XVII LEGISLATURA
ATTI DI INDIRIZZO
Mozione (ex articolo 115, comma 3, del regolamento):
La Camera,
premesso che:
l'Italia soffre una condizione ormai strutturale di crisi occupazionale che la relega in basso nelle statistiche internazionali per tasso di occupazione (nel 2015 scarsamente intorno al 60 per cento rispetto all'80,5 per cento della Svezia, al 78 per cento della Germania, al 76,9 per cento del Regno Unito) e al vertice di quelle per tasso di disoccupazione (ormai stabile la doppia cifra con un tasso che va ben oltre l'11 per cento); drammatici sono i picchi di quella giovanile che hanno quasi sfiorato nell'estate 2016 il 40 per cento (dati Istat);
il risultato più evidente di tale crisi è la perdurante condizione di incertezza economico-finanziaria in cui versa la stragrande maggioranza delle famiglie italiane senza considerare che circa il 20 per cento della popolazione è a rischio di povertà, ben al di sopra della media europea (rapporto Bes 2016). Una precarietà messa a sistema che colpisce prioritariamente giovani e donne, spingendo ai margini del mercato del lavoro gli over 50 rimasti disoccupati e, al tempo stesso, incatenando gli over 60 al posto di lavoro;
si è venuta a creare in tal modo una preoccupante combinazione: nessuna tutela, tanta precarietà e scarso potere d'acquisto, contro cui solo i giovani tentano di resistere scegliendo la strada dell'espatrio in cerca di Paesi in cui si possa lavorare per vivere e non viceversa;
alla base della crisi dei consumi e degli smottamenti sociali che si registrano appare sempre più evidente e oggettiva la responsabilità del Governo Renzi e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti, che – nonostante ciò – ricopre il medesimo incarico nell'attuale Governo Gentiloni;
il Ministro, infatti, promotore del cosiddetto Jobs Act ha sistematizzato la precarietà occupazionale incentivando il ricorso al lavoro accessorio e ai voucher. Contemporaneamente, con l'adozione di incentivi a scadenza per l'assunzione a tempo indeterminato ha contribuito, ad avviso dei firmatari del presente atto, a «drogare» i dati rilevati nell'arco del primo anno di entrata in vigore delle disposizioni che hanno fatto registrare un apparente quanto fraudolento aumento di occupati;
come più volte denunciato dai firmatari del presente atto, infatti, tra gli occupati rilevati si nascondevano i nomi dei precari stabilizzati «a orologeria» perché sarebbero stati licenziati al termine del triennio di incentivi; si trovavano altresì i precari strutturali perché sfruttati attraverso i voucher; nonché la platea delle «false» partite iva obbligate a lavorare con i vincoli del lavoro dipendente ma senza le medesime garanzie;
il Ministro, a giudizio dei firmatari del presente atto, ha mentito sapendo di mentire, impiegando i dati e le informazioni falsate dal suo stesso Jobs Act per fini di marketing politico-elettorale, ma è bastato attendere per vedere la realtà dei fatti come reso noto dall'ultima rilevazione Inps che, con riferimento ai primi dieci mesi del 2016, ha evidenziato: l'aumento rilevante (+27 per cento) dei licenziamenti disciplinari; l'aumento rispetto al 2015 dei licenziamenti di lavoratori assunti a tempo indeterminato e il boom dei voucher (+32,3 per cento) rispetto al 2015 quando si registrò il +67,6 per cento rispetto al 2014;
a qualche giorno dalla sua conferma nel medesimo ruolo, il 19 dicembre 2016, con riferimento ai giovani che scelgono di espatriare in cerca di lavoro il Ministro dichiarava: «Se ne vanno 100 mila, ce ne sono 60 milioni qui: sarebbe a dire che i 100 mila bravi e intelligenti se ne sono andati e quelli che sono rimasti qui sono tutti dei “pistola”. Permettetemi di contestare questa tesi – aggiungendo – conosco gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi». Una triste affermazione che appare coerente solo se considerata nell'irrispettoso solco tracciato già in precedenza da altri Ministri secondo i quali i giovani italiani sarebbero dei «bamboccioni», dei «choosy» e ora dei soggetti sgraditi;
i giovani italiani che per sopravvivere non trovano altre soluzioni che lasciare il proprio Paese non meritano il trattamento riservato loro dal Ministro;
lo stesso Ministro, che avrebbe dovuto rappresentare una figura chiave della compagine governativa di entrambi i Governi nonché elemento di equilibrio politico nei rapporti con tutte le forze parlamentari, ed è chiamato ad essere e ad apparire trasparente rispetto ai propri atti, ai propri impegni ed ai propri comportamenti, ad avviso dei firmatari del presente atto è venuto meno ai suoi doveri essenziali prima mentendo e poi denigrando il popolo italiano;
per tali motivi:
visto l'articolo 94 della Costituzione;
visto l'articolo 115 del Regolamento della Camera dei deputati;
esprime la sfiducia al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti, e lo impegna a rassegnare immediatamente le dimissioni.
(1-01453) «Ciprini, Cominardi, Tripiedi, Lombardi, Chimienti, Dall'Osso, Cecconi, Grillo, Caso, Alberti, Agostinelli, Baroni, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Castelli, Colletti, Colonnese, Corda, Cozzolino, Da Villa, Dadone, Daga, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, L'Abbate, Liuzzi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Nesci, Nuti, Parentela, Petraroli, Pesco, Pisano, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spadoni, Spessotto, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi».
Mozione:
La Camera,
premesso che:
i decreti legislativi n. 180 e n. 181 del 2015 hanno recepito la direttiva 2014/59/UE (del 15 maggio 2014) che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento. Detta direttiva (direttiva BRRD – Bank Recovery and Resolution Directive) affronta il tema delle crisi delle banche approntando strumenti nuovi che le autorità possono impiegare per gestire in maniera ordinata eventuali situazioni di dissesto non solo a seguito del loro manifestarsi, ma anche in via preventiva o ai primi segnali di difficoltà. Essa introduce una molteplicità di strumenti, aventi carattere preventivo, carattere di intervento immediato, così come strumenti di «risoluzione» della crisi;
già nel 2013 la «comunicazione» della Commissione europea aveva disposto l'applicazione immediata di un nuovo regime di burden sharing che imponeva, in caso di crisi di una banca, la condivisione di perdite per azionisti e obbligazionisti subordinati come precondizione per un intervento pubblico;
nel 2014 la BRRD», approvata dal Consiglio e dal Parlamento europeo, ha esteso quello stesso regime, già a partire dal 2016, anche alle obbligazioni ordinarie e ai depositi superiori a 100.000 euro (il bail-in);
in particolare, il decreto legislativo n. 180 del 2015, ha recepito la direttiva BRRD nelle parti relative alla predisposizione di piani di risoluzione, avvio e chiusura delle procedure di risoluzione, adozione delle misure di risoluzione, gestione della crisi di gruppi cross-border, poteri e funzioni dell'autorità di risoluzione nazionale e disciplina del fondo di risoluzione nazionale. Le autorità preposte all'adozione delle misure di risoluzione delle banche potranno attivare una serie di misure, tra cui il temporaneo trasferimento delle attività e delle passività a un'entità (bridge bank) costituita e gestita dalle autorità per proseguire le funzioni più importanti, in vista di una successiva vendita sul mercato, il trasferimento delle attività deteriorate a un veicolo (bad bank) che ne gestisca la liquidazione in tempi ragionevoli ed il cosiddetto bail-in, ossia la procedura che consente di svalutare azioni e crediti e convertirli in azioni, per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca difficoltà o una nuova entità che ne continui le funzioni essenziali;
il termine per l'applicazione delle disposizioni relative alle nuove procedure sul bail-in previste dalla direttiva, era fissato al 1o gennaio 2016; la medesima direttiva contiene, all'articolo 129, una clausola di revisione da attivare entro giugno 2018 (non è escluso attivarla prima);
il 21 novembre 2015, per effetto delle nuove norme introdotte, la Banca d'Italia ha avviato quattro procedure di risoluzione – ai sensi del decreto legislativo n. 180 del 2015 – nei confronti della Banca delle Marche, della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, della Cassa di Risparmio di Ferrara e della Cassa di Risparmio della provincia di Chieti, tutte in amministrazione straordinaria. Con le norme del cosiddetto «decreto Salva-banche» (ovvero il decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183), poi confluite, all'interno della legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015), sono stati costituiti ex lege gli enti-ponte previsti dai provvedimenti di avvio della risoluzione dei suddetti istituti bancari, con l'obiettivo di mantenere la continuità delle funzioni essenziali precedentemente svolte dalle medesime banche e, quando le condizioni di mercato saranno adeguate, di cedere a terzi le partecipazioni al capitale o i diritti, le attività o le passività acquistate, in conformità con le disposizioni del citato decreto legislativo n. 180 del 2015. Il provvedimento ha previsto, inoltre, che il finanziamento delle procedure di risoluzione fosse assicurato dal fondo di risoluzione nazionale, istituito ai sensi dell'articolo 70 del decreto legislativo n. 180 del 2015 dalla Banca d'Italia, alimentato dallo stesso sistema bancario mediante contribuzioni ordinarie e straordinarie; il piano di cessione delle quattro «good bank» non è però stato svolto, per via dell'inappetibilità di tali istituti agli occhi degli investitori istituzionali, le cui offerte sono state ritenute troppo basse. Attualmente l'unica banca interessata all'acquisto di tre delle quattro banche è UBI, ma le condizioni di acquisto sono inferiori rispetto a quelle preventivate dal Governo, con il rischio di una maxi perdita per il Fondo interbancario a tutela dei depositi che aveva contribuito nel salvataggio degli istituti in dissesto;
le operazioni disposte dal decreto-legge n. 183 del 2015 hanno generato perdite per decine di migliaia di azionisti e obbligazionisti subordinati, per nulla informati dal Governo pro tempore con sufficiente anticipo circa le conseguenze che l'avvento di tali norme avrebbe comportato sui loro risparmi, avendo gli stessi clienti acquistato in buona fede gli strumenti finanziari al tempo in cui la nuova normativa non era ancora stata scritta, prefigurando secondo i firmatari del presente atto di indirizzo una chiara violazione del disposto di cui all'articolo 47 della Costituzione, che tutela il risparmio in tutte le sue forme; le nuove procedure non hanno infatti previsto adeguate tutele del capitale investito in obbligazioni subordinate; i decreti attuativi sugli arbitrati, inoltre, non sono ancora stati emanati dal Ministero dell'economia e delle finanze, obbligando molti azionisti ad optare per la soluzione del rimborso, soltanto parziale delle perdite subite attraverso un procedimento burocratico che si è rivelato lento ed estremamente costoso per alcuni richiedenti, poiché altri sono stati arbitrariamente esclusi per non disporre di requisiti reddituali e patrimoniali sufficienti, in chiara violazione del principio di uguaglianza sancito dall'articolo 3 della Costituzione;
in altre parole, il quadro normativo nazionale, nel dare applicazione alle disposizioni europee in materia di «salvataggi bancari», anche anticipandone di fatto l'entrata in vigore, si è rivelato confuso e particolarmente oneroso per i risparmiatori;
è poi fondamentale evidenziare come, nell'introdurre i delicati cambiamenti a livello europeo sopra ricordati, non si è prestata sufficiente attenzione alla fase di transizione, soprattutto nella parte informativa per i contraenti retail;
come affermato in più occasioni anche dal Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, è evidente come il Governo avrebbe dovuto sostenere con forza che un'applicazione immediata e, soprattutto, retroattiva dei meccanismi di burden sharing fino al 2015 e, successivamente, del bail-in, avrebbe potuto comportare – oltre che un aumento del costo e una rarefazione del credito all'economia – rischi per la stabilità finanziaria, connessi anche col trattamento dei creditori in possesso di passività bancarie sottoscritte anni addietro, in tempi in cui le possibilità di perdita del capitale investito erano molto remote;
sarebbe stato quindi preferibile un passaggio graduale e meno traumatico, tale da permettere ai risparmiatori di acquisire piena consapevolezza del nuovo regime e di orientare le loro scelte di investimento in base al mutato scenario, eventualmente dismettendo le loro attività finanziarie senza perdere il loro valore;
un approccio mirato, con l'applicazione del bail-in solo a strumenti provvisti di un'espressa clausola contrattuale, e un adeguato periodo transitorio avrebbero consentito alle banche di emettere nuove passività espressamente assoggettabili a tali condizioni;
la BRRD contiene una clausola che ne prevede la revisione, da avviare entro giugno 2018. Come sostenuto anche dal governatore Visco, è auspicabile che questa occasione sia ora sfruttata, facendo tesoro dell'esperienza, per meglio allineare la disciplina europea con gli standard internazionali;
i dati del nostro Paese sono evidenti: in Italia la quota del risparmio delle famiglie investita in obbligazioni emesse dalle banche è notevolmente più elevata che nella media dell'area dell'euro; da quando le borse hanno riaperto nel 2016, si è assistito ad un crollo continuo: l'indice azionario del settore bancario ha perduto circa il 37 per cento. I filoni da seguire per dare una spiegazione al fenomeno sono due, intrecciati tra loro: il tema dei crediti deteriorati («Non Performing Loans» – NPL) nei bilanci delle banche e il dibattito sulla «bad bank»; la proposta franco-tedesca di porre, per le banche dei Paesi dell'eurozona, un tetto all'ammontare di titoli del proprio debito sovrano che possono avere in portafoglio («proposta Schäuble»);
il tema dei non performing loans è esploso a seguito dell'improvviso decreto del Governo pro tempore del 22 novembre 2015 con cui sono state «salvate» le quattro banche già menzionate, quando i valori di riferimento utilizzati per la svalutazione dei crediti deteriorati di queste ultime sono stati inopportunamente estesi a tutto il resto del sistema bancario, ed è scoppiata la psicosi per cui bisogna liberarsene subito e a qualsiasi prezzo. Mentre, come sanno bene gli addetti ai lavori, la buona gestione dei non performing loans spesso aiuta i bilanci delle banche;
ma il decreto «salva banche» ha prodotto anche un altro effetto nefasto, che ha influito sul crollo delle borse: il «panico finanziario», noto pure come «corsa agli sportelli». I risparmiatori non si fidano più delle banche italiane, dal momento che 4 istituti sono falliti sul serio, finiti nell'occhio del ciclone e in alcuni casi anche al centro di indagini della magistratura, per cui ritirano i loro depositi;
una soluzione di livello europeo a questo problema è tra i pilastri dell'unione bancaria che si vorrebbe introdurre: è la garanzia comune sui depositi, una sorta di «prestatore di ultima istanza» per cui i depositi bancari sono garantiti dalla piena fede e dal credito dell'Unione europea, prendendo a prestito la definizione utilizzata per definire tale strumento negli Stati Uniti; ma sulla garanzia europea comune sui depositi pesa il veto del Governo tedesco, che per sbloccarli chiede che le banche dei Paesi del sud Europa, Italia in primis, si liberino dei troppi titoli del proprio debito sovrano in portafoglio. Solo quando le banche italiane e greche diventeranno, così, meno rischiose, il Governo tedesco è disposto a partecipare a un fondo comune che garantisca il debito di tutti i Paesi dell'area dell'euro (Germania inclusa). «Liberarsi dei troppi titoli del proprio debito sovrano in portafoglio» significa vendita in blocco di buoni del Tesoro, quindi aumento dell'offerta degli stessi, con conseguente riduzione del prezzo, aumento dei rendimenti, quindi necessità di ricapitalizzazione per le banche, crollo in borsa e per il Paese aumento dello spread: esattamente la stessa sequenza a che nell'estate-autunno del 2011 portò alla crisi che tutti conoscono durante la quale tante imprese italiane sono state acquistate a «prezzi di saldo» dai «predatori» dalla tripla A, e alla caduta di quello che i firmatari del presente atto di indirizzo ritengono l'ultimo Governo democraticamente eletto;
