XVII LEGISLATURA
COMUNICAZIONI
Missioni valevoli nella seduta dell'11 febbraio 2016.
Adornato, Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amendola, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonafede, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Calabria, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Catania, Antimo Cesaro, Chaouki, Cicchitto, Cimbro, Cirielli, Costa, Covello, Crippa, D'Alia, Dadone, Dambruoso, Damiano, De Micheli, Del Basso de Caro, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Ferrara, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Fraccaro, Franceschini, Galati, Garofani, Gentiloni Silveri, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Guerra, La Russa, Lauricella, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Mazziotti Di Celso, Merlo, Meta, Migliore, Orlando, Piccoli Nardelli, Gianluca Pini, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scanu, Schullian, Scotto, Sereni, Speranza, Tabacci, Tofalo, Valeria Valente, Velo, Vignali, Villecco Calipari, Zanetti.
Modifica del titolo di proposte di legge.
La proposta di legge n. 3573, d'iniziativa dei deputati D'INCECCO ed altri, ha assunto il seguente titolo: «Norme per la tutela della salute durante la gravidanza e per la promozione del parto fisiologico».
Adesione di deputati a proposte di legge.
La proposta di legge FANTINATI ed altri: «Disposizioni concernenti la fissazione di limiti al contenuto di sostanze tossiche nei prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri nonché modifica dell'articolo 112 del codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, in materia di sanzioni relative all'immissione sul mercato di prodotti pericolosi» (3195) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Busto.
Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.
A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
II Commissione (Giustizia):
IORI ed altri: «Introduzione dell'articolo 706-bis del codice di procedura civile e altre disposizioni in materia di mediazione familiare» (3545) Parere delle Commissioni I, V, VII, XI, XII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
IV Commissione (Difesa):
OTTOBRE: «Istituzione della Giornata della memoria dei cittadini italiani militari e civili deportati e internati nei campi di concentramento nazisti e concessione ai loro familiari di una medaglia alla memoria» (3563) Parere delle Commissioni I e V.
XII Commissione (Affari sociali):
D'INCECCO ed altri: «Norme per la tutela della salute durante la gravidanza e per la promozione del parto fisiologico» (3573) Parere delle Commissioni I, V, XI e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Commissioni riunite II (Giustizia) e XII (Affari sociali):
MARZANO: «Disposizioni per la prevenzione e il contrasto del bullismo, anche informatico» (3576) Parere delle Commissioni I, V, VII, IX, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Trasmissione dalla Corte dei conti.
Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 9 febbraio 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria di Poste italiane Spa, per l'esercizio 2014. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 353).
Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla IX Commissione (Trasporti).
Trasmissione dal Ministro della difesa.
Il Ministro della difesa, con lettera del 9 febbraio 2016, ha trasmesso una nota relativa all'attuazione data all'ordine del giorno BASILIO n. 9/2598-AR/31, accolto dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 17 settembre 2014, concernente le risorse finanziarie messe a disposizione per la partecipazione dell'Italia alla Forza di gendarmeria europea (Eurogendfor).
La suddetta nota è a disposizione degli onorevoli deputati presso il Servizio per il Controllo parlamentare ed è trasmessa alla IV Commissione (Difesa) competente per materia.
Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.
La Commissione europea, in data 10 febbraio 2016, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio relativa a un piano d'azione per rafforzare la lotta contro il finanziamento del terrorismo (COM(2016) 50 final), corredata dal relativo allegato (COM(2015) 50 final - Annex 1), che è assegnata in sede primaria alle Commissioni riunite II (Giustizia) e VI (Finanze);
Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio - Seconda relazione annuale sull'attuazione dell'accordo commerciale UE-Colombia/Perù (COM(2016) 58 final), che è assegnata in sede primaria alla X Commissione (Attività produttive);
Proposta di decisione del Consiglio che stabilisce la posizione che deve essere adottata a nome dell'Unione europea in sede di comitato misto per la riammissione in merito a una decisione del comitato misto per la riammissione sulle modalità di attuazione per applicare gli articoli 4 e 6 dell'accordo di riammissione delle persone in posizione irregolare tra l'Unione europea e la Repubblica di Turchia dal 1o giugno 2016 (COM(2016) 72 final), corredata dal relativo allegato (COM(2015) 72 final - Annex 1), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
Proposta di decisione di esecuzione del Consiglio relativa alla sospensione temporanea della ricollocazione del 30 per cento dei richiedenti assegnati all'Austria a norma della decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell'Italia e della Grecia (COM(2016) 80 final), che è assegnata in sede primaria alla I Commissione (Affari costituzionali).
Atti di controllo e di indirizzo.
Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.
ERRATA CORRIGE
Nell’Allegato A ai resoconti della seduta del 2 febbraio 2016, a pagina 3, seconda colonna, ventinovesima riga, dopo le parole: «testo unico» devono aggiungersi le seguenti: «delle leggi».
MOZIONI NICOLETTI, BERGAMINI, ALLI, LOCATELLI, MONCHIERO ED ALTRI N. 1-00966, BALDASSARRE ED ALTRI N. 1-01143, PARISI ED ALTRI N. 1-01144, RAMPELLI ED ALTRI N. 1-01149 E GIANLUCA PINI ED ALTRI N. 1-01150 CONCERNENTI INIZIATIVE IN MERITO AL RISPETTO DEI DIRITTI UMANI IN COREA DEL NORD, NONCHÉ IN RELAZIONE ALLA POLITICA DEGLI ARMAMENTI DI TALE PAESE
Mozioni
La Camera,
premesso che:
mercoledì 6 gennaio 2016 i sismografi in Corea del sud, Giappone e Stati Uniti hanno registrato un terremoto di 5,1 gradi della scala Richter in Corea del nord, a circa 50 chilometri a nord di Kilju, vicino al confine con la Cina. Poco dopo è giunta la conferma da Pyongyang, che ha reso noto di aver condotto con successo un test con una bomba all'idrogeno. L'area dell'epicentro del terremoto coincide infatti con quella dei test nucleari nordcoreani precedentemente effettuati. Nonostante i dubbi sull'uso dell'idrogeno, la Corea del nord ha effettuato tre precedenti test con bombe atomiche a fissione: nel 2006, nel 2009 e nel 2013. Per questo motivo le Nazioni Unite avevano imposto sanzioni internazionali. L'Organizzazione Onu per il trattato sul bando dei test nucleari ha dichiarato che il test è una violazione del trattato stesso e una grave minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale. Il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha condannato fermamente il nuovo test nucleare della Corea del nord, in quanto rappresenta una «chiara violazione» delle sue risoluzioni e annuncia che imporrà immediatamente ulteriori misure restrittive con una nuova risoluzione. L'Alto rappresentante per la politica estera Federica Mogherini ha dichiarato che si tratta di «una minaccia alla pace e alla sicurezza dell'intera regione nordorientale dell'Asia»;
con una risoluzione del 28 marzo 2014, il Consiglio Onu dei diritti umani ha condannato la Corea del Nord per le sistematiche, massicce e gravi violazioni dei diritti umani – crimini contro l'umanità compresi – che continuano a essere commesse nel Paese;
centinaia di migliaia di persone, come denunciato più volte da Amnesty international e confermato di recente dal rapporto della Commissione d'inchiesta delle Nazioni Unite sulla Corea del Nord, sono detenuti in campi di prigionia politica e in altre strutture detentive del Paese. Molte di loro non hanno commesso alcun reato se non quello «associativo», dovuto al fatto di essere parenti di persone colpevoli di reati politici. Il testo del rapporto riporta testimonianze dirette e indirette che hanno fatto luce su un Paese definito «senza paragoni nel mondo contemporaneo» dal giudice australiano Michael Kirby che ha guidato il lavoro della Commissione d'inchiesta Onu. Le responsabilità, si sottolinea nel rapporto, sono molteplici ma alla fine riconducibili ai più alti livelli del Governo, che coscientemente pone in uno stato di sudditanza e paura estrema la popolazione, perseguendo duramente e senza alcun rispetto per trattati e convenzioni internazionali ogni forma di dissenso o comportamenti giudicati anormali o anche solo stravaganti;
tali abusi sono stati ripetutamente segnalati anche da numerose organizzazioni internazionali e da testimoni come Shin Dong-Hyuk, esule nordcoreano fuggito dal campo di prigionia a 23 anni, il quale nell'aprile 2015 ha visitato l'Italia e raccontato la sua esperienza di prigionia fin dalla nascita. Queste testimonianze si aggiungono alla documentazione di numerosi organismi internazionali che hanno provato l'esistenza di almeno 6 campi di concentramento, con oltre 15.000 prigionieri politici ed altri detenuti per un totale di prigionieri stimabile intorno alle 200.000 unità;
la Corea del Nord prosegue in una catastrofica politica economica che portò alla morte di milioni di cittadini nord coreani e continua a spendere un inaudito 25 per cento del suo prodotto interno lordo per spese militari. Nonostante la grave situazione alimentare del Paese, il Governo nordcoreano pone numerose limitazioni alle agenzie internazionali e alle organizzazioni non governative indipendenti che portano aiuti; inoltre, il sistema giudiziario della Repubblica democratica popolare di Corea non risulta essere libero e indipendente, la pena di morte è applicata per numerosi reati e il codice penale non risulta in linea con gli standard internazionali, così da legittimare abusi e decisioni arbitrarie. Le libertà di opinione, espressione e associazione sono gravemente compresse dalle autorità governative nonostante le garanzie costituzionali;
la Corea del Nord ha sottoscritto importanti convenzioni internazionali, tra le quali il Patto internazionale sui diritti civili e politici e la Convenzione sul diritti del fanciullo;
il Parlamento europeo ha approvato diverse risoluzioni mettendo in evidenza la criticità della situazione dei diritti umani nella Corea del Nord ed ha esortato le autorità del Paese a porre fine agli abusi perpetrati ai danni della popolazione, cessando le esecuzioni, le torture ed i lavori forzati e garantendo l'accesso all'assistenza alimentare;
risulta chiaro che l'avvicendamento al potere di Kim Jong-un, succeduto al padre Kim Jong-il alla fine del 2011, non abbia apportato alcun miglioramento della situazione dei diritti umani nella Corea del Nord, né ha migliorato i rapporti con la comunità internazionale come dimostra il test nucleare del 6 gennaio;
numerose organizzazioni non governative internazionali per i diritti umani hanno esortato l'Unione europea ad occuparsi maggiormente della questione dei diritti umani nella Corea del Nord,
impegna il Governo:
ad adoperarsi in tutte le sedi internazionali, in particolare l'Onu e l'Unione europea, al fine di bloccare la pericolosa escalation militare in una regione già resa fragile da dispute territoriali e con la contemporanea presenza di tre potenze nucleari come la Cina, La Russia e gli Stati Uniti;
ad evidenziare e condannare le violazioni dei diritti umani perpetrate dalla Corea del nord e ad intervenire, per quanto di propria competenza, presso i pertinenti fori multilaterali cui l'Italia partecipa e a collaborare con i principali partner regionali asiatici affinché possano cessare al più presto le gravi violazioni dei diritti umani, si possa mettere fine alle esecuzioni capitali e si possano chiudere i campi di prigionia e «rieducazione».
(1-00966)
(Ulteriore nuova formulazione) «Nicoletti, Bergamini, Alli, Locatelli, Monchiero, Causin, Carrozza, Dell'Aringa, Misiani, Patriarca, Schirò, Zampa, Stella Bianchi, Centemero, Sereni, Quartapelle Procopio».
