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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Lunedì 24 ottobre 2016

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 24 ottobre 2016.

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Amendola, Amici, Ascani, Baldelli, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Franco Bordo, Michele Bordo, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Cancelleri, Caparini, Casero, Castiglione, Censore, Antimo Cesaro, Chaouki, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Fauttilli, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Garofalo, Garofani, Gelli, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Grillo, La Russa, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Merlo, Meta, Migliore, Morassut, Orlando, Paris, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Paolo Nicolò Romano, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Scotto, Sorial, Tabacci, Valeria Valente, Velo, Vignali, Zampa, Zanetti.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Amendola, Amici, Ascani, Baldelli, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Franco Bordo, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Cancelleri, Caparini, Casero, Castiglione, Censore, Antimo Cesaro, Chaouki, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Fauttilli, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Garofalo, Garofani, Gelli, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Grillo, La Russa, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Merlo, Meta, Migliore, Morassut, Orlando, Paris, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Paolo Nicolò Romano, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Scotto, Sorial, Tabacci, Valeria Valente, Velo, Vignali, Zampa, Zanetti.

Adesione di deputati a proposte di legge.

  La proposta di legge REALACCI ed altri: «Disposizioni concernenti la certificazione ecologica dei prodotti cosmetici» (106) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Baradello.

  La proposta di legge ZAMPA ed altri: «Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e altre disposizioni concernenti misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati» (1658) è stata successivamente sottoscritta dalla deputata Binetti.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:

   I Commissione (Affari costituzionali):
  PARISI ed altri: «Modifiche al testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e altre disposizioni, in materia di elezione del sindaco e del consiglio comunale» (4002) Parere delle Commissioni V e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

   VII Commissione (Cultura):
  PICCHI ed altri: «Disposizioni per la promozione, il sostegno e la valorizzazione delle associazioni e delle manifestazioni di rievocazione storica» (4085) Parere delle Commissioni I, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VIII, IX, X, XII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Trasmissioni dal Presidente del Senato.

  Il Presidente del Senato, con lettere in data 20 ottobre 2016, ha comunicato che sono state approvate, ai sensi dell'articolo 144, commi 1 e 6, del Regolamento del Senato, le seguenti risoluzioni delle Commissioni riunite 3a (Affari esteri) e 4a (Difesa):
   risoluzione sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 230/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 marzo 2014, che istituisce uno strumento inteso a contribuire alla stabilità e alla pace (COM(2016) 447 final) (Doc. XVIII, n. 160), che è trasmessa alla III Commissione (Affari esteri), alla IV Commissione (Difesa) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea);
   risoluzione sulla comunicazione congiunta della Commissione europea e dell'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza al Parlamento europeo e al Consiglio – Elementi di un quadro strategico dell'Unione europea per sostenere la riforma del settore della sicurezza (JOIN(2016) 31 final) (Doc. XVIII, n. 161), che è trasmessa alla III Commissione (Affari esteri) e alla IV Commissione (Difesa).

Trasmissioni dal Ministro dello sviluppo economico.

  Il Ministro dello sviluppo economico, con lettera in data 20 ottobre 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 30, quinto comma, della legge 20 marzo 1975, n. 70, la relazione sull'attività svolta, sul bilancio di previsione e sulla consistenza degli organici del Banco nazionale di prova per le armi da fuoco portatili e le munizioni commerciali, riferita all'anno 2015, corredata dai relativi allegati.

  Questa relazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali).

  Il Ministro dello sviluppo economico, con lettera in data 20 ottobre 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 30, quinto comma, della legge 20 marzo 1975, n. 70, la relazione sull'attività svolta, sul bilancio di previsione e sulla consistenza degli organici dell'Ente nazionale per il microcredito, riferita all'anno 2015, corredata dai relativi allegati.

  Questa relazione è trasmessa alla VI Commissione (Finanze).

Trasmissione dal Ministro della giustizia.

  Il Ministro della giustizia, con lettera del 21 ottobre 2016, ha trasmesso una nota relativa all'attuazione data, per la parte di propria competenza, alle mozioni SBERNA ed altri n. 1/00924, BINETTI ed altri n. 1/00926, BAZOLI ed altri n. 1/00928, MATARRESE ed altri n. 1/00932, accolte dal Governo ed approvate dall'Assemblea nella seduta del 7 luglio 2015, concernenti iniziative volte a sospendere le procedure di espropriazione relative ad immobili adibiti ad abitazione principale.
  La suddetta nota è a disposizione degli onorevoli deputati presso il Servizio per il Controllo parlamentare ed è trasmessa alla II Commissione (Giustizia) competente per materia.

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 21 ottobre 2016, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alla III Commissione (Affari esteri), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   Proposte di decisione del Consiglio relative rispettivamente alla conclusione nonché alla firma per conto dell'Unione europea di un accordo in forma di scambio di lettere tra l'Unione europea e il Regno di Norvegia sul cumulo di origine tra l'Unione europea, la Svizzera, il Regno di Norvegia e la Turchia nel quadro del Sistema di preferenze generalizzate dell'Unione europea (COM(2016) 668 final e COM(2016) 669 final), corredate dai rispettivi allegati (COM(2016) 668 final – Annex 1 e COM(2016) 669 final – Annex 1);
   Proposte di decisione del Consiglio relative rispettivamente alla firma, per conto dell'Unione europea, nonché alla conclusione di un accordo in forma di scambio di lettere tra l'Unione europea e la Confederazione svizzera sul cumulo di origine tra l'Unione europea, la Confederazione svizzera, la Norvegia e la Turchia nel quadro del Sistema di preferenze generalizzate dell'Unione europea (COM(2016) 671 final e COM(2016) 672 final), corredate dai rispettivi allegati (COM(2016) 671 final – Annex 1 e COM(2016) 672 final – Annex 1).

  La proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile (European Fund for Sustainable Development, EFSD) e che istituisce la garanzia dell'EFSD e il fondo di garanzia EFSD (COM(2016) 586 final) e la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il codice europeo delle comunicazioni elettroniche (Rifusione) (COM(2016) 590 final), già trasmesse dalla Commissione europea e assegnate, in data 21 e 24 ottobre 2016, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, rispettivamente alla III Commissione (Affari esteri) e alla IX Commissione (Trasporti), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), sono altresì assegnate alla medesima XIV Commissione ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà; il termine di otto settimane per la verifica di conformità, ai sensi del Protocollo sull'applicazione dei princìpi di sussidiarietà e di proporzionalità allegato al Trattato sull'Unione europea, decorre per entrambe le proposte dal 24 ottobre 2016.

Trasmissione dall'ICE – Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane.

  L'ICE – Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, con lettera in data 13 ottobre 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 1, comma 202, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, e dell'articolo 30, comma 3-bis, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, la relazione concernente lo stato di avanzamento degli interventi e delle azioni previsti dal Piano straordinario per la promozione del made in Italy e l'attrazione degli investimenti in Italia, aggiornata al 30 settembre 2016 (Doc. CCXXXI, n. 2).

  Questa relazione è trasmessa alla X Commissione (Attività produttive) e alla XIII Commissione (Agricoltura).

Trasmissione dal Consiglio regionale dell'Emilia-Romagna.

  La Presidente del Consiglio regionale dell'Emilia-Romagna, con lettera in data 21 ottobre 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 24, comma 3, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, il testo di una risoluzione recante osservazioni sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Piano d'azione sull'integrazione dei cittadini di paesi terzi (COM(2016) 377 final).

  Questo documento è trasmesso alla I Commissione (Affari costituzionali).

Comunicazione di nomine ministeriali.

  La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettere in data 14 ottobre 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 19, comma 9, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, la comunicazione concernente il conferimento al dottor Vincenzo Starita, ai sensi del comma 4 del medesimo articolo 19, dell'incarico di livello dirigenziale generale di direttore della Direzione generale del personale, delle risorse e per l'attuazione dei provvedimenti del giudice minorile, nell'ambito del Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del Ministero della giustizia.

  Questa comunicazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla II Commissione (Giustizia).

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B  al resoconto della seduta odierna.

Annunzio di risposte scritte ad interrogazioni.

  Sono pervenute alla Presidenza dai competenti ministeri risposte scritte ad interrogazioni. Sono pubblicate nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

ERRATA CORRIGE

  Nell’Allegato A al resoconto della seduta del 21 ottobre 2016, a pagina 12, seconda colonna, alle righe dalla tredicesima alla diciannovesima, le parole da: «la proposta» fino a: « 589 final)» si intendono sostituite dalle seguenti: «la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo allo scambio transfrontaliero tra l'Unione e i paesi terzi di copie in formato accessibile di determinate opere e altro materiale protetto da diritto d'autore e da diritti connessi, a beneficio delle persone non vedenti, con disabilità visive o con altre difficoltà nella lettura di testi a stampa (COM(2016) 595 final)» e, alla trentunesima riga, le parole «IX Commissione (Trasporti)» si intendono sostituite dalle seguenti: «VII (Cultura)».

MOZIONI NICCHI ED ALTRI N. 1-01395, GRILLO ED ALTRI N. 1-01398, BINETTI ED ALTRI N. 1-01399, RONDINI ED ALTRI N. 1-01400, BRIGNONE ED ALTRI N. 1-01402 E PALESE ED ALTRI N. 1-01403 SULLA SALVAGUARDIA DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE E SULLE POLITICHE IN MATERIA DI SALUTE