sulle modalità di creazione e funzionamento della bad bank italiana si è aperto un confronto con la Commissione europea, molto serio, sul quale però il Governo pro tempore ha già ceduto senza se e senza ma, evidentemente troppo timoroso di un'eventuale «bocciatura» della legge di stabilità tutta in deficit; da allora, i rapporti con la Commissione europea sono arrivati a un punto di minimo, fattore, questo, che complica ancora di più le negoziazioni con i partner europei. Ne deriva che per finanziare provvedimenti finalizzati ad acquisire consenso, l'Esecutivo ha distrutto e svenduto il sistema bancario italiano, di cui l'andamento in borsa dal 1o gennaio 2016 è la dimostrazione, indebolendo l'intera economia italiana;
sarebbe invece necessario superare qualsiasi atteggiamento di debolezza, e cercare alleanze tra i partner europei per far cadere il veto tedesco sulla garanzia europea comune sui depositi bancari e proporre una moratoria sulla direttiva bail-in. Il modello dovrebbe essere quello degli Stati Uniti, dove il « timing» dell'intervento del Governo è stato l'opposto di, quello, errato, fatto dall'Europa: prima si sono risistemate le banche attraverso l'ingresso del Tesoro, poi con istituti più solidi, rilanciato l'economia in un colpo solo si risolverebbe il problema delle banche e si riuscirebbe a evitare la vendita in blocco di titoli di Stato italiani, con le conseguenze drammatiche che si è avuto modo di conoscere sull'economia e la democrazia italiana;
il Governo deve mettere in atto una importante riflessione in merito alla frettolosa applicazione in Italia del bail-in, alla necessaria non retroattività delle norme derivanti dalla direttiva dell'Unione europea, e, in particolare, valutare con attenzione anche i profili di incostituzionalità di queste ultime rispetto all'articolo 47 della Carta costituzionale, che tutela il risparmio in tutte le sue forme;
è necessario inoltre che si ripensi completamente all'inasprimento delle norme del codice penale relative alle responsabilità degli amministratori degli istituti di credito che, attraverso comportamenti dolosi o colposi, provocano perdite ai loro clienti. L'antiquato sistema giudiziario italiano non si è dimostrato in grado di punire i colpevoli, la qual cosa creerà altri incentivi ad utilizzare il risparmio dei clienti per concedere prestiti senza una seria valutazione del merito di credito o addirittura inserendoli nei circuiti della malavita, come alcuni recenti casi hanno dimostrato;
è pertanto fondamentale porre rimedio ai gravi errori perpetrati dal Governo in tema bancario, in particolare negli ultimi due anni: tutta la copiosa produzione normativa sul tema portata avanti dall'Esecutivo guidato da Matteo Renzi, si è rivelata, infatti, ad avviso sottoscrittori del presente atto di indirizzo, assolutamente inutile e dannosa, in particolare per gli effetti catastrofici prodotti sui risparmiatori e per la tenuta dell'intero sistema bancario;
risale al gennaio 2015 il decreto-legge (decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3) che ha riformato la governance delle banche popolari, imponendo la trasformazione in società per azioni a quelle con attivo superiore agli otto miliardi di euro. Una riforma strutturale adottata attraverso lo strumento del decreto-legge, in un contesto assolutamente privo dei requisiti di necessità ed urgenza. In quell'occasione, l'atteggiamento dell'Esecutivo risultò a dir poco ambiguo. I movimenti dei mercati nei giorni successivi all'emanazione del decreto, evidenziarono chiaramente come l'intervento di riforma approvato dal Consiglio dei ministri fosse stato preceduto da una serie di attività anomale, con sospette operazioni di compravendita di titoli azionari di numerose banche popolari: gli acquisti si erano concentrati sulle banche di modesta dimensione, come la Banca popolare dell'Etruria e del Lazio, il cui valore delle azioni aumentò addirittura del 62,1 per cento in quattro giorni, a fronte di un andamento delle azioni del comparto bancario che registrava un aumento dell'8,68 per cento. L'ulteriore stranezza riguardava il requisito dimensionale individuato, ossia un attivo di 8 miliardi di euro; è così che sono rientrate nelle norme il Credito Valtellinese, la Banca popolare di Bari e l'ormai famosa Banca popolare dell'Etruria e del Lazio;
il secondo intervento, messo in campo sempre attraverso l'utilizzo della decretazione d'urgenza, è stato poi il citato decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183 (poi confluito all'interno della legge di stabilità 2016), strettamente connesso con le procedure di risoluzione avviate dalla Banca d'Italia nei confronti di alcune banche in amministrazione straordinaria (Cassa di risparmio di Ferrara, Banca delle Marche, Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, Cassa di risparmio della provincia di Chieti), che ha determinato la costituzione ex lege degli enti-ponte previsti dai provvedimenti di avvio della risoluzione dei suddetti istituti bancari;
lo scorso febbraio il Governo Renzi ha poi riproposto l'ennesimo intervento in tema bancario, utilizzando ancora una volta lo strumento della decretazione d'urgenza, definendo, attraverso il decreto-legge 14 febbraio 2016, n. 18 (poi convertito dalla legge 3 aprile 2016, n. 49) la riforma delle banche di credito cooperativo;
per non parlare dei continui interventi contenuti in altri provvedimenti, o di quelli che il Governo ha tentato di forzare all'interno della manovra finanziaria, come nel caso della disposizione introdotta nel testo del disegno di legge di bilancio (in materia di contribuzioni addizionali dovute dal sistema bancario al Fondo di risoluzione nazionale) stralciata dalla Commissione bilancio in quanto misura di carattere ordinamentale, e addirittura ripresentata sotto forma di emendamento del decreto fiscale;
un modo di legiferare che appare ai firmatari del presente atto di indirizzo illegittimo, oltre che profondamente sbagliato nei contenuti, come è evidente dalle recenti decisioni del giudice amministrativo, in particolare sul decreto «banche popolari»;
le banche popolari rappresentano una componente fondamentale della cooperazione bancaria italiana, e che, fin dalla loro nascita, hanno svolto e continuano a svolgere un insostituibile ruolo di sostegno alle famiglie e alle imprese, specie le piccole e medie imprese, con evidenti ricadute positive in termini di utilità sociale per il territorio, in un momento particolarmente duro di gravosa congiuntura economica come quello che il Paese ha dovuto affrontare negli ultimi anni;
con riferimento agli interventi sulle banche popolari, e sulla loro trasformazione in società per azioni, il Consiglio di Stato ha di recente rimesso la questione alla Corte costituzionale, evidenziando, tra l'altro, che la riforma è in evidente contrasto con l'articolo 77 della Costituzione, «in relazione alla evidente carenza dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza legittimanti il ricorso alla decretazione d'urgenza», come tra l'altro rilevato dalla pregiudiziale di costituzionalità presentata al riguardo dal Gruppo Forza Italia alla Camera;
restano fermi i profili di incostituzionalità citati e già riscontrati, rilevato che in ogni caso la dimensione, anche rilevante, di una società, non risulta affatto incompatibile con la sua natura cooperativa: è infatti di tutta evidenza che in Europa operano banche cooperative presenti sui mercati internazionali e con attivi che superano ampiamente non solo gli 8 miliardi – di cui al decreto-legge n. 3 del 2015, ma i 1.000 miliardi. È il caso in Francia del Crédit Agricole il cui attivo supera i 1.700 miliardi di euro, del Gruppo BPCE con 716 miliardi, del Crédit Mutuel con 500 miliardi; è il caso in Germania della DZ Bank, con 477 miliardi, in Olanda di Rabobank con 674 miliardi. Le prime cinquanta banche cooperative europee presentano tutte un attivo di gran lunga superiore agli 8 miliardi di euro, con una media pari a 154 miliardi;
la fissazione di una soglia dimensionale di 8 miliardi per il mantenimento dello status di banca popolare cooperativa operata dal decreto-legge n. 3 del 2015 non trova infatti riscontro in alcuna normativa esistente, nazionale o internazionale. L'unico limite riferito alla dimensione nella normativa comunitaria è quello previsto per l'intervento di vigilanza della BCE, laddove si indica il valore di 30 miliardi: si è quindi in presenza di un gap di 22 miliardi, pari al 275 per cento della soglia stessa che contrasta con l'intento dichiarato di adeguarsi agli indirizzi europei ed omogeneizzare il modello societario delle banche assoggettate al meccanismo unico di vigilanza;
tale soglia potrebbe ostacolare il consolidamento tra le banche popolari infrasoglia che potrebbero essere, da una parte indotte a non percorrere le auspicate ipotesi di razionalizzazione, dall'altra costrette a ridurre le erogazioni creditizie per non superare la soglia e rinunciare all'essere cooperative, impedendo così il raggiungimento di un livello attivo più idoneo per la massima efficienza collegata alla dimensione;
in particolare alla luce di tutte le vicende esposte, è ora più che mai necessario che il Parlamento si faccia carico di una vera e propria indagine in ambito bancario, attraverso l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta, per conoscere e accertare prassi o singole condotte inadeguate, illegittime o illecite innanzitutto nei quattro istituti di credito coinvolti nelle procedure di risoluzione, e, più in generale, nei numerosi istituti in crisi, a partire dal Monte dei Paschi di Siena. In particolare in quest'ultimo caso bisogna fare chiarezza su vicende caratterizzate da inchieste giudiziarie, perdite, operazioni finanziarie spericolate e, soprattutto, da rapporti molto poco trasparenti con il mondo politico: un mix micidiale di fattori che ha determinato una crisi, quella del Monte dei Paschi, che appare oggi in grado di coinvolgere l'intero sistema bancario italiano. Bisogna inoltre verificare che le autorità pubbliche di vigilanza – la Banca d'Italia e la CONSOB – abbiano svolto correttamente e coerentemente la loro funzione di garanzia per i risparmiatori, accertando le responsabilità e gli eventuali reati commessi da amministratori e direttori generali delle banche coinvolte nonché da revisori legali dei conti e società di revisione legale, che hanno certificato bilanci evidentemente in dissesto,
impegna il Governo:
1) ad assumere in sede europea ogni iniziativa volta a:
a) modificare, ed eventualmente sospendere l'efficacia della direttiva sul «bail-in», e identificare con precisione le passività bancarie chiamate a sopportare le perdite, escludendo quelle emerse prima dell'entrata in vigore delle nuove norme, per evitare la retroattività di queste ultime, e predisporre strumenti eccezionali di intervento nel caso in cui si ha percezione che il sacrificio di azionisti e creditori derivante dall'applicazione del bail-in metta a repentaglio la stabilità dell'intero sistema;
b) rivedere la disciplina europea sugli aiuti di Stato, superando l'attuale restrittiva interpretazione della Commissione europea del concetto di «aiuti», in particolare distinguendo tra interventi pubblici a favore di banche non in crisi, per le quali l'intervento dello Stato sarebbe ingiustificato e distorsivo del principio di libera concorrenza, e interventi pubblici conseguenti a «fallimenti del mercato» per cui lo Stato interviene solo in casi di reale emergenza, quando la stabilità del sistema viene seriamente minata;
c) disporre una garanzia europea comune sui depositi bancari, in quanto è necessaria, in una unione monetaria, quale è l'Eurozona, la condivisione dei rischi, e tutto quanto ne consegue in termini di sacrifici richiesti ai Governi e ai cittadini, non può che procedere di pari passo con la condivisione delle garanzie che quei rischi stessi servono a coprire, anche per far fronte a episodi di «panico finanziario»;
d) sollecitare l'avvio di specifiche attività, come ad esempio campagne di informazione, volte a spiegare ai consumatori i contenuti e gli effetti della nuova normativa sul bail-in;
e) richiedere un intervento della Commissione europea per vigilare sulla corretta e uniforme applicazione della direttiva sul bail-in nei vari Stati membri, e garantire certezza giuridica e condizioni di parità tra banche, che spesso operano in diversi Paesi dell'Unione europea;
f) con riferimento alla crescita economica, al lavoro e alle imprese, specialmente quelle di piccola e di media dimensione, dove l'incidenza delle aziende finanziariamente fragili è aumentata anche per le difficili condizioni di accesso al credito, adottare misure comuni volte a vigilare affinché i finanziamenti della Banca centrale europea alle banche con sede legale e amministrazione centrale nei singoli Stati membri siano prioritariamente destinati al credito per lo sviluppo delle piccole e medie imprese, e perseguire un più marcato cammino verso l'armonizzazione, la semplificazione e ove necessario la deregolamentazione e delegificazione delle normative europee spesso ridondanti e inutili, e in conseguenza di ciò una conseguente semplificazione delle normative interne degli Stati membri;
2) ad adottare le opportune iniziative normative che assicurino la tutela dei risparmiatori, prevedendo innanzitutto misure volte al pieno e tempestivo ristoro degli obbligazionisti subordinati che hanno perso i propri risparmi a seguito dell'applicazione delle nuove norme sul bail-in, nonché la possibilità di ricorso allo strumento della class action collettiva, la cui previsione è funzionale al completamento degli strumenti utilizzabili dai risparmiatori e, in particolare, dalle associazioni di tutela del consumatori, così da consentire un'azione giudiziale di controllo anche della funzione di vigilanza svolta dalla Banca d'Italia;
3) a prevedere opportune iniziative volte a garantire un'informazione piena e consapevole dei consumatori in merito agli investimenti effettuati in prodotti finanziari, prevedendo in particolare «prospetti informativi» chiari, leggibili e scritti in maniera semplice e comprensibile, anche utilizzando colori differenti per rendere più efficace ed immediata la comprensione del livello di rischio dei prodotti in vendita;
4) a valutare la possibilità di introdurre nuovi strumenti, quali i warrant, fondati sulla ricostituzione dei diritti derivanti dall'esercizio della proprietà azionaria piuttosto che su quelli concentrati sulla tutela del diritto di proprietà collegato ai risparmi investiti, da concedere agli ex obbligazionisti, per renderli soci delle banche risanate, e compartecipi delle loro eventuali fusioni e aggregazioni, considerato che scommettere sulla ripresa potrebbe essere una soluzione più efficace, in particolare rispetto al modestissimo recupero affidato a contese regolatorie, adatta a voltare pagina in direzione della fiducia, senza il ricorso ad altri fondi né pubblici, né privati, e, in più, per far restare solidamente agganciati gli investitori al rilancio delle banche in cui avevano creduto;
5) ad assumere iniziative per riformare adeguatamente le norme del codice penale, anche sull'esperienza dei Paesi anglosassoni, in maniera da rendere più incisive le misure contro gli amministratori degli istituti di credito che si macchino di reati quali la truffa, la bancarotta fraudolenta e l'ostacolo alla vigilanza, anche con l'inasprimento di misure cautelari e di sequestro preventivo dei loro patrimoni;
6) ad assumere iniziative per prevedere specifiche disposizioni che stabiliscano che le banche che svolgono attività di commercio in proprio di strumenti finanziari, ad eccezione dei prodotti relativi al debito pubblico della Repubblica italiana, non possano svolgere anche le altre attività di investimento;
7) ad assumere iniziative per provvedere ad innalzare il limite degli 8 miliardi di euro di cui al decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, oltre il quale le banche popolari devono trasformarsi in società per azioni, adottando la soglia dei 30 miliardi di euro, in coerenza con la quantificazione operata dall'articolo 6(4) del regolamento (UE) n. 1024/2013 in riferimento alle banche «significative» nonché una proroga, per un congruo periodo, del termine per la trasformazione;
impegna se stessa e i propri organi, ciascuno per le proprie competenze, a deliberare in ordine all'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sullo stato del sistema bancario italiano e sui casi di crisi verificatisi dal 1o gennaio 1999, in connessione con l'inizio dell'operatività in strumenti finanziari denominati in euro, sulla base di quanto già richiesto, attraverso specifiche proposte di inchiesta, da diverse forze politiche.
(1-01452) «Brunetta, Laffranco».