La Camera,
premesso che:
il 6 gennaio 2016 la Corea del Nord ha annunciato di aver effettuato con successo un test nucleare con l'impiego di una bomba all'idrogeno (bomba H) miniaturizzata;
sul fatto che si sia trattato effettivamente di un ordigno termonucleare vi sono numerosi dubbi, tra cui quello relativo all'energia sprigionata dall'esplosione che pare troppo esigua per essere stata provocata da un processo di fusione nucleare; nondimeno è dubbio che si sia realmente trattato dell'esplosione di una bomba H, di una «normale» bomba A, o, più probabilmente, di un test non perfettamente riuscito (la detonazione di una bomba all'idrogeno è attivata da un ordigno atomico a fissione, e potrebbe essersi trattato di un tentativo fallito di innescare la fusione nucleare); non c’è dubbio che il progredire del programma di armamento strategico nordcoreano non possa essere sottovalutato;
l'esplosione del 6 gennaio, infatti, rappresenta il quarto test nucleare condotto dalla Corea del Nord, dopo quelli effettuati nel 2006, 2009 e 2013;
il 7 febbraio 2016 la Corea del Nord ha annunciato di aver effettuato il lancio del satellite per osservazione terrestre Kwangmyongsong-4 impiegando un razzo vettore a tre stadi Unha;
il lancio è avvenuto in anticipo rispetto a quanto comunicato da Pyongyang alla International Telecommunication Union (ITU), quando fu annunciato che la finestra di lancio sarebbe stata compresa tra l'8 e il 25 febbraio;
l'Unha è una versione modificata del missile balistico intercontinentale Taepo Dong-2, in fase di sviluppo e accreditato di un raggio d'azione di 8.000 chilometri, e perciò in grado di raggiungere anche il Nord America;
il lancio dell'Unha è dunque considerato dalla comunità internazionale come un altro test del programma missilistico della Corea del Nord, anche in considerazione del fatto che possedere un razzo capace di porre in orbita terrestre un oggetto è fattore abilitante per lo sviluppo di missili balistici intercontinentali eventualmente armabili anche con testate nucleari;
il Segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha commentato il lancio dichiarando, tramite il suo portavoce, che «si tratta di una violazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza sul bando a carico di Pyongyang dell'uso di tecnologie balistiche» e ha sollecitato lo stop immediato «delle azioni provocatorie» osservando che la mossa della Corea del Nord è maturata «nonostante la richiesta della comunità internazionale per evitare un atto del genere»;
le Nazioni Unite, su richiesta di Washington, Tokyo e Seul, hanno convocato una riunione d'urgenza del Consiglio di sicurezza, il quale ha condannato «nei termini più forti» il lancio del missile e ha annunciato di lavorare a una nuova risoluzione che includa ulteriori sanzioni;
nonostante le pesanti sanzioni in vigore nei confronti della Corea del Nord, i programmi di armamento nucleare e missilistico nordcoreani continuano a progredire rapidamente;
a questo proposito, all'indomani dell'ultimo lancio del missile Unha, l'agenzia di stampa di Stato cinese Xinhua, ha paventato il rischio di «risvolti negativi» per le azioni nordcoreane e ha parlato apertamente del «rischio di una guerra» se non verrà posto un freno deciso «all'escalation senza fine»;
negli ultimi anni l'impegno di Pechino verso Pyongyang non è andato, tuttavia, oltre le note diplomatiche e le esortazioni a rispettare gli impegni assunti per la denuclearizzazione e a non prendere iniziative che potrebbero peggiorare la sua situazione a livello internazionale e nella penisola coreana;
le reazioni dei principali attori regionali sono state pressoché le stesse di quelle all'indomani del test nucleare di gennaio: la Corea del Sud si è posta alla guida di un'iniziativa di forte condanna, cercando di riunire i 5 Paesi che componevano il principale tavolo di dialogo con Pyongyang – i cosiddetti Six Party Talks – a eccezione della Corea del Nord stessa e l'iniziativa ha subito ottenuto l'appoggio di Stati Uniti e Giappone, molto meno interessati alla questione rispetto al passato e piuttosto inclini a delegare la guida della questione a Seoul; Cina e Russia si sono dette contrarie, in quanto ravvisano nella «proposta a 5» un controproducente tentativo ulteriore di isolare la Corea del Nord;
se in passato sia Seoul che Washington sono state protagoniste dei negoziati sul nucleare nordcoreano, in questo caso sembra che l'unico attore in grado di indirizzare il percorso in un senso o nell'altro sia la Cina;
storicamente molto cauta quando si tratta di relazionarsi con il regime di Pyongyang, Pechino ha più volte richiamato tutte le parti alla calma e alla necessità di dirimere la questione attraverso il dialogo, possibilmente un dialogo gestito dalla stessa, come avveniva per il Six Party Talks;
in un rapporto diffuso dalla Corea del Sud nel 2013 relativo all'analisi dei detriti di un analogo razzo lanciato nel 2012 effettuata allo scopo di risalire all'origine dei singoli pezzi del vettore, si evidenzia come tutte le parti fondamentali dell'Unha siano state progettate e realizzate in Corea del Nord, con l'eccezione di alcune parti minori, come sensori di temperatura e cavi elettrici, che sono risultate provenire dalla Cina e da alcuni Paesi europei e che, comunque, non rientrano tra i materiali regolamentati dal Missile Technology Control Regime (MTCR);
la Cina è considerata lo storico alleato del regime nordcoreano ed è il suo fondamentale fornitore di energia elettrica e petrolio e irrinunciabile collegamento con il resto del mondo;
secondo le stime del Council on Foreign Relations, la Corea del Nord importa dalla Repubblica Popolare Cinese il 90 per cento dell'energia, l'80 per cento dei beni di consumo e il 45 per cento dei prodotti alimentari;
la Repubblica Popolare Cinese rappresenta, dunque, l'attore internazionale con la maggiore capacità d'influenza sul regime di Pyongyang;
Pechino ha condannato i test nucleari, nonché i recenti test missilistici condotti dalla Corea del Nord che stanno spingendo Corea del Sud e Giappone al riarmo, con il rischio di innescare nella regione una pericolosa corsa agli armamenti;
con ogni probabilità questa nuova «sfida» nordcoreana non porterà a cambiamenti significativi nell'atteggiamento cinese o a un suo avvicinamento alle posizioni intransigenti della Corea del Sud, tanto più che proprio in queste settimane è tornata di grande attualità la possibilità di dispiegare il sistema antimissile americano Thaad (Terminal High Altitude Area Defense) proprio sulla parte meridionale della penisola, creando momenti di tensione fra Seoul e Pechino;
la situazione sembra quindi bloccata nel solito stallo fra intransigenza e dialogo delle parti in causa, con l'incognita di un peggioramento della situazione vista la doverosa severità del Consiglio di sicurezza;
la «creatività di approcci» invocata dalla presidente sudcoreana Park Geun-hye per uscire dall’impasse e risolvere la questione è sicuramente un'idea accattivante, ma attualmente non sembra che alcuna delle parti in causa, tutte ancorate saldamente alle solite posizioni, abbia la volontà o l'interesse ad agire in maniera creativa;
il Segretario generale Ban Ki-moon, un sudcoreano, è stato perentorio affermando che: «il nuovo test è profondamente preoccupante, destabilizzante per la sicurezza della regione, e costituisce una seria minaccia per la comunità internazionale» e chiedendo a Pyongyang di «rispettare i suoi obblighi sulla denuclearizzazione» nonché «l'immediata sospensione di ogni attività» capace di «destabilizzare in profondità la regione» su cui, al contrario, il riavvio di un faticoso dialogo tra Nord e Sud Corea aveva fatto sperare in meglio sul futuro della penisola;
il Consiglio di sicurezza dell'Onu, che ha definito il nuovo test una «chiara violazione» delle sue risoluzioni, ha assicurato che inizierà a lavorare immediatamente su ulteriori misure restrittive con una nuova risoluzione: l'ultima di una lunga serie che però non è servita a frenare la corsa al nucleare militare della Corea del Nord;
il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest, ha ammonito che ogni test nucleare è una «provocazione inaccettabile e irresponsabile» e una «flagrante violazione» delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'Onu, condanna espressa subito dopo il colloquio del Pentagono con il segretario alla difesa Usa Ash Carter e il suo collega sudcoreano Han Min-koo, che hanno concordato sull'opportunità di «conseguenze»;
come era prevedibile, le prime reazioni alle minacce di Kim Jong Un da parte di Corea del Sud e Stati Uniti non si sono fatte attendere. Seoul ha deciso di limitare l'ingresso esclusivamente agli impiegati al polo industriale condiviso di Kaesong, gestito congiuntamente dalle due Coree dove lavorano 120 imprese sudcoreane che danno lavoro a 53.000 dipendenti nordcoreani;
la notte del primo esperimento nucleare, aerei di ricognizione americani hanno preso il volo dalle basi aeree sull'isola di Okinawa, nel sud del Giappone. Dalla base di Kadena sono decollati tre aerei-spia, fra cui un Rc-135, impiegati in missioni per la raccolta di dati da siti di esplosioni e per la verifica del rispetto dei trattati sugli armamenti;
proprio nella giornata dell'8 febbraio 2016 tuttavia una nuova provocazione nordcoreana si è materializzata in un tentativo di intrusione di una motovedetta in acque territoriali del Sud: i sudcoreani hanno sparato cinque colpi di avvertimento e l'incidente non ha avuto seguito;
la tensione resta alta e il Consiglio di sicurezza dell'Onu, riunito d'urgenza, ha già condannato il lancio di un razzo a lungo raggio effettuato dalla Corea del Nord ventilando nuove sanzioni internazionali, che peraltro erano già in discussione dopo che un mese fa Pyongyang aveva effettuato il suo quarto test nucleare;
anche se la Corea del Nord sottolinea che si è trattato del lancio in orbita di un satellite, il Consiglio di sicurezza dell'Onu concorda sul fatto che questo contribuisca allo sviluppo di sistemi di lancio di ordigni nucleari;
il rafforzamento e soprattutto l'efficacia delle sanzioni, però, dipendono molto dall'atteggiamento della Cina, che si trova in una posizione delicata. I Governi di Seul e Washington hanno subito annunciato l'avvio di trattative per il dispiegamento di un avanzato sistema antimissilistico Thaad in territorio sudcoreano. Il che ha già suscitato le proteste di Pechino, che ha convocato l'ambasciatore sudcoreano per fare rimostranze: non crede che una sorta di «scudo spaziale» ai suoi confini possa essere esclusivamente focalizzato sulla Corea del Nord, come è stato sottolineato dai due partner che intendono attuarlo;
l'aggressività di Pyongyang, insomma, rischia anche di alzare le tensioni tra Cina e Stati Uniti dal momento che la riluttanza di Pechino a fare pressioni efficaci su Pyongyang (in quanto non interessata a un crollo del regime) finisce per creare una situazione in cui diventa inevitabile il rialzo del profilo della presenza militare americana ai suoi confini. Inoltre, Seul ha già annunciato che quest'anno le manovre militari congiunte con le forze armate statunitensi saranno imponenti,
impegna il Governo
ad adottare iniziative politico-diplomatiche nei confronti del Governo della Repubblica Popolare Cinese affinché assuma tutte le iniziative necessarie, inclusa eventualmente l'adozione di stringenti sanzioni, al fine di spingere la Corea del Nord ad abbandonare i propri programmi di riarmo nucleare e missilistico.
(1-01143) «Baldassarre, Artini, Bechis, Segoni, Turco, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino».
La Camera,
premesso che:
il 6 gennaio 2016 la Corea del Nord ha annunciato di aver effettuato con successo un test nucleare con l'impiego di una bomba all'idrogeno (bomba H) miniaturizzata;
sul fatto che si sia trattato effettivamente di un ordigno termonucleare vi sono numerosi dubbi, tra cui quello relativo all'energia sprigionata dall'esplosione che pare troppo esigua per essere stata provocata da un processo di fusione nucleare; nondimeno è dubbio che si sia realmente trattato dell'esplosione di una bomba H, di una «normale» bomba A, o, più probabilmente, di un test non perfettamente riuscito (la detonazione di una bomba all'idrogeno è attivata da un ordigno atomico a fissione, e potrebbe essersi trattato di un tentativo fallito di innescare la fusione nucleare); non c’è dubbio che il progredire del programma di armamento strategico nordcoreano non possa essere sottovalutato;
l'esplosione del 6 gennaio, infatti, rappresenta il quarto test nucleare condotto dalla Corea del Nord, dopo quelli effettuati nel 2006, 2009 e 2013;
il 7 febbraio 2016 la Corea del Nord ha annunciato di aver effettuato il lancio del satellite per osservazione terrestre Kwangmyongsong-4 impiegando un razzo vettore a tre stadi Unha;
il lancio è avvenuto in anticipo rispetto a quanto comunicato da Pyongyang alla International Telecommunication Union (ITU), quando fu annunciato che la finestra di lancio sarebbe stata compresa tra l'8 e il 25 febbraio;
l'Unha è una versione modificata del missile balistico intercontinentale Taepo Dong-2, in fase di sviluppo e accreditato di un raggio d'azione di 8.000 chilometri, e perciò in grado di raggiungere anche il Nord America;
il lancio dell'Unha è dunque considerato dalla comunità internazionale come un altro test del programma missilistico della Corea del Nord, anche in considerazione del fatto che possedere un razzo capace di porre in orbita terrestre un oggetto è fattore abilitante per lo sviluppo di missili balistici intercontinentali eventualmente armabili anche con testate nucleari;
il Segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha commentato il lancio dichiarando, tramite il suo portavoce, che «si tratta di una violazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza sul bando a carico di Pyongyang dell'uso di tecnologie balistiche» e ha sollecitato lo stop immediato «delle azioni provocatorie» osservando che la mossa della Corea del Nord è maturata «nonostante la richiesta della comunità internazionale per evitare un atto del genere»;
le Nazioni Unite, su richiesta di Washington, Tokyo e Seul, hanno convocato una riunione d'urgenza del Consiglio di sicurezza, il quale ha condannato «nei termini più forti» il lancio del missile e ha annunciato di lavorare a una nuova risoluzione che includa ulteriori sanzioni;
nonostante le pesanti sanzioni in vigore nei confronti della Corea del Nord, i programmi di armamento nucleare e missilistico nordcoreani continuano a progredire rapidamente;
a questo proposito, all'indomani dell'ultimo lancio del missile Unha, l'agenzia di stampa di Stato cinese Xinhua, ha paventato il rischio di «risvolti negativi» per le azioni nordcoreane e ha parlato apertamente del «rischio di una guerra» se non verrà posto un freno deciso «all'escalation senza fine»;
negli ultimi anni l'impegno di Pechino verso Pyongyang non è andato, tuttavia, oltre le note diplomatiche e le esortazioni a rispettare gli impegni assunti per la denuclearizzazione e a non prendere iniziative che potrebbero peggiorare la sua situazione a livello internazionale e nella penisola coreana;
le reazioni dei principali attori regionali sono state pressoché le stesse di quelle all'indomani del test nucleare di gennaio: la Corea del Sud si è posta alla guida di un'iniziativa di forte condanna, cercando di riunire i 5 Paesi che componevano il principale tavolo di dialogo con Pyongyang – i cosiddetti Six Party Talks – a eccezione della Corea del Nord stessa e l'iniziativa ha subito ottenuto l'appoggio di Stati Uniti e Giappone, molto meno interessati alla questione rispetto al passato e piuttosto inclini a delegare la guida della questione a Seoul; Cina e Russia si sono dette contrarie, in quanto ravvisano nella «proposta a 5» un controproducente tentativo ulteriore di isolare la Corea del Nord;
se in passato sia Seoul che Washington sono state protagoniste dei negoziati sul nucleare nordcoreano, in questo caso sembra che l'unico attore in grado di indirizzare il percorso in un senso o nell'altro sia la Cina;
