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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 16 gennaio 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    5.022 persone sono morte in mare nel 2016 provando a raggiungere l'Europa, un triste record che non può non interrogare le coscienze, a cui si aggiungono le sorti di migliaia di persone, principalmente siriani, iracheni, afghani in fuga dai loro Paesi funestati da decenni di guerre e terrorismo, che l'Unione europea ha deciso deliberatamente di tenere lontani dai propri Paesi concludendo l'accordo con la Turchia. Molti altri, come testimoniano le drammatiche immagini che provengono dai Paesi dell'Est Europa in queste settimane, risultano bloccati a migliaia sotto il gelo in quella che un tempo era la «rotta balcanica»;
    sebbene questo accordo abbia pressoché azzerato l'arrivo di persone che approdavano sulle coste greche e dalla Turchia attraverso la rotta balcanica, il 2016 ha fatto registrare il maggior numero di arrivi via mare di sempre con 181.405 persone sbarcate sulle nostre coste, con un incremento del 18 per cento rispetto all'anno precedente. Tuttavia, secondo i dati Unhcr, tra il 1o gennaio e il 31 dicembre 2016 sono sbarcate in Europa 361.578 persone, ovvero il 64 per cento in meno rispetto al 2015, anno record in cui si registrarono in Europa circa un milione di arrivi;
    è evidente che per un continente di 500 milioni di abitanti in cui è concentrata buona parte della ricchezza globale, gestire e assorbire una pressione migratoria di queste dimensioni non può rappresentare un problema, a meno che non si mettano in atto politiche che tendono quanto più a limitare il fenomeno anziché governarlo;
    guardando all'evoluzione del fenomeno migratorio, negli ultimi anni è cambiata considerevolmente la natura stessa del fenomeno: oggi la quasi totalità dei migranti che raggiungono l'Unione europea sono potenziali soggetti con diritto ad una protezione internazionale. Data quindi la natura delle cause che determinano il flusso migratorio tutto lascia presupporre che il fenomeno attuale non sia un dato transitorio, ma si debba considerare come strutturale e che quindi ci interesserà almeno per un altro decennio;
    purtroppo, al fenomeno migratorio e alle sue evoluzioni sono state fornite risposte e quindi messi a disposizione strumenti che sono risultati del tutto inadeguati, spesso obsoleti ed improntati ad una visione difensiva ed emergenziale;
    la principale risposta fornita al fenomeno, avvenuta dopo la spinta emotiva della strage avvenuta al largo di Pozzallo il 18 aprile 2015 che causò più di 800 vittime, si è avuto attraverso il cosiddetto «approccio Hotspot», contenuto all'interno della Agenda europea sulle migrazioni, che tra l'altro non è mai stata trasposta in nessun atto normativo e con i meccanismi di « relocation» e « resettlement»;
    gli hotspot violano i diritti umani, comprimono il diritto a richiedere l'asilo politico e in generale il loro meccanismo è finalizzato a negare la protezione internazionale attraverso la loro principale funzione: separare i «migranti economici» dai potenziali richiedenti asilo, fondando quindi un provvedimento di respingimento esclusivamente sulla base del Paese di provenienza;
    l'approccio hotspot sarebbe quindi, una volta completate le procedure di identificazione e separazione dei migranti, finalizzato alla « relocation». E qui non si può che constatare il fallimento della strategia in tutta la sua interezza. I dati disponibili al 30 dicembre 2016 indicano che complessivamente dall'Italia sono stati ricollocati in altri paesi europei 2.654 richiedenti asilo (su un totale di 39.600) e 6.212 dalla Grecia al 6 dicembre (su un totale 66.400). L'obiettivo delle 160 mila persone rilocate che dovrebbe essere raggiunto entro settembre 2017 resta una chimera, prefigurandosi un fallimento epocale di tutta la strategia;
    in ultimo, nei mesi scorsi la Commissione europea ha presentato un serie di proposte per riformare il sistema europeo comune di asilo nelle linee indicate nell'Agenda europea per la migrazione e nella comunicazione del 6 aprile 2016. In particolare, la Commissione ha presentato il 4 maggio 2016 un primo pacchetto di proposte – riforma del regolamento 604/2013 (Dublino III), riforma del regolamento 603/2013 (Eurodac) e riforma del regolamento 439/2010, che istituisce l'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo (EASO), mentre il 13 luglio ha presentato diverse proposte legislative – sostituzione della direttiva sulle procedure di asilo con un regolamento che stabilisca una procedura comune UE per la protezione internazionale, sostituzione della direttiva qualifiche esistente con un nuovo regolamento, infine una riforma della direttiva sulle condizioni di accoglienza;
    attraverso le sopraindicate proposte la Commissione europea tenta di rimediare all'evidente fallimento del «sistema Dublino» mantenendo sostanzialmente invariata la gerarchia dei «criteri di Dublino», introducendo un sistema correttivo per la ripartizione equa delle responsabilità tra Stati, che riproduce esattamente gli elementi fallimentari dei meccanismi temporanei di ricollocazione già in uso e prevedendo a carico dei richiedenti asilo una serie di obblighi (e conseguenti sanzioni in caso di violazione) per limitare gli spostamenti all'interno dell'area degli Stati membri. Praticamente si introducono tutta una serie di nuovi complicati meccanismi burocratici mantenendo in piedi il «sistema Dublino»: inefficace, costoso e che produce irregolarità;
    a parte qualche positiva modifica dei termini procedurali, in generale non si possono ritenere queste proposte idonee a garantire gli obiettivi dichiarati dalla Commissione, ovvero l'individuazione rapida dello Stato membro competente e, pertanto, l'accesso rapido del richiedente alla procedura di asilo, una ripartizione più equa delle responsabilità tra Stati membri, la lotta ad abusi e movimenti secondari, rafforzare le garanzie per i richiedenti asilo e bisognosi di protezione internazionale, godere dello stesso livello di protezione, incentivare l'integrazione, garantire infine standard di accoglienza dignitosi;
    in particolare, l'armonizzazione della lista dei Paesi sicuri sarebbe una negazione del diritto di asilo e rivela in tutta la sua drammaticità l'approccio dell'Europa sul fenomeno delle migrazioni. Introdurre il concetto di «sicurezza» nell'esaminare le richieste di asilo è un grave rischio, poiché nessun Paese può essere considerato «sicuro». Adottando una simile lista, l'Unione europea e i suoi Stati membri istituzionalizzerebbero a livello europeo una pratica attraverso la quale i Paesi membri possono rifiutare di ottemperare pienamente alle proprie responsabilità verso i richiedenti asilo, in violazione ai loro obblighi internazionali;
    finora, 13 dei 28 Stati membri hanno una lista nazionale di «Paesi sicuri», ma le liste sono tutt'altro che omogenee. La proposta della Commissione mira a porre rimedio a queste disparità. I sette Paesi che la proposta considera «sicuri» sono: Albania, Bosnia-Erzegovina, Macedonia, Kosovo, Montenegro, Serbia e Turchia. La Finlandia, ad esempio, considera «sicuri» Paesi come l'Afghanistan, l'Iraq e la Somalia: in questi Paesi il migrante non rischia discriminazioni, persecuzioni, limitazioni o negazioni dei diritti fondamentali. Ciò è, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, un'assurdità;
    con la Turchia, che si considererebbe «Paese sicuro», si è già stretto un accordo che viola gravemente il diritto europeo e tradisce i fondamenti democratici e ispirati alla tradizionale tutela dei diritti umani nell'Unione europea e in Italia. Quanto sta emergendo dall'applicazione concreta di questo accordo è che in cambio di denaro si esternalizzano le frontiere dell'Unione europea chiudendo gli occhi sul rispetto dei diritti umani, sulla repressione delle libertà fondamentali, nonché sulla forte repressione anti-curda che il Governo turco sta mettendo in piedi negli ultimi mesi, addirittura dimenticando le gravi responsabilità di quest'ultimo nel supporto a Daesh;
    lo stesso approccio è usato dalla Commissione europea per adottare la lista comune di «Paesi terzi sicuri» per consentire che i richiedenti asilo siano rimandati indietro nei paesi per i quali sono transitati prima del loro arrivo nella Unione europea, e dove essi dovrebbero «legalmente» depositare le loro richieste di asilo;
    nei fatti quindi, con le nuove proposte, con la giustificazione di razionalizzare e armonizzare il sistema di asilo europeo, l'Unione europea darebbe legittimità istituzionale a un abuso sul diritto di asilo allo scopo di controllare i flussi migratori;
    il quadro emergente dalle proposte presentate e dagli atti approvati dalle istituzioni europee nell'ultimo anno è desolante. Ricollocazioni, reinsediamenti, liste di Paesi di origine sicuri e Paesi terzi sicuri, rimpatri, hotspot, accordo con la Turchia, respingimenti, rappresentano il palese fallimento del Sistema europeo comune di asilo e manifestano tutta l'incapacità dell'Unione europea a far fronte ad un numero elevato ma certo non insostenibile di arrivi, come si vuole spesso rappresentare in maniera drammatica;
    questo fallimento deriva da molteplici fattori, uno dei quali è certamente rappresentato dall'ostinazione con cui gli Stati membri e le istituzioni dell'Unione europea continuano a voler disciplinare – in maniera sempre più burocratica e complessa, quindi terribilmente macchinosa e costosa – gli spostamenti di persone in un territorio che si vuole al tempo stesso privo di controlli alle frontiere interne;
    occorrerebbe prendere atto del mutamento dei contesti globali e del fatto che molte persone scappano da guerre, carestie, effetti dei cambiamenti climatici, eventi che molto spesso l'occidente e quindi anche l'Unione europea ha spesso creato o quantomeno aggravato anche con la sola inerzia;
    bisognerebbe quindi individuare soluzioni più snelle e realistiche, meno burocratiche, che prevedano, fra le altre cose, che chi ha ottenuto una protezione (europea) in un Paese possa poi liberamente cercare lavoro in un altro, con i giusti «contrappesi» per evitare che ciò si trasformi in un peso insostenibile per quelle aree dell'Unione europea maggiormente prescelte per l'insediamento;
    sul piano nazionale la volontà in ultimo espressa dal Governo di utilizzare gli strumenti di controllo ed allontanamento degli stranieri irregolari per quindi, come si legge nella circolare del Capo della polizia del 30 dicembre 2016, favorire «l'azione di prevenzione e contrasto nell'attuale contesto di crisi a fronte di una crescente pressione migratoria e di uno scenario internazionale connotato da instabilità e minacce», sarebbe una scelta miope e con effetti controproducenti e dannosi se non si giunga ad una modifica nella normativa che già produce irregolarità negli ingressi e nei soggiorni;
    la priorità di oggi è modificare il Testo unico sull'immigrazione del 1998, riformato in peggio dalla cosiddetta legge Bossi-Fini, e quindi porre mano ai meccanismi di regolarizzazione degli stranieri, valorizzando i legami lavorativi, familiari e sociali già esistenti che quelle persone hanno magari costruito in tanti anni, promuovendo politiche di integrazione finalizzate ad una regolarizzazione permanente a fronte della dimostrazione di chiari indici di integrazione;
    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, quindi, non può non apparire totalmente irrazionale l'annunciato intento del Governo di potenziare la rete dei Cie in Italia, considerata l'inefficacia del sistema di identificazione ed espulsione, a fronte del sacrificio dei diritti umani che si è sempre consumato nelle strutture governative atte proprio a tale funzione, ovvero di identificazione ed espulsione;
    appare quindi sbagliata la strategia che sembra si voglia intraprendere degli accordi bilaterali di riammissione, così come proporre nuove norme che andrebbero a riformare in senso restrittivo le norme sull'asilo, a partire dall'ipotesi di eliminare il doppio grado di giurisdizione o peggio istituire sezioni specializzate nei tribunali, dove in un contesto culturale ove buona parte della magistratura e dell'avvocatura sono ancora poco consapevoli dell'importanza e della complessità anche giuridica della materia, si tradurrebbe in concreto, al di là delle intenzioni, in una sorta di uffici-ghetto, carenti di sufficienti risorse materiali e professionali;
    andrebbe quindi smantellata l'attuale struttura di accoglienza per richiedenti asilo, organizzata sul carattere dell'emergenza permanente a vantaggio di una efficiente struttura dell'accoglienza organizzata in maniera diffusa, decentrata, libera dai meccanismi di accumulazione del profitto che hanno portato a corruzione e malaffare e condizioni di vita insopportabili per un Paese civile, ma soprattutto a favore di una accoglienza funzionante allo scopo ultimo: l'integrazione delle persone;
    in ultimo per comprendere il fallimento delle attuali politiche che hanno comportato un ingente costo di vite umane nonché di fondi spesi in questi anni, basti pensare che con soli 2,5 milioni di euro il progetto Mediterranean Hope ha portato in Italia, in sicurezza, sottraendoli alle mani dei trafficanti, mille profughi dalle zone confinanti con quelle di conflitto, garantendo loro, inoltre, un'accoglienza dignitosa. Come emblema dell'irrazionalità delle politiche in atto, si pensi che con i soli 6 miliardi di euro promessi alla Turchia per l'implementazione del Joint Action Plan del marzo 2016, si sarebbe potuto fare altrettanto con 2,4 milioni di persone,

impegna il Governo:

1) a promuovere l'apertura immediata di corridoi umanitari di accesso in Europa per garantire «canali di accesso legali e controllati», attraverso i Paesi di transito ai rifugiati che scappano da persecuzioni, guerra e conflitti per mettere fine alle stragi in mare e in terra, e quindi debellare il traffico di esseri umani;
2) a proporre un «diritto di asilo europeo», capace di superare realmente il «regolamento di Dublino» e a non sostenere la proposta di riforma della Commissione europea, considerato che un migrante dovrebbe avere il diritto di veder riconosciuto l'asilo in qualsiasi Paese, per poi essere libero di circolare all'interno dell'Europa;
3) ad assumere iniziative per concedere con effetto immediato permessi di soggiorno per motivi umanitari che consentano la libera circolazione negli Stati dell'Unione europea e quindi avviare l'iter per la predisposizione di una normativa dell'Unione con la quale disciplinare il riconoscimento reciproco delle decisioni di riconoscimento della protezione internazionale tra gli Stati membri e a promuovere nelle competenti sedi europee, la regolarizzazione di tutti i migranti ancora senza documenti presenti in Europa;
4) a vigilare sul rispetto del divieto di espulsioni collettive previsto dai protocolli addizionali alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, assumendo iniziative volte all'adozione di opportuni atti regolamentari e all'introduzione di procedure di monitoraggio indipendenti;
5) a promuovere il principio di un'accoglienza dignitosa e dunque la chiusura di tutti i centri di detenzione per migranti sparsi in Europa, a cominciare da quelli presenti sul territorio italiano;
6) ad assumere iniziative per scongiurare qualsiasi ipotesi di consolidamento di quello che i firmatari del presente atto di indirizzo giudicano l'illegittimo sistema dei centri di identificazione ed espulsione, veri e propri luoghi di detenzione amministrativa;
7) ad assumere iniziative per implementare rapidamente il programma di ricollocamento, ad oggi dimostratosi un fallimento, affiancandolo alla creazione di adeguate strutture per l'accoglienza e l'assistenza delle persone in arrivo;
8) a promuovere una politica che dica «basta» ai respingimenti verso i Paesi di origine e di transito e garantisca a tutti i migranti l'accesso a una piena e chiara informazione sulla possibilità di chiedere protezione internazionale;
9) a proporre la revisione dell'accordo tra Unione europea e Turchia sulla gestione dei rifugiati, nonché a proporre l'immediata sospensione degli accordi – come i processi di Rabat e di Khartoum – con i Governi che non rispettano i diritti umani e le libertà.
(1-01465) «Palazzotto, Duranti, Scotto, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti».


   La Camera,
   premesso che:
    nell'ultimo anno l'ondata migratoria non solo non ha conosciuto soste, ma è addirittura esponenzialmente aumentata. Secondo i dati resi noti ad inizio 2017 da Frontex, l'agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, nel 2016 il numero di migranti arrivati in Europa attraverso la rotta centro mediterranea, che riguarda l'Italia e in misura minore Malta, è cresciuto di circa il venti per cento rispetto all'anno precedente, facendo registrare un totale di 181 mila sbarchi. Tale considerevole incremento riflette una pressione migratoria proveniente dal versante occidentale del continente africano, in particolare da Nigeria, Eritrea, Guinea, Costa d'Avorio e Gambia. Dal 2010, l'Italia ha visto decuplicare il numero di arrivi dall'Africa occidentale: secondo l'Unhcr, nel 2016 sono arrivate in Italia via mare 181.405 persone, rispetto alle 153.842 del 2015 e alle 170.100 del 2014 (dati del Viminale);
    la gran parte di questi sbarchi avviene in Sicilia (il 70 per cento), ma ci sono arrivi via mare anche in Calabria (il 17 per cento), Puglia (il 7,5 per cento) e Sardegna (il 4 per cento);
    lo stesso report evidenzia come il numero dei migranti individuali sia calato del settantanove per cento nelle isole elleniche dell'Egeo e nella parte continentale della Grecia, in particolare a seguito dell'entrata in vigore, nel marzo 2016, dell'accordo Unione europea-Turchia, che ha portato ad un'intensificazione dei controlli alle frontiere da parte delle autorità turche, all'accelerazione dei rimpatri di migranti dalla Grecia alla Turchia, cui si somma una stretta sui controlli alle frontiere nei Balcani occidentali;
    particolarmente significativo risulta il raddoppio nell'ultimo anno del numero dei minori stranieri non accompagnati sbarcati lungo le coste del nostro Paese, passato da 12.360 nel 2015 a 25.846 nel 2016, cui va aggiunto il numero, anch'esso in costante crescita, dei minori che arrivano attraverso i valichi alpini, in particolare del Friuli Venezia Giulia, come evidenziato dalla struttura di missione per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati istituita presso il dipartimento dell'immigrazione del Viminale;
    contestualmente, come affermato dal direttore di Frontex nel corso di un seminario di clausura del Partito cristiano sociale bavarese (Csu) e riportato dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung, gli Stati europei espellono solo il 43 per cento dei migranti cui non è stato riconosciuto asilo;
    con il 1o gennaio 2017 è ufficialmente iniziato il semestre di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea da parte di Malta, che non potrà non annoverare fra sue priorità una gestione comune della politica migratoria di fronte a posizioni nettamente divergenti dei partner europei. In questo quadro vanno apprezzate le parole del premier di Malta Joseph Muscat, che ha affermato di condividere la stessa posizione del governo italiano, auspicando che un accordo con la Libia possa essere trasposto a livello europeo;
    va registrato il sostanziale fallimento del piano Junker di ricollocamento dei mila profughi da Grecia e Italia, deciso nel 2015 e boicottato da parte dei Paesi del cosiddetto gruppo Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) e che ha portato a meno di diecimila ricollocati (dati aggiornati ai primi di dicembre 2016);
    forte preoccupazione desta nell'opinione pubblica la presenza di circa 400 detenuti a «rischio radicalizzazione» presenti negli istituti penitenziari italiani, di cui 170 sottoposti a «specifico monitoraggio», ai quali si aggiungono 45 detenuti in Italia per terrorismo internazionale. Va quindi espresso il vivo ringraziamento a tutti gli agenti della Polizia penitenziaria, ai direttori e a tutti gli operatori che svolgono il proprio gravoso lavoro in strutture spesso inadatte e con gravi carenze di organico. Per contrastare l'estremismo islamico serve un incremento del numero di agenti di polizia penitenziaria e maggiori fondi per la formazione e per le dotazioni degli agenti stessi, un incremento e una capillare diffusione di educatori, assistenti sociali, mediatori culturali e di esperti in quell'attività di intelligence nelle carceri, fondamentale per fronteggiare fenomeni di proselitismo jihadista;
    occorre ripensare l'operazione Eunavfor Med, a cui partecipano in vario modo 25 nazioni europee, concepita con lo scopo di individuare, fermare e mettere fuori uso imbarcazioni e mezzi usati o sospettati di essere usati dai contrabbandieri e dai trafficanti di esseri umani. A tali compiti sono stati affiancati gli incarichi di addestramento della Guardia Costiera e della Marina libica e il contributo alle operazioni di embargo alle armi in accordo alla Risoluzione dalle Nazioni Unite nr. 2292 del 14 giugno 2016. Sin dall'inizio, inoltre, le navi impegnate nell'operazione hanno contribuito alla salvaguardia della vita umana in mare. La flotta europea si è – di fatto – limitata a raccogliere in mare immigrati clandestini e a sbarcarli nei porti italiani affidando alla giustizia gli scafisti (o presunti tali) catturati;
    il passaggio alla cosiddetta «fase tre» dell'operazione Eunavfor Med diviene quindi esiziale: la neutralizzazione delle imbarcazioni e delle strutture logistiche usate dai contrabbandieri e trafficanti sia in mare che a terra sulle coste libiche è fondamentale per scoraggiare ulteriori attività criminali. È ben conosciuto il traffico, purtroppo lecito, di gommoni che attraverso la Turchia e Malta giungono in Libia e che non è possibile bloccare prima dell'arrivo nelle mani dei trafficanti di esseri umani. Ma per colpire i gommoni sulla costa e nelle acque territoriali libiche l'operazione Eunavfor Med deve essere autorizzata dall'Onu o dal governo libico;
    l'addestramento della Marina Libica, richiesta dal Governo riconosciuto dalla comunità internazionale e sviluppata sotto l'egida dell'Unione europea si inquadra nelle attività di Maritime Capacity Building and Training e Maritime Security, ed è un importante tassello nella stabilizzazione dell'intera area, ma rischia di essere del tutto inutile se la comunità internazionale e le fazioni che si contendono il potere in Libia non troveranno un accordo stabile e duraturo;
    il modello fin qui seguito nella gestione dei flussi migratori va ripensato, mettendo in atto un intervento a tutto campo, basato su quelle esperienze che nel mondo hanno dato risultati positivi e centrato su alcuni punti fissi:
     1) missioni di respingimento: «fermare le navi per fermare le morti (come attuato in Australia dal premier conservatore Tony Abbott “Operation Sovereign Borders”), accogliendo solo chi scappa veramente da una guerra»;
     2) chiusura moschee e luoghi di culto irregolari e senza controlli; apertura solo di luoghi di culto autorizzati e controllati;
     3) sistematico controllo del territorio rispetto al fenomeno dei centri di aggregazione clandestini;
     4) scelta anno per anno delle quantità e tipologie di immigrati effettivamente integrabili nel mercato del lavoro italiano (come fanno altri Paesi, a partire da Canada e Australia);
     5) accettare immigrazione selezionata e contingentata, compatibile con la possibilità di inserimento sociale, lavorativo ed abitativo;
     6) nessun automatismo per la cittadinanza: come negli Stati Uniti essa è solo l'ultimo passo di un lungo percorso,

impegna il Governo:

1) a mettere in atto misure di contrasto all'illegalità e alla migrazione irregolare nel medio e lungo termine, con regole certe che vedano l'avvio di un nuovo sistema basato su quei modelli che nel mondo hanno dato prova di efficacia, come quello canadese e quello australiano;
2) ad intensificare la stipula dei necessari accordi internazionali con i Paesi di partenza degli Migrati (Libia, Nigeria, Eritrea e altri) al fine facilitare e velocizzare i rimpatri dei migranti non in possesso dei requisiti necessari per usufruire delle forme di protezione internazionale e a promuovere accordi bilaterali volti ad agevolare il trasferimento dei detenuti stranieri nei Paesi d'origine;
3) a verificare la possibilità di stipulare accordi con Paesi di provenienza dei migranti per allestire in loco centri di accoglienza dove lo straniero che tenti di entrare in Italia via mare, se intercettato, potrà soggiornare fino alla definizione delle pratiche per l'eventuale ingresso legale nel nostro Paese;
4) a intensificare gli sforzi diplomatici con i partner europei, con il Governo libico e con le Nazioni Unite, anche avvalendosi della posizione di membro non permanente nel Consiglio di sicurezza, al fine di portare alla cosiddetta «fase tre» l'operazione Eunavfor Med;
5) a dotare le forze dell'ordine e gli apparati di sicurezza di mezzi e risorse necessarie al fine di meglio condurre quell'attività di intelligence volta a prevenire infiltrazioni terroristiche e a fronteggiare fenomeni di proselitismo jihadista;
6) ad agire in sede comunitaria per la stipula di accordi economici fra l'Unione europea e i Paesi di origine e transito dei migranti, incrementando le politiche di cooperazione.
(1-01466) «Altieri, Palese, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».


   La Camera,
   premesso che:
    la circolare diffusa dal Ministero dell'interno il 30 dicembre 2016, relativa alle attività di rimpatrio degli stranieri irregolari e al programma di riapertura dei centri di identificazione ed espulsione, e la volontà del Governo di stipulare nuovi accordi bilaterali di riammissione e di riformare in senso restrittivo le norme sul diritto di asilo, rappresentano una visione miope, strumentale e rozza, finalizzata soltanto a stemperare gli umori di una parte dell'opinione pubblica scossa dagli ultimi attentati in Europa, ma manca totalmente di una visione costruttiva e di una gestione intelligente, efficace e lungimirante di un fenomeno – quello migratorio – che non può più essere considerato emergenza, diventato ormai strutturale ed elemento imprescindibile della scena culturale, sociale ed economica;
    è fondamentale, invece, intervenire affrontando in modo responsabile quei correttivi urgenti ad un sistema di accoglienza fallimentare (per una gestione spesso corrotta e in mano al malaffare, per gli elevati costi e la limitata efficacia, per le condizioni degradanti delle persone accolte o trattenute, per il numero limitato degli effettivi rimpatri), evidenziato anche da tutti gli studi indipendenti, oltre che dalla Corte dei Conti e dalle relazioni delle Commissioni parlamentari d'inchiesta che si sono alternate negli ultimi anni, che aveva anche convinto i Governi precedenti a cercare di diminuire il numero dei centri di identificazione ed espulsione potenziando il modello di accoglienza virtuoso dello Sprar (Sistema di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati);
    su oltre 180 mila cittadini stranieri sbarcati in Italia nel 2016, circa 23 mila sono stati gestiti attraverso la rete Sprar con progetti di formazione e di inserimento lavorativo. Ma sul futuro di quei migranti pende il verdetto delle loro richieste di asilo, che sei volte su dieci è negativo. Le commissioni territoriali e i tribunali chiamati a valutare le domande di protezione seguono infatti altri criteri, senza prendere in considerazione il percorso svolto dal richiedente asilo e la sua situazione lavorativa. Le cooperative e le associazioni dei progetti Sprar di Torino che gestiscono i richiedenti asilo e le aziende che ospitano i tirocinanti hanno creato la rete «SenzaAsilo», chiedendo al Governo l'introduzione di forme di regolarizzazione su base individuale degli stranieri che prendano in considerazione anche la loro situazione lavorativa. Perché trasformare i migranti lavoratori in irregolari non conviene a nessuno e in un'epoca di guerre, tensioni internazionali, crisi economiche, drammatici eventi climatici, crisi umanitarie di diversa origine e intensità è sempre più evidente l'artificialità e l'opinabilità della summa divisio – tutta politica e giuridica – tra richiedenti protezione internazionale e migranti economici;
    di questo è convinta anche Confindustria che, partendo dalla considerazione che una maggiore integrazione produce maggiori benefici, nel suo rapporto presentato a giugno 2016, sottolinea che l'impatto del lavoro degli immigrati sulla finanza pubblica italiana è positivo e riequilibra il sistema del welfare minacciato dall'invecchiamento demografico;
    è fondamentale che i flussi di migranti siano riconosciuti come una componente strutturale, da gestire attraverso la partecipazione attiva ai programmi di reinsediamento, l'apertura di canali umanitari e un'effettiva riapertura di canali di ingresso e soggiorno legale per lavoro (oggi sostanzialmente chiusi), così da prosciugare il fenomeno dell'irregolarità che foraggia il traffico e lo sfruttamento di esseri umani;
    ora più che mai appare improrogabile una riforma, ad un tempo rigorosa e radicale, del Testo unico sull'immigrazione (decreto legislativo n. 286 del 1998 e successive modificazioni) che è inefficace, iniquo, in più aspetti contrastante con la Costituzione e con le norme internazionali e dell'Unione europea;
    il 23 dicembre 2016 l'Istat ha pubblicato un rapporto, secondo il quale le richieste totali di asilo politico presentate dai migranti nel 2015 nei Paesi dell'Unione europea sono più che raddoppiate rispetto al 2014, superando largamente il milione (1.257.030). Un migrante su 3 ha scelto di restare in Germania, che è infatti il Paese nel quale è stato presentato il maggior numero di domande (441.800, il 35 per cento del totale dell'intera Unione europea), seguita dall'Ungheria (174.435), la Svezia (156.110) e l'Austria (85.505). L'Italia è al quinto posto con 83.245 richieste (il 7 per cento del totale dei Paesi Europei);
    l'Agenda europea sull'immigrazione, entrata in vigore nel settembre del 2015, oltre ad aver cambiato in maniera radicale il sistema di accoglienza dei migranti nei Paesi di arrivo, come l'Italia e la Grecia, che da Paesi di transito si sono trasformati in Paesi di destinazione, ha provocato un cortocircuito sulla loro ricollocazione, perché ha stabilito di fatto che i migranti possano accedere al ricollocamento in base alla loro nazionalità. Hanno diritto ad essere ricollocati i siriani e gli eritrei, quelli cioè a cui è riconosciuta una protezione nel 75 per cento dei Paesi europei, mentre tutti gli altri rientrano nella categoria dei migranti economici, anche coloro che scappano dalle guerre, o fuggono da governi dittatoriali come quello gambiano e quello etiope. Per loro è possibile richiedere l'asilo in Italia, ma senza troppe speranze: nei primi sei mesi del 2016 le domande d'asilo sono aumentate del 60 per cento, con un responso negativo del 60 per cento dei casi, che sono diventati irregolari. Il sistema di accoglienza italiano quindi, invece di integrare, ha di fatto prodotto un numero altissimo di persone irregolari;
    in chiave fortemente critica non si può che denunciare la volontà – manifestata apertis verbis dai Ministri Minniti e Orlando – di eliminare il grado di appello nei procedimenti giurisdizionali di impugnazione dei dinieghi dello status di rifugiato, creando quella che i firmatari del presente atto di indirizzo giudicano un'odiosa e incostituzionale apartheid giuridica riservata ai diritti fondamentali (quello alla protezione e quello alla difesa) dei richiedenti asilo;
    anche gli hotspot, imposti all'Italia sempre dall'Agenda europea, per le operazioni di identificazione, registrazione e rilevamento delle impronte digitali dei migranti in arrivo, hanno creato un sistema arbitrario e lesivo dei diritti fondamentali delle persone sbarcate sulle coste italiane. L'approccio hotspot è privo di una cornice giuridica, dato che nessun atto normativo, né italiano né europeo, disciplina quanto avviene all'interno dei centri, che in molti casi anzi contrasta in modo palese con quanto previsto dalla legge non solo in materia di protezione internazionale, ma anche di violazione della libertà personale;
    i centri hotspot, cronicamente sovraffollati e fonte di episodi di violenza e intimidazione testimoniate, respingimenti viziati nella forma, non sono in grado di offrire condizioni di permanenza dignitosa nemmeno ai minori che viaggiano soli, e non possono più essere considerati un sistema sufficiente e idoneo ad accogliere i migranti che sbarcheranno nel prossimo futuro. Il sistema di prima e seconda accoglienza a livello nazionale si rivela drammaticamente insufficiente. L'Italia e l'Europa devono drasticamente trasformare il loro approccio alla gestione dei flussi migratori, mettendo i diritti delle persone al centro,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per definire una normativa nazionale organica sul diritto d'asilo che dia attuazione all'articolo 10 della Costituzione e che consenta ingressi legali e sicuri a chi fugge da guerre, persecuzioni, eventi climatici avversi, catastrofi naturali, carestie, epidemie;
2) ad assumere iniziative per introdurre un sistema di accoglienza diffuso e sostenibile, che favorisca l'integrazione e la gestione corretta e trasparente di risorse e strutture, facendo del modello Sprar la regola e il ricorso a sistemi emergenziali l'eccezione;
3) intensificare ogni tentativo in sede europea per individuare forme di prima accoglienza alternative agli hotspot, con regole più rispettose dei diritti dei migranti;
4) ad assumere iniziative per la definitiva chiusura dei centri di identificazione ed espulsione e una riforma strutturale della materia dei rimpatri;
5) ad attivarsi in sede europea affinché venga potenziato e riconosciuto l'istituto del ricongiungimento familiare al fine di favorire un'immigrazione regolata e ordinata nel rispetto del diritto all'unità familiare e dei diritti dei minori;
6) ad assumere iniziative normative per l'abolizione del cosiddetto reato di clandestinità previsto dall'articolo 10-bis del testo unico sull'immigrazione, ritenuto dalla stessa magistratura un ostacolo al perseguimento dei reati legati al fenomeno migratorio come la tratta, lo sfruttamento lavorativo e la riduzione in schiavitù.
(1-01467) «Andrea Maestri, Civati, Brignone, Matarrelli, Pastorino, Artini, Baldassarre, Bechis, Segoni, Turco».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta orale:


   CENNI, TERROSI, TENTORI, FIORIO, LUCIANO AGOSTINI e CARRA. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in Italia la legge numero 138 del 1974 vieta la detenzione, la commercializzazione e l'utilizzo del latte in polvere e di latte conservato con qualunque trattamento chimico, o comunque concentrati, per la produzione di latte Uth e dei prodotti lattiero caseari;
   le norme vietano esplicitamente, a differenza di quanto apparso in alcune notizia di stampa, l'uso del latte in polvere nei prodotti caseari a denominazione;
   tale norma è stata riconfermata dal decreto-legge numero 175 del 2011 per il recepimento della direttiva UE 2007/61/CE relativa a taluni tipi di latte conservato parzialmente o totalmente disidratato destinato all'alimentazione umana;
   è in corso una procedura di infrazione da parte della Commissione europea nei confronti dell'Italia, in quanto la Legge numero 138 del 1974, impedendo di fatto la produzione dei formaggi tramite l'utilizzo di latte in polvere, limiterebbe la libera circolazione delle merci in ambito comunitario;
   tale procedura è stata confermata dal viceministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali Andrea Oliverio che intervenendo in Commissione Agricoltura della Camera il 2 luglio per rispondere ad interrogazioni a risposta immediata su questa tematica ha dichiarato: «il Governo ha chiesto una proroga del termine fissato al 28 luglio prossimo per rispondere alla richiesta di osservazioni avanzata dalla Commissione europea ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea»; «la competenza su questo caso è stata attribuita congiuntamente al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e a quello dello sviluppo economico», «per quanto di competenza del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, come ribadito dallo stesso Ministro Martina, desidero confermare l'assoluta determinazione nella difesa dell'impianto normativo esistente che, ad avviso del Ministero, non comporta alcuna restrizione di mercato cosiddetto “equivalente” all'importazione di latte in polvere, come invece lamentato dalla Commissione europea, atteso che non vi è alcuna norma nell'ordinamento che vieta l'importazione o la circolazione del latte in polvere», «il Ministero ritiene peraltro che le disposizioni nazionali si muovano nell'ambito di una materia non armonizzata, nella quale ciascuno Stato ha la facoltà, nel rispetto del Trattato, di legiferare salvaguardando le proprie specificità e tradizioni»;
   secondo quanto è emerso, inoltre, da organi di informazione la Commissione europea avrebbe già respinto una prima motivazione del Governo italiano rispetto alle norme sull'utilizzo del latte in polvere, ribadendo che le disposizioni nazionali avrebbero l'effetto di impedire l'accesso al mercato interno di tale prodotto;
   l'iniziativa della Commissione europea ha creato allarme, in alcuni produttori, associazioni, consumatori, circa la possibilità che l'uso di latte in polvere possa diminuire la qualità dei formaggi e creare un danno di immagine al Made in Italy;
   altre associazioni di categoria, pur difendendo l'attuale disciplina nazionale e le tipicità nazionali, hanno sottolineato che per la produzione dei formaggi italiani di qualità certificata, non potrà comunque essere utilizzato il latte in polvere;
   appare infatti evidente che una eventuale armonizzazione con la normativa europea, e quindi l'eventuale o possibile abrogazione del divieto di utilizzo di latte in polvere, non costituirebbe nessun rischio per le nostre produzioni ad indicazione d'origine Dop e Igp, per le quali è impiegato oltre il 70 per cento della produzione di latte italiano, che manterrebbero l'obbligo di utilizzare «latte liquido»;
   il Commissario europeo alle politiche agricole Hogan, in occasione di una audizione svolta martedì 30 giugno presso il Senato della Repubblica, ha confermato l'esistenza di una indagine in corso nei confronti del nostro paese avviata dopo la protesta di un produttore italiano contro la restrizione alla libera circolazione delle merci a base di latte condensato; il Commissario europeo ha inoltre precisato che l'indagine «non riguarda prodotti della filiera lattiero – casearia protetti da Dop, Igp e neanche la mozzarella»;
   secondo fonti stampa la Commissione europea avrebbe inoltre suggerito all'Italia di utilizzare un sistema di etichettatura per informare i consumatori della presenza di latte in polvere nel prodotto;
   sarebbe quindi auspicabile, in caso si un nuovo stop da parte della Unione europea e per coniugare la piena applicazione delle direttive comunitarie sulla liberalizzazione del libero mercato con la necessità di tutelare l'eccellenza della produzione interna salvaguardando aziende e consumatori, valutare l'opportunità di individuare ulteriori strumenti di certificazione. Come ad esempio il marchio francese «Label Rouge», regolato dall'ente nazionale Cnlc (Commission Nationale des Label set des Certifications des Produits Agricoles et Alimentaires) che garantisce la qualità superiore di un prodotto in seguito a specifiche di prodotto controllate ad ogni anello della filiera di produzione, trasformazione e commercializzazione;
   in conseguenza di una fase di deprezzamento del latte che penalizza prevalentemente i produttori, anche di latte di alta qualità, si riterrebbe particolarmente utile ogni iniziativa tesa al massimo rafforzamento della filiera del latte, ed a sostegno della giusta valorizzazione delle produzioni casearie di qualità –:
   quali ulteriori iniziative intendano mettere in campo i Ministri interrogati nel confronto aperto con la Commissione europea sulla modifica della legge numero 138 del 1974, al fine di preservare la qualità e la tipicità delle nostre produzioni e se i Ministri interrogati, anche al fine di contrastare gli effetti causati da una futura necessità di una modifica alla legge numero 138 del 1974 circa la commercializzazione e l'utilizzo del latte in polvere e per la produzione lattiero casearia, non ritengano opportuno prevedere un rafforzamento degli strumenti di certificazione e tracciabilità lungo tutta la filiera.
(3-02696)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea (anno 2014) ai sensi (articolo 13, comma 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234) presentata dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri per le politiche e gli affari europei recita: «Senza pretesa alcuna di esaustività, si possono segnalare, sulla scorta della Relazione consuntiva 2014, anche i risultati conseguiti in alcuni altri settori strategici per gli interessi dell'Unione e del nostro Paese, a partire dall'agricoltura. Su iniziativa della Presidenza italiana, il Consiglio ha innanzitutto risposto alle “contro-sanzioni” russe in campo agricolo individuando alcune misure volte ad arginare il loro impatto sulle produzioni europee, con particolare riguardo ai settori dell'ortofrutta e lattiero-caseario. Sono stati inoltre portati avanti i lavori sul regolamento per la produzione biologica e l'etichettatura dei prodotti biologici nonché sull'accesso alla terra e al credito dei giovani»;
   tale richiamo teso alla valorizzazione e tutela delle produzioni agricole, con particolare riferimento a quelle lattiero casearie, costituisce un elemento imprescindibile per lo sviluppo economico di un settore trainante e decisivo per l'economia della regione Sardegna;
   la Commissione europea con una diffida allo Stato Italiano chiede all'Italia di abrogare una legge che vieta l'utilizzo di latte in polvere nella produzione di formaggi;
   il 28 maggio la Commissione europea ha inviato una diffida all'Italia invitandola a modificare le disposizioni della legge n. 138 dell'11 aprile 1974 recante «nuove norme concernenti il divieto di ricostituzione del latte in polvere per l'alimentazione umana» che sancisce il divieto di utilizzo e di detenzione di latte in polvere e latte ricostituito al fine della produzione di prodotti caseari;
   secondo tale norma è vietato detenere, vendere, porre in vendita o mettere altrimenti in commercio o cedere a qualsiasi titolo o utilizzare:
    a) latte fresco destinato al consumo alimentare diretto o alla preparazione di prodotti caseari al quale sia stato aggiunto latte in polvere o altri latti conservati con qualunque trattamento chimico o comunque concentrati;
    b) latte liquido destinato al consumo alimentare diretto o alla preparazione di prodotti caseari ottenuto, anche parzialmente, con latte in polvere o con altri latti conservati con qualunque trattamento chimico o comunque concentrati;
    c) prodotti caseari preparati con i prodotti di cui alle lettere a) e b) o derivati comunque da latte in polvere;
    d) bevande ottenute con miscelazione dei prodotti di cui alle lettere a) e b) con altre sostanze, in qualsiasi proporzione;
   tale norma prevede sostanzialmente che in Italia i formaggi si possano produrre solo con il latte;
   si tratta una norma di tutela e nel contempo tesa alla valorizzazione della unicità del prodotto lattiero caseario;
   la diffida della Commissione è l'ennesima imposizione di una Europa incapace di affrontare emergenze come l'emigrazione, ma che si rivela pronta ad assecondare le grandi lobby che puntano ad abbassare gli standard qualitativi dei prodotti alimentari solo al fine di elevare i profitti a scapito della qualità;
   a rischio non ci sarebbero le Dop ma tale modifica potrebbe alla fine intaccare anche tale tutela e finirebbe comunque per intaccare e minare la stessa immagine dei formaggi tutelati con forme particolari di riconoscimento –:
   se non ritenga il Governo di dover intervenire al fine di tutelare e valorizzare la tipicità dei prodotti lattiero caseari prodotti sul territorio italiano, con particolare riferimento a quelle aree, come la Sardegna, che hanno una specificità riconosciuta anche attraverso le Dop;
   se non ritenga di dover tutelare tali produzioni attraverso la legge n. 138 dell'11 aprile 1974 e garantirne la piena applicazione;
   se non intenda porre in essere urgenti azioni, e quali, tese a difendere, tale norma in ambito europeo e invitando la commissione europea a ritirare la diffida in materia. (3-02697)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BUSINAROLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   di recente, secondo quanto si apprende da notizie di stampa (www.veronasera.it del 13 dicembre 2016), il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare avrebbe annunciato lo stanziamento di 65 milioni di euro per la sistemazione della discarica di Ca’ Filissine, a Pescantina (Verona), sito posto sotto sequestro dal Corpo forestale dello Stato su ordine del tribunale di Verona e che, ad oggi, rappresenta una vera e propria emergenza ambientale, legata alla dispersione in falda del percolato, che potrebbe causare notevoli danni alla salute della popolazione residente e al territorio circostante della Valpolicella, rinomato a livello mondiale per la produzione vitivinicola;
   occorre evidenziare che nell'approvazione da parte del Cipe (1o dicembre 2016) del piano operativo ambiente, del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che prevede investimenti per 1,9 miliardi di euro e, nello specifico, interventi a tutela del territorio e delle acque (per un totale di 1,6 miliardi di euro), si fa riferimento a 749,97 milioni di euro per le bonifiche, ma si tratta di un dato piuttosto generico;
   recenti notizie di stampa (vedasi www.veronasera.it del 13 dicembre 2016 e l'Arena del 14 dicembre 2016) fanno riferimento in particolare, alla prosecuzione da parte del Governo appena insediatosi, di progetti importanti, già decisi dal precedente Esecutivo, tra cui gli stanziamenti relativi al fondo per lo sviluppo e la coesione, che per il Veneto valgono oltre 317 milioni di euro e che per Verona, nello specifico, riguardano tra gli altri gli interventi sul collettore del Garda e sulla bonifica della discarica di Pescantina –:
   quali elementi intenda fornire il Governo, alla luce di quanto esposto in premessa, relativamente allo stanziamento di 65 milioni di euro per la messa in sicurezza della discarica di Pescantina, anche alla luce dell'esito della seduta del Cipe del 1o dicembre 2016. (5-10278)


