XVII LEGISLATURA
COMUNICAZIONI
Missioni valevoli nella seduta del 17 maggio 2016.
Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Alli, Amendola, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Berlinghieri, Bernardo, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Calabria, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Catania, Centemero, Antimo Cesaro, Cicchitto, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Micheli, Del Basso De Caro, Dell'Orco, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Fraccaro, Franceschini, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Incerti, Kronbichler, La Russa, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Mazziotti Di Celso, Merlo, Meta, Migliore, Nicoletti, Orlando, Pes, Piccoli Nardelli, Gianluca Pini, Pisicchio, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Rosato, Domenico Rossi, Rossomando, Rughetti, Sanga, Sani, Santerini, Scalfarotto, Scanu, Schullian, Scopelliti, Scotto, Sereni, Tabacci, Velo, Vignali, Zampa, Zanetti.
(Alla ripresa pomeridiana della seduta).
Aiello, Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Alli, Amendola, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Berlinghieri, Bernardo, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Calabria, Caparini, Casero, Castiglione, Catania, Centemero, Antimo Cesaro, Cicchitto, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Micheli, Del Basso De Caro, Dell'Orco, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Ferrara, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Fraccaro, Franceschini, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Lorenzo Guerini, Incerti, Kronbichler, La Russa, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Madia, Manciulli, Marazziti, Mazziotti Di Celso, Merlo, Meta, Migliore, Monchiero, Nicoletti, Orlando, Pes, Piccoli Nardelli, Gianluca Pini, Pisicchio, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Rosato, Domenico Rossi, Rossomando, Rughetti, Sanga, Sani, Santerini, Scalfarotto, Scanu, Schullian, Scopelliti, Scotto, Sereni, Speranza, Tabacci, Tofalo, Velo, Vignali, Villecco Calipari, Zanetti.
Annunzio di proposte di legge.
In data 16 maggio 2016 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
LA MARCA e FEDI: «Istituzione della Giornata nazionale degli italiani nel mondo» (3831);
RAVETTO: «Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di adozione da parte di persone singole» (3832);
RAVETTO: «Modifica all'articolo 44 della legge 4 maggio 1983, n. 184, concernente l'adozione in casi particolari» (3833).
Saranno stampate e distribuite.
Annunzio di proposte di inchiesta parlamentare.
In data 16 maggio 2016 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di inchiesta parlamentare d'iniziativa dei deputati:
PELLEGRINO ed altri: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sull'omicidio di Pier Paolo Pasolini» (Doc. XXII, n. 67).
Ritiro di proposte di legge.
In data 16 maggio 2016 il deputato Luigi Gallo ha comunicato, anche a nome degli altri firmatari, di ritirare la seguente proposta di legge:
LUIGI GALLO ed altri: «Istituzione dei nuclei per la didattica avanzata e introduzione di progetti di scuola aperta e di scuola diffusa negli istituti scolastici di ogni ordine e grado» (2934).
La proposta di legge sarà pertanto cancellata dall'ordine del giorno.
Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.
A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
V Commissione (Bilancio):
BOCCIA ed altri: «Modifiche alla legge 31 dicembre 2009, n. 196, concernenti il contenuto della legge di bilancio, in attuazione dell'articolo 15 della legge 24 dicembre 2012, n. 243» (3828) Parere delle Commissioni I, III, VI, VII, VIII, XI, XII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
XI Commissione (Lavoro):
CIPRINI ed altri: «Modifiche al decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, in materia di disciplina del lavoro accessorio» (3796) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, VIII, X, XII, XIII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Commissioni riunite VIII (Ambiente) e XII (Affari sociali):
ZOLEZZI ed altri: «Disposizioni per il censimento dei materiali contenenti amianto, la bonifica progressiva e lo smaltimento sostenibile dei suddetti materiali nei luoghi pubblici e privati, per l'eguaglianza nell'accesso ai benefici previdenziali per i lavoratori esposti all'amianto, per l'istituzione del registro economico dell'amianto nonché per il recepimento della direttiva 2009/148/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con l'esposizione all'amianto durante il lavoro» (3664) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), IV, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, X, XIII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Trasmissione dal Presidente del Senato.
Il Presidente del Senato, con lettera in data 11 maggio 2016, ha comunicato che la 9a Commissione (Agricoltura) del Senato ha approvato, ai sensi dell'articolo 144, commi 1 e 6, del Regolamento del Senato, una risoluzione sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante fissazione del tasso di adattamento dei pagamenti diretti di cui al regolamento (UE) n. 1306/2013 per l'anno civile 2016 (COM(2016) 159 final) (atto Senato Doc. XVIII, n. 126).
Questa risoluzione è trasmessa alla XIII Commissione (Agricoltura) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).
Annunzio di sentenze della Corte costituzionale.
La Corte costituzionale ha depositato in cancelleria le seguenti sentenze che, ai sensi dell'articolo 108, comma 1, del Regolamento, sono inviate alle sottoindicate Commissioni competenti per materia, nonché alla I Commissione (Affari costituzionali), se non già assegnate alla stessa in sede primaria:
Sentenza n. 90 del 23 marzo – 22 aprile 2016 (Doc. VII, n. 616),
con la quale:
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 8, comma 3, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 15 aprile 1991, n. 10 (Espropriazioni per causa di pubblica utilità per tutte le materie di competenza provinciale), come sostituito dall'articolo 38, comma 7, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 10 giugno 2008, n. 4 (Modifiche di leggi provinciali in vari settori e altre disposizioni), sollevata, in riferimento agli articoli 42, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'articolo 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, dalla Corte d'appello di Trento:
alla VIII Commissione (Ambiente).
Sentenza n. 95 del 23 marzo – 6 maggio 2016 (Doc. VII, n. 618),
con la quale:
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 5, comma 8, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 36, primo e terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'articolo 7 della direttiva 4 novembre 2003, n. 2003/88/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro), dal Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro:
alla XI Commissione (Lavoro).
Sentenza n. 96 del 5 aprile – 6 maggio 2016 (Doc. VII, n. 619),
con la quale:
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 9, comma 21, terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, sollevate, in riferimento agli articoli 3, 36, 53 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio:
alla I Commissione (Affari costituzionali).
Sentenza n. 97 del 6 aprile – 6 maggio 2016 (Doc. VII, n. 620),
con la quale:
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1751, primo comma, del codice civile, nel testo sostituito dall'articolo 4 del decreto legislativo 10 settembre 1991, n. 303 (Attuazione della direttiva 86/653/CEE relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, a norma dell'articolo 15 della legge 29 dicembre 1990, n. 428 – Legge comunitaria 1990), sollevata, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Foggia:
alla II Commissione (Giustizia).
Sentenza n. 102 dell'8 marzo – 12 maggio 2016 (Doc. VII, n. 622),
con la quale:
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 187-bis, comma 1, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52) e dell'articolo 649 del codice di procedura penale, sollevate, per violazione dell'articolo 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all'articolo 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con la legge 9 aprile 1990, n. 98, dalla quinta sezione penale della Corte di cassazione;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 187-ter, comma 1, del decreto legislativo n. 58 del 1998, sollevata, per violazione dell'articolo 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all'articolo 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, dalla sezione tributaria della Corte di cassazione:
alla II Commissione (Giustizia).
Sentenza n. 103 del 22 marzo – 12 maggio 2016 (Doc. VII, n. 623),
con la quale:
dichiara che non spettava allo Stato e per esso al Ministero dell'economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato – Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni emanare la nota del 23 luglio 2012, n. 0052547 (Accantonamento ex articolo 13, comma 17, e articolo 28, comma 3, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, e articolo 35, comma 4, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 e articolo 4, comma 11, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16), nella parte in cui detta disposizioni attuative degli accantonamenti relativi alla Regione siciliana in esecuzione dell'articolo 35, comma 4, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214;
annulla per l'effetto, in parte qua, la nota indicata al punto che precede;
dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione proposto dalla Regione siciliana nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione alla medesima nota del Ministero dell'economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato – Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni, nella parte in cui attua gli articoli 13, comma 17, e 28, comma 3, del decreto-legge n. 201 del 2011 e l'articolo 4, comma 11, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44:
alle Commissioni riunite V (Bilancio) e VI (Finanze);
Sentenza n. 104 del 18 aprile – 12 maggio 2016 (Doc. VII, n. 624),
con la quale:
dichiara inammissibili il secondo e il terzo motivo del ricorso per conflitto di attribuzione, promosso dalla Regione Veneto nei confronti dello Stato, in relazione alla deliberazione della Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Veneto, 11 aprile 2014, n. 269;
respinge per il resto il ricorso, dichiarando che spettava alla Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Veneto, operare la verifica della regolarità dei rendiconti consiliari sulla base dei criteri individuati dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 dicembre 2012:
alla I Commissione (Affari costituzionali).
Sentenza n. 105 del 5 aprile – 12 maggio 2016 (Doc. VII, n. 625),
con la quale:
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 1, lettere d) ed e), della legge della Regione Lombardia 19 dicembre 2014, n. 34 (Disposizioni in materia di vendita dei carburanti per autotrazione. Modifiche al titolo II, capo IV della legge regionale 2 febbraio 2010, n. 6 – Testo unico delle leggi regionali in materia di commercio e fiere), promosse, in riferimento all'articolo 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli articoli 49 e 56 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, sottoscritto a Roma il 25 marzo 1957, nonché all'articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri:
alla X Commissione (Attività produttive).
Sentenza n. 106 del 6 aprile – 12 maggio 2016 (Doc. VII, n. 626),
con la quale:
dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale degli articolo 34, comma 17, e 15, comma 2, del decreto legislativo 1o settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell'articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), sollevata, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione – in relazione all'articolo 54, commi 1 e 4, della legge n. 69 del 2009 – ed agli articoli 3, 24 e 111, settimo comma, della Costituzione, dalla Corte di cassazione;
dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 34, comma 17, del decreto legislativo n. 150 del 2011, sollevata in riferimento all'articolo 76 della Costituzione, in relazione all'articolo 54, comma 4, della legge n. 69 del 2009, dal Tribunale ordinario di Bergamo:
alla II Commissione (Giustizia).
Sentenza n. 107 del 19 aprile – 12 maggio 2016 (Doc. VII, n. 627),
con la quale:
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 6 della legge della Regione Molise 22 dicembre 2014, n. 25 (Assestamento del bilancio di previsione della Regione Molise per l'esercizio finanziario 2014, ai sensi della legge regionale n. 4/2002, articolo 33), promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli articoli 81, terzo comma, e 117, terzo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'articolo 15 del decreto legislativo 28 marzo 2000, n. 76 (Princìpi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle regioni, in attuazione dell'articolo 1, comma 4, della legge 25 giugno 1999, n. 208):
alla V Commissione (Bilancio).
La Corte costituzionale ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 30, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.87, copia delle seguenti sentenze che, ai sensi dell'articolo 108, comma 1, del Regolamento, sono inviate alle sottoindicate Commissioni competenti per materia, nonché alla I Commissione (Affari costituzionali):
con lettera in data 6 maggio 2016, Sentenza n. 94 del 20 aprile – 6 maggio 2016 (Doc. VII, n. 617),
con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 4-quater del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272 (Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell'Amministrazione dell'interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), come convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2006, n. 49, che introduce l'articolo 75-bis del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza):
alle Commissioni riunite II (Giustizia) e XII (Affari sociali);
con lettera in data 12 maggio 2016, Sentenza n. 101 del 19 aprile – 12 maggio 2016 (Doc. VII, n. 621),
con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 14, commi 3-bis e 3-ter, ultimo periodo, della legge della Regione Lombardia 12 dicembre 2003, n. 26 (Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche), aggiunti dall'articolo 6, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia 30 dicembre 2014, n. 35, recante «Disposizioni per l'attuazione della programmazione economico-finanziaria regionale, ai sensi dell'articolo 9-ter della legge regionale 31 marzo 1978, n. 34 (Norme sulle procedure della programmazione, sul bilancio e sulla contabilità della Regione) – Collegato 2015»;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 6, comma 1, lettera c), della legge della Regione Lombardia n. 35 del 2014 – nel testo modificato dall'articolo 8, comma 13, lettera s), della legge regionale 5 agosto 2015, n. 22 (Assestamento al bilancio 2015/2017 – I provvedimento di variazione con modifiche di leggi regionali) – promossa, in riferimento agli articoli 3, 117, primo e secondo comma, lettera e), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, previo trasferimento della questione di legittimità costituzionale sulla nuova disposizione;
dichiara estinto il giudizio relativamente alla questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia n. 35 del 2014, promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri;
dichiara cessata la materia del contendere in relazione alla questione di legittimità costituzionale dell'articolo 6, comma 1, lettera f), della legge della Regione Lombardia n. 35 del 2014, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri:
alle Commissioni riunite VIII (Ambiente) e X (Attività Produttive).
Trasmissione dal Ministro dell'economia e delle finanze.
Il Ministro dell'economia e delle finanze, con lettera in data 13 maggio 2016, ha trasmesso la relazione, aggiornata al mese di dicembre 2015, sul monitoraggio degli incassi e dei pagamenti del bilancio dello Stato e delle spese aventi impatto diretto sul conto delle pubbliche amministrazioni per l'anno 2015.
Questa relazione è trasmessa alla V Commissione (Bilancio).
Annunzio di provvedimenti concernenti amministrazioni locali.
Il Ministero dell'interno, con lettere in data 12 maggio 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 141, comma 6, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, i decreti del Presidente della Repubblica di scioglimento dei consigli comunali di Alife (Caserta), Ronsecco (Vercelli), Sangiano (Varese), Serra San Bruno (Vibo Valentia), Tagliacozzo (L'Aquila) e Vieste (Foggia).
Questa documentazione è depositata presso il Servizio per i Testi normativi a disposizione degli onorevoli deputati.
Richieste di parere parlamentare su atti del Governo.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con lettera in data 10 maggio 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 5, commi 1 e 2, della legge 28 dicembre 2015, n. 221, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto ministeriale recante definizione del programma sperimentale nazionale di mobilità sostenibile casa-scuola e casa-lavoro, nonché modalità e criteri per la presentazione dei progetti finanziabili (302).
Questa richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del Regolamento, alle Commissioni riunite VIII (Ambiente) e IX (Trasporti), che dovranno esprimere il prescritto parere entro il 16 giugno 2016. È altresì assegnata, ai sensi del comma 2 dell'articolo 96-ter del Regolamento, alla V Commissione (Bilancio), che dovrà esprimere i propri rilievi sulle conseguenze di carattere finanziario entro il 1o giugno 2016.
Il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 13 maggio 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 8, commi 1, lettera f), e 5, della legge 7 agosto 2015, n. 124, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto legislativo recante riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione della disciplina concernente le autorità portuali di cui alla legge 28 gennaio 1994, n. 84 (303).
Questa richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del Regolamento, alla IX Commissione (Trasporti) e, per le conseguenze di carattere finanziario, alla V Commissione (Bilancio), nonché, d'intesa con il Presidente del Senato della Repubblica, alla Commissione parlamentare per la semplificazione. Le predette Commissioni dovranno esprimere i prescritti pareri entro il 16 luglio 2016.
Il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 17 maggio 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 3 della legge 28 aprile 2016, n. 57, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto legislativo recante disciplina della sezione autonoma dei consigli giudiziari per i magistrati onorari e disposizioni per la conferma nell'incarico dei giudici di pace, dei giudici onorari di tribunale e dei vice procuratori onorari in servizio (304).
Questa richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del Regolamento, alla II Commissione (Giustizia) e, per le conseguenze di carattere finanziario, alla V Commissione (Bilancio), che dovranno esprimere i prescritti pareri entro il 16 giugno 2016.
Atti di controllo e di indirizzo.
Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.
INTERPELLANZE E INTERROGAZIONI
Chiarimenti in ordine alla mancata autorizzazione di una manifestazione contro un'esercitazione militare svoltasi in Sardegna il 3 novembre 2015 – 2-01152
A) Interpellanza
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
il 3 novembre 2015 si è svolta in Sardegna una manifestazione di diverse centinaia di persone organizzata dalla rete «No basi» contro l'esercitazione Nato denominata Trident Juncture, che vede schierati 36 mila soldati, 140 cacciabombardieri, 60 fra navi e sommergibili militari;
teatro dell'esercitazione è stato il poligono di Capo Teulada, uno dei più estesi d'Europa, con i suoi 7400 ettari di suolo adibito ad uso militare;
come risulta agli atti, la questura di Cagliari era stata regolarmente preavvisata, come prescrive la norma in materia di pubbliche riunioni, già dal 29 ottobre 2015;
il questore di Cagliari Vito Danilo Gagliardi ha negato l'autorizzazione alla suddetta manifestazione per l'assenza di non meglio precisati «canoni di sicurezza»;
la rete dei comitati antimilitaristi e pacifisti ha comunque confermato la propria volontà di manifestare;
detta manifestazione si è svolta in un clima surreale, fatto di controlli ferrei all'arrivo dei manifestanti a Sant'Anna Arresi (comune limitrofo a Teulada), di blocchi stradali, di continui momenti di tensione e sporadici tafferugli con le forze dell'ordine, in un contesto nel quale la presenza delle forze di pubblica sicurezza è apparsa quanto mai spropositata, data la natura pacifica e politicamente pacifista della manifestazione stessa;
ventotto persone sono state denunciate: 12 già destinatarie di «fogli di via» per la violazione della disposizione, altre 16 per «introduzione clandestina in luoghi militari»;
appare del tutto evidente, a giudizio degli interpellanti, come l'atteggiamento della questura di Cagliari abbia ulteriormente alimentato un clima di tensione, accumulatosi da settimane e negli ultimi anni in Sardegna, intorno al conflitto fra Stato e una parte della cittadinanza sulla questione di quella che appare agli interpellanti una spropositata presenza militare nell'isola, caratterizzata da 24 mila ettari circa di poligoni, da 35 mila ettari di servitù, dalla sperimentazione di sistemi d'arma e di scenari di guerra;
la questione della gestione dell'ordine pubblico era già parsa dubbia nelle settimane precedenti, con particolare riferimento ai fatti accaduti a Cagliari l'11 ottobre 2015, allorché un gruppo di poche decine di manifestanti pacifisti è stato progressivamente chiuso dalle forze dell'ordine nelle vie del centro cittadini, provocando la reazione delle persone presenti e una serie di scontri e svariate denunce;
ammesso che, realmente, possa avere un fondamento la preoccupazione per le frange cosiddette più «estreme» del movimento antimilitarista sardo e che esse, realmente, costituiscano un problema in sé per l'ordine pubblico – fatto che è, secondo gli interpellanti, tutto da dimostrare – ciò che rileva, ai fini del presente atto di sindacato ispettivo, è la sensazione che si stia verificando una progressiva costrizione della libertà di espressione della cittadinanza e di compressione del diritto di questa a manifestare pubblicamente ed in forma associata le proprie idee;
l'articolo 17 della Costituzione repubblicana recita esplicitamente «i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica»;
ogni articolazione dello Stato deve attenersi al rigoroso rispetto della Carta costituzionale –:
se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
quali fossero i comprovati motivi di sicurezza e incolumità pubblica ravvisati dal questore di Cagliari e addotti a ragione del diniego della manifestazione del 3 novembre 2015;
se non ritenga di dover avviare una verifica volta ad accertare la corretta gestione dell'ordine pubblico in Sardegna ed a Cagliari in particolare.
(2-01152) «Piras, Quaranta, Ricciatti, Duranti».
Chiarimenti in ordine alla mancata autorizzazione di una manifestazione nazionale dell'Unione sindacale di base (USB) – 2-01156
B) Interpellanza
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
giovedì 5 novembre 2015 è stato pubblicato un comunicato stampa dell'Unione sindacale di base (Usb) dove il sindacato lamenta una mancata autorizzazione della questura a una manifestazione nazionale;
il comunicato cita che «La questura di Roma ha negato l'autorizzazione al corteo indetto per il prossimo 20 novembre a Roma, in occasione dello sciopero generale nazionale dei lavoratori pubblici, proclamato per la stessa giornata dall'Usb pubblico impiego contro la legge di stabilità per il 2016»;
secondo la Usb il motivo della mancata autorizzazione da parte della questura di Roma è da attribuire a una direttiva prefettizia dove si sostiene che la manifestazione «si sarebbe dovuta svolgere in giorno lavorativo in difformità dall'ordinanza prefettizia che prevede lo svolgimento dei cortei nelle giornate di sabato e domenica» e che la centralità del percorso prescelto comporterebbe «gravi ripercussioni sull'ordine e sulla sicurezza pubblica»;
dal comunicato stampa gli interroganti apprendono «che non è stato possibile conoscere il testo della direttiva prefettizia a cui si fa riferimento nel divieto (la direttiva n. 182692 del 26 giugno 2015) e che l'Usb ne sta richiedendo accesso agli atti, ai sensi della legge n. 241 del 1990» –:
se il Ministro interpellato sia a conoscenza dei fatti in premessa;
se intenda rendere pubblico o fornire chiarimenti circa il contenuto della direttiva prefettizia n. 182692 del 26 giugno 2015.
(2-01156) «Massimiliano Bernini, Daga, Crippa, Terzoni, Benedetti, Basilio».
Iniziative volte a contrastare il «traffico» di immigrati clandestini, alla luce dell'inchiesta «Golden Circus» – 2-01164
C) Interpellanza
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:
da notizia di stampa riportata in data 10 novembre 2015 sul quotidiano online Palermo Today si apprende che la procura della Repubblica di Palermo ha emesso 41 provvedimenti di fermo in tutta Italia nei confronti di ventotto italiani, otto indiani, tre bengalesi, un pakistano, un rumeno, diciotto circhi e diversi impresari di settore, accusati di aver favorito l'immigrazione clandestina;
l'operazione denominata «Golden Circus» ha portato all'individuazione di un'associazione criminale internazionale dedita al traffico clandestino di centinaia di migranti provenienti principalmente dall'India, dal Bangladesh e dal Pakistan, a cui era concesso un visto d'ingresso come acrobati o giocolieri dipendenti dei circhi coinvolti, in cambio del pagamento non inferiore a 15.000 euro pro capite;
il capo della squadra mobile di Palermo, Rodolfo Ruperti, dichiara che il visto d'ingresso per ragioni di lavoro concesso ai migranti clandestini era ottenuto grazie alla collaborazione di dipendenti dell'assessorato regionale della famiglia, delle politiche sociali e del lavoro della Regione siciliana e che tale traffico illecito ha generato un giro d'affari di circa 7 milioni di euro;
difatti, tra le 41 persone nei cui confronti è stato predisposto il provvedimento di fermo vi è Vito Gambino, dipendente dell'assessorato al lavoro della Regione siciliana, accusato di aver favorito la tratta clandestina di migranti fornendo, dietro compenso economico, la fittizia autorizzazione all'assunzione dei circhi firmata dalla regione all'associazione criminale internazionale;
secondo quanto riportato dal sopra citato articolo, gli inquirenti della procura della Repubblica di Palermo dichiarano che «gli impresari circensi inoltravano la domanda di assunzione dello straniero a Vito Gambino, il quale predisponeva, pure in mancanza dei presupposti, il “nulla osta al lavoro per prima occupazione o visto d'ingresso cittadini extracomunitari”», documento che, insieme ad altri certificati, permette il rilascio al cittadino extracomunitario del visto d'ingresso da parte dell'ambasciata italiana;
in base alla ricostruzione degli inquirenti, Vito Gambino aveva il compito di contattare direttamente le questure siciliane territorialmente competenti al fine di consentire il rilascio dei nulla osta nel più breve tempo possibile. Per la realizzazione dei documenti dovrebbe essersi servito di un falso timbro dell'ufficio immigrazione della questura di Palermo oppure avrebbe dichiarato la presenza agli atti dei nulla osta della questura attraverso fittizi provvedimenti dell'assessorato;
le indagini confermano, inoltre, il coinvolgimento degli impresari di noti circhi, i quali avrebbero ricevuto somme di denaro pari a 2.000 o 3.000 euro a seconda che l'assunzione dei migranti come ballerini, attrezzisti, facchini nei circhi fosse fittizia o meno. Tra i più famosi circhi implicati si annoverano: Circo Sandra Orfei, Circo Lino Orfei, Circo Bizzarro, Circo Città di Roma, Circo Vienna Roller, Circo Martin, Circo di Praga, Circo Cristiani Bros, Circo Karoli, Circo Wigliams Brother, Circo Acquatico, Circo Acquatico Jonathan, Circo Acquatico Splash, Circo Martini, Circo Blasis, Circo Marinescu, circo Kumar;
come è noto, per effetto della legge 30 aprile 1985, n. 163 (istitutiva del fondo unico per lo spettacolo), anche le attività circensi e dello spettacolo viaggiante beneficiano di contributi ministeriali e relativamente all'anno 2015 gli stanziamenti assegnati alle attività circensi ammontano ad euro 4,5 milioni. Considerate le recenti vicende incresciose che hanno coinvolto numerose imprese circensi nel reato di sfruttamento dell'immigrazione clandestina, c’è il fondato timore che alcune di queste realtà abbiano usufruito delle risorse a valere sul fondo unico per lo spettacolo come previsto dalle nuove assegnazioni per l'anno 2015 di cui al decreto direttoriale 9 luglio 2015, n. 738;
il decreto ministeriale 1o luglio 2014, n. 71, recante i nuovi criteri per l'erogazione dei contributi del fondo unico per lo spettacolo, agli articoli 7 e 8, disciplina rispettivamente le modalità con cui il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo attua verifiche e controlli sulle attività sovvenzionate, nonché i casi di decadenza, revoca o rinuncia, ma nulla esplicita nel caso in cui una impresa ammessa al fondo unico per lo spettacolo si renda responsabile di un illecito penale –:
quali iniziative di competenza i Ministri interpellati intendano adottare affinché casi simili di traffico clandestino di migranti tramite imprese che beneficiano di contributi pubblici, come nel caso in questione, non si verifichino nuovamente;
se non si ritenga opportuno procedere ad una verifica circostanziata e inequivocabile, volta ad accertare che le imprese circensi coinvolte nell'inchiesta non abbiano usufruito dei contributi del fondo unico per lo spettacolo, considerato il fatto che spesso la denominazione dell'impresa circense che richiede il contributo può differire dalla persona effettivamente titolare dell'impresa stessa (articolo 31 del decreto ministeriale n. 71 del 2014);
se non si ritenga doveroso, nelle more di un accertamento delle responsabilità penali, verificare se sussistano i presupposti per procedere ad una revoca del relativo finanziamento o quanto meno ad una sospensiva nell'attesa di un quadro più chiaro delle indagini.
(2-01164) «Brescia, Simone Valente, Vacca, Di Benedetto, Marzana, D'Uva, Di Vita, Parentela».
Chiarimenti ed iniziative in relazione ad asseriti rischi connessi alla minaccia terroristica nell'area di Crema – 3-02193
D) Interrogazione
CINZIA MARIA FONTANA e VILLECCO CALIPARI. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
da recenti notizie di stampa emergerebbe come l'area di Crema sia individuabile come zona particolarmente a rischio per la minaccia terroristica con forte presenza di nuclei sospetti;
la notizia appare tanto più allarmante in quanto sembra provenire da fonti autorevoli, considerato che sembra far riferimento a fonti dei servizi segreti e investigative;
risulta peraltro agli interroganti che i sindaci dell'area cremasca non abbiano ricevuto alcuna evidenza ufficiale in merito;
a seguito di quanto riportato dalla stampa, la popolazione locale, le istituzioni e tutto il territorio stanno vivendo ore di forte apprensione e angoscia e pertanto appare urgente fare chiarezza sulla reale situazione –:
se corrisponda al vero la notizia di una minaccia terroristica specifica individuata nell'area di Crema, come riportata da fonti di stampa, o se invece l'allarme non rientri nel più generale – seppur grave e da non sottovalutare – livello di allerta nazionale;
quali iniziative speciali il Governo abbia intrapreso o intenda intraprendere per coinvolgere le istituzioni locali e garantire il massimo livello di sicurezza del territorio cremasco, in caso di conferma di un allarme specifico sull'area di Crema.
(3-02193)
Iniziative di competenza volte a garantire una informazione libera e indipendente, con riferimento all'accordo tra la Federazione italiana editori di giornali e Federazione nazionale stampa italiana sull'equo compenso per i giornalisti sottoscritto il 19 giugno 2014 – 3-01286
E) Interrogazione
LUIGI GALLO, FICO, SIMONE VALENTE e D'UVA. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:
il giorno 9 luglio 2014, il giornale il Fatto quotidiano titola quanto segue: «Precari contro sindacati» svenduti agli editori «assalto dei freelance nella sede della Fnsi»;
dopo mesi di riunioni, silenzi e tentennamenti una delibera governativa il 19 giugno 2014 ha chiuso l'accordo tra la Federazione italiana editori di giornali e Federazione nazionale stampa italiana sull'equo compenso per i giornalisti. In sostanza, questo il tariffario minimo per un collaboratore: 20,80 per un articolo su un quotidiano; 6,25 euro per una segnalazione ad agenzie e web (eventualmente integrata di un paio di euro se con foto e video); 67 euro ad articolo per i periodici; 14 euro per un articolo su periodici locali; 40 euro per le tv locali, ma solo con un minimo di 6 pezzi al mese; 250 euro per un pezzo sui mensili. Questo è ciò che editori e sindacato dei giornalisti hanno stabilito come «equo compenso» per cronisti a collaborazione coordinata e continuativa;
il coordinamento precari e dei giornalisti freelance, attraverso numerose e diverse iniziative, in queste ore protesta contro questo accordo sindacale che tradisce lo spirito con cui, mesi fa, si era arrivati ad avviare la battaglia sul «giusto» compenso e ad istituire una commissione ad hoc, per il tariffario. In queste ore, la mobilitazione dei freelance si diffonde attraverso il web. Si diffonde l'appello diretto al Sottosegretario Luca Lotti, con delega all'editoria, perché «ritiri la delibera attuativa della legge sull'equo compenso per i giornalisti freelance e atipici»;
i freelance e gli atipici rappresentano la maggioranza assoluta dei giornalisti attivi. Sono loro – sottopagati – a «consumare le suole delle scarpe», portando le notizie, mantenendo i contatti quotidiani con le fonti, rischiando, quando va bene, qualche querela di troppo. Oppure sono usati come jolly nelle redazioni, rimanendo eternamente in attesa di un contratto, sempre più lontani;
l'accordo siglato da questa commissione in cui presiedevano Fnsi (sindacato), Fieg (Federazione editori) e due rappresentanti del Governo avrebbe dovuto basarsi sulle prescrizioni della legge 31 dicembre 2012 n. 233, al comma 1, stabilisce quanto segue: «In attuazione dell'articolo 36, primo comma, della Costituzione, la presente legge è finalizzata a promuovere l'equità retributiva dei giornalisti iscritti all'albo di cui all'articolo 27 della legge 3 febbraio 1963, n. 69, e successive modificazioni, titolari di un rapporto di lavoro non subordinato in quotidiani e periodici, anche telematici, nelle agenzie di stampa e nelle emittenti radiotelevisive; e al comma 2, ai fini della presente legge, per equo compenso si intende una remunerazione proporzionata alla quantità è alla qualità del lavoro svolto, tenendo conto della natura, del contenuto e delle caratteristiche della prestazione, nonché della coerenza con i trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria in favore dei giornalisti titolari di un rapporto di lavoro subordinato»;
alla luce di quanto osservato la tabella che stabilisce i valori dell'equo ha creato un mercato duale del lavoro caratterizzato dalla divisione tra gli «insider» iper-protetti e gli «outsider» senza garanzie;
a pagarne il prezzo c’è il diritto costituzionale della libera informazione e della pluralità dell'informazione, che il dipartimento dell'informazione e dell'editoria deve garantire perché è evidente che un giornalista sottopagato è ricattabile, prima di tutto dal suo editore. A queste condizioni non è possibile informare con la dovuta cura, rispettando la deontologia professionale, andando oltre il semplice copia e incolla di un comunicato stampa, verificando rigorosamente le notizie e trattando i temi che si ritengono importanti;
i proprietari delle testate giornalistiche continuano a ricevere fondi, lo prevede il decreto-legge 18 maggio 2012, n. 63 convertito, con modificazioni, dalla legge 16 luglio 2012, n. 103 e pubblicato in Gazzetta ufficiale 20 luglio 2012, n. 168, e sul sito del Governo si legge: «Ai fini dell'ammissione al contributo per l'anno 2013, le imprese editrici che hanno presentato domanda nei termini di legge devono far pervenire, a pena di decadenza, la relativa documentazione entro la data del 30 settembre 2014»;
l'obbligo di pubblicazione dei bandi di gara delle pubbliche amministrazioni sui quotidiani nazionali e locali comporta una spesa non meglio stimata che potrebbe anche essere vicino al miliardo di euro all'anno ed è sicuramente una modalità di pubblicazione obsoleta ed onerosa per le casse degli enti locali e delle imprese vincitrici di bandi;
secondo la classifica internazionale Freedom, organizzazione non governativa statunitense, con lo scopo di misurare il livello di libertà di stampa ed indipendenza editoriale raggiunto in ogni nazione del mondo, a causa dei crescenti tentativi del Governo di interferire con la politica editoriale dei mezzi di comunicazione pubblici l'Italia è al 68o nella classifica dell'informazione, essendo un Paese giudicato semi-libero –:
in che modo si intenda garantire un'informazione libera e non ricattabile dai poteri politici, governativi, economici e finanziari che sostengono economicamente l'editoria nel rispetto dell'articolo 36 della Costituzione. (3-01286)
Chiarimenti ed iniziative in merito ai presupposti per l'addebito del canone Rai sulla bolletta elettrica, in particolare alla luce delle disposizioni del regio decreto-legge n. 246 del 1938 e del principio di cui all'articolo 2697 del codice civile – 3-02126
F) Interrogazione
BALDELLI, GELMINI, POLIDORI, GIAMMANCO, SQUERI, SANDRA SAVINO, GIACOMONI e LAFFRANCO. – Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
a partire dal 2016, come stabilito dall'articolo 1, comma 153, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, il canone Rai verrà addebitato sulla bolletta della luce con l'aggiunta, rispetto al passato, che d'ora in poi sarà presunta la detenzione dell'apparecchio nel caso in cui esista un'utenza per la fornitura di energia elettrica nel luogo in cui un soggetto ha la sua residenza anagrafica;
tale presunzione contrasta con quanto disposto dal regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, in base al quale l'imposta si applica solo a chi effettivamente, e non presuntivamente, possieda un apparecchio adibito alla ricezione di radioaudizioni televisive nel territorio italiano;
la possibilità data agli utenti di presentare, con cadenza annuale, un'autocertificazione, in cui si dichiari il non possesso di alcun apparecchio radiotelevisivo inverte indebitamente il principio di cui all'articolo 2697 del codice civile («Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento») –:
se e come il Governo intenda far rispettare il combinato disposto delle disposizioni contenute nel regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, in relazione all'effettiva detenzione dell'apparecchio adibito alla ricezione di radioaudizioni televisive, e all'articolo 2697 del codice civile, in relazione all'inversione dell'onere della prova. (3-02126)
Rimodulazione dell'accordo di programma relativo alla vicenda della J.P. Industries di Fabriano (Ancona) – 3-01632
G) Interrogazione
TERZONI, CIPRINI, GALLINELLA e CECCONI. – Al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:
nella giornata di martedì 14 luglio 2015 si è svolto a Roma presso la sede del Ministero dello sviluppo economico l'incontro tra sindacati, regioni Umbria e Marche, Invitalia e l'imprenditore Giovanni Porcarelli sull'accordo di programma e sulle modifiche in esso contenute in relazione alla vicenda della J.P. Industries di Fabriano;
in seguito alla sentenza della corte di appello di Ancona del 28 aprile 2014 con la quale era stato dichiarato nullo l'atto di vendita dei due stabilimenti fabrianesi di Santa Maria e Marangone e di quello umbro di Gaifana della ex Ardo alla newco dell'imprenditore Giuseppe Porcarelli, si è cercato un accordo con le sette banche creditrici secondo le quali il prezzo di cessione stabilito dai commissari ministeriali, 13 milioni di euro, sarebbe stato troppo basso rispetto a una valutazione minima equa quattro volte superiore, attorno ai 54 milioni di euro;
dalle notizie apprese alla stampa in seguito al summit ricordato sembrerebbe che tale accordo che servirebbe a rilanciare l'attività della J.P. Industries non sia stato ancora trovato;
attualmente, inoltre, si è in attesa che la Corte di cassazione si pronunci nell'autunno 2015, mentre il 31 dicembre 2015 scadrà la cassa integrazione straordinaria per i 700 lavoratori coinvolti che, in assenza di una ripresa dell'attività produttiva, non verrà prorogata;
il prossimo tavolo di confronto è stato fissato al Ministero dello sviluppo economico per il giorno 7 settembre 2015;
a proposito della situazione della J.P. Industries sono già state depositate numerose interrogazioni (a risposta orale n. 3-00954 annunciata durante la seduta n. 265 del 16 luglio 2014, a prima firma Terzoni, alla quale non è mai stata fornita risposta; interrogazione a risposta in commissione n. 5-01114, presentata da Ciprini Tiziana il 2 ottobre 2013, seduta n. 89; interrogazione a risposta scritta n. 4-09424, presentata da Ciprini Tiziana l'11 giugno 2015, seduta n. 440). In queste interrogazioni è stato sottolineato come i fondi messi a disposizione con l'accordo di programma non sono stati investiti e non hanno creato occupazione a causa del carico burocratico previsto e dei vincoli imposti dalla legge n. 181. Inoltre, si sottolinea e si ricorda come tutto fosse scaturito dall'operato dei commissari del Ministero dello sviluppo economico che secondo i giudici avrebbero travalicato «i limiti del potere discrezionale della pubblica amministrazione», concedendo a Porcarelli uno sconto di quattro anni sul calcolo della redditività negativa dell'azienda (il badwill), indicato invece per legge in due anni (decreto legislativo n. 270 del 1999), nei quali chi compra deve garantire i livelli occupazionali, con conseguente sottostima del valore dell'azienda venduta ad «un quinto del valore», 12 milioni di euro invece di 54;
il 29 gennaio del 2015, in seguito a un incontro avvenuto a Roma con il Viceministro pro tempore Claudio De Vincenti, l'ex presidente della regione Marche Spacca annunciava una proroga dell'accordo di programma dal 2015 al 2017 e una sua semplificazione. Dopo quell'incontro si parlò di un accordo di programma che sarebbe stato reso più accessibile e flessibile, per favorire la presentazione di progetti imprenditoriali, non più soltanto nel settore industriale, ma anche in quello turistico e della valorizzazione ambientale;
nello stesso incontro il Viceministro aveva assicurato il mantenimento dell'attività produttiva anche nel sito umbro di Colle di Nocera e l'impegno verso le banche per una pronta ripresa produttiva;
la rimodulazione dell'accordo di programma è stato uno dei temi affrontati proprio durante l'incontro del 14 luglio 2015 –:
se sia a conoscenza degli elementi ulteriori inseriti nella rimodulazione dell'accordo di programma ed in che cosa consistano;
quali iniziative intenda intraprendere per favorire l'accordo con gli istituti di credito come il Ministero si era impegnato a fare durante l'incontro del 29 gennaio 2015 al fine di scongiurare la definitiva chiusura dell'azienda. (3-01632)
MOZIONI LOREFICE ED ALTRI N. 1-00698, D'INCECCO ED ALTRI N. 1-01229, BINETTI ED ALTRI N. 1-01235, RONDINI ED ALTRI N. 1-01237, PALESE ED ALTRI N. 1-01238, NICCHI ED ALTRI N. 1-01239, VARGIU ED ALTRI N. 1-01240 E MILANATO ED ALTRI N. 1-01243 CONCERNENTI INIZIATIVE FINALIZZATE AL RICONOSCIMENTO DELL'ENDOMETRIOSI COME MALATTIA INVALIDANTE E AL POTENZIAMENTO DELLE PRESTAZIONI SANITARIE E DELLE MISURE DI SOSTEGNO ECONOMICO E SOCIALE PER LE DONNE AFFETTE DA TALE PATOLOGIA
Mozioni
La Camera,
premesso che:
l'endometriosi è una malattia della quale sono affette circa 3 milioni di donne in Italia, 14 milioni in Europa e 150 milioni nel mondo. È una malattia cronica e invalidante, che consiste nella presenza di tessuto endometriale, che normalmente riveste la cavità uterina, in siti ectopici, cioè al di fuori dell'utero dove forma noduli, lesioni, impianti o escrescenze. Esse si localizzano più frequentemente nell'addome interessando ovaie, tube, peritoneo, intestino, ma anche altri organi. Viene classificata in quattro gradi diversi (I stadio minima, II stadio lieve, III stadio moderata e IV stadio severa o grave), dal più lieve al più serio, in base all'estensione e alla localizzazione della lesione;
tale malattia è molto difficile da diagnosticare. Molte donne ricevono una corretta diagnosi mediamente dopo circa dieci anni di visite mediche, pubbliche e private, queste ultime molto costose. A causa dei pochissimi fondi stanziati per la ricerca esistono pochissime équipe specializzate nella diagnosi e nella cura della patologia e spesso operanti nel privato. Esiste, infatti, ancora molta disinformazione in materia, tanto che nella maggior parte dei casi i forti dolori avvertiti dalle donne, soprattutto nei primi giorni del ciclo mestruale, sono ricondotti ad una causa di tipo psicologico;
sono sempre più numerosi gli studi e le ricerche che evidenziano l'incidenza della diffusione della malattia in quei territori esposti a fattori inquinanti, fra questi alcuni in particolare hanno l'azione di interferenti endocrini (diossine e ipa in particolare); tali sostanze sono correlate allo sviluppo di gravi patologie del sistema endocrino (oltre che a incremento della mortalità oncologica) ed è stato riscontrato l'incremento proprio dell'endometriosi;
l'endometriosi è sicuramente una malattia invalidante, in quanto costringe le donne che ne sono affette a modificare il proprio stile di vita, rimodulando le proprie abitudini sia nei rapporti sociali che nella vita lavorativa e privata;
il 22 luglio 2009 il Ministro per le pari opportunità, il presidente dell'Istituto nazionale della previdenza sociale, il presidente dell'Istituto nazionale per l'assicurazione infortuni sul lavoro, il presidente dell'Istituto affari sociali e il presidente della Fondazione italiana endometriosi hanno stipulato un protocollo d'intesa sul tema dell'endometriosi;
con tale convenzione le parti si sono impegnate nella promozione di campagne di sensibilizzazione, informazione e comunicazione pubblica sulla tematica dell'endometriosi; si sono impegnate a costituire un tavolo tecnico presso il Ministero per le pari opportunità per la verifica e la valutazione di strumenti normativo-istituzionali tesi a «promuovere pratiche di sostegno alle donne affette da endometriosi o esposte a rischio di malattia» (articolo 1);
con l'articolo 4 della suddetta convenzione le parti hanno concordato di dare priorità alle seguenti tematiche e aree di intervento:
a) aumentare la consapevolezza che la corretta informazione e la prevenzione sull'endometriosi rappresentano lo strumento per combattere la patologia;
b) favorire una sinergia con tutte le realtà locali interessate al fine di diffondere una presa di coscienza dei problemi che la patologia può avere nella vita delle donne;
c) porre particolare attenzione ai luoghi di lavoro e ai fattori che possono avere un ruolo nella progressione della malattia;
d) stimolare un maggiore interesse per la ricerca scientifica al fine di stimare il reale impatto della malattia sulla vita delle donne;
tale protocollo d'intesa aveva validità 5 anni a decorrere dalla data di stipula, termine scaduto il 22 luglio 2014;
sono già state approvate in Italia quattro leggi regionali, la n. 18 del 2012 del Friuli Venezia Giulia, la n. 40 del 2014 della Puglia, la n. 26 del 2014 della Sardegna e la n.1 del 2015 del Molise, che, oltre a promuovere la prevenzione e la diagnosi precoce dell'endometriosi al fine di migliorare la qualità delle cure, istituiscono un osservatorio e un registro regionale e promuovono campagne di sensibilizzazione e formazione. E varie proposte di legge sono state depositate in altre regioni;
da diversi ambiti della società si sente da tempo l'esigenza di dare una spinta alle istituzioni, a tutti i livelli, per ottenere il riconoscimento della patologia ai fini dell'invalidità civile e il relativo inserimento nelle tabelle di cui al decreto ministeriale 28 maggio 1999, n. 329, «Regolamento recante norme di individuazione delle malattie croniche e invalidanti ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124», come modificato dal decreto ministeriale 21 maggio 2001, n. 296, «Regolamento di aggiornamento del decreto ministeriale 28 maggio 1999, n. 329», che individua le condizioni di malattia croniche e invalidanti che danno diritto all'esenzione dalla partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza sanitaria correlate,
impegna il Governo:
ad adottare iniziative, anche normative, affinché siano aggiornate le tabelle di cui al decreto ministeriale n. 329 del 1999, ai fini dell'inserimento dell'endometriosi tra le malattie invalidanti, riconoscendo alle donne affette dalla patologia il diritto all'esenzione dalla partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza sanitaria correlate;
ad avviare iniziative di sostegno sociale ed economico per le donne affette da endometriosi, finalizzate alla riduzione degli enormi costi che le pazienti si trovano ad affrontare prima e dopo la diagnosi certa della malattia, prevedendo l'esenzione dal ticket sanitario per esami specialistici, quali ecografie pelviche e transvaginali, risonanze magnetiche con contrasto e altro, e prevedendo, altresì, l'esenzione per l'acquisto di farmaci destinati a lenire il dolore e a bloccare i sintomi della patologia, intervenendo anche con azioni volte alla riduzione dei tempi d'attesa per le prestazioni offerte dal servizio sanitario nazionale;
ad adottare iniziative a tutela delle donne affette da endometriosi, a partire dalla promozione della conoscenza della malattia per arrivare al sostegno della ricerca scientifica affinché si arrivi, per la maggior parte dei casi, ad una diagnosi precoce certa;
ad assumere iniziative per istituire il fondo nazionale per l'endometriosi e un registro nazionale dell'endometriosi per la raccolta e l'analisi dei dati clinici e sociali della malattia, ponendo a carico delle regioni l'onere di trasmettere al registro nazionale periodicamente i dati relativi alla diffusione della malattia nel rispettivo territorio;
ad attuare campagne di sensibilizzazione e di informazione sulla malattia e a sostenere iniziative di formazione e aggiornamento del personale medico, di assistenza e dei consultori familiari;
ad attuare una politica di tutela della lavoratrice affetta da endometriosi, al fine della salvaguardia del posto di lavoro;
ad istituire presso il Ministero della salute una commissione nazionale per l'endometriosi, composta da un rappresentante del Ministero della salute, da un rappresentante dell'Istituto superiore di sanità, da tre rappresentanti delle regioni e da sette rappresentanti degli enti di ricerca pubblici esperti della materia, che abbia il compito di emanare le linee guida sulla malattia e di redigere le graduatorie per l'assegnazione di risorse del fondo nazionale, nel rispetto della trasparenza e dell'assenza di conflitti d'interessi, secondo requisiti e criteri predefiniti;
a fornire elementi sulle tempistiche esatte relative all'emanazione del decreto di revisione dei livelli essenziali di assistenza, considerato che da circa due anni, e anche in occasione della giornata mondiale dell'endometriosi, il Ministro della salute ha annunciato a mezzo stampa e attraverso i social network l'inserimento dell'endometriosi nei livelli essenziali di assistenza.
