XVII LEGISLATURA
ATTI DI INDIRIZZO
Risoluzione in Commissione:
La VI Commissione,
premesso che:
il decreto-legge n. 59 del 2016 stabilisce la possibilità di ottenere un rimborso automatico parziale per alcune categorie di risparmiatori-investitori colpiti da una perdita patrimoniale a seguito della procedura di risoluzione adottata per le banche Banca Popolare dell'Etruria spa, Banca Marche spa, Carife spa, Carichieti spa;
l'articolo 8, comma 1, lettera a), determina che tale possibilità riguardi solo «la persona fisica, l'imprenditore individuale, anche agricolo, e il coltivatore diretto, o il suo successore mortis causa, che ha acquistato gli strumenti finanziari subordinati, indicati nell'articolo 1, comma 855, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (di seguito: «Legge di stabilità per il 2016»), nell'ambito di un rapporto negoziale diretto con la Banca in liquidazione che li ha emessi»;
in questo modo si escludono tutti coloro che abbiano acquistato titoli obbligazionari subordinati sul mercato secondario, secondo la discutibile premessa che questi abbiano agito a fini speculativi e comunque disponendo di informazioni adeguate;
in questi giorni si sono ricevute numerose segnalazioni di casi di impossibilità di adesione alla procedura di cui in questione, determinati da cambi di intestazione della proprietà dei titoli avvenuti all'interno dello stesso nucleo famigliare, anche con parziale continuità di rapporto;
è il caso, ad esempio, di obbligazioni acquistate all'emissione da due coniugi congiuntamente, e poi transitate nella disponibilità di uno solo dopo una causa di divorzio, oppure di una cointestazione fra due fratelli, con la successiva liquidazione di uno fra loro;
tali o altri simili passaggi avrebbero formalmente determinato la cessione del titolo e il suo immediato riacquisto sul mercato secondario, con conseguente perdita del diritto al risarcimento;
appare del tutto evidente che tali situazioni esulano dalla finalità della norma in questione, che evidentemente si preoccupa di rendere possibile il rimborso all'interno dello stesso gruppo famigliare, tanto da prevedere espressamente il caso del successore mortis causa;
sembra tuttavia che in assenza di un provvedimento che fornisca rapidamente un'interpretazione autentica della norma, in molti si vedranno pregiudicati in un loro diritto, dovendo eventualmente affidare all'autorità giudiziaria la soddisfazione delle loro spettanze,
impegna il Governo
ad assumere, al più presto, un'iniziativa volta a modificare la disciplina vigente, al fine di permettere l'adesione alla procedura di cui agli articoli 8 e seguenti del decreto-legge n. 59 del 2016, anche a chi abbia acquistato i titoli in questione nell'ambito di un accordo negoziale diretto con una delle banche sottoposte a risoluzione, salvo poi cederne o suddividerne la proprietà a titolo non oneroso a parenti fino al secondo grado, fatto salvo il rispetto dei limiti di patrimonio e di reddito previsti dalla normativa suddetta.
(7-01114) «Paglia».
ATTI DI CONTROLLO
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Interpellanza:
I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
come si è appreso da notizie di stampa, dal 6 ottobre 2016 (a partire già dall'incontro di calcio con la Spagna) e fino al 2018, il main sponsor della nazionale di calcio italiana e delle altre selezioni italiane sarà Intralot, società del gruppo Gamenet attiva nel mondo scommesse e uno dei maggiori concessionari di gioco in Italia;
il presidente della FIGC, Carlo Tavecchio, ha dichiarato che l'intento di questa operazione vuole essere quello di avviare «una partnership incentrata sui valori, visto che una parte fondamentale dell'accordo prevede l'impegno in attività sociali, rafforzando così il lavoro della Federcalcio nella promozione della cultura della legalità e per la diffusione di comportamenti consapevoli all'interno del mondo del calcio»;
tuttavia, tale scelta appare, agli occhi non solo di varie associazioni dei consumatori, un connubio molto pericoloso a livello d'immagine nel contesto della lotta al gioco d'azzardo e alle scommesse; Roberto Tascini, presidente dell'Adoc, ha infatti dichiarato: «Guardiamo con profondo scetticismo alla sponsorizzazione della Nazionale di calcio da parte di un operatore del betting, al di là delle finalità dell'accordo, sicuramente nobili, espresse dalla Figc e da Intralot, poiché a livello d'immagine e di impatto psicologico sui consumatori, in particolare minorenni e anziani, appare quantomeno inopportuno collegare un simbolo dello sport per tutti gli italiani, quale è la squadra di calcio nazionale, al mondo delle scommesse e dell'azzardo»;
è bene ricordare che nel 2014 la Commissione europea è intervenuta in materia di gioco d'azzardo patologico (Gap) con una raccomandazione sul gioco d'azzardo online, con cui ha stabilito i principi che gli Stati membri sono invitati a osservare al fine di tutelare i consumatori, con particolare attenzione ai minori e ai soggetti più deboli, sottolineando la necessità di fornire informazioni ai giocatori circa i rischi cui vanno incontro, di realizzare una pubblicità responsabile, di vietare ai minori l'accesso al gioco d'azzardo on line, di creare un conto di gioco per determinare l'identità e, soprattutto, l'età del consumatore, con fissazione di un limite di spesa e messaggi periodici su vincite e perdite, realizzate; e, ancora, di prevedere linee telefoniche per fornire assistenza ai giocatori, un'attività formativa anche per i dipendenti delle case da gioco e campagne di informazione sui rischi legati al gioco d'azzardo;
nella legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015), peraltro sono state approvate anche disposizioni limitative della pubblicità, con riferimento sia agli orari in cui sono vietati i messaggi pubblicitari nelle tv generaliste sia ai contenuti dei messaggi stessi;
appare inopportuno che a fare da sponsor della nazionale di calcio, vista e seguita da milioni di italiani, sia una società attiva nel mondo delle scommesse, anche in ragione dei recenti scandali legati al calcio scommesse, che hanno gravemente compromesso la trasparenza e l'onestà del mondo dello sport e del calcio in particolare –:
atteso che la vicenda, ad avviso degli interpellanti, dimostra chiaramente che il divieto di pubblicità inserito nella legge di stabilità 2016 è facilmente aggirabile, se non intenda assumere iniziative normative per estenderlo anche alla pubblicità indiretta, soprattutto per quanto riguarda le sponsorizzazioni sportive per evitare il ripetersi di episodi del genere.
(2-01496) «Mantero, Simone Valente, Baroni, Basilio».
