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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 20 gennaio 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera
   premesso che:
    la resistenza agli antibiotici è un fenomeno naturale causato dalle mutazioni genetiche a cui vanno incontro i batteri. Tuttavia, un uso eccessivo e improprio degli antibiotici accelera la comparsa e la diffusione dei batteri resistenti agli antibiotici. I batteri sensibili muoiono quando entrano in contatto con gli antibiotici, mentre i batteri resistenti sopravvivono e continuano a moltiplicarsi. I batteri resistenti possono trasmettersi e causare infezioni anche in altre persone che non hanno fatto uso di antibiotici;
    l'emergenza di microorganismi resistenti agli antibiotici è un problema che ha assunto ormai rilevanza mondiale, pur non coinvolgendo in eguale misura tutte le specie batteriche e le classi di agenti antimicrobici. Tale fenomeno viene evidenziato in maniera prevalente nell'ambiente ospedaliero sulla base della letteratura che indica nell'ampio e spesso improprio uso di antimicrobici che si attua nei nosocomi per motivi terapeutici e profilattici, la causa primaria di questo evento. Purtroppo, per le già citate capacità che hanno i batteri di scambiarsi informazione genetica anche i patogeni comunitari diventano sempre più partecipi dei diversi meccanismi di resistenza. Si è assistito, infatti, in tempi più recenti all'insorgenza di specie refrattarie non solo ad un singolo gruppo di farmaci, ma caratterizzate da meccanismi multipli di resistenza a più classi di antibiotici;
    la resistenza agli antibiotici può contribuire al fallimento terapeutico e se largamente diffusa rappresenta un grosso problema durante la terapia, L'incidenza di resistenza in ciascun patogeno inoltre è dipendente dalla pressione selettiva esercitata dalla quantità di farmaco impiegata (medicina, veterinaria, industria) in un determinato ambiente. I microorganismi hanno la possibilità di modificare il proprio patrimonio genetico sia attraverso mutazioni spontanee sia attraverso lo scambio genetico. Quest'ultimo aspetto è molto importante, poiché mediante i transposoni che catturano geni e i plasmidi che possono veicolarli, i batteri hanno virtualmente a disposizione l'intero corredo cromosomico di tutte le specie esistenti, sono infatti gli unici viventi che possono avere uno scambio di materiale genetico tra specie diverse;
    la minaccia della diffusione delle antibiotico-resistenze è infatti più che mai reale e per combatterla bisogna prima di tutto conoscerla. E questo perché si ignora una (buona) parte dell'origine, ovvero il corretto utilizzo degli antibiotici. A svelarlo è l'indagine dell'Organizzazione mondiale della sanità, presentata in concomitanza con la presentazione del report sul consumo degli antibiotici in Europa;
    il cattivo utilizzo degli antibiotici (sia negli esseri umani che negli animali) può portare a conseguenze drammatiche: solo in Europa, infatti, si stima che ogni anno le morti per infezioni resistenti agli antibiotici siano 25 mila l'anno e diversi tipi di infezioni, dalle polmoniti, alla turbercolosi alla gonorrea, stanno diventando sempre più difficili da trattare;
    le cause del diffondersi del fenomeno sono diverse: prescrizioni eccessive, scarsa aderenza ai trattamenti, utilizzo improprio ed eccessivo negli allevamenti, in particolar modo nei Paesi extra Unione europea come Cina e Brasile, scarso controllo delle infezioni nelle strutture sanitarie, mancanza di igiene e mancanza di nuovi antibiotici. Diversi sono anche i modi con cui i batteri resistenti agli antibiotici una volta sviluppatisi possono diffondersi: dal contatto uomo-uomo, a quello uomo-animali al consumo di cibo e acqua che li contengano;
    i dati provenienti dai sistemi di sorveglianza indicano che la resistenza antimicrobica costituisce un problema sanitario crescente in Europa sia negli ospedali che in comunità. La resistenza di Escherichia coli ai principali antibiotici sta aumentando in quasi tutti i Paesi europei; escherichia coli è uno dei principali batteri responsabili di infezioni; causa infezioni delle vie urinarie ed anche infezioni più gravi;
    per rispondere a questo problema di sanità pubblica, nel 2001 il Consiglio dell'Unione europea ha inviato ai vari Paesi una raccomandazione invitandoli ad adottare iniziative atte ad assicurare un uso prudente di antibiotici (raccomandazione del Consiglio, del 15 novembre 2001, sull'uso prudente degli agenti antimicrobici in medicina umana (2002/77/CE)). Alcuni anni fa alcuni Paesi hanno avviato programmi nazionali comprendenti campagne di sensibilizzazione dei cittadini, registrando una diminuzione sia del consumo di antibiotici sia della resistenza;
    la resistenza varia da Paese a Paese a causa di numerosi fattori: uso degli antibiotici, patologie di base, qualità dell'assistenza ospedaliera, percentuale di immunizzazione, fattori sociali ed altro. La percentuale delle infezioni resistenti riferibili ad un unico fattore non è sempre accertabile. I dati del sistema europeo di sorveglianza sulla resistenza antimicrobica mostrano un gradiente nord-sud, dove ai Paesi scandinavi e ai Paesi Bassi corrispondono le percentuali più basse e al sud Europa le percentuali più alte. Si è visto che i Paesi con percentuali di resistenza più basse sono quelli che usano meno antibiotici, e viceversa;
    gli antibiotici impiegati per trattare e prevenire le infezioni batteriche negli animali nei Paesi in via di sviluppo appartengono alle stessi classi degli antibiotici usati per l'uomo: macrolidi, tetracicline, chinoloni, betalattamici, aminoglicosidi. Pertanto, è possibile che gli animali acquisiscano batteri che sono resistenti ad antibiotici impiegati anche contro le infezioni umane. Fortunatamente gli antibiotici utilizzati negli allevamenti italiani sono di classi diverse, non vengono utilizzati per la agevolare la crescita ma solo per la cura in caso di malattie, non sono direttamente interferibili con le infezioni umane e le norme impongono, in caso di utilizzo per cure specifiche, un periodo di sospensione tale da impedire che le carni e altri alimenti di origine animale prodotte in Italia poste in consumo non contengano tracce di antibiotici;
    tuttavia, l'enorme interscambio commerciale di carni in import con molti paesi extra Unione europea – molti dei quali non garantiscono queste attenzioni al consumatore – apre la strada al rischio che alcuni batteri resistenti associati agli alimenti, come Campylobacter e Salmonella, possono essere trasmessi dall'animale all'uomo attraverso il cibo;
    la causa principale della resistenza agli antibiotici nell'uomo rimane comunque l'uso degli antibiotici in medicina umana,

impegna il Governo:

1) a predisporre tutti gli strumenti normativi al fine di dare piena applicazione al documento strategico globale e linee guida, predisposti dall'Organizzazione mondiale della sanità, al fine di istituire dei sistemi di monitoraggio della resistenza agli antibiotici e intraprendere azioni efficaci;
2) ad assumere iniziative per predisporre nuove linee-guida, per i medici, al fine di prescrivere antibiotici sull'evidenza, solo ove necessario, soprattutto ricorrendo a farmaci specifici contro l'infezione e non «ad ampio spettro»;
3) a predisporre campagne di informazione al fine di spiegare al paziente come alleviare i sintomi di raffreddore e influenza senza ricorrere agli antibiotici, oltre all'importanza di una corretta assunzione degli antibiotici prescritti dal medico;
4) a prevedere, al fine di incentivare la riduzione progressiva dell'utilizzo di antibiotici negli allevamenti, nella prima iniziativa normativa utile, un'ulteriore detrazione, in aggiunta a quelle già previste sull'imposta lorda sul reddito delle società (IRES), sulla quota di produzione certificata che non utilizza antibiotici (produzione antibiotic free) o, in alternativa, un credito di imposta specifico pari al valore degli investimenti infrastrutturali e strumentali svolti per produzione di alimenti di origine animale senza alcun ricorso all'utilizzo di antibiotici;
5) ad assumere iniziative per prevedere il divieto all'importazione di alimenti di origine animale da quei Paesi extra Unione europea nei quali gli allevamenti ricorrono massicciamente ed impropriamente all'utilizzo di antibiotici, soprattutto se delle stesse classi usate per le terapie sull'uomo, ed in generale di carni o altri alimenti che contengano tracce di antibiotici.
(1-01475) «Rondini, Gianluca Pini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    la resistenza agli antibiotici è un processo naturale di selezione causato dalle mutazioni genetiche a cui vanno incontro i batteri, ma è anche il risultato di alcuni comportamenti: l'uso eccessivo e improprio degli antibiotici permette alle popolazioni resistenti di proliferare e prendere il sopravvento. Compaiono quindi in questo modo i superbatteri resistenti agli antibiotici disponibili;
    secondo il rapporto della commissione indipendente britannica, guidata dall'economista Jim O'Neill, dal titolo «Review on Antimicrobial Resistance», a causa della crescente resistenza dei batteri agli antibiotici, per il 2050 si prevedono oltre 10 milioni di morti all'anno (attualmente sono 700mila), una persona ogni tre secondi, per infezione da microrganismi, un numero di decessi superiore a quello causato dal cancro;
    in Europa, si verificano annualmente 4 milioni di infezioni da germi antibiotico-resistenti che causano oltre 37.000 decessi e determinano un consistente assorbimento di risorse pari a circa 1,5 miliardi di Euro l'anno;
    a destare maggiore preoccupazione sono soprattutto la resistenza del Campylobacter verso la ciprofloxacina e quella delle Salmonelle nei confronti di diverse molecole e dell'Escherichia coli negli allevamenti degli Stati dell'Unione europea. In un report il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) hanno sottolineato che il fenomeno della resistenza antimicrobica rappresenta un grave rischio per la salute umana e animale;
    negli ultimi 10 anni il consumo (anche per l'uso massiccio che se ne fa negli allevamenti) è cresciuto in media nei Paesi Ocse del 4 per cento, arrivando fino alla media di 20,5 dosi ogni 1.000 abitanti. Il Paese che ne consuma di più è la Turchia (41 dosi ogni 1.000 abitanti), seguita dalla Grecia (34), Corea (31,7), Francia (29), Belgio (28,4) e Italia (27,8). Lo stato che ne consuma di meno è invece il Cile (9,4 dosi) e i Paesi Bassi (10,6). In Italia negli ultimi 10 anni l'uso degli antibiotici è cresciuto del 6 per cento;
    stando al rapporto annuale del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, redatto con i dati del sistema di sorveglianza Esac-Net dell'Unione europea, l'Italia è ai primi posti in Europa per consumo di antibiotici e, con il loro uso, anche la resistenza aumenta;
    l'Italia, stando ai dati Ocse aggiornato al 2014, è il terzo Paese con la più alta percentuale di antibiotico resistenza (33-34 per cento nel 2014, raddoppiata dal 2005 quando era al 16-17 per cento). Dopo l'Italia Grecia e Turchia;
    nel nostro Paese le infezioni correlate all'assistenza intra-ospedaliera colpiscono ogni anno circa 284.000 pazienti (dal 7 per cento al 10 per cento dei pazienti ricoverati) causando circa 4.500-7.000 decessi. Le più comuni infezioni sono polmonite (24 per cento) e infezioni del tratto urinario (21 per cento);
    negli Stati Uniti è stato individuato nelle urine di una donna della Pennsylvania un super-batterio, una specie di «escherichia coli», resistente a qualsiasi tipo di antibiotici. A lanciare l'allarme gli scienziati del dipartimento alla difesa Usa;
    l'agente patogeno – si legge nel rapporto pubblicato sulla rivista della Società americana di microbiologia «Antimicrobial Agents and Chemotherapy» – è resistente persino all'antibiotico colistin, farmaco che spesso viene usato come ultima risorsa;
    questo particolare agente patogeno è stato definito dagli esperti «il batterio degli incubi», che in alcuni casi può arrivare ad uccidere il 50 per cento delle persone che ne vengono contagiate;
    la minaccia per la salute è diventata reale e, infatti, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite, lo scorso settembre, si è occupata del problema. I 193 Stati membri hanno firmato un documento congiunto sulle linee guida mondiali per la lotta alla resistenza antimicrobica, definita «la più grande minaccia alla medicina moderna»;
    nel corso dell'ultima Assemblea generale delle Nazioni Unite, il direttore generale dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), Margaret Chan, ha detto che l'antibiotico-resistenza per la salute globale è paragonabile a un «lento tsunami»;
    l'Agenzia italiana del farmaco (Aifa), sul sito web, evidenzia che alcuni dati mostrano quanto siano gravi le ripercussioni dell'antibiotico-resistenza: un'epidemia di tifo multiresistente si sta diffondendo in diverse regioni dell'Africa, in 105 Paesi si registrano forme di tubercolosi resistenti ai farmaci, mentre sono circa 200.000 i neonati che ogni anno muoiono a causa dei cosiddetti super-batteri;
    tra le cause dell'aumento delle resistenze batteriche ha avuto un ruolo determinante l'uso improprio dei vecchi antibiotici. In Italia, per esempio, nonostante le numerose campagne di comunicazione del Ministero, vengono prescritti troppi antibiotici: oltre il 50 per cento dei pazienti ricoverati in ospedale viene sottoposto a questo tipo di terapia. L'eccessivo uso, spesso non corretto, di questi farmaci ha portato a un incremento rilevante delle resistenze batteriche;
    una recente indagine di Eurobarometro sull'uso degli antibiotici – pubblicata dalla Commissione europea nel giugno 2016 e condotta su 28 mila europei, tra cui 1000 italiani – «boccia» le abitudini degli italiani. Lo studio mostra che gli italiani sanno poco dell'efficacia e degli effetti degli antibiotici e, quindi, li usano in modo inappropriato. In termini di consumo, l'Italia si colloca tra i primi cinque a livello europeo con il 43 per cento. La media europea è del 34 per cento e l'Italia è molto distante dai primi della classe: i Paesi del nord come Svezia (con il 18 per cento), Olanda (20 per cento), e Germania (entrambi al 23 per cento);
    centrale, in tal senso, è il ruolo dell'informazione. In Italia, però, solo il 15 per cento dei cittadini ha ricevuto una qualche indicazione, quasi sempre da un medico, sul fatto di non usare antibiotici quando non sono necessari. La media europea è, invece, del 33 per cento;
    l'utilizzo dei vaccini ridurrebbe la necessità di utilizzare antibiotici e contribuirebbe a combattere l'aumento delle infezioni da batteri resistenti ai farmaci. I vaccini possono combattere la resistenza ai farmaci perché riducono i casi di infezione e la necessità di ricorrere ad antibiotici;
    il nostro Paese è il terzo maggiore utilizzatore di antibiotici negli animali da allevamento in Europa (dopo Spagna e Cipro), con un consumo più alto di quello effettuato da altri Paesi di simili dimensioni (il triplo della Francia e cinque volte il Regno Unito);
    l'uso eccessivo di antibiotici negli allevamenti intensivi è una delle principali cause della sempre maggiore resistenza degli organismi patogeni agli antibiotici;
    in Italia il 71 per cento degli antibiotici venduti è destinato agli animali e il 94 per cento di questi trattamenti è di massa. Questo determina una situazione di rischio elevato per la nascita di super batteri che dagli allevamenti possono raggiungere le persone e farle ammalare, contribuendo a far salire il numero di morti per antibiotico resistenza;
    l'Unione europea con una direttiva nel 2006 ha proibito l'utilizzo di antibiotici come «promotori della crescita». Nel 2011 l'Ema ha pubblicato un piano in 12 punti contro la resistenza agli antibiotici. Svezia, Danimarca, Germania e Francia già da diversi anni hanno imposto delle misure per monitorare il problema finalizzato a frenare l'utilizzo degli antibiotici negli allevamenti per contrastare le resistenze nella medicina umana e animale;
    il 2 marzo 2016 è stata approvata una risoluzione dalla IX Commissione (Agricoltura e produzione agroalimentare) e dalla XII Commissione (Igiene e sanità) riunite del Senato della Repubblica, sulla riduzione dell'impiego di antibiotici nell'allevamento animale,

impegna il Governo:

1) a promuovere iniziative destinate ad incentivare l'uso responsabile degli antibiotici in commercio, limitandone l'utilizzo;
2) ad adottare iniziative per favorire un cambiamento culturale nella popolazione e nella comunità medica che determini un impiego appropriato degli antibiotici in modo da ridurne l'abuso e prolungarne il più possibile la vita;
3) a promuovere incentivi finanziari per lo sviluppo di nuovi test diagnostici che possano evitare la somministrazione inutile di antibiotici e dotare gli ospedali di servizi di microbiologia permanente;
4) a sostenere la formazione del personale sanitario e a rilanciare la ricerca e lo sviluppo di nuovi antimicrobici;
5) ad intensificare le modalità di promozione delle vaccinazioni;
6) a mettere in campo iniziative di monitoraggio per garantire il benessere degli animali allevati e per ridurre l'utilizzo di antimicrobici, tutelando la salute umana;
7) ad accelerare le procedure per la redazione del piano nazionale contro l'antibiotico resistenza e per l'obbligatorietà della ricetta elettronica del farmaco veterinario per effettuare controlli e monitoraggi sul consumo di antibiotici.
(1-01476) «D'Incecco, Lenzi, Beni, Paola Boldrini, Paola Bragantini, Capone, Carnevali, Casati, Patriarca, Murer, Sbrollini».

