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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Lunedì 8 febbraio 2016

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta dell'8 febbraio 2016.

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Amendola, Amici, Baldelli, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Calabria, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cimbro, Costa, Crippa, D'Alia, Dadone, Dambruoso, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Fraccaro, Franceschini, Garofani, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Merlo, Migliore, Nicoletti, Orlando, Piccoli Nardelli, Gianluca Pini, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scotto, Tabacci, Tancredi, Valeria Valente, Velo, Vignali, Zanetti.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 5 febbraio 2016 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   BALDASSARRE ed altri: «Disposizioni per lo svolgimento contemporaneo delle elezioni regionali e amministrative della primavera 2016 e dei referendum» (3587);
   BOSSA e MURER: «Istituzione del “Giorno scolastico del gioco” dedicato al gioco come strumento di valore sociale ed educativo» (3588);
   SCOTTO ed altri: «Disposizioni per lo svolgimento contemporaneo delle elezioni amministrative e dei referendum previsti dall'articolo 75 della Costituzione» (3589);
   ROBERTA AGOSTINI: «Istituzione della Giornata nazionale del diritto di voto delle donne» (3590);
   GIORGIS e GASPARINI: «Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in materia di diritto di elettorato attivo e passivo degli stranieri legalmente residenti in Italia nelle elezioni comunali, provinciali e circoscrizionali» (3591);
   FERRARESI e PAOLO BERNINI: «Modifiche al codice civile, al codice penale, alla legge 20 luglio 2004, n. 189, e alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, in materia di tutela degli animali» (3592).

  Saranno stampate e distribuite.

Ritiro di proposte di legge.

  La deputata Bossa ha comunicato, anche a nome degli altri firmatari, di ritirare la seguente proposta di legge:
   BOSSA ed altri: «Istituzione del “Giorno del gioco” dedicato al gioco come strumento di valore sociale ed educativo per l'infanzia» (1220).

  Il deputato Giorgis ha comunicato, anche a nome degli altri firmatari, di ritirare la seguente proposta di legge:
   GIORGIS ed altri: «Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in materia di diritto di elettorato attivo e passivo degli stranieri legalmente residenti in Italia nelle elezioni comunali e circoscrizionali» (2460).

  Le proposte di legge saranno pertanto cancellate dall'ordine del giorno.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:

   III Commissione (Affari esteri):
  VENITTELLI ed altri: «Ratifica ed esecuzione della Convenzione dell'Organizzazione internazionale del lavoro C 188 sul lavoro nel settore della pesca, fatta a Ginevra il 14 giugno 2007» (3537) Parere delle Commissioni I, V, IX, XI, XII e XIII.

   XII Commissione (Affari sociali):
  PAOLA BOLDRINI ed altri: «Istituzione della rete nazionale dei registri dei tumori» (3555) Parere delle Commissioni I, II, V, VIII, XI e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

   Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e IV (Difesa):
  MARCON ed altri: «Istituzione del Dipartimento della difesa civile non armata e non violenta presso la Presidenza del Consiglio dei ministri» (3484) Parere delle Commissioni III, V, VI, VIII, X, XI e XII.

Trasmissione dalla Corte dei conti.

  Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 2 febbraio 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'ENI Spa, per l'esercizio 2014. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 352).

  Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla X Commissione (Attività produttive).

Trasmissione dal Ministro della difesa.

  Il Ministro della difesa, con lettera in data 4 febbraio 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 12, comma 2, del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, la relazione sullo stato di avanzamento dei provvedimenti di ristrutturazione delle Forze armate, riferita all'anno 2015 (Doc. XXXVI-bis, n. 3).

  Questa relazione è trasmessa alla IV Commissione (Difesa).

Trasmissioni dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

  Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con lettera in data 5 febbraio 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 66, comma 3, della legge 17 maggio 1999, n. 144, la relazione sulla formazione continua in Italia, riferita all'annualità 2014-2015 (Doc. XLII, n. 3).

  Questa relazione è trasmessa alla XI Commissione (Lavoro).

  Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con lettera in data 5 febbraio 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 19, comma 7, del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, la relazione della Commissione di vigilanza sui fondi pensione, riferita all'anno 2014 (Doc. CXIX, n. 3).

  Questa relazione è trasmessa alla VI Commissione (Finanze) e alla XI Commissione (Lavoro).

  Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con lettera in data 5 febbraio 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 3, comma 2, della legge 15 dicembre 1998, n. 438, la relazione concernente il contributo statale a favore delle associazioni nazionali di promozione sociale, riferita all'anno 2014 (Doc. CCV, n. 3).

  Questa relazione è trasmessa alla XII Commissione (Affari sociali).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 4 e 5 febbraio 2016, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio-Relazione sull'attuazione dei punti di crisi (hotspot) in Grecia (COM(2015) 678 final), corredata dai relativi allegati (COM(2015) 678 final – Annexes 1 to 5), che è assegnata in sede primaria alla I Commissione (Affari costituzionali);
   Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio-Relazione sull'attuazione dei punti di crisi (hotspot) in Italia (COM(2015) 679 final), corredata dai relativi allegati (COM(2015)679 final – Annexes 1 to 5), che è assegnata in sede primaria alla I Commissione (Affari costituzionali);
   Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sui progressi compiuti dalla Bulgaria in base al meccanismo di cooperazione e verifica (COM(2016) 40 final), che è assegnata in sede primaria alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea);
   Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sui progressi compiuti dalla Romania in base al meccanismo di cooperazione e verifica (COM(2016) 41 final), che è assegnata in sede primaria alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea);
   Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio – Valutazione dell'efficacia dell'attuale sistema di istituzioni pubbliche europee di finanziamento che promuovono gli investimenti in Europa e nei paesi vicini (COM(2016) 46 final), che è assegnata in sede primaria alle Commissioni riunite III (Affari esteri) e V (Bilancio);
   Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio concernente i progressi compiuti nell'attuazione del regolamento (CE) n. 391/2009 e della direttiva 2009/15/CE relativi alle disposizioni ed alle norme comuni per gli organismi che effettuano le ispezioni e le visite di controllo delle navi e per le pertinenti attività delle amministrazioni marittime (COM(2016) 47 final), che è assegnata in sede primaria alla IX Commissione (Trasporti);
   Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sull'andamento delle spese del FEAGA – Sistema d'allarme n. 11-12/2015 (COM(2016) 65 final), corredata dal relativo allegato (COM(2016) 65 final – Annex 1), che è assegnata in sede primaria alla XIII Commissione (Agricoltura).

  Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 4 febbraio 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 1 e 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.

  Questi atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

  Con la predetta comunicazione, il Governo ha altresì richiamato l'attenzione sui seguenti documenti, già trasmessi dalla Commissione europea e assegnati alle competenti Commissioni, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento:
   Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale (COM(2016) 25 final);
   Proposta di direttiva del Consiglio recante norme contro le pratiche di elusione fiscale che incidono direttamente sul funzionamento del mercato interno (COM(2016) 26 final);
   Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'omologazione e alla vigilanza del mercato dei veicoli a motore e dei loro rimorchi, nonché dei sistemi, componenti ed entità tecniche destinati a tali veicoli (COM(2016) 31 final).

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

MOZIONE NICOLETTI, BERGAMINI, ALLI, LOCATELLI ED ALTRI N. 1-00966 CONCERNENTE INIZIATIVE IN MERITO AL RISPETTO DEI DIRITTI UMANI IN COREA DEL NORD, NONCHÉ IN RELAZIONE ALLA POLITICA DEGLI ARMAMENTI DI TALE PAESE