(1-00698)
(Nuova formulazione) «Lorefice, De Lorenzis, Nicola Bianchi, Gagnarli, Rizzo, Corda, Frusone, Spadoni, Di Battista, Manlio Di Stefano, Del Grosso, Lombardi, Cozzolino, Silvia Giordano, Mantero, Grillo, Colonnese, Di Vita, Baroni, Cecconi, Ruocco, Cancelleri, Tofalo, Basilio, Alberti, Cominardi, Tripiedi, Terzoni, Agostinelli, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Chimienti, Ciprini, Colletti, Crippa, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Rosa, Della Valle, Dell'Orco, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Gallinella, Luigi Gallo, Grande, L'Abbate, Liuzzi, Lupo, Mannino, Marzana, Micillo, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pisano, Paolo Nicolò Romano, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spessotto, Toninelli, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi, Nesi».
La Camera,
premesso che:
l'endometriosi è una malattia della quale sono affette circa 3 milioni di donne in Italia, 14 milioni in Europa e 150 milioni nel mondo. È una malattia cronica e invalidante, che consiste nella presenza di tessuto endometriale, che normalmente riveste la cavità uterina, in siti ectopici, cioè al di fuori dell'utero dove forma noduli, lesioni, impianti o escrescenze. Esse si localizzano più frequentemente nell'addome interessando ovaie, tube, peritoneo, intestino, ma anche altri organi. Viene classificata in quattro gradi diversi (I stadio minima, II stadio lieve, III stadio moderata e IV stadio severa o grave), dal più lieve al più serio, in base all'estensione e alla localizzazione della lesione;
tale malattia è molto difficile da diagnosticare. Molte donne ricevono una corretta diagnosi mediamente dopo circa dieci anni di visite mediche, pubbliche e private, queste ultime molto costose. A causa dei pochissimi fondi stanziati per la ricerca esistono pochissime équipe specializzate nella diagnosi e nella cura della patologia e spesso operanti nel privato. Esiste, infatti, ancora molta disinformazione in materia, tanto che nella maggior parte dei casi i forti dolori avvertiti dalle donne, soprattutto nei primi giorni del ciclo mestruale, sono ricondotti ad una causa di tipo psicologico;
sono sempre più numerosi gli studi e le ricerche che evidenziano l'incidenza della diffusione della malattia in quei territori esposti a fattori inquinanti, fra questi alcuni in particolare hanno l'azione di interferenti endocrini (diossine e ipa in particolare); tali sostanze sono correlate allo sviluppo di gravi patologie del sistema endocrino (oltre che a incremento della mortalità oncologica) ed è stato riscontrato l'incremento proprio dell'endometriosi;
l'endometriosi è sicuramente una malattia invalidante, in quanto costringe le donne che ne sono affette a modificare il proprio stile di vita, rimodulando le proprie abitudini sia nei rapporti sociali che nella vita lavorativa e privata;
il 22 luglio 2009 il Ministro per le pari opportunità, il presidente dell'Istituto nazionale della previdenza sociale, il presidente dell'Istituto nazionale per l'assicurazione infortuni sul lavoro, il presidente dell'Istituto affari sociali e il presidente della Fondazione italiana endometriosi hanno stipulato un protocollo d'intesa sul tema dell'endometriosi;
con tale convenzione le parti si sono impegnate nella promozione di campagne di sensibilizzazione, informazione e comunicazione pubblica sulla tematica dell'endometriosi; si sono impegnate a costituire un tavolo tecnico presso il Ministero per le pari opportunità per la verifica e la valutazione di strumenti normativo-istituzionali tesi a «promuovere pratiche di sostegno alle donne affette da endometriosi o esposte a rischio di malattia» (articolo 1);
con l'articolo 4 della suddetta convenzione le parti hanno concordato di dare priorità alle seguenti tematiche e aree di intervento:
a) aumentare la consapevolezza che la corretta informazione e la prevenzione sull'endometriosi rappresentano lo strumento per combattere la patologia;
b) favorire una sinergia con tutte le realtà locali interessate al fine di diffondere una presa di coscienza dei problemi che la patologia può avere nella vita delle donne;
c) porre particolare attenzione ai luoghi di lavoro e ai fattori che possono avere un ruolo nella progressione della malattia;
d) stimolare un maggiore interesse per la ricerca scientifica al fine di stimare il reale impatto della malattia sulla vita delle donne;
tale protocollo d'intesa aveva validità 5 anni a decorrere dalla data di stipula, termine scaduto il 22 luglio 2014;
sono già state approvate in Italia quattro leggi regionali, la n. 18 del 2012 del Friuli Venezia Giulia, la n. 40 del 2014 della Puglia, la n. 26 del 2014 della Sardegna e la n. 1 del 2015 del Molise, che, oltre a promuovere la prevenzione e la diagnosi precoce dell'endometriosi al fine di migliorare la qualità delle cure, istituiscono un osservatorio e un registro regionale e promuovono campagne di sensibilizzazione e formazione. E varie proposte di legge sono state depositate in altre regioni;
da diversi ambiti della società si sente da tempo l'esigenza di dare una spinta alle istituzioni, a tutti i livelli, per ottenere il riconoscimento della patologia ai fini dell'invalidità civile e il relativo inserimento nelle tabelle di cui al decreto ministeriale 28 maggio 1999, n. 329, «Regolamento recante norme di individuazione delle malattie croniche e invalidanti ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124», come modificato dal decreto ministeriale 21 maggio 2001, n. 296, «Regolamento di aggiornamento del decreto ministeriale 28 maggio 1999, n. 329», che individua le condizioni di malattia croniche e invalidanti che danno diritto all'esenzione dalla partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza sanitaria correlate,
impegna il Governo:
ad adottare iniziative, anche normative, affinché siano aggiornate le tabelle di cui al decreto ministeriale n. 329 del 1999, ai fini dell'inserimento dell'endometriosi tra le malattie invalidanti, riconoscendo alle donne affette dalla patologia il diritto all'esenzione dalla partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza sanitaria correlate;
ad avviare iniziative di sostegno sociale ed economico per le donne affette da endometriosi, finalizzate alla riduzione degli enormi costi che le pazienti si trovano ad affrontare prima e dopo la diagnosi certa della malattia, prevedendo l'esenzione dal ticket sanitario per esami specialistici, quali ecografie pelviche e transvaginali, risonanze magnetiche con contrasto e altro, e prevedendo, altresì, l'esenzione per l'acquisto di farmaci destinati a lenire il dolore e a bloccare i sintomi della patologia, intervenendo anche con azioni volte alla riduzione dei tempi d'attesa per le prestazioni offerte dal servizio sanitario nazionale;
ad adottare iniziative a tutela delle donne affette da endometriosi, a partire dalla promozione della conoscenza della malattia per arrivare al sostegno della ricerca scientifica affinché si arrivi, per la maggior parte dei casi, ad una diagnosi precoce certa;
a valutare l'opportunità di assumere iniziative per istituire il fondo nazionale per l'endometriosi e un registro nazionale dell'endometriosi per la raccolta e l'analisi dei dati clinici e sociali della malattia, ponendo a carico delle regioni l'onere di trasmettere al registro nazionale periodicamente i dati relativi alla diffusione della malattia nel rispettivo territorio;
ad attuare campagne di sensibilizzazione e di informazione sulla malattia e a sostenere iniziative di formazione e aggiornamento del personale medico, di assistenza e dei consultori familiari;
ad attuare una politica di tutela della lavoratrice affetta da endometriosi, al fine della salvaguardia del posto di lavoro;
ad istituire presso il Ministero della salute una commissione nazionale per l'endometriosi, composta da un rappresentante del Ministero della salute, da un rappresentante dell'Istituto superiore di sanità, da tre rappresentanti delle regioni e da sette rappresentanti degli enti di ricerca pubblici esperti della materia, che abbia il compito di emanare le linee guida sulla malattia e di redigere le graduatorie per l'assegnazione di risorse del fondo nazionale, nel rispetto della trasparenza e dell'assenza di conflitti d'interessi, secondo requisiti e criteri predefiniti;
a fornire elementi sulle tempistiche esatte relative all'emanazione del decreto di revisione dei livelli essenziali di assistenza, considerato che da circa due anni, e anche in occasione della giornata mondiale dell'endometriosi, il Ministro della salute ha annunciato a mezzo stampa e attraverso i social network l'inserimento dell'endometriosi nei livelli essenziali di assistenza.
(1-00698)
(Nuova formulazione – Testo modificato nel corso della seduta) «Lorefice, De Lorenzis, Nicola Bianchi, Gagnarli, Rizzo, Corda, Frusone, Spadoni, Di Battista, Manlio Di Stefano, Del Grosso, Lombardi, Cozzolino, Silvia Giordano, Mantero, Grillo, Colonnese, Di Vita, Baroni, Cecconi, Ruocco, Cancelleri, Tofalo, Basilio, Alberti, Cominardi, Tripiedi, Terzoni, Agostinelli, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Chimienti, Ciprini, Colletti, Crippa, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Rosa, Della Valle, Dell'Orco, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Gallinella, Luigi Gallo, Grande, L'Abbate, Liuzzi, Lupo, Mannino, Marzana, Micillo, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pisano, Paolo Nicolò Romano, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spessotto, Toninelli, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi, Nesi».
La Camera,
premesso che:
l'endometriosi è una delle malattie ginecologiche a più alta prevalenza ed una condizione clinica tra le più studiate negli anni recenti. Si tratta di una patologia infiammatoria estrogeno dipendente che interessa nei Paesi occidentali il 5-10 per cento della popolazione femminile in età riproduttiva;
il picco di incidenza si colloca in età fertile, soprattutto tra i 25 e i 35 anni, mentre è rara in epoca pre-puberale e post-menopausale, anche se la necessità di riporre un'attenzione crescente all'endometriosi anche durante l'età adolescenziale è un tema ampiamente emergente dalla letteratura internazionale;
secondo i primi dati dell’American endometriosis association nei due terzi dei soggetti l'esordio della sintomatologia avviene prima dei 20 anni, mentre, nella sua revisione più recente (1998), il registro dell’American endometriosis association riporta che quasi il 40 per cento delle donne con endometriosi riferiva una comparsa dei primi sintomi ad un'età inferiore a 15 anni e oltre il 25 per cento ad un'età compresa tra 15 e 19 anni;
la caratteristica patologica specifica dell'endometriosi consiste nella presenza di tessuto endometrio-simile (cioè del tessuto che riveste l'interno dell'utero) al di fuori della cavità uterina e principalmente sulle ovaie, sul peritoneo pelvico, vescica o anche intestino;
le problematiche cliniche più frequenti sono rappresentate da dolore pelvico cronico, dolore durante i rapporti sessuali ed infertilità;
l'endometriosi non è una malattia mortale, ma la capacità di metastatizzare, la possibilità di recidiva a livello locale e a distanza, l'insorgenza di dolore neuropatico resistente alla terapia medica sono alcune delle tante caratteristiche che l'endometriosi condivide con le neoplasie, come i carcinomi ovarici e, anche se nella maggior parte dei casi l'endometriosi presenta un decorso benigno, ci sono dati crescenti a favore di una correlazione tra endometriosi e cancro ovario;
l'endometriosi costituisce attualmente un problema di salute pubblica, dal momento che colpisce dal 5 per cento al 10 per cento delle donne in età riproduttiva, una proporzione che aumenta addirittura al 30 per cento nell'ambito di donne subfertili e in Italia sono almeno 3 milioni le donne che soffrono di endometriosi;
questi dati rappresentano, peraltro, una sottostima della reale prevalenza della malattia nella popolazione generale, dal momento che i sintomi non sono sempre presenti: molte donne scoprono di avere l'endometriosi quando hanno difficoltà ad avere figli e, quando la malattia può essere sospettata in donne con dolore pelvico cronico, il gold standard per la diagnosi di endometriosi è ancora la valutazione laparoscopica, confermata dall'esame istologico;
la scarsa conoscenza della malattia fa sì che prima della diagnosi passino in media nove anni. Tutto questo costringe le donne ad un vero e proprio calvario fatto di ecografie, visite specialistiche e accertamenti, a volte invasivi e costosi, per scoprire l'origine di quei forti dolori pelvici, soprattutto durante il ciclo mestruale. Una volta diagnosticata la malattia, occorre assumere farmaci per lunghi periodi o sottoporsi a più interventi chirurgici;
il fenomeno, i cui numeri sono significativi sia a livello nazionale che internazionale, ha indotto già nel 2005 ben 266 membri del Parlamento europeo a firmare la Written declaration on endometriosis, stimando in 39 miliardi di euro l'onere annuale dei congedi di malattia causati da questa patologia all'interno dell'Unione europea;
nonostante la diffusione di questa malattia, la sua conoscenza risultava essere ancora scarsa, sia da parte della popolazione dell'Unione europea che da parte dei medici;
il documento invitava pertanto i Governi degli Stati membri e la Commissione europea a lavorare per favorire la ricerca sulle cause, sulla prevenzione e sul trattamento dell'endometriosi, dando anche indicazione per l'istituzione di una giornata nazionale dedicata alla sensibilizzazione su questo tema;
anche la Commissione igiene e sanità del Senato della Repubblica ha svolto un'indagine conoscitiva sul fenomeno dell'endometriosi come malattia sociale;
l'endometriosi è spesso invalidante, creando una condizione cronica che destabilizza profondamente la qualità di vita della paziente, con un impatto negativo sulla vita sociale/personale e con alti costi di assistenza sanitaria, e causando, tra l'altro, frequenti assenze del lavoro o assenteismo scolastico in caso di adolescenti, impedendo lo svolgimento di attività ordinarie;
l'impatto dell'endometriosi non riguarda solo la sfera fisica, emotiva e relazionale delle donne, ma ha anche significative ripercussioni nella sfera lavorativa, provocando l'arresto delle progressioni di carriera, la perdita o l'abbandono del lavoro;
in occasione della giornata mondiale dell'endometriosi, il Ministro della salute Beatrice Lorenzin ha annunciato che l'endometriosi sarà nei nuovi livelli essenziali di assistenza e rientrerà, quindi, nell'elenco delle malattie croniche invalidanti che danno diritto all'esenzione;
alcune regioni italiane (Friuli Venezia Giulia, Puglia, Sardegna e Molise) hanno approvato una legge regionale a tutela delle donne affette da endometriosi, che, oltre a prevedere numerosi interventi sul fronte delle terapie, della diagnosi, della formazione e della prevenzione, istituisce il registro e l'osservatorio regionale dell'endometriosi,
impegna il Governo:
a mettere in campo tutte le iniziative a tutela delle donne affette da endometriosi, a partire dall'inserimento di tale patologia nell'elenco di quelle soggette all'esenzione dalla partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza sanitaria a mezzo dell'attribuzione dello specifico codice identificativo, ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità 28 maggio 1999, n. 329;
ad adottare iniziative finalizzate all'esenzione dalla partecipazione al costo per prestazioni di diagnostica, ambulatoriali e specialistiche correlate all'endometriosi e per l'acquisto di farmaci, promuovendo, altresì, iniziative utili alla riduzione dei tempi d'attesa per le prestazioni effettuate dal servizio sanitario nazionale;
a favorire lo sviluppo di reti di servizi e centri di eccellenza che assicurino la presenza di team multidisciplinari in grado di lavorare per preservare la fertilità della donna, migliorare la qualità della sua vita e ridurre i costi socio-economici;
a promuovere la conoscenza della malattia fra i medici e nella popolazione per agevolare la prevenzione, per ridurre l'intervallo di tempo significativo tra l'insorgenza dei sintomi e la diagnosi e per migliorare la qualità delle cure, sostenendo la ricerca scientifica e le attività delle associazioni e del volontariato dedicate ad aiutare le donne affette da tale malattia;
a mettere in campo forme di tutela delle lavoratrici affette da endometriosi per garantire il diritto alla salute e salvaguardare il posto di lavoro;
a sostenere l'istituzione del registro nazionale dell'endometriosi per la raccolta e l'analisi dei dati clinici e sociali riferiti all'endometriosi, al fine di favorire lo scambio dei dati e di stabilire strategie condivise di intervento sulla malattia, derivanti dall'analisi dei dati specifici per ambito geografico, di monitorare l'andamento del fenomeno e di rilevare le problematiche ad esso connesse, nonché le eventuali complicanze;
a creare presso il Ministero della salute una commissione di esperti sull'endometriosi, composta da un numero massimo di dieci membri, alla quale sia attribuito il compito di predisporre le linee guida per la programmazione della ricerca scientifica relativa alla diagnosi e alla cura dell'endometriosi e per l'individuazione di adeguati strumenti di informazione dei pazienti;
ad assumere iniziative per istituire la Giornata nazionale per la lotta contro l'endometriosi da celebrare il 9 marzo di ogni anno.
(1-01229) «D'Incecco, Lenzi, Amato, Burtone, Carnevali, Miotto, Patriarca, Sbrollini, Murer, Mariano, Giuditta Pini, Piazzoni, Antezza, Amoddio, Capone, Rubinato, Paola Bragantini, Nesi».
La Camera,
premesso che:
solo pochi giorni fa, il 22 aprile 2016 per la precisione, per iniziativa del Ministro della salute, l'onorevole Beatrice Lorenzin, è stata celebrata la «Giornata nazionale dedicata alla salute della donna», come previsto dalla direttiva del 1o giugno 2015 del Presidente del Consiglio dei ministri. In quella occasione è stato pubblicato un manifesto con 10 punti chiave, di cui si possono ricordare almeno i primi tre:
a) approccio alla salute femminile secondo la medicina di «genere», per il contrasto alle malattie croniche non trasmissibili, e attenzione alla ricerca scientifica mirata specificamente alle esigenze e peculiarità delle donne;
b) strategie di comunicazione per accrescere la consapevolezza delle donne sulle tematiche di salute, per sé e per la sua famiglia;
c) tutela e promozione della salute sessuale e riproduttiva, anche attraverso la prevenzione delle infezioni sessualmente trasmesse e la tutela della fertilità, favorendo una procreazione responsabile e consapevole e sostenendo la salute materna e neonatale;
per dare concretezza al manifesto appena pubblicato è necessario parlare di endometriosi, per imparare a riconoscere prima questa patologia esclusivamente femminile, vero e proprio paradigma della medicina di genere, per tutelare la fertilità femminile e per ridurre i rischi della sterilità;
l'endometriosi è una malattia poco conosciuta ma più frequente di quel che si creda: colpisce il 10-20 per cento delle donne in età riproduttiva e può provocare disturbi invalidanti e infertilità. Non è facile da riconoscere, perché i sintomi possono essere poco specifici e quindi comuni ad altre patologie. Oggi, però, ci sono gli strumenti a disposizione per affrontarla e curarla. Ed è giunto il momento perché il Parlamento faccia qualcosa di più per le donne che ne soffrono, per ridurre le conseguenze che una maternità intensamente desiderata ma non realizzata può avere sul vissuto della donna e dell'intera famiglia;
con endometriosi si indica la presenza di endometrio, che ricopre la cavità interna dell'utero o al di fuori della cavità uterina in altre zone del corpo femminile, normalmente nella pelvi, dove interessa ovaie, tube, peritoneo, intestino, ma anche altri organi. È una malattia cronica e invalidante, che viene classificata in quattro gradi diversi (I stadio minima, II stadio lieve, III stadio moderata e IV stadio severa o grave), dal più lieve al più serio, in base all'estensione e alla localizzazione della lesione;
l'endometriosi può colpire le donne dal momento dello sviluppo fino alla menopausa, anche se dopo i 40 anni la crescita del tessuto endometriale presente fuori dalla cavità uterina sembra più lenta. A volte può persistere anche dopo la menopausa in presenza di terapie ormonali. La malattia si sviluppa indipendentemente dal fatto di aver avuto gravidanze, ma dopo ogni gravidanza sembra avere una crescita più accelerata. Le cause dell'endometriosi sono ancora ben lungi dall'essere chiarite;
dal punto di vista epidemiologico il numero di donne con endometriosi è vicino al 10 per cento delle donne in età riproduttiva. Si parla di una patologia che colpisce circa 3 milioni di donne in Italia, 14 milioni in Europa e 150 milioni nel mondo. Le sue cause sono ancora ignote e si parla di fattori genetici, immunitari, infiammatori e vascolari. Ma anche di sostanze inquinanti ambientali, che aumenterebbero la predisposizione all'endometriosi. Di certo si sa che è una malattia i cui numeri stanno crescendo rapidamente;
i due sintomi più importanti sono il dolore e la sterilità; la donna sperimenta il primo sintomo fin dai primi anni del suo sviluppo e del secondo si rende conto quando desidera avere un figlio. Ma il sintomo del dolore pelvico può apparire aspecifico e quindi rendere difficile una diagnosi differenziale, soprattutto perché può essere causato da disturbi di diversa origine, ginecologici, riproduttivi, gastrointestinali, urinari, muscolo-scheletrici. È spesso un dolore profondo e diffuso, accompagnato da nausea, vomito, ansia e depressione;
l'endometriosi interferisce in diversi modi sulla fertilità spontanea della donna. La causa che la provoca può essere localizzata nelle ovaie, nelle tube o nel peritoneo circostante. Approssimativamente dal 30 per cento al 40 per cento delle donne con endometriosi è sterile; la malattia è infatti una delle prime tre cause di sterilità femminile. Alcune donne scoprono la loro endometriosi, nel momento in cui si rendono conto di avere difficoltà a restare incinta. Si tratta, infatti, di una malattia difficile da diagnosticare e molte donne ricevono una corretta diagnosi solo dopo molti anni di visite mediche e dopo numerosi accertamenti diagnostici;
oggi si inizia a pensare che anche nella sindrome mestruale caratteristica delle adolescenti, accompagnata da forti dolori e da disagio generale, ci possa essere una componente di tipo endometriosico, che, se opportunamente riconosciuta e trattata, potrebbe ridurre il rischio sterilità. Si tratta di un problema sociale di grande rilevanza, proprio per le conseguenze che la sterilità ha nella vita di una donna e di una famiglia; per tali motivi la ricerca in materia costituisce un'area di particolare rilevanza scientifico e sociale;
il trattamento dell'endometriosi può essere effettuato per via chirurgica e/o per via medica. La rimozione dei focolai endometriosici, con contemporanea conservazione e ripristino dell'integrità degli organi colpiti, esige tecniche chirurgiche particolarmente delicate. Gli interventi per sanare le tube e le ovaie, eseguiti con precisione, portano all'eliminazione dell'endometriosi e, inoltre, rendono spesso possibile la comparsa spontanea di una gravidanza. L'endometriosi non può essere definitivamente curata, tuttavia è possibile raggiungere un soddisfacente controllo dei sintomi con il ricorso all'utilizzo della pillola contraccettiva che, prevenendo l'ovulazione, riduce l'ingrossamento dell'endometrio e il dolore associato al ciclo. Un problema da non sottovalutare è il fatto che l'endometriosi ha spesso un decorso cronico e può rinfiammarsi. Ciò significa che, anche dopo un successo iniziale del trattamento, le recidive sono possibili;
nel luglio del 2009 il Ministro per le pari opportunità, l'Inps, l'Inail, l'Istituto affari sociali e la Fondazione italiana endometriosi hanno stipulato un protocollo d'intesa della durata di 5 anni sul tema dell'endometriosi. Quel protocollo, scaduto nel 2014, impegnava le diverse parti:
a) a promuovere campagne di sensibilizzazione, informazione e comunicazione pubblica sulla tematica dell'endometriosi;
b) a promuovere pratiche di sostegno alle donne affette da endometriosi o esposte a rischio di malattia;
c) a favorire una sinergia con tutte le realtà locali interessate al fine di diffondere una presa di coscienza dei problemi che la patologia può avere nella vita delle donne;
d) a porre particolare attenzione ai luoghi di lavoro e ai fattori che possono avere un ruolo nella progressione della malattia;
e) a stimolare un maggiore interesse per la ricerca scientifica al fine di stimare il reale impatto della malattia sulla vita delle donne;
in mancanza di una normativa nazionale su un tema così delicato, rivestono un certo interesse alcune leggi regionali: la n. 18 del 2012 del Friuli Venezia Giulia e la n. 40 del 2014 della Puglia, che, oltre a promuovere la prevenzione e la diagnosi precoce dell'endometriosi, istituiscono un osservatorio e un registro regionale e promuovono campagne di sensibilizzazione e formazione;
è necessario valutare la possibilità che l'endometriosi possa costituire una patologia invalidante ai fini dell'inserimento nelle tabelle a cui fa riferimento il decreto ministeriale 21 maggio 2001, n. 296, «Regolamento di aggiornamento del decreto ministeriale 28 maggio 1999, n. 329», che individua le condizioni di malattia croniche e invalidanti che danno diritto all'esenzione alla partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza sanitaria correlate,
impegna il Governo:
ad assumere iniziative per aggiornare le tabelle di cui al decreto ministeriale n. 329 del 1999, ai fini dell'inserimento dell'endometriosi tra le malattie invalidanti, riconoscendo alle donne affette dalla patologia il diritto all'esenzione dal ticket sanitario per esami diagnostici specialistici e l'esenzione dal ticket per l'acquisto di farmaci necessari alla cura e al controllo dei sintomi;
ad adottare iniziative a tutela delle donne affette da endometriosi, a partire dalla promozione della conoscenza della malattia per arrivare al sostegno della ricerca scientifica che faciliti nella maggior parte dei casi una diagnosi precoce certa;
ad assumere iniziative per istituire un registro nazionale dell'endometriosi per la raccolta e l'analisi dei dati clinici e sociali della malattia, ad attuare campagne di sensibilizzazione e di informazione sulla malattia, a sostenere iniziative di formazione e aggiornamento del personale medico, di assistenza e dei consultori familiari;
ad attuare una politica di tutela della lavoratrice affetta da endometriosi, al fine della salvaguardia del posto di lavoro;
ad assumere iniziative per istituire presso il Ministero della salute una commissione nazionale per l'endometriosi, composta da un rappresentante del Ministero della salute, da un rappresentante dell'Istituto superiore di sanità, da tre rappresentanti delle regioni e da sette rappresentanti degli enti di ricerca pubblici o privati esperti della materia, che abbia il compito di emanare le linee guida sulla malattia e di redigere le graduatorie per l'assegnazione di risorse del fondo nazionale.
(1-01235) «Binetti, Calabrò, Bosco, Nesi».
La Camera,
premesso che:
l'endometriosi è una malattia cronica in cui tessuto simile a quello endometriale, che fisiologicamente riveste la parete interna dell'utero, viene a trovarsi in sedi anomale, principalmente a livello di ovaie, tube, utero (se tessuto endometriosico si addentra nello spessore della parete muscolare dell'utero si parla più propriamente di adenomiosi), legamenti utero-sacrali, cavo del Douglas, vescica, retto, ureteri, reni, setto retto-vaginale, genitali esterni; può trovarsi anche a livello di ombelico, arti, polmoni e in qualunque organo del corpo; è possibile una localizzazione a livello di cicatrici di interventi chirurgici precedenti;
il tessuto cosiddetto ectopico (fuori posto) subisce gli stessi influssi ormonali del tessuto eutopico (il tessuto endometriale che correttamente riveste la cavità dell'utero), perciò ciclicamente prolifera, si sfalda e sanguina, mimando la mestruazione. Questo sangue però non ha una naturale via d'uscita e perciò diventa fortemente irritativo causando reazioni infiammatorie, mentre le lesioni, proliferando, producono aderenze che irrigidiscono gli organi su cui si formano ostacolandone la funzionalità;
nonostante sia stata diagnosticata per la prima volta già nel 1690, la causa dell'endometriosi non è ancora nota. L'endometriosi è una malattia multifattoriale, cioè è determinata da fattori sia genetici sia ambientali. Si nota una certa familiarità. Alcuni studi la correlano alla presenza di sostanze presenti nell'ambiente come conseguenza delle lavorazioni industriali o come residui di prodotti usati in agricoltura tipo pesticidi (esempio: diossina);
l'eziologia, cioè le cause precise che provocano lo sviluppo dell'endometriosi, rimangono ancora sconosciute. Certamente però si può parlare al plurale. Infatti, si è compreso che si tratta di una malattia multifattoriale, nel determinare la quale intervengono sia fattori di tipo genetico sia fattori di tipo ambientale;
i fattori genetici che sottostanno all'endometriosi sembrano legati ad una fragilità del sistema immunitario che non funzionerebbe in modo adeguatamente efficace. Si è osservato infatti che le donne che abbiano familiari di primo grado (madre e/o sorelle) affette da endometriosi avrebbero più probabilità di contrarre la malattia; studi effettuati su gemelle omozigoti (che condividono cioè interamente il loro patrimonio genetico) confermerebbero questo dato. In ogni caso, si tratta di fattori predisponenti e non determinanti la malattia in modo necessario;
si stima ne sia colpito il 10-17 per cento delle donne in età fertile. L'incidenza è spesso sottovalutata e ciò determina un ritardo di diagnosi che si calcola in una media di 7 anni dalla comparsa dei primi sintomi (secondo dati americani, per la metà delle donne occorre incontrare una media di 5 ginecologi prima di ottenere una diagnosi di endometriosi);
il periodo di insorgenza va dall'adolescenza alla menopausa; una volta instaurata, la malattia può continuare a manifestarsi anche dopo la menopausa; sono testimoniati anche casi di insorgenza prepubere;
recenti ricerche hanno evidenziato che le donne sofferenti di endometriosi possono avere un rischio più alto di patologie cardiache rispetto alle altre donne. A dichiararlo sono i medici del Brigham and Women's Hospital di Boston, Usa, che hanno pubblicato uno studio sulla rivista scientifica Circulation. L'endometriosi prevede la crescita di tessuti tipici dell'utero al di fuori dell'utero che può provocare dolore, sanguinamenti, infiammazioni croniche e infertilità. Lo studio, spiegano gli stessi esperti, «potrebbe essere il primo a tracciare un collegamento tra le patologie coronariche e l'endometriosi»;
i ricercatori hanno studiato i dati relativi ad oltre 116 mila donne con o senza endometriosi, scoprendo che le pazienti avevano «il 35 per cento di probabilità in più di aver bisogno di un intervento chirurgico o di inserire uno stent per liberare delle arterie bloccate; il 52 per cento di probabilità in più di avere un attacco di cuore; e il 91 per cento di sviluppare dolore toracico e angina». Le donne con meno di 40 anni e con endometriosi «avevano una probabilità tre volte più alta di avere un attacco di cuore, dolore toracico o di aver bisogno di uno stent rispetto a donne della stessa età ma senza endometriosi». I ricercatori dichiarano che questa patologia «potrebbe essere in parte responsabile di questo aumento di rischio cardiovascolare», dato che verrebbero a mancare gli effetti protettivi degli ormoni femminili sul cuore. Le donne con endometriosi devono «adottare stili di vita che favoriscano la salute del cuore – concludono gli esperti – fare controlli periodici ed essere consapevoli di quali siano i sintomi, dato che le patologie cardiache sono causa primaria di morte per il sesso femminile»,
impegna il Governo:
ad assumere iniziative volte all'immediato inserimento dell'endometriosi nell'elenco delle patologie con esenzione per i test diagnostici e per la terapia;
a predisporre misure di tutela efficaci per le donne affette da tale patologia nel mondo del lavoro;
ad attivarsi per l'istituzione di un registro nazionale per la valutazione della reale incidenza della patologia, mancando dati certi sia in Italia che in Europa, essendo stati predisposti esclusivamente studi su piccole porzione di popolazione in Paesi del nord Europa;
ad assumere iniziative per la costituzione di un tavolo tecnico composto da esperti, presso il Ministero della salute, con la finalità di fornire alle donne affette da tale patologia la maggior quantità di informazioni basate su linee guida internazionali e sistematiche revisioni della letteratura medica, anche alla luce delle nuove scoperte, per un approccio rispettoso, non aggressivo ed economicamente sostenibile basato sul valore dell'evidenza medica.
(1-01237) «Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Picchi, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti, Nesi».
La Camera,
premesso che:
l'endometriosi è una malattia caratterizzata dalla presenza e dall'accrescimento progressivo di isole di mucosa uterina in sede abnorme, cioè nella parete muscolare dell'utero (endometriosi interna), oppure in altri organi (endometriosi esterna, ovaio, tube, vulva, intestino, pleura, polmone);
le lesioni più caratteristiche sono le cosiddette cisti endometrioidi;
l'endometriosi è anche nota sotto altri nomi, endometrioma, adenosi benigna e coriblastoma dell'utero;
trattasi di una malattia di cui sono affette circa tre milioni di donne in Italia, quattordici milioni in Europa ed oltre centocinquanta milioni nel mondo;
è una malattia cronica ed invalidante e viene classificata dall'Organizzazione mondiale della sanità in quattro stadi (I stadio con gradazione minima, II stadio con gradazione lieve, III stadio con gradazione moderata e IV stadio con gradazione grave) determinati in base all'estensione e localizzazione della lesione;
essendo malattia fortemente invalidante, costringe le donne a modificare le loro abitudini, lo stile di vita e la vita lavorativa;
tale malattia presenta notevoli difficoltà diagnostiche anche a causa delle poche équipe specializzate nella diagnosi e nella cura dell'endometriosi, sull'intero territorio nazionale;
mediamente si arriva ad una corretta e precisa diagnosi dopo non meno di dieci anni con le pazienti costrette a girovagare da un ospedale all'altro, da uno specialista all'altro, spesso costrette ad avvalersi di professionisti e strutture privati;
il Ministro pro tempore per le pari opportunità, il Presidente della Fondazione italiana endometriosi, il presidente dell'Inps, il presidente dell'Inail, il presidente dell'Istituto affari sociali, hanno stipulato, nel luglio del 2009, un protocollo di intesa con validità quinquennale;
a causa della disinformazione in materia con il suddetto protocollo di intesa le parti si sono impegnate a promuovere apposite campagne di sensibilizzazione, informazione e comunicazione pubblica sulla tematica dell'endometriosi; si sono impegnati inoltre a costituire un tavolo tecnico presso il Dipartimento delle pari opportunità per verificare la possibilità di intervento attraverso strumenti normativo-istituzionali tesi a «promuovere pratiche di sostegno alle donne affette da endometriosi o esposte a rischio di malattia»;
in particolare, l'articolo 4 della suddetta convenzione prevede le seguenti iniziative:
a) aumentare la consapevolezza che la corretta informazione e la prevenzione sull'endometriosi rappresentano lo strumento per combattere detta patologia;
b) favorire una sinergia con tutte le realtà locali interessate al fine di diffondere una presa di coscienza dei problemi che la patologia può avere nella vita delle donne;
c) porre particolarmente attenzione ai luoghi di lavoro e ai fattori che possono avere un ruolo nella progressione della malattia;
d) stimolare un maggior interesse per la ricerca scientifica al fine di stimare il reale impatto della malattia sulla vita delle donne;
ad oggi solo due regioni (Puglia e Friuli Venezia Giulia) hanno legiferato sulla materia promuovendo la prevenzione e la diagnosi precoce dell'endometriosi e istituendo un osservatorio ed un registro regionale;
da diversi anni si attende il riconoscimento della patologia ai fini dell'invalidità civile e l'inserimento dell'endometriosi tra le malattie croniche ed invalidanti per avere il diritto all'esenzione dai ticket per le prestazioni di assistenza sanitaria,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di assumere iniziative per l'istituzione, fermo restando il rispetto dei parametri e dei vincoli di finanza pubblica concordati con l'Unione europea, di un fondo nazionale per l'endometriosi e di un registro nazionale dell'endometriosi per la raccolta e l'analisi dei dati clinici e sociali della malattia;
a concordare con le regioni le modalità di trasmissione periodica al registro nazionale dei dati relativi alla diffusione della malattia nel rispettivo territorio e ad attivare campagne di sensibilizzazione e di informazione sulla malattia;
a valutare l'opportunità, fermo restando il rispetto dei parametri e dei vincoli di finanza pubblica, di assumere iniziative per aggiornare le tabelle di cui al decreto ministeriale n. 329 del 1999 e successive modificazioni e integrazioni inserendo l'endometriosi tra le malattie invalidanti, nonché per prevedere il diritto all'esenzione da tutti ticket per le prestazioni di assistenza sanitaria;
a tutelare le lavoratrici affette da endometriosi, per la salvaguardia del posto di lavoro.
(1-01238) «Palese, Fucci, Altieri, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Latronico, Marti, Nesi».
La Camera,
premesso che:
l'endometriosi è una malattia ancora poco conosciuta, cronica e spesso invalidante, che colpisce le donne, e tipica dell'età fertile, ad insorgenza spesso precoce persino in età preadolescenziale. Non si conoscono ancora le cause di questa malattia. Si stanno conducendo ricerche, ci sono orientamenti, ma non è ancora conosciuta la causa scientifica della sua genesi;
si tratta di una patologia complessa, di difficile approccio diagnostico e terapeutico, e che deve essere affrontata in modo multidisciplinare con il coinvolgimento di più figure specialistiche. Il trattamento deve essere individualizzato, prendendo in considerazione il problema clinico nella sua interezza;
il principale sintomo dell'endometriosi è il dolore, che in alcuni casi può divenire cronico e invalidante, tanto da non permettere di svolgere le normali attività quotidiane. Spesso la dismenorrea (dolore durante la mestruazione) si associa a dispareunia (dolore durante i rapporti sessuali) e a dischezia (dolore nell'evacuazione), rendendo la vita di relazione estremamente difficile, con importanti ricadute sociali per la minore produttività sul lavoro e per le frequenti assenze dovute alla malattia. Inoltre l'endometriosi è responsabile di almeno il 30 per cento dei casi di infertilità;
nella valutazione della gravità della malattia si fa riferimento a varie classificazioni, che prendono in considerazione l'estensione e la profondità delle lesioni, il coinvolgimento ovarico, le aderenze eventualmente presenti, la presenza di lesioni «profonde», l'eventuale ripercussione sulla fertilità;
secondo stime internazionali, questa patologia colpisce 150 milioni di donne nel mondo, e circa il 10 per cento della popolazione femminile in Europa. In Italia, nel 2004, una rilevazione del Census bureau (un'indagine statunitense) ha evidenziato che sono circa 3 milioni le donne affette da tale malattia;
l'endometriosi viene considerata una malattia sociale dalla Written Declaration on Endometriosis (WDE), adottata con delibera n. 30/2004 e sottoscritta da 266 membri del Parlamento europeo il 19 aprile 2004. In questo documento è stato evidenziato il grandissimo impatto economico e sociale, con costi diretti e indiretti annui valutati attorno ai 30 miliardi di euro. La conoscenza della malattia è scarsissima, non solo tra le pazienti, ma anche tra i medici, con gravi ritardi nella diagnosi e nella scelta di una terapia appropriata;
la WDE ha invitato dunque i Governi nazionali degli Stati membri dell'Unione europea ad affrontare i problemi legati a questa patologia, sollecitando, altresì, l'inserimento dell'endometriosi nei programmi di prevenzione per la salute pubblica, nonché l'istituzione di giornate annuali dell'endometriosi, al fine di migliorarne la conoscenza;
chi soffre di endometriosi può non riuscire, a causa dei sintomi, a svolgere le normali attività quotidiane e a coltivare le proprie relazioni sociali;
è inoltre una patologia che ha fortissime ripercussioni sulla vita personale e familiare della donna che ne soffre;
lo studio europeo EAPPG (Endometriosis All Party Parlamentary Group) ha evidenziato come molte donne hanno dovuto adattare la propria vita lavorativa a questa malattia: almeno 5 giorni lavorativi al mese sono persi a causa dei vari sintomi dolorosi; il 14 per cento delle donne affette da endometriosi ha ridotto l'orario di lavoro; il 14 per cento ha abbandonato/perso l'attività lavorativa o richiesto il prepensionamento; il 40 per cento teme di parlare della propria malattia al datore di lavoro per paura delle conseguenze;
i costi economici sostenuti da chi ne è affetto, e per il servizio sanitario nazionale per accertamenti diagnostici, terapie farmacologiche croniche (alcune non rimborsate dal servizio sanitario nazionale), ricoveri ospedalieri, trattamenti chirurgici, eccetera, sono alti;
a carico di molte donne affette da questa patologia rimangono gli alti costi dei medicinali – molti non mutuabili – e delle visite mediche private, a cui sono troppo spesso «costrette» per superare le lunghe liste d'attesa;
dal punto di vista strettamente sanitario, il dolore associato all'endometriosi è spesso sconosciuto, non compreso, non accettato nella sua durezza e, di conseguenza, la donna viene spesso lasciata troppo sola;
come evidenziato dall'Indagine conoscitiva sul «fenomeno dell'endometriosi come malattia sociale», svoltasi nella XIV legislatura al Senato, «il 58 per cento delle suddette pazienti ha ritenuto che fossero sintomi normali e la maggior parte non immaginava affatto potesse trattarsi di endometriosi; il 21 per cento dei medici consultati ha affermato che queste pazienti non erano affette da endometriosi: in questi casi è evidente che vi è stato un mancato riconoscimento. Inoltre, il 35 per cento delle pazienti non si è sentita presa seriamente in considerazione dal proprio medico ed il 38 per cento non ha trovato aiuto da parte del medico stesso»;
il tempo medio per la diagnosi arriva anche a nove, dieci anni, in quanto occorrono circa quattro anni prima che la paziente consulti il medico e altri quattro anni per l'identificazione e la conferma della diagnosi, dopo una media di circa cinque medici consultati. La diagnosi certa arriva, pertanto, tardiva, a seguito di una ricerca diagnostica lunga e dispendiosa, subita dal corpo della donna spesso in modo invasivo;
a sostegno del percorso diagnostico-assistenziale, è quindi indispensabile puntare sulla formazione e l'aggiornamento dei professionisti che sono a vario titolo coinvolti;
nulla si sa delle nuove tabelle dell'invalidità civile che erano state predisposte da una commissione ministeriale nel novembre 2011, e che includevano l'endometriosi, e il cui iter si è interrotto per un parere negativo delle regioni a causa della loro inadeguatezza;
attualmente per i casi più gravi di questa patologia l'invalidità riconosciuta non supera il 30 per cento, e non si possono chiedere i permessi retribuiti riconosciuti dalla legge n. 104 del 1992. Alcune aziende sanitarie riconoscono – a discrezione del medico – una percentuale di invalidità registrandola come altra patologia,
impegna il Governo:
a non ritardare ulteriormente l'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, prevedendo, come più volte promesso, anche l'aggiornamento delle malattie croniche, ivi compresa l'endometriosi medio/grave;
ad assumere iniziative per esentare conseguentemente l'endometriosi dalla partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza sanitaria ai sensi del decreto del Ministro della sanità 28 maggio 1999, n. 329;
ad assumere iniziative per includere l'endometriosi, nei suoi quattro stadi clinici, nelle nuove tabelle dell'invalidità civile da predisporre in accordo con le regioni modificando quelle predisposte dalla commissione ministeriale nel novembre 2011, al fine di aumentare l'invalidità riconosciuta per questa malattia e poter chiedere i permessi retribuiti riconosciuti dalla legge n. 104 del 1992;
ad assumere opportune iniziative volte a garantire maggior tutela alle donne lavoratrici affette da detta patologia per la salvaguardia e la garanzia del posto di lavoro;
ad assumere le iniziative di competenza per istituire il registro nazionale dell'endometriosi e opportuni registri regionali, per la raccolta, l'analisi e la condivisione dei dati clinici e sociali riferiti alla malattia, al fine di favorire e di stabilire strategie di intervento condivise sulla base dell'analisi dei dati specifici per ambito geografico, di verificarne l'efficacia, di monitorare l'andamento e la ricorrenza della malattia, nonché di rilevare le problematiche e le eventuali complicanze connesse;
a garantire la massima condivisione, nel pieno rispetto della privacy, dei suddetti dati, anche attraverso la loro pubblicazione e la messa in rete sul web, che permetta di conoscere i dati epidemiologici, clinici e sociali;
a includere l'endometriosi tra gli obiettivi prioritari della ricerca sanitaria, in modo particolare per quanto riguarda la genesi della malattia, la terapia specifica, il trattamento delle recidive, la prevenzione dell'infertilità, anche al fine di porre la donna al centro di un percorso il più veloce possibile per la diagnosi e la successiva cura;
ad assumere iniziative per avviare efficaci campagne di formazione e informazione per i medici ginecologi, i medici e gli operatori dei presìdi consultoriali, e per i medici di medicina generale;
ad assumere iniziative per attivare opportune reti di eccellenza pubbliche impegnate nella formazione degli operatori sanitari e nella massima trasmissione del know how clinico-diagnostico e terapeutico;
ad avviare quanto prima un processo che promuova la realizzazione di centri di riferimento e di eccellenza pubblici, per il primo approccio e quindi le prime diagnosi, per la cura in ambito nazionale della patologia;
ad assumere iniziative per istituire la giornata nazionale per la lotta contro l'endometriosi, affinché le amministrazioni pubbliche, anche in coordinamento con le associazioni senza fini di lucro e con gli organismi operanti nel settore, possano predisporre iniziative volte a promuovere campagne di sensibilizzazione sulle caratteristiche, sulla sintomatologia e sulle pratiche di prevenzione dell'endometriosi.