storicamente molto cauta quando si tratta di relazionarsi con il regime di Pyongyang, Pechino ha più volte richiamato tutte le parti alla calma e alla necessità di dirimere la questione attraverso il dialogo, possibilmente un dialogo gestito dalla stessa, come avveniva per il Six Party Talks;
in un rapporto diffuso dalla Corea del Sud nel 2013 relativo all'analisi dei detriti di un analogo razzo lanciato nel 2012 effettuata allo scopo di risalire all'origine dei singoli pezzi del vettore, si evidenzia come tutte le parti fondamentali dell'Unha siano state progettate e realizzate in Corea del Nord, con l'eccezione di alcune parti minori, come sensori di temperatura e cavi elettrici, che sono risultate provenire dalla Cina e da alcuni Paesi europei e che, comunque, non rientrano tra i materiali regolamentati dal Missile Technology Control Regime (MTCR);
la Cina è considerata lo storico alleato del regime nordcoreano ed è il suo fondamentale fornitore di energia elettrica e petrolio e irrinunciabile collegamento con il resto del mondo;
secondo le stime del Council on Foreign Relations, la Corea del Nord importa dalla Repubblica Popolare Cinese il 90 per cento dell'energia, l'80 per cento dei beni di consumo e il 45 per cento dei prodotti alimentari;
la Repubblica Popolare Cinese rappresenta, dunque, l'attore internazionale con la maggiore capacità d'influenza sul regime di Pyongyang;
Pechino ha condannato i test nucleari, nonché i recenti test missilistici condotti dalla Corea del Nord che stanno spingendo Corea del Sud e Giappone al riarmo, con il rischio di innescare nella regione una pericolosa corsa agli armamenti;
con ogni probabilità questa nuova «sfida» nordcoreana non porterà a cambiamenti significativi nell'atteggiamento cinese o a un suo avvicinamento alle posizioni intransigenti della Corea del Sud, tanto più che proprio in queste settimane è tornata di grande attualità la possibilità di dispiegare il sistema antimissile americano Thaad (Terminal High Altitude Area Defense) proprio sulla parte meridionale della penisola, creando momenti di tensione fra Seoul e Pechino;
la situazione sembra quindi bloccata nel solito stallo fra intransigenza e dialogo delle parti in causa, con l'incognita di un peggioramento della situazione vista la doverosa severità del Consiglio di sicurezza;
la «creatività di approcci» invocata dalla presidente sudcoreana Park Geun-hye per uscire dall’impasse e risolvere la questione è sicuramente un'idea accattivante, ma attualmente non sembra che alcuna delle parti in causa, tutte ancorate saldamente alle solite posizioni, abbia la volontà o l'interesse ad agire in maniera creativa;
il Segretario generale Ban Ki-moon, un sudcoreano, è stato perentorio affermando che: «il nuovo test è profondamente preoccupante, destabilizzante per la sicurezza della regione, e costituisce una seria minaccia per la comunità internazionale» e chiedendo a Pyongyang di «rispettare i suoi obblighi sulla denuclearizzazione» nonché «l'immediata sospensione di ogni attività» capace di «destabilizzare in profondità la regione» su cui, al contrario, il riavvio di un faticoso dialogo tra Nord e Sud Corea aveva fatto sperare in meglio sul futuro della penisola;
il Consiglio di sicurezza dell'Onu, che ha definito il nuovo test una «chiara violazione» delle sue risoluzioni, ha assicurato che inizierà a lavorare immediatamente su ulteriori misure restrittive con una nuova risoluzione: l'ultima di una lunga serie che però non è servita a frenare la corsa al nucleare militare della Corea del Nord;
il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest, ha ammonito che ogni test nucleare è una «provocazione inaccettabile e irresponsabile» e una «flagrante violazione» delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'Onu, condanna espressa subito dopo il colloquio del Pentagono con il segretario alla difesa Usa Ash Carter e il suo collega sudcoreano Han Min-koo, che hanno concordato sull'opportunità di «conseguenze»;
come era prevedibile, le prime reazioni alle minacce di Kim Jong Un da parte di Corea del Sud e Stati Uniti non si sono fatte attendere. Seoul ha deciso di limitare l'ingresso esclusivamente agli impiegati al polo industriale condiviso di Kaesong, gestito congiuntamente dalle due Coree dove lavorano 120 imprese sudcoreane che danno lavoro a 53.000 dipendenti nordcoreani;
la notte del primo esperimento nucleare, aerei di ricognizione americani hanno preso il volo dalle basi aeree sull'isola di Okinawa, nel sud del Giappone. Dalla base di Kadena sono decollati tre aerei-spia, fra cui un Rc-135, impiegati in missioni per la raccolta di dati da siti di esplosioni e per la verifica del rispetto dei trattati sugli armamenti;
proprio nella giornata dell'8 febbraio 2016 tuttavia una nuova provocazione nordcoreana si è materializzata in un tentativo di intrusione di una motovedetta in acque territoriali del Sud: i sudcoreani hanno sparato cinque colpi di avvertimento e l'incidente non ha avuto seguito;
la tensione resta alta e il Consiglio di sicurezza dell'Onu, riunito d'urgenza, ha già condannato il lancio di un razzo a lungo raggio effettuato dalla Corea del Nord ventilando nuove sanzioni internazionali, che peraltro erano già in discussione dopo che un mese fa Pyongyang aveva effettuato il suo quarto test nucleare;
anche se la Corea del Nord sottolinea che si è trattato del lancio in orbita di un satellite, il Consiglio di sicurezza dell'Onu concorda sul fatto che questo contribuisca allo sviluppo di sistemi di lancio di ordigni nucleari;
il rafforzamento e soprattutto l'efficacia delle sanzioni, però, dipendono molto dall'atteggiamento della Cina, che si trova in una posizione delicata. I Governi di Seul e Washington hanno subito annunciato l'avvio di trattative per il dispiegamento di un avanzato sistema antimissilistico Thaad in territorio sudcoreano. Il che ha già suscitato le proteste di Pechino, che ha convocato l'ambasciatore sudcoreano per fare rimostranze: non crede che una sorta di «scudo spaziale» ai suoi confini possa essere esclusivamente focalizzato sulla Corea del Nord, come è stato sottolineato dai due partner che intendono attuarlo;
l'aggressività di Pyongyang, insomma, rischia anche di alzare le tensioni tra Cina e Stati Uniti dal momento che la riluttanza di Pechino a fare pressioni efficaci su Pyongyang (in quanto non interessata a un crollo del regime) finisce per creare una situazione in cui diventa inevitabile il rialzo del profilo della presenza militare americana ai suoi confini. Inoltre, Seul ha già annunciato che quest'anno le manovre militari congiunte con le forze armate statunitensi saranno imponenti,
impegna il Governo
a svolgere pressioni politico-diplomatiche nei confronti del Governo della Repubblica Popolare Cinese, in raccordo con l'azione dell'Unione europea, affinché Pechino assuma tutte le iniziative necessarie, inclusa eventualmente l'adozione di stringenti sanzioni, al fine di spingere la Corea del Nord ad abbandonare i propri programmi di riarmo nucleare e missilistico.
(1-01143)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Baldassarre, Artini, Bechis, Segoni, Turco, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino».
La Camera,
premesso che:
a seguito del terremoto avvenuto il 6 gennaio 2016 in Corea del Nord è stato confermato dal regime di Pyongyang, l'effettuazione di un test attraverso una bomba all'idrogeno;
nonostante alcuni esperti abbiano mostrato dubbi sull'uso effettivo dell'idrogeno, sono da ritenersi certi tre precedenti test con bombe atomiche a flessione: nel 2006, nel 2009 e nel 2013;
a seguito di ciò le Nazioni Unite hanno imposto sanzioni internazionali alla Corea del Nord dichiarando che quegli atti hanno comportato una violazione grave del trattato sul bando dei test nucleari;
recentemente il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha condannato «con fermezza» il lancio di un razzo effettuato dalla Corea del Nord. In una dichiarazione adottata all'unanimità, i Quindici sottolineano che il lancio «è una seria violazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite». Il Consiglio ha dunque annunciato che adotterà presto ulteriori sanzioni «in risposta a queste pericolose e serie violazioni»;
il regime di Pyongyang ha dato il via a un'altra operazione missilistica quando – alle ore 1.31 italiane di domenica 7 febbraio 2016 – ha lanciato un razzo verso l'area di Okinawa violando ulteriormente la normativa internazionale sul lancio verso territori stranieri come sottolineato dal Premier Giapponese, Shinzo Abe;
Usa, Giappone e Corea Sud hanno chiesto la convocazione d'urgenza del Consiglio di sicurezza dell'Onu, che si è riunito rapidamente. Il segretario generale dell'Onu, Ban ki-Moon, ha sollecitato la Corea del Nord a porre fine «immediatamente alle azioni provocatorie»;
la scelta di lanciarlo l'ultimo giorno dell'anno cinese, proprio in coincidenza dell'apertura del periodo di vacanze più lungo in Cina e in molti Paesi orientali è stata letta come un'ulteriore provocazione. Motohide Yoshikawa, ambasciatore giapponese all'Onu, ha affermato in conferenza stampa che il missile ha sorvolato il Giappone ed è caduto nelle vicinanze delle Filippine denunciando che è stata «una chiara minaccia alla vita di molte persone»;
il Segretario generale dell'ONU Ban ki-Moon attraverso un suo portavoce ha fatto sapere che il lancio del razzo/satellite è una violazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza sul bando a carico di Pyongyang dell'uso di tecnologie balistiche e che tuttavia la mossa della Corea del Nord è maturata «nonostante la richiesta della comunità internazionale per evitare un atto del genere»;
il Segretario generale della Nato, Jeris Stoltenberg, ha condannato il lancio del razzo, puntando il dito contro «una diretta violazione di cinque risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazionali Unite». L'Onu, ha precisato il capo dell'Alleanza Atlantica in una nota, «ha ripetutamente chiesto alla Corea del Nord di sospendere tutte le sue attività legate al programma di sviluppo di missili balistici, di ripristinare gli impegni pre-esistenti di una moratoria sul lancio di missili e di non effettuare altri test nucleari o altri lanci con l'utilizzo di tecnologia balistica»;
il Consiglio Onu dei diritti umani attraverso una risoluzione del 28 marzo 2014 ha condannato la Corea del Nord per le sistematiche, massicce e gravi violazioni dei diritti umani – crimini contro l'umanità compresi – che continuano a essere commesse nel Paese;
la Corea del Nord ha sottoscritto importanti convenzioni internazionali, tra le quali il Patto internazionale sui diritti civili e politici e la Convenzione sul diritti del fanciullo,
impegna il Governo:
ad attivarsi in tutte le sedi istituzionali nazionali ed internazionali, al fine di contrastare e limitare la pericolosa progressione di atti militari in una zona del mondo già resa delicata da dispute territoriali;
a sostenere, per quanto di competenza, l'azione della Corea del Sud nel comunicare ai cittadini della regione confinante quanto sta avvenendo in questi giorni;
ad adoperarsi nel condannare fermamente le violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime di Pyongyang e a intervenire, per quanto di competenza, presso il Governo della Repubblica popolare di Corea affinché si interrompa quanto prima l’escalation delle violazioni dei diritti umani perpetrate sulla popolazione.
(1-01144) «Parisi, Galati, Merlo, Borghese, Abrignani, D'Alessandro, Faenzi, Mottola, Francesco Saverio Romano, Ciracì».
La Camera,
premesso che:
a seguito del terremoto avvenuto il 6 gennaio 2016 in Corea del Nord è stato confermato dal regime di Pyongyang, l'effettuazione di un test attraverso una bomba all'idrogeno;
nonostante alcuni esperti abbiano mostrato dubbi sull'uso effettivo dell'idrogeno, sono da ritenersi certi tre precedenti test con bombe atomiche a flessione: nel 2006, nel 2009 e nel 2013;
a seguito di ciò le Nazioni Unite hanno imposto sanzioni internazionali alla Corea del Nord dichiarando che quegli atti hanno comportato una violazione grave del trattato sul bando dei test nucleari;
recentemente il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha condannato «con fermezza» il lancio di un razzo effettuato dalla Corea del Nord. In una dichiarazione adottata all'unanimità, i Quindici sottolineano che il lancio «è una seria violazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite». Il Consiglio ha dunque annunciato che adotterà presto ulteriori sanzioni «in risposta a queste pericolose e serie violazioni»;
il regime di Pyongyang ha dato il via a un'altra operazione missilistica quando – alle ore 1.31 italiane di domenica 7 febbraio 2016 – ha messo in orbita un satellite artificiale utilizzando un missile balistico violando ulteriormente la normativa internazionale;
Usa, Giappone e Corea Sud hanno chiesto la convocazione d'urgenza del Consiglio di sicurezza dell'Onu, che si è riunito rapidamente. Il segretario generale dell'Onu, Ban ki-Moon, ha sollecitato la Corea del Nord a porre fine «immediatamente alle azioni provocatorie»;
la scelta di lanciarlo l'ultimo giorno dell'anno cinese, proprio in coincidenza dell'apertura del periodo di vacanze più lungo in Cina e in molti Paesi orientali è stata letta come un'ulteriore provocazione. Motohide Yoshikawa, ambasciatore giapponese all'Onu, ha affermato in conferenza stampa che il missile ha sorvolato il Giappone ed è caduto nelle vicinanze delle Filippine denunciando che è stata «una chiara minaccia alla vita di molte persone»;
il Segretario generale dell'ONU Ban ki-Moon attraverso un suo portavoce ha fatto sapere che il lancio del razzo/satellite è una violazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza sul bando a carico di Pyongyang dell'uso di tecnologie balistiche e che tuttavia la mossa della Corea del Nord è maturata «nonostante la richiesta della comunità internazionale per evitare un atto del genere»;
il Segretario generale della Nato, Jeris Stoltenberg, ha condannato il lancio del razzo, puntando il dito contro «una diretta violazione di cinque risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazionali Unite». L'Onu, ha precisato il capo dell'Alleanza Atlantica in una nota, «ha ripetutamente chiesto alla Corea del Nord di sospendere tutte le sue attività legate al programma di sviluppo di missili balistici, di ripristinare gli impegni pre-esistenti di una moratoria sul lancio di missili e di non effettuare altri test nucleari o altri lanci con l'utilizzo di tecnologia balistica»;
il Consiglio Onu dei diritti umani attraverso una risoluzione del 28 marzo 2014 ha condannato la Corea del Nord per le sistematiche, massicce e gravi violazioni dei diritti umani – crimini contro l'umanità compresi – che continuano a essere commesse nel Paese;
la Corea del Nord ha sottoscritto importanti convenzioni internazionali, tra le quali il Patto internazionale sui diritti civili e politici e la Convenzione sul diritti del fanciullo,
impegna il Governo:
ad attivarsi in tutte le sedi istituzionali nazionali ed internazionali, al fine di contrastare e limitare la pericolosa progressione di attività balistiche e di proliferazione nucleare in una zona del mondo già resa delicata da dispute territoriali;
a sostenere, per quanto di competenza, la ripresa e l'avanzamento del dialogo intercoreano e le iniziative volte alla stabilizzazione e alla denuclearizzazione della penisola coreana;
ad adoperarsi, nell'ambito dei pertinenti fori multilaterali cui l'Italia partecipa, ai fini della ferma condanna delle violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime di Pyongyang e a intervenire, per quanto di competenza, nel contesto dell'azione portata avanti dall'Unione europea in collaborazione con i principali partner regionali asiatici affinché si interrompa quanto prima l’escalation delle violazioni dei diritti umani perpetrate sulla popolazione.
(1-01144)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Parisi, Galati, Merlo, Borghese, Abrignani, D'Alessandro, Faenzi, Mottola, Francesco Saverio Romano, Ciracì».
