XVII LEGISLATURA
COMUNICAZIONI
Missioni valevoli nella seduta del 16 maggio 2016.
Abrignani, Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alli, Amendola, Amici, Baldelli, Bellanova, Bernardo, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Calabria, Camani, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Centemero, Antimo Cesaro, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, De Micheli, Del Basso De Caro, Dell'Orco, Dellai, Di Gioia, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Garofani, Gelli, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Kronbichler, La Russa, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Merlo, Migliore, Orlando, Pes, Gianluca Pini, Pisicchio, Rampelli, Ravetto, Realacci, Ricciatti, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Santerini, Scalfarotto, Scopelliti, Scotto, Sereni, Tabacci, Velo, Vignali, Zanetti.
Annunzio di proposte di legge.
In data 13 maggio 2016 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di legge d'iniziativa dei deputati:
PELLEGRINO ed altri: «Modifica all'articolo 18 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, concernente la responsabilità dei dirigenti in materia di sicurezza dei luoghi di lavoro» (3830).
Sarà stampata e distribuita.
Adesione di deputati a proposte di legge.
La proposta di legge GREGORIO FONTANA: «Modifica all'articolo 52 e introduzione dell'articolo 52-bis del codice penale, concernente la legittima difesa nel caso di violazione di domicilio» (3434) è stata successivamente sottoscritta dalla deputata De Girolamo.
La proposta di legge PAOLA BOLDRINI ed altri: «Disposizioni per favorire l'applicazione e la diffusione della medicina di genere» (3603) è stata successivamente sottoscritta dalle deputate Cominelli, Gnecchi e Malisani.
Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.
A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
I Commissione (Affari costituzionali):
MINARDO: «Abrogazione dell'articolo 571 e modifiche all'articolo 572 del codice penale, in materia di maltrattamenti contro familiari e conviventi, nonché disposizioni concernenti l'installazione di dispositivi di videosorveglianza negli asili nido e nelle scuole dell'infanzia» (3597) Parere delle Commissioni II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, VII, XI, XII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento) e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
II Commissione (Giustizia):
TURCO ed altri: «Modifica all'articolo 76 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, in materia di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in favore dei minori e dei disabili che siano parti offese in procedimenti per violazione degli obblighi di assistenza familiare» (3720) Parere delle Commissioni I, V e XII.
VI Commissione (Finanze):
PRATAVIERA ed altri: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e creditizio e sulla tutela dei risparmiatori» (3616) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni) e V;
ARTINI ed altri: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul dissesto finanziario delle banche Monte dei Paschi di Siena Spa, Cassa di risparmio di Ferrara Spa, Banca delle Marche Spa, Banca popolare dell'Etruria e del Lazio – Società cooperativa, Cassa di risparmio della Provincia di Chieti Spa e Banca popolare di Vicenza» (3799) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni) e V.
VIII Commissione (Ambiente):
PRATAVIERA ed altri: «Modifica all'articolo 47 della legge 29 luglio 2010, n. 120, concernente il miglioramento della sicurezza passiva delle barriere stradali e la tutela dell'incolumità dei motociclisti» (3598) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, IX e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
SEGONI ed altri: «Modifiche al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, in materia di inserimento di clausole sociali nei bandi di gara e negli avvisi per affidamenti di contratti di concessione e di appalti nonché di appalti e concessioni riservati e altre disposizioni per l'aggiudicazione degli appalti di servizi speciali» (3791) Parere delle Commissioni I, V, X, XI, XII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
X Commissione (Attività produttive):
GIACOBBE ed altri: «Modifiche alla legge 2 febbraio 1990, n. 17, concernenti l'ordinamento professionale dei periti industriali» (3697) Parere delle Commissioni I, II, V, VII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), VIII, XI, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
XI Commissione (Lavoro):
BINETTI ed altri: «Disposizioni per promuovere l'inserimento lavorativo delle persone affette da malattie rare» (3780) Parere delle Commissioni I, V, X, XII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Assegnazione del disegno di legge europea.
A norma degli articoli 72, comma 1, e 126-ter, comma 1, del Regolamento, il seguente disegno di legge è assegnato, in sede referente, alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), con il parere di tutte le altre Commissioni permanenti e della Commissione parlamentare per le questioni regionali:
S. 2228 – «Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea – Legge europea 2015-2016» (3821).
Trasmissione dal Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento.
Il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 5 maggio 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 12, comma 1, del decreto legislativo 25 febbraio 1999, n. 66, la relazione d'inchiesta dell'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo concernente l'incidente occorso a un aeromobile in località Premana (Lecco), il 9 giugno 2014.
Questa relazione è trasmessa alla IX Commissione (Trasporti).
Trasmissione dal Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 13 maggio 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 4 e 5, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, la relazione in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (UE) n. 258/2014 che istituisce un programma dell'Unione per il sostegno di attività specifiche nel campo dell'informativa finanziaria e della revisione contabile per il periodo 2014-2020 (COM(2016) 202 final).
Questa relazione è trasmessa alla VI Commissione (Finanze) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).
Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.
La Commissione europea, in data 13 maggio 2016, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2004/37/CE sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un'esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro (COM(2016) 248 final), corredata dai relativi allegato (COM(2016) 248 final - Annex 1) e documento di lavoro dei servizi della Commissione - Sintesi della valutazione d'impatto (SWD(2016) 153 final), che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni riunite XI (Lavoro) e XII (Affari sociali), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).
Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 12 maggio 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 1 e 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.
Questi atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).
Con la predetta comunicazione, il Governo ha altresì richiamato l'attenzione sui seguenti documenti, già trasmessi dalla Commissione europea e assegnati alle competenti Commissioni, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento:
Comunicazione della Commissione al Consiglio – Valutazione del piano d'azione della Grecia per rimediare alle gravi carenze individuate nella valutazione del 2015 dell'applicazione dell’acquis di Schengen nel settore della gestione delle frontiere esterne (COM(2016) 220 final);
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio – Bilancio e possibili prospettive per quanto riguarda la situazione di non reciprocità con taluni paesi terzi nel settore della politica dei visti (COM(2016) 221 final);
Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio Seconda relazione sulla ricollocazione e il reinsediamento (COM(2016) 222 final);
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Vivere in dignità: dalla dipendenza dagli aiuti all'autonomia – Sfollamenti forzati e sviluppo (COM(2016) 234 final);
Proposta di decisione di esecuzione del Consiglio recante raccomandazione per un controllo temporaneo alla frontiera interna in circostanze eccezionali in cui è a rischio il funzionamento globale dello spazio Schengen (COM(2016) 275 final);
Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 539/2001 del Consiglio che adotta l'elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all'atto dell'attraversamento delle frontiere esterne e l'elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo (Turchia) (COM(2016) 279 final);
Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 539/2001 del Consiglio che adotta l'elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all'atto dell'attraversamento delle frontiere esterne e l'elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo (revisione del meccanismo di sospensione) (COM(2016) 290 final).
Comunicazione dell'avvio di procedure d'infrazione.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri per le politiche e gli affari europei, con lettera in data 5 maggio 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 15, comma 1, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, le seguenti comunicazioni concernenti l'avvio di procedure d'infrazione, ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, notificate in data 29 aprile 2016, che sono trasmesse alle sottoindicate Commissioni, nonché alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
comunicazione relativa alla procedura d'infrazione n. 2016/2027, avviata per violazione del diritto dell'Unione in riferimento alla mancata trasmissione del programma nazionale per l'attuazione della politica di gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi – alla VIII Commissione (Ambiente);
comunicazione relativa alla procedura d'infrazione n. 2016/2013, avviata per violazione del diritto dell'Unione in riferimento al non corretto recepimento della direttiva 2010/63/UE sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici – alla XII Commissione (Affari sociali).