Interrogazione a risposta in Commissione:
GAGNARLI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
la regione Friuli Venezia Giulia, attraverso un provvedimento regionale entrato in vigore il 3 ottobre 2016, ha riaperto, dopo quattordici anni di chiusura, gli impianti per la cattura di merli, cesene e tordi attraverso l'utilizzo di reti, ai fini di utilizzarli come richiami vivi nella caccia;
la ragione di tale provvedimento andrebbe ricercata nella forte domanda di richiami da parte dei cacciatori friulani, in quanto gli allevamenti presenti in regione non risulterebbero in grado di soddisfare la richiesta proveniente dai soggetti esercitanti l'attività venatoria;
agli occhi degli interroganti, il provvedimento, oltre ad avallare una pratica crudele ed anacronistica, che ignora tutti i principi di benessere dell'animale, si pone in palese illegittimità rispetto a quanto previsto dalla normativa comunitaria nonché dalla legislazione nazionale in materia;
nella stesura dell'atto che autorizza la cattura, la regione Friuli-Venezia Giulia, inoltre, ha riportato solo le considerazioni tecniche dell'Ispra, omettendo le parti del parere nelle quali l'Istituto ha fatto notare alla regione che la richiesta di catture confligge con la legge nazionale ed è di fatto illegittima;
l'uccellagione attraverso reti è, di fatto, vietata dalla normativa italiana, tanto che, soltanto pochi mesi fa è stato scongiurato il rischio di una condanna da parte della Corte di giustizia europea per violazione della direttiva 2009/147/CE («direttiva Uccelli») che proibisce espressamente la cattura degli uccelli attraverso tali reti;
questo nuovo provvedimento non è l'unica anomalia riscontrata nella normativa che regolamenta l'attività venatoria in Friuli Venezia Giulia, nella quale, ad esempio – caso unico in Italia – tutti i cacciatori possono alternativamente andare a caccia di uccelli con i richiami vivi e dedicarsi ad altre attività venatorie, quando la norma nazionale (legge n. 157 del 1992) al comma 5 dell'articolo 12 prevede invece l'opzione obbligatoria;
la norma quadro nazionale, inoltre, prevede che il numero dei cacciatori autorizzato a praticare la caccia da appostamento fisso agli uccelli migratori non possa essere superiore a quello dell'annata venatoria 1989-90, ma in Friuli Venezia Giulia tali cacciatori non sono mai stati censiti e oggi ognuno degli oltre 9 mila cacciatori della regione può detenere addirittura quaranta uccelli selvatici per attirare gli animali a tiro di schioppo;
è evidente il mancato adeguamento della normativa regionale a quella nazionale, che pure è in vigore da ben 24 anni –:
se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere per assicurare in tutto il territorio nazionale il rispetto della normativa comunitaria e nazionale in materia ed evitare l'apertura di procedure di infrazione da parte dell'Unione europea;
se non intenda, attraverso iniziative normative promuovere l'introduzione del divieto assoluto alla pratica anacronistica e crudele dei richiami vivi nel nostro Paese. (5-09717)
AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
Interrogazione a risposta scritta:
BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
il comma 1 dell'articolo 1 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, stabilisce che la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell'interesse della comunità nazionale ed internazionale;
tale patrimonio va tutelato sia con politiche di conservazione sulle specie che con azioni di soccorso sugli individui finalizzate al loro recupero alla vita selvatica, come implicato dall'articolo 4, comma 6, della medesima legge;
l'articolo 4, comma 6, della medesima legge stabilisce che le regioni emanano norme in ordine al soccorso, alla detenzione temporanea e alla successiva liberazione di fauna selvatica in difficoltà;
in molti casi, oggetto del soccorso e del recupero sono animali appartenenti a specie ad altissimo valore conservazionistico, in alcuni casi minacciate di estinzione, protette e talvolta «superprotette» dalle direttive comunitarie e dalla leggi nazionali;
successivamente all'approvazione della legge n. 157 del 1992 le regioni hanno demandato alle province la gestione del soccorso e del recupero della fauna selvatica;
le province hanno in questi anni spesso affidato, con diverse modalità, il soccorso e il recupero della fauna selvatica ad associazioni di volontariato;
le associazioni di volontariato hanno realizzato, con grande impegno, notevole sforzo e ottimi risultati, anche ricorrendo a ingenti risorse proprie, strutture e centri atti al soccorso e al recupero della fauna selvatica ferita, creando un vero e proprio sistema diffuso sul territorio che ha fatto fronte a centinaia di migliaia di richieste di ricovero, dunque sollevando l'amministrazione pubblica da un impegno molto gravoso;
successivamente alla recente riforma della pubblica amministrazione, con la soppressione delle province, la gestione del recupero e del soccorso della fauna selvatica è ritornata in capo alle regioni;
le regioni, in moltissimi casi, non hanno ancora provveduto a riorganizzare il sistema del soccorso e del recupero della fauna selvatica con la conseguenza che le associazioni di volontariato, che hanno fino ad oggi svolto tale attività, non dispongono di un soggetto istituzionale chiaro di riferimento ovvero di un sistema di sostegno grazie al quale operare;
la necessità immediata è quella di porre le associazioni in condizione di operare con il dovuto e adeguato sostegno, che permetta il pieno funzionamento dei centri, lo svolgimento delle relative complesse operazioni, la gestione e il coordinamento dei volontari e quant'altro occorra;
in questa situazione di incertezza, di mancanza di soggetti istituzionali di riferimento, di mancanza o carenza di sostegno economico da parte dell'amministrazione pubblica e pur in presenza, al contrario, di una crescente domanda da parte dei cittadini che rinvengono animali selvatici in difficoltà, le associazioni di volontariato non riescono più a sostenere l'attività di recupero e soccorso della fauna selvatica, con la conseguenza di non poter più rispondere alle richieste di intervento di centinaia di migliaia di cittadini;
il sistema del recupero della fauna selvatica in Italia rischia oggi seriamente un blocco totale;
il blocco del sistema del recupero comporterebbe un danno gravissimo alla fauna selvatica, patrimonio dello Stato, e metterebbe nella necessità le amministrazioni pubbliche di operare direttamente, attrezzandosi con proprie strutture e personale, con un enorme aggravio dell'impegno economico pubblico;
è ormai indispensabile che lo Stato, in particolare attraverso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e/o delle politiche agricole e forestali, si assuma le proprie responsabilità su un bene indisponibile, quale è la fauna selvatica –:
se e quali iniziative urgenti intendano assumere affinché l'attività di soccorso e recupero della fauna selvatica sia pienamente assicurata e le associazioni vengano messe in piena condizione di operare;
se e quali iniziative urgenti di competenza intendano assumere, anche individuando risorse integrative, affinché le regioni possano essere messe in condizioni di operare al meglio. (4-14427)
BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO
Interrogazione a risposta scritta:
BATTELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
la Corte di giustizia, con la sentenza Microsoft Mobile Sales International Oy del 22 settembre 2016, ha affermato il contrasto della normativa italiana sull'equo compenso (legge n. 633 del 1941), con l'articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti connessi nella società dell'informazione, nella parte in cui subordina l'esenzione dal pagamento del prelievo per copia privata in capo ai produttori e agli importatori di apparecchi e di supporti destinati a un uso manifestamente estraneo alla copia privata e prevede, nel caso di versamento indebito, che il prelievo possa essere rimborsato solo dall'utente finale di tali apparecchi e supporti;
in riferimento alle possibilità di deroga previste dallo stesso articolo 5 della legge in questione, la Corte di giustizia precisa, altresì, che le eccezioni devono essere applicate pur sempre nel rispetto del principio di parità di trattamento. Aggiunge, inoltre, che la normativa italiana non prevede criteri oggettivi e trasparenti per la corresponsione dell'equo compenso o dalle loro associazioni di categoria, poiché si limita a menzionare, a titolo esemplificativo, l'esenzione «nei casi di uso professionale di apparecchi o supporti ovvero per taluni apparati per videogiochi»;