(1-01239)
(Nuova formulazione) «Nicchi, Gregori, Costantino, Duranti, Martelli, Pannarale, Pellegrino, Ricciatti, Scotto, Giancarlo Giordano, Melilla, Nesi».
La Camera,
premesso che:
l'endometriosi è una malattia cronica originata dalla presenza del tessuto che fisiologicamente riveste la parete interna dell'utero (endometrio) in altre sedi anomale, quali principalmente: ovaie, tube, utero, legamenti utero-sacrali, cavo del Douglas, vescica, retto, ureteri, reni, setto retto-vaginale, genitali esterni. Eccezionalmente, tale presenza anomala può trovarsi anche a livello di: ombelico, arti, polmoni e in qualunque organo del corpo;
il tessuto cosiddetto ectopico (cioè «fuori posto») subisce le stesse sollecitazioni ormonali del tessuto eutopico (cioè del tessuto endometriale che normalmente riveste la cavità dell'utero) perciò ciclicamente prolifera, si sfalda e sanguina, mimando la mestruazione e provocando spesso in sede ovarica o comunque atipica lo sviluppo di cisti endometriosiche. Il tessuto di sfaldamento e la componente ematica relativa alle localizzazioni endometriosiche ectopiche non trova la fisiologica via d'uscita utero-vaginale all'esterno e perciò rischia di raggiungere sedi inappropriate, organizzandosi o causando reazioni infiammatorie e producendo aderenze tessutali cicatriziali che alterano la struttura e la dinamica degli organi su cui si formano, ostacolandone la funzionalità;
si stima che nel mondo l'endometriosi colpisca una donna su dieci in età fertile, senza distinzione di paese o classe sociale e che coinvolga in assoluto almeno 150 milioni di donne (dati ONU), di cui circa 5,5 milioni nel Nord America e circa 14 nell'Unione europea (quasi il 10 per cento). (European Society of Human Reproduction and Embryology; Reproductive Science and the Journal of Endometriosis, 2014);
nel nostro Paese, l'esatta incidenza e prevalenza dell'endometriosi non sono conosciute. Pertanto, in assenza di dati epidemiologici precisi e aggiornati che consentano di avere la dimensione nazionale del fenomeno, è possibile esclusivamente far riferimento ai dati numerici internazionali, che stimano intorno ai 3 milioni le donne italiane affette da endometriosi;
l'età di insorgenza dell'endometriosi va dall'adolescenza alla menopausa (una volta instaurata, la malattia può continuare a manifestarsi anche dopo la menopausa e sono testimoniati anche casi di insorgenza prepubere), ma il picco di incidenza si colloca in età fertile, soprattutto tra i 25 e i 35 anni;
la frequente sottovalutazione di questa patologia provoca spesso un ritardo della sua diagnosi, quantificato mediamente in 7 anni dalla comparsa dei primi sintomi (secondo dati americani, la metà delle donne debbono essere visitate in media da 5 ginecologi prima di ottenere una diagnosi di endometriosi);
nel 20-25 per cento dei casi l'endometriosi è asintomatica. Per il restante 75-80 per cento i sintomi prevalenti sono: dolore pelvico cronico, dismenorrea, dispareunia, dolore alla defecazione e alla minzione in corrispondenza del ciclo, dolore nella regione lombare e/o lungo l'arto inferiore, cefalea, proctorragia, ematuria, diarrea e/o stitichezza, gonfiore addominale, affaticamento cronico, febbricola e spotting intermestruali;
il percorso diagnostico si basa su svariati e numerosi accertamenti: la visita ginecologica (inclusa l'esplorazione rettale), l'ecografia pelvica transvaginale, la Tac, l'urografia, la cistoscopia, la rettocolonscopia e la ricerca di marcatori ematici. Tuttavia, la diagnosi certa si ottiene con l'analisi del tessuto prelevato in fase di intervento chirurgico, in genere effettuato con tecnica laparoscopica;
l'eziopatogenesi dell'endometriosi non è ancora nota, dal momento che si tratta di una malattia multifattoriale, determinata sia da fattori genetici (soprattutto correlati al sistema immunitario) che ambientali. Le teorie patogenetiche sono comunque le più accreditate, in particolare la cosiddetta mestruazione retrograda (ad ogni ciclo mestruale, una parte del sangue e delle cellule in esso contenute raggiunge, attraverso le tube, la cavità peritoneale dove può proliferare, dando origine alle lesioni endometriosiche). In altre parole, è probabile che un ruolo importante lo giochi proprio il numero medio di cicli mestruali nella vita. Il numero di cicli è aumentato in maniera considerevole nelle donne occidentali e in particolar modo nelle italiane perché, procreano sempre di meno;
il 30 per cento delle cause di infertilità in Italia è riconducibile all'endometriosi: una situazione che aggrava un dato già allarmante. Nel nostro Paese si registrano ogni anno 150 mila nascite in meno di quelle necessarie per mantenere la curva della previdenza sociale. Pertanto, il continuo aumento di questa complessa patologia, combinato con uno dei più bassi tassi di fecondità del mondo (1,39 figli per donna) e con un'età media al primo parto decisamente elevata (31,4 anni), può trasformarsi in un vero e proprio disastro demografico per il nostro Paese;
attualmente, non esiste una cura definitiva per l'endometriosi che raramente diventa patologia talmente grave da comportare rischi per la vita della paziente. Le conseguenze più frequenti dell'endometriosi restano infatti il dolore ed eventualmente la sterilità. Per gli spasmi (che possono variare da lievi a estremamente intensi fino a diventare insopportabili), si prescrivono usualmente i FANS, ovvero i più comuni analgesici, ma molto spesso il dolore tende a diventare farmaco-resistente, nel qual caso la paziente deve ricorrere a terapie più impattanti. L'eventuale insorgenza del dolore neuropatico resistente, insieme alla capacità dell'endometriosi di localizzarsi a distanza (cioè di «metastatizzare») e alla possibilità di ripresentarsi dopo il trattamento terapeutico con recidive a livello locale e a distanza di tempo rappresentano alcune delle caratteristiche che l'endometriosi condivide con le neoplasie;
le terapie per il trattamento dell'endometriosi sono in prima battuta di tipo ormonale. Si ricorse a composti estroprogestinici (pillola anticoncezionale) somministrati per lunghi periodi, ovvero a farmaci a contenuto solo progestinico che inducono uno stato di pseudogravidanza. Per terapie a più breve termine sono in uso analoghi degli ormoni ipotalamici che inducono uno stato di pseudo menopausa. Ciascuno dei suddetti trattamenti farmacologici ha significativi effetti collaterali e si rivela molto faticoso da sopportare e accettare per una giovane donna;
le terapie chirurgiche sono soprattutto costituite dall'intervento laparoscopico che permette di asportare le formazioni endometriosiche. Questa tecnica è mediamente invasiva e permette, grazie a strumenti a fibre ottiche, di esplorare il quadro addominale e pelvico della paziente. Talvolta, la laparoscopia non è possibile e si opta per una laparotamia, assai più impattante chirurgicamente e psicologicamente;
nonostante si cerchi di effettuare interventi conservativi degli organi genitali interni, nei casi più gravi si rischia di arrivare all'isterectomia e/o alla annessiectomia, molto spesso difficilmente accettabili per la giovane età delle pazienti. La disseminazione peritoneale delle localizzazioni ectopiche, talora comporta interventi di resezione intestinale o di asportazione di organi interni. Ciò avviene quando l'endometriosi ha già intaccato quegli organi, compromettendo in modo pesante la loro funzionalità e la qualità di vita della donne. Sfortunatamente, la malattia essendo cronica, tende facilmente a ripresentarsi dopo le terapie, rendendo necessari nuovi trattamenti;
l'endometriosi è spesso invalidante e crea una condizione cronica che destabilizza profondamente la qualità di vita della donna che ne è colpita, con elevati costi sociali ed economici di sistema (il solo costo del ricorso alle cure è quantizzato in circa 500 euro al mese). Questo impatto non riguarda tuttavia solo la sfera fisica, emotiva e relazionale, ma ha anche significative ripercussioni indirette nell'ambito lavorativo, provocando frequenti assenze dal lavoro, l'arresto delle progressioni di carriera, la perdita o l'abbandono dell'impiego, ovvero assenteismo scolastico nel caso di adolescenti;
alcune regioni italiane (Friuli Venezia Giulia e Puglia) hanno provveduto ad approvare proprie normative che, oltre a promuovere la prevenzione e la diagnosi precoce dell'endometriosi, hanno portato all'istituzione dell'osservatorio e del registro regionale;
anche a livello nazionale, appare ormai inderogabile l'istituzione di tali due organismi (un Osservatorio nazionale sulla malattia e un registro nazionale dell'endometriosi) aventi il compito di diffondere la conoscenza di questa patologia, creare un sistema stabile e aggiornato di monitoraggio epidemiologico della stessa, promuoverne la diagnosi precoce, organizzare strategie appropriate di gestione dei costi sanitari e sociali e minimizzare gli sprechi. Soltanto la diagnosi precoce della malattia nelle prime fasi di insorgenza significherebbe infatti ridurre di 25 volte la spesa sanitaria e previdenziale;
le ricadute sociali ed economiche dell'endometriosi sul servizio sanitario nazionale e la moral suasion delle società scientifiche e delle associazioni di pazienti spiegano l'attenzione che il Parlamento ha sempre dimostrato verso le problematiche connesse a questo tipo di affezione. Solo negli ultimi due anni sono state presentate in merito otto iniziative legislative e tredici atti di sindacato ispettivo. Durante la XIV legislatura, la commissione igiene e sanità del Senato ha svolto un'indagine conoscitiva (il «fenomeno dell'endometriosi come malattia sociale», documento conclusivo del 24 gennaio 2006 di cui al doc. XVII, n. 24) mirata a fotografare la situazione italiana con l'obiettivo di quantificarne l'impatto economico, di individuare i percorsi di diagnosi e di cura che ruotino intorno alla donna (e non solo alla patologia), fornendo elementi di conoscenza e di orientamento per l'adozione di politiche pubbliche alla luce delle linee guida europee e mondiali;
l'interesse del Senato ad affrontare un'indagine conoscitiva è in parte conseguente all'iniziativa del Parlamento europeo (delibera, 30/2004), denominata «Written Declaration on Endometriosis» e sottoscritta da 266 parlamentari europei. Tale documento richiamava l'attenzione sull'incidenza di questa affezione in Europa (una donna su dieci), sull'onere annuale dei congedi malattia ad essa connessi (circa 39 miliardi di euro) ed invitava la Commissione europea ad inserire la prevenzione dell'endometriosi nei futuri programmi comunitari per la salute pubblica con lo scopo di favorirne la ricerca delle cause, la prevenzione e il trattamento, nonché di promuovere una maggiore consapevolezza sulla gravità del problema, anche attraverso l'istituzione di giornate annuali dedicate;
nell'ambito dell'alleanza terapeutica, il ruolo delle associazioni delle pazienti riveste un ruolo centrale. A livello mondiale, il punto di riferimento è l'American Endometriosis Association – EA, un'organizzazione senza scopo di lucro fondata nel 1980 che raccoglie 60 paesi; a livello europeo, il punto di riferimento è l’European Endometriosis Alliance – EEA una coalizione fondata nel 2004 che raccoglie le associazioni nazionali di donne affette da endometriosi di 11 paesi, tra cui l'Italia: Nell'ambito di questi circuiti internazionali, agiscono l'Associazione italiana endometriosi onlus – AIE e l'Associazione progetto endometriosi onlus – APE (www.endoassoc.it e www.apeonlus.it), le cui mission sono: dare sostegno alle donne, costruire networking, sensibilizzare gli stake holder coinvolti e promuovere la ricerca scientifica;
grazie alla EEA e al Written Declaration on Endometriosis, dal 2005 si celebra ogni anno la «awareness week», la settimana europea della consapevolezza dell'endometriosi (l'11a edizione si è tenuta dal 7 al 13 marzo 2016) che prevede incontri aperti, convegni e feste di sostegno al lavoro volontario delle associazioni. La awareness week coincide con la giornata mondiale della endometriosi che cade ogni anno il 16 marzo, in occasione della quale in 50 città, da San Francisco a Londra, si organizza la Worldwide Endomarch. (www.endomarch.org);
in concomitanza dell'ultima giornata mondiale della endometriosi, il Ministro della salute Lorenzin ha dichiarato che, a seguito della conclusione dell’iter di aggiornamento dei nuovi lea, l'endometriosi sarebbe rientrata nell'elenco delle malattie croniche invalidanti che danno diritto all'esenzione e che una specifica attenzione particolare alla patologia sarebbe stata dedicata anche nell'ambito del Piano nazionale per la fertilità,
impegna il Governo:
ad assumere iniziative per inserire l'endometriosi nell'elenco delle malattie croniche e invalidanti che danno diritto all'esenzione dalla partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza sanitaria (ambulatoriali e specialistiche, per l'acquisto di farmaci e di diagnostica) a mezzo dell'attribuzione dello specifico codice identificativo, ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità 28 maggio 1999, n. 329, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 226 del 25 settembre 1999;
ad assumere iniziative per apportare le necessarie modifiche al decreto del Ministro della salute 12 settembre 2006, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 289 del 13 dicembre 2006 per l'introduzione di tariffe differenziate relative alle prestazioni sanitarie per il trattamento e la cura dell'endometriosi, nell'ambito del sistema di classificazione Diagnosis related group (DRG), tenendo conto della tipologia e dell'intervento effettuato;
ad assumere iniziative per istituire presso l'Istituto superiore di sanità, il registro nazionale dell'endometriosi e i relativi registri regionali, con le seguenti finalità:
a) permettere la raccolta e lo scambio di dati specifici e aggiornati in materia di endometriosi che, conseguentemente, siano alla base delle strategie condivise di intervento sulla patologia, per ambito geografico;
b) monitorare l'andamento del fenomeno, rilevare le problematiche ad esso connesse e le eventuali complicanze, allo scopo di conoscerne l'esatta incidenza e prevalenza, anche su base regionale;
c) sviluppare le necessarie analisi epidemiologiche, cliniche e sociali in grado di migliorare la conoscenza della malattia, gli standard assistenziali e gli aspetti chirurgici, nonché i risvolti psicologici e sociali che essa inevitabilmente comporta;
d) consentire una migliore razionalizzazione delle risorse umane ed economiche con effetti positivi sulla diagnosi precoce, sul trattamento più adeguato e sulla qualità di vita delle pazienti affette;
ad adottare iniziative per potenziare la risposta alla patologia, favorendo lo sviluppo e il radicamento di strutture aziendali e regionali di riferimento, correlate tra loro, che contribuiscano alla crescita dell'appropriatezza dei percorsi diagnostici e terapeutici, in particolare abbreviando i tempi di diagnosi;
a promuovere adeguate campagne di sensibilizzazione del personale sanitario che consentano di migliorare la capacità di rapida individuazione delle pazienti a rischio in modo che vengano indirizzate ai centri regionali di riferimento e – nei casi più complessi – alle strutture hub della rete nazionale di riferimento, che devono garantire una presa in carico raffinata, capace di limitare al minimo le sequele invalidanti per le pazienti, riducendo il rischio di complicanze gravi e di recidive;
a verificare la possibilità di costruire un'adeguata azione di supporto psicologico per le donne affette dalle forme più gravi di endometriosi che aiuti nella gestione delle possibili complicanze e, in particolare, supporti le pazienti per tutte le problematiche connesse alla riduzione della fertilità;
ad affiancare le associazioni delle pazienti, valorizzandone la capacità di intermediazione e le attività di supporto alla conoscenza e alla diffusione delle informazioni e sostenendole in tutte le azioni di sostegno psicologico e materiale diretto e indiretto nei confronti delle donne e delle loro famiglie;
ad istituire presso il Ministero della salute una commissione di esperti nel settore dell'endometriosi, ai cui lavori partecipino anche le associazioni delle pazienti, alla quale sia attribuito il compito di predisporre apposite linee guida per la buona pratica della cura e per l'individuazione di adeguati strumenti di informazione dei pazienti e dei medici, nonché il compito di individuate azioni e iniziative per la prevenzione;
a presentare ogni anno alle Commissioni parlamentari competenti una relazione di aggiornamento sullo stato delle conoscenze e delle nuove acquisizioni scientifiche in tema di endometriosi, con particolare riferimento al registro nazionale di monitoraggio e alla spesa sanitaria e farmacologica.
(1-01240) «Vargiu, Monchiero, Vezzali, Capua, Molea, Matarrese, Vecchio, Librandi, Galgano, Dambruoso, Nesi».
La Camera,
premesso che:
l'endometriosi è una malattia cronica uterina che colpisce circa tre milioni di donne italiane: le colpisce nel fisico – si impianta al di fuori dell'utero, viene stimolata dal ciclo mestruale ed è associata a forti dolori invalidanti, causa spesso l'infertilità e può compromettere una normale vita sessuale – e le emargina sul lavoro, determinando spesso spietate espulsioni dal ciclo produttivo;
in mancanza di registri nazionali, i dati epidemiologici più attendibili sono quelli che sono stati utilizzati dal Senato della Repubblica Italiana per la predisposizione dell'indagine conoscitiva approvata dalla 12a Commissione permanente igiene e sanità nella seduta del 18 gennaio 2006: in quel documento si riportano dati Onu che stimano che le donne colpite da endometriosi in Europa siano 14 milioni, 5,5 milioni nel Nord America e 150 milioni nel mondo;
l'esatta prevalenza (stima della popolazione di donne sottoposte a management per endometriosi in un dato tempo) e l'incidenza (numero di nuovi casi diagnosticati in un anno) dell'endometriosi non sono conosciute. Pertanto, in assenza di precisi dati numerici nazionali sull'entità del fenomeno, è possibile far riferimento a quelli internazionali, che mostrano una prevalenza della malattia pari a circa il 10 per cento nella popolazione generale femminile in Europa. In Italia, nel 2004, una rilevazione del Census Bureau ha evidenziato una prevalenza di 2.902.873 su una popolazione stimata di 58.057.477;
sin dal 19 aprile 2004, duecentosessantasei membri del Parlamento europeo (con delibera 30/2004) avevano firmato la Written Declaration on Endometriosis nella quale veniva segnalata la scarsa conoscenza della malattia, sia tra i medici sia nella popolazione. Nel documento, inoltre (che stimava in 39 miliardi di euro l'onere annuale dei congedi in malattia causati da questa patologia all'interno dell'Unione europea) si invitavano i Governi nazionali degli Stati membri e la Commissione europea ad adoperarsi per l'istituzione di giornate annuali sull'endometriosi nell'intento di accrescere l'informazione sulla malattia. La Commissione europea veniva sollecitata, infine, a inserire la prevenzione del endometriosi nei futuri programmi europei per la salute pubblica ed a favorire la ricerca sulle cause, la prevenzione e il trattamento della patologia;
pur essendo tendenzialmente benigna, l'endometriosi agisce in modo progressivo ed è di difficile individuazione, motivo per il quale si calcola che sia diagnosticata in media nove anni dopo il suo emergere, quando circa il 75-80 per cento delle donne da essa colpite sono ormai soggette ai numerosi sintomi citati: forte dolore, infertilità, stanchezza;
il fatto che l'endometriosi emerga con tanta lentezza e con sintomi non immediatamente percepibili da parte delle donne colpite fa sì che molte malate non si sottopongono alle visite mediche presso le strutture pubbliche, per le quali – non essendo la malattia (che oltretutto è cronica e quindi necessita di continua assistenza medica senza soluzione di continuità) esentata dal ticket in base al regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità n. 329 del 1999 – risulta necessario partecipare al costo della prestazione effettuata dal Servizio sanitario nazionale;
alla luce di tale contesto, è necessario non solo accendere i riflettori sulla malattia e sul disagio vissuto dalle donne, per sensibilizzare l'opinione pubblica e le istituzioni, ma è fondamentale promuovere altresì una vera cultura della prevenzione, anche sostenendo la ricerca con finanziamenti ad hoc. In questo modo, si potrà mettere in atto un'adeguata prevenzione e si potranno individuare nuovi test di diagnostica precoce;
nel 2009, l'allora Ministro per le pari opportunità, Mara Carfagna, si fece promotrice di un protocollo d'intesa sottoscritto assieme ad Inps, Inail, Istituto per gli affari sociali e Fondazione italiana endometriosi: il protocollo intendeva mettere in campo una sinergia istituzionale di alto profilo per sostenere tutte le azioni necessarie ad aiutare le donne che soffrono di endometriosi, con pesanti risvolti sulla vita privata, lavorativa e sociale; tra gli obiettivi del protocollo vi erano quelli di implementare il sistema di informazione e prevenzione della malattia, stimolare l'interesse per la ricerca scientifica e porre particolare attenzione ai luoghi di lavoro;
la validità del suddetto protocollo (siglato il 22 luglio 2009) è scaduta nel luglio 2014; sul mancato rinnovo dello stesso, pesa anche l'assenza, nella compagine di Governo, di un Ministro per le pari opportunità, particolarmente attento a questo tipo di tematiche;
nel 2012 il Friuli Venezia Giulia ha adottato una legge specifica che tutela le donne affette da endometriosi (legge regionale n. 18 del 2012); nel 2014, le misure sono state approvate dalla regione Puglia e dalla Sardegna (legge regionale Sardegna n. 26 del 2014, legge regionale Puglia n. 40 del 2014); nel 2015, anche la regione Molise ha stabilito norme specifiche sul tema, con la legge regionale n. 1 del 2015;
è necessario sostenere la straordinaria rilevanza nazionale della questione, e misure per affrontare l'endometriosi quale patologia invalidante, che tocca da vicino, e con conseguenze importanti, le donne,
impegna il Governo:
ad adottare ogni opportuna iniziativa volta alla tutela delle donne affette da endometriosi, a partire dall'inserimento della malattia nell'elenco delle patologie per le quali si ha diritto all'esenzione dalla partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza sanitaria tramite l'attribuzione dello specifico codice identificativo, ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità 28 maggio 1999, n. 329;
ad adottare specifiche iniziative per sostenere le donne affette da endometriosi, anche finalizzate alla riduzione dei costi che le pazienti affrontano, con misure volte all'esenzione dalla partecipazione al costo per prestazioni di diagnostica, ambulatoriali e specialistiche correlate all'endometriosi, nonché per l'acquisto di farmaci;
a favorire opportune campagne di sensibilizzazione, che puntano a diffondere una presa di coscienza dei problemi che l'endometriosi comporta nella vita delle donne, anche attraverso specifiche campagne di informazione indirizzate alla classe medica e alla popolazione potenzialmente a rischio;
a promuovere, con ogni iniziativa di competenza, la prevenzione e la diagnosi precoce dell'endometriosi, con specifiche iniziative di supporto alla ricerca scientifica, con l'obiettivo di individuare nuovi test diagnostici e cure farmacologiche efficaci, che permettano di ridurre la sofferenza delle pazienti e i costi della malattia, anche coordinando ricerche e statistiche sulla fenomenologia e ricerche epidemiologiche sulle cause dell'endometriosi;
ad assumere iniziative per favorire un percorso di assistenza alle donne affette da endometriosi, stimolando con opportune azioni una migliore gestione del problema soprattutto nei luoghi di lavoro, a piena garanzia del diritto alla salute delle donne e a tutela del posto di lavoro;
a monitorare quantitativamente e qualitativamente i casi di endometriosi tramite l'istituzione di un apposito registro nazionale per la raccolta e l'analisi dei dati clinici e sociali riferiti all'endometriosi.
(1-01243) «Milanato, Occhiuto, Prestigiacomo, Bergamini, Calabria, Centemero, De Girolamo, Giammanco, Nizzi, Polidori, Polverini, Elvira Savino, Sandra Savino, Russo, Carfagna, Nesi».
MOZIONI BARADELLO ED ALTRI N. 1-01188, POLVERINI E OCCHIUTO N. 1-01236, TRIPIEDI ED ALTRI N. 1-01241, SIMONETTI ED ALTRI N. 1-01242, PIZZOLANTE E BOSCO N. 1-01244, MICCOLI ED ALTRI N. 1-01245, BALDASSARRE ED ALTRI N. 1-01246, RIZZETTO ED ALTRI N. 1-01247 E PALLADINO ED ALTRI N. 1-01251 CONCERNENTI INIZIATIVE PER VALORIZZARE I COSIDDETTI LAVORATORI MATURI NEL QUADRO DEL PROLUNGAMENTO DELLA VITA LAVORATIVA
Mozioni
La Camera,
premesso che:
il fenomeno dell'espulsione dei lavoratori cosiddetti maturi dal ciclo produttivo ha inizio nel nostro Paese attorno alla metà degli anni ’90 del secolo scorso;
già negli anni precedenti in vari Paesi industrializzati europei si era diffusa la teoria «young in, old out», che prevedeva una costante discesa dell'età dei lavoratori;
in Italia, le multinazionali furono le prime ad applicare la teoria sopra ricordata, il cui retroterra va ricercato nel processo di globalizzazione che si andava imponendo e che riteneva necessario un rapido «svecchiamento» degli organici, per far posto a giovani sicuramente più capaci dei «vecchi» di cogliere le implicazioni dei nuovi processi produttivi e tecnologici, ma anche più disposti ad accettare, almeno in linea teoria, le nuove regole del mercato globalizzato;
sempre in quell'epoca prevaleva l'idea che liberandosi dei lavoratori maturi, costosi, professionalizzati e spesso critici verso le scelte aziendali, si sarebbero agevolati l'introduzione e lo sviluppo di nuove strategie aziendali, con l'evidente messa in secondo piano dei valori dovuti all'esperienza ed alla competenza acquisita con il tempo;
non si può dire, però, che in Italia questa scelta abbia davvero favorito i giovani, che sono a loro volta diventati vittime di un precariato costante e che tocca tutti gli aspetti della loro vita;
non si intende, quindi, sostenere una qualche forma di guerra generazionale quando si osserva che il lavoratore maturo è stato fortemente penalizzato dalle scelte politiche e aziendali degli ultimi anni;
è però evidente che se, giustamente, l'attenzione della politica e dei media si concentra sui preoccupanti dati relativi alla disoccupazione giovanile, non lo stesso avviene per quelli che riguardano i lavoratori over 40 e, soprattutto, over 50;
le cifre non sono concordi ma si parla di circa 2 milioni di lavoratori maturi (over 40/50/60 anni), che non riescono, o non cercano più, un lavoro dopo averlo perduto;
si tratta di un numero non trascurabile e che assume particolare gravità a fronte dell'allungamento della vita in un contesto in cui, spesso, molti di questi lavoratori maturi non solo contribuiscono a mantenere la propria famiglia, ma collaborano al sostegno dei genitori anziani;
la perdita di lavoro e l'impossibilità di trovarne un altro, quindi, non solo rischiano di gettare oltre la soglia di povertà le famiglie dei lavoratori maturi, ma anche di colpire persone anziane che non sono più in grado di provvedere a loro stesse, con un effetto a cascata tragico;
inoltre, e non si tratta di un dato trascurabile, il lavoro non è solo essenziale fonte di reddito, ma anche di senso di appartenenza alla comunità e di riconoscimento del proprio ruolo sociale;
lavorare è produrre, è essere attivi, è avere un ruolo nella società. Non riuscire, dopo una vita, a continuare la propria attività, per motivi non dipendenti dalla propria volontà, crea inevitabilmente un senso di vuoto che può anche sfociare in atti tragici;
inoltre, i lavoratori maturi si sentono spesso «vuoti a perdere», abbandonati ad un silenzioso oblio che fa apparire trascurabile, residuale il loro problema relativo all'occupazione rispetto a quello dei più giovani;
sono certamente importanti le iniziative come quelle relative alla «Garanzia giovani» o le agevolazioni previste per l'assunzione a tempo indeterminato dei lavoratori «precari», di solito giovani, previste dalle nuove leggi;
manca, invece, una «Garanzia maturi», ma non è possibile trascurare i lavoratori più anziani, che non godono di queste iniziative. Si tratta non solo di un dovere verso persone che lavorano da molti anni, ma anche di una convenienza per tutto il sistema Paese;
i lavoratori maturi, infatti, sono una risorsa inestimabile per qualità e professionalità e certamente non può essere «sprecato» un capitale tanto prezioso e irripetibile;
naturalmente, il lavoratore maturo deve essere disponibile ad aggiornarsi continuamente, non pensando di essere arrivato ad un punto dove la formazione non serva più;
al contrario, il cosiddetto «life-long learning», ossia l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita, è essenziale, perché solo aggiornandosi costantemente è possibile assicurare a tutti i lavoratori, ed in particolare a quelli maturi, la possibilità di adattarsi ai cambiamenti di prodotto o dei processi innovativi, rendendolo, quindi, spendibile su un mercato del lavoro in costante mutamento;
ogni anno vengono stanziati fondi pubblici – decine di milioni di euro finanziati dal Governo e dalle regioni – per «programmi di sostegno alla ricollocazione», che mettono a disposizioni agenzie di ricollocamento che si prendono in carico i disoccupati;
queste agenzie dovrebbero curare la ricollocazione del lavoratore, in particolare di quello maturo, che abbia perso il lavoro, attraverso la formazione, il rifacimento del curriculum, la motivazione e altro;
purtroppo, però, manca l'anello finale della catena, non essendovi alcun legame con aziende interessate ai lavoratori coinvolti in questi processi;
manca, di fatto, un «marketing» territoriale da parte degli uffici per l'impiego nei confronti delle imprese, un collegamento tra pubblico ed imprese, volto a comprendere le esigenze delle imprese stesse e la disponibilità dei lavoratori;
questi ultimi, con uno slogan sin troppo noto ormai, sono considerati in genere «troppo vecchi per lavorare e troppo giovani per andare in pensione». Si tratta di una frase fatta, ma che sottolinea assai bene la gravità della situazione per i lavoratori maturi;
esperienze recenti evidenziano come sia possibile contrastare il fenomeno della disoccupazione dei lavoratori maturi, anche attraverso iniziative del mondo della cooperazione, finalizzate alla formazione degli stessi lavoratori, ai quali viene anche insegnato a costituirsi a loro volta in cooperative analoghe,
impegna il Governo:
a diffondere, per quanto di competenza, una cultura del prolungamento della vita lavorativa, non inteso solo come necessità, viste le modifiche alle norme pensionistiche, ma come strumento di valorizzazione di risorse esperte e come riconoscimento sociale della loro utilità personale e professionale;
ad assumere iniziative per rendere più agevole, per questo scopo, l'uso di strumenti di flessibilità quali il part-time, il job sharing (contratto di lavoro ripartito), l’home working per i lavoratori maturi;
ad assumere iniziative per contribuire all'attribuzione ai lavoratori over 50 del ruolo di «tutor per l'ingresso di nuova forza lavoro» e per un graduale «passaggio di consegne» tra lavoratori maturi e giovani;
a monitorare l'uso dei fondi pubblici stanziati per i cosiddetti «programmi di sostegno alla ricollocazione», in modo da favorire un concreto reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori maturi;
a favorire, seguendo esempi già concretamente realizzati, per quanto di competenza, organizzazioni, anche di natura cooperativa, volte a dare nuove forme di professionalità ai lavoratori maturi che abbiano perso il lavoro;
a valutare in via transitoria, di assumere iniziative per la definizione di una norma analoga a quella già introdotta da questo Governo relativamente agli sgravi fiscali per le assunzioni, individuando una forma specifica di agevolazione contributiva per i datori di lavoro che assumano lavoratori maturi.
(1-01188) «Baradello, Sberna, Fauttilli, Gigli, Santerini, Dellai, Nesi».
La Camera,
premesso che:
il fenomeno dell'espulsione dei lavoratori cosiddetti maturi dal ciclo produttivo ha inizio nel nostro Paese attorno alla metà degli anni ’90 del secolo scorso;
già negli anni precedenti in vari Paesi industrializzati europei si era diffusa la teoria «young in, old out», che prevedeva una costante discesa dell'età dei lavoratori;
in Italia, le multinazionali furono le prime ad applicare la teoria sopra ricordata, il cui retroterra va ricercato nel processo di globalizzazione che si andava imponendo e che riteneva necessario un rapido «svecchiamento» degli organici, per far posto a giovani sicuramente più capaci dei «vecchi» di cogliere le implicazioni dei nuovi processi produttivi e tecnologici, ma anche più disposti ad accettare, almeno in linea teoria, le nuove regole del mercato globalizzato;
sempre in quell'epoca prevaleva l'idea che liberandosi dei lavoratori maturi, costosi, professionalizzati e spesso critici verso le scelte aziendali, si sarebbero agevolati l'introduzione e lo sviluppo di nuove strategie aziendali, con l'evidente messa in secondo piano dei valori dovuti all'esperienza ed alla competenza acquisita con il tempo;
non si può dire, però, che in Italia questa scelta abbia davvero favorito i giovani, che sono a loro volta diventati vittime di un precariato costante e che tocca tutti gli aspetti della loro vita;
non si intende, quindi, sostenere una qualche forma di guerra generazionale quando si osserva che il lavoratore maturo è stato fortemente penalizzato dalle scelte politiche e aziendali degli ultimi anni;
è però evidente che se, giustamente, l'attenzione della politica e dei media si concentra sui preoccupanti dati relativi alla disoccupazione giovanile, non lo stesso avviene per quelli che riguardano i lavoratori over 40 e, soprattutto, over 50;
le cifre non sono concordi ma si parla di circa 2 milioni di lavoratori maturi (over 40/50/60 anni), che non riescono, o non cercano più, un lavoro dopo averlo perduto;
si tratta di un numero non trascurabile e che assume particolare gravità a fronte dell'allungamento della vita in un contesto in cui, spesso, molti di questi lavoratori maturi non solo contribuiscono a mantenere la propria famiglia, ma collaborano al sostegno dei genitori anziani;
la perdita di lavoro e l'impossibilità di trovarne un altro, quindi, non solo rischiano di gettare oltre la soglia di povertà le famiglie dei lavoratori maturi, ma anche di colpire persone anziane che non sono più in grado di provvedere a loro stesse, con un effetto a cascata tragico;
inoltre, e non si tratta di un dato trascurabile, il lavoro non è solo essenziale fonte di reddito, ma anche di senso di appartenenza alla comunità e di riconoscimento del proprio ruolo sociale;
lavorare è produrre, è essere attivi, è avere un ruolo nella società. Non riuscire, dopo una vita, a continuare la propria attività, per motivi non dipendenti dalla propria volontà, crea inevitabilmente un senso di vuoto che può anche sfociare in atti tragici;
inoltre, i lavoratori maturi si sentono spesso «vuoti a perdere», abbandonati ad un silenzioso oblio che fa apparire trascurabile, residuale il loro problema relativo all'occupazione rispetto a quello dei più giovani;
sono certamente importanti le iniziative come quelle relative alla «Garanzia giovani» o le agevolazioni previste per l'assunzione a tempo indeterminato dei lavoratori «precari», di solito giovani, previste dalle nuove leggi;
manca, invece, una «Garanzia maturi», ma non è possibile trascurare i lavoratori più anziani, che non godono di queste iniziative. Si tratta non solo di un dovere verso persone che lavorano da molti anni, ma anche di una convenienza per tutto il sistema Paese;
i lavoratori maturi, infatti, sono una risorsa inestimabile per qualità e professionalità e certamente non può essere «sprecato» un capitale tanto prezioso e irripetibile;
naturalmente, il lavoratore maturo deve essere disponibile ad aggiornarsi continuamente, non pensando di essere arrivato ad un punto dove la formazione non serva più;
al contrario, il cosiddetto «life-long learning», ossia l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita, è essenziale, perché solo aggiornandosi costantemente è possibile assicurare a tutti i lavoratori, ed in particolare a quelli maturi, la possibilità di adattarsi ai cambiamenti di prodotto o dei processi innovativi, rendendolo, quindi, spendibile su un mercato del lavoro in costante mutamento;
ogni anno vengono stanziati fondi pubblici – decine di milioni di euro finanziati dal Governo e dalle regioni – per «programmi di sostegno alla ricollocazione», che mettono a disposizioni agenzie di ricollocamento che si prendono in carico i disoccupati;
queste agenzie dovrebbero curare la ricollocazione del lavoratore, in particolare di quello maturo, che abbia perso il lavoro, attraverso la formazione, il rifacimento del curriculum, la motivazione e altro;
purtroppo, però, manca l'anello finale della catena, non essendovi alcun legame con aziende interessate ai lavoratori coinvolti in questi processi;
manca, di fatto, un «marketing» territoriale da parte degli uffici per l'impiego nei confronti delle imprese, un collegamento tra pubblico ed imprese, volto a comprendere le esigenze delle imprese stesse e la disponibilità dei lavoratori;
questi ultimi, con uno slogan sin troppo noto ormai, sono considerati in genere «troppo vecchi per lavorare e troppo giovani per andare in pensione». Si tratta di una frase fatta, ma che sottolinea assai bene la gravità della situazione per i lavoratori maturi;
esperienze recenti evidenziano come sia possibile contrastare il fenomeno della disoccupazione dei lavoratori maturi, anche attraverso iniziative del mondo della cooperazione, finalizzate alla formazione degli stessi lavoratori, ai quali viene anche insegnato a costituirsi a loro volta in cooperative analoghe,
impegna il Governo:
a diffondere, per quanto di competenza, una cultura del prolungamento della vita lavorativa, non inteso solo come necessità, viste le modifiche alle norme pensionistiche, ma come strumento di valorizzazione di risorse esperte e come riconoscimento sociale della loro utilità personale e professionale;
a valorizzare le iniziative già adottate tese a favorire l'utilizzo di strumenti di flessibilità quali il part-time e il lavoro agile anche per i lavoratori «maturi»;
a sostenere, per quanto di competenza, iniziative per contribuire all'attribuzione ai lavoratori over 50 del ruolo di «tutor per l'ingresso di nuova forza lavoro» e per un graduale «passaggio di consegne» tra lavoratori «maturi» e giovani;
a monitorare attraverso l'Agenzia nazionale per le politiche attive l'uso dei fondi pubblici stanziati per i cosiddetti «programmi di sostegno alla ricollocazione», in modo da favorire un concreto reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori «maturi»;
a supportare le iniziative imprenditoriali anche ad opera di cooperative di lavoratori volte a dare nuove forme di professionalità ai lavoratori «maturi» che abbiano perso il lavoro;
a valutare, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica, la possibilità di assumere ulteriori iniziative per agevolare i datori di lavoro che assumono lavoratori «maturi».
(1-01188)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Baradello, Sberna, Fauttilli, Gigli, Santerini, Dellai, Nesi».
La Camera,
premesso che:
la riforma delle pensioni del 2011 prevede l'innalzamento dell'età pensionabile, con la conseguente necessità di una maggiore permanenza attiva nel mondo del lavoro;
la vicenda dei cosiddetti salvaguardati evidenza l'assoluta mancanza di strumenti di politica attiva, finalizzati alla riqualificazione e alla rioccupazione dei lavoratori coinvolti in processi di riorganizzazione e ristrutturazione aziendale;
la stessa vicenda denota una difficoltà di comprensione del fenomeno a causa della carenza di dati statistici adeguati;
l'introduzione del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti ha ricadute sulla gestione dei licenziamenti collettivi, con particolare riferimento alla possibilità di non tener conto dei criteri di scelta previsti dalla normativa vigente, vale a dire anzianità anagrafica e di servizio, carichi familiari, rispetto delle percentuali di genere;
l'Osservatorio sulle politiche occupazionali e del lavoro dell'Inps del novembre del 2015, su dati 2014, gli ultimi disponibili, certifica il forte impatto della disoccupazione nella fascia di età compresa fra i 45 anni ed oltre:
il numero dei beneficiari dell'Aspi è pari a 385.281 unità, vale a dire il 36,7 per cento;
il numero dei beneficiari della mini Aspi è di 131.706 unità, pari al 25,6 per cento;
il numero dei beneficiari dell'indennità di disoccupazione agricola è di 243.770 unità, pari al 46,4 per cento;
nel complesso, i beneficiari di un'indennità di disoccupazione, nella fascia di età fra 45 anni ed oltre, sono 760.757 su un totale di 2.088.675 (36,4 per cento);
i beneficiari dell'indennità di mobilità, nel periodo considerato, sono 117.960 su un totale di 218.664 (53,9 per cento);
sempre lo stesso Osservatorio evidenzia la ridotta propensione delle aziende ad assumere personale rientrante nella cosiddetta categoria dei lavoratori maturi:
su un totale di 296.810 assunzioni agevolate di disoccupati o beneficiari di cassa integrazione guadagni straordinaria da almeno 24 mesi, quelle che riguardano la fascia di età interessata sono appena il 14,3 per cento, mentre, su un totale di 18.184 assunzioni agevolate di ultracinquantenni e di donne, quelle che interessano la fascia di età considerata sono soltanto il 20,3 per cento;
la formazione continua nel nostro Paese coinvolge una percentuale di lavoratori molto inferiore rispetto alla media europea; con il 7,1 per cento degli uomini e il 7,8 per cento delle donne l'Italia sopravanza soltanto la Grecia, il Belgio, la Polonia e l'Irlanda;
il Governo, per favorire la sottoscrizione di contratti di lavoro a tempo indeterminato, ha previsto una decontribuzione nelle leggi di stabilità per gli anni 2015 e 2016, senza alcun riferimento al regolamento (CE) 800/2008 sui lavoratori svantaggiati e molto svantaggiati;
il decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150, ha istituito l'Agenzia nazionale per le politiche attive,
impegna il Governo:
a rafforzare le politiche di sostegno al reddito dei lavoratori cosiddetti maturi, anche attraverso un percorso di accompagnamento per la fascia più immediatamente vicina al pensionamento;
ad assumere iniziative per prevedere un esplicito richiamo al regolamento (CE) 800/2008 nelle misure di decontribuzione per favorire l'assunzione di personale a tempo indeterminato;
a rafforzare le politiche attive attraverso un maggiore coinvolgimento delle organizzazioni di rappresentanza sindacale e datoriale, nonché dei fondi interprofessionali per la formazione continua nella definizione delle linee programmatiche dell'Agenzia nazionale per le politiche attive;
ad assumere iniziative per destinare una quota del cosiddetto inoptato dello 0,30 per cento della retribuzione ad attività formative rivolte nello specifico ai lavoratori maturi;
a favorire, sull'esempio del programma «Garanzia giovani», un'attività di profilazione dei lavoratori disoccupati con più di 45 anni, al fine di avere un quadro, anche statistico, più chiaro delle professionalità disponibili.
(1-01236) «Polverini, Occhiuto».