Risoluzioni in Commissione:
La III Commissione,
premesso che:
è integralmente richiamata la mozione n. 1-01419, approvata alla Camera dei deputati l'8 novembre 2016, concernente «Iniziative in ambito europeo ed internazionale in relazione alla situazione in Siria, con particolare riferimento all'emergenza umanitaria e alla condizione dei bambini nella città di Aleppo», nonché i numerosi atti di indirizzo approvati nel corso della XVII legislatura dai due rami del Parlamento riguardanti la crisi nella regione;
va preso atto che dopo il raggiungimento tra il 14 e il 15 dicembre 2016 dell'accordo che ha consentito, nella mattinata del 15 dicembre, il superamento del blocco iraniano all'evacuazione delle decine di migliaia di civili asserragliati nei due quartieri di Aleppo, Est di Salahal-DIn e Al-Sukkari, colpiti dall'offensiva decisiva da parte delle milizie governative nei confronti dei ribelli ed oppositori al regime di Damasco — le operazioni di evacuazione hanno subito nuove battute di arresto ed è cresciuto il livello di preoccupazione della popolazione civile esposta alle rappresaglie delle milizie vincitrici della battaglia per Aleppo;
si è registrata con soddisfazione l'approvazione unanime da parte del Consiglio di sicurezza dell'Onu, il 19 dicembre 2016, di una risoluzione che «chiede al Segretario Generale delle Nazioni Unite di adottare misure urgenti in modo da fornire disposizioni in coordinamento con le parti interessate, per consentire il monitoraggio da parte delle Nazioni Unite sul benessere dei civili nei quartieri orientali della città di Aleppo»;
va tenuto conto che la situazione in atto in Siria appare idonea a suscitare una nuova ripresa di iniziative di stampo terroristico a carattere stragista ma anche mirate ad obiettivi individuali, come conferma l'assassinio dell'ambasciatore russo ad Ankara, Andrey Karlov;
il blocco iraniano alle operazioni di evacuazione — con l'interdizione al passaggio dei bus da parte delle milizie sciite che presidiano i check point in uscita dalla città — ha rappresentato un intervento inusitato di Teheran nella tregua concordata da Russia e Turchia, negoziatore «in quota» del regime di Assad, la prima, e di taluni gruppi armati ribelli con esclusione ufficiale di Al Nusra e Daesh, la seconda. È evidente che l'intervento iraniano non è stato solo finalizzato a chiedere in cambio l'evacuazione di ulteriori località (i villaggi di Foua e Kefraya) a prevalenza sciita in mano agli oppositori ma soprattutto a rivendicare ed esibire di fronte alla comunità internazionale, a Mosca e ad Ankara, il ruolo condizionante giocato da Teheran – non bypassabile nella regione con intese che non la vedano coinvolta – per la conservazione del regime di Assad, attesa la divisione di compiti tra forze militari russe e iraniane, le prime impegnate per lo più nelle sole aggressioni aeree e le seconde, invece, presenti sul terreno nella ben più gravosa attività di rastrellamenti e aggressioni «casa per casa», come attesta l'elevato numero di vittime tra le milizie sciite delle varie nazionalità;
l'Osservatorio siriano per i diritti umani ha complessivamente documentato la morte di 312.001 persone dal 18 marzo 2011, considerata la data di avvio della rivoluzione siriana, fino al 13 dicembre 2016, di cui 90.506 civili, comprensivi di 15.948 bambini e 10.540 donne ultradiciottenni; dall'inizio del conflitto più di 12 milioni di siriani, il 60 per cento della popolazione, sono stati costretti a lasciare le loro case; di questi, sei milioni hanno presentato richiesta di protezione internazionale, soltanto il 15 per cento in Europa;
nello scenario di imbarbarimento del conflitto siriano in cui si sono mosse anche le politiche delle potenze regionali e globali, la Commissione d'inchiesta internazionale indipendente sulla Siria e numerose organizzazioni non governative hanno denunciato il ricorso sistematico a crimini di guerra e contro l'umanità tanto da parte dei gruppi terroristici e ribelli, quanto delle forze del presidente siriano Bashar al-Assad; quest'ultime hanno compiuto attacchi indiscriminati contro la popolazione civile, bombardando aree abitate da civili e strutture medico-sanitarie con lanci d'artiglieria pesante e colpi di mortaio, barrel-bombs, e anche armi chimiche; migliaia di individui, tra cui pacifisti, difensori dei diritti umani, operatori dell'informazione e operatori umanitari e bambini, sono stati arbitrariamente arrestati, sottoposti a tortura e uccisi; la violenza sessuale ha avuto un ruolo di primo piano nel conflitto, così come la paura e la minaccia dello stupro e delle violenze, durante le incursioni, ai posti di blocco e nei centri di detenzione e nelle prigioni di tutto il Paese;
la battaglia delle forze lealiste per la riconquista di Aleppo est ha raggiunto inediti livelli di atrocità per singoli individui, intere famiglie e soprattutto minori, trucidati e torturati, privati di ogni genere di prima necessità e di sopravvivenza, usati come scudi umani, impossibilitati ad evacuare la zona colpita da continui bombardamenti, attacchi sul terreno ed esecuzioni sommarie, perpetrate da milizie sciite accorse in difesa di Assad da tutta l'area mediorientale, a partire dall'Iran ma anche dall'Iraq, dal Libano, dall'Afghanistan, dal Pakistan e dallo Yemen. Oltre all'esorbitante numero di morti, i civili feriti non hanno finora potuto ricevere nessun tipo di cure e di assistenza medica, per cui il numero delle vittime è destinato a crescere ulteriormente;
sono già avviate nelle opportune sedi della giurisdizione internazionale le istruttorie per la formulazione di imputazioni di crimini contro l'umanità, torture e trattamenti disumani e degradanti nei confronti dei protagonisti della battaglia. La Commissione di inchiesta dell'ONU sulla Siria ha richiesto l'istituzione di un tribunale per i crimini di guerra commessi in questo conflitto e anche l'Alto Commissario per i diritti umani, Zeid Raad al-Hussein, ha parlato di crimini di guerra commessi ad Aleppo, documentati con prove raccolte attraverso satelliti e droni; in sostanza, invece di concentrare l'intervento militare contro le formazioni jihadiste come al-Nusra, il Fronte islamico e Daesh, esso è stato esteso a tutti coloro che si sono ribellati ad Assad in nome della democrazia ed alla popolazione civile;
ora che la battaglia di Aleppo può dirsi conclusa, con la vittoria del fronte lealista sostenuto da Iran e Russia e con l'appoggio turco, è da valutare l'impatto di questo snodo drammatico sugli equilibri internazionali futuri;
la vittoria di Aleppo appare, in generale passaggio di rilevanza epocale, idoneo a prefigurare la ridefinizione di un nuovo ordine regionale in Medioriente, su cui potrà incidere il vertice programmato il 27 dicembre 2016 a Mosca tra la Russia di Putin, la Turchia di Erdogan e l'Iran (assenti sia gli Stati Uniti, sia la Siria) dove la sfida maggiore, per nulla scontata negli esiti, sarà dare composizione stabile alle ambizioni egemoniche di tre soggetti tra loro in competizione, per molti versi inconciliabili e ancora impegnati su fronti avversi in importanti conflitti per procura;
l'Occidente perde per l'assenza di una politica coerente sulla Siria. È sempre stato a parole contro Assad, ma non ha mai potuto contare su un'alternativa vera e credibile, esattamente come accaduto in Libia con Gheddafi. In pratica, non ha mai avuto influenza sulla ribellione, come dimostrato dal sostanziale fallimento dei programmi di reclutamento e riarmo di alcune fazioni ribelli, mentre questa veniva progressivamente egemonizzata da qaedisti, salafiti e Fratelli Musulmani. L'impegno perdurante per il contrasto al Daesh e anche le iniziative dell'Unione europea sono apparsi finora avulsi da un disegno più complessivo sul futuro della Siria e di tutta la regione e mossi più che altro dall'intento di fronteggiare l'emergenza del terrorismo e delle crisi umanitarie;
l'altro grande perdente sono le Nazioni Unite, dove per ben sei volte il veto della Russia ha impedito l'adozione di una risoluzione sulla situazione in Siria, il sistema onusiano nel suo complesso e lo stesso impianto del diritto internazionale e del diritto internazionale umanitario;
«Aleppo come Grozny» hanno titolato alcuni giornali, riferendosi all'approccio ceceno alla guerra in Siria, che ha finito per radicalizzare ed elevare il livello di atrocità del conflitto. La campagna russa ha mietuto in un anno più vittime di quelle causate dallo Stato islamico in tre anni;
la battaglia di Aleppo, come la caduta di Grozny nel 2000 o di Srebrenica nel 1995, oltre a rappresentare una svolta per gli assetti regionali e internazionali, non cesserà di porre angosciosi dilemmi umanitari, potendosi fin da ora prefigurare un percorso di epurazioni politico-religiose messe in atto dal regime di Assad ed essendosi già registrate la creazione di campi di raccolta per donne e bambini e sparizioni di massa di uomini al di sotto dei 40 anni;
in particolare, al pari dei fallimenti di agire in maniera decisiva nelle tragedie in Ruanda e nei Balcani degli anni Novanta, Aleppo rappresenta una sfida per gli Stati membri delle Nazioni Unite per sviluppare e implementare una più effettiva responsabilità di proteggere quando uno Stato non è in grado di proteggere il suo popolo per mancanza di capacità o di volontà;
imminenti responsabilità attendono l'Italia in sede di G7 e ONU e anche in vista dell'audizione sulle linee programmatiche del Dicastero degli affari esteri e della cooperazione internazionale,
impegna il Governo:
ad assumere ogni iniziativa utile, in ogni opportuna sede europea ed internazionale, in attuazione della risoluzione approvata in modo unanime il 19 dicembre 2016 dal Consiglio di sicurezza dell'ONU, a scongiurare il protrarsi delle ostilità e della crisi umanitaria nella città e nei territori intorno ad Aleppo, anche nelle fasi successive allo sblocco dell'esodo dei civili dalla città e, in generale, nel processo di consolidamento della vittoria del regime e nella successiva fase di ricostruzione, scongiurando epurazioni, processi sommari e il compiersi di altre atrocità;
a promuovere, nell'imminente esercizio del seggio non permanente presso il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il dialogo politico regionale per il ripristino di condizioni di pace e sicurezza;
a sollecitare, anche in sede G7, il mantenimento del regime di sanzioni nei confronti della Siria, unitamente all'avvio di programmi per la ricostruzione della città di Aleppo che allevino le sofferenze sofferte dalla popolazione civile derivanti anche dagli effetti dell'embargo, oltre ad un piano per il sostentamento e la messa in sicurezza dei profughi interni e degli sfollati;
a favorire, con ogni mezzo e in ogni sede, la raccolta delle testimonianze e delle prove, nonché ogni indagine volte a stabilire la verità sui crimini di guerra e contro l'umanità perpetrati nel conflitto siriano e ad individuarne i responsabili, continuando a promuovere un deferimento della situazione in Siria al procuratore della Corte penale internazionale o la creazione di un tribunale speciale internazionale ad hoc;
a promuovere nel contesto europeo e internazionale lo sviluppo di politiche comuni e la conclusione di accordi bilaterali e multilaterali volti ad anticipare, prevenire e rispondere alle crisi che chiamano in causa la responsabilità di proteggere.
(7-01156) «Cicchitto, Quartapelle Procopio».
La VI Commissione,
premesso che:
il decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193, recante «disposizioni urgenti in materia fiscale e per il finanziamento di esigenze indifferibili», convertito dalla legge 1o dicembre 2016, n. 225, ha determinato un aumento degli adempimenti fiscali previsti per imprese e professionisti;
se da una parte, infatti, il cosiddetto «decreto fiscale» stabilisce, all'articolo 4, a decorrere dal 1o gennaio 2017, per i soggetti passivi Iva; l'abrogazione della comunicazione dell'elenco clienti e fornitori (spesometro), dall'altra, al medesimo articolo, introduce due nuovi adempimenti da effettuare telematicamente ogni tre mesi: la comunicazione analitica dei dati delle fatture emesse e ricevute; la comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche Iva. Sono quindi previste specifiche sanzioni non penali in caso di omessa, incompleta o infedele: comunicazione delle fatture e dei dati delle liquidazioni;
tra l'altro, il Governo pro tempore ha stimato come si evince dalla relazione tecnica – che dalle nuove disposizioni si dovrebbero recuperare 2,1 miliardi di euro per il 2017, 4,2 miliardi nel 2018 e 2,77 miliardi nel 2019;
la categoria dei commercialisti – che si è mobilitata al riguardo – non solo segnala il proprio scetticismo in merito ai risultati dell'operazione conclamati dall'esecutivo, ma denuncia altresì gli oneri aggiuntivi che sicuramente imprese e professionisti dovranno affrontare, e che si stimano intorno ai 400-500 euro annui. Non è quindi rassicurante il credito d'imposta di 100 euro (assolutamente insufficiente) previsto dal medesimo decreto fiscale per compensare le spese di adeguamento tecnologico finalizzato all'effettuazione delle comunicazioni dei dati delle fatture e delle comunicazioni Iva periodiche;
pertanto, il tutto si riduce quindi ad una vera e propria beffa per i contribuenti, tra l'altro in palese contrasto con le evidenti necessità di semplificazione. Le novità annunciate in questa direzione, come l'abolizione degli studi di settore (con l'utilizzo dei nuovi indici di affidabilità fiscale per delineare il profilo del contribuente e l'ufficiale abolizione degli stessi a partire dal 31 dicembre 2017) e dello spesometro, si sono quindi di fatto tradotte in ulteriori e complicati adempimenti, disattendendo puntualmente le numerose e continue promesse di semplificazione;
tra l'altro, vale la pena rilevare che, in base all'ultimo rapporto sulla competitività stilato dalla Banca mondiale – Doing business 2017, l'Italia, per tasso di complessità del sistema fiscale occupa il 126esimo posto, subito a ridosso del Kenya. Nel nostro Paese imprese e professionisti impiegano inoltre in media 240 ore l'anno per effettuare adempimenti fiscali: un dato molto più alto rispetto alle 164 ore che costituiscono la media dei Paesi dell'Unione europea;
a fronte del palese eccesso di burocrazie e di adempimenti (alcuni dei quali evidentemente inutili) e di provvedimenti normativi che penalizzano i contribuenti, e che, in particolare negli ultimi anni non hanno accolto le richieste presentate in questi ambiti dai professionisti, è necessario rivedere una serie di decisioni, a partire da quella che riguarda l'obbligo delle comunicazioni trimestrali,
impegna il Governo
ad adottare ogni iniziativa utile a rinviare l'entrata in vigore degli obblighi di comunicazione trimestrale dei dati delle fatture emesse e ricevute, nonché dei dati delle liquidazioni periodiche ai fini Iva, introdotti dal decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193, convertito dalla legge 1o dicembre 2016, n. 225, al fine di rivedere il carico degli adempimenti fiscali previsti per imprese e professionisti, nella direzione di una vera semplificazione.
(7-01155) «Sandra Savino, Laffranco».