infine, si evidenzia che il sistema di equo compenso previsto dalla Siae non prevede garanzie sufficienti per l'esenzione dal pagamento del prelievo in capo ai produttori e agli importatori che dimostrino come gli apparecchi e i supporti sono stati acquistati per uso diverso da quello della realizzazione di copie per uso privato. Il diritto al rimborso previsto dal sistema di equo compenso non può essere considerato effettivo, poiché è pacifico che esso non è esercitabile dalle persone fisiche, neanche nell'ipotesi in cui gli apparecchi vengano acquistati per motivi contrari a quelli della realizzazione di copie per uso privato;
successivamente alla pronuncia della Corte di giustizia, la Società italiana degli autori e degli editori ha pubblicato sul proprio sito internet una nota nella quale evidenzia la piena conformità della normativa italiana sull'equo compenso con i principi di diritto espresso dai giudici europei, chiarendo che l'unico punto di relativa incompatibilità atterrebbe all'assenza nella disciplina della copia privata di criteri predeterminati dei casi di esenzione;
è evidente che la Corte di Lussemburgo abbia censurato la normativa italiana sotto il profilo della corresponsione dell'equo compenso, ritenendolo ex ante discriminatorio, e di ripetizione dell'eventuale importo indebito corrisposto, ritenuto ex post particolarmente complesso e difficilmente accessibile –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenze della recente pronuncia della Corte di giustizia e se non ritenga sia doveroso assumere iniziative per adeguare la normativa italiana alla normativa europea, ovvero fare in modo che la SIAE modifichi il meccanismo di prelevamento e di rimborso dell'equo compenso rendendo, peraltro, la disciplina interna omogenea con quella degli altri Stati membri. (4-14432)
DIFESA
Interrogazione a risposta in Commissione:
BASILIO, FRUSONE, CORDA, RIZZO, TOFALO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
nell'agosto 2016 l'Occar, l'Organizzazione europea per la collaborazione nel settore degli armamenti, ha firmato un contratto per lo studio di definizione del programma European Male Rpas (Medium Altitude Long Endurance Remotely Piloted Aircraft System) con le società Leonardo, Airbus Defence and Space, Dassault Aviation;
lo studio fa seguito ad un accordo di principio sottoscritto il 15 maggio 2016 dai Ministri della difesa di Italia, Germania e Francia per lo sviluppo di un velivolo a pilotaggio remoto da realizzare entro il 2025;
dal sito dell'Occar si apprende che il velivolo potrà svolgere anche missioni armate e non soltanto di ricognizione, come sembrava emergere dalla risposta del Ministro interrogato dell'interrogazione n. 4-09381;
la scheda tecnica illustrativa parla infatti di «ISTAR (Intelligence, Surveillance, Target Acquisition and Reconnaissance) and armed ISTAR»;
la firma del contratto di definizione comporta necessariamente un esborso finanziario di importo non precisato che non si sa se peserà sulle risorse del bilancio del Ministero della difesa o, più probabilmente, del Ministero dello sviluppo economico;
nonostante il programma sia già passato da una fase puramente concettuale alla fase di definizione e progetto, il Parlamento non è stato informato, neppure a livello di comunicazione del Ministro interrogato, nonostante questo programma sia in conflitto con uno nazionale, il Piaggio Aerospace P1HH Hammerhead, per cui l'Aeronautica militare ha già firmato un impegno di acquisto di tre sistemi completi, comprendenti 6 velivoli e 3 stazioni di guida a terra –:
se il Ministro interrogato non intenda fornire elementi circa gli sviluppi del programma citato;
se corrisponda a verità che il velivolo di cui in premessa sarà in grado di compiere anche missioni armate e quali siano le intenzioni dell'Italia a questo proposito;
quali siano le risorse finanziarie statali impegnate e da impegnare in seguito al contratto firmato nell'agosto 2016 da Occar con le aziende costruttrici;
quale sia la compatibilità di questo programma con quello analogo P1HH di Piaggio Aerospace anche considerando che l'Italia è già uno dei maggiori utilizzatori di velivoli militari a pilotaggio remoto. (5-09721)
Interrogazione a risposta scritta:
LA RUSSA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
l'Istituto idrografico della Marina è l'organo cartografico dello Stato designato alla produzione della documentazione nautica ufficiale nazionale, dipende dal Ministero della difesa ed è unico nel suo genere in Italia;
tale ente, dapprima denominato «Ufficio Idrografico della Regia Marina» e in seguito, con l'avvento della Repubblica Italiana, «Istituto idrografico della Marina», fu istituito con regio decreto in data 26 dicembre 1872 con sede a Genova nell'edificio di Forte San Giorgio, già sito dell'Osservatorio astronomico;
per assolvere il suo compito l'Istituto conduce il rilievo sistematico dei mari italiani, avvalendosi delle navi idro-oceanografiche della Marina militare, appositamente attrezzate, e di proprie spedizioni, valorizza e controlla i dati raccolti per organizzarli e finalizzarli alla produzione della cartografia e documentazione nautica, sia tradizionale sia in formato elettronico e, infine, cura la diffusione delle informazioni nautiche in ambito nazionale e internazionale;
la missione dell'Istituto idrografico della Marina è quella di «concorrere alla difesa nazionale, alla sicurezza della navigazione e alla conoscenza e valorizzazione di tutto quanto legato al mare, da un punto di vista scientifico, tecnologico e ambientale»;
nell'organigramma dell'Istituto si riscontra una carenza di personale a causa della quale non si riesce a far fronte alle esigenze richieste per lo svolgimento dell'attività tecnico-produttiva e a far funzionare tutti i reparti produttivi dell'Istituto, tanto che, anche in previsione dei pensionamenti entro l'anno 2024, si calcola una carenza di personale pari al cinquanta per cento;
in tutti i computi del Ministero della difesa sono bloccate le assunzioni per esubero di personale e tale disposizione vale anche per l'Istituto idrografico della Marina nonostante nell'Istituto stesso sussista una grave carenza di personale che incide in maniera significativa sul mantenimento del livello non solo di capacità ma anche di eccellenza –:
quali iniziative il Ministro intenda assumere per effettuare nuove assunzioni al fine di incrementare i livelli occupazionali necessari a mantenere e migliorare la competitività e la produttività dei vari reparti dell'Istituto idrografico della Marina di Genova. (4-14429)
ECONOMIA E FINANZE
Interrogazioni a risposta scritta:
D'ARIENZO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
Banco Popolare, UniCredit e Ubi hanno unilateralmente aumentato i costi dei loro conti correnti motivandolo con la necessità di rientrare sui costi del «Fondo nazionale di risoluzione» utilizzato per la risoluzione di Banca Etruria, Banca Marche, Cari Chieti e Cari Ferrara;
in questo modo migliaia di famiglie e imprese pagheranno una tassa voluta da queste banche e mai prevista dal Governo;
nel dettaglio, Banco Popolare sta informando i correntisti che sarà imposta una tassa una tantum di 25 euro da pagarsi a fine dicembre, Ubi ha previsto un incremento di 12 euro annui del canone dei conti correnti e UniCredit ha ritoccato il canone mensile di alcune tipologie di conto corrente di circa 2 euro al mese;
sommando le tre banche si giunge alla cifra di circa 12,4 milioni di famiglie e imprese clienti. Più o meno il 20 per cento della popolazione italiana che si è trovata o si troverà, sull'estratto conto, una tassa in più da pagare;
nella legge di stabilità 2016, nella quale è confluito il contenuto del decreto-legge 183 del 2015; non era assolutamente stabilito un epilogo simile, anzi, lo scopo era esclusivamente quello di impegnare il sistema bancario nel salvataggio con risorse proprie, attraverso l'istituto della risoluzione delle quattro banche in parola;
così come veniva a suo tempo specificato dal Governo e dalla Banca d'Italia, il contribuente non avrebbe subito alcun costo, in quanto l'intero onere sarebbe stato posto a carico degli azionisti e degli obbligazionisti subordinati delle quattro banche e a carico del complesso del sistema bancario italiano attraverso il fondo di risoluzione –:
quali iniziative di competenza, anche normative, intenda assumere per fermare i prelievi in corso, impedire che altre banche facciano allo stesso modo ed evitare la sgradevole certezza dei correntisti, che a pagare le «malefatte» del sistema bancario siano loro, che non c'entrano nulla con quelle banche mal gestite e, quindi, risolte. (4-14433)
GIORGIA MELONI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
con il varo del decreto-legge «salva banche», le cui norme sono poi state inserite all'interno della legge di stabilità per il 2016, il Governo ha agito per il salvataggio di quattro banche italiane in dissesto (Banca delle Marche, Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara, CariChieti) ad avviso dell'interrogante a scapito dei risparmiatori che avevano sottoscritto strumenti finanziari presso tali istituti, applicando per la prima volta la direttiva europea sulla risoluzione delle crisi bancarie;
la soluzione adottata dal Governo per affrontare il dissesto finanziario di tali istituti prevede la separazione della parte «buona» della banca, vale a dire quella che non ha attività di bilancio in sofferenza, da quella «cattiva» che detiene i crediti in sofferenza;
alle banche «buone» sono state conferite tutte le attività non in sofferenza e le passività quali i depositi e le obbligazioni ordinarie, mentre nella cosiddetta bad bank, che resterà in vita con il solo obiettivo di recuperare al meglio i crediti in sofferenza, sono stati concentrati i prestiti in sofferenza che sono residuati una volta fatte assorbire le perdite dalle azioni e dalle obbligazioni subordinate;
è notizia di questi giorni che il Ministero dell'economia e delle finanze sta faticando a trovare dei compratori per le quattro good bank di Nuova Banca Etruria, Nuova Banca Marche, Nuova Cassa di risparmio di Chieti e Nuova Cassa di risparmio di Ferrara;
organi di informazione, a tal proposito, hanno riportato la notizia che a fronte di un patrimonio che a giugno 2016 ammontava a 1,59 miliardi di euro, la redditività è fortemente negativa e soprattutto che sulle quattro banche, nonostante la «pulizia» delle sofferenze, gravano oggi già di nuovo ben 3,39 miliardi di euro di crediti deteriorati, più del doppio del capitale e quasi il 20 per cento del portafoglio prestiti –:
di quali elementi disponga circa i motivi per cui le citate good bank si trovino in tali condizioni, nonostante le ingenti ricapitalizzazioni delle quali hanno potuto beneficiare, e quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda assumere al riguardo. (4-14434)
INFRASTRUTTURE E TRASPORTI
Interrogazione a risposta scritta:
RAMPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
il 6 settembre 2016, è stato pubblicato sul sito dell'Ente nazionale per l'aviazione civile il bando per l'affidamento in concessione trentennale della gestione totale degli aeroporti di Reggio Calabria e Crotone, che fissa la data di scadenza delle offerte al prossimo 10 ottobre;
precedentemente la società di gestione dell'aeroporto dello stretto di Reggio Calabria (Sogas spa) aveva informato lo stesso Enac, la prefettura di Reggio Calabria, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e quello dell'economia e delle finanze della decisione assunta dal consiglio d'amministrazione di avviare le procedure per lo scioglimento e la messa in liquidazione della società, «considerati gli esiti degli ultimi lavori assembleari che hanno visto la mancata sottoscrizione dell'intero capitale sociale e l'omesso versamento del 25 per cento di questo», e della relativa tempistica;
la Sogas ha quindi comunicato che avrebbe potuto garantire la normale prosecuzione delle attività fino alla mezzanotte del 29 settembre 2016, «data quest'ultima in cui è previsto lo svolgimento della già convocata Assemblea dei Soci per deliberare sulla nomina dei liquidatori come previsto ai sensi di legge»;
al bando dell'Enac, per la gestione dell'aeroporto di Reggio Calabria, a quanto risulta all'interrogante, vorrebbe partecipare la Società di gestione dell'aeroporto di Lamezia Terme (Sacal SpA), che si candiderebbe anche per l'affidamento dello scalo di Crotone;
notizie di stampa, inoltre, riportano che il sindaco di Reggio Calabria si sia apertamente pronunciato in favore di un sistema aeroportuale regionale che vede l'aeroporto di Lamezia come unico scalo di interesse strategico;
il piano nazionale degli aeroporti approvato nel 2015 non ha riconosciuto la rilevanza strategica a lo scalo di Reggio Calabria, riconosciuto meramente come scalo di interesse nazionale, attribuendola, invece, all'aeroporto di Lamezia Terme;
si è quindi deciso di non riconoscere il valore dello scalo reggino, nonostante questo comprenda un bacino di utenza molto vasto prevalentemente composto dalle città di Reggio Calabria e di Messina;
da notizie di stampa risulterebbe che il presidente della regione siciliana abbia chiesto al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di rinviare di un triennio l'accorpamento delle autorità portuali al fine di impedire la creazione di quella dello Stretto che dovrebbe riunire sotto un'unica guida il porto di Gioia Tauro, quello di Reggio Calabria e quello di Messina, diventando l'Autorità più grande d'Italia;
il declassamento dell'aeroporto di Reggio Calabria a tutto vantaggio dello scalo lametino, unitamente alla proroga di ulteriore tre anni dell'Autorità portuale dello Stretto, sono due avvenimenti che per l'interrogante danneggiano in modo irreversibile la città metropolitana di Reggio e impediscono il suo sviluppo –:
se i fatti di cui in premessa corrispondano al vero e quali urgenti iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere al riguardo. (4-14435)
INTERNO
Interrogazione a risposta orale:
CARELLA, MELILLI, FERRO, TIDEI, MINNUCCI, PIAZZONI e PILOZZI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
nel comune di Carpineto Romano (Rm) e in alcuni comuni laziali, quali Arcinazzo (Rm), Moricone (Rm) e altri, esiste il fenomeno dei bovini vaganti senza marchio auricolare che nel corso degli anni, oltre che un problema sanitario, danno luogo a un problema per la pubblica incolumità causando incidenti stradali e attaccando le persone;
sono stati richiesti ed ottenuti negli anni diversi incontri con la prefettura per risolvere la problematica, ma senza successo;
sono pervenute segnalazioni in cui i cittadini hanno lamentato di essere stati «caricati» da tali bovini; gli stessi solo per fortuite circostanze hanno evitato di essere incornati o calpestati dagli stessi lanciati in corsa e privi di ogni controllo;
è di qualche giorno fa la notizia che, nel territorio confinante del comune di Montelanico una persona è stata «incornata» proprio da un bovino come sopra descritto (gli atti relativi sono in possesso del personale della stazione carabinieri ivi presente);
gli animali possono essere portatori di malattie trasmissibili sia all'uomo (BSE) sia ad altri animali con cui vengono a contatto tutto dovuto al fatto che sono sottratti ai controlli veterinari;
il sindaco di Carpineto Romano, nell'ambito delle proprie prerogative, ha adottato due ordinanze contingibili ed urgenti per provvedere alla cattura di tali bovini: la prima distinta dal n. 47 del 24 novembre 2014 cui è seguita la n. 69 del 2015;
l'ente locale ha provveduto ad emanare dei bandi per reperire delle ditte in grado di catturare e custodire gli animali che sono andati deserti; si sono anche siglati dei protocolli d'intesa con associazioni di allevatori che, però, non hanno sortito effetti, poiché, tali bovini si sono dimostrati talmente irruenti che non è stato possibile catturarli;
secondo una stima approssimativa di bovini sprovvisti di marchi auricolari sul territorio è risultato che se ne potevano contare circa 300-400 capi. Tale stima è sicuramente riduttiva atteso che la presenza di animali cresce col passare del tempo in considerazione del fatto che vi è una riproduzione incontrollata degli stessi;
ormai, tali bovini circolano nelle vie del Paese in maniera incontrollata tanto da andarsi ad abbeverare alle fontane pubbliche e pascolare nei giardini comunali, arrecandovi danno, pronti a caricare le persone che si trovino sul loro percorso;
occorre anche evidenziare che, nel tempo, a seguito delle numerose richieste di incontri effettuate alla prefettura, si sono instaurati diversi tavoli tecnici per cercare di trovare una soluzione alla problematica; in uno degli ultimi incontri è stato deciso di incaricare il responsabile del commissariato P.S. di Colleferro di coordinare l'attività per dare una risposta concreta che ad oggi non è ancora arrivata;