   ZAN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la stampa locale e nazionale ha dato risalto alla vicenda di un minore residente in provincia di Padova, figlio di genitori separati, che a novembre 2016, in ottemperanza ad un decreto del Tribunale per i minorenni di Venezia, territorialmente competente, è stato allontanato dalla madre e dato in affido al servizio sociale dell'Ulss 15 della regione Veneto, e collocato in una comunità residenziale terapeutica lontana dal territorio di provenienza;
   tale provvedimento del tribunale si basa su una diagnosi del servizio di neuro psichiatria infantile dell'Ulss 15, relazionata ad aprile del 2016, che ricalca quanto emerso da una consulenza tecnica d'ufficio disposta dal tribunale nel febbraio 2012;
   la diagnosi formulata è «disturbo della personalità» e l'occorrenza evidenziata è quella di un percorso di «revisione del suo mondo interno così come oggi lo percepisce», come si evince dal testo del decreto del Tribunale, «un percorso terapeutico non consentito nell'attuale contesto familiare»;
   in base allo stesso decreto sono stati sospesi temporaneamente i rapporti con entrambi i genitori al fine di liberare il minore da condizionamenti in grado di inficiare negativamente un percorso di psicoterapia;
   il minore ha convissuto con i genitori fino al marzo 2007, in seguito, al momento della separazione dei coniugi è stato affidato congiuntamente, con collocamento presso la madre e regolamentazione dei rapporti con il padre, in seguito sospeso;
   nel 2010 il tribunale dei minori di Venezia incaricò il servizio sociale dell'Ulss 15 di attuare un percorso di ripresa graduale dei rapporti con il figlio;
   nel febbraio 2012, il Tribunale, ritenendo che il minore venisse «usato come strumento del conflitto di coppia», dispose una consulenza tecnica d'ufficio che stabilì come il minore presentasse profonde problematiche relazionali e segnali di disagio psichico quali «alta suggestionabilità» e «aspetti regressivi». Il suo mondo affettivo risultava «legato quasi esclusivamente a figure femminili» e la relazione con la madre connotata da aspetti di dipendenza con conseguente «difficoltà di identificazione sessuale» tanto da andare a scuola in alcune occasioni «con gli occhi truccati, lo smalto sulle unghie o i brillantini sul viso». La madre inoltre «non risultava rendersi conto delle problematiche del figlio, se non nella misura in cui poteva leggerle come conseguenza dell'abuso del padre»;
   nel marzo 2014 il Tribunale stabilì il collocamento diurno del minore presso un gruppo famiglia poiché in un contesto diverso non risultava possibile l'intervento psicoterapico necessario al minore «per differenziarsi dalla madre» ed incidere così «su un profilo di personalità patologico» soggetto a sviluppare un «disturbo borderline di personalità»;
   nell'aprile 2016, la diagnosi del servizio NPI dell'Ulss 15 comunica il peggioramento della condizione psicologica del minore e di un «grave disturbo delle relazioni», condizione confermata dalla relazione presentata dagli operatori del gruppo famiglia cui il minore era stato assegnato in affido diurno nel marzo del 2014, che segnalano un comportamento «aggressivo, provocatorio, maleducato» e come il minore tenda «a fare l'eccentrico», «ad affermare che è diverso», ad ostentare «atteggiamenti effeminati in modo provocatorio»;
   nell'aprile 2016, la diagnosi del servizio NPI dell'Ilss 15 comunica il peggioramento della condizione psicologica del minore e di un «grave disturbo delle relazioni», che segnalano un comportamento «aggressivo, provocatorio, maleducato» e come il minore tenda «a fare l'eccentrico», «ad affermare che è diverso», ad ostare «atteggiamenti effeminati in modo provocatorio» –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere, anche sul piano normativo, per evitare che le procedure giudiziali riguardanti l'affidamento di minori possano risultare condizionate da profili discriminatori relativi all'indennità di genere del minore. (5-10282)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CARDINALE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della eccezionale ondata di maltempo che ha investito l'Italia meridionale particolarmente colpiti risultano essere i territori del nisseno e dell'ennese;
   le abbondantissime precipitazioni nevose con accumuli mai registrati in questi territori hanno imbiancato persino la spiaggia di Vulcano e hanno creato notevoli disagi alla collettività con strade bloccate e servizi essenziali andati letteralmente in tilt;
   da Mussomeli a Troina numerosi sono stati i comuni di questi comprensori interessati dal maltempo e ignorati anche dall'attenzione dei media che si è concentrata prevalentemente su altre aree interessate dalle precipitazioni;
   le scuole sono state chiuse fino al giorno 12 gennaio 2017 e anche su linee elettriche e acquedotti sono stati registrati disservizi;
   particolarmente colpite risultano essere le colture agricole a causa delle basse temperature e del ghiaccio così come la rete infrastrutturale già precaria ha subito ulteriori danni a partire dal manto stradale delle principali arterie di collegamento delle province interessate;
   il conto dei danni è in continua fase di aggiornamento non essendo accora cessata la fase di tempo perturbato e questo complica ulteriormente le cose –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo al fine di riconoscere lo stato di emergenza e, una volta espletate le procedure di competenza di altre amministrazioni come previsto dalla normativa, al fine di accelerare il riconoscimento dello stato di calamità naturale a supporto dei territori così duramente colpiti dal maltempo. (4-15192)


   LATRONICO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dalla stampa locale (Il Quotidiano del Sud) e dalla denuncia di un cittadino grottolese della discutibile condotta del sindaco di Grottole, nonché presidente della provincia di Matera Francesco De Giacomo nell'affidamento di una serie di appalti di lavori pubblici all'impresa del cognato Miulli;
   il comportamento del sindaco si pone in contrasto, secondo l'interrogante, con la norma dell'articolo 61, comma 1-bis del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (TUEL), che dispone che «Non possono ricoprire la carica di sindaco o di presidente di provincia coloro che hanno ascendenti o discendenti ovvero parenti o affini fino al secondo grado che coprano nelle rispettive amministrazioni il posto di appaltatore di lavori o di servizi comunali o provinciali o in qualunque modo loro fideiussore» e con l'articolo 68, comma 2, che sancisce «Le cause di incompatibilità, sia che esistano al momento della elezione sia che sopravvengano ad essa, importano la decadenza dalle predette cariche»;
   i comportamenti denunciati hanno generato perplessità sulla legittimità dell'operato dell'amministratore e diverse polemiche sul versante politico. Nel suo primo mandato elettorale dal 2011-2016, il sindaco De Giacomo e l'amministrazione avrebbero affidato alla ditta Miulli qualcosa come una quindicina di incarichi diretti, assegnati con la giustificazione della «somma urgenza» per un importo totale di circa 200.000 euro. Sempre a tale ditta sono stati affidati anche dall'ente provinciale di Matera, di cui De Giacomo è presidente incarichi nell'affidamento dei lavori per somma urgenza;
   il sistema che emerge è uno schema di gestione, reiterato nel tempo, caratterizzato da poca trasparenza negli appalti delle opere pubbliche e, a giudizio dell'interrogante, non sono tollerabili questi comportamenti che gettano nell'incertezza giuridica ed istituzionale un territorio provinciale con grave pregiudizio per le sue attività economiche e imprenditoriali già vessate da una pesante crisi economica –:
   di quali elementi disponga il Governo in merito a quanto descritto in premessa e quali iniziative di competenza, anche normative, intenda assumere per impedire il ripetersi di tali situazioni che, ad avviso dell'interrogante, denotano una concezione della politica non come bene comune ma come terreno in cui realizzare interessi personali. (4-15206)


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali. — Per sapere – premesso che:
   Norcia è una delle località dell'Umbria coinvolte dal tragico sisma del 24 agosto e 30 ottobre 2016;
   nelle ultime settimane, la popolazione, già provata per l'evento calamitoso, si trova in condizioni di grave disagio a causa delle condizioni meteorologiche avverse che non cennano a migliorare;
   è notizia di questi giorni che saranno assegnate le prime venti casette, le cosiddette Sae (soluzioni abitative di emergenza), a chi ne aveva fatta richiesta dopo il primo terremoto, del 24 agosto;
   le Sae, saranno messe a disposizione dei cittadini che ne hanno presentato domanda avendo casa inagibile a seguito del terremoto del 24 agosto;
   tuttavia, non è chiaro se le casette saranno consegnate nell'immediato o bisognerà attendere alcuni giorni;
   i nuclei familiari che avevano fatto richiesta di casette d'emergenza erano ottantanove;
   il comune di Norcia rendeva noto che, per l'assegnazione, si sarebbe proceduto con il metodo dell'estrazione a sorte tra gli aventi diritto per la disponibilità di 14 casette da 40 metri quadri, di cui 2 riservate a soggetti disabili, e 6 da 60 metri quadri, di cui 1 per disabili;
   il sorteggio è avvenuto l'11 gennaio 2017 presso il piazzale del Coc;
   il metodo del sorteggio è stato il seguente; il nucleo familiare doveva essere rappresentato da una sola persona; il sorteggio è stato effettuato dividendo i richiedenti in due gruppi, in base alla superficie delle strutture abitative, con alcuni moduli che saranno riservati ai disabili, mentre non venivano al momento sorteggiati i nuclei familiari con 5 o più componenti, in quanto non sono previsti in quest'area moduli da 80 metri quadri;
   le Sae con una superficie di 40 metri quadri sono assegnate a nuclei familiari composti da 1 o 2 persone, quelli da 60 metri quadri alle famiglie composte da 3 o 4 persone;
   nel frattempo, la popolazione priva di moduli d'emergenza è costretta a ripararsi dal freddo nei container collettivi da 48 posti, con bagni e zona giorno in comune;
   appare agli interroganti poco consono il metodo applicato dal comune di Norcia per far fronte all'emergenza abitativa –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se non ritenga di dover intervenire nell'immediato per trovare soluzioni abitative ai nuclei familiari rimasti esclusi dalle venti unità messe a sorteggio dall'amministrazione comunale di Norcia tra gli aventi diritto;
   considerato che in questi giorni, le popolazioni colpite dal sisma stanno affrontando numerosi disagi portati da neve, vento e temperature molto rigide, se non ritengano di dover individuare soluzioni urgenti e indifferibili per consentire ai cittadini di poter affrontare l'inverno rigido in corso e di avere un tetto sotto il quale dormire che non può essere affidato alla sorte;
   se non ritengano opportuno fornire elementi sul preciso cronoprogramma d'interventi messi e da mettere in atto sugli strumenti a disposizione per rispondere all'emergenza dovuta al freddo nelle zone terremotate. (4-15211)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   PALAZZOTTO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   in data 21 settembre 2016 le autorità turche hanno tratto in arresto Aydin Sefa Akay, magistrato dell'Onu presso la Corte internazionale dell'Aja;
   il magistrato è accusato di legami con il movimento di Fethullah Gulen considerato responsabile del tentato colpo di Stato del 15 luglio 2016;
   l'arresto del magistrato è da inserire in una repressione violenta messa in atto dalle autorità di Ankara e che vede migliaia di arresti nel Paese con una sospensione, di fatto, dello stato di diritto e numerose violazioni dei più elementari diritti;
   per la funzione ricoperta il magistrato Akay gode della tutela diplomatica;
   in data 9 novembre 2016 nel corso di un'audizione presso l'Assemblea generale Onu il presidente della Corte internazionale, Theodor Meron, ha chiesto la liberazione di Akay, ricordando lo status diplomatico e sottolineando come a causa della detenzione di Akay la Corte, attualmente impegnata nell'esame dei crimini di guerra commessi in Ruanda ed ex Jugoslavia, sia impossibilitata nello svolgimento delle proprie funzioni;
   l'arresto in palese violazione delle norme internazionali e del cap VII della Carta delle Nazioni Unite del giudice Akay rappresenta un gravissimo precedente –:
   quali concrete iniziative il Governo intenda intraprendere per ottenere l'immediato rilascio del giudice Akay come richiesto dalle autorità internazionali;
   se il Governo non intenda farsi carico, anche in sede di Unione europea, di una adeguata iniziativa diplomatica atta a sostenere le richieste dell'Onu per il rilascio immediato del giudice Akay, posto che appare un grave precedente quanto avvenuto in Turchia con l'arresto del giudice Akay;
   se le violazioni continue e reiterate del diritto internazionale e delle più elementari norme a tutela dei diritti umani e civili da parte della Turchia non impongano la necessità di assumere adeguate iniziative diplomatiche da parte dell'Italia, di concerto con le autorità e gli organismi internazionali. (4-15210)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, ZARATTI, PELLEGRINO, COSTANTINO, FERRARA, QUARANTA, D'ATTORRE, SCOTTO, FRATOIANNI, MELILLA, DURANTI, PIRAS, NICCHI, FAVA, FASSINA, GREGORI, LUCIANO AGOSTINI e MARCHETTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel mare Adriatico si trova un quantitativo medio di microplastiche di circa 500 ed 800 grammi per chilometro quadrato, valori paragonabili a quelli rinvenuti nei famosi 5 vortici oceanici di accumulo delle plastiche. Lo studio dell'Università Politecnica delle Marche sostiene che ogni anno vengono prodotte nel mondo più di 300 milioni di tonnellate di plastica ed almeno il 10 per cento di questi materiali finisce negli oceani;
   questo comporta un processo di frammentazione molto più lento che alla fine produce minuscole particelle che costituiscono le microplastiche. Con dimensioni inferiori ai 5 millimetri e spesso invisibili ad occhio nudo, le microplastiche si sono accumulate nei nostri mari, dai poli all'equatore, dalla superficie alle profondità abissali. «Anche il Mediterraneo non fa eccezione, ed anzi risulta uno dei bacini maggiormente contaminati come dimostrato in un recente studio pubblicato su Nature/Scientific Reports e frutto della collaborazione tra l'Istituto di Scienze Marine del CNR di Lerici (ISMAR-CNR), l'Università Politecnica delle Marche, l'Università del Salento e Algalita Foundation (California)» spiega la Politecnica;
   nel mare Adriatico si trova un quantitativo medio di microplastiche di circa 500 ed 800 grammi per chilometro quadrato, valori paragonabili a quelli rinvenuti nei famosi 5 vortici oceanici di accumulo delle plastiche. «Quantitativi ancora maggiori, circa 2 chilogrammi per chilometro quadrato, sono stati identificati a largo delle coste occidentali della Sardegna, della Sicilia e lungo la costa pugliese, fino ad arrivare ad un hot spot di addirittura 10 chilogrammi di microplastiche per chilometro quadrato nel tratto di mare compreso tra la Corsica e la Toscana»;
   nel Mediterraneo dominano polietilene e polipropilene nel Mediterraneo occidentale mentre nell'Adriatico si trovano anche di vernici sintetiche e di altri composti associati alle attività di pesca. «Le ragioni dell'elevata concentrazione di microplastiche in Mediterraneo sono da ricercare nel limitato ricambio d'acqua di questo bacino chiuso ma densamente popolato e sottoposto ad una elevata pressione antropica»;
   le microplastiche, spesso scambiate per cibo, possono essere ingerite dai più piccoli organismi del plancton, fino ai predatori terminali. «Gli ultimi risultati della nostra ricerca — spiega la Politecnica — evidenziano la presenza di microplastiche in almeno il 30 per cento del pescato dell'Adriatico con percentuali ancora superiori in alcune specie. Anche se la frequenza di rinvenimento delle microplastiche è elevata, il loro quantitativo negli organismi non è tuttavia tale da rappresentare un pericolo per la salute umana, ma certamente un campanello di allarme per la salute delle varie specie e dell'ecosistema marino»;
   si tratta di una delle prime ricerche in questo senso, che permetterà di avere una stima più precisa della dimensione del problema generato dalle microplastiche in mare, per attivare opportuni programmi di riduzione della presenza di questi inquinanti. Gli effetti tossici delle microplastiche, il loro destino ambientale, così come la capacità di queste particelle di assorbire e rilasciare inquinanti o additivi chimici, sono oggetto del progetto europeo Ephemare finanziato da JPI Oceans –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tale studio e quali iniziative intenda intraprendere al riguardo.
(5-10276)

Interrogazione a risposta scritta:


   DURANTI, PELLEGRINO, ZARATTI, RICCIATTI, FERRARA, PIRAS e SANNICANDRO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 12 gennaio 2017 si è svolto un incontro, in cui vi era l'assenza dei commissari, tra i rappresentanti dell'azienda ILVA di Taranto e le organizzazioni sindacali avente ad oggetto l'emergenza amianto;
   il 31 dicembre 2016 scadeva il termine entro il quale i commissari straordinari avrebbero dovuto trasmettere al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare la mappatura dei rifiuti pericolosi o radioattivi e del materiale contenente amianto aggiornata al 30 giugno 2016 ai sensi dell'articolo 1-bis del decreto-legge n. 98 del 9 giugno 2016. Tale relazione è stata consegnata il 27 dicembre 2016;
   le organizzazioni sindacali – con particolare riferimento alla FIOM CGIL – hanno ripetutamente ravvisato la necessità che i commissari, all'interno della relazione, facessero riferimento non solo alla mappatura ed alle attività di bonifica già effettuate ma anche al piano di bonifica, al numero e ai dati anagrafici degli addetti, e alle caratteristiche degli eventuali prodotti contenenti amianto e alle misure adottate e in via di adozione ai fini della tutela della salute dei lavoratori e dell'ambiente. Questo al fine di verificare la necessità di allontanamento dei lavoratori dalle fonti di rischio presenti, nello stabilimento siderurgico;
   la necessità di cui sopra è rafforzata dai dati presenti nella relazione che i commissari hanno presentato a luglio 2016 in Parlamento, in ottemperanza all'articolo 1, comma 10-bis, del decreto-legge n. 191 del 2015. Nella relazione, infatti, si specifica come nello stabilimento siano ancora presenti circa 3820 tonnellate di amianto, di cui 3700 in matrice friabile e 120 in matrice compatta. Anche gli interventi di rimozione di materiale contenente amianto e lo smaltimento di rifiuti eseguiti negli anni 2013-2015 sono riferiti maggiormente a materiali in matrice friabile; sono infatti stati eseguiti 140 interventi in matrice compatta e 150 in matrice friabile; in riferimento allo smaltimento sono state smaltite 409 tonnellate in matrice compatta e 1324,883 in matrice friabile. I dati relativi al censimento del materiale contenente amianto, agli interventi di rimozione, allo smaltimento e ai campionamenti ambientali, al fine di verificare la dispersione di fibre di amianto in ambienti di lavoro, sono anche inviati alla Asl e alla regione Puglia;
   durante il sopracitato incontro del 12 gennaio, l'azienda avrebbe opposto rifiuto di consegnare – o far visionare – alle organizzazioni sindacali la relazione dei commissari;
   a parere degli interroganti sarebbe necessario – così come richiesto anche dalle organizzazioni sindacali – aprire un tavolo di confronto con il Governo, le istituzioni locali Asl e Arpa, la regione Puglia ed i commissari al fine di verificare la corretta attuazione di tutte le misure utili e necessarie alla tutela ed alla salvaguardia della salute e della sicurezza di tutti i dipendenti dello stabilimento ILVA –:
   se il Governo non intenda adoperarsi affinché sia immediatamente attivato il tavolo di confronto di cui in premessa, rendendo note le precise modalità con cui saranno affrontati gli interventi di bonifica durante la gestione commissariale – ivi compreso l'accesso per le organizzazioni sindacali alla relazione del 27 dicembre 2016 – in modo da dare pronta e positiva soluzione alla emergenza amianto dello stabilimento ILVA di Taranto. (4-15195)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GHIZZONI, RAMPI e MANZI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 12, comma 3, del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, noto come « art bonus», autorizzava la libera riproduzione di qualsiasi bene culturale, con la motivazione che – come riportato nella relazione illustrativa allegata – «L'imposizione di un rigido sistema di restrizioni alla circolazione delle immagini di beni culturali, ove effettuate per scopi non lucrativi (e, in particolare, per finalità di studio o di creazione artistica o letteraria), appare non pienamente rispondente al dettato costituzionale che, da un lato, pone a carico della Repubblica il compito di promuovere la cultura (articolo 9, primo comma, della Costituzione) e, dall'altro, sancisce il diritto alla libera manifestazione del pensiero»;
   in sede di conversione del citato decreto-legge, è stata approvata una modifica restrittiva della suddetta norma che esclude dalla libera riproduzione i beni archivistici e bibliografici, stabilendo, di fatto, un ritorno al regime precedente riguardo ai documenti di archivio e ai manoscritti;
   in seguito all'approvazione della suddetta modifica, alcuni studiosi hanno costituito il movimento «Fotografie libere per i beni culturali», con più di 3.000 sottoscrizioni di studiosi da tutto il mondo, al fine di promuovere la riproduzione libera e gratuita delle fonti documentarie in archivi e biblioteche per finalità di ricerca;
   il Consiglio superiore «beni culturali e paesaggistici», nella riunione del 16 maggio 2016, accoglie l'esigenza fortemente avvertita dagli studiosi e valuta favorevolmente l'estensione del regime della libera riproduzione dei beni culturali, introdotto dalle norme del citato « art bonus», anche ai beni bibliografici e archivistici per finalità di ricerca;
   il Consiglio – come riportato nel documento approvato – fa appello al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, affinché si giunga operativamente a una riforma del regime delle riproduzioni che possa rispondere nel modo più efficace ai bisogni della ricerca, nel rispetto delle esigenze di conservazione e delle norme a tutela del diritto di autore e della riservatezza che riguardano segnatamente i beni bibliografici e archivistici;
   nell'agosto 2016, in Commissione industria, commercio e turismo del Senato, nel corso dell'esame della legge annuale per il mercato e la concorrenza (AS 2085), è stato approvato un emendamento (n. 52.0.68) – con parere favorevole del Governo – che ripristina la libera riproduzione dei beni archivistici e bibliografici, facendo quindi emergere chiaramente la volontà politica di intervenire nel merito della questione e di ritornare al testo originario dell'articolo 12, comma 3, del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83 –:
   se, nell'attesa che la proposta di legge di cui in premessa concluda il proprio iter, il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative al fine di consentire la libera riproduzione, per motivi di studio e ricerca, dei contenuti di beni archivistici e bibliografici, così da agevolare la ricerca scientifica condotta ogni giorno da studiosi e ricercatori nel settore del patrimonio culturale, già costretti ad operare in condizioni economiche e professionali assai precarie, il più delle volte armati della sola passione. (5-10281)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI, PANNARALE, FRATOIANNI, SCOTTO, MELILLA, DURANTI, FRANCO BORDO, FERRARA, QUARANTA, PIRAS, FAVA, SANNICANDRO, COSTANTINO, FOLINO, MARTELLI e KRONBICHLER. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati rielaborati dalla Coldiretti nelle Marche i turisti provenienti dall'estero sono passati da 115 mila a 74 mila, mentre la spesa è scesa da 34 a 19 milioni di euro e i pernottamenti da 605 mila a 224 mila;
   nel mese di ottobre 2016 gli arrivi di visitatori stranieri sono diminuiti del 36 per cento rispetto allo stesso mese del 2015, con una perdita netta per le strutture ricettive di 15 milioni di euro. La Coldiretti ha rielaborato i dati della Banca d'Italia fotografando la drammatica realtà regionale;
   i turisti provenienti dall'estero sono passati da 115 mila a 74 mila mentre la spesa è scesa da 34 a 19 milioni di euro e i pernottamenti da 605 mila a 224 mila. È il primo effetto «calcolabile» del sisma del 24 agosto, prima dunque delle forti scosse del 26 e 30 ottobre, che ha invertito drammaticamente un trend positivo fino a quel momento. Nei primi otto mesi del 2016, infatti, i viaggiatori stranieri nelle Marche erano saliti a quota 945 mila, quasi il doppio dell'anno precedente (546 mila), miglior risultato degli ultimi cinque anni. «Nelle Marche fino al 24 agosto il turismo cresceva al ritmo del 3,5-4 per cento, con +2 per cento di turisti italiani, dopo agosto c’è stato un crollo. Il 2016 si chiude con il segno meno, di circa l'1 per cento, ma la preoccupazione vera è per il 2017»;
   nei centri cratere del sisma (87 i comuni marchigiani interessati) sono attivi 247 agriturismi e 143 esercizi alberghieri, più altri 844 tra B&B, campeggi, ostelli e altri esercizi ricettivi, per un totale di 27.600 posti letto (dati Istat). Per risollevare il turismo, sostiene l'associazione degli agricoltori, si deve innanzitutto «far ripartire le attività produttive, garantendo in tempi stretti l'arrivo di stalle mobili e moduli abitativi a tutte le aziende e gli allevamenti danneggiati, superando i ritardi accumulati». La regione punta sui saloni del turismo di Utrecht, in Olanda, Monaco e Lussemburgo, e naturalmente sulla Bit. A Natale è partita una campagna promozionale sulle reti Rai, e 3,5 milioni di euro di fondi europei verranno spesi da qui al 2019 per un piano di comunicazione capillare sull'offerta turistica marchigiana, che va dal turismo paesaggistico-naturalistico alle città d'arte, all'enogastronomia;
   le scosse, sottolinea la Coldiretti, hanno determinato una vera e propria fuga di turisti con disdette delle prenotazioni ed effetti anche sulle aree considerate sicure. Il bilancio è destinato ad aggravarsi, con gli effetti anche del terremoto di ottobre 2016, che ha devastato una fetta ancora più vasta di territorio –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non intendano assumere iniziative per valorizzare anche il fiorente indotto agroindustriale con caseifici, salumifici e frantoi dai quali si ottengono specialità di pregio famose in tutto il mondo;
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non intendano sostenere le imprese turistiche marchigiane che subiscono i danni indiretti del terremoto.
(4-15196)


   FANTINATI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 6 novembre 2016, il consiglio di amministrazione di Enit ha approvato bilancio 2015;
   secondo fonti di stampa, il rendiconto dell'ente – che doveva essere approvato nel marzo 2016 – si è chiuso con circa 6 milioni di euro di perdite;
   nel 2015, con nuovo statuto, Enit è stato trasformato da ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico in ente pubblico economico, sottoposto alla vigilanza del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   obiettivo della trasformazione dell'ente era quello di assicurare risparmi di spesa pubblica e il miglioramento della promozione e della commercializzazione dell'offerta turistica;
   la sostanza della trasformazione non è cosa da poco. Se prima poteva contare sul finanziamento che la legge di stabilità gli destinava ogni anno, ora, in quanto ente economico, l'Enit deve fare propri conti con quanto stabilito dalla convenzione sottoscritta con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo che prevede un «pagamento» annuale a fronte di servizi da fornire;
   come ente economico, l'Enit può e deve andare sul mercato per fornire servizi al fine di generare ricavi oltre quelli derivanti dalla convenzione con il Ministero dei beni e della attività culturali e del turismo (con l'assorbimento del personale ex Promuovitalia dispone anche di risorse qualificate sul mercato) –:
   quali informazioni intenda fornire il Governo circa i 6 milioni di euro di perdite;
   considerato che il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo sarà chiamato a sanare le perdite dell'Enit, qualora dovesse risultare veritiera quella che finora sembra un'indiscrezione, se il Ministro interrogato intenda porre in essere iniziative volte a conoscere quali azioni siano state assunte dall'Enit, per l'esercizio in corso, onde evitare il ripetersi del risultato negativo;
   se il Governo disponga di elementi circa eventuali attività avviate o programmate dall'Enit, al fine di generare ulteriori risorse dal mercato;
   se la struttura dell'Enit sia adeguata al raggiungimento degli scopi dell'ente o se, invece, tra le varie cause del risultato negativo, non abbia contribuito l'annosa questione delle progressioni economiche del personale non dirigente in servizio presso l'Enit al 1o gennaio 2015, così come descritta dall'interrogante nell'interrogazione 4-14506. (4-15207)


   COSTANTINO, DURANTI, RICCIATTI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, PANNARALE e SANNICANDRO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   Capo Colonna, in provincia di Crotone, in località Torre Scifo, ospita l'ultima delle 48 colonne doriche che costituivano il tempio di Hera Lacinia;
   il sito, edificato nel VI secolo a.C., è molto suggestivo per la sua posizione strategica lungo le rotte marittime che univano Taranto allo Stretto di Messina e fu uno dei santuari più importanti della Magna Grecia;
   il titolo V della legge 31 dicembre 1982, n. 979, che ha previsto la costituzione lungo le coste italiane di 20 riserve marine, tra le quali quella di «Capo Rizzuto», una riserva naturale che interessa l'area marina costiera antistante i comuni di Crotone e Isola Capo Rizzuto, lungo la quale, c’è il tratto da Torre Scifo verso località Alfiere, recita testualmente: «Le riserve marine sono costituite da ambienti marini dati dalle acque, dai fondali e dai tratti di costa prospicienti che presentano un rilevante interesse per le caratteristiche naturali, geomorfologiche, fisiche, biochimiche con particolare riguardo alla flora ed alla fauna marina costiera e per l'importanza scientifica, ecologica, educativa ed economica che rivestono»;
   in quest'area paesaggisticamente vincolata è sorta una struttura alberghiera composta da 79 bungalow per una ricezione di 237 ospiti, cui s'aggiungono un ristorante in via di realizzazione che appare in netto contrasto con l'edilizia circostante e un gioco d'acqua per bambini che diventa (in caso d'orticaria per l'acqua che qui è più salata che altrove) un'enorme piscina di 4 metri e mezzo di profondità, fronte mare, a ridosso del demanio; nel 2006, gli imprenditori e fratelli Scalise, promuovono su un terreno agricolo che da piano regolatore consente attività agrituristica la realizzazione di un «camping» presentato come strutture leggere amovibili che di fatto diventano villaggio turistico;
   gli sbancamenti per i lavori iniziano nel 2013, una sanatoria concessa dalla regione nel 2015 e il paesaggio visibilmente alterato, all'interno della riserva marina di Capo Rizzuto in una baia che custodisce 2 relitti romani tra cui il relitto Orsi, un cantiere a ridosso d'una masseria del ‘700, a pochi metri dalla Torre d'avvistamento Lucifero del ’600, in uno dei rari tratti di costa calabrese finora intatto. Con l'aggravante che questa operazione si tradurrà nella cementificazione di Capo Colonna (http://www.ilfattoquotidiano.it);
   nonostante la mobilitazione di associazioni ambientaliste locali e della cittadinanza, ad oggi le sole opere visibili sono piattaforme di cemento, e sbancamenti, nonostante la Soprintendenza dichiari che i lavori sono stati già svolti. Il rischio è perciò è quello di un'accelerazione dei lavori, così come richiesto dall'avvocato degli Scalise che li difende nella battaglia contro i vincoli paesaggistici, Domenico Grande Aracri, fratello di Nicolino al vertice della cosca di Cutro, protagonista dell'operazione Aemilia condotta dalla direzione distrettuale antimafia di Bologna –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e come intendano tutelare, per quanto di competenza, il patrimonio culturale e ambientale, garantendo la piena applicazione della legge sulle riserve marine e i vincoli paesaggistici di Torre Scifo. (4-15208)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TERROSI, ZOGGIA, FRAGOMELI, ARLOTTI, VERINI, VENITTELLI, ALBANELLA, MARCO DI MAIO, COVA, SCUVERA, MAZZOLI, ALBINI, LA MARCA, MINNUCCI, SALVATORE PICCOLO, CAMPANA, MICCOLI e ROMANINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   come noto, Poste Italiane sta procedendo nella messa in atto del proprio piano di riorganizzazione;
   in molte aree del nostro Paese è già in atto il cosiddetto modello di recapito a giorni alterni che ha interessato progressivamente il territorio italiano a partire da ottobre 2015 (fase I), continuando durante il 2016 (fase II);
   l'attuazione della fase III estenderà il recapito a giorni alterni anche nella provincia di Viterbo: tra febbraio e aprile 2017 saranno interessati 52 comuni su 60;
   il 25 luglio 2016 il Tar del Lazio si espresse favorevolmente nei confronti del ricorso presentato da molti comuni della provincia di Terni sostenuto dalla stessa regione Umbria, contro il piano di razionalizzazione delle sedi avviato da Poste Italiane che prevedeva la chiusura del servizio in molti comuni della provincia di Terni. La motivazione richiamava, tra l'altro, che il ridimensionamento ovvero la riorganizzazione non può avvenire seguendo solo la logica di tipo economico e senza prevedere valide alternative;
   il piano di recapito a giorni alterni riguarderebbe anche gli invii prioritari come le raccomandate Inps, gli avvisi dell'Agenzia del territorio e di Equitalia, i telegrammi (ad esempio delle Asl o delle scuole), i quotidiani e i settimanali con prevedibile disagio per l'utenza;
   l'avvio della fase III, ad esempio nella provincia di Viterbo, porterà ad una riduzione stimata delle zone dalle attuali 180 a circa 65, con prevista ricollocazione del personale in esubero presso gli sportelli ma con conseguente maggior carico di lavoro per il personale che continuerà a svolgere l'attività di portalettere;
   nel settembre del 2016 il Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza la risoluzione sulla applicazione della direttiva 97/67/CE modificata dalla direttiva 2008/6/CE sui servizi postali nella quale, tra l'altro, si sottolinea l'importanza di fornire un servizio universale di alta qualità a condizioni accessibili, comprendente almeno cinque giorni di consegna e di raccolta a settimana per tutti i cittadini (punto 8 della risoluzione) in evidente contrasto con la modalità di consegna della corrispondenza a giorni alterni prevista dal piano di riorganizzazione delle Poste Italiane;
   del resto, la stessa direttiva individua la fornitura dei servizi postali come essenziale per lo sviluppo regionale, l'inclusione sociale e la coesione economica e territoriale della Unione europea in particolare nelle zone remote, rurali e scarsamente popolate nelle quali è importante mantenere un numero sufficiente di punti di accesso –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto riportato in premessa;
   se il Governo non ritenga di dover attuare, per quanto di competenza, opportune forme di monitoraggio e controllo affinché la ristrutturazione di Poste Italiane non metta a repentaglio i posti di lavoro e i servizi di recapito postale e di sportello;
   se il Governo non ritenga di dover garantire la permanenza in piena attività, comprensiva del servizio di sportello e di recapito giornaliero della corrispondenza, proprio in quei comuni in cui gli stessi uffici rappresentano un presidio territoriale strategico e offrono il servizio ad una popolazione sempre più anziana, così come previsto dalla direttiva europea sui servizi postali che individua il servizio postale per le zone remote, montane o scarsamente popolate quale elemento di coesione sociale;
   se non si ritenga di assumere iniziative, per quanto di competenza, per evitare di incorrere in misure sanzionatorie comminate dall'Unione europea poiché il piano di ristrutturazione di Poste Italiane appare agli interroganti palesemente in contrasto con la direttiva comunitaria, in particolare laddove la stessa prescrive che il servizio deve almeno garantire consegna e ritiro della corrispondenza per cinque giorni a settimana, per tutti i cittadini dell'Unione europea. (5-10274)


   AGOSTINELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Polverigi (Ancona), sull'immobile di proprietà della General Building spa, in via Roncolina n. 3, foglio 2, particella 87, subalterni 12-11-10-9, sono stati realizzati 5 impianti fotovoltaici, di cui uno su pensilina, per i quali vi è stata dichiarazione di inizio attività ex decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 e domanda al GSE di riconoscimento degli incentivi pubblici ex decreto legislativo n. 28 del 2011;
   non tutti i titoli abilitativi degli impianti sarebbero in regola;
   in seguito a richiesta di accesso agli atti del 23 agosto 2016 del consigliere comunale Alessandro Ricci, il comune di Polverigi ha proceduto a verifica tramite immagine satellitare (google maps) rilevando una situazione diversa dalla documentazione agli atti con riguardo a due degli impianti, corrispondenti alle dichiarazioni di inizio attività del 6 giugno 2008 prot. 3579 (impianto su pensilina) e prot. 3578 (impianto integrato su copertura);
   gli impianti oggetto delle suddette dichiarazioni di inizio attività sono stati costruiti su immobile soggetto a vincolo paesaggistico, ex decreto legislativo n. 490 del 1990 (secondo gli schemi degli elaborati grafici, allegati E ed F), sicché in data 16 ottobre 2008 veniva rilasciato nullaosta della Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio delle Marche (comune di Polverigi prot. n. 6635 del 20 ottobre 2008 e n. 6666 del 21 ottobre 2008);
   per la dichiarazione di inizio attività 3579, relativa agli impianti su pensilina presso l'ex-Genio civile non risultano depositati i progetti relativi ai predetti impianti; inoltre, successivamente alla dichiarazione di fine lavori del 10 gennaio 2011, non risulta rilasciata dichiarazione di idoneità;
   rilevate le esposte difformità, in data 25 agosto 2016, l'ufficio tecnico del comune di Polverigi, ha inviato alla General Building spa comunicazione di avvio del procedimento ai sensi degli articoli 7 e seguenti della legge n. 241 del 1990, per presunti abusi edilizi;
   in data 15 settembre 2016 la General Building inoltrava all'ufficio SUAP dell'Unione dei comuni «Terra dei Castelli», unione dei comuni di Agugliano e Polverigi, segnalazione certificata di inizio attività avente ad oggetto «sanatoria delle opere realizzate in difformità rispetto alle dichiarazioni di inizio attività n. 3579 del 6 giugno 2008 e dichiarazione di inizio attività n. 3578 del 6 giugno 2008 relative alla realizzazione di impianti fotovoltaici sull'edificio ...»;
   nella «Relazione tecnica illustrativa» allegata alla segnalazione certificata di inizio attività in sanatoria, al punto c. Descrizione delle opere realizzate, vengono elencati i seguenti impianti:
    impianto «A»: impianto fotovoltaico complanare alla copertura della potenza di 452,14 Kw;
    impianto «B»: impianto fotovoltaico complanare alla copertura della potenza di 113,97 Kw;
    impianto «C»: impianto fotovoltaico complanare alla copertura della potenza di 56,40 Kw;
    impianto «D»: impianto fotovoltaico complanare alla copertura della potenza di 56,40 Kw;
    infine, impianto su struttura a sbalzo della potenza di 25,89 kW unitamente a un piccolo impianto fotovoltaico in strisce fotovoltaiche adesive della potenza di 2,99 kW, per una potenza totale, sul blocco a sud di 28,88 kW;
   le potenze degli impianti dichiarate nella segnalazione certificata di inizio attività in sanatoria non corrispondono a quelle dichiarate nelle dichiarazioni di inizio attività n. 3578 e n. 3579 – pari rispettivamente a 82,65 kW e 18,12 kW – ma molto superiori;
   anche il GSE, nella comunicazione al Comune di Polverigi del 12 dicembre 2016, ha rilevato che la potenza dichiarata per il riconoscimento degli incentivi è superiore a quella risultante dalle dichiarazioni di inizio attività 3578 e 3579 –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti;
   se le difformità riscontrate con riguardo agli impianti realizzati possano comportare revoca e/o sospensione da parte del GSE degli incentivi ex decreto legislativo n. 28 del 2011. (5-10277)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dalla stampa di problemi inerenti al sovraffollamento delle carceri presenti nella regione Lazio, in particolare si tratta di ben 871 detenuti in eccesso, considerato che n. 6.108 risultano essere i detenuti reclusi nei 14 Istituti del Lazio, rispetto ad una capienza regolamentare di detenuti prevista di n. 5.237; dato del 31 dicembre 2016;
   naturalmente la situazione è motivo di forti criticità sotto diversi punti di vista. Nel dettaglio è possibile leggere direttamente on-line i numeri che fotografano la situazione, ad esempio: casa circondariale Cassino (+88 detenuti rispetto a quelli ospitabili), casa circondariale Frosinone (+102); nuovo complesso Civitavecchia (+77), casa circondariale femminile Rebibbia (+111), nuovo complesso Rebibbia (+ 229); casa circondariale Regina Coeli (+281), casa circondariale Velletri (+128), Viterbo «nuovo complesso» (+172);
   per la Fns Cisl Lazio occorre mettere mano all'ordinamento penitenziario e all'intero sistema penale;
   recentemente, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di un italiano recluso nel carcere di Spoleto, che si lamentava per il sovraffollamento della cella con 3,75 metri quadrati liberi a testa. Nel calcolo era compreso l'ingombro del letto a castello, che secondo il detenuto andava «scorporato». La sentenza ha così affermato il principio per cui «per spazio minimo individuale in cella collettiva va intesa la superficie della camera detentiva fruibile dal singolo detenuto ed idonea al movimento, il che comporta la necessità di detrarre dalla complessiva superficie non solo lo spazio destinato ai servizi igienici e quello occupato dagli arredi fissi ma anche quello occupato dal letto»;
   questo principio risulta conforme a una recente decisione della Corte europea dei diritti dell'uomo che il 20 ottobre 2016, ha attribuito una «forte presunzione di trattamento degradante», compensabile solo con la brevità della detenzione e l'offerta di molte attività esterne, alle celle con «uno spazio minimo inferiore ai tre metri quadrati»;
   risulta particolarmente grave la situazione del carcere Mammagialla di Viterbo dove, stando ad alcune testimonianze sindacali reperibili online, si sarebbero verificati atti di auto-cannibalismo; infatti, secondo il segretario provinciale del Sappe e il segretario locale dell'Osapp, un detenuto, ha mangiato i lobi delle proprie orecchie in segno di protesta contro l'enorme affollamento;
   sempre a detta dei due esponenti sindacali il carcere di Viterbo sarebbe considerato dalle autorità competenti «un vero e proprio immondezzaio, dove scaricare tutte le criticità di livello regionale.» E si denuncia una scarsità di personale, senza adeguati livelli di professionalità (solo tre psichiatri per 750 detenuti di cui oltre 100 con patologie psichiatriche), senza mezzi per contrastare le gravi criticità. «Abbiamo circa 100 detenuti psichiatrici – hanno dichiarato – di cui 20 definiti “acuti”. La loro gestione è pressoché impossibile in ambiente penitenziario, addirittura alcuni di loro andrebbero contenuti con dei mezzi di coercizione. Nonostante ciò continuano ad assegnare detenuti con patologie psichiatriche» –:
   quali iniziative intenda assumere, anche di carattere normativo, a seguito alla sentenza della Corte di cassazione soprarichiamata e se non si ritenga opportuno ridefinire i dati ed i rapporti tra spazio e detenuti;
   se sia a conoscenza dei gravi fatti che sarebbero accaduti nel carcere Mammagialla di Viterbo e quali iniziative intenda assumere per risolvere la situazione di sovraffollamento denunciata ed implementare la presenza nella struttura di personale qualificato;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative, anche di carattere normativo, atte a garantire una sicura e più serena vita lavorativa al personale di pubblica sicurezza operante nelle strutture.
(4-15193)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIBAUDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto nazionale di statistica ha emesso in data 15 gennaio 2014, la circolare 912/2014/P contenente le indicazioni per l'inserimento e la validazione dei dati toponomastici in ANSC, tramite l'utilizzo dei portale per i comuni, nonché recante note di carattere generale per la compilazione dello stradario; tali indicazioni sono state esplicitate con nota informativa del 6 maggio 2014, aggiornata 27 novembre 2014;
   tale circolare prescrive la registrazione dei nomi di strade e altri toponimi nella loro versione estesa e la conversione della numerazione romana in araba, nonché altri aggiornamenti per la denominazione delle varie località;
   nella predetta informativa si afferma che «l'adeguamento alle modalità tecniche indicate per la standardizzazione e la normalizzazione della denominazione estesa non rendono necessaria la sostituzione della cartellonistica stradale o delle targhe indicanti le denominazioni già deliberate non in forma standard. Tuttavia, nei casi in cui, per i più svariati motivi, sia necessario sostituire la preesistente cartellonistica, nelle nuove targhe deve essere indicata la “dizione estesa” dell'area di circolazione, anche se sintatticamente diversa da quella deliberata dal Comune»;
   questa e altre indicazioni contenute nella circolare e nell'informativa dell'ISTAT rendono obbligatorio che, al momento della sostituzione per usura della cartellonistica riportante date di interesse storico e nazionale, o nominativi di grande prestigio, si debba modificare la dicitura storica del cartello, ad esempio con la sostituzione di «Via XXV aprile» con «via venticinque aprile», o «via IV novembre» con «via quattro novembre», o addirittura andando ad eliminare il carattere speciale posto a sottolineatura del ricordo stesso;
   secondo alcune ricostruzioni della stampa, i comuni hanno avuto difficoltà a interpretare la circolare e l'informativa dell'ISTAT a causa della scarsa chiarezza dei documenti, ponendo dubbi sull'obbligatorietà o meno di sostituire la cartellonistica e creando allarme tra amministratori e cittadini sulla spesa che ciò comporterebbe; in particolare La Stampa – Edizione di Cuneo – del 3 gennaio 2017 utilizza le parole «L'Istat intima ai comuni italiani di modificare i nomi di strade e piazze», evidenziando l'incomprensione rispetto al reale dettato della circolare e dell'informativa –:
   quale sia l'orientamento del Governo circa l'indicazione dell'ISTAT di estendere regole per la compilazione dello stradario alle prossime sostituzioni della cartellonistica;
   quali iniziative il Governo intenda adottare per salvaguardare la specialità del ricordo insita nella scelta toponomastica anche grazie all'utilizzo di caratteri speciali;
   quali iniziative il Governo intenda adottare per chiarire alle amministrazioni comunali i dubbi posti dalla mancanza di chiarezza nella normativa per la compilazione dei nuovi stradari, evitando in questo modo che venga desunto dalla circolare 912/2014/P dell'ISTAT l'obbligo alla sostituzione della cartellonistica stradale nei casi di mancata conformità alla standardizzazione e alla normalizzazione delle denominazioni stradali. (4-15212)


   BRANDOLIN. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel lontano anno 2005 venne annunciato il progetto di un nuovo stabilimento della prestigiosa ditta di ultraleggeri Pipistrel Lsa Srl di Aidussina nel compendio dello scalo Duca d'Aosta di Merna (Gorizia), primo passo per fare dell'aeroporto Duca D'Aosta di Gorizia un vero scalo transfrontaliero;
   nel 2011 finalmente il progetto si concretizza con la concessione di tre ettari dell'area aeroportuale di Gorizia per vent'anni (rinnovabili per altri 20) all'azienda Pipistrel, nata ad Aidussina nel 1987 e leader a livello mondiale per la produzione di ultraleggeri di ultima generazione;
   nel 2014 la società avvia la realizzazione della sede-magazzino, annunciando previsioni occupazionali di 250 dipendenti e la produzione di 200 aerei all'anno, con l'entrata in funzione di 6 mila dei 10 mila metri quadri di superficie dello stabilimento in vista della prima fase produttiva destinata agli Stati Uniti;
   il costo delle strutture finora realizzate è di 5 milioni di euro, con la previsione di stanziare altri 500 mila euro per cominciare a produrre e un investimento finale, a struttura ultimata, di 8 milioni di euro;
   nell'ottobre 2003 è stata creata una società per azioni nata per rilanciare l'attività dello scalo, che nel 2015 ha vinto la gara per la gestione dell'aeroporto e ha ottenuto la concessione provvisoria dall'Enac;
   la Società consortile S.p.a. «Aeroporto Amedeo Duca d'Aosta di Gorizia», da parte sua, ha già avviato un progetto preliminare per il recupero della palazzina d'ingresso dell'aeroporto che accoglierà anche la sede della società consortile, finanziato con 100 mila euro, come ulteriore passo avanti verso il recupero dello scalo goriziano;
   per dare effettivo avvio a tutti i progetti è però necessario il completamento delle operazioni per permettere l'avvio della gestione dello scalo da parte della società consortile –:
   di quali elementi disponga il Ministro interrogato circa le tappe necessarie per il completamento delle procedure che permetterebbero alla società consortile di iniziare ad operare nell'immobile di cui in premessa, in modo tale da consentire l'immediato avvio dell'operatività alla Pipistrel, dando così una vera svolta all'economia della provincia isontina messa a dura prova dalla crisi. (4-15213)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   BRANDOLIN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel lontano anno 2005 venne annunciato il progetto di un nuovo stabilimento della prestigiosa ditta di ultraleggeri Pipistrel Lsa Srl di Aidussina (Slo) nel compendio dello scalo aeroportuale Duca d'Aosta di Merna in Gorizia, primo passo per fare dell'aeroporto Duca D'Aosta di Gorizia un vero scalo transfrontaliero, comprensivo di una zona produttiva;
   nel 2014 la società ha avviato la realizzazione della sede-magazzino, annunciando previsioni occupazionali di 250 dipendenti e la produzione di 200 aerei/ultraleggeri all'anno con l'entrata in funzione di 6 mila dei 10 mila metri quadri di superficie dello stabilimento in vista della prima fase produttiva destinata agli Stati Uniti;
   subito dopo l'inizio dei primi lavori, la Pipistrel ha subito il primo atto vandalico, con il danneggiamento di una cisterna e dell'impianto elettrico (notizia che l'azienda decide però di tenere riservata);
   nel dicembre del 2014 un altro atto vandalico colpisce l'azienda, con la rottura a sassate di una decina di finestre;
   nel marzo del 2016 nuovo atto vandalico, con quaranta vetrate mandate in frantumi per un danno che si aggira attorno ai 50 mila euro;
   nel dicembre 2016 si verifica un nuovo danneggiamento alle vetrate, ma questa volta i responsabili dell'atto riescono a mettere fuori uso anche il quadro elettrico e, cosa ben più grave, lasciano un messaggio scritto in inchiostro rosso sul muro interno alla struttura appena realizzata: «Ivo go home», «Ivo (riferito a Boscarol, il patron dell'azienda slovena), vai a casa»;
   la gravità dei fatti è stata sottolineata sia dal vicario del questore Luigi Di Ruscio il quale ha affermato: «Quello che è successo è grave perché è stata colpita una delle poche realtà imprenditoriali che stanno prendendo piede in città, che dal questore Lorenzo Pillilini, che ha sottolineato sulla stampa come sia «da escludere che l'atto possa essere stato commesso da persone che non sono state pagate per gli interventi effettuati nella costruzione dello stabilimento»; il questore ha anche sottolineato che «nella costruzione della fabbrica sono state coinvolte tutte aziende locali. Per intenderci, non hanno lavorato ditte in odore di camorra»; il questore ha anche dichiarato che «mi sembra improbabile che un ladro si sfoghi contro 40 finestre (...) Più che un atto ladresco, lo consideriamo un atto vandalico» –:
   di quali elementi disponga il Ministro interrogato sulla vicenda e quali iniziative di competenza intenda assumere a tutela dell'azienda in questione, anche in considerazione della possibilità che il fatto, già grave in quanto atto vandalico diretto verso una nuova realtà imprenditoriale molto importante per il territorio, non sia aggravato da una componente nazionalistica e razzista vista la provenienza slovena dell'azienda e del titolare, elemento particolarmente preoccupante in una zona come quella goriziana che dovrebbe fare della collaborazione transfrontaliera il suo punto di forza. (3-02698)

Interrogazione a risposta scritta:


   CRIPPA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il distaccamento di polizia stradale di Domodossola (VCO) è da anni uno dei pochi presidi delle forze dell'ordine sul territorio del domese e più in generale di tutta la Val d'Ossola e garantisce un alto livello di prestazioni per quanto riguarda i servizi di sicurezza alla cittadinanza;
   come si apprende dall'interrogazione presentata dalle consigliere Corsini e Ragazzini del MoVimento 5 Stelle presso il comune di Domodossola nel mese di novembre 2016, negli ultimi anni tale presidio ha subito un brusco ridimensionamento sia in termini di servizi che di personale, il quale ha contribuito a produrre una presenza sul territorio drasticamente inferiore a quanto garantito prima dei tagli;
   oggi nell'arco delle 24 sarebbe infatti garantita la sola presenza di una pattuglia e soltanto per sei ore, con il compito di presidiare tutta l'Ossola;
   anche il Sindacato italiano unitario dei lavoratori della polizia (SIULP) avrebbe sollevato il caso, paventando «la chiusura per inedia, operando una lunga e tormentata eutanasia, così come avvenuto per altri uffici PolStato»;
   ad oggi, infatti, sarebbero già 5 le unità operative della Polstrada trasferite senza nessuna sostituzione;
   la mancata garanzia della presenza della squadra volante di pronto intervento nell'arco delle 24 ore, fatto questo di particolare gravità, sarebbe quindi direttamente riconducibile alla scarsa presenza di unità;
   Domodossola sorge lungo il corridoio europeo delle merci denominato TEN 24 che collega Rotterdam a Genova;
   tale corridoio, oltre ad essere strategico per i trasporti stradali, risulta essere centro nevralgico per la Confederazione elvetica, in quanto su di esso transitano dal Sempione ogni anno circa 85 mila mezzi pesanti, dato fondamentale considerando la chiusura del Gottardo per il passaggio degli stessi;
   tale ridimensionamento appare poi incomprensibile se si considera il fatto che oggi la situazione risulta ancor più complessa considerando il particolare momento storico, in cui la gestione dei migranti e l'intensificazione dei controlli di frontiera sarebbero prioritari –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente dei fatti sopra esposti;
   quali siano le motivazioni ufficiali dei ridimensionamenti di cui in premessa;
   se, al fine di garantire al meglio il diritto alla sicurezza dei cittadini di Domodossola e della Val d'Ossola tutta, si stia valutando un rafforzamento del presidio costituito dal distaccamento di polizia stradale locale, prendendo anche in considerazione il reintegro delle unità perse negli anni. (4-15200)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   da diversi anni ormai nella regione Puglia viene svolto il progetto regionale cosiddetto «diritti a scuola», rifinanziato con risorse del Fondo sociale europeo nell'ambito del programma operativo 2014-2020, allo scopo di «realizzare interventi per qualificare il sistema scolastico e prevenire la dispersione, favorendo il successo scolastico, con priorità per gli studenti svantaggiati»;
   il suddetto progetto è realizzato nell'ambito della frequenza delle scuole dell'obbligo della regione Puglia con ottimi risultati i termini di prevenzione e recupero della dispersione, come peraltro confermato dall'assegnazione del premio «Regiostars 2015» da parte della Commissione europea che lo ha riconosciuto quale best practise europea nell'ambito di riferimento;
   nell'ambito del suddetto progetto da tempo veniva impiegato, sulla base di convenzioni stipulate annualmente dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dalla regione Puglia, il personale docente e Ata inserito nelle graduatorie provinciali e, in subordine, di circolo/istituto utili al reclutamento dei supplenti in ciascuna qualifica;
   coerentemente con quanto accaduto negli anni scolastici 2009/10, 2010/11 e 2011/12 in forza delle disposizioni contenute nei commi 2, 3 e 4 dell'articolo 1 della legge n. 167 del 2009, al personale scolastico destinatario degli incarichi lavorativi a valere sul progetto «diritti a scuola», viene riconosciuta la valutazione del servizio prestato;
   la valutazione del servizio negli anni scolastici successivi, a partire dal 2012/13 e seguenti, è riconosciuta in forza della previsione normativa contenuta nel comma 4-bis dell'articolo 5 del decreto-legge n. 104 del 2013, convertito dalla legge n. 128 del 2013, al personale docente all'atto dell'aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento previste dall'articolo 1, comma 605, lettera c), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, e delle corrispondenti graduatorie di circolo/istituto e al personale Ata nelle graduatorie permanenti di cui all'articolo 554 del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, negli elenchi provinciali ad esaurimento di cui al decreto del Ministro della pubblica istruzione n. 75 del 19 aprile 2001, nonché nelle graduatorie d'istituto;
   nei decorsi anni scolastici le convenzioni stipulate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dalla regione Puglia contenevano l'espressa previsione della valutabilità del servizio svolto sia a beneficio del personale docente che del personale Ata, come desumibile dal protocollo d'intesa sottoscritto da regione Puglia e Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 15 gennaio 2015 per lo svolgimento delle attività progettuali nel corso dell'anno scolastico 2014/15;
   si evidenzia che per le attività svolte nell'anno scolastico 2015/16, la convenzione stipulata da Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e regione Puglia il 16 dicembre 2015, al punto 4), fa espresso riferimento alla valutabilità del servizio svolto esclusivamente dal personale Ata prevedendo testualmente che: «Al personale ATA è riconosciuta la valutazione del servizio, ai soli fini dell'attribuzione del punteggio nelle graduatorie permanenti di cui all'articolo 554 del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, negli elenchi provinciali ad esaurimento di cui al decreto del Ministro della pubblica istruzione n. 75 del 19 aprile 2001 nonché nelle graduatorie d'istituto. Al personale ATA nominato dalle graduatorie d'istituto, ai fini dell'attribuzione del punteggio, è riconosciuta la valutazione del servizio prevista dal Decreto Ministeriale 717 del 5 settembre 2014»;
   il protocollo d'intesa appena richiamato, tacendo in merito alla valutabilità del servizi svolto dal personale docente nelle graduatorie ad esaurimento e in quelle di circolo/istituto, potrebbe:
    1) determinare un'evidente ed indebita disparità di trattamento tra personale docente, che prestando servizio nell'ambito del progetto regionale, ha ottenuto negli scorsi anni la regolare valorizzazione ai fini dell'inserimento nelle cosiddette «graduatorie 24 mesi» previste dall'articolo 554 del decreto legislativo n. 297 del 1994, e personale Ata e tra lo stesso personale docente impiegato nelle stesse attività progettuali in annualità differenti;
    2) risultare sottoscritto in palese contrasto con una norma di legge che in nulla distingue le due qualifiche di personale scolastico in merito alla valutabilità del servizio svolto;
    3) determinare (cosa che sta, peraltro, avvenendo) un massiccio ricorso a contenziosi che darebbero luogo a una prevedibile soccombenza dell'amministrazione scolastica con probabile condanna alle spese che graverebbero sull'erario;
    4) penalizzare proprio il personale docente precario, destinatario delle disposizioni della legge n. 167 del 2009, ideata proprio, per sostenere le posizioni dei lavoratori della scuola che non ricevevano alcuna o scarse proposte di contratto –:
   se il Ministro interpellato non intenda assumere iniziative per modificare il dettato della convenzione sottoscritta con la regione Puglia allo scopo di ricondurre gli accordi regionali nell'alveo del rispetto delle norme di legge;
   per quale ragione il servizio prestato dal personale ausiliario tecnico e amministrativo nell'ambito di detto progetto non debba essere considerato utile ai fini della maturazione del titolo di servizio minimo necessario per l'accesso alle graduatorie provinciali per i diversi profili della qualifica.
(2-01584) «Pannarale, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Scotto».