ATTI DI CONTROLLO
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Interrogazioni a risposta in Commissione:
LODOLINI, CARRESCIA, MANZI e PELUFFO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
le rappresentanze sindacali interne e tutti i lavoratori di E'Tv-Rete7 sono costretti a quanto consta agli interroganti, ad incrociare le braccia per lo stato di forte disagio e difficoltà che vivono;
da due mesi non percepiscono regolare stipendio, vivendo dunque con le loro famiglie una situazione particolarmente difficile; da più di un anno la proprietà, in mano al gruppo industriale Spallanzani di Reggio Emilia, ha comunicato la volontà di cedere Rete7 e la controllata E'Tv Marche. Tuttavia, le recenti trattative di vendita ad altri imprenditori non si sono di fatto concretizzate;
E'Tv Marche è emittente locale, molto seguita e apprezzata dalla comunità perché di qualità;
i lavoratori chiedono dunque alla proprietà di saldare con urgenza stipendi e competenze e, nell'ipotesi di cessione, di individuare un soggetto che garantisca futuro e continuità occupazionale;
nella giornata di venerdì 16 dicembre 2016 si è tenuta una manifestazione davanti alla sede di Interacciai Spa in via Pasteur 2 a Reggio Emilia. Stessa identica iniziativa è stata adottata dalla consorella E'Tv Marche – Canale Marche, sempre facente capo al Gruppo Spallanzani –:
se il Governo sia a conoscenza delle suddette vertenze e se non intenda attivare, in tempi rapidi, un tavolo di confronto coinvolgendo i gruppi editoriali e le organizzazioni sindacali, con l'obiettivo di scongiurare la chiusura di importanti testate giornalistiche, nonché al fine di salvaguardare i livelli occupazionali ed il fondamentale principio democratico della libertà e del pluralismo dell'informazione;
quali siano i tempi in cui il Governo provvederà all'erogazione dei finanziamenti per l'emittenza locale e alla messa a punto dei decreti attuativi della legge dell'editoria, assicurando al settore risorse adeguate in tempi certi. (5-10149)
MATTIELLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
la II Commissione ha approvato una risoluzione, la n. 8-00210, a prima firma dell'interrogante, sul trattato di estradizione e di mutua assistenza giudiziaria tra l'Italia e gli Emirati arabi uniti, con la quale si impegnava il Governo pro tempore a presentare con urgenza il disegno di legge per l'autorizzazione alla ratifica dei trattati di estradizione e di mutua assistenza giudiziaria tra l'Italia e gli Emirati Arabi Uniti, sottoscritti dalle parti il 16 settembre 2015, ricercando le soluzioni maggiormente compatibili con la tutela dei principi costituzionali e, nelle more della ratifica del trattato, ad agire in via diplomatica al fine di ottenere l'estradizione di Amedeo Matacena;
la risoluzione in questione sottolineava come, a distanza di più di un anno dall'accordo siglato dal Ministro Orlando con le autorità degli Emirati Arabi in materia di cooperazione giudiziaria e di estradizione – consistente in un trattato di estradizione e di mutua assistenza giudiziaria in materia penale tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo degli Emirati Arabi Uniti, ed un accordo di cooperazione giudiziaria in materia penale fra i due Paesi, con l'intento di migliorare e intensificare la collaborazione fra Italia ed Emirati Arabi Uniti in materia di giustizia, alla luce, da un lato, della crescita dei rapporti economici, finanziari e commerciali e dell'aumento esponenziale del numero di connazionali residenti negli EAU e, dall'altro, dell'aumento delle richieste di estradizione e di assistenza giudiziaria formulate da parte italiana – ad oggi l'Italia non abbia ancora concluso tale percorso, ratificando il trattato; si tratta di un percorso così positivamente intrapreso dal Governo al fine di sanare una negativa smagliatura nei rapporti tra i due Paesi, che sono per altro ottimi partner commerci i soprattutto nei settori dell'energia e della difesa. Gli Emirati, per esempio, sono i primi importatori al mondo di sistema di difesa e armamenti italiani;
la presenza di latitanti in quei territori, purtroppo ad oggi, non è affatto diminuita, e gli ultimi clamorosi fatti di cronaca accrescono la necessità e l'urgenza di una piena e completa operatività dell'accordo: il riferimento è, in ordine di tempo, prima all'individuazione negli Emirati di Cetti Serbelloni, che deve scontare una condanna definitiva per aver evaso tasse in Italia per circa un miliardo di euro, poi al ritrovamento di due opere di Van Gogh rubate ad Amsterdam nel 2002, riconducibili ad attività di riciclaggio del narcotrafficante Imperiale, lui pure individuato negli Emirati; si tratta di fatti che si aggiungono all'ormai da tempo noto caso dell’ex-parlamentare Matacena, condannato in via definitiva a tre anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa nella fattispecie di ‘ndrangheta e delinquenti dediti al riciclaggio internazionale come messo recentemente in evidenza inchieste napoletane contro la camorra; inoltre, le autorità giudiziarie italiane, che si occupano di casi legati alle richieste di estradizione da quel Paese, hanno più volte segnalato come gli Emirati rischino di diventare una sorta di porto franco per latitanti italiani e riciclatori internazionali: diverse associazioni e personalità che si battono per la legalità e organi di informazione, più volte, si sono occupati della vicenda, con prese di posizione, servizi, inchieste, reportage e campagne, come per esempio quella del giornale online Ytali –:
se il Governo non ritenga opportuno fornire elementi in merito alla situazione dei latitanti di cui nel tempo si è avuto notizia e se risultino effettivamente ancora in territorio emiratino;
quali iniziative urgenti il Governo intenda adottare in conformità a quanto previsto dalla citata risoluzione approvata in Commissione giustizia. (5-10155)
PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per gli affari regionali, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
il 31 ottobre 2016 a Bonifacio in Corsica è stato bloccato per protesta il traghetto che collega la Sardegna con la Corsica;
all'iniziativa hanno preso parte l'interrogante e il sindaco di Bonifacio, decine di automezzi, rappresentanti della comunità corsa e sarda;
la manifestazione era legata al licenziamento di 32 marittimi della Saremar, che dopo essere stati spostati nella compagnia Blu Navy, dopo una gestione della vertenza, ad avviso dell'interrogante scandalosa, da parte della regione, sono rimasti nuovamente senza lavoro;
opera nella tratta sardo — corsa solo il monopolio Tirrenia/Onorato;
il nuovo monopolio e i licenziamenti sono il risultato di una operazione senza precedenti ai danni della Sardegna e dei lavoratori della ex Saremar;
il nuovo vergognoso monopolio sui mari della Sardegna è scattato dal 31 ottobre 2016, con l'ultima corsa tra Santa Teresa e Bonifacio;
questa volta spetta ai collegamenti tra la Sardegna e la Corsica che finiscono sotto il dominio solitario di Tirrenia/Onorato;
per questo motivo la delegazione sarda guidata dall'interrogante insieme ai rappresentanti corsi ha bloccato il traghetto Ichnusa nel porto di Bonifacio;
una decisione estrema alla quale ne seguiranno ulteriori per denunciare il grave atteggiamento della regione che ha messo per strada oltre 200 famiglie;
su quella tratta non opera più la compagnia Blu Navy che aveva sostituito la Saremar nella tratta da Santa Teresa di Gallura a Bonifacio;
i 32 lavoratori della Saremar che erano transitati in quella compagnia dopo la vergognosa fine della società sarda di navigazione sono stati di fatto licenziati;
si tratta dell'ennesimo grave fallimento delle politiche dei trasporti e di un nuovo inaccettabile vantaggio concesso dalla regione alla compagine di Onorato e soci;
la decisione di non sottoporre quel servizio di collegamento tra la Sardegna e la Corsica al regime di continuità territoriale è un fatto grave, ad avviso dell'interrogante, da perseguire perché si tratta dell'ennesima interruzione del servizio pubblico, questa volta con risvolti internazionali;
quella tratta è sempre stata assoggettata al regime di servizio pubblico, interromperlo per lasciarlo in mano ad un operatore privato in grado di agire senza controlli e senza obblighi è un fatto, secondo l'interrogante inaudito e perseguibile;
la compagnia Blu Navy dal 1o novembre 2016 ha interrotto i collegamenti tra la Sardegna e la Corsica;
la Blu Navy aveva acquisito il traghetto «Ichnusa», già operativo sulla tratta Sardegna-Corsica, che era subentrato nel servizio tramite una società controllata;
la compagnia di navigazione Blu Navy di Portoferraio, il primo comune dell'Isola d'Elba, lascerà la tratta per oneri gestionali non sopportabili, soprattutto in concorrenza con un'altra compagnia che riceve «a piene mani» contributi pubblici –:
se il Governo non ritenga, proprio per le implicazioni internazionali, di dover assumere iniziative, per quanto di competenza, per consentire un equilibrato servizio plurimo di collegamenti tra la Corsica e la Sardegna, garantendo la piena occupazione di tutti i marittimi della Saremar;
se non ritenga di assumere le iniziative di competenza, anche normative, per eliminare i limiti monopolistici a tale servizio anche attraverso un bando pubblico che ponga come condizione il riassorbimento di tutto il personale della Saremar, già società statale. (5-10156)
Interrogazioni a risposta scritta:
BRIGNONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali. — Per sapere – premesso che:
un quotidiano on line della provincia di Macerata, alcuni giorni pubblicava un articolo concernente il sisma che ha colpito la regione Marche il 30 ottobre 2016;
la notizia riportava che sui terreni privati delle zone colpite dal terremoto, alcune famiglie si sono organizzate personalmente nel trovare soluzioni abitative in legno in attesa delle disposizioni riguardanti le case, rientranti nel recente «decreto terremoto» n. 185 del 2016;
poiché le popolazioni colpite dal sisma vivono per lo più in zone montane e comunque con temperature molto rigide, chi ha potuto sostenere economicamente la spesa e possiede la casa inagibile, ha rimediato nell'immediato dotandosi a proprie spese di ricoveri temporanei con casette su ruote, capanni di piccole dimensioni di legno, o casette di legno;
tuttavia, dalla regione Marche è stata inviata una comunicazione ai sindaci interessati dal sisma, con la quale si chiede di rispettare le regole e di attenersi a quanto prescritto nel «decreto terremoto»;
infatti, la lettera a firma del servizio urbanistica e paesaggio della regione Marche segnala «come le iniziative di localizzazione temporanea di container o casette in aree di proprietà privata, anche se a carattere transitorio, non sono conformi alle disposizioni del decreto legge 205/2016 e alle ordinanze del capo del Dipartimento della Protezione civile che disciplinano gli interventi post sisma. Tali provvedimenti qualora fossero presi dai Comuni sono illegittimi»;
ai comuni pertanto viene imposto di rispettare la normativa esistente per l'individuazione delle aree destinate alle casette o ai container, preferendo quelle pubbliche a quelle private;
nella comunicazione si legge inoltre: «(...) le Province hanno poteri di sospensione o demolizione di opere difformi dal piano regolatore generale e di annullamento di concessioni e autorizzazioni comunali e che l'esecuzione di opere edilizie in assenza del titolo abilitativo previsto per legge configura il reato di costruzione abusiva»;
nel decreto infatti sono indicati novanta giorni, quale periodo massimo per insediare casette temporanee; in altro modo si incorre nel reato di costruzione abusiva;
è a oggi, non e prevista nessuna deroga in materia, pertanto qualsiasi iniziativa presa dai sindaci interessati e dalle popolazioni non è conforme alla normativa –:
se il Governo sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere per ovviare alle criticità di cui in premessa. (4-15036)
FERRARA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
nel 1985, con la legge n. 440, denominata «legge Bacchelli» si è istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, un fondo a favore dei cittadini illustri che versino in stato di particolare necessità, i quali possono così usufruire di contributi e vitalizi utili al loro sostentamento;
possono accedere al fondo tutti i cittadini italiani con assenza di condanne penali irrevocabili, che abbiano «chiara fama» e meriti acquisiti nel campo delle scienze, delle lettere, delle arti, dell'economia, del lavoro, dello sport, eccetera oltre a versare in stato di particolare necessità;
il maestro fotografo e documentarista Mario Carbone, residente a Roma, è, senza alcun dubbio, nel suo campo uno dei migliori professionisti in vita di cui sono note le straordinarie doti artistiche non solo in Italia, ma anche a livello internazionale, ottenendo per questo, riconoscimenti ad ogni livello;
la sua opera documenta il suo impegno teso a coniugare fotografia e degrado urbano. A documentare la drammatica alluvione di Firenze. A tradurre nell'immagine le lotte contadine e bracciantili nel dopoguerra, diventando il professionista che ha collaborato con Carlo Levi nel percorso/inchiesta sui contadini del Sud e ottenendo una notorietà internazionale con documentari che rimangono un esempio di alto valore etico e morale. Tutte tappe importanti attraversate in un settore di avanguardia nella descrizione delle distruzioni post belliche e per tutto il periodo di rilancio della politica di ricostruzione;
Mario Carbone è un «uomo illustre» che ha raggiunto l'età di 92 anni, a cui sarebbe aperta la legge Bacchelli, e che per circostanze non dipendenti dalla sua volontà, si sarebbe venuto a trovare, a quanto consta all'interrogante, in condizioni «di particolare necessità»;
il maestro Mario Carbone avrebbe presentato regolare domanda per usufruire dei benefici della legge Bacchelli e la documentazione necessaria a riprova dei fatti, allo scopo di poter accedere al fondo previsto dalla normativa succitata. Finora, però, questi, a quanto risulta all'interrogante, avrebbe avuto risposte negative;
ciò costituisce per l'interrogante una grave offesa, non solo all'impegno del maestro Carbone, ma a tutta la cultura italiana che proprio in questi giorni, in occasione del 50o anniversario dell'alluvione di Firenze, ha attribuito al maestro larghi onori e apprezzamenti –:
se il Governo non intenda rendere note le motivazioni e i criteri adottati che avrebbero condotto, a quanto risulta all'interrogante, al diniego alla richiesta presentata in base alla legge Bacchelli dallo stesso signor Mario Carbone;
se il Governo non intenda rendere noti quali siano i criteri e i titoli che avrebbero portato alla formazione della Commissione esaminatrice della richiesta per l'accesso ai benefici di cui alla legge Bacchelli riguardante Mario Carbone, giacché questa, per l'interrogante, avrebbe dimostrato di non conoscere la notorietà e le competenze del maestro Carbone.
(4-15037)
REALACCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
il direttore generale dell'Organizzazione mondiale della sanità, Margaret Chan, durante l'ultima assemblea generale delle Nazioni Unite, ha definito l'antibiotico-resistenza un «lento tsunami» che sta minando la salute a livello mondiale. Dal Regno Unito arriva la previsione che, entro il 2050, si passerà dalle attuali 700.000 persone che muoiono ogni anno a causa dell'antibiotico-resistenza che riguarderà 10 milioni di persone;
l'Italia, all'interno dei Paesi dell'Unione europea, è il terzo più grande utilizzatore di antibiotici negli allevamenti, con la situazione più critica negli allevamenti intensivi: il 71 per cento degli antibiotici venduti in Italia va agli animali d'allevamento e il 94 per cento di questi trattamenti è di massa;
questa modalità di utilizzo degli antibiotici è la condizione a più alto rischio per la nascita di super batteri che dagli allevamenti possono raggiungere le persone e farle ammalare, contribuendo a far salire il numero di morti per antibiotico resistenza (tra 5.000 e 7.000 persone all'anno in Italia). La strada maestra per contrastare il fenomeno dell'antibiotico resistenza è perciò quella di ridurre significativamente il consumo di antibiotici;
il 16 dicembre 2016 Legambiente, Ciwf Italia, Aiab, Altroconsumo, Arci, Cgil, Cittadinanzattiva, Comuni Virtuosi, FederBio, Federazione italiana media ambientali, Fondazione culturale responsabilità etica, Fondazione sviluppo sostenibile, Fondazione Univerde, Greenpeace Italia, Lipu, Marevivo, Movimento difesa del cittadino, Slow Food Italia, Unione degli studenti, WWF Italia hanno lanciato un allarme ai Ministri competenti su questa minaccia globale –:
se il Governo non intenda promuovere la riduzione del consumo di antibiotici, in particolare quelli critici per l'uomo, negli allevamenti italiani, e chiarire con quali obiettivi misurabili ed entro quali scadenze temporali, intenda fermare l'attuale abnorme utilizzo di antibiotici anche tramite un negoziato a livello comunitario;
se non intenda redigere un aggiornato Piano nazionale sull'antibiotico resistenza e quali iniziative preveda per obbligare l'industria zootecnica a rispettare determinati vincoli all'utilizzo degli antibiotici, così come promuovere un monitoraggio sui dati di consumo degli antibiotici negli allevamenti e le modalità previste per rendere fruibili i dati raccolti;
se non ritenga opportuno assumere iniziative per porre il divieto dell'uso profilattico e metafilattico dei trattamenti di massa preventivi di gruppi animali.