Mozione

   La Camera,
   premesso che:
    con una risoluzione del 28 marzo 2014, il Consiglio Onu dei diritti umani ha condannato la Corea del Nord per le sistematiche, massicce e gravi violazioni dei diritti umani – crimini contro l'umanità compresi – che continuano a essere commesse nel Paese;
    centinaia di migliaia di persone, come denunciato più volte da Amnesty international e confermato di recente dal rapporto della Commissione d'inchiesta delle Nazioni Unite sulla Corea del Nord, sono detenuti in campi di prigionia politica e in altre strutture detentive del Paese. Molte di loro non hanno commesso alcun reato se non quello «associativo», dovuto al fatto di essere parenti di persone colpevoli di reati politici. Il testo del rapporto riporta testimonianze dirette e indirette che hanno fatto luce su un Paese definito «senza paragoni nel mondo contemporaneo» dal giudice australiano Michael Kirby che ha guidato il lavoro della Commissione d'inchiesta Onu. Le responsabilità, si sottolinea nel rapporto, sono molteplici ma alla fine riconducibili ai più alti livelli del Governo, che coscientemente pone in uno stato di sudditanza e paura estrema la popolazione, perseguendo duramente e senza alcun rispetto per trattati e convenzioni internazionali ogni forma di dissenso o comportamenti giudicati anormali o anche solo stravaganti;
    tali abusi sono stati ripetutamente segnalati anche da numerose organizzazioni internazionali e da testimoni come Shin Dong-Hyuk, esule nordcoreano fuggito dal campo di prigionia a 23 anni, il quale nell'aprile 2015 ha visitato l'Italia e raccontato la sua esperienza di prigionia fin dalla nascita. Queste testimonianze si aggiungono alla documentazione di numerosi organismi internazionali che hanno provato l'esistenza di almeno 6 campi di concentramento, con oltre 15.000 prigionieri politici ed altri detenuti per un totale di prigionieri stimabile intorno alle 200.000 unità;
    la Corea del Nord sta attraversando un nuovo periodo di carestia simile a quello dei primi anni ’90 che, assieme alla catastrofica politica economica, portò alla morte di milioni di cittadini nordcoreani. Nonostante la grave situazione alimentare del Paese, il Governo nordcoreano pone numerose limitazioni alle agenzie internazionali e alle organizzazioni non governative indipendenti che portano aiuti; inoltre, il sistema giudiziario della Repubblica democratica popolare di Corea non risulta essere libero e indipendente, la pena di morte è applicata per numerosi reati e il codice penale non risulta in linea con gli standard internazionali, così da legittimare abusi e decisioni arbitrarie. Le libertà di opinione, espressione e associazione sono gravemente compresse dalle autorità governative nonostante le garanzie costituzionali;
    la Corea del Nord ha sottoscritto importanti convenzioni internazionali, tra le quali il Patto internazionale sui diritti civili e politici e la Convenzione sul diritti del fanciullo;
    il Parlamento europeo ha approvato diverse risoluzioni mettendo in evidenza la criticità della situazione dei diritti umani nella Corea del Nord ed ha esortato le autorità del Paese a porre fine agli abusi perpetrati ai danni della popolazione, cessando le esecuzioni, le torture ed i lavori forzati e garantendo l'accesso all'assistenza alimentare;
    risulta chiaro che l'avvicendamento al potere di Kim Jong-un, succeduto al padre Kim Jong-il alla fine del 2011, non abbia apportato alcun miglioramento della situazione dei diritti umani nella Corea del Nord;
    numerose organizzazioni non governative internazionali per i diritti umani hanno esortato l'Unione europea ad occuparsi maggiormente della questione dei diritti umani nella Corea del Nord,

impegna il Governo:

   ad adoperarsi in tutte le sedi internazionali, in particolare l'Onu e l'Unione europea, affinché si continuino ad evidenziare e condannare le violazioni dei diritti umani perpetrate dalla Corea del Nord;
   ad assumere iniziative, per quanto di competenza, presso il Governo della Repubblica democratica popolare di Corea affinché possano cessare al più presto le gravi violazioni dei diritti umani, si possa mettere fine alle esecuzioni capitali e si possano chiudere i campi di prigionia e «rieducazione».
(1-00966) «Nicoletti, Bergamini, Alli, Locatelli, Carrozza, Dell'Aringa, Misiani, Patriarca, Schirò, Zampa, Stella Bianchi, Centemero, Sereni, Quartapelle Procopio».


MOZIONI MOLTENI ED ALTRI N. 1-00950, BORGHI ED ALTRI N. 1-00952, COMINARDI ED ALTRI N. 1-01137, POLVERINI ED ALTRI N. 1-01138, ALLI ED ALTRI N. 1-01141 E PLANGGER ED ALTRI N. 1-01142 CONCERNENTI INIZIATIVE A FAVORE DEI LAVORATORI FRONTALIERI, IN PARTICOLARE ALLA LUCE DEL RECENTE ACCORDO SOTTOSCRITTO CON LA CONFEDERAZIONE ELVETICA

