeo e internazionale, per l'apertura di canali umanitari in relazione all'emergenza connessa ai flussi migratori e misure per contrastare il traffico di esseri umani – n. 2-01081)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Cuperlo ed altri n. 2-01081, concernente iniziative in ambito europeo e internazionale, per l'apertura di canali umanitari in relazione all'emergenza connessa ai flussi migratori e misure per contrastare il traffico di esseri umani (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Cuperlo se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  GIOVANNI CUPERLO. Grazie, Presidente. Signor sottosegretario, io – come tutti noi che siamo in quest'Aula, credo – non so dire se un'immagine sia davvero in grado di deviare il corso della storia, però so che alcune settimane fa – molto se ne è parlato – l'immagine di una creatura di tre anni adagiata su una spiaggia della Turchia ha scosso la coscienza di milioni di persone in ogni parte del mondo, a conferma che una forza delle immagini esiste, come esiste – io credo – una potenza delle parole; ad esempio, quelle di Kinan, siriano anche lui, ma che di anni ne ha già compiuti tredici, e che davanti ad una telecamera Pag. 29ha detto semplicemente così: se voi – e quel «voi» era rivolto a noi – fate cessare la guerra, noi torniamo a casa nostra.
  Dieci parole capaci, per un istante, di disarmare buona parte della retorica sull'invasione dei profughi, perché poi la verità che abbiamo davanti è questa: chi imbocca la via di un viaggio senza certezze, chi espone se stesso e la propria famiglia ad un'avventura carica di rischi, ricatti e violenze, non lo fa per una libera scelta, lo fa per la ragione esattamente opposta: perché ogni altra scelta gli è stata preclusa, e perché dietro di sé non ha il ritorno ad una casa e ad una vita normale; alle sue spalle ci sono guerre, stragi, persecuzioni. Qualcuno li definisce, spesso, sui giornali, «disperati»: il termine rischia, però, di rovesciare la realtà, perché non è la disperazione, ma la speranza, che muove milioni di persone verso l'incognito.
  Ora, io non credo che in una sede come questa – per quanto poco frequentata stamane – serva rammentare i numeri, la dimensione di questa tragedia assurda e collettiva. Solamente quest'anno 430 mila migranti hanno sfidato il Mediterraneo e lo hanno fatto in condizioni quasi sempre disumane. Il nostro Paese, grazie alla generosità e professionalità della nostra Marina e di una rete di associazioni e volontari, ha messo in sicurezza decine di migliaia di donne, uomini, bambini: è un risultato di cui andare orgogliosi, anche dentro quest'Aula. Molti, moltissimi, noi ne abbiamo salvati, e in questo l'azione del Governo è apparsa coerente e tempestiva, e lo diciamo – lo ripeto – con una punta di orgoglio, ma sappiamo anche che non abbiamo potuto salvarli tutti e che, da gennaio ad oggi, quasi 3 mila donne, uomini, bambini, non hanno toccato la sponda della Grecia, della Turchia, o quella delle nostre coste.
  Un numero impressionante di corpi che non avrà mai una sepoltura. In questa cornice si è inserita la vicenda della Siria. La Siria è un grande Paese piegato da una guerra che ha già causato forse 250 mila vittime, è una nazione smembrata, dove il regime di Assad controlla ormai una quota parziale del territorio mentre Daesh prosegue la sua opera di distruzione, di terrore. Parliamo di un Paese che conta almeno sette milioni di sfollati, un milione in più solamente nell'anno in corso. Dodici milioni di persone soffrono uno stato di bisogno e quasi otto su dieci vivono in una condizione di povertà. L'esito è il fenomeno che ci investe con la sua piega morale: la fuga con ogni mezzo e in ogni modo di centinaia di migliaia di esseri umani.
  A fuggire oggi è la classe media, sono medici, ingegneri, artigiani, commercianti; dopo cinque anni di guerra cercano la salvezza da un regime che conoscono molto bene e da un califfato che sperano di non conoscere mai. Così la Siria, che però non è la sola base di una partenza di massa e naturalmente l'Occidente non può fingere di non sapere, né può stupirsi di cifre che improvvisamente fanno paura, ma la verità è che a vivere in un Paese diverso da quello dove sono nati erano 154 milioni di persone nel 1990, oggi i milioni sono divenuti 230, il 3 per cento della popolazione mondiale. Cresce anche il numero di chi è costretto a fuggire in cerca di salvezza, i profughi erano 60 milioni nel 2014, l'anno passato. Sarebbe stato all'epoca, dicono gli statistici, i demografi, la ventiquattresima nazione del mondo, con una crescita di 8 milioni rispetto all'anno precedente. Un aumento mai registrato prima, credo almeno nell'epoca moderna, e a scatenare l'incremento sono stati i conflitti in Siria, in Ucraina, nel Nord-Africa, cifre impressionanti a cui vanno sommati 10 milioni di apolidi. Ancora, la massa più grande dei rifugiati – lo si ricorda troppe poche volte, mi pare di poter dire – viene accolta da Paesi in via di sviluppo e tra questi i meno sviluppati, cioè Paesi poverissimi, ne accolgono il 25 per cento, un quarto del totale. La prima nazione di raccolta delle persone che fuggono da una guerra oggi è la Turchia, con un milione e seicentomila presenze, poi seguono il Pakistan, il Libano – il Libano è un Paese con cinque milioni di abitanti, un milione sono i profughi – l'Iran, l'Etiopia, la Giordania. Naturalmente questa Pag. 30esplosione di popolazioni in fuga ha delle ragioni geopolitiche, pesa la decomposizione degli Stati post-coloniali, tra il Medio Oriente, l'Africa, l'Europa sud-orientale. Sono solo dei cenni, signor sottosegretario, ma forse aiutano a capire le radici e le cause dei flussi migratori che si indirizzano oggi verso l'Europa e la conseguenza è che in poco più di un secolo questo nostro continente meraviglioso da soggetto che colonizzava è divenuto obiettivo privilegiato di centinaia di migliaia di ex colonizzati. Però noi sappiamo che quel viaggio della speranza verso l'Europa della pace e della sicurezza può durare anni e costare molto, ed è esattamente lì, in quello spazio e in quel lasso di tempo, che si alimenta un affare di miliardi. Qualcosa – lo ha descritto bene Lucio Caracciolo, il direttore di Limes – che congiunge economie informali e organizzazioni criminali potenti. Se posso dirla così, in tutto questo vi è anche la conferma che la globalizzazione non è un menu à la carte, per cui bene la libera circolazione delle merci, dei titoli, ma no a quella delle persone, degli esseri umani. Semplicemente il mondo non funziona così e ha fatto bene il Presidente del Consiglio a ripetere per mesi che questo non era un problema solamente dell'Italia, non lo è neppure solo dell'Europa. Questo oggi è forse il più drammatico e urgente dei problemi globali e se una ragione profonda vive nelle parole di Kinan, quel bimbo di tredici anni, questa tragedia la politica la deve affrontare anche con gli strumenti della politica appunto e della diplomazia, il che porta a dire che dopo l'accordo sul nucleare iraniano oggi la sfida è cercare un compromesso politico che riguardi tanto il teatro libico che quello siriano.
  Ma allora – e chiudo, venendo al merito dell'interpellanza, che quasi settanta colleghe e colleghi di gruppi diversi hanno rivolto oggi al Governo – finché quella fase di pacificazione non intervenga, e fintanto che altre donne e uomini non avranno altra via che quella di una fuga senza certezze e protezioni, come può la politica, come possono i Governi sovrani, come può l'Europa nel suo insieme non costruire le condizioni per evitare che altre creature, come Aylan, che altre donne e altri uomini trovino la morte, magari a poche miglia e a volte a poche bracciate dalla salvezza, la loro salvezza, ma in fondo anche la nostra salvezza ? Su questo, noi oggi interpelliamo il Governo, su un interrogativo che la civiltà dell'Europa non può aggirare, pena il venir meno della sua stessa ragion d'essere.
  La domanda è questa: chi oggi scappa da una guerra e da una morte possibile o probabile, come può arrivare legalmente – e ribadisco: legalmente – dall'altra parte del mare e chiedere asilo, se ne ha i requisiti e il diritto, all'Europa dei diritti e delle libertà ? L'ho accennato all'inizio: nelle posizioni più recenti di figure autorevoli come la Cancelliera Merkel o lo stesso Presidente Juncker ci sono i segnali di una nuova consapevolezza, con un'Europa finalmente più solidale e responsabile, ma nessuno ancora è in grado di garantire che altre vite non vengano stroncate in quegli infiniti viaggi della vergogna. E allora ? Allora, tra i compiti dell'Europa dovrebbe esserci l'impegno concreto a sottrarre chi fugge dal ricatto dei trafficanti di corpi. È giusto discutere di quote, di programmi di accoglienza e, quando serva, di rimpatrio, ma noi oggi interroghiamo il Governo su un punto di merito e cioè gli chiediamo se non ritenga che la priorità, non più rinviabile, sia rappresentata adesso dalla necessità di aprire immediatamente dei canali umanitari, dei corridoi sicuri in grado di evitare, nel senso di prevenire, la strage di altre creature innocenti.
  Ritiene il Governo che l'Italia si possa e si debba attivare presso l'Unione europea, l'UNHCR, le Nazioni Unite e altri organismi e associazioni internazionali per favorire visti umanitari rivolti a chi fugge da un conflitto – anche provvisori, se necessario – e per attivare dei presidi nei Paesi di partenza, ovunque ciò sia possibile, ragionevolmente e concretamente possibile – dalla Turchia, al Libano, alla Tunisia –, così da procedere, in un contesto protetto, a una selezione dei migranti in possesso del requisito di rifugiato, persone Pag. 31alle quali garantire la certezza di non essere respinti dai Paesi di transito o di destinazione ? In un contesto del genere, sarebbe possibile individuare anche dei criteri umanitari, partendo dalla messa in sicurezza di donne e bambini, così da evitare, una volta e per sempre, che altri neonati debbano più salire su una di quelle imbarcazioni della vergogna. Chiediamo al Governo se non consideri questo un impegno meritevole di un accordo, della verifica urgente di un accordo in sede comunitaria e di energie e risorse da investire in una fase iniziale di sperimentazione di un nuovo modo di concepire l'accoglienza e l'assistenza verso persone oggi abbandonate a un destino incerto e che, nella migliore delle ipotesi, la nostra umanità prova a soccorrere in condizioni difficilissime quando, troppo spesso, le tragedie si sono già consumate.
  Io mi permetto, signor sottosegretario, di aggiungere una sola nota, ed è questa: ancora una volta, com’è accaduto in altri momenti della storia, dal modo in cui un Paese o una comunità di Nazioni sceglie di proteggere e accogliere i migranti, derivano i tratti del livello di civiltà di quel singolo Paese o di quella comunità di Nazioni. Non è solo una questione legata al destino economico, anche se pochi giorni fa l'agenzia Bloomberg ha illustrato i contenuti di uno studio che certifica come solamente per mantenere in equilibrio la nostra bilancia previdenziale e i nostri sistemi previdenziali il nostro continente avrà bisogno, da oggi al 2020, di 42 milioni di nuovi cittadini europei. Tutto questo è vero, ma non esaurisce il tema del nostro grado di civiltà, civiltà che è stata messa a dura prova da quell'immagine, citata da molti, dalla quale anch'io mi sono permesso di partire stamane.