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    il Servizio sanitario nazionale, istituito dalla legge n. 833 del 1978, che aveva finora garantito il fondamentale diritto alla salute, dopo ben quattro riforme, fatica sempre più a rappresentare il pilastro fondamentale del sistema di welfare pensato dal legislatore in attuazione dell'articolo 32 della Costituzione;
    i limiti e le iniquità del sistema sono sempre più evidenti e la sanità pubblica, in questi ultimi anni, non sembra più essere in grado di adempiere a questo compito;
    per garantire universalità ed equità, la sanità pubblica ha bisogno di maggiori risorse finanziarie e, allo stesso tempo, di un profondo cambiamento. Il cambiamento non si può affidare alle risposte del mercato e al maggiore ricorso al privato – che finiscono inevitabilmente per generare disuguaglianze –, ma deve invece trovare gli strumenti riformatori avendo come stella polare un servizio pubblico accessibile e universale fondato sulla fiscalità generale, capace di garantire effettivamente a tutti e tutte il diritto alla salute;
    si sta in realtà andando verso un sistema sanitario a due binari: uno pubblico, inefficiente e inadeguato, destinato alle fasce sociali medie e basse, e uno misto pubblico-privato di sanità integrativa, finanziato con assicurazioni sanitarie private o di categoria, con prestazioni spesso migliori destinate ai cittadini con redditi più alti. Un sistema a due binari, peraltro, auspicato da soggetti portatori di interessi economici ed enti di ricerca quale soluzione di una presunta insostenibilità dell'attuale Servizio sanitario nazionale;
    recenti ricerche dell'Istat e del Censis hanno evidenziato le dimensioni del mancato accesso alle cure di milioni di cittadini. Nell'ultimo anno undici milioni di italiani hanno dovuto rinunciare a prestazioni sanitarie per difficoltà economiche. I numeri sono in forte aumento: nel 2012 erano 9 milioni;
    il livello della partecipazione alla spesa per l'assistenza ambulatoriale e diagnostica in continuo aumento, oltre all'allungamento, a volte di mesi, delle liste di attesa e alla mancata programmazione dell'offerta a livello territoriale, determinano la fuga di massa quasi obbligata dal servizio pubblico, tanto da indurre 10 milioni di italiani a ricorrere alle cure a pagamento nelle strutture private e 7 milioni alle prestazioni in libera professione nei servizi pubblici;
    nel 49o rapporto Censis, il confronto fra pubblico e privato su tempi e costi delle prestazioni evidenzia, per esempio, che per una risonanza magnetica le strutture private richiedono in media 142 euro, per un'attesa di 5 giorni, mentre, nel pubblico, si pagano 63 euro di ticket, ma l'attesa sale a 74 giorni. Tradotto: 79 euro di spesa in più e 69 giorni in meno nel confronto fra pubblico e privato;
    nel 2015 la Corte dei conti ha rilevato quasi 2,9 miliardi di euro di ticket sanitari pagati dagli italiani tra partecipazione alla spesa farmaceutica, specialistica ambulatoriale, pronto soccorso e altre prestazioni. A questi, va aggiunto un miliardo di euro per prestazioni private nei servizi pubblici;
    i servizi sanitari regionali non garantiscono più equità di accesso e uniformità dei livelli di assistenza sul territorio nazionale. A quindici anni dalla modifica del titolo V della parte seconda della Costituzione, che ha introdotto disposizioni nella direzione del federalismo si aggravano, in sanità, le disuguaglianze del Paese; si accrescono inoltre l'indebolimento del senso di cittadinanza nazionale, la frammentazione dell'assistenza, anche di quella farmaceutica, la declinazione del diritto costituzionale alla salute in modi diversi a seconda della residenza e del reddito. I diritti di cittadinanza cessano di essere uguali sul territorio nazionale. La Conferenza Stato-regioni è sempre più un luogo di mediazioni tra lo Stato e le regioni più ricche e forti del Centro-Nord a scapito di quelle più povere e deboli del Centro-Sud, spesso in disavanzo e commissariate, come dimostra l'ultimo accordo sulla mobilità sanitaria interregionale;
    per la prima volta dopo molti anni, alcuni indicatori di salute della popolazione italiana mostrano un peggioramento. Gli anni di vita in buona salute si sono ridotti di circa 6 anni dal 2005 al 2013 e nel 2014 si è fermato l'incremento della speranza di vita attesa. Secondo un rapporto dell'Agenzia europea per l'ambiente, l'Italia ha la punta massima europea di morti per inquinamento e ci si interroga sulle possibili cause del picco di mortalità registrato nel 2015;
    riguardo alla qualità dei sistemi sanitari, nel giro di pochi anni, su 37 Paesi analizzati, l'Italia è scesa dal 15o posto al 20o nel 2014 e al 21o nel 2015;
    nel suo rapporto 2016 sul coordinamento della finanza pubblica, la Corte dei conti mette in luce come «negli anni della crisi, il contributo del settore sanitario al risanamento è stato di rilievo»: una flessione della spesa in media di 2 punti all'anno, in termini reali, tra il 2009 e il 2014;
    nel rapporto spesa sanitaria/Pil, si è da tempo al di sotto della media dei Paesi europei più avanzati. Il rapporto sullo stato sociale 2015 del dipartimento di economia e diritto dell'università La Sapienza di Roma ha confermato come i dati della spesa sanitaria italiana, sia in rapporto al Pil che pro capite, collocano il Paese sotto la media dei rispettivi valori dell'Unione europea a 15. Dopo di noi ci sono solo Spagna, Grecia e Portogallo. Dati confermati dal rapporto sanità del Crea sanità-università di Roma Tor Vergata, dell'ottobre 2015, secondo il quale la spesa sanitaria italiana è del 28,7 per cento più bassa rispetto ai Paesi dell'Unione europea, con una forbice, anche in percentuale di prodotto interno lordo, che si allarga anno dopo anno;
    nonostante ciò, la nota di aggiornamento al documento di economia e finanza 2016 conferma ancora una volta che la spesa sanitaria in rapporto al Pil continuerà a diminuire ancora e, quindi, in termini reali la fetta di risorse spettante alla sanità pubblica continuerà a ridursi. Se nel 2010 la spesa sanitaria in rapporto al Pil era del 7 per cento, la nota di aggiornamento riporta che nel 2015 era del 6,8 per cento; nel 2018 sarà del 6,7 per cento e nel 2019 del 6,6 per cento. Per ritornare ai livelli spesa sanitaria/Pil del 2010, il documento di economia e finanza 2016 ricorda che bisognerà attendere il 2030-2035;
    è censurabile il ritardo con cui il Governo si appresta a presentare il disegno di legge di bilancio 2017. Ad oggi l'Esecutivo non ha ancora presentato al Parlamento il disegno di legge, sebbene sia tenuto a farlo entro il 20 ottobre. Dalle anticipazioni del Governo e degli organi di stampa non si può comunque non rilevare come, seppure sembrerebbe esserci per il 2017 un lieve incremento in valore assoluto del fondo sanitario nazionale rispetto al 2016, gli investimenti e le risorse complessive per la sanità pubblica italiana continuano ad essere gravemente insufficienti a garantire a tutti il diritto alla tutela della salute. Così come le pochissime risorse che verrebbero destinate all'assunzione/stabilizzazione di medici e infermieri, laddove il problema del blocco del turnover, dei lavoratori precari e dell'elevata età media del personale sanitario imporrebbe ben altri interventi e finanziamenti. A questo si aggiungano i previsti tagli complessivi di spesa per oltre 3 miliardi di euro e che direttamente o indirettamente finiranno per colpire, come sempre avviene, il comparto sanitario;
    dal 2008 in poi la sanità pubblica ha subito tagli molto pesanti, con effetti negativi sulle prestazioni, sulla qualità dei servizi, sull'assistenza territoriale, sui finanziamenti all'edilizia sanitaria. I tagli sono serviti, più che a ridurre inefficienze e sprechi, a trovare risorse immediate per finanziare le manovre economiche che in questi anni si sono succedute;
    è necessaria una totale inversione di rotta non solo per garantire l'assistenza sanitaria, ma anche per cogliere le opportunità legate agli investimenti nel settore. Infatti, oltre a garantire il diritto alla tutela della salute, la spesa per il servizio sanitario nazionale può rappresentare un eccellente investimento economico. Come ricorda la Cgil, il valore aggiunto diretto e indotto derivante dalle attività della filiera della salute supera i 150 miliardi di euro, pari a circa il 12 per cento del Pil;
    negli ultimi dieci anni vi è stata una notevole crescita dell'innovazione farmaceutica, dei servizi informatici, delle telecomunicazioni e dei dispositivi medici, con un intreccio tra il terziario avanzato e settori ad alta tecnologia che ha impatti rilevanti, sia in termini occupazionali che di remunerazione degli investimenti. Per ogni euro speso in sanità si generano 1,7 euro circa;
    piuttosto che con una riduzione dei diritti e dell'universalismo, le necessarie risorse da liberare per il finanziamento del Servizio sanitario nazionale devono essere trovate attraverso una vera lotta alla corruzione, alle diseconomie e agli sprechi interni alla sanità, da un controllo rigoroso degli accreditamenti, nonché da investimenti e risorse di altri ministeri e settori della pubblica amministrazione (difesa, Tav, opere infrastrutturali inutili e altro), rivedendo a tal fine quelle che dovrebbero essere le vere priorità del nostro Paese;
    è urgente una revisione del sistema degli appalti pubblici in ambito sanitario. Come ricordato di recente dal presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, in sanità vi è il più alto tasso di proroghe e rinnovi spesso a prezzi non concordati e non in linea con il mercato;
    l'associazione Libera ha segnalato che la sola perdita erariale dovuta all'illegalità in sanità per il triennio 2010/2012 era di circa 1,6 miliardi di euro;
    si è di fatto di fronte a un blocco della contrattazione nel pubblico impiego, del turn over e alla volontà del Governo di non rispondere pienamente alla precarietà del personale sanitario, con abuso di contratti atipici (partite iva, collaborazioni coordinate e continuative, contratti a tempo determinato, contratti Sumai per attività non ambulatoriali, borse di studio spesso finanziate da privati) e il ricorso sempre più esteso e improprio alle esternalizzazioni attraverso il terzo settore e cooperative anche in attività sanitarie. Questo comporta meno diritti, peggiori condizioni di lavoro e una riduzione della quantità e della qualità dei servizi. Il Servizio sanitario nazionale progressivamente si svuota favorendone la privatizzazione, come già avviene da tempo per la lungodegenza, la riabilitazione, gli hospice, mentre i processi di accorpamento e centralizzazione delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere aumentano la componente giuridico-amministrativa a scapito delle attività sanitarie;
    dal 25 novembre 2015, il Servizio sanitario nazionale si sarebbe dovuto adeguare alla direttiva 2003/88/CE, che ha dettato norme più eque in materia di orari e riposi del personale sanitario. La direttiva, recepita nel nostro Paese col decreto legislativo n. 66 del 2003, prevede che il personale sanitario negli ospedali non possa lavorare più di 48 ore alla settimana e individua precisi turni di lavoro e di riposo. Tuttavia, continue deroghe, con conseguente procedura di infrazione dell'Unione europea, hanno impedito l'applicazione delle norme, resa difficile dalla riduzione delle risorse e dal sostanziale blocco del turn over;
    mancano oltre 47 mila infermieri, quasi tutti al Centro-Sud. Questa carenza impedisce di raggiungere adeguati livelli di assistenza, garantendo sicurezza e servizi efficienti, e di conseguenza comporta l'aumento dell'età media del personale sanitario;
    le carenze di personale rendono difficile spostare gli equilibri dall'ospedale al territorio, dall'acuzie alla cronicità e alla prevenzione, perché le sostituzioni dei pensionamenti devono prioritariamente coprire i turni ospedalieri;
    una criticità ormai intollerabile sta nell'impossibilità per il Servizio sanitario nazionale di garantire la libertà di scelta delle donne alla maternità responsabile, alla contraccezione e all'interruzione volontaria di gravidanza riconosciuta dalla legge n. 194 del 1978, per l'impoverimento dei consultori, l'elevatissima percentuale di obiezione di coscienza tra il personale e la diffusione della cosiddetta obiezione di struttura. Nel 2013 sono risultati obiettori il 70 per cento dei ginecologi, il 49 per cento degli anestesisti e il 47 per cento del personale non medico. Percentuali inaccettabili e comunque sottostimate;
    se si considera l'obiezione di struttura, il 35 per cento delle strutture viola l'articolo 9 della legge n. 194 del 1978, che regola il diritto all'obiezione di coscienza e obbliga tutte le strutture ad assicurare, in ogni caso, l'espletamento delle procedure previste;
    una prima risposta legislativa, volta a garantire la piena attuazione della legge n. 194 del 1978, può venire dall'indicazione per tutte le regioni di individuare le strutture pubbliche nelle quali istituire servizi specifici dedicati alla diagnostica prenatale e alle procedure e interventi di interruzione volontaria della gravidanza, anche oltre il novantesimo giorno, con personale composto obbligatoriamente da non obiettori di coscienza;
    a ciò si aggiunga il perdurante basso ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica, nel rispetto dei precetti normativi previsti dalla stessa legge n. 194 del 1978. Nel 2013 solo il 9,7 per cento delle donne ha potuto utilizzarla;
    questa sottoutilizzazione comporta l'impossibilità delle donne di esercitare il diritto di scelta sulle metodiche ed è legata a difficoltà dovute all'imposizione del ricovero ordinario in quasi tutte le regioni. Nel dicembre 2015 l'associazione Amica ha presentato una lettera aperta alla Ministra della salute, sottolineando come il ricovero ordinario per l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica sia una procedura inappropriata, che comporta uno spreco enorme di risorse (oltre 1.000 euro a paziente, contro circa 600 del ricovero in day hospital e circa 50 della procedura ambulatoriale). Inoltre, permettere la procedura ambulatoriale minimizzerebbe gli effetti dell'obiezione di coscienza sull'applicazione della legge n. 194, in quanto gli obiettori nei consultori sono solo il 22 per cento;
    riguardo ai consultori è da evidenziare come quelli ancora esistenti abbiano subito una drammatica riduzione e depauperamento, con équipe incomplete ed uno svilimento della multidisciplinarietà socio-sanitaria, che è una delle loro più importanti peculiarità;
    malgrado che il progetto obiettivo materno infantile già nel 2000 assegnava un ruolo strategico centrale ai consultori nella tutela e nella promozione della salute riproduttiva, disegnando l'obiettivo di 1 consultorio ogni 20 mila abitanti, si è, oggi, a poco più della metà, un trend che non accenna a cambiare rotta. I consultori sopravvissuti a tale decimazione vengono inoltre snaturati sul modello dell'ambulatorio specialistico di serie B;
    la riduzione del numero dei consultori, la gran parte dei quali lavora sotto organico per blocco del turn over del personale, ha una ricaduta negativa in primo luogo sull'applicazione della legge n. 194 del 1978;
    a sedici anni dalla stesura del progetto obiettivo materno infantile, l'obiettivo di allora è volutamente disatteso;
    è auspicabile che il Parlamento concluda l'esame delle proposte di legge sulla tutela delle scelte procreative delle donne e per la promozione del parto fisiologico, con particolare attenzione ai livelli essenziali di assistenza relativi alla sicurezza, alle tecniche di controllo del dolore del parto, alla remunerazione del «drg» del parto naturale e del cesareo (sono molte le differenze nelle diverse regioni), alle norme relative alla chiusura dei punti nascita con meno di 500 parti (norme in cui al dato quantitativo non si somma nessun dato qualitativo o di particolarità territoriale);
    i nuovi livelli essenziali di assistenza, contenuti in un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, il cui schema è in via di presentazione al Parlamento per i pareri delle Commissioni competenti, contano su un importo del tutto inadeguato di 800 milioni di euro previsti dalla legge di stabilità per il 2016 e vincolati nel fondo sanitario nazionale, che rischia con tutta probabilità di non consentire l'esigibilità e l'uniformità delle prestazioni. L'insufficienza degli 800 milioni di euro è riconosciuta dalle stesse regioni, che hanno infatti chiesto una verifica per valutare il reale impatto economico dei nuovi livelli essenziali di assistenza;
    nei nuovi livelli essenziali di assistenza, seppure si amplia la copertura assistenziale per alcune patologie rare e per l'erogazione delle nuove prestazioni diagnostiche e terapeutiche, nulla si dice degli esclusi dalla titolarità del diritto e dalla sua esigibilità. Così come criticabili sono l'aumento della partecipazione di spesa e i costi indotti da nuove forme di erogazione, nonché la riclassificazione di prestazioni di ricovero in prestazioni ambulatoriali soggette a ticket;
    il citato schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, a proposito della continuità, assistenziale, specifica che il Servizio sanitario nazionale garantisce la continuità assistenziale per l'intero arco della giornata e per tutti i giorni della settimana. Le aziende sanitarie organizzano le attività sanitarie per assicurare l'erogazione, nelle ore serali e notturne e nei giorni prefestivi e festivi, delle prestazioni assistenziali non differibili. Tuttavia, il Governo è fermo alle dichiarazioni di intenti e ha approvato il nuovo atto di indirizzo per il rinnovo della convenzione della medicina generale in cui, tra le altre cose, si taglia l'orario dei medici di continuità assistenziale (ex guardia medica), interrompendolo alla mezzanotte e demandando la presa in carico dei bisogni dei cittadini al servizio di emergenza-urgenza (il 118);
    nella forma si salva la copertura nell'arco delle 24 ore, dal momento che la presa in carico viene effettuata dal personale del 118 (medici e/o infermieri e/o personale del terzo settore); nella sostanza c’è un taglio netto alle prestazioni, perché la guardia medica è più capillare e il 118 è spesso impegnato in urgenze non differibili;
    è necessaria una riformulazione dell'assistenza territoriale che può essere sintetizzata dalle case della salute, che rappresentano un punto di riferimento per i cittadini, dove i servizi di assistenza primaria si integrano nel territorio con quelli specialistici, della sanità pubblica e della salute mentale e coi servizi sociali e le associazioni di volontariato, garantendo la presa in carico dei portatori di handicap e dei malati cronici. In questo senso l'integrazione socio-sanitaria è essenziale e la collaborazione coi comuni è indispensabile per portare avanti programmi multisettoriali;