La Camera
impegna il Governo:
a rafforzare le politiche di sostegno al reddito dei lavoratori cosiddetti maturi, verificando la possibilità di adottare, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica, un percorso di accompagnamento per i lavoratori vicini al pensionamento;
a valutare l'opportunità di assumere iniziative per destinare una quota del cosiddetto inoptato dello 0,30 per cento della retribuzione ad attività formative rivolte nello specifico ai lavoratori maturi;
a favorire, sull'esempio del programma «Garanzia giovani», un'attività di profilazione dei lavoratori disoccupati con più di 45 anni, al fine di avere un quadro, anche statistico, più chiaro delle professionalità disponibili.
(1-01236)
(Testo modificato nel corso della seduta come risultante dalla votazione per parti separate) «Polverini, Occhiuto».
La Camera,
premesso che:
la disoccupazione in età matura colpisce moltissimi nuclei familiari producendo devastanti effetti personali, in quanto essa sovente interessa persone coniugate con prole (almeno l'80 per cento). Pertanto le conseguenze di disoccupazione, si riflettono negativamente su tutto il nucleo familiare e quindi su almeno il triplo delle persone disoccupate;
il fenomeno della disoccupazione e della diffusa precarietà dei lavoratori, anche in età matura, affonda le radici nel radicale mutamento delle politiche occupazionali intervenuto in Italia negli ultimi anni; prima con l'approvazione del «pacchetto Treu», poi con la legge n. 30, sono state precostituite le condizioni per lo sviluppo di un mercato del lavoro caratterizzato da precarietà diffusa. È questo uno dei primi fattori di responsabilità che vanno oggi richiamati; la possibilità di «reclutare» lavoratori, diplomati o laureati, di ingaggiarli con forme contrattuali capestro unita all'opportunità di liberarsene in qualsiasi momento, tutti fattori che hanno contribuito tra gli altri, ad acuire le difficoltà di mantenimento e/o inserimento lavorativo per i lavoratori cosiddetti «maturi», i quali spesso provenivano da situazioni più garantite che si è cercato di soppiantare per far spazio alla diffusa precarietà;
la condizione di precarietà si è dunque estesa in modo non marginale anche ai lavoratori «maturi» che si sono trovati ad accettare essi stessi condizioni di lavoro diverse dal passato o talora si sono visti addirittura espellere dal mondo del lavoro;
è peraltro sufficiente analizzare la miriade di interventi autorizzati dai vari Governi su richiesta di medie e grandi imprese che invocano un sostegno per le proprie esigenze di ristrutturazione pena il licenziamento di consistenti gruppi di lavoratori. Questa semplice analisi permette di scoprire che nella stragrande maggioranza dei casi molti lavoratori inseriti nelle liste di mobilità, nei provvedimenti di cassa integrazione e, per ovvi motivi, di prepensionamento, appartengono a fasce di età medio-alta con evidenti difficoltà di ricollocamento e con situazioni personali individuali appesantite dalle responsabilità familiari proprie di quella stesse fasce di età;
allo scenario fin qui descritto manca il tassello della miriade di «riforme» previdenziali che, a partire dalla metà degli anni ’90 sono state varate, tutte nel segno del peggioramento dei requisiti temporali per l'accesso alla pensione nonché del valore finale della rendita delle pensioni stesse. Riforme che proprio nella fase di crescita del fenomeno dell'espulsione dal ciclo produttivo dei lavoratori «over» hanno totalmente e consapevolmente ignorato le conseguenze devastanti per quei lavoratori che, a pochi anni dal traguardo, perdevano il lavoro e contestualmente, si vedevano prorogare nel tempo il requisito anagrafico e/o contributivo per accedere a quella pensione che avrebbe potuto rappresentare l'unica possibile fonte di reddito;
come altresì sostenuto da più parti, non va altresì trascurato il disagio psicologico provocato dalla disoccupazione in età adulta. Essa crea una ferita all'identità della persona e appunto disagio sociale. La perdita del lavoro, anche se conseguenza di una crisi aziendale e non dovuta a incapacità della persona, provoca un crollo fortissimo di autostima che porta le persone a nascondere anche a lungo la condizione di disoccupato;
dal punto di vista delle possibilità di ricollocazione nessuno può ignorare il fatto che è sufficiente scorrere gli annunci di lavoro o visitare una agenzia per il lavoro per rendersi conto delle enormi difficoltà di reinserimento nel ciclo produttivo dopo una certa età;
tuttavia, porre l'accento sulla questione dei lavoratori cosiddetti «over» non significa disconoscere l'esistenza di specificità proprie di questa o quella categoria sociale, ma, richiama la necessità di affrontare il tema dei diritti, della riforma del sistema del welfare, della previdenza, e altro, con una attenzione rivolta a tutto il mondo del lavoro, perché introducendo nuove forme di tutela esclusive per questa o quella categoria l'unico risultato possibile è quello di accentuare discriminazioni che già dilagano nel nostro Paese;
occorre riproporre obiettivi comuni a tutto il mondo del lavoro subordinato, come a quello oggi da considerarsi, in molti casi, fittiziamente, «autonomo»;
occorre una decisa inversione di tendenza, una riforma del welfare che punti sull'introduzione di una forma universale di sostegno al reddito, che si ponga in discontinuità con i tradizionali ammortizzatori sociali oramai sempre più inadatti a turare le falle di un sistema che non tutela;
oggi una grande massa di disoccupati appartiene anche alla fascia dei ceti medi, del lavoro intellettuale impiegatizio, dei professionisti, dei quadri e dei dirigenti. Il rapporto con queste nuove categorie che sono andate ad ingrossare la fascia dell'esclusione sociale richiede la presenza di operatori pubblici con elevata qualifica professionale, azioni sul territorio al fine di intercettare le reali esigenze in un Paese che deve fare i conti con un sistema basato fondamentalmente sulla piccola impresa e, infine, di investimenti mirati allo sviluppo di un forte rapporto di collaborazione con le imprese stesse;
intorno al blocco decrescente dei lavoratori stabili e garantiti che in Italia sono rappresentati da un nucleo sempre più basso di unità rispetto all'intera forza lavoro, vi è una massa crescente di lavoratori, appunto anche adulti, capaci di produrre ricchezza e tuttavia esclusi dal mondo produttivo. È necessario porre in essere ogni iniziativa utile a favorire la valorizzazione di queste risorse ai fini del loro reinserimento oltre che intervenire in modo incisivo per sostenerne il reddito;
infine, in un'ottica di medio-lungo periodo, è evidente che ampie schiere di lavoratori oggi attivi, che oggi non contribuiscono al finanziamento del sistema pensionistico perché non occupati, si avvicineranno all'età di pensionamento, peraltro con ampi «vuoti» contributivi. Ciò impone di affrontare il problema anche nell'ottica della salvaguardia dei lavoratori o disoccupati in età matura che potrebbero moltiplicarsi nei prossimi anni adottando misure volta a prevenire l'aggravarsi del fenomeno,
impegna il Governo:
a incentivare l'occupazione di questa categoria di lavoratori e comunque, in un più ampio quadro di tutela, ad assumere iniziative per introdurre una forma universale di sostegno che ne garantisca il reddito;
ad assumere iniziative al fine di promuovere l'uso di strumenti quali il part-time, lo «smart working», il «job sharing», l’«home working» e, comunque, a promuovere l'evoluzione di modelli organizzativi del lavoro funzionali al miglioramento delle condizioni sociali, di vita, occupazionali e previdenziali dei lavoratori con conseguente relativo beneficio anche per i lavoratori in età matura;
a promuovere, anche attraverso misure di favore fiscale e di più agevole accesso al microcredito, iniziative dei lavoratori in età matura volte ad avviare l'impresa o a salvaguardare la sopravvivenza dell'impresa, ove i medesimi siano stati in precedenza occupati;
a porre in essere ogni iniziativa utile a favorire le realtà organizzative che, in un contesto sociale ed economico in piena difficoltà, pongano come proprio scopo sociale la salvaguardia dei diritti e la tutela del reddito di lavoratori in età matura espulsi dai processi produttivi;
a porre in essere concrete iniziative – posto che in un'ottica di medio-lungo periodo ampie schiere di lavoratori oggi attivi non contribuiscono al finanziamento del sistema pensionistico, perché non continuativamente occupati – finalizzate ad arginare il moltiplicarsi del numero di persone che potrebbero trovarsi senza lavoro e senza pensione;
a porre in essere iniziative volte a rinsaldare il patto tra le generazioni attraverso l'adozione di misure che tengano conto degli orizzonti futuri della previdenza nel nostro Paese.
(1-01241) «Tripiedi, Ciprini, Cominardi, Dall'Osso, Lombardi, Chimienti, D'Incà».
La Camera,
premesso che:
la disoccupazione in età matura colpisce moltissimi nuclei familiari producendo devastanti effetti personali, in quanto essa sovente interessa persone coniugate con prole (almeno l'80 per cento). Pertanto le conseguenze di disoccupazione, si riflettono negativamente su tutto il nucleo familiare e quindi su almeno il triplo delle persone disoccupate;
il fenomeno della disoccupazione e della diffusa precarietà dei lavoratori, anche in età matura, affonda le radici nel radicale mutamento delle politiche occupazionali intervenuto in Italia negli ultimi anni; prima con l'approvazione del «pacchetto Treu», poi con la legge n. 30, sono state precostituite le condizioni per lo sviluppo di un mercato del lavoro caratterizzato da precarietà diffusa. È questo uno dei primi fattori di responsabilità che vanno oggi richiamati; la possibilità di «reclutare» lavoratori, diplomati o laureati, di ingaggiarli con forme contrattuali capestro unita all'opportunità di liberarsene in qualsiasi momento, tutti fattori che hanno contribuito tra gli altri, ad acuire le difficoltà di mantenimento e/o inserimento lavorativo per i lavoratori cosiddetti «maturi», i quali spesso provenivano da situazioni più garantite che si è cercato di soppiantare per far spazio alla diffusa precarietà;
la condizione di precarietà si è dunque estesa in modo non marginale anche ai lavoratori «maturi» che si sono trovati ad accettare essi stessi condizioni di lavoro diverse dal passato o talora si sono visti addirittura espellere dal mondo del lavoro;
è peraltro sufficiente analizzare la miriade di interventi autorizzati dai vari Governi su richiesta di medie e grandi imprese che invocano un sostegno per le proprie esigenze di ristrutturazione pena il licenziamento di consistenti gruppi di lavoratori. Questa semplice analisi permette di scoprire che nella stragrande maggioranza dei casi molti lavoratori inseriti nelle liste di mobilità, nei provvedimenti di cassa integrazione e, per ovvi motivi, di prepensionamento, appartengono a fasce di età medio-alta con evidenti difficoltà di ricollocamento e con situazioni personali individuali appesantite dalle responsabilità familiari proprie di quella stesse fasce di età;
allo scenario fin qui descritto manca il tassello della miriade di «riforme» previdenziali che, a partire dalla metà degli anni ’90 sono state varate, tutte nel segno del peggioramento dei requisiti temporali per l'accesso alla pensione nonché del valore finale della rendita delle pensioni stesse. Riforme che proprio nella fase di crescita del fenomeno dell'espulsione dal ciclo produttivo dei lavoratori «over» hanno totalmente e consapevolmente ignorato le conseguenze devastanti per quei lavoratori che, a pochi anni dal traguardo, perdevano il lavoro e contestualmente, si vedevano prorogare nel tempo il requisito anagrafico e/o contributivo per accedere a quella pensione che avrebbe potuto rappresentare l'unica possibile fonte di reddito;
come altresì sostenuto da più parti, non va altresì trascurato il disagio psicologico provocato dalla disoccupazione in età adulta. Essa crea una ferita all'identità della persona e appunto disagio sociale. La perdita del lavoro, anche se conseguenza di una crisi aziendale e non dovuta a incapacità della persona, provoca un crollo fortissimo di autostima che porta le persone a nascondere anche a lungo la condizione di disoccupato;
dal punto di vista delle possibilità di ricollocazione nessuno può ignorare il fatto che è sufficiente scorrere gli annunci di lavoro o visitare una agenzia per il lavoro per rendersi conto delle enormi difficoltà di reinserimento nel ciclo produttivo dopo una certa età;
tuttavia, porre l'accento sulla questione dei lavoratori cosiddetti «over» non significa disconoscere l'esistenza di specificità proprie di questa o quella categoria sociale, ma, richiama la necessità di affrontare il tema dei diritti, della riforma del sistema del welfare, della previdenza, e altro, con una attenzione rivolta a tutto il mondo del lavoro, perché introducendo nuove forme di tutela esclusive per questa o quella categoria l'unico risultato possibile è quello di accentuare discriminazioni che già dilagano nel nostro Paese;
occorre riproporre obiettivi comuni a tutto il mondo del lavoro subordinato, come a quello oggi da considerarsi, in molti casi, fittiziamente, «autonomo»;
occorre una decisa inversione di tendenza, una riforma del welfare che punti sull'introduzione di una forma universale di sostegno al reddito, che si ponga in discontinuità con i tradizionali ammortizzatori sociali oramai sempre più inadatti a turare le falle di un sistema che non tutela;
oggi una grande massa di disoccupati appartiene anche alla fascia dei ceti medi, del lavoro intellettuale impiegatizio, dei professionisti, dei quadri e dei dirigenti. Il rapporto con queste nuove categorie che sono andate ad ingrossare la fascia dell'esclusione sociale richiede la presenza di operatori pubblici con elevata qualifica professionale, azioni sul territorio al fine di intercettare le reali esigenze in un Paese che deve fare i conti con un sistema basato fondamentalmente sulla piccola impresa e, infine, di investimenti mirati allo sviluppo di un forte rapporto di collaborazione con le imprese stesse;
intorno al blocco decrescente dei lavoratori stabili e garantiti che in Italia sono rappresentati da un nucleo sempre più basso di unità rispetto all'intera forza lavoro, vi è una massa crescente di lavoratori, appunto anche adulti, capaci di produrre ricchezza e tuttavia esclusi dal mondo produttivo. È necessario porre in essere ogni iniziativa utile a favorire la valorizzazione di queste risorse ai fini del loro reinserimento oltre che intervenire in modo incisivo per sostenerne il reddito;
infine, in un'ottica di medio-lungo periodo, è evidente che ampie schiere di lavoratori oggi attivi, che oggi non contribuiscono al finanziamento del sistema pensionistico perché non occupati, si avvicineranno all'età di pensionamento, peraltro con ampi «vuoti» contributivi. Ciò impone di affrontare il problema anche nell'ottica della salvaguardia dei lavoratori o disoccupati in età matura che potrebbero moltiplicarsi nei prossimi anni adottando misure volta a prevenire l'aggravarsi del fenomeno,
impegna il Governo:
a incentivare l'occupazione di questa categoria di lavoratori individuando ove possibile, compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica, misure di sostegno al reddito;
a valorizzare le iniziative già adottate tese a favorire l'utilizzo di strumenti di flessibilità quali il part-time e il lavoro agile anche per i lavoratori «maturi»;
a valutare la possibilità di promuovere, anche attraverso misure di favore fiscale e di più agevole accesso al microcredito, iniziative dei lavoratori in età matura volte ad avviare l'impresa o a salvaguardare la sopravvivenza dell'impresa ove i medesimi siano stati in precedenza occupati;
a porre in essere ogni iniziativa utile a favorire le realtà organizzative che, in un contesto sociale ed economico in piena difficoltà, pongano come proprio scopo sociale la salvaguardia dei diritti e la tutela del reddito di lavoratori in età matura espulsi dai processi produttivi;
a rafforzare, attraverso il ruolo dell'ANPAL, le politiche attive intraprese mettendo in campo ogni ulteriore iniziativa a favore dell'occupazione che tenga in particolare considerazione le persone che potrebbero trovarsi senza reddito;
a porre in essere iniziative volte a rinsaldare il patto tra le generazioni attraverso l'adozione di misure che tengano conto degli orizzonti futuri della previdenza nel nostro Paese.
(1-01241)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Tripiedi, Ciprini, Cominardi, Dall'Osso, Lombardi, Chimienti, D'Incà».
La Camera,
premesso che:
la riforma delle pensioni Monti-Fornero, che ha innalzato repentinamente l'età pensionabile senza alcuna previsione di gradualità, ha creato diverse nuove emergenze sociali, tra le quali quella dei cosiddetti «lavoratori maturi»;
in tale ambito si ricomprendono i lavoratori troppo giovani per andare in pensione e troppo anziani per trovare facile ricollocazione lavorativa una volta espulsi dal ciclo produttivo, finendo con il diventare soggetti a rischio di esclusione sociale;
la perdita di occupazione e la difficoltà ovvero impossibilità di trovarne un altro rischiano, appunto, di gettare in condizioni di povertà i lavoratori maturi e le relative famiglie, accrescendo il fenomeno della marginalità sociale;
l'occupazione, infatti, non rappresenta solo una fonte di reddito, ma conferisce anche uno status ed un ruolo nella società, una partecipazione attiva alla comunità; la sua perdita, specie se d'improvviso e per motivi non imputabili al lavoratore, crea nel medesimo un senso di vuoto ed inutilità che talvolta porta a patologie silenziose ma drammatiche o addirittura a gesti estremi;
tutte le misure messe in campo negli ultimi Governi a maggioranza di Centro-sinistra, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, hanno acuito il conflitto generazionale: dalla «riforma Fornero» che ha bloccato il ricambio nel mercato del lavoro, impedendone l'ingresso ai giovani e non salvaguardando i disoccupati maturi, al recente jobs act, proiettato quasi esclusivamente verso la riduzione del tasso di disoccupazione giovanile;
giovani e anziani, invero, sono portatori di capitale umano qualitativamente diverso – approccio innovativo dei primi, esperienza e pratica dei secondi – la cui combinazione per un datore di lavoro non può che essere proficua;
quali recenti misure di sostegno alla ricollocazione lavorativa degli ultracinquantenni, si ricordano la riduzione del costo dei contributi pari alla metà del dovuto sulle assunzioni con contratto a tempo determinato di lavoratori disoccupati con più di 50 anni e la deroga al requisito anagrafico per il ricorso al contratto di apprendistato: due interventi estemporanei e limitati nel tempo e, come tali, non risolutivi del problema, ma destinati a riproporlo in maniera più accentuata al termine degli sgravi,
impegna il Governo:
ad assumere iniziative per rimuovere i fattori di ostacolo alla ripresa della domanda interna, come gli elevati livelli di tassazione sui redditi e sui consumi, al fine di garantire maggiore inclusione nel mercato del lavoro del lavoratori maturi;
a definire celermente programmi di old guarantee e/o old employment, volti ad accrescere l'occupabilità dei lavoratori maturi espulsi dal ciclo produttivo;
ad assumere iniziative volte a reperire le occorrenti risorse finanziarie per rendere strutturali le misure di decontribuzione in favore dei lavoratori disoccupati ultracinquantenni nonché per introdurre forme flessibili di accesso alla pensione, al fine di garantire loro una copertura reddituale e contenere il rischio di creare una nuova categoria di poveri ed emarginati.
(1-01242) «Simonetti, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini».
La Camera,
premesso che:
la riforma delle pensioni Monti-Fornero, che ha innalzato repentinamente l'età pensionabile senza alcuna previsione di gradualità, ha creato diverse nuove emergenze sociali, tra le quali quella dei cosiddetti «lavoratori maturi»;
in tale ambito si ricomprendono i lavoratori troppo giovani per andare in pensione e troppo anziani per trovare facile ricollocazione lavorativa una volta espulsi dal ciclo produttivo, finendo con il diventare soggetti a rischio di esclusione sociale;
la perdita di occupazione e la difficoltà ovvero impossibilità di trovarne un altro rischiano, appunto, di gettare in condizioni di povertà i lavoratori maturi e le relative famiglie, accrescendo il fenomeno della marginalità sociale;
l'occupazione, infatti, non rappresenta solo una fonte di reddito, ma conferisce anche uno status ed un ruolo nella società, una partecipazione attiva alla comunità; la sua perdita, specie se d'improvviso e per motivi non imputabili al lavoratore, crea nel medesimo un senso di vuoto ed inutilità che talvolta porta a patologie silenziose ma drammatiche o addirittura a gesti estremi;
tutte le misure messe in campo negli ultimi Governi a maggioranza di Centro-sinistra, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, hanno acuito il conflitto generazionale: dalla «riforma Fornero» che ha bloccato il ricambio nel mercato del lavoro, impedendone l'ingresso ai giovani e non salvaguardando i disoccupati maturi, al recente jobs act, proiettato quasi esclusivamente verso la riduzione del tasso di disoccupazione giovanile;
giovani e anziani, invero, sono portatori di capitale umano qualitativamente diverso – approccio innovativo dei primi, esperienza e pratica dei secondi – la cui combinazione per un datore di lavoro non può che essere proficua;
quali recenti misure di sostegno alla ricollocazione lavorativa degli ultracinquantenni, si ricordano la riduzione del costo dei contributi pari alla metà del dovuto sulle assunzioni con contratto a tempo determinato di lavoratori disoccupati con più di 50 anni e la deroga al requisito anagrafico per il ricorso al contratto di apprendistato: due interventi estemporanei e limitati nel tempo e, come tali, non risolutivi del problema, ma destinati a riproporlo in maniera più accentuata al termine degli sgravi,
impegna il Governo:
a promuovere ulteriori iniziative volte a ridurre i livelli di tassazione sui redditi e sui consumi al fine di garantire maggiore inclusione nel mercato del lavoro dei lavoratori maturi;
a valutare, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica, la possibilità di assumere ulteriori iniziative per agevolare i datori di lavoro che assumono lavoratori «maturi» nonché la possibilità di prevedere le forme flessibili di accesso alla pensione.
(1-01242)
(Testo modificato nel corso della seduta come risultante dalla votazione per parti separate) «Simonetti, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini».
La Camera,
premesso che:
negli ultimi due decenni, le modifiche della struttura demografica della popolazione e la dinamica di crescita della spesa previdenziale hanno posto in primo piano la problematica del riequilibrio del sistema pensionistico e dell'innalzamento dell'età pensionabile. Infatti, si è assistito in Europa ad una divaricazione crescente tra l'evoluzione demografica, (caratterizzata dall'aumento delle speranze di vita) e la riduzione effettiva del pensionamento. Questa divaricazione ha costituito, anche nel nostro Paese, una delle cause principali alla base dei problemi del sistema pensionistico. Pertanto, anche l'Italia, in materia, ha adottato una legislazione considerata a livello europeo come una buona riforma;
la grave crisi economica-sociale, che ha interessato il nostro Paese a partire dal 2008, ha colpito pesantemente la base produttiva ed occupazionale delle imprese, imponendo onerose ristrutturazioni aziendali ed aprendo nuovi e più immediati fronti di emergenza sociale;
interessati a questi cambiamenti sono stati soprattutto i lavoratori anziani, cioè i lavoratori che, affrontando già le maggiori difficoltà di ricollocazione, hanno visto negli ultimi anni allontanarsi l'età della pensione, per effetto delle modifiche alla disciplina del settore;
ciò ha anche aumentato la spesa per gli ammortizzatori sociali non consentendo, al contempo, la tutela del reddito per i lavoratori anziani;
occorre altresì evidenziare che, per quanto concerne le politiche di invecchiamento attivo nel nostro Paese a partire dagli anni ’90, il rapporto tra invecchiamento e lavoro ha iniziato a configurarsi come uno specifico e significativo problema, bisognoso di interventi che andassero oltre la rimodulazione dell'età pensionabile;
i cambiamenti dovuti all'affermarsi del processo di globalizzazione hanno comportato un rapido «svecchiamento» degli organici per fare posto a lavoratori più giovani che meglio si adattano all'evoluzione del mondo del lavoro e che sono più disposti ad accettare le nuove regole del mercato globalizzato;
la disoccupazione dei lavoratori anziani è un fenomeno preoccupante non solo riconducibile a motivazioni legate al costo del lavoro o alla flessibilità. Uno dei fattori preponderanti di questa situazione deve essere ricercato anche nella diversa organizzazione delle attività produttive, indotta da un crescente livello di automazione che porta a sminuire il valore delle esperienze lavorative;
secondo il rapporto Osce del maggio 2015, dal 2007 al 2013, la quota di disoccupati di lunga durata è salita nel nostro Paese dal 45 per cento al 60 per cento: fenomeno che ha investito soprattutto i lavoratori anziani;
lavoratori che, peraltro, costituiscono una parte fondamentale della forza lavoro nelle società moderne, possedendo notevoli capacità e competenze diverse rispetto alle altre generazioni. Senza la loro partecipazione al mondo del lavoro si rischiano carenze in materia di capacità professionali e di know how e il trasferimento delle conoscenze alle nuove generazioni, che risulta essere fondamentale per tutti i settori produttivi;
occorre, quindi, affrontare la particolare situazione dei lavoratori anziani (ovvero di quelli rimasti privi di occupazione prima della maturazione dei requisiti di accesso al pensionamento) che non dispongono di alcun tipo di tutela sia dal punto di vista previdenziale, che sotto forma di specifico ammortizzatore sociale riservato a questa particolare tipologia di soggetti. In tale caso, potrebbe risultare utile intervenire attraverso gli incentivi alla loro ricollocazione, riqualificazione e formazione professionale permanente;
il Governo, con la legge di stabilità per il 2016, ha previsto una misura, quella del part-time agevolato, che rappresenta il primo tentativo di dare una risposta a quel fenomeno sociale definito come «invecchiamento attivo». La norma riguarda i lavoratori del settore privato a cui mancano tre anni al pensionamento di vecchiaia: all'azienda ed al lavoratore viene offerta un'opportunità, quella della riduzione del 50 per cento del tempo di lavoro;
con questa misura il lavoratore avrà un orario dimezzato, un salario pari al 65 per cento di quello precedente e, dopo tre anni, una pensione pari al 100 per cento di quella che avrebbe dovuto percepire;
lo Stato garantisce i contributi figurativi e l'azienda versa la sua quota di contributi nella busta paga del lavoratore;
la soluzione del problema richiede comunque equilibrio e razionalità (specie alla luce delle difficoltà economiche con le quali il Paese si sta confrontando); sicché, non è immaginabile affrontare il problema attraverso un generico ed insostenibile pensionamento anticipato per tutti. Si ribadisce che, al contrario, risulta necessario attivare politiche di sostegno anche fiscali, innanzitutto per le imprese che desiderino assumere gli stessi lavoratori «maturi», attraverso la concessione di benefici economici alle imprese ed aiuti finalizzati a promuovere una continua formazione professionale per assicurare una maggiore facilità di ricollocazione nel mondo del lavoro,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di assumere iniziative per ampliare la sfera dei soggetti interessati al part-time agevolato, estendendolo anche al settore del pubblico impiego;
ad approntare soluzioni adeguate che tengano conto della necessità di non creare nuovi squilibri del nostro sistema previdenziale, evitando di ricorrere ad insostenibili misure come quella del pensionamento anticipato per tutti ma adottando iniziative per introdurre, ad esempio, misure fiscali a favore dei datori di lavoro dirette ad incentivare l'assunzione dei lavoratori «maturi»;
a valutare l'opportunità di assumere iniziative per attivare misure di sostegno alla promozione del lavoro autonomo per i cosiddetti lavoratori «maturi», attraverso un programma che preveda benefici economici e riduzione degli oneri burocratici per l'avvio di imprese da parte degli stessi, nonché aiuti per promuovere una continua formazione professionale.
(1-01244) «Pizzolante, Bosco».
La Camera,
premesso che:
negli ultimi due decenni, le modifiche della struttura demografica della popolazione e la dinamica di crescita della spesa previdenziale hanno posto in primo piano la problematica del riequilibrio del sistema pensionistico e dell'innalzamento dell'età pensionabile. Infatti, si è assistito in Europa ad una divaricazione crescente tra l'evoluzione demografica, (caratterizzata dall'aumento delle speranze di vita) e la riduzione effettiva del pensionamento. Questa divaricazione ha costituito, anche nel nostro Paese, una delle cause principali alla base dei problemi del sistema pensionistico. Pertanto, anche l'Italia, in materia, ha adottato una legislazione considerata a livello europeo come una buona riforma;
la grave crisi economica-sociale, che ha interessato il nostro Paese a partire dal 2008, ha colpito pesantemente la base produttiva ed occupazionale delle imprese, imponendo onerose ristrutturazioni aziendali ed aprendo nuovi e più immediati fronti di emergenza sociale;
interessati a questi cambiamenti sono stati soprattutto i lavoratori anziani, cioè i lavoratori che, affrontando già le maggiori difficoltà di ricollocazione, hanno visto negli ultimi anni allontanarsi l'età della pensione, per effetto delle modifiche alla disciplina del settore;
ciò ha anche aumentato la spesa per gli ammortizzatori sociali non consentendo, al contempo, la tutela del reddito per i lavoratori anziani;
occorre altresì evidenziare che, per quanto concerne le politiche di invecchiamento attivo nel nostro Paese a partire dagli anni ’90, il rapporto tra invecchiamento e lavoro ha iniziato a configurarsi come uno specifico e significativo problema, bisognoso di interventi che andassero oltre la rimodulazione dell'età pensionabile;
i cambiamenti dovuti all'affermarsi del processo di globalizzazione hanno comportato un rapido «svecchiamento» degli organici per fare posto a lavoratori più giovani che meglio si adattano all'evoluzione del mondo del lavoro e che sono più disposti ad accettare le nuove regole del mercato globalizzato;
la disoccupazione dei lavoratori anziani è un fenomeno preoccupante non solo riconducibile a motivazioni legate al costo del lavoro o alla flessibilità. Uno dei fattori preponderanti di questa situazione deve essere ricercato anche nella diversa organizzazione delle attività produttive, indotta da un crescente livello di automazione che porta a sminuire il valore delle esperienze lavorative;
secondo il rapporto Osce del maggio 2015, dal 2007 al 2013, la quota di disoccupati di lunga durata è salita nel nostro Paese dal 45 per cento al 60 per cento: fenomeno che ha investito soprattutto i lavoratori anziani;
lavoratori che, peraltro, costituiscono una parte fondamentale della forza lavoro nelle società moderne, possedendo notevoli capacità e competenze diverse rispetto alle altre generazioni. Senza la loro partecipazione al mondo del lavoro si rischiano carenze in materia di capacità professionali e di know how e il trasferimento delle conoscenze alle nuove generazioni, che risulta essere fondamentale per tutti i settori produttivi;
occorre, quindi, affrontare la particolare situazione dei lavoratori anziani (ovvero di quelli rimasti privi di occupazione prima della maturazione dei requisiti di accesso al pensionamento) che non dispongono di alcun tipo di tutela sia dal punto di vista previdenziale, che sotto forma di specifico ammortizzatore sociale riservato a questa particolare tipologia di soggetti. In tale caso, potrebbe risultare utile intervenire attraverso gli incentivi alla loro ricollocazione, riqualificazione e formazione professionale permanente;
il Governo, con la legge di stabilità per il 2016, ha previsto una misura, quella del part-time agevolato, che rappresenta il primo tentativo di dare una risposta a quel fenomeno sociale definito come «invecchiamento attivo». La norma riguarda i lavoratori del settore privato a cui mancano tre anni al pensionamento di vecchiaia: all'azienda ed al lavoratore viene offerta un'opportunità, quella della riduzione del 50 per cento del tempo di lavoro;
con questa misura il lavoratore avrà un orario dimezzato, un salario pari al 65 per cento di quello precedente e, dopo tre anni, una pensione pari al 100 per cento di quella che avrebbe dovuto percepire;
lo Stato garantisce i contributi figurativi e l'azienda versa la sua quota di contributi nella busta paga del lavoratore;
la soluzione del problema richiede comunque equilibrio e razionalità (specie alla luce delle difficoltà economiche con le quali il Paese si sta confrontando); sicché, non è immaginabile affrontare il problema attraverso un generico ed insostenibile pensionamento anticipato per tutti. Si ribadisce che, al contrario, risulta necessario attivare politiche di sostegno anche fiscali, innanzitutto per le imprese che desiderino assumere gli stessi lavoratori «maturi», attraverso la concessione di benefici economici alle imprese ed aiuti finalizzati a promuovere una continua formazione professionale per assicurare una maggiore facilità di ricollocazione nel mondo del lavoro,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di carattere finanziario, di assumere iniziative per ampliare la sfera dei soggetti interessati al part-time agevolato estendendolo eventualmente anche al settore del pubblico impiego;
a valutare, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica, la possibilità di assumere ulteriori iniziative per agevolare i datori di lavoro che assumono lavoratori «maturi»;
a valutare l'opportunità di assumere iniziative per attivare misure di sostegno alla promozione del lavoro autonomo per i cosiddetti lavoratori «maturi», attraverso un programma che preveda benefici economici e riduzione degli oneri burocratici per l'avvio di imprese da parte degli stessi, nonché aiuti per promuovere una continua formazione professionale.
(1-01244)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Pizzolante, Bosco».
La Camera,
premesso che:
come è noto, gli Stati europei stanno attraversando un periodo di transizione demografica che pone al centro il rapido e progressivo invecchiamento della popolazione e, di conseguenza, la necessità di promuovere iniziative a favore della qualità della vita e del benessere delle persone più mature per garantire un invecchiamento attivo della forza lavoro. In Italia, se nel 2013 si contavano 17 milioni di individui over 50, si prevede che nel 2033 saranno 22,5 milioni;
da diversi anni, il tema dell'occupazione dei cosiddetti older workers (lavoratori maturi) è all'attenzione delle politiche di programmazione europee e nazionali, ed è sempre più attuale il dibattito in merito ai criteri da utilizzare per poter definire un lavoratore «maturo»;
le ricerche inerenti la partecipazione al mondo del lavoro specificano come il range più utilizzato sia quello di un'età compresa tra i 50 e 55 anni in quanto si tende a identificare il lavoratore maturo come colui per il quale la percentuale di partecipazione al mercato del lavoro diventa sempre più bassa; un lavoratore destinato a fuoriuscire, nel breve termine, dal mondo del lavoro e sul quale non vengono effettuati investimenti a lungo termine;
se infatti, per oltre un secolo il sistema di tutele sociali ritagliate sui rischi prevedibili delle singole fasi del corso di vita (gioventù, maturità, vecchiaia) aveva svolto efficacemente il suo ruolo protettivo, nella situazione attuale, caratterizzata da condizioni di minore stabilità e da ingressi più tardivi nell'occupazione regolare, la questione è divenuta quella di trovare nuove combinazioni fra flessibilità e sicurezza che consentano alle imprese di valorizzare le risorse possedute, coniugando le proprie esigenze di sviluppo con le esigenze individuali di protezione e di promozione sociale dei lavoratori che in esse operano;
la crescita della disoccupazione nelle fasce più adulte della popolazione è un fenomeno che si è diffuso anche a livello nazionale negli ultimi anni, esito di una crisi che, in assenza di processi di riconversione, all'interno dei settori in difficoltà, ha generato l'espulsione dal mercato del lavoro di un'ampia fascia di lavoratori cosiddetti «maturi», i quali trovano oggi grande difficoltà di reinserimento;
si tratta generalmente di lavoratori che, in possesso di esperienze di lavoro polivalenti, maturate nel contesto di imprese medio-piccole o artigiane, sono arrivati alla soglia dei 50 anni di età senza contratti di lavoro regolarizzati, oppure non sono mai entrati nel mercato del lavoro, oppure di persone la cui domanda di servizio si attiva in rapporto ad eventi di perdita del lavoro connessi a crisi aziendali o di settore che interessano anche fasce di professionalità con responsabilità gestionali o dirigenziali, ed il cui sviluppo è strettamente connesso con le caratteristiche del mercato del lavoro locale, nonché alla capacità di gestione del sistema degli ammortizzatori sociali; lavoratori inattivi per i quali l'ingresso nel mercato del lavoro si è spostato in avanti, e anche la data d'uscita lo ha fatto. Effetti che risultano dilatati dall'innalzamento dell'età pensionabile previsto dagli interventi legislativi degli ultimi anni;
l'allungamento della vita media ed i continui cambiamenti legislativi inerenti l'età pensionabile hanno reso sempre più centrale il tema dell'invecchiamento della popolazione al lavoro: un aspetto dei tempi moderni da affrontare inevitabilmente; i prossimi decenni saranno caratterizzati dall'invecchiamento della popolazione, che porrà una delle sfide globali più complesse dal punto di vista sociale, economico e culturale;
i dati Istat dimostrano che dal 2005 al 2015 il tasso di disoccupazione delle persone fra i 55 e i 64 anni (pari a 5,5 per cento a livello nazionale nel 2015) è aumentato in tutte le ripartizioni: nel 2015 ha raggiunto il 7,7 per cento nel Mezzogiorno, il 4,8 per cento al centro e il 4,5 per cento al nord, con un gap di genere sfavorevole agli uomini, che soffrono più delle donne la difficoltà di permanenza o di reinserimento nel mercato del lavoro. Fra gli uomini, il tasso di disoccupazione raggiunge infatti l'8,9 per cento nel Mezzogiorno (5,4 per cento fra le donne), il 5,7 per cento al centro (3,7 per cento fra le donne) e il 4,9 per cento al nord (3,9 per cento fra le donne);
il tasso di inattività nella classe di età 55-64 anni, seppure in costante calo nell'ultimo decennio, conferma la bassa partecipazione al mercato del lavoro di questa fascia di popolazione, presentando un accentuato gap di genere a sfavore delle donne in tutte ripartizioni geografiche. A livello Italia, nel 2015, il tasso di inattività registrato è del 48,9 per cento, a sintesi del 36,7 per cento degli uomini e del 60,4 per cento delle donne. A livello territoriale, il centro è l'area con i tassi più contenuti, sia per le donne (52,4 per cento) che per gli uomini (31,8 per cento), il nord si attesta su un valore intermedio (il 37,0 per cento per gli uomini e il 57,4 per cento per le donne), mentre il Mezzogiorno è quella con i valori più elevati (il 39,1 per cento per gli uomini e il 69,0 per cento fra le donne) e il divario più esteso;
un ripensamento complessivo della logica e delle modalità di inclusione delle persone anziane nel mercato del lavoro è necessario per rendere lavoratrici e lavoratori giovani e meno giovani complementari e non antagonisti;
la valorizzazione del lavoro delle classi di età mature e anziane è il focus di riferimento principale, da sviluppare con attenzione sia al livello delle politiche pubbliche o di sistema, sia a quello delle linee di azione nell'ambito delle organizzazioni private e pubbliche;
la capacità di non appiattire, ma anzi di valorizzare il contributo delle donne e degli uomini, dei giovani e degli anziani, di chi possiede competenze, abilità e culture diverse può consentire, nel contesto attuale, e sempre di più in futuro, all'impresa di fare un reale balzo in avanti. In particolare, di guadagnare un vantaggio competitivo sul mercato, di adattarsi ed anticipare i cambiamenti demografici in atto, di garantire la creazione di un clima di reciproco scambio e di collaborazione che incoraggia le persone a rimanere nell'azienda e a crescere;
una prima risposta è stata offerta dall'articolo 4, comma 8, della legge 28 giugno 2012, n. 92, con il quale si è introdotto, a decorrere dal 2013, una specifica tipologia di incentivi all'occupazione consistenti nella riduzione, nella misura del 50 per cento, per 18 mesi, dei contributi di previdenza ed assistenza sociale a carico del datore di lavoro, in caso di assunzione a tempo indeterminato di lavoratori ultracinquantenni;
successivamente, il decreto legislativo n. 22 del 4 marzo 2015, in attuazione della legge delega n. 183 del 2014, a previsto il cosiddetto contratto di ricollocazione, prevedendo il diritto del lavoratore ad un'assistenza appropriata nella ricerca della nuova occupazione, programmata, strutturata e gestita secondo le migliori tecniche del settore da parte dell'agenzia per il lavoro; è stato inoltre riconosciuto il diritto del lavoratore alla realizzazione, da parte dell'agenzia stessa, di iniziative di ricerca, addestramento, formazione o riqualificazione professionale, mirate a sbocchi occupazionali effettivamente esistenti ed appropriati, in relazione alle capacità del lavoratore ed alle condizioni del mercato del lavoro nella zona in cui il soggetto sia stato preso in carico;
in tale prospettiva, un ruolo strategico viene riconosciuto ai servizi per il lavoro, quali strutture deputate alla gestione di azioni ed interventi di politica attiva e passiva orientati a rispondere alle nuove domande sociali connesse al prolungamento della vita lavorativa;
a tale fine, la riforma delle politiche attive del lavoro portata avanti dal Governo in carica, attraverso la promozione di un collegamento tra misure di sostegno al reddito della persona inoccupata o disoccupata e misure volte al suo inserimento nel tessuto produttivo anche attraverso la conclusione di accordi per la ricollocazione, grazie al ruolo dell'Agenzia nazionale per le politiche del lavoro, istituita con il decreto legislativo n. 150 del 14 settembre 2015, dovrà trovare il più sollecito perfezionamento operativo;
parimenti, un ruolo centrale potrà essere svolto dai fondi di solidarietà, come disciplinati dal decreto legislativo n. 148 del 2015, con la finalità di assicurare a tutti i lavoratori e le lavoratrici una tutela in costanza del rapporto di nei casi di riduzione o sospensione dell'attività lavorativa per le cause previste dalla normativa in materia di cassa integrazione guadagni ordinaria e cassa integrazione guadagni straordinaria; nonché, in particolare, di prevedere assegni straordinari per il sostegno al reddito, riconosciuti nel quadro dei processi di agevolazione all'esodo, a coloro che raggiungano i requisiti previsti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato nei successivi cinque anni; contribuire al finanziamento di programmi formativi di fondi europei;
da ultimo, la legge 28 dicembre 2015, n. 208, all'articolo 1, comma 284, ha introdotto per il settore privato, una specifica disciplina transitoria, relativa ad una fattispecie di trasformazione da tempo pieno a tempo parziale del rapporto di lavoro subordinato per i lavoratori a cui mancano tre anni alla pensione, i quali potranno scegliere di passare al part-time, mantenendo uno stipendio pari a circa il 65 per cento rispetto a quello percepito fino a quel momento e senza nessuna penalizzazione sulle pensioni;
il fenomeno dell'alta presenza dei lavoratori maturi diverrà un tema centrale di cui le aziende, insieme alle istituzioni e alle organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori, dovranno occuparsi nel quotidiano. A fronte di una popolazione sempre più ageé, dunque, diviene indispensabile interrogarsi sulle strategie per sfruttare in chiave competitiva tali mutamenti e avviare azioni di valorizzazione della fascia « over», tal fine di garantirsi lavoratori «attivi» fino al momento dell'uscita dal mercato del lavoro;
un percorso sull'invecchiamento attivo permette all'azienda di valorizzare meglio le sue risorse in termini di capitale umano, ma anche di ripensare le sue politiche di risorse umane, nell'ottica della gestione delle carriere dei lavoratori in azienda lungo tutto l'arco della vita, contribuendo in questo modo ad una migliore pianificazione delle politiche di risorse umane e all'ideazione di diversi percorsi di crescita professionale,
impegna il Governo:
a proseguire nell'azione di sperimentazione di iniziative di sostegno di modalità di impiego flessibile dei lavoratori ultracinquantenni, anche prevedendo forme di scambio generazionale delle competenze, senza penalizzazioni sia per i giovani, sia per i lavoratori più anziani;
a favorire, per quanto di competenza, anche attraverso, specifiche misure di sostegno fiscale o contributivo, l'adozione di formule organizzative delle imprese e di gestione del personale, d'intesa con le organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori, volte a riconoscere e valorizzare le professionalità dei lavoratori ultracinquantenni;
a monitorare gli effetti dei diversi strumenti legislativi adottati finora, per il sostegno dell'occupazione dei lavoratori ultracinquantenni, anche al fine di un più efficace coordinamento e di una ridefinizione degli interventi esistenti;
a procedere con la massima sollecitudine al perfezionamento del processo di costituzione dell'Agenzia nazionale per le politiche attive, delineando specifiche linee di azione rivolte all'orientamento e al sostegno nella ricerca di nuova occupazione per i lavoratori ultracinquantenni, anche attraverso la definizione di appositi percorsi formativi, volti a moltiplicare le occasioni di apprendimento e di riqualificazione in età adulta.
(1-01245) «Miccoli, Damiano, Gnecchi, Albanella, Arlotti, Baruffi, Boccuzzi, Casellato, Di Salvo, Cinzia Maria Fontana, Giacobbe, Gribaudo, Incerti, Patrizia Maestri, Paris, Giorgio Piccolo, Rostellato, Rotta, Simoni, Tinagli, Zappulla, Vico, Nesi, Antezza, Amoddio».