Atti di controllo e di indirizzo.
Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.
MOZIONI CARLO GALLI ED ALTRI N. 1-01193 E D'UVA ED ALTRI N. 1-01265 CONCERNENTI INTERVENTI PER IL RILANCIO DEL COMPARTO DELLA RICERCA ITALIANA
Mozioni
La Camera,
premesso che:
il grado di civiltà e di democrazia di una nazione si misura anche dal grado di diffusione delle conoscenze scientifiche e, più in generale, dalla consapevolezza culturale dei suoi cittadini e tali principi sono sanciti dall'articolo 9 della Costituzione secondo il quale: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica»;
le sfide poste dalla globalizzazione, dalla rivoluzione delle comunicazioni e dell'informatica e dal passaggio alla «società della conoscenza», rendono necessario adeguare le forme sin qui invalse nell'accesso al sapere e nel sostegno alla ricerca, in relazione sia alla crescente importanza delle conoscenze nella competitività internazionale, sia alla esigenza di confrontarsi con altre lingue e culture;
l'Unione europea ha elaborato dal 2001 una apposita «Strategia di Lisbona», rinnovata con la Strategia 2020, che mira ad accrescere il livello scientifico e tecnologico e a rendere l'Unione una delle aree più avanzate del pianeta e pone come obiettivo quantitativo minimo la quota del 3 per cento del prodotto interno lordo per ricerca e sviluppo;
spetta agli Stati membri dell'Unione europea assicurare un armonioso sviluppo di ricerca e cultura, il cui snodo istituzionale è l'università pubblica, garantendone una idonea distribuzione territoriale per assicurare pari opportunità e coesione sociale;
davanti alle sfide aperte dalla trasformazione delle società industriali e dalle esigenze di maggiore formazione e qualificazione dei cittadini e della forza lavoro, gli ultimi Governi italiani, disattendendo il dettato costituzionale e in contraddizione con gli impegni di Lisbona, hanno progressivamente ridotto ad università ed enti di ricerca il supporto finanziario necessario al loro funzionamento, al punto da metterne a volte a repentaglio la sopravvivenza;
l'analisi del bilancio dello Stato su dati della ragioneria generale testimonia come, mentre cresce la spesa pubblica corrente, sulla ricerca si siano addensati tagli superiori a qualsiasi altro settore pubblico: la missione 17 (ricerca e innovazione) dal 2008 al 2014 è passata da 4 miliardi di euro a 2,8 miliardi di euro e la missione 23 (istruzione universitaria) nel medesimo arco temporale è passata da 8,6 miliardi di euro a 7,8 miliardi di euro, con un calo totale del 20 per cento. Come dichiarato nel corso di un'audizione al Senato dalla ragioneria dello Stato tra le complessive 34 missioni che costituiscono il bilancio statale quelle maggiormente ridimensionate (nel suddetto periodo) sono state, nell'ordine, la missione, Istruzione universitaria (-19,9 per cento in media), la missione fondi da ripartire (-14,5 per cento in media) e la missione ricerca e innovazione (-12,17 per cento in media);
la struttura dei finanziamenti pubblici alla ricerca, stanziati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca quale organo istituzionalmente deputato, è riconducibile a due tipi di fondi: il fondo ordinario all'università (FFO), che dovrebbe coprire la spesa per gli stipendi del personale docente e amministrativo, per la ricerca e per la manutenzione delle strutture; il fondo ordinario agli enti (Foe), a cui si aggiungono i finanziamenti competitivi (Prin) e (Firb) a università ed enti e di finanziamenti alla ricerca industriale (Far). L'analisi dei dati relativi restituisce una immagine disastrosa: a fronte di un costante declino dei fondi ordinari, si può osservare anche l'esiguità dei finanziamenti ai ricercatori su base competitiva, essenziali per selezionare nel Paese quei gruppi che, svolgendo ricerca ai livelli più alti, potranno confrontarsi a livello internazionale. I cosiddetti PRIN (progetti di ricerca di interesse nazionale) sono rimasti inattivi dal 2012. Istituiti nel 1996 dal Governo Prodi, rappresentavano allora il principale supporto per la ricerca pubblica: da un budget di 137 milioni di euro destinati nel 2003 alle 14 aree di ricerca, si era passati, complice la spending review, ad appena 92 milioni di euro, da destinare a tutte le aree di ricerca. I progetti Firb per i giovani ricercatori, partiti nel 2004 con 155 milioni di euro, sono andati estinguendosi progressivamente fino a cessare dal 2013. Tali riduzioni di spesa hanno portato l'Italia a retrocedere rapidamente, per risorse investite, numero di laureati, dottori di ricerca, professori e ricercatori in senso lato agli ultimi posti fra i Paesi Ocse;
il persistente trend di flessione del finanziamento pubblico alla ricerca distingue in negativo a livello internazionale il nostro Paese, il quale nel 2014 registra un totale di finanziamenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo pari all'1,28 per cento del prodotto interno lordo a fronte di una media Ocse del 2,37 per cento. Questi scarsi fondi sono ripartiti per circa lo 0,70 per cento alla ricerca industriale, e circa lo 0,16 per cento ad enti pubblici, mentre nel 2014 i finanziamenti pubblici all'università erano pari allo 0,42 per cento contro lo 0,99 per cento della Francia, lo 0,98 per cento della Germania e lo 0,73 per cento della Spagna;
il trend italiano mostra un Paese inginocchiato da una crisi frutto anche di mancate scelte di investimento nella conoscenza, nell'innovazione tecnologica e nei settori industriali a più alto valore aggiunto, ed evoca lo spettro di una strisciante desertificazione culturale, scientifica e tecnologica, già occorsa in alcune aree del Paese. Dati di questi giorni della Banca d'Italia parlano di un prodotto interno lordo pro-capite del Mezzogiorno pari alla metà di quello del Nord, mentre procede un esodo di studenti dal Sud al resto del Paese che getta le basi per la genesi di una nuova «questione meridionale»;
il mondo della ricerca italiana conosce da tempo fermenti di critica a questo orientamento, manifestatisi già nella gestazione della legge n. 240 del dicembre 2010 e che hanno assunto forme diverse in relazione a singole emergenze - dalla protesta contro i tagli e gli scatti stipendiali del 2011-2015 che discriminano i professori e ricercatori di ruolo delle università, alle modalità di valutazione della qualità della ricerca (VQR), allo sciopero alla rovescia promosso dal Coordinamento nazionale ricercatori e ricercatrici non strutturati per il riconoscimento della ricerca come attività lavorativa, o alla richiesta di estensione dell'indennità di disoccupazione «DIS-COLL» e delle tutele previdenziali e sanitarie anche agli assegnisti, ai dottorandi e ai titolari di borse di studio - istanze comunque tutte riconducibili all'assenza di prospettive nella ricerca e nella cultura per le giovani generazioni;
per tali ragioni, assieme ad altre iniziative, è in atto una campagna di sensibilizzazione promossa dal mondo scientifico ed accademico sullo stato allarmante in cui versa la ricerca pubblica italiana che, nell'indifferenza generale, sopravvive e mantiene una elevata produttività internazionale, nonostante la scarsità di risorse e la completa assenza di programmazione. Con il loro accorato appello, che conta oltre 45.000 adesioni, gli scienziati italiani invitano l'Unione europea a fare pressione sul Governo italiano affinché finanzi adeguatamente la ricerca portando i relativi fondi ad un livello sensibilmente superiore e congruo con la media europea del 2,2 per cento del prodotto interno lordo;