    per svolgere questo ruolo le case della salute devono essere il punto di raccordo di una rete diffusa di servizi, dalla sperimentazione dell'ospedale di prossimità e di comunità a gestione integrata medico di base e infermiere per i casi meno complessi, all'assistenza domiciliare specialistica, riabilitativa e infermieristica, agli hospice, evitando che diventino una mera riconversione poliambulatoriale di strutture ospedaliere dismesse o un sostituto surrogato di distretti estesi e burocratizzati;
    una diffusa ed estesa rete territoriale rivolta alla cronicità, alla lungoassistenza e alla riabilitazione post acuzie deve intercettare bisogni e dare risposte capillari diverse dalle residenze sanitarie assistenziali (RSA), spesso gestite da privati, con alte rette di degenza insostenibili per molti degli anziani e i loro congiunti o per i comuni;
    perché la riformulazione dell'assistenza territoriale sia efficace bisogna rivedere completamente il gigantismo organizzativo messo in atto in varie regioni attraverso accorpamenti che hanno portato alla nascita di aziende sanitarie locali e distretti di enormi dimensioni;
    lo stretto legame tra la salute pubblica e l'inquinamento ambientali rende necessario il rafforzamento della collaborazione tra aziende sanitarie locali e agenzie ambientali;
    la prevenzione in ambiente di vita e di lavoro richiede un ruolo diverso e una maggiore sinergia del Ministero della salute e del Servizio sanitario nazionale con le regioni e altri Ministeri: trasporti, ambiente e tutela del territorio e del mare, sviluppo economico, politiche agricole, alimentari e forestali. Va quindi ripensato un modello organizzativo della prevenzione, che non può essere relegato al solo problema degli stili di vita, anch'essi influenzati da aspetti sociali, di reddito e culturali come dimostrano le indagini epidemiologiche sulla mortalità;
    la riorganizzazione della prevenzione, dell'assistenza domiciliare e territoriale e delle reti ospedaliere rende necessario investire oggi, per ottenere risparmi complessivi per il Servizio sanitario nazionale domani;
    l'inadeguatezza delle risorse destinate al finanziamento del fondo sanitario nazionale è resa evidente dalla tendenza alla crescita della spesa farmaceutica, esemplificata dall'alto costo di prodotti sostenuti da prove di efficacia, come i farmaci contro l'epatite C e i nuovi vaccini. In mancanza di specifici provvedimenti la crescita è destinata a incrementare nel prossimo futuro, con l'immissione sul mercato di nuovi farmaci biologici in campo oncologico e di alcuni farmaci per le malattie infettive o neurologiche, per cui le aziende tendono a fissare un prezzo molto elevato;
    i 500 milioni di euro stanziati dalla legge di stabilità per il 2015 per i farmaci innovativi e per quelli destinati alla cura dell'epatite C si sono dimostrati inadeguati: ogni regione deve avere le risorse finanziarie per acquistare il farmaco a prezzo intero e diverse di queste non hanno fondi sufficienti. A causa dell'alto costo il Servizio sanitario nazionale ha deciso di limitarne l'erogazione partendo dai pazienti più gravi: finora sono stati trattati circa 52 mila pazienti (il 5 per cento dei potenziali beneficiari). Un razionamento economico di cure efficaci inaccettabile;
    l'attuale e iniqua situazione è che solo i pazienti nello stadio più avanzato della malattia hanno diritto al trattamento, quando un trattamento precoce eviterebbe non solo le sofferenze ai pazienti, ma anche i costi assistenziali connessi;
    al riguardo, giova ricordare che, in caso di emergenze sanitarie, in base all'accordo in capo all'Organizzazione mondiale per il commercio, denominato TRIPs, esiste la possibilità, in caso di «emergenza sanitaria», di derogare alla protezione brevettuale attraverso la licenza obbligatoria a cui gli Stati aderenti all'Organizzazione mondiale della sanità possono ricorrere per proteggere la salute pubblica;
    con oltre un milione di soggetti portatori cronici di virus dell'epatite C, l'Italia ha il primato europeo per numero di soggetti positivi al virus e mortalità per tumore primitivo del fegato e l'epatite C può essere considerata a tutti gli effetti un'emergenza nazionale di sanità pubblica. Per tale motivo, è ipotizzabile per l'Italia percorrere la strada della «emergenza sanitaria» prevista dal TRIPs, al fine di giungere a una licenza obbligatoria per i farmaci antivirali ad azione diretta contro il virus dell'epatite C (hcv). Attraverso la licenza obbligatoria è possibile infatti produrre i farmaci anti-epatite C a costo contenuto e garantirne l'accessibilità a tutti coloro che ne hanno bisogno. Con una tale licenza infatti, un Governo forza i possessori di un brevetto, o di altri diritti di esclusiva, a concederne l'uso per lo Stato o per altri soggetti;
    riguardo ai vaccini, la spesa annuale sostenuta dal Servizio sanitario nazionale ammonta a 318 milioni di euro. La disponibilità di vaccini in associazione, pur rendendone più agevole la somministrazione, ha comportato un regime di monopolio con aumento dei costi non sempre giustificato e scarsità sul mercato dei vaccini. Per affrontare questo problema è ragionevole proporre che l'Aifa, quando vi siano almeno due vaccini disponibili, utilizzi bandi competitivi per ridurre i prezzi ottenendo un accettabile rapporto costo-efficacia;
    il rafforzamento dell'universalità ed equità del Servizio sanitario nazionale deve passare anche attraverso un ampliamento del diritto alla salute per le persone senza fissa dimora, modificando la legge n. 833 del 1978. Le persone senza fissa dimora patiscono il degrado delle condizioni di vita e il loro essere «invisibili» e, quindi, fuori da una rete di sostegno che non sia quella caritativa. Infatti, queste persone, non avendo il requisito della residenza anagrafica, non possono accedere al servizio sanitario pubblico: non possono iscriversi al Servizio sanitario nazionale, non possono scegliere il medico di base, l'assistenza ospedaliera è limitata alla gestione delle emergenze e per loro le cure primarie sono erogate solo da ambulatori gestiti dal volontariato;
    indicativa di quella che ai firmatari del presente atto di indirizzo appare la totale inadeguatezza dell'attuale dicastero della salute a invertire il perdurante declino del Servizio sanitario nazionale è stata l'ideologica campagna informativa sul «fertility day» voluta dalla Ministra della salute in due differenti momenti. Una prima campagna, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo aggressiva e psicologicamente ricattatoria nei confronti della libertà delle donne e una seconda intollerabilmente razzista. Entrambe ritirate con tante scuse della Ministra,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per incrementare le risorse del fondo sanitario nazionale e rivedere la previsione del documento di economia e finanza 2016 di una riduzione della spesa sanitaria in rapporto al prodotto interno lordo per i prossimi anni, prevedendone invece un significativo incremento sia in valori assoluti che in rapporto al prodotto interno lordo in relazione ai fabbisogni reali individuati dalle regioni;
2) ad invertire la politica di riduzione delle risorse del sistema di protezione sociale, a partire dai servizi sociosanitari, e a interrompere la pericolosa spinta verso il secondo pilastro delle assicurazioni complementari o integrative per le prestazioni sanitarie e sociali;
3) ad assumere iniziative per stanziare le opportune risorse finanziarie – prevedendo le eventuali deroghe alla normativa vigente in materia – volte a consentire lo sblocco del turn over nel Servizio sanitario nazionale, in particolare per il personale medico, infermieristico, tecnico e socio sanitario di supporto, e la stabilizzazione dei precari su base regionale, attraverso lo sblocco del turn over al 100 per cento e l'indizione di concorsi regionali per disciplina e profilo con graduatorie regionali al fine di consentire la riorganizzazione e la riqualificazione dei servizi sanitari con particolare attenzione al territorio;
4) ad assumere iniziative per riconoscere e valorizzare quei profili professionali, quali gli operatori sociosanitari, indispensabili per rafforzare il sistema assistenziale e contribuire al miglior funzionamento dei servizi;
5) a garantire l'uniformità nazionale delle politiche sanitarie tramite processi di decentramento amministrativo, partecipazione democratica e corretta sussidiarietà tra Stato, regioni, comuni e ASL/ASO per evitare la burocratizzazione e ministerializzazione che nega lo spirito della riforma sanitaria del 1978;
6) ad assumere iniziative per procedere nell'immediato all'abrogazione del cosiddetto superticket e successivamente abolire gradualmente le compartecipazioni alla spesa sanitaria, soprattutto in presenza di disabilità, al fine di garantire l'universalità delle cure e l'accesso ai servizi da parte dei cittadini, con l'obiettivo di evitare la sempre più frequente rinuncia forzata di molti cittadini all'acquisto di farmaci o all'accesso alle prestazioni sanitarie pubbliche, col conseguente ricorso ai privati;
7) ad attuare un piano di edilizia sanitaria, supportato da adeguate risorse finanziarie, finalizzato alla messa in sicurezza alla manutenzione e al recupero delle strutture, con abbattimento delle barriere architettoniche, ottenimento dell'efficienza energetica e umanizzazione dei luoghi di lavoro per gli operatori sanitari e gli utenti;
8) ad attivare efficaci iniziative, anche normative, volte a intensificare il contrasto alle frodi e alla corruzione, nonché alle diseconomie e agli sprechi interni alla sanità, prevedendo che tutte le risorse certificate liberatesi vengano reinvestite unicamente nel Servizio sanitario nazionale;
9) ad assumere iniziative per introdurre specifiche previsioni in materia di appalti pubblici nel settore della sanità pubblica, al fine di eliminare le distorsioni legate al troppo frequente ricorso a proroghe automatiche e taciti rinnovi di appalti, nonché per incrementare la trasparenza e il controllo nelle procedure che riguardano i meccanismi di spesa;
10) a promuovere, per quanto di competenza, un sistema di accreditamento rigoroso e di qualità all'interno della programmazione pubblica con valutazione dei risultati, che non penalizzi l'occupazione, ma tenga conto, nei casi di responsabilità o inefficienza del privato, della possibilità di reinternalizzare e regionalizzazione gli operatori, i servizi e le attività esternalizzati, appaltati o accreditati;
11) ad assumere iniziative per rinnovare con adeguate risorse il sistema delle cure primarie, investendo sulla prevenzione e sull'assistenza domiciliare e territoriale, soprattutto ad alta integrazione sociale (anziani, salute mentale, disabilità), salvaguardando, nell'ambito della razionalizzazione delle reti ospedaliere, i piccoli presidi in zone disagiate, rivedendo peraltro, sotto questo aspetto, le stesse norme relative alla chiusura dei punti nascita con meno di 500 parti, norme nell'ambito delle quali al dato quantitativo non si somma nessun dato qualitativo o di particolarità territoriale;
12) ad assumere iniziative per incrementare le risorse destinate alle non autosufficienze e a interventi di assistenza domiciliare per le persone affette da disabilità gravi e gravissime;
13) a implementare l'assistenza territoriale, le reti di poliambulatori collegati telematicamente con gli ospedali e nuove forme organizzative in grado di erogare prestazioni assistenziali sulle 24 ore, assumendo le iniziative di competenza per sospendere e rivedere quindi il nuovo atto di indirizzo per il rinnovo della convenzione di medicina generale approvato nell'aprile 2016 alla luce delle forti criticità esposte in premessa;
14) a realizzare le case della salute, come luogo di partecipazione dei cittadini e programmazione della sanità territoriale nell'ambito di politiche complessive che assicurino continuità assistenziale e una rete di servizi extraospedalieri, senza limitarsi alla mera riconversione in poliambulatori di strutture sanitarie dismesse, con la necessaria innovazione della sanità di iniziativa;
15) a promuovere politiche di genere finalizzate ad eliminare la disuguaglianza secondo il principio di equità e appropriatezza delle cure, incentivando la presenza di tavoli di coordinamento regionali;
   16) a sviluppare un'efficace programmazione delle politiche sanitarie e sociosanitarie secondo indicatori «genere correlati» e a implementare la medicina di genere in ambito di ricerca e universitario e con percorsi di educazione medica continua;
17) a valorizzare e ridare piena centralità ai consultori, quale servizio per il sostegno alla sessualità libera e alla procreazione responsabile, attraverso un adeguamento delle risorse, della rete di servizi, degli organici e della loro formazione, delle sedi, nonché secondo la piena attuazione della legge n. 405 del 1975 e del progetto obiettivo materno infantile;
18) a garantire la piena applicazione della legge n. 194 del 1978 in tutte le strutture e su tutto il territorio nazionale, nel rispetto del principio della libera scelta e del diritto alla salute delle donne e della maternità e paternità responsabili, assumendo tutte le iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, finalizzate anche all'assunzione di personale non obiettore per garantire il servizio di interruzione volontaria di gravidanza;
19) ad assumere le opportune iniziative normative affinché in ogni regione siano individuate le strutture sanitarie pubbliche nelle quali istituire servizi dedicati a compiti relativi alla diagnostica prenatale e allo svolgimento delle procedure e interventi di interruzione volontaria della gravidanza, anche oltre il novantesimo giorno, con personale composto obbligatoriamente da non obiettori di coscienza;
20) ad assumere iniziative perché ogni struttura pubblica o del privato accreditato (sia essa un ospedale o un consultorio) applichi pienamente la legge, in modo tale che solo a fronte di questo impegno possa essere concesso l'accreditamento;
21) ad assumere tutte le iniziative utili affinché sia implementato e facilitato su tutto il territorio nazionale l'accesso all'interruzione volontaria di gravidanza col metodo farmacologico in regime di day hospital e nei consultori familiari e nei poliambulatori, come previsto dall'articolo 8 della legge n. 194 del 1978, reinvestendo i conseguenti risparmi nel potenziamento delle reti dei consultori e in un accesso più facile alla contraccezione;
22) a prendere nettamente le distanze dalle scelte e dalle decisioni assunte dalla Ministra Lorenzin con atti concreti e immediati, riconsiderando nel merito e nel metodo le proposte, le decisioni e le iniziative prese in occasione del fertility day di cui in premessa, che ne hanno ancora una volta messo in luce, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, l'inadeguatezza a gestire un Ministero così importante;
23) ad assumere iniziative per rifinanziare il fondo per il rimborso alle regioni per l'acquisto di medicinali innovativi, istituito con la legge di stabilità per il 2015, incrementandone sensibilmente la dotazione finanziaria e rivedendo contestualmente i criteri di priorità, in modo che tutti i pazienti possano usufruire dei trattamenti innovativi;
24) riguardo ai farmaci per l'epatite C, ad avviare quanto prima le opportune iniziative volte a modificare l'attuale normativa nazionale al fine di ricomprendere anche l’«emergenza sanitaria» (di cui all'accordo TRIPs) tra le condizioni per la concessione dell'uso del brevetto senza il consenso del titolare, e ad adottare conseguentemente tutte le iniziative in sede internazionale per chiedere quindi, sulla base del citato TRIPs, la prevista deroga alla protezione brevettuale attraverso la «licenza obbligatoria» per i nuovi farmaci antivirali ad azione diretta contro il virus dell'epatite C, al fine di produrli a costo contenuto garantendo l'accesso al trattamento a tutti coloro che ne hanno bisogno;
25) ad assumere le opportune iniziative in sede europea e internazionale affinché venga posto in discussione il superamento del brevetto per i farmaci, individuando modalità che permettano un'equa remunerazione dei costi di ricerca e di produzione dei farmaci senza ricorrere alla protezione brevettuale;
26) ad assumere le opportune iniziative normative affinché l'Aifa ricorra a bandi competitivi per la determinazione del prezzo di acquisto dei vaccini individuati come strategici nel piano nazionale vaccinazioni;
27) ad avviare una politica di maggiori investimenti e incentivi finalizzati ad estendere la ricerca biomedica indipendente, con particolare riferimento alle biotecnologie e alla valutazione di efficacia degli interventi terapeutici e riabilitativi, per far crescere modelli innovativi dei servizi pubblici e nuove attività economiche, con ricadute importanti per la qualità dei servizi, l'occupazione e la ripresa economica;
28) ad avviare le opportune iniziative normative affinché la prevista quota premiale di riparto delle risorse previste per il finanziamento del Servizio sanitario nazionale a favore delle regioni che abbiano adottato misure idonee per una corretta gestione dei bilanci sanitari venga attribuita anche per quelle regioni sottoposte ai piani di rientro che, nell'ambito di processi efficaci di riorganizzazione dei servizi, rispondano in modo appropriato ai bisogni di cura e di salute dei cittadini;
29) ad assumere le opportune iniziative, anche in ambito europeo, volte a prevedere l'esclusione dal rispetto del patto di stabilità delle spese relative ai servizi socio-sanitari e al welfare;
30) a promuovere, nell'ambito delle proprie competenze e d'intesa con le regioni, un'efficace politica di prevenzione volta al rafforzamento della collaborazione e delle sinergie tra le aziende sanitarie, con particolare riferimento ai dipartimenti di prevenzione, e le agenzie ambientali, anche tramite la costituzione di nuove entità organizzative integrate ambientali-sanitarie, inserite nei servizi sanitari regionali, intervenendo attivamente su altri settori affinché la prevenzione attraversi tutte le politiche a livello nazionale;
31) ad assumere un'opportuna iniziativa di modifica della legge n. 833 del 1978, per consentire alle persone senza fissa dimora, prive della residenza anagrafica, di essere iscritte negli elenchi degli utenti del Servizio sanitario nazionale relativi al comune in cui si trovano.
(1-01395) «Nicchi, Gregori, Scotto, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti».