Risoluzione in Commissione:


   La VII Commissione,
   premesso che:
    il problema della violenza nei programmi televisivi è da lungo tempo al centro di dibattiti e di studi su larga scala in molti Paesi del mondo. Fin dalla fine degli anni ottanta la Comunità europea, con la direttiva «Televisione senza frontiere» ha affrontato il tema della tutela dei minori in relazione alla pubblicità e ai programmi televisivi, di qualsiasi genere, invitando gli Stati membri ad adottare tutte le misure atte a garantire che le trasmissioni non contenessero programmi in grado di nuocere allo sviluppo fisico, mentale, e morale dei minorenni;
    l'Unione europea ha sempre riconosciuto nella protezione dei minori da contenuti nocivi per il loro sviluppo psichico e morale un interesse pubblico fondamentale, nel cui rispetto può e deve esplicarsi il diritto alla libertà di espressione;
    in questi decenni l'attenzione e la sensibilità nei confronti delle fasce di pubblico più debole e più giovane è, indubbiamente, notevolmente cresciuta, traducendosi sia in provvedimenti di legge, sia in una fitta rete di interventi normativi a carattere deontologico (dal testo unico sui servizi media audiovisivi e radiofonici al codice di autoregolamentazione «Media e Minori»);
    in particolare, la fascia di età dai 5 ai 12 anni risulta essere quella più esposta all'apprendimento per imitazione dei modelli osservati, considerando che fino all'adolescenza i ragazzi difficilmente distinguono nettamente tra finzione e realtà;
    soprattutto, in questi ultimi anni, nelle televisioni generaliste si stanno diffondendo, al di fuori degli spazi di informazione classici costituiti dai telegiornali, numerose trasmissioni televisive di intrattenimento che, sui canali sia privati che del servizio pubblico, trattano a tutte le ore del giorno e della notte vicende efferate di cronaca nera;
    in questo quadro, i sistemi di tutela dei minori adottati paiono poco efficaci e facilmente aggirabili, a cominciare dal rispetto delle fasce orarie volte ad impedire alle emittenti televisive di trasmettere programmi non idonei ai minori;
    per quanto attiene ai programmi di informazione, le imprese televisive si sono impegnate a non diffondere dalle 7,00 alle 22,30 sequenze crude o brutali o scene che possano creare nei minori turbamento o forme imitative e notizie che possano nuocere all'integrità dei minori se non – quando si presentino esigenze di straordinario valore sociale e informativo – dandone preavviso;
    il decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244, all'articolo 6, comma 3, ha disposto la proroga dal 29 gennaio al 29 aprile 2017 del termine massimo di vigenza dell'attuale rapporto concessorio con la RAI relativo al servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, nelle more dell'entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che affiderà nuovamente la concessione;
    il contratto di servizio è strumento fondamentale per definire le linee del servizio pubblico, all'interno del quale sono esplicitate le tematiche fondamentali e caratterizzanti la «mission» della concessionaria radio-televisiva in materia di diversità culturale, minoranze etniche, integrazione, coesione e l'inclusione sociale, rappresentazione della figura femminile e delle pari opportunità, della tutela dei minori, dell'infanzia e delle fasce deboli e di informazione obiettiva ed equamente bilanciata,

impegna il Governo:

   a segnalare e ad affrontare, nell'ambito del rinnovo del contratto di servizio con la Rai Radio televisione italiana, la problematica evidenziata, al fine di contemperare le esigenze di una corretta ed ampia informazione con la tutela dei minori, dell'infanzia e delle fasce più deboli dei telespettatori, consolidando e rafforzando uno degli aspetti caratterizzanti le peculiarità del servizio pubblico;
   a promuovere tavoli di confronto con i diversi attori coinvolti (produttori, broadcaster, professionisti della comunicazione) sia pubblici che privati, volti ad una verifica dell'efficacia dei sistemi di tutela delle fasce più deboli oggi in essere, nell'ambito del consolidato modello della coregolamentazione;
   a predisporre anche ulteriori e più idonei strumenti normativi di controllo e sanzionatori.
(7-01167) «Vezzali, Altieri».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
   con la legge 7 agosto 2015, n. 124 il Parlamento ha delegato il Governo a modificare e integrare il codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82;
   tra i criteri della legge delega il Parlamento ha incluso quello di ridefinire e semplificare i procedimenti amministrativi mediante una disciplina basata sulla loro digitalizzazione e per la piena realizzazione del principio «innanzitutto digitale» (digital first), come da articolo 1, comma 1, lettera b), della legge n. 124 del 2015;
   il comma 1-bis dell'articolo 47 decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, stabilisce responsabilità dirigenziali e disciplinari, «ferma restando l'eventuale responsabilità per danno erariale», nei casi di comunicazioni tra pubbliche amministrazioni che avvengano senza l'utilizzo della posta elettronica o in cooperazione applicativa;
   la drastica riduzione dell'utilizzo della carta all'interno delle pubbliche amministrazioni dev'essere un obiettivo primario da perseguire per la creazione di una pubblica amministrazione digitale;
   in data 19 dicembre 2015 il Governo pro tempore, nella figura del Sottosegretario Bressa, ha accolto l'ordine del giorno 9/03444-A/024 a prima firma Coppola in cui il Parlamento impegnava il Governo medesimo «a ridurre progressivamente gli acquisti di carta e materiale di consumo per stampanti e fotocopiatrici da parte delle amministrazioni pubbliche e le società inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, adeguando i loro processi interni al fine di programmare la completa transizione ai processi paperless e utilizzando risparmi conseguenti alla riduzione di acquisti per la digitalizzazione di archivi e per la realizzazione di sistemi documentali» –:
   quali iniziative siano state intraprese nel corso del 2016;
   a quanto ammontino la riduzione di fornitura di carta all'interno delle pubbliche amministrazioni e il risparmio ottenuto nel corso dell'ultimo anno a favore delle finanze pubbliche;
   come proceda, con quali strumenti e quali risultati, la transizione ad un sistema paperless all'interno degli uffici delle pubbliche amministrazioni centrale e locale.
(2-01604) «Coppola, Dallai, Gadda, Donati, Casati, Bruno Bossio, Lodolini, Menorello, Piccoli Nardelli, Galgano, Scuvera, Sbrollini, Cristian Iannuzzi, Oliaro, Catalano, Senaldi, Nicoletti, Narduolo, D'Arienzo, Antonio Martino, Tentori, Montroni, Marchetti, Mazzoli, Mattiello, Marzano, Pili, Carrozza, Barbanti, Rotta, Rubinato, Quintarelli, Dambruoso, Paglia, Martelli, Kronbichler, Ascani, Peluffo, Crimì».