  E allora, se mi è permesso, io vorrei concludere ricordando, a lei e a tutti noi, un episodio che è molto lontano nel tempo, nel tempo, però, e non nella cultura che lo ha sorretto allora e che ce lo restituisce oggi. Mi fa piacere citarlo anche perché tra i pochi presenti in quest'Aula alle mie spalle siede il presidente Speranza.
  All'inizio del Novecento, oltre un secolo fa, Giustino Fortunato, una delle figure più limpide del nostro meridionalismo, scriveva, dalla sua Basilicata, queste parole: «Nel solo mio comune di Rionero ogni anno si riversa poco meno di mezzo milione di lire da duemila suoi figli, in parte residenti in Argentina e a New York, ai quali dobbiamo ammirazione e riconoscenza». Non erano, dunque, profughi quelli di cui parlava Fortunato, ma «emigranti economici», come li chiameremmo noi oggi. E così proseguiva: «Il mutamento così rapido delle nostre condizioni economiche sarebbe inesplicabile se prescindesse da un fatto veramente grandioso, di cui ha ragione e va superbo il popolo d'Italia: parlo dell'emigrazione, elemento incalcolabile di civiltà e di benessere per il nostro Paese. Essa ha diminuito il numero degli omicidi, ha reso meno frequente l'abigeato, ha ridestato negli strati sociali medio-bassi il desiderio dell'alfabeto,» – che bella espressione: il desiderio dell'alfabeto – «ha annullato l'usura e ha permesso, a un gran numero di povera gente, di non crepare di fame e il pagamento delle imposte è possibile solo per opera degli emigrati».
  Però, è sulla conclusione, signor sottosegretario, che io richiamo la sua attenzione, perché forse è sulla conclusione, scritta più di un secolo fa, che merita riflettere, quando Giustino Fortunato dice che: «Anziché sognare imperi e colonie in Africa, pensiamo a proteggere e a difendere, sia alla partenza, sia nel viaggio e all'arrivo, le migliaia di nostri fratelli, i quali, non più rassegnati alla fame, volontariamente solcano il mare infido». Proteggere e difendere, alla partenza, nel viaggio e all'arrivo, contro un mare infido ! Era oltre un secolo fa – e ho concluso, Presidente – ma allora, come oggi, era la manifestazione elevata di un'umanità profonda, incoercibile, che mai avrebbe potuto divorziare da una coscienza civile.
  Forse, come succede spesso, anche la storia migliore può aiutarci ad illuminare la strada. Noi oggi con questa interpellanza, Pag. 32che rivolgiamo, tramite lei, al Governo del nostro Paese e all'Europa, vogliamo pensarlo e vogliamo crederlo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Gianclaudio Bressa, ha facoltà di rispondere.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Grazie, Presidente. È del tutto evidente che, al di là di quella che sarà la risposta sul piano delle iniziative e degli impegni, a livello diplomatico e di politica estera del Governo italiano, sul tema dell'immigrazione, l'impegno politico per un accordo in sede comunitaria e per la possibilità di attuare in Italia da subito, anche in forma sperimentale, quanto richiesto dagli interpellanti, la risposta non può che essere favorevole e positiva. Io credo che, in maniera molto puntuale, l'onorevole Cuperlo abbia, nella sua illustrazione, posto le questioni politicamente e, direi, culturalmente decisive sul perché la risposta non possa che essere positiva.
  Quando lui fa riferimento a un dato fondamentale, che invece rischiamo di vedere smarrito e che per molti mesi non è stato preso in considerazione dalla comunità internazionale per la gravità che esso rappresentava e, cioè, che non è la disperazione ma è la speranza quella che muove milioni di persone (60 milioni di profughi nel 2014), ciò ci pone, però, anche l'interrogativo sul fatto che, anche se è la speranza a muoverti, questi processi di migrazione, così vasti, tutto possono apparire meno che un'occasione che non può essere valutata per la gravità che questo fenomeno rappresenta, che non è un fenomeno che riguarda l'Italia e l'Europa ma è un fenomeno che riguarda l'intera comunità internazionale.
  A seguito di un dramma che colpì gli italiani immigrati in Svizzera cinquant'anni fa, la tragedia di Mattmark, Dino Buzzati, in un suo editoriale sul Corriere della Sera che intitolò «L'amara favola» dell'emigrazione, poneva tutte le questioni culturali alla base di quella che è la richiesta degli interpellanti. La speranza non può diventare tragedia e la misura di una cultura giuridica si definisce con la capacità che hai di annullare la paura del diverso, la paura dell'altro come la definiva Sartre e come Sartre considerava questa essere la misura della civiltà giuridica di un popolo e di una nazione. Credo che, da questo punto di vista, il Governo non debba sentirsi impegnato, ma debba essere determinato perché questo sia non un impegno politico astratto, ma una battaglia politica continua, perché questo tipo di cultura, il riconoscimento di questi che sono i fondamenti della cultura europea, questi sì i veri fondamenti della cultura europea, possano trovare ancora oggi concretezza e immediata applicazione.
  È di tutti la consapevolezza della tragedia che ogni giorno si consuma di fronte ai nostri occhi. Le migliaia di migranti che scappano dalla guerra e che intraprendono un cammino biblico e affrontano le insidie del mare per arrivare in Europa. L'immagine del piccolo Aylan, ma anche le parole che sono state ricordate di quel giovane siriano, non solo devono scuoterci, ma devono accrescere, non tanto la consapevolezza, ma la determinazione, che occorre agire.
  In tutti questi mesi l'Italia ha svolto un ruolo importante che rivendichiamo con forza. Come è stato ricordato, proprio la scorsa settimana, dal Ministro Gentiloni, intervenendo in quest'Aula, abbiamo innanzitutto salvato circa 130 mila vite umane in questi ultimi diciotto mesi, grazie anche alla nostra Marina e al lavoro dei nostri operatori umanitari. Abbiamo da tempo esercitato un'intensa attività politico-diplomatica per porre l'immigrazione fra le priorità dell'agenda europea, promuovendo, tra le altre cose, il vertice straordinario dell'Unione europea di cinque mesi fa sul tema dell'immigrazione. Di fronte a questa crisi migratoria credo che abbiamo contribuito in maniera determinante a far nascere in Europa la consapevolezza che occorra in primo luogo Pag. 33lavorare sull'accoglienza, per arrivare a un diritto d'asilo europeo che superi le regole di Dublino, e utilizzando nel contempo – al meglio e in chiave europea – le politiche di rimpatrio. L'accresciuta consapevolezza della crisi migratoria ha anche permesso di ampliare il dispositivo dell'agenzia Frontex nel Mediterraneo, in particolare l'operazione Triton.
   Per quanto concerne nello specifico l'idea – prospettata nell'interpellanza – di attivare presidi nei Paesi di partenza, così da procedere in un contesto di protezione ad una prima selezione dei migranti in possesso del requisito di rifugiato, faccio presente che anch'essa fa parte delle proposte che il Governo ha portato avanti a partire dal nostro semestre di Presidenza dell'Unione Europea. L'iniziativa, attualmente in corso di approfondimento nell'ambito dell'Agenda per le migrazioni presentata dalla Commissione europea, determinerebbe un'anticipazione della decisione sulla domanda di protezione internazionale, affidandone l'esame ad avamposti dell'Unione europea costituiti nei Paesi di transito dei migranti. Questi stessi avamposti, in cooperazione con l'UNHCR e l'Organizzazione internazionale delle migrazioni, potrebbero decidere, secondo preventivi accordi tra gli Stati membri, anche la destinazione del migrante.
  In parallelo, il Governo ha dato la propria disponibilità a collaborare con l'UNHCR e le altre agenzie umanitarie per individuare, in Paesi particolarmente colpiti dai flussi migratori, persone eleggibili alla protezione internazionale che possano essere reinsediate in Italia e nell'Unione europea, con particolare attenzione alle categorie più vulnerabili. Tali iniziative, oltre a offrire prospettive di un futuro migliore ai rifugiati, costituiscono un modo per ridurre lo spazio di mercato dei trafficanti di esseri umani. Inoltre, esse rappresentano un concreto gesto di solidarietà verso i Paesi terzi in prima linea nella gestione dei flussi di rifugiati dalle aree di crisi.
  Dal 2010, infatti, il nostro Paese è impegnato nel reinsediamento in Italia di alcune centinaia di profughi iracheni e afgani. Inoltre, anche grazie al contributo del fondo europeo AMIF, sono attualmente in corso le procedure per il reinsediamento in Italia, in stretta collaborazione con l'UNHCR, di 450 cittadini siriani dal Libano e di 50 cittadini eritrei dal Sudan. Da ultimo, l'Italia ha risposto in maniera positiva alla raccomandazione con cui la Commissione europea ha proposto, nel quadro dell'Agenda europea sulla migrazione, di reinsediare in Europa 20 mila rifugiati in Paesi terzi su due anni. Ma anche tutte queste attività e questi numeri ci dicono che la tragedia dell'emergenza attuale è talmente più grande di quelli che sono gli impegni che abbiamo assunto che non si può che accrescere, come ripeto, non la consapevolezza, ma la determinazione che si deve e si può fare di più.
  Sempre in materia di reinsediamento, il Ministero dell'interno ha aderito ad un progetto denominato EU-Frank, finanziato con fondi FAMI e di cui è capofila l'Agenzia per l'immigrazione svedese. La finalità del programma è quella di sviluppare strumenti e strategie per aiutare gli Stati membri dell'Unione europea e gli Stati associati nella realizzazione di programmi nazionali di reinsediamento. L'avvio del progetto è previsto per il prossimo autunno e la durata sarà di cinque anni, fino al 2020.
  Vorrei, infine ribadire quanto già detto dal Ministro Gentiloni sul piano illustrato recentemente dal Presidente Juncker. Si tratta di un risultato importante perché sancisce, innanzitutto, dal punto di vista culturale, il principio dell'impegno comune, perché avvia una ricollocazione significativa di 120 mila rifugiati, che si aggiungono ai quasi 40 mila già decisi alcune settimane or sono e, nel decidere la ricollocazione di questo totale di 160 mila, stabilisce che non si tratta di un meccanismo una tantum, ma di un meccanismo che può essere riattivato di fronte a crisi che possono ripresentarsi e che sono nel panorama prevedibile dell'evoluzione della situazione. Dobbiamo, inoltre, lavorare sulle cause profonde dei fenomeni migratori nei Paesi in cui vengono originati – Pag. 34Giustino Fortunato ha detto queste cose centocinquant'anni fa e, dunque, siamo forse un po’ in ritardo rispetto a quella grande intuizione – innanzitutto in termini di cooperazione e aiuto allo sviluppo, recuperando almeno una parte del ritardo accumulato negli ultimi dieci anni nei fondi per la cooperazione e l'aiuto allo sviluppo. È importante, poi, lavorare anche con i Paesi di transito, come, per esempio, stiamo facendo in Niger. Non è certo la soluzione del problema, ma si tratta comunque di un contributo utile per gestire e in parte anche ridimensionare i fenomeni migratori.
  Concordo, infine, con l'onorevole interpellante laddove sottolinea l'importanza del contrasto ai trafficanti di esseri umani, questione considerata prioritaria dal Governo come testimoniato dalla partecipazione all'operazione EuNavForMed. Come dicevo poc'anzi, solo in tal modo si crea un deterrente in grado di fermare o perlomeno limitare questo odioso commercio.