da ultimo, in data 3 ottobre 2016, si è tenuta in prefettura un'ulteriore riunione sollecitata dal sindaco di Carpineto Romano nella quale si è cercata una soluzione concreta all'annosa questione ma la stessa, si è conclusa con un nulla di fatto per carenza di competenza specifica in materia e di mezzi per catturare tali bovini;
il sindaco ha emesso ordinanza contingibile ed urgente per la cattura degli animali ed eventuale abbattimento che non risulta materialmente attuabile per mancanza di soggetti tenuti ad operare;
il sindaco non dispone dei mezzi tecnici né delle risorse finanziarie per debellare il problema –:
se non intendano assumere tutte le iniziative di competenza necessarie a risolvere il problema e a garantire la pubblica incolumità. (3-02534)
Interrogazione a risposta in Commissione:
BUSINAROLO, BENEDETTI e BRUGNEROTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
il tema delle migrazioni è diventato, negli ultimi anni, sempre più centrale a causa dell'imponente flusso migratorio che è cresciuto in maniera esponenziale: ad oggi si stima che i migranti e profughi inseriti nel sistema di accoglienza italiano si attesti intorno alle 100 mila unità di cui il 70 per cento si trova in strutture temporanee concentrate prevalentemente in Sicilia e in Lombarda;
il flusso continuo di immigrati e una gestione dei centri di accoglienza spesso non all'altezza rendono la situazione sempre più difficile e delicata, aggravata dal verificarsi di diversi gravi episodi di violenza proprio nei territori in si trovano le strutture di accoglienza;
nei giorni scorsi si era diffusa la notizia (vedasi www.ilgazzettino.it del 25 settembre 2016) relativa all'ipotesi di trasformare la caserma del Primo Roc di Abano Terme in «hub» provinciale per l'accoglienza dei profughi, dunque l'ennesimo centro straordinario di grande accoglienza;
successivamente, il prefetto di Venezia, Domenico Cuttaia, responsabile del coordinamento regionale migranti, dichiarava, innanzi alla Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza: «(...) per ora no agli hub di Chioggia e Abano» e ancora: «(...) La situazione degli sbarchi si ridimensionerà per il maltempo e l'arrivo dell'inverno»;
il bacino euganeo, rappresentato dai comuni di Abano Terme, Montegrotto Terme, Battaglia Terme e Galzignano Terme, costituisce uno dei poli, termali più grandi d'Europa, meta di numerosi turisti nel corso dell'intero anno, e in cui sono impiegati circa 10 mila lavoratori del settore termale-alberghiero;
il Veneto attualmente ospita 12.328 richiedenti asilo, di cui solo 434 sono nella rete Sprar dei comuni, mentre altri 9.280 sono stati ospitati in strutture temporanee tramite una convenzione tra prefettura e privati in centri più piccoli –:
quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere per far sì che si realizzi, nel sistema di accoglienza, una più equa distribuzione degli stranieri accolti su tutti i comuni della zona, coinvolgendoli in attività socialmente utili, anche al fine di permettere una maggiore integrazione degli stessi nei territori interessati. (5-09719)
Interrogazioni a risposta scritta:
MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
in occasione di un concerto dei Nomadi, svoltosi la sera del 4 ottobre 2016 in piazza Maggiore a Bologna, un camion ha incredibilmente raggiunto il Crescentone, nome con il quale gli abitanti del capoluogo emiliano designano il particolare selciato che si trova davanti alla sede del loro comune;
il conducente del mezzo pesante, un 57enne di Benevento, non è risultato essere in alcun modo malintenzionato, ma è comunque giunto con il suo camion in un punto in cui non doveva arrivare, senza che alcun rappresentante delle forze dell'ordine lo fermasse;
le circostanze, fatta eccezione per l'assenza di cattive intenzioni, sembravano alquanto simili a quelle materializzatesi sul lungomare di Nizza il 14 luglio 2016 e lo stesso leader del gruppo dei Nomadi ha affermato di aver temuto un attentato;
negligenze in occasione di grandi eventi pubblici, come i concerti o altre esibizioni che attirino la gente, possono in effetti essere pagate a carissimo prezzo –:
se siano stati ravvisati comportamenti negligenti da parte degli uffici periferici statali nell'episodio generalizzato in premessa, eventualmente di che tipo, e come si conti di ovviarvi in futuro;
quali iniziative il Governo intenda assumere affinché le questure intensifichino la vigilanza e impediscano efficacemente l'accesso ai mezzi pesanti in occasione di eventi pubblici che richiamano grandi moltitudini di persone in luoghi aperti. (4-14428)
BORGHESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
a Porto Recanati esiste un grande immobile noto con il nome di Hotel House;
tale struttura consta di 17 piani e 480 appartamenti, in cui vivono non meno di 3 mila persone, tra le quali diverse centinaia di minori, appartenenti a ben 41 nazionalità differenti;
nello stabile accade di tutto, dal commercio di droga alla produzione clandestina di beni contraffatti;
nel corso di un blitz condotto in un appartamento situato nell'immobile, nel novembre 2015, le forze dell'ordine hanno ad esempio reperito tra le altre cose ben 56 chilogrammi di eroina;
la droga è di tanto in tanto anche alla base di sanguinosi regolamenti di conti tra persone di nazionalità differente che risiedono o frequentano l'Hotel House;
più recente è invece l'incursione dei finanzieri della tenenza di Porto Recanati che ha portato allo smantellamento di un laboratorio clandestino situato al sedicesimo piano del grande stabile, azione in cui, tra le altre cose, sono stati sequestrati ben 20 mila articoli contraffatti ed i macchinari per fabbricarli;
dulcis in fundo, la società incaricata di gestire la struttura, la Lu.To, risulterebbe inadempiente nei confronti del suo personale, non avendo pagato per circa sei mesi le cinque persone incaricate del servizio di portierato nel palazzo e rispondendo alle loro legittime proteste con azioni giudiziarie tese al riconoscimento del loro licenziamento per giusta causa;
in seguito all'allontanamento dei cinque portieri, la situazione dell'Hotel House è ulteriormente peggiorata, sia sotto il profilo della legalità, con un significativo incremento delle attività di spaccio di stupefacenti, che sotto quello della pulizia e dell'igiene nella struttura –:
se il Governo non intenda intervenire più incisivamente a Porto Recanati, intensificando, in quanto di competenza, il monitoraggio dell'Hotel House da parte delle forze dell'ordine ed autorizzando l'effettuazione di un maggior numero di controlli sulle attività che vi si conducono;
se e quali ulteriori iniziative il Governo intenda assumere, per quanto di competenza, per la tutela dei cittadini interessati dalla questione esposta in premessa (4-14430)
GINEFRA e VENTRICELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
con determina del 23 luglio 2014 il comune di Gioia del Colle ha approvato il bando di gara avente ad oggetto la realizzazione di «lavori di ristrutturazione ed adeguamento funzionale di immobile da adibire a centro ristorazione sociale – Concessione gestione per la durata di anni nove del centro realizzato». Veniva fissato in euro 438.048,00 il valore stimato della concessione del servizio gestione del centro di ristorazione, e in euro 408.677,79 il valore dell'intervento strutturale sull'immobile per le attività di ristrutturazione ed adeguamento funzionale;
con determinazione n. 1203 Reg. Gen., del 25 novembre 2014, il comune di Gioia del Colle ha disposto l'aggiudicazione definitiva dell'appalto in favore del gruppo «Ladisa S.p.A. – Restyle Costruzioni s.r.l.»;
in data 5 febbraio 2016 il centro di ristorazione sociale subiva danni da incendio, presumibilmente di natura dolosa;
qualche settimana prima dell'incendio, il centro di ristorazione sociale subiva già un primo danneggiamento; in particolare, veniva infranta una vetrata posta sulla facciata dell'edificio mediante il lancio di una pietra ad opera di ignoti;
in data 2 febbraio 2016 una dipendente della Ladisa s.p.a. e responsabile dell'area di Gioia del Colle e comuni limitrofi, subiva il furto dell'autovettura aziendale. Il furto dell'autovettura, di proprietà della Ladisa s.p.a., veniva prontamente denunciato alla stazione dei carabinieri di Gioia del Colle;
in data 16 gennaio 2016 l'amministratore unico della Ladisa s.p.a., subiva il furto della propria autovettura parcheggiata in Bari alla Via Dante. Il furto dell'autovettura è stato immediatamente denunciato alla questura di Bari;