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, per sapere – premesso che:
   nella riunione che si è tenuta il 17 gennaio 2017 a Matera del Comitato di indirizzo e controllo per la gestione del patto per lo sviluppo della regione Basilicata alla presenza del Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, del presidente della regione Basilicata, degli assessori regionali, di funzionari e dirigenti della regione e del sindaco di Matera, sono stati illustrati gli interventi in infrastrutture programmati dalla regione Basilicata, quelli già avviati ed altri da realizzare nel 2017 nell'ambito del patto per la Basilicata;
   nel patto per la Basilicata sono stati previsti 70 interventi per 359 milioni di euro di risorse. Nel 2016 sono state avviate opere per dieci milioni di euro, 63 milioni di euro sono stati programmati nel biennio 2016-2017, oltre a 13 interventi per 169 milioni di euro con regia dell'Anas. Per quanto riguarda Matera 2019, sono stati previsti circa 10 milioni di euro di interventi: 3,7 milioni di euro per il completamento del Campus universitario e 7 milioni di euro per azioni materiali e immateriali;
   il patto per la Basilicata firmato a Matera il 2 maggio 2016, prevede macrosezioni di intervento quali: le infrastrutture con costo di 1.836.186.048 euro, l'ambiente con costo di 953.616.301 euro, lo sviluppo economico e produttivo con costo di 424.824.692 euro, il turismo e la cultura con costo di 308.250.000 euro, il welfare e la legalità con costo di 278.000.000 euro, fondo rotativo e progettazione 28.400.000 per un investimento complessivo di circa quattro miliardi di euro con un investimento di 2,2 miliardi di euro per il primo biennio;
   nell'accordo sottoscritto si legge che gli interventi saranno finanziati con risorse nazionali e dell'Unione europea e mediante il fondo per lo sviluppo e la coesione. A tal fine, le parti si impegnano a dare attuazione ai contenuti del patto mediante la messa a sistema delle risorse disponibili del FSC 2007-2013 e del FSC 2014-2020, dei fondi strutturali dell'Unione europea e delle risorse di cofinanziamento nazionale, delle risorse ordinarie nonché di altri strumenti finanziari, quali fondi rotativi e project financing; tenendo conto, oltre di quanto previsto e programmato nell'ambito del Programma Operativo 2014-2020 della regione Basilicata (POR), anche dei programmi operativi nazionali (PON) rilevanti per gli ambiti di intervento oggetto del patto;
   i fondi annunciati per il Mezzogiorno derivanti da fondi europei sono passati dai 58 miliardi di euro previsti inizialmente a soli 12,8 miliardi di euro e la regione Basilicata avrebbe una dotazione di 2,4 miliardi di euro per il ciclo comunitario 2014-2020 di cui 1.800 milioni saranno gestiti direttamente dalla regione e 600 milioni dal Governo da spendere per le politiche di sviluppo;
   a giudizio dell'interrogante si tratta degli stessi interventi strategici molte volte già declamati, sempre in modo vago e indefinito. Si elencano una lista di opere finalizzate a colmare il gap infrastrutturale: piattaforma logistica di Pisticci, centro intermodale di Ferrandina ma anche le «connessioni della rete nazionale trasporti» tra le quali vengono inseriti i corridoi ferroviari di Potenza-Matera-Bari e quello Matera-Ferrandina-Pisticci, e poi una decina di altri interventi, tra i quali quello destinato alla aviosuperficie «E. Mattei» contemporaneamente anche a quello per l'aeroporto di Pontecagnano (Salerno) cui la regione Basilicata vorrebbe destinare ulteriori 9 milioni di euro «a valere sul programma dei fondi europei 2014-2020», nonostante il suo recente declassamento;
   si è dinanzi ad un coacervo caotico di interventi con indicazioni generiche sui finanziamenti reali e sui tempi di attuazione per realizzare i progetti già approvati come gli itinerari della «Matera-Ferrandina-Pisticci» e «Gioia del Colle-Matera» sul corridoio «Murgia-Pollino» e il 1o e il 3o stralcio del tratto di collegamento tra le strade statali «Basentana» e «Sinnica» (Pisticci-Tursi), senza dimenticare le opere ferroviere a partire dalla Ferrandina-Matera, finanziata con l'ultima legge di bilancio, la connessione a scartamento ridotto Matera-Bari, l'ammodernamento del collegamento Salerno-Potenza-Taranto e le opere infrastrutturali afferenti alla città di Matera 2019;
   alla luce di quando descritto è evidente che il Governo continua a fare annunci di infrastrutture e investimenti, ma in molti casi, ad avviso dell'interrogante, non sono altro che proclami di opere già segnalate e comunque già finanziate da Governi precedenti –:
   come intenda intervenire il Governo in relazione all'effettivo stato di attuazione degli interventi previsti nel patto per la Basilicata ai fini del superamento di eventuali criticità e di un rapido avvio delle opere e dei progetti, vista l'imminente scadenza dell'appuntamento internazionale di Matera 2019 che grazie all'inestimabile patrimonio culturale rappresenta un valore strategico e imprescindibile per il rilancio della Basilicata e del Mezzogiorno;
   come intenda intervenire il Governo, per quanto di competenza, per garantire l'effettiva progettazione e la realizzazione delle opere incluse nel patto per la Basilicata;
   se si intenda definire e rendere disponibile il cronoprogramma, in cui siano chiari i tempi, le risorse e i soggetti attuatori per ciascuna delle opere
(2-01605) «Latronico».

Interrogazioni a risposta orale:


   TERZONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dal 2008 la Antonio Merloni spa è in amministrazione straordinaria e la crisi, che ha coinvolto tutte le aziende del gruppo leader del comparto produttivo degli elettrodomestici, ha interessato circa tremila lavoratori;
   nel 2016 con circolare ministeriale 22 marzo n. 26398 il Ministero dello sviluppo economico ha emanato l'avviso pubblico per l'area di crisi Merloni mettendo a disposizione la somma di 26 milioni di euro sul totale di 35 milioni di euro impegnati sulla base dell'accordo di programma per l'attuazione del piano di sviluppo dell'area di crisi;
   il piano, la cui durata è stata prorogata fino al 31 marzo del 2017, è stato sottoscritto dal Ministero dello sviluppo economico, dalla regione Marche, dalla regione Umbria e Invitalia, e secondo le intenzioni con il quale è stato pensato promuove: l'attrazione di nuovi investimenti produttivi nell'area, lo sviluppo e la riqualificazione delle imprese esistenti e il reimpiego dei lavoratori dell'ex A. Merloni spa. Per il raggiungimento di questi obiettivi vengono messi a disposizione: incentivi agli investimenti e all'occupazione, servizi di informazione e orientamento sulle opportunità di investimento e di reinserimento nel mercato del lavoro e supporto finanziario da parte del sistema locale del credito;
   le domande presentate entro la scadenza fissato al 30 giugno 2016 sono 23 per un investimento complessivo di 118,5 milioni di euro per i quali sono richiesti 70,9 milioni di agevolazioni. I nuovi scorrendo la graduatoria di ammissione alla fase istruttoria delle domande di accesso alle agevolazioni ai sensi della legge n. 181 del 1989 si nota che solo una minima parte di questi andrebbero a riassorbire ex operai della Antonio Merloni;
   in particolare, per la regione Marche, prendendo in considerazione le 6 proposte per le quali è stata avviata l'istruttoria, su un totale di 240 nuovi posti di lavoro solo 67 sono rappresentati dal riassorbimento degli ex operai della Antonio Merloni. Due programmi addirittura non prevedono alcun riassorbimento e uno di questi è quello che ha richiesto le agevolazioni più elevate;
   inoltre, dall'elenco si apprende che una sola delle 6 proposte ammesse al contributo coinvolge una ditta con sede nel comune di Fabriano e quindi la maggior parte degli investimenti non porterà reddito nel comune dove risiede la maggior parte dei lavoratori ex Merloni;
   rispondendo all'interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5-10252 il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico ha dichiarato che «delle risorse nazionali iniziali (35 milioni) previste dall'Accordo di Programma, rimangono ancora da impegnare 9 milioni, destinati al progetto JP Industries. Il Ministero dello sviluppo economico, in considerazione dell'esito dei risultati fin qui conseguiti, sta provvedendo a convocare, a breve, i rappresentanti delle regioni Marche ed Umbria per valutare congiuntamente le strategie da adottare, affinché le risorse residue vengano effettivamente destinate alla promozione di progetti che ottimizzino la ricollocazione dei lavoratori ex A. Merloni nell'ambito geografico di localizzazione dei preesistenti siti produttivi.» –:
   quali siano le modalità attraverso le quali si pensa di destinare i fondi residui per la promozione di progetti che prevedano il reimpiego degli ex lavoratori della Antonio Merloni;
   se esista un sistema di controllo sull'effettiva realizzazione dei progetti di investimento e assunzione presentati e finanziati e che tipo di sanzioni siano previste in caso di inadempienze;
   se la risposta del Sottosegretario per lo sviluppo economico all'interrogazione di cui in premessa circa la destinazione dei residui 9 milioni di euro debba essere interpretata come la possibilità che, questi non vengano effettivamente assegnati al progetto JP Industries. (3-02715)