La Camera,
premesso che:
la commissione d'inchiesta sui diritti umani nella Corea del Nord, istituita dall'Onu nel maggio 2013, nelle sue conclusioni rese note nel febbraio 2014 ha accusato il Governo nordcoreano di essere coinvolto in «sistematiche e diffuse violazioni dei diritti umani»;
nel resoconto degli ispettori si legge che «sotto molti aspetti, le violazioni dei diritti umani scoperte dalla commissione costituiscono crimini contro l'umanità. Non si tratta di semplici eccessi dello Stato, esse sono componenti essenziali di un sistema politico che si è allontanato di molto dagli ideali su cui afferma di essere fondato. La gravità, l'estensione e la natura di queste violazioni ha rivelato uno Stato che non ha corrispondenti nel mondo contemporaneo»;
nella sua relazione, la commissione d'inchiesta ha, inoltre, concluso che le violazioni dei diritti umani da parte di Pyongyang non hanno paragone nel mondo contemporaneo, rilevando la negazione quasi totale del diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione, nonché del diritto alla libertà di opinione, espressione, informazione e associazione, nonché l'esistenza di un sistema di sicurezza ampio e ben strutturato che controlla da vicino la vita di tutti i cittadini e non permette nessun tipo di libertà fondamentale nel Paese;
il Governo della Repubblica popolare democratica di Corea non consente opposizione politica, elezioni libere ed eque, libertà dei media, libertà religiosa, libertà di associazione, contrattazioni collettive o libertà di circolazione, e le sue autorità sono responsabili di detenzioni arbitrarie, sparizioni sistematiche e uccisioni extragiudiziali, oltre a tenere in prigione e nei campi di «rieducazione» più di centomila persone;
per quanto attiene alla libertà religiosa, il rapporto sulla libertà religiosa nel mondo, relativo al periodo tra l'ottobre del 2012 e il giugno 2014 ha identificato venti Paesi come luoghi di «elevato grado di violazione della libertà religiosa, in quanto in essi la libertà religiosa non esiste», suddividendoli tra quelli in cui le persecuzioni a sfondo religioso sono legate all'estremismo islamico e quelli in cui le stesse sono perpetrate da regimi autoritari, e tra questi ultimi la Corea del Nord risulta essere la peggiore con un numero di cristiani detenuti stimato tra i cinquanta e i settantamila;
il 17 dicembre 2015 le Nazioni Unite hanno votato una risoluzione di condanna nei confronti della Corea del Nord in merito alla situazione dei diritti e per sottoporre tale Paese al giudizio della Corte penale internazionale per crimini contro l'umanità;
una simile risoluzione era stata approvata già il 18 novembre 2014, ma rispetto alla precedente, quella del dicembre 2015 appare più dura nei confronti del regime coreano, e contiene come richiesta principale la totale chiusura dei campi di prigionia, nei quali circa centomila detenuti vivono in condizioni terrificanti;
il 21 gennaio 2016 il Parlamento europeo ha approvato una ulteriore risoluzione di condanna nei confronti della Corea del Nord in seguito al test nucleare effettuato il 6 gennaio da parte del regime di Pyongyang;
la Repubblica popolare di Corea si è ritirata nel 2003 dal Trattato di non proliferazione delle armi nucleari; dal 2006 effettua test nucleari e, nel 2009, ha dichiarato ufficialmente di aver sviluppato un ordigno nucleare, sfidando apertamente il regime internazionale di non proliferazione nucleare, rischiando di aggravare notevolmente le tensioni regionali e minacciando la pace e la sicurezza mondiali;
inoltre, come rilevato in ambito europeo, la centralità assunta dagli investimenti militari nelle politiche di Pyongyang «può essere ritenuta un reato di omissione nei confronti delle necessità di base dei cittadini, tenuto conto che circa il settanta percento dei 24,6 milioni di nordcoreani versa in condizioni di insicurezza alimentare e che quasi il trenta percento dei bambini sotto i 5 anni è gravemente malnutrito»;
la popolazione della Repubblica popolare democratica di Corea è stata esposta a decenni di sottosviluppo, con un'assistenza sanitaria insufficiente ed elevati livelli di malnutrizione materna e infantile, in un contesto di isolamento politico ed economico, frequenti calamità naturali e aumenti internazionali dei prezzi dei prodotti alimentari e del carburante, e anche a fronte della carestia attualmente in corso continua a mostrare una rigida chiusura nei confronti degli aiuti provenienti dall'esterno, continuando a violare il diritto all'alimentazione del suo popolo;
si registrano sistematiche violazioni dei diritti umani e l'applicazione della pena di morte in numerosi altri Stati,
impegna il Governo:
ad esprimere una chiara posizione di condanna nei confronti della Corea del Nord e comunque di tutti quegli Stati che si rendono responsabili di violazioni dei diritti umani, stigmatizzando le restrizioni alla libertà di pensiero, di coscienza, di religione, di opinione ed espressione, di riunione pacifica e di associazione;
ad assumere, anche in collaborazione con le competenti istituzioni dell'Unione europea, ogni iniziativa opportuna per promuovere un più elevato grado di democraticità in Corea del Nord, in primo luogo, attraverso la promozione di un tempestivo adattamento del sistema giuridico e giudiziario agli standard previsti in ambito internazionale, e ad agire affinché la questione dei diritti umani continui a rimanere tra le priorità dell'agenda politica dell'Unione europea;
a sostenere ogni iniziativa in ambito internazionale volta a porre fine alle uccisioni extragiudiziali e alle sparizioni forzate, a favorire la liberazione dei prigionieri politici e la realizzazione delle più elementari libertà dei cittadini in particolare in Corea del Nord, nonché ad adoperarsi in tutte le sedi opportune al fine di ridurre, fino alla sua completa cancellazione, il ricorso alla pena di morte;
a sostenere ogni iniziativa di condanna proposta in sede internazionale nei confronti della Corea del Nord, con riferimento alla produzione di armamenti nucleari e di armi chimiche o batteriologiche, affinché possano essere realizzate la pace, la sicurezza e la stabilità nella regione.
(1-01149) «Rampelli, Cirielli, La Russa, Maietta, Giorgia Meloni, Nastri, Taglialatela, Totaro».
La Camera,
premesso che:
esprime preoccupazione per quanto trapela relativamente al trattamento che ricevono i diritti umani nel territorio della Corea del Nord, condannata già con apposita risoluzione datata 28 marzo 2014 dal Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani;
in particolare, circolano notizie a proposito dell'esistenza di una rete di campi di prigionia e rieducazione in Corea del Nord, a somiglianza di quanto peraltro avverrebbe nell'attigua Repubblica Popolare Cinese;
va stigmatizzato, altresì, la brutalità di alcune esecuzioni, come quella di cui è rimasto vittima nello scorso aprile anche Hyon Yong-chol, Ministro e capo delle forze armate, peraltro precedentemente legato all'attuale leader del regime nord-coreano, Kim Yon-un, prelevato da una manifestazione pubblica ed ucciso poche ore dopo con un cannone anti-aereo, perché reo di essersi addormentato durante una parata militare;
si osserva, altresì, la tendenza della Repubblica democratica popolare di Corea a sviluppare anche tecnologie ed armamenti incompatibili con un serio e credibile impegno in favore della pace e della sicurezza internazionale, attestata anche dalla recente sperimentazione di un sedicente ordigno nucleare all'idrogeno;
si evidenzia il fallimento riportato negli ultimi 15 anni dalle concessioni politiche con le quali si è cercato di ammorbidire il regime nord-coreano e condizionarne il comportamento sulla scena interna ed internazionale;
si sottolinea come il regime nord-coreano inizi a costituire un fattore di preoccupazione non soltanto per gli Stati Uniti ma anche per le potenze regionali più o meno vicine, come la stessa Repubblica Popolare Cinese, la Repubblica di Corea, il Giappone e la Federazione Russa,
impegna il Governo:
ad adoperarsi in tutte le sedi internazionali competenti affinché vengano esercitate pressioni dirette ad ottenere un maggior rispetto dei diritti umani fondamentali da parte della Repubblica democratica popolare di Corea;
a vincolare la concessione futura alla Corea del Nord di qualsiasi aiuto a progressi tangibili e verificabili internazionalmente del rispetto dei diritti umani da parte delle locali autorità;
ad assumere in ambito internazionale, di concerto con gli Stati alleati, amici o partner del nostro Paese, tutte le iniziative ritenute opportune ad indurre la Corea del Nord a rinunciare alle proprie ambizioni nel campo della proliferazione nucleare e delle tecnologie missilistiche.
(1-01150) «Gianluca Pini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Rondini, Saltamartini, Simonetti».
La Camera,
premesso che:
esprime preoccupazione per quanto trapela relativamente al trattamento che ricevono i diritti umani nel territorio della Corea del Nord, condannata già con apposita risoluzione datata 28 marzo 2014 dal Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani;
in particolare, circolano notizie a proposito dell'esistenza di una rete di campi di prigionia e rieducazione in Corea del Nord, a somiglianza di quanto peraltro avverrebbe nell'attigua Repubblica Popolare Cinese;
va stigmatizzato, altresì, la brutalità di alcune esecuzioni, come quella di cui è rimasto vittima nello scorso aprile anche Hyon Yong-chol, Ministro e capo delle forze armate, peraltro precedentemente legato all'attuale leader del regime nord-coreano, Kim Yon-un, prelevato da una manifestazione pubblica ed ucciso poche ore dopo con un cannone anti-aereo, perché reo di essersi addormentato durante una parata militare;
si osserva, altresì, la tendenza della Repubblica democratica popolare di Corea a sviluppare anche tecnologie ed armamenti incompatibili con un serio e credibile impegno in favore della pace e della sicurezza internazionale, attestata anche dalla recente sperimentazione di un sedicente ordigno nucleare all'idrogeno;
si evidenzia il fallimento riportato negli ultimi 15 anni dalle concessioni politiche con le quali si è cercato di ammorbidire il regime nord-coreano e condizionarne il comportamento sulla scena interna ed internazionale;
si sottolinea come il regime nord-coreano inizi a costituire un fattore di preoccupazione non soltanto per gli Stati Uniti ma anche per le potenze regionali più o meno vicine, come la stessa Repubblica Popolare Cinese, la Repubblica di Corea, il Giappone e la Federazione Russa,
impegna il Governo:
ad adoperarsi in tutte le sedi internazionali competenti affinché vengano esercitate pressioni dirette ad ottenere un maggior rispetto dei diritti umani fondamentali da parte della Repubblica democratica popolare di Corea;
a valutare, anche in relazione alla concessione futura di aiuti alla Corea del Nord, i progressi in ambito diritti umani da parte delle locali autorità;
ad assumere in ambito internazionale, di concerto con gli Stati alleati, amici o partner del nostro Paese, tutte le iniziative ritenute opportune per obbligare la Corea del Nord a rinunciare a tutte le armi nucleari ed ai programmi nucleari e missilistici esistenti, in maniera completa, verificabile ed irreversibile.
(1-01150)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Gianluca Pini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Rondini, Saltamartini, Simonetti».
MOZIONI MOLTENI ED ALTRI N. 1-00950, BORGHI, ALLI, PLANGGER ED ALTRI N. 1-00952, COMINARDI ED ALTRI N. 1-01137, POLVERINI ED ALTRI N. 1-01138 E PAGLIA ED ALTRI N. 1-01145 CONCERNENTI INIZIATIVE A FAVORE DEI LAVORATORI FRONTALIERI, IN PARTICOLARE ALLA LUCE DEL RECENTE ACCORDO SOTTOSCRITTO CON LA CONFEDERAZIONE ELVETICA
Mozioni
La Camera,
premesso che:
ciò che distingue il lavoratore frontaliero dal tradizionale lavoratore migrante è il fatto di essere residente in uno Stato e di lavorare in un altro. Mentre il secondo lascia il suo Paese di origine, con o senza la sua famiglia, per abitare e lavorare in un Paese diverso dal suo, il frontaliere ha una doppia cittadinanza nazionale per il luogo di residenza e il luogo di lavoro;
tuttavia risulta impossibile stabilire un concetto univoco che comprenda criteri obiettivi per la definizione del lavoro frontaliero. Tale concetto copre infatti realtà diverse, a seconda che si consideri l'accezione comunitaria – enunciata in particolare in materia di sicurezza sociale – o le numerose definizioni contenute nelle convenzioni bilaterali di doppia imposizione – valide per la determinazione del regime fiscale applicabile ai lavoratori frontalieri;
l'espressione «lavoratore frontaliero» designa qualsiasi lavoratore occupato sul territorio di uno Stato membro e residente sul territorio di un altro Stato membro (criterio politico), dove torna in teoria ogni giorno o almeno una volta alla settimana (criterio temporale). Questa definizione, che, oltre agli elementi intrinseci dello spostamento dal domicilio al luogo di lavoro attraverso una frontiera, conserva la condizione temporanea del ritorno quotidiano o settimanale al domicilio, si applica tuttavia solamente alla protezione sociale dei lavoratori in questione all'interno dell'Unione europea;
la situazione dei frontalieri abitanti nell'Unione europea che si spostano per lavorare nella Confederazione Elvetica presenta alcune notevoli peculiarità rispetto a quella dei frontalieri che lavorano e risiedono nell'Unione europea;
mentre all'interno dell'Unione europea il loro statuto si fonda sulla libera circolazione, definita dal trattato di Roma, che si concretizza nell'affermazione del principio della non discriminazione tra i frontalieri e i residenti, la Svizzera ha un regime di soggiorno e di occupazione fondato sul permesso di lavoro;
tale permesso è concesso, in generale, per un anno; vi è specificata la retribuzione, che deve rispettare il minimo salariale del cantone, definito dall'Ufficio cantonale del lavoro. Il permesso è concesso solo se il lavoratore ha trovato un datore di lavoro, e dopo aver verificato che non vi siano iscritti nelle liste locali di collocamento per lo stesso genere di incarico. La concessione dei permessi in ciascun cantone è subordinata a una quota minima di lavoratori nazionali presenti in ogni impresa;
stando alle recenti comunicazioni dell'Ufficio federale di statistica (UST), anche nel 2014 è aumentato il numero dei frontalieri in Svizzera, saliti a 287.100 a livello nazionale, lo stesso trend si registra anche in Ticino, con un numero di lavoratori abitanti in Italia che si attesta a 61.593;
secondo i dati, a livello elvetico la crescita è risultata inferiore a quella del 2013 e rappresenta anche il valore più basso degli ultimi cinque anni, ma nell'arco di un lustro l'incremento è del 29,6 per cento. In Ticino nello stesso periodo la percentuale è maggiore, pari a +34,8 per cento: nel 2009 i frontalieri erano infatti ancora solo 4568;
nel febbraio 2015 il Governo italiano e il Consiglio federale svizzero hanno siglato il Protocollo che modifica la Convenzione tra i due Paesi per evitare le doppie imposizioni. Il Protocollo, che prevedendo lo scambio di informazioni su richiesta ai fini fiscali secondo lo standard OCSE pone fine al segreto bancario, è stato firmato per l'Italia dal Ministro dell'economia e delle finanze Pier Carlo Padoan, e per la Svizzera dal capo del dipartimento federale delle finanze Eveline Widmer-Schlumpf;
unitamente al Protocollo è stata anche sottoscritta una road map, un documento politico che fissa il percorso per la prosecuzione dei negoziati su altre questioni tra cui revisione dell'accordo del 1974 sulla tassazione dei lavoratori frontalieri, ad oggi ancora in vigore e che prevede la tassazione esclusiva in Svizzera con il ristorno del 40 per cento del gettito ai comuni italiani della zona di confine;
il nuovo accordo tra Roma e Berna, perfezionato il 22 dicembre 2015, rappresenta una rivoluzione per gli equilibri consolidati nell'economia transfrontaliera, in quanto abolisce due meccanismi sinora inamovibili: i ristorni ai comuni di frontiera, una partita da 60 milioni di euro annui destinata a comuni e province di frontiera, e la tassazione alla fonte per circa 62 mila lavoratori italiani, di cui 25 mila varesini, 20 mila comaschi ed i restanti sondriesi e piemontesi;
il nuovo accordo, invece, nel porre fine al meccanismo del ristorno, prevedendo che sia lo Stato italiano a compensare i comuni di frontiera, lascia una preoccupante incognita sulla garanzia dell'attuale gettito ai medesimi comuni, in un quadro più ampio di incertezza italiana della propria posizione fiscale;
quanto alla tassazione, i lavoratori italiani frontalieri in Svizzera saranno assoggettati ad imposizione sia nello Stato in cui esercitano l'attività che nello Stato di residenza, ritrovandosi a pagare le tasse sui redditi per il 70 per cento in Svizzera e per il restante 30 per cento in Italia, con un aumento graduale del carico fiscale che – a regime – assume la connotazione di una vera e propria stangata;
il processo, infatti, non sarà immediato. Dall'entrata in vigore dell'accordo, prevista per il 2018, inizierà il cosiddetto split fiscale che dovrà portare la tassazione a pieno regime dieci anni dopo, nel 2028, con un aumento progressivo che si valuta del 10 per cento annuo;
secondo prime stime, trattasi di 200 milioni di euro di tassazione in più da versare ogni anno allo Stato italiano e 15 milioni di euro in più alle casse del Canton Ticino, con una media di oltre 3.000 euro all'anno in più da versare per ogni contribuente;
i nuovi termini dell'accordo hanno già prodotto i primi effetti negativi: dal 7 luglio 2015 sui circa 62 mila lavoratori italiani frontalieri grava l'onere dell'assicurazione malattia e spese per le cure mediche;
in un momento storico dove l'economia ha difficoltà globalizzate, l'INPS deve ancora spiegazioni a tutti i frontalieri che si chiedono dove sia finito il tesoretto da 200 milioni che finanziava la legge n. 147 del 1997 (un fondo che, ricordiamo, venne formato con i contributi di disoccupazione pagati dai frontalieri in Svizzera e da questa ristornati all'Italia);
va ricordata altresì la giacenza a Berna del cosiddetto tesoretto di 3 miliardi di franchi (2,8 miliardi di euro), dovuto al versamento contributivo per il secondo pilastro da parte di cittadini italiani frontalieri che hanno lavorato nei diversi cantoni della Confederazione Elvetica,
impegna il Governo:
ad assumere iniziative per prevedere che nel nuovo regime fiscale vengano puntualmente disciplinati i ristorni dei frontalieri verso i comuni di residenza, con certezza dell'ammontare dei ristorni e delle modalità di distribuzione, al fine di salvaguardare i comuni di frontiera e garantire che l'attuale gettito non sia messo in discussione;
ad assumere iniziative per stabilire, tramite accordi di programma definiti dai territori di confine interessati – stante la reciprocità prevista nell'accordo del 22 dicembre 2015, nell'ambito del quale sono ricompresi anche i frontalieri svizzeri che lavorano in Italia – che parte della tassazione sia vincolata per il progresso socio-economico e lo sviluppo delle infrastrutture strategiche delle rispettive nazioni;
ad assumere iniziative per garantire che il nuovo sistema fiscale una volta a regime comporti per i lavoratori italiani frontalieri in Svizzera una tassazione simile a quella previgente al rinnovo della Convenzione;
a prevedere lo sblocco da parte dell'INPS dei fondi per il finanziamento della legge n. 147 del 1997;
a prevedere nell'ambito del disegno di legge di ratifica il perfezionamento di accordi di interscambio scolastico e formativo per i giovani delle zone di confine;
a intervenire sospendendo l'applicazione della norma sulle spese mediche, ricordando come questa, oltre ad un ulteriore aggravio impositivo per i lavoratori, porterebbe ad una disparità di trattamento tra i frontalieri che già lavorano in Ticino rispetto ai nuovi frontalieri, per i quali le casse malati svizzere saranno da oggi un'opzione più interessante;
ad assumere iniziative per garantire il recupero di tutte le posizioni e l'individuazione di tutti i nominativi dei legittimi titolari delle somme giacenti a Berna.