(4-15040)
AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE
Interrogazione a risposta in Commissione:
CAPEZZONE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
nei giorni scorsi il Financial Times di Londra (ripreso da taluni organi di stampa italiani) ha reso nota la notizia secondo cui il dipartimento dei servizi finanziari dello Stato di New York ha disposto una consistente multa nei confronti di Intesa Sanpaolo per violazione della normativa sul « money laundering» a proposito di « transactions involving Iran». In particolare, le autorità newyorkesi hanno inflitto una sanzione di 235 milioni di dollari a Intesa Sanpaolo per aver «aggirato controlli antiriciclaggio per un decennio» in alcune transazioni con clienti iraniani, in violazione delle sanzioni Usa;
l'attenzione degli inquirenti sarebbe stata destata dalla «gestione di numerose transazioni sospette che coinvolgono società di comodo attraverso la filiale di New York». Intesa Sanpaolo avrebbe anche «deliberatamente nascosto informazioni ai regolatori bancari»;
dall'indagine è emerso che tra il 2002 e il 2006, Intesa ha usato metodi e pratiche opache per condurre più di 2.700 transazioni di clearing in dollari americani per un ammontare di oltre 11 miliardi, per conto di clienti iraniani e altre entità potenzialmente soggette a sanzioni economiche statunitensi;
in aggiunta, l'istituto avrebbe istruito i dipendenti a gestire operazioni riguardanti l'Iran in modo da non poter essere collegati a soggetti sotto sanzioni, nascondendo in modo deliberato informazioni agli ispettori;
in una nota, l'istituto bancario ha spiegato che la multa è frutto di un accordo in via definitiva con le autorità di New York che mette fine a un procedimento di vigilanza avviato nel 2007 –:
se il Governo sia a conoscenza di questa e di analoghe attività di gruppi bancari italiani, in particolare rispetto all'Iran, che possano esporre i soggetti coinvolti ad analoghe sanzioni;
se siano in corso, o siano state svolte, verifiche, per quanto di competenza, al fine di escludere che prima del gennaio 2016, vigenti le sanzioni alla Repubblica islamica dell'Iran, anche sul territorio italiano siano state poste in essere azioni volte ad aggirare i divieti internazionali;
se il Governo non ritenga di dover porre fine alla campagna politica che, ad avviso dell'interrogante, ha indotto il precedente Esecutivo a incoraggiare operazioni commerciali con Teheran, pur in presenza di forti rischi «politici» e «geopolitici», e in particolare a esporre soggetti italiani a sanzioni e conseguenze giuridiche rilevanti. (5-10150)
Interrogazione a risposta scritta:
L'ABBATE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
Giacomo Olivieri è il titolare dello «Studio legale Olivieri» – specializzato nel diritto societario, diritto d'impresa, fallimentare ed amministrativo – con sede in Bari. Ricopre dal gennaio 2012 il ruolo di presidente di «Bari Multiservizi s.p.a.» e della Fondazione «Maria Rossi Olivieri» dal gennaio 2006, che ha la finalità di recuperare, tutelare e conservare il patrimonio artistico, culturale, storico ed archeologico del Sud Italia. È fondatore e leader di «Realtà Italia», movimento politico nazionale a sostegno delle giunte Decaro (sindaco PD della città di Bari) ed Emiliano (governatore PD della regione Puglia);
in data 10 febbraio 2015, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha concesso l’exequatur al signor Giacomo Olivieri, console generale onorario della Repubblica di Slovenia a Bari;
in data 1o dicembre 2016, il pubblico ministero di Bari Giuseppe Dentamaro ha chiesto nell'udienza preliminare dinanzi al giudice dell'udienza preliminare di Bari il rinvio a giudizio per bancarotta fraudolenta aggravata relativa al fallimento della società barese «Ctf S.r.l» riconducibile all'imprenditore barese Emanuele Degennaro. Secondo l'accusa Degennaro, insieme con la sua segretaria Caterina De Bari e con la complicità dell'avvocato Giacomo Olivieri e del bitontino Francesco Monte, avrebbe dissipato le risorse aziendali e distratto beni per circa 17 milioni di euro. Stando agli accertamenti della Guardia di finanza, gli imputati avrebbero fatto una serie di operazioni illecite fino a svuotare le casse della società, emettendo decine di assegni e falsificando le scritture contabili;
la nomina di console onorario, così come quella di console di carriera, presuppone la concessione dell’exequatur ai sensi della Convenzione di Vienna del 1963, ratificata dall'Italia con la legge 9 agosto 1967, n. 804;
a livello interno è stata adottata la circolare del Ministero degli affari esteri n. 3 del 16 luglio 2010 secondo cui uno dei requisiti che lo Stato italiano deve verificare ai fini dell’exequatur è quello dell'onorabilità della persona del candidato, al fine di tutelare la sicurezza dello Stato –:
quali tipologie di controlli siano stati effettuati sulla persona del console Onorario in sede di exequatur;
se, alla luce dell'indagine per il reato di bancarotta, il Ministro non ritenga che il requisito dell'onorabilità sia venuto meno e, di conseguenza, se non intenda revocare l'autorizzazione all'esercizio delle funzioni di console onorario. (4-15039)
DIFESA
Interrogazione a risposta in Commissione:
CAPARINI e BUSIN. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
il complesso edilizio della caserma di Santa Chiara in Siena, fondato nel 1219 come convento dei Padri Vallombrosani denominato «Abbadia Nuova», soppresso nel 1808 con le leggi napoleoniche e nel 1818 entrato nelle proprietà del Demanio fino all'ottobre 1995, anno in cui i distretti militari furono trasferiti nei capoluoghi di regione, rappresenta un'insigne testimonianza del patrimonio storico-artistico cittadino;
la caserma di Santa Chiara ospita al proprio interno anche la struttura difensiva del fortino progettato da Baldassarre Peruzzi nel 1527; è altresì dotata di sotterranei monumentali e possiede un sito archeologico, nonché aree verdi con prati e cipressi secolari;
il predetto, complesso è stato recentemente utilizzato come sede del Comando del 186o reggimento paracadutisti Folgore e ha ospitato una foresteria;
come rivelato dal comandante provinciale dei Carabinieri di Siena, Giorgio Manca, nel corso di un incontro promosso nel maggio 2016 dalla contrada del Liocorno, del quale esiste un reportage realizzato dall'emittente Radio Siena Tv, sarebbe nel frattempo emerso l'orientamento a trasferire la sede del Comando provinciale dei Carabinieri di Siena nella ex sede della Banca d'Italia, da poco chiusa, il cui utilizzo esigerà presumibilmente la corresponsione di canone d'affitto all'istituto d'emissione italiano, che ne è proprietario;
non appare chiaro chi sosterrà le spese relative ai lavori di adeguamento per rendere la predetta struttura funzionale ad una destinazione d'uso militare;
a quanto consta agli interroganti non paiono sussistere motivazioni gravi e/o urgenti tali da giustificare il perfezionamento della dismissione del complesso edilizio di Santa Chiara di Siena, mentre è evidente che i Carabinieri potrebbero utilizzare proprio la caserma Santa Chiara come loro nuova sede provinciale, esercitando un'opzione a costo zero per lo Stato –:
per quali ragioni il Governo abbia stabilito di completare in tempi brevi la smilitarizzazione della caserma Santa Chiara, importante presidio di sicurezza nella zona sud-est della città di Siena;
quali siano le ragioni che impediscono al Governo di considerare l'ipotesi di mantenere la sede del comando provinciale dei Carabinieri di Siena nel complesso di Santa Chiara, che rappresenta per gli interroganti una soluzione a costo zero per le casse dello Stato in quanto l'immobile è già nella proprietà del Demanio e perfettamente consono alle esigenze dei Carabinieri, al contrario di un altro edificio che risulterebbe esser stato identificato come possibile nuova sede, di proprietà di Banca d'Italia. (5-10148)
ECONOMIA E FINANZE
Interrogazioni a risposta immediata:
MUCCI, GALGANO, CATALANO e QUINTARELLI. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
con il decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, «Interventi urgenti di avvio del piano «Destinazione Italia», per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per la riduzione dei premi RC-auto, per l'internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015», convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, si prevede, all'articolo 6, comma 1, che, al fine di favorire la digitalizzazione, la connettività e l'ammodernamento tecnologico delle piccole e medie imprese, nell'ambito di apposito programma operativo nazionale della programmazione 2014-2020 dei fondi strutturali comunitari, sono adottati interventi per il finanziamento a fondo perduto, tramite voucher di importo non superiore a 10.000 euro;
ai fini dell'attuazione di quanto previsto era necessaria l'adozione di un decreto ministeriale, che il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, ha emanato il 23 settembre 2014 e che è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 19 novembre 2014;
con una nota del 28 gennaio 2015, pubblicata sul sito istituzionale del Ministero dello sviluppo economico, si precisa che: «il decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, 23 settembre 2014 (...) stabilisce lo schema standard di bando e le modalità di erogazione dei contributi previsti dall'articolo 6, comma 1, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145 (...)». Come è altrettanto noto, il decreto interministeriale rinvia a un decreto direttoriale la definizione dei moduli da utilizzare per presentare la domanda di accesso al contributo e dei termini di apertura dello sportello telematico, oltre che l'indicazione del riparto su base regionale delle risorse finanziarie disponibili. In proposito, si conferma quanto già a suo tempo pubblicato nel sito in merito all'apertura del predetto sportello: il decreto direttoriale sarà adottato immediatamente dopo la pubblicazione del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze cui è demandata, ai sensi delle norme contenute nel decreto-legge n. 145 del 2013, la determinazione dell'ammontare dell'intervento nella misura massima di 100 milioni di euro –:
quali iniziative il Ministro interrogato, per quanto di competenza, intenda adottare al fine di rendere finalmente operativi i finanziamenti di cui in premessa. (3-02661)
ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI, PASTORINO, SEGONI e TURCO. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
il Monte dei Paschi di Siena è in conclamata difficoltà finanziaria da oltre un anno;
si è a lungo dibattuto di operazioni di salvataggio della banca di cui in premessa attraverso operazioni di mercato;
da diverse settimane la stampa ha iniziato a parlare di un intervento diretto dello Stato per il salvataggio della banca Monte dei Paschi di Siena;
un'operazione di mercato non si è concretizzata anche in virtù delle suddette rivelazioni, che hanno di fatto scoraggiato l'intervento degli investitori;
in passato il Ministero dell'economia e delle finanze ha già svolto indagini interne in occasione di fughe di notizie relative a provvedimenti normativi oggetto di studio nei suoi uffici –:
se il Ministro interrogato intenda promuovere un'indagine interna al proprio Ministero per verificare le responsabilità della fuga di notizie relativa ad un decreto sulle banche, che ha, a giudizio degli interroganti, di fatto, cancellato le possibilità di successo di un'operazione di mercato per il salvataggio della banca Monte dei Paschi di Siena. (3-02662)
BUSIN, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, CAPARINI, CASTIELLO, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, PAGANO, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
Monte dei Paschi di Siena ha proposto, nella notte tra il 15 e il 16 novembre 2016, un aumento di capitale che comprende la conversione volontaria dei bond subordinati, il cui valore nominale ammonta a 4,28 miliardi di euro, di cui 2,1 miliardi di euro in mano a clientela retail con scadenza maggio 2018. L'operazione si è aperta lunedì 19 novembre 2016 e si chiuderà giovedì 22 novembre 2016;
in particolare, i bond oggetto di conversione sono serviti a finanziare l'acquisto di Antonveneta ad un prezzo che, a distanza di pochi mesi, si è rivelato essere del tutto spropositato;
secondo gli operatori, il prezzo offerto per la conversione rappresenta, secondo il loro valore di mercato attuale, un premio alto, pari fino al 30 per cento;
la conversione, nonostante l'alto premio proposto, comporta, però, notevoli pregiudizi per i clienti, soprattutto per i piccoli risparmiatori con un profilo «mifid» non conforme a quello di un azionista;
i clienti interessati da questa operazione, piccoli risparmiatori con un profilo «mifid» non adeguato, sono circa 40 mila, tra cui molti pensionati. Si verificherebbe, di conseguenza, una palese violazione dei principi che tutelano il risparmio sanciti dall'articolo 47 della Costituzione, soprattutto per coloro che hanno acquistato obbligazioni subordinate prima del recepimento della «direttiva bail-in», quindi con un grado di rischio incomparabilmente inferiore non solo alle azioni, ma anche alle stesse obbligazioni acquistate dopo novembre 2014;
ad aggravare il quadro concorre la circostanza secondo la quale la banca senese minaccia di non dare altre possibilità di scelta a questi risparmiatori perché avverte che, qualora l'aumento di capitale da 5 miliardi di euro non dovesse riuscire, i possessori di questi bond «potrebbero essere soggetti a riduzione del valore nominale» oppure ad una «conversione forzata» in azioni, fino all'ipotesi più drammatica di azzeramento del capitale come previsto dal bail-in –:
come il Governo intenda tutelare i piccoli risparmiatori detentori di obbligazioni subordinate, soprattutto quelle acquistate prima del novembre 2014, cioè prima del recepimento da parte dell'Italia della «direttiva Brrd», conosciuta come bail-in, nel caso in cui l'operazione di aumento di capitale di Monte dei Paschi di Siena dovesse fallire. (3-02663)
PESCO, ALBERTI, FICO, PISANO, RUOCCO e VILLAROSA. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
la crisi del sistema bancario è riconducibile non solo ad una cattiva gestione ed una carente attività di vigilanza, ma altresì all'aumento dei requisiti patrimoniali disposti dalle istituzioni internazionali senza tener conto delle peculiarità del sistema bancario italiano;
è necessario creare le condizioni per assicurare la stabilità del sistema bancario;
sia nel caso delle «4 banche» che nel caso del Monte dei Paschi di Siena si assiste ad un probabile scenario di sottoscrizione di obbligazioni subordinate da parte di clienti retail privi di un adeguato profilo di rischio, come dimostrato dalla procura di Arezzo che, anche secondo fonti di stampa, ha predisposto la richiesta di rinvio a giudizio per truffa aggravata per circa 30 direttori di Banca Etruria;
in considerazione dell'esigenza di tutelare in eguale misura i detentori di titoli obbligazionari ed in considerazione della necessità, per lo Stato italiano, di intervenire nel rispetto del principio di eguaglianza senza creare alcuna disparità di trattamento nella gestione delle crisi delle banche, sarebbe opportuno istituire un fondo di garanzia pubblico che abbia l'obiettivo di tutelare il risparmio dei cittadini italiani, fondo complementare al fondo interbancario di tutela, per la tutela dei depositi dei piccoli risparmiatori che abbiano investito in obbligazioni bancarie prima del 16 novembre 2015;
dalla stampa si apprende che le principali banche internazionali e fondi istituzionali sono particolarmente interessate al business connesso alla gestione delle sofferenze e delle cartolarizzazioni, sottraendo risorse dalle banche in crisi. Né è la prova la continua tensione tra JP Morgan e Quaestio capital nel tentativo di fissare condizioni di vantaggio con lo Stato nella gestione delle sofferenze;
i risultati ottenuti dalla «Sga», società per la gestione delle attività – che ha gestito le sofferenze del Banco di Napoli – evidenzia che una corretta gestione delle sofferenze possa condurre a risultati positivi, senza necessariamente effettuare costose operazioni di cartolarizzazione e finanza strutturata;
la creazione di una banca pubblica potrebbe facilitare la gestione delle sofferenze del sistema bancario nazionale in modo fruttuoso sul modello del Banco di Napoli, anche individuando i responsabili della non corretta erogazione del credito;
la trasferibilità delle cosiddette dta di tipo 2 in possesso dalle banche in crisi agli obbligazionisti, trasformandole in crediti d'imposta, potrebbe ridurre le risorse necessarie per i risarcimenti –:
se intenda individuare una soluzione che garantisca una tutela uniforme dei risparmiatori e regole nazionali uniformi per la gestione pubblica delle crisi del sistema bancario sulla base di quanto descritto, mediante iniziative per la costituzione di una banca pubblica che gestisca internamente le sofferenze, sospendendo ogni iniziativa che comporti un considerevole aumento del debito pubblico.
(3-02664)
BARADELLO. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
la legge di stabilità per il 2016 ha introdotto, a favore delle società commerciali e degli imprenditori individuali che detengono immobili in regime di impresa, la facoltà di estromissione agevolata di tali beni, in considerazione dell'andamento del mercato degli ultimi anni che ne ha ridotto sensibilmente i valori;
successivamente la legge di bilancio per il 2017 ha prorogato di un anno tali disposizioni;
in entrambi i casi, però, sono stati esclusi dalla facoltà sopra ricordata gli enti non commerciali esercenti attività di impresa;
si tratta di un'esclusione non comprensibile, a parere dell'interrogante, dato che si tratta di una categoria soggetta alle stesse disposizioni tributarie sul reddito di impresa e nei confronti della quale si presentano le medesime difficoltà e problematiche in cui incorrono i soggetti sopra ricordati e beneficiari della facoltà prevista dalla legge;
si ricorda, inoltre, che negli ultimi anni si sono succeduti diversi provvedimenti agevolativi di estromissione o scioglimento agevolato a favore di società e imprenditori individuali;
per quel che riguarda gli enti non commerciali, invece, l'ultima disposizione di tale natura risale alla ormai datata legge n. 413 del 1991;
durante la recente discussione alla Camera dei deputati della legge di bilancio per il 2017 il Governo ha accolto un ordine del giorno (n. 9/4127-bis-A/89), che chiedeva di valutare l'opportunità d'intraprendere iniziative per affrontare la questione sopra esposta –:
quali misure intenda adottare il Ministro interrogato per superare questa disparità di trattamento che, a parere dell'interrogante, appare francamente incomprensibile. (3-02665)
GIUSTIZIA
Interrogazione a risposta scritta:
NASTRI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
secondo quanto risulta da articoli di quotidiani locali, le condizioni attuali del carcere penitenziario di Novara, risultano particolarmente gravi dal punto di vista della carenza di personale e della sicurezza all'interno;
la denuncia da parte dei sindacati è motivata dalla decisione del direttore dell'Istituto penitenziario, di definire una serie di modifiche all'organizzazione del lavoro, apportate unilateralmente, che hanno causato carenze di personale in determinate fasce orarie della giornata lavorativa e che rischiano di compromettere la sicurezza dell'istituto e di chi vi opera;
a giudizio dei sindacati, tutte le responsabilità sono state scaricate sui poliziotti penitenziari, che si trovano costretti a coprire più posti di servizio con le prevedibili conseguenze legate alle difficoltà di fruire dei diritti soggettivi contrattualmente previsti, in un contesto lavorativo teso, in cui, a loro giudizio, non vi è alcun interesse per il benessere del personale;
la suesposta vicenda, che rappresenta a parere dell'interrogante, un'ulteriore conferma della situazione generale in cui si trova il sistema carcerario italiano, ed in particolare quello novarese, estremamente grave e difficile, impone una rapida inversione di rotta da parte del Governo sulle politiche di sicurezza e del lavoro, nei riguardi degli agenti di polizia penitenziaria, e sui livelli di sicurezza all'interno delle strutture carcerarie attualmente estremamente carenti –:
quali orientamenti il Ministro interrogato intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
se condivida le preoccupazioni evidenziate dai rappresentanti del sindacato novarese, secondo i quali le condizioni attualmente esistenti nel carcere penitenziario sono estremamente gravi e complesse in ordine al sistema di sicurezza interna e a causa della carenza del personale;
in caso affermativo, quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda intraprendere, nell'ambito delle sue competenze, al fine di migliorare la situazione dell'Istituto penitenziario di Novara, tenendo conto dei rilievi critici esposti in premessa. (4-15038)
INFRASTRUTTURE E TRASPORTI
Interrogazione a risposta immediata:
MARCON, FRANCO BORDO, FOLINO, ZARATTI, PELLEGRINO, SCOTTO, PANNARALE e GIANCARLO GIORDANO. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
il passaggio nella laguna di Venezia delle grandi navi da crociera ha avuto negli anni un forte incremento; da troppo tempo navigano per il Canale della Giudecca e nel bacino di San Marco dei veri e propri grattacieli del mare, che espongono a gravissimi rischi la città e il delicato ecosistema dell'intera area;
nel 1987 Venezia è stata dichiarata sito patrimonio dell'umanità dell'Unesco;
in una risoluzione adottata a Istanbul nel luglio 2016 nel corso della 40esima sessione della Commissione per i siti patrimonio e votata all'unanimità dai rappresentanti dei 21 Paesi, l'Unesco ha evidenziato la condizione di fortissimo rischio cui risulta esposta la città di Venezia, in conseguenza del passaggio delle grandi navi. L'Unesco ha criticato il nostro Paese per la mancanza di una strategia di tutela della laguna, fornendo, altresì, una lunga serie di raccomandazioni;
l'Unesco ha chiesto al Governo italiano di adottare misure urgenti per ridurre il traffico acqueo (e la proibizione alle grandi navi passeggeri e commerciali di entrare in laguna) e per un turismo sostenibile e di presentare un rapporto dettagliato sullo stato di conservazione del sito;
l'organizzazione dell'Onu ha, quindi, annunciato di voler inserire Venezia nella «danger list», ossia nella lista dei siti dell'Unesco a rischio, qualora entro il 1o febbraio 2017 non vi sia un reale intervento di salvaguardia e di risoluzione del problema legato al transito delle grandi navi e agli altri problemi enunciati nel rapporto;
come sottolineato anche dal citato documento dell'Unesco, la città è immersa in uno degli ecosistemi più complessi e fragili in assoluto, il quale risulta sempre più compromesso da dinamiche di sfruttamento fortemente invasive e pericolose, come il transito quotidiano delle navi passeggeri e commerciali all'interno della laguna, che da anni mette a repentaglio la città e l'ecosistema circostante;
fino ad oggi, a conoscenza degli interroganti, nessuna iniziativa è stata predisposta per far fronte a detta emergenza e, in particolare, all'individuazione di linee di navigazione delle grandi navi, alternative a quelle esistenti, come d'altronde prefigurato dal «decreto Clini-Passera» del 2012 –:
come il Governo intenda rispondere entro il 1o febbraio 2017 alle richieste dell'Unesco, con particolare riferimento alla soluzione del problema della navigazione delle grandi navi in laguna.