   La Camera,
   premesso che:
    nel mese di dicembre 2012, nel corso di una conferenza stampa, l'allora Ministro della salute Renato Balduzzi ha documentato, con slide esplicative, il progressivo definanziamento del servizio sanitario nazionale che negli anni intercorsi tra il 2012 e il 2015 ha portato ad una riduzione di circa 25 miliardi di euro;
    le successive note di aggiornamento al documento di economia e finanza hanno confermato il trend di definanziamento del servizio sanitario nazionale ed infatti, già nel 2013, questo Governo prevedeva una riduzione progressiva dell'incidenza della spesa sanitaria sul prodotto interno lordo, dal 7,1 per cento al 6,7 per cento, stime di riduzione di spesa che sono state confermate con le successive note di aggiornamento al documento di economia e finanza fino ad arrivare all'ultimo documento di economia e finanza del 2016 dove si stima che nel triennio 2017-2019 il rapporto tra spesa sanitaria e prodotto interno lordo decrescerà dello 0,1 per cento all'anno, per arrivare nel 2019 al 6,5 per cento;
    il decrescere dell'incidenza sul prodotto interno lordo è un elemento inquietante perché si traduce in «meno salute» e si pone al di sotto della media dei Paesi OCSE e al di sotto dell'accettabilità, con inevitabili ripercussioni sulla qualità e l'efficacia dell'assistenza sanitaria e sull'aspettativa di vita, che già studi e ricerche hanno documentato in recentissimi e accreditati rapporti (rapporto Osserva salute dell'anno 2015 e rapporto Istat 2016);
    le stime di spesa annunciate nei diversi documenti di economia e finanza sono state puntualmente corroborate dalle misure finanziarie introdotte nelle leggi di stabilità che hanno concretamente ridotto il livello di finanziamento del servizio sanitario nazionale, peggiorando ulteriormente le stime di spesa già decrescenti e sconfessando le risorse stabilite dal patto per la salute 2014-2016 per il finanziamento del fondo sanitario nazionale e fissate in 109,928 miliardi di euro per il 2014, in 112,062 per il 2015 e in 115,444 per il 2016;
    dunque, se la legge di stabilità 2014 ha ridotto il fondo sanitario nazionale di 1 miliardo e 150 milioni la successiva legge di stabilità del 2015, pur non prevedendo riduzioni dirette del livello di finanziamento del fondo sanitario nazionale, ha determinato una riduzione indiretta del finanziamento del servizio sanitario regionale, anche più rilevante, prevedendo che le regioni contribuissero alla finanza pubblica per circa 4 miliardi di euro, come successivamente concordati in sede di Conferenza Stato-regioni nel mese di luglio 2015 ove si è raggiunta l'intesa per un taglio alla sanità di 2 miliardi e 352 milioni di euro per il 2015 e il 2016;
    il decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, recante disposizioni urgenti in materia di enti territoriali, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, in attuazione anche dell'intesa Stato-regioni del luglio 2015, ha quindi stabilito che il livello del finanziamento del servizio sanitario nazionale a cui concorre lo Stato è ridotto dell'importo di 2.352 milioni di euro a decorrere dal 2015;
    la legge di stabilità 2016 ha operato un ulteriore taglio alla sanità per 1 miliardo e 800 milioni di euro, fissando in 111 miliardi di euro il finanziamento per il 2016, comprensivi di 800 milioni di euro da destinare ai nuovi livelli essenziali di assistenza che, come noto, non sono stati ancora introdotti;
    l'effetto dei tagli sul livello di finanziamento previsto dal patto salute 2014-2016 sono pertanto i seguenti:
     anno 2015: scende da 112,062 a 109,715 miliardi di euro (112,062 - 2,352 miliardi = 109,710);
     anno 2016: scende da 115,444 a 111,097 miliardi di euro (115,444 - 2,352 miliardi - 1,800 miliardi = 111,092);
    nel documento di economia e finanza 2016 si è cristallizzata l'ulteriore previsione di riduzione della spesa pubblica in sanità nella misura corrispondente alle risultanze dell'accordo Stato-regioni dell'11 febbraio 2016, ove si prevede, a carico del servizio sanitario nazionale, quanto stabilito dalla legge di stabilità 2016 la quale al comma 680 ha disposto tagli per: 3.980 milioni per il 2017 e 5.480 milioni per il 2018 e 2019, quale contributo dovuto dalle regioni alla finanza pubblica, tagli che si sommano a quelli previsti nel medesimo accordo Stato-regioni di 100 milioni per la prevenzione e gestione del rischio sanitario e di 280 milioni di euro agli investimenti in edilizia sanitaria;
    i dati del «Rapporto Osserva salute 2015», pubblicato dall'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, delineano un quadro allarmante sullo stato di salute del Paese e, per la prima volta nella storia, l'aspettativa di vita degli italiani è in calo, ciò come diretta conseguenza di una riduzione della prevenzione; emerge un quadro dove i cittadini sono meno attenti alla salute, aumenta il consumo di alcol e aumenta l'obesità e la copertura vaccinale, anche per le profilassi obbligatorie, è inferiore agli obiettivi minimi stabiliti; gli anziani rinunciano a vaccinarsi contro le influenze (si è passati dal 64 per cento al 49 per cento); aumenta l'incidenza delle patologie, in specie di quelle tumorali e anche per quei tumori ove la prevenzione si è dimostrata altamente efficace (come ad esempio i tumori al seno); inquietanti sono infine i dati relativi all'aumento consistente della mortalità che rilevano per l'anno 2015 54.000 morti in più;
    anche il «rapporto Osserva salute 2015» conferma la diminuzione delle risorse pubbliche destinate alla salute dei cittadini e soprattutto delle risorse per la prevenzione alla quale è destinata l'irrisoria percentuale del 4,1 per cento del totale della spesa sanitaria; ugualmente si conferma la drastica riduzione delle spese per il personale sanitario;
    alla sottrazione delle risorse economiche si aggiunge la grave e perdurante sottrazione delle risorse umane, attraverso il blocco del turnover e attraverso altre misure di contenimento della spesa sul personale che hanno generato un aumento dell'età media dei dipendenti, un incremento dei carichi di lavoro e dei turni straordinari di lavoro del personale (nonostante la direttiva europea – recepita con legge n. 161 del 2015 entrata in vigore dal 25 novembre 2015 ed ancora inapplicata – abbia imposto all'Italia di adeguare l'orario di lavoro anche del personale sanitario), nonché una sempre più diffusa abitudine a ricorrere a varie forme di lavoro flessibile e precario anche in settori molto delicati dal punto di vista assistenziale (dal pronto soccorso alla rianimazione), determinando un progressivo indebolimento della sanità pubblica che in tal maniera e in queste condizioni emergenziali non è più in grado di rispondere ai bisogni della popolazione, con un conseguente aumento delle liste di attesa e limitazioni dell'offerta di cura e assistenza, soprattutto nella componente socio-sanitaria;
    con l'approvazione di una mozione del M5S il Governo si era impegnato allo sblocco del turnover e all'attuazione delle procedure di mobilità interregionale del personale sanitario ed anche con la legge di stabilità 2016 si era condivisa la necessità di porre in essere procedure concorsuali straordinarie per l'assunzione di personale medico, tecnico-professionale e infermieristico sulla base delle valutazioni dei fabbisogni regionali, in particolare per l'applicazione della già citata legge dello Stato n. 161 del 2015, impegni che allo stato attuale non risultano essere stati rispettati nonostante continue e ripetute giustificazioni avanzate nel corso delle diverse interrogazioni parlamentari che ne chiedevano conto;
    altro grave vulnus al servizio sanitario nazionale è stato inferto dal decreto ministeriale 9 dicembre 2015 sull'appropriatezza prescrittiva, introdotta dal decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, con il quale sono state individuate le condizioni di erogabilità e le indicazioni prioritarie per la prescrizione appropriata delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale ad alto rischio di inappropriatezza; questo ha significato collocare al di fuori delle condizioni di erogabilità numerose prestazioni (circa 203) che saranno pagate dai cittadini; il decreto, tuttora vigente, dovrebbe essere abrogato, almeno secondo quanto risulta dalla bozza del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sui livelli essenziali di assistenza che pur mantiene alcune condizioni di appropriatezza prescrittiva per talune prestazioni di specialistica ambulatoriale (circa 40); è chiaro ed evidente che con il meccanismo dell'appropriatezza prescrittiva o delle condizioni di erogabilità si è di fatto voluto spostare sui cittadini il costo di una parte delle prestazioni che erano garantite dal servizio sanitario nazionale pubblico e universalistico;
    il documento di economia e finanza 2016 ha evidenziato altri due dati significativi: la riduzione del numero delle ricette, in misura pari al 2,3 per cento circa rispetto al 2014 e la crescita della quota di compartecipazione a carico dei cittadini (aumento dei ticket), con un incremento di circa l'1 per cento rispetto al 2014; tale correlazione di fattori (riduzione di ricette e aumento di ticket) sono il segnale drammatico della tendenza ad un minore ricorso alle cure da parte dei cittadini, in ragione di costi non più sostenibili sia del prezzo dei farmaci e delle prestazioni sanitarie e sia del livello di compartecipazione, elementi questi che testimoniano quanto e come siano i cittadini a pagare lo smantellamento di fatto del servizio sanitario pubblico, operato proprio attraverso la progressiva sottrazione di risorse umane ed economiche;
    quanto rilevato dal documento di economia e finanza 2016 in riferimento alla riduzione del numero delle ricette e all'aumento del ticket trova conferma nel 18o rapporto Pit salute «Sanità pubblica, accesso privato», elaborato dal Tribunale per i diritti del malato e cittadinanzattiva, laddove evidenzia che i cittadini sono oggi costretti a sacrificare la propria salute oppure sono costretti a rivolgersi al privato a causa dei tempi delle liste di attesa e del costo insostenibile dei ticket, elementi per l'appunto sintomatici della inaccessibilità al servizio pubblico sanitario e del suo smantellamento, tempi e costi insostenibili anche con riguardo a prestazioni ed esami di routine, come una semplice ecografia per la quale, secondo il rapporto citato, occorrono nove mesi di attesa anche per l'area oncologica; questi ostacoli costringono dunque ad un bivio: rinuncia o sanità privata, bivio che si dissolve in inevitabile rinuncia laddove il reddito delle famiglie è praticamente inesistente o non consente di rivolgersi al privato;
    i dati del rapporto del Tribunale del malato e cittadinanzattiva sono inquietanti e le segnalazioni sui lunghi tempi di attesa sono al 58,7 per cento; quasi ugualmente ripartite fra esami diagnostici (36,7 per cento), interventi chirurgici (28,8 per cento) e visite specialistiche (26,3 per cento), i cittadini devono attendere fino a 13 mesi per una risonanza magnetica e, dinanzi a tali dati, Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato-cittadinanzattiva ha affermato che «Ci vogliono abituare a considerare l'intramoenia e il privato come normali canali di accesso alle prestazioni sanitarie di cui si ha bisogno (...). Le difficoltà di accesso anche in oncologia sono un grave campanello di allarme, purtroppo inascoltato»;
    il ricorso all’intramoenia è dunque spesso una conseguenza obbligata per il cittadino dinanzi alle lunghe liste di attesa e alle inefficienze del servizio sanitario nazionale, in netto contrasto con quanto previsto dalle norme che avevano introdotto tale istituto. La legge n. 120 del 2007, concernente l'attività libero-professionale intramuraria, prevede il progressivo allineamento dei tempi di erogazione delle prestazioni nell'ambito dell'attività istituzionale ai tempi medi di quelle rese in regime di libera professione intramuraria, proprio al fine di assicurare che il ricorso a quest'ultima sia la conseguenza della libera scelta del cittadino e non già la conseguenza di una carenza nell'organizzazione dei servizi resi nell'ambito dell'attività istituzionale;
    l'Anac, con la determina n. 12 del 2015 concernente l'aggiornamento del piano nazionale anticorruzione colloca tra gli eventi a rischio di corruzione proprio l'attività intramoenia laddove vi sia, ad esempio, l'errata indicazione al paziente delle modalità e dei tempi di accesso alle prestazioni in regime assistenziale, la violazione del limite dei volumi di attività previsti nell'autorizzazione, lo svolgimento della libera professione in orario di servizio, il trattamento più favorevole dei pazienti trattati in libera professione. Tra le possibili misure di contrasto l'Anac individua: l'informatizzazione delle liste di attesa, l'obbligo di prenotazione di tutte le prestazioni attraverso il Cup aziendale o sovraziendale con gestione delle agende dei professionisti in relazione alla gravità della patologia, l'aggiornamento periodico delle liste di attesa, la verifica periodica del rispetto dei volumi concordati in sede di autorizzazione, l'adozione di un sistema di gestione informatica dell'attività libero-professionale intramuraria dalla prenotazione alla fatturazione, l'adozione di una disciplina dei ricoveri in regime di libera professione e la previsione di specifiche sanzioni;
    l'8 giugno 2016 sono stati presentati i dati della ricerca Censis-Rbm assicurazione salute sulla sanità integrativa dai quali emerge che dal 2013 al 2015 la spesa sanitaria privata è aumentata del 3,2 per cento. (oltre 35 miliardi di euro) e che nell'ultimo anno ben 11 milioni (2 milioni in più rispetto al 2012) di cittadini hanno dovuto rinunciare a prestazioni sanitarie; il 72,6 per cento di 10 milioni di cittadini che ricorrono di più al privato dichiara che il ricorso al privato è determinato dai tempi lunghi delle liste di attesa; già i dati OCSE, nel 2014 rilevavano che la spesa privata in Italia aveva raggiunto i 33 miliardi di euro (+2 per cento rispetto al 2013), precisando che la differenza sostanziale rispetto ad altri Paesi europei è che l'82 per cento è out-of-pocket (di tasca propria), con una spesa pro-capite di oltre 500 euro all'anno;
    anche l'Agenas nella sua relazione sulla compartecipazione alla spesa nelle regioni per l'anno 2015 rileva che «la conseguenza di ticket elevati, come già alcune evidenze dimostrano, sono la rinuncia alle prestazioni ovvero la “fuga” dal Servizio Sanitario Nazionale verso strutture sanitarie private, spesso in grado di offrire prestazioni a tariffe concorrenziali rispetto ai ticket. Il rischio, nel perdurare di tali situazioni, è la scomparsa di livelli di assistenza previsti ma di fatto superati da incoerenti misure della compartecipazione»;
    la cosiddetta «sanità integrativa» come concepita dal decreto legislativo n. 502 del 1992 ha l'esclusiva finalità di favorire l'erogazione di forme di assistenza sanitaria integrativa rispetto a quelle assicurate (e che devono essere assicurate) dal servizio sanitario nazionale e tali forme integrative sono quindi finalizzate a coprire solo prestazioni non essenziali e non incluse nei livelli essenziali di assistenza; pertanto, i cosiddetti fondi integrativi o le polizze assicurative non possono e non devono sostituirsi al primo pilastro del sistema pubblico di salute che è e rimane il servizio sanitario nazionale, basato sui principi di universalità, equità e solidarietà, come diretta attuazione dell'articolo 32 della Costituzione;
    invece per quanto sopra premesso in relazione alla crescita esponenziale della spesa sanitaria privata, come anche rilevato al riguardo dal citato studio CENSIS-RBM salute, è evidente che queste forme di sanità integrativa si sta o via via rivelando o le si stanno prospettando alla generalità dei cittadini come uniche forme risolutive dell'inaccessibilità alle cure e all'assistenza e come l'unica forma di superamento delle difficoltà in cui versa il sistema pubblico di salute;
    in tale quadro, dunque, di fronte a questo tangibile smantellamento del servizio sanitario pubblico, prendono corpo e s'inseriscono le diverse soluzioni o proposte di partenariato pubblico-privato, se non addirittura chiaramente «di copertura assicurativa» dei bisogni assistenziali, che questo Governo introduce, o ai sistematicamente, in tutti i suoi provvedimenti; emblematica è ad esempio la legge sul «dopo di noi» ove si disciplina la detraibilità delle spese sostenute per le polizze assicurative finalizzate alla tutela delle persone con disabilità grave ed eleva il limite di tale detrazione o laddove prevede soluzioni dispositive dei patrimoni dei disabili finalizzate alla tutela degli stessi;
    la sostenibilità economica del servizio sanitario nazionale non può e non deve passare attraverso una compressione del diritto alla salute e non può passare attraverso la riduzione di risorse economiche e umane, né può passare attraverso una privatizzazione di fatto, ma attraverso un efficace smantellamento di tutte le diseconomie, gli sprechi e le sacche di opacità e corruzione che non possono essere risolte solo con accordi, protocolli o dichiarazioni d'intenti ma piuttosto con un effettivo e immediato sistema sanzionatorio che arrivi finanche a rimuovere, con immediatezza, i funzionari o i dirigenti ritenuti responsabili di danno erariale dalla Corte dei Conti;
    il rapporto della Rete europea contro le frodi e la corruzione in sanità stimava in sei miliardi di euro la quantità di risorse sottratte alla sanità italiana, cifra peraltro non ritenuta esaustiva dal «libro bianco» di ISPE (Istituto per la promozione dell'etica) secondo il quale tali cifre non tengono conto dell'indotto (inefficienza e sprechi) correlato agli eventi corruttivi accertati dalla magistratura, indotto che porta a stimare il costo della corruzione addirittura in 23,6 miliardi di euro l'anno;
    un'efficace lotta alla corruzione deve coinvolgere tutti i cittadini e tutti i funzionari pubblici sollecitando, attraverso tutele ed incentivi specifici, uno spirito di servizio che porti a segnalare ogni forma di illecito e ogni evento corruttivo, tutele specifiche che garantiscano il denunciante attraverso un anonimato inviolabile e incentivi che prevedano forme di premialità su quanto ritorna all'amministrazione in termini di risarcimento per danno erariale e come conseguenza della denuncia o segnalazione fatta;
    i dati sulla corruzione in sanità rilevano la forte sperequazione regionale esistente nel nostro Paese anche in termini di garanzia, qualità, efficacia ed efficienza ed infatti i dati diffusi dal rapporto succitato ripartiscono così i fenomeni corruttivi: 41 per cento al Sud, 30 per cento al Centro, il 23 per cento al Nord e il 6 per cento è costituito da diversi reati compiuti in più luoghi;
    con il recente decreto-legge sugli enti territoriali il Governo è intervenuto sui costi standard (introdotti per dare attuazione al federalismo fiscale e per controllare gli sprechi nella sanità), senza affrontare in maniera incisiva la sperequazione regionale esistente che per l'appunto si rileva anche nei fenomeni corruttivi succitati e, continuando a prendere a riferimento regioni «modello», non tiene conto delle condizioni di partenza delle regioni e delle variabili determinate dalle carenze strutturali presenti in alcune aree territoriali, atte ad incidere sui costi delle prestazioni, variabili che andrebbero individuate sulla base di specifici indicatori socio-economici, ambientali, culturali e di deprivazione;
    il decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70, sugli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera non fa altro che cronicizzare la sperequazione esistente tra le regioni prevedendo che le stesse provvedano alla riduzione della dotazione dei posti letto ospedalieri accreditati ed effettivamente a carico del servizio sanitario regionale, ad un livello non superiore a 3,7 posti letto per mille abitanti (come determinati dal «decreto Balduzzi»), comprensivi di 0,7 posti letto per mille abitanti per la riabilitazione e la lungodegenza post-acuzie, facendo riferimento alla popolazione residente in base ai criteri utilizzati per il computo del costo standard per il macro-livello di assistenza ospedaliera ai fini della determinazione del fabbisogno sanitario standard regionale, numero di posti letto incrementato o decrementato in relazione alla mobilità tra regioni;
    per quanto riguarda l'offerta di posti letto ospedalieri a livello europeo, l'Italia (3,7 posti ogni mille abitanti) si colloca al di sotto della media europea (5,5 posti letto) e il meccanismo indicato dal succitato decreto n. 70 del 2015 penalizza, nella programmazione della dotazione dei posti letto, quelle regioni italiane che risultano avere un saldo positivo di mobilità e che di fatto finanziano il sistema sanitario di regioni ritenute virtuose proprio attraverso le risorse provenienti dalla mobilità attiva;
    la riduzione dei posti letto della rete ospedaliera, nelle intenzioni del «decreto Balduzzi», era e doveva essere armonizzata con un'implementazione dell'assistenza territoriale, dei presidi sul territorio anche attraverso i cosiddetti ospedali di comunità, ma alla tanta solerzia nel definire i tagli dei posti letto non ha fatto da contraltare la definizione dei requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi dei presidi territoriali/ospedali di comunità previsti nel punto 17 del patto della salute 2014-2016;
    lo stravolgimento operato sull'assistenza ospedaliera e territoriale ha colto impreparati tutti i cittadini che non sanno più a quale servizio rivolgersi per soddisfare i loro bisogni di salute e assistenza, che assistono inermi a chiusure di presidi e ospedali e che si vedono quotidianamente respinti nei loro accessi al servizio sanitario nazionale; al riguardo non è stato concepito neanche un piano di comunicazione a favore dei cittadini e per favorire il pieno funzionamento del nuovo sistema di assistenza territoriale su tutto il territorio nazionale;
    l'idea d'implementare l'assistenza territoriale attraverso una riorganizzazione delle cure primarie, anche al fine di efficientare l'assistenza ospedaliera ed in particolar modo la rete emergenza-urgenza, non sembra sortire i benefici auspicati nel «decreto Balduzzi», considerato che tale riorganizzazione non ha fatto i conti con il serio problema della progressiva carenza dei medici di famiglia e rispetto alla quale già nel 2012 l'Enpam e la Fimmg rilevavano una stima drammatica sui pensionamenti e sulle susseguenti carenze assistenziali, stimando che dal 2015 al 2025 sarebbero andati in pensione complessivamente circa 40.000 tra medici di medicina generale, guardie mediche e pediatri, con un'impennata di 25.000 pensionamenti che rischiano di non essere sostituiti, e già allora si temeva che, per i successivi 10 anni, 25 milioni di italiani sarebbero potuti rimanere senza assistenza;
    il 2 agosto 2016 nel corso di un'audizione in Senato nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla sostenibilità del servizio sanitario nazionale, con particolare riferimento alla garanzia dei principi di universalità, solidarietà ed equità, la Fimmg ha presentato gli ulteriori dati sulle prospettive occupazionali e di pensionamento e ribadisce: «Ulteriore sfida, che dovrà essere affrontata dall'ACN (Accordo collettivo nazionale), è quella del rapido ricambio generazionale determinato oltre che dall'età media avanzata dei medici attivi, da una tendenza al prepensionamento (che passa dal 10 per cento del 2005 al 40 per cento degli ultimi anni) e che aumenta la necessità di formare medici alla medicina generale in numero adeguato alle crescenti esigenze»;
    la riorganizzazione delle cure primarie e il processo di de-ospedalizzazione richiede oltre che un concreto rafforzamento dell'assistenza territoriale anche un robusto investimento in prevenzione, investimento che deve essere garantito con risorse economiche adeguate e con professionisti dedicati e, in tale ottica, il decreto-legge n. 158 del 13 settembre 2012, cosiddetto «decreto Balduzzi», nella sua attuazione, sta svelando tutte le sue debolezze correlate al principio ispiratore del decreto medesimo: la spending review; ed è così che si assiste quotidianamente all'accorpamento di strutture sanitarie, alla creazione di mega distretti lontani dai cittadini e alla chiusura inaccettabile di punti nascita; l'esigenza di assicurare la continuità assistenziale è insoddisfatta così come appare insoddisfatta l'integrazione tra cure territoriali e ospedaliere;
    sarebbe stato lungimirante, probabilmente anche più economico, dare attuazione alla normativa vigente in materia di consultori familiari, nati e concepiti proprio quale integrazione di compiti e funzioni di natura sanitaria, sociosanitaria e sociale; il consultorio, vicino al cittadino, doveva rappresentare il luogo multiprofessionale di prevenzione e assistenza primaria e di tutela socio-sanitaria attraverso un supporto multidisciplinare alla persona, alla coppia e alla famiglia in tutto le varie fasi del suo evolversi; il consultorio dovrebbe rispondere in maniera personalizzata, attraverso consulenze e prestazioni specialistiche, a tutte le problematiche connesse alla sessualità, all'infertilità e alla contraccezione, alla gravidanza, alla nascita e al post partum, all'interruzione volontaria di gravidanza, alla menopausa, ai problemi andrologici, al disagio psicologico e al disagio familiare, alla ludopatia e alle dipendenze, ai fenomeni di bullismo, al disagio dei giovani, all'integrazione culturale di immigrati, alla violenza sulle donne e sui minori. Per affrontare tutto questo è sufficiente dare attuazione ad una delle leggi più civili che il legislatore sia stato in grado di concepire, assicurando figure professionali come ginecologi, ostetriche, infermieri, assistenti sociali, mediatori culturali, linguistici e legali;
    dal 1975, anno della legge sui consultori, si è invece percorsa una strada ad ostacoli e da un'attuazione a macchia di leopardo nelle diverse regioni italiane si è passati ad un progressivo e incalzante depotenziamento e al loro smantellamento. Nel contempo, si sono percorse strade legislative, anche informative, sulla salute e cultura di genere, sul disagio psicologico, sulla prevenzione, sulla sana alimentazione, sul sostegno alle famiglie assolutamente fallimentari; in tal senso emblematica è la triste e recente campagna sul fertility day ove si sono disvelate concezioni retrograde sulla maternità responsabile, umilianti per l'identità di genere e di etnia, mentre sulla tutela del parto fisiologico ci si arena, ormai da troppe legislature, senza garantire di fatto condizioni del parto appropriate e anche più economiche che riducano i costi connessi all'abuso nel ricorso al parto cesareo;
    sulla maternità responsabile non si risolve il serio problema di politiche efficaci per la famiglia, non si consente alle donne di conciliare i tempi della famiglia con i tempi del lavoro, non si forniscono servizi e sostegni reddituali adeguati, non si risolve il serio problema dell'assenza di professionisti non obiettori che di fatto rende non pienamente applicabile la legge n. 194 sull'interruzione di gravidanza, con conseguenze anche drammatiche e pressoché quotidiane sulla salute delle donne in alcuni casi costrette addirittura ad aborti clandestini; il recente inserimento dei contraccettivi in fascia C è un ritorno al passato ed una compromissione inaccettabile del diritto della donna;
    sui problemi alimentari, sulle dipendenze e sulla ludopatia s'intraprendono politiche economiche di fatto incentivanti e non s'interviene in maniera incisiva sulla pubblicità diretta e indiretta;
    sulle malattie rare, sull'autismo e sulla non autosufficienza le risorse che vengono stanziate sono sempre e comunque esigue e anche laddove stanziate tendono ad essere utilizzate non già per garantire un'assistenza diretta o per soddisfare i bisogni assistenziali sottesi quanto piuttosto a coprire costi connessi ai fattori burocratici o organizzativi; esempio emblematico sono le risorse di 5 milioni di euro stanziate per il fondo che aveva come fine la cura e l'abilitazione dei soggetti con disturbo dello spettro autistico, mentre dal recente schema del decreto del Ministero della salute, diffuso dagli organi di stampa, emerge che tale fondo sarà destinato per l'emanazione di linee guida, linee di indirizzo e per progetti di ricerca anziché per l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, come previsto all'articolo 3 della legge n. 134 del 2015;
    è ormai una costante il mancato aggiornamento del decreto che individua i livelli essenziali di assistenza (ancora oggi questo decreto non è in Gazzetta ufficiale) e conseguentemente anche l'elenco delle malattie rare. Questo ritardo non è accettabile quando una malattia rara è riconosciuta e certificata dai presidi della rete, pertanto è necessario prevedere che una malattia rara debba essere inserita in tempo reale nel registro nazionale delle malattie rare, evitando lungaggini burocratiche che nulla hanno a che fare con l'identificazione della malattia rara, assicurando altresì in tempo reale ogni esenzione di cura e assistenza;
    come risulta dal documento di economia e finanza 2016, nel 2015 la spesa sanitaria corrente è risultata pari a 112.408 milioni, con un tasso di incremento dell'1 per cento rispetto al 2014 e l'incremento di circa 1,1 miliardi di euro è dovuto principalmente alla dinamica della spesa per prodotti farmaceutici; nonostante ciò, si continua a non intervenire per garantire la trasparenza delle misure che regolano la fissazione dei prezzi dei farmaci che sono contrattati dall'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) secondo procedure negoziali e accordi non trasparenti e secretati, per il tramite delle cosiddette clausole di riservatezza, clausole «bocciate» anche dall'Antitrust;
    è proprio questo meccanismo di fissazione del prezzo dei farmaci e i fondi insufficienti che determinano anche l'indisponibilità dei farmaci innovativi e di quelli necessari alla cura dell'epatite C ed, invece che incidere sulla governance farmaceutica, si prediligono misure atte a realizzare una vera e propria «guerra tra poveri ammalati», assicurando i farmaci per l'epatite C prima a coloro che sono quasi «sul letto di morte», mentre i «meno gravi» possono aspettare o addirittura sperare di aggravarsi per avere diritto al farmaco; è necessario intervenire con urgenza adottando un piano nazionale di eradicazione del virus dell'epatite C e assicurando a tutti coloro che ne hanno bisogno il farmaco necessario;
    sull'eccessiva spesa farmaceutica si adottano politiche di contenimento su farmaci necessari alla salute già compromessa dei cittadini, ma non si adottano politiche di prevenzione lungimiranti, come ad esempio quelle sull'uso di antibiotici. Il comunicato stampa dell'Agenzia nazionale del farmaco del 10 maggio 2016 ha lanciato l'allarme sullo sviluppo di resistenze antimicrobiche sia nella medicina umana che veterinaria e rappresenta oggi una minaccia seria alla salute globale; è necessario che si adottino politiche di prevenzione e cooperazione atte a modificare i comportamenti di tutti gli attori coinvolti: allevatori, medici, consumatori e pazienti. Al riguardo l'Unione europea, nell'ottica della One Health, è attiva da più di 15 anni nel contrasto a tale minaccia con una serie di piani e di azioni che spaziano da attività di prevenzione delle infezioni microbiche e della loro diffusione, al controllo sull'utilizzo appropriato e prudente dei farmaci sia in medicina umana ed animale, allo sviluppo di nuovi antibiotici e al miglioramento della comunicazione, educazione formazione per operatori e pazienti;
    anche sul fronte dei vaccini le politiche messe in piedi da questo Governo sono ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo di totale asservimento nei confronti delle case farmaceutiche, confortate da un contesto che non elimina all'origine l'esistenza di qualsivoglia conflitto di interesse tra le case farmaceutiche e chi è chiamato a decidere o ad esprimere pareri sull'immissione in commercio dei vaccini e agevolate dall'assenza di informazioni e studi indipendenti riguardo ai dati relativi agli studi preclinici e clinici relativi agli effetti dei vaccini, anche a distanza di anni. Al riguardo, la somministrazione obbligatoria di vaccini in associazione, di fatto monopolizza in poche case farmaceutiche la produzione degli stessi vaccini con inevitabili e rilevanti costi a carico del servizio sanitario nazionale ed infatti, a legislazione vigente, sono prescritti come obbligatori 4 vaccini in età pediatrica e, non essendo forniti in formato singolo o di vaccino tetravalente, si offre ai cittadini, come unica soluzione, il ricorso all'esavalente che contiene anche altri due vaccini, non obbligatori ma fortemente consigliati. Un piano vaccinale efficace dovrebbe fondarsi su un sistema pubblico nazionale informatizzato che dia conto a tutti i cittadini della certificazione e registrazione dei vaccini, dei dati relativi agli studi preclinici e clinici, degli esiti, anche negativi, e dei susseguenti indennizzi;
    il dominus della spesa sanitaria nelle strutture sanitarie è il direttore generale e sulla sua gestione manageriale occorre intervenire efficacemente, in tal senso la recente approvazione del decreto legislativo sulla dirigenza sanitaria attuativo della legge «delega Madia» prevede la valutazione dell'operato dei direttori generali e la verifica dei risultati aziendali, ma la prospettata decadenza degli stessi dall'elenco nazionale dei direttori generali in caso di valutazioni negative o di inadempienze sulla trasparenza non appare risolutiva laddove consente il reinserimento nell'elenco e laddove non prospetta alcuna ipotesi di revoca dell'incarico e di divieto di rinnovo di conferimento d'incarichi in settori sensibili ed esposti al rischio di corruzione, in presenza di condanna anche non definitiva, da parte della Corte dei conti;
    appare altresì inconcepibile e incomprensibile che meccanismi imparziali e trasparenti di selezione e valutazione sulla dirigenza non trovino applicazione in tutti quegli enti vigilati dal Ministero della salute e che pure rappresentano il vertice dell'intero sistema sanitario, dal quale si snodano tutte le politiche sanitarie del paese, e senza che il Parlamento possa in alcun modo indagare o valutare la discrezionalità operata dal Ministro della salute nella scelta di tali dirigenti; le recentissime nomine dirigenziali avvenute, ad esempio, all'interno, dell'Aifa, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, non rispondono e non soddisfano né le vigenti norme sull'accesso alla dirigenza nel pubblico impiego né tanto meno le norme sulla dirigenza sanitaria di recente approvazione;
    la legge n. 833 del 23 dicembre 1978 istitutiva del servizio sanitario nazionale ha dato all'Italia la patente di uno dei migliori sistemi di salute pubblica al mondo e nonostante le successive riforme, ivi inclusa la riforma del titolo V della parte II della Costituzione, ne abbiano mutato sostanzialmente l'evoluzione e la struttura, ha consentito al nostro Paese di mantenere saldo il principio dell'universalità come sancito dall'articolo 32 della Costituzione, ed in tal senso anche l'Oms ha considerato che il servizio sanitario nazionale del nostro Paese uno dei migliori al mondo per la correlazione esistente tra lo stato di salute della popolazione e il soddisfacimento dei bisogni assistenziali;
    i miliardi di euro tagliati al servizio sanitario nazionale succitati sono la conseguenza degli obblighi contenuti nel «Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione economica e monetaria», ennesimo tassello di patti interni al sistema dell'euro atti a vincolare i bilanci statali;
    con la legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, l'Italia ha introdotto nella propria Costituzione il pareggio di bilancio, agli articoli 81 e 97, così limitando in via definitiva la tutela dei diritti fondamentali, tra cui il diritto alla salute e le riferite misure di contenimento della spesa pubblica sono funzionali a perpetuare l'emissione di moneta da parte della banca privata Bce, in cambio della quale lo Stato s'indebita senza alcun controvalore in beni o servizi; dunque la progressiva diminuzione delle risorse per la sanità deriva, dalle suindicate misure correlate al meccanismo di indebitamento pubblico, il quale di fatto azzera la sovranità popolare di cui all'articolo 1 della Costituzione,