invero, una riduttiva lettura della globalizzazione dell'economia e dell'impetuoso sviluppo di Paesi come l'India e la Cina, legata esclusivamente all'accelerazione tecnologica, ha trascurato i nodi strutturali e determinato nel nostro Paese la diffusa idea che l'obiettivo imprescindibile di aumentare la competitività dei settori produttivi potesse essere raggiunto a costo zero attraverso una scorciatoia burocratica: trasformando la ricerca di base in ricerca applicata, concentrando le risorse in pochi centri ed università di eccellenza, lasciando alle altre il ruolo di teaching university, ed infine prosciugando la cultura umanistica, ritenuta un onere superfluo allo sviluppo economico delle imprese private. In tale accezione, la ricerca pubblica rappresenterebbe soltanto uno strumento per accrescere la competitività economica delle aziende esistenti, dimenticando che la ricerca è chiamata ad assurgere al ruolo di propulsore della crescita civile oltre che economica di lungo periodo. Peraltro, elevare il livello culturale complessivo del Paese è un'esigenza segnalata dalla stessa teoria dello sviluppo economico che insiste sul nesso tra gli investimenti in ricerca e innovazione e la complessiva coesione culturale come premessa alla sua capacità di accrescere il livello di benessere nel tempo;
non a caso la strategia «Europa 2020» mira ad accrescere la competitività globale del Vecchio continente investendo nel cosiddetto «triangolo della conoscenza» (istruzione/ricerca/innovazione), attraverso il programma «Horizon 2020» grazie al quale vengono finanziati dal 1o gennaio 2014 fino al 31 dicembre 2020, i progetti di ricerca ed innovazione di università, istituti di ricerca, ricercatori, imprese e aziende attive soprattutto nel settore tecnologico. Il Consiglio europeo, già nel marzo del 2005 rilevando il ritardo della strategia di Lisbona, aveva sottolineato, oltre l'obiettivo generale del 3 per cento, l'obiettivo complementare di modificare il rapporto tra le fonti di finanziamento, facendo sostenere al settore privato almeno i due terzi della spesa per la ricerca e sviluppo da parte di imprese e settore privato non profit;
invece di cogliere quell'opportunità per collegare imprese e ricerca con lo straordinario patrimonio culturale, e partecipare in modo non subalterno ai programmi europei, la politica italiana si è prodotta in schizofreniche disposizioni: da un lato quelle incentivanti, come il riconoscimento di un credito d'imposta per investimenti in ricerca ed innovazione; dall'altro, un accresciuto controllo burocratico ministeriale che esautora le autonomie della ricerca e dell'università, inibisce l'operatività dei programmi comunitari e blocca l'avvio dei bandi pubblici. Insomma, un mix di concause che determinano il «paradosso italiano», in virtù del quale si continua a contribuire ai fondi europei in misura nettamente maggiore rispetto all'entità dei finanziamenti che, con l'esiguo numero dei ricercatori, si riesce a catturare con progetti di ricerca. In conseguenza della carenza di attenzione e dell'incertezza delle opportunità e dei finanzia enti si depaupera il capitale umano e si finanziano i nostri concorrenti col trasferimento di ricercatori italiani (cosiddetta «fuga di cervelli»), formati a nostre spese, che negli altri Paesi trovano condizioni migliori per esprimere i propri talenti;
la scarsa attrattività dell'Italia ha portato all'estero circa 15.000 ricercatori, creando un vero e proprio buco generazionale e facendo perdere competitività al nostro Paese rispetto agli altri Stati membri: un regalo di intelligenze non compensato da contestuali ingressi dall'estero. Secondo recenti rilevazioni, infatti, le uscite sono pari al 16,2 per cento mentre gli ingressi dall'estero sono fermi al 3 per cento. Nel 2013 operava in Italia un numero di ricercatori pubblici e privati pari a 164 mila unità (4,9 ogni 1.000 occupati), mentre negli altri maggiori Paesi europei, la presenza di ricercatori è più numerosa e capillare: 357 mila in Francia (9,8 ricercatori per 1.000 occupati); 522 mila in Germania (8,5); 442 mila nel Regno Unito (8,7); 216 mila in Spagna (6,9);
la dispersione delle scarse risorse per la ricerca tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e altri Ministeri quali politiche agricole alimentari e forestali, salute, difesa, sviluppo economico e ambiente e tutela del territorio e del mare, imporrebbe un maggior coordinamento, mentre in senso opposto procede la creazione, a fianco del CNR e delle università, dell'IIT, ovvero una fondazione privata finanziata direttamente dal Ministero dell'economia e delle finanze, che nel 2008 ha ricevuto in dotazione il patrimonio finanziario della fondazione IRI pari a circa 130 milioni di euro, cioè risorse pubbliche provenienti dalle spoglie della più grande holding industriale pubblica del Paese: un trattamento di favore che dovrebbe sollevare l'indignazione della comunità scientifica contro una linea emergenziale che con una mano toglie fondi e risorse alla ricerca ed all'alta formazione pubblica e, dall'altra, le affida a poteri discrezionali, in assenza di qualsiasi controllo di merito e di verifiche;
all'IIT il Presidente del Consiglio dei ministri ha ufficialmente affidato la concessione del progetto definitivo dello Human Technopole, in associazione ai tre atenei milanesi ed a diversi istituti di ricerca di area confindustriale, progetto per il quale verranno stanziati 1,5 miliardi di euro in dieci anni. Una scelta paradossale se confrontata coi tagli mascherati al settore pubblico dell'università e della ricerca nella legge di stabilità per il 2016 che portano il definanziamento del sistema universitario a quota 1,1 miliardi di euro;
lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri Renzi ha annunciato nei mesi scorsi lo stanziamento di 2,5 miliardi di euro per la ricerca pur sapendo che non si tratta di risorse aggiuntive ma della quota di cofinanziamento spettante al nostro Paese per la sua appartenenza al programma europeo «Horizon 2020». Nello stesso contesto il Premier ha confermato il varo di un programma nazionale per la ricerca 2015-2020 da 2,5 miliardi di euro, importo che non sarebbe però costituito da risorse «fresche» ma che corrisponderebbe a fondi contabilizzati da oggi al 2017, tra stanziamenti già presenti nel bilancio del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per un importo pari a 1,9 miliardi di euro e una quota relativa alla programmazione nazionale del fondo per lo sviluppo e la coesione relativa al periodo 2014-2020 per un importo di 500 milioni di euro: in sostanza si tratterebbe della programmazione attuativa di risorse già disponibili;
il suddetto piano del Governo per rilanciare ricerca ed innovazione manca all'appello dal 30 gennaio 2014 quando il Consiglio dei ministri esaminava in via preliminare il teste elaborato dall'allora Ministra Maria Chiara Carrozza e mai varato. Nonostante quello che i firmatari del presente atto di indirizzo giudicano il tentato e continuo «depistaggio cognitivo» da parte del Premier resta un'amara realtà: il Governo in perfetta continuità con quelli precedenti prosegue una rotta catastrofica per il Paese ed ha stanziato per i prossimi due anni solo 100 milioni di euro con i quali poter assumere solo 861 ricercatori all'anno, mentre, invece, ne servirebbero almeno 2.400 all'anno per i prossimi otto;
l'istruzione universitaria è un investimento pubblico che si ripaga nel medio periodo: per i giovani che la frequenta o per il quali, oltre all'acquisizione di conoscenze e competenze, che consentono di svolgere attività maggiormente retribuite, essa rappresenta il principale fattore di mobilità sociale se si pensa che nel nostro Paese oltre il 70 per cento degli studenti universitari appartiene a famiglie in cui nessuno dei genitori è in possesso di una laurea; per le imprese, perché disporre di una forza lavoro con elevato grado di istruzione aumenta la competitività e rende possibile un maggiore tasso d'innovazione;