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    ciò che distingue il lavoratore frontaliero dal tradizionale lavoratore migrante è il fatto di essere residente in uno Stato e di lavorare in un altro. Mentre il secondo lascia il suo Paese di origine, con o senza la sua famiglia, per abitare e lavorare in un Paese diverso dal suo, il frontaliere ha una doppia cittadinanza nazionale per il luogo di residenza e il luogo di lavoro;
    tuttavia risulta impossibile stabilire un concetto univoco che comprenda criteri obiettivi per la definizione del lavoro frontaliero. Tale concetto copre infatti realtà diverse, a seconda che si consideri l'accezione comunitaria – enunciata in particolare in materia di sicurezza sociale – o le numerose definizioni contenute nelle convenzioni bilaterali di doppia imposizione – valide per la determinazione del regime fiscale applicabile ai lavoratori frontalieri;
    l'espressione «lavoratore frontaliero» designa qualsiasi lavoratore occupato sul territorio di uno Stato membro e residente sul territorio di un altro Stato membro (criterio politico), dove torna in teoria ogni giorno o almeno una volta alla settimana (criterio temporale). Questa definizione, che, oltre agli elementi intrinseci dello spostamento dal domicilio al luogo di lavoro attraverso una frontiera, conserva la condizione temporanea del ritorno quotidiano o settimanale al domicilio, si applica tuttavia solamente alla protezione sociale dei lavoratori in questione all'interno dell'Unione europea;
    la situazione dei frontalieri abitanti nell'Unione europea che si spostano per lavorare nella Confederazione Elvetica presenta alcune notevoli peculiarità rispetto a quella dei frontalieri che lavorano e risiedono nell'Unione europea;
    mentre all'interno dell'Unione europea il loro statuto si fonda sulla libera circolazione, definita dal trattato di Roma, che si concretizza nell'affermazione del principio della non discriminazione tra i frontalieri e i residenti, la Svizzera ha un regime di soggiorno e di occupazione fondato sul permesso di lavoro;
    tale permesso è concesso, in generale, per un anno; vi è specificata la retribuzione, che deve rispettare il minimo salariale del cantone, definito dall'Ufficio cantonale del lavoro. Il permesso è concesso solo se il lavoratore ha trovato un datore di lavoro, e dopo aver verificato che non vi siano iscritti nelle liste locali di collocamento per lo stesso genere di incarico. La concessione dei permessi in ciascun cantone è subordinata a una quota minima di lavoratori nazionali presenti in ogni impresa;
    stando alle recenti comunicazioni dell'Ufficio federale di statistica (UST), anche nel 2014 è aumentato il numero dei frontalieri in Svizzera, saliti a 287.100 a livello nazionale, lo stesso trend si registra anche in Ticino, con un numero di lavoratori abitanti in Italia che si attesta a 61.593;
    secondo i dati, a livello elvetico la crescita è risultata inferiore a quella del 2013 e rappresenta anche il valore più basso degli ultimi cinque anni, ma nell'arco di un lustro l'incremento è del 29,6 per cento. In Ticino nello stesso periodo la percentuale è maggiore, pari a +34,8 per cento: nel 2009 i frontalieri erano infatti ancora solo 4568;
   nel febbraio 2015 il Governo italiano e il Consiglio federale svizzero hanno siglato il Protocollo che modifica la Convenzione tra i due Paesi per evitare le doppie imposizioni. Il Protocollo, che prevedendo lo scambio di informazioni su richiesta ai fini fiscali secondo lo standard OCSE pone fine al segreto bancario, è stato firmato per l'Italia dal Ministro dell'economia e delle finanze Pier Carlo Padoan, e per la Svizzera dal capo del dipartimento federale delle finanze Eveline Widmer-Schlumpf;
    unitamente al Protocollo è stata anche sottoscritta una road map, un documento politico che fissa il percorso per la prosecuzione dei negoziati su altre questioni tra cui revisione dell'accordo del 1974 sulla tassazione dei lavoratori frontalieri, ad oggi ancora in vigore e che prevede la tassazione esclusiva in Svizzera con il ristorno del 40 per cento del gettito ai comuni italiani della zona di confine;
    il nuovo accordo tra Roma e Berna, perfezionato il 22 dicembre 2015, rappresenta una rivoluzione per gli equilibri consolidati nell'economia transfrontaliera, in quanto abolisce due meccanismi sinora inamovibili: i ristorni ai comuni di frontiera, una partita da 60 milioni di euro annui destinata a comuni e province di frontiera, e la tassazione alla fonte per circa 62 mila lavoratori italiani, di cui 25 mila varesini, 20 mila comaschi ed i restanti sondriesi e piemontesi;
    il nuovo accordo, invece, nel porre fine al meccanismo del ristorno, prevedendo che sia lo Stato italiano a compensare i comuni di frontiera, lascia una preoccupante incognita sulla garanzia dell'attuale gettito ai medesimi comuni, in un quadro più ampio di incertezza italiana della propria posizione fiscale;
    quanto alla tassazione, i lavoratori italiani frontalieri in Svizzera saranno assoggettati ad imposizione sia nello Stato in cui esercitano l'attività che nello Stato di residenza, ritrovandosi a pagare le tasse sui redditi per il 70 per cento in Svizzera e per il restante 30 per cento in Italia, con un aumento graduale del carico fiscale che – a regime – assume la connotazione di una vera e propria stangata;
    il processo, infatti, non sarà immediato. Dall'entrata in vigore dell'accordo, prevista per il 2018, inizierà il cosiddetto split fiscale che dovrà portare la tassazione a pieno regime dieci anni dopo, nel 2028, con un aumento progressivo che si valuta del 10 per cento annuo;
    secondo prime stime, trattasi di 200 milioni di euro di tassazione in più da versare ogni anno allo Stato italiano e 15 milioni di euro in più alle casse del Canton Ticino, con una media di oltre 3.000 euro all'anno in più da versare per ogni contribuente;
    i nuovi termini dell'accordo hanno già prodotto i primi effetti negativi: dal 7 luglio 2015 sui circa 62 mila lavoratori italiani frontalieri grava l'onere dell'assicurazione malattia e spese per le cure mediche;
    in un momento storico dove l'economia ha difficoltà globalizzate, l'INPS deve ancora spiegazioni a tutti i frontalieri che si chiedono dove sia finito il tesoretto da 200 milioni che finanziava la legge n. 147 del 1997 (un fondo che, ricordiamo, venne formato con i contributi di disoccupazione pagati dai frontalieri in Svizzera e da questa ristornati all'Italia);
    va ricordata altresì la giacenza a Berna del cosiddetto tesoretto di 3 miliardi di franchi (2,8 miliardi di euro), dovuto al versamento contributivo per il secondo pilastro da parte di cittadini italiani frontalieri che hanno lavorato nei diversi cantoni della Confederazione Elvetica,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per prevedere che nel nuovo regime fiscale vengano puntualmente disciplinati i ristorni dei frontalieri verso i comuni di residenza, con certezza dell'ammontare dei ristorni e delle modalità di distribuzione, al fine di salvaguardare i comuni di frontiera e garantire che l'attuale gettito non sia messo in discussione;
   ad assumere iniziative per stabilire, tramite accordi di programma definiti dai territori di confine interessati – stante la reciprocità prevista nell'accordo del 22 dicembre 2015, nell'ambito del quale sono ricompresi anche i frontalieri svizzeri che lavorano in Italia – che parte della tassazione sia vincolata per il progresso socio-economico e lo sviluppo delle infrastrutture strategiche delle rispettive nazioni;
   ad assumere iniziative per garantire che il nuovo sistema fiscale una volta a regime comporti per i lavoratori italiani frontalieri in Svizzera una tassazione simile a quella previgente al rinnovo della Convenzione;
   a prevedere lo sblocco da parte dell'INPS dei fondi per il finanziamento della legge n. 147 del 1997;
   a prevedere nell'ambito del disegno di legge di ratifica il perfezionamento di accordi di interscambio scolastico e formativo per i giovani delle zone di confine;
   a intervenire sospendendo l'applicazione della norma sulle spese mediche, ricordando come questa, oltre ad un ulteriore aggravio impositivo per i lavoratori, porterebbe ad una disparità di trattamento tra i frontalieri che già lavorano in Ticino rispetto ai nuovi frontalieri, per i quali le casse malati svizzere saranno da oggi un'opzione più interessante;
   ad assumere iniziative per garantire il recupero di tutte le posizioni e l'individuazione di tutti i nominativi dei legittimi titolari delle somme giacenti a Berna.
(1-00950)
(Ulteriore nuova formulazione) «Molteni, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    in questi mesi è in corso di definizione il negoziato tra il nostro Paese e la Confederazione Elvetica, negoziato che disciplinerà, oltre ai rapporti fiscali tra i due Paesi, anche importanti competenze ad oggi soggette a precedenti accordi quali ad esempio quelle sul lavoro frontaliero;
    il quadro delle relazioni con la Confederazione Elvetica risulta essere complesso a seguito delle prese di posizione dei massimi responsabili istituzionali del Canton Ticino e all'assunzione di specifiche iniziative unilaterali lesive dei principi di libera circolazione delle persone, di libertà della concorrenza e di intrapresa e di uguaglianza di fronte alla legge;
    risultano essere infatti ormai quotidiane le dichiarazioni pubbliche di esponenti istituzionali del Canton Ticino tese a mettere in discussione sia i diritti dei numerosi cittadini italiani occupati regolarmente presso imprese e aziende ticinesi, sia lo stato delle relazioni Italia-Svizzera, concentrate oggi sui negoziati fiscali e sull'accordo per l'imposizione fiscale dei lavoratori frontalieri;
    ad oggi i lavoratori frontalieri in territorio elvetico provenienti dall'Italia risultano essere circa 60.000 e numerose sono le piccole e medie aziende dei territori di confine della Valle d'Aosta, del Piemonte, della Lombardia e della provincia autonoma di Bolzano ad essere interessate nei processi di fornitura e di assistenza nell'ambito del mercato elvetico;
    nei confronti dei lavoratori frontalieri si è assistito negli ultimi mesi, complice anche la campagna elettorale in territorio elvetico, ad un continuo ed ingiustificato attacco di natura discriminatoria e xenofoba;
    in particolare, hanno destato scalpore, a questo riguardo, la decisione del Canton Ticino tesa ad obbligare ogni cittadino italiano in via di occupazione in Svizzera a presentare il certificato dei carichi pendenti in allegato alla richiesta di assunzione;
    in questa direzione si è inserito anche l'avvio dell'elaborazione da parte del Consiglio di Stato del Ticino di una clausola fortemente restrittiva sul reddito dei cittadini italiani occupati in Ticino mediante una maggiorazione del trattamento fiscale sulla base della nazionalità italiana dei lavoratori, circostanze ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo in palese contrasto con l'accordo sulla libera circolazione delle persone sottoscritto tra Unione europea e Confederazione Elvetica;
    è da sottolineare altresì la volontà di introdurre su base cantonale un limite restrittivo di quote dei frontalieri, smentendo in tal modo la competenza del Consiglio federale e ponendo di fatto un'azione di messa in mora dell'accordo sulla libera circolazione delle persone;
    a ciò si aggiunga il fatto che il 24 marzo 2015, con provvedimento n. 24 del 2015, il Gran Consiglio della Repubblica e Cantone Ticino ha approvato la legge sulle imprese artigianali per l'esercizio della professione di imprenditore nel settore artigianale, introducendo elementi che vanno nella direzione di ostacolare la libera circolazione delle imprese estere in Canton Ticino;
    nello specifico agli articoli 3 e 4 della legge si è decretata l'istituzione di un albo delle imprese artigianali, la cui iscrizione da parte delle stesse costituisce conditio sine qua non per l'esercizio della professione, ed è subordinata al rispetto di determinati requisiti professionali, così come previsto dall'articolo 6 della legge stessa, la cui identificazione è rimandata all'approvazione di apposito regolamento pubblicato sul bollettino ufficiale delle leggi del Canton Ticino il 20 gennaio 2016;
    i contenuti del suddetto regolamento prevedono, tra le altre cose, il rispetto dei seguenti requisiti:
   a) diplomi e titoli di studio prevedendo il riconoscimento unilaterale dei diplomi e certificati esteri da parte della Segreteria di Stato Svizzera – SEFRI;
   b) attestati e referenze concernenti l'attività pratica;
   c) certificato di solvibilità personale;
   d) dimostrazione di lavorare in Svizzera da almeno 5 anni;
   e) eventuali infrazioni saranno sanzionate con multe sino a 50.000 franchi;
    una disposizione che, così concepita, necessita di approfondimenti sia rispetto al percorso formativo abilitante sia rispetto alla modalità per il riconoscimento dell'esperienza professionale;
    in merito all'omologazione dei titoli di specializzazione professionale degli artigiani italiani con quelli riconosciuti in Svizzera, come già emerso in passato, e ribadito in occasione nell'incontro tenutosi il 30 giugno 2015 presso il Ministero dello sviluppo economico – divisione VI cooperazione economica bilaterale in merito alla professionalità degli elettricisti ed idraulici italiani, l'ostacolo è rappresentato dal diverso percorso formativo adottato nei due Paesi; impedimento che non può essere superato, così come prospettato dalla Svizzera, con l'introduzione di obbligo di frequentazione da parte delle imprese italiane di idoneo corso professionale riconosciuto dal legislatore svizzero e successivo superamento di un esame di pratica;
    la disamina della questione dovrebbe tener conto anche di quanto previsto dalle direttive europee 2005/36/CE e 2013/55/UE, che nell'istituire un regime di riconoscimento delle qualifiche professionali nell'Unione europea, estesa anche ad altri Paesi dello spazio economico europeo (SEE) e alla Svizzera, mira a rendere i mercati del lavoro più flessibili, a liberalizzare ulteriormente i servizi, a favorire il riconoscimento automatico delle qualifiche professionali e a semplificare le procedure amministrative;
    in tal senso sembra significativo quanto sancisce l'articolo 16 della direttiva 2005/36/EU che recita: «Se in uno Stato membro l'accesso a una delle attività legate all'allegato IV o il suo esercizio è subordinato al possesso di conoscenze e competenze generali, commerciali o professionali, lo Stato membro riconosce come prova sufficiente di tali conoscenze e competenze l'aver esercitato l'attività considerata in un altro Stato membro»;
    in questa direzione va anche la direttiva 2013/55/UE, applicabile dal 18 gennaio 2016, che nel prevedere la creazione di una tessera professionale europea consente ai cittadini di poter chiedere il riconoscimento delle proprie qualifiche professionali;
    si evidenzia altresì che esiste un apposito Accordo tra la Confederazione Svizzera, da una parte, e l'Unione europea ed i suoi Stati membri, dall'altra, sulla libera circolazione delle persone i cui lavori si sono conclusi il 21 giugno 1999, approvato dall'Assemblea federale svizzera l'8 ottobre 1991, ratificato con strumenti depositati il 16 ottobre 2000, entrato in vigore il 1o giugno 2002;
    il provvedimento adottato coinvolge 4.548 ditte artigiane individuali e 9.835 dipendenti di società, per un totale di 14.383 italiani che nel corso del 2015 hanno prestato, per un periodo di tempo inferiore ai 90 giorni anno, lavoro in Svizzera nel Canton Ticino. Questi lavoratori, imprenditori e loro dipendenti, sono per lo più di provenienza lombarda e piemontese, in particolare delle province di Varese, Como, Verbano Cusio Ossola, che, per il ruolo che giocano a supporto dell'economia cantonale, quale importante forma di collaborazione per lo sviluppo di alcuni comparti economici (in primis quelli legati alla filiera dell'abitare), sono sempre stati al centro del dibattito in Canton Ticino in quanto ingiustamente accusati di sottrarre opportunità di lavoro alle imprese locali;
    le richiamate gravi prese di posizione nei confronti dei cittadini italiani lavoratori frontalieri in Svizzera sono diventate pressoché quotidiane, creando una forte tensione nei rapporti con la Confederazione elvetica, per evitare la quale si ritiene indispensabile che quest'ultima in maniera esplicita smentisca formalmente con propri atti alcune iniziative condotte dalle autorità cantonali ticinesi a scapito dei principi della libera circolazione delle persone;
    mentre tutto ciò si è andato realizzando, in data 22 dicembre 2015 l'Italia e la Svizzera hanno parafato un accordo sull'imposizione fiscale dei lavoratori frontalieri, unitamente ad un protocollo che modifica le relative disposizioni della Convenzione contro le doppie imposizioni, al fine di concretizzare uno dei principali impegni assunti dai due Stati nella «road map», firmata nel febbraio 2015 in occasione dei procedimenti connessi con l'approvazione della «voluntary disclosure». Il nuovo accordo, chiamato a sostituire quello del 1974, allo stato non risulta essere stato ancora firmato da parte di entrambi i Governi, né tantomeno approvato da parte dei rispettivi Parlamenti, e i Governi hanno annunciato che il testo sarà reso disponibile e pubblico al momento della firma;
    secondo quanto reso pubblico con un comunicato congiunto del Ministero dell'economia e delle finanze della Repubblica italiana e dalla Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali della Confederazione Elvetica, l'accordo comprende i seguenti principali elementi:
   a) si fonda sul principio di reciprocità;
   b) fornisce una definizione di aree di frontiera che, per quanto riguarda la Svizzera, sono i Cantoni dei Grigioni, del Ticino e del Vallese e, nel caso dell'Italia, le regioni Lombardia, Piemonte, Valle d'Aosta e provincia autonoma di Bolzano;
   c) fornisce una definizione di lavoratori frontalieri al fine dell'applicazione dell'accordo e include i lavoratori frontalieri che vivono nei comuni i cui territori ricadono, per intero o parzialmente, in una fascia di 20 chilometri dal confine e che, in via di principio, ritornano quotidianamente nel proprio Stato di residenza;
   d) per quanto riguarda l'imposizione, lo Stato in cui viene svolta l'attività lavorativa imporrà sul reddito da lavoro dipendente al 70 per cento al massimo dell'imposta risultante dall'applicazione delle imposte ordinarie sui redditi delle persone fisiche. Lo Stato di residenza applicherà le proprie imposte sui redditi delle persone fisiche ed eliminerà la doppia imposizione;
   e) viene effettuato uno scambio di informazioni in formato elettronico relativo ai redditi da lavoro dipendente dei lavoratori frontalieri;
   f) l'accordo sarà sottoposto a riesame ogni cinque anni;
    il comparto del frontalierato risulta essere interessato, sul fronte interno, da un provvedimento relativo ad una controversa interpretazione normativa relativa al paventato rischio di pagamento da parte dei lavoratori frontalieri dell'assistenza sanitaria italiana, a seguito dell'emanazione di una circolare del Ministero della salute che, richiamando un accordo Stato-regioni in data 20 dicembre 2012, lascerebbe supporre che per i lavoratori italiani occupati in Svizzera e per i titolari di pensione svizzera possa essere prevista l'iscrizione volontaria al servizio sanitario nazionale, mediante il pagamento alla asl di residenza di un contributo fissato dal decreto ministeriale 8 ottobre 1986 e successive modificazioni e integrazioni, circostanza che sta aprendo numerosi dubbi e interrogativi circa la fondatezza giuridico-costituzionale del provvedimento a causa della sua onerosità, della lesione del principio di universalità sul quale si fonda il servizio sanitario nazionale e sulla circostanza che si renderebbe impossibile una pratica uniforme del provvedimento in assenza da parte dell'Italia dell'elenco anagrafico dei frontalieri;
    l'intera questione relativa allo stato delle relazioni tra Italia e Svizzera deve essere colta dal Governo nella sua globalità e complessità e le determinazioni da assumersi in merito non possono essere astratte rispetto al quadro complessivo delle situazioni in campo, ivi compresa la necessaria corrispondenza di risposte ufficiali da parte delle competenti istituzioni elvetiche in termini di positiva cooperazione e di effettiva disponibilità,