Interrogazione a risposta orale:


   FRANCESCO SANNA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) in collaborazione con la Princeton University (Nev, Jersey, USA), e le società italiane Polaris s.r.l. e SAPIO s.r.l. ha sviluppato un progetto di ricerca innovativo, denominato «Progetto Aria», che prevede la realizzazione di una torre di distillazione criogenica dallo sviluppo verticale di circa 350 metri di altezza, che verrebbe a costituire l'impianto di distillazione criogenica più alto al mondo;
   il progetto Aria ha l'obiettivo di ottenere a costi più contenuti la produzione della tipologia di gas argon necessaria per condurre la ricerca della materia oscura (Programma DarkSide) presso i laboratori nazionali del Gran Sasso dell'Infn e di altri isotopi non radioattivi necessari per la ricerca sul neutrino presso il medesimo laboratorio;
   la distillazione criogenica è, inoltre, il metodo più efficace per la produzione di isotopi stabili arricchiti che trovano applicazione, tra l'altro, negli studi clinici per la produzione di traccianti per la diagnostica antitumorale Positron Emission Tomography (PET), di traccianti d'interesse per studi clinici in generale e di traccianti d'interesse per le scienze ambientali ed agricole;
  la miniera carbonifera di Seruci (Gonnesa – Sardegna) si è rivelata il sito nazionale più idoneo per installare la macchina nel sottosuolo e sviluppare la ricerca, per la possibilità di utilizzarvi infrastrutture di grande profondità verticale già realizzate, adattabili senza grandi investimenti ed in tempi rapidi grazie alla disponibilità nella società concessionaria delle migliori professionalità minerarie italiane. La concessionaria della miniera è la Carbosulcis spa, il cui azionista unico è la regione autonoma della Sardegna. La struttura mineraria ha in corso di esecuzione un programma di chiusura delle attività estrattive (che si concluderanno entro la fine del 2018) concordato ed approvato con decisione formale della Commissione europea;
   il progetto Aria ha la possibilità di conciliare i suddetti obiettivi scientifici – al raggiungimento dei quali concorreranno partnership attivate presso le università di Cagliari e Sassari – con quelli di riqualificazione del personale della Carbosulcis per il riassorbimento in attività industriali alternative a quella estrattiva, e di incremento dei livelli occupazionali nel territorio della regione Sardegna;
   anche in funzione dei possibili sviluppi industriali della ricerca, l'Infn e la regione autonoma della Sardegna hanno sottoscritto il 24 aprile 2015 un primo protocollo d'intesa, e successivamente, il 18 marzo 2016, un accordo di programma che fissava la prospettiva, i contenuti e la responsabilità attuativa del programma di ricerca, impegnandosi a finanziarlo con 18 milioni di euro;
   nella seduta del 1o dicembre 2016, il Comitato interministeriale della programmazione economica ha finanziato, tra i programmi del Fondo integrativo speciale ricerca del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il progetto Aria, con 4 milioni di euro assegnati all'Istituto nazionale fisica nucleare –:
   se siano stati predisposti dall'Infn e concordati con i partner scientifici industriali i programmi attuativi di dettaglio della ricerca;
   quali tempi siano previsti per l'avvio dei necessari lavori di predisposizione del sito minerario e l'assemblaggio e l'installazione della macchina per la sperimentazione della distillazione criogenica.
   (3-02695)

Interrogazione a risposta scritta:


   CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nel 2009 sono state istituite le province di Monza e Brianza, Andria-Trani-Barletta e Fermo. Ciò ha reso necessario dotare le province dei servizi e delle diramazioni dello Stato, come le prefetture e gli uffici scolastici territoriali;
   la presenza nella «nuova» provincia di Monza e Brianza dell'ufficio scolastico territoriale e della prefettura rende possibile e necessaria l'attribuzione alle scuole di Monza e Brianza di un nuovo codice meccanografico, senza il quale il sistema informativo non può riconoscere né le scuole né le relative titolarità e non può gestire autonomamente alcuna procedura;
   dall'anno scolastico 2009/10 sono passati ormai 7 anni scolastici con la determinazione degli organici e delle funzioni di aggiornamento dell'anagrafe delle istituzioni scolastiche agli uffici, senza che il Ministero assegnasse alle scuole di Monza e Brianza un proprio codice meccanografico;
   l'operazione è di competenza ministeriale sia perché si tratta di chiedere una prestazione extra al gestore del sistema informativo il cui contratto è gestito dal Ministero, sia perché il problema riguarda le province di nuova istituzione, ma soprattutto perché con la suddivisione delle province si hanno conseguenze di carattere giuridico con riflessi sia all'interno della provincia in cui si opera (il movimento da una scuola all'altra, può divenire interprovinciale, mentre adesso sarebbe all'interno della provincia; occorrerebbe sdoppiare le graduatorie provinciali e definire se l'attribuzione alla nuova graduatoria debba avvenire solo per opzione, o essere automatica per i docenti titolari sia su scuola che su ambito o è destinatario di una supplenza annuale, e definire le relative procedure e i tempi di attuazione) sia nei rapporti esterni alla provincia e alla regione stessa (movimenti interprovinciali e altro);
   la legge n. 107 del 2015 ha introdotto gli ambiti territoriali, che hanno estensione sub provinciale, cui le province sono ripartite e che necessitano una revisione dei codici meccanografici in quanto parte del personale è stato assunto nel piano straordinario di assunzioni del 2015/16 e la mobilità è avvenuta su ambiti territoriali;
   il Ministero è stato più volte sollecitato su questa problematica, dando rassicurazioni che non hanno mai trovato riscontro –:
   quali iniziative la Ministra interrogata intenda mettere in atto per adeguare i codici meccanografici agli ambiti territoriali e dotare la provincia di Monza e Brianza e le altre due province che ne sono ancora sprovviste dei relativi codici per le scuole degli ambiti territoriali delle province. (4-15198)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   l'ente nazionale di previdenza ed assistenza della professione infermieristica (Enpapi), istituito il 24 marzo 1998 con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, emanato di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, a seguito del decreto legislativo n. 103 del 1996, è l'istituzione che assicura la tutela previdenziale obbligatoria degli infermieri professionali, degli assistenti sanitari e delle vigilatrici d'infanzia, che esercitano l'attività infermieristica in modalità libero professionale;
   tale ente, stante la natura di ente pubblico, è sottoposto alla vigilanza degli organismi di controllo statali;
   per adempiere ai propri obblighi, l'ente raccoglie i contributi previdenziali degli iscritti e, ovviamente, i suoi investimenti sono sottoposti alla vigilanza e al controllo delle istituzioni pubbliche;
   la Corte dei conti, nella propria relazione annuale, ha evidenziato l'aumento delle entrate contributive che sono passate dai 76,2 milioni del 2013 agli 89,1 milioni del 2014, per attestarsi ai 91,5 milioni di euro nel 2015;
   essendo l'ENPAPI un ente di fresca formazione, le spese in uscita per le prestazioni sono state di gran lunga inferiori (2.241 a fronte di un numero di iscritti di 39.928);
   nell'esame dei risultati contabili per il 2015, la Corte dei conti ha evidenziato che l'utile netto di esercizio è stato pari a 4.668 migliaia di euro (-62,6 per cento) e che il patrimonio netto si è attestato su un valore di 47.996 migliaia di euro (+10,8 per cento);
   «la significativa flessione che si registra nel risultato di esercizio dell'anno 2015 è da attribuire, in buona sostanza, al maggior incremento registrato dai costi (+21,8 per cento) rispetto ai ricavi (+14,4 per cento). Il patrimonio netto, composto dal fondo per la gestione (alimentato essenzialmente dai contributi integrativi e destinato a coprire le spese di gestione e le capitalizzazioni dei montanti integrativi), dal fondo di riserva e dall'avanzo di esercizio, nel 2015 si attesta a circa 48 milioni di euro, in aumento del 10,8 per cento rispetto all'anno precedente»;
   nelle spese di gestione certamente influisce negativamente, a parere degli interpellanti, anche l'elevato compenso del presidente del Consiglio di amministrazione che percepisce, oltre l'indennità di 110 mila euro l'anno, anche un «gettone di presenza» di 440 euro per i cosiddetti incontri istituzionali, nonché vitto e alloggio gratuiti;
   in ogni caso, i dati esaminati dalla Corte dei conti, al di là di alcuni risultati negativi, sono la dimostrazione che l'Enpapi gode di una forte crescita degli iscritti, con una gestione di centinaia di milioni di euro, e in tale contesto appare necessario che vi siano delle regole di definizione della rappresentanza che siano le più trasparenti e chiare possibili;
   in tal senso, appare evidente che sia necessario garantire, per quanto possibile, una concreta rotazione degli amministratori dell'Ente, ma, da quanto risulta agli interpellanti, questa amministrazione perdura, nella sua attuale nomenclatura, dal lontano 2003, grazie a modifiche statutarie che hanno consentito l'aumento del numero di mandati esercitabili, permettendo di fatto il prolungamento dell'attuale rappresentanza;
   sembra francamente incredibile che, l'attuale presidente, abbia potuto rimanere in carica per 13 anni, attraverso modifiche statutarie che agli interpellanti appaiono stabilite ad hoc, senza che i Ministri, addetti alla vigilanza per legge, siano mai intervenuti prendendo una posizione chiara sul limite dei mandati possibili;
   il sistema elettorale attuale ha determinato la scomparsa di qualsiasi minoranza interna, in quanto consente alla lista maggiormente votata di acquisire la totalità dei seggi disponibili;
   tutto ciò ha portato alla scomparsa di qualsiasi opposizione organizzata, tanto è vero che alle ultime elezioni si è presentata un'unica lista risultata ovviamente, ente vincente;
   in tal senso, sorprende il mancato intervento degli organi di controllo istituzionali stante una situazione di palese mancanza di vera democrazia;
   a questo si aggiunge un altro assetto particolare e cioè che alcuni componenti degli organi statutari risulterebbero agli interpellanti essere persone in quiescenza, beneficiarie di prestazioni pensionistiche derivanti da lavoro dipendente, pubblico e privato, e quindi in netto contrasto con lo spirito che ha caratterizzato le scelte operate in questo campo che tendevano ad impedire il protrarsi di incarichi amministrativi oltre un ragionevole lasso di tempo –:
   se le tematiche sopra esposte siano già state oggetto di esame da parte dei Ministri interpellati e, nel caso, come si intenda agire;
   se non si ritenga che tale situazione sia in oggettivo contrasto con quanto stabilito dalla norma di cui all'articolo 5, comma 9, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, e più volte modificato successivamente, che, pur con alcuni dubbi di applicabilità alle tipologia di Casse previdenziali di cui in premessa, esprime senza dubbio un'indicazione a favorire il ricambio manageriale e politico, inibendo a persone, già dipendenti pubblici e privati, collocati in quiescenza, di essere beneficiarie di incarichi conferiti dalle amministrazioni operanti in regime pubblicitario;
   se e come si intenda intervenire al fine di ristabilire criteri di maggiore democrazia all'interno della rappresentanza dell'Enpapi a partire dalla possibilità di rappresentanza anche delle minoranze;
   se e quali valutazioni siano state compiute rispetto alle modifiche delle norme statutarie che hanno, di fatto, favorito gli organi direttivi attuali e se non si ritenga di dover intervenire al fine di ripristinare una maggiore trasparenza e democrazia;
   se non si ritenga necessario definire, attraverso le necessarie iniziative di competenza, un criterio che stabilisca, in maniera chiara, il numero dei mandati possibili per chi presiede gli enti pubblici sottoposti alla vigilanza degli organismi di controllo statale, e che stabilisca anche la decadenza di coloro che sono in quiescenza.
(2-01585) «Di Gioia, Pisicchio».

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   MINARDO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il maltempo che si è verificato nella regione Sicilia ha determinato un grande e grave ridimensionamento delle consegne degli ortaggi. Molte aziende agricole sono in grave difficoltà a causa della grande «ondata» di gelo e di neve che si è abbattuta sull'isola;
   infatti, le attività di produzione degli ortaggi invernali che costituiscono elementi fondamentali per lo sviluppo dell'economia siciliana sono in particolare difficoltà;
   altro elemento da non trascurare ma da verificare è l'aumento dei prezzi dei prodotti agricoli che raggiungono ogni giorno le tavole dei consumatori. Infatti, le condizioni meteorologiche avverse hanno comportato un aumento dei prezzi degli stessi prodotti. Tale situazione viene giustificata proprio in ragione del maltempo che ha colpito la regione Sicilia;
   occorre quindi monitorare il fenomeno per evitare che prodotti provenienti da Paesi esteri vengano venduti come prodotti italiani ed eliminare pertanto eventuali speculazioni che ricadono sui cittadini consumatori. Tra l'altro, alcuni prodotti sono già stati raccolti e, pertanto, non dovrebbero essere giustificati possibili rincari –:
   se non ritenga, per quanto di competenza, di monitorare il fenomeno descritto in premessa per evitare eventuali aumenti di prezzo dei prodotti ortofrutticoli che determinano eccessivi rincari con gravi ripercussioni negative per i consumatori, intervento che diventa indispensabile sia per i fatti accaduti e descritti in premessa sia per evitare il ripetersi di questi fenomeni per il futuro;
   se non sia opportuno intervenire per tutelare e salvaguardare le numerose imprese che si occupano della produzione dei prodotti ortofrutticoli e che, a causa del maltempo, hanno perduto molti dei loro profitti. (4-15194)


   MARIANO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la zona di produzione della IGP il cosiddetto «Carciofo Brindisino» comprende l'intero territorio amministrativo dei seguenti comuni: Brindisi, Cellino San Marco, Mesagne, San Donaci, San Pietro Vernotico, Torchiarolo, San Vito dei Normanni e Carovigno;
   la Puglia si attesta come la maggiore produttrice italiana di carciofi. Si parla, infatti, di circa 160.000 tonnellate che rappresentano il 94 per cento della produzione del Mezzogiorno ed il 33 per cento di quella nazionale;
   come sottolineano molti dati portati alla luce anche dai media locali la produzione lorda vendibile per ettaro presenta un ragguardevole valore economico. Va detto che però si riscontra nel settore in questione una notevole incidenza delle spese per la manodopera, si parla del 42 per cento delle spese totali ed il reddito risulta eccessivamente condizionato dalle fluttuazioni di mercato;
   il territorio pugliese, e quello del brindisino in particolare hanno già subìto pesanti gelate con neve nel mese di dicembre. Come dichiarato dai rappresentanti della Coldiretti Puglia, questa situazione climatica d'eccezione nel recente passato ha compromesso la coltura. A questa situazione non certo semplice, si aggiungono le incessanti piogge, accompagnate da grandine e forte vento degli ultimi giorni, che non giovano assolutamente ai pregiati carciofi brindisini che, peraltro, hanno ottenuto anche il riconoscimento comunitario IGP;
   come già denunciato da Coldiretti il persistere di una situazione climatica sfavorevole ritarda la stessa verifica e la conta dei danni in campagna. Le campagne sono letteralmente invase dalle acque e sono le carciofaie in provincia di Brindisi ad avere la peggio;
   inoltre, le previsioni meteo sembrerebbero non rassicurare affatto. Le province pugliesi, in particolare Brindisi e Bari pare continueranno ad essere colpite da piogge insistenti e da forti raffiche di vento. In queste condizioni il settore agricolo e, il consistente comparto lavorativo ad esso correlato, rischia di pagare un prezzo altissimo –:
   quali misure il Ministro interrogato intenda adottare per tutelare e scongiurare non solo la penalizzazione di un prodotto, oggi eccellenza della Puglia e d'Italia, ma anche un intero indotto lavorativo connesso alla produzione e valorizzazione del carciofo brindisino. (4-15202)


   BOSCO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto emerge da un'analisi Coldiretti diffusa a inizio settembre 2015, relativa ai dati del commercio estero, nei primi cinque mesi del 2015, si è registrato un vero e proprio boom per l’import di pomodoro fresco (+78 per cento) e concentrato (+72 per cento);
   a conferma di ciò il 27 settembre 2015, è andato in onda il servizio delle Iene a cura di Nadia Toffa «Quando il pomodoro cinese diventa Made in Italy». Nel servizio (che non è più visibile sui siti Mediaset) si è parlato della produzione di passata di pomodoro, una delle eccellenze dell'industria agroalimentare italiana. Secondo il servizio la gran parte della materia prima utilizzata per il confezionamento di salse e conserve di pomodoro in realtà non viene prodotta in Italia, ma proviene dall'estero. Per la precisione dalla Cina. La salsa di pomodoro che si trova sugli scaffali dei supermercati italiani, anche se riporta la dicitura made in Italy, non è quello che sembra perché in Italia avverrebbe solo il confezionamento del prodotto;
   uno dei motivi per cui le aziende italiane andrebbero a comprare in Cina è ovviamente il prezzo che è molto inferiore. Le ditte italiane per risparmiare preferirebbero acquistare un concentrato di pomodoro di qualità più bassa strappando un prezzo di molto inferiore a quello del mercato internazionale (500 dollari a tonnellata contro 750) che equivale a meno della metà del costo di una tonnellata di concentrato di pomodoro prodotto veramente in Italia;
   la Toffa è andata sotto copertura in Cina, a vedere come sia stato possibile ottenere prezzi così bassi. Fingendo di essere una dipendente di un'azienda che si occupa di import-export di prodotti alimentari, ha preso contatti con un delle ditte produttrici di quel concentrato di pomodoro cinese. Secondo un venditore cinese le aziende italiane comprano anche grandissime quantità di merce scaduta;
   questa possibilità di raggirare il consumatore è dovuta alla formulazione della legge 3 febbraio 2011, n. 4 «Disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari», entrata in vigore il 6 marzo 2011, che relativamente ai prodotti trasformati stabilisce che l'indicazione in etichetta riguarda «il luogo in cui è avvenuta l'ultima trasformazione». Quindi basta che il confezionamento avvenga in Italia e il prodotto diventa «made in Italy». Ovviamente la produzione di tali alimenti rispetta le normative del Paese dove sono prodotti: dall'uso di pesticidi (in Italia sono vietati alcuni pesticidi utilizzati all'estero), alle quantità di metalli pesanti ed inquinanti, senza considerare le condizioni dei lavoratori;
   secondo dati diffusi il 5 ottobre 2015 dalla Coldiretti la pirateria cibo made in Italy vale 60 miliardi con quasi 2 prodotti di tipo italiano su 3 in vendita sul mercato internazionale che in realtà non hanno nulla a che fare con la realtà produttiva nazionale. A questa realtà se ne aggiunge una ancora più insidiosa: quale è quella dell’italian sounding di matrice italiana, che importa materia prima (latte, carni, olio) dai Paesi più svariati la trasforma e ne ricava prodotti che successivamente vende come italiani senza lasciare traccia dell'origine del prodotto, un meccanismo che danneggia il vero Made in Italy;
   si tratta di un vuoto normativo che è necessario colmare come chiedono il 96,5 per cento dei consumatori italiani, secondo una indagine Condotta da Coldiretti ad Expò 2015; peraltro è necessario chiarire che l'articolo 4, comma 2, della citata legge n. 4 del 2012 prevede, relativamente alle indicazioni in etichetta che «Per i prodotti alimentari trasformati, l'indicazione riguarda il luogo in cui è avvenuta l'ultima trasformazione sostanziale e il luogo di coltivazione e allevamento della materia prima agricola prevalente utilizzata nella preparazione o nella produzione dei prodotti»;
   tuttavia, come anche confermato nel servizio delle Iene da un produttore cinese di pomodoro, «...i produttori italiani di passata di pomodoro hanno “i loro sistemi” per risolvere le questioni con le autorità del nostro Paese...» –:
   se intenda valutare i danni al made in Italy agroalimentare e all'immagine del Paese che potrebbero prodursi ove quanto riportato in premessa fosse confermato e diffuso a livello internazionale;
   quali iniziative intenda assumere per modificare la legge n. 4 del 2011, al fine di rafforzare la tracciabilità della materie prime dei prodotti trasformati in Italia, e impedire un fenomeno che correttamente è stato definito «Italian sounding, di matrice italiana», che si risolve in danno dei produttori nazionali onesti. (4-15203)