(3-02669)
Interrogazione a risposta in Commissione:
DE LORENZIS, PETRAROLI e VIGNAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
da fonte stampa della Gazzetta del Mezzogiorno del 13 dicembre 2016 dal titolo «Taranto ha un Frecciarossa ma perde due Intercity» si evince che le due coppie di treni Intercity che collegano Taranto a Roma e che attualmente sono coperte dal contratto di servizio tra il Ministero e Trenitalia, saranno soppresse nell'ambito della riorganizzazione del cosiddetto «servizio universale»;
nonostante Taranto sia in una rete Ten-T, ha un numero ridotto di collegamenti ferroviari per passeggeri a lunga percorrenza diretti per Milano, Roma e Reggio Calabria che per lo più vengono realizzati tramite treni Intercity, ad eccezione per il «Frecciabianca» delle ore 10,10 in direzione Milano tramite la linea adriatica e l'avvio della recente sperimentazione con il treno Frecciarossa in partenza alle ore 5,48 che attraverso la Basilicata giunge a Napoli per poi proseguire sulla rete TAV fino a Milano –:
quali iniziative anche normative e sul piano infrastrutturale, il Ministro intenda adottare al fine di garantire sia le corse che realizzano il servizio universale in partenza e in arrivo da Taranto sia tutti i collegamenti di lunga percorrenza, anche a mercato;
quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di velocizzare i collegamenti ferroviari da e per Taranto;
quali risorse il Ministro intenda stanziare al fine di garantire il trasporto passeggeri di lunga percorrenza;
quali iniziative di competenza il Ministro intenda adottare al fine di scongiurare disservizi ai cittadini della Basilicata e dell'area jonica relativi all'assenza di servizi di trasporto di lunga percorrenza ad un costo accessibile e poco frequenti. (5-10147)
Interrogazioni a risposta scritta:
D'UVA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
la Servirail Italia s.r.l. è stata una società appartenente al gruppo internazionale Newrest Wagons lits;
la società ha gestito, congiuntamente alla Wasteels International Italia srl, in regime di appalto concesso dalla società Trenitalia s.p.a., il servizio di accoglienza, accompagnamento e assistenza alla clientela, nonché altre prestazioni accessorie, all'interno dei treni notte circolanti sul territorio nazionale e internazionale;
a partire dall'11 dicembre 2011, a seguito della volontà di recedere dal contratto da parte della società Trenitalia s.p.a, in presenza di una riduzione dei collegamenti del servizio universale con particolare riferimento ai treni notturni, la Servirail ha disposto il licenziamento di tutto il personale;
tuttavia, attraverso un accordo sindacale avente ad oggetto i licenziamenti collettivi citati, la società Trenitalia rendeva nota la volontà di procedere, attraverso appositi piani di ricollocamento del personale, a nuove assunzioni presso altre società direttamente legate al gruppo, predisponendo un percorso propedeutico per tutti i lavoratori considerati idonei;
attraverso tale piano è stata disposta la ricollocazione di gran parte del personale ex Servirail, il quale ha trovato occupazione all'interno di altre società, tra le quali il consorzio «Angel Service», nuovo affidatario del servizio dei treni notte;
esaurita la ricollocazione prevista dall'accordo restavano escluse dal nuovo piano di assunzioni, e quindi in condizione di continua disoccupazione, circa 35 unità di lavoratori ex Servirail, provenienti dai territori maggiormente svantaggiati, quali la regione Calabria e la regione siciliana;
tali lavoratori non venivano assorbiti benché in possesso dei requisiti di professionalità e comprovata esperienza, in considerazione della loro ricollocazione all'interno delle ditte che operavano in appalto per conto di Trenitalia, e incaricate dalla stessa società per consentire ai lavoratori di espletare il percorso propedeutico all'assunzione presso una delle società del gruppo Ferrovie dello Stato s.p.a.;
nell'anno 2015 i lavoratori sono stati, infatti, affidati alla società Ecoindustria S.r.l., con contratto a tempo determinato, il cui appalto, tuttavia, cesserà a partire dal 7 gennaio 2016, comportando la messa in mobilità di tutti i lavoratori ex Servirail;
in data 28 luglio 2016 veniva sottoscritto un accordo sindacale con la società Trenitalia s.p.a., concernente il «regolamento del fondo per il perseguimento di politiche attive a sostegno al reddito e dell'occupazione per il personale delle società del gruppo Ferrovie dello Stato Italiane», il quale dovrebbe introdurre misure anche in favore dei tali lavoratori siciliani e calabresi, e che risulta, tuttavia, ancora in attesa di recepimento ministeriale;
in data 1o settembre 2016 il consorzio «Angel Service» ha disposto ai sensi e per gli effetti della procedura di mobilità ex articoli 4 e 24 della legge n. 123 del 1991, a seguito del licenziamento di 339 unità, a seguito della decisione della società Trenitalia di non rinnovare l'appalto oggi vigente con il consorzio;
a seguito del mancato accordo in sede sindacale il consorzio «Angel Service» ha avanzato ai competenti uffici del Ministero la richiesta di convocazione delle parti finalizzata all'espletamento della successiva fase amministrativa; il Ministero sarà chiamato a svolgere la propria funzione di mediazione –:
quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di consentire il ricollocamento dei lavoratori ex Servirail all'interno delle società del gruppo Ferrovie dello Stato italiane;
se intenda adoperarsi, in sede di espletamento della fase amministrativa relativa al mancato rinnovo dell'appalto della società Trenitalia con il consorzio «Service Angel», per individuare una soluzione favorevole anche per i lavoratori siciliani e calabresi, i quali, pur avendo effettuato il percorso propedeutico relativo al reinserimento, restano ancora in attesa di collocamento. (4-15035)
PATRIZIA MAESTRI e ROMANINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
decine di lavoratori pendolari, frequentatori dei treni della linea Parma-Bologna, hanno rappresentato, con la lettera che si riporta, la seguente situazione:
«Ci risiamo, anche quest'anno Trenitalia ha comunicato che cancellerà dal prossimo gennaio alcuni treni Intercity dei quali noi pendolari usufruiamo per raggiungere le stazioni intermedie poste sulla tratta Milano Bologna ma anche per le altre destinazioni limitrofe. Tra i treni in questione vi sono anche gli Intercity 583 e 590 che attraversano i nostri territori nelle ore maggiormente interessate dallo spostamento di noi pendolari e sono inseriti nella offerta complessiva di trasporto della Regione Emilia Romagna, che partecipa alle spese con l'abbonamento “mi muovo tutto treno”. Al tempo del trasferimento degli Eurostar sull'Alta Velocità, il servizio prospettato dalla RER considerava sulla tratta Piacenza Bologna 4 treni ogni ora cadenzati (uno ogni quarto d'ora circa) dei quali due regionali (sempre orgogliosamente mantenuti dalla regione) e due a lunga percorrenza. La cancellazione del IC 583 comporta per esempio a Parma un ‘buco’ dalle 07.58 alle 08.30. Abbiamo assistito in questi anni al progressivo smantellamento del previsto servizio con la cancellazione di alcuni dei treni a lunga percorrenza, che di anno in anno sparivano dall'orario. Il problema dei continui ritardi e guasti alla rete o al materiale rotabile rende indispensabile la presenza di più treni per riuscire a limitare i ritardi sia all'andata che al ritorno e rendere il treno un mezzo utilizzabile da più persone, e se questi non possono essere intercity va bene anche che siano regionali ! Per quanto esposto l'ennesima notizia diffusa da Trenitalia di modifica unilaterale dell'offerta, senza giustificazioni accettabili per il nostro tipo di utenza e le nostre esigenze, evoca la necessità di utilizzare l'auto poiché aumenta il rischio di non giungere puntuali nei luoghi di studio o di lavoro. Per quanto esposto si chiede di rendere stabile il servizio per i pendolari mantenendo 4 treni all'ora per garantire un servizio di qualità e per limitare i ritardi sia all'andata che al ritorno e quindi di evitare le cancellazioni annunciate per il prossimo gennaio dei treni intercity tra i quali risultano il 583 e il 590»;
la situazione riveste un oggettivo rilievo per tutti i lavoratori pendolari della linea Parma-Bologna con evidente rischio di peggioramento delle condizioni di lavoro di tante persone e di disagio per molte madri lavoratrici e per molte famiglie –:
se il Ministro interrogato non ritenga opportuno e necessario assumere iniziative affinché Trenitalia garantisca un servizio di qualità e funzionale alle esigenze dei pendolari lavoratori sulla linea Parma-Bologna, evitando, in particolare, la cancellazione dei treni intercity a partire dal 583 e 590. (4-15041)
* * *
INTERNO
Interpellanza:
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
Alessio Abram è un cittadino italiano di 48 anni residente ad Ancona, con alle spalle una intensa attività di promotore dei diritti sociali e dell'integrazione attraverso la pratica dello sport, tra i fondatori della Polisportiva Assata Shakur, nonché tra gli ultras storici della squadra di calcio U.S. Ancona 1905;
Abram è attualmente detenuto presso la casa di reclusione di Ancona – Barcaglione;
la sua vicenda giudiziaria può essere bevente riassunta nei seguenti passaggi: in data 13 novembre 2015 Abram veniva condotto presso la casa circondariale di Ancona – Montacuto, per scontare una pena di anni 4 (diventati dopo appena qualche giorno di 5 anni e un mese, a causa di altra condanna divenuta nel frattempo definitiva dovuti a reiterate violazioni del divieto di accedere alle manifestazioni sportive (cosiddetta Daspo), per fatti risalenti a circa dieci anni prima;
nello specifico le pene sarebbero conseguenza di 7 mancate o ritardate firme in questura, durante le partite della squadra di calcio dell'Ancona;
il 18 maggio 2016 il tribunale di sorveglianza di Ancona si pronunciava sulla ammissione dell'istanza di affidamento in prova, avanzata dallo stesso Abram, rigettandola, anche a causa della relazione «negativa» redatta dalla questura di Ancona;
il 26 maggio venivano notificati ad Abram altri 5 mesi e 10 giorni per una ulteriore violazione del Daspo (che sarebbe avvenuta in data 29 ottobre 2011, quando Abram sedeva regolarmente in panchina in qualità di dirigente sportivo della squadra di calcio «Konlassata», felice esperimento di integrazione sociale e razziale attraverso lo sport, iscritta al campionato di calcio dilettantistico di Terza Categoria);
nel luglio 2016 Abram presentava, inoltre, istanza di ammissione al beneficio del lavoro esterno ex articolo 21 dell'ordinamento penitenziario, per poter svolgere 4 ore di lavoro e 4 di volontariato per 5 giorni alla settimana presso l'Associazione Polisportiva Solidalea di Ancona e presso Uisp;
in data 1o settembre 2016 tale domanda veniva rigettata, anche a causa del rischio di recidiva, rilevato dal magistrato del tribunale di sorveglianza competente, dovendosi svolgere l'attività di lavoro esterno presso una società sportiva. Questo, nonostante i reati contestati ad Abram risalissero al dicembre 2005 e nonostante, dal 2010 al 2015, Abram avesse svolto una meritoria attività sociale in qualità di dirigente accompagnatore della squadra di calcio «Konlassata», ed organizzando per 15 anni il «Mundialito antirazzista» ad Ancona. Inoltre, Abram svolgeva attività di animatore socio-educativo all'interno dei laboratori di psico-motoria e di formazione per l'avviamento al lavoro, rivolti a persona con disabilità mentale. Esempi che segnalano come Abram abbia svolto nel tempo una attività in linea con i principi di rieducazione ai quali l'espiazione di qualsiasi pena dovrebbe informarsi;
il caso di Abram non è purtroppo isolato quanto a sproporzione della pena comminata a fronte di reiterata violazione del semplice obbligo di firma. Si citano, per tutti, i casi recenti dell'ultrà della squadra Juve Stabia, condannato a 6 e 8 mesi di reclusione («Ultrà condannato a 32 anni di Daspo e 6 di carcere: non rispettava obblighi firma», Il Fatto Quotidiano 9 febbraio 2016) e quello ancor più significativo di un altro tifoso dell'Ancona, di recente condotto presso la casa circondariale di Montacuto (Ancona) per scontare una pena di anni 9 e mesi 8, oltre a 93 mila euro di multa, a seguito del cumulo materiale delle pene derivanti dal mancato rispetto dell'obbligo di firma in questura, imposto col Daspo («Violazione del Daspo: 9 anni ad un tifoso ultrà», Corriere Adriatico ed. Ancona, 28 ottobre 2016);
il cosiddetto Daspo, introdotto con la legge n. 401 del 1989, ha subìto negli anni numerose modifiche, caratterizzandosi per una evoluzione normativa spesso frutto di risposte «emergenziali» del legislatore ad episodi di violenza negli stadi, in grado di alimentare un forte allarme sociale nella pubblica opinione;
tale evoluzione normativa, come spesso accade nelle ipotesi di introduzione di norme penali attraverso la tecnica della decretazione d'urgenza, non tiene in adeguato conto esigenze di armonizzazione rispetto all'intero ordinamento, creando spesso cortocircuiti evidenti sul piano della proporzionalità della pena e del principio di eguaglianza; meritano, inoltre, un'approfondita riflessione anche le criticità legate all'inasprimento del trattamento sanzionatorio per i cosiddetti «recidivi reiterati», come nei casi richiamati. Perplessità, peraltro, già espresse anche dalla Corte costituzionale (sentenza n. 183 del 2011) laddove sottolinea l'impossibilità di tenere conto del comportamento, di tali soggetti, successivo alla commissione del reato «anche quando è particolarmente meritevole ed espressivo di un processo di rieducazione intrapreso, o addirittura già concluso», eludendo «la funzione rieducativa della pena, privilegiando un profilo general-preventivo» –:
se i Ministri interrogati non intendano intraprendere iniziative, anche di carattere normativo, volte a rivedere la normativa del cosiddetto daspo al fine di superare le gravi criticità riportate in premessa.
(2-01565) «Ricciatti, Daniele Farina, Fratoianni, Paglia, Scotto, Sannicandro, Piras, Quaranta, Costantino, Nicchi, Duranti, Melilla».