  PRESIDENTE. L'onorevole Marazziti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta all'interpellanza Cuperlo ed altri n. 2-01081, di cui è cofirmatario.

  MARIO MARAZZITI. Grazie Presidente, onorevole sottosegretario, la ringrazio della sintonia morale, politica e anche dell'onestà intellettuale con cui ha messo in rilievo come, nonostante il forte impegno dell'Italia, i numeri, i dati e le cifre degli interventi reali siano purtroppo ancora drammaticamente lontani dalle dimensioni gigantesche di un fenomeno epocale che chiede risposte italiane, europee e mondiali diverse da quelle che solo pochi mesi fa erano disponibili sul tappeto.
  Quindi sono sicuramente soddisfatto dell'impegno e dello sforzo italiano che negli ultimi mesi ha fortemente contribuito a introdurre almeno l'agenda migranti e l'agenda Mediterraneo e il tema pace nel Mediterraneo e in Medio Oriente come temi non accessori e non secondari dell'agenda europea e questo è un contributo dell'azione italiana che sembrava impensabile: sembrava impensabile l'accelerazione politica dell'intervento di Angela Merkel o del Presidente Juncker solo un mese fa e negli ultimi trenta giorni noi abbiamo registrato un'accelerazione nella giusta direzione con una crescita di iniziativa politica. Credo che il Governo italiano sia davvero dentro l'origine di questo cambiamento ma devo anche dire che dobbiamo davvero fare di più. Penso che quando lei cita 450 cittadini del Libano in corso di «relocation in Italy» – uso l'inglese come si fa nei trattati internazionali – noi stiamo parlando appunto di cittadini siriani, quattro milioni, fuori dei confini di quel Paese. Stiamo parlando di circa un milione di feriti, di dieci milioni di sfollati interni, della deflagrazione di un Paese che anche personalmente, devo dire, mi ero trovato a contrastare alle origini perché per un anno anche personalmente, con l'aiuto di alcuni ambienti della Farnesina, avevamo cercato di introdurre nel dibattito internazionale la possibilità di una soluzione politica e non militare, quando le vittime erano poche e la soluzione era possibile. Ma c’è stata una incredibile quantità di errori della comunità internazionale e oggi abbiamo anche Daesh che non c'era prima, e siamo di fronte alla riscrittura dei confini, non decisa, della prima guerra mondiale con migrazioni epiche, bibliche nelle terre bibliche. Allora ritengo che dobbiamo seriamente dire come cercare di fare di più, dove e in quale direzione andare. Credo che non sia facile perché siamo in un tempo di un dibattito imbarbarito cioè credo che sia imbarbarito un dibattito europeo e italiano dove si discute se salvare le persone. Mentre noi parliamo, oggi arriva la notizia che di Hanan Al Jarwan, bambina di quattro anni trovata sulla spiaggia di Altinkoy, non so se avremo le immagini di questa bambina. E ancora oggi – è arrivata questa mattina – la notizia di un profugo morto fulminato, come sulla sedia elettrica, perché c’è una rete elettrificata per impedire di attraversare. Non c’è stato processo, non c’è la colpa. Allora come si fa ? I muri e il filo spinato che i populismi provocano stanno distruggendo l'anima dell'Europa, stanno Pag. 35aumentando le vittime perché non c’è muro e filo spinato che può fermare 60 milioni di migranti nel mondo. Muri e filo spinato allungano solo sofferenze, viaggi e quanti possono lucrare nascondendo nei portabagagli migranti o in altri modi. Dunque credo che dobbiamo lavorare in direzioni possibili: sicuramente l'asilo europeo ma esso deve contenere la possibilità di richiedere l'asilo europeo dai Paesi di transito per creare un database europeo prima, per creare una scrematura e anche un'analisi dei profili prima e per creare i viaggi legali e sicuri. Non occorre cambiare Schengen, non occorre cambiare Dublino per intervenire con i visti umanitari. Non possiamo creare desk umanitari dall'altra parte del Mediterraneo, controllare, decidere questi flussi, fare viaggi sicuri. Queste due cose sono possibili subito, richiedono soltanto una decisione politica perché è nella legislazione di singoli Paesi, non è contro Dublino perché si può fare più di Dublino. Dublino ha una interpretazione solo negativa ma c’è una solidarietà positiva che non è vietata ai Paesi.
  Allora, io credo che sia il tempo di una forte iniziativa politica su cui si ricostruisce anche la politica e si ricostruisce anche un ethos nazionale, resistendo alle spinte populiste, cioè facendo le cose giuste e non rispondendo nel dibattito malato con cose più piccole, solo perché il dibattito è malato. Se siamo di fronte a un cambiamento epocale non possiamo accettare un dibattito e, quindi, anche proposte pensate solo in termini di emergenza.
  Allora, ci troviamo in questa situazione di cambiamento epocale dove l'Europa, senza immigrazione, nel 2050 sarebbe invecchiata in tutti i Paesi membri tranne che in quattro, ma internamente tutte le classi di età sarebbero invecchiate, cioè l'Europa è finita senza i nuovi cittadini. L'Italia lo è già da tempo, sia dal punto di vista del saldo demografico, sia dal punto di vista dei 9 punti percentuali del nostro PIL, negli ultimi sei anni.
  In questa situazione, di fronte a una situazione di cambiamento epocale, le scelte giuste sono semplicemente quelle di accelerare l'integrazione, perché chi integrerà prima riuscirà prima a colmare il gap e a rallentare o a superare il declino; fare le scelte giuste vuol dire iniziare, alcuni Paesi europei e, quindi, non necessariamente con l'unanimità, a fare quello che già le leggi permettono e, quindi, alcuni Paesi frontalieri sul Mediterraneo, alcuni Paesi partner, la Germania e la Svezia, possono iniziare quelle buone pratiche che possono creare la decisione successiva e che è lo stesso processo che portò all'inizio di Schengen: furono alcuni Paesi a cominciare, poi tutta Europa seguì. Allora, in questa fase difficile per l'Europa, io credo che pochi Paesi, come all'origine dell'Europa, possano fare le cose giuste. Questo creerà una differenza, creerà delle resistenze, è una fase di stop and go, perché ognuno ha le proprie pubbliche opinioni e deve fare i conti con questo, ma in realtà, solo in questo modo, l'Europa può sopravvivere. L'Italia può avere idee molto chiare su questo e può avere un'iniziativa politica forte.
  Quindi, io chiedo all'Italia – come nella nostra interpellanza e come ha ben detto chi l'ha illustrata all'inizio – un di più di iniziativa sull'Europa, ma chiedo anche, forse, di considerare la possibilità di lavorare a un summit globale sulle migrazioni, perché siamo di fronte a un tema epocale e abbiamo bisogno, forse, della nostra «Yalta» del XXI secolo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