verso metà febbraio, anche una dirigente della Ladisa s.p.a. subiva il danneggiamento della propria autovettura Smart parcheggiata in Bari in prossimità della propria abitazione;
la Ladisa, dando seguito alla richiesta del comune di Gioia del Colle, si faceva successivamente carico dei lavori di ripristino del centro di ristorazione sociale a seguito dell'evento incendiario, individuando come impresa esecutrice dei lavori altra società di costruzioni, in luogo della Restyle che non ha mai ritenuto di doversi fare carico degli stessi;
due giorni prima della data annunciata per l'inaugurazione del nuovo centro di cottura, nella notte tra il 4 ed il 5 di ottobre, lo stesso veniva nuovamente danneggiato a causa di un evento incendiario di natura dolosa;
giunta sul posto alle ore 08:00 del 5 ottobre, la responsabile di zona provvedeva ad allertare immediatamente i carabinieri, i quali giungevano dopo poco sul luogo dell'incendio per i primi rilievi del caso;
di tutti questi accadimenti, regolarmente denunciati dall'azienda barese, si sono occupati gli organi di informazione locali –:
se sia stato informato di tali eventi;
quali iniziative di competenza intenda assumere per prevenire il ripetersi di tali azioni vandaliche e per consentire il regolare svolgimento delle attività del centro barese ripristinando un clima di serenità tra gli operatori e i proprietari della stessa Ladisa s.p.a. (4-14431)
NACCARATO, CAMANI, MIOTTO, NARDUOLO e ZAN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
il 22 settembre 2016 Frank Afrifa, titolare della Libreria Nexus in via Beato Pellegrino a Padova, è stato aggredito nel comune di Arre;
il cittadino ghanese residente in Italia da 20 anni, sposato con una cittadina italiana e padre di due figli, dopo il lavoro nel capoluogo è tornato con una autocorriera ad Arre dove risiede, ha preso la sua bicicletta e, passando davanti al bar del paese, ha sentito una voce femminile dire ad alta voce: «Sciò, sciò, torna a casa tua, siamo stufi di mantenervi»;
Afrifa quindi è sceso dalla bicicletta e si è avvicinato per chiedere spiegazioni;
un amico della donna che lo aveva insultato si è avvicinato, e due clienti del bar lo hanno spinto con violenza contro un'Alfa Romeo, sono saliti a bordo della stessa auto e si sono dileguati;
un testimone ha preso il numero di targa e ha avvisato i carabinieri;
il signor Afrifa ha deciso di sporgere regolare denuncia presso le autorità competenti;
l'episodio, che ricorda da vicino la tragica vicenda accaduta a Fermo all'inizio dell'estate, indica il clima di violenza che si sta diffondendo a causa della propaganda razzista contro profughi, richiedenti asilo e cittadini stranieri nel territorio nazionale;
la vicenda ha sollevato forti preoccupazioni nella comunità locale per il pericolo che simili atti di violenza possano ripetersi;
è opinione degli interroganti che vada profuso ogni sforzo per trovare i responsabili di questa aggressione e che le autorità competenti debbano impegnarsi a fondo per prevenire e contrastare la violenza razzista –:
se il Ministro sia al corrente dei fatti sopra esposti;
quali iniziative di competenza intenda adottare per contribuire a fare luce sull'aggressione al signor Afrifa e per prevenire e contrastare la violenza razzista. (4-14436)
RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
con la delibera consiliare 31 marzo 2011, n. 4, il comune di Catania ha disposto la trasformazione dell'azienda municipale trasporti (AMT) nel nuovo soggetto giuridico «Azienda Metropolitana Trasporti SpA» (AMT SpA), e in data 31 luglio 2011 tutte le attività operative dell'AMT sono cessate e le risorse materiali e umane trasferite all'AMT SpA;
in data 8 aprile 2013 è stato approvato il decreto-legge n. 35 del 2013, recante «Disposizioni urgenti per il pagamento di debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali»;
al fine di consentire la liquidità necessaria per il pagamento dei debiti degli enti locali, il decreto-legge n. 35 del 2013 ha previsto di reperire le risorse con due modalità, ovvero mediante l'accesso al Fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili, istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia, oppure mediante il ricorso all'aumento dell'anticipazione di tesoreria;
con delibera del consiglio comunale del 6 dicembre 2012, n. 53, il comune di Catania ha deliberato di prendere atto delle condizioni di squilibrio strutturale del bilancio dell'ente e il successivo 2 febbraio ha approvato la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, dando mandato al ragioniere generale di attivare le procedure necessarie per accedere all'anticipazione a valere sul Fondo di rotazione, nonché di completare il procedimento avviato per accedere all'anticipazione delle predette risorse ai sensi dell'articolo 5, comma primo, del decreto-legge n. 174 del 2012;
il 29 luglio 2016 sono stati effettuati due bonifici per un ammontare di quarantadue milioni di euro dai conti dell'AMT in liquidazione in favore del comune di Catania, sulla cui causale era apposta la dicitura «riversamento somme per chiusura liquidazione Azienda Municipale Trasporti»;
tale operazione bancaria, a parere dell'interrogante, appare arbitraria e di dubbia legittimità, posto che dalla causale sembrerebbe terminata la liquidazione dell'AMT, mentre invece non risulta ancora estinta la totalità dei debiti dell'azienda;
inoltre, in quanto azienda municipalizzata, la liquidazione sarebbe dovuta avvenire per l'interrogante, previo parere dei revisori contabili del comune e dell'azienda, ai quali l'amministrazione avrebbe dovuto garantire la sostenibilità della chiusura della liquidazione, e passare al vaglio del consiglio comunale ma tale procedura non sembra aver avuto luogo;
l'articolo 1, comma 16, del decreto-legge n. 35 del 2013 prevede che le anticipazioni di cassa concesse in applicazione dell'articolo 5 del decreto-legge n. 174 del 2012 che risultassero non dovute sono recuperate da parte del Ministero dell'interno;
il conto corrente della tesoreria del comune di Catania verte in stato di passività per un notevole ammontare;
il 9 agosto 2016 è stata pubblicata la relazione della Corte dei Conti sullo stato di attuazione del piano di riequilibrio finanziario pluriennale e sul raggiungimento degli obietti intermedi fissati dal piano stesso per il primo semestre 2016, nella quale si evidenzia con riferimento al suddetto comune il mancato raggiungimento dell'obiettivo generale con uno scostamento di oltre quattro milioni di euro;
il piano di riequilibrio finanziario varato il 10 settembre 2016 dalla Giunta Bianco prevede di vendere una parte del patrimonio pubblico della città di Catania per circa 47 milioni di euro, tra i quali figurano numerose chiese, antiche masserie e altri immobili di pregio –:
se i Ministri interrogati siano informati dei fatti di cui in premessa;
se non ritengano di adottare iniziative, per quanto di competenza, per verificare l'impiego delle risorse ex decreto-legge n. 35 del 2013, compreso il predetto trasferimento dei fondi dai conti dell'azienda in liquidazione al comune di Catania, e quali iniziative si intendano promuovere laddove si accertino anomalie procedurali;
se i beni proposti alla vendita siano effettivamente alienabili e non sottoposti ad alcun vincolo ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004. (4-14437)
LAVORO E POLITICHE SOCIALI
Interrogazione a risposta in Commissione:
RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
da settimane i 360 dipendenti della Selcom di Castel Maggiore (Bo) vivono nell'ansia di perdere il posto di lavoro. La società, che produce schede elettroniche e sistemi di automazione industriale, è da tempo in crisi finanziaria e ha accumulato circa 136 milioni di euro di debiti; pertanto, la proprietà ha richiesto l'ammissione alla procedura di concordato preventivo per evitare il fallimento; a quanto è dato sapere, il proprietario Fabrizio Ricchetti si è dimesso dalla carica di presidente e amministratore delegato, restando nel consiglio di amministrazione come consigliere, e verrà nominato un nuovo manager;
la mala gestione societaria ha determinato la grave e attuale situazione debitoria, a cui è conseguita la sfiducia dei fornitori e il rifiuto delle banche di concedere credito;
nonostante la crisi perduri da tempo, i lavoratori hanno appreso della reale condizione dell'azienda solo nel mese di settembre 2016; si tratta di numerosi lavoratori e lavoratrici, la cui professionalità e posti di lavoro vanno salvaguardati, anche per l'importanza che tale realtà aziendale riveste nell'ambito del tessuto economico del territorio bolognese e regionale;