   TERZONI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la stampa, in data 18 gennaio 2017, ha riportato la notizia di diversi danni causati dalla neve alle stalle già lesionate dai terremoti del 2016 che hanno colpito le regioni Marche, Umbria, Abruzzo e Lazio. Due stalle di aziende terremotate sono crollate a Gualdo, in provincia di Macerata, per peso della neve, uccidendo o ferendo una novantina di capi tra mucche e pecore;
   si tratta delle strutture delle aziende agricole Beccerica e Lai. La prima ad essere crollata è la stalla già lesionata dal terremoto e sotto le macerie sono rimaste circa settanta mucche;
   nell'azienda Lai invece il peso della neve ha fatto crollare la struttura temporanea dove gli animali erano stati sistemati per ripararli dal maltempo e in particolare dal ghiaccio. In questo caso il crollo ha coinvolto circa 300 capi ovini;
   queste due aziende erano da cinque mesi in attesa del modulo che la regione aveva promesso;
   come se non bastasse, l'ordinanza con la quale è stato consentito alle aziende di munirsi autonomamente di strutture temporanee è a tutt'oggi inapplicabile a causa della mancanza delle indicazioni della regione riguardo ai costi, materiali e caratteristiche tecniche che dovrebbero rispettare;
   anche a Sarnano, sempre in provincia di Macerata, si sono verificati altri crolli, con perdita di numerosi capi, mentre nei comuni di Arquata e Acquasanta diversi allevatori non riescono a raggiungere i propri siti produttivi a causa dell'impercorribilità delle strade. Anche queste aziende sono in attesa delle casette per gli allevatori e delle stalle per il bestiame che erano state promesse;
   in alcuni casi le stalle provvisorie sarebbero state assegnate dalla regione Marche, ma mai consegnate, nonostante gli imprenditori avessero approntato le piattaforme necessarie come richiesto;
   durante l'incontro tenutosi il 10 gennaio 2017 in regione Marche con la protezione civile e il commissario straordinario Vasco Errani è stato stimato che mancano all'appello ancora 700 strutture mobili, tra stalle provvisorie, moduli abitativi e fienili –:
   di quali elementi disponga circa la situazione esposta in premessa;
   se sia in grado di fornire elementi in maniera dettagliata, per ogni regione coinvolta dal sisma, circa la realizzazione delle strutture provvisorie, casette per allevatori, stalle e fienili, rispetto al numero di quelle assegnate;
   di quali elementi disponga circa i motivi per i quali, soprattutto nella regione Marche, si stiano registrando così gravi ritardi rispetto alla consegna di tali moduli e se risultino delle responsabilità, per i profili di competenza, all'interno del sistema che sta gestendo questo tipo di attività;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere al fine di accelerare la consegna dei moduli temporanei che erano stati promessi agli allevatori.
(3-02716)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MANZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   a seguito degli eventi sismici del 24 agosto e del 26 e 30 ottobre 2016 sono stati adottati numerosi provvedimenti diretti a disciplinare i molteplici aspetti pratici legati alla ricostruzione nelle zone interessate;
   tra questi, vi è l'ordinanza commissariale n. 12 del 9 gennaio 2017, diretta a dare attuazione all'articolo 34 del decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 dicembre 2016, 229, anche attraverso la definizione di un protocollo d'intesa tra commissario straordinario del Governo per la ricostruzione e rete nazionale delle professioni dell'area tecnica e degli ordini professionali, per la definizione dell'elenco speciale dei professionisti abilitati, al fine di assicurare la massima trasparenza nel conferimento degli incarichi di progettazione e direzione dei lavori di ricostruzione;
   il protocollo d'intesa prevede all'articolo 6, comma 1, lettere a) e b), che è vietato il conferimento di incarichi professionali per lavori pari o superiori a 25 milioni di euro e che, indipendentemente dall'importo dei lavori, nessun professionista può assumere un numero di incarichi superiori a 30, oltre a prevedersi il divieto di ricorso al subappalto;
   la disposizione richiamata, pur nel meritorio intento di evitare la concentrazione di incarichi solo in capo a pochi professionisti, tuttavia rischia, data l'ampiezza del territorio coinvolto e l'ingente quantità di immobili privati da recuperare, di penalizzare pesantemente i tecnici locali che, indipendentemente dall'entità economica degli incarichi conferiti, non potranno assumerne più di 30;
   i limiti quantitativi posti e il diniego del subappalto rischiano, inoltre, di penalizzare soprattutto gli interventi di ricostruzione di più modesta entità, conteggiati nel calcolo degli incarichi assumibili, in quanto meno remunerativi e quindi meno appetibili, rispetto ad interventi di maggiore entità;
   il rischio evidenziato, anche all'interrogante, dagli stessi ordini professionali è quello di agevolare grandi società di professionisti e di sfavorire i piccoli studi professionali che nelle Marche sono la maggioranza, con duri ed ulteriori contraccolpi rispetto al processo di ricostruzione in atto –:
   se ritenga opportuno intervenire per il tramite del commissario straordinario per il sisma, tenendo conto delle osservazioni, nonché delle criticità emergenti in merito all'applicazione dei limiti e dei divieti previsti nei provvedimenti indicati in premessa, al fine di riconsiderare, in particolare, le previsioni contenute all'articolo 6, comma, 1, lettere a) e b), del protocollo di intesa sopracitato, con particolare riguardo al numero massimo di incarichi attribuibili a ciascun professionista e alle problematiche connesse al divieto di subappalto, vista l'ampiezza del territorio coinvolto e l'ingente quantità di immobili privati da recuperare. (5-10329)


   BASILIO, FRUSONE, CORDA, RIZZO e TOFALO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 14 gennaio 2017, il Consiglio dei ministri ha deliberato, su proposta del Ministro della difesa Roberto Pinotti, la conferma dell'incarico di comandante generale dell'Arma dei carabinieri, fino al 15 gennaio 2018, conferito al generale di Corpo d'armata Tullio Del Sette;
   il generale Del Sette, per effetto della «riforma Madia», è però soggetto collocabile in quiescenza, avendo compiuto 65 anni nel 2016;
   l'articolo 6 del decreto-legge n. 90 del 2014 convertito dalla legge n. 114 del 2014 infatti regolamenta il «divieto di incarichi dirigenziali a soggetti in quiescenza», ed è da tenere in considerazione nel corso della proroga di Del Sette ed applicabile anche alle Forze armate, in quanto rientranti nel pubblico impiego;
   lo stesso articolo di legge prevede la possibilità di proroga di un anno ma solo nel caso di contratto a titolo gratuito tra il soggetto posto in quiescenza e l'amministrazione dello Stato che ne faccia richiesta;
   il Generale Del Sette, inoltre, risulta iscritto nel registro degli indagati, in un fascicolo aperto dalla procura di Napoli per rivelazione del segreto istruttorio e favoreggiamento, relativamente ad una indagine su un appalto Consip (la centrale d'acquisto della Pubblica amministrazione) da 2,7 miliardi di euro per aver comunicato all'attuale presidente della società, Luigi Ferrara, la possibilità di intercettazioni ambientali nei propri uffici;
   le cronache giornalistiche riferiscono anche che Del Sette, appresa la notizia dell'indagine aperta e del suo nome iscritto nel registro degli indagati, offrì le proprie dimissioni al Ministro Pinotti che vennero rifiutate, anzi, fu proposta la proroga dell'incarico per un ulteriore anno;
   è stato anche ascoltato dalla procura di Roma, attuale titolare delle indagini negando ogni suo coinvolgimento in merito;
   appare paradossale, pertanto, tale atteggiamento da parte del Governo atteso che le norme di arruolamento dell'Arma dei carabinieri, prevedono per gli aspiranti ufficiali partecipanti al concorso di arruolamento il seguente requisito: «l'aspirante ufficiale deve essere in possesso di qualità morali e di condotta incensurabili», mentre il Governo appare agli interroganti disposto a mantenere in carica un ufficiale attualmente inquisito dalla magistratura e sotto indagine dagli stessi uomini dell'Arma dei carabinieri;
   l'articolo 15 della legge n. 124 del 2015, conosciuta come «legge Madia» di riforma della Pubblica amministrazione disciplina i «rapporti fra procedimento disciplinare e procedimento penale per il Personale delle Forze Armate»;