La Camera,
premesso che:
come è noto, gli Stati europei stanno attraversando un periodo di transizione demografica che pone al centro il rapido e progressivo invecchiamento della popolazione e, di conseguenza, la necessità di promuovere iniziative a favore della qualità della vita e del benessere delle persone più mature per garantire un invecchiamento attivo della forza lavoro. In Italia, se nel 2013 si contavano 17 milioni di individui over 50, si prevede che nel 2033 saranno 22,5 milioni;
da diversi anni, il tema dell'occupazione dei cosiddetti older workers (lavoratori maturi) è all'attenzione delle politiche di programmazione europee e nazionali, ed è sempre più attuale il dibattito in merito ai criteri da utilizzare per poter definire un lavoratore «maturo»;
le ricerche inerenti la partecipazione al mondo del lavoro specificano come il range più utilizzato sia quello di un'età compresa tra i 50 e 55 anni in quanto si tende a identificare il lavoratore maturo come colui per il quale la percentuale di partecipazione al mercato del lavoro diventa sempre più bassa; un lavoratore destinato a fuoriuscire, nel breve termine, dal mondo del lavoro e sul quale non vengono effettuati investimenti a lungo termine;
se infatti, per oltre un secolo il sistema di tutele sociali ritagliate sui rischi prevedibili delle singole fasi del corso di vita (gioventù, maturità, vecchiaia) aveva svolto efficacemente il suo ruolo protettivo, nella situazione attuale, caratterizzata da condizioni di minore stabilità e da ingressi più tardivi nell'occupazione regolare, la questione è divenuta quella di trovare nuove combinazioni fra flessibilità e sicurezza che consentano alle imprese di valorizzare le risorse possedute, coniugando le proprie esigenze di sviluppo con le esigenze individuali di protezione e di promozione sociale dei lavoratori che in esse operano;
la crescita della disoccupazione nelle fasce più adulte della popolazione è un fenomeno che si è diffuso anche a livello nazionale negli ultimi anni, esito di una crisi che, in assenza di processi di riconversione, all'interno dei settori in difficoltà, ha generato l'espulsione dal mercato del lavoro di un'ampia fascia di lavoratori cosiddetti «maturi», i quali trovano oggi grande difficoltà di reinserimento;
si tratta generalmente di lavoratori che, in possesso di esperienze di lavoro polivalenti, maturate nel contesto di imprese medio-piccole o artigiane, sono arrivati alla soglia dei 50 anni di età senza contratti di lavoro regolarizzati, oppure non sono mai entrati nel mercato del lavoro, oppure di persone la cui domanda di servizio si attiva in rapporto ad eventi di perdita del lavoro connessi a crisi aziendali o di settore che interessano anche fasce di professionalità con responsabilità gestionali o dirigenziali, ed il cui sviluppo è strettamente connesso con le caratteristiche del mercato del lavoro locale, nonché alla capacità di gestione del sistema degli ammortizzatori sociali; lavoratori inattivi per i quali l'ingresso nel mercato del lavoro si è spostato in avanti, e anche la data d'uscita lo ha fatto. Effetti che risultano dilatati dall'innalzamento dell'età pensionabile previsto dagli interventi legislativi degli ultimi anni;
l'allungamento della vita media ed i continui cambiamenti legislativi inerenti l'età pensionabile hanno reso sempre più centrale il tema dell'invecchiamento della popolazione al lavoro: un aspetto dei tempi moderni da affrontare inevitabilmente; i prossimi decenni saranno caratterizzati dall'invecchiamento della popolazione, che porrà una delle sfide globali più complesse dal punto di vista sociale, economico e culturale;
i dati Istat dimostrano che dal 2005 al 2015 il tasso di disoccupazione delle persone fra i 55 e i 64 anni (pari a 5,5 per cento a livello nazionale nel 2015) è aumentato in tutte le ripartizioni: nel 2015 ha raggiunto il 7,7 per cento nel Mezzogiorno, il 4,8 per cento al centro e il 4,5 per cento al nord, con un gap di genere sfavorevole agli uomini, che soffrono più delle donne la difficoltà di permanenza o di reinserimento nel mercato del lavoro. Fra gli uomini, il tasso di disoccupazione raggiunge infatti l'8,9 per cento nel Mezzogiorno (5,4 per cento fra le donne), il 5,7 per cento al centro (3,7 per cento fra le donne) e il 4,9 per cento al nord (3,9 per cento fra le donne);
il tasso di inattività nella classe di età 55-64 anni, seppure in costante calo nell'ultimo decennio, conferma la bassa partecipazione al mercato del lavoro di questa fascia di popolazione, presentando un accentuato gap di genere a sfavore delle donne in tutte ripartizioni geografiche. A livello Italia, nel 2015, il tasso di inattività registrato è del 48,9 per cento, a sintesi del 36,7 per cento degli uomini e del 60,4 per cento delle donne. A livello territoriale, il centro è l'area con i tassi più contenuti, sia per le donne (52,4 per cento) che per gli uomini (31,8 per cento), il nord si attesta su un valore intermedio (il 37,0 per cento per gli uomini e il 57,4 per cento per le donne), mentre il Mezzogiorno è quella con i valori più elevati (il 39,1 per cento per gli uomini e il 69,0 per cento fra le donne) e il divario più esteso;
un ripensamento complessivo della logica e delle modalità di inclusione delle persone anziane nel mercato del lavoro è necessario per rendere lavoratrici e lavoratori giovani e meno giovani complementari e non antagonisti;
la valorizzazione del lavoro delle classi di età mature e anziane è il focus di riferimento principale, da sviluppare con attenzione sia al livello delle politiche pubbliche o di sistema, sia a quello delle linee di azione nell'ambito delle organizzazioni private e pubbliche;
la capacità di non appiattire, ma anzi di valorizzare il contributo delle donne e degli uomini, dei giovani e degli anziani, di chi possiede competenze, abilità e culture diverse può consentire, nel contesto attuale, e sempre di più in futuro, all'impresa di fare un reale balzo in avanti. In particolare, di guadagnare un vantaggio competitivo sul mercato, di adattarsi ed anticipare i cambiamenti demografici in atto, di garantire la creazione di un clima di reciproco scambio e di collaborazione che incoraggia le persone a rimanere nell'azienda e a crescere;
una prima risposta è stata offerta dall'articolo 4, comma 8, della legge 28 giugno 2012, n. 92, con il quale si è introdotto, a decorrere dal 2013, una specifica tipologia di incentivi all'occupazione consistenti nella riduzione, nella misura del 50 per cento, per 18 mesi, dei contributi di previdenza ed assistenza sociale a carico del datore di lavoro, in caso di assunzione a tempo indeterminato di lavoratori ultracinquantenni;
successivamente, il decreto legislativo n. 22 del 4 marzo 2015, in attuazione della legge delega n. 183 del 2014, a previsto il cosiddetto contratto di ricollocazione, prevedendo il diritto del lavoratore ad un'assistenza appropriata nella ricerca della nuova occupazione, programmata, strutturata e gestita secondo le migliori tecniche del settore da parte dell'agenzia per il lavoro; è stato inoltre riconosciuto il diritto del lavoratore alla realizzazione, da parte dell'agenzia stessa, di iniziative di ricerca, addestramento, formazione o riqualificazione professionale, mirate a sbocchi occupazionali effettivamente esistenti ed appropriati, in relazione alle capacità del lavoratore ed alle condizioni del mercato del lavoro nella zona in cui il soggetto sia stato preso in carico;
in tale prospettiva, un ruolo strategico viene riconosciuto ai servizi per il lavoro, quali strutture deputate alla gestione di azioni ed interventi di politica attiva e passiva orientati a rispondere alle nuove domande sociali connesse al prolungamento della vita lavorativa;
a tale fine, la riforma delle politiche attive del lavoro portata avanti dal Governo in carica, attraverso la promozione di un collegamento tra misure di sostegno al reddito della persona inoccupata o disoccupata e misure volte al suo inserimento nel tessuto produttivo anche attraverso la conclusione di accordi per la ricollocazione, grazie al ruolo dell'Agenzia nazionale per le politiche del lavoro, istituita con il decreto legislativo n. 150 del 14 settembre 2015, dovrà trovare il più sollecito perfezionamento operativo;
parimenti, un ruolo centrale potrà essere svolto dai fondi di solidarietà, come disciplinati dal decreto legislativo n. 148 del 2015, con la finalità di assicurare a tutti i lavoratori e le lavoratrici una tutela in costanza del rapporto di nei casi di riduzione o sospensione dell'attività lavorativa per le cause previste dalla normativa in materia di cassa integrazione guadagni ordinaria e cassa integrazione guadagni straordinaria; nonché, in particolare, di prevedere assegni straordinari per il sostegno al reddito, riconosciuti nel quadro dei processi di agevolazione all'esodo, a coloro che raggiungano i requisiti previsti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato nei successivi cinque anni; contribuire al finanziamento di programmi formativi di fondi europei;
da ultimo, la legge 28 dicembre 2015, n. 208, all'articolo 1, comma 284, ha introdotto per il settore privato, una specifica disciplina transitoria, relativa ad una fattispecie di trasformazione da tempo pieno a tempo parziale del rapporto di lavoro subordinato per i lavoratori a cui mancano tre anni alla pensione, i quali potranno scegliere di passare al part-time, mantenendo uno stipendio pari a circa il 65 per cento rispetto a quello percepito fino a quel momento e senza nessuna penalizzazione sulle pensioni;
il fenomeno dell'alta presenza dei lavoratori maturi diverrà un tema centrale di cui le aziende, insieme alle istituzioni e alle organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori, dovranno occuparsi nel quotidiano. A fronte di una popolazione sempre più ageé, dunque, diviene indispensabile interrogarsi sulle strategie per sfruttare in chiave competitiva tali mutamenti e avviare azioni di valorizzazione della fascia « over», tal fine di garantirsi lavoratori «attivi» fino al momento dell'uscita dal mercato del lavoro;
un percorso sull'invecchiamento attivo permette all'azienda di valorizzare meglio le sue risorse in termini di capitale umano, ma anche di ripensare le sue politiche di risorse umane, nell'ottica della gestione delle carriere dei lavoratori in azienda lungo tutto l'arco della vita, contribuendo in questo modo ad una migliore pianificazione delle politiche di risorse umane e all'ideazione di diversi percorsi di crescita professionale,
impegna il Governo:
a proseguire, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, nell'azione di sperimentazione di iniziative di sostegno di modalità di impiego flessibile dei lavoratori ultracinquantenni, anche prevedendo forme di scambio generazionale delle competenze, senza penalizzazioni sia per i giovani sia per i lavoratori più anziani;
a rafforzare le politiche di sostegno al reddito dei lavoratori cosiddetti maturi, verificando la possibilità di adottare, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica, un percorso di accompagnamento per i lavoratori vicini al pensionamento;
a monitorare gli effetti dei diversi strumenti legislativi adottati finora, per il sostegno dell'occupazione dei lavoratori ultracinquantenni, anche al fine di un più efficace coordinamento e di una ridefinizione degli interventi esistenti;
a procedere con la massima sollecitudine al perfezionamento del processo di costituzione dell'Agenzia nazionale per le politiche attive, delineando specifiche linee di azione rivolte all'orientamento e al sostegno nella ricerca di nuova occupazione per i lavoratori ultracinquantenni, anche attraverso la definizione di appositi percorsi formativi, volti a moltiplicare le occasioni di apprendimento e di riqualificazione in età adulta.
(1-01245)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Miccoli, Damiano, Gnecchi, Albanella, Arlotti, Baruffi, Boccuzzi, Casellato, Di Salvo, Cinzia Maria Fontana, Giacobbe, Gribaudo, Incerti, Patrizia Maestri, Paris, Giorgio Piccolo, Rostellato, Rotta, Simoni, Tinagli, Zappulla, Vico, Nesi, Antezza, Amoddio».
La Camera,
premesso che:
nel Paese, le recenti riforme del mercato del lavoro e del settore pensionistico hanno prodotto un effetto di segmentazione, di categorizzazione dei lavoratori che ha reso manifesto il rischio, purtroppo divenuto realtà, di un conflitto intergenerazionale;
come detto, una delle cause di questo esito è rappresentato dal fatto che, in condizioni di stagnazione economica, di bassa produttività, stante la contemporanea ed endemica presenza di un alto debito e deficit pubblico che rende ancor più complessa la situazione socio-economica che l'intero Paese attraversa, la riforma del mercato del lavoro e delle pensioni non sono state considerate come variabili tra loro dipendenti, avendo preferito intraprendere un percorso riformatore autonomo che ha però portato all'emanazione di una disciplina non solo distinta, ma anche separata, facendo in modo che, oggettivamente, il diritto al lavoro e il suo corollario, il diritto alla pensione, siano tra loro attualmente in contrapposizione;
in tale situazione si assiste al fenomeno di alte percentuali di inoccupati e disoccupati, siano essi giovani o anziani, causate come detto da precedenti dissennate scelte di utilizzo delle risorse pubbliche, ma anche da attuali scelte politiche e giuridiche che hanno frammentato interessi, diritti, patti sociali;
il fenomeno del mancato inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, secondo dati Istat, è da imputarsi anche al mantenimento nel circuito produttivo di un numero sempre crescente dei lavoratori cosiddetti maturi, fenomeno conseguente anche alla riforma del settore previdenziale;
nonostante il Governo abbia emanato norme sul mercato di lavoro all'asserito fine di incrementare le assunzioni, tale risultato non è stato conseguito, come da molte previsioni liquidate dal Governo con il fastidio riservato a qualunque critica costruttiva: così il tasso di disoccupazione in genere, riguardante tutti, giovani e anziani, uomini e donne, resta ancora molto alto, pari all'11,4 per cento. Numeri che sottolineano l'urgenza di intervenire ulteriormente, alla luce dell'esperienza fatta;
utile sarebbe l'emanazione di una nuova normativa relativa sia al settore pensionistico, attraverso una revisione dei requisiti pensionistici, che del mercato del lavoro, con il mantenimento o la proposizione di diversi e più efficaci incentivi al fine di aumentare l'occupazione, il reddito e l'attività d'impresa. Infatti, nonostante siano aumentati i contratti a tempo indeterminato, non è diminuito il precariato, né tanto meno l'occupazione giovanile ha subito un'impennata. Sono inoltre aumentati gli inattivi, pari al 35,5 per cento in base ai dati Istat. La situazione descritta è diversa da quanto si poteva sperare dopo l'entrata in vigore delle nuove norme del lavoro. Appare assente l'auspicata e necessaria spinta al rilancio occupazionale, con ciò accomunando nel medesimo destino giovani e non, inoccupati e disoccupati;
grave appare anche la condizione dei lavoratori ultraquarantenni e ultracinquantenni, poiché si è giunti ad un punto nel quale la disoccupazione non ha età. Si tratta di cittadini che si trovano in una spiacevole condizione: essere senza pensione, ma anche senza lavoro;
si è poi in presenza di una generazione che il presidente della Bce, Mario Draghi, ha definito come la «più istruita di sempre», la quale rischia di essere perduta definitivamente. L'Istat conferma i temuti calcoli dell'Inps secondo cui, per un lavoratore tipo nato tra il 1980 e il 1990, c’è una discontinuità contributiva, legata probabilmente a episodi di disoccupazione, di circa due anni. Un «buco» destinato a pesare sul raggiungimento delle pensioni, che a seconda del prolungamento dell'interruzione può slittare fino a 75 anni. La criticità della situazione è dimostrata dai dati Istat, che evidenziano un'occupazione sempre più a macchia di leopardo;
le principali criticità derivanti dalla riforma previdenziale del 2011 appaiono connesse, nell'immediato, alle problematiche legate alla possibilità di prosecuzione dell'attività da parte dei lavoratori anziani e alle eventuali ricadute negative sull'equità e la crescita economica e, nel futuro più prossimo, alle rigidità e iniquità introdotte all'interno del sistema contributivo riguardo alla possibilità di accedere alle pensioni anticipate. La riforma non è invece intervenuta per provare a sanare quella che, in prospettiva, appare la principale criticità del sistema previdenziale italiano, ovvero la mancanza di misure che contrastino i rischi di inadeguatezza delle prestazioni per i lavoratori appartenenti allo schema contributivo che dovessero essere caratterizzati da carriere svantaggiate e intermittenti;
allo stesso modo, analizzando in prospettiva gli effetti della riforma del mercato del lavoro, quelli macroeconomici sono trascurabili nel medio-lungo periodo, mentre quelli occupazionali sono moderatamente negativi nel caso dei provvedimenti di riforma adottati negli ultimi due anni, e in media debolmente positivi, nel caso dell'implementazione della «Garanzia Giovani»;
appare necessaria una nuova – e assai diversa – stagione di legislazione riformatrice, che abbia un respiro ampio, non limitato al raggiungimento di insufficienti risultati immediati, bensì basata su proposte che abbiano il necessario respiro lungo, con un orizzonte temporale di ampio periodo che riesca ad invertire la rotta attuale, mediante la realizzazione di riforme strutturali in grado di dare un futuro dignitoso a chiunque, mediante un equo e coordinato contemperamento delle esigenze, dei bisogni, dei diritti di tutti i cittadini, senza più segmentare i provvedimenti a favore di determinati soggetti individuati in base al parametro dell'età, avente il grande limite di programmare solo il breve periodo, con ciò evidenziando i vantaggi ricevuti da una sola categoria e il disinteresse verso la contemporanea regressione dei diritti di altre categorie di cittadini conseguente all'attuazione della riforma stessa,
impegna il Governo:
ad adottare le opportune iniziative necessarie a favorire la creazione di laboratori sociali dove i cosiddetti lavoratori maturi possano proseguire la propria attività, anche al fine di trasmettere conoscenze, saperi, abilità ai giovani lavoratori, con particolare riferimento ai cosiddetti «vecchi mestieri», che si sta rischiando di perdere come patrimonio non solo lavorativo ed economico ma anche culturale, per meglio valorizzare le peculiarissime capacità, risorse e competenze trasmesse da moltissime generazioni precedenti, facendo dell'Italia un modello di cui è bene farsi interpreti, innovando nella tradizione;
ad adottare le opportune iniziative necessarie a favorire una nuova formazione e riqualificazione dei lavoratori ultracinquantenni al fine di aumentare le potenzialità imprenditoriali e lavorative mediante l'opportuno utilizzo di internet, che rappresenta il mezzo mediante il quale offrire a chiunque abbia le necessarie competenze nuove opportunità di lavoro e impresa, e, conseguentemente, a predisporre tutte le azioni necessarie a ridurre il digital divide;
ad adottare le opportune iniziative necessarie a favorire e incentivare ulteriormente l'utilizzo di diverse tipologie contrattuali come il part-time, l’home working, il job-sharing, con particolare riguardo ai lavoratori in età matura;
ad adottare le opportune iniziative necessarie a favorire l'attuazione di ulteriori effettive, efficaci ed efficienti politiche di sostegno al reddito universale, con particolare riferimento ai cosiddetti lavoratori maturi;
ad adottare efficaci e concrete iniziative, entro l'anno corrente, volte a favorire il pensionamento dei lavoratori aventi un'età che li rende prossimi alla pensione.
(1-01246) «Baldassarre, Artini, Bechis, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino, Segoni, Turco».
La Camera
impegna il Governo:
a sostenere, per quanto di competenza, eventuali iniziative volte a favorire la creazione di laboratori sociali dove i cosiddetti lavoratori maturi possano proseguire la propria attività, anche al fine di trasmettere conoscenze, saperi, abilità ai giovani lavoratori, con particolare riferimento ai cosiddetti «vecchi mestieri», che si sta rischiando di perdere come patrimonio non solo lavorativo ed economico ma anche culturale, per meglio valorizzare le capacità, risorse e competenze trasmesse sino da moltissime generazioni precedenti;
a favorire ogni utile iniziativa finalizzata alla riqualificazione dei lavoratori ultracinquantenni;
a valorizzare le iniziative già adottate tese a favorire l'utilizzo di strumenti di flessibilità quali il part-time e il lavoro agile anche per i lavoratori maturi;
a incentivare l'occupazione dei lavoratori maturi;
a valutare, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica, la possibilità di prevedere forme flessibili di accesso alla pensione.
(1-01246)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Baldassarre, Artini, Bechis, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino, Segoni, Turco».
La Camera,
premesso che:
l'articolo 4 della Costituzione italiana recita espressamente: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società»;
pertanto, tutti i cittadini italiani hanno diritto ad un lavoro, tuttavia, anche attraverso l'adozione di interventi normativi per incentivare l'occupazione di specifiche fasce di disoccupati, si rischia spesso di discriminare altri cittadini e pregiudicarli rispetto alle possibilità di accesso al mercato del lavoro;
al riguardo, una delle più grandi discriminazioni che si sta attuando è quella nei confronti dei disoccupati cosiddetti «maturi». Si tratta dei cittadini ultraquarantenni che hanno perso il lavoro in età matura e non riescono a ricollocarsi, per la sussistenza di ostacoli di varia natura, che si sono ormai incardinati nel mercato del lavoro;
le istituzioni, sia nazionali che locali, non hanno mai adottato concrete iniziative a tutela di queste persone, che, non solo non hanno più un'occupazione, ma non possono accedere, né al trattamento previdenziale, né a valide iniziative di natura sociale a loro sostegno;
si tratta, dunque, di una classe di lavoratori disoccupati, che vive in una situazione di emarginazione, sebbene il loro status di disoccupati è di gran lunga più grave di quello relativo alla classe dei giovani, poiché spesso si tratta di persone che devono sostenere economicamente il proprio nucleo familiare. Il disoccupato maturo ha una situazione anche psicologica oggettivamente peggiore, poiché si trova in una fascia di età in cui sembra un fatto scontato quello di dover produrre reddito per mantenere i propri figli e difficilmente si è sostenuti economicamente dai genitori, anzi, accade che anche questi ultimi possano essere a carico. Inoltre, queste persone, oltre ad aver perso il lavoro, si trovano, di frequente, a dover sostenere rilevanti spese, poiché hanno precedentemente acceso dei mutui, richiesto prestiti, retto costi per gli studi dei figli, a cui non possono più far fronte e che comportano l'accumulo di debiti, con ulteriore ed evidente aggravio della loro situazione;
gli interventi normativi, favorendo soprattutto l'occupazione giovanile, hanno alimentato un evidente pregiudizio da parte delle imprese nei confronti dei lavoratori maturi, che può essere espresso nel concetto di «young in, old out». Al riguardo, si ricorda che il decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, «Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro» pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, n. 187, del 13 agosto 2003, all'articolo 3 sancisce: «Il principio di parità di trattamento senza distinzione di età si applica a tutte le persone sia nel settore pubblico che privato con specifico riferimento alle seguenti aree: accesso all'occupazione e al lavoro, sia autonomo che dipendente, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione (...)». In definitiva, quindi, non è legittimo discriminare in base all'età, eppure sono a dir poco frequenti i limiti in tal senso, nelle procedure selettive e nelle offerte di lavoro. Tale discriminazione, attuata da aziende multinazionali, piccole imprese, agenzie per il lavoro e grandi società di head hunting, sussiste in mancanza di controlli e di un garante che faccia rispettare la normativa in materia;
a tale scenario, si aggiungono ulteriori interventi che hanno pregiudicato i disoccupati maturi, ossia le riforme previdenziali varate negli ultimi anni e caratterizzate dall'inserimento di criteri peggiorativi, rispetto ai requisiti temporali, per l'accesso alla pensione. In particolare, si è trattato di riforme che, proprio nella fase di crescita del fenomeno dell'espulsione dal ciclo produttivo dei lavoratori cosiddetti «over», hanno del tutto ignorato le conseguenze devastanti per coloro che, a pochi anni dal riconoscimento del diritto alla pensione, hanno perso il lavoro e, contestualmente, si sono visti prorogare, nel tempo, il requisito anagrafico e/o contributivo, per ottenere l'assegno pensionistico che avrebbe rappresentato l'unica possibile fonte di reddito,
impegna il Governo:
ad adottare iniziative che prevedano specifici e idonei controlli, anche istituendo un'apposita figura che faccia da garante, per escludere ogni iniziativa che comporti discriminazioni in base all'età e pregiudichi l'accesso e la ricollocazione dei cosiddetti lavoratori maturi nel mondo del lavoro;
a porre in essere ogni intervento che rimuova gli ostacoli che, ad oggi, hanno complicato, se non impedito, la ricollocazione dei lavoratori maturi, contestualmente, promuovendo iniziative che agevolino il loro accesso/ricollocazione nel mondo del lavoro;
ad assumere iniziative volte a promuovere, presso i centri per l'impiego, percorsi formativi finalizzati al ricollocamento e, in virtù delle loro specificità, dedicati ai lavoratori inoccupati di età superiore a 40 anni, con garanzia di accesso gratuito all'offerta formativa, nonché di accesso gratuito a servizi di orientamento professionale;
a promuovere specifiche ed immediate iniziative a sostegno di coloro che sono rimasti senza una fonte di reddito, poiché hanno perso il lavoro e, contestualmente, non hanno potuto ottenere il trattamento pensionistico, avendo subito un peggioramento dei requisiti per accedervi;
a porre in essere ogni idonea iniziativa per consentire la legittima uscita dal mondo del lavoro e, di conseguenza, l'accesso al trattamento pensionistico di quelle categorie che hanno subito evidenti penalizzazioni dalle recenti riforme pensionistiche (a titolo di esempio, i cosiddetti quota 96, quota 41, lavoratori «quindicenni» della «riforma Amato»), in modo da favorire l'ingresso nel mercato del lavoro di inoccupati e disoccupati.
(1-01247) «Rizzetto, Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa, Maietta, Nastri, Petrenga, Taglialatela, Totaro».
La Camera
impegna il Governo:
a porre in essere utili interventi al fine di rimuovere gli eventuali ostacoli alla ricollocazione dei lavoratori maturi e sostenere iniziative che agevolino il loro accesso/ricollocazione nel mondo del lavoro;
ad assumere iniziative volte a promuovere, presso i centri per l'impiego, percorsi formativi finalizzati al ricollocamento dei lavoratori cosiddetti maturi;
a promuovere, compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica, ogni utile iniziativa a sostegno di coloro che sono rimasti senza una fonte di reddito;
a valutare, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica, la possibilità di prevedere forme flessibili di accesso alla pensione.
(1-01247)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Rizzetto, Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa, Maietta, Nastri, Petrenga, Taglialatela, Totaro».
La Camera,
premesso che:
i dati diffusi dall'Istat nel mese di febbraio 2016, testimoniano un tasso di disoccupazione dell'11,7 per cento, in lieve aumento (0,1 per cento). A febbraio il numero dei disoccupati è cresciuto dello 0,3 per cento pari a +7 mila, sintesi di una crescita tra gli uomini e un calo tra le donne;
diminuisce anche il numero degli occupati. Dopo la crescita di gennaio (+0,3 per cento pari a +73 mila), a febbraio la stima degli occupati diminuisce dello 0,4 per cento (-97 mila persone occupate). La diminuzione di occupati coinvolge uomini e donne e si concentra tra i 25-49enni, mentre, la stima degli inattivi tra i 15 e i 64 anni aumenta dello 0,4 per cento (+58.000);
su base annua il numero di occupati è in crescita dello 0,4 per cento (+96 mila, +238 mila i dipendenti a tempo indeterminato), mentre calano sia i disoccupati (-4,4 per cento, pari a –136 mila), sia gli inattivi (-0,7 per cento, –99 mila);
si tratta, come ha evidenziato il Ministro Poletti di un mercato del lavoro che continua a registrare oscillazioni congiunturali legate ad una situazione economica che presenta ancora incertezze;
le oscillazioni non modificano, comunque, la tendenza positiva dell'occupazione nel medio periodo: su base annua, si registrano 136.000 disoccupati in meno e 96.000 occupati in più. Un dato, quest'ultimo, sul quale incide in particolare l'aumento consistente dei lavoratori a tempo indeterminato;
in questo contesto, si inserisce il problema dei disoccupati maturi, ultraquarantenni che hanno perso il posto di lavoro e per i quali è sempre più difficile trovare una collocazione. Il problema dei lavoratori «over 40» è sempre più sentito in un contesto in cui il mercato è in tensione ed in continua riprogrammazione a favore della ancora più temuta disoccupazione giovanile, cosa che rende il reinserimento degli over 40 sempre più complesso;
è evidente la necessità, sentita soprattutto in conseguenza dell'abolizione del pensionamento di anzianità e dell'aumento dell'età del pensionamento di vecchiaia, disposti dal decreto-legge n. 201 del 2011, di ricorrere a nuovi strumenti giuridici in grado di rafforzare la domanda di lavoro, rimuovendo gli ostacoli che impediscono o comunque frenano la domanda e l'offerta nella fascia degli over quaranta;
occorre favorire l'invecchiamento attivo, combinando e conciliando le esigenze peculiari dei lavoratori fuoriusciti dal mercato del lavoro – a causa della perdita del posto di lavoro o perché inattivi e immotivati nella ricerca di uno nuovo – e quelle delle imprese, delle famiglie e delle comunità locali;
nella passata legislatura diverse sono state le proposte avanzate e discusse, in merito, che nella presente legislatura hanno trovato un parziale seguito attraverso i decreti delegati al cosiddetto «Jobs Act» e con la legge di stabilità 2616; ci si riferisce in particolare alle proposte riguardanti la possibilità di riduzione dell'orario di lavoro dal tempo pieno al tempo parziale per i lavoratori nel quinquennio precedente al pensionamento, con agevolazione della copertura previdenziale per la parte che rimarrebbe altrimenti scoperta, così come quella riguardante un incentivo all'assunzione di giovani in corrispondenza con la riduzione dell'orario dei lavoratori cosiddetti «anziani», e quella riguardante la possibilità di attivazione di un pensionamento parziale, in corrispondenza con la riduzione dell'orario;
si tratta di proposte alimentate dalla necessità di venire incontro alla disoccupazione giovanile, in grado di prendere in considerazione contemporaneamente l'emergenza, sempre più allarmante dell'occupazione dei lavoratori maturi;
da ciò si pone anche quindi la necessità di intervenire nella fase di accesso al lavoro, nella maternità e nella malattia, e altro e non solo attivando dei meccanismi, basati sulle politiche di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e su forme di promozione del cosiddetto «invecchiamento attivo». In tal senso, le politiche e le strategie aziendali dovrebbero mirare a trarre il meglio dalle potenzialità che i lavoratori esprimono in funzione sia della loro età, ma anche della loro condizione personale e familiare;
dunque, occorrerebbe promuovere una politica (sia pubblica che aziendale) legata al ciclo di vita per garantire, in tutti i casi, politiche di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, di ricambio generazionale, che operino attraverso modelli non più basati sul conflitto generazionale, ma piuttosto sulla valorizzazione delle persone;
è di tutta evidenza la necessità non solo di introdurre incentivi mirati a sostenere la ricollocazione dei lavoratori maturi espulsi o a rischio di espulsione dal mercato del lavoro, ma soprattutto di promuovere e agevolare l'utilizzo di strumenti e politiche finalizzate a sostenere la diversa capacità di lavoro di questi lavoratori. Dunque valorizzazione della persona, del lavoratore, posto al centro delle attività produttive e occupazionali;
nel corso degli ultimi anni, tuttavia, sono stati applicati incentivi economici di sostegno alle assunzioni, che si sono rivelati utili, ma da soli non sufficienti a risolvere il problema occupazionale. Infatti, agli incentivi nazionali previsti dalla cosiddetta «legge Fornero» (riduzione del 50 per cento, della quota contributiva a carico del datore di lavoro per l'assunzione di un lavoratore over 50 disoccupato da almeno 12 mesi con contratto a tempo indeterminato, determinato o di somministrazione), si sono aggiunti incentivi regionali anche questi finalizzati alle assunzioni. Incentivi per lo più di tipo esclusivamente economico (in 10 regioni), con azioni integrate (6 regioni) o di natura strettamente formativa (2 regioni);
in questo contesto, appaiono necessarie politiche occupazionali di sostegno ai lavoratori maturi, in grado di porre l'accento non solo sull'occupabilità, ma anche sulla capacità di lavoro (diversity management), ambito quasi totalmente disatteso dal tipo di incentivi finora attuati;
è importante conoscere e monitorare la situazione occupazionale dei lavoratori over 40, su cui ad oggi non si hanno dati puntuali, ma solo presunti, a causa di quanti, sconfortati, abbandonano la ricerca di un posto di lavoro. Solo così è possibile favorire il cambiamento culturale tanto atteso, nel mondo imprenditoriale, nelle parti sociali, nonché nei lavoratori stessi, valorizzando l'età come esperienza da utilizzare in tutti i contesti della vita sociale e lavorativa,
impegna il Governo:
a promuovere ogni utile iniziativa atta a diffondere una cultura nonché «buone pratiche» finalizzate alla valorizzazione degli ultraquarantenni nei processi di ricerca e selezione di personale, favorendo un approccio pro-attivo tra i principali player del mercato del lavoro (agenzie del lavoro e imprese);
ad assumere le iniziative di competenza volte a coinvolgere in tale evoluzione le aziende e tutti gli operatori del mercato, con azioni di sensibilizzazione nei luoghi lavoro, anche attraverso tavoli di concertazione ad hoc che rappresentino il mondo del lavoro e dei sindacati;
a prevedere campagne di comunicazione sui principali media italiani per dare visibilità ad imprese e agenzie del lavoro che hanno sviluppato comportamenti o realizzato esperienze particolarmente interessanti e innovative sul tema dei lavoratori maturi, promuovendo e valorizzando i comportamenti particolarmente virtuosi;
ad adottare iniziative, anche normative, atte a favorire un'equilibrata combinazione tra gli incentivi economici e le buone pratiche manageriali, oltre che una efficiente rete di outplacement e ricollocazione degli ultraquarantenni, anche con l'ausilio di un monitoraggio continuo dei fondi stanziati in tale ambito.
(1-01251) «Palladino, Monchiero, Vargiu, Vezzali, Oliaro, Nesi».
La Camera,
premesso che:
i dati diffusi dall'Istat nel mese di febbraio 2016, testimoniano un tasso di disoccupazione dell'11,7 per cento, in lieve aumento (0,1 per cento). A febbraio il numero dei disoccupati è cresciuto dello 0,3 per cento pari a +7 mila, sintesi di una crescita tra gli uomini e un calo tra le donne;
diminuisce anche il numero degli occupati. Dopo la crescita di gennaio (+0,3 per cento pari a +73 mila), a febbraio la stima degli occupati diminuisce dello 0,4 per cento (-97 mila persone occupate). La diminuzione di occupati coinvolge uomini e donne e si concentra tra i 25-49enni, mentre, la stima degli inattivi tra i 15 e i 64 anni aumenta dello 0,4 per cento (+58.000);
su base annua il numero di occupati è in crescita dello 0,4 per cento (+96 mila, +238 mila i dipendenti a tempo indeterminato), mentre calano sia i disoccupati (-4,4 per cento, pari a –136 mila), sia gli inattivi (-0,7 per cento, –99 mila);
si tratta, come ha evidenziato il Ministro Poletti di un mercato del lavoro che continua a registrare oscillazioni congiunturali legate ad una situazione economica che presenta ancora incertezze;
le oscillazioni non modificano, comunque, la tendenza positiva dell'occupazione nel medio periodo: su base annua, si registrano 136.000 disoccupati in meno e 96.000 occupati in più. Un dato, quest'ultimo, sul quale incide in particolare l'aumento consistente dei lavoratori a tempo indeterminato;
in questo contesto, si inserisce il problema dei disoccupati maturi, ultraquarantenni che hanno perso il posto di lavoro e per i quali è sempre più difficile trovare una collocazione. Il problema dei lavoratori «over 40» è sempre più sentito in un contesto in cui il mercato è in tensione ed in continua riprogrammazione a favore della ancora più temuta disoccupazione giovanile, cosa che rende il reinserimento degli over 40 sempre più complesso;
è evidente la necessità, sentita soprattutto in conseguenza dell'abolizione del pensionamento di anzianità e dell'aumento dell'età del pensionamento di vecchiaia, disposti dal decreto-legge n. 201 del 2011, di ricorrere a nuovi strumenti giuridici in grado di rafforzare la domanda di lavoro, rimuovendo gli ostacoli che impediscono o comunque frenano la domanda e l'offerta nella fascia degli over quaranta;
occorre favorire l'invecchiamento attivo, combinando e conciliando le esigenze peculiari dei lavoratori fuoriusciti dal mercato del lavoro – a causa della perdita del posto di lavoro o perché inattivi e immotivati nella ricerca di uno nuovo – e quelle delle imprese, delle famiglie e delle comunità locali;
nella passata legislatura diverse sono state le proposte avanzate e discusse, in merito, che nella presente legislatura hanno trovato un parziale seguito attraverso i decreti delegati al cosiddetto «Jobs Act» e con la legge di stabilità 2616; ci si riferisce in particolare alle proposte riguardanti la possibilità di riduzione dell'orario di lavoro dal tempo pieno al tempo parziale per i lavoratori nel quinquennio precedente al pensionamento, con agevolazione della copertura previdenziale per la parte che rimarrebbe altrimenti scoperta, così come quella riguardante un incentivo all'assunzione di giovani in corrispondenza con la riduzione dell'orario dei lavoratori cosiddetti «anziani», e quella riguardante la possibilità di attivazione di un pensionamento parziale, in corrispondenza con la riduzione dell'orario;
si tratta di proposte alimentate dalla necessità di venire incontro alla disoccupazione giovanile, in grado di prendere in considerazione contemporaneamente l'emergenza, sempre più allarmante dell'occupazione dei lavoratori maturi;
da ciò si pone anche quindi la necessità di intervenire nella fase di accesso al lavoro, nella maternità e nella malattia, e altro e non solo attivando dei meccanismi, basati sulle politiche di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e su forme di promozione del cosiddetto «invecchiamento attivo». In tal senso, le politiche e le strategie aziendali dovrebbero mirare a trarre il meglio dalle potenzialità che i lavoratori esprimono in funzione sia della loro età, ma anche della loro condizione personale e familiare;
dunque, occorrerebbe promuovere una politica (sia pubblica che aziendale) legata al ciclo di vita per garantire, in tutti i casi, politiche di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, di ricambio generazionale, che operino attraverso modelli non più basati sul conflitto generazionale, ma piuttosto sulla valorizzazione delle persone;
è di tutta evidenza la necessità non solo di introdurre incentivi mirati a sostenere la ricollocazione dei lavoratori maturi espulsi o a rischio di espulsione dal mercato del lavoro, ma soprattutto di promuovere e agevolare l'utilizzo di strumenti e politiche finalizzate a sostenere la diversa capacità di lavoro di questi lavoratori. Dunque valorizzazione della persona, del lavoratore, posto al centro delle attività produttive e occupazionali;
nel corso degli ultimi anni, tuttavia, sono stati applicati incentivi economici di sostegno alle assunzioni, che si sono rivelati utili, ma da soli non sufficienti a risolvere il problema occupazionale. Infatti, agli incentivi nazionali previsti dalla cosiddetta «legge Fornero» (riduzione del 50 per cento, della quota contributiva a carico del datore di lavoro per l'assunzione di un lavoratore over 50 disoccupato da almeno 12 mesi con contratto a tempo indeterminato, determinato o di somministrazione), si sono aggiunti incentivi regionali anche questi finalizzati alle assunzioni. Incentivi per lo più di tipo esclusivamente economico (in 10 regioni), con azioni integrate (6 regioni) o di natura strettamente formativa (2 regioni);
in questo contesto, appaiono necessarie politiche occupazionali di sostegno ai lavoratori maturi, in grado di porre l'accento non solo sull'occupabilità, ma anche sulla capacità di lavoro (diversity management), ambito quasi totalmente disatteso dal tipo di incentivi finora attuati;
è importante conoscere e monitorare la situazione occupazionale dei lavoratori over 40, su cui ad oggi non si hanno dati puntuali, ma solo presunti, a causa di quanti, sconfortati, abbandonano la ricerca di un posto di lavoro. Solo così è possibile favorire il cambiamento culturale tanto atteso, nel mondo imprenditoriale, nelle parti sociali, nonché nei lavoratori stessi, valorizzando l'età come esperienza da utilizzare in tutti i contesti della vita sociale e lavorativa,
impegna il Governo:
a promuovere ogni utile iniziativa atta a diffondere una cultura nonché «buone pratiche» finalizzate alla valorizzazione degli ultraquarantenni nei processi di ricerca e selezione di personale, favorendo un approccio pro-attivo tra i principali player del mercato del lavoro (agenzie del lavoro e imprese);
ad intraprendere le opportune iniziative di competenza volte a coinvolgere in tale evoluzione le aziende;
a valutare l'opportunità di prevedere campagne di comunicazione sui principali media italiani per dare visibilità ad imprese e agenzie del lavoro che hanno sviluppato comportamenti o realizzato esperienze particolarmente interessanti e innovative;
a valutare la possibilità di adottare iniziative, anche normative, volte a favorire un'equilibrata combinazione tra gli incentivi economici e le buone pratiche manageriali, oltre che una efficiente rete di ricollocazione degli ultraquarantenni anche attraverso il monitoraggio dei fondi stanziati in tale ambito.
(1-01251)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Palladino, Monchiero, Vargiu, Vezzali, Oliaro, Nesi».
DISEGNO DI LEGGE: RATIFICA ED ESECUZIONE DELL'ACCORDO DI COOPERAZIONE TRA IL GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA E IL REGNO HASCEMITA DI GIORDANIA IN MATERIA DI LOTTA ALLA CRIMINALITÀ, FATTO AD AMMAN IL 27 GIUGNO 2011 (A.C. 3285-A)
A.C. 3285-A – Parere della V Commissione
PARERE DELLA V COMMISSIONE SUL TESTO DEL PROVVEDIMENTO
Sul testo del provvedimento in oggetto:
PARERE FAVOREVOLE
A.C. 3285-A – Articolo 1
ARTICOLO 1 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO DEL GOVERNO
Art. 1.
(Autorizzazione alla ratifica).
1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare l'Accordo di cooperazione tra il Governo della Repubblica italiana e il Regno hascemita di Giordania in materia di lotta alla criminalità, fatto ad Amman il 27 giugno 2011.
A.C. 3285-A – Articolo 2
ARTICOLO 2 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO DEL GOVERNO
Art. 2.
(Ordine di esecuzione).
1. Piena ed intera esecuzione è data all'Accordo di cui all'articolo 1 della presente legge, a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, in conformità a quanto disposto dall'articolo 15 dell'Accordo stesso.
A.C. 3285-A – Articolo 3
ARTICOLO 3 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE
Art. 3.
(Copertura finanziaria).
1. Agli oneri derivanti dagli articoli 3, 6, 7 e 9 dell'Accordo di cui all'articolo 1 della presente legge, valutati in euro 125.650 annui a decorrere dall'anno 2016, e dalle rimanenti spese, pari a euro 42.908 annui a decorrere dall'anno 2016, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2016-2018, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2016, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.
2. Ai sensi dell'articolo 17, comma 12, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, il Ministro dell'interno provvede al monitoraggio degli oneri di cui alla presente legge e riferisce in merito al Ministro dell'economia e delle finanze. Nel caso si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni di cui al comma 1 del presente articolo, il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro dell'interno, provvede con proprio decreto alla riduzione, nella misura necessaria alla copertura finanziaria del maggior onere risultante dall'attività di monitoraggio, delle dotazioni finanziarie rimodulabili di parte corrente di cui all'articolo 21, comma 5, lettera b), della citata legge n. 196 del 2009, destinate alle spese di missione e di formazione nell'ambito del programma «Contrasto al crimine, tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica» e, comunque, della missione «Ordine pubblico e sicurezza» dello stato di previsione del Ministero dell'interno.
3. Il Ministro dell'economia e delle finanze riferisce senza ritardo alle Camere con apposita relazione in merito alle cause degli scostamenti e all'adozione delle misure di cui al comma 2.
4. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
A.C. 3285-A – Articolo 4
ARTICOLO 4 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO DEL GOVERNO
Art. 4.
(Entrata in vigore).
1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
A.C. 3285-A – Ordini del giorno
ORDINI DEL GIORNO
La Camera,
premesso che:
l'Accordo di cooperazione tra il Governo della Repubblica italiana e il Regno hascemita dì Giordania in materia di lotta alla criminalità, fatto ad Amman il 27 giugno 2011, è finalizzato a prevenire, contrastare e reprimere la criminalità organizzata e i reati ad essa connessi;
l'articolo 7 dell'Accordo prevede fra l'altro lo scambio di esperti e la programmazione, nei due Paesi, di corsi di aggiornamento comuni in specifiche tecniche investigative e operative e lo scambio di informazioni operative sui diversi reati, fra i quali quelli ambientali e nel settore dei traffici di opere d'arte;
è interesse dell'Italia cooperare con il Regno hascemita di Giordania per contrastare reati ambientali che hanno sempre più assunto connotazione transfrontaliera, in particolare nel settore dei rifiuti e per acquisire ogni informazione sullo sviluppo di tale fenomeno in un'area, come quella mediorientale,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di fare quanto di propria competenza per promuovere e favorire la cooperazione e lo scambio di informazioni tra i servizi di intelligence del Regno hascemita di Giordania e i servizi di intelligence della Repubblica italiana in particolare nel settore dei reati ambientali ed in quello delle opere d'arte e, in tale ambito, dei reperti archeologici.
9/3285-A/1. Carrescia.