impegna il Governo:

   a richiedere un chiarimento formale alla Confederazione Elvetica in merito alle decisioni discriminatorie assunte dal Canton Ticino in contrasto con gli accordi di libera circolazione delle persone;
   a rivalutare l'accordo tra Italia e Svizzera in materia fiscale in relazione alla formulazione, da parte delle competenti autorità federali e cantonali svizzere, di specifiche assicurazioni formali tendenti ad escludere la validità e l'applicazione di qualsivoglia iniziativa discriminatoria e lesiva dell'accordo di libera circolazione delle persone intercorrente tra Unione europea e Confederazione Elvetica nei confronti di cittadini italiani occupati o occupabili in Svizzera e di aziende italiane potenzialmente interessate al mercato elvetico, nonché alla rimozione di ogni forma di discriminazione sin qui messa in campo, ivi compresa l'individuazione da parte della Svizzera di una soluzione euro-compatibile di adeguamento della propria legislazione al risultato del voto popolare sull'iniziativa del 9 febbraio 2014;
   a fare in modo che in ogni caso, modalità e tempistiche relative all'armonizzazione fiscale tra cittadini italiani frontalieri compresi entro la fascia dei 20 chilometri e cittadini italiani frontalieri fuori fascia siano disciplinate, per quanto di competenza del Governo italiano, nel disegno di legge di ratifica dell'accordo tra Repubblica italiana e Confederazione Elvetica o in altre iniziative normative;
   ad operare affinché in tale contesto venga prevista l'introduzione della franchigia per i lavoratori frontalieri di cui alla legge di stabilità 2015 in termini di permanente agevolazione Irpef anche per i lavoratori frontalieri presenti all'interno della fascia di 20 chilometri dal confine italo-elvetico;
   ad assumere iniziative per garantire che nel nuovo quadro giuridico si provveda ad assicurare ai comuni di frontiera l'erogazione dell'equivalente dell'attuale ristorno delle imposte versate dai lavoratori frontalieri secondo l'accordo del 1974, mediante specifica disposizione legislativa italiana che commisuri la ripartizione fiscale spettante ai comuni di frontiera alla dinamica del monte salari complessivamente prodotto dal comparto transfrontaliero, avendo come montante minimo di partenza il valore complessivo dei ristorni fiscali generato nell'ultimo anno fiscale di vigenza dell'accordo Italia-Svizzera del 1974;
   ad avviare, in conformità a specifiche mozioni già adottate dal Parlamento italiano, il percorso finalizzato alla realizzazione dello «statuto del frontaliere» come parte integrante e sostanziale del processo di ratifica del futuro accordo tra Italia e Svizzera;
   ad adoperarsi per un costante coinvolgimento delle istituzioni locali interessate (regioni Valle d'Aosta, Piemonte e Lombardia, provincia autonoma di Bolzano, province di Sondrio e del Verbano Cusio Ossola, in considerazione anche delle loro nuove competenze in materia di cooperazione frontaliera a seguito della legge n. 56 del 2014, province di Como, Lecco e Varese) e dalle rappresentanze sindacali dei lavoratori frontalieri;
   ad analizzare i contenuti dei provvedimenti legislativi e regolamentari assunti dal Canton Ticino richiamati in premessa, e – qualora siano in contrasto con accordi bilaterali o con l'Unione europea – ad assumere iniziative presso le sedi opportune affinché venga modificato quanto disposto unilateralmente;
   ad intervenire per quanto di competenza sospendendo ogni iniziativa tendente ad introdurre un'impropria modalità di pagamento da parte di lavoratori italiani occupati in Svizzera e per i titolari di pensione svizzera ai fini dell'iscrizione volontaria al servizio sanitario nazionale;
   ad assumere iniziative per prevedere che le prestazioni corrisposte ai lavoratori frontalieri dalla previdenza professionale per la vecchiaia, i superstiti e l'invalidità svizzera (LPP), in qualunque forma erogate, ivi comprese le prestazioni erogate dai diversi enti o istituti svizzeri di prepensionamento, vengano assoggettate, ai fini delle imposte dirette, a una tassazione forfettaria in analogia alla normativa sulla collaborazione volontaria.
(1-00952)
(Nuova formulazione) «Borghi, Braga, Marantelli, Tentori, Guerra, Fragomeli, Senaldi, Gadda, Baruffi, Realacci, Tacconi, Paolo Rossi».