dunque anche le politiche di reclutamento del personale universitario sono da ripensare. È oltremodo prioritario e doveroso affrontare l'attuale condizione di gravissima carenza di personale se si vuole evitare che il sistema universitario pubblico si avviti in una spirale di declino irreversibile, sottraendo all'Italia quegli strumenti indispensabili di innovazione e crescita culturale, economica e sociale di cui le università da sempre sono centri insostituibili di sviluppo e disseminazione;
il sotto-dimensionamento del corpo docente universitario italiano, e più in generale del complesso degli addetti alla ricerca universitaria, emerge evidente dal confronto europeo, e peggiora ogni anno di più. La consistenza numerica attuale è in Italia inferiore di almeno il 25 per cento alla media dei valori di Germania, Francia, Spagna e Regno Unito, solo per limitarsi ai Paesi più simili al nostro per dimensioni e tradizioni;
per l'effetto combinato della riduzione dei finanziamenti, dei blocchi del turnover e dei concorsi, e dell'abbassamento dell'età di pensionamento, negli ultimi sette anni si è verificato un crollo verticale del numero di docenti in servizio, pari a meno 30 per cento per gli ordinari, e meno 17 per cento per gli associati, superiore alla contemporanea modesta riduzione del numero degli studenti. A questo si aggiungano gli effetti derivanti dal graduale esaurimento della cosiddetta terza fascia prevista dalla normativa vigente;
numerose analisi dimostrano che in assenza di interventi normativi che sblocchino l'attuale limite al turn-over previsto dall'attuale regime per le assunzioni delle università statali, si assisterà da un'ulteriore pesante contrazione del corpo docente che comporterà nel 2018 il dimezzamento del numero dei professori ordinari in servizio, rispetto a quello del 2008. Effetti analoghi si avranno sempre nel 2018, nell'ipotesi in cui nel frattempo non si proceda ad alcuna nuova assunzione o promozione dei professori associati, con una sensibile riduzione degli stessi pari al 27 per cento rispetto a quelli in servizio nel 2008. L'attuale normativa, infatti, prevede che nel 2016 risulti spendibile per il reclutamento il 60 per cento del turnover, per poi passare all'80 per cento nel 2017 e solo a partire dal 2018 a stabilizzarsi al 100 per cento;
altrettanto improponibile è la persistente chiusura del sistema universitario ai giovani ricercatori, aggravata ancora una volta da interventi normativi (come la suddetta messa ad esaurimento della fascia dei ricercatori) che, sconvolgendo il regime ordinario di carriera nell'organico docente, per di più in un contesto di carenza di risorse, hanno innescato incertezze e meccanismi di instabilità esiziali per l'ordinaria attività didattica e di ricerca;
di più. Sul medesimo fronte del reclutamento universitario la legge 30 dicembre 2010, n. 240, (riforma del sistema universitario), nell'individuare un percorso pre-ruolo per accedere alla docenza, ha reso meno attraente per i giovani la carriera. La stessa legge, infatti, ha previsto che il percorso che deve affrontare un ricercatore universitario e che porta alla stabilizzazione della posizione professionale duri almeno sei anni, percorso destinato ad allungarsi ulteriormente e che può portare l'età media di ingresso alla docenza a 37 anni, se invece si guarda alle variegate di figure di accesso (assegnisti di ricerca, ricercatori a tempo determinato di tipo A e di tipo B, borse post-doc);
la figura del ricercatore a tempo determinato (cosiddetta RTD), nelle previsioni della suddetta legge n. 240 del 2010, si articola nelle due distinte fattispecie: quella del RTD-a e quella del RTD-b, molto simili tra loro dal punto di vista qualitativo e dei compiti istituzionali, essendo prevista per entrambi l'attività di ricerca e quella didattica e quindi distinti solo per aspetti quantitativi nel rapporto tra questi impegni, ma profondamente diversi dal punto di vista dell'accesso alla docenza dal momento che i ricercatori appartenenti alla categoria B, a seguito di valutazione positiva dopo un triennio, possono transitare nel ruolo di professore associato, mentre per quelli appartenenti alla categoria A, la stessa valutazione positiva dopo il triennio da loro solo il diritto di vedersi riconosciuta la proroga biennale dell'incarico e a poter aspirare al ruolo solo in presenza di un concorso disponibile;
inoltre, la stessa legge, laddove disciplina la possibilità per le università di stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, non contempla, tra i soggetti ammessi alle procedure pubbliche di selezione, tutti i titolari di assegni di ricerca, valutando come titoli utili ai fini della partecipazione al concorso per ricercatore solo quegli assegni conseguiti nel vigore dell'articolo 51 della legge n. 449 del 1997 e non anche quelli conseguiti in forza della normativa attuale. Ed invero tale esclusione degli abilitati dal novero dei possibili candidati ha già prodotto fino ad oggi effetti paradossali, avendo costretto gli atenei a reclutare quali ricercatori di tipo B soggetti che non hanno ottenuto l'abilitazione nazionale, pur avendo partecipato alla procedura, a scapito di altri che invece l'hanno ottenuta, guadagnandosi il diritto a partecipare a concorsi per posizioni di seconda fascia, ma, paradossalmente, non a quelli per posti di ricercatore di tipo B. L'esclusione dei candidati abilitati, peraltro discriminatoria e contraria alla promozione del merito, ha aumentato il rischio per gli atenei di investire a vuoto su parte di essi essendo i primi, al termine del percorso triennale, destinati a fuoriuscire dal sistema;
eppure la condizione del ricercatore a tempo determinato, oltre ad essere centrale nel meccanismo di reclutamento universitario, vista la sua funzione di traghettamento verso posizioni a tempo indeterminato, assolve, allo stesso tempo, seppur in modo disordinato ed improprio, il compito di supporto formale alla permanenza nei dipartimenti per tanti giovani attivi ed interessati alla ricerca, sempre più spesso diretti responsabili del funzionamento di corsi di laurea e di dottorato;
attualmente, la gran parte dei ricercatori italiani usufruisce di assegni di ricerca, cioè di una forma di contratto di lavoro parasubordinato che però non dà luogo a tutele degne di questo nome, nemmeno nel caso di periodi purtroppo sempre più frequenti, di disoccupazione. Essi non si vedono, infatti, riconosciuta la «DIS-COLL» e ciò rende evidente quanto siano necessarie spinte «esterne», affinché all'attività di ricerca dei precari possa essere attribuito un degno riconoscimento, come nel resto d'Europa. Lasciando pertanto fuori dal sistema di protezione sociale decine di migliaia di persone già sottoposte a condizioni contrattuali ed economiche di precarietà e che, nonostante questo, contribuiscono con passione alla crescita e allo sviluppo del nostro Paese, offrendo un lavoro invisibile che si cela dietro il progredire della conoscenza: insomma, una generosità, quella dei precari, non ripagata visto che negli ultimi dieci anni più del 93 per cento di essi è stato espulso dagli atenei italiani;
se è vero che il declino dell'università è una questione nazionale, non vi è dubbio, che una serie di fenomeni preoccupanti si stia concentrando maggiormente al Sud, acuendo quel gap economico e sociale creatosi storicamente nel Paese e meglio noto come «questione meridionale» e determinandone una tutta nuova all'interno dell'università italiana;