La Camera,
premesso che:
l'Accordo di cooperazione di polizia tra il Governo della Repubblica italiana e il Regno hascemita di Giordania, di cui al disegno di legge di ratifica in epigrafe, rappresenta un significativo passo in avanti nella collaborazione tra i due Paesi nella comune lotta contro la criminalità nelle sue varie manifestazioni, a cominciare da quelle di natura terroristica;
la collaborazione tra il Governo della Repubblica italiana e il Regno hascemita di Giordania, in materia di sicurezza e di contrasto alla minaccia terroristica, si inserisce in un teatro regionale attraversato da molteplici e rilevantissime criticità dal punto di vista della sicurezza internazionale e degli interessi italiani;
il Regno hascemita di Giordania è considerato, da parte dei maggiori esperti di questioni mediorientali, tra i principali e più affidabili interlocutori delle democrazie occidentali nella regione ed è per questo obiettivo dì frequenti attacchi da parte del terrorismo di matrice islamistica;
secondo quanto disposto dall'articolo 5 di suddetto Accordo, in materia di lotta al terrorismo, la cooperazione si effettuerà soprattutto attraverso lo scambio di informazioni periodico in materia di sicurezza dei trasporti e di attività dei gruppi terroristici – inclusi i singoli episodi e le loro tecniche attuative –, specialmente quando sia messa a repentaglio la sicurezza di uno dei due Stati;
la cooperazione tra gli apparati di intelligence dei due Paesi può rivelarsi decisiva ai fini di cui al punto precedente;
in base all'articolo 1 della legge n. 124 del 2007 – «Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto» – al Presidente del Consiglio dei ministri è attribuita, in via esclusiva, tra l'altro, «l'alta direzione e la responsabilità generale della politica dell'informazione per la sicurezza, nell'interesse e per la difesa della Repubblica e delle istituzioni democratiche poste dalla Costituzione a suo fondamento»,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di fare quanto di propria competenza, nell'ambito della cooperazione tra il Governo della Repubblica italiana e il Regno hascemita di Giordania in materia di lotta alla criminalità, per rafforzare i rapporti di collaborazione tra gli apparati di intelligence italiani e gli apparati di intelligence giordani, anche attraverso l'intensificazione dei contatti bilaterali e reciproche visite in sede, al fine di rendere più efficace il comune impegno nel contrasto alla minaccia terroristica internazionale.
9/3285-A/2. Gregorio Fontana.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge sottoposto al nostro esame autorizza alla ratifica dell'Accordo fra Italia e Giordania di cooperazione nel contrasto alla criminalità organizzata, fatto ad Amman il 27 giugno 2011, avente il fine di prevenire, contrastare e reprimere la criminalità organizzata e i reati ad essa connessi, in conformità alle rispettive legislazioni nazionali e agli accordi internazionali riconosciuti dai due Paesi;
nell'Accordo sono disciplinate le modalità di attuazione della collaborazione, che prevedono, tra le altre, lo scambio delle informazioni e di esperienze, lo scambio di esperti e l'organizzazione di attività di formazione e di addestramento;
la firma dell'Accordo fissa la cornice giuridica entro cui sviluppare la cooperazione bilaterale che mira anche ad indurre positivi effetti diretti e indiretti nei settori produttivi e commerciali di riferimento dei rispettivi Paesi;
appare rilevante la promozione di azioni stabilizzatrici di aree di particolare valore strategico e di alta valenza politica, considerati gli interessi nazionali e gli impegni internazionali assunti dall'Italia nella regione medio-orientale,
impegna il Governo
a continuare ad agire sul Governo Giordano perché venga effettuata una particolare vigilanza relativa al contrasto ai traffici di armi ed esplosivi, di materiali strategici e nucleari, di immigrazione clandestina e, soprattutto, per il contrasto alla tratta degli esseri umani, allo sfruttamento sessuale dei minori e delle donne, al riciclaggio di denaro o beni di provenienza illecita con le operazioni economico-finanziarie collegate;
a riferire al Parlamento sullo stato di attuazione dei punti dell'impegno.
9/3285-A/3. Matarrelli.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge sottoposto al nostro esame autorizza alla ratifica dell'Accordo fra Italia e Giordania di cooperazione nel contrasto alla criminalità organizzata, fatto ad Amman il 27 giugno 2011, avente il fine di prevenire, contrastare e reprimere la criminalità organizzata e i reati ad essa connessi, in conformità alle rispettive legislazioni nazionali e agli accordi internazionali riconosciuti dai due Paesi;
nell'Accordo sono disciplinate le modalità di attuazione della collaborazione, che prevedono, tra le altre, lo scambio delle informazioni e di esperienze, lo scambio di esperti e l'organizzazione di attività di formazione e di addestramento;
la firma dell'Accordo fissa la cornice giuridica entro cui sviluppare la cooperazione bilaterale che mira anche ad indurre positivi effetti diretti e indiretti nei settori produttivi e commerciali di riferimento dei rispettivi Paesi;
appare rilevante la promozione di azioni stabilizzatrici di aree di particolare valore strategico e di alta valenza politica, considerati gli interessi nazionali e gli impegni internazionali assunti dall'Italia nella regione medio-orientale,
impegna il Governo
nell'ambito dell'attuazione dell'Accordo, a collaborare con il Governo Giordano perché venga effettuata una particolare vigilanza relativa al contrasto ai traffici di armi ed esplosivi, di materiali strategici e nucleari, di immigrazione clandestina e, soprattutto, per il contrasto alla tratta degli esseri umani, allo sfruttamento sessuale dei minori e delle donne, al riciclaggio di denaro o beni di provenienza illecita con le operazioni economico-finanziarie collegate;
a riferire al Parlamento sullo stato di attuazione dei punti dell'impegno.
9/3285-A/3. (Testo modificato nel corso della seduta) Matarrelli.
DISEGNO DI LEGGE: S. 1750 – RATIFICA ED ESECUZIONE DELL'ACCORDO QUADRO DI PARTENARIATO E COOPERAZIONE TRA L'UNIONE EUROPEA E I SUOI STATI MEMBRI, DA UNA PARTE, E LA MONGOLIA, DALL'ALTRA, FATTO A ULAN-BATOR IL 30 APRILE 2013 (APPROVATO DAL SENATO) (A.C. 3301)
A.C. 3301 – Articolo 1
ARTICOLO 1 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO
Art. 1.
(Autorizzazione alla ratifica).
1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare l'accordo quadro di partenariato e cooperazione tra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Mongolia, dall'altra, fatto a Ulan-Bator il 30 aprile 2013.
A.C. 3301 – Articolo 2
ARTICOLO 2 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO
Art. 2.
(Ordine di esecuzione).
1. Piena ed intera esecuzione è data all'accordo di cui all'articolo 1, a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, in conformità a quanto disposto dall'articolo 63 dell'accordo stesso.
A.C. 3301 – Articolo 3
ARTICOLO 3 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO
Art. 3.
(Clausola di invarianza finanziaria).
1. Dall'attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
2. Le amministrazioni interessate svolgono le attività previste dalla presente legge con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.
A.C. 3301 – Articolo 4
ARTICOLO 4 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO
Art. 4.
(Entrata in vigore).
1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
A.C. 3301 – Ordini del giorno
ORDINI DEL GIORNO
La Camera,
premesso che:
l'Accordo quadro di partenariato globale e cooperazione (PCA – Partnership and Cooperation Agreement) tra l'Unione europea e i suoi Stati membri da una parte, e la Mongolia, dall'altra, firmato a Ulan-Bator il 30 aprile 2013, è finalizzato al consolidamento delle relazioni bilaterali ed all'approfondimento del dialogo politico;
è quanto mai positivo ed importante intensificare le relazioni con la Repubblica di Mongolia, con l'entrata in vigore dell'Accordo quadro in esame sarà posto in essere un partenariato di ampia portata strategica comprendente un vastissimo spettro di settori che spaziano dal commercio agli investimenti, alla giustizia, alla libertà e sicurezza, all'occupazione ed affari sociali estendendo la portata della cooperazione ad ambiti fra i quali anche l'ambiente e il cambiamento climatico, l'energia, la scienza e la tecnologia, i trasporti aerei;
nel settore ambientale particolare attenzione va posta all'incentivazione di forme di cooperazione internazionale relative all'efficienza energetica, all'energia pulita ed alle energie rinnovabili, al riciclaggio di rifiuti, all'agricoltura sostenibile ed alla gestione delle risorse idriche, con l'entrata in vigore dell'Accordo la cooperazione consentirà di rafforzare il dialogo politico e lo scambio di informazioni sulle misure nazionali ed i negoziati internazionali sull'ambiente e sullo sviluppo sostenibile, creare occasioni di scambio e condivisione di esperienze e best practices, avviare forme di partenariato fra le imprese dei due Paesi;
le aziende italiane, anche le PMI, potranno avere un ruolo importante per la diffusione dell'innovazione nel settore delle tecnologie per l'ambiente, per lo sviluppo sostenibile e per la creazione di strutture, operanti in Italia ed in Mongolia, in grado di assistere aziende ed investitori di entrambi i Paesi che desiderino sviluppare iniziative ed opportunità di business nel settore dell'economia verde,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di fare quanto di propria competenza per promuovere e sostenere con priorità, nell'ambito degli obiettivi dell'Accordo quadro di partenariato globale e cooperazione (PCA – Partnership and Cooperation Agreement) tra l'Unione europea e i suoi Stati membri da una parte, e la Mongolia, dall'altra, investimenti privati e forme di partenariato tra enti pubblici e privati e joint venture ad alto contenuto di innovazione tecnologica nell'economia verde.
9/3301/1. Carrescia.
La Camera,
premesso che:
l'accordo quadro di partenariato e cooperazione tra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Mongolia, dall'altra, fatto a Ulan-Bator il 30 aprile 2013, all'articolo 6, prevede, che, conformemente alle convenzioni internazionali applicabili, compresi il diritto internazionale umanitario e la legislazione in materia di diritti umani, e tenendo conto della strategia globale delle Nazioni Unite contro il terrorismo, le parti, tra le altre cose, convergono di cooperare al fine di prevenire e reprimere gli atti di terrorismo, anche « b) scambiandosi informazioni su terroristi, gruppi terroristici e loro reti di sostegno, conformemente al diritto internazionale e nazionale; c) scambiandosi pareri sui mezzi e sui metodi utilizzati per contrastare il terrorismo, anche dal punto di vista tecnico e della formazione, e condividendo le proprie esperienze in materia di prevenzione del terrorismo»;
a parere di diversi esperti, uno dei punti deboli della lotta degli Stati contro il terrorismo internazionale è costituito dalla scarsa information sharing tra i vari apparati di intelligence nazionali, anche tra i Paesi aderenti all'Unione europea,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di fare quanto di propria competenza, nel dar corso all'impegno di cui all'articolo 6 dell'accordo quadro di partenariato e cooperazione tra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Mongolia, dall'altra, per promuovere e favorire lo scambio di informazioni in via prioritaria tra gli apparati di intelligence dei Paesi dell'Unione europea e, su questa base, lo scambio di informazioni tra gli apparati di intelligence dei Paesi membri l'Unione europea, da una parte, e gli apparati di intelligence della Mongolia, dall'altra.
9/3301/2. Gregorio Fontana.
La Camera,
premesso che:
il disegno di legge sottoposto al nostro esame autorizza alla ratifica l'Accordo quadro di partenariato globale e cooperazione siglato tra l'Unione europea e i suoi Stati membri da una parte, e la Mongolia, dall'altro finalizzato al consolidamento delle relazioni bilaterali ed all'approfondimento del dialogo politico;
le Parti sostengono i valori comuni sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite e ribadiscono l'impegno a promuovere lo sviluppo sostenibile, a collaborare per affrontare le sfide connesse al cambiamento climatico ed alla globalizzazione, contribuendo alla realizzazione degli obiettivi di sviluppo concordati a livello internazionale;
in materia di ambiente è sottolineata la necessità di un elevato livello di tutela ambientale, di salvaguardia e di gestione delle risorse naturali e della biodiversità, con particolare attenzione agli effetti del cambiamento climatico;
in particolare, si è concordato di contribuire alla pace ed alla giustizia internazionale garantendo piena operatività alla Corte penale internazionale, dialogando e collaborando per sostenere l'universalità e l'integrità dello Statuto di Roma, impegnandosi ad applicarlo ed a ratificare gli Accordi collegati;
particolarmente rilevanti gli accordi relativi al la cooperazione in materia di lotta al terrorismo tra UE e Mongolia, conformi alle convenzioni internazionali applicabili, compresi il diritto internazionale umanitario e la legislazione in materia di diritti umani, e tenendo conto della strategia globale delle Nazioni Unite contro il terrorismo,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di fare quanto di propria competenza per promuovere in sede europea ulteriori iniziative, con particolare riferimento alla predisposizione di misure in grado di dare soluzione alle esigenze umanitarie e di sviluppo della Mongolia, dovute alle condizioni meteorologiche estreme;
a valutare l'opportunità di fare quanto di propria competenza per promuovere in sede europea ulteriori iniziative, con particolare riferimento alla predisposizione di una missione di osservazione elettorale del Parlamento europeo, al fine di dare garanzia internazionale al fatto che nella Mongolia si stia sviluppando un sistema democratico solido.
9/3301/3. Matarrelli.
DISEGNO DI LEGGE: RATIFICA ED ESECUZIONE DELL'ACCORDO TRA IL GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA E IL GOVERNO DELLA REPUBBLICA DI ARMENIA SULLA COOPERAZIONE E SULLA MUTUA ASSISTENZA IN MATERIA DOGANALE, FATTO A YEREVAN IL 6 MARZO 2009 (A.C. 3511-A)
A.C. 3511-A – Parere della V Commissione
PARERE DELLA V COMMISSIONE SUL TESTO DEL PROVVEDIMENTO E SULLE PROPOSTE EMENDATIVE PRESENTATE
Sul testo del provvedimento in oggetto:
PARERE FAVOREVOLE
Sugli emendamenti trasmessi dall'Assemblea:
NULLA OSTA
A.C. 3511-A – Articolo 1
ARTICOLO 1 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO DEL GOVERNO
Art. 1.
(Autorizzazione alla ratifica).
1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare l'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Armenia sulla cooperazione e sulla mutua assistenza in materia doganale, fatto a Yerevan il 6 marzo 2009.
A.C. 3511-A – Articolo 2
ARTICOLO 2 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO DEL GOVERNO
Art. 2.
(Ordine di esecuzione).
1. Piena ed intera esecuzione è data all'Accordo di cui all'articolo 1, a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, in conformità a quanto disposto dall'articolo 23 dell'Accordo stesso.
A.C. 3511-A – Articolo 3
ARTICOLO 3 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE
Art. 3.
(Disposizioni finanziarie).
1. All'onere derivante dall'attuazione dell'Accordo di cui all'articolo 1, valutato in euro 19.120 ad anni alterni a decorrere dall'anno 2016 e in euro 11.380 ad anni alterni a decorrere dall'anno 2017, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2016-2018, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2016, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.
2. Ai sensi dell'articolo 17, comma 12, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, il Ministro dell'economia e delle finanze provvede al monitoraggio degli oneri valutati di cui al comma 1 del presente articolo. Nel caso si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni degli oneri di cui al periodo precedente, il Ministro dell'economia e delle finanze provvede per gli oneri relativi alle spese di missione, mediante riduzione, nella misura necessaria alla copertura finanziaria del maggior onere risultante dall'attività di monitoraggio, delle dotazioni finanziarie di parte corrente aventi la natura di spese rimodulabili ai sensi dell'articolo 21, comma 5, lettera b), della citata legge n. 196 del 2009, destinate alle spese di missione nell'ambito del programma «Regolazione giurisdizione e coordinamento del sistema della fiscalità» e, comunque, della missione «Politiche economico-finanziarie e di bilancio» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze. Si intende corrispondentemente ridotto, per il medesimo anno, di un ammontare pari all'importo dello scostamento, il limite di cui all'articolo 6, comma 12, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.
3. Il Ministro dell'economia e delle finanze riferisce senza ritardo alle Camere con apposita relazione in merito alle cause degli scostamenti e all'adozione delle misure di cui al comma 2.
4. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
5. Agli eventuali oneri derivanti dall'articolo 19, paragrafo 2, dell'Accordo di cui all'articolo 1 della presente legge si fa fronte con apposito provvedimento legislativo.
PROPOSTA EMENDATIVA RIFERITA ALL'ARTICOLO 3 DEL DISEGNO DI LEGGE
ART. 3.
(Disposizioni finanziarie).
Dopo l'articolo 3, aggiungere il seguente:
Art. 3-bis – 1. L'ammontare del trattamento economico e le spese per vitto, alloggio e viaggi del personale in missione, debitamente rendicontate, sono resi pubblici nelle forme e nei modi finalizzati a garantire la trasparenza nel rispetto della vigente legislazione in materia di privacy. Al personale inviato in missione è riconosciuto il viaggio aereo nella classe più economica disponibile.
3. 01. Spadoni.
A.C. 3511-A – Articolo 4
ARTICOLO 4 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO DEL GOVERNO
Art. 4.
(Entrata in vigore).
1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
A.C. 3511-A – Ordine del giorno
ORDINE DEL GIORNO
La Camera,
premesso che:
nel Preambolo dell'Accordo di cui al disegno di legge di ratifica in epigrafe, vengono evidenziati, tra i vari aspetti e motivi della cooperazione doganale, quello della lotta ai traffici illeciti di stupefacenti, con esplicito richiamo alla Convenzione Unica sugli Stupefacenti del 1961, modificata dal Protocollo del 1972, ed alla Convenzione ONU contro il traffico illecito di droghe e sostanze psicotrope del 1988;
l'articolo 9 del predetto Accordo prevede, tra l'altro, particolari forme di cooperazione dirette a prevenire il traffico illecito di stupefacenti;
tra le poche criticità che presenta la Repubblica di Armenia, Paese generalmente considerato stabile e affidabile sia sotto il profilo securitario sia sotto il profilo delle relazioni internazionali, vi è quella relativa ai frequenti scontri, in loco, tra organizzazioni criminali impegnate nel traffico di stupefacenti;
la stabilità e la sicurezza della Repubblica Armena rappresenta un bene da preservare, in un'area, peraltro, attraversata da significative criticità geopolitiche;
è interesse della Repubblica italiana collaborare con tutti i Paesi impegnati nella lotta ai traffici illeciti di stupefacenti, data la dimensione, spesso, internazionale di tali traffici;
il Dipartimento per le politiche antidroga, istituito con DPCM 20 giugno 2008, incardinato con DPCM 29 ottobre 2009 nelle strutture generali permanenti della Presidenza del Consiglio dei ministri, attualmente regolamentato ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o ottobre 2012 ed organizzato con decreto Ministeriale del 20 novembre 2012, ha, tra gli altri, il compito di promuovere, indirizzare e coordinare le azioni di Governo atte a contrastare il diffondersi dell'uso di sostanze stupefacenti, delle tossicodipendenze e di curare la definizione ed il monitoraggio del piano di azione nazionale antidroga, coerentemente con gli indirizzi europei in materia,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di avvalersi del Dipartimento per le politiche antidroga, al fine di avere ogni utile valutazione per lo sviluppo e il rafforzamento della cooperazione nella lotta ai traffici illeciti di stupefacenti.
9/3511-A/1. Gregorio Fontana.
DISEGNO DI LEGGE: RATIFICA ED ESECUZIONE DELLA CONVENZIONE TRA IL GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA E IL GOVERNO DELLA REPUBBLICA DI PANAMA PER EVITARE LE DOPPIE IMPOSIZIONI IN MATERIA DI IMPOSTE SUL REDDITO E PER PREVENIRE LE EVASIONI FISCALI, CON PROTOCOLLO AGGIUNTIVO, FATTA A ROMA E A CITTÀ DI PANAMA IL 30 DICEMBRE 2010 (A.C. 3530-A)
A.C. 3530-A – Parere della V Commissione
PARERE DELLA V COMMISSIONE SUL TESTO DEL PROVVEDIMENTO
Sul testo del provvedimento in oggetto:
PARERE FAVOREVOLE
A.C. 3530-A – Articolo 1
ARTICOLO 1 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO DEL GOVERNO
Art. 1.
(Autorizzazione alla ratifica).
1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare la Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Panama per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni fiscali, con Protocollo aggiuntivo, fatta a Roma e a Città di Panama il 30 dicembre 2010.
A.C. 3530-A – Articolo 2
ARTICOLO 2 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO DEL GOVERNO
Art. 2.
(Ordine di esecuzione).
1. Piena ed intera esecuzione è data alla Convenzione di cui all'articolo 1, a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, in conformità a quanto disposto dall'articolo 27 della Convenzione stessa.
A.C. 3530-A – Articolo 3
ARTICOLO 3 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE
Art. 3.
(Copertura finanziaria).
1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge, valutato in euro 380.000 annui a decorrere dall'anno 2017, si provvede mediante corrispondente riduzione delle proiezioni per gli anni 2017 e 2018 dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2016-2019, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2016, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.
2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
A.C. 3530-A – Articolo 4
ARTICOLO 4 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO DEL GOVERNO
Art. 4.
(Entrata in vigore).
1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
A.C. 3530-A – Ordini del giorno
ORDINI DEL GIORNO
La Camera,
premesso che:
l'articolo 25 del Trattato di cui alla Ratifica in epigrafe, in tema di scambio di informazioni tra le autorità competenti degli Stati contraenti, prevede garanzie per la riservatezza delle informazioni ricevute da ciascuna delle Parti contraenti, che potranno essere comunicate solo ad organi giudiziari o amministrativi investiti delle questioni fiscali pertinenti, e utilizzate solo per i fini per cui sono state comunicate;
l'uso improprio delle informazioni di cui al punto precedente può essere fonte di violazione diritto alla privacy delle persone, di cui alla legge 31 dicembre 1996, n. 675, alla direttiva comunitaria 95/46/CE – e oggi disciplinata dal Codice in materia di protezione dei dati personali e decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196;
detto uso improprio può essere evitato, in via prioritaria, attraverso il rigoroso controllo su tutte le procedure inerenti alla trattazione di dati personali,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di rivolgersi al Garante per la protezione dei dati personali, ai sensi del comma 4 dell'articolo 154 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, al fine di acquisire ogni utile elemento di valutazione per fare quanto di propria competenza per la protezione dei dati personali trattati nell'ambito dell'attuazione della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e Governo della Repubblica di Panama in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni fiscali.
9/3530-A/1. Gregorio Fontana.
La Camera,
premesso che:
che la Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Panama per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni fiscali, con Protocollo aggiuntivo, fatta a Roma e a Città di Panama il 30 dicembre 2010 ha l'ambizione di favorire una più intensa cooperazione economica e una più stretta collaborazione amministrativa tra i due Paesi, generando effetti positivi sia sotto il profilo economico, sia per quanto riguarda gli interessi dell'erario italiano, grazie all'emersione di elementi di reddito attualmente non evidenziabili;
in particolare l'importanza delle previsioni contenute nell'articolo 25 della Convenzione consentono di eliminare il segreto bancario nei rapporti tra Italia e Panama e di assicurare lo scambio di informazioni in materia fiscale e finanziaria tra le autorità competenti dei due Stati, nonché di quella di cui all'articolo 27, paragrafo 2, lettera c), la quale specifica che possono essere inoltrate richieste di informazione relative a qualsiasi data entro i tre anni precedenti all'entrata in vigore della Convenzione stessa;
questo accordo va nella direzione delle indicazioni fornite su questi temi per il contrasto all'evasione dal cosiddetto gruppo G5 (costituito dai governi di Germania, Gran Bretagna, Francia, Spagna e Italia), nell'ambito del G20 che si è svolto nei mesi scorsi a Washington;
che il Governo sta ponendo in essere significativi sforzi, sia in sede bilaterale e in sede multinazionale, per incentivare le legislazioni volte ad assicurare un regime di piena collaborazione in materia fiscale e finanziaria,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di informare con cadenza annuale le Camere sui risultati in termini di contrasto alla evasione alla luce di questo e degli altri accordi recentemente sottoscritti.
9/3530-A/2. Taricco.
La Camera,
premesso che:
che la Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Panama per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni fiscali, con Protocollo aggiuntivo, fatta a Roma e a Città di Panama il 30 dicembre 2010 ha l'ambizione di favorire una più intensa cooperazione economica e una più stretta collaborazione amministrativa tra i due Paesi, generando effetti positivi sia sotto il profilo economico, sia per quanto riguarda gli interessi dell'erario italiano, grazie all'emersione di elementi di reddito attualmente non evidenziabili;
in particolare l'importanza delle previsioni contenute nell'articolo 25 della Convenzione consentono di eliminare il segreto bancario nei rapporti tra Italia e Panama e di assicurare lo scambio di informazioni in materia fiscale e finanziaria tra le autorità competenti dei due Stati, nonché di quella di cui all'articolo 27, paragrafo 2, lettera c), la quale specifica che possono essere inoltrate richieste di informazione relative a qualsiasi data entro i tre anni precedenti all'entrata in vigore della Convenzione stessa;
questo accordo va nella direzione delle indicazioni fornite su questi temi per il contrasto all'evasione dal cosiddetto gruppo G5 (costituito dai governi di Germania, Gran Bretagna, Francia, Spagna e Italia), nell'ambito del G20 che si è svolto nei mesi scorsi a Washington;
che il Governo sta ponendo in essere significativi sforzi, sia in sede bilaterale e in sede multinazionale, per incentivare le legislazioni volte ad assicurare un regime di piena collaborazione in materia fiscale e finanziaria,
impegna il Governo
a valutare l'opportunità di informare, nell'ambito dei documenti di finanza pubblica, le Camere sui risultati in termini di contrasto alla evasione alla luce di questo e degli altri accordi recentemente sottoscritti.
9/3530-A/2. (Testo modificato nel corso della seduta) Taricco.
MOZIONI SALTAMARTINI ED ALTRI N. 1-01111, VEZZALI ED ALTRI N. 1-01250, BINETTI ED ALTRI N. 1-01254, SPADONI ED ALTRI N. 1-01260, PALESE ED ALTRI N. 1-01261, IORI, NICCHI, FITZGERALD NISSOLI, LOCATELLI, GEBHARD, MUCCI ED ALTRI N. 1-01264 E MILANATO ED ALTRI N. 1-01273 CONCERNENTI INIZIATIVE, ANCHE IN AMBITO INTERNAZIONALE, FINALIZZATE AL CONTRASTO DEI FENOMENI DI VIOLENZA CONTRO LE DONNE, ALLA LUCE DELLE AGGRESSIONI OCCORSE A COLONIA E IN ALTRE CITTÀ EUROPEE NELLA NOTTE DEL 31 DICEMBRE 2015
Mozioni
La Camera,
premesso che:
la notte del 31 dicembre 2015 a Colonia ed in alcune altre città europee, tra le quali Amburgo, Bielefeld, Dortmund, Düsseldorf, Stoccarda, Helsinki e Zurigo si sono verificati episodi ripugnanti e intollerabili di violenza di branco, contro la dignità e la libertà delle donne. Centinaia di giovani uomini immigrati, per lo più arabi e nordafricani, hanno circondato centinaia di donne molestandole pesantemente, alcune violentandole, altre derubandole di quello che avevano;
dalle ricostruzioni ufficiali, il tratto comune a tutte le aggressioni è il fatto di essere state perpetrate da gruppi organizzati di stranieri provenienti da Paesi extraeuropei, tra i quali non di rado figuravano anche sedicenti profughi, che hanno operato con modalità assai simili a quelle osservate nel 2011-2012 a Piazza Tahir. La polizia tedesca sta operando arresti anche dentro i centri di prima accoglienza destinati ai rifugiati;
un'operazione di molestie così vasta, continuata e determinata, non può essere vista solo come un gesto contro le donne, ma si configura come un atto di scontro, umiliazione e dominio esercitato nei confronti delle donne sì, ma mirato ad inviare un segnale di disprezzo e di sfida ai Paesi che hanno accolto quegli uomini e quindi l'Europa tutta;
non si può continuare a minimizzare, come hanno cercato di fare molti intellettuali o esponenti politici, essendo evidente, per i presentatori del presente atto di indirizzo, il fatto che chi proviene da quei Paesi si porta dietro un'idea della donna priva di libertà, ritenuta inferiore e da mortificare nella mente e nel corpo;
quanto è accaduto è infatti di enorme gravità sociale, dal momento che il rapporto tra i generi è quotidiano e intimidazioni del genere, come quella vista nella notte del 31 dicembre 2015, mirano chiaramente a minare alcune libertà costitutive dell'Occidente;
non si può più sottacere la natura del rapporto dell'Islam con le donne, che ben conosciamo e che è stato al centro di grandi riflessioni ed anche battaglie a favore delle donne di quei Paesi. Un rapporto intriso di violenza metamorfizzato in una agenda culturale e politica di dominio, usata come arma, come espressione di potere in una vastissima area sociale la cui linea di rottura passa dentro lo stesso mondo musulmano;
sono ancora sotto i nostri occhi gli stupri e le violenze verificatesi in Iraq e Siria durante la conquista da parte dell'Isis, i rapimenti di Boko Haram, la schiavitù sessuale imposta alle donne cristiane e yazide, il trattamento subito da centinaia di donne egiziane al Cairo, durante la «primavera araba» per punirle della loro partecipazione attiva alla politica. Tutti esempi, secondo i presentatori del presente atto di indirizzo, del modo di rapportarsi dell'Islam con le donne, che non si ferma alle frontiere, essendo un tratto essenziale della politicizzazione in senso radicale di quella religione;
è irrinunciabile e urgente la difesa della libertà femminile da ogni forma di molestia, abuso e violenza sessuale;
basi indispensabili di qualsiasi processo di integrazione sono: il rispetto nei confronti del Paese ospitante, della sua cultura e delle sue tradizioni da parte di chi lo raggiunge e, soprattutto, lo sforzo di rispettarne le leggi, gli usi e i costumi;
inaccettabili risultano i tentativi di giustificare le violenze sulle donne come quello fatto dall'Imam della stessa città di Colonia, Sami Abu-Yusuf, secondo cui le aggressioni sarebbero state determinate dal fatto che le vittime si fossero profumate o comunque vestite in modo provocante;
si rimarca la circostanza, straordinaria per Paesi liberi, che la stampa degli Stati coinvolti abbia celato volontariamente per giorni i fatti, per ragioni che rimangono tuttora oggetto di congetture, ma tra le quali potrebbe esserci anche l'intenzione di non creare problemi alle politiche di accoglienza abbracciate dai rispettivi Governi di riferimento;
i fatti occorsi a Colonia e nelle altre città coinvolte pongono seri interrogativi sulla gestione dell'immigrazione, sull'accoglienza e l'integrazione, sul rapporto dell'Islam con le donne, cui occorre rispondere per comprendere esattamente quali rischi concreti stia portando l'immigrazione nei nostri Paesi. Domande a cui nessuno può sottrarsi alla luce di quanto accaduto in Germania, Svizzera, Finlandia la notte del 31 dicembre 2015 ma anche di fronte al disagio e alle minacce alla nostra incolumità fisica che si avvertono ogni giorno per le strade, sui bus o nelle metropolitane, in centro, come nella periferie delle città italiane;
si rileva come le dimensioni assunte dal fenomeno migratorio siano ormai incompatibili con le misure messe in campo ed impongano un ripensamento, che riduca ampiezza e velocità dei flussi, prevedendo espulsioni più facili, controlli più serrati, campi di raccolta nei Paesi sorgenti o situati lungo i percorsi di approccio all'Europa;
la forte prevalenza degli uomini in giovane età, tra coloro che sono giunti in Europa in tempi più recenti, ad avviso dei firmatari del presente atto è di per sé un fattore di rischio aggiuntivo per le donne del nostro continente;
l'ideologia di chi ritiene che il multiculturalismo possa diventare una forma facile e innocua di convivenza secondo i firmatari del presente atto ha fallito, così come quella di chi pensa che l'uguaglianza si possa raggiungere cancellando le differenze, le proprie radici culturali, i propri valori; fallimentari sono state soprattutto le politiche «aperturiste» dell'accoglienza a tutti i costi, guidate dalla convinzione che tutto potesse risolversi con un progressivo assorbimento delle centinaia di migliaia di immigrati giunti nel nostro continente negli ultimi anni;
i diritti delle donne sono un terreno particolarmente sensibile di scontro, avendo la questione femminile subito un processo di radicalizzazione nel mondo musulmano, che è parte fondamentale della più generale affermazione dell'Islam politico fondamentalista, in cui la donna è ridotta, nel migliore dei casi, a «complemento dell'uomo», anziché esser vista come una persona eguale in dignità e diritti;
si rileva la circostanza che, a Colonia, la reazione delle forze dell'ordine sia stata debole e tardiva, anche perché parte dei locali effettivi era dispiegata sulle frontiere della Germania per controllare l'afflusso dei migranti extracomunitari e mancavano quindi agenti da schierare nelle strade cittadine,
impegna il Governo:
ad intensificare la collaborazione con le autorità di pubblica sicurezza dei Paesi colpiti dalle violenze collettive contro le donne la notte di San Silvestro, allo scopo di acquisire elementi utili alla prevenzione di atti simili sul suolo nazionale;
ad assicurare un'elevata priorità alla lotta contro gli eventuali sodalizi criminali, anche temporanei, allestiti da immigrati per delinquere contro le donne;
ad assumere iniziative per privilegiare, nelle procedure per l'accesso al nostro Paese, le famiglie, le donne, i bambini e gli anziani, come già accade in alcuni Stati occidentali, in primo luogo il Canada, prevedendo invece per gli uomini giovani percorsi più lunghi;
a rafforzare i presidi di polizia ovunque la sicurezza delle donne paia più a rischio, incrementando le assunzioni nelle forze dell'ordine qualora con gli organici disponibili non si riesca a fronteggiare anche questa emergenza;
a non tollerare, nell'ambito delle proprie competenze, alcuna forma di apologia o giustificazione delle violenze compiute sulle donne dalle gang dei migranti extracomunitari, assumendo iniziative, anche a carattere di urgenza, per adeguare la normativa penale;
ad assicurare una tempestiva informazione dell'opinione pubblica italiana qualora, malgrado tutto, si verificassero anche in Italia episodi assimilabili a quelli occorsi a Colonia, sfruttando a questo scopo, se necessario, ogni canale di comunicazione disponibile.
(1-01111) «Saltamartini, Molteni, Gianluca Pini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Rondini, Simonetti».
La Camera,
premesso che:
secondo i dati ISTAT nel 2015 il 35 per cento delle donne nel mondo ha subito una violenza. La matrice della violenza contro le donne può essere rintracciata ancor oggi nella disuguaglianza dei rapporti tra uomini e donne;
la stessa Dichiarazione adottata dall'Assemblea generale dell'Onu parla di violenza contro le donne come di «uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in a posizione subordinata rispetto agli uomini»;
sempre secondo l'Istat, in Italia sono quasi 7 milioni le donne che hanno subito nel corso della propria vita una forma di violenza fisica o sessuale: abusi troppe volte non denunciati per evitare pregiudizi o perché consumati in ambiente domestico;
una ricerca di Enveff (l'Enquête nationale les violences envers les femmes en France) ha dimostrato che nei 12 mesi successivi alla violenza aumenta per le donne del 26 per cento il rischio di suicidio;
l'Oms (Organizzazione mondiale della sanità) afferma che una percentuale variabile (tra il 44 e il 59 per cento) di donne vittime di violenza sviluppa disturbi depressivi o manifesta dipendenza da alcolici e disturbi alimentari;
a una vittima di violenza sessuale viene diagnosticato nei primi giorni dal trauma un «Disturbo Acuto da Stress» (ASD) che si manifesta, nella maggior parte dei casi, come un pensiero fisso; nei sei mesi successivi diventa «Disturbo Post Traumatico da Stress» (PTSD) nei quali riaffiorano brutti ricordi e questo disagio può trasformarsi, quando i sintomi persistono, in «Disturbo da Disadattamento»: condizioni queste che vanno trattate farmacologicamente e necessitano, non di rado, di sostegno psicologico e psichiatrico;
in Italia ci sono i centri antiviolenza per le donne riuniti nel coordinamento D.i.RE., che hanno redatto delle linee comuni di intervento sulla presa in carico di vittime: un lavoro ancora inadeguato rispetto alla realtà, anche perché sono ancora pochi i centri specializzati per la cura di questi tra (mentre sono presenti e attive sul territorio associazioni che forniscono assistenza telefonica, medica, psicologica e legale alle donne abusate);
il fenomeno della violenza sulle donne, come ogni altra forma di violenza, va analizzato nel contesto nel quale si manifesta; ha risvolti psicologici se muove da un disagio, può avvenire dopo assunzione di sostanze stupefacenti o alcolici, può scaturire dall'esaltazione di gruppo. Non di rado risponde a un bisogno fisico dell'aggressore o nasce dalla consapevolezza acquisita da un vissuto maschilista, da un convincimento religioso, che identifica la donna in una proprietà, o peggio, la considera un oggetto;
in ogni caso, una donna che subisce violenza è minata nella sua libertà: per questo nessun caso può essere giustificato, anzi va denunciato e perseguito con ogni mezzo;
ci sono realtà, soprattutto nei Paesi di religione musulmana, dove le donne non hanno il diritto di studiare, non possono guidare un'auto, vengono date in sposa dalle famiglie anche in giovanissima età, vengono scambiate o ripudiate contro la loro volontà: in questi contesti, le donne (che pure lavorano quanto se non addirittura di più e più duramente degli uomini) sono considerate prive di libertà, sono ritenute inferiori e spesso mortificate fisicamente e psicologicamente;
di fronte a questa percezione del genere femminile, alla necessità di governare il fenomeno migratorio (che sta assumendo dimensioni bibliche), nonché all'urgenza di accreditare la convivenza civile come modello di comportamento che garantisca il reciproco rispetto di culture, usi e costumi diversi, se si vuole realizzare l'integrazione, si impone a riflessione su quanto è accaduto nei mesi scorsi in Europa;
diverse città sono state interessate da intollerabili violenze di gruppo ad opera di immigrati extracomunitari e nordafricani che hanno compiuto abusi, maltrattamenti e rapine: questi fatti inducono a ragionare su quale sia effettivamente il rapporto fra l'islam e le donne;
nello specifico, la notte del 31 dicembre 2015, a Colonia ed in alcune altre città europee, tra le quali Amburgo, Bielefeld, Dortmund, Düsseldorf, Stoccarda, Helsinki e Zurigo si sono verificati episodi ripugnanti di violenza di branco, contro la dignità e la libertà delle donne: centinaia di giovani uomini immigrati hanno circondato centinaia di donne molestandole pesantemente, alcune violentandole, altre derubandole di quello che avevano;
questi accadimenti, per l'alto numero delle vittime coinvolte, fanno pensare più a una sfida verso l'occidente che non a gesto di dispregio verso le stesse;
per questo, occorre capire fino a che punto siamo pronti alle sfide e come dobbiamo affrontare fenomeni come globalizzazione e multiculturalismo che presentano modelli di società diversi e attribuiscono a uomini e donne funzioni differenti e nessuna parità di dignità e di diritti;
la tolleranza cui si deve far necessariamente ricorso per gestire situazioni difficili, affinché ogni piccola divergenza non degeneri in scontro, non deve essere scambiata per debolezza, non deve autorizzare chi cerca un approdo e una opportunità per sé e per la propria famiglia, a pensare che qui è tutto consentito o dovuto; non possiamo neppure ritenere che tutto ciò che è nuovo o da integrare costituisca una minaccia;
considerato che il fenomeno della violenza sulle donne è e problema anche italiano e che va combattuto soprattutto a livello culturale, non dobbiamo permettere che gli episodi di cronaca possano essere utilizzati in modo strumentale per considerare gli immigrati tutti colpevoli o ridurli a un problema;
da anni, visto che siamo un continente in difetto di crescita, i demografi ritengono questi flussi una opportunità da valorizzare per contrastare l'invecchiamento della popolazione;
uno dei principi sui quasi si basa l'Unione europea è quello di considerare i 500 milioni di cittadini «uniti nelle diversità»; differenze costruttive da cui partire per un collettivo arricchimento culturale e sociale, ma anche come forma di apertura verso tutto ciò che è altro rispetto a quanto già coinvolto nel processo di integrazione,
impegna il Governo:
ad assumere iniziative che impediscano il verificarsi (come già accaduto in altri Paesi europei) di episodi diffusi di violenze collettive contro le donne attraverso un potenziamento dello scambio di informazioni con le autorità di pubblica sicurezza di altri Paesi europei;
ad assumere iniziative per realizzare controlli accurati, al fine di impedire l'accesso in Italia a quei soggetti segnalati o coinvolti in episodi di violenza contro le donne denunciati in Europa;
ad assumere le iniziative di competenza necessarie per aiutare le donne vittime di violenza a superare il trauma, assicurando loro la tutela legale gratuita, nonché per garantire la certezza della pena per i colpevoli di abusi;
a valutare l'opportunità di assumere iniziative per aumentare la dotazione del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità;
a rafforzare i presidi di polizia ovunque la sicurezza delle donne paia più a rischio, incrementando le assunzioni nelle forze dell'ordine qualora con gli organici disponibili non si riesca a fronteggiare anche questa emergenza;
ad assumere iniziative volte a contrastare il diffondersi di messaggi subliminali e pubblicitari, che propongano stereotipi superati, allo scopo di affermare la supremazia degli uomini sulle donne.
(1-01250) «Vezzali, Monchiero, D'Agostino, Galgano, Librandi, Matarrese, Molea, Vargiu, Rabino, Nesi».
La Camera,
premesso che:
secondo i dati ISTAT nel 2015 il 35 per cento delle donne nel mondo ha subito una violenza. La matrice della violenza contro le donne può essere rintracciata ancor oggi nella disuguaglianza dei rapporti tra uomini e donne;
la stessa Dichiarazione adottata dall'Assemblea generale dell'Onu parla di violenza contro le donne come di «uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in a posizione subordinata rispetto agli uomini»;
sempre secondo l'Istat, in Italia sono quasi 7 milioni le donne che hanno subito nel corso della propria vita una forma di violenza fisica o sessuale: abusi troppe volte non denunciati per evitare pregiudizi o perché consumati in ambiente domestico;
una ricerca di Enveff (l'Enquête nationale les violences envers les femmes en France) ha dimostrato che nei 12 mesi successivi alla violenza aumenta per le donne del 26 per cento il rischio di suicidio;
l'Oms (Organizzazione mondiale della sanità) afferma che una percentuale variabile (tra il 44 e il 59 per cento) di donne vittime di violenza sviluppa disturbi depressivi o manifesta dipendenza da alcolici e disturbi alimentari;
a una vittima di violenza sessuale viene diagnosticato nei primi giorni dal trauma un «Disturbo Acuto da Stress» (ASD) che si manifesta, nella maggior parte dei casi, come un pensiero fisso; nei sei mesi successivi diventa «Disturbo Post Traumatico da Stress» (PTSD) nei quali riaffiorano brutti ricordi e questo disagio può trasformarsi, quando i sintomi persistono, in «Disturbo da Disadattamento»: condizioni queste che vanno trattate farmacologicamente e necessitano, non di rado, di sostegno psicologico e psichiatrico;
in Italia ci sono i centri antiviolenza per le donne riuniti nel coordinamento D.i.RE., che hanno redatto delle linee comuni di intervento sulla presa in carico di vittime: un lavoro ancora inadeguato rispetto alla realtà, anche perché sono ancora pochi i centri specializzati per la cura di questi tra (mentre sono presenti e attive sul territorio associazioni che forniscono assistenza telefonica, medica, psicologica e legale alle donne abusate);
il fenomeno della violenza sulle donne, come ogni altra forma di violenza, va analizzato nel contesto nel quale si manifesta; ha risvolti psicologici se muove da un disagio, può avvenire dopo assunzione di sostanze stupefacenti o alcolici, può scaturire dall'esaltazione di gruppo. Non di rado risponde a un bisogno fisico dell'aggressore o nasce dalla consapevolezza acquisita da un vissuto maschilista, da un convincimento religioso, che identifica la donna in una proprietà, o peggio, la considera un oggetto;
in ogni caso, una donna che subisce violenza è minata nella sua libertà: per questo nessun caso può essere giustificato, anzi va denunciato e perseguito con ogni mezzo;
ci sono realtà, soprattutto nei Paesi di religione musulmana, dove le donne non hanno il diritto di studiare, non possono guidare un'auto, vengono date in sposa dalle famiglie anche in giovanissima età, vengono scambiate o ripudiate contro la loro volontà: in questi contesti, le donne (che pure lavorano quanto se non addirittura di più e più duramente degli uomini) sono considerate prive di libertà, sono ritenute inferiori e spesso mortificate fisicamente e psicologicamente;
di fronte a questa percezione del genere femminile, alla necessità di governare il fenomeno migratorio (che sta assumendo dimensioni bibliche), nonché all'urgenza di accreditare la convivenza civile come modello di comportamento che garantisca il reciproco rispetto di culture, usi e costumi diversi, se si vuole realizzare l'integrazione, si impone a riflessione su quanto è accaduto nei mesi scorsi in Europa;
diverse città sono state interessate da intollerabili violenze di gruppo ad opera di immigrati extracomunitari e nordafricani che hanno compiuto abusi, maltrattamenti e rapine: questi fatti inducono a ragionare su quale sia effettivamente il rapporto fra l'islam e le donne;
nello specifico, la notte del 31 dicembre 2015, a Colonia ed in alcune altre città europee, tra le quali Amburgo, Bielefeld, Dortmund, Düsseldorf, Stoccarda, Helsinki e Zurigo si sono verificati episodi ripugnanti di violenza di branco, contro la dignità e la libertà delle donne: centinaia di giovani uomini immigrati hanno circondato centinaia di donne molestandole pesantemente, alcune violentandole, altre derubandole di quello che avevano;
questi accadimenti, per l'alto numero delle vittime coinvolte, fanno pensare più a una sfida verso l'occidente che non a gesto di dispregio verso le stesse;
per questo, occorre capire fino a che punto siamo pronti alle sfide e come dobbiamo affrontare fenomeni come globalizzazione e multiculturalismo che presentano modelli di società diversi e attribuiscono a uomini e donne funzioni differenti e nessuna parità di dignità e di diritti;
la tolleranza cui si deve far necessariamente ricorso per gestire situazioni difficili, affinché ogni piccola divergenza non degeneri in scontro, non deve essere scambiata per debolezza, non deve autorizzare chi cerca un approdo e una opportunità per sé e per la propria famiglia, a pensare che qui è tutto consentito o dovuto; non possiamo neppure ritenere che tutto ciò che è nuovo o da integrare costituisca una minaccia;
considerato che il fenomeno della violenza sulle donne è e problema anche italiano e che va combattuto soprattutto a livello culturale, non dobbiamo permettere che gli episodi di cronaca possano essere utilizzati in modo strumentale per considerare gli immigrati tutti colpevoli o ridurli a un problema;
da anni, visto che siamo un continente in difetto di crescita, i demografi ritengono questi flussi una opportunità da valorizzare per contrastare l'invecchiamento della popolazione;
uno dei principi sui quasi si basa l'Unione europea è quello di considerare i 500 milioni di cittadini «uniti nelle diversità»; differenze costruttive da cui partire per un collettivo arricchimento culturale e sociale, ma anche come forma di apertura verso tutto ciò che è altro rispetto a quanto già coinvolto nel processo di integrazione,
impegna il Governo:
ad assumere iniziative che impediscano il verificarsi (come già accaduto in altri Paesi europei) di episodi diffusi di violenze collettive contro le donne attraverso un potenziamento dello scambio di informazioni con le autorità di pubblica sicurezza di altri Paesi europei;
ad assumere iniziative per realizzare controlli accurati, al fine di impedire l'accesso in Italia a quei soggetti segnalati o coinvolti in episodi di violenza contro le donne denunciati in Europa;
a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative volte a sostenere anche in ambito processuale le donne vittime di violenza e a garantire la certezza della pena per i colpevoli di abusi proseguendo nella direzione giù delineata dal decreto-legge n. 93 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 119 del 2013 e dal decreto legislativo n. 215;
a valutare l'opportunità di assumere iniziative per aumentare la dotazione del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità;
a valutare l'opportunità di finalizzare e rafforzare ulteriormente le attività delle forze di polizia volte alla prevenzione e repressione del fenomeno della violenza contro le donne anche attraverso una mirata intensificazione dei servizi di vigilanza nei luoghi e nelle fasce orarie più a rischio;
ad assicurare una tempestiva informazione alla popolazione sulle condizioni e sui modi in cui si può favorire una corretta integrazione rispettosa dei diritti di tutti e aperta all'accoglienza e al confronto.