impegna il Governo:

1) a salvaguardare il servizio sanitario nazionale pubblico e universalistico attraverso iniziative volte a un recupero integrale di tutte le risorse economiche sottratte in questi anni con le diverse misure di finanza pubblica, garantendo una sostenibilità economica effettiva ai livelli essenziali di assistenza attraverso il finanziamento del fondo sanitario nazionale, senza alcuna condizione correlata all'appropriatezza prescrittiva o a condizioni di erogabilità o a successivi e aleatori decreti attuativi;
2) a disincentivare ogni forma di sanità integrativa che non sia finalizzata all'esclusiva copertura di prestazioni non essenziali e non incluse nei livelli essenziali di assistenza;
3) a garantire i livelli essenziali di assistenza anche attraverso percorsi di assistenza personalizzati e vicini al cittadino oltreché adeguatamente accessibili, riordinando il sistema di accesso alle prestazioni nell'ottica di ridurne i tempi di attesa e disincentivando il ricorso alla sanità privata quale diretta conseguenza dell'inefficienza del servizio sanitario nazionale, eliminando altresì ogni forma di spreco che derivi da una non appropriata organizzazione dei servizi e dell'assistenza, da una governance sanitaria non adeguata, da un mancato ammodernamento tecnologico e digitale del servizio sanitario nazionale e dall'assenza di efficaci politiche sulla trasparenza e sulla prevenzione della corruzione;
4) ad assumere iniziative per garantire al servizio sanitario nazionale le risorse umane di cui necessita, provvedendo allo sblocco del turnover, all'attuazione delle procedure di mobilità interregionale del personale sanitario in relazione alle piante organiche e attivando le procedure concorsuali straordinarie già previste nella legge di stabilità 2016;
5) a rispettare, pienamente e in tempi rapidi, gli impegni presi con la mozione n. 1-01009 approvata il 15 ottobre 2015 e concernente l'adozione di provvedimenti efficaci e sistematici volti a prevenire i meccanismi e le prassi amministrative che favoriscono l'insorgenza di fenomeni di corruzione in ambito sanitario, dando altresì concreta attuazione alle normative già esistenti in favore della trasparenza, in particolare al decreto legislativo n. 33 del 2013, e completando l'informatizzazione del sistema sanitario nazionale previsto dall'articolo 14 del patto per la salute, entro e non oltre le scadenze programmate dall'Agenda digitale, con particolare riferimento al fascicolo sanitario elettronico, alle ricette digitali, alla dematerializzazione di referti e cartelle cliniche e alle prenotazioni e ai pagamenti on-line;
6) a dare attuazione concreta ai costi standard e alla centralizzazione degli acquisti, uniformando le spese e la variazione dei costi per l'acquisto e la fornitura di dispositivi, farmaci ospedalieri, materiali, apparecchiature e servizi in ambito sanitario;
7) ad assumere iniziative per introdurre dei correttivi nella determinazione dei fabbisogni standard delle regioni italiane più in difficoltà, in cui le carenze strutturali inevitabilmente determinano variazioni sui costi delle prestazioni, tenendo conto delle condizioni geomorfologiche e demografiche, nonché delle condizioni di deprivazione e di povertà sociale;
8) ad adottare iniziative atte a controllare i prezzi dei farmaci, garantendo che le intese in materia di prezzi siano trasparenti e conoscibili, con evidenza del metodo utilizzato per la definizione del prezzo e degli utili, anche modificando il sistema di rimborso dei farmaci e avviando un processo di riordino dell'Aifa;
9) ad assumere iniziative per introdurre disposizioni normative efficaci, anche all'interno del prossimo disegno di legge di bilancio, rispetto all'importazione di medicinali che, sebbene registrati anche in Italia, sono di fatto indisponibili, garantendo un'adeguata attività, in collaborazione con le regioni, per l'individuazione di pazienti eleggibili per i trattamenti e il rilascio della relativa prescrizione medica, assicurando un concreto monitoraggio e controllo presso i luoghi di produzione dei medicinali equivalenti;
10) ad assumere iniziative per stanziare risorse sufficienti per l'acquisto di medicinali innovativi eliminando ogni disparità nell'accesso ai farmaci per l'epatite C, ossia i criteri di priorità correlati alle condizioni di gravità della malattia;
11) ad assumere iniziative volte a prevedere la revoca dell'incarico o il divieto di rinnovo di conferimento di incarichi in settori sensibili ed esposti al rischio di corruzione, in presenza di condanna anche non definitiva, da parte della Corte dei conti, al risarcimento del danno erariale per condotte dolose, per i direttori generali, i direttori amministrativi e di direttori sanitari, nonché, ove previsto dalla legislazione regionale, per i direttori dei servizi socio-sanitari, delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale;
12) a prevedere, secondo i dettami riportati nel decreto legislativo n. 171 del 2016 sulla dirigenza sanitaria e comunque in attuazione dei principi ispiratori della cosiddetta «delega Madia», procedure di avviso pubblico per l'individuazione dei direttori generali di tutti gli enti sottoposti alla vigilanza del Ministero della salute, a partire dall'AIFA che fissa al 16 novembre 2016 la scadenza del mandato del proprio direttore generale, assicurando valutazioni e verifiche del loro operato da rendere note alle commissioni parlamentari competenti;
13) a prevedere, all'interno del prossimo disegno di legge di bilancio, per il periodo successivo a quello di attuazione del nuovo patto della salute 2014-2016, la rivisitazione del calcolo per la definizione dei posti letto indicato in premessa eliminando, attraverso una programmazione quinquennale, gli aspetti relativi all'incremento o decremento degli stessi per effetto della mobilità tra le regioni, facendo comunque salvi i posti letto attualmente disponibili nelle regioni italiane, assicurando che eventuali maggiori oneri, provenienti dall'incremento dei posti letto, o da altri servizi sanitari (ad esempio prevenzione collettiva, assistenza domiciliare), da parte delle regioni con saldo di mobilità passiva trovino copertura attraverso la riduzione progressiva – nel quinquennio – delle quote cedute dalle stesse nei confronti delle regioni con saldo di mobilità positiva;
14) ad attivarsi affinché, entro il corrente anno, siano definiti i requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi dei presidi territoriali/ospedali di comunità previsti nel punto 17 del Patto della salute 2014-2016;
15) ad attivarsi affinché, entro il corrente anno, ogni singola regione e provincia autonoma provveda all'analisi dei fabbisogni per la corretta espletazione delle attività previste nell'atto di indirizzo per la medicina convenzionata sul modello previsto all'articolo 1, comma 541, lettera b), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, e affinché siano fornite tutte le informazioni rispetto alla configurazione della rete informatica per il corretto collegamento dei vari attori della medicina convenzionata;
16) a predisporre, entro il corrente anno, il piano di comunicazione a favore dei cittadini per favorire il pieno funzionamento e la conoscibilità del nuovo sistema di assistenza territoriale su tutto il territorio nazionale;
17) ad attivarsi per una politica efficace di prevenzione sull'uso degli antibiotici, dotando gli ospedali di servizi di microbiologia permanente, adottando iniziative efficaci che mirino alla riduzione del consumo degli antibiotici, promuovendo l'introduzione di dosi unitarie o pacchetti personalizzati al fine di evitare autoprescrizioni da parte dei cittadini, attivando una formazione specifica per gli operatori, nonché campagne di sensibilizzazione e informazione di educazione sanitaria per tutti i cittadini, affinché agiscano in modo proattivo per ridurre la minaccia alla resistenza antibiotica umana e animale;
18) ad attivarsi affinché, nell'ambito della definizione della metodologia di valutazione dei parametri di riferimento relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure, previsti all'articolo 1 commi 526 e 536, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, si tenga conto del rispetto dell'articolo 1, comma 4, lettera g) della legge 3 agosto 2007, n. 120, «Disposizioni in materia di attività liberoprofessionale intramuraria e altre norme in materia sanitaria», nonché della concreta attuazione dalla determinata dell'ANAC 28 ottobre 2015, n. 12, piano nazionale anticorruzione – aggiornamento, prevedendo, in caso di mancato rispetto, delle conseguenze penalizzanti;
19) ad assumere iniziative normative affinché sia prevista la presentazione alle Camere, per l'espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari, del «nuovo» piano nazionale sulle liste di attesa, affinché sia valutata anche possibilità di interruzione dell'attività libero professionale intramuraria e sia inclusa, anche con il supporto dell'Agenzia per l'Italia digitale (AGID), una piattaforma tecnologica, sul modello del piano nazionale esiti, per il monitoraggio e l'implementazione del rispetto dei tempi di attesa delle prestazioni di tutti gli enti del sistema sanitario nazionale, piattaforma che sia accessibile a tutti i cittadini e che rappresenti un importante indicatore da inserire nella griglia di monitoraggio dei livelli essenziali di assistenza (LEA), per gli anni a partire dal 2017;
20) a formulare un piano vaccinale in funzione di un sistema pubblico nazionale informatizzato che produca ogni dato utile sugli studi preclinici e clinici e che, anche a distanza di anni, produca tutte le informazioni sugli esiti, anche negativi, concernenti la somministrazione di vaccini, consentendo un'esauriente informazione per tutti i cittadini nonché una scelta consapevole e condivisa, che dia conto chiaro ed effettivo sulla obbligatorietà o meno delle vaccinazioni, e ad assumere iniziative di tipo normativo che eliminino qualsiasi conflitto di interesse tra le case farmaceutiche e chi è chiamato a decidere o ad esprimere pareri sull'immissione in commercio dei vaccini, consentendo altresì la somministrazione dei quattro vaccini obbligatori in età pediatrica in formato singolo o di vaccino tetravalente;
21) ad assumere iniziative per stanziare risorse ulteriori e comunque prioritariamente destinate all'assistenza diretta delle persone non autosufficienti e con disabilità e prevedere che l'acquisto dei farmaci di fascia C necessari per il trattamento delle malattie rare, nonché dei trattamenti considerati non farmacologici, quali alimenti, integratori alimentari, dispositivi medici e presìdi sanitari, nonché la fruizione di prestazioni di riabilitazione motoria, logopedica, neuropsicologica e cognitiva e di interventi di supporto e di sostegno sia per il paziente che per la sua famiglia, che siano stati prescritti dai presìdi della rete individuati dalle regioni ai sensi dell'articolo 2 del regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità 18 maggio 2001, n. 279, siano inclusi nei livelli essenziali di assistenza (LEA) al di fuori delle scadenze previste per l'adozione del decreto di aggiornamento dei LEA medesimi, prevedendone se necessario un apposito stanziamento;
22) a dare completa e capillare attuazione alla legge n. 405 del 1975 sui consultori quali presidi indispensabili per l'integrazione sociosanitaria e di prevenzione, garantendo che siano dotati di risorse economiche adeguate e di professionisti in grado di realizzare un approccio multidisciplinare compiuto, assicurando altresì una completa esigibilità dei diritti delle donne in relazione alla legge n. 194 del 1978 e su tutto il territorio nazionale, superando ogni problema organizzativo legato all'assenza diffusa di personale sanitario non obiettore;
23) a garantire la donna nel suo diritto alla maternità assicurando un'efficace promozione del parto fisiologico e l'accesso ai luoghi del parto che siano vicini alla sua residenza ovvero assumendo iniziative volte a modificare le disposizioni normative che hanno indotto alla chiusura dei punti nascita con meno di 500 parti all'anno.
(1-01398) «Grillo, Lorefice, Silvia Giordano, Mantero, Colonnese, Di Vita, Nesci, Baroni, Cecconi, Dall'Osso».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    la legge n. 833 del 1978 ha il merito di aver istituito nel nostro Paese il servizio sanitario nazionale, quale complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento e al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione, senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l'eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio; il servizio sanitario nazionale ispirato ai principi di universalità, uguaglianza, globalità e appropriatezza e la legge istitutiva dello stesso sono funzionali alla centralità del diritto alla salute, nel senso, che attuano l'articolo 32 della Costituzione;
    il servizio sanitario nazionale, è ancora oggi considerato dalla Organizzazione mondiale della sanità, uno dei primi in Europa, se non al mondo, sulla base di tre indicatori fondamentali: il miglioramento dello stato complessivo della salute della popolazione, la risposta alle aspettative di salute e di assistenza sanitaria dei cittadini, l'assicurazione delle cure sanitarie a tutta la popolazione;
    non vi è dubbio che il principio di universalità, inteso come il diritto ad un accesso generalizzato ai servizi sanitari da parte di tutti i cittadini, senza alcune forme di ponderata modulazione, ha subito, nel tempo, alcune necessarie «rivisitazioni» come correttivi, che tuttavia, non hanno mai fatto venir meno i tre indicatori fondamentali: il miglioramento dello stato complessivo della salute della popolazione, la risposta alle aspettative di salute e di assistenza sanitaria dei cittadini, l'assicurazione delle cure sanitarie a tutta la popolazione;
    l'evoluzione della politica sanitaria, nel periodo che si sta esaminando, e il relativo assetto organizzativo non possono essere valutati senza far cenno anche alla riforma del Titolo V della Costituzione, ai cambiamenti sociali e demografici, all'evoluzione scientifica e tecnologica della scienza medica, all'invecchiamento della popolazione (con aumento delle patologie croniche), all'evidente necessità di un contenimento della spesa sanitaria, che hanno reso negli ultimi anni non più procrastinabile l'avvio di un ripensamento del modello organizzativo e strutturale del sistema sanitario nazionale;
    ecco perché oggi si parla molto di sostenibilità del servizio sanitario nazionale, e la sostenibilità in sanità comprende oltre ai fattori strettamente economici anche altri fattori quali lo sviluppo, la cultura, la professionalità e l'innovazione. Sviluppare un servizio sanitario nazionale sostenibile vuol dire quindi porre attenzione ed investire su tutti questi fattori, ma significa soprattutto, ripensare il modello organizzativo e strutturale del sistema sanitario e costruirne uno più vicino alle persone e ai bisogni di salute che essi esprimono;
    si è di fatto passati da un concetto di universalità «forte» e incondizionata – rispondente al modello del «tutto a tutti a prescindere dai bisogni», ad un concetto di universalità «mitigata», finalizzata a garantire prestazioni necessarie ed appropriate a chi ne ha effettivamente bisogno;
    in considerazione del contesto socio-sanitario ed economico di interesse:
    si è potuta apprezzare la politica sanitaria del Ministro della salute volta a: «rigenerare e rivitalizzare» in modo strategico il settore della sanità – anche come volano di sviluppo del sistema imprenditoriale italiano – impegnato nell'innovazione tecnologica e nel campo della ricerca, anche in termini di prodotto interno lordo; ad aumentare le capacità del sistema sanitario a convertire le risorse in valore, tenendo presente che l'investimento in salute è il presupposto per la crescita e lo sviluppo di un Paese, a perseguire, con forte determinazione, la qualità e la sicurezza sanitaria non solo per ridurre i costi, ma soprattutto per raggiunger indubbi benefici in termini di salute pubblica; ad attuare una revisione complessiva del modello organizzativo e gestionale per ridurre le inefficienze e le inappropriatezze, ad esclusivo beneficio del sistema sanitario in Italia;
    si è assistito a nuovi programmi di revisione e aggiornamento della struttura gestionale e della governance degli ospedali e di tutte le aziende sanitarie, così da consentire una riduzione complessiva della spesa senza pregiudicare il livello di qualità delle prestazioni e la competitività dell'industria del nostro Paese. È intervenuto da ultimo, nel mese di agosto 2016 il decreto legislativo recante una innovativa disciplina per la nomina dei direttori generali, amministrativi e sanitari che guidano le strutture sanitarie; l'elemento di estrema novità introdotto rispetto al passato è il principio della trasparenza per il conferimento degli incarichi e la provata competenza per poter accedere agli incarichi apicali;
    la politica del Ministro della salute ha affrontato l'annoso problema degli sprechi e della inappropriatezza in sanità, con interventi mirati ad intervenire sugli sprechi derivanti da assenza o carenza di integrazione ospedale-territorio; da carenza di assistenza domiciliare e di welfare di comunità, nonché dagli sprechi derivanti dagli errori in sanità;
    il continuo e proficuo impegno del Ministro della salute ha consentito di poter contare – anche nel corso di un intervallo temporale, caratterizzato da una difficile contingenza economica – su strategie di politica sanitaria finalizzata alla prevenzione, mediante una serie di iniziative capillari che muovono dai piani nazionali della prevenzione, dai piani nazionali per garantire la copertura vaccinale sul territorio nazionale, dagli screening neonatali, dalle iniziative per contrastare ogni forma di dipendenza, con specifico riguardo alla lotta contro il fumo, contro la dipendenza da sostanze stupefacenti, contro l'alcol e contro la dipendenza da gioco patologico, e a favore dei corretti stili di vita in ogni fase di età, con specifico riguardo anche alla salute delle donne. Di estrema importanza per le politiche di prevenzione si sono rilevate le raccolte sistematiche di dati e i sistemi di sorveglianza, diretti verso specifiche fasce di popolazione, individuate per età o per composizione;
    l'intervallo temporale che si sta esaminando è stato, peraltro, caratterizzato dall'imponente fenomeno dei flussi migratori, che ha richiesto iniziative di continuo coordinamento tra più organi istituzionali, non solo nazionali o comunitari, i cui esiti hanno, comunque e sempre, garantito risposte sicure non solo umanitarie, ma anche e soprattutto sanitarie;
    si è assistito, inoltre, negli ultimi anni ad una imponente e proficua azione di riorganizzazione della rete assistenziale, che ha rafforzato i legami tra ospedale e territorio. Non vi è dubbio, infatti, che questo è stato uno dei temi su cui si «è giocata» la stessa sostenibilità del servizio sanitario nazionale. Valga un esempio per tutti: il decreto 2 aprile 2015, n. 70, che ha dettato gli standard qualitativi, strutturali tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera, che muove non da esigenze di contenimento della spesa sanitaria – sarebbe riduttivo ricondurlo a fini finanziari – bensì da esigenze di sicurezza e di qualità per l'assistenza ospedaliera; il riordino della rete ospedaliera, infatti, è volto alla concreta realizzazione di un processo di appropriatezza e maggiore sicurezza per i pazienti, per consentire agli ospedali di sviluppare tutta la loro capacità produttiva, per dare vita ad una rete ospedaliera in grado di erogare prestazioni più sicure e di elevata qualità;
    come non ricordare le iniziative in materia di personale del servizio sanitario nazionale, giacché è di questi giorni la notizia che il disegno di legge di bilancio per il 2017 conferma la volontà del Ministro finalizzata a garantire un significativo sblocco del turn over, con la possibilità di oltre 7.000 assunzioni e stabilizzazioni nel servizio sanitario nazionale, sia di medici che di infermieri;
    le iniziative confermate con il disegno di legge di bilancio per il 2017, inducono a guardare con fondate e favorevoli aspettative a nuove prospettive di cura e di terapie avanzate, grazie alle risorse finalizzate all'acquisto di nuovi e costosi medicinali cosiddetti innovativi (ad esempio, il farmaco anti epatite C) e medicinali innovativi oncologici;
    l'evoluzione della politica del Ministro della salute e l'implementazione delle attività poste in essere, inducono ad auspicare che nel 2017 il servizio sanitario nazionale potrà beneficiare di tutte le iniziative messe in campo e realizzate fin dall'inizio del suo mandato governativo, che peraltro, continuano tenacemente ad essere incrementate,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per mantenere stabili le risorse del fondo sanitario nazionale e, anche per il futuro, destinare al medesimo fondo ogni risorsa che consegue alle politiche di razionalizzazione ed efficienza del servizio sanitario nazionale;
2) ad assumere iniziative per rendere stabile ed a regime il fondo strutturale per i farmaci innovativi, con sempre adeguate risorse finanziarie;
3) ad assumere iniziative per rendere stabile ed a regime il fondo per l'acquisto dei vaccini ricompresi nel nuovo piano nazionale vaccini (NPNV) con adeguate risorse finanziarie;
4) ad assumere iniziative per istituire un fondo strutturale per il finanziamento dei farmaci oncologici innovativi, con adeguate risorse finanziarie;
5) ad adoperarsi affinché in tempi rapidi, e comunque non oltre il 1o gennaio 2017, possano essere aggiornati i livelli essenziali di assistenza ed i nomenclatori protesici ponendo così fine ad una attesa di oltre 15 anni;
6) ad adoperarsi affinché, all'esito delle prossime iniziative in materia di risorse umane del servizio sanitario nazionale, e sulla base di adeguate risorse finanziarie, possa essere garantito lo sblocco del turn over, e possa risolversi l'annoso problema della carenza nelle strutture sanitarie del personale sanitario, con la possibilità di procedere a nuove assunzioni e stabilizzazioni del personale precario, per un ammontare di oltre 7.000 unità tra medici e infermieri.
(1-01399) «Binetti, Calabrò, Bosco».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    come specificato dal documento predisposto dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome, «la legge di stabilità 2016 ha aggiunto a carico delle RSO un contributo alla finanza pubblica pari a 3.980 milioni per il 2017 che diventeranno addirittura di 5.480 milioni per gli anni 2018 e 2019 ancorché quest'ultima riguardi più in generale il comparto delle Regioni»;
    a tali contributi si sommano i tagli derivanti dalle precedenti manovre pari a 4.202 milioni (di cui 2.000 milioni come detto coperti con la riduzione del Fondo sanitario nazionale. Le regioni applicano la disciplina del «pareggio di bilancio» già dall'esercizio finanziario 2015 e, per assolvere alla manovra di finanza pubblica 2016, sono obbligate addirittura ad un avanzo di bilancio pari a 2,209 miliardi di euro. Dai dati si evince come siano l'unico comparto della pubblica amministrazione che non ha usufruito di un allentamento delle regole del pareggio;
    a questo contributo sulla riduzione del debito, si aggiunge il risparmio a carattere permanente dell'applicazione delle regole del pareggio di bilancio già dal 2015, che le regioni apportano come contributo alla finanza pubblica, quantificato dalla relazione tecnica al disegno di legge di bilancio in 1.850 milioni per il 2016, 1.022 milioni per il 2017 e 660 milioni per il 2018 e acquisito nei tendenziali di finanza pubblica (oltre al contributo sopra evidenziato prodotto dall'avanzo sul pareggio di bilancio);
    resta un dato incontrovertibile che le risorse concordate tra lo Stato e le regioni nel patto per la salute 2014-2016 sono già state decurtate di 6,8 miliardi di euro, che il fondo sanitario è cresciuto negli ultimi 5 anni di soli 3,1 miliardi di euro, infatti di tutta evidenza è il suo taglio essendo passato dai 117,6 miliardi di euro (DEF del 2013) ai 113 miliardi di euro annunciati dal Governo nel prossimo disegno di legge di bilancio;
    i numeri descrivono un progressivo e crescente definanziamento della sanità pubblica italiana, che è stata incrementata la forbice delle disuguaglianza regionali, è stata messa sullo sfondo l'equità di accesso alle prestazioni sempre più a carico dei cittadini e sono emerse tutta una serie di questioni in tutti i settori dell'assistenza;
    al di là delle cifre, soprattutto l'ammontare previsto per il 2017, in relazione al quale bisognerà attendere l'approvazione della prossima legge di bilancio, ciò che preoccupa i firmatari del presente atto di indirizzo è, l'assoluta mancanza, anche nell'ultimo documento di economia e finanza, di idee e di strategie a medio-lungo termine a garanzia della sostenibilità del servizio sanitario nazionale, compensate dai tagli della spesa più o meno lineari;
    è stata l'ennesima occasione persa per razionalizzare la spesa in un comparto delicato come quello della sanità e sicuramente non andrà a risolvere, ad esempio, una delle questioni con le quali i cittadini si trovano a fare i conti, quella relativa alla migrazione sanitaria, con costi e disagi sociali inaccettabili;
    ad oggi se si analizzano i saldi della mobilità sanitaria, si evince che in cima alla graduatoria delle regioni che attraggono più pazienti c’è la Lombardia, con un saldo positivo di 534 milioni di euro, a seguire l'Emilia Romagna con un saldo positivo di 327 milioni di euro e la Toscana con un saldo positivo di 151 milioni di euro;
    tra le regioni che hanno saldi negativi, guida la classifica la Campania con un saldo negativo di 270 milioni di euro seguita dalla Calabria con un saldo negativo di 251 milioni di euro, dal Lazio con saldo negativo di 201 milioni di euro, dalla Puglia con un saldo negativo di 187 milioni di euro e infine dalla Sicilia con un saldo negativo di 161 milioni di euro;