Interrogazione a risposta orale:
CRIVELLARI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea — richiamata dai Trattati — dispone il divieto di qualsiasi forma di discriminazione fondata «in particolare, su (omissis) l'età» e l'articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000 definisce come «discriminazione diretta» il caso in cui «sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all'articolo 1 [religione, convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali], una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in una situazione analoga»;
è recente la sentenza della Corte di giustizia europea nella causa C-416/13 che innova, per certi versi, l'interpretazione che fin qui si è fatta;
nella sentenza si pone in rilievo la circostanza che l’iter della selezione concorsuale preveda già il superamento di «prove fisiche rigorose ed eliminatorie» sufficienti a raggiungere l'obiettivo di garantire piena operatività ai Corpi;
in assenza di una ragionevole giustificazione, le norme che impongono un limite d'età all'accesso ai concorsi realizzano, secondo la Corte, una manifesta disparità di trattamento basata sull'età;
con decreto ministeriale n. 676, il 15 novembre 2016, è stato pubblicato il bando di concorso pubblico, per titoli ed esami, per 250 posti nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco –:
se il Ministro interrogato non ritenga di dover adottare fin da subito tutte le iniziative utili ad adeguare l'ordinamento italiano agli orientamenti della Corte di giustizia europea in materia di limiti d'età nell'accesso ai concorsi pubblici per i ruoli iniziali;
se in merito a quanto previsto nell'ultimo concorso del Corpo nazionale dei vigili del fuoco sia stato valutato di derogare ai principi sopra esposti. (3-02659)
Interrogazioni a risposta scritta:
MOLTENI e GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
il Ministro dell'interno ha recentemente firmato un ordine di espulsione dal territorio nazionale nei confronti di un 49enne tunisino, Belgacem Ben Mohammed Belhadj, residente nel comasco da quasi vent'anni;
Belhadj, che risiedeva a Lurago d'Erba, è stato giudicato una minaccia alla sicurezza del nostro Paese dagli investigatori, che lo hanno ritenuto molto prossimo al mondo degli estremisti jihadisti, se non addirittura un vero e proprio reclutatore di volontari da inviare a combattere in Afghanistan, Cecenia e forse anche in favore del sedicente Stato Islamico;
Belhadj ricopriva incarichi di vertice nel centro culturale islamico di Camerlata;
vi sarebbero prove che Belhadj abbia pronunciato sermoni particolarmente violenti – di cui la Digos possiederebbe le registrazioni – durante momenti di preghiera svoltisi nel centro culturale islamico comasco di via Domenico Pino, ormai da considerarsi nuovamente una moschea clandestina vera e propria, a dispetto dei provvedimenti di chiusura al culto presi negli scorsi anni;
quello adottato nei confronti di Belhadj è in effetti il quarto provvedimento di espulsione che colpisce frequentatori del sedicente centro culturale islamico di via Domenico Pino, circostanza che dovrebbe dimostrarne la pericolosità;
il comasco e la Lombardia più in generale continuano a farsi notare in ragione del livello di infiltrazione raggiunto dai jihadisti –:
quali iniziative il Governo intenda adottare per rassicurare i residenti nella provincia comasca e stroncare la minaccia jihadista alla sicurezza loro e del nostro Paese più in generale;
se il Governo non ritenga opportuno valutare se sussistono i presupposti, alla luce di quanto le indagini hanno rivelato sulle attività di Belhadj, per assumere iniziative volte a pervenire alla chiusura definitiva del centro culturale islamico di via Domenico Pino, che, tra l'altro, continuerebbe ad ospitare attività di culto che si era inteso vietare con alcuni provvedimenti specifici adottati in passato, evidentemente elusi;
se il Governo non giudichi necessario potenziare le risorse a disposizione delle forze dell'ordine per accentuare la pressione sugli elementi residenti nella provincia comasca sospettati di nutrire simpatie jihadiste. (4-15034)
BECHIS, ARTINI, BALDASSARRE, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
da oltre otto anni, a pochi chilometri dal comune di Foggia, nel comprensorio di Borgo Tressanti, Contrada La Pescia, sussiste un agglomerato di baracche conosciuto con il nome di « Ghetto dei Bulgari»;
la popolazione residente all'interno del ghetto è formata da cittadini comunitari provenienti per lo più dalla cittadina di Silven, Bulgaria e si stima che questo ghetto arrivi ad ospitare oltre 1000 adulti e circa 400 minori;
il Ghetto dei Bulgari è stato volutamente dimenticato dalle istituzioni, e la regione Puglia, solo in seguito ad interventi di sensibilizzazione e grazie alla messa in onda di alcuni servizi su emittenti nazionali, ha assicurato da ottobre 2016 la fornitura di acqua potabile con l'invio a giorni alterni di un'autobotte e gli unici interventi sono stati forniti dalle associazioni di volontariato senza, o quasi senza, alcun supporto pubblico;
l'amministrazione comunale e i servizi sociali del comune di Foggia, a quanto risulta agli interroganti, hanno ignorato per lungo tempo le richieste della procura della Repubblica presso il tribunale dei Minori di Bari, richieste che sollecitavano il censimento dei residenti nel ghetto per quantificare quanti fossero i minori in età scolare, con il fine di assicurare loro i dovuti interventi;
ad oggi il comune di Foggia non ha garantito i servizi di trasporto per assicurare il diritto allo studio e l'assenza del censimento comporta anche che i minori non vengono vaccinati;
tale degrado ha causato eventi drammatici quali l'ennesimo incendio nel ghetto, che è costituito da baracche di legno e di plastica, in parte completamento di alloggi nati attorno a roulotte vecchie e fatiscenti, talora costituito da piccoli pergolati in una situazione di degrado totale;
il comune di Foggia non può avvalersi dei fondi disponibili dai piani sociali di zona perché, in questi piani, non sono stati inseriti interventi a favore delle comunità rom e/o migranti, dimostrando la scarsa attenzione nei confronti di tale realtà da parte dell'amministrazione pubblica;
nell'ultimo incendio verificatosi il 9 dicembre 2016 è morto un ragazzo di 20 anni, evento che dovrebbe sensibilizzare le istituzioni e provocare una maggiore attenzione verso gli ultimi –:
se il Governo intenda promuovere iniziative dirette a favorire un risanamento, anche sotto il profilo dell'ordine pubblico e del decoro urbano, dell'area descritta in premessa e creare i presupposti per rendere dignitosa la vita di questi cittadini comunitari. (4-15043)
* * *
LAVORO E POLITICHE SOCIALI
Interrogazione a risposta immediata:
PIZZOLANTE. – Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:
la riforma del mercato del lavoro (Jobs Act) è stata varata con l'obiettivo di produrre flessibilità sul mercato, accrescere la sicurezza, aumentare il numero di strumenti capaci di incrementare i posti di lavoro a tempo indeterminato, nonché le assunzioni in generale. Infatti, il contratto a tempo indeterminato è diventato, con questo strumento normativo, una delle forme di assunzione privilegiata;
il Jobs Act, nella prima parte della riforma, ha senza dubbio apportato delle innovazioni ed ottenuto risultati per quanto riguarda le tutele ed i contratti. Si è invece indietro nello sviluppo della parte relativa alle politiche attive del lavoro e delle forme di ricollocazione;
il Governo è poi intervenuto con la decontribuzione per l'abbattimento del cuneo fiscale, realizzando così un'altra riforma fondamentale per lo sviluppo dell'economia italiana, finendo per aggiungere una fortissima spinta alle assunzioni a tempo indeterminato;
le barriere alle assunzioni a tempo indeterminato erano per lo più riconducibili alle vecchie norme relative all'articolo 18 ed al costosissimo cuneo fiscale;
altra questione di rilievo sono i cosiddetti voucher, la cui diffusione, per un verso, ha cercato di superare il problema del lavoro sommerso, una vera «piaga» del mercato italiano del lavoro, considerando il fatto che di questo strumento si è fatto anche un uso distorto che va corretto –:
quali iniziative si intendano intraprendere, al fine di compiere passi in avanti e non passi indietro, per completare, rafforzare ed estendere le innovazioni in termini di politiche attive a sostegno del lavoro, nonché per rafforzare la decontribuzione insieme all'eliminazione delle distorsioni dell'utilizzo dei voucher. (3-02660)
Interrogazione a risposta in Commissione:
RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
la legge n. 546 del 1977, articolo 26, ultimo comma, ed il capo II del decreto del Presidente della Repubblica n. 102 del 1978, modificato dalla legge n. 26 del 1986, istituiscono il Consorzio obbligatorio per l'impianto, la gestione e lo sviluppo dell'area per la ricerca scientifica e tecnologica nella provincia di Trieste (Area Science Park), ente pubblico nazionale di ricerca;
fino al 2013, nella determinazione della quota d'obbligo dei lavoratori con disabilità da assumere ex legge n. 68 del 1999, Area Science Park considerava correttamente, nella base di calcolo, anche il personale a tempo determinato con contratto superiore a sei mesi, come da modifiche apportate all'articolo 4, comma 1, della legge n. 68 del 1999, dall'articolo 4, comma 27, lettera a), della legge n. 92 del 2012 e dall'articolo 46-bis, comma 1, lettera l), del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012;
successivamente, all'emanazione del decreto-legge n. 101 del 2013, Area Science Park ha interpretato restrittivamente la disposizione di cui all'articolo 7, comma 6, del citato decreto rispetto alla base di calcolo ex articolo 4 della legge n. 68 del 1999, ritenendo di doverla limitare ai soli dipendenti assunti a tempo indeterminato;
pertanto, poiché l'ente in questione occupa circa 50 lavoratori a tempo indeterminato e circa 80 lavoratori a tempo determinato (superiore a sei mesi), dal 1o febbraio 2015 esso mantiene alle proprie dipendenze solamente tre lavoratori con disabilità, a fronte di una base di computo di circa centotrenta unità. L'ente non ha così rinnovato il contratto di lavoro a quattro lavoratori con disabilità impiegati a tempo determinato fino a tutto il 2014, che hanno perso l'impiego senza essere stati sostituiti, tre dei quali sono tuttora in cerca di occupazione;
tale situazione veniva portata all'attenzione dei Ministeri competenti (Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Ministero del lavoro e delle politiche sociali e Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca) con molteplici interrogazioni parlamentari, tra le quali quella dell'interrogante n. 5-08099 del 14 marzo 2016;
su tale vicenda, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione (risposta scritta prot. n. 353/16/LIL/P dd. 22 giugno 2016) riferiva, in particolare, quanto segue: «una base di computo che supera la dotazione organica con contratti di lavoro a termine dovrebbe garantire il rispetto della quota d'obbligo attraverso assunzioni a tempo determinato (...) l'assunzione con contratto a tempo indeterminato del personale appartenente alle categorie protette comporta, nella base per il calcolo delle assunzioni da effettuare, che sia preso a riferimento il personale a tempo indeterminato e quello che, pur essendo assunto a tempo determinato, sia quanto meno legato a fabbisogni non meramente contingenti dell'amministrazione e con la possibilità di essere utilizzato per un lasso di tempo non circoscritto». Relativamente alle assunzioni a tempo determinato imputate su fondi comunitari, asseriva che «l'esigenza di tutelare l'interesse dei soggetti appartenenti alle categorie protette... comporterebbe comunque la necessità di garantire una quota di assunzioni, sia pur a tempo determinato, dei medesimi soggetti». Per quanto attiene alla dotazione di personali dell'ente ed agli obblighi assunzionali ex lege n. 68 del 1999;
lo stesso Ministro affermava che «il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, sulla base delle risultanze del prospetto informativo, gestito dalla propria banca dati, può fornire notizie più puntuali sul numero di soggetti appartenenti alle categorie protette che Area Science Park dovrebbe assumere»;
inoltre, nella risposta all'interrogazione n. 4-05423 presentata al Senato, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione riferiva che attualmente l'ente Area Science Park impiega n. 53 lavoratori a tempo indeterminato e n. 65 lavoratori a tempo determinato «destinati ad aumentare nel triennio 2016-2018» –:
se e quali urgenti iniziative di competenza il Governo intenda assumere per dirimere la questione esposta in premessa e per tutelare la categoria dei lavoratori con disabilità cessati ingiustamente dall'impiego. (5-10152)
Interrogazione a risposta scritta:
DI VITA, LOREFICE, GRILLO, SILVIA GIORDANO, MANTERO e COLONNESE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
la libertà e l'indipendenza del medico costituiscono due presupposti indispensabili per il corretto svolgimento dell'esercizio professionale;
la difesa di tali valori ha assunto ancora più rilevanza, considerando che, ormai da tempo, l'esercizio professionale può essere svolto anche in regime di dipendenza o di «convenzionamento»;
numerosi problemi sono sorti per tutelare l'indipendenza e la libertà dei medici che vengono a trovarsi incardinati in un sistema improntato a criteri di supremazia gerarchica. È stato però chiarito che anche in queste situazioni, pur nel rispetto dei vincoli propri del lavoro subordinato, devono rimanere inalterate, per la parte specifica relativa all'attività professionale, la libertà e l'indipendenza intellettuale del medico;
l'articolo 6 del contratto collettivo nazionale di lavoro della dirigenza medico-veterinaria del servizio sanitario nazionale stabilisce al punto 1), che «(...) il sistema degli incarichi dirigenziali, (...) che si basa sui principi di autonomia, responsabilità e di valorizzazione del merito e della prestazione professionale nel conferimento degli incarichi, è volto a garantire il corretto svolgimento della funzione dirigenziale nel quadro delle disposizioni legislative e contrattuali vigenti»;
si è appreso da fonti giornalistiche (rif.: la Repubblica.it del 7 novembre 2016, «Medici sospesi al civico di Palermo: “Grave attacco all'autonomia”») che due neurochirurghi dell'ospedale civico di Palermo sono stati sospesi, per 12 giorni e con il blocco dello stipendio, perché in disaccordo con le decisioni del primario in merito ad una terapia a un paziente con tumore;
più nello specifico, i due neurochirurghi sono stati «incolpati» di aver suggerito a un paziente con tumore una cura farmacologica al posto dell'intervento chirurgico programmato dal primario del reparto;
il sindacato ha annunciato il ricorso al giudice del lavoro ritenendo che con tale provvedimento disciplinare «sia stato violato il diritto all'autonomia professionale» garantito per legge e che «si voglia introdurre con tale sanzione una logica oscurantistica in base alla quale il paziente non abbia più il diritto di essere informato sulla propria patologia e sulle varie possibilità terapeutiche e il medico non abbia più il dovere di dare una corretta informazione al paziente dopo averlo visitato»;
gli stessi sindacati dei medici hanno firmato quasi all'unanimità un documento nel quale «esprimono ferma condanna del giudizio della commissione disciplinare che, non attenendosi a nessun regolamento aziendale, articolo di legge o di contratto nazionale della dirigenza, ha voluto colpire la dottoressa Luisa Grippi e il dottore Vincenzo Scaglione, rei soltanto di avere fatto il loro dovere»;
i sindacati annunciano inoltre lo stato di vigilanza a protezione dei pazienti e dei medici «che vogliono poter esercitare la loro professione secondo regole di autonomia professionale nel contesto di regole scientifiche condivise e non imposte»;
i due chirurghi coinvolti nella vicenda, Luisa Grippi e Vincenzo Scaglione, avrebbero infine più volte denunciato, insieme con il collega Giancarlo Perra, «condotte illegittime» del direttore Natale Francaviglia, dalla violazione della privacy dei pazienti a veri e propri atti di mobbing nei loro confronti;
sul reparto pende poi una maxi-inchiesta dei carabinieri del Nas che hanno sequestrato oltre duecento cartelle cliniche in relazione al presunto uso illecito della fluorescina sodica, una sostanza utilizzata da Francaviglia per «illuminare» i tumori al cervello durante le operazioni. Un uso che — come denunciato i deputati del Gruppo MoVimento 5 Stelle all'Ars in un esposto — è ancora sperimentale e di cui molti pazienti non sarebbero stati informati –:
se sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa;
posto che provvedimenti disciplinari come quelli citati contrastano, ad avviso degli interroganti, con il principio dell'autonomia professionale del medico, quali iniziative, anche normative, intenda eventualmente intraprendere in merito, al fine di salvaguardare i diritti dei medici e dei pazienti. (4-15042)
SALUTE
Interrogazioni a risposta immediata:
PIAZZONI, LENZI, AMATO, ARGENTIN, BENI, PAOLA BOLDRINI, PAOLA BRAGANTINI, BURTONE, CAPONE, CARNEVALI, CASATI, D'INCECCO, FOSSATI, GELLI, GRASSI, MARIANO, MIOTTO, MURER, PATRIARCA, PICCIONE, GIUDITTA PINI, SBROLLINI, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
l'Istituto superiore di sanità è organo tecnico-scientifico del servizio sanitario nazionale e persegue la tutela della salute pubblica, in particolare attraverso lo svolgimento delle funzioni di ricerca, controllo, consulenza, regolazione e formazione. Di esso si avvalgono il Ministero della salute, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;