la crisi del sistema universitario meridionale è ben fotografata dall'ultimo rapporto Svimez, da cui emerge lo strettissimo rapporto tra la drammatica condizione giovanile nel Sud ed il declino dei suoi atenei e del sistema regionale di diritto allo studio. Se le risorse diminuiscono, anche le opportunità formative calano, escludendo inevitabilmente un'intera generazione dallo studio e quindi dalle prospettive di lavoro. Del resto le misure del Governo continuano a favorire una biforcazione su base territoriale del sistema universitario italiano, a parità di risorse, favorendo gli atenei del Nord, prova ne è l'investimento sullo Human Technopole, che produrrà un fortissimo effetto attrattivo di ricercatori verso l'area milanese;
inoltre, stando all'ultimo rapporto Anvur sullo stato del sistema universitario, negli ultimi dieci anni, le università meridionali hanno perso 45.000 immatricolazioni; non lo stesso può dirsi per quelle collocate al Centro-nord, che dopo un'iniziale perdita, hanno superato la crisi. Lo stesso rapporto evidenzia che in Italia, 7 diplomati su 10 proseguono gli studi immatricolandosi all'università, secondo un flusso migratorio di studenti dal Sud al Centro nord pari al 25 per cento. In totale, quindi, le università del Sud riescono a «trattenere» poco più del 60 per cento dei diplomati meridionali, mentre pochissimi studenti del Centro-nord si immatricolano nelle università del Sud. Il sistema universitario del Centro-nord, invece, oltre ai diplomati locali riesce ad attrarre altri 2 diplomati su 10 provenienti dal Sud;
il suddetto fenomeno non può essere semplicisticamente motivato dall'attrazione esercitata dalle grandi università o dalle città del Nord, quanto, piuttosto, da un'iniqua distribuzione delle già scarse risorse finanziarie destinate al diritto allo studio universitario e messe in campo dalle regioni, ripartizione che, essendo paradossalmente legata allo stato dei bilanci di queste ultime, tiene solo parzialmente conto dei potenziali beneficiari, rappresentati da quegli studenti capaci e privi di mezzi ai quali la Costituzione italiana attribuisce il diritto a raggiungere i più alti gradi degli studi, e che sono maggiormente presenti al Sud;
il suddetto progressivo abbandono delle università meridionali è il risultato anche dell'adozione, in sede di valutazione della didattica e della ricerca da parte dell'Anvur di meccanismi premiali distorti e che dietro alla presunta oggettività dei numeri, sta portando al collasso gli atenei meridionali ritenuti meno meritevoli di altri, dirottando la maggior parte delle poche risorse, insufficienti al finanziamento del sistema, verso il Nord. Inoltre, anche i criteri di ripartizione della quota premiale del fondo di finanziamento ordinario sono diventati una clava contro gli atenei meridionali, perché questi - tenendo conto del rapporto fra entrate da tasse, entrate da Fondo di finanziamento ordinario e spese - risentono della minore capacità reddituale delle famiglia di pagare tasse alte, e penalizzano quegli atenei che si trovano in territori più poveri;
tale situazione è anche generata dall'onere finanziario che grava sugli studenti. In dimensione comparativa, il nostro Paese non solo destina poche risorse pubbliche al sistema universitario, ma ha anche la tassazione studentesca tra le più alte d'Europa. Inoltre, anche il sistema di attribuzione delle borse di studio, affidato alle regioni attraverso un meccanismo redistributivo, di fatto pone il finanziamento a carico degli stessi studenti universitari;
in termini sociali chi patisce di più il fortissimo aumento delle tasse universitarie e l'inconsistenza del diritto allo studio sono le famiglie più povere, con un effetto negativo sulla dinamica della diseguaglianza nel nostro Paese;
dopo le nefaste riforme dei Ministri Moratti, e successivamente, Gelmini e Profumo che hanno imposto agli atenei italiani di ragionare in termini aziendalistici costringendoli a ridurre l'offerta formativa e le proprie strutture nei territori e ad affidarsi, per sopravvivere, alle mani di finanziatori privati, i provvedimenti dell'attuale Governo, in piena continuità con i precedenti, confermano, accentuandola, la politica di smantellamento del sistema universitario pubblico, il solo capace di garantire uguali opportunità formative, in favore di poche istituzioni universitarie di eccellenza, finendo con il determinare un'odiosa discriminazione tra studenti che hanno la possibilità economica di studiare nelle sedi più prestigiose e chi, anche se più meritevole, invece non ce l'ha;
al fine di accrescere l'attrattività a livello internazionale del sistema universitario italiano, la legge di stabilità per il 2016 ha istituito in via sperimentale il «Fondo per le cattedre universitarie del merito Giulio Natta» finalizzato al reclutamento straordinario, in deroga alle procedure di cui alla legge n. 240 del 2010, di 500 professori ordinari e associati per chiamata diretta per elevato merito scientifico, secondo procedure nazionali da definire con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previsione che, perpetuando la possibilità di far salire in cattedra i titolari di quelle vecchie abilitazioni che secondo le previsioni originarie avrebbero dovuto avere una validità limitata a tre anni, introduce, di fatto, nel sistema un secondo canale di reclutamento dei docenti di natura extraconcorsuale. Insomma, si tratta, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, di una sorta di «pannicello caldo» presentato dal Governo come una misura risolutoria ai problemi strutturali della scienza e dell'università italiana, che potrebbe, fra l'altro, produrre effetti distorsivi tra i quali una ulteriore delegittimazione del sistema universitario, la creazione di disparità inaccettabili tra individui con professionalità comparabili, la marginalità dei possibili effetti sistemici unita al rafforzamento di alcune sedi universitarie di eccellenza ed individuate in base alle libere scelte dei vincitori;
anche in ambito universitario si assiste, oramai da alcuni decenni, al disinvestimento che sta subendo quel settore della formazione e della ricerca italiana e che sinora ha rappresentato l'asse portante dell'identità culturale della nazione, e cioè quello degli studi umanistici, deperimento che, in una fase storica in cui il sistema economico-finanziario fa da traino indisturbato alle scelte politiche e sociali, è supportato da un «pensiero unico» tecnico-nazionale e materialista modellato su posizioni neoliberiste e secondo il quale ogni conoscenza dev'essere finalizzata ad una prestazione e tutto dev'essere orientato all'utile: una pericolosa deriva che, attraverso una continua delegittimazione del ruolo civile dell'insegnamento umanistico, porta al graduale impoverimento della capacità critica delle coscienze;
in un mondo dominato oramai dall'economia della conoscenza, la ricerca insieme all'istruzione sono i pilastri su cui si costruisce il futuro e la prosperità, pertanto un Paese che non investe in ricerca, sviluppo e cultura è condannato a non avere futuro,
impegna il Governo:
a rilanciare, con la massima urgenza, il settore della ricerca e della cultura italiana, abbandonando definitivamente la logica emergenziale e discrezionale con cui si è proceduto negli ultimi anni e impostando una programmazione lungimirante con cadenza almeno triennale che dia stabilità e prospettive alla ricerca ed all'università;