   La Camera,
   premesso che:
    la normativa comunitaria definisce «lavoratore frontaliero» qualsiasi lavoratore occupato sul territorio di uno Stato membro e residente sul territorio di un altro Stato membro dove torna, di regola, ogni giorno o almeno una volta alla settimana. Ciò che differenzia il lavoratore frontaliero dal lavoratore migrante è il fatto di essere residente in uno Stato e di lavorare in un altro. In altri termini, mentre il lavoratore migrante lascia il suo Paese di origine per abitare e lavorare in un Paese diverso da quello nel quale ha riseduto fino a quel momento, il frontaliere ha una doppia cittadinanza nazionale per il luogo di residenza e il luogo di lavoro;
    il fenomeno dei lavoratori frontalieri e la frontiera in genere provocano sovente effetti perversi agendo da barriera tra sistemi amministrativi ed economici. Per questo motivo, oramai da tempo immemore, si è costretti a rincorrere soluzioni rispetto agli aspetti di natura tanto fiscale quanto di protezione sociale riferiti a questa particolare categoria di lavoratori che si muove a cavallo del confine;
    come noto, assumono particolare rilievo gli aspetti legati al fenomeno frontaliero dei lavoratori italiani in Svizzera per i quali, contrariamente agli accordi vigenti nell'Unione europea ove è possibile la libera circolazione come definita dal trattato di regime di soggiorno più specifico relativo all'autorizzazione al lavoro. In Svizzera è infatti necessario ottenere un permesso al lavoro ove venga specificata la retribuzione, che dovrà rispettare il minimo salariale del cantone come definito dall'Ufficio cantonale del lavoro. Il permesso è concesso solo se il lavoratore avrà trovato un datore di lavoro, e dopo aver verificato che non vi siano iscritti nelle liste locali di collocamento per lo stesso genere di incarico. La concessione dei permessi in ciascun cantone è altresì subordinata a una quota minima di lavoratori nazionali presenti in impresa;
    il numero dei frontalieri italiani in Svizzera è cresciuto nel tempo, evidenziando tuttavia una graduale decelerazione negli ultimi anni: nel quadriennio 2011-2014 la crescita annuale dei flussi si è attestata all'8,8 – 7,7 – 5,4 e 5,3 per cento per il Cantone Ticino; al 9,4 – 7,2 – 7,2 e 5,2 per il Cantone dei Grigioni; al 14,9 – 12,1 – 9,1 e 11,4 per il Cantone Vallese. L'elaborazione dei dati Ustat consente di avere l'informazione sulla provincia di provenienza per la Lombardia e per il Piemonte; in quest'ultimo caso, sono state impiegate anche le elaborazioni dell'Osservatorio regionale del mercato del lavoro (ORML) del Piemonte su dati Ust;
    analizzando i dati riferiti alla provincia di provenienza, emerge che come prevedibile sono le province caratterizzate dai più lunghi tratti di confine con la Svizzera quelle che incidono maggiormente sul movimento dei frontalieri verso il Cantone Ticino: Varese e Corno sono le province di residenza in cui il fenomeno è più consistente (circa 25 mila unità nel 2014 in ciascuna provincia), seguite da quella di Verbano-Cusio-Ossola (oltre 5 mila). Più contenuti sono i flussi dalle altre province confinanti (Sondrio, Lecco, Aosta, Bolzano). L'Ustat diffonde anche il movimento da altre province italiane verso il Cantone Ticino, che è stato pari a 4.548 frontalieri nel 2014 e 4.071 nel 2013 (un incremento annuale pari circa al 12 per cento). Attraverso i dati censuari svizzeri si può notare che, sebbene risulti sensibilmente più ridotto il flusso inverso dalla Svizzera all'Italia, esso esiste ed è in crescita nel tempo, Nel 2010 erano 1.455 gli svizzeri che lavoravano nel territorio italiano, mentre nel 2011 si sono attestati a 1.904;
    il 23 febbraio 2015, dopo circa tre anni di negoziati, Italia e Svizzera hanno siglato a Milano un accordo in materia fiscale e finanziaria;
    i due Paesi hanno infatti sottoscritto una roadmap per il proseguimento del dialogo sulle questioni finanziarie e fiscali, la roadmap comprende anche una revisione dell'accordo sul trattamento fiscale dei lavoratori frontalieri;
    alla luce dell'instaurazione di questo percorso tra Italia e Svizzera volto al perfezionamento di tutti gli aspetti di natura fiscale e di protezione sociale che riguardano i lavoratori frontalieri, parrebbe opportuno tenere in considerazione la necessità di intervento rispetto a talune problematiche che emergono in tutta la loro criticità, non da ultima quella per la quale, in seguito all'adozione del principio della tassazione concorrente, non vi sarà più alcuna compensazione finanziaria tra i due Stati, il che comporterà la necessità per l'Italia di provvedere unilateralmente con il proprio bilancio a ristorare i comuni frontalieri, recependo nella legge di ratifica del nuovo trattato la normativa che oggi regola la distribuzione dei trasferimenti ai comuni. Tale previsione appare evidentemente peggiorativa rispetto a quella antecedente e di grave danno per le casse dei comuni frontalieri italiani;
    il nuovo accordo, infatti, nel porre fine al meccanismo del ristorno, prevede che sia lo Stato italiano a compensare i comuni di frontiera, lasciando una preoccupante incognita sulla garanzia dell'attuale gettito ai comuni medesimi;
    quanto al sistema di protezione sociale vi è da aggiungere che il Regolamento (CE) n. 883 del 2004, che si applica anche alla Svizzera dal 2012 (con l'entrata in vigore della modifica dell'accordo sulla libera circolazione delle persone) in materia di coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, prevede in particolare all'articolo 65 (paragrafo 5, lettera a) che sia l'istituzione dello Stato di residenza (per l'Italia, l'INPS) a erogare le prestazioni al disoccupato (quindi, nel caso di specie, ai frontalieri italiani che dovessero essere licenziati in Svizzera) come se fosse stato soggetto alla legislazione dello Stato di residenza durante la sua ultima attività lavorativa. Il successivo paragrafo 6 prevede, comunque, l'obbligo per il Paese di ultimo impiego (nel caso, la Svizzera) di rimborsare all'istituzione dello Stato di residenza (INPS) l'importo delle prestazioni erogate;
    il fenomeno dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera possiede rilievo strutturale, in quanto, pur non rappresentando la componente maggioritaria del complesso dei frontalieri che lavorano nella Confederazione, i lavoratori italiani svolgono comunque una funzione essenziale nel soddisfare la domanda di lavoro nelle aree di riferimento, in particolare in Ticino. Nel Cantone i frontalieri nel 2014 hanno rappresentato il 26,9 per cento degli occupati, a fronte del 5,8 per cento riferito a tutti i frontalieri presenti nell'intera Confederazione;
    il tessuto economico svizzero ha infatti estremo bisogno di forza lavoro straniera: negli ultimi  anni il saldo migratorio della Confederazione elvetica è stato tra i più alti dell'Unione europea, oscillando tra le 60 mila e le 80 mila unità. A maggior ragione in un contesto in cui le esportazioni e il turismo potrebbero risentire del rafforzamento del franco, l'immigrazione – e la connessa disponibilità di forza lavoro caratterizzata da un salario di riserva concorrenziale – potrebbero rivelarsi fondamentali per contenere la perdita di competitività connessa alla rivalutazione del cambio, sostenere la crescita della domanda interna e dei consumi, limitare l'impatto della debole ripresa dell'economia europea, e rincorrere sensibilmente al finanziamento del welfare domestico,

impegna il Governo:

   ad assumere ogni iniziativa utile a garantire la parità di trattamento tra cittadini svizzeri e cittadini degli Stati dell'Unione europea eliminando ogni causa di discriminazione a motivo della propria cittadinanza per quanto riguarda, in particolare, condizioni di impiego e di lavoro, retribuzione e vantaggi fiscali e sociali;
   ad assumere iniziative volte a favorire l'eliminazione delle ripercussioni negative che il trasferimento in un altro Stato per lavorarvi possa avere sulle coperture assistenziali e previdenziali;
   a garantire la corretta applicazione del regolamento (CE) n. 883 del 2004, che si applica anche alla Svizzera dal 2012, con particolare riferimento alla necessità di porre stringenti vincoli quanto alla tempistica di rimborso dei costi sostenuti dall'istituzione dello Stato di residenza (INPS), nei casi di costi posti a carico di quest'ultima;
   ad assumere iniziative per prevedere lo sblocco in favore dei lavoratori frontalieri dei fondi per il finanziamento della legge n. 147 del 1997;
   a favorire l'apposizione di specifici vincoli di utilizzo di quota parte delle risorse rinvenienti dalla tassazione dei lavoratori frontalieri, per il sostegno del welfare domestico;
   ad assumere iniziative finalizzate alla previsione di un regime fiscale convenzionale che consenta la destinazione diretta ai comuni di residenza delle somme dovute a titolo di ristorno delle spese sostenute per servizi sociali a carico dei medesimi.
(1-01137) «Cominardi, Ciprini, Tripiedi, Chimienti, Dall'Osso, Lombardi, D'Incà, Petraroli».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo i dati dell'ufficio federale di statistica del Canton Ticino, sono 69 mila gli italiani, di cui la maggior parte provenienti dalle province di Varese, Como e Verbano-Cusio-Ossola che ogni giorno varcano la frontiera per recarsi a lavorare in Svizzera, pur continuando a risiedere in Italia e che costituiscono una risorsa fondamentale per l'economia dei cantoni Ticino, Vallese e Grigioni;
    i lavoratori frontalieri, secondo, stime relative al secondo trimestre del 2015 guadagnano circa il 7-8 per cento meno dei lavoratori elvetici. I frontalieri italiani operano nella grande maggioranza in Canton Ticino (circa il 90 per cento, pari a circa 62 mila), ma anche nei cantoni turistici dei Grigioni e del Vallese; nei tre cantoni, lavorano complessivamente oltre il 99 per cento dei frontalieri provenienti dall'Italia;
    Varese è la provincia con più frontalieri seguita da Como. Il movimento da altre province italiane verso il Cantone Ticino è stato pari a 4.548 frontalieri nel 2014 e 4.071 nel 2013 (un incremento annuale pari circa al 12 per cento). Il tasso di disoccupazione in Ticino è fisiologico: 3,4 per cento a settembre 2015 (contro il 3,2 dell'intera Svizzera);
    gli italiani che lavorano nel Cantone Ticino sono in costante aumento da anni, una tendenza che non accenna ad invertirsi: erano 47.357 nel 2010, 51.513 nel 2011, 55.484 nel 2012, 58.465 nel 2013 e 61.588 nel 2014, 61.740 nel primo trimestre del 2015 sempre secondo l'Ufficio federale di statistica di Berna;
    in base ai dati recentemente rilasciati dall'ufficio di statistica del Cantone Ticino, considerando l'insieme dell'economia privata ticinese, nel 2012 l'importo medio del salario mensile lordo di un lavoratore frontaliere ammontava a 4.393 franchi. Si tratta di una cifra significativamente inferiore rispetto ai salariati svizzeri (5.733), stranieri domiciliati (5.295) o dimoranti (4.951). Rispetto al 2000, il salario dei frontalieri è cresciuto a un ritmo molto modesto (309 franchi, il 7,6 per cento nel periodo, lo 0,6 per cento in media d'anno) sensibilmente meno rispetto alle altre categorie di lavoratori;
    di riflesso, il divario salariale tra lavoratori svizzeri e frontalieri si è ampliato (passando dal 14,6 al 23,4 per cento) a fronte, al contrario, di un assottigliamento dello scarto tra le retribuzioni degli elvetici e gli altri stranieri residenti nella Confederazione elvetica. Anche volendo tenere in conto la diversa composizione in termini di profili personali e professionali dei lavoratori posti a confronto, secondo dati forniti dall'Ustat, le differenze retributive tra lavoratori svizzeri e frontalieri restano nell'ordine del 7-8 per cento a vantaggio degli elvetici, mentre tale differenziale si annulla per gli stranieri residenti;
    il Parlamento ticinese e il Ministero delle finanze hanno recentemente commissionato uno studio all'IRE, Istituto di ricerche economiche dell'università della Svizzera italiana di Lugano, che ha condotto un'approfondita ricerca in materia di lavoratori frontalieri, esaminando i dati relativi agli impiegati in 328 aziende svizzere;
    dallo studio risulta che tra i principali motivi di assunzione di frontalieri spiccano «le carenze di competenze fra i residenti». In aggiunta si evidenzia che «il reclutamento di lavoratori stranieri, da parte delle aziende ticinesi, è dovuto al fatto che il candidato straniero ha semplicemente mostrato il profilo più adatto per il posto da ricoprire». Quindi in sostanza, i lavoratori frontalieri italiani vengono scelti proprio per le competenze e le professionalità che non è possibile ritrovare all'interno della confederazione elvetica;
    la presenza di un così consistente numero di frontalieri ha indotto l'Italia e la Confederazione elvetica a stipulare numerosi accordi bilaterali per regolare diverse questioni riguardanti, tra l'altro, la previdenza sociale, l'imposizione fiscale, l'indennità di disoccupazione;
    nel febbraio 2015 il Governo italiano e il Consiglio federale svizzero hanno siglato il protocollo di intesa fiscale che modifica la Convenzione tra i due Paesi per evitare le doppie imposizioni; il protocollo prevede lo scambio di informazioni su richiesta a fini fiscali secondo gli standard Ocse, per i periodi successivi alla firma dell'accordo, per singolo contribuente o per categorie di soggetti, senza la possibilità di opporre il segreto bancario e la possibilità di utilizzare in via amministrativa e giudiziaria le informazioni scambiate;
    il protocollo, di fatto modifica la Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Svizzera il 9 marzo 1976 e sancisce la fine del segreto bancario;
    unitamente al protocollo è stata anche sottoscritta una road map, un documento politico che fissa il percorso per la prosecuzione dei negoziati su altre questioni tra cui revisione dell'accordo del 1974 sulla tassazione dei lavoratori frontalieri, ad oggi ancora in vigore e che prevede la tassazione esclusiva in Svizzera con il ristorno del 40 per cento del gettito ai comuni italiani della zona di confine;
    il 22 dicembre 2015, è stato perfezionato il nuovo accordo fiscale tra Italia e Svizzera, che abolisce due meccanismi che sinora non erano mai strati modificati: i ristorni ai comuni di frontiera e la tassazione alla fonte per circa 69 mila lavoratori italiani;
    l'accordo che entrerà pienamente in vigore entro dieci anni, rappresenta più di un'incognita per i lavoratori per quanto riguarda la propria posizione fiscale; i lavoratori frontalieri saranno infatti assoggettati ad imposizione nello Stato di residenza, pagando le tasse sui redditi per il 70 per cento in Svizzera e per il restante 30 per cento in Italia, con un indubbio aumento del carico fiscale, che una volta a regime, rappresenterà un forte esborso per i lavoratori frontalieri,

impegna il Governo:

   ad assumere tutte le necessarie iniziative affinché, il nuovo sistema fiscale, una volta a pieno regime, non contempli condizioni fiscali che siano più sfavorevoli per i lavoratori frontalieri, riportando anzi la tassazione ai parametri previgenti al rinnovo della Convenzione;
   ad assumere iniziative perché nel nuovo regime fiscale siano previsti i ristorni dei lavoratori frontalieri verso i comuni di residenza, con una disciplina che sia certa relativamente all'ammontare dei ristorni stessi e alle modalità di distribuzione, al fine di tenere conto delle legittime istanze dei territori di frontiera e dei suoi lavoratori;
    ad assumere le opportune iniziative affinché l'INPS proceda allo sblocco delle risorse per il finanziamento della legge n. 147 del 1997, che contiene un fondo finanziato con i contributi di disoccupazione pagati dai frontalieri alla Svizzera e da questa ristornati all'Italia.
(1-01138) «Polverini, Occhiuto, Crimi».