(Iniziative volte a evitare l'introduzione nei trattati e negli accordi internazionali del meccanismo di risoluzione delle controversie tra Stato e investitori privati, noto come ISDS, a tutela dei cittadini e dei consumatori – n. 2-01043)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Zaccagnini ed altri n. 2-01043, concernente iniziative volte a evitare l'introduzione nei trattati e negli accordi internazionali del meccanismo di risoluzione delle controversie tra Stato e investitori privati, noto come ISDS, a tutela dei cittadini e dei consumatori (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).Pag. 36
  Chiedo all'onorevole Zaccagnini se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  ADRIANO ZACCAGNINI. Grazie Presidente, la questione che portiamo in Aula è nota, è una questione che abbiamo già affrontato con una mozione parlamentare ed è quella relativa al trattato cosiddetto TTIP, Trattato transatlantico fra Stati Uniti e Europa. In particolare, però, l'interpellanza si concentra sul meccanismo dell'ISDS, l'Investor-State Dispute Settlement, meccanismo di risoluzione delle controversie fra Stato e investitore privato. Le disposizioni che prevedono, appunto, l'ISDS sono contenute in un gran numero di trattati bilaterali per gli investimenti, in alcuni accordi commerciali internazionali e in accordi internazionali di investimento, basta citarne uno, ad esempio il CETA, quello tra l'Unione europea e il Canada che, appunto, prevede questo meccanismo.
  A livello globale il ricorso allo strumento dell'ISDS è in continuo aumento, riporto alcuni numeri: ad esempio, fino al 2012 stati aperti 154 contenziosi di questo tipo, di cui 58 aperti solo nel 2012, con una crescita del 250 per cento rispetto al 2000. La clausola ISDS è contenuta anche nel trattato commerciale TTIP che è in via di negoziazione. Ora l'idea dell'opinione pubblica è abbastanza negativa; questo è uno dei punti centrali su cui l'opinione pubblica europea è discordante o comunque cerca di modificare il risultato che stanno cercando di ottenere le delegazioni della Commissione europea e degli Stati Uniti.
  E possiamo anche citare il fatto che lo stesso Governo tedesco ha denunciato dei forti dubbi sulla necessità di introdurre le clausole ISDS in considerazione del fatto che gli investitori americani sono sufficientemente tutelati dai tribunali europei. Le clausole ISDS infatti consentono il cosiddetto forum shopping per cui un'azienda può citare uno Stato dinanzi ad un arbitrato anche se non esistono accordi specifici tra lo Stato dell'azienda e lo Stato citato. Infatti, è sufficiente che esistano accordi con lo Stato nel quale l'azienda ha una sede secondaria e questo è stato il caso della Philip Morris, un'azienda statunitense contro l'Australia, che ha introdotto norme antifumo più restrittive. La Philip Morris ha potuto accedere all'ISDS tramite la sua sussidiaria ad Hong Kong per gli accordi tra l'Australia ed Hong Kong, visto che non vi erano accordi tra Australia e Stati Uniti.
  La proposta della Commissione europea è di escludere i casi di aziende mail box pretendendo che l'azienda straniera debba stabilire un'effettiva sede con attività economiche sostanziali, prima di poter portare in giudizio lo Stato. Ovviamente, le multinazionali sono quelle che possono creare maggiori problemi ad uno Stato e non hanno nessuna difficoltà a superare questo ostacolo. In particolare, qui sottolineare come il CETA menzionato prima, cioè l'accordo tra gli Stati Uniti e il Canada sarà un vero e proprio cavallo di Troia, perché sarà una zona franca sostanzialmente se non verrà rivisto nelle sue bozze finali, che sono in revisione al momento, perché potranno essere sedi di sussidiarie delle aziende statunitensi. La Commissione europea intende anche introdurre il right to regulate, per cui il diritto alla regolamentazione del Governo diventa un'eccezione rispetto alla protezione degli investimenti aziendali che assumono un ruolo primario. Inoltre, tale diritto è tutelato solo in relazione ad obiettivi legittimi, che però non sono specificati. Alla fine, saranno gli arbitrati a decidere quali sono questi obiettivi legittimi da tutelare.
  I tribunali nazionali sono disegnati per essere indipendenti, imparziali e rispettosi del principio della separazione dei poteri; non accade lo stesso con i tribunali arbitrali. Qui dobbiamo un po’ entrare nel merito di quale è la composizione dei tribunali arbitrali e di cosa si tratta. Ognuna delle parti in causa sceglie uno dei tre arbitri mentre il terzo è scelto di comune accordo oppure dal segretario generale del centro internazionale per il regolamento delle controversie relative agli investimenti il quale è scelto a sua volta dal Presidente della Banca mondiale. In Pag. 37caso di appello, tutti e tre gli arbitri sono nominati dal presidente della Banca Mondiale e il presidente della Banca Mondiale è nominato dagli Stati Unti: è evidente quindi lo squilibrio a favore degli Stati Uniti. Un collegio arbitrale non ha il potere di abrogare una norma legislativa nazionale – per fortuna, ancora –, però può statuire che quella norma compromette i profitti presenti e futuri dell'investitore estero per cui lo Stato verrà condannato a risarcire tali mancati guadagni. Ora è il caso, ad esempio, della Romania dove la canadese Gabriel resources ha citato la Romania perché il legislatore, per motivi di sicurezza dei cittadini, ha impedito la realizzazione di una miniera a cielo aperto, per la quale erano stati spesi dall'azienda 1,4 miliardi di euro e quindi lo Stato rumeno potrebbe essere costretto a pagare fino a 4 miliardi, cioè circa il 2 per cento del PIL nazionale della Romania. Un disincentivo questo esempio, come tanti altri, molto forte che influirà sicuramente sulle procedure di formazione delle nuove leggi, in altre parole una minaccia sostanzialmente a modificare le leggi una volta che si è sottoscritto un ISDS. Secondo uno studio della conferenza UNCTAD della Conferenza dell'ONU sul commercio allo sviluppo il 70 percento delle richieste degli investitori viene accolta, almeno in parte. Quindi, ci troviamo in una situazione in cui i tribunali sono composti, tra l'altro, da persone che spesso vengono nominati e che spesso hanno anche fatto consulenze per le grandi aziende.
  Oltretutto, il giudice prenderà una percentuale del risarcimento che andrà a stabilire, quindi è chiaro che maggiore sarà il risarcimento maggiore sarà la parcella e il guadagno del giudice, e questo influirà su quanto sarà il risarcimento che andrà a stabilire. È un chiarissimo conflitto di interessi, una cosa neanche pensabile, però la stiamo sottoscrivendo, come Stato italiano. Ora sono arrivati i primi tre casi – nell'interpellanza urgente ho citato solo il primo, perché risale a luglio – di cause intentate allo Stato italiano da investitori stranieri. Tutte e tre riguardano le energie rinnovabili, cioè investitori che hanno investito sulle energie rinnovabili: l'Italia si sta sottraendo dal trattato Energy Charter Treaty sulla liberalizzazione dell'energia e quindi stanno intentando delle cause. Cosa sta succedendo, in particolare ? Il terzo di questi investitori è americano e muove la sua accusa tramite un'azienda di comodo registrata in Europa. La grande differenza è che non si capisce per quale motivo dobbiamo accettare che questi investitori stranieri passino per delle corti che non sono nazionali, che non sono state create democraticamente, che sostanzialmente non si conformano ad uno Stato di diritto, perché non sono emanazione di quei principi. Si creerà una differenza sostanziale anche tra i cittadini europei, come me, lei o il presidente, che ovviamente dobbiamo passare per un iter giurisdizionale differente rispetto alle aziende straniere. L'ISDS light, quindi, approvato dalla risoluzione Lange, ha questa modalità; verranno formati questi tribunali, questi arbitrati.
  Quindi, chiediamo quali saranno gli adeguamenti normativi che l'Italia dovrà affrontare e il funzionamento stesso di questo ISDS formato light, non equivalente a quello del CETA; se il Governo non reputi opportuno approfondire le conseguenze dell'adesione al trattato TTIP; se il Governo non reputi, come avevo già avanzato nella richiesta, Viceministro, di eliminare l'ISDS dal CETA, cioè dal trattato con il Canada (ma mi pare impossibile, quindi rimarrà questo cavallo di Troia sostanzialmente, dove le sussidiarie americane potranno aggirare anche gli ISDS versione light); se si consentirà al legislatore di poter continuare a legiferare e fare possibili riforme e leggi innovative a tutela dei cittadini e politiche ambientali ma non solo, come anche riforme in materia di diritti d'autore o di tutela dei dati personale, considerato che l'introduzione della riforma della privacy dell'Unione europea andrà a limitare il trattamento dei dati personali dei cittadini europei da parte delle aziende americane, cosa che potrebbe avviare una miriade di cause ISDS, perché appunto riduce i guadagni attesi da Pag. 38queste aziende. Quindi, sarà possibile mettere in campo queste riforme veramente ? Comunque, quale sarà il costo di queste riforme ? Per quale motivo dobbiamo pagare un costo così alto se stiamo migliorando la qualità della vita dei cittadini europei ?
  Infine, chiediamo se non si reputi in qualche maniera discordante dalla politica commerciale dell'Unione europea, all'interno del trattato di Lisbona, quanto si sta prevedendo con il TTIP, proprio perché la condotta deve essere nel rispetto della democrazia, dello Stato di diritto e dei diritti dell'uomo, mentre, al contrario, a noi pare che queste clausole ISDS prevedano un pericoloso ribaltamento, mettendo le aziende prima degli Stati e i profitti prima dei cittadini. Altre domande che non sono nell'interpellanza urgente ma che comunque pongo sono tese a sapere se vi sarà un vantaggio degli investitori esteri su quelli locali. Cioè, vi sarà un vantaggio, una concorrenza sleale ? Non accettiamo una concorrenza sleale in Europa, come possiamo pensare che questa non sia una differenziazione sostanziale ? Quindi, perché questa disparità ? Perché queste scappatoie per aggirare la giurisdizione pubblica ? Non è sufficiente la giurisdizione pubblica ?
  Noi stiamo parlando di due superpotenze economiche, gli Stati Uniti e l'Europa, non stiamo parlando di Paesi in via di sviluppo dove è vacillante lo Stato di diritto o c’è l'instabilità dei Governi ! Stiamo parlando di due giurisdizioni mature, di due democrazie mature: per quale motivo non dobbiamo continuare ad utilizzare gli ordinamenti e le nostre giurisdizioni ?
  In ultimo, perché le aziende estere non saranno tenute a seguire l'iter che tutti i cittadini europei devono seguire ? Quello che diceva sostanzialmente prima: per quale motivo io, se faccio causa allo Stato italiano devo seguire un iter, e un'azienda straniera, o magari un'azienda italiana con una triangolazione, mettendo una sede magari negli Stati Uniti e poi un'altra in Canada, non deve seguire lo stesso iter ? Queste sono alcune delle questioni che poniamo: mi auguro delle risposte puntuali.

  PRESIDENTE. Il Viceministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda, ha facoltà di rispondere.