è dunque necessario che il Ministro interrogato, anche di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, adotti tutti i provvedimenti necessari affinché i dipendenti della Selcom ricevano ogni tutela necessaria –:
se e quali iniziative di competenza intenda promuovere il Ministro interrogato per difendere i posti di lavoro dei 360 dipendenti della Selcom, che attualmente vivono una grave situazione di incertezza rispetto al loro futuro lavorativo. (5-09720)
SALUTE
Interrogazione a risposta in Commissione:
BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
Patrizio Cairoli, giornalista di Askanews, ha reso nota una lettera alla Ministra interrogata, per denunciare quanto accaduto al padre, malato terminale, deceduto all'ospedale San Camillo di Roma dopo due giorni di agonia al pronto soccorso;
si legge che l'unica forma di privacy concessa al malato è stato poter mettere un indumento sospeso tra il muro e il paravento con dello scotch al fine di separarlo da altri pazienti e dall'affluenza del pronto soccorso, poiché non vi erano stanze ove trasferirlo nelle ultime ore di vita;
il San Camillo è uno dei più grandi ospedali di Roma, tuttavia il direttore sanitario, Luca Casertano, ha dichiarato che all'interno del pronto soccorso non esistono aree destinate ai pazienti in fin di vita;
da una dichiarazione della Ministra interrogata si è appreso che sono stati inviati gli ispettori presso l'ospedale per le verifiche del caso;
quanto accaduto al paziente, purtroppo, non resta un caso isolato ed è dovuto, oltre ai tagli generali messi in atto dal Ministero della salute, soprattutto al regolamento degli standard ospedalieri (decreto ministeriale n. 70 del 2015), che ha cancellato la presenza delle cure palliative negli ospedali;
gli standard ospedalieri hanno scordato che la sofferenza, ma anche il fine vita, s'incontrano molto spesso proprio negli ospedali ed è un diritto del cittadino – sancito dalla legge n. 38 del 2010, oltre che un dovere etico, nel rispetto della dignità della persona, ottenere la garanzia della cura, attraverso non solo, eventuali posti letto dedicati, ma anche la presenza di medici palliativisti;
con la presenza di cure palliative si sarebbe non solo intercettato il malato in pronto soccorso e sarebbero state erogate le opportune prestazioni volte al sollievo della sofferenza, ma si sarebbe potuta trovare una rapida soluzione assistenziale laddove in quell'ospedale, in quel momento, non fosse stato possibile realizzarla;
nel percorso di cura del signor Cairoli, la presenza di cure palliative ospedaliere, a fianco dell'erogazione delle cure oncologiche specifiche, avrebbe potuto intercettare il bisogno di palliazione e quindi l'aggravamento clinico, prima che giungesse al tragico epilogo, trattando la sofferenza, prima a livello ambulatoriale, poi, quando necessario, con l'invio alle strutture deputate alla presa in carico domiciliare e/o residenziale;
nell'audizione del Ministro interrogato in Commissione affari sociali – svoltasi nella seduta del 5 ottobre 2016 – concernente gli aggiornamenti dei livelli essenziali di assistenza, non vi è nessuna traccia delle cure palliative, che pure dovrebbero a pieno diritto ai sensi della legge n. 38 del 2010 essere considerate un livello essenziale di assistenza presente in tutti i luoghi deputati alla cura dei malati, dall'ospedale al territorio;
non si può non notare con dispiacere che alle molteplici interrogazioni presentate in tal senso non è stata data alcuna risposta;
quanto accaduto all'ospedale San Camillo rientra, ad avviso degli interroganti, nell'ambito di un'omissione di cure adeguate a un malato oncologico giunto con sofferenza alla fine della sua vita –:
se non ritenga – stante la totale assenza di riferimenti alle cure palliative nella relazione del 5 ottobre 2016 in Commissione affari sociali – di dover assumere urgenti iniziative per l'introduzione delle cure palliative negli ospedali;
se non ritenga opportuno promuovere una revisione del regolamento sugli standard ospedalieri, al fine di inserirvi le cure palliative;
se non ritenga – anche a fini di privacy, poiché non può essere sufficiente l'invio di ispettori solo in seguito a tragici eventi come quello del San Camillo – di doversi adoperare, con gli strumenti e le risorse disponibili, per garantire a tutti i cittadini malati terminali il diritto a veder alleviata la sofferenza e a una morte dignitosa. (5-09718)
Interrogazioni a risposta scritta:
CIVATI, ANDREA MAESTRI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
dopo sette anni di piano di rientro dal disavanzo sanitario e di commissariamenti della regione Calabria, il servizio sanitario calabrese versa in una condizione pesantemente deficitaria che ha messo in discussione, il diritto costituzionale alla salute della regione. Nel corso degli anni l'offerta sanitaria pubblica è peggiorata, come dimostra l'aumento dell'emigrazione sanitaria passiva verso altre regioni. L'applicazione del piano di rientro si è, quindi, dimostrata per gli interroganti, fallimentare, senza mostrare fino ad oggi alcuna inversione di tendenza;
uno studio del 2012, condotto dall'università svedese di Göteborg sulla qualità della sanità in Europa, ha collocato la Calabria all'ultimo posto tra le 172 regioni europee. Così come i dati Cnel sulla qualità dei servizi delle pubbliche amministrazioni hanno confermato che il sistema sanitario calabrese è il peggiore che ci sia in Europa;
l'ultimo rapporto di verifica degli adempimenti dei livelli essenziali di assistenza (Lea) pubblicato sul sito del Ministero della salute, ha collocato la Calabria all'ultimo posto delle regioni d'Italia per il rispetto dei Lea;
a luglio 2016 il commissario ad acta alla sanità della Calabria, Massimo Scura, ha emanato un nuovo decreto, il n. 64 del 5 luglio 2016, sulla riorganizzazione delle reti assistenziali, che ha modificato e integrato il precedente decreto n. 30 di marzo 2016, contestato da molti comuni calabresi per i tagli ai servizi sanitari, mantenendo però nei suoi contenuti a giudizio degli interroganti contraddizioni e approssimazioni;
infatti, anche se il decreto è in linea con i tagli imposti dal Governo alla sanità pubblica calabrese, il commissario continua secondo gli interroganti, di fatto, a favorire un modello di sanità privata, e questo nonostante le evidenti carenze del sistema sanitario, come denunciato anche recentemente nell'atto aziendale del direttore generale dell'azienda sanitaria provinciale (Asp) di Cosenza, «in Calabria ancora oggi non sono garantiti i livelli minimi di assistenza con una conseguente situazione di emergenza sanitaria e smantellamento dell'offerta sanitaria. Risulta ancora carente l'assistenza domiciliare, residenziale e semiresidenziale rivolta ad anziani, disabili, pazienti psichiatrici e ai malati terminali»;
da notizie di stampa si apprende, infatti, dell'anomalia del territorio della provincia di Cosenza dove, alle carenze dei servizi sanitari pubblici, si contrappone la presenza di 158 cliniche, strutture sanitarie private, accreditate al servizio sanitario nazionale. Considerando che la provincia di Cosenza conta 155 comuni «appare sinceramente assurdo che ci possa essere più di una clinica a paese. Ed è chiarissimo che intorno a queste strutture, la maggior parte delle quali stanno a Cosenza e sul Tirreno, girano miriadi di interessi, testimoniati dalle cifre». Ogni anno le cliniche della provincia Cosenza ricevono qualcosa come 19-20 milioni di accreditamenti inseriti all'interno di un budget che quasi sempre viene anche superato. Intorno alle cliniche pertanto si coagula un flusso di denaro impressionante;
questa condizione crea «terreno fertile» per le infiltrazioni mafiose, come denunciato anche recentemente nell'atto aziendale del direttore generale dell'Asp di Cosenza, dove si afferma che «la commissione antimafia insediatasi all'ASP di Cosenza, nel corso della precedente gestione, ha relazionato al prefetto di Cosenza sullo stato gestionale e rischio di infiltrazione mafiosa all'interno dell'ASP stessa» –:
se il Governo sia a conoscenza della grave situazione descritta in premessa e quali iniziative di competenza intenda i assumere per garantire in Calabria i livelli essenziali di assistenza, in modo tale che sia garantito un servizio sanitario pubblico di qualità e di facile accesso a tutti i cittadini;