    servizi e prestazioni sono spesso offerti da queste ultime regioni a un costo più elevato, senza però essere graditi ai cittadini costretti a migrare per vedersi garantito quel diritto alla salute, sancito dalla Costituzione, evidenziando secondo i firmatari del presente atto di indirizzo l'incapacità del Governo che si dice essere impegnato – anche tramite l'azione delle strutture commissariali attivate nelle regioni non virtuose ed in deficit – a mantenere e consolidare i risultati raggiunti ed a migliorare la razionalità della spesa sanitaria;
    si fatica davvero a capire come con assenza di programmazione si potranno modificare le dinamiche della spesa pubblica con l'obiettivo di garantire la sostenibilità del servizio sanitario nazionale. Perché essa richiede azioni ed interventi più coraggiosi, investimenti (tecnologici ed edilizi), una maggiore integrazione tra i servizi con l'urgente riforma dell'assistenza primaria, una public health in cui i servizi clinico-assistenziali e socio-sanitari sappiano davvero dialogare con metodologie comuni e solide;
    vi sono politiche del personale che da anni sono in attesa dei rinnovi contrattuali; il relativo comparto registra un'età anagrafica avanzata anche a causa della riforma previdenziale (più del 50 per cento dei medici pubblici è over 55enne e, di essi, più del 12 per cento è over 60enne) e ha risentito pesantemente del blocco del turn over oltre che dell'esternalizzazione di molti servizi;
    secondo le previsioni delle associazioni di categoria, nel decennio 2014-2023, saranno oltre 58 mila i medici che raggiungeranno l'età pensionabile, quando i contratti di formazione specialistica oggi in essere sono in grado di garantire l'acquisizione di 42.700 nuovi specialisti, che non saranno certo sufficienti a coprire il fabbisogno che già oggi, in alcune aree, evidenzia pesantissime insufficienze,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per provvedere al reintegro del fondo sanitario nazionale al fine di un ritorno alla dotazione del 2013 e di garantire il diritto alla salute dei cittadini costituzionalmente previsto, valorizzando quelle regioni che hanno saputo garantire standard elevati e bilanci positivi;
2) ad assumere iniziative per definire un programma di risparmi non lineare attraverso l'introduzione dei costi standard nel comparto sanitario, prevedendo che i risparmi derivanti dai medesimi costi standard per l'esercizio delle funzioni regionali sanitarie debbano essere mantenuti all'interno del comparto regioni per lo sviluppo degli investimenti e della competitività;
3) ad assumere iniziative per disciplinare il saldo dei rimborsi vantati dalle regioni, in merito alla migrazione sanitaria, prevedendo un fondo dove vengono predisposte le opportune compensazioni per le cure cui hanno beneficiato cittadini residenti al di fuori della regione di appartenenza e i cittadini stranieri.
(1-01400) «Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 32 della Costituzione sancisce la tutela della salute come un diritto fondamentale dell'individuo e dell'interesse della collettività, prevedendo la responsabilità dello Stato di garantire la salute del cittadino e della collettività in condizione di uguaglianza;
    per ottemperare a questo diritto, la legge n. 833 del 1978 ha istituito il Servizio sanitario nazionale, che, introducendo valori e principi innovativi, resta una delle più grandi conquiste sociali del nostro tempo;
    tuttavia, con la riforma della Carta costituzionale, si andrebbe anche a modificare il Titolo V e, se da una parte, la volontà sarebbe uniformare e garantire l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza in tutte le regioni, riallineandoli sui principi di equità, si presuppone anche che non verrà garantito dallo Stato il ruolo di garante del diritto alla tutela della salute poiché la revisione non appare sufficiente per assicurare l'omogenea attuazione dei livelli essenziali di assistenza su tutto il territorio nazionale;
    infatti, con la modifica dell'articolo 117 del Titolo V, lo Stato non recupera il diritto a esercitare i poteri sostitutivi nei confronti delle regioni inadempienti nell'attuazione dei livelli essenziali di assistenza perché il riferimento è esclusivamente alla determinazione dei livelli essenziali nelle sole prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e non nelle prestazioni sanitarie;
    la sanità rappresenta uno dei capitoli di spesa maggiori nel nostro Paese, ma può essere anche un impulso di sviluppo economico, non dimenticando mai che, in tale contesto, l'obiettivo primario è promuovere, mantenere e recuperare la salute delle persone;
    l'investimento nella sanità è un investimento per il futuro della nazione ed ogni miglioria, seppur inizialmente costosa, genererà, nel medio-lungo termine, al di là del breve orizzonte temporale miope della singola legislatura, un risparmio complessivo in termini di cura della salute e un risparmio economico per il miglioramento della qualità di vita dei cittadini, generato sia dagli interventi in prevenzione, sia dalla presa in carico precoce degli eventi patologici acuti – e quindi la loro maggiore possibilità di guarigione e la minor eventuale inabilità residua sia temporanea che permanente, con evidenti minori costi successivi –, che dalla corretta gestione della cronicità di alcune patologie in ambito territoriale e di specialistica ambulatoriale; ciò non potrà non avere peraltro ripercussioni positive sul mondo del lavoro complessivamente, con incremento dell'efficienza lavorativa e delle ore lavorate. Esattamente opposto sarà invece il risultato definitivo di tagli continui alla sanità pubblica;
    è evidente che i problemi strutturali, irrisolti da decenni nell'ambito del sistema sanitario pubblico, portano con sé le difficoltà e i disagi che vivono oggi i cittadini. Infatti, le diverse erogazioni che variano da regione a regione, i piani di rientro, le lunghissime liste di attesa, la mancata applicazione dei protocolli di collaborazione ospedale/territorio, la scarsa assistenza per le patologie croniche e oncologiche, il mancato potenziamento di assistenza nelle strutture ospedaliere e domiciliari, ha portato a conseguenze devastanti e grande preoccupazione per il futuro del nostro sistema sanitario;
    nel 2025 il fabbisogno totale (finanziamento pubblico + spesa privata) è stimato in 200 miliardi di euro, tuttavia, senza certezza di risorse per garantire i livelli essenziali di assistenza, un finanziamento di spesa mirato, la presenza di personale specializzato e organico sufficiente a garantire non solo l'emergenza ma la cura, i rischi che ne conseguono potrebbero essere drammatici;
    se si vuole davvero salvare e rilanciare il servizio sanitario pubblico ciò va fatto attraverso un serio e mirato rilancio delle politiche, investendo prima di tutto sull'ampliamento del personale sanitario poiché il costante e continuo calo delle capacità organizzative, dovuto al calo del personale medico e paramedico e il riconoscimento delle professioni sanitarie, rischia di implodere anche in termini di sicurezza del paziente e del servizio offerto;
    occorre maggiore offerta dei livelli assistenziali, innovazioni farmacologiche e ammodernamento tecnologico; innalzamento della quota ai fini dell'esenzione ticket per gli accessi alle prestazioni sanitarie e diminuzione delle liste di attesa – perché spesso affrontare le liste d'attesa nel pubblico significa aspettare mesi preziosi, così milioni d'italiani che possono permetterselo, si vedono costretti a rivolgersi al privato –»;
    è necessario garantire quindi ai soggetti più vulnerabili e maggiormente esposti a malattie e rischi sociali; come disoccupati e lavoratori a basso reddito e i loro familiari, la possibilità di accedere a cure e assistenza adeguate, perché chi non può pagare le prestazioni e i farmaci oggi rinuncia a curarsi;
    in termini di sistema sanitario, non va dimenticato che chi non si cura non è un risparmio per lo Stato bensì diventa poi, al manifestarsi conclamato dell'evento patologico, un importante costo, sia in termini di inevitabile cura ormai tardiva – accesso al pronto soccorso e ai reparti per malati acuti –, sia in termini sociali, con inabilità lavorativa e costi sociali e familiari correlati al livello assistenziale necessario;
    nel 2016 sono circa undici milioni i cittadini costretti a fare a meno di cure e prestazioni a causa della riduzione, anno dopo anno della quota pubblica di sostegno alle spese sanitarie, mentre aumentano i costi a carico dei cittadino. Infatti, negli ultimi due anni la progressione dei costi a carico dei privati è cresciuta: nel 2013 era di 32 miliardi e mezzo di euro, 33 miliardi di euro nel 2014 e 34,5 miliardi di euro nel 2015, registrando un più 3,2 in soli due anni;
    va ricordato, anche che legge finanziaria legge n. 111 del 2011 ha stabilito in tema di sanità l'introduzione di 10 euro di ticket su ogni ricetta per prestazioni di diagnostica e specialistica e secondo quanto enunciato con la prossima legge di stabilità, a ogni prestazione soggetta a limitazioni prescrittive, è allegata una nota che indica in quale caso quell'accertamento non può essere erogato gratuitamente. Ma se ogni prestazione con limiti prescrittivi deve essere trascritta su una ricetta a sé, si moltiplicherà il ticket da 10 euro già in essere;
    il sistema di welfare deve essere rimesso al centro dell'agenda politica di Governo, con una programmazione sanitaria e finanziaria volta prioritariamente a salvaguardare e rendere efficiente la prevenzione e l'accesso alla cura in ambito pubblico;
    il nuovo provvedimento contenuto nello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che sostituisce integralmente il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001, recante «definizione dei livelli essenziali di assistenza» in attuazione della legge di stabilità 2016, ha stanziato 800 milioni di euro annui per l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza. Tuttavia, i cambiamenti introdotti dal nuovo schema di decreto in materia di servizi e le prestazioni garantite ai cittadini, pare non ridefiniscano le prestazioni attività per quanto attiene alle cure palliative ospedaliere;
    le cure palliative sono invece una questione urgente e di grande importanza sociale inerente al sollievo della sofferenza dei malati gravi in tutti i setting di cura, infatti i bisogni di cure palliative non sono affatto una problematica esclusivamente territoriale, come purtroppo dimostrano anche recenti fatti di cronaca;
    il vero obiettivo delle cure palliative è proprio quella «umanizzazione delle cure», posta come principio ispiratore gli standard ospedalieri che purtroppo ne omettono il riferimento proprio all'interno delle strutture nosocomiali;
    se non saranno apportati i necessari correttivi ai nuovi livelli essenziali di assistenza – e poi a cascata allo stesso regolamento degli standard ospedalieri –, le cure palliative non rientreranno fra le discipline garantite negli ospedali, pur essendo necessarie per tutti quei pazienti affetti da gravi malattie, che possono presentare sin dalle loro fasi precoci e lungo tutto il successivo percorso di cura specifica, importanti algie od altre sintomatologie il cui trattamento è peraltro sancito come obbligo dalla legge n. 38 del 2010 in ogni setting di cura;
    l'attività professionale prevista dal nostro ordinamento di intramoenia, così come di extramoenia esercitata dai medici del Servizio sanitario nazionale è per i presentatori del presente atto di indirizzo un'evidente forma di conflitto d'interessi, in particolare perché attualmente contribuisce esplicitamente a all'allungamento delle liste d'attesa minando il diritto alla salute di tutti. Quindi, andrebbe quantomeno stabilito, come priorità inderogabile rientrante esplicitamente nei livelli essenziali di assistenza l'abbattimento delle stesse liste d'attesa, stabilendone il livello massimo accettabile a seconda degli ambiti patologici prima di concedere la eventuale possibilità di quote di attività a pagamento che rischiano altrimenti di sottrarre personale sanitario all'attività di cura che deve essere garantita a tutti i cittadini;
    un modello di sanità pubblica che include la possibilità di esercitare la professione privatamente, soprattutto senza prima verificare l'adeguatezza dell'assolvimento dei bisogni essenziali nelle tempistiche corrette richieste dalle varie patologie, è in contrasto, per i presentatori del presente atto con i principi di equità e solidarietà che ispirano il Servizio sanitario nazionale, fino a compromettere il rapporto di fiducia e di stima che si devono stabilire tra chi ha bisogno di cure e il suo medico poiché si discriminano i cittadini tra loro per il reddito e il diritto alla salute che invece è uguale per tutti come sancisce la nostra Costituzione;
    infine si pone la questione della negazione di alcuni diritti alle donne in materia di autodeterminazione. Con la legge n. 194 del 1978, si è sancito il diritto della donna di poter scegliere se interrompere volontariamente una gravidanza. Tuttavia, è noto che tale diritto risulta di fatto violato per i presentatori del presente atto, a causa dell'altissima presenza nelle strutture pubbliche ospedaliere di medici ginecologi e personale paramedico obiettore di coscienza;
    come è noto però, alcuni medici nelle strutture pubbliche applicano senza indugi la legge n. 194 del 1978 dichiarandosi obiettori, mentre non hanno remore a esercitare l'applicazione della legge nelle strutture a pagamento;
    purtroppo, la quasi totalità del medici obiettori fa sì oltretutto che, mentre da un lato diminuisce l'offerta del pubblico, dall'altro, aumentano le interruzioni di gravidanza clandestina o casi di donne che si procurano l'aborto a casa prendendo pillole che si possono acquistare via internet o direttamente in farmacia;
    inoltre, le strutture ospedaliere pubbliche per garantire il servizio d'interruzione volontaria di gravidanza sono spesso costrette a ricorrere alle prestazioni dei «gettonisti» oppure a richiamare in servizio i medici in pensione con il conseguente aggravio della spesa sanitaria;
    si ricorda al proposito la recente e triste vicenda di una donna deceduta dopo aver partorito i due gemelli morti che portava in grembo da cinque mesi – che a detta dei famigliari e dell'avvocato che li assiste – per il probabile mancato intervento del medico di guardia obiettore. Quanto accaduto è molto grave soprattutto perché viene dimenticato che, prima di tutto, va garantito l'accesso ai servizi sanitari che la legge vigente impone in materia di diritto alla salvaguardia della salute;
    con la legge n. 194 del 1978 sono nati i consultori, strutture pubbliche di aiuto, cura e sostegno alla contraccezione, prevenzione e sensibilizzazione di malattie sessuali. I consultori, tuttavia, sono sempre più destituiti nelle loro mansioni, senza considerare il fondamentale ruolo che rivestono. Occorre investire maggiormente in tale ambito poiché è necessario riconoscere l'importantissimo ruolo degli operatori che vi prestano servizio, garantendo altresì la presenza di personale non obiettore;
    le campagne nazionali messe in campo di recente dal Ministero della salute dimenticano la realistica e spesso drammatica situazione nella quale vivono le donne: mancanza di occupazione, disuguaglianza salariale rispetto all'uomo, mancanza di sostegno economico e nessuna tutela dei diritti riproduttivi e sessuali;
    si ritiene bensì essenziale avviare incontri formativi di educazione sentimentale e sessuale nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, con l'obiettivo di sensibilizzare i giovani a un corretto rapporto sentimentale e volti anche alla prevenzione del bullismo e violenza di genere,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per superare le diseguaglianze regionali, in primo luogo mediante l'abolizione del ticket fisso di dieci euro su tutto il territorio nazionale;
2) ad avviare una programmazione che determini un contenimento delle liste di attesa in ambito sanitario, favorendo un corretto uso di tutte le risorse del Servizio sanitario nazionale in una logica di integrazione e sinergia del sistema e erogativo fra le diverse strutture operanti sul territorio;
3) ad assumere iniziative per apportare le giuste modifiche alle misure di esenzione dalla compartecipazione alla spesa sanitaria ai fini dell'esenzione del ticket, dato dalla somma dei redditi lordi dei singoli membri del nucleo famigliare, portando l'esenzione per reddito alla somma di quindicimila euro;
4) ad assumere iniziative per inserire adeguate risorse destinate al Servizio sanitario nazionale con il relativo rilancio delle politiche di finanziamento pubblico al fine di rimodulare i livelli essenziali di assistenza per garantire a tutti i cittadini servizi e prestazioni sanitarie a elevato standard qualitativo di prestazione e assistenza;
5) a garantire, nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in via di presentazione al Parlamento, recante la «Definizione dei Livelli essenziali di assistenza», la previsione esplicita delle cure palliative come livelli essenziali di assistenza in tutte le strutture ospedaliere, e per promuovere l'analoga modifica regolamentare all'interno degli Standard ospedalieri in vigore;
6) a promuovere una politica d'investimenti nel servizio sanitario pubblico che riporti il nostro Paese al livello europeo dei finanziamenti rispetto al Prodotto interno lordo;
7) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché sia elaborato un piano relativo a nuove assunzioni di personale medico e paramedico nelle strutture sanitarie pubbliche al fine di assicurare ai cittadini le prestazioni specialistiche e non solo quelle essenziali e garantire un elevato standard di cura;
8) ad avviare le opportune iniziative normative per garantire a tutti i cittadini il diritto all'accesso alla cura su tutto il territorio nazionale al fine di evitare differenziazioni in base alla condizione economica, nonché al fine di garantire la tutela della salute promuovendo la soppressione della libera professione intramoenia nel Servizio sanitario nazionale o almeno la sua severa regolamentazione, consentendola solo quale surplus dopo l’«abbattimento» delle liste d'attesa a livelli congrui per ogni patologia;
9) a garantire in tutte le strutture ospedaliere la piena applicazione della legge n. 194 del 1978 sull'interruzione volontaria di gravidanza nel totale rispetto della libertà delle donne, garantendo almeno il cinquanta per cento di personale medico e paramedico non obiettore;
10) ad assumere iniziative affinché sia assicurata per un'adeguata programmazione per garantire e ampliare l'effettivo miglioramento dei servizi per quanto concerne la salute sessuale e riproduttiva;
11) ad assumere tutte le iniziative volte a rendere i consultori un luogo privilegiato per la corretta educazione alla sessualità, alle prevenzione di malattie trasmissibili sessualmente e alla maternità consapevole;
12) ad assumere iniziative per migliorare e potenziare le attività dei consultori, individuando altresì le procedure volte a garantire la presenza di medici non obiettori;
13) a promuovere incontri formativi nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, volti all'educazione sessuale e sentimentale e al contrasto della violenza di genere, mediante la collaborazione dei consultori.
(1-01402) «Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino, Artini, Baldassarre, Bechis, Segoni, Turco».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 32 della Costituzione tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti;
    con la legge n. 833 del 1978 è stato istituito il Servizio sanitario nazionale (Ssn) in attuazione di quanto disposto dal dettato costituzionale;
    il Servizio sanitario nazionale ha come principio fondante l'accesso universalistico delle prestazione sanitarie;
    l'articolo 117 della Costituzione, lettera m) attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato «la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale»;
    il medesimo articolo 117 della Costituzione stabilisce che la tutela della salute appartiene alla cosiddetta legislazione concorrente tra lo Stato e le Regioni;
    con il decreto legislativo n. 502 del 30 dicembre 1992: «Riordino della disciplina in materia sanitaria a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, riguardante deleghe al Governo per la razionalizzazione e le revisioni delle discipline in materia di sanità, pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale», venne sancita la gestione aziendale del Servizio sanitario nazionale, con conseguente finanziamento di tutte le prestazioni erogate dal Ssn a totale carico dello Stato;
    il decreto legislativo n. 229 del 19 giugno 1999 apporta varie modifiche al decreto legislativo n. 502 del 1992 tra cui quella riguardante le prestazioni sanitarie inserite nei livelli essenziali di assistenza che non sono più finanziate da sole risorse pubbliche ed interamente a titolo gratuito ma: «a titolo gratuito o con partecipazione alla spesa, nelle forme e secondo le modalità previste dalla legislazione vigente». Praticamente in tal modo si dà vita all'introduzione dei ticket;
    a partire dal 1o gennaio 2001 è stato soppresso il vincolo di destinazione del Fondo sanitario nazionale e conseguentemente i vincoli di destinazione dei fondi sanitari regionali, dando così avvio all'obbligo da parte delle regioni di coprire gli eventuali disavanzi di gestione annuale quasi sempre realizzati attraverso l'aumento delle addizionali regionali (Irpef, Irap, Accise sui carburanti);
    la spesa sanitaria rappresenta oltre l'80 per cento dei bilanci delle regioni;
    la modifica del Titolo V della seconda parte della Costituzione, unitamente alla modifica dei criteri e dei pesi per il riparto del fondo sanitario tra le regioni determinata dal comma 3h) dell'articolo 1 della legge n. 662 del 1996, hanno determinato la nascita di 21 sistemi sanitari diversi nel nostro Paese;
    in particolare, la modifica dei criteri e dei pesi per il riparto del Fondo sanitario nazionale ha comportato che tra due regioni a parità di abitanti si realizzasse, mediamente, una differenza di assegnazione di risorse per la sanità di 400 miliardi di euro. Così si inizia a dare vita ad una sanità di «serie a» e ad una di «serie b» nel nostro Paese;
    va constatato il fallimento dell'aziendalizzazione, inoltre, si rilevano il continuo riscontro di fenomeni sempre più frequenti di scandali e corruzione, la totale assenza di attuazione di misure anticorruzione;
    il presidente dell'Anac Raffaele Cantone è intervenuto più volte per denunciare fenomeni di pessima gestione in tale contesto (proroghe, corruzione dilagante, acquisti senza gare d'appalto, sprechi, e altro);
    le cronache ci consegnano giornalmente disservizi di ogni genere, casi di malasanità con morti soprattutto nelle regioni del sud che, per loro inadempienza, non sono riuscite ad utilizzare le risorse messe a disposizione dallo Stato per l'edilizia sanitaria e per l'innovazione tecnologica;
    si riscontra una mobilità passiva sempre più crescente da sud a nord, tanto da poter affermare che il Servizio sanitario di diverse regioni del nord si finanzia con significative risorse delle regioni del sud;
    le pessime gestioni da parte di molte regioni hanno provocato una massiccia introduzione di superticket su tutte le prestazioni prorogate dal Servizio sanitario nazionale;
    si rilevano inoltre aumenti dei farmaci al punto che molti cittadini pur avendo necessità di curarsi non possono più farlo a causa della mancanza delle risorse economiche necessarie;
    pertanto risulta essere compromesso sia il rispetto dell'articolo 32 della Costituzione e sia il principio dell'accesso universalistico delle prestazioni sanitarie;
    in molte regioni i distretti socio-sanitari risultano istituiti solo sulla carta poiché non erogano le necessarie prestazioni sanitarie e sociali;
    si riscontra il mancato potenziamento della medicina territoriale;
    i consultori familiari in molte regioni del sud risultano sprovvisti delle attrezzature per un corretto funzionamento;
    in molte Asl, l'acquisizione di dispositivi medici avviene senza espletamento di regolari gare di appalto;
    molti servizi (di ristorazione – pulizia – guardiania – lavanderia) sono in moltissime Asl in regime di proroga, mediamente da oltre 10 anni;
    la gestione del personale, dal punto di vista organizzativo e funzionale, risulta essere fortemente carente in molte regioni, con la conseguente creazione di precariato sempre più crescente,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per potenziare l'assistenza territoriale, le reti di poliambulatori collegati in rete con gli ospedali e nuove modalità organizzative funzionali, in modo da poter erogare le prestazioni sanitarie necessarie nell'arco delle 24 ore;
2) a garantire livelli essenziali di assistenza in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale;
3) a modificare, d'intesa con il sistema delle regioni, i criteri ed i pesi attualmente individuati ed utilizzati per il riparto tra le regioni del fondo sanitario nazionale, in modo da avere una distribuzione più equa dello stesso fondo;
4) ad assumere iniziative per aumentare le risorse destinate alle non autosufficienze;
5) a valutare l'opportunità di individuare, d'intesa con le regioni, un nuovo modello per l'erogazione delle prestazioni di assistenza domiciliare per le persone affette da grave disabilità;
6) ad assumere iniziative per rifinanziare il fondo per il rimborso alle regioni per l'acquisto di medicinali innovativi, istituito con la legge di stabilità 2015;
7) a consentire l'utilizzo di farmaci antivirali ad azione diretta contro il virus dell'epatite c ai pazienti che ne risultano essere affetti;
8) a valutare l'opportunità, d'intesa con le regioni, di abolire il «superticket» per le prestazioni specialistiche di pronto soccorso;
9) ad assumere le iniziative di competenza per prevedere un meccanismo sanzionatorio nei confronti delle regioni che non hanno provveduto all'adozione degli strumenti organizzativi funzionali previsti dall'Anac per prevenire la corruzione nelle asl.
(1-01403) «Palese, Altieri, Bianconi, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).