il testo prevede l'estensione al personale militare della normativa del procedimento disciplinare avente ad oggetto fatti per i quali sta procedendo l'autorità giudiziaria; il procedimento deve essere avviato, proseguito e concluso anche in pendenza di un procedimento penale –:
   se il Governo alla luce di quanto previsto dall'articolo 6 del decreto-legge n. 90 del 2014, dall'articolo 15 della legge n. 124 del 2015 e dal codice dell'ordinamento militare in materia di provvedimenti disciplinari, non intenda assumere iniziative per rivedere la decisione circa la proroga dell'incarico al comandante generale dell'Arma dei carabinieri, Tullio Del Sette;
   per non ledere il buon nome dell'Arma medesima e l'onorabilità dei tanti uomini che con senso del dovere indossano l'uniforme della benemerita.
(5-10332)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 72 del 2001 ha introdotto, in ottemperanza all'articolo 9 della Costituzione, la tutela delle tradizioni storiche, linguistiche e culturali italiane delle comunità istriane, fiumane e dalmate residenti in Italia. In particolare, ha stabilito le tipologie specifiche dei progetti oggetto del sostegno economico statale, l'ammontare del contributo e la modalità di erogazione;
   il sito www.aise.it, nell'articolo del 2 gennaio 2017, ha informato che «ad oggi, 1° gennaio 2017, le associazioni degli esuli istriano-fiumano-dalmati non hanno ancora percepito dallo Stato i saldi dei contributi per i progetti 2012 ai sensi della legge statale 72/2001 e successive modifiche. Alcune attendono perfino i saldi 2009, 2010 e 2011. Per L'Arena di Pola (periodico dell'Associazione «Libero Comune di Pola in esilio) il 2017 si apre con la stessa amarezza con cui si è concluso il 2016 (...)»;
   nell'articolo del 15 gennaio 2017, il Piccolo di Trieste ha riportato come «(...) davanti alle difficoltà finanziarie degli enti dei profughi, i primi a essere sacrificati sono i pochi fogli rimasti a tenere in vita la memoria dell'esodo. Alcuni chiusi, altri ridotti alla sola edizione digitale ma destinati a sparire perché il danaro non basta nemmeno a pagare figure di direttori che sono ormai di fatto i factotum volontari delle rispettive testate. Il nodo sta nel blocco dei rimborsi previsti dalla legge del 2001, con cui il Governo dovrebbe sostenere i progetti culturali dell'associazionismo dell'esodo, fra cui rientra appunto anche la pubblicazione dei giornali»
   in relazione a quanto riportato dal quotidiano triestino, «nei primi anni tutto è filato liscio, a parte qualche fisiologico ritardo sui rimborsi dei progetti approvati, ma dal 2010 sono iniziati i guai. Da una parte, la stretta sulla spesa statale e, regole di rendicontazione sempre più stringenti; dall'altra associazioni e comitati abituati a presentare spesso progetti alla buona e rendiconti spesso incompleti o poco trasparenti a giustificazione delle spese sostenute. A peggiorare le cose, l'avvicendarsi di diversi funzionari statali delegati all'applicazione della legge e un'attenzione giunta ai limiti della diffidenza, con continue richieste di documentazione aggiuntiva: in alcuni casi anche per pratiche già approvate (...). L'esito è stato quello di bloccare l’iter di tutti rimborsi (...). Le associazioni che fanno riferimento alla legge 72/2001 aspettano dunque ancora l'erogazione di almeno una parte dei fondi 2009-2012, pari a 1,4 milioni»;
   il Piccolo ha spiegato, infine, che «Federesuli, cui è affidato il coordinamento delle principali organizzazioni degli esuli, garantisce che da settembre le risorse sono state finalmente messe a disposizione sul conto della Banca d'Italia, ma nulla si muove nonostante le ripetute rassicurazioni dei ministeri interessati. A risentirne sono ora i giornali: La Voce di Fiume ha già chiuso, L'Arena di Pola e Il Dalmata sono diffusi da mesi solo in versione digitale, La Nuova Voce Giuliana sta per passare da quindicinale a mensile. La questione appare grottesca davanti alla constatazione che, nel frattempo, i ministeri competenti e Federesuli hanno rinnovato la convenzione per i fondi relativi al triennio 2016-2018 con uno stanziamento da 2,4 milioni (...)»
   come si spieghi la mancata erogazione dei fondi di cui in premessa;
   quali iniziative, e secondo quali tempistiche, il Governo intenda urgentemente attivare per l'erogazione dei dovuti indennizzi alla Federazione delle associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati finalizzati alla pubblicazione e alla diffusione degli organi di informazione.
(4-15258)


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il passaporto è sia un documento di viaggio che di riconoscimento. Secondo l'articolo 2 della legge 1185 del 1967 è valido per tutti i Paesi i cui Governi sono riconosciuti dal Governo italiano e, a domanda dell'interessato, può essere reso valido per i Paesi i cui Governi non sono riconosciuti mediante l'indicazione delle località di destinazione;
   l'articolo 5-bis, comma 1, del decreto-legge 24 aprile 2014 n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 143 del 23 giugno 2014, ha stabilito l'introduzione di un contributo amministrativo di euro 73,50 per il rilascio del solo passaporto ordinario, incluso il rilascio a favore di minori, oltre al costo del libretto (pari a euro 42,50) e ha definito l'abolizione della tassa di rilascio per tutti i passaporti (compresi quindi quello temporaneo e quello collettivo, che restano assoggettati al solo costo del libretto) e di quella annuale del passaporto ordinario;
   il 3 gennaio 2017, il sito www.guidafisco.it ha ricordato che, con la legge n. 89 del 2014, è stata abolita la concessione governativa da 40,29 euro che doveva essere apposta annualmente sul passaporto per chi viaggiava al di fuori dell'Unione europea;
   «ciò che, invece, aumenta è il costo di rilascio del passaporto che sale a 73,50 euro, più il costo del libretto che rimane fisso a 42,50 euro, per un totale di 116,00 euro. L'aumento dei costi di rilascio, pertanto, compenserebbe il mancato incasso da parte dello Stato dei contrassegni telematici annuali da apporre al passaporto(...)»;
   il sito online www.ttgitalia.com ha riportato la notizia che è allo studio l'elaborazione di un decreto-legge che permetterà di non dover corrispondere più allo Stato la marca da bollo da 73,50 euro prevista per il rilascio del documento. Una tassa che, nelle parole del viceministro all'Economia, Luigi Casero, garantisce, «poco gettito e molto disturbo»;
   la stessa testata, il 13 gennaio 2017, ha informato della pubblicazione sul sito Change.org di una petizione per ridurre la marca da bollo da 73,50 per il rilascio del passaporto;
   nello specifico, la petizione sottolinea che «il costo del passaporto italiano è il più caro di tutta l'Europa» e richiede in particolare di «ridurre il costo e adeguarlo ai livelli degli altri Paesi europei, in quanto porterebbe ad un risparmio per tutti coloro che risiedono all'estero e che per semplicità di controlli ne hanno bisogno» –:
   se il Governo non ritenga opportuno valutare la possibilità di intervenire anche alla luce della petizione pubblicata da Change.org e chiarire le tempistiche necessarie all'adozione delle iniziative normative di cui in premessa. (4-15261)


   CAPELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 luglio 1995, n. 502, stabilisce nella misura massima di 154.937 euro la retribuzione del direttore generale di un'azienda sanitaria, sommando, eventualmente, fino a 5.165 euro per iniziative alle quali debba partecipare per esigenze connesse al proprio ufficio, ed un bonus, nella misura massima del 20 per cento, in relazione al conseguimento degli obiettivi assegnati;
   la legge regionale della Sardegna n. 17 del 2016, all'articolo 17, stabilisce che «il trattamento economico dei direttori generali delle aziende sanitarie della Sardegna è determinato dalla Giunta regionale, tenuto conto dei livelli remunerativi del settore, ed è graduato in relazione a parametri relativi al numero di assistiti, di posti letto e al numero di dipendenti, per tipologia di azienda sanitaria, e può essere integrato di una ulteriore quota, fino al 20 per cento dello stesso, previa valutazione relativa al raggiungimento degli obiettivi di cui al comma 1 dell'articolo 16 della legge regionale n. 10 del 2006, (...) nel rispetto del limite massimo al trattamento economico del personale pubblico e delle società partecipate, di cui all'articolo 13, comma 1, del decreto-legge n. 66 del 2014 (...)»;
   il parere della ragioneria generale dello Stato relativo al citato articolo segnala che «l'assenza di riferimento al rispetto di quanto previsto in materia dal DPCM 502/1995 (...), le cui disposizioni costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, è suscettibile determinare oneri non quantificati e non coperti, quindi in contrasto con gli articoli 81 e 117, comma 3, della Costituzione»;
   l'Ufficio legislativo del Ministero della salute, anche dopo i chiarimenti forniti dal presidente della regione Sardegna, continua a rimarcare che «l'abrogazione operata dal legislatore regionale appare foriera di un'ampia discrezionalità in capo alla regione poiché svincolata dai parametri stabiliti a livello nazionale nella determinazione dei compensi attraverso il DPCM 19 luglio 1995, n. 502 (...)»;
   appaiono all'interrogante insoddisfacenti e con un debole fondamento giuridico, le controdeduzioni fornite in merito dalla regione Sardegna, in quanto i pronunciamenti della Corte Costituzionale a cui si fa riferimento (in particolar modo, la sentenza n. 341 del 30 dicembre 2009) mai parlano espressamente del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 502 n. 1995;
   in particolare, con la sentenza n. 341 si dichiarano inapplicabili alla provincia autonoma di Trento i contenuti dei commi 14 e 15, primo periodo, dell'articolo 61 della legge n. 133 del 2008, con cui si riducono del 20 per cento i compensi dei direttori generali delle asl, applicati, invece, dalla regione Sardegna fino alla citata legge regionale;
   il presidente della regione Sardegna impegnava la giunta regionale a proporre al consiglio regionale le modifiche normative richieste dal Ministero della salute, ma in realtà a tutt'oggi questo non è mai avvenuto;
   il decreto-legge n. 66 del 2014, stabilisce che «sono in ogni caso fatti salvi gli eventuali limiti retributivi in vigore al 30 aprile 2014 determinati per effetto di apposite disposizioni legislative, regolamentari e statutarie, qualora inferiori al limite fissato dal presente articolo»;
   al contrario, la retribuzione del direttore generale dell'azienda per la tutela della salute è stato fissato nella misura di 200.000 euro, prevedendo un massimale di 240.000 euro, ben al di sopra dei limiti imposti dalla normativa vigente;
   lo stesso dicasi per il direttore generale dell'azienda ospedaliera universitaria di Sassari, di Cagliari e dell'azienda ospedaliera «Brotzu» di Cagliari, e per i direttori sanitari ed amministrativi di tutte le aziende sanitarie citate –:
   se il Governo non ritenga opportuno promuovere un approfondimento su quanto esposto in premessa, e quali iniziative di competenza intenda assumere, anche nelle competenti sedi di concertazione con le regioni, in relazione alla problematica sopra esposta. (4-15262)