a varare con urgenza l'annunciato programma nazionale per la ricerca 2015-2020 e ad assumere iniziative per elevare, in prospettiva, l'attuale spesa per investimenti in ricerca e sviluppo ad un livello pari al 3 per cento del prodotto interno lordo, anche al fine di accrescere i livelli di occupazione e benessere sociale del nostro Paese, e per adeguare nell'immediato i finanziamenti al sistema pubblico di formazione e ricerca alla media dei Paesi OCSE, del 2,2 per cento, ripristinando i fondi PRIN (progetti di rilevante interesse nazionale) e FIRB (fondo per gli investimenti della ricerca di base);
ad assumere iniziative per sospendere dal 2017 il meccanismo di contingentamento delle assunzioni, eliminando dalla normativa ogni limitazione del turnover, al fine di assicurare il ricambio generazionale per tutte le figure del mondo universitario e della ricerca pubblica;
ad affrontare il problema del co-finanziamento dei fondi europei con strumenti innovativi di sostegno che agevolino sul piano finanziario e amministrativo la partecipazione della ricerca italiana ai bandi su fondi comunitari;
ad assumere iniziative per rivedere il sistema di valutazione della ricerca e dell'istruzione universitaria nazionale basata su fondi pubblici:
a) affidando la valutazione ex post della ricerca ad un'autorità indipendente dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, eventualmente modificando le attuali strutture e funzioni dell'Anvur e affidandole come obiettivi oltre a quello del miglioramento della ricerca e, con riferimento al sistema universitario, quello della didattica e dei servizi, anche l'individuazione di punti di forza e debolezze della complessa stratificazione della geografia accademica italiana;
b) creando un fondo premiale per le università, separato dal Fondo di finanziamento ordinario, da distribuire periodicamente in ragione dei progressi realizzati da ciascun ateneo nella ricerca e nei servizi, oltre che nella correttezza della gestione economica, e definendo i criteri in virtù della collocazione territoriale, anche rivedendo gli attuali criteri di distribuzione del Fondo di finanziamento ordinario per giungere a degli indicatori stabili e noti ex ante, sottoposti al vaglio rigoroso della comunità scientifica attraverso il Consiglio universitario nazionale;
ad assumere iniziative per fare del dottorato di ricerca un titolo preferenziale di accesso alla pubblica amministrazione e agli enti locali, in modo da accrescere il livello della competenza tecnica nello Stato, nelle regioni e negli enti locali, e creare circuiti virtuosi di competenza;
ad assumere iniziative per definire un chiaro percorso post-dottorato, non superiore a quattro anni, che recepisca quanto stabilito dalla Carta europea dei ricercatori, con un contratto unico pre-ruolo, con retribuzione, tutele e diritti di rappresentanza conformi a quelle dei lavoratori a tempo determinato;
ad individuare strategie per l'assunzione in ruolo di ricercatori a tempo determinato sia di tipo A che di tipo B in possesso di abilitazione scientifica nazionale.
(1-01193)
(Nuova formulazione) «Carlo Galli, Pannarale, Giancarlo Giordano, Nicchi, Ricciatti, Gregori, Ferrara, Martelli, Scotto».
La Camera,
premesso che:
in data 18 marzo 2014 l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) ha presentato il «Rapporto sullo stato dell'università e della ricerca in Italia», un documento di approfondita e attenta analisi sulla condizione del sistema universitario nazionale;
dalla lettura del citato documento dell'Agenzia emerge una rappresentazione del sistema universitario nazionale certamente preoccupante, anche con riferimento agli impegni assunti dal nostro Paese in sede europea;
l'Italia rimane, infatti, tra gli ultimi paesi in Europa per quota di popolazione in possesso di un titolo di istruzione terziaria, anche tra la popolazione più giovane con un ritardo ritenuto dallo stesso documento considerevole;
con i programmi di riforme economiche «Strategia di Lisbona» prima e «Strategia Europa 2020» poi, l'Unione europea ha inteso agevolare l'innalzamento dei livelli di istruzione quali obiettivi di primaria importanza per lo sviluppo europeo, con l'intenzione di costruire e agevolare la nascita di un'economia maggiormente basata sulla conoscenza e sulla ricerca;
tuttavia, l'analisi documentava il preoccupante divario dell'Italia rispetto alla percentuale di riferimento della media europea, costringendo il nostro Paese al terzultimo posto nella classifica dei vari Stati dell'Unione, e mostrando, inoltre, come le significative di differenze territoriali del nostro Paese influenzassero in maniera rilevante tale andamento;
in relazione alla composizione degli iscritti per area territoriale si notava, ad esempio, «una sostanziale stabilità di studenti iscritti in corsi di studio del Nord Italia (circa 685.000 negli ultimi anni), una lieve flessione degli iscritti nel Centro e un netto calo degli iscritti nel Mezzogiorno»;
nonostante tali evidenze siano emerse con chiarezza già nel precedente triennio non sembra possibile affermare, a oggi, che provvedimenti significativi siano stati assunti dal Governo al fine di migliorare la condizione del sistema universitario e della ricerca italiano, assistendo, piuttosto, a un progressivo e costante peggioramento delle condizioni segnalate dall'Agenzia di valutazione nell'anno 2014;
a tal fine è bene ricordare come lo stesso ANVUR presenti tra le funzioni di propria competenza l'elaborazione, su richiesta del Ministro, dei parametri di riferimento per l'allocazione dei finanziamenti statali, ivi inclusa la determinazione dei livelli essenziali di prestazione e dei costi unitari riferiti a specifiche tipologie di servizi, compiti essenziali per la determinazione dei finanziamenti da erogare all'università italiane al fine di assicurarne il corretto funzionamento;
l'introduzione di nuovi sistemi di finanziamento, tra i quali l'assunzione di criteri valutativi nell'allocazione delle risorse da destinare ad atenei ed enti di ricerca, viene prevista dalla legge 30 dicembre 2010, n. 240, «Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario», cosiddetta legge Gelmini, la cui concreta attuazione ha comportato, nel corso degli anni, una progressiva scissione funzionale, organizzativa ed economica tra gli atenei italiani, con particolare evidenza tra quelli situati nei territori settentrionali e quelli meridionali del territorio dello Stato;
l'esasperata ricerca del merito, a discapito di una crescita unitaria di tutto il sistema universitario, fondata, tra l'altro, su una valutazione non del tutto oggettiva ha condotto ad uno svilimento della funzione formativa universitaria, attraverso l'erogazione di finanziamenti «premiali» basati su criteri non evidentemente adeguati all'effettiva valorizzazione del merito e, soprattutto, con attribuzioni economiche direttamente sottratte dai finanziamenti destinati all'ordinario funzionamento delle università italiane;
il nuovo sistema di stanziamenti utilizza, infatti, le risorse del fondo di finanziamento ordinario (FFO), per poi ridistribuirne parte di queste agli atenei considerati meritevoli, premiando la qualità della ricerca attraverso un metodo sostanzialmente punitivo, essendo la cosiddetta quota premiale non prevista attraverso stanziamenti ulteriori e diversi;
il meccanismo di finanziamento richiamato viene disciplinato per l'anno in corso dall'articolo 3 del decreto ministeriale 8 giugno 2015, n. 335, il quale prevede che 1.385.000.000 di euro, pari a circa il 20 per cento del totale delle risorse disponibili, vengano assegnati a fini premiati, e che «tale somma è assegnata alle Università e agli Istituti ad ordinamento speciale secondo i criteri e le modalità di cui all'allegato 1 e per le percentuali di seguito indicate: 65 per cento in base ai risultati conseguiti nella valutazione della qualità della ricerca (VQR 2004-2010);