MOZIONI FEDRIGA ED ALTRI N. 1-01287 E DADONE ED ALTRI N. 1-01401 CONCERNENTI INIZIATIVE A SOSTEGNO DEI CITTADINI COLPITI DALLA CRISI ECONOMICA, ANCHE IN RELAZIONE ALLE RISORSE ATTUALMENTE DESTINATE ALL'ACCOGLIENZA DEI MIGRANTI EXTRACOMUNITARI

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    dal 2008 è presente una gravissima crisi economica internazionale che ha colpito in modo particolare anche alcuni Paesi dell'area dell'Unione europea. L'attuale congiuntura economica, superiore, per intensità, durata e diffusione nei mercati globali a quella del 1929, ha investito anche il nostro Paese;
    dal dicembre 2011 i Governi che si sono succeduti hanno inasprito le azioni fiscali contro le imprese e di conseguenza contro i lavoratori, con la scusa dell'imminente default e la necessità e l'urgenza di intervenire al fine di trovare la giusta stabilità nei conti;
    una crisi provocata dalle banche e dalla finanza sta distruggendo l'economia reale e sta mettendo in ginocchio la gente comune, colpita da manovre economiche che aumentano la pressione fiscale diretta ed indiretta e causano l'aumento indiscriminato dei prezzi, anche dei prodotti di prima necessità, con una significativa perdita di potere di acquisto da parte delle famiglie;
    la crisi economica ha avuto origine dal crollo dei mutui sub-prime dell'estate 2007 e il conseguente fallimento a catena di alcune banche di affari (la più importante la Lehman Brothers, quarta banca americana) che senza alcuna regolamentazione e per giunta con la copertura ufficiale delle agenzie private di certificazione attuavano una leva finanziaria di 1 a 30;
    gli esperti hanno individuato da subito tra le cause principali della crisi economica il fallimento di un modello di mercato senza regole nel quale le istituzioni hanno abdicato al loro ruolo di garanti rispetto al potere esercitato dalla finanza e dalla grande industria. Un cancro diffuso in tutti i settori ma che vede il concentrarsi delle sue metastasi proprio in quelle operazioni speculative messe in atto dalle agenzie di intermediazione finanziaria;
    la tanto decantata autoregolamentazione del mercato si è dimostrata totalmente incapace di mantenere il sistema su binari funzionanti;
    il sistema finanziario e monetario, sempre più deregolamentato e sottratto ai controlli, ha minato ogni forma di governance dando così origine ad una serie di bolle finanziarie e fagocitando i settori industriali, commerciali e agricoli produttivi;
    il tessuto imprenditoriale, costituito in Italia per più del 95 per cento da piccole e medie imprese, ha risentito e continua a risentire del fenomeno del credit crunch, un fenomeno che ha portato alla chiusura di molte imprese che non hanno ricevuto dagli istituti di credito il necessario e, in questo periodo, vitale supporto finanziario per il proprio ciclo produttivo;
    i dati forniti dal Governo sulla ripresa economica del nostro Paese sono notoriamente ottimistici e si scontrano con un'evidente realtà di diffuso disagio sociale;
    il nostro è il Paese con l'imposizione fiscale più alta nell'area dell'Unione europea, condizione che spinge molte imprese a delocalizzare verso Paesi vicini come la Svizzera, l'Austria, la Slovenia, la Slovacchia, la Francia e, nell'area extra-Unione europea, la Serbia;
    nella fase di congiuntura economica che ha investito il nostro Paese i Governi che si sono succeduti hanno adottato una politica di contenimento dei costi che ha generato tagli ingenti ai finanziamenti diretti agli enti locali, con conseguente difficoltà da parte delle amministrazioni comunali nella gestione degli interventi diretti ai servizi ai cittadini secondo standard di qualità, efficienza ed efficacia;
    i continui flussi migratori verso il nostro Paese di cittadini stranieri provenienti dai Paesi extracomunitari determinano una serie di problemi in campo assistenziale, nell'area socio-sanitaria e in quella più ampia e complessa dell'integrazione;
    le risorse impiegate dai comuni e dalle loro associazioni per i servizi erogati ai cittadini stranieri rappresentano circa il 3 per cento della spesa sociale complessiva, per un valore di circa 190 milioni di euro. Tra i vari tipi di azioni a sostegno degli immigrati, al primo posto in termini di spesa vi sono gli interventi e i servizi, dove confluisce circa il 40 per cento delle risorse. Gli interventi specifici offerti dai comuni per l'integrazione sociale dei soggetti a rischio coinvolgono ogni anno circa 160 mila utenti. Inoltre, circa il 35 per cento della spesa destinata all'area immigrazione è impiegato dai comuni per la gestione di strutture residenziali, che accolgono circa 12 mila ospiti con una spesa media di circa 3.200 euro l'anno per utente;
    in un anno circa 4 mila soggetti beneficiano del pagamento di rette per il soggiorno in strutture di tipo privato, con una spesa media di circa 3.600 euro l'anno per assistito. A questo tipo di supporto si deve aggiungere la gestione delle aree attrezzate per i nomadi. Le risorse rimanenti sono erogate sotto forma di contributi in denaro (29,2 per cento della spesa per immigrati), principalmente finalizzati alla copertura dei costi per l'alloggio (oltre 24 mila beneficiari) e all'integrazione del reddito (quasi 20 mila beneficiari). Considerata l'esigenza dei comuni di far fronte alle necessità per la messa a punto di servizi specifici diretti a far fronte all'impatto sociale dovuto al crescente fenomeno della presenza di cittadini extracomunitari, basti pensare a titolo d'esempio alla tutela dei minori stranieri non accompagnati, è necessario che si sviluppi un intervento strutturale per la condivisione di responsabilità ed oneri tra amministrazione centrale e autonomie locali. In questa particolare fase di congiuntura economica e di tagli alle risorse degli enti locali, si ha il dovere di strutturare delle forme di sostegno per i comuni nella messa a punto di servizi specifici in una logica di standardizzazione nazionale degli interventi, secondo modelli di collaborazione già sperimentati con successo in alcuni settori delle politiche sociali;
    nell'affrontare il tema legato alle immigrazioni sarebbe corretto operare nel rispetto del tradizionale valore dell'ospitalità che da sempre contraddistingue il popolo italiano e l'Europa. Questo significa che il buon padrone di casa deve essere aperto in modo solidale ad aiutare chi in difficoltà richiede ospitalità, facendo in modo che l'ospite venga trattato al pari dei propri familiari. Questo aspetto della tradizione europea trova i suoi limiti propri nel numero delle persone che si riescono e si possono ospitare. È inutile, improduttivo, disumano ospitare più persone di quelle che si riesce ad accogliere destinandole a vivere nelle difficoltà e nel disagio, minando allo stesso tempo il bene dei componenti della propria famiglia. Questo elementare principio che appartiene alla cultura classica dovrebbe far ben comprendere come sia impossibile non determinare un numero massimo di presenze di extracomunitari nel territorio italiano;
    l'irresponsabile condotta delle politiche messe in atto per gestire l'enorme flusso migratorio verso il nostro Paese rischia di creare un impatto sociale ingestibile, alimentando l'ingiustizia che vivono i cittadini italiani in condizioni estreme di disagio e di emergenza abitativa nel trovarsi a constatare come il Governo abbia soluzioni immediate per far fronte ai problemi di vitto e alloggio degli extracomunitari che sbarcano sulle coste italiane;
    i risultati delle politiche in tema di accoglienza, adottate da questo Governo, denotano, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, un vero e proprio fallimento;
    i dati degli arrivi di immigrati nel nostro Paese clandestinamente con le navi (solo via mare 153.842 ingressi nel 2015 e per i primi tre mesi del 2016 già 19.932, con un aumento del 50 per cento rispetto allo stesso periodo del 2015) e della mancata attivazione degli strumenti di respingimento ed espulsione previsti dall'ordinamento nazionale e da quello comunitario (articoli 10 e 13 del decreto legislativo n. 286 del 1998 e della direttiva 2008/115/CE) evidenziano come il fenomeno immigratorio abbia assunto ormai la dimensione di una vera e propria invasione programmata del territorio italiano;
    il sistema di accoglienza, a seguito anche delle ultime modifiche apportate con il decreto legislativo n. 142 del 2015, si articola in un sistema complesso che, oltre alla primissima accoglienza nei cosiddetti hotspot, si distingue in «prima accoglienza» assicurata nelle strutture governative di cui all'articolo 9, in «seconda accoglienza» nelle strutture di cui all'articolo 14 e, nei casi di emergenza e di indisponibilità nelle precedenti strutture, in quelle di cui all'articolo 11 (CAS), che dovrebbero essere temporanee ma che di fatto sono diventate le più numerose ed utilizzate, registrando all'11 aprile 2016 139.215 presenze su un totale di 168.750 immigrati accolti nel sistema di accoglienza;
    chiunque arriva nel nostro Paese, indipendentemente dalla nazionalità e dalle modalità di ingresso, può presentare, in qualsiasi momento e senza limiti di tempo o preventivo controllo di ammissibilità, una domanda di protezione internazionale che di fatto blocca qualsiasi procedura di espulsione e il mantenimento gratuito del richiedente fino alla conclusione della procedura d'esame della domanda, che dura in media circa nove mesi;
    alla presentazione della domanda di protezione internazionale il richiedente asilo nelle strutture di accoglienza ha diritto, secondo quanto previsto già dalla circolare del Ministero dell'interno dell'8 gennaio 2014, ad una serie di servizi comprensivi di pulizia dei locali e lavanderia, erogazione dei pasti, prodotti per l'igiene personale, vestiario adeguato alla stagione, una ricarica telefonica di 15 euro all'ingresso, assistenza linguistica e culturale, sostegno socio-psicologico, assistenza sanitaria, «orientamento al territorio» e un pocket money di euro 2,5 al giorno per le spese personali;
    lo Stato corrisponde agli enti gestori delle strutture di accoglienza in media 35 euro al giorno per ogni richiedente ospitato e spesso si registrano situazioni di mancanza di meccanismi di controllo e monopoli da parte di associazioni e cooperative che gestiscono, anche in diverse province e regioni, numerosi centri di accoglienza e in alcuni casi senza partecipare ad alcun bando, ma per assegnazione diretta da parte delle prefetture;
    tale giro di denaro ha creato un vero e proprio business intorno al fenomeno migratorio;
    secondo gli ultimi dati disponibili, nel 2016, fino ad aprile, di tutte le domande di asilo solo al 3 per cento dei richiedenti è stato riconosciuto lo status di rifugiato;
    pare che il fallimento della procedura di ricollocazione (decisioni n. 2015/1523 del Consiglio del 14 settembre 2015 e n. 2015/1601 del Consiglio del 22 luglio 2015) – che avrebbe dovuto comportare il trasferimento presso altri Paesi europei in totale di 160.000 richiedenti asilo di nazionalità siriana, irachena ed eritrea, di cui 39.600 dall'Italia – sarebbe da ricondurre anche al fatto che nel nostro Paese giungono, sempre in maggior numero, «richiedenti asilo» ivoriani, senegalesi e gambiani, nazionalità non indicate nel programma di ricollocazione e con i cui Stati l'Italia non ha attivato accordi di identificazione e riammissione;
    dall'avvio del piano di ricollocamento cosiddetto Junker gli Stati membri dell'Unione europea hanno rinviato in Italia, a fronte dei 580 ricollocati in Germania, Romania, Francia, Portogallo, Finlandia e Olanda, ben 1.101 immigrati irregolari, ossia circa il doppio. Nei primi sette mesi del piano pare siano 23.468 gli immigrati clandestini rintracciati nello spazio europeo che, secondo quanto dispone «Dublino III» (regolamento n. 604/2013), devono essere riammessi in Italia e di conseguenza le richieste in tal senso avanzate sono 4.219 dalla Germania, 4.704 dalla Svizzera, 1.921 dalla Francia e 1.669 dall'Austria;
    dunque, sebbene lungo la rotta ovest dei Balcani la situazione sembra risolta grazie alla volontà e alle iniziative dei Paesi posti su tale confine a difesa del proprio territorio a fronte dell'inerzia dell'Unione europea, perdurando però il massiccio arrivo di immigrati, agevolato dal permeabile confine marittimo italiano, sei Paesi dell'Unione europea, ossia Germania, Francia, Austria, Belgio, Svezia e Danimarca, chiederanno alla Commissione europea di prolungare di sei mesi, a partire dalla metà di maggio 2016, i controlli alle loro frontiere;
    secondo i dati forniti da Frontex, dopo la chiusura della rotta cosiddetta balcanica gli arrivi via mare nel nostro Paese a marzo 2016 sono stati 9.600, oltre il doppio rispetto a febbraio, con un incremento anche dall'Egitto;
    secondo i dati dell'ufficio statistico europeo, l'Italia è tra i Paesi maggiormente coinvolti nel problema immigrazione, quello che rimpatria meno immigrati clandestini: nel 2015 in Italia le espulsioni sono state 26.058, ma gli effettivi rimpatri 11.944, a fronte, ad esempio, degli 86.000 della Francia e dei 65.000 della Gran Bretagna;
    i sindaci nel loro ruolo di primi cittadini sentono il peso delle diffuse problematiche sociali che colpiscono direttamente il territorio amministrato, quali la disoccupazione giovanile, le difficoltà economiche dei residenti anziani, l'emergenza abitativa delle famiglie e l'aumento esponenziale di situazioni e condizioni di povertà, e si sentono abbandonati dall'amministrazione centrale nella risoluzione diretta a tali problematiche;
    è doveroso porre la giusta attenzione all'inarrestabile continua richiesta di aiuto da parte degli amministratori locali che cercano di trovare soluzioni all'ingiustizia, che vede, da un lato, il Governo destinare ingenti risorse economiche per la presa in carico dei cittadini extracomunitari e, dall'altro, una diffusa disattenzione per il disagio sociale dei cittadini italiani;
    molti sindaci hanno avviato ufficialmente un processo di democrazia partecipata per farsi supportare con un mandato ufficiale dai cittadini per proporre, con forza, al Governo di stornare almeno in parte le risorse economiche destinate all'accoglienza dei cittadini extracomunitari per destinarle ad aiuti concreti alla comunità cittadina che soffre,