il blocco delle assunzioni protratto nel tempo ha portato ad una diminuzione del personale dell'Istituto superiore di sanità, a fronte di compiti rimasti inalterati. L'ente ha sopperito in maniera stabile ricorrendo a personale assunto con contratti temporanei (collaboratori coordinati e continuativi e ricercatori/tecnici a tempo determinato), che ha mantenuto continuativamente al lavoro per oltre 3 anni. Spesso il personale precario, assunto su fondi di progetti di ricerca, ha dovuto svolgere attività istituzionale (consulenza e servizio per il servizio sanitario nazionale) a causa della cronica carenza di personale dell'Istituto superiore di sanità a tempo indeterminato;
oggi tale personale (circa 530 unità) ha maturato i diritti all'assunzione (vantando un'anzianità media da 5 a 10 anni e oltre) ed è essenziale per il prosieguo delle attività dell'Istituto superiore di sanità, ma non può essere assunto a causa del blocco parziale del turn-over ancora esistente, dei limiti imposti dalla pianta organica e della carenza di fondi stabili (le entrate derivanti da progetti di ricerca, o convenzioni, o conto terzi non sono utilizzabili per le assunzioni, in quanto sono finanziamenti temporanei);
il personale in questione, occorre ribadire, è costituito per la maggior parte da ricercatori e tecnici di laboratorio e, in parte, da personale di supporto altamente specializzato per le funzioni dell'istituto, la cui stabilizzazione sarebbe non solo una misura giusta, ma anche un investimento fondamentale sul futuro del principale ente di ricerca sanitaria del Paese, un concetto più volte pubblicamente ribadito dal presidente dell'istituto stesso –:
se non ritenga opportuno affrontare la situazione occupazionale dell'Istituto superiore di sanità, valutando la possibilità di predisporre e finanziare un piano di assunzioni straordinario rivolto al personale precario citato in premessa, al fine di garantire l'espletamento delle funzioni del servizio sanitario nazionale assegnate all'Istituto superiore di sanità. (3-02666)
LA RUSSA, GIORGIA MELONI, RAMPELLI, CIRIELLI, NASTRI, PETRENGA, RIZZETTO, TAGLIALATELA e TOTARO. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
il 13 dicembre 2016 il direttore medico dei presidi ospedalieri dell'azienda ospedaliero-universitaria di Cagliari ha diramato una circolare con la quale, «in previsione dello sbarco di migranti previsto per la giornata di oggi», invitava i direttori dei singoli presidi «a voler provvedere a bloccare i ricoveri programmati e a dimettere i pazienti dimissibili, al fine di poter affrontare l'eventuale emergenza»;
di fatto, si chiede quindi di sospendere i trattamenti sanitari e gli interventi in favore dei pazienti della zona per poter procedere ad eventuali visite di assistenza medica nei confronti dei migranti in arrivo;
la regione Sardegna ha varato pochi mesi fa un'importante riforma sanitaria, finalizzata all'efficientamento delle prestazioni e alla riduzione dei tempi di attesa per i pazienti;
il diritto alla salute, costituzionalmente riconosciuto e tutelato, deve trovare la più piena realizzazione per i cittadini e non può essere compresso a causa delle scelte sbagliate compiute in ordine alla gestione dell'immigrazione –:
se sia informata dei fatti di cui in premessa e come intenda intervenire in futuro, per quanto di competenza, affinché non si ripetano episodi simili. (3-02667)
OCCHIUTO. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
la legge di bilancio per il 2017, approvata in via definitiva, modifica i criteri per la nomina del commissario ad acta per la predisposizione, l'adozione o l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario. Le nuove disposizioni escludono, per le fattispecie di commissariamento delle regioni per i casi di inadempimento delle misure previste dal piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario, l'applicazione della disciplina di cui all'articolo 1, commi 569 e 570, della legge n. 190 del 2014. Quest'ultima stabiliva che la nomina a commissario fosse incompatibile con l'affidamento o la prosecuzione di qualsiasi incarico istituzionale presso la regione soggetta a commissariamento (ivi compresa la carica di presidente della regione) e che il commissario dovesse possedere un curriculum attestante «qualificate e comprovate professionalità ed esperienza di gestione sanitaria anche in base ai risultati in precedenza conseguiti»;
l'eliminazione di tali vincoli potrebbe riguardare, in particolare, la Calabria e la Campania soggette al piano di rientro dal disavanzo della spesa sanitaria, entrambe governate da due presidenti vicini all'attuale maggioranza di Governo: Mario Oliverio e Vincenzo De Luca;
non è difficile immaginare, a parere dell'interrogante, che la norma approvata sia indirizzata specificatamente ai due presidenti citati, di cui sono note le ambizioni a ricoprire il ruolo di commissario alla sanità;
tale disposizione risulta ancora più grave alla luce delle dichiarazioni di De Luca svolte durante un incontro di campagna referendaria, in cui, davanti a centinaia di amministratori locali, aveva incitato i presenti ad una sistematica operazione clientelare, utile a portare consenso alla tesi del «sì», in una sorta di scambio che coinvolgeva risorse pubbliche, facendo specifico riferimento anche al consenso dei titolari di strutture sanitarie accreditate;
lo stesso Governo, in occasione dell'esame della legge di bilancio per il 2017 alla Camera dei deputati, aveva accolto come raccomandazione un ordine del giorno in cui si impegnava l'Esecutivo a valutare la portata applicativa della disposizione citata e «ad adottare ogni opportuna iniziativa volta a rivedere le condizioni di accesso alla carica di commissario straordinario alla sanità da parte dei presidenti di regione» –:
alla luce della disposizione richiamata in premessa, se il Governo intenda avvalersi della possibilità di nominare i presidenti di regione quali futuri commissari straordinari alla sanità, specificando, in tal caso, le ragioni per cui intende procedere in tal senso, con particolare riferimento all'eventuale mancato raggiungimento degli obiettivi da parte dei commissari in carica. (3-02668)
Interrogazioni a risposta in Commissione:
TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, CHIMIENTI, DALL'OSSO, PAOLO NICOLÒ ROMANO, DE ROSA, MANLIO DI STEFANO, PESCO, VILLAROSA, ALBERTI, BRUGNEROTTO, MANTERO, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, GAGNARLI e TONINELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
in data 16 dicembre 2016, sul quotidiano locale « Il Giorno», veniva pubblicata la notizia riguardante il rinvenimento di scarafaggi ed escrementi di topo all'interno della mensa dell'ospedale di Desio (Monza-Brianza);
il disguido era noto da tempo come dichiarerebbero diversi testimoni oculari che hanno preferito mantenere l'anonimato. La notizia è stata ufficialmente comunicata in data 22 settembre 2016, poco dopo la successione della nuova ditta responsabile del servizio mensa, ma resa di dominio pubblico dai sindacati dal momento in cui sono venuti a conoscenza della vicenda, solo dopo quasi tre mesi. Gli stessi sindacati hanno denunciato che tutta la vicenda è stata tenuta nascosta ai dipendenti oltre che ai degenti;
l'azienda ospedaliera, al contrario dei sindacati, ha comunicato di essersi scusata da subito dell'accaduto tramite volantini distribuiti in reparto, inviando una nota a tutti i dipendenti del presidio dell'azienda ospedaliera, coinvolgendo i rappresentanti dei lavoratori in un incontro organizzato appositamente. Ha inoltre annunciato di aver avviato una procedura per rivalersi verso il precedente gestore ora non più operante, ritenuto responsabile di tale inconveniente dalla stessa azienda;
le azioni adottate dalla direzione generale della Azienda socio-sanitaria territoriale di Monza e dagli uffici competenti della Agenzia di tutela della salute, sono state quelle della chiusura delle cucine in data 22 settembre 2016, in seguito ai disguidi rilevati, a cui ha fatto seguito l'operazione di bonifica al piano interrato della struttura ospedaliera dove venivano preparati i pasti sia per i degenti che per i dipendenti;
ad ordinare la chiusura della mensa è stata la direzione generale dell'azienda ospedaliera, dopo aver allertato la competente Agenzia di tutela della salute che è intervenuta prima con un'ispezione e successivamente monitorando in maniera costante la situazione. Contemporaneamente, sono state attivate tutte le modalità per garantire pasti sostitutivi veicolati da un centro di produzione esterno alla struttura. Sono state inoltre comunicate tutte le procedure ai funzionari dell'Agenzia di tutela della salute, responsabili della gestione alimentare dell'ospedale di Desio;
nei primi giorni, dopo la scoperta del disguido igienico-sanitario all'interno della mensa, gli orari di servizio per la distribuzione dei pasti di emergenza sono rimasti invariati, nel rispetto delle diete per i degenti affetti da patologie particolari. Negli stessi giorni, sono iniziate le opere di bonifica e ristrutturazione delle cucine;
la nuova azienda che gestisce il servizio di ristorazione ha comunicato la conclusione dei lavori presso i locali mensa per il 19 settembre 2016 e la loro riapertura appena l'Agenzia di tutela della salute, in seguito all'ispezione, avrà dato parere positivo;
il direttore sanitario della Azienda socio-sanitaria territoriale di Monza, Nicola Vincenzo Orfeo, ha dichiarato che riguardo alla vicenda si è agito con rapidità e trasparenza, senza nascondere nulla a nessuno e che la situazione creatasi è la conseguenza di mancati lavori di manutenzione nel corso degli anni;
le opposizioni politiche in consiglio comunale a Desio e cittadini sui social network, sulla vicenda hanno sollevato note di sdegno;
nonostante le rassicurazioni pervenute sulla vicenda sopraindicata da parte della direzione generale dell'azienda ospedaliera di Desio, della Azienda socio-sanitaria territoriale di Monza e degli uffici della competente Agenzia di tutela della salute, agli interroganti risulta incomprensibile la mancanza di controlli precedentemente alla vicenda indicata, scoperta solo grazie al cambio di gestione della ditta appaltatrice del servizio mensa –:
se il Ministro interrogato non ritenga, per quanto di competenza, di promuovere un'ispezione presso la sopracitata mensa dell'azienda ospedaliera di Desio da parte del nucleo antisofisticazioni e sanità dell'Arma dei Carabinieri al fine di stabilire quali siano, ad oggi, i livelli igienico-sanitarie nella struttura e di promuovere, nell'eventualità che vengano rilevate irregolarità, interventi per garantire le adeguate precauzioni al riguardo. (5-10153)
COLONNESE, GRILLO, SILVIA GIORDANO, DI VITA, LOREFICE, MANTERO e NESCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
il 10 settembre 2016 l'associazione nordamericana Moms Across America ha reso pubblici i risultati preliminari di una ricerca autofinanziata per l'identificazione di residui di glifosato, l'erbicida più utilizzato al mondo sia in agricoltura sia per gli usi civili, il cui principio attivo è un brevetto della Roundup della Monsanto, nei vaccini per uso umano;
lo screening effettuato dal laboratorio Microbe Inotech Laboratories Inc. (St. Louis, Missouri, USA) utilizzando il metodo ELISA, ha dimostrato la presenza di glifosato nei seguenti vaccini:
MMR II (Merk): vaccino trivalente contro morbillo-parotite-rosolia (2.671 parti per bilione (ppb) di glifosato);
DTap Adacel (Sanofi Pasteur): vaccino trivalente contro difterite-tetano-pertosse (0.123 ppb di glifosato);
Influenza Fluvirin (Novartis), antiinfluenzale (0.331 ppb di glifosato);
HepB Energix-B (Glaxo Smith Kline), contro l'epatite B (0.325 ppb di glifosato);
Pneumonoccal Vax Polyvalent Pneumovax 23 (Merk), antipneumococcico (0.107 ppb di glifosato);
la presenza dell'erbicida sarebbe dovuta all'impiego, nel processo produttivo del vaccino, di gelatina di maiale ricavata da animali alimentati con mangimi OGM (organismi geneticamente modificati), in quanto gli allevamenti utilizzano mangimi da colture di soia e mais Ogm, per le quali si fa uso esclusivo di piante geneticamente modificate per resistere ai trattamenti con l'erbicida glifosato;
le concentrazioni di glifosato variano a seconda del vaccino, ma si può rilevare che nel vaccino MMR II (trivalente, contro morbillo-parotite-rosolia) la presenza della molecola è circa 25 volte superiore alla media. Tale riscontro induce a valutazioni drammatiche se si considera che questo vaccino è destinato all'uso nei bambini a partire dai primi mesi di vita. D'altra parte, essendo il glifosato classificato dalla IARC come probabile cancerogeno per l'uomo, la sua presenza non può assolutamente essere giustificata, neppure in minime tracce, in nessuno dei vaccini;
l'autorizzazione comunitaria per la commercializzazione del glifosato era scaduta a fine giugno del 2012 e la Commissione europea l'aveva già prorogata due volte. Poi, nel giugno 2016, la decisione di una terza proroga alla fine del 2017;
con il decreto 9 agosto del Ministero della salute si stabilisce anche il divieto d'uso in Italia di prodotti fitosanitari contenenti glifosato «nelle aree frequentate da popolazione o gruppi vulnerabili» definite dal decreto legislativo n. 150 del 2012, quali parchi, giardini, campi sportivi e zone ricreative, aree gioco per bambini, cortili e aree verdi interne a scuole e strutture sanitarie –:
se i vaccini menzionati in premessa siano rinvenibili tra quelli dispensati dal Sistema sanitario nazionale;
se non ritenga opportuno eseguire, nell'immediato, un controllo sulla composizione dei vaccini ricompresi nel nuovo piano vaccinale e, in caso di presenza di glifosato, assumere iniziative per sostituirli con prodotti che assicurino l'assenza del pericoloso principio attivo;
se non intenda attivarsi, anche con iniziative normative, al riguardo ed affidare la valutazione del prodotto a studi clinici e scientifici indipendenti, non forniti dalle stesse case farmaceutiche che producono i vaccini, scongiurando l'esistenza di qualsivoglia conflitto d'interesse tra le case farmaceutiche e chi è chiamato a decidere o ad esprimere pareri sull'immissione in commercio dei vaccini;
se intenda assumere iniziative per istituire un sistema pubblico nazionale informatizzato al fine di produrre un'indagine statistica relativa a: certificazione e registrazione dei vaccini, dati relativi agli studi clinici precedenti e successivi alla messa in commercio, dati relativi agli effetti degli stessi a distanza di anni, dati relativi agli studi clinici annessi a tali effetti anche in relazione ad eventuali esiti o sviluppi negativi, includendo informazioni dettagliate in relazione ad eventuali casi avvenuti e ad indennizzi erogati a favore di soggetti danneggiati da complicanze, anche irreversibili derivanti da vaccinazioni. (5-10154)
SVILUPPO ECONOMICO
Interrogazione a risposta in Commissione:
CARROZZA e FONTANELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
a Pisa è presente un sito Ericsson dal 2001 presso il quale lavorano cinquantatre dipendenti e che collabora con la Scuola superiore Sant'Anna ed altre istituzioni di ricerca, nell'ambito della ricerca e sviluppo nei settori delle telecomunicazioni e della fotonica avanzata, e con altre aziende a Pisa;
il centro di ricerca ha la responsabilità di promuovere la ricerca a lungo termine, i sviluppare e mantenere la leadership tecnologica e di promuovere un processo di innovazione, operando da cerniera tra l'università e i centri di ricerca con cui collabora e da unità di ricerca e sviluppo della Ericsson;
i centri Ericsson di Genova e Pisa sono da sempre fra i leader nell’Optical networking e nei sistemi di gestione di rete. Nel corso degli anni, e più precisamente dal 2010 al 2014, la Ericsson Telecomunicazioni s.p.a. ha ricevuto dodici milioni di euro di finanziamenti pubblici provenienti dall'Unione europea, dal Governo e dalle regioni per sostenere progetti di ricerca, per testare nuove tecnologie e per sviluppare prototipi. Il 30 maggio 2016 è stato firmato un piano di formazione del personale, finanziato da Fondimpresa per riqualificare professionalmente trenta unità occupate a Pisa;
a giugno 2016 la società ha aperto una procedura di mobilità per 385 persone in Italia, di cui a Pisa erano inizialmente nove, ma sono arrivate a undici, contestualmente all'annuncio del trasferimento a Genova (con contratti temporanei di un anno e dove sono previsti importanti esuberi) delle attività di sviluppo e gestione della rete di Pisa, e di ventisei persone ivi occupate entro la fine dell'anno;
il sindacato dei lavoratori Cgil di Pisa e la Rappresentanza sindacale unitaria del sito di Pisa chiedono da settimane alla direzione aziendale un incontro urgente per proporre delle modalità di trasferimento che possano garantire la continuità lavorativa del sito di Pisa; in particolare, i rappresentanti e i sindacati dei lavoratori chiedono che la sede operativa rimanga a Pisa. Tuttavia, l'azienda non ha mai risposto alla richiesta di incontro –:
se il Governo intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per promuovere una soluzione della vertenza, per la tutela dell'operatività del centro di ricerca della Ericsson di Pisa e la continuità lavorativa dei dipendenti, con particolare riferimento alla possibilità di analizzare modalità di telelavoro alternative al trasferimento dei lavoratori, che permettano di trasferire la sede amministrativa dell'azienda a Genova, pur mantenendo una sede operativa a Pisa, promuovendo un tavolo congiunto al riguardo. (5-10151)
Apposizione di firme ad una risoluzione.
La risoluzione in Commissione Realacci e altri n. 7-01147, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 novembre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Segoni, Mariani, De Menech, Carrescia, Giovanna Sanna, Pellegrino, D'Agostino.
Ritiro di una firma da una mozione.
Mozione Airaudo e altri n. 1-01451, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 dicembre 2016: è stata ritirata la firma del deputato Fassina.
Ritiro di una firma da una risoluzione.
Risoluzione in Commissione Di Vita e altri n. 7-00147, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 ottobre 2013: è stata ritirata la firma del deputato Segoni.