  CARLO CALENDA, Viceministro dello sviluppo economico. Signor Presidente, nel quadro della politica commerciale, Italia e Unione europea sono impegnate nella tutela di valori non economici, nella promozione del principio di certezza del diritto e nella promozione del legittimo affidamento del privato nei rapporti con le pubbliche amministrazioni. Per questo, il nostro Paese ha perseguito tali principi nella cornice delle intese bilaterali sulla protezione degli investimenti ed intende coerentemente seguire tale linea nell'ambito di tutti gli accordi fra Unione europea e Paesi terzi.
  L'Italia è un Paese esportatore, con consistenti interessi economici all'estero: ragion per cui la protezione di detti interessi è funzionale alla protezione della nostra economia e delle sue prospettive. In molti Paesi dove le aziende italiane operano vi sono sistemi giudiziari nazionali non in linea con gli standard minimi applicati nell'area dell'Unione di indipendenza, imparzialità e terzietà del potere giudiziario rispetto all'Esecutivo.
  Come internazionalmente riconosciuto dall'UNDP, tali principi sono presupposti essenziali nella promozione della crescita economica sostenibile nei Paesi in via di sviluppo, dato che incertezza giuridica e mancata applicazione del principio del legittimo affidamento disincentivano gli investimenti privati. Per questo, abbiamo attivamente lavorato per far sì che la politica comunitaria sugli investimenti potesse dare vita ad un meccanismo di risoluzione delle controversie, che protegga le imprese dal rischio di incorrere in eventuali discriminazioni.Pag. 39
  Il dibattito odierno si svolge all'indomani di un giorno importante per l'Unione europea e per l'Italia, che ha visto recepite molte sue istanze nella proposta di riforma dell'ISDS. È stato infatti presentato dal collegio dei Commissari europei il nuovo testo negoziale sulla protezione degli investimenti, un documento che completa un importante processo democratico iniziato con la consultazione pubblica del 2014. A seguito della consultazione, la Commissione aveva elaborato un «non paper», al quale l'Italia ha contribuito sottolineando l'importanza di quattro elementi, oggi tutti inclusi nel nuovo orientamento comunitario. In primis il cosiddetto right to regulate, del quale il nostro Paese ha sempre evidenziato l'importanza chiedendo anche di definire il concetto, al fine di evitare interpretazioni discrezionali degli arbitri, del termine «fair and equitable treatment» e di «espropriazione indiretta».
  In secondo luogo, il miglioramento dei tribunali arbitrali. Sottolineammo come fosse necessario che tutti gli arbitri venissero scelti da un roster precostituito dalle parti. Gli arbitri devono essere professionalmente qualificati, in grado di saper condurre una procedura decisionale, esperti di diritto internazionale ed avere un livello di trasparenza tale da evitare conflitti di interesse.
  In terzo luogo, il meccanismo di appello. Ci sembrava necessario includere negli accordi un meccanismo di doppio giudizio, per ovviare ad eventuali errori di legittimità ed errori manifesti nella valutazione di fatti evidenziatisi in primo grado.
  Infine, la definizione della relazione tra la corte arbitrale e i tribunali nazionali: ciò allo scopo di proibire il doppio procedimento secondo le modalità del fork in the road e del no u-turn.
  Tutto ciò è ora presente nella visione europea, cui l'Italia ha attivamente contribuito, ed è la premessa dell'istituzione di un nuovo sistema multilaterale sulla protezione degli investimenti in forma di Corte permanente.
  Se la Commissione ha lavorato duramente con noi e con gli altri Stati membri nei mesi scorsi, è stato anche grazie al contributo del Parlamento europeo.
  La cosiddetta risoluzione Lange, di portata non vincolante e votata a Strasburgo in data 8 luglio 2015, ha sottolineato come la questione di fondo non sia l'eventuale inclusione di un meccanismo di risoluzione delle controversie negli accordi internazionali, ma piuttosto quale «meccanismo di risoluzione delle controversie» includere nei trattati. Ebbene, un meccanismo di risoluzione delle dispute deve essere bilanciato, in grado di assicurare la trasparenza, circoscritto nello scopo e caratterizzato da un chiaro rapporto tra le giurisdizioni nazionali. Questo è il principio evidenziato dal Parlamento europeo, che condividiamo.
  Peraltro, un primo passo era già stato fatto nel negoziato CETA con il Canada. L'Italia aveva sostenuto che in tale testo – come poi avvenuto – si menzionasse il diritto di regolamentare e di conseguire obiettivi politici –, ad esempio, nel settore della salute pubblica, della sicurezza, dell'ambiente, della morale e della promozione e della protezione della diversità culturale. Abbiamo ottenuto la definizione precisa e specifica per il trattamento «giusto ed equo», cui facevo riferimento prima, degli investitori e degli investimenti (articolo X.9 «Trattamento degli investitori»). L'Italia ha fatto inserire un codice di condotta vincolante per gli arbitri che operano in una controversia investitori-Stato (ISDS) per evitare un conflitto d'interessi. Infine, è stata inserita l'eventuale creazione di un meccanismo d'appello e il ruolo di appointing authority, in caso di disaccordo fra le parti sulla scelta di un arbitro nella determinazione del tribunale, all'ICSID.
  La positiva evoluzione dell'ISDS, appena menzionata e già presente nel CETA, oltre ai risultati ottenuti in generale dal l'Accordo e dal capitolo, nello specifico, assai importante per noi, come quello delle indicazioni geografiche, non rende Pag. 40opportuno riaprire il negoziato, se non per alcune modifiche attuabili in sede di cosiddetto legal scrubbing.
  Il CETA è un Accordo chiuso; se lo riaprissimo, prima di tutto ne andrebbe danneggiata gravemente la credibilità dell'Unione europea come controparte negli accordi commerciali.
  Ora, siamo comunque andati molto oltre rispetto a quanto raggiunto nel CETA: il nuovo Documento di strategia della Commissione sulla protezione degli investimenti parte dal TTIP e andrà ad estendersi a tutti gli altri negoziati, costituendo la base della protezione degli investimenti in tutti i futuri trattati internazionali. Si tratta della proposta di un vero e proprio New Investment Court System, che raccoglie le indicazioni della «risoluzione Lange» e che l'Italia sostiene convintamente. È un testo che si propone di delineare i contorni di una politica europea degli investimenti, come richiesto nel 2014 dall'Italia, sia di breve che di medio-lungo periodo. Infatti, nella strategia della Commissione troviamo molti elementi proposti dall'Italia: la clausola ISDS con gli arbitri indicati dalle parti è sostituita con un Investment Court System, composto da un tribunale di primo grado con 15 giudici (5 indicati dalla UE, 5 dagli USA e 5 provenienti da Paesi terzi). Si tratterà di giudici nazionali o esperti di diritto internazionale qualificati e selezionati in concomitanza di ogni caso, secondo un meccanismo randomico, quindi casuale e non preordinato. Inoltre, vi sarà anche un tribunale d'appello simile a quello dei WTO.
  Viene de facto ridotto il campo di competenza della Corte alle sole violazioni del fair and equitable treatment, cioè a seguito di un comportamento arbitrario da parte delle corti nazionali, o di un trattamento illegittimo e discriminante da parte delle amministrazioni nazionali.
  Il right to regulate viene inserito fra le questioni vincolanti del testo e non solo nel preambolo.
  Come invocato dall'Italia, è stata inserita l'accessibilità alle informazioni circa eventuali finanziatori della causa a sostegno di una delle parti e vietate le mass claims (che noi vediamo più appropriate nell'ambito dei rapporti State to State). Sono confermate poi tutte le misure di trasparenza, con udienze aperte, verbali, online e con la possibilità di amicus curiae.
  L'inserimento di tale strumento – e questo è uno dei punti sollevati dall'onorevole interpellante – negli Accordi con i Paesi avanzati – Usa in testa – appare molto importante in quanto dà forza alla Commissione per richiederlo anche con quei Paesi in cui è minore il grado di trasparenza delle corti nazionali, dove i nostri imprenditori trovano spesso difficoltà nel vedersi riconosciuti diritti basilari, quali quello al rispetto della proprietà intellettuale, quello alla tutela dei marchi, eccetera.
  Se questo non diventa uno standard internazionale, noi non potremo mai chiederlo, per esempio, nel trattato sugli investimenti con la Cina. E un trattato sugli investimenti con la Cina, senza una clausola di salvaguardia di questo tipo, risulterebbe del tutto privo di capacità di enforce.
  L'Italia – è stato ricordato – si trova chiamata in causa nella cornice dell’Energy Charter Treaty, un Accordo (da cui, peraltro, l'Italia ha notificato la propria uscita) contenente un ISDS «di prima generazione», proprio quello che vorremmo superare.
  Da questo trattato sono nati gli unici casi di contenzioso contro l'Italia sollevati recentemente all'ICSID e all'Istituto arbitrale della Camera di commercio di Stoccolma, che il Governo sta seguendo con attenzione.
  Ovviamente, questi casi tuttora pendenti, non cambiano la nostra idea sulla necessità di includere questi strumenti negli Accordi sugli investimenti e negli Accordi commerciali in genere.
  È bene ricordare che a livello globale sono stati sollevati – dal 1987 al 2014 – 608 casi arbitrali relativi ai Bilateral Investments Treaties (BiTs), su 2900 BiTs in vigore, di cui 299 presentati da aziende degli Stati membri dell'Unione europea e 127 da aziende degli Stati Uniti. Va, peraltro, Pag. 41sottolineato che i casi controversi sollevati verso l'ICSID sono tuttora quelli che hanno avuto grande eco sulla stampa (Vattenfall, Philip Morris), sono tuttora pendenti e non è affatto scontato l'accoglimento delle tesi delle imprese.
  Va, quindi, circoscritto il peso concreto che l'ISDS ha sin qui avuto. Se guardiamo i numeri pubblicati nell'ultima relazione dell'UNCTAD, scopriamo che il dato, messo a paragone con il numero dei contenziosi internazionali scaturiti in base ad altri trattati per esempio in materia commerciale, è molto basso. Ad esempio, solo nell'ambito dell'Organizzazione mondiale del commercio, il numero di contenziosi sulla base del meccanismo di soluzione di controversie – a partire dal 1995 e non dal 1987 – è pari a circa 491 casi.
  Inoltre, i casi sono in diminuzione e in generale si risolvono a favore degli Stati: come emerge dalla stessa nota dell'UNCTAD, il numero dei casi ISDS iniziati dagli investitori nel 2014 (circa 42) è più basso del numero dei casi iniziati nel 2013 (59) e nel 2012 (54), e perfettamente nella media calcolata dall'UNCTAD per il periodo 2003-2011. In aggiunta, solo il 25 per cento dei casi si è concluso a favore degli investitori privati. Quasi il 40 per cento si è concluso in favore degli Stati convenuti e quasi il 30 per cento si è concluso con una transazione amichevole. I rimanenti casi si sono interrotti per varie ragioni.
  Ora, rispondo al quesito aggiunto a voce dall'onorevole: quali vantaggi ? Perché dobbiamo riconoscere questi vantaggi alle aziende straniere ? Il Trattato è bilaterale, gli stessi vantaggi che noi riconosciamo alle aziende sono riconosciuti alle nostre aziende nel Paese di destinazione.
  Fatemi concludere con una nota poco conosciuta, che dimostra la coerenza dell'Italia su questo tema: il numero complessivo di casi arbitrali che ho citato include anche 99 controversie basate su accordi bilaterali tra Stati membri dell'Unione europea. Al contrario di quasi tutti i Paesi dell'Unione europea (26 su 28), l'Italia ha denunciato, già nel 2009, i propri accordi intraeuropei di protezione degli investimenti, non considerando gli stessi compatibili con il principio comunitario di mutua fiducia. In parole povere, abbiamo forse denunciato in pubblico meno della Germania, ma abbiamo agito conseguentemente, denunciando i trattati.
  Vogliamo che gli Accordi prevedano la protezione degli investimenti quando e dove serve, nell'interesse delle imprese e rispettando i diritti dei cittadini europei, senza ledere la facoltà dell'Europa e degli Stati membri promuovere politiche di interesse pubblico in tutti i campi ritenuti opportuni.
  La nuova strategia comunitaria mette nero su bianco esattamente quanto ci proponiamo: il meccanismo della Corte internazionale – soggetto caratterizzato da imparzialità e terzietà, con regole definite e poteri precisamente circoscritti – assicurerà l'applicazione della rule of law, l'assenza di discriminazione verso le nostre aziende, la tutela dei nostri cittadini, dei loro diritti costituzionali, di quelli previsti dalle convenzioni internazionali, dei loro dati personali e quindi – in ultimo – della democrazia.

  PRESIDENTE. L'onorevole Zaccagnini ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  ADRIANO ZACCAGNINI. Signor Presidente, io ringrazio il Viceministro per l'ampia risposta ma non mi ritengo soddisfatto, principalmente per il carattere politico e il contenuto della risposta, in quanto è chiaro che, da parte nostra, l'ISDS può avere un senso – come ho già ribadito precedentemente – in accordi bilaterali su investimenti che si fanno con i Paesi in via di sviluppo, quindi per giustificare la necessità di garantire gli investitori italiani in tribunali imparziali in Paesi con stato di diritto vacillante.
  Fare questo tra Stati Uniti e Comunità europea può avere un senso per armonizzare le giurisdizioni, ma l'architettura che si sta creando non risponde alla necessità reale, probabilmente non c’è necessità di Pag. 42creare un nuovo Investment Court System, un nuovo sistema, meccanismo giurisdizionale. Noi crediamo che siano sufficienti quelli attuali soprattutto per un motivo ben preciso: perché questi sono emanazione del meccanismo democratico, della democrazia europea, soprattutto perché sostanzialmente lo Stato di diritto è quella forma che assicura la salvaguardia e il rispetto dei diritti e delle libertà dell'uomo insieme alla garanzia dello stato sociale.
  Come sappiamo, storicamente lo Stato di diritto ovviamente si contrapponeva all'assolutismo e le critiche che sono state fatte erano riguardo al fatto che i diritti fondamentali fossero stati riconosciuti solo in astratto inizialmente, senza curarne l'attuazione. Negli Stati liberali quindi la situazione contrastava e fu posto rimedio con l'introduzione dei principi del welfare state e la creazione degli Stati democratici e in senso formale lo Stato di diritto implica separazione dei poteri, principio di legalità e giurisdizione ordinaria e amministrativa; però l'osservanza delle leggi sarebbe inutile se le leggi non fossero garanti dei diritti fondamentali e non fossero collegate a questi.
  La questione che noi poniamo è: quali sono i nuovi diritti fondamentali di cui ha bisogno la governance globale per svilupparsi in una maniera sostanzialmente democratica e non confacente esclusivamente all'ideologia del libero mercato ? Ovviamente si parte dai diritti fondamentali che ci tutelano dalle discriminazioni di razza, sesso, età, lingua o religione politica ma non stiamo parlando di questo, stiamo parlando di quali sono i diritti fondamentali materiali che ancora non vengono attuati concretamente. Sono: il diritto all'acqua, all'acqua pubblica come bene universale che il Parlamento europeo in qualche maniera adesso ha sancito come diritto universale, ha enunciato però più che attuarlo; il cibo, probabilmente il cibo è un'altra grande conquista, sfida a cui deve tendere la governance globale, cioè assicurare il cibo e quindi le materie prime a chiunque e mettere nero su bianco che questi sono diritti fondamentali che non possono essere oggetto di profitto da parte delle multinazionali. Invece l'architettura che si sta creando anche con il meccanismo del ISDS a noi pare un'architettura che privilegi il profitto e fare profitto anche su beni che potrebbero essere riconosciuti come universali, beni comuni della collettività, della comunità umana. L'uguaglianza giuridica è un altro diritto fondamentale a cui si collega e da cui trae emanazione lo Stato di diritto. Lei ha detto che l'uguaglianza c’è perché le nostre aziende, allo stesso modo, hanno la stessa tutela negli Stati Uniti come le aziende statunitensi in Europa. Sì, però, attenzione, a parte che L'ISDS in Canada avvantaggerà le aziende statunitensi che potranno in qualche maniera aggirare L'ISDS. Questo è un nostro dubbio, magari non avverrà, ci auguriamo che non avverrà, però al momento saranno due tipologie di ISDS differenti se verrà dato seguito alla risoluzione Lange del Parlamento europeo, che comunque non è vincolante.
  Quindi, uguaglianza giuridica; uguaglianza giuridica con la quale dovrebbe essere costruito il diritto internazionale, perché ovviamente lo Stato di diritto si deve uniformare e deve rispettare il diritto internazionale. Nell'ambito di questo, condividiamo che ci siano delle regole che possano tutelare anche gli investimenti in altri Paesi, però ci devono essere sempre dei principi, con i quali produrre questi meccanismi di tutela giurisdizionale. Questi principi a noi non sembrano uniformarsi a quei principi e soprattutto alla ricerca di essere coerenti con i nuovi diritti fondamentali di cui l'umanità ha bisogno. Dal nostro punto di vista, occorre che l'interesse del popolo, l'interesse dei cittadini sia preminente, e questo si può attuare esclusivamente attraverso la democrazia e ciò che la democrazia produce, quindi le leggi, le norme e gli ordinamenti che la democrazia produce.
  In questo momento, le istituzioni europee e statunitensi stanno producendo un meccanismo che sostituisce i propri ordinamenti Pag. 43giurisdizionali, non li abroga, ma crea sostanzialmente delle Camere giurisdizionale collaterali per le aziende, perché poi gli oneri e i costi per intentare queste cause sono altissimi, quindi nessun cittadino comune o piccola azienda locale si potrà permettere di fare causa, anche se esportatrice, magari negli Stati Uniti, di qualche prodotto. È un meccanismo e un'architettura che noi contestiamo proprio perché non collegata a dei principi guida, quindi anche i miglioramenti che potranno essere effettuati, se comunque seguiranno i principi del libero mercato, invece che quelli della salvaguardia e dello sviluppo dello stato sociale e del welfare saranno principi che secondo noi andranno in conflitto con la stessa democrazia e soprattutto con l'interesse dei popoli.