   La Camera,
   premesso che:
    occorre sottolineare come, attualmente, non esista una definizione chiara ed uniforme del lavoro frontaliero: una mancanza che produce complesse conseguenze di ordine pratico nel momento stesso in cui diverse categorie di cittadini potrebbero identificarsi in tale attività;
    risulta peraltro complesso prevedere una definizione univoca ed esaustiva per definire il lavoratore transfrontaliero. Nell'accezione comunitaria, ad esempio, il lavoratore frontaliero è colui che risulta occupato sul territorio di uno Stato membro e residente sul territorio di un altro Stato membro dove torna in teoria ogni giorno o almeno una volta alla settimana;
    questa definizione si applica comunque solamente alla protezione sociale dei lavoratori in questione all'interno dell'Unione europea;
    al contrario, in campo fiscale, le convenzioni bilaterali di doppia imposizione, che determinano il regime fiscale dei lavoratori frontalieri, stabiliscono definizioni più restrittive che impongono anche un criterio spaziale: per cui il fatto di risiedere e lavorare in una zona frontaliera, definita in modo variabile in ciascuna convenzione fiscale, è considerato un elemento costitutivo del concetto di lavoro frontaliero;
    i lavoratori frontalieri residenti ed occupati nell'Unione europea godono, come tutti i lavoratori migranti, del principio di non discriminazione e della parità di trattamento previsti per i lavoratori che si spostano nel territorio dell'Unione. Il regolamento n. 1612/68 sulla libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione europea prevede la parità di trattamento per tutte le condizioni di occupazione e lavoro, in particolare in materia di retribuzione, licenziamento, reintegrazione professionale o rioccupazione, se il lavoratore è disoccupato;
    in materia di diritto del lavoro il frontaliere è soggetto come il migrante alla legislazione del Paese in cui è occupato. Egli beneficia altresì degli stessi vantaggi fiscali e sociali di cui godono i cittadini di tale Paese;
    pertanto, in materia di protezione sociale, i principi ed il regime applicabili ai lavoratori frontalieri sono, salvo alcuni casi specifici, gli stessi che in generale sono validi per tutti i lavoratori migranti all'interno dell'Unione europea;
    in assenza di una specifica competenza comunitaria, il regime fiscale al quale sono soggetti i lavoratori frontalieri rinvia interamente alle convenzioni fiscali bilaterali firmate dagli Stati europei. Le regole ed i criteri da esse fissati variano da un caso all'altro;
    sussistono, tuttavia, casi particolari;
    la situazione dei frontalieri abitanti nell'Unione europea che si recano per lavoro nella Confederazione Elvetica, ad esempio, presenta particolari peculiarità rispetto a quella dei frontalieri che lavorano e risiedono nell'Unione europea;
    la Svizzera, infatti, prevede un regime di soggiorno e di occupazione fondato sul permesso di lavoro. Il permesso è concesso, in generale, per un anno e vi è specificata la retribuzione che deve rispettare il minimo salariale del cantone, definito dall'Ufficio cantonale del lavoro. Il permesso è concesso solo se il lavoratore ha trovato un datore di lavoro e dopo aver verificato che non vi siano iscritti nelle liste locali di collocamento per lo stesso genere di incarico. La concessione dei permessi di ciascun cantone è subordinata ad una quota minima di lavoratori nazionali presenti in ogni impresa;
    il 22 dicembre 2015 l'Italia e la Svizzera hanno aderito ad un accordo sull'imposizione dei lavoratori frontalieri, unitamente ad un protocollo che modifica le relative disposizioni della Convenzione contro le doppie imposizioni. Il testo relativo ai lavoratori frontalieri concretizza uno dei principali impegni assunti dai due Stati nella roadmap firmata nel febbraio 2015. Il nuovo accordo sostituirà quello del 1974;
    l'accordo concretizza uno degli impegni più importanti assunti da Italia e Svizzera il 23 febbraio 2015, quando entrambi i Paesi hanno firmato una roadmap per la cooperazione ed il proseguimento del dialogo sulle questioni finanziarie e fiscali. L'accordo consentirà ad entrambi i Paesi di migliorare l'attuale regime di imposizione dei lavoratori frontalieri;
    accordo, peraltro, che è fondato sul principio di reciprocità e fornisce una definizione di aree di frontiera che, per quanto riguarda la Svizzera, individua i cantoni dei Grigioni, del Ticino e del Vallese e, nel caso dell'Italia, le regioni Lombardia, Piemonte, Valle d'Aosta e la Provincia autonoma di Bolzano;
    l'accordo fornisce inoltre una definizione di lavoratori frontalieri al fine dell'applicazione dell'accordo in questione e comprende i lavoratori frontalieri che vivono nei comuni i cui territori ricadono, per intero o parzialmente, in una fascia di 20 chilometri dal confine e che, in via di principio, ritornano, quotidianamente nel proprio Stato di residenza;
    per quanto riguarda l'imposizione, lo Stato in cui viene svolta l'attività lavorativa imporrà sul reddito da lavoro dipendente fino al 70 per cento dell'imposta risultante dall'applicazione delle imposte ordinarie sui redditi delle persone fisiche. Lo Stato di residenza applicherà le proprie imposte sui redditi delle persone fisiche ed eliminerà la doppia imposizione. Sarà, altresì, effettuato uno scambio di informazioni in formato elettronico relativo ai redditi da lavoro dipendente dei lavoratori frontalieri. In fine l'accordo sarà sottoposto a riesame ogni cinque anni;
    per quanto riguarda i lavoratori frontalieri operanti nei cantoni confinanti con l'Italia, essi sono soggetti ad imposizione esclusiva in Svizzera. I cantoni interessati versano all'Italia il 38, 8 per cento del gettito fiscale che viene destinato ai comuni di residenza;
    in futuro i frontalieri saranno assoggettati ad un'imposizione nello Stato in cui esercitano la loro attività professionale e ad un'imposta ordinaria nello Stato di residenza;
    la quota spettante allo Stato del luogo di lavoro ammonterà al massimo al 70 per cento del totale dell'imposta prelevabile alla fonte ed il rimanente spetterà al Paese di residenza del lavoratore frontaliero;
    va comunque detto che sul problema sopra accennato sono previste delle fasi di progressione anche per rispondere, visto il differenziale impositivo tra i due Paesi (quello svizzero è molto inferiore a quello italiano), alle preoccupazioni dei lavoratori frontalieri;
    i princìpi in base ai quali l'accordo sarà concluso prevedono che il carico fiscale totale sui frontalieri non sarà né inferiore né superiore a quello attuale. Sul piano svizzero la tassazione del moltiplicatore dovrà essere a livello medio cantonale, escludendo applicazioni di maggiorazioni in relazione alla cittadinanza dei lavoratori;
    lo Stato italiano assicurerà ai comuni di confine l'ammontare delle quote oggetto dell'attuale ristorno da parte elvetica delle tasse dei frontalieri, secondo modalità e forme oggetto della legge nazionale di ratifica dell'accordo, fermo restando che tale gettito non sarà in alcun modo diminuito né sarà modificato l'elenco dei comuni beneficiari;
    Italia e Svizzera inoltre negozieranno un'intesa di possibile accordo bilaterale relativo alla sicurezza sociale dei lavoratori frontalieri (trattamenti pensionistici, indennità di disoccupazione e altro) da applicarsi eventualmente anche in caso di modifiche delle normative di libera circolazione delle persone tra Svizzera e Unione europea;
    il 24 marzo 2015 il Cantone Ticino ha approvato la «legge sulle imprese artigianali che rimanda ad un apposito regolamento per cui lo svolgimento dell'attività imprenditoriale in forma artigiana viene condizionata alla previa iscrizione presso l'Albo delle imprese artigianali (articolo 5 LIA) ed al possesso di determinati requisiti personali e professionali (articolo 6 e 7 LIA);
    sono previste sanzioni penali a danno di coloro che eseguono lavori artigianali senza essere iscritti all'albo per un importo fino a 50.000 franchi;
    la disciplina transitoria richiede, in alternativa ai requisiti professionali previsti, il requisito dell'esercizio dell'attività da almeno cinque anni in Svizzera;
    la richiesta di iscrizione all'albo per le imprese e gli operatori esteri che intendono fornire una prestazione di servizio per un periodo massimo di novanta giorni all'anno è subordinata – oltre alla dichiarazione preventiva per la verifica delle qualifiche professionali – anche dalla produzione di numerosi documenti;
    il riconoscimento delle qualifiche professionali tra la Svizzera e gli Stati membri europei prevede l'applicabilità delle direttive comunitarie in tema di riconoscimento delle qualifiche professionali anche ai cittadini elvetici;
    l'accordo, scaduto il 31 maggio 2009, è stato rinnovato per adeguano all'entrata in vigore della direttiva 2000/36/CE;
    in virtù del predetto accordo, la Svizzera applica ai cittadini dell'Unione europea le stesse disposizioni dell'Unione europea per il riconoscimento delle qualifiche professionali;
    le disposizioni del Cantone Ticino richiamate non tengono conto di quanto previsto dalla direttiva europea 2005/36/CE, che nell'istituire un regime di riconoscimento delle qualifiche professionali nell'Unione europea, estese anche alla Svizzera, mira a rendere i mercati del lavoro più flessibili, a liberalizzare ulteriormente i servizi, a favorire il riconoscimento automatico delle qualifiche professionali e a semplificare le procedure amministrative (riconosce, ad esempio, il diritto di stabilimento in un Paese estero per l'esercizio di molte delle attività artigiane indicate nell'allegato IV della direttiva, stabilendo come prova sufficiente l'aver esercitato l'attività considerata in un altro Stato membro);
    l'articolo 5 della citata direttiva sancisce il principio della libera prestazione di servizi a carattere temporaneo ed occasionale,