(1-01250)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Vezzali, Monchiero, D'Agostino, Galgano, Librandi, Matarrese, Molea, Vargiu, Rabino, Nesi».
La Camera,
premesso che:
«Contrastare la violenza sulle donne è un compito essenziale di ogni società che si proponga la piena tutela dei diritti fondamentali della persona». Lo ha affermato il Capo dello Stato Sergio Mattarella in occasione della giornata contro la violenza alle donne, auspicando un'azione di «educazione dei giovani al rifiuto della violenza nei rapporti affettivi», ha aggiunto però: «Resta ancora molta strada da fare»;
per far fronte a un fenomeno sociale e culturale di così vasta portata, come è quello della violenza sulle donne nelle sue molteplici manifestazioni, sono necessarie risorse culturali prima ancora che economiche e finanziarie, dal momento che il fenomeno della violenza sulle donne ha una sua specifica connotazione a seconda dei Paesi e della loro cultura, della loro organizzazione familiare, lavorativa e sociale. Fatti recenti hanno mostrato e confermato come la violenza sulle donne costituisca anche un nodo concettuale di particolare interesse, in cui si intrecciano atteggiamenti che vanno oltre le specifiche culture nazionali. Tra le donne che subiscono violenza e gli attori della violenza stessa ci può essere una radicale diversità di provenienza oltre che di cultura e di stili di vita. Per questo servono informazioni complete e continuamente aggiornate, sul piano quantitativo e qualitativo, capaci di far emergere le costanti e mutevoli aggressioni che le donne subiscono;
in questa legislatura, il 5 giugno 2013 tra i primi atti compiuti da questo Parlamento, si ricorda che la Camera ha approvato all'unanimità una mozione contro la violenza sulle donne con un atto parlamentare finalizzato a sensibilizzare il Parlamento sugli episodi di violenza sulle donne la cui frequenza stava assumendo connotati preoccupanti anche nel nostro Paese. La mozione, nelle intenzioni di tutti, doveva rappresentare il punto di partenza per nuove iniziative politiche, necessarie per arginare il fenomeno e per consentire azioni di sostegno, formazione e protezione. Le diverse mozioni raccoglievano un dato inquietante per quanto riguarda specificatamente il femminicidio in quegli anni; nel rapporto pubblicato dall'Eures si registrava in Italia un aumento delle uccisioni di donne del 14 per cento dalle 157 nel 2012 alle 179 del 2013;
la mozione di allora si uniformava alle direttive impartite in un campo così delicato dall'Unione europea, dalle Nazioni Unite e da vari consessi internazionali. Si voleva monitorare nel modo più efficace possibile il fenomeno, sostenendo le vittime dal punto di vista sociale ed economico, proteggendole e garantendo loro condizioni di sicurezza che andassero oltre l'intervento delle forze dell'ordine. L'obiettivo era quello di creare i presupposti giuridici per contrastare e reprimere con determinazione questo tipo di reato. Tra i principali impegni proposti al Governo e dallo stesso accettati si sottolineava la necessità di considerare la violenza contro le donne come un'azione contro i diritti umani; si insisteva sulla necessità di sostenere l'inserimento professionale delle donne e la loro autonomia economica, in modo che potessero interrompere prontamente i rapporti caratterizzati da aggressività e da violenza anche a livello domestico. Si chiedeva di ratificare la Convenzione del Consiglio d'Europa (Istanbul 2011) sulla prevenzione e il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica. Si chiedevano maggiori risorse per il raggiungimento di questo obiettivo in modo da rafforzare le reti di contrasto al fenomeno, potenziando capacità di ascolto e di pronto intervento. Ma l'accento era soprattutto sulla urgente necessità di promuovere una forte campagna di prevenzione e di sensibilizzazione culturale, coinvolgendo in particolare gli operatori sanitari, sociali, del diritto e dell'informazione, perché imparassero a gestire i primi contatti con la vittima e aiutarla. Si voleva in definitiva aiutare le donne a superare la paura e a divenire consapevoli che è possibile sconfiggere la violenza e sopravvivere alla violenza stessa;
risale al 1993 La «Dichiarazione sull'eliminazione della violenza contro le donne» che all'articolo 1, descrive la violenza contro le donne come: «Qualsiasi atto di violenza per motivi di genere che provochi o possa verosimilmente provocare danno fisico, sessuale o psicologico, comprese le minacce di violenza, la coercizione o privazione arbitraria della libertà personale, sia nella vita pubblica che privata». Ma la violenza alle donne è diventato tema e dibattito pubblico solo da pochi anni e oggettivamente sia in Italia che in Europa mancano politiche serie di contrasto alla violenza alle donne, così come mancano ricerche con respiro internazionale e progetti di sensibilizzazione e di formazione che coinvolgano a pieno titolo l'opinione pubblica. Le ricerche compiute negli ultimi dieci anni dimostrano che la violenza contro le donne è presente, sia pure in modi diversi nei Paesi industrializzati come in quelli in via di sviluppo. Le vittime e i loro aggressori appartengono a tutte le classi sociali o culturali, e a tutti i ceti economici. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, almeno una donna su cinque ha subito abusi fisici o sessuali da parte di un uomo nel corso della sua vita. E il rischio maggiore più che i mariti e i padri sono soprattutto quei conviventi, che abusano di figlie non loro o di compagne occasionali. Ma tra gli abusanti ci sono anche i cosiddetti amici: vicini di casa, conoscenti e colleghi di lavoro o di studio;
accanto alla violenza domestica che colpisce in modo speciale l'opinione pubblica per la sacralità del luogo in cui si consuma, bisogna ricordare che le donne sono esposte nei luoghi pubblici e sul posto di lavoro a molestie ed abusi sessuali, a stupri e a ricatti sessuali. In molti Paesi le ragazze giovani sono vittime di matrimoni coatti, matrimoni cosiddetti riparatori e sono costrette alla schiavitù sessuale, mentre altre vengono indotte alla prostituzione forzata e/o sono vittime di tratta. Se ne è a lungo parlato nell'ambito del World report on violence and health; l'OMS (Organizzazione mondiale della sanità) ha segnalato tra le altre forme di violenza le mutilazioni genitali femminili o altri tipi di mutilazioni, come in un recente passato lo stupro di guerra ed etnico. Sono ancora forme di violenza subite dalle donne quelle forme di femminicidio che in alcun Paesi, come in India e in Cina, si concretizzano nell'aborto selettivo, per cui le donne vengono indotte a partorire solo figli maschi, perché più e meglio accettati socialmente. Anche se il disastro demografico che questa politica ha causato sta obbligando il Governo di questi Paesi a fare rapidamente marcia indietro. Esistono infine violenze relative alla riproduzione, come l'aborto forzato e la sterilizzazione forzata, e più recentemente perfino la gravidanza forzata;
Irina Bokova, direttrice Generale dell'UNESCO, il 25 novembre 2015 in occasione della giornata contro la violenza alle donne ha affermato che «La violenza contro le donne è una violazione dei diritti e delle libertà fondamentali delle donne ed è inaccettabile in qualsiasi delle sue molteplici forme. L'UNESCO s'impegna a proteggere e promuovere i diritti e le libertà delle donne. Per farlo, è necessario garantire la piena ed equa partecipazione delle donne allo sviluppo e ai processi di costruzione della pace, a tutti i livelli». Le donne e le ragazze che vivono in Paesi colpiti da conflitti armati, sono particolarmente a rischio di violenze sessuali, specie durante l'approvvigionamento d'acqua, secondo il rapporto presentato dall'ONG Earthscan per il progetto ONU del Millennio. Il timore di violenze sessuali provoca conseguenze anche nelle iscrizioni scolastiche, dovute al fatto che le famiglie temono per le proprie figlie;
in occasione della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, promossa dall'ONU a New York, tutti i partecipanti hanno evidenziato il ruolo fondamentale della società civile nell'impegno a creare spazi sicuri in cui possano vivere serenamente le ragazze, stabilire una cultura del rispetto delle donne e porre fine alla violenza perpetrata nei confronti di donne e ragazze. Michelle Bachelet, vice segretario generale e direttore esecutivo di UN Women, l'agenzia che l'ONU ha istituito di recente, ha affermato che, sebbene ci siano stati notevoli progressi nelle politiche nazionali volte a ridurre la violenza sulle donne, molto rimane ancora da fare. Più di cento Paesi sono privi di una legislazione specifica contro la violenza domestica e più del 70 per cento delle donne nel mondo sono state vittime nel corso della loro vita di violenza fisica o sessuale da parte di uomini. La violenza, ha aggiunto la Bachelet, influendo negativamente sui risultati scolastici delle donne, sulle loro capacità di successo lavorativo e sulla loro vita pubblica, allontana progressivamente le società dal conseguimento dell'obiettivo dell'uguaglianza tra gli uomini e le donne. In quella occasione il segretario generale delle Nazioni Unite si è impegnato a cercare un finanziamento di cento milioni di dollari l'anno, da destinare al fondo fiduciario per porre fine alla violenza contro le donne;
per questo anche le Nazioni Unite hanno più che mai bisogno di collaborazione con il settore privato che potrebbe offrire sia canali di finanziamento sia conoscenza in settori chiave. Accanto al semplice finanziamento, i partner aziendali potrebbero apportare la propria competenza per l'elaborazione di strategie, oltre un grado di sostenibilità per la tolleranza al rischio finanziario. In Africa, ad esempio, ci sono importanti progetti a carattere plurisettoriale per l'emancipazione femminile e la creazione di spazi sicuri per queste ultime, compresa la formazione di avvocati, assistenti legali e operatori del settore sanitario necessari per rispondere alle esigenze delle ragazze che affrontano la violenza. Nel mondo occorrono cambiamenti culturali forti per smettere di guardare alle donne come cittadine di seconda classe: bisogna creare una autentica cultura del rispetto;
la riflessione sulla violenza alle donne ha acquisito una ulteriore dimensione dopo i recenti fatti di Colonia nella notte di capodanno, a cavallo tra il 2015 e il 2016, allorché un gruppo di giovani immigrati ha circondato alcune donne e ne ha fatto oggetto di avance, che in alcuni casi hanno dato origine a veri e propri fatti di violenza. Nel complesso si è trattato di un tipo di intervento analogo a quello osservato nel 2011-2012 a Piazza Tahir e questo fatto non va certamente sottovalutato. La dimensione di gruppo, la diversa provenienza geografica degli «attaccanti», in un momento in cui la tensione è alta in tutti Paesi, soprattutto rispetto alla complessa convivenza con gli immigrati, hanno dato all'episodio una rilevanza mediatica enorme. E hanno obbligato non solo le autorità, ma tutta l'opinione pubblica a livello internazionale, ad interrogarsi su questa relazione percepita come tendenzialmente destabilizzante tra donne occidentali e maschi provenienti da Paesi in cui l'immagine della donna può essere davvero diversa;
è opportuno rilevare che solo quando il caso di Colonia è divenuto di rilievo internazionale la polizia tedesca ha avviato una serie di indagini procedendo ad alcuni arresti, con deprecabile ritardo; ciò è bastato agli xenofobi, animati da un desiderio di vendetta sommaria, per aggredire i richiedenti asilo o semplicemente, coloro che avevano un aspetto o abiti islamici. Secondo la polizia tedesca alla base della seconda aggressione c'era stato un tam tam, sui social network per scendere in strada a Colonia e prendersela con persone «visibilmente non-tedesche»;
non c’è dubbio che entrambe le forme di aggressione confermano come in Germania ci sia la crescita di un sentimento di ostilità verso gli immigrati e un sondaggio condotto dall'istituto Forsa ha confermato questa tendenza: il 37 per cento ha risposto che considerava negativamente la presenza degli immigrati soprattutto dopo i fatti di Colonia, mentre il 57 per cento che ha dichiarato di temere che l'aumento dei profughi possa segnare una crescita della criminalità in Germania. D'altra parte è difficile non porsi degli interrogativi seri: le denunce alla polizia di Colonia per violenze subite durante la notte di Capodanno in Germania sono salite a 516, il cui 40 per cento ha a che fare con molestie a sfondo sessuale. Ad Amburgo i casi sono stati 133, e in misura minore a Düsseldorf, Francoforte, Berlino; mentre 500 uomini che hanno forzato l'ingresso di una discoteca di Bielefeld, in Westfalia, dove molte donne hanno poi subito attacchi e molestie;
la stessa Angela Merkel davanti alle molestie sessuali denunciate da tantissime donne a Colonia nella notte di San Silvestro ha affermato che si tratta di «atti ripugnanti e criminali assolutamente inaccettabili per la Germania. L'accaduto è insopportabile per me anche sul piano personale», non ha escluso la via delle espulsioni rapide, operando successivamente in questo senso;
da allora sono emersi numerosi casi precedenti e sono stati segnalati anche parecchi ulteriori casi di violenza in Europa, dalla Svezia alla Slovenia, dalla Francia all'Olanda, Italia compresa, in cui la violenza alle donne è stata perpetrata da cittadini di origine mussulmana. Sono evidenti l'atteggiamento di disprezzo nei confronti della donna e una sorta di azione di rivalsa per quella che ritengono una profonda umiliazione per la loro identità di maschi, frustrati dalla disoccupazione, dalla perdita di prestigio familiare, dalla mancanza di ruolo politico, e altro. In Italia si conoscono azioni di violenza commesse contro le proprie figlie o contro le proprie mogli, colpevoli di una sorta di contaminazione con la cultura occidentale che le vorrebbe più libere ed emancipate. A volta basta anche una semplice assimilazione di stili di abbigliamento o di comportamento più occidentalizzati con i propri coetanei per scatenare l'ira familiare;
il fatto più preoccupante è che chi proviene da quei Paesi porta con sé un'idea della donna culturalmente diversa da quella occidentale, in cui comunque si riaffermano tutte le libertà costitutive dell'Occidente. Occorre non solo approfondire e rendere esplicita quale sia la natura del rapporto con le donne dell'Islam, caratterizzato spesso da una politica di dominio, che non si ferma davanti a forme di violenza strutturata come è accaduto con gli stupri e le violenze verificatesi in Iraq e Siria durante la conquista da parte dell'Isis, con i rapimenti di Boko Haram, e con la schiavitù sessuale e con i fatti gravissimi per cui centinaia di donne egiziane al Cairo sono state punite per la loro partecipazione attiva alla politica durante la cosiddetta primavera araba. Nel processo di accoglienza che riguarda i tanti rifugiati di cultura mussulmana deve esserci una chiara consapevolezza di come per noi sia irrinunciabile e urgente la difesa della libertà femminile da ogni forma di molestia, abuso e violenza sessuale;
il processo di integrazione dei nuovi arrivati in Europa parte dal rispetto nei confronti del Paese ospitante, della sua cultura e delle sue tradizioni con un oggettivo impegno a rispettarne le leggi, gli usi e i costumi. Non c’è dubbio che aver ricevuto una formazione dalle chiare radici giudeo-cristiane consente loro una più rapida assimilazione della identità occidentale, con la piena valorizzazione del concetto di libertà personale e di pari dignità uomo-donna; mentre una formazione di marca islamica implica un itinerario più complesso per poter conservare la fedeltà a certi aspetti della propria tradizione, sottoponendone altri a quel processo di aggiornamento e di modernizzazione richiesto dalla evoluzione dei tempi e ben rappresentato nella Dichiarazione dei diritti universali dell'uomo e della donna;
questa parte politica evidenzia che dai documenti, dai rapporti e dalle procedure relative alle attività di contrasto delle polizie europee nei riguardi delle violenze contro le donne poste in essere da stranieri, in particolare musulmani, e persino da prese di posizione di esponenti della sinistra italiana e di femministe, emergono: una sorta di sottovalutazione del fenomeno, distorte applicazioni di teorie giustificazioniste, la tendenza a «nascondere» l'entità del fenomeno per non apparire «islamofobi» o per non turbare i già complessi processi di integrazione;
tali sconcertanti metodologie comportamentali dell'autorità di polizia, amministrative e politiche ha finito invece per portare acqua al mulino della destra estrema anti-immigrazione ed anti Unione europea (che difatti sta dilagando in tutti i Paesi dell'Unione europea), consentendole di affermare, purtroppo sulla base di numerosi elementi di evidenza pubblica;
l'Unione europea e i Governi a guida di sinistra o centro sinistra in Europa «preferiscono» lavorare più per l'integrazione dei musulmani, che per tutelare la libertà delle donne europee;
il processo di integrazione con l'Islam in realtà nasconde, anche per il crescente peso demografico dei musulmani, un progressivo piegarsi, sino all'assoggettamento, della cultura di libertà occidentale, dove la libertà delle donne sarà progressivamente ridotta, nel livello e negli spazi di agibilità (come peraltro già avvenuto al blindatissimo Carnevale di Colonia), e poi perduta;
è fondamentale dimostrare che non è così, anche per evitare possibili derive autoritarie e xenofobe, nonché i rischi di un ritorno ad un triste passato. È fondamentale porre in essere le decisioni politiche, di legge e di contrasto, necessarie a tutelare le donne e la loro libertà, che è un valore assoluto, dalla violenza e dai tentativi di oppressione. È fondamentale dare veste legale all'assunto che chi non riconosce la parità e la libertà delle donne non può essere integrato,
impegna il Governo:
in linea con gli impegni formulati nella mozione contro la violenza alle donne approvata nel giugno 2013, ad adoperarsi per fare dell'Italia un punto di riferimento per quanto attiene alle piena applicazione delle pari opportunità in tutti gli ambienti sociali e professionali;
a rafforzare e dare veste legale ai contenuti della Carta dei valori della cittadinanza e dell'integrazione emanata dal Ministro dell'interno Amato 2006 assumendo iniziative per:
a) attivare programmi di formazione-informazione nei confronti delle persone che giungono nel nostro Paese, uomini e donne, e che hanno alle spalle culture e consuetudini diverse dalle nostre, soprattutto in tema di diritti civili e in particolare di diritti delle donne;
b) garantire alle donne immigrate spazi e tempi adeguati per una formazione umana e professionale che consenta loro di inserirsi positivamente nel contesto sociale in modo da raggiungere una propria autonomia anche sul piano economico;
c) assicurare alle donne immigrate luoghi concreti a cui poter accedere per conoscere i loro diritti, per comprendere meglio le loro responsabilità e per denunciare i torti di cui sono vittime;
d) introdurre la sottoscrizione da parte di coloro che vengono da Paesi extraeuropei, di una carta dei diritti e dei doveri quale atto necessario per avviare il processo di integrazione, di riconoscimento della condizione di profugo, di richiesta di cittadinanza, di stabilimento nel Paese;
e) prendere gli opportuni contatti con i rappresentati delle comunità straniere in Italia, al fine di ottenere la sottoscrizione della Carta;
a valutare la possibilità di promuovere in sede comunitaria l'emanazione di norme che consentano l'allontanamento immediato dall'Unione degli stranieri che commettono violenza contro le donne o la perdita della qualifica di profugo o del titolo di soggiorno;
ad assicurare un'elevata priorità alla lotta contro tutte le forme di violenza e di discriminazione nei riguardi delle donne: dallo sfruttamento della prostituzione, alla tratta delle donne, dai matrimoni con le spose bambine alle mutilazioni genitali;
ad assumere iniziative per privilegiare, nelle procedure per l'accesso al nostro Paese, come già accade in alcuni Stati occidentali, le famiglie, le donne, i bambini e gli anziani che sfuggono non solo alle guerre, ma anche alla persecuzione religiosa;
a rafforzare tutte le misure, compresi i presidi di polizia, che garantiscano alle donne la loro sicurezza, con particolare attenzione ad alcuni luoghi e ad alcune fasce orarie;
ad assicurare una tempestiva informazione all'opinione pubblica italiana sulle condizioni e sui modi in cui si può favorire una sana integrazione, rispettosa dei diritti di tutti, aperta all'accoglienza e al confronto.
(1-01254) «Binetti, Bosco, Buttiglione, Calabrò».
La Camera,
premesso che:
«Contrastare la violenza sulle donne è un compito essenziale di ogni società che si proponga la piena tutela dei diritti fondamentali della persona». Lo ha affermato il Capo dello Stato Sergio Mattarella in occasione della giornata contro la violenza alle donne, auspicando un'azione di «educazione dei giovani al rifiuto della violenza nei rapporti affettivi», ha aggiunto però: «Resta ancora molta strada da fare»;
per far fronte a un fenomeno sociale e culturale di così vasta portata, come è quello della violenza sulle donne nelle sue molteplici manifestazioni, sono necessarie risorse culturali prima ancora che economiche e finanziarie, dal momento che il fenomeno della violenza sulle donne ha una sua specifica connotazione a seconda dei Paesi e della loro cultura, della loro organizzazione familiare, lavorativa e sociale. Fatti recenti hanno mostrato e confermato come la violenza sulle donne costituisca anche un nodo concettuale di particolare interesse, in cui si intrecciano atteggiamenti che vanno oltre le specifiche culture nazionali. Tra le donne che subiscono violenza e gli attori della violenza stessa ci può essere una radicale diversità di provenienza oltre che di cultura e di stili di vita. Per questo servono informazioni complete e continuamente aggiornate, sul piano quantitativo e qualitativo, capaci di far emergere le costanti e mutevoli aggressioni che le donne subiscono;
in questa legislatura, il 5 giugno 2013 tra i primi atti compiuti da questo Parlamento, si ricorda che la Camera ha approvato all'unanimità una mozione contro la violenza sulle donne con un atto parlamentare finalizzato a sensibilizzare il Parlamento sugli episodi di violenza sulle donne la cui frequenza stava assumendo connotati preoccupanti anche nel nostro Paese. La mozione, nelle intenzioni di tutti, doveva rappresentare il punto di partenza per nuove iniziative politiche, necessarie per arginare il fenomeno e per consentire azioni di sostegno, formazione e protezione. Le diverse mozioni raccoglievano un dato inquietante per quanto riguarda specificatamente il femminicidio in quegli anni; nel rapporto pubblicato dall'Eures si registrava in Italia un aumento delle uccisioni di donne del 14 per cento dalle 157 nel 2012 alle 179 del 2013;
la mozione di allora si uniformava alle direttive impartite in un campo così delicato dall'Unione europea, dalle Nazioni Unite e da vari consessi internazionali. Si voleva monitorare nel modo più efficace possibile il fenomeno, sostenendo le vittime dal punto di vista sociale ed economico, proteggendole e garantendo loro condizioni di sicurezza che andassero oltre l'intervento delle forze dell'ordine. L'obiettivo era quello di creare i presupposti giuridici per contrastare e reprimere con determinazione questo tipo di reato. Tra i principali impegni proposti al Governo e dallo stesso accettati si sottolineava la necessità di considerare la violenza contro le donne come un'azione contro i diritti umani; si insisteva sulla necessità di sostenere l'inserimento professionale delle donne e la loro autonomia economica, in modo che potessero interrompere prontamente i rapporti caratterizzati da aggressività e da violenza anche a livello domestico. Si chiedeva di ratificare la Convenzione del Consiglio d'Europa (Istanbul 2011) sulla prevenzione e il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica. Si chiedevano maggiori risorse per il raggiungimento di questo obiettivo in modo da rafforzare le reti di contrasto al fenomeno, potenziando capacità di ascolto e di pronto intervento. Ma l'accento era soprattutto sulla urgente necessità di promuovere una forte campagna di prevenzione e di sensibilizzazione culturale, coinvolgendo in particolare gli operatori sanitari, sociali, del diritto e dell'informazione, perché imparassero a gestire i primi contatti con la vittima e aiutarla. Si voleva in definitiva aiutare le donne a superare la paura e a divenire consapevoli che è possibile sconfiggere la violenza e sopravvivere alla violenza stessa;
risale al 1993 La «Dichiarazione sull'eliminazione della violenza contro le donne» che all'articolo 1, descrive la violenza contro le donne come: «Qualsiasi atto di violenza per motivi di genere che provochi o possa verosimilmente provocare danno fisico, sessuale o psicologico, comprese le minacce di violenza, la coercizione o privazione arbitraria della libertà personale, sia nella vita pubblica che privata». Ma la violenza alle donne è diventato tema e dibattito pubblico solo da pochi anni e oggettivamente sia in Italia che in Europa mancano politiche serie di contrasto alla violenza alle donne, così come mancano ricerche con respiro internazionale e progetti di sensibilizzazione e di formazione che coinvolgano a pieno titolo l'opinione pubblica. Le ricerche compiute negli ultimi dieci anni dimostrano che la violenza contro le donne è presente, sia pure in modi diversi nei Paesi industrializzati come in quelli in via di sviluppo. Le vittime e i loro aggressori appartengono a tutte le classi sociali o culturali, e a tutti i ceti economici. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, almeno una donna su cinque ha subito abusi fisici o sessuali da parte di un uomo nel corso della sua vita. E il rischio maggiore più che i mariti e i padri sono soprattutto quei conviventi, che abusano di figlie non loro o di compagne occasionali. Ma tra gli abusanti ci sono anche i cosiddetti amici: vicini di casa, conoscenti e colleghi di lavoro o di studio;
accanto alla violenza domestica che colpisce in modo speciale l'opinione pubblica per la sacralità del luogo in cui si consuma, bisogna ricordare che le donne sono esposte nei luoghi pubblici e sul posto di lavoro a molestie ed abusi sessuali, a stupri e a ricatti sessuali. In molti Paesi le ragazze giovani sono vittime di matrimoni coatti, matrimoni cosiddetti riparatori e sono costrette alla schiavitù sessuale, mentre altre vengono indotte alla prostituzione forzata e/o sono vittime di tratta. Se ne è a lungo parlato nell'ambito del World report on violence and health; l'OMS (Organizzazione mondiale della sanità) ha segnalato tra le altre forme di violenza le mutilazioni genitali femminili o altri tipi di mutilazioni, come in un recente passato lo stupro di guerra ed etnico. Sono ancora forme di violenza subite dalle donne quelle forme di femminicidio che in alcun Paesi, come in India e in Cina, si concretizzano nell'aborto selettivo, per cui le donne vengono indotte a partorire solo figli maschi, perché più e meglio accettati socialmente. Anche se il disastro demografico che questa politica ha causato sta obbligando il Governo di questi Paesi a fare rapidamente marcia indietro. Esistono infine violenze relative alla riproduzione, come l'aborto forzato e la sterilizzazione forzata, e più recentemente perfino la gravidanza forzata;
Irina Bokova, direttrice Generale dell'UNESCO, il 25 novembre 2015 in occasione della giornata contro la violenza alle donne ha affermato che «La violenza contro le donne è una violazione dei diritti e delle libertà fondamentali delle donne ed è inaccettabile in qualsiasi delle sue molteplici forme. L'UNESCO s'impegna a proteggere e promuovere i diritti e le libertà delle donne. Per farlo, è necessario garantire la piena ed equa partecipazione delle donne allo sviluppo e ai processi di costruzione della pace, a tutti i livelli». Le donne e le ragazze che vivono in Paesi colpiti da conflitti armati, sono particolarmente a rischio di violenze sessuali, specie durante l'approvvigionamento d'acqua, secondo il rapporto presentato dall'ONG Earthscan per il progetto ONU del Millennio. Il timore di violenze sessuali provoca conseguenze anche nelle iscrizioni scolastiche, dovute al fatto che le famiglie temono per le proprie figlie;
in occasione della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, promossa dall'ONU a New York, tutti i partecipanti hanno evidenziato il ruolo fondamentale della società civile nell'impegno a creare spazi sicuri in cui possano vivere serenamente le ragazze, stabilire una cultura del rispetto delle donne e porre fine alla violenza perpetrata nei confronti di donne e ragazze. Michelle Bachelet, vice segretario generale e direttore esecutivo di UN Women, l'agenzia che l'ONU ha istituito di recente, ha affermato che, sebbene ci siano stati notevoli progressi nelle politiche nazionali volte a ridurre la violenza sulle donne, molto rimane ancora da fare. Più di cento Paesi sono privi di una legislazione specifica contro la violenza domestica e più del 70 per cento delle donne nel mondo sono state vittime nel corso della loro vita di violenza fisica o sessuale da parte di uomini. La violenza, ha aggiunto la Bachelet, influendo negativamente sui risultati scolastici delle donne, sulle loro capacità di successo lavorativo e sulla loro vita pubblica, allontana progressivamente le società dal conseguimento dell'obiettivo dell'uguaglianza tra gli uomini e le donne. In quella occasione il segretario generale delle Nazioni Unite si è impegnato a cercare un finanziamento di cento milioni di dollari l'anno, da destinare al fondo fiduciario per porre fine alla violenza contro le donne;
per questo anche le Nazioni Unite hanno più che mai bisogno di collaborazione con il settore privato che potrebbe offrire sia canali di finanziamento sia conoscenza in settori chiave. Accanto al semplice finanziamento, i partner aziendali potrebbero apportare la propria competenza per l'elaborazione di strategie, oltre un grado di sostenibilità per la tolleranza al rischio finanziario. In Africa, ad esempio, ci sono importanti progetti a carattere plurisettoriale per l'emancipazione femminile e la creazione di spazi sicuri per queste ultime, compresa la formazione di avvocati, assistenti legali e operatori del settore sanitario necessari per rispondere alle esigenze delle ragazze che affrontano la violenza. Nel mondo occorrono cambiamenti culturali forti per smettere di guardare alle donne come cittadine di seconda classe: bisogna creare una autentica cultura del rispetto;
la riflessione sulla violenza alle donne ha acquisito una ulteriore dimensione dopo i recenti fatti di Colonia nella notte di capodanno, a cavallo tra il 2015 e il 2016, allorché un gruppo di giovani immigrati ha circondato alcune donne e ne ha fatto oggetto di avance, che in alcuni casi hanno dato origine a veri e propri fatti di violenza. Nel complesso si è trattato di un tipo di intervento analogo a quello osservato nel 2011-2012 a Piazza Tahir e questo fatto non va certamente sottovalutato. La dimensione di gruppo, la diversa provenienza geografica degli «attaccanti», in un momento in cui la tensione è alta in tutti Paesi, soprattutto rispetto alla complessa convivenza con gli immigrati, hanno dato all'episodio una rilevanza mediatica enorme. E hanno obbligato non solo le autorità, ma tutta l'opinione pubblica a livello internazionale, ad interrogarsi su questa relazione percepita come tendenzialmente destabilizzante tra donne occidentali e maschi provenienti da Paesi in cui l'immagine della donna può essere davvero diversa;
è opportuno rilevare che solo quando il caso di Colonia è divenuto di rilievo internazionale la polizia tedesca ha avviato una serie di indagini procedendo ad alcuni arresti, con deprecabile ritardo; ciò è bastato agli xenofobi, animati da un desiderio di vendetta sommaria, per aggredire i richiedenti asilo o semplicemente, coloro che avevano un aspetto o abiti islamici. Secondo la polizia tedesca alla base della seconda aggressione c'era stato un tam tam, sui social network per scendere in strada a Colonia e prendersela con persone «visibilmente non-tedesche»;
non c’è dubbio che entrambe le forme di aggressione confermano come in Germania ci sia la crescita di un sentimento di ostilità verso gli immigrati e un sondaggio condotto dall'istituto Forsa ha confermato questa tendenza: il 37 per cento ha risposto che considerava negativamente la presenza degli immigrati soprattutto dopo i fatti di Colonia, mentre il 57 per cento che ha dichiarato di temere che l'aumento dei profughi possa segnare una crescita della criminalità in Germania. D'altra parte è difficile non porsi degli interrogativi seri: le denunce alla polizia di Colonia per violenze subite durante la notte di Capodanno in Germania sono salite a 516, il cui 40 per cento ha a che fare con molestie a sfondo sessuale. Ad Amburgo i casi sono stati 133, e in misura minore a Düsseldorf, Francoforte, Berlino; mentre 500 uomini che hanno forzato l'ingresso di una discoteca di Bielefeld, in Westfalia, dove molte donne hanno poi subito attacchi e molestie;
la stessa Angela Merkel davanti alle molestie sessuali denunciate da tantissime donne a Colonia nella notte di San Silvestro ha affermato che si tratta di «atti ripugnanti e criminali assolutamente inaccettabili per la Germania. L'accaduto è insopportabile per me anche sul piano personale», non ha escluso la via delle espulsioni rapide, operando successivamente in questo senso;
da allora sono emersi numerosi casi precedenti e sono stati segnalati anche parecchi ulteriori casi di violenza in Europa, dalla Svezia alla Slovenia, dalla Francia all'Olanda, Italia compresa, in cui la violenza alle donne è stata perpetrata da cittadini di origine mussulmana. Sono evidenti l'atteggiamento di disprezzo nei confronti della donna e una sorta di azione di rivalsa per quella che ritengono una profonda umiliazione per la loro identità di maschi, frustrati dalla disoccupazione, dalla perdita di prestigio familiare, dalla mancanza di ruolo politico, e altro. In Italia si conoscono azioni di violenza commesse contro le proprie figlie o contro le proprie mogli, colpevoli di una sorta di contaminazione con la cultura occidentale che le vorrebbe più libere ed emancipate. A volta basta anche una semplice assimilazione di stili di abbigliamento o di comportamento più occidentalizzati con i propri coetanei per scatenare l'ira familiare;
il fatto più preoccupante è che chi proviene da quei Paesi porta con sé un'idea della donna culturalmente diversa da quella occidentale, in cui comunque si riaffermano tutte le libertà costitutive dell'Occidente. Occorre non solo approfondire e rendere esplicita quale sia la natura del rapporto con le donne dell'Islam, caratterizzato spesso da una politica di dominio, che non si ferma davanti a forme di violenza strutturata come è accaduto con gli stupri e le violenze verificatesi in Iraq e Siria durante la conquista da parte dell'Isis, con i rapimenti di Boko Haram, e con la schiavitù sessuale e con i fatti gravissimi per cui centinaia di donne egiziane al Cairo sono state punite per la loro partecipazione attiva alla politica durante la cosiddetta primavera araba. Nel processo di accoglienza che riguarda i tanti rifugiati di cultura mussulmana deve esserci una chiara consapevolezza di come per noi sia irrinunciabile e urgente la difesa della libertà femminile da ogni forma di molestia, abuso e violenza sessuale;
il processo di integrazione dei nuovi arrivati in Europa parte dal rispetto nei confronti del Paese ospitante, della sua cultura e delle sue tradizioni con un oggettivo impegno a rispettarne le leggi, gli usi e i costumi. Non c’è dubbio che aver ricevuto una formazione dalle chiare radici giudeo-cristiane consente loro una più rapida assimilazione della identità occidentale, con la piena valorizzazione del concetto di libertà personale e di pari dignità uomo-donna; mentre una formazione di marca islamica implica un itinerario più complesso per poter conservare la fedeltà a certi aspetti della propria tradizione, sottoponendone altri a quel processo di aggiornamento e di modernizzazione richiesto dalla evoluzione dei tempi e ben rappresentato nella Dichiarazione dei diritti universali dell'uomo e della donna;
questa parte politica evidenzia che dai documenti, dai rapporti e dalle procedure relative alle attività di contrasto delle polizie europee nei riguardi delle violenze contro le donne poste in essere da stranieri, in particolare musulmani, e persino da prese di posizione di esponenti della sinistra italiana e di femministe, emergono: una sorta di sottovalutazione del fenomeno, distorte applicazioni di teorie giustificazioniste, la tendenza a «nascondere» l'entità del fenomeno per non apparire «islamofobi» o per non turbare i già complessi processi di integrazione;
tali sconcertanti metodologie comportamentali dell'autorità di polizia, amministrative e politiche ha finito invece per portare acqua al mulino della destra estrema anti-immigrazione ed anti Unione europea (che difatti sta dilagando in tutti i Paesi dell'Unione europea), consentendole di affermare, purtroppo sulla base di numerosi elementi di evidenza pubblica;
l'Unione europea e i Governi a guida di sinistra o centro sinistra in Europa «preferiscono» lavorare più per l'integrazione dei musulmani, che per tutelare la libertà delle donne europee;
il processo di integrazione con l'Islam in realtà nasconde, anche per il crescente peso demografico dei musulmani, un progressivo piegarsi, sino all'assoggettamento, della cultura di libertà occidentale, dove la libertà delle donne sarà progressivamente ridotta, nel livello e negli spazi di agibilità (come peraltro già avvenuto al blindatissimo Carnevale di Colonia), e poi perduta;
è fondamentale dimostrare che non è così, anche per evitare possibili derive autoritarie e xenofobe, nonché i rischi di un ritorno ad un triste passato. È fondamentale porre in essere le decisioni politiche, di legge e di contrasto, necessarie a tutelare le donne e la loro libertà, che è un valore assoluto, dalla violenza e dai tentativi di oppressione. È fondamentale dare veste legale all'assunto che chi non riconosce la parità e la libertà delle donne non può essere integrato,
impegna il Governo:
in linea con gli impegni formulati nella mozione contro la violenza alle donne approvata nel giugno 2013, ad adoperarsi per fare dell'Italia un punto di riferimento per quanto attiene alle piena applicazione delle pari opportunità in tutti gli ambienti sociali e professionali;
a dare attuazione ai contenuti della Carta dei valori della cittadinanza e dell'integrazione emanata dal Ministro dell'interno Amato assumendo iniziative per:
a) attivare programmi di formazione-informazione nei confronti delle persone che giungono nel nostro Paese, uomini e donne, e che hanno alle spalle culture e consuetudini diverse dalle nostre, soprattutto in tema di diritti civili e in particolare di diritti delle donne;
b) garantire alle donne immigrate spazi e tempi adeguati per una formazione umana e professionale che consenta loro di inserirsi positivamente nel contesto sociale in modo da raggiungere una propria autonomia anche sul piano economico;
c) assicurare alle donne immigrate luoghi concreti a cui poter accedere per conoscere i loro diritti, per comprendere meglio le loro responsabilità e per denunciare i torti di cui sono vittime;
d) prendere gli opportuni contatti con i rappresentati delle comunità straniere in Italia, al fine di ottenere la sottoscrizione della Carta;
a valutare la possibilità di promuovere in sede comunitaria l'emanazione di norme che consentano l'allontanamento immediato dall'Unione degli stranieri che commettono violenza contro le donne o la perdita della qualifica di profugo o del titolo di soggiorno;
ad assicurare un'elevata priorità alla lotta contro tutte le forme di violenza e di discriminazione nei riguardi delle donne: dallo sfruttamento della prostituzione, alla tratta delle donne, dai matrimoni con le spose bambine alle mutilazioni genitali;
a valutare l'opportunità di assumere iniziative volte a rafforzare le misure di sostegno e di accoglienza per le famiglie, le donne, i bambini e gli anziani che sfuggono non solo alle guerre, ma anche alla persecuzione religiosa;
a valutare l'opportunità di finalizzare e rafforzare ulteriormente l'attività delle forze di polizia volta alla prevenzione e repressione del fenomeno della violenza contro le donne anche attraverso una mirata intensificazione dei servizi di vigilanza nei luoghi e nelle fasce orarie più a rischio;
ad assicurare una tempestiva informazione all'opinione pubblica italiana sulle condizioni e sui modi in cui si può favorire una sana integrazione, rispettosa dei diritti di tutti, aperta all'accoglienza e al confronto.
(1-01254)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Binetti, Bosco, Buttiglione, Calabrò».