(Iniziative per semplificare le procedure relative alla tutela delle aree incluse nei parchi nazionali e per garantire un'accurata selezione degli organi apicali degli Enti parco – n. 2-01074)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Valiante ed altri n. 2-1074, concernente iniziative per semplificare le procedure relative alla tutela delle aree incluse nei parchi nazionali e per garantire un'accurata selezione degli organi apicali degli Enti parco (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Valiante se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  SIMONE VALIANTE. Grazie, Presidente. Con la legge quadro sulle aree protette n. 394 del 1991, dando attuazione agli articoli 9 e 32 della Costituzione, si sono dettati i principi fondamentali per l'istituzione e la gestione delle aree naturali protette, al fine di garantire e di promuovere la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del nostro Paese.
  Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentite le regioni, si istituiscono e si delimitano i parchi nazionali in via definitiva. La norma sopra citata, in particolare, all'articolo 9, attribuendo all'Ente parco personalità di diritto pubblico, sede legale e amministrativa nel territorio del parco e subordinandolo alla vigilanza del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, prevede quali sono gli organi necessari dello stesso: un presidente, un consiglio direttivo, una giunta esecutiva, un collegio dei revisori dei conti e la comunità del parco.
  Lo stesso articolo 9, inoltre, prevede che il consiglio direttivo debba essere composto da «esperti particolarmente qualificati in materia di aree protette e biodiversità». All'articolo 24, si prevede invece che: «in relazione alla peculiarità di ciascuna area interessata, ciascun parco naturale regionale preveda, con apposito statuto, una differenziata forma organizzativa indicando i criteri per la composizione del consiglio direttivo, la designazione del presidente e del direttore, i poteri del consiglio, del presidente e del direttore, la composizione ed i poteri del collegio dei revisori dei conti e degli organi di consulenza tecnica e scientifica, le modalità di convocazione e di funzionamento degli organi statutari, la costituzione della comunità del parco».
  La regione Campania, ad esempio, attuando questi criteri con la legge n. 33 del 1993, istitutiva di parchi e riserve naturali, dettava i requisiti necessari per i soggetti che ambiscono a ricoprire la carica di presidente di parco; e, infatti, all'articolo 8 si prevede che il presidente dell'ente parco: «venga nominato dalla giunta regionale su proposta degli assessori alle foreste, alla urbanistica e all'ecologia, sentito il parere delle commissioni consiliari competenti, ai sensi della legge n. 26 del 24 aprile 1980, e prescelto tra persone che si siano distinte per i loro studi e/o per la loro attività nel campo della protezione Pag. 44dell'ambiente e non ricoprano cariche elettive e/o amministrative negli enti locali, negli organi di gestione di enti regionali nonché cariche elettive regionali, parlamentari ed europee». La giunta regionale, dunque, deve nominare il presidente, in seguito ad una selezione accurata curricolare, basata sulle reali esperienze, assicurandosi che tali soggetti siano «persone distinte per i loro studi e/o per la loro attività nel campo della protezione dell'ambiente».
  In tali casi, che se anche riguardano i parchi regionali sono però indicativi, per noi, di un criterio e di un indirizzo chiaro nella valutazione dei curricula e nelle procedure di nomina, è evidente, dunque, che si assicuri la scelta, al vertice degli enti, di soggetti preparati e portatori di una spiccata sensibilità in ordine alle tematiche della tutela dell'ambiente e del territorio. È condizione necessaria ma, per quanto ci riguarda, non sufficiente avere condotto studi in materie ambientali o l'avere soltanto intrapreso attività genericamente connesse all'ambiente.
  La giurisprudenza amministrativa poi, negli anni e in coerenza con quanto appunto detto, ha infatti affermato che il dato rilevante è l'avere svolto un impegno di durata e rilevanza tale da assurgere ad «elemento di distinzione e specifica qualificazione del soggetto interessato». L'organo di giustizia amministrativa, infatti, pone l'accento sulla concretezza e sul rilievo dell'attività svolta. E in tal senso anche il Consiglio di Stato ha ribadito la ratio, sottolineando la differenza che passa tra attività che possono considerarsi rilevanti e foriere di impegno effettivo da quelle che, al contrario, si configurano solo apparentemente come tali (sentenza n. 4468 del 2007).
  Ne deriva che né il titolo di studio né una generica attività inerente alla tutela dell'ambiente sono sufficienti a consentire a un soggetto di ricoprire il vertice dell'organizzazione dell'ente parco. Colui che intenda accedere alla carica deve avere svolto un impegno in materia non solo concreto ma di qualità superiore alla media. Esemplificativo appare il precedente costituito dalla sentenza n. 2803 del 2006 del TAR Campania, in cui il giudice amministrativo non ha ritenuto sufficiente considerare come elemento distintivo il solo avere ricoperto la carica di assessore comunale all'ambiente, per essere la stessa «un'esperienza professionale di politica amministrativa e non, quindi, indicativa di un particolare impegno nella salvaguardia, conservazione e valorizzazione del patrimonio pubblico». L'amministrazione, dunque, nello scegliere la personalità più indicata a ricoprire il ruolo di presidente dell'ente parco deve, anche nel rispetto delle norme e di una consolidata giurisprudenza, vagliare accuratamente gli studi e le esperienze di ciascun candidato, considerandone la quantità e la qualità del lavoro svolto.
  Il recente decreto del Presidente della Repubblica n. 73 del 2013, infatti, disciplina il futuro degli organi collegiali di tutti gli enti parco nazionali, compresi quelli ricadenti nelle regioni a statuto speciale, stabilendo che i componenti del consiglio direttivo dei parchi saranno in futuro costituiti da otto componenti, individuati tra esperti particolarmente qualificati in materia di aree protette e biodiversità: quattro designati dalla comunità del parco – cioè comuni e altri enti locali –, uno nominato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, uno scelto dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, uno indicato dalle associazioni ambientaliste riconosciute e, infine, un membro scelto dall'Istituto superiore per la protezione della ricerca ambientale, l'ISPRA, chiarendo anche alcuni passaggi gestionali utili e snellendo procedure e incertezze del passato.
  Con la proposta di legge n. 1490 del 2013, sottoscritta come primo firmatario, insieme agli onorevoli Rughetti e Rostan, di riforma della legge n. 394 del 1991, precedentemente richiamata, si intende rafforzare un altro aspetto, cioè l'intento del citato decreto del Presidente della Pag. 45Repubblica n. 73 del 2013, prevedendo sfere di competenza chiare ed esplicite, soprattutto nel governo partecipativo e attivo del territorio, e rileggendo, in maniera più moderna, la politica delle aree protette, alla luce dell'attuazione della strategia nazionale della biodiversità.
  Si intende, infatti, perseguire una riduzione drastica di comitati nazionali e consulte, utilizzando gli strumenti ministeriali quali strumenti di raccordo interistituzionali, e una concreta sburocratizzazione e semplificazione amministrativa, eliminando l'attuale duplicazione di controllo da parte dell'Ente parco e della soprintendenza, con la conseguente eliminazione della competenza della soprintendenza nelle aree del parco ad emettere parere preliminare vincolante sugli interventi e l'esclusiva competenza dei parchi a rilasciare lo stesso nelle aree di loro pertinenza.
  Tra l'altro, al Senato, è in discussione la riforma della legge n. 394 e ci sono già iniziative sostenute anche da altri autorevoli colleghi che vanno in questa direzione. L'articolo 142 del Testo unico dei beni culturali e del paesaggio, infatti, indica tra le aree tutelate per legge con vincolo paesaggistico i parchi e le riserve regionali. Chi intende intervenire su tali beni necessita almeno di tre autorizzazioni: autorizzazione paesaggistica (ex articolo 146 del testo unico), permesso di costruire (ex articolo 13 testo unico) e nullaosta del parco (ex articolo della legge n. 394 del 1991). La prima è emessa dallo sportello unico edilizia del comune, previo parere della soprintendenza, il secondo dal detto sportello e il terzo dall'Ente parco. Eliminare il parere preliminare vincolante sugli interventi emessi dalla soprintendenza, attualmente necessari per il rilascio di autorizzazione paesaggistica, non è, ovviamente, da intendersi come diminuzione di tutela e garanzia per l'integrità dei territori e delle aree esponendole a rischi di varia natura, è da intendersi, invece, come tentativo volto alla responsabilizzazione dell'Ente parco nella gestione del suo territorio di pertinenza, di per sé già vincolato in modo diverso rispetto ad altri territori, e alla velocizzazione e miglioramento della procedura amministrativa stessa, con un notevole risparmio di tempo e costi per i cittadini richiedenti.
  A tal riguardo chiediamo, Signor Presidente, signor sottosegretario, quale contributo intenda dare il Ministro, che non abbiamo mai ascoltato su questi temi, alla riforma richiamata. In particolar modo se sia o meno favorevole all'eliminazione della richiesta del parere preventivo conforme della soprintendenza nelle aree protette, ritenendo sufficiente ed efficace quello rilasciato dall'autorità dell'Ente parco e se su eventuali – l'altra questione – procedure di nomina in atto di organi direttivi e presidenziali di parchi nazionali, intenda adottare criteri che ottemperino a quanto disposto dall'attuale articolo 9, comma 4, della legge n. 394 del 1991, cioè i principi di legalità, buon andamento e imparzialità dell'amministrazione previsti all'articolo 97 della Carta costituzionale, oltre che ai consolidati e richiamati orientamenti giurisprudenziali della magistratura amministrativa.