impegna il Governo

1) a sostenere l'iniziativa dei sindaci finalizzata ad un riconoscimento ufficiale delle vittime della crisi economica, mettendo in atto le dovute iniziative per la presa in carico di questa particolare categoria, stornando parte delle risorse necessarie da quelle destinate all'assistenza degli extracomunitari richiedenti protezione umanitaria.
(1-01287) «Fedriga, Grimoldi, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    la crisi finanziaria dei subprime – prestiti ad alto rischio finanziario da parte degli istituti di credito in favore di clienti a forte rischio debitorio – scoppiata alla fine del 2006 negli Stati Uniti ha avuto gravi conseguenze sull'economia mondiale, in particolar modo nei Paesi sviluppati del mondo occidentale, innescando un periodo di crisi economia mondiale denominato «la grande recessione»;
    la crisi inizia a produrre i primi evidenti effetti nei primi mesi del 2007;
    nella prima metà del 2008 le principali economie del globo, ivi comprese quelle dei Paesi europei, subiscono un forte rallentamento con un aumento improvviso dell'inflazione;
    una delle cause principali della crisi economica è il fallimento di un sistema finanziario deregolamentato, terreno fertile per bolle speculative, che dopo un'ondata di euforia finanziaria creano il panico, come nel più classico dei «Minsky moment»;
    l'attuale Governo, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, ha costantemente sovrastimato gli effetti delle sue politiche, dimostrando anche scarsa competenza nel riconoscere correttamente la situazione macroeconomica in cui si trovava il Paese, a titolo di esempio il documento di economia e finanza 2014 iniziava con una informazione parziale e pericolosamente fuorviante su una presunta chiusura della fase recessiva italiana nel terzo trimestre 2013. In realtà, come indicato dalla relazione di minoranza al documento in questione a prima firma Castelli, ci si trovava di fronte a una recessione a «doppia v» (double-dip recession), ovvero una situazione, in cui a un lungo periodo di recessione, segue una ripresa illusoria che prelude una seconda recessione;
    dal Governo Monti 2011, tutti gli Esecutivi che si sono succeduti, ivi compreso l'attuale, hanno puntato su deleterie politiche di austerity che hanno innescato un inasprimento della pressione fiscale verso aziende e cittadini, distruggendo l'economia reale. Tale politica di contenimento dei costi ha generato ingenti tagli ai finanziamenti diretti agli enti locali, con conseguenti difficoltà per le amministrazioni comunali di mantenere degli standard di qualità accettabile nell'erogazione dei servizi al cittadino, ivi compresi i servizi minimi essenziali;
    come emerge dal rapporto Caritas 2016, il numero degli italiani indigenti è aumentato di molto; infatti, il numero di persone che nel 2012 si rivolgono alla Caritas, rispetto al 2008, è quasi quadruplicato;
    i continui flussi migratori verso il nostro Paese di cittadini stranieri in cerca di un «rifugio» o di una «opportunità» sono aumentati negli ultimi anni, stando al XXV rapporto Caritas, dal 2014 al 2015, gli stranieri residenti in Italia sono aumentati dell'1,9 per cento, passando da 4 milioni e 922 mila a poco più di 5 milioni;
    quella che i firmatari del presente atto di indirizzo giudicano evidente incapacità del Governo nell'inquadrare correttamente la situazione economico-sociale che si è delineata nel mondo, in Europa e nel nostro Paese, una fallimentare condotta nella gestione e risoluzione delle problematiche, le difficoltà legate al progressivo e costante impoverimento dei cittadini italiani che si sono mal combinate con le emergenze connesse all'accoglienza degli stranieri suscitando strumentalizzazioni filo-razziste e filo-populiste vessatorie nei confronti degli immigrati, rischiano di generare una inutile «guerra tra poveri» i cui beneficiari risulteranno essere, da un lato, il Governo, che avrà una scusa pronta per innalzare le imposte o ridurre i servizi erogati sul territorio, siano essi destinati agli stranieri o meno, e, dall'altro, le forze politiche che cavalcheranno l'ondata di razzismo per ottenere qualche «zerovirgola» in più nei sondaggi elettorali;
    l'incapacità della cosiddetta «maggioranza» nel compenetrarsi nella drammatica situazione in cui vive la maggioranza dei cittadini si esplica, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, anche nell'incapacità, dimostrata in questi giorni in questa sede, di dare il buon esempio tramite una riduzione delle indennità che i componenti del Parlamento ricevono mensilmente,

impegna il Governo:

1) ad attivarsi, anche in sede europea, affinché le ricadute dell'emergenza immigrazione siano rese sostenibili attraverso un'equa e solidale distribuzione delle responsabilità che tale emergenza comporta tra tutti i Paesi aderenti all'Unione europea;
2) al fine di arginare l'impoverimento provocato dalla recessione e dalle politiche di austerity nonché a scongiurare un'iniqua «guerra tra poveri», ad assumere iniziative per introdurre il reddito di cittadinanza con un supporto economico mensile congruo per i soggetti disoccupati, inoccupati, nonché lavoratori precari e percettori di trattamenti minimi di quiescenza, anche valutando di adottare le proposte già presentate dal Gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle.
(1-01401) «Dadone, Brescia, Lombardi, Cecconi, Cozzolino, D'Ambrosio, Dieni, Nuti, Toninelli, Cariello, Brugnerotto, Caso, Castelli, D'Incà, Sorial».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).