se intenda fornire elementi sugli interventi di competenza in essere o programmati per scongiurare e contrastare ogni possibile infiltrazione mafiosa nella gestione del sistema sanitario calabrese;
se non ritenga opportuno assumere iniziative per interrompere l'attuazione del piano di rientro dal debito sanitario calabrese e le gestioni commissariali, sulle cui problematicità più volte si è espressa la Corte costituzionale. (4-14438)
PLACIDO e FOLINO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
il quartiere di Bucaletto, detto «La cittadella», è una contrada alla periferia di Potenza nata per ospitare temporaneamente gli sfollati del terremoto dell'Irpinia dei 1980, dove sono stati costruiti circa 500 prefabbricati che dovevano appunto essere alloggi temporanei per i cittadini in attesa di nuove abitazioni definitive;
il 4 ottobre 2016, la trasmissione televisiva « Le Iene show» ha dedicato un servizio alla suddetta contrada di Bucaletto, e alla gravissima situazione in cui si trovano a vivere i suoi abitanti: oltre 2 mila residenti che vivono in uno stato di degrado e abbandono, e che non sono solamente persone colpite dal terremoto dell'80, ma anche cittadini più bisognosi collocati nei prefabbricati transitori adibiti negli anni a case popolari per far fronte a situazioni di emergenza abitativa;
l'inviato delle « Iene» ha quindi raccolto le denunce dei residenti circa la presenza di amianto in molte abitazioni. L'incidenza delle patologie tumorali, secondo varie testimonianze, risulta essere molto alta tra i residenti;
come scrive nel 2007 l'azienda sanitaria di Potenza in una lettera al sindaco, «i prefabbricati non rispondono ai requisiti igienico-sanitari [...] per i locali di civile abitazione» e, inoltre, l'amianto contenuto nel parametro esterno di alcune strutture «presenta lesioni, rotture e crepe», diventando così pericoloso per la salute;
come se non bastasse Bucaletto è ubicata in prossimità della ferriera-acciaieria «Siderpotenza Ferriere Nord spa», conosciuta anche come «Ferriera», con conseguenti effetti sulla salute pubblica e l'ambiente –:
quali iniziative immediate si intendano adottare, per quanto di competenza in coordinamento con gli enti territoriali coinvolti, per dare una definitiva soluzione, non più procrastinabile, alla gravissima situazione sanitaria e ambientale esposta in premessa;
se non si intenda, d'intesa con regione e comune e con il coinvolgimento all'Istituto superiore di sanità e degli altri enti e strutture statali competenti, promuovere quanto prima uno screening sanitario per i cittadini residenti di Bucaletto, e un piano di controlli e di monitoraggio per verificare la presenza di amianto negli immobili e lo stato di inquinamento atmosferico conseguente alle emissioni della citata «Ferriera». (4-14439)
Apposizione di una firma ad una mozione.
La mozione Vito e altri n. 1-01346, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 settembre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Polverini.
Apposizione di una firma ad una risoluzione.
La risoluzione in Commissione Zampa ed altri n. 7-01112, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 ottobre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Romanini.
Pubblicazione di un testo riformulato.
Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in commissione Spadoni n. 7-01043, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 647 del 5 luglio 2016.
La III Commissione,
premesso che:
ai sensi dell'articolo 1, comma 6, della legge n. 185 del 1990 (Nuove norme sul controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento), l'esportazione e il transito di materiali di armamento sono vietati verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell'Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere; verso i Paesi la cui politica contrasti con i principi dell'articolo 11 della Costituzione; verso i Paesi nei cui confronti sia stato dichiarato l'embargo totale o parziale delle forniture belliche da parte delle Nazioni Unite o dell'Unione europea (UE); verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell'UE o del Consiglio d'Europa;
dal 26 marzo 2015 il regno dell'Arabia Saudita, coadiuvato da altri otto Paesi arabi (Egitto, Marocco, Sudan, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Qatar e Bahrein) con armi fornite dall'Occidente, sta conducendo attacchi aerei incessanti su città e villaggi yemeniti;
la coalizione a guida saudita è stata la principale responsabile degli oltre 3.500 civili uccisi nello Yemen, di cui molti bambini e ragazzi;
nel settembre 2015 Faisal bin Hassan Thad, ambasciatore dell'Arabia Saudita presso le Nazioni Unite, è stato eletto a presiedere il comitato consultivo del Consiglio dell'Onu dei diritti umani che ha il compito di indicare gli esperti sui diritti umani;
l'Arabia Saudita ha sfruttato la propria posizione all'interno del Consiglio dei diritti umani per impedire una risoluzione che avrebbe avviato un'indagine internazionale e per farne approvare una, del tutto inutile, per istituire una commissione d'inchiesta yemenita la quale, nove mesi dopo, non ha fatto nulla per indagare sulle denunce di crimini di guerra e altre gravi violazioni dei diritti umani;
all'interno dell'Arabia Saudita, la repressione di ogni forma di dissenso prosegue senza sosta, attraverso processi farsa di fronte ai tribunali speciali anti-terrorismo, lunghe condanne per dissidenti pacifici e difensori dei diritti umani, in alcuni casi seguite da punizioni corporali (come nei casi degli attivisti Raif Badawi e Ashraf Fayadh), e centinaia di esecuzioni. Il 2015 è stato l'anno che ha fatto segnare il maggior numero di esecuzioni dal 1995;
in Yemen, secondo quanto dichiarato dal segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon nel corso dell'ultima assemblea generale dell'Onu tenutasi a New York il 28 settembre 2015, 21 milioni di persone (l'80 per cento della popolazione) hanno bisogno di aiuti umanitari urgenti di cibo e carburante necessario a far funzionare i pozzi della poca acqua potabile;
secondo le organizzazioni Amnesty International e Human Rights Watch, l'Arabia Saudita commette «gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani» all'estero e all'interno del paese e sfrutta la sua posizione all'interno del Consiglio dei diritti umani per ostacolare efficacemente la ricerca della giustizia per i possibili crimini di guerra nello Yemen;
secondo Richard Bennet, direttore dell'ufficio di Amnesty International presso le Nazioni Unite, la credibilità del Consiglio dei diritti umani è a rischio. Da quando l'Arabia Saudita è entrata in questo organismo, la situazione dei diritti umani nel paese ha continuato a peggiorare e la coalizione a guida saudita ha ucciso e ferito migliaia di civili nel conflitto dello Yemen;
nelle ultime settimane l'Arabia Saudita ha evitato nuovamente di essere chiamata a rispondere del proprio operato, premendo sulle Nazioni Unite affinché la coalizione a guida saudita impegnata nel conflitto dello Yemen venisse tolta dall'elenco degli Stati e dei gruppi armati che nel 2015 hanno violato i diritti dei bambini nei conflitti armati;
nonostante le crescenti prove a disposizione sui crimini di guerra, i principali alleati dell'Arabia Saudita, tra cui Stati Uniti e Regno Unito, non hanno smesso di inviare armi da usare nello Yemen;
Amnesty International e Human Rights Watch hanno chiesto agli Stati membri delle Nazioni Unite di votare per sospendere l'Arabia Saudita dal Consiglio dei diritti umani e hanno inoltre ribadito la richiesta di avviare un'indagine internazionale, imparziale e indipendente sulle violazioni del diritto internazionale umanitario commesse nel conflitto dello Yemen;
la risoluzione n. 60/251 dell'Assemblea generale, con cui è stato creato il Consiglio dei diritti umani, prevede che «con una maggioranza dei due terzi dei membri presenti e votanti, l'Assemblea generale possa sospendere il diritto di partecipazione di uno stato al Consiglio dei diritti umani che compia gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani»;
quello adottato nei confronti della Libia, nel 2011, è l'unico precedente di un tale tipo di sospensione,
impegna il Governo
a proporre, nel corso della prossima sessione del Consiglio dei diritti umani (la 32a sessione regolare si è conclusa il 1° luglio 2016 a Ginevra) la sospensione dell'Arabia Saudita dall'organo citato.
(7-01043) «Spadoni, Manlio Di Stefano, Grande, Di Battista, Scagliusi, Del Grosso, Sibilia».