gli attuali parametri della valutazione della qualità della ricerca non risultano, tuttavia, adeguati a calibrare in maniera corretta l'erogazione dei fondi universitari, rendendo necessaria l'assunzione di urgenti iniziative al fine di introdurre un nuovo sistema di finanziamento che garantisca, prima di ogni previsione premiale, le risorse comunque necessarie al funzionamento ordinario di tutte le università pubbliche italiane;
appare evidente come il progressivo allontanamento qualitativo e funzionale degli atenei italiani, con le marcate evidenze sopra richiamate in riferimento alle università del Meridione, sia scelta politica assunta dal Governo, volontà confermata dallo stesso Presidente del Consiglio Matteo Renzi, il quale, pur sostenendo la presenza di università di diverso livello nel territorio ha riferito di voler limitare a poche realtà la possibilità di competere a livello internazionale;
appare evidente sia dalla concreta applicazione delle normative richiamate, sia dagli attuali sistemi premiali di finanziamento agli atenei italiani, come questi non conducano in alcun modo ad una reale competizione tra atenei, dal momento che tali stanziamenti, già direttamente sottratti al regolare funzionamento degli atenei, subiscono sostanziali e progressive contrazioni di spesa nel corso degli anni;
si ritiene, infatti, che un sistema efficiente possa essere considerato tale esclusivamente qualora i finanziamenti vengano razionalmente distribuiti a tutti gli atenei nella misura necessaria a garantirne il buon andamento, per poi introdurre eventuali e collaterali sistemi premiali che distribuiscano risorse ulteriori e a quegli atenei che dimostrino di aver utilizzato al meglio le risorse erogate;
oggi, al contrario, si assiste a consistenti riduzioni finanche degli stanziamenti ordinari destinati al sistema universitario, dal momento che per il solo anno 2015 il fondo di finanziamento ordinario (FFO) ha subito per una decurtazione pari a 87,4 milioni di euro rispetto allo stesso stanziamento disposto per l'anno 2014, e con differenze ancora maggiori se raffrontate ai finanziamenti previsti negli ultimi 10 anni;
in data 20 maggio 2015 il Consiglio universitario nazionale, in sede di parere sullo schema di decreto di riparto del fondo di finanziamento ordinario delle università per l'anno 2015, rilevava come le diverse voci del fondo di finanziamento ordinario, in quanto soggette a un'ulteriore riduzione, comporteranno un inevitabile aumento del divario con gli altri Paesi dell'Unione europea, evidenziando altresì come gli obiettivi già richiamati dal documento redatto dall'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca non possano essere raggiunti;
lo stesso Consiglio ha ricordato, infatti, «come la frazione di PIL dedicata dallo Stato al sistema universitario» risulti ormai «meno della metà di quanto spendono Francia e Germania, nonostante le importanti risorse derivanti dal massiccio esodo degli ultimi cinque anni (quasi 2000 docenti in meno ogni anno in media) e dal blocco degli scatti (che valevano circa il 2 per cento del monte salari ogni anno)»;
analoghe critiche venivano sollevate in merito alla cosiddetta quota premiale, dal momento che il Consiglio universitario nazionale ha ribadito come tale quota «per non incidere negativamente sui livelli minimali di funzionalità degli Atenei, dovrebbe essere prevalentemente aggiuntiva confermando, di fatto, le forti approssimazioni che l'attuale sistema di finanziamento presenta e sin qui sostenute;
il Consiglio sottolineava, infatti, «le perplessità metodologiche espresse in relazione alla significatività attuale degli esiti della VQR 2004-2010» anche a causa della staticità dei parametri adottati per periodi significativamente lunghi e sull'impossibilità per gli atenei di beneficiare di eventuali interventi correttivi;
simili e sostanziali riduzioni hanno interessato, nel corso degli ultimi anni, il Fondo ordinario per gli enti e le istituzioni della ricerca (FOE), il quale ha subito continue diminuzioni che, anche in questo caso, hanno inevitabilmente ridotto ovvero fortemente limitato la competitività del sistema italiano anche a livello comunitario;
tali criticità sono state recentemente sollevate dalla VII Commissione permanente della Camera dei deputati, la quale esprimendosi in sede di schema di decreto ministeriale per il riparto del fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca (FOE) per l'anno 2015, atto n. 186, evidenziava notevoli difficoltà sia del sistema inteso nel suo complesso, sia gli inadeguati provvedimenti assunti dall'Esecutivo che ne modificassero l'andamento;
così come rilevato dalla Commissione, infatti, «le assegnazioni ordinarie per il 2015 non costituiscono – tranne che per il CNR – il 100 per cento delle assegnazioni ordinarie 2014, ma, rispetto a queste, registrano riduzioni tra l'1,6 e il 7,9 per cento», riportando come «le assegnazioni complessive ai 12 enti di ricerca vigilati dal MIUR – al netto degli importi destinati alla società Sincrotrone di Trieste, a INDIRE, INVALSI, ANVUR e CMCC, della quota premiale, delle risorse destinate alle assunzioni dirette per meriti eccezionali – ammontano a 1.567,1 milioni di euro: rispetto al 2014 (1.622,4 milioni di euro), si registra un decremento del 3,4 per cento»;
anche per gli enti di ricerca il cosiddetto sistema di finanziamento presenta, quindi, caratteri di incompatibilità con il raggiungimento dei fini preposti dalla normativa, dal momento che la quota premiale suddivisa sulla base dei criteri di valutazione della qualità non risultava essere, anche in questo caso, ulteriore e diversa rispetto al fondo ordinario previsto per il regolare funzionamento, e che lo stesso FOE veniva ulteriormente ridotto;
in particolare, il finanziamento premiale, pari a 98.799.582 euro, corrisponde al 7 per cento delle assegnazioni ordinarie previste per l'anno 2015, e risulta ripartito per il 70 per cento sulla base dei risultati della VQR 2004-2010, prendendo quale riferimento prodotti attesi, indicatori di qualità della ricerca di area e di struttura e valutazione complessiva di ogni ente evidentemente datati e non suscettibili di una efficace verifica, acuendo ulteriormente le eventuali sperequazioni tra gli enti e gli istituti della ricerca;
le sostanziali riduzioni di spesa, congiuntamente all'attuazione del turnover per le assunzioni all'interno delle università italiane e della ricerca, nonché alla continua precarizzazione contrattuale degli organici, hanno contribuito a creare una condizione di preoccupante instabilità ed inadeguatezza relativamente al personale docente e ricercatore, così come evidenziato anche dal Consiglio nazionale universitario e dall'Agenzia di valutazione all'interno dei citati documenti;
nel proprio parere il Consiglio nazionale universitario ribadiva la necessità di attuare un piano straordinario ad hoc, risultando oggi «quasi impossibile reclutare ricercatori di tipo b)», difficoltà senz'altro ampliate dalla presenza di un sistema nazionale con turnover del personale, il quale, pur comportando eventuali utili in bilancio per gli atenei, potrebbe comunque condurli all'impossibilità di predisporre nuovi reclutamenti, nonché dall'utilizzo di somme per il reclutamento di personale ricercatore stabile direttamente sottratte dal fondo di finanziamento ordinario (FFO), anche in questo caso, non aggiuntive;