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di agosto 2016 il comune di Tropea è stato sciolto per infiltrazioni mafiose;
   come si legge un articolo del giornalista Francesco Barritta sul portale della testata giornalistica Tropea Informa al link abbreviato http://bit.ly/2jvd02d, molte attività del litorale di Tropea (Vv) hanno subito danni a causa del maltempo dei giorni scorsi;
   ennesimi crolli sul lungomare «Antonio Sorrentino» hanno causato, si legge nell'articolo, ingenti danni ai lidi di Marina del Convento;
   «i cedimenti più consistenti dell'opera pubblica — prosegue l'articolo — hanno interessato due tratti in particolare, quello del piazzale ai piedi della scalinata del Marina del Convento e il tratto immediatamente successivo, che collega lo stesso piazzale al parcheggio di Rocca Nettuno, lato mare»;
   «il collasso totale dei due tratti — continua l'articolo citato — era stato ampiamente preannunciato nei mesi scorsi da evidenti lesioni e i due tratti avevano mostrato segni di cedimento e danni consistenti anche negli anni passati»;
   «se da un lato — si legge nello stesso articolo — i crolli del lungomare hanno danneggiato le strutture turistiche, dall'altro lato anche la furia del mare ha fatto altrettanti danni agli stessi e ai lidi vicini»;
   «al di là delle critiche alla validità del progetto del lungomare e alla bontà della successiva realizzazione, bisogna oggettivamente riconoscere prosegue la citata fonte giornalistica — che venti anni fa il tratto di litorale era differente da oggi e la spiaggia aveva una larghezza almeno quadrupla rispetto ad oggi»;
   «l'unica certezza — si legge — è che bisogna correre ai ripari guardando in faccia la realtà: l'erosione costiera sta rapidamente cancellando la spiaggia di Marina del Convento e l'uomo può far poco per tamponare il fenomeno»;
   «più che tentare di tamponare questa emergenza, sarebbe necessario — a parere dell'articolista — cercare di capire e di riconoscere, oltre che di accettare, la causa del problema, che quasi certamente ha avuto origine nel momento in cui l'uomo ha iniziato ad abbandonare la cura dei letti delle fiumare (senza parlare della costruzione del porto turistico nel punto in cui confluiscono tre fiumare), e ad avere poca attenzione verso il territorio» –:
   quali conseguenti iniziative di competenza intendano assumere a tutela del territorio in questione, della spiaggia tropeana e delle attività economiche dell'area interessata, dunque dell'occupazione e dell'indotto relativi alla comunità locale, pure danneggiata dalla penetrazione della criminalità. (4-15265)


   PESCO, DALL'OSSO, ALBERTI, SCAGLIUSI, DEL GROSSO, CANCELLERI, L'ABBATE, DA VILLA, TERZONI, DE ROSA, CARIELLO, VILLAROSA, D'INCÀ, CECCONI, CRIPPA e SIBILIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 19 dicembre 2016 sul sito Ansa.it appare un articolo con titolo «Porto Montenero, 3 esposti a tre Procure – accertamenti da parte di inquirenti Larino, Arezzo e Ferrara» ove si legge e apprende: «L'edificazione del porto di Montenero di Bisaccia “Marina Sveva”, la concessione di un finanziamento di 13,5 milioni di euro da parte di Banca Etruria per la costruzione dello scalo, il fallimento di una delle società che hanno realizzato l'opera, sono al centro di tre diversi esposti presentati alla Procura di Larino (Campobasso), alla Procura di Arezzo ed alla Procura di Ferrara da parte di un progettista nonché ideatore dell'infrastruttura. Una vicenda complessa quella che interessa lo scalo montenerese sul quale sono aperti più filoni d'indagine. A Larino (Campobasso) è aperto un fascicolo per abuso d'ufficio e reati edilizi a seguito di un'istanza presentata da uno dei soci fondatori dell'opera mentre la Procura di Arezzo è al lavoro nell'ambito di una più ampia inchiesta per bancarotta fraudolenta su finanziamenti concessi dalla vecchia Banca Etruria tra i quali quello di 13,5 milioni di euro per il porto di Montenero di Bisaccia. La Procura ferrarese, invece, è stata chiamata in causa per il fallimento di una delle società che hanno realizzato l'opera. Chiede chiarezza, uno dei progettisti nonché ideatore dell'opera. “La prima denuncia/querela l'ho presentata presso la Procura di Larino – dice all’Ansa il professionista di Termoli – Carlo Zaccardi – per la difficoltà di avere accesso agli atti inerenti lo scalo. A seguito della visione dei documenti riscontrai quelle che, a mio parere, potrebbero presentarsi come possibili irregolarità costruttive, tanto che le sottoposi all'attenzione della stessa Procura perché valutasse se le mie impressioni fossero anche la realtà dei fatti. Nel frattempo a seguito di alcuni comportamenti poco chiari feci altri esposti. Oltre alla Procura di Arezzo, ho interessato anche la Procura di Ferrara”»;
   dal sito www.malvezziandpartners.com si apprende che gli stessi hanno provveduto a redigere la due diligence bancaria per conto di Banca Etruria per il lavoro definito «S.M.M. s.r.l. (Gruppo CCC Bologna) Progettazione, costruzione e gestione del porto turistico “Marina Sveva” in località Costa Verde Comune di Montenero di Bisaccia (CB)»;
   con determinazione del direttore generale dottor Pasquale Mauro Di Mirco del 20 maggio 2014 si approvava l'atto unico di collaudo finale, inerente ai lavori di realizzazione del porto turistico denominato «Marina Sveva» nel comune di Montenero di Bisaccia (Campobasso), località «Costa Verde», rilasciato in data 15 maggio 2014 dalla incaricata commissione di vigilanza e collaudo finale;
   risulterebbe che tra i motivi delle indagini sul finanziamento da 13,5 milioni di euro di Banca Etruria ci sia la non corrispondenza tra l'importo erogato e i costi dell'opera. Opera che doveva essere eseguita da un consorzio di cooperative, che, come evidenziato anche in precedenti atti ispettivi al consiglio regionale, è risultato lavorare spesso oltre il rispetto delle regole. Se in una banca come BPEL ci sono così tanti finanziamenti erogati senza nessun controllo, senza garanzie sufficienti, classificabili come «Fidi facili», che poi non sono stati onorati e interessati da parte della procura per probabile bancarotta, ci si chiede quanti ce ne potrebbero essere in una banca come MPS guidata da condizionamenti politici e in tutte le altre banche italiane. In precedenti atti di sindacato ispettivo, è stato evidenziato quanto la vigilanza di Bankitalia e la normativa antiriciclaggio abbiano fallito nei loro adempimenti –:
   se il Governo non intenda immediatamente assumere iniziative affinché si trovino immediate risposte normative al fine di permettere al nucleo della Guardia di finanza di verificare, direttamente e con urgenza, tutte le grandi esposizioni dei gruppi bancari a rischio di insolvenza o bail-in, in primis Monte Paschi di Siena, al fine di evitare danni ai risparmiatori tutelati dall'articolo 47 della Costituzione, e danni erariali allo Stato italiano;
   a quanto ammonti il totale complessivo dei depositi oltre i 100.000 euro di società partecipate dallo Stato italiano, regioni ed enti locali sui conti correnti a loro intestati presso la Banca Monte dei Paschi di Siena. (4-15267)