  PRESIDENTE. La sottosegretaria di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, Silvia Velo, ha facoltà di rispondere.

  SILVIA VELO, Sottosegretaria di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare. Grazie, Presidente. Come l'onorevole Valiante ha ricordato anche nell'illustrare la sua interpellanza, è in corso al Senato, nella XIII Commissione, l'esame di una proposta di legge di riforma della legge quadro sui parchi n. 394 del 1991, è quindi, come è stato detto, in quella sede che è in corso una discussione, una valutazione in merito alle questioni poste dal collega. Confermo la volontà del Ministero e del Ministro di addivenire ad una rapida e convergente approvazione del testo in questione che è atteso da molti anni.
  Per quanto riguarda un'eventuale eliminazione del parere preventivo della soprintendenza Pag. 46in materia paesaggistica nelle aree protette, a fronte di un indubbio snellimento della procedura amministrativa che ne deriverebbe, tale iniziativa comporterebbe però, al tempo stesso, una modifica degli assetti organizzativi e delle competenze degli Enti parco a cui dovrebbe conseguire un adeguato rafforzamento delle strutture operative, in quanto, in ogni caso, si dovrebbe assicurare l'istruttoria di verifica della compatibilità degli interventi rispetto alle previsioni paesaggistiche.
  In altre parole, per dirla meglio, snellire le procedure non significa allentare le tutele e le garanzie di rispetto, ma significa, invece, trasferire al tempo stesso l'istruttoria in merito dalla sovrintendenza all'Ente parco e, quindi, ne deriverebbe la necessità di cambiare l'assetto e la struttura di ciascun Ente parco. Ad ogni modo, una valutazione più accurata di tale questione, oltre che essere inquadrata nel contesto appunto più ampio della proposta di legge citata, non potrebbe prescindere dalla valutazione che al riguardo dovrà essere espressa chiaramente dal Ministero competente, cioè dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.
  In relazione, invece, alla scelta degli organi degli Enti parco, per quel che riguarda la nomina del presidente, si evidenzia che all'articolo 9 della legge n. 394 del 1991 non si prevede il possesso di alcuno specifico requisito e che l'individuazione del soggetto più adatto è condotta ricercando sempre una personalità che assicuri l'adeguata rappresentanza dell'ente, tenuto conto della rilevanza nazionale di quest'ultimo. Si cerca il raggiungimento dell'intesa sul nominativo con la regione interessata, al fine di rafforzare la sinergia tra istituzioni centrali e regionali.
  Infine, relativamente alla nomina dei consigli direttivi, si rappresenta che le designazioni che provengono da parte dei soggetti individuati dalla norma tengono conto a livello più generale di una competenza in materia di biodiversità anche attraverso esperienze di gestione del territorio.

  PRESIDENTE. L'onorevole Valiante ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  SIMONE VALIANTE. Grazie Presidente, mi reputo parzialmente soddisfatto. Ringrazio il sottosegretario Velo che è il riferimento costante anche nell'attività della Commissione da parte del Ministero. Conosco, quindi, la sua attenzione e la sensibilità alle questioni poste, soprattutto dai colleghi parlamentari. È evidente che manca, secondo noi, un impegno successivo perché l'attenzione del Ministro ci sembra piuttosto vaga. Per quanto riguarda la questione, sottosegretario, della nomina del presidente, credo che ci siano delle imperfezioni anche rispetto ai requisiti già previsti dall'articolo 9, che non sono del tutto vaghi, ma soprattutto, come lei ha ricordato, proprio perché parliamo di una legge del 1991, che adesso è in fase di revisione pure al Senato. Dopo il 1991, sono accadute tutta una serie di cose dal punto di vista normativo e giurisprudenziale: dal decreto del Presidente della Repubblica recente del 2013 a una serie di orientamenti giurisprudenziali consolidati negli anni, a cominciare dal Consiglio di Stato. Far pensare che l'articolo 9 sia qualcosa di generico, che rimane lì e tutto quello che è successo nei successivi venticinque anni dal punto di vista normativo e giurisprudenziale sia una cosa di corredo istituzionale, francamente credo sia un'interpretazione abbastanza surreale da parte del Ministero rispetto alla quale è evidente che ci saranno anche coinvolgimenti eventuali, successivi e necessari in base anche alle valutazioni che il Ministero intenderà fare e alle scelte che il Ministero intenderà fare.
  Invece, mi sembra, da questo punto di vista, almeno dal punto di vista della volontà espressa dal sottosegretario e dai propositi, che la scelta, come ci è stato detto, comunque ricadrà su persone che abbiano una sfera di competenza ben precisa. Ovviamente, auspichiamo che Pag. 47questa seconda risposta di apertura e di disponibilità sia, però, Presidente, anche conciliante con il richiamo normativo, assolutamente dal nostro punto di vista sbagliato e non rispondente invece a quello che è accaduto appunto nella normativa e nella giurisprudenza del nostro Paese su questo aspetto.
  Per quanto riguarda, invece, l'aspetto della procedura amministrativa e di quello che chiediamo, cioè la possibilità di una semplificazione amministrativa, la questione specifica è sicuramente un problema organizzativo, come diceva il sottosegretario, nel senso che le strutture tecniche dei parchi dovrebbero essere responsabilizzate. Ma lo sono già di fatto. Infatti, noi, in questa vicenda specifica, signor sottosegretario, parliamo della duplicazione di un parere, cioè del fatto che su una stessa materia paesaggistica si esprime, sia il parco, che la sovrintendenza.
  Quindi l'attività degli organi degli enti parco è già commisurata rispetto ad un impegno specifico nel senso che c’è già un'attività su questo aspetto degli enti parco. Il problema è che c’è una duplicazione di pareri che determina disservizi, spesso veramente notevoli, nei confronti dei cittadini perché sulla stessa materia abbiamo due organi che svolgono la stessa funzione e che spesso si pronunciano in maniera difforme. Quindi troviamo questi nostri concittadini che sono costretti a rincorrere il parere degli enti, benché essi svolgano la stessa funzione. Quindi è una materia molto specifica che riguarda – ripeto – una duplicazione e non una nuova responsabilità degli enti parco e quindi sarebbe a nostro avviso norma di civiltà se nella fase di revisione della legge n. 394, che d'altronde già pone tale questione all'attenzione perché è stata sollevata anche dalla Commissione competente della Camera, la Commissione ambiente, nei suoi vertici istituzionali e quindi in questo momento anche i colleghi del Senato hanno una volontà e un orientamento chiaro da parte dei colleghi della Commissione ambiente della Camera che va in questa direzione. Credo che questa sia una questione nodale.
  Il parere purtroppo, signor sottosegretario – sono due anni che alcuni di noi stanno cercando di battersi su questo vicenda – purtroppo il parere del Ministero dei beni e delle attività culturali lo conosciamo già su questa vicenda. Dovremmo tuttavia fare uno sforzo in più che è lo sforzo che dovrebbe fare la politica quando mette un po’ di coraggio nelle scelte. Se noi ci muoviamo soltanto sui pareri dei tecnici... e l'Italia è un Paese, come lei sa e me lo insegna, dove il potere della firma è la suggestione più grande della quale nessuno vuole liberarsi. Se, invece, facciamo un atto che ha una valenza privata forte in una fase nella quale noi stiamo discutendo anche con un apposito disegno di legge di riforma della pubblica amministrazione e di snellimento delle procedure è chiaro che questa è una scelta politica, non è una scelta che compete a funzionari o tecnici dei ministeri. È una scelta che, come dicevamo nella interpellanza urgente, non alleggerisce di un millimetro il tema della tutela dei territori. I parchi nazionali sono nati grazie alla volontà delle popolazioni che si sono battute per anni per difendere i loro territori. Sono stati preservati, grazie all'opera degli uomini e delle donne, che vivono in quei territori e quindi credo che sia giusto che, dopo 25 anni e in una fase di revisione della normativa, questa responsabilità e questa capacità negli anni venga loro riconosciuta, dando anche quel margine di autonomia che non è certamente allontanarsi da altre istituzioni ma rappresenta soltanto la possibilità di dare a questi cittadini un'opportunità di avere risposte in tempi brevi e in maniera molto più chiara rispetto a quello che è accaduto negli anni. Poi sulla capacità anche di tutela in quei territori di altri enti come le sovrintendenze, magari dovremmo discutere e fare un dibattito negli anni perché poi spesso abbiamo visto e vediamo che accadono delle cose anche da questo punto di vista abbastanza surreali con evidenti disparità di trattamento. Quindi Pag. 48credo che da questo punto di vista serve uno sforzo in più da parte del Ministro dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare, sapendo che ci saranno quelle resistenze nei beni culturali che non sono le resistenze del Ministro e della politica ma di settori dell'amministrazione dove, come dicevo, la suggestione del potere di firma è più forte della possibilità di venire incontro alle esigenze dei cittadini.