(1-00950)
(Ulteriore nuova formulazione) «Molteni, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».
La Camera
impegna il Governo:
ad assumere iniziative per prevedere che nel nuovo regime fiscale vengano puntualmente disciplinati i ristorni dei frontalieri verso i comuni di residenza, con certezza dell'ammontare dei ristorni e delle modalità di distribuzione, al fine di salvaguardare i comuni di frontiera e garantire che l'attuale gettito non sia messo in discussione;
ad assumere iniziative per stabilire, tramite accordi di programma definiti dai territori di confine interessati – stante la reciprocità prevista nell'accordo del 22 dicembre 2015, nell'ambito del quale sono ricompresi anche i frontalieri svizzeri che lavorano in Italia – che parte della tassazione sia vincolata per il progresso socio-economico e lo sviluppo delle infrastrutture strategiche delle rispettive nazioni;
ad assumere iniziative per garantire che il nuovo sistema fiscale una volta a regime comporti per i lavoratori italiani frontalieri in Svizzera una tassazione simile a quella previgente al rinnovo della Convenzione;
a prevedere lo sblocco da parte dell'INPS dei fondi per il finanziamento della legge n. 147 del 1997;
a prevedere nell'ambito del disegno di legge di ratifica il perfezionamento di accordi di interscambio scolastico e formativo per i giovani delle zone di confine;
a intervenire sospendendo l'applicazione della norma sulle spese mediche, ricordando come questa, oltre ad un ulteriore aggravio impositivo per i lavoratori, porterebbe ad una disparità di trattamento tra i frontalieri che già lavorano in Ticino rispetto ai nuovi frontalieri, per i quali le casse malati svizzere saranno da oggi un'opzione più interessante;
ad assumere iniziative per garantire il recupero di tutte le posizioni e l'individuazione di tutti i nominativi dei legittimi titolari delle somme giacenti a Berna.
(1-00950)
(Ulteriore nuova formulazione) «Molteni, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».
(Testo risultante dalla votazione per parti separate)
La Camera,
premesso che:
in questi mesi è in corso di definizione il negoziato tra il nostro Paese e la Confederazione Elvetica, negoziato che disciplinerà, oltre ai rapporti fiscali tra i due Paesi, anche importanti competenze ad oggi soggette a precedenti accordi quali ad esempio quelle sul lavoro frontaliero;
il quadro delle relazioni con la Confederazione Elvetica risulta essere complesso a seguito delle prese di posizione dei massimi responsabili istituzionali del Canton Ticino e all'assunzione di specifiche iniziative unilaterali lesive dei principi di libera circolazione delle persone, di libertà della concorrenza e di intrapresa e di uguaglianza di fronte alla legge;
risultano essere infatti ormai quotidiane le dichiarazioni pubbliche di esponenti istituzionali del Canton Ticino tese a mettere in discussione sia i diritti dei numerosi cittadini italiani occupati regolarmente presso imprese e aziende ticinesi, sia lo stato delle relazioni Italia-Svizzera, concentrate oggi sui negoziati fiscali e sull'accordo per l'imposizione fiscale dei lavoratori frontalieri;
ad oggi i lavoratori frontalieri in territorio elvetico provenienti dall'Italia risultano essere circa 60.000 e numerose sono le piccole e medie aziende dei territori di confine della Valle d'Aosta, del Piemonte, della Lombardia e della provincia autonoma di Bolzano ad essere interessate nei processi di fornitura e di assistenza nell'ambito del mercato elvetico;
nei confronti dei lavoratori frontalieri si è assistito negli ultimi mesi, complice anche la campagna elettorale in territorio elvetico, ad un continuo ed ingiustificato attacco di natura discriminatoria e xenofoba;
in particolare, ha destato scalpore, a questo riguardo, la decisione del Canton Ticino tesa ad obbligare ogni cittadino italiano in via di occupazione in Svizzera a presentare il certificato dei carichi pendenti in allegato alla richiesta di assunzione;
in questa direzione si è inserito anche l'avvio dell'elaborazione da parte del Consiglio di Stato del Ticino di una clausola fortemente restrittiva sul reddito dei cittadini italiani occupati in Ticino mediante una maggiorazione del trattamento fiscale sulla base della nazionalità italiana dei lavoratori, circostanze ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo in palese contrasto con l'accordo sulla libera circolazione delle persone sottoscritto tra Unione europea e Confederazione Elvetica;
è da sottolineare altresì la volontà di introdurre su base cantonale un limite restrittivo di quote dei frontalieri, smentendo in tal modo la competenza del Consiglio federale e ponendo di fatto un'azione di messa in mora dell'accordo sulla libera circolazione delle persone;
a ciò si aggiunga il fatto che il 24 marzo 2015, con provvedimento n. 24 del 2015, il Gran Consiglio della Repubblica e Cantone Ticino ha approvato la legge sulle imprese artigianali per l'esercizio della professione di imprenditore nel settore artigianale, introducendo elementi che vanno nella direzione di ostacolare la libera circolazione delle imprese estere in Canton Ticino;
nello specifico agli articoli 3 e 4 della legge si è decretata l'istituzione di un albo delle imprese artigianali, la cui iscrizione da parte delle stesse costituisce conditio sine qua non per l'esercizio della professione, ed è subordinata al rispetto di determinati requisiti professionali, così come previsto dall'articolo 6 della legge stessa, la cui identificazione è rimandata all'approvazione di apposito regolamento pubblicato sul bollettino ufficiale delle leggi del Canton Ticino il 20 gennaio 2016, con entrata in vigore il 1o febbraio 2016;
i contenuti del suddetto regolamento prevedono, tra le altre cose, il rispetto dei seguenti requisiti:
a) diplomi e titoli di studio prevedendo il riconoscimento unilaterale dei diplomi e certificati esteri da parte della Segreteria di Stato Svizzera – SEFRI;
b) attestati e referenze concernenti l'attività pratica;
c) certificato di solvibilità personale;
d) dimostrazione di lavorare in Svizzera da almeno 5 anni;
e) eventuali infrazioni saranno sanzionate con multe sino a 50.000 franchi;
una disposizione che, così concepita, necessita di approfondimenti sia rispetto al percorso formativo abilitante sia rispetto alla modalità per il riconoscimento dell'esperienza professionale;
in merito all'omologazione dei titoli di specializzazione professionale degli artigiani italiani con quelli riconosciuti in Svizzera, come già emerso in passato, e ribadito in occasione nell'incontro tenutosi il 30 giugno 2015 presso il Ministero dello sviluppo economico – divisione VI cooperazione economica bilaterale in merito alla professionalità degli elettricisti ed idraulici italiani, l'ostacolo è rappresentato dal diverso percorso formativo adottato nei due Paesi; impedimento che non può essere superato, così come prospettato dalla Svizzera, con l'introduzione di obbligo di frequentazione da parte delle imprese italiane di idoneo corso professionale riconosciuto dal legislatore svizzero e successivo superamento di un esame di pratica;
la disamina della questione dovrebbe tener conto anche di quanto previsto dalle direttive europee 2005/36/CE e 2013/55/UE, che nell'istituire un regime di riconoscimento delle qualifiche professionali nell'Unione europea, estesa anche ad altri Paesi dello spazio economico europeo (SEE) e alla Svizzera, mira a rendere i mercati del lavoro più flessibili, a liberalizzare ulteriormente i servizi, a favorire il riconoscimento automatico delle qualifiche professionali e a semplificare le procedure amministrative;
in tal senso sembra significativo quanto sancisce l'articolo 16 della direttiva 2005/36/EU che recita: «Se in uno Stato membro l'accesso a una delle attività legate all'allegato IV o il suo esercizio è subordinato al possesso di conoscenze e competenze generali, commerciali o professionali, lo Stato membro riconosce come prova sufficiente di tali conoscenze e competenze l'aver esercitato l'attività considerata in un altro Stato membro»;
in questa direzione va anche la direttiva 2013/55/UE, applicabile dal 18 gennaio 2016, che nel prevedere la creazione di una tessera professionale europea consente ai cittadini di poter chiedere il riconoscimento delle proprie qualifiche professionali;
si evidenzia altresì che esiste un apposito Accordo tra la Confederazione Svizzera, da una parte, e l'Unione europea ed i suoi Stati membri, dall'altra, sulla libera circolazione delle persone i cui lavori si sono conclusi il 21 giugno 1999, approvato dall'Assemblea federale svizzera l'8 ottobre 1991, ratificato con strumenti depositati il 16 ottobre 2000, entrato in vigore il 1o giugno 2002;
il provvedimento adottato coinvolge 4.548 ditte artigiane individuali e 9.835 dipendenti di società, per un totale di 14.383 italiani che nel corso del 2015 hanno prestato, per un periodo di tempo inferiore ai 90 giorni anno, lavoro in Svizzera nel Canton Ticino. Questi lavoratori, imprenditori e loro dipendenti, sono per lo più di provenienza lombarda e piemontese, in particolare delle province di Varese, Como, Verbano Cusio Ossola, che, per il ruolo che giocano a supporto dell'economia cantonale, quale importante forma di collaborazione per lo sviluppo di alcuni comparti economici (in primis quelli legati alla filiera dell'abitare), sono sempre stati al centro del dibattito in Canton Ticino in quanto ingiustamente accusati di sottrarre opportunità di lavoro alle imprese locali;
le richiamate gravi prese di posizione nei confronti dei cittadini italiani lavoratori frontalieri in Svizzera sono diventate pressoché quotidiane, creando una forte tensione nei rapporti con la Confederazione elvetica, per evitare la quale si ritiene indispensabile che quest'ultima in maniera esplicita smentisca formalmente con propri atti alcune iniziative condotte dalle autorità cantonali ticinesi a scapito dei principi della libera circolazione delle persone;
mentre tutto ciò si è andato realizzando, in data 22 dicembre 2015 l'Italia e la Svizzera hanno parafato un accordo sull'imposizione fiscale dei lavoratori frontalieri, unitamente ad un protocollo che modifica le relative disposizioni della Convenzione contro le doppie imposizioni, al fine di concretizzare uno dei principali impegni assunti dai due Stati nella «road map», firmata nel febbraio 2015 in occasione dei procedimenti connessi con l'approvazione della «voluntary disclosure». Il nuovo accordo, chiamato a sostituire quello del 1974, allo stato non risulta essere stato ancora firmato da parte di entrambi i Governi, né tantomeno approvato da parte dei rispettivi Parlamenti, e i Governi hanno annunciato che il testo sarà reso disponibile e pubblico al momento della firma;
secondo quanto reso pubblico con un comunicato congiunto del Ministero dell'economia e delle finanze della Repubblica italiana e dalla Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali della Confederazione Elvetica, l'accordo comprende i seguenti principali elementi:
a) si fonda sul principio di reciprocità;
b) fornisce una definizione di aree di frontiera che, per quanto riguarda la Svizzera, sono i Cantoni dei Grigioni, del Ticino e del Vallese e, nel caso dell'Italia, le regioni Lombardia, Piemonte, Valle d'Aosta e provincia autonoma di Bolzano;
c) fornisce una definizione di lavoratori frontalieri al fine dell'applicazione dell'accordo e include i lavoratori frontalieri che vivono nei comuni i cui territori ricadono, per intero o parzialmente, in una fascia di 20 chilometri dal confine e che, in via di principio, ritornano quotidianamente nel proprio Stato di residenza;
d) per quanto riguarda l'imposizione, lo Stato in cui viene svolta l'attività lavorativa imporrà sul reddito da lavoro dipendente al 70 per cento al massimo dell'imposta risultante dall'applicazione delle imposte ordinarie sui redditi delle persone fisiche. Lo Stato di residenza applicherà le proprie imposte sui redditi delle persone fisiche ed eliminerà la doppia imposizione;
e) viene effettuato uno scambio di informazioni in formato elettronico relativo ai redditi da lavoro dipendente dei lavoratori frontalieri;
f) l'accordo sarà sottoposto a riesame ogni cinque anni;
il comparto del frontalierato risulta essere interessato, sul fronte interno, da un provvedimento relativo ad una controversa interpretazione normativa relativa al paventato rischio di pagamento da parte dei lavoratori frontalieri dell'assistenza sanitaria italiana, a seguito dell'emanazione di una circolare del Ministero della salute che, richiamando un accordo Stato-regioni in data 20 dicembre 2012, lascerebbe supporre che per i lavoratori italiani occupati in Svizzera e per i titolari di pensione svizzera possa essere prevista l'iscrizione volontaria al servizio sanitario nazionale, mediante il pagamento alla asl di residenza di un contributo fissato dal decreto ministeriale 8 ottobre 1986 e successive modificazioni e integrazioni, circostanza che sta aprendo numerosi dubbi e interrogativi circa la fondatezza giuridico-costituzionale del provvedimento a causa della sua onerosità, della lesione del principio di universalità sul quale si fonda il servizio sanitario nazionale e sulla circostanza che si renderebbe impossibile una pratica uniforme del provvedimento in assenza da parte dell'Italia dell'elenco anagrafico dei frontalieri;
l'intera questione relativa allo stato delle relazioni tra Italia e Svizzera deve essere colta dal Governo nella sua globalità e complessità e le determinazioni da assumersi in merito non possono essere astratte rispetto al quadro complessivo delle situazioni in campo, ivi compresa la necessaria corrispondenza di risposte ufficiali da parte delle competenti istituzioni elvetiche in termini di positiva cooperazione e di effettiva disponibilità,
impegna il Governo:
a richiedere un chiarimento formale alla Confederazione elvetica in merito alle decisioni discriminatorie assunte dal Canton Ticino in contrasto con gli accordi di libera circolazione delle persone;