   RICCIATTI, FRANCO BORDO, FERRARA, PALAZZOTTO, QUARANTA, PIRAS, SANNICANDRO, ZACCAGNINI, GIANCARLO GIORDANO, MELILLA, DURANTI e PELLEGRINO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 28 maggio 2015 la Rappresentanza permanente d'Italia presso l'Unione europea ha ricevuto una lettera di costituzione in mora, nella quale, a seguito di una denuncia pervenuta alla Commissione europea, si richiama «l'attenzione dell'Italia» sul divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito per la fabbricazione di prodotti lattiero caseari, previsto dall'articolo 1 della legge 11 aprile 1974 n. 138, chiedendone la modifica in quanto restrittiva rispetto alle norme sulla libera circolazione delle merci nel mercato comune (11 Corriere della Sera, 29 Giugno 2015); sebbene la richiesta della Commissione europea non riguardi direttamente i prodotti Dop e Igt, secondo Coldiretti la caduta del divieto ex articolo 1 legge 138 del 1974, comporterebbe conseguenze pesanti per il settore, dal momento che «con 1 chilo di polvere di latte che costa 2 euro, è possibile produrre 10 litri di latte, 15 mozzarelle o 64 vasetti di yogurt e tutto con lo stesso sapore», ma abbattendo significativamente i costi di produzione e mettendo perciò a rischio circa 487 produzioni casearie tipiche (Ansa, 8 giugno 2015);
   il problema attiene quindi al rischio che il «mercato», una volta decaduto il divieto della legge 138 del 1974 (come chiede la Commissione europea), possa penalizzare prodotti caseari comuni, che in Italia godono comunque di livelli qualitativi alti, in favore di prodotti realizzati con latte in polvere, qualitativamente inferiore, ma più competitivo in termini di prezzo. Un adeguamento al ribasso che oltre a colpire i consumatori, danneggerebbe fortemente anche le produzioni lattiero casearie locali;
   il Ministro in indirizzo ha già dichiarato, in una nota stampa dello scorso 28 giugno, il suo impegno a tutela della «qualità del sistema lattiero caseario italiano e la trasparenza delle informazioni da dare ai consumatori», e la volontà di ribadire alla Commissione europea «la necessità di un intervento più approfondito sull'etichettatura del latte, che sappia rispondere meglio alle esigenze dei nostri produttori soprattutto dopo la fine del regime delle quote»;
   ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea la lettera di messa in mora – di cui ha dato conto la stampa – rappresenta semplicemente l'avvio di una procedura di infrazione (cosiddetta fase «pre-contenzioso»); pertanto l'Italia ha ancora diversi strumenti sul piano tecnico-giuridico per contestare la posizione della Commissione europea circa il rilievo mosso al nostro Paese;
   in risposta all'atto di sindacato ispettivo n. 5-05944 in Commissione XIII (Agricoltura), il Viceministro alle politiche agricole, alimentari e forestali Andrea Oliviero, oltre a confermare per conto del Governo la difesa dei principi alla base dell'impianto normativo italiano sulla materia, sottolineando come non vi sia, a parere del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, «alcuna restrizione di mercato cosiddetto “equivalente” all'importazione di latte in polvere, come invece lamentato dalla Commissione europea, atteso che non vi è alcuna norma nell'ordinamento che vieta l'importazione o la circolazione del latte in polvere», ha fatto presente che «il Governo ha chiesto una proroga del termine fissato al 28 luglio prossimo per rispondere alla richiesta di osservazioni avanzata dalla Commissione europea», per svolgere ulteriori approfondimenti e per consentire lo svolgimento «di un dibattito parlamentare aperto e trasparente sulla questione»;
   ancora nella risposta del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali all'atto di sindacato ispettivo citato, il delegato del Governo ha riferito come la procedura di infrazione sia nata, secondo quanto dichiarato dal Commissario Hogan, dalla «segnalazione ricevuta da un produttore italiano» –:
   se i Ministri non intendano fornire elementi in merito alle osservazioni che l'Italia presenterà alla Commissione europea ai sensi dell'articolo 258 TFUE;
   se siano in grado di riferire la ragione o denominazione sociale del produttore italiano che avrebbe effettuato la segnalazione che ha dato avvio alla procedura di infrazione a carico dell'Italia. (4-15204)


   RICCARDO GALLO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'ondata di maltempo che ha colpito in queste settimane il Paese e in particolare numerose regioni del Mezzogiorno, fra le quali la Sicilia, ha determinato gravissimi danni al settore agricolo e all'indotto in particolare quello commerciale e agroindustriale;
   al riguardo, l'interrogante segnala come le abbondanti nevicate e il gelo in diverse parti della regione Siciliana, hanno provocato, per l'agricoltura locale, effetti disastrosi per le attività rurali ed in particolare per le produzioni orticole, accanto ai quali si aggiunge anche la speculazione sul costo del foraggio, soprattutto nelle aree interne, considerando che una balla di fieno (che costava 2 euro fino a poche settimane fa, prima del maltempo), attualmente, arriva anche a costare 6 euro, un prezzo che aumenta ancora di più a causa del trasporto;
   l'interrogante evidenzia, altresì, che numerose associazioni agricole siciliane denunciano come le temperature estremamente rigide hanno provocato il dimezzamento negli scaffali della grande distribuzione degli ortaggi, a causa dei danni subiti alle colture e prossimi alla raccolta: dai carciofi alle rape, dai cavolfiori alle cicorie, dai finocchi alle scarole;
   le bassissime temperature, per l'interrogante, hanno distrutto anche numerose coltivazioni in serra in alcune parti del territorio siciliano e hanno provocato danni agli allevamenti, al pascolo, che registrano disagi per la mancanza di foraggio;
   si rileva inoltre che le aziende agricole hanno subito altresì un forte aumento dei costi di riscaldamento;
   ulteriori profili di criticità si segnalano nella regione Sicilia, anche per il settore degli agrumi, per le coltivazioni di cereali e per gli oliveti a causa degli allagamenti; le produzioni in tale ambito, secondo quanto rilevano le associazioni agricole siciliane, sono pertanto totalmente compromesse;
   la necessità di rapide misure in favore dell'agricoltura siciliana, ad avviso dell'interrogante, risulta pertanto urgente ed indispensabile, in considerazione dell'importanza socio-economica che il comparto riveste per la regione, oltre che per le conseguenze sul piano occupazionale; rischiano, infatti, di accentuarsi i livelli di disoccupazione già elevatissimi, determinando l'aumento della tensione sociale presente nel territorio –:
   quali orientamenti il Ministro interrogato intenda esprimere con riferimento alle criticità in precedenza richiamate, con particolare riguardo ai gravissimi danni causati dal maltempo per le attività agricole presenti nella regione Sicilia;
   quali iniziative urgenti e necessarie intenda assumere, per quanto di competenza, anche attraverso la dichiarazione dello stato di calamità in favore delle zone rurali siciliane colpite dall'ondata di freddo e gelo, al fine di sostenere il settore agricolo che rappresenta un comparto fondamentale ed indispensabile dell'intera economia della Sicilia. (4-15209)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DI VITA, SILVIA GIORDANO, MANTERO, COLONNESE, LOREFICE, GRILLO, NESCI, NUTI, MANNINO, LUPO e DI BENEDETTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 9 novembre 2016, c’è stato un Blitz della Guardia di finanza all'ospedale Civico di Palermo, dato che il pubblico ministero Francesco Del Bene ipotizza reati di truffa, peculato e falso nella gestione dei ricoveri e delle liste d'attesa per gli interventi chirurgici; l'inchiesta partita da un esposto si concentra sui ricoveri urgenti non transitati dal pronto soccorso effettuati dal gennaio 2013 al giugno 2016;
   dopo il blitz della Guardia di finanza, il manager Giovanni Migliore ha affidato alla ditta Gpi l'introduzione di un nuovo software volto a rendere più trasparente – a suo dire – la gestione delle liste di attesa: dal 14 novembre tutti gli operatori dei reparti hanno a disposizione una password con cui accedere al sistema informatico per inserire in lista di attesa e per ricoverare i pazienti, in ordine di arrivo e di gravità, mentre fino ad oggi i ricoveri venivano gestiti dall'accettazione medica centralizzata, dall'inserimento nelle liste di attesa (su richiesta dei reparti) fino alla chiamata;
   detto software digitale è subito andato in tilt, gettando nel caos l'ospedale Civico, dove in tre giorni sono stati appena cento i ricoveri autorizzati, un quarto in meno di quelli eseguiti in media: numerosi pazienti affetti da tumore sono stati rispediti a casa senza esami;
   pare infatti che il sistema sia farraginoso e, inoltre, non sia stato rodato, tanto da costringere i «camici bianchi» a fare la spola tra i reparti e gli uffici amministrativi, non essendo stati messi in condizione di seguire alcun corso di formazione al riguardo;
   posto che la decentralizzazione delle liste di attesa va contro le raccomandazioni ministeriali, nessuno strumento di controllo è stato in atto implementato e nessuno ad oggi è nelle condizioni di verificare se e quanti pazienti abbiano oggi superato le liste di attesa;
   a conferma della situazione caotica, è notizia del 16 dicembre 2016 che al pronto soccorso dell'ospedale Civico — sebbene la circostanza risulti estesa a quasi tutti i pronto soccorso di Palermo — i malati sarebbero in certi casi addirittura sistemati alla buona nelle stanze dedicate a medici e infermieri o lungo i corridoi, in attesa di un posto letto in corsia, trascorrendo anche una settimana in barella per avere un posto letto in reparto;
   il nodo più importante da sciogliere, dunque, resterebbe quello della riduzione delle lunghe attese prericovero, mentre l'area di emergenza scoppia, i reparti continuano a chiamare i malati in lista d'attesa per i ricoveri non urgenti, segno di una politica aziendale orientata principalmente alla attività di elezione e non troppo attenta alle problematiche relative ai pazienti in attesa di ricovero in pronto soccorso. Tale situazione ha spinto i «camici bianchi» a chiedere alla direzione sanitaria misure urgenti e straordinarie quali il blocco dei ricoveri programmati e l'utilizzo di tutti i posti letto dell'ospedale compresi quelli chirurgici sottoutilizzati;
   conseguentemente, l'assessorato siciliano alla salute ha assegnato un nuovo obiettivo ai direttori generali chiedendo di ridurre i tempi di permanenza al pronto soccorso, pena la perdita della possibilità di riconferma a fine mandato;
   per le suddette ragioni, il sindacato dei medici Cimo, denunciando l'incapacità di governare il sistema e chiamando in causa le responsabilità dei direttori generali e dell'assessorato, ha invece chiesto l'invio degli ispettori del Ministero in Sicilia;
   Migliore respinge le accuse d'inefficienza e disorganizzazione al mittente, ma rimane il fatto che per tanti malati gravi perdere tempo prezioso potrebbe rivelarsi fatale –:
   se il Ministro interrogato non reputi assolutamente improcrastinabile assumere ogni iniziativa di competenza volta a verificare la situazione di stallo in cui versa l'ospedale civico di Palermo da giorni, mettendo essa a repentaglio l'incolumità di numerosi pazienti, e a garantire il rispetto dei livelli essenziali di assistenza.
(5-10279)


   DI VITA, MANTERO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, COLONNESE, GRILLO, NESCI, NUTI, MANNINO, LUPO e DI BENEDETTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 536 del 1996 regolamenta l'uso dei medicinali per una indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata; la legge n. 244 del 2007, invece, autorizza l'uso diverso solo in caso di sperimentazioni cliniche;
   si è appreso da fonti di stampa che, presso il reparto di neurochirurgia dell'ospedale civico di Palermo, sarebbe invalso l'impiego della «Fluoresceina sodica» non solo per gliomi cerebrali, ma anche per una molteplicità di casi di neoplasia al di fuori delle modalità e sperimentazioni autorizzate e per di più non avendo la certezza scientifica sulla validità dell'impiego del farmaco;
   sul reparto è in atto un'inchiesta dei carabinieri del Nas che hanno sequestrato oltre duecento cartelle cliniche in relazione al presunto uso illecito del prodotto sopra citato, impiegato dal Dottor Francaviglia per «illuminare» i tumori al cervello durante le operazioni. Un uso – denunciato altresì dal gruppo M5S all'Assemblea regionale siciliana con apposito ricorso alla procura – su pazienti ignari di essere sottoposti ad un uso off-label e sperimentale di un farmaco che non avrebbe ancora superato la fase II della sperimentazione e che prevede un consenso informato e monitoraggio pre e postoperatorio con segnalazione di effetti avversi;
   in Italia, con regolare autorizzazione ministeriale (n. registrazione: 2011-00252748 – EudraCT), è stato condotto un unico studio di 20 casi di glioma maligno cerebrale, i cui risultati preliminari sono stati pubblicati soltanto nel febbraio 2014 e concludono che necessitano ulteriori conferme prima del passaggio alla fase III della sperimentazione;
   in Italia in data 24 luglio 2015 (AIFA) la fluoresceina è diventata dispensabile dal servizio sanitario nazionale per la diagnostica dei gliomi maligni fermo restando l'obbligo dei protocolli sperimentali che lo vedono ancora in fase II;
   in Italia, dunque, fino a quella data, non è stato ammesso l'uso della fluoresceina per questa tecnica diagnostica; pertanto l'utilizzo per l'asportazione dei gliomi maligni è stato off-label, ma continua ad essere sperimentale in fase II;
   in base alle informazioni in possesso, degli interroganti, dunque, nell'unità operativa di neurochirurgia dell'ospedale civico di Palermo, la tecnica dell'uso della fluoresceina per l'asportazione dei tumori cerebrali sarebbe avvenuta:
    off-label fino al 15 luglio 2015;
    su larga scala, su oltre 200 pazienti;
    senza una specifica autorizzazione alla sperimentazione;
    senza un consenso informato da parte di molti pazienti;
    eludendo l'impiego del Gliolan, marcatore di cellule di glioma maligno ampiamente sperimentato e confermato nella sua validità, disponibile in farmacia e, per il quale soltanto, il Dott. Francaviglia è dotato di apposito patentino –:
   se non ritenga che la suddetta pratica di somministrazione, nelle modalità poste in essere dalla struttura ospedaliera in questione, possa mettere in serio pericolo la salute dei pazienti siciliani che si affidano ciecamente alle cure mediche per un farmaco sperimentale e quali iniziative di competenza, anche alla luce dell'indagine dei carabinieri del Nas in corso, intenda assumere in merito. (5-10280)


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   durante la trasmissione « Presa Diretta» in onda su Rai tre, è stata trattata una inchiesta sull'inquinamento luminoso, in particolare sul danno alla salute che causerebbero i LED (Light Emitting Diode), o diodo a emissione di luce, dispositivo optoelettronico che sfrutta la capacità di alcuni materiali;
   il servizio era supportato da numerosi studi scientifici, supportati in Italia anche da Ispra, agenzia di diretta emanazione statale;
   infatti, diverse ricerche spiegano il perché di molti disturbi a seguito di un'esposizione prolungata a queste luci;
   una ricerca sulla vista effettuata dalla Complutense University di Madrid, segnala che l'esposizione alle luci LED può causare danni irreparabili alla retina dell'occhio;
   tale allarme è stato lanciato anche dall'Agenzia francese per gli alimenti, l'ambiente e la sicurezza, – diffusa anche in Italia dall'Aduc, che ha dichiarato: «le lampade a led compromettono la vista degli adulti ma soprattutto quella dei bambini. Il sistema d'illuminazione che fa uso dei diodi luminosi, LED appunto, potrebbe danneggiare in modo irreversibile la retina dell'infante e, comunque, sembra essere nociva anche per la salute degli adulti»;
   vi è dunque una contraddizione del mercato dei Led – da anni è in atto una sensibilizzazione per la sostituzione dell'illuminazione tradizionale, poiché i Led dovrebbero avere un impatto minore sull'ambiente e far risparmiare in termini di costi di energia – in quanto l'inchiesta ha fatto emergere il contrario;
   la maggior parte delle amministrazioni pubbliche, anche per questioni legate al bilancio, ha affrontato costi per la sostituzione dell'illuminazione pubblica –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e se ciò corrisponda al vero;
   in caso positivo, se non ritengano di dover assumere iniziative per fornire una maggiore informazione sui rischi alla salute legati all'illuminazione a LED;
   per quali ragioni non sia stata data comunicazione alle pubbliche amministrazioni, pregiudicando così ogni possibile alternativa, che tale tipo di tecnologia, se usata non correttamente, potrebbe compromettere l'ambiente, peggiorando la situazione esistente, per ulteriori venti anni, sconsigliando dunque l'utilizzo di luci a led soprattutto negli ambienti lavorativi e in quelli pubblici dove si trascorrono numerose ore. (5-10283)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LAFFRANCO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del presidente della giunta regionale n. 127 del 2 dicembre 2011 è stato approvato il «Regolamento per la ricollocazione e per la mobilità del personale appartenente all'area dirigenziale medica e veterinaria a seguito dei processi di riconversione dei presidi ospedalieri delle ASP e delle AO»;
   si apprende, attraverso l'albo pretorio, dell'adozione della delibera n. 46 del 23 febbraio 2016, per mezzo della quale si costituisce un ufficio di staff sanitario per la gestione straordinaria dell'ASP;
   tra i componenti di questo ufficio risulta, in qualità di referente per la rete dei servizi ospedalieri, il dottor Vincenzo Schirripa come direttore sanitario dell'ospedale di Locri;
   secondo quanto espresso dal punto 4 del regolamento citato: «la ricollocazione interna dei dirigenti, anche direttori di struttura complessa, deve avvenire prioritariamente nella disciplina di appartenenza o in subordine, in disciplina equipollente ai sensi del decreto ministeriale n. 30 gennaio 1998 e, secondariamente, in discipline affini, ai sensi del decreto ministeriale n. 31 gennaio 1998, per le quali l'interessato possieda i requisiti di accesso di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 483 del 1997 e decreto del Presidente della Repubblica n. 484 del 1997, ovvero in assenza dei requisiti già detti la ricollocazione interna può essere disposta anche in disciplina diversa da quella di appartenenza in carenza di specializzazione purché il dirigente sia in possesso di comprovata esperienza formalmente documentata»;
   con la delibera n. 636 del 7 agosto 2014, il dottor Vincenzo Schirripa è stato ricollocato nel posto di direttore sanitario dell'ospedale di Locri;
   dai documenti in possesso dell'interrogante non risulta che il dottor Schirripa sia in possesso dei requisiti necessari alla posizione che ricopre, tantomeno della specializzazione nella disciplina di appartenenza (o equipollente o affine) per accedere alla posto di direttore sanitario;
   lo stesso curriculum del dottor Schirripa (pubblicato sul sito dell'azienda in data 4 dicembre 2013) non sembrerebbe certificare alcuna «comprovata esperienza formalmente documentata» per svolgere il ruolo assegnatogli;
   la F.S.I. – Federazione sindacati indipendenti ha denunciato a suo tempo (prima con nota del 29 maggio 2015, poi con nota del 20 agosto 2015, con denuncia-esposto del 15 ottobre 2015, e ancora con ulteriore nota del 1o marzo 2016 ai commissari straordinari di Reggio Calabria, l'illegittimità di tale ricollocamento con richiesta di revoca della delibera n. 636 del 7 agosto 2014 –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto e quali iniziative intenda adottare, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, per verificare le criticità enunciate in premessa;
   se si intenda verificare se abbiano ricevuto un seguito le predette e circostanziate segnalazioni della F.S.I. – Federazione sindacati indipendenti pervenute in varie formule e a tutte le organizzazioni e/o soggetti responsabili del settore prima di questa interrogazione;
   se si intendano assumere, per quanto di competenza, iniziative affinché sia ripristinata immediatamente una situazione di piena conformità alla normativa vigente.
  (4-15191)