la figura di ricercatore «RTD di tipo B», contestualmente all'altra tipologia di ricercatore denominata «RTD di tipo A», veniva introdotta dall'articolo 24, comma 3, della legge 30 dicembre 2010, n. 240, norma che ha di fatto disposto l'utilizzo di modelli sempre più precari all'interno del sistema universitario e della ricerca;
così come rilevato dall'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) nel «Rapporto sullo stato dell'università e della ricerca Italia», la «contrazione del corpo docente registrata negli ultimi anni è stata accompagnata da una crescita costante del numero dei ricercatori a tempo determinato e, in generale, del personale non strutturato impegnato in attività di ricerca (assegnisti, borsisti e collaboratori). Nel complesso si tratta di circa 27.000 persone, circa il 50 per cento del corpo docente»;
«i ricercatori a tempo determinato», concludeva il documento, «sono destinati a sostituire i ricercatori di ruolo, ormai a esaurimento dopo la riforma del reclutamento introdotta dalla legge n. 240 del 2010; tuttavia i ricercatori ex lege n. 240, sono ancora relativamente poco diffusi, anche se in crescita, e risulta ancora raro il ricorso al tipo B, in tenure track»;
tali riduzioni, pur venendo per lo più giustificate da una più generale condizione economica di particolare sofferenza per l'intero Paese, costituiscono piuttosto specifiche scelte di carattere politico, dal momento che in numerosi casi le limitate risorse destinate al sistema statale, vengono invece destinate a progetti che dovrebbero risultare almeno subordinati alla realizzazione dei fondamentali obiettivi sin qui richiamati;
benché in presenza della necessità di disporre adeguati stanziamenti per i fondi di funzionamento dell'università e della ricerca, con l'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 25 novembre 2015, n. 185, il Governo ha «attribuito all'Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) un primo contributo dell'importo di 80 milioni di euro per l'anno 2015 per la realizzazione di un progetto scientifico e di ricerca», pur in assenza di un progetto specifico, e che l'istituto beneficiario sarà tenuto ad elaborare solo successivamente a tale stanziamento;
successivamente, in data 24 febbraio 2016, alla presenza del premier Matteo Renzi e del Ministro con delega ad Expo Maurizio Martina, è stato presentato dal Governo il progetto per il nuovo polo di ricerca dopo Expo Milano 2015 denominato «Human Technopole», la cui realizzazione veniva ancora una volta affidata all'Istituto italiano di tecnologia (IIT), insieme al Politecnico di Milano, l'università degli studi di Milano e l'università degli studi Milano Bicocca, in collaborazione con gli istituti di ricerca clinica e ospedaliera di Milano, la Fondazione Edmund Mach di Trento, la Fondazione ISI di Torino, il CINECA di Bologna e il CREA;
l'Istituto italiano di tecnologia (IIT), istituito nell'anno 2003 e direttamente sostenuto dal Ministero dell'economia e delle finanze, presenta sì caratteri formalmente pubblici, ma la propria governance viene direttamente gestita da una fondazione di tipo privato;
tale istituto ha ricevuto nel solo anno 2015 finanziamenti pubblici per circa 96 milioni di euro, così come riportato dal proprio sito istituzionale, ovvero un'erogazione pari all'intera quota premiale prevista per gli enti e gli istituti di ricerca italiani per l'anno 2015;
gli ulteriori finanziamenti, nonché l'attribuzione da parte del Governo del progetto denominato «Human Technopole», così come assegnati all'istituto italiano di tecnologia (IIT), rappresentano, ancora una volta, condizione di particolare rilevanza se relazionata la già richiamata volontà di allontanare e squilibrare il funzionamento degli atenei italiani;
ancora una volta, infatti, il Governo ha inteso valorizzare la qualità la ricerca senza l'utilizzo di alcun parametro specifico, arrivando a stabilirne, nel caso di specie, a priori il carattere meritocratico, sottraendo di fatto tali risorse dalla disponibilità e alla concorrenza degli altri atenei pubblici e, in particolare, degli istituti del Mezzogiorno d'Italia che maggiormente dovrebbero essere oggetto di progetti che ne possano rilanciare il prestigio;
ancor più evidenti appaiono quindi le discrasie tra i mancati o ridotti finanziamenti delle università e degli enti di ricerca statali, e le scelte politiche assunte dai Governi nel corso degli ultimi anni, conducendo ad un generale decadimento qualitativo dell'intero sistema italiano, ad esclusivo vantaggio di pochi istituti i quali, non potendo contare su un tessuto economico e culturale adeguato, non potranno comunque diventare realmente competitivi in campo internazionale;
infine, è necessario ricordare come le riduzioni di spesa degli ultimi anni non soltanto hanno interessato gli enti di ricerca e gli atenei italiani, ma hanno condotto a stanziali ridimensionamenti anche di quegli strumenti che erano stati messi a disposizione del sistema di ricerca italiano, tra cui i progetti di rilevante interesse nazionale (PRIN);
i PRIN, com’è noto, sono specifici progetti di ricerca finanziati annualmente dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, e attraverso tale programma si intendono finanziare progetti che per complessità e natura richiedono la collaborazione di più studiosi e di più organismi di ricerca e le cui esigenze di finanziamento eccedono la normale disponibilità delle singole istituzioni;
il fondo, così come rilevabile dalla relazione redatta dall'ANVUR, raggiunge una soglia di finanziamento massimo nel 2004, per poi mostrare una progressiva tendenza alla diminuzione, intensificatasi negli ultimi anni, con una drastica riduzione tra l'anno 2010 e l'anno 2012, laddove i fondi PRIN sono passati da 100 a 39 milioni di euro, fino ad ottenere uno stanziamento pari a 92 milioni di euro da destinare alla ricerca di base per l'anno 2015, con un parziale rilancio dell'istituto che, tuttavia, necessiterebbe di finanziamenti più ingenti e, soprattutto costanti nel tempo;
per i motivi sin qui esposti appaiono necessarie misure urgenti che possano urgentemente rilanciare il sistema dell'università e della ricerca italiana, attualmente lontano dagli standard europei e sempre più indirizzato verso la volontà di assicurare la competitività a pochi enti ed istituti, impedendo, di fatto, lo sviluppo di un sistema efficiente che porti l'intero Paese verso un progressivo sviluppo scientifico-economico, in accordo con gli impegni già sottoscritti dall'Italia a livello comunitario,
impegna il Governo:
a programmare stanziamenti costanti e rapportati al fabbisogno del sistema della ricerca nonché idonei a garantire standard retributivi adeguati per i ricercatori;
al fine di valorizzare i sistemi universitari e di ricerca italiani e di garantirne l'efficienza, ad assumere iniziative per ripristinare il regolare turnover dei docenti universitari nonché valutare la rispondenza dei livelli occupazionali alle esigenze dei singoli enti;
ad assumere iniziative per riformare il sistema di valutazione della qualità della ricerca (VQR), anche attraverso l'introduzione di un sistema di premialità che attribuisca risorse nuove ed aggiuntive rispetto alle risorse destinate al funzionamento ordinario;
al fine di valorizzare l'attività di ricerca e premiarne l'eccellenza, ad incrementarne le risorse destinate ai progetti di ricerca di rilevante interesse nazionale, anche attraverso il trasferimento di fondi già stanziati, nell'ambito del progetto «dopo-Expo» in favore dell'Istituto italiano di tecnologia;
a porre in essere iniziative volte a consentire a privati cittadini di effettuare donazioni destinate ai fondi statali per la ricerca di base.
(1-01265) «D'Uva, Vacca, Brescia, Simone Valente, Luigi Gallo, Marzana, Di Benedetto, D'Incà».