a rivalutare l'accordo tra Italia e Svizzera in materia fiscale in relazione alla formulazione, da parte delle competenti autorità federali e cantonali svizzere, di specifiche assicurazioni formali tendenti ad escludere la validità e l'applicazione di qualsivoglia iniziativa discriminatoria e lesiva dell'accordo di libera circolazione delle persone intercorrente tra Unione europea e Confederazione elvetica nei confronti di cittadini italiani occupati o occupabili in Svizzera e di aziende italiane potenzialmente interessate al mercato elvetico, nonché alla rimozione di ogni forma di discriminazione sin qui messa in campo, ivi compresa l'individuazione da parte della Svizzera di una soluzione euro-compatibile di adeguamento della propria legislazione al risultato del voto popolare sull'iniziativa del 9 febbraio 2014;
a fare in modo che in ogni caso, modalità e tempistiche relative all'armonizzazione fiscale tra cittadini italiani frontalieri compresi entro la fascia dei 20 chilometri e cittadini italiani frontalieri fuori fascia garantiscano adeguata e sostenibile gradualità modulata temporalmente e che esse inizialmente non comportino aggravi per i lavoratori frontalieri «entro fascia» e siano disciplinate, per quanto di competenza dal Governo italiano, nel disegno di legge di ratifica dell'accordo tra Repubblica italiana e Confederazione elvetica o in altre iniziative normative;
ad operare affinché in tale contesto venga prevista l'estensione della franchigia per i lavoratori frontalieri prevista dalla legge di stabilità 2015 in termini di permanente agevolazione Irpef anche ai lavoratori frontalieri presenti all'interno della fascia di 20 chilometri dal confine italo-elvetico;
ad assumere iniziative per garantire, per quanto di competenza, che nel disegno di legge di ratifica si provveda ad assicurare ai comuni di frontiera l'equivalente dell'attuale ristorno delle imposte versate dai lavoratori frontalieri secondo l'accordo del 1974, mediante specifica disposizione che commisuri l'ammontare complessivo e la ripartizione spettante ai comuni di frontiera alla dinamica del monte salari complessivamente prodotto dal comparto transfrontaliero avendo come montante minimo di partenza il valore complessivo dei ristorni fiscali generato nell'ultimo anno fiscale di vigenza dell'accordo Italia-Svizzera del 1974;
ad avviare, in conformità a specifiche mozioni già adottate dal Parlamento italiano, il percorso finalizzato alla realizzazione dello «statuto del frontaliere» come parte integrante e sostanziale del processo negoziale del futuro accordo tra Italia e Svizzera;
ad assumere iniziative, anche in sede europea, tese a garantire il rispetto delle norme che regolamentano il riconoscimento delle qualifiche professionali in forza dell'accordo tra l'Unione europea e la Svizzera;
ad adoperarsi per un costante coinvolgimento delle istituzioni locali interessate (regioni Valle d'Aosta, Piemonte e Lombardia, provincia autonoma di Bolzano, province di Sondrio e del Verbano Cusio Ossola, in considerazione anche delle loro nuove competenze in materia di cooperazione frontaliera a seguito della legge n. 56 del 2014, nonché province di Como, Lecco e Varese) e delle rappresentanze sindacali dei lavoratori frontalieri;
ad analizzare i contenuti dei provvedimenti legislativi e regolamentari assunti dal Canton Ticino richiamati nelle premesse del presente atto, e ad assumere iniziative – qualora siano in contrasto con gli accordi bilaterali o con l'Unione europea – presso le sedi opportune affinché venga modificato quanto disposto unilateralmente;
ad intervenire, per quanto di competenza, sospendendo ogni iniziativa di Stato, regioni e province autonome tendenti ad introdurre un'impropria modalità di pagamento da parte di lavoratori italiani occupati in Svizzera e per i titolari di pensione svizzera per il godimento delle prestazioni del Servizio sanitario nazionale;
ad assumere iniziative per prevedere che le prestazioni corrisposte ai lavoratori frontalieri dalla previdenza professionale per la vecchiaia, i superstiti e l'invalidità svizzera (lpp), in qualunque forma erogata, ivi comprese le prestazioni erogate dai diversi enti o istituti svizzeri di pre-pensionamento, vengano assoggettate, ai fini delle imposte dirette, a una tassazione forfettaria in analogia alla normativa sulla collaborazione volontaria;
ad assicurare che nel prosieguo del processo negoziale sia data adeguata attenzione alla specificità del comune di Campione d'Italia, comprese soluzioni a breve termine sulle questioni doganali;
ad assumere iniziative per prevedere che l'eventuale extra gettito derivante dall'entrata a regime del trattamento fiscale Irpef dei frontalieri venga destinato a potenziare le infrastrutture nelle zone di confine con la Svizzera, con particolare riguardo alle infrastrutture di trasporto locale, ai collegamenti tra Italia e Svizzera e alla tutela ambientale, mediante la creazione di un apposito «Fondo per le zone di confine italo-elvetiche» presso il Ministero dell'economia e delle finanze.
(1-00952)
(Ulteriore nuova formulazione) «Borghi, Alli, Plangger, Braga, Marantelli, Tentori, Guerra, Fragomeli, Senaldi, Gadda, Baruffi, Realacci, Tacconi, Paolo Rossi, Lupi, Bernardo, Vignali, Monchiero, Palladino, Garavini, Gianni Farina».
La Camera,
premesso che:
la normativa comunitaria definisce «lavoratore frontaliero» qualsiasi lavoratore occupato sul territorio di uno Stato membro e residente sul territorio di un altro Stato membro dove torna, di regola, ogni giorno o almeno una volta alla settimana. Ciò che differenzia il lavoratore frontaliero dal lavoratore migrante è il fatto di essere residente in uno Stato e di lavorare in un altro. In altri termini, mentre il lavoratore migrante lascia il suo Paese di origine per abitare e lavorare in un Paese diverso da quello nel quale ha risieduto fino a quel momento, il frontaliere ha una doppia cittadinanza nazionale per il luogo di residenza e il luogo di lavoro;
il fenomeno dei lavoratori frontalieri e la frontiera in genere provocano sovente effetti perversi agendo da barriera tra sistemi amministrativi ed economici. Per questo motivo, oramai da tempo immemore, si è costretti a rincorrere soluzioni rispetto agli aspetti di natura tanto fiscale quanto di protezione sociale riferiti a questa particolare categoria di lavoratori che si muove a cavallo del confine;
come noto, assumono particolare rilievo gli aspetti legati al fenomeno frontaliero dei lavoratori italiani in Svizzera per i quali, contrariamente agli accordi vigenti nell'Unione europea ove è possibile la libera circolazione come definita dal trattato di regime di soggiorno più specifico relativo all'autorizzazione al lavoro. In Svizzera è infatti necessario ottenere un permesso al lavoro ove venga specificata la retribuzione, che dovrà rispettare il minimo salariale del cantone come definito dall'Ufficio cantonale del lavoro. Il permesso è concesso solo se il lavoratore avrà trovato un datore di lavoro, e dopo aver verificato che non vi siano iscritti nelle liste locali di collocamento per lo stesso genere di incarico. La concessione dei permessi in ciascun cantone è altresì subordinata a una quota minima di lavoratori nazionali presenti in impresa;
il numero dei frontalieri italiani in Svizzera è cresciuto nel tempo, evidenziando tuttavia una graduale decelerazione negli ultimi anni: nel quadriennio 2011-2014 la crescita annuale dei flussi si è attestata all'8,8 - 7,7 - 5,4 e 5,3 per cento per il Cantone Ticino; al 9,4 - 7,2 - 7,2 e 5,2 per il Cantone dei Grigioni; al 14,9 - 12,1 - 9,1 e 11,4 per il Cantone Vallese. L'elaborazione dei dati Ustat consente di avere l'informazione sulla provincia di provenienza per la Lombardia e per il Piemonte; in quest'ultimo caso, sono state impiegate anche le elaborazioni dell'Osservatorio regionale del mercato del lavoro (ORML) del Piemonte su dati Ust;
analizzando i dati riferiti alla provincia di provenienza, emerge che come prevedibile sono le province caratterizzate dai più lunghi tratti di confine con la Svizzera quelle che incidono maggiormente sul movimento dei frontalieri verso il Cantone Ticino: Varese e Corno sono le province di residenza in cui il fenomeno è più consistente (circa 25 mila unità nel 2014 in ciascuna provincia), seguite da quella di Verbano-Cusio-Ossola (oltre 5 mila). Più contenuti sono i flussi dalle altre province confinanti (Sondrio, Lecco, Aosta, Bolzano). L'Ustat diffonde anche il movimento da altre province italiane verso il Cantone Ticino, che è stato pari a 4.548 frontalieri nel 2014 e 4.071 nel 2013 (un incremento annuale pari circa al 12 per cento). Attraverso i dati censuari svizzeri si può notare che, sebbene risulti sensibilmente più ridotto il flusso inverso dalla Svizzera all'Italia, esso esiste ed è in crescita nel tempo, Nel 2010 erano 1.455 gli svizzeri che lavoravano nel territorio italiano, mentre nel 2011 si sono attestati a 1.904;
il 23 febbraio 2015, dopo circa tre anni di negoziati, Italia e Svizzera hanno siglato a Milano un accordo in materia fiscale e finanziaria;
i due Paesi hanno infatti sottoscritto una road map per il proseguimento del dialogo sulle questioni finanziarie e fiscali, la road map comprende anche una revisione dell'accordo sul trattamento fiscale dei lavoratori frontalieri;
alla luce dell'instaurazione di questo percorso tra Italia e Svizzera volto al perfezionamento di tutti gli aspetti di natura fiscale e di protezione sociale che riguardano i lavoratori frontalieri, parrebbe opportuno tenere in considerazione la necessità di intervento rispetto a talune problematiche che emergono in tutta la loro criticità, non da ultima quella per la quale, in seguito all'adozione del principio della tassazione concorrente, non vi sarà più alcuna compensazione finanziaria tra i due Stati, il che comporterà la necessità per l'Italia di provvedere unilateralmente con il proprio bilancio a ristorare i comuni frontalieri, recependo nella legge di ratifica del nuovo trattato la normativa che oggi regola la distribuzione dei trasferimenti ai comuni. Tale previsione appare evidentemente peggiorativa rispetto a quella antecedente e di grave danno per le casse dei comuni frontalieri italiani;
il nuovo accordo, infatti, nel porre fine al meccanismo del ristorno, prevede che sia lo Stato italiano a compensare i comuni di frontiera, lasciando una preoccupante incognita sulla garanzia dell'attuale gettito ai comuni medesimi;
quanto al sistema di protezione sociale vi è da aggiungere che il Regolamento (CE) n. 883 del 2004, che si applica anche alla Svizzera dal 2012 (con l'entrata in vigore della modifica dell'accordo sulla libera circolazione delle persone) in materia di coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, prevede in particolare all'articolo 65 (paragrafo 5, lettera a) che sia l'istituzione dello Stato di residenza (per l'Italia, l'INPS) a erogare le prestazioni al disoccupato (quindi, nel caso di specie, ai frontalieri italiani che dovessero essere licenziati in Svizzera) come se fosse stato soggetto alla legislazione dello Stato di residenza durante la sua ultima attività lavorativa. Il successivo paragrafo 6 prevede, comunque, l'obbligo per il Paese di ultimo impiego (nel caso, la Svizzera) di rimborsare all'istituzione dello Stato di residenza (INPS) l'importo delle prestazioni erogate;
i nuovi termini dell'accordo avrebbero già prodotto i primi effetti negativi: dallo scorso luglio migliaia di lavoratori frontalieri lamentano criticità emergenti in relazione alla validità della tessera relativa all'assicurazione per malattia e spese per le cure mediche e sembrerebbe che l'amministrazione non abbia ancora sufficientemente chiarito la vicenda nonostante siano già stati formulati vari interpelli in merito;
il fenomeno dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera possiede rilievo strutturale, in quanto, pur non rappresentando la componente maggioritaria del complesso dei frontalieri che lavorano nella Confederazione, i lavoratori italiani svolgono comunque una funzione essenziale nel soddisfare la domanda di lavoro nelle aree di riferimento, in particolare in Ticino. Nel Cantone i frontalieri nel 2014 hanno rappresentato il 26,9 per cento degli occupati, a fronte del 5,8 per cento riferito a tutti i frontalieri presenti nell'intera Confederazione;
il tessuto economico svizzero ha infatti estremo bisogno di forza lavoro straniera: negli ultimi anni il saldo migratorio della Confederazione elvetica è stato tra i più alti dell'Unione europea, oscillando tra le 60 mila e le 80 mila unità. A maggior ragione in un contesto in cui le esportazioni e il turismo potrebbero risentire del rafforzamento del franco, l'immigrazione – e la connessa disponibilità di forza lavoro caratterizzata da un salario di riserva concorrenziale – potrebbero rivelarsi fondamentali per contenere la perdita di competitività connessa alla rivalutazione del cambio, sostenere la crescita della domanda interna e dei consumi, limitare l'impatto della debole ripresa dell'economia europea, e rincorrere sensibilmente al finanziamento del welfare domestico,
impegna il Governo:
ad assumere ogni iniziativa utile a garantire la parità di trattamento tra cittadini svizzeri e cittadini degli Stati dell'Unione europea eliminando ogni causa di discriminazione a motivo della propria cittadinanza per quanto riguarda, in particolare, condizioni di impiego e di lavoro, retribuzione e vantaggi fiscali e sociali;
ad assumere iniziative volte a favorire l'eliminazione delle ripercussioni negative che il trasferimento in un altro Stato per lavorarvi possa avere sulle coperture assistenziali e previdenziali;
a garantire la corretta applicazione del regolamento (CE) n. 883 del 2004, che si applica anche alla Svizzera dal 2012, con particolare riferimento alla necessità di porre stringenti vincoli quanto alla tempistica di rimborso dei costi sostenuti dall'istituzione dello Stato di residenza (INPS), nei casi di costi posti a carico di quest'ultima;
ad assumere iniziative per prevedere lo sblocco in favore dei lavoratori frontalieri dei fondi per il finanziamento della legge n. 147 del 1997;
a favorire l'apposizione di specifici vincoli di utilizzo di quota parte delle risorse rinvenienti dalla tassazione dei lavoratori frontalieri, per il sostegno del welfare domestico;
ad assumere iniziative finalizzate alla previsione di un regime fiscale convenzionale che consenta la destinazione diretta ai comuni di residenza delle somme dovute a titolo di ristorno delle spese sostenute per servizi sociali a carico dei medesimi;
a chiarire con urgenza se la tessera sanitaria dei frontalieri non sia più valida in mancanza di comprovata iscrizione al servizio sanitario nazionale e del pagamento della quota minima prevista dal decreto ministeriale 8 ottobre 1986.