La Camera,
premesso che:
l'Europa deve essere ed è innanzitutto un sistema di valori, poggiante sui principi di rispetto reciproco, di tolleranza, di riconoscimento ed accettazione delle identità e delle diversità, di totale parità di genere, di libertà dei singoli, di responsabilità degli individui, e di rispetto della legalità;
su questi valori sono nate e si sono sviluppate negli anni le democrazie degli Stati europei e l'Unione europea stessa, unita dalla condivisione dei princìpi e dei valori fondativi ed identitari: libertà, parità, eguaglianza, democrazia, legalità;
a Capodanno in diverse città europee, soprattutto della Repubblica federale di Germania, sono avvenute numerose odiose aggressioni a danno di donne, di carattere sessuale e di stampo sessista, compiute – come emerge dalle denunce ricevute dai locali commissariati delle forte dell'ordine – soprattutto da immigrati richiedenti asilo;
le denunce alla polizia di Colonia per violenze subite durante la notte di Capodanno risultano essere 516, il cui 40 per cento ha avuto a che fare con molestie a sfondo sessuale;
ad Amburgo i casi sono stati 133, e all'elenco delle città tedesche che hanno registrato il fenomeno (Düsseldorf, Francoforte, Berlino) si aggiunge l'irruzione di 500 uomini che hanno forzato l'ingresso di una discoteca di Bielefeld, in Westfalia, dove molte donne hanno poi subito attacchi e molestie;
il 9 aprile 2016 la polizia di Colonia ha identificato 153 sospetti, 24 dei quali sono in custodia investigativa; 149 dei 153 indagati non sono tedeschi e molti sono richiedenti asilo e immigrati illegali: 103 provengono da Marocco o Algeria; 68 richiedenti asilo; 18 in Germania illegalmente e lo status legale di 47 non è chiaro;
diverse sono state le critiche contro l'amministrazione della città, i media e la polizia per aver sottovalutato quello che è successo, nel migliore dei casi, o addirittura per aver cercato di insabbiarlo ed evitare, in questo modo, di alimentare una reazione violenta contro i profughi;
gli assalti inizialmente non sono stati segnalati dalla polizia e sono stati in gran parte ignorati dai media tedeschi nei giorni successivi;
diversi testimoni hanno sostenuto che gli agenti erano presenti ma che non sono riusciti a fermare gli attacchi;
l'operato della polizia è stato criticato anche dal Ministro dell'interno tedesco Thomas De Maiziere che ha affermato che «La polizia non dovrebbe lavorare così»;
si è trattato di aggressioni che dimostrano disprezzo dei princìpi di parità di genere, di eguaglianza delle persone, di legalità dei comportamenti: i valori dell'identità europea, da cui conseguono le azioni di doverosa accoglienza ed ospitalità nei confronti dei richiedenti asilo;
il disprezzo o il rifiuto, di tali princìpi contrastano con la possibilità del riconoscimento del diritto all'asilo perché nega e minano alla radice l'identità dell'Europa e lo spirito e la lettera dello stesso articolo 10 della Costituzione;
i valori richiamati e, in particolare, quello della parità di genere, dell'eguaglianza di ogni persona e delle diverse identità, del rispetto pieno del principio di legalità e delle leggi che i singoli Stati e l'Unione si sono democraticamente dati devono essere difesi, promossi, tutelati ed assicurati da parte di tutti e nei confronti di ciascuno;
comportamenti (individuali e, a maggior ragione, collettivi) che, in flagrante o in modo inequivocabile, attestano il rifiuto dei principi fondamentali della convivenza civile, come nel caso delle aggressioni sessuali di stampo sessista, neganti la parità di genere, verificatesi in Germania, richiedono l'adozione di misure coerenti con l'esigenza di difendere, promuovere e tutelare i valori della persona e i valori fondativi dell'identità e dell'Unione europea;
il 1o agosto 2014 è entrata ufficialmente in vigore la Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica – meglio nota come «Convenzione di Istanbul» – adottata dal Consiglio d'Europa l'11 maggio 2011;
l'Italia è stata tra i primi Paesi europei a fare propria la Convenzione, ratificandola con la legge 27 giugno 2013, n. 77;
ai sensi dell'articolo 40 della stessa Convenzione, entrata in vigore nell'agosto 2014, «le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che qualsiasi forma di comportamento indesiderato, verbale, non verbale o fisico, di natura sessuale, con lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona, segnatamente quando tale comportamento crea un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo, sia sottoposto a sanzioni penali o ad altre sanzioni legali»;
le donne sono spesso esposte a gravi forme di violenza, che costituiscono una grave violazione dei diritti umani ed il principale ostacolo al raggiungimento della parità tra i sessi, come sancito dalla stessa Convenzione di Istanbul;
in Italia è stato adottato il piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere (articolo 5 del decreto-legge n. 93 del 14 agosto 2103, convertito dalla legge n. 119 del 2013) con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 luglio 2015 e registrato dalla Corte dei Conti il 25 agosto 2015;
è necessario che le disposizioni relative all'accoglimento delle richieste di asilo prevedano adeguate misure dirette a tutelare, promuovere ed assicurare l'esercizio dei diritti fondamentali ed universali delle donne e degli uomini, prevedendo, a fronte di comportamenti che li neghino, il mancato riconoscimento dello status di rifugiato e l'espulsione dei responsabili;
come ha affermato lo stesso Ministro dell'interno della Germania, Thomas De Maiziere, definendo le violenze «completamente inaccettabili», «il fatto che dietro alle aggressioni ci siano stranieri non deve lasciare in silenzio ma non deve neanche portare a un sospetto generalizzato nei confronti di tutti i rifugiati e migranti»;
si esprime sdegno e condanna nei confronti della violenza subita da un numero considerevole di donne in varie città tedesche in occasione dei festeggiamenti del Capodanno, e pari condanna per la violazione dei diritti di parità delle donne in diversi Paesi di provenienza dei migranti stessi,
impegna il Governo:
ad adottare le necessarie iniziative per adeguare le disposizioni relative all'accoglimento delle richieste di asilo prevedendo il mancato riconoscimento dello status di rifugiato e l'espulsione per i responsabili di comportamenti che, come nel caso delle aggressioni sessuali di stampo sessista verificatesi a Capodanno, violino la dignità ed in generale i diritti della donna, diritti alla base dell'ordinamento dell'Unione europea, ma anche del Consiglio d'Europa di cui fanno parte ben 47 Paesi anche extraeuropei;
ad assumere iniziative per prevedere l'obbligo della frequentazione di corsi destinati ai migranti richiedenti il permesso di soggiorno o il riconoscimento dello status di rifugiato, tesi a far conoscere la legislazione italiana ed europea in merito ai diritti della persona e segnatamente quelli delle donne, nonché i valori della parità di genere sanciti dalla Costituzione italiana e dai trattati dell'Unione europea;
a verificare la possibilità di definire convenzioni tra il Ministero dell'interno e i centri antiviolenza presenti sul territorio, al fine di rendere più stabili ed efficaci gli interventi di prevenzione e di sostegno contro soprusi e vessazioni nei confronti delle donne straniere nei luoghi di accoglienza di migranti e rifugiati;
a rendere effettivo il piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, specificatamente nella parte che prevede corsi di formazione delle forze dell'ordine.
(1-01260) «Spadoni, Basilio, Di Vita, Agostinelli, Dadone, Dieni, D'Incà».
La Camera,
premesso che:
l'Europa deve essere ed è innanzitutto un sistema di valori, poggiante sui principi di rispetto reciproco, di tolleranza, di riconoscimento ed accettazione delle identità e delle diversità, di totale parità di genere, di libertà dei singoli, di responsabilità degli individui, e di rispetto della legalità;
su questi valori sono nate e si sono sviluppate negli anni le democrazie degli Stati europei e l'Unione europea stessa, unita dalla condivisione dei princìpi e dei valori fondativi ed identitari: libertà, parità, eguaglianza, democrazia, legalità;
a Capodanno in diverse città europee, soprattutto della Repubblica federale di Germania, sono avvenute numerose odiose aggressioni a danno di donne, di carattere sessuale e di stampo sessista, compiute – come emerge dalle denunce ricevute dai locali commissariati delle forte dell'ordine – soprattutto da immigrati richiedenti asilo;
le denunce alla polizia di Colonia per violenze subite durante la notte di Capodanno risultano essere 516, il cui 40 per cento ha avuto a che fare con molestie a sfondo sessuale;
ad Amburgo i casi sono stati 133, e all'elenco delle città tedesche che hanno registrato il fenomeno (Düsseldorf, Francoforte, Berlino) si aggiunge l'irruzione di 500 uomini che hanno forzato l'ingresso di una discoteca di Bielefeld, in Westfalia, dove molte donne hanno poi subito attacchi e molestie;
il 9 aprile 2016 la polizia di Colonia ha identificato 153 sospetti, 24 dei quali sono in custodia investigativa; 149 dei 153 indagati non sono tedeschi e molti sono richiedenti asilo e immigrati illegali: 103 provengono da Marocco o Algeria; 68 richiedenti asilo; 18 in Germania illegalmente e lo status legale di 47 non è chiaro;
diverse sono state le critiche contro l'amministrazione della città, i media e la polizia per aver sottovalutato quello che è successo, nel migliore dei casi, o addirittura per aver cercato di insabbiarlo ed evitare, in questo modo, di alimentare una reazione violenta contro i profughi;
gli assalti inizialmente non sono stati segnalati dalla polizia e sono stati in gran parte ignorati dai media tedeschi nei giorni successivi;
diversi testimoni hanno sostenuto che gli agenti erano presenti ma che non sono riusciti a fermare gli attacchi;
l'operato della polizia è stato criticato anche dal Ministro dell'interno tedesco Thomas De Maiziere che ha affermato che «La polizia non dovrebbe lavorare così»;
si è trattato di aggressioni che dimostrano disprezzo dei princìpi di parità di genere, di eguaglianza delle persone, di legalità dei comportamenti: i valori dell'identità europea, da cui conseguono le azioni di doverosa accoglienza ed ospitalità nei confronti dei richiedenti asilo;
il disprezzo o il rifiuto, di tali princìpi contrastano con la possibilità del riconoscimento del diritto all'asilo perché nega e minano alla radice l'identità dell'Europa e lo spirito e la lettera dello stesso articolo 10 della Costituzione;
i valori richiamati e, in particolare, quello della parità di genere, dell'eguaglianza di ogni persona e delle diverse identità, del rispetto pieno del principio di legalità e delle leggi che i singoli Stati e l'Unione si sono democraticamente dati devono essere difesi, promossi, tutelati ed assicurati da parte di tutti e nei confronti di ciascuno;
comportamenti (individuali e, a maggior ragione, collettivi) che, in flagrante o in modo inequivocabile, attestano il rifiuto dei principi fondamentali della convivenza civile, come nel caso delle aggressioni sessuali di stampo sessista, neganti la parità di genere, verificatesi in Germania, richiedono l'adozione di misure coerenti con l'esigenza di difendere, promuovere e tutelare i valori della persona e i valori fondativi dell'identità e dell'Unione europea;
il 1o agosto 2014 è entrata ufficialmente in vigore la Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica – meglio nota come «Convenzione di Istanbul» – adottata dal Consiglio d'Europa l'11 maggio 2011;
l'Italia è stata tra i primi Paesi europei a fare propria la Convenzione, ratificandola con la legge 27 giugno 2013, n. 77;
ai sensi dell'articolo 40 della stessa Convenzione, entrata in vigore nell'agosto 2014, «le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che qualsiasi forma di comportamento indesiderato, verbale, non verbale o fisico, di natura sessuale, con lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona, segnatamente quando tale comportamento crea un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo, sia sottoposto a sanzioni penali o ad altre sanzioni legali»;
le donne sono spesso esposte a gravi forme di violenza, che costituiscono una grave violazione dei diritti umani ed il principale ostacolo al raggiungimento della parità tra i sessi, come sancito dalla stessa Convenzione di Istanbul;
in Italia è stato adottato il piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere (articolo 5 del decreto-legge n. 93 del 14 agosto 2103, convertito dalla legge n. 119 del 2013) con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 luglio 2015 e registrato dalla Corte dei Conti il 25 agosto 2015;
è necessario che le disposizioni relative all'accoglimento delle richieste di asilo prevedano adeguate misure dirette a tutelare, promuovere ed assicurare l'esercizio dei diritti fondamentali ed universali delle donne e degli uomini, prevedendo, a fronte di comportamenti che li neghino, il mancato riconoscimento dello status di rifugiato e l'espulsione dei responsabili;
come ha affermato lo stesso Ministro dell'interno della Germania, Thomas De Maiziere, definendo le violenze «completamente inaccettabili», «il fatto che dietro alle aggressioni ci siano stranieri non deve lasciare in silenzio ma non deve neanche portare a un sospetto generalizzato nei confronti di tutti i rifugiati e migranti»;
si esprime sdegno e condanna nei confronti della violenza subita da un numero considerevole di donne in varie città tedesche in occasione dei festeggiamenti del Capodanno, e pari condanna per la violazione dei diritti di parità delle donne in diversi Paesi di provenienza dei migranti stessi,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di ampliare la fattispecie in cui, ai fini del diniego della revoca della protezione internazionale, lo straniero costituisca un pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica a seguito della condanna per atti di aggressione lesivi della dignità e dei diritti della donna;
ad assumere iniziative per prevedere l'obbligo della frequentazione di corsi destinati ai migranti richiedenti il permesso di soggiorno o il riconoscimento dello status di rifugiato, tesi a far conoscere la legislazione italiana ed europea in merito ai diritti della persona e segnatamente quelli delle donne, nonché i valori della parità di genere sanciti dalla Costituzione italiana e dai trattati dell'Unione europea;
a verificare la possibilità di stipulare protocolli d'intesa che coinvolgano diversi attori impegnati nell'attività di supporto alle donne e di contrasto alla violenza di genere, compresi il Ministero dell'interno e i centri antiviolenza;
a rendere effettivo il piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, specificatamente nella parte che prevede corsi di formazione delle forze dell'ordine.
(1-01260)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Spadoni, Basilio, Di Vita, Agostinelli, Dadone, Dieni, D'Incà».
La Camera,
premesso che:
i dati Istat del 2015 dimostrano che circa il 35 per cento delle donne nel mondo sono state oggetto di violenza. L'origine della violenza contro le donne può essere individuata ancora oggi nella diseguaglianza dei rapporti tra uomini e donne;
in Italia, sempre secondo l'Istat, le donne che hanno subito nel corso della loro vita una forma di violenza fisica o sessuale ammontano a circa sette milioni;
spesso le violenze o gli abusi sulle donne non vengono denunciati per evitare pregiudizi o perché consumati in ambiente domestico;
i casi delle violenze sulle donne, come ogni altra forma di violenza, vanno analizzati nel contesto nel quale si manifesta: la violenza ha risvolti psicologici se origina da un disagio, può avvenire dopo assunzione di sostanze stupefacenti o alcolici, o può scaturire anche dall'esaltazione di gruppo;
per far fronte al fenomeno della violenza sulle donne sono necessarie risorse culturali, prima ancora che economiche e finanziarie;
alcune città sono state interessate da intollerabili violenze di gruppo anche ad opera di immigrati extracomunitari, che hanno compiuto abusi e maltrattamenti di ogni genere;
in particolare, la notte del 31 dicembre 2015, a Colonia ed in altre città europee, tra cui Amburgo, Bielefeld, Dortmund, Düsseldorf, Stoccarda, Helsinki e Zurigo, si sono riscontrati episodi di violenza di branco, contro la dignità e la libertà delle donne;
nel frattempo sono emersi ulteriori e numerosi casi precedenti, mentre sono stati segnalati casi di violenza anche in Europa, Slovenia, Francia, Olanda ed Italia;
questi episodi, per le numerose vittime coinvolte, fanno pensare più ad una sfida verso l'Occidente che non ad un gesto di dispregio verso le stesse;
la circostanza che più di tutte preoccupa è legata al fatto che chi proviene da quei Paesi porta con sé un'idea della donna culturalmente diversa da quella occidentale;
occorre approfondire e rendere nota quale sia la natura del rapporto con le donne da parte dell'Islam, caratterizzato spesso da una politica di dominio che non si arresta davanti a forme di violenza strutturata, come più volte è già accaduto,
impegna il Governo:
ad implementare tutte le misure, compresi i presidi delle forze dell'ordine, che garantiscano alle donne la loro sicurezza;
a promuovere in sede comunitaria l'adozione di norme che consentano l'espulsione immediata dall'Unione europea degli stranieri che commettono violenza contro le donne;
ad assumere iniziative per attivare programmi di formazione nei confronti delle persone che arrivano in Italia;
a valutare l'opportunità di assumere iniziative per integrare la dotazione finanziaria del fondo delle politiche relative ai diritti ed alle pari opportunità;
ad attivare iniziative per aiutare le donne vittime di violenza a superare il trauma subito, assicurando loro la tutela legale gratuita;
a valutare l'opportunità di assumere iniziative per impedire il verificarsi di episodi diffusi di violenza contro le donne attraverso una implementazione degli scambi di informazioni con le forze dell'ordine di altri Paesi europei.
(1-01261) «Palese, Altieri, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».
La Camera,
premesso che:
i dati Istat del 2015 dimostrano che circa il 35 per cento delle donne nel mondo sono state oggetto di violenza. L'origine della violenza contro le donne può essere individuata ancora oggi nella diseguaglianza dei rapporti tra uomini e donne;
in Italia, sempre secondo l'Istat, le donne che hanno subito nel corso della loro vita una forma di violenza fisica o sessuale ammontano a circa sette milioni;
spesso le violenze o gli abusi sulle donne non vengono denunciati per evitare pregiudizi o perché consumati in ambiente domestico;
i casi delle violenze sulle donne, come ogni altra forma di violenza, vanno analizzati nel contesto nel quale si manifesta: la violenza ha risvolti psicologici se origina da un disagio, può avvenire dopo assunzione di sostanze stupefacenti o alcolici, o può scaturire anche dall'esaltazione di gruppo;
per far fronte al fenomeno della violenza sulle donne sono necessarie risorse culturali, prima ancora che economiche e finanziarie;
alcune città sono state interessate da intollerabili violenze di gruppo anche ad opera di immigrati extracomunitari, che hanno compiuto abusi e maltrattamenti di ogni genere;
in particolare, la notte del 31 dicembre 2015, a Colonia ed in altre città europee, tra cui Amburgo, Bielefeld, Dortmund, Düsseldorf, Stoccarda, Helsinki e Zurigo, si sono riscontrati episodi di violenza di branco, contro la dignità e la libertà delle donne;
nel frattempo sono emersi ulteriori e numerosi casi precedenti, mentre sono stati segnalati casi di violenza anche in Europa, Slovenia, Francia, Olanda ed Italia;
questi episodi, per le numerose vittime coinvolte, fanno pensare più ad una sfida verso l'Occidente che non ad un gesto di dispregio verso le stesse;
la circostanza che più di tutte preoccupa è legata al fatto che chi proviene da quei Paesi porta con sé un'idea della donna culturalmente diversa da quella occidentale;
occorre approfondire e rendere nota quale sia la natura del rapporto con le donne da parte dell'Islam,
impegna il Governo:
a valutare l'opportunità di finalizzare e rafforzare ulteriormente le attività delle forze di polizia volte alla prevenzione e repressione del fenomeno della violenza contro le donne;
a promuovere in sede comunitaria l'adozione di norme che consentano l'espulsione immediata dall'Unione europea degli stranieri che commettono violenza contro le donne;
ad assumere iniziative per attivare programmi di formazione nei confronti delle persone che arrivano in Italia;
a valutare l'opportunità di assumere iniziative per integrare la dotazione finanziaria del fondo delle politiche relative ai diritti ed alle pari opportunità;
a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative volte a sostenere anche in ambito processuale le donne vittime di violenza e a garantire la certezza della pena per i colpevoli di abusi proseguendo nella direzione già delineata dal decreto-legge n. 93 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 119 del 2013 e dal decreto legislativo n. 215;
a valutare l'opportunità di assumere iniziative oltre quelle già attivate per impedire il verificarsi di episodi diffusi di violenza contro le donne attraverso una implementazione degli scambi di informazioni con le forze dell'ordine di altri Paesi europei.
(1-01261)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Palese, Altieri, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».
La Camera,
premesso che:
l'ondata migratoria che nell'ultimo anno ha sconvolto l'Europa è un'emergenza sociale globale, un dramma mondiale che mostra l'orrore delle guerre e della carestia ma anche del terrorismo fondamentalista;
senza ignorare la complessità della questione e le sfaccettature molteplici, senza nascondere la difficoltà di trovare soluzioni efficaci e lungimiranti per un fenomeno complesso, intriso di fanatismo religioso, che ha provocato reazioni di razzismo e intolleranza, questi episodi richiedono una risposta straordinaria che impegna in modo unitario la comunità internazionale e l'Europa in una comune responsabilità per una risposta forte ed immediata anche da parte del nostro Paese, con regole comuni capaci di tenere insieme accoglienza e rigore, solidarietà e intransigenza nel rispetto delle regole che valgono per tutti e sulle quali non è possibile transigere;
il 31 dicembre 2015 a Colonia e in altre città europee si sono verificati episodi ripugnanti e intollerabili di violenza di branco contro la dignità e la libertà femminile, colpendo il corpo delle donne, violenza che ha minato ancora luoghi di convivenza, di quotidianità, di relazioni;
si ritiene irrinunciabile e urgente difendere la libertà femminile da ogni forma di violenza sessuale, affinché non si verifichino altri episodi analoghi, in considerazione anche del fatto che il nostro Parlamento in questa legislatura è composto da un elevato numero di donne, che ha approvato la Convenzione di Istanbul, la democrazia paritaria e altre norme, seppure ancora insufficienti, ma certo significative per sostenere e tutelare la presenza e il ruolo femminile nella società e nel lavoro;
non si vuole consegnare nelle mani del populismo razzista una presunta difesa delle donne, laddove proprio il razzismo e il maschilismo peggiore sono connessi da un comune denominatore culturale basato sulla prevaricazione, mentre la cultura dell'accoglienza è il filo conduttore della storia biologica e culturale femminile, ma anche della storia politica delle donne, basata sui valori della solidarietà a cui non si vuole rinunciare;
non si deve giustificare in nessun luogo, ambito o cultura la violenza contro le donne perché non si tratta mai di un fatto privato, nemmeno quando avviene in casa, e non riguarda solo le donne, ma tutta la società, poiché questi episodi provocano costi umani e sociali inaccettabili, a livello locale e mondiale, consentendo il diffondersi dell'idea di un «corpo-cosa», che può essere posseduto, violato, venduto, umiliato, abusato, in una deriva dell'umano che acuisce sgomento e orrore,
impegna il Governo:
a proseguire, attraverso le iniziative di competenza, nell'affermazione come imperativo politico urgente dell'irrinunciabile diritto fondamentale alla libertà e alla dignità femminile contro ogni violenza, sia nel privato della violenza domestica, sia in ogni altro luogo, in Italia come in ogni altra parte del mondo;
a promuovere, nei contesti di accoglienza, anche azioni formative sui diritti delle donne, a cominciare dalle bambine, anche riguardo al dramma delle mutilazioni genitali femminili e ai matrimoni precoci, pratiche non infrequenti nei Paesi di provenienza dei flussi migratori, aumentando altresì la vigilanza e i controlli;
a intensificare vigilanza, controllo e repressione, tramite il coinvolgimento delle forze dell'ordine e del sistema dei servizi sociali, contro i maltrattamenti in famiglia, gli stupri, la violenza assistita, lo sfruttamento della prostituzione, soprattutto minorile, la tratta, valutando la possibilità di assumere iniziative per rivedere il sistema sanzionatorio, contemplando per i cittadini stranieri extracomunitari l'applicazione della pena accessoria dell'espulsione;
a riformulare e a rafforzare, contestualmente, i progetti di informazione e prevenzione, volti a promuovere la cultura dei diritti delle donne nei percorsi scolastici, educativi, formativi e in ogni contesto familiare, lavorativo, assistenziale o sanitario, avvalendosi anche di campagne da attivare attraverso i media.
(1-01264) «Iori, Nicchi, Fitzgerald Nissoli, Locatelli, Gebhard, Mucci, Gribaudo, Rossomando, Fregolent, Di Salvo, Fabbri, Rotta, Covello, Carloni, Cenni, Zampa, Giuditta Pini, Piccoli Nardelli, Miccoli, Antezza, Patrizia Maestri, Sbrollini, Scuvera, Gadda, Moretto, Crimì, Malpezzi, Chaouki, Cova, D'Ottavio, Giuseppe Guerini, Cominelli, Schirò, Sereni, Mariani, Bruno Bossio, Mariano, Roberta Agostini, Braga, La Marca, Milanato, Giuliani, Tidei, Amato, Paola Boldrini, Piazzoni, Sgambato, Cimbro, Blazina, Iacono, Rubinato, Coccia, Carocci, Malisani, Miotto, Valeria Valente, Pollastrini, Gnecchi, Palma, Quartapelle Procopio, Villecco Calipari, Manzi, Cinzia Maria Fontana, Bini, Melilla, Zaccagnini, Duranti, Amoddio, Ricciatti».
La Camera,
premesso che:
l'ondata migratoria che nell'ultimo anno ha sconvolto l'Europa è un'emergenza sociale globale, un dramma mondiale che mostra l'orrore delle guerre e della carestia ma anche del terrorismo fondamentalista;
senza ignorare la complessità della questione e le sfaccettature molteplici, senza nascondere la difficoltà di trovare soluzioni efficaci e lungimiranti per un fenomeno complesso, intriso di fanatismo religioso, che ha provocato reazioni di razzismo e intolleranza, questi episodi richiedono una risposta straordinaria che impegna in modo unitario la comunità internazionale e l'Europa in una comune responsabilità per una risposta forte ed immediata anche da parte del nostro Paese, con regole comuni capaci di tenere insieme accoglienza e rigore, solidarietà e intransigenza nel rispetto delle regole che valgono per tutti e sulle quali non è possibile transigere;
il 31 dicembre 2015 a Colonia e in altre città europee si sono verificati episodi ripugnanti e intollerabili di violenza di branco contro la dignità e la libertà femminile, colpendo il corpo delle donne, violenza che ha minato ancora luoghi di convivenza, di quotidianità, di relazioni;
si ritiene irrinunciabile e urgente difendere la libertà femminile da ogni forma di violenza sessuale, affinché non si verifichino altri episodi analoghi, in considerazione anche del fatto che il nostro Parlamento in questa legislatura è composto da un elevato numero di donne, che ha approvato la Convenzione di Istanbul, la democrazia paritaria e altre norme, seppure ancora insufficienti, ma certo significative per sostenere e tutelare la presenza e il ruolo femminile nella società e nel lavoro;
non si vuole consegnare nelle mani del populismo razzista una presunta difesa delle donne, laddove proprio il razzismo e il maschilismo peggiore sono connessi da un comune denominatore culturale basato sulla prevaricazione, mentre la cultura dell'accoglienza è il filo conduttore della storia biologica e culturale femminile, ma anche della storia politica delle donne, basata sui valori della solidarietà a cui non si vuole rinunciare;
non si deve giustificare in nessun luogo, ambito o cultura la violenza contro le donne perché non si tratta mai di un fatto privato, nemmeno quando avviene in casa, e non riguarda solo le donne, ma tutta la società, poiché questi episodi provocano costi umani e sociali inaccettabili, a livello locale e mondiale, consentendo il diffondersi dell'idea di un «corpo-cosa», che può essere posseduto, violato, venduto, umiliato, abusato, in una deriva dell'umano che acuisce sgomento e orrore,
impegna il Governo:
a proseguire, attraverso le iniziative di competenza, nell'affermazione come imperativo politico urgente dell'irrinunciabile diritto fondamentale alla libertà e alla dignità femminile contro ogni violenza, sia nel privato della violenza domestica, sia in ogni altro luogo, in Italia come in ogni altra parte del mondo;
a promuovere, nei contesti di accoglienza, anche azioni formative sui diritti delle donne, a cominciare dalle bambine, anche riguardo al dramma delle mutilazioni genitali femminili e ai matrimoni precoci, pratiche non infrequenti nei Paesi di provenienza dei flussi migratori, aumentando altresì la vigilanza e i controlli;
a intensificare vigilanza, controllo e repressione, tramite il coinvolgimento delle forze dell'ordine e del sistema dei servizi sociali, contro i maltrattamenti in famiglia, gli stupri, la violenza assistita, lo sfruttamento della prostituzione, soprattutto minorile, la tratta;
a riformulare e a rafforzare, contestualmente, i progetti di informazione e prevenzione, volti a promuovere la cultura dei diritti delle donne nei percorsi scolastici, educativi, formativi e in ogni contesto familiare, lavorativo, assistenziale o sanitario, avvalendosi anche di campagne da attivare attraverso i media.
(1-01264)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Iori, Nicchi, Fitzgerald Nissoli, Locatelli, Gebhard, Mucci, Gribaudo, Rossomando, Fregolent, Di Salvo, Fabbri, Rotta, Covello, Carloni, Cenni, Zampa, Giuditta Pini, Piccoli Nardelli, Miccoli, Antezza, Patrizia Maestri, Sbrollini, Scuvera, Gadda, Moretto, Crimì, Malpezzi, Chaouki, Cova, D'Ottavio, Giuseppe Guerini, Cominelli, Schirò, Sereni, Mariani, Bruno Bossio, Mariano, Roberta Agostini, Braga, La Marca, Milanato, Giuliani, Tidei, Amato, Paola Boldrini, Piazzoni, Sgambato, Cimbro, Blazina, Iacono, Rubinato, Coccia, Carocci, Malisani, Miotto, Valeria Valente, Pollastrini, Gnecchi, Palma, Quartapelle Procopio, Villecco Calipari, Manzi, Cinzia Maria Fontana, Bini, Melilla, Zaccagnini, Duranti, Amoddio, Ricciatti».
La Camera,
premesso che:
la violenza contro le donne sta assumendo, da diverso tempo, i connotati di una vera e propria emergenza a livello internazionale, rappresentando la manifestazione più grave e più brutale della disparità storica nei rapporti di forza tra i generi, nonché una delle peggiori violazioni dei diritti umani;
i numerosi casi che si verificano, non solo nel nostro Paese, ma in tutto il mondo, denotano una realtà inquietante di violenza perpetrata nei confronti delle donne, che si trovano a vivere nella paura e nel disagio per le strade, nei mezzi pubblici, nelle proprie case;
gli episodi di violenza verificatisi durante la notte di San Silvestro in 12 dei 14 Land tedeschi, quando gruppi di uomini di origine araba e mediorientale hanno circondato centinaia di donne per derubarle e molestarle sessualmente, sono di straordinaria gravità. La maggior parte delle denunce, 1.076 dalla data del 13 gennaio 2016, si riferiscono ad aggressioni nel Land del Nord Reno Vestfalia, in particolare a Colonia, Düsseldorf e Bielefeld. Altre 218 denunce sono state presentate ad Amburgo, 31 in Assia, 27 in Baviera, 25 nel Baden Wuerttemberg e 11 a Brema;
la drammaticità di quanto sopra citato non ha precedenti, alla luce del fatto che quanto avvenuto non può essere considerato come un fenomeno spontaneo, poiché si tratta di un'azione organizzata da parte di un migliaio di uomini, tra i 15 e i 35 anni, che si sono prima radunati nella piazza della stazione centrale di Colonia, per poi dividersi in decine di gruppi e partire all'attacco di donne;
le donne che si erano recate in strada a festeggiare, abituate per cultura e diritto alla certezza del rispetto della propria libertà e delle proprie scelte, sono improvvisamente diventate degli oggetti a cui potevano essere inflitte gravissime umiliazioni ritrovandosi dunque in un clima arcaico e selvaggio, dove i valori civili della nostra società non sono mai esistiti e dove solo il diritto del più forte e del più violento è la regola vincente;
gli aggressori di Colonia identificati dalle autorità di pubblica sicurezza sono per lo più stranieri, richiedenti asilo o rifugiati che hanno dunque dimostrato di avversare nel profondo la nostra cultura e che portano con loro un'idea della donna ritenuta inferiore, non degna di godere di una piena libertà;
nel nostro continente è in corso una crescita esponenziale di quella che i promotori dell'Islam radicale chiamano «Eurabia», una migrazione permanente che reca con sé i semi di una visione intollerante nei confronti non solo della donna ma, più in generale, di ciò che è altro rispetto alla cultura islamica, di cui la maggior parte dei migranti si ritiene parte;
un fenomeno che sta portando ad un mutamento numerico, sociale e culturale dove si tende ad innestare la propria cultura su quella precedente, ritenuta obsoleta o peggio ancora sbagliata, sino ad imporla;
in tali frangenti, prima di colpire le libertà di tutti e di omologare ciascuno in una unica modalità di pensiero, è il corpo delle donne il terreno dove inizia a morire la democrazia e dove è più facile e immediato per il patriarcato sferrare i propri attacchi;
i dati lo confermano in maniera netta poiché, nell'ultima metà del Novecento, i musulmani sono cresciuti di oltre il 200 per cento e le percentuali sono aumentate inesorabilmente anche negli ultimi quindici anni, mentre la società europea tradizionale decresce insieme con il numero dei propri figli;
secondo i dati Eurostat, se oggi la popolazione dell'Europa cresce è soprattutto per il contributo dell'immigrazione, con ben l'80 per cento dell'incremento demografico dovuto ai flussi migratori;
un'operazione di molestie così vasta non si è però fermata ai fatti della notte di San Silvestro, ma si sono ripetuti anche durante il Carnevale di Colonia, uno dei più amati e popolari in Germania, dove si sono registrare ben 22 denunce di molestie sessuali e un caso di violenza e percosse. Tra i diversi casi, una ragazza di 22 anni sarebbe stata avvicinata da un profugo di 17 anni arrivato dall'Afghanistan che le avrebbe dapprima mostrato materiale pornografico dal proprio cellulare e successivamente, dopo averla colpita con un pugno sul viso, l'avrebbe violentata;
i fatti citati, che duramente hanno colpita l'Europa, non possono che essere definiti un atto di terrorismo culturale a sfondo sessuale, compiuto nei confronti di donne che rappresentano la cultura e l'intero mondo occidentale, e impongono seri interrogativi sulle politiche di solidarietà e di accoglienza dell'Unione europea;
l'Europa ha accolto quasi un milione di rifugiati nel 2015, ma deve adesso fronteggiare la sfida più importante, quella dell'integrazione di queste persone nel tessuto sociale dal continente, poiché l'attuale immigrazione non può considerarsi semplicemente come un flusso ordinato, ma il frutto di eventi multipli e contemporanei di guerre che hanno un'espansione globale o di lungo periodo;
se da un lato non vanno tratte conclusioni razziste, quanto accaduto non può essere trattato nemmeno con una logica buonista, perché la donna è stata scelta come simbolo per colpire i valori occidentali, i diritti individuali, la parità tra uomo e donna, e, più in generale, la libertà in tutte le sue forme;
in un momento storico, poi, in cui è necessario ed inevitabile confrontarsi con fenomeni migratori massicci, con la convivenza tra culture diverse, è fondamentale l'approccio alle gestione del fenomeno migratorio e dell'accoglienza. Se da un lato il continente europeo non può chiudere le porte davanti a coloro che scappano dalla guerra, dall'altro, è necessario che evitare che il processo di «integrazione» porti, anche per il crescente peso demografico dei musulmani, quasi ad un progressivo piegarsi, sino all'assoggettamento, della cultura di libertà occidentale, dove la libertà delle donne sarà progressivamente ridotta, nel livello e negli spazi di agibilità;
è fondamentale dimostrare che non è così, anche per evitare possibili derive autoritarie e xenofobe, ponendo in essere opportune iniziative politiche, normative e di contrasto, necessarie a tutelare le donne e la loro libertà, che è un valore assoluto, dalla violenza e dai tentativi di oppressione. È fondamentale, dunque, chiarire che chi non riconosce la parità e la libertà delle donne non può essere integrato e che chi non ha diritto di restare in Italia e in Europa deve essere espulso e chi ha diritto di essere accolto deve rispettare le nostre leggi, le nostre regole, i nostri valori e la nostra cultura, accettando il ruolo delle donne, la loro evoluzione e la modernità che rappresentano;
in un momento di grave crisi economica e sociale, come quello che sta attraversando l'Europa, bisogna quindi impedire che il corpo delle donne diventi teatro di scontro, oggetto di contesa tra diverse appropriazioni e occasione per inviare un segnale di sfida alla stessa Unione europea che ha accolto quegli stessi uomini autori di violenze;
di fronte alle dimensioni sempre più imponenti assunte dal fenomeno migratorio, nonché ai recenti episodi di violenza, è necessario che nel nostro Paese, come nel resto d'Europa, si presti sempre più attenzione ai diritti delle donne e, più in generale, ai diritti delle persone, contro ogni discriminazione per la nostra cultura che garantisce ad ogni individuo piena libertà di espressione,
impegna il Governo:
ad assumere le opportune iniziative, anche sul piano normativo, al fine di implementare il contrasto alla violenza di genere nel nostro Paese, e di promuovere realmente una cultura della soggettività femminile, contrastando la violenza di genere quale negazione dei diritti fondamentali e della dignità delle donne;
ad agire sul piano della prevenzione e del contrasto della violenza, della promozione della soggettività femminile e della tutela delle vittime di violenza sessuale, individuando specifiche iniziative di competenza volte a potenziare i servizi e le misure di assistenza delle vittime di violenza, prevedendo un'organica risposta a livello territoriale e di rete e rendendo omogeneo lo sviluppo di servizi idonei all'assistenza, attraverso la collaborazione e la cooperazione tra i soggetti pubblici e privati (pronto soccorso, associazioni, sportelli antiviolenza, Forze dell'ordine, servizi sociali e comuni) che operano per la prevenzione e il contrasto alla violenza contro le donne e che forniscono servizi di supporto ed assistenza;
a promuovere, nell'ambito della gestione del fenomeno migratorio e dell'accoglienza per coloro che ne hanno diritto, politiche mirate, volte a sostenere con forza l'esigenza dell'adesione a valori e princìpi validi per tutti coloro che desiderano risiedere stabilmente nel nostro Paese, di qualsiasi gruppo o comunità facciano parte, di natura culturale, etnica o religiosa, quale atto necessario per avviare il processo di riconoscimento della condizione di profugo, di richiesta di cittadinanza, di stabilimento nel Paese, e ad assumere iniziative per favorire percorsi di integrazione rispettosi delle identità di ciascuno, che abbiano alla base la condivisione di un modello di società che veda uomini e donne godere degli stessi diritti, contro ogni violenza di genere.
(1-01273) «Milanato, Carfagna, Centemero, De Girolamo, Castiello, Giammanco, Gullo, Polidori, Elvira Savino, Sandra Savino».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)
La Camera,
premesso che:
la violenza contro le donne sta assumendo, da diverso tempo, i connotati di una vera e propria emergenza a livello internazionale, rappresentando la manifestazione più grave e più brutale della disparità storica nei rapporti di forza tra i generi, nonché una delle peggiori violazioni dei diritti umani;
i numerosi casi che si verificano, non solo nel nostro Paese, ma in tutto il mondo, denotano una realtà inquietante di violenza perpetrata nei confronti delle donne, che si trovano a vivere nella paura e nel disagio per le strade, nei mezzi pubblici, nelle proprie case;
gli episodi di violenza verificatisi durante la notte di San Silvestro in 12 dei 14 Land tedeschi, quando gruppi di uomini di origine araba e mediorientale hanno circondato centinaia di donne per derubarle e molestarle sessualmente, sono di straordinaria gravità. La maggior parte delle denunce, 1.076 dalla data del 13 gennaio 2016, si riferiscono ad aggressioni nel Land del Nord Reno Vestfalia, in particolare a Colonia, Düsseldorf e Bielefeld. Altre 218 denunce sono state presentate ad Amburgo, 31 in Assia, 27 in Baviera, 25 nel Baden Wuerttemberg e 11 a Brema;
la drammaticità di quanto sopra citato non ha precedenti, alla luce del fatto che quanto avvenuto non può essere considerato come un fenomeno spontaneo, poiché si tratta di un'azione organizzata da parte di un migliaio di uomini, tra i 15 e i 35 anni, che si sono prima radunati nella piazza della stazione centrale di Colonia, per poi dividersi in decine di gruppi e partire all'attacco di donne;
le donne che si erano recate in strada a festeggiare, abituate per cultura e diritto alla certezza del rispetto della propria libertà e delle proprie scelte, sono improvvisamente diventate degli oggetti a cui potevano essere inflitte gravissime umiliazioni ritrovandosi dunque in un clima arcaico e selvaggio, dove i valori civili della nostra società non sono mai esistiti e dove solo il diritto del più forte e del più violento è la regola vincente;
gli aggressori di Colonia identificati dalle autorità di pubblica sicurezza sono per lo più stranieri, richiedenti asilo o rifugiati che hanno dunque dimostrato di avversare nel profondo la nostra cultura e che portano con loro un'idea della donna ritenuta inferiore, non degna di godere di una piena libertà;
nel nostro continente è in corso una crescita esponenziale di quella che i promotori dell'Islam radicale chiamano «Eurabia», una migrazione permanente che reca con sé i semi di una visione intollerante nei confronti non solo della donna ma, più in generale, di ciò che è altro rispetto alla cultura islamica, di cui la maggior parte dei migranti si ritiene parte;
un fenomeno che sta portando ad un mutamento numerico, sociale e culturale dove si tende ad innestare la propria cultura su quella precedente, ritenuta obsoleta o peggio ancora sbagliata, sino ad imporla;
in tali frangenti, prima di colpire le libertà di tutti e di omologare ciascuno in una unica modalità di pensiero, è il corpo delle donne il terreno dove inizia a morire la democrazia e dove è più facile e immediato per il patriarcato sferrare i propri attacchi;
i dati lo confermano in maniera netta poiché, nell'ultima metà del Novecento, i musulmani sono cresciuti di oltre il 200 per cento e le percentuali sono aumentate inesorabilmente anche negli ultimi quindici anni, mentre la società europea tradizionale decresce insieme con il numero dei propri figli;
secondo i dati Eurostat, se oggi la popolazione dell'Europa cresce è soprattutto per il contributo dell'immigrazione, con ben l'80 per cento dell'incremento demografico dovuto ai flussi migratori;
un'operazione di molestie così vasta non si è però fermata ai fatti della notte di San Silvestro, ma si sono ripetuti anche durante il Carnevale di Colonia, uno dei più amati e popolari in Germania, dove si sono registrare ben 22 denunce di molestie sessuali e un caso di violenza e percosse. Tra i diversi casi, una ragazza di 22 anni sarebbe stata avvicinata da un profugo di 17 anni arrivato dall'Afghanistan che le avrebbe dapprima mostrato materiale pornografico dal proprio cellulare e successivamente, dopo averla colpita con un pugno sul viso, l'avrebbe violentata;
i fatti citati, che duramente hanno colpita l'Europa, non possono che essere definiti un atto di terrorismo culturale a sfondo sessuale, compiuto nei confronti di donne che rappresentano la cultura e l'intero mondo occidentale, e impongono seri interrogativi sulle politiche di solidarietà e di accoglienza dell'Unione europea;
l'Europa ha accolto quasi un milione di rifugiati nel 2015, ma deve adesso fronteggiare la sfida più importante, quella dell'integrazione di queste persone nel tessuto sociale dal continente, poiché l'attuale immigrazione non può considerarsi semplicemente come un flusso ordinato, ma il frutto di eventi multipli e contemporanei di guerre che hanno un'espansione globale o di lungo periodo;
se da un lato non vanno tratte conclusioni razziste, quanto accaduto non può essere trattato nemmeno con una logica buonista, perché la donna è stata scelta come simbolo per colpire i valori occidentali, i diritti individuali, la parità tra uomo e donna, e, più in generale, la libertà in tutte le sue forme;
in un momento storico, poi, in cui è necessario ed inevitabile confrontarsi con fenomeni migratori massicci, con la convivenza tra culture diverse, è fondamentale l'approccio alle gestione del fenomeno migratorio e dell'accoglienza. Se da un lato il continente europeo non può chiudere le porte davanti a coloro che scappano dalla guerra, dall'altro, è necessario che evitare che il processo di «integrazione» porti, anche per il crescente peso demografico dei musulmani, quasi ad un progressivo piegarsi, sino all'assoggettamento, della cultura di libertà occidentale, dove la libertà delle donne sarà progressivamente ridotta, nel livello e negli spazi di agibilità;
è fondamentale dimostrare che non è così, anche per evitare possibili derive autoritarie e xenofobe, ponendo in essere opportune iniziative politiche, normative e di contrasto, necessarie a tutelare le donne e la loro libertà, che è un valore assoluto, dalla violenza e dai tentativi di oppressione. È fondamentale, dunque, chiarire che chi non riconosce la parità e la libertà delle donne non può essere integrato e che chi non ha diritto di restare in Italia e in Europa deve essere espulso e chi ha diritto di essere accolto deve rispettare le nostre leggi, le nostre regole, i nostri valori e la nostra cultura, accettando il ruolo delle donne, la loro evoluzione e la modernità che rappresentano;
in un momento di grave crisi economica e sociale, come quello che sta attraversando l'Europa, bisogna quindi impedire che il corpo delle donne diventi teatro di scontro, oggetto di contesa tra diverse appropriazioni e occasione per inviare un segnale di sfida alla stessa Unione europea che ha accolto quegli stessi uomini autori di violenze;
di fronte alle dimensioni sempre più imponenti assunte dal fenomeno migratorio, nonché ai recenti episodi di violenza, è necessario che nel nostro Paese, come nel resto d'Europa, si presti sempre più attenzione ai diritti delle donne e, più in generale, ai diritti delle persone, contro ogni discriminazione per la nostra cultura che garantisce ad ogni individuo piena libertà di espressione,
impegna il Governo:
ad assumere le opportune iniziative, anche sul piano normativo, al fine di implementare il contrasto alla violenza di genere nel nostro Paese, e di promuovere realmente una cultura della soggettività femminile, contrastando la violenza di genere quale negazione dei diritti fondamentali e della dignità delle donne;
ad agire sul piano della prevenzione e del contrasto della violenza, della promozione della soggettività femminile e della tutela delle vittime di violenza sessuale, individuando specifiche iniziative di competenza volte a potenziare i servizi e le misure di assistenza delle vittime di violenza, prevedendo un'organica risposta a livello territoriale e di rete e rendendo omogeneo lo sviluppo di servizi idonei all'assistenza, attraverso la collaborazione e la cooperazione tra i soggetti pubblici e privati (pronto soccorso, associazioni, sportelli antiviolenza, Forze dell'ordine, servizi sociali e comuni) che operano per la prevenzione e il contrasto alla violenza contro le donne e che forniscono servizi di supporto ed assistenza;
a promuovere, nell'ambito della gestione del fenomeno migratorio e dell'accoglienza per coloro che ne hanno diritto, politiche mirate, volte a sostenere con forza l'esigenza dell'adesione a valori e princìpi validi per tutti coloro che desiderano risiedere stabilmente nel nostro Paese, di qualsiasi gruppo o comunità facciano parte, di natura culturale, etnica o religiosa, e ad assumere iniziative per favorire percorsi di integrazione rispettosi delle identità di ciascuno, che abbiano alla base la condivisione di un modello di società che veda uomini e donne godere degli stessi diritti, contro ogni violenza di genere.
(1-01273)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Milanato, Carfagna, Centemero, De Girolamo, Castiello, Giammanco, Gullo, Polidori, Elvira Savino, Sandra Savino».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)