impegna il Governo:

   ad assumere opportune iniziative dirette a non penalizzare i lavoratori frontalieri in merito al nuovo regime fiscale;
   ad assumere iniziative sulla base delle quali lo Stato italiano dovrà assicurare ai comuni di confine che il gettito previsto non sarà in alcun modo diminuito e che, nello stesso tempo, non verrà modificato l'elenco dei comuni beneficiari;
   ad assumere iniziative affinché parte della tassazione sia vincolata per investire sui collegamenti e sulle infrastrutture di trasporto che servono le zone di confine;
   ad assumere iniziative, anche in sede europea, tese a garantire il rispetto delle norme che regolamentano il riconoscimento delle qualifiche professionali in forza dell'accordo tra l'Unione europea e la Svizzera.
(1-01141) «Alli, Lupi, Vignali, Bernardo».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    con circolare prot. DGRUERI/II/GIM/466/i.3.b.a del 16 gennaio 2006 il Ministero della salute – direzione generale per rapporti con l'unione europea ha precisato che dal primo giugno 2002 è entrato in vigore l'accordo tra la Svizzera e gli Stati dell'Unione europea, accordo che tra l'altro estende alla Confederazione elvetica l'applicazione dei regolamenti comunitari di sicurezza sociale;
    il suddetto accordo prevede che i frontalieri (residenti in Italia che lavorano in Svizzera) e i titolari di pensione svizzera, assicurati obbligatoriamente contro le malattie in Svizzera ma che hanno residenza in Italia, possano scegliere di essere esentati dall'obbligo di assicurarsi in Svizzera solo nel caso che possano dimostrare di beneficiare della copertura assicurativa contro le malattie in Italia, dove risiedono con regolare permesso di soggiorno;
    pertanto, se optano per il servizio sanitario nazionale, dovranno essere iscritti obbligatoriamente alla ASL territorialmente competente e dovranno allegare alla domanda relativa all'esercizio del diritto di opzione (da indirizzare all'organismo di collegamento svizzero: Istituzione comune Lamal - Gibelinstrasse 25 - 4503 Solothurn), una fotocopia della tessera (o del libretto) di iscrizione al Servizio sanitario italiano;
    per anni questa circolare non è stata applicata e solamente il 3 luglio 2012 si sono incontrate le regioni e le province autonome con il Ministero della salute per discutere in merito all'applicazione dei regolamenti di sicurezza sociale e possibili connessioni con la direttiva 247 del 2011 e, più specificamente, con riguardo alle problematiche relative all'esercizio del diritto d'opzione di cui sopra e, in tale sede, il Ministero ha invitato le regioni ad applicare la normativa vigente concernente l'opzione al servizio sanitario nazionale che potrà esser esercitata dal lavoratore o dal pensionato residente in Italia, pagando un importo pari al 7,5 per cento del suo reddito complessivo prodotto e documentato sia all'estero che in Italia;
    in attesa dei risultati delle trattative Italia/Svizzera sul rinnovo dell'accordo IT/CH 1974, alla fine del 2014 le ASL regionali o provinciali non hanno dato seguito alle indicazioni concordate nella seduta del 3 luglio 2012 di cui sopra;
    il 23 febbraio 2015 – dopo tre anni di negoziati – Italia e Svizzera hanno siglato a Milano un importante accordo finanziario e in materia fiscale – che definisce ex novo il trattamento fiscale dei lavoratori e probabilmente, a partire dall'anno fiscale 2019, sarà prevista una tassazione concorrente (70 per cento in Svizzera -30 per cento in Italia), così che solo da allora anche il frontaliere dovrebbe concorrere alla spesa sanitaria con il pagamento dell'IRPEF;
    il 12 maggio 2015 il Ministero della salute – direzione generale della programmazione sanitaria (DGPROGS//i.3.b/1) – ha fornito ulteriori indicazioni relative alla possibilità dell'iscrizione volontaria per i soggetti che avevano esercitato il suddetto diritto di opzione: «Qualora una persona o un gruppo di persone sono esonerate, a loro richiesta dall'assicurazione obbligatoria contro le malattie e tali persone non sono coperte da un regime di assicurazione malattia al quale si applichi il regolamento di base, l'istituzione di un altro Stato membro non diventa per il solo fatto di questo esonero responsabile del costo delle prestazioni in natura o in denaro concessi a tali persone o a un loro familiare ai sensi dell'articolo III, capitolo I del regolamento di base»;
    da metà gennaio 2016 il servizio sanitario della Provincia autonoma di Bolzano, applica le indicazioni del Ministero della salute del 3 luglio 2012, nonché quelle fornite con circolare del 12 maggio 2015;
    la Provincia di Bolzano, in attesa di ulteriori chiarimenti ministeriali sulle modalità dei pagamenti, anche in forma rateizzata, sta invitando i frontalieri al pagamento del minimo previsto (euro 387) dal decreto ministeriale 8 ottobre 1986 a titolo di acconto, salvo conguaglio a luglio, quando i frontalieri avranno fatto la dichiarazione dei redditi, per chiedere poi il 7,5 per cento del reddito complessivo prodotto e documentato sia all'estero che in Italia;
    si evidenzia, però, che i frontalieri residenti nella fascia compresa nei 20 chilometri dal confine sono esentati a fare la dichiarazione dei redditi in Italia e, per adesso, pagano le tasse solamente in Svizzera;
    i comuni svizzeri del cantone dei Grigioni, confinanti con la provincia autonoma di Bolzano (Val Mustair – Engadina bassa – Samnaun), si sono accorti delle lacune ed incertezze legislative e delle difficoltà interpretative in Italia, per cui già dal 19 gennaio 2015 non stanno riconoscendo più la validità delle tessere sanitarie italiane, se non comprovate dal pagamento della quota minima alla ASL di residenza e si sono tutelati contro l'eventuale invalidità delle tessere sanitarie italiane, non volendosi assumere l'onere della spesa per una «lunga malattia» di un frontaliero, altrimenti procedono all'assicurazione obbligatoria in Svizzera, il cui costo verrà detratto poi dalla busta paga del frontaliere;
    la procedura attivata dai comuni svizzeri implica, quindi, per i frontalieri la necessità di dover prendere una giornata di permesso dal lavoro per recarsi al patronato vicino e alla ASL e poi, generalmente, un'altra giornata per recarsi al comune svizzero per esercitare nuovamente il diritto di opzione;
    questa procedura è richiesta anche per il permesso «G» con validità quinquennale; inoltre, sembrerebbe che a partire da marzo 2016 si dovrà pagare anche una tassa di 51 franchi svizzeri per l'esercizio del diritto di opzione;
    questa prassi, per adesso attuata solo dalla provincia autonoma di Bolzano, e dai comuni svizzeri del Cantone Grigioni nei confronti di circa 600-900 frontalieri (contro gli 80.000 che ci sono in Lombardia e in Piemonte) sta creando numerosi dubbi ed interrogativi circa la fondatezza giuridico-costituzionale a causa della sua onerosità, della lesione del principio di universalità sul quale si fonda il SSN e sulla circostanza che in questo momento si renderebbe impossibile una pratica uniforme del provvedimento, poiché manca ancora, in Italia l'elenco anagrafico dei frontalieri;
    sarebbe inoltre necessario coordinare, con legge dello Stato, l'entrata in vigore della nuova tassazione concorrenziale e il nuovo sistema dei ristorni fiscali ai comuni confinanti, onde evitare iniziative unilaterali sia da parte italiana che da parte svizzera,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per chiarire con la massima urgenza se effettivamente, dal 1o gennaio 2016, la tessera sanitaria italiana dei frontalieri non sia più valida, in mancanza di comprovata iscrizione volontaria al servizio sanitario nazionale e del pagamento della quota minima prevista dal decreto ministeriale 8 ottobre 1986 e conseguentemente, ad adottare tutte le iniziative utili, per quanto di competenza, nei confronti dei comuni svizzeri del Cantone dei Grigioni che stanno negando la validità delle tessere sanitarie italiane solo in via cautelativa e a causa dell'incertezza normativa che si è determinata;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza, anche nel quadro dei nuovi accordi con la Confederazione elvetica, per chiarire l'applicazione della normativa vigente, con particolare riguardo alla prassi attivata, da metà gennaio 2016, dalla provincia autonoma di Bolzano nei confronti dei frontalieri di cui in premessa, considerato il fatto che per ora i frontalieri medesimi, nella fascia dei 20 chilometri dal confine, non devono fare la dichiarazione dei redditi in Italia, ma sono tassati direttamente in Svizzera;
   ad assumere iniziative per garantire un trattamento uniforme a tutti i lavoratori frontalieri attraverso un'attività di coordinamento tra i Ministeri interessati e le regioni di confine.
(1-01142) «Plangger, Schullian, Marguerettaz, Alfreider, Gebhard, Ottobre, Pisicchio».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).