(1-01137)
(Nuova formulazione) «Cominardi, Ciprini, Tripiedi, Chimienti, Dall'Osso, Lombardi, D'Incà, Petraroli, Crippa».
La Camera
impegna il Governo:
ad assumere ogni iniziativa utile a garantire la parità di trattamento tra cittadini svizzeri e cittadini degli Stati dell'Unione europea eliminando ogni causa di discriminazione a motivo della propria cittadinanza per quanto riguarda, in particolare, condizioni di impiego e di lavoro, retribuzione e vantaggi fiscali e sociali;
ad assumere iniziative volte a favorire l'eliminazione delle ripercussioni negative che il trasferimento in un altro Stato per lavorarvi possa avere sulle coperture assistenziali e previdenziali;
a garantire la corretta applicazione del regolamento (CE) n. 883 del 2004, che si applica anche alla Svizzera dal 2012, con particolare riferimento alla necessità di porre stringenti vincoli quanto alla tempistica di rimborso dei costi sostenuti dall'istituzione dello Stato di residenza (INPS), nei casi di costi posti a carico di quest'ultima;
ad assumere iniziative per prevedere lo sblocco in favore dei lavoratori frontalieri dei fondi per il finanziamento della legge n. 147 del 1997;
a favorire l'apposizione di specifici vincoli di utilizzo di quota parte delle risorse rinvenienti dalla tassazione dei lavoratori frontalieri, per il sostegno del welfare domestico;
ad assumere iniziative finalizzate alla previsione di un regime fiscale convenzionale che consenta la destinazione diretta ai comuni di residenza delle somme dovute a titolo di ristorno delle spese sostenute per servizi sociali a carico dei medesimi;
a chiarire con urgenza se la tessera sanitaria dei frontalieri non sia più valida in mancanza di comprovata iscrizione al servizio sanitario nazionale e del pagamento della quota minima prevista dal decreto ministeriale 8 ottobre 1986.
(1-01137)
(Nuova formulazione) «Cominardi, Ciprini, Tripiedi, Chimienti, Dall'Osso, Lombardi, D'Incà, Petraroli, Crippa».
(Testo risultante dalla votazione per parti separate)
La Camera,
premesso che:
secondo i dati dell'ufficio federale di statistica del Canton Ticino, sono 69 mila gli italiani, di cui la maggior parte provenienti dalle province di Varese, Como e Verbano-Cusio-Ossola che ogni giorno varcano la frontiera per recarsi a lavorare in Svizzera, pur continuando a risiedere in Italia e che costituiscono una risorsa fondamentale per l'economia dei cantoni Ticino, Vallese e Grigioni;
i lavoratori frontalieri, secondo, stime relative al secondo trimestre del 2015 guadagnano circa il 7-8 per cento meno dei lavoratori elvetici. I frontalieri italiani operano nella grande maggioranza in Canton Ticino (circa il 90 per cento, pari a circa 62 mila), ma anche nei cantoni turistici dei Grigioni e del Vallese; nei tre cantoni, lavorano complessivamente oltre il 99 per cento dei frontalieri provenienti dall'Italia;
Varese è la provincia con più frontalieri seguita da Como. Il movimento da altre province italiane verso il Cantone Ticino è stato pari a 4.548 frontalieri nel 2014 e 4.071 nel 2013 (un incremento annuale pari circa al 12 per cento). Il tasso di disoccupazione in Ticino è fisiologico: 3,4 per cento a settembre 2015 (contro il 3,2 dell'intera Svizzera);
gli italiani che lavorano nel Cantone Ticino sono in costante aumento da anni, una tendenza che non accenna ad invertirsi: erano 47.357 nel 2010, 51.513 nel 2011, 55.484 nel 2012, 58.465 nel 2013 e 61.588 nel 2014, 61.740 nel primo trimestre del 2015 sempre secondo l'Ufficio federale di statistica di Berna;
in base ai dati recentemente rilasciati dall'ufficio di statistica del Cantone Ticino, considerando l'insieme dell'economia privata ticinese, nel 2012 l'importo medio del salario mensile lordo di un lavoratore frontaliere ammontava a 4.393 franchi. Si tratta di una cifra significativamente inferiore rispetto ai salariati svizzeri (5.733), stranieri domiciliati (5.295) o dimoranti (4.951). Rispetto al 2000, il salario dei frontalieri è cresciuto a un ritmo molto modesto (309 franchi, il 7,6 per cento nel periodo, lo 0,6 per cento in media d'anno) sensibilmente meno rispetto alle altre categorie di lavoratori;
di riflesso, il divario salariale tra lavoratori svizzeri e frontalieri si è ampliato (passando dal 14,6 al 23,4 per cento) a fronte, al contrario, di un assottigliamento dello scarto tra le retribuzioni degli elvetici e gli altri stranieri residenti nella Confederazione elvetica. Anche volendo tenere in conto la diversa composizione in termini di profili personali e professionali dei lavoratori posti a confronto, secondo dati forniti dall'Ustat, le differenze retributive tra lavoratori svizzeri e frontalieri restano nell'ordine del 7-8 per cento a vantaggio degli elvetici, mentre tale differenziale si annulla per gli stranieri residenti;
il Parlamento ticinese e il Ministero delle finanze hanno recentemente commissionato uno studio all'IRE, Istituto di ricerche economiche dell'università della Svizzera italiana di Lugano, che ha condotto un'approfondita ricerca in materia di lavoratori frontalieri, esaminando i dati relativi agli impiegati in 328 aziende svizzere;
dallo studio risulta che tra i principali motivi di assunzione di frontalieri spiccano «le carenze di competenze fra i residenti». In aggiunta si evidenzia che «il reclutamento di lavoratori stranieri, da parte delle aziende ticinesi, è dovuto al fatto che il candidato straniero ha semplicemente mostrato il profilo più adatto per il posto da ricoprire». Quindi in sostanza, i lavoratori frontalieri italiani vengono scelti proprio per le competenze e le professionalità che non è possibile ritrovare all'interno della confederazione elvetica;
la presenza di un così consistente numero di frontalieri ha indotto l'Italia e la Confederazione elvetica a stipulare numerosi accordi bilaterali per regolare diverse questioni riguardanti, tra l'altro, la previdenza sociale, l'imposizione fiscale, l'indennità di disoccupazione;
nel febbraio 2015 il Governo italiano e il Consiglio federale svizzero hanno siglato il protocollo di intesa fiscale che modifica la Convenzione tra i due Paesi per evitare le doppie imposizioni; il protocollo prevede lo scambio di informazioni su richiesta a fini fiscali secondo gli standard Ocse, per i periodi successivi alla firma dell'accordo, per singolo contribuente o per categorie di soggetti, senza la possibilità di opporre il segreto bancario e la possibilità di utilizzare in via amministrativa e giudiziaria le informazioni scambiate;
il protocollo, di fatto modifica la Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Svizzera il 9 marzo 1976 e sancisce la fine del segreto bancario;
unitamente al protocollo è stata anche sottoscritta una road map, un documento politico che fissa il percorso per la prosecuzione dei negoziati su altre questioni tra cui revisione dell'accordo del 1974 sulla tassazione dei lavoratori frontalieri, ad oggi ancora in vigore e che prevede la tassazione esclusiva in Svizzera con il ristorno del 40 per cento del gettito ai comuni italiani della zona di confine;
il 22 dicembre 2015, è stato perfezionato il nuovo accordo fiscale tra Italia e Svizzera, che abolisce due meccanismi che sinora non erano mai strati modificati: i ristorni ai comuni di frontiera e la tassazione alla fonte per circa 69 mila lavoratori italiani;
l'accordo che entrerà pienamente in vigore entro dieci anni, rappresenta più di un'incognita per i lavoratori per quanto riguarda la propria posizione fiscale; i lavoratori frontalieri saranno infatti assoggettati ad imposizione nello Stato di residenza, pagando le tasse sui redditi per il 70 per cento in Svizzera e per il restante 30 per cento in Italia, con un indubbio aumento del carico fiscale, che una volta a regime, rappresenterà un forte esborso per i lavoratori frontalieri,
impegna il Governo:
ad assumere tutte le necessarie iniziative affinché, il nuovo sistema fiscale, una volta a pieno regime, non contempli condizioni fiscali che siano più sfavorevoli per i lavoratori frontalieri, riportando anzi la tassazione ai parametri previgenti al rinnovo della Convenzione;
ad assumere iniziative perché nel nuovo regime fiscale siano previsti i ristorni dei lavoratori frontalieri verso i comuni di residenza, con una disciplina che sia certa relativamente all'ammontare dei ristorni stessi e alle modalità di distribuzione, al fine di tenere conto delle legittime istanze dei territori di frontiera e dei suoi lavoratori;
ad assumere le opportune iniziative affinché l'INPS proceda allo sblocco delle risorse per il finanziamento della legge n. 147 del 1997, che contiene un fondo finanziato con i contributi di disoccupazione pagati dai frontalieri alla Svizzera e da questa ristornati all'Italia.
(1-01138) «Polverini, Occhiuto, Crimi».