(Intendimenti del Governo in relazione al progetto di bonifica del sito industriale di Porto Torres, denominato «Nuraghe» – n. 2-01078)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Scotto ed altri n. 2-01078, concernente intendimenti del Governo in relazione al progetto di bonifica del sito industriale di Porto Torres, denominato «Nuraghe» (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Piras se intenda illustrare l'interpellanza Scotto ed altri n. 2-01078 o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  MICHELE PIRAS. Grazie, Presidente. Onorevole sottosegretario Velo, mi si consenta di arrivare al punto facendo una brevissima cronistoria o forse solamente descrivendo il territorio di Porto Torres perché, sa, Porto Torres si trova ad avere una stranissima creatura del genio umano, ma quasi sconosciuta per i più e se lei vedesse per la prima volta Porto Torres forse non immaginerebbe mai le straordinarie ricchezze abbandonate, occultate dalla miopia degli uomini e dalla furia cieca dell'era industriale made in Sardinia che fu.
  Non direbbe, ad esempio, che lì è passata la storia, che in quello straordinario porto naturale è esistita la Iulia Turris Libisonis, crocevia strategico nel Mediterraneo della navigazione commerciale in epoca romana, terra di ricchezze baciata da Iside, che era la dea protettrice dei navigatori; non vedrebbe immediatamente lo straordinario patrimonio naturalistico, il Santuario dei cetacei, l'Asinara, le tracce imponenti della civiltà nuragica, la porta dei migranti sardi verso Genova e verso il nord Europa. Vedrebbe, invece, ciò che tutti noi, immediatamente, a Porto Torres vediamo: il crollo del sistema industriale costruito negli anni Sessanta sopra tutta questa bellezza che ha generato certamente lavoro, reddito, sogni di una possente classe operaia impiantata nell'isola con la mano dello Stato; noterebbe la disgregazione sociale prodotta dalla disoccupazione e dall'impoverimento generalizzato, le contraddizioni laceranti prodotte dai troppi errori commessi dalla politica; comprenderebbe il terribile sacrificio dell'ambiente prodotto dal petrolchimico in cinquant'anni di sconsiderata aggressione del territorio, di sversamenti e di interramenti e troverebbe anche, però, una cittadinanza attiva e nuovi e importanti sussulti di coscienza che oggi rivendicano, affermano e pretendono la bonifica integrale dell'area oggetto della mia interpellanza, una bonifica fatta senza sotterfugi né risparmi di risorse che verrebbero sottratte a un diritto alla salute già pesantemente compromesso nel territorio.
  Il crollo del sistema industriale pubblico ha prodotto deserti di povertà e disoccupazione, deserti di contaminazione e inquinamento, deserti di solitudine e rassegnazione. Ha prodotto una delle zone SIN più estese del Paese e ha prodotto Minciaredda, località sulla quale insiste un progetto di bonifica che kafkianamente qualcuno ha denominato «Nuraghe». Sull'intero sito SIN, questo progetto di bonifica comprende diverse zone, ed arriviamo al punto: il progetto prevede – almeno dalle informazioni da noi finora raccolte – un intervento preliminare nell'area di Minciaredda attraverso la tecnologia multi phase extraction per garantire l'allontanamento delle acque presenti nel sottosuolo, separandole dal surnatante, ed estraendo le frazioni organiche volatili presenti nel sottosuolo; la rimozione delle matrici contaminate solo in corrispondenza di specifiche aree individuate e trattamento delle stesse in una piattaforma polifunzionale da costruire nell'area di Minciaredda; infine, Pag. 49la realizzazione di due siti di raccolta – che non sono altro che discariche di rifiuti speciali, e che io ritengo anche pericolosi, come evidenziano gli elaborati di progetto e la normativa di riferimento – una per depositare i residui derivanti dalle palte fosfatiche di 55 mila metri cubi e un'altra per il resto di 171 mila metri cubi, sempre nella stessa area.
  Ecco, questo progetto di bonifica, che si fonda su questo strano principio che due discariche «... is meglio che one», parrebbe affatto dissimile da quello proposto nel 2009 da Syndial e fortemente avversato dalla comunità locale e dalle sue rappresentanze istituzionali, tanto che nel 2013 l'intero consiglio comunale di Porto Torres, all'unanimità, quindi, di tutte le forze politiche lì rappresentate, in quel mandato amministrativo, votò una mozione che respingeva questo progetto, rivendicando ciò che credo sia legittimo e giusto anche a titolo di risarcimento storico, seppur parziale, del torto subito e della violenza subita da quel territorio, peraltro, per mano di aziende pubbliche e quindi principalmente di aziende a partecipazione pubblica.
  Oggi tutti, invece, sarebbero orientati, così si vocifera, ad accettare l'ennesimo «mezzo diritto» che anche questa è una moda ormai assai diffusa in questo Paese. Dopo anni di colpevole ritardo, perché se ne parla ormai da una vita della bonifica di quell'area, si parla, del diritto, appunto, a una bonifica a metà, rispetto alla quale, tuttavia, in città si sta già organizzando anche la cittadinanza attiva e l'opposizione. Ora, noi sappiamo, così riportano le fonti giornalistiche e le informazioni che abbiamo e di cui chiediamo eventualmente conferma, che il 16 settembre scorso e, quindi, da qui, anche l'urgenza di questa interpellanza, si sarebbe svolto presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, un tavolo tecnico dedicato al progetto Nuraghe.
  Poiché sopravvive, come spesso capita, in queste vicende una sorta di coltre di nebbia, che non si hanno informazioni di prima mano, le chiedo, secondo i quesiti oggetto dell'interpellanza: quali siano le caratteristiche del progetto, quale sia l'opinione del Ministro in merito al progetto e come si intenda rendere partecipe la comunità locale. Questo per poter esprimere una valutazione più compiuta e per consentire alla popolazione locale di essere partecipe di un processo importante come la bonifica di un territorio come quello, di poterlo discutere e di poter valutare se quella è una bonifica che soddisfa le esigenze e il giusto diritto all'ambiente e alla salute di una popolazione ed anche probabilmente nuove opportunità di lavoro, oppure se quella è una bonifica all'italiana, fatta a risparmio, che non risolve il problema e anzi magari lo compromette definitivamente costruendo due discariche nella stessa area, per cui da una parte verrebbe bonificata e dall'altra verrebbe a tempo indeterminato definitivamente compromessa.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, Silvia Velo, ha facoltà di rispondere.

  SILVIA VELO, Sottosegretaria di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare. Il Progetto Nuraghe riguarda la bonifica delle aree dello Stabilimento Petrolchimico di Porto Torres, identificate come Minciaredda (29 ettari), Palte Fosfatiche (3 ettari) e Vasche Peci DMT (1,5 ettari). Inoltre, include la rimozione, il trattamento presso piattaforma polifunzionale on site e l'eventuale recupero di terreni contaminati e rifiuti. I materiali non recuperabili saranno conferiti presso due impianti di confinamento on site, denominati «Modulo Palte Fosfatiche» e «Sito di Raccolta», entrambi localizzati nell'area Minciaredda sud e conformi ai requisiti di legge, Decreto Legislativo n. 36 del 2003. In particolare, il sito di raccolta è destinato a ospitare unicamente rifiuti non pericolosi mentre il «Modulo Palte Fosfatiche» è dedicato alla messa in sicurezza dei rifiuti contenenti TENORM (Technologically Enhanced Naturally Occurring Radioactive Material). Pag. 50Per l'esame del progetto, il Ministero dell'ambiente, a partire dal gennaio 2015, ha avviato un tavolo tecnico con la partecipazione dell'ISPRA, della Regione Sardegna, del Comune di Porto Torres e di tutti gli enti di controllo locali, come ARPA, provincia e ASL.
  Per le problematiche afferenti la presenza di TENORM in area Palte Fosfatiche il Prefetto di Sassari ha istituito la commissione prevista dall'articolo 126-bis del Decreto Legislativo n. 230 del 1995 ai fini dell'istruttoria del relativo procedimento. Il progetto «Nuraghe», trasmesso a dicembre 2014 è stato oggetto di incontri tecnici a gennaio e marzo 2015 e valutato nel corso della Conferenza di Servizi istruttoria del 9 luglio 2015, che ha formulato alcune prescrizioni in merito. In risposta alle prescrizioni formulate dalla conferenza di servizi, l'Azienda ha trasmesso un documento oggetto di discussione nell'incontro tecnico tenutosi il 16 settembre 2015 presso il Ministero dell'Ambiente, alla presenza degli enti locali e di altre amministrazioni, come ISPRA, Capitaneria di Porto di Porto Torres e ARPAS. Esaminati i pareri istruttori acquisiti sul documento di risposta, hanno concordato sulla necessità che l'Azienda trasmetta alcune integrazioni al progetto, sulla base delle prescrizioni formulate. Una volta acquisita la rielaborazione del progetto, sarà convocata la conferenza di servizi istruttoria per la valutazione dello stesso, a cui seguirà, in caso di parere positivo sul progetto, la conferenza di servizi decisoria, per la successiva approvazione con decreto direttoriale. Nel corso della riunione tecnica del 16 settembre scorso, i convenuti hanno concordato la pubblicazione sul sito web del Ministero dell'Ambiente, della documentazione inerente il procedimento, comprendente gli elaborati tecnici di progetto presentati dall'Azienda e i pareri istruttori acquisiti in merito, al fine di rendere partecipe la comunità locale del processo decisionale e rendendo questo materiale, ovviamente, accessibile a chiunque ne voglia prendere visione.

  PRESIDENTE. L'onorevole Piras ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  MICHELE PIRAS. Presidente, prendo atto della risposta ben circostanziata e mi ritengo soddisfatto. Non mi capita spesso. Mi ritengo soddisfatto e la ritengo un impegno, data anche l'ultima parte della risposta, che tiene in considerazione il coinvolgimento della comunità locale. Staremo a vedere nell'incedere di questa vicenda quale sarà il tipo di coinvolgimento, perché, come dicevo nella presentazione dell'interpellanza urgente, la comunità locale, in passato, in maniera assolutamente unitaria, si è già espressa. Non vorremmo, infatti, che in questo momento questa vicenda venisse semplificata e ridotta, rispetto alle esigenze di una bonifica integrale e di una restituzione del territorio alla cittadinanza e del diritto alla salute pieno alla cittadinanza, che questa vicenda in qualche maniera diventasse coercitiva, nel senso di dire: non abbiamo i soldi per fare tutto, ci prendiamo il mezzo. Lo dico perché spesso capita, perché troppo spesso capita, perché troppo si è in ritardo e troppo tardi si interviene. Insisto solo su una questione – ne parlo con il Ministero dell'ambiente ovviamente –: veramente si vada a vedere la potenzialità di quel territorio, che ha ormai maturato – questo è evidente – una vocazione industriale. Si potrebbe pensare a un modello industriale magari meno impattante sull'ambiente, più rispettoso dei diritti delle persone e del diritto a vivere in un ambiente sano. Poi, bisognerebbe provare a pensare un investimento serio in quel territorio, così fortemente intaccato dalla disoccupazione, che valorizzasse anche gli elementi di un modello di sviluppo di tipo nuovo, che investisse laddove nel secondo dopoguerra non si è pensato di investire, cioè sul grande filone culturale, storico, archeologico, architettonico e ambientale, che in quel territorio potrebbe essere un viatico di sviluppo sano, buono, per tutta la popolazione e che potrebbe avviare anche nella mia terra probabilmente una riconversione diversa Pag. 51rispetto a quella che si intravede in alcuni provvedimenti anche di questo Governo.

  PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.

Ordine del giorno della prossima seduta.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

  Lunedì 21 settembre 2015, alle 12:

  1.  –  Discussione sulle linee generali del disegno di legge:
   Legge annuale per il mercato e la concorrenza (C. 3012-A).
   e delle abbinate proposte di legge: CAUSI e BENAMATI; MARCO DI STEFANO ed altri; MORETTO ed altri; COLLETTI ed altri; VIGNALI; RUSSO ed altri; SIMONETTI ed altri. (C. 2437-2469-2684-2708-2733-3025-3060).
  — Relatori: Fregolent (per la VI Commissione) e Martella (per la X Commissione), per la maggioranza; Allasia, di minoranza.

  2.  –  Discussione sulle linee generali del disegno di legge:
   S. 1167 – Delega al Governo per la riforma del codice della nautica da diporto (Approvato dal Senato) (C. 2722).
  — Relatore: Tullo.

  3.  –  Discussione sulle linee generali delle mozioni Ciprini ed altri n. 1-00878 e Di Salvo ed altri n. 1-00988 concernenti iniziative volte a sospendere o revocare il blocco della contrattazione nel pubblico impiego.

  4.  –  Discussione sulle linee generali della proposta di inchiesta parlamentare:
   FEDRIGA ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla gestione del sistema di accoglienza e di identificazione ed espulsione nonché sui costi del fenomeno immigratorio. (Doc. XXII, n. 38-A).
  — Relatori: Ferrari, per la maggioranza; Invernizzi, di minoranza.

  5.  –  Discussione sulle linee generali delle mozioni Occhiuto ed altri n. 1-00923 e Franco Bordo ed altri n. 1-00987 concernenti iniziative per la conclusione dei lavori dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria e il potenziamento del sistema dei trasporti della regione Calabria.

  La seduta termina alle 13,25.

ERRATA CORRIGE

  Nel resoconto stenografico della seduta del 17 settembre 2015:
   a pagina Votazioni IV, votazione nominale n. 86 nella colonna oggetto, il numero «21.151» si intende sostituito dal seguente «21.6».