   PARENTELA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni anni nel territorio del comune di Ricadi e in gran parte dei comuni della fascia costiera della provincia di Vibo Valentia si registrano gravi criticità in ordine alla qualità delle acque erogate da alcuni acquedotti comunali. In particolare, l'acqua si presentava torbida, a volte completamente di colore marrone e alcuni dei valori presi in esame risultavano fortemente alterati, tanto da indurre alcuni comuni, ad adottare ordinanze di divieto di utilizzo per il consumo umano;
   è stato segnalato da un gruppo di cittadini facenti parte del «Comitato Civico Santa Domenica» che, da tempo, ha avviato una serie di proteste e attività finalizzate alla tutela della salute e dei diritti della cittadinanza, come l'acqua pubblica erogata dall'acquedotto comunale risulti «sporca e spesso accompagnata da un odore acre, condizioni queste che la rendono inutilizzabile»;
   a seguito delle lamentele dei cittadini, la Sorical, ente fornitore delle acque, ha provveduto all'installazione di filtri che, di fatto, hanno, temporaneamente e in parte, ristabilito una colorazione più idonea all'acqua. Il comitato, tuttavia, segnala che in prossimità delle date di prelievo e analisi delle acque le stesse risultavano caratterizzate da un odore acre dovuto all'uso eccessivo di biossido di cloro usato per mantenere entro i limiti la qualità batteriologica fino alle nostre abitazioni. Il biossido di cloro è, però, un ossidante ed in quanto tale «ossida» il ferro ed il manganese presenti nell'acqua formando idrossido di ferro e biossido di manganese che, essendo poco solubili, precipitano creando fanghiglie colorate dal giallo-ruggine al nero. L'unica soluzione alla problematica relativa alla presenza di ferro e manganese nell'acqua, e quindi alla loro rimozione, è quella dell'ossidazione, filtrazione a sabbia con la realizzazione di un impianto specifico;
   il comune di Ricadi appena ottenute le prime analisi «negative» ha deciso di revocare l'ordinanza di divieto all'utilizzo dell'acqua per fini potabili. Una revoca «parziale», in quanto è rimasta in vigore l'ordinanza di divieto di utilizzo dell'acqua dall'unica fontana pubblica esistente a Santa Domenica nella centralissima piazza Roma. La stessa fontana, precedentemente sigillata per motivi precauzionali, continua a rimanere chiusa e i prelievi dell'acqua per le analisi di routine, che abitualmente venivano effettuati da questa fontana, anche in considerazione del fatto che la stessa è collegata alla rete idrica e attigua alle abitazioni, oggi vengono effettuati all'uscita del serbatoio comunale mascherando eventuali problemi sulle condutture;
   il comune di Tropea che pure, giorni addietro, aveva revocato l'ordinanza di consumo dell'acqua potabile, con grande senso di responsabilità, è tornato sui propri passi e ha reintrodotto il divieto sull'intero territorio comunale. Il comune di Joppolo, nonostante le rassicurazioni di SoRiCal, ha deciso di mantenere in vigore l'ordinanza emanata a giugno –:
   se non si ritenga di dover attivare con urgenza, per quanto di competenza, tutte le procedure necessarie a tutela della salute pubblica e a garanzia della salubrità delle acque;
   se non si intenda promuovere, in collaborazione con gli enti locali, una campagna straordinaria di analisi delle acque e di monitoraggio della rete idrica che includa tutti i parametri previsti dalla normativa vigente e in particolare dal decreto legislativo n. 31 del 2001;
   se non si ritenga di assumere iniziative, per quanto di competenza, per monitorare la qualità e salubrità delle acque su tutto il territorio nazionale, partendo dalle situazioni più critiche come quella di cui in premessa. (4-15214)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BECATTINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del 15 maggio 2015 il Ministero dello sviluppo economico è intervenuto al fine di sostenere l'internazionalizzazione delle piccole e medie imprese italiane tramite l'istituzione dei cosiddetti « voucher per l'internazionalizzazione»;
   l'intervento prevede l'erogazione di contributi a fondo perduto in forma di voucher per l'inserimento in azienda di un « Temporary Export Manager», ossia un professionista a tempo avente il compito di garantire il supporto alle imprese nell'attività di ingresso e crescita sui mercati internazionali;
   all'articolo 2 del citato decreto ministeriale, riguardante le risorse finanziarie e le agevolazioni concedibili, si prevede una dotazione di 19 milioni di euro per la misura in questione, con distribuzione in due tranche successive (la prima da 10 milioni, la seconda da 9 milioni) da disciplinarsi con decreto direttoriale del direttore della direzione generale per le politiche di internazionalizzazione e la promozione degli scambi;
   con il primo decreto direttoriale del 23 giugno 2015 sono state definite le modalità operative ed i termini per la richiesta e concessione dei voucher relativi alla prima tranche, di cui, in seguito all'espletamento dell'iter previsto, hanno beneficiato circa 1700 imprese (dati elenco beneficiari aggiornato al 20 maggio 2016 e pubblicato sul sito del Ministero);
   la prima tranche di contributi ha registrato circa 6000 richieste a prova dell'interesse per questo tipo di strumento che risponde ad un'esigenza prioritaria per le piccole e medie imprese italiane vista la diminuzione progressiva della domanda interna e la crisi registrata negli ultimi anni che rende irrinunciabile l'apertura di nuovi mercati;
   è stata altresì apprezzata ed è risultata efficiente la modalità semplificata ed esclusivamente on line della presentazione della domanda e della rendicontazione del contributo: ciò ha messo in condizione le imprese beneficiarie di poter ricevere il finanziamento nello stesso anno in cui hanno attivato l'investimento, con positivo impatto sugli indicatori di competitività;
   il processo d'internazionalizzazione è un percorso complesso e richiede investimenti di medio lungo periodo e non può limitarsi ad un intervento di sei mesi, che è risultata essere la durata media dei voucher erogati –:
   se il Governo intenda emanare un secondo decreto direttoriale, come previsto dall'articolo 2 del decreto ministeriale 15 maggio 2015, finalizzato a definire le modalità operative ed i termini per la richiesta e la concessione dei voucher relativi alla II tranche in modo da assicurare continuità e supportare le piccole e medie imprese beneficiarie ed altre che ne facciano richiesta nell'operazione di consolidamento della presenza sui mercati esteri;
   se il Governo ritenga opportuno un monitoraggio dei dati derivanti dalla rendicontazione dei voucher erogati così da acquisire informazioni per valutare l'impatto di questo intervento e migliorarne ulteriormente l'efficienza e l'efficacia a supporto della competitività e dell'internazionalizzazione delle piccole e medie imprese. (5-10275)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SENALDI, GADDA, MARANTELLI, PAOLO ROSSI e BERGONZI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il servizio erogato dalla società Poste italiane è regolato da apposito contratto di programma stipulato con il Ministero dello sviluppo economico;
   il 15 dicembre 2015 il contratto per il quadriennio 2015-2019 è stato firmato dall'amministratore delegato della società, Francesco Cairo e dal Ministro dello sviluppo economico pro tempore, Federica Guidi;
   all'articolo 1, comma 2, del contratto si riporta che Stato e società perseguono obiettivi di coesione sociale ed economica e prevedono la fornitura di servizi utili al cittadino, alle imprese e alle pubbliche amministrazioni mediante l'utilizzo della rete postale della società;
   il contratto recepisce la legge 23 dicembre 2014 n. 190, la quale stabilisce che gli obiettivi percentuali medi di recapito dei servizi postali universali sono riferiti al recapito entro il quarto giorno lavorativo successivo a quello di inoltro nella rete pubblica postale, salvo quanto previsto per gli invii di posta prioritaria;
   il contratto richiama la necessità di «adeguare i livelli di servizio alle mutate esigenze degli utenti in funzione dei mutamenti intervenuti nel contesto tecnico, economico e sociale, anche al fine di tener conto della sostenibilità economica e finanziaria della fornitura dei servizi, compatibilmente con i bisogni dei consumatori e della collettività»;
   la Carta del servizio postale universale, redatta in conformità all'articolo 12 del decreto legislativo n. 261 del 1999 ed alle delibere dell'Autorità di regolamentazione del settore postale n. 184/13/CONS e n. 413/14/CONS, alla voce «Obiettivi di qualità/Tempi di consegna» indica, per l'Italia, la consegna entro 4 giorni lavorativi successivi a quello di accettazione nel 90 per cento dei casi, entro 6 giorni lavorativi successivi a quello di accettazione nel 98 per cento dei casi; per l'Europa la consegna nell'85 per cento dei casi in 8 giorni lavorativi – esclusi sabato e festivi – oltre il giorno di spedizione; per il bacino del Mediterraneo la consegna nell'85 per cento dei casi in 12 giorni lavorativi – esclusi sabato e festivi – oltre il giorno di spedizione; per il Nord America e l'Oceania, la consegna nell'85 per cento dei casi in 16 giorni lavorativi – esclusi sabato e festivi – oltre il giorno di spedizione e per il resto del mondo, la consegna nell'85 per cento dei casi in 22 giorni lavorativi – esclusi sabato e festivi – oltre a quello di spedizione;
   numerose segnalazioni da parte di utenti, sindaci e organi di stampa della provincia di Varese sulla consegna della corrispondenza ben oltre le tempistiche indicate si intensificano in corrispondenza delle ferie estive e delle festività natalizie, ma si verificano durante l'intero arco dell'anno;
   i ritardi lamentati dagli utenti di Poste italiane si susseguono da almeno 2 anni in diverse zone del territorio nazionale ed in particolare nella provincia di Varese, coinvolgendo sempre più comuni, senza che si vedano segni di un miglioramento del servizio;
   la consegna ritardata della posta causa, sovente, a cittadini e imprese, un danno economico per la mancata ricezione entro le scadenze previste di bollette, avvisi di pagamento, solleciti e simili, con conseguente scatto di interessi di mora –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione di disservizio rilevata sul territorio nazionale ed in particolare nella provincia di Varese e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere in merito;
   se il Ministro interrogato intenda verificare il rispetto del contratto di programma sottoscritto con la società Poste italiane e quali iniziative di competenza intenda assumere nel caso emergano inadempienze rispetto al contratto.
(4-15197)


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto denunciato da numerosi quotidiani e amministratori locali, nel corso dell'ultimo anno, si sarebbero registrati ritardi consistenti, in alcuni casi anche di un mese, nella consegna della corrispondenza da parte di Poste Italiane spa nella provincia di Forlì Cesena e, in particolare, nella Vallata del Bidente e in quella del Savio;
   il disservizio postale sopracitato, oltre a produrre disagi nel recapito ordinario della corrispondenza ai cittadini, specialmente nel caso di bollette, tributi o pagamenti che implicano l'aggiunta degli interessi di mora legati al mancato saldo dell'importo nei tempi dovuti, ha causato altresì un «danno di immagine» a imprese ed associazioni che nel corso di quest'ultime festività natalizie hanno inoltrato auguri, inviti e materiale informativo ai propri iscritti e dipendenti;
   numerosi sindaci del territorio, soprattutto quelli dei piccoli comuni montani, hanno sollevato rilievi e proteste già da diversi mesi all'attenzione della direzione generale di Poste Italiane, facendosi portavoce delle lamentele di cittadini e aziende e sollecitando un intervento mirato e tempestivo sulla questione, al fine di rivedere l'attuale modalità di distribuzione della corrispondenza e garantire la qualità e la capillarità del servizio postale nazionale;
   secondo quanto dichiarato dai vertici di Poste Italiane, i ritardi nella consegna e nella distribuzione della posta, sarebbero dovuti — in parte — alla messa a punto e sperimentazione di un nuovo sistema di gestione dei recapiti e smistamento della corrispondenza a giorni alterni;
   alla luce di quanto descritto e del ripetersi di questi disagi, la riorganizzazione promossa da Poste Italiane spa non ha fatto altro che produrre risultati negativi, causando accumulo di giacenze e difficoltà gestionali del servizio anche da parte di operatori e addetti ai lavori;
   alla grave situazione dettata dalla scarsa qualità del servizio di smistamento della corrispondenza, da parte di Poste Italiane spa, si aggiunge la chiusura di molteplici uffici postali minori, dislocati nelle aree montane e nelle frazioni di piccoli comuni, che tuttavia hanno sempre svolto un ruolo strategico a garanzia di un'erogazione ottimale del servizio soprattutto per le fasce di popolazione più anziane –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato sopra, e se ciò corrisponda intenda al vero e quali iniziative di competenza intenda adottare per sanare le carenze dovute al nuovo sistema di gestione dei recapiti e smistamento della corrispondenza a giorni alterni e al nuovo modello organizzativo promosso da Poste Italiane spa che sta creando notevoli disagi e ha prodotto consistenti ritardi nel recapito della posta ordinaria e straordinaria in tutto il territorio nazionale, con particolare riguardo ai comuni montani e alle aree più periferiche. (4-15199)


   FRANCO BORDO e FOLINO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano « La Provincia di Cremona», in data 6 gennaio 2017 ha pubblicato un articolo in cui denunciava, nel titolo, quanto la posta cremonese fosse sepolta dentro i cassoni;
   tra i centri di smistamento e meccanizzazione di Linate e Peschiera Borromeo, vi sono cinquemila tonnellate di posta in giacenza;
   nelle cinquemila tonnellate, a quanto riporta l'articolo, ci sarebbe in giacenza anche la posta destinata ai comuni della provincia di Cremona e di Cremona città;
   tale disservizio si è acutizzato e con la riorganizzazione messa in atto da parte di Poste Italiane, che prevede anche la consegna della posta a giorni alterni, corrispondenza che finisce per accumularsi nei centri di smistamento;
   questa riorganizzazione effettuata da Poste Italiane s.p.a., ha creato ormai nei comuni, come testimoniano amministrazioni, associazioni, imprese e cittadini, molti disagi, inconciliabili con l'importanza rivestita dal servizio postale;
   nella sola provincia di Cremona, delle 132 reti di recapito, ne sono rimaste soltanto 100, insufficienti a distribuire la posta;
   tale situazione si sta estendendo su tutte le province lombarde colpite dalla riorganizzazione iniziata nel settembre 2015 che riguarda la consegna della posta a giorni alterni;
   in data 15 dicembre 2015 il Ministero dello sviluppo economico ha sottoscritto con Poste Italiane s.p.a. il contratto di programma 2015-2019 che regola l'erogazione del servizio universale postale da parte della suddetta società;
   è del tutto evidente che le situazioni sopra descritte non risultano in linea con quanto previsto dalle norme legislative in essere e dallo stesso contratto di programma –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato affinché la posta in giacenza venga al più presto smistata e distribuita;
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato per risolvere a monte il problema della distribuzione della posta a giorni alterni, che non solo lede il diritto dei cittadini e delle imprese a ricevere la posta in tempi rapidi, ma che si sta dimostrando un fallimento anche dal punto di vista organizzativo;
   se il Governo non ritenga che tale situazione stia producendo una violazione dell'accordo stesso, stipulato tra il Ministero dello sviluppo economico e Poste Italiane s.p.a. (4-15201)


   CARBONE e BOCCADUTRI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Borsalino & Fratello produce cappeIli dal 1857; la storica azienda, che ha i suoi stabilimenti ad Alessandria, dà lavoro oggi a oltre 120 persone, ed è riconosciuta nel mondo come simbolo dell'eccellenza del « made in Italy»;
   nonostante la solidità della produzione industriale e la rinomanza dello storico marchio, la Borsalino è stata coinvolta, nel 2015, nei crack finanziario di Marco Marenco, che ne deteneva all'epoca la maggioranza azionaria;
   in seguito al crack, il consiglio di amministrazione della Borsalino, si è adoperato per evitare il fallimento della società, avviando un processo di ristrutturazione;
   nonostante la crisi finanziaria, già a partire dal 2015 si è registrato un incremento del fatturato e un rafforzamento del marchio Borsalino, e sono stati avviati una serie di accordi con la città di Alessandria, soprattutto in relazione al potenziamento del museo del Cappello;
   l'elemento centrale del processo di ristrutturazione, teso ad evitare il fallimento, si fondava sulla richiesta di ammissione al concordato preventivo formulata dal consiglio di amministrazione, grazie alla disponibilità dell'imprenditore italo-svizzero Philippe Camperio volta a garantire l'operazione di salvataggio dell'azienda;
   il 17 marzo 2016 il collegio del tribunale di Alessandria ha concesso l'avvio della procedura di concordato preventivo, nominando «assuntore» la società Haeres costituita ad hoc dall'imprenditore Camperio;
   il concordato ha disposto la cessione dell'azienda alla società Haeres al termine della procedura concorsuale, secondo modalità che prevedono il mantenimento dello stabilimento ad Alessandria con gli attuali dipendenti;
   tuttavia, nel dicembre 2016, il giudice dell'esecuzione ha revocato, a giudizio dell'interrogante con sorpresa, a fronte di impegni concreti espressi dall'assuntore sulla continuità aziendale, la procedura di concordato preventivo, inviando gli atti al pubblico ministero il quale potrebbe decidere di avanzare un'istanza di fallimento nei confronti della Borsalino con gravi danni per l'azienda, i dipendenti e il territorio;
   a seguito della revoca della procedura di concordato preventivo, il consiglio di amministrazione, valutate le opzioni a disposizione e nel timore di una richiesta di fallimento, ha ritenuto opportuno presentare una nuova richiesta di concordato preventivo che, secondo la normativa attualmente vigente, prevede una gara a competizione per individuare il soggetto acquirente dell'azienda;
   in queste circostanze, appare cruciale che il meccanismo della gara a competizione riesca ad individuare un potenziale acquirente che assicuri la permanenza della produzione nella storica sede di Alessandria e il mantenimento dei livelli occupazionali che, con le proprie rinomate ed indiscusse capacità artigianali, garantiscono la qualità del prodotto e la notorietà del marchio –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere il Governo per garantire il buon esito del percorso di ristrutturazione della Borsalino, attraverso la salvaguardia dei livelli occupazionali e dello storico marchio. (4-15205)

Apposizione di firme ad una interrogazione ed indicazione dell'ordine dei firmatari.

  L'interrogazione a risposta scritta Gadda ed altri n. 4-15169 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta del 13 gennaio 2017, è stata sottoscritta anche dai deputati Guerra, Sgambato e Burtone. Conseguentemente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine dei firmatari si intende così modificato: Gadda, Senaldi, Marantelli, Paolo Rossi, Braga, Guerra, Moretto, Zampa, Patriarca, Parrini, Dallai, Coppola, Marco Di Maio, Donati, Vazio, Fanucci, Magorno, Fiorio, Beni, Manfredi, Capozzolo, Giuseppe Guerini, Morani, Famiglietti, Fregolent, Sgambato e Burtone.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Gadda n. 4-15169, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 723 del 13 gennaio 2017.

   GADDA, SENALDI, MARANTELLI, PAOLO ROSSI, BRAGA, GUERRA, MORETTO, ZAMPA, PATRIARCA, PARRINI, DALLAI, COPPOLA, MARCO DI MAIO, DONATI, VAZIO, FANUCCI, MAGORNO, FIORIO, BENI, MANFREDI, CAPOZZOLO, GIUSEPPE GUERINI, MORANI, FAMIGLIETTI, FREGOLENT, SGAMBATO e BURTONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dal rapporto di agosto 2016 elaborato dall'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione (Asgi) sulle riammissioni di cittadini stranieri alla frontiera di Chiasso, e dalle informazioni acquisite dalla Commissione d'inchiesta sul sistema di accoglienza ed espulsione, emerge che:
    nel periodo dal 1° maggio al 30 settembre 2016, in territorio svizzero, sono stati 21.531 gli arrivi certificati di cittadini stranieri, di cui 6.900 riguardanti minori, e sono state 9.440 le riammissioni semplificate verso il confine italiano ai sensi dell'accordo bilaterale, e di queste 2.361 hanno riguardato minori stranieri non accompagnati;
    la maggior parte dei migranti respinti dalle autorità svizzere provengono da paesi quali l'Eritrea, l'Etiopia, la Somalia, e il Sudan, per i quali si può ritenere sussistano i presupposti per il riconoscimento di protezione internazionale;
    le autorità elvetiche affermano che le riammissioni avrebbero riguardato esclusivamente gli stranieri che non avevano manifestato intenzione di presentare istanza di asilo in Svizzera; ma, al contrario, risulta dalle suddette fonti di informazione, che alcuni di questi migranti abbiano dichiarato di aver manifestato tale intenzione in forma orale o scritta, ma di essere stati impossibilitati a formalizzare tale domanda;
    le persone respinte non avrebbero ricevuto alcun provvedimento scritto, e sarebbero stati per questo impossibilitati a presentare un ricorso, in violazione del diritto ad un ricorso effettivo, come previsto dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo;
    risulta che le autorità svizzere abbiano effettuato respingimenti collettivi, senza una valutazione su base individuale in grado di definire la sussistenza di requisiti per l'ottenimento della protezione internazionale o umanitaria: a titolo esemplificativo, molti minori non accompagnati risulta siano stati respinti nella stessa giornata, avvalorando l'ipotesi che possono essere state messe in atto espulsioni di gruppo, vietate dalla normativa europea ed internazionale;
    tale tesi è avvalorata dai dati sui respingimenti raccolti tra aprile ed agosto 2016: la percentuale delle riammissioni sul totale delle identificazioni, sarebbe aumentata dal 7 per cento di aprile 2016 al 70 per cento, registrato ad agosto dello stesso anno. Questo andamento anomalo dei dati e le testimonianze di cui al punto precedente, fanno presupporre che la scelta tra respingimento in Italia e ammissione alla procedura di asilo sia stata in alcuni casi pianificata ovvero dettata da una politica di ingresso programmata;
    sarebbero, numerose le violazioni effettuate ai danni di minori non accompagnati: l'accordo bilaterale tra la Svizzera e l'Italia sulla riammissione delle persone in situazione irregolare, infatti, sarebbe stato applicato ad essi, senza alcuna tutela specifica rispetto agli adulti, e ciò sarebbe avvenuto secondo gli interroganti anche in contrasto con le norme internazionali in materia ed in particolare della Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo siglata a New York il 20 novembre 1989;
    molti minori non accompagnati hanno dichiarato di avere genitori o parenti prossimi regolarmente soggiornanti in Svizzera o in altri Stati membri e quindi di avere diritto alla ricongiunzione ai sensi del regolamento di Dublino III;
    inoltre, le autorità svizzere non avrebbero nominato alcun tutore per gli stranieri minori non accompagnati e le riammissioni sarebbero avvenute in violazione del superiore interesse del minore, previsto invece dall'articolo 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo –:
   se corrisponda al vero quanto esposto in premessa;
   in caso affermativo, se il Governo intenda chiedere chiarimenti alla Confederazione elvetica in merito alle scelte adottate nella gestione dei migranti ed in particolare chiarire i rapporti tra l'Italia e la Svizzera sanciti dall'accordo sulla riammissione delle persone in situazione irregolare concluso il 10 settembre 1998;
   quali siano le conseguenze sul sistema di accoglienza nel nostro Paese a fronte di una eventuale violazione delle convenzioni internazionali e degli accordi bilaterali da parte della Confederazione elvetica, ed in particolare delle norme riferite ai minori non accompagnati.
(4-15169)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Pannarale n. 5-10118 del 13 dicembre 2016.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta orale Mariano n. 3-01356 dell'11 marzo 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-15202;
   interrogazione a risposta in Commissione Pili n. 5-05935 del 1o luglio 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-02697;
   interrogazione a risposta in Commissione Cenni e altri n. 5-06026 del 9 luglio 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-02696;
   interrogazione a risposta in Commissione Ricciatti e altri n. 5-06029 del 9 luglio 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-15204;
   interrogazione a risposta orale Bosco n. 3-01769 del 16 ottobre 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-15203.