La Camera,
premesso che:
secondo i dati dell'ufficio federale di statistica del Canton Ticino, sono 69 mila gli italiani, di cui la maggior parte provenienti dalle province di Varese, Como e Verbano-Cusio-Ossola che ogni giorno varcano la frontiera per recarsi a lavorare in Svizzera, pur continuando a risiedere in Italia e che costituiscono una risorsa fondamentale per l'economia dei cantoni Ticino, Vallese e Grigioni;
i lavoratori frontalieri, secondo, stime relative al secondo trimestre del 2015 guadagnano circa il 7-8 per cento meno dei lavoratori elvetici. I frontalieri italiani operano nella grande maggioranza in Canton Ticino (circa il 90 per cento, pari a circa 62 mila), ma anche nei cantoni turistici dei Grigioni e del Vallese; nei tre cantoni, lavorano complessivamente oltre il 99 per cento dei frontalieri provenienti dall'Italia;
Varese è la provincia con più frontalieri seguita da Como. Il movimento da altre province italiane verso il Cantone Ticino è stato pari a 4.548 frontalieri nel 2014 e 4.071 nel 2013 (un incremento annuale pari circa al 12 per cento). Il tasso di disoccupazione in Ticino è fisiologico: 3,4 per cento a settembre 2015 (contro il 3,2 dell'intera Svizzera);
gli italiani che lavorano nel Cantone Ticino sono in costante aumento da anni, una tendenza che non accenna ad invertirsi: erano 47.357 nel 2010, 51.513 nel 2011, 55.484 nel 2012, 58.465 nel 2013 e 61.588 nel 2014, 61.740 nel primo trimestre del 2015 sempre secondo l'Ufficio federale di statistica di Berna;
in base ai dati recentemente rilasciati dall'ufficio di statistica del Cantone Ticino, considerando l'insieme dell'economia privata ticinese, nel 2012 l'importo medio del salario mensile lordo di un lavoratore frontaliere ammontava a 4.393 franchi. Si tratta di una cifra significativamente inferiore rispetto ai salariati svizzeri (5.733), stranieri domiciliati (5.295) o dimoranti (4.951). Rispetto al 2000, il salario dei frontalieri è cresciuto a un ritmo molto modesto (309 franchi, il 7,6 per cento nel periodo, lo 0,6 per cento in media d'anno) sensibilmente meno rispetto alle altre categorie di lavoratori;
di riflesso, il divario salariale tra lavoratori svizzeri e frontalieri si è ampliato (passando dal 14,6 al 23,4 per cento) a fronte, al contrario, di un assottigliamento dello scarto tra le retribuzioni degli elvetici e gli altri stranieri residenti nella Confederazione elvetica. Anche volendo tenere in conto la diversa composizione in termini di profili personali e professionali dei lavoratori posti a confronto, secondo dati forniti dall'Ustat, le differenze retributive tra lavoratori svizzeri e frontalieri restano nell'ordine del 7-8 per cento a vantaggio degli elvetici, mentre tale differenziale si annulla per gli stranieri residenti;
il Parlamento ticinese e il Ministero delle finanze hanno recentemente commissionato uno studio all'IRE, Istituto di ricerche economiche dell'università della Svizzera italiana di Lugano, che ha condotto un'approfondita ricerca in materia di lavoratori frontalieri, esaminando i dati relativi agli impiegati in 328 aziende svizzere;
dallo studio risulta che tra i principali motivi di assunzione di frontalieri spiccano «le carenze di competenze fra i residenti». In aggiunta si evidenzia che «il reclutamento di lavoratori stranieri, da parte delle aziende ticinesi, è dovuto al fatto che il candidato straniero ha semplicemente mostrato il profilo più adatto per il posto da ricoprire». Quindi in sostanza, i lavoratori frontalieri italiani vengono scelti proprio per le competenze e le professionalità che non è possibile ritrovare all'interno della confederazione elvetica;
la presenza di un così consistente numero di frontalieri ha indotto l'Italia e la Confederazione elvetica a stipulare numerosi accordi bilaterali per regolare diverse questioni riguardanti, tra l'altro, la previdenza sociale, l'imposizione fiscale, l'indennità di disoccupazione;
nel febbraio 2015 il Governo italiano e il Consiglio federale svizzero hanno siglato il protocollo di intesa fiscale che modifica la Convenzione tra i due Paesi per evitare le doppie imposizioni; il protocollo prevede lo scambio di informazioni su richiesta a fini fiscali secondo gli standard Ocse, per i periodi successivi alla firma dell'accordo, per singolo contribuente o per categorie di soggetti, senza la possibilità di opporre il segreto bancario e la possibilità di utilizzare in via amministrativa e giudiziaria le informazioni scambiate;
il protocollo, di fatto modifica la Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Svizzera il 9 marzo 1976 e sancisce la fine del segreto bancario;
unitamente al protocollo è stata anche sottoscritta una road map, un documento politico che fissa il percorso per la prosecuzione dei negoziati su altre questioni tra cui revisione dell'accordo del 1974 sulla tassazione dei lavoratori frontalieri, ad oggi ancora in vigore e che prevede la tassazione esclusiva in Svizzera con il ristorno del 40 per cento del gettito ai comuni italiani della zona di confine;
il 22 dicembre 2015, è stato perfezionato il nuovo accordo fiscale tra Italia e Svizzera, che abolisce due meccanismi che sinora non erano mai strati modificati: i ristorni ai comuni di frontiera e la tassazione alla fonte per circa 69 mila lavoratori italiani;
l'accordo che entrerà pienamente in vigore entro dieci anni, rappresenta più di un'incognita per i lavoratori per quanto riguarda la propria posizione fiscale; i lavoratori frontalieri saranno infatti assoggettati ad imposizione nello Stato di residenza, pagando le tasse sui redditi per il 70 per cento in Svizzera e per il restante 30 per cento in Italia, con un indubbio aumento del carico fiscale, che una volta a regime, rappresenterà un forte esborso per i lavoratori frontalieri,
impegna il Governo:
ad assumere tutte le necessarie iniziative affinché, il nuovo sistema fiscale, una volta a pieno regime, non contempli condizioni fiscali che siano più sfavorevoli per i lavoratori frontalieri;
ad assumere iniziative perché nel nuovo regime fiscale siano previsti i ristorni dei lavoratori frontalieri verso i comuni di residenza, con una disciplina che sia certa relativamente all'ammontare dei ristorni stessi e alle modalità di distribuzione, al fine di tenere conto delle legittime istanze dei territori di frontiera e dei suoi lavoratori;
ad assumere le opportune iniziative affinché l'INPS proceda allo sblocco delle risorse per il finanziamento della legge n. 147 del 1997, che contiene un fondo finanziato con i contributi di disoccupazione pagati dai frontalieri alla Svizzera e da questa ristornati all'Italia.
(1-01138)
(Testo modificato nel corso della seduta come risultante dalla votazione per parti separate) «Polverini, Occhiuto, Crimi».
La Camera,
premesso che:
lo Stato italiano, al fine di disciplinare il trattamento fiscale di quei lavoratori che per raggiungere il proprio luogo di lavoro devono quotidianamente attraversare una frontiera (e perciò detti «frontalieri»), ha sottoscritto in passato altrettante convenzioni bilaterali contro la doppia imposizione quante sono le zone di frontiera, la più datata delle quali è quella firmata con la Svizzera, ratificata con la legge n. 943 del 23 dicembre 1978; seguono poi quella con l'Austria, ratificata con la legge n. 762 del 18 ottobre 1984, quella con la Francia, ratificata con la legge n. 20 del 7 gennaio 1992, quella con la Slovenia ratificata con la legge del 29 maggio 2009 n. 76) e quella, ultima in ordine di tempo con San Marino ratificata con la legge n. 88 del 19 luglio 2013). Nulla è stato sottoscritto con l'altro paese limitrofo, il Principato di Monaco, né con lo Stato Vaticano;
tutte le suddette convenzioni impongono di risiedere e lavorare in una zona frontaliera in senso stretto, definita da ciascuna di esse, in modo variabile;
nell'ambito dell'accordo storico sottoscritto il 23 febbraio 2015 che di fatto ha posto fine al segreto bancario, la Confederazione svizzera e l'Italia, modificando la convenzione contro le doppie imposizioni ratificata, con legge, nel 1978, si sono accordati per uno scambio di informazioni in materia fiscale che, al termine di una road map, diverrà automatico dal 2018;
in particolare, l'accordo parafato sia a Roma che a Berna il 22 gennaio 2016, inciderà sulla precedente convenzione che ruotava attorno al principio della podestà impositiva esclusiva del Paese in cui i redditi sono prodotti e che prevedeva la cosiddetta «fascia di frontiera», ovvero quella fascia di 20 chilometri che comprende i comuni situati, per l'Italia, nelle province di Como, Varese, Lecco e del Verbano Cusio Ossola, mentre per il versante svizzero, quella ricadente nell'intero territorio comprendente il Cantone Ticino, il Cantone Vallese ed il Cantone dei Grigioni, ed entro cui doveva risiedere il frontaliero al fine di versare le imposte al solo fisco svizzero ed essere, di conseguenza, esentato dall'effettuare la dichiarazione dei redditi in Italia. In un secondo momento la Svizzera ristornava ai comuni italiani di frontiera il 38,8 per cento dell'imposta da lui versata;
successivamente ed in seguito all'entrata in vigore dell'Accordo sulla libera circolazione delle persone, nonostante il relativo abbattimento delle zone di frontiera con la Svizzera avvenuto a partire dal 1o giugno 2007 abbia inciso sulla mobilità geografica dei frontalieri e sulla loro capacità di esercitare un'attività economica sul territorio dello Stato che li occupa, il trattamento fiscale dei redditi di lavoro dipendente prestato dai frontalieri ha continuato ad essere disciplinato nei limiti e nei termini di cui al citato accordo bilaterale del 3 ottobre 1974, prevedendo, invece, che a quei frontalieri italiani residenti oltre la suddetta fascia di confine sia applicabile la disciplina fiscale italiana, previa l'applicazione di una franchigia di 7.500 euro;
il nuovo accordo, in particolare, si perfezionerà attraverso quattro fasi temporali nel corso delle quali, grazie ad un sistema di splitting fiscale, il livello di tassazione sul frontaliere residente entro la fascia dei 20 chilometri aumenterà gradualmente fino ad essere equiparato a quello dei frontalieri residenti fuori dalla stessa e di tutti gli altri frontalieri italiani (ovvero quelli che lavorano in Francia, Slovenia, nella Repubblica di San Marino e nello Stato Vaticano). Nel corso della prima fase, che terminerà entro il 2017, il regime si tassazione rimarrà invariato. A partire dall'inizio del 2018, inizio della seconda fase, il lavoratore frontaliere verserà al fisco svizzero il 70 per cento dell'imposta risultante dall'applicazione delle imposte ordinarie sui redditi delle persone fisiche, mentre la restante parte di reddito, pari al 30 per cento, sarà assoggettato, in Italia, ad Irpef, ragione per cui in un primo momento (ma non si sa per quanto), al fine di mantenere inalterata rispetto a quella attuale la pressione fiscale del frontaliere, il fisco italiano gli applicherà le aliquote speciali. Con la terza fase, nell'arco temporale di dieci anni, verrà avviato un progressivo innalzamento delle aliquote elvetiche, fino a quando le stesse raggiungeranno complessivamente quelle del livello impositivo italiano. A questo punto sarà scomparsa del tutto la cosiddetta fascia di frontiera, e si avvierà la quarta ed ultima fase nella quale tutti i lavoratori frontalieri pagheranno l'imposta sul reddito da lavoro alla fonte ed effettueranno la dichiarazione dei redditi in Italia, previa l'applicazione di una franchigia pari a 7.500 euro, ed in quella sede vedersi riconosciute tutte le detrazioni fiscali previste (spese mediche, interessi del mutuo e altro);
nei prossimi mesi, con l'obiettivo di trovare una soluzione entro l'estate di quest'anno, i negoziati proseguiranno su ulteriori aspetti come quello relativo allo scambio di informazioni sui redditi da lavoro dipendente dei frontalieri, quello relativo ad un rimborso forfetario, e quello relativo alla previsione di un contingente limitato ad valorem di merci tracciabile non assoggettato a imposizione indiretta (iva, accise e diritti doganali prelevati dalla dogana);
la Svizzera, situata nel cuore dell'Europa, intrattiene con i 28 Stati membri dell'Unione europea strette relazioni, non solo per ragioni storiche e geografiche ma anche per l'importanza degli scambi economici e culturali, condividendo con essa anche importanti valori politici, da promuovere congiuntamente anche a livello internazionale, come la democrazia, lo Stato di diritto ed il rispetto dei diritti umani. Del resto, sul fronte economico l'Unione europea è il partner commerciale più importante della Svizzera, basti pensare che circa l'80 per cento delle importazioni svizzere proviene dall'Unione europea e che il 60 per cento delle esportazioni svizzere è destinato all'Europa;
alla stregua di tutti gli altri lavoratori migranti, i lavoratori frontalieri residenti ed occupati nell'Unione europea godono del principio di non discriminazione e della parità di trattamento previsti per i lavoratori che si spostano sul territorio dell'Unione europea. Più in particolare, il regolamento n. 1612/68 sulla libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione europea prevede all'articolo 7 la parità di trattamento per tutte le condizioni di occupazione e di lavoro, in particolare in materia di retribuzione, licenziamento, reintegrazione professionale o rioccupazione, se il lavoratore è disoccupato. In materia di diritto del lavoro, il frontaliere è soggetto, come il migrante, alla legislazione del Paese in cui è occupato. In virtù dell'articolo 7, paragrafo 2, del medesimo regolamento, egli beneficia degli stessi vantaggi sociali e fiscali di cui godono i cittadini di tale Paese;
secondo l'ultimo rapporto dell'Osservatorio sull'accordo sulla libera circolazione delle persone, pubblicato nel giugno del 2015, nel 2012 il divario salariale tra i lavoratori frontalieri italiani e quelli domiciliati nel Canton Ticino era pari al 12 per cento, divario che secondo il Governo elvetico non sarebbe riconducibile a fattori decisivi per la determinazione dei salari, come il livello formativo, la professione, il settore economico, l'esperienza professionale e altro, ma piuttosto al fatto che i frontalieri che lavorano in Ticino sono generalmente disposti ad accettare salari inferiori rispetto ai domiciliati con le loro stesse caratteristiche. Inoltre, tale scarto sarebbe solo in parte spiegabile con l'onere fiscale più basso per i frontalieri rispetto ai residenti in Ticino e l'incremento progressivo dell'onere fiscale per i lavoratori frontalieri derivante dall'accordo potrebbe, in linea di principio, contribuire indirettamente a ridurre l'attrattiva di determinate forme di occupazione elvetiche, anche se non è possibile quantificare con precisione su quanti di essi produrrebbe effetti negativi, né stimare quanti di essi sarebbero indotti a trasferirsi in Svizzera per evitare il previsto e progressivo assoggettamento al fisco italiano;
riassumendo, attualmente l'imposizione fiscale sui frontalieri è operata direttamente dal Cantone elvetico nel quale svolgono l'attività lavorativa con aliquote inferiori a quelle italiane; lo stesso Cantone trattiene il 61,2 per cento del relativo gettito per riversare poi il restante 38,8 per cento, come da precedente accordo con lo Stato italiano, ai comuni di frontiera;
si stima che il nuovo regime fiscale comporterà per circa 60.000 frontalieri italiani un graduale e progressivo inasprimento della pressione fiscale del 10 per cento annuo, che garantirà all'Erario italiano un extragettito di circa 200 milioni di euro ai quali dover aggiungere i 15 milioni di euro da versare alla Confederazione elvetica, con una media di oltre 3.000 euro all'anno in più per ogni contribuente;
anche i comuni di frontiera hanno espresso la loro perplessità, poiché si vedono minacciati dall'assenza all'interno del nuovo accordo della clausola del ristorno, cioè di quella quota di gettito pari al 38,8 per cento prelevato ai frontalieri e che annualmente la Svizzera stornava loro, e che dal 1974 ha garantito ai medesimi un continuo flusso di risorse, pari a circa 60 milioni di euro all'anno, da destinare ai servizi essenziali per la collettività,
impegna il Governo:
ad assumere iniziative volte ad escludere che il nuovo regime fiscale derivante dal perfezionamento dei negoziati con la Confederazione elvetica incida in maniera sensibile sull'attuale livello di tassazione dei lavoratori frontalieri;
ad assumere iniziative volte a rassicurare i comuni di frontiera prevedendo espressamente che nell'ambito dei futuri negoziati con la Confederazione elvetica non venga alterato il meccanismo dei ristorni finanziari che ha operato, fino ad oggi, in loro favore.
(1-01145) «Paglia, Franco Bordo, Scotto, Fassina».
La Camera
impegna il Governo:
ad assumere iniziative volte ad escludere che il nuovo regime fiscale derivante dal perfezionamento dei negoziati con la Confederazione elvetica incida in maniera sensibile sull'attuale livello di tassazione dei lavoratori frontalieri;
ad assumere iniziative volte a rassicurare i comuni di frontiera prevedendo espressamente che nell'ambito dei futuri negoziati con la Confederazione elvetica non venga alterato il meccanismo dei ristorni finanziari che ha operato, fino ad oggi, in loro favore.
(1-01145) «Paglia, Franco Bordo, Scotto, Fassina».
(Testo risultante dalla votazione per parti separate)