   RICCIATTI, FRANCO BORDO, SCOTTO, FRATOIANNI, MELILLA, FERRARA, DURANTI, PIRAS, QUARANTA, SANNICANDRO, AIRAUDO e FOLINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con interpellanza urgente n. 2-01574 a prima firma dell'interrogante, presentata alla Camera dei deputati in data 13 gennaio 2017, nella seduta n. 723, si segnalava la difficile situazione degli allevatori nelle zone terremotate delle Marche, chiedendo il Presidente del Consiglio dei ministri: se il Governo, anche attraverso il commissario straordinario per la ricostruzione, non intendesse fornire spiegazioni sui ritardi nelle forniture delle strutture da adibire ad uso stalla; se fosse in grado di chiarire le tempistiche dell'arrivo delle strutture provvisorie e/o delle azioni di intervento per rendere agibili le stalle danneggiate nelle aree del cratere; quali iniziative urgenti intendesse adottare al fine di evitare che le avverse condizioni meteorologiche, che si protrarranno prevedibilmente per l'intera stagione invernale, siano ulteriore causa di deperimento capi bestiame e di gravi perdite per gli allevatori;
   il Ministro interrogato nel corso di un incontro tenutosi in data 10 gennaio 2017 presso la regione Marche con il presidente della regione Luca Ceriscioli, il commissario straordinario per la ricostruzione Vasco Erravi, il capo del dipartimento della protezione civile Fabrizio Curcio e la vicepresidente della giunta regionale Anna Casini, con le associazioni di categoria degli allevatori ha affermato che «Gli strumenti ci sono già. Possiamo operare nell'ambito dell'ordinanza emergenziale di fine novembre, che consente un campo di azione ed intervento diretto e, grazie alle istituzioni pubbliche, unico nel suo genere. Penso in particolare al rimborso al 100 per cento da parte del Commissario all'emergenza delle spese per la continuità produttiva sostenute dai privati. Non si è mai sperimentata una capacità di iniziativa di così largo raggio per interventi emergenziali come quella che abbiamo di fronte. Dobbiamo comunque fare di più e presto. [..] Da parte del ministero a febbraio partirà la prima tranche di interventi di aiuti agli allevatori per coprire il mancato reddito da 11 milioni di euro. Questa azione completa e irrobustisce una strategia che abbiamo messo in campo sin dal 24 agosto quando abbiamo anticipato circa 65 milioni di euro di risorse europee per dare più liquidità alle aziende agricole.» (nota regione Marche 11 gennaio 2017);
   la Coldiretti Marche in data 18 gennaio 2017 hanno dato notizia di «due stalle di aziende terremotate crollate a Gualdo, nel Maceratese, per il peso della neve uccidendo o ferendo una novantina di capi tra mucche e pecore»;
   il presidente di Coldiretti Marche, Tommaso Di Sante, e il direttore Enzo Bottos hanno sottolineato come entrambe le aziende aspettavano da 5 mesi i moduli promessi dalla regione, chiedendo un'assunzione di responsabilità da parte di chi ha sbagliato, perché «non è accettabile che si sia arrivati ad oggi con appena due stalle mobili completate rispetto a quelle necessarie per un terremoto che ha colpito cinque mesi fa» (Ilsole24ore.com, 18 gennaio 2017);
   la stessa organizzazione ha inoltre denunciato come il costo dello smaltimento delle carcasse di capi deceduti sia a carico degli agricoltori –:
   se trovi conferma che i costi di smaltimento delle carcasse siano a carico degli agricoltori o allevatori ed, in caso positivo, quali iniziative si intendano assumere al riguardo;
   se non si intendano assumere iniziative volte a chiarire, per quanto di competenza, le responsabilità relative ai ritardi nella fornitura delle stalle mobili, posto che, a detta dello stesso Ministro interrogato, iniziative per fronteggiare l'emergenza erano già state adottate a partire dal sisma del 24 agosto 2016. (4-15286)


   LATRONICO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 3 aprile 2007 le autorità italiane hanno notificato alla Commissione europea la misura, di cui all'articolo 1, comma 266, lettera a), della legge 27 dicembre 2006, n. 296) – cosiddetto cuneo fiscale (riduzione delle base imponibile IRAP) – a norma dell'articolo 88, paragrafo 3, del trattato CE, per motivi di certezza giuridica, ovvero per poter escludere che tale misura potesse essere considerata «aiuto di Stato»;
   in base alla legge sopra citata erano state escluse dal «vantaggio fiscale»: banche, imprese di assicurazioni, imprese operanti in concessione e tariffa nei settori dell'energia, dell'acqua, dei trasporti, delle poste, delle telecomunicazioni, della raccolta e depurazione delle acque di scarico e della raccolta e smaltimento rifiuti;
   per i pubblici servizi, l'Italia ha chiarito che l'esclusione dal vantaggio della misura riguarderebbe soltanto quelli gestiti sulla base di una tariffa regolamentata e di una concessione traslativa e che tali criteri sono cumulativi e non alternativi. La Commissione ha evidenziato che «in base a quanto dichiarato dall'Italia, l'esclusione dai vantaggi si applicherebbe soltanto nei casi in cui il metodo di fissazione della tariffa da parte dell'autorità di regolamentazione compensi i costi fiscali dei pubblici servizi». Secondo lo Stato italiano «l'autorità di regolamentazione, nel fissare una tariffa, tiene conto dei costi fiscali (IRAP compresa)» e l'esclusione dei pubblici servizi dalle deduzioni non nuocerebbe ai pubblici servizi. Le autorità italiane hanno giustificato l'esclusione sostenendo che essa ha lo scopo di evitare la potenziale sovracompensazione generata dalla misura, in quanto il livello delle tariffe è stato determinato tenendo conto dell'IRAP prima della riforma senza le deduzioni dalla base imponibile introdotte dalla misura. Per effetto di tale impegno italiano la Commissione ha deciso (Bruxelles 12.IX.2007 – C.2007 – 4133) «di non sollevare obiezioni relativamente alla misura poiché essa non costituisce aiuto di Stato ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 1 del trattato CE»;
   come da denuncia presentata dalla Anav, l'Agenzia delle entrate ha emanato plurimi avvisi di accertamento nei confronti di società-esercenti l'attività di trasporto pubblico locale, pur trattandosi di imprese non operanti in regime di concessione traslativa e nemmeno in quello di «tariffa remuneratoria». In tutti i casi si trattava di un contratto di servizi in base ad un corrispettivo determinatosi per effetto di un'aggiudicazione con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa. Tant’è che i giudici tributari hanno annullato gli accertamenti dell'Agenzia dell'entrate, poiché trattavasi di imprese non operanti in regime di concessione traslativa, né con tariffa remuneratoria né con obbligo da parte dell'Ente affidante di copertura integrale di tutti gli oneri fiscali;
   nonostante la chiarezza della decisione C 4133/2007 della Commissione europea, all'evidenza l'Agenzia delle entrate non si è adeguata ad avviso dell'interrogante creando un indebito aumento del gettito fiscale, danneggiando le imprese che avevano fatto legittimo affidamento sugli impegni assunti dall'autorità italiana nei confronti della Commissione europea e agendo in contrasto con l'articolo 87, paragrafo 1, del Trattato CE, in quanto tale atteggiamento finisce per configurare palesemente «aiuto di Stato» da parte dell'Italia, in quanto di «natura selettiva» –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto descritto, in premessa e quali iniziative, anche normative, intenda adottare per chiarire se in base alla disciplina europea rientrino nel vantaggio fiscale Irap di cui in premessa tutte le imprese che abbiano stipulato o stipulino con l'ente pubblico un contratto di servizi in base ad un corrispettivo determinatosi per effetto di un'aggiudicazione con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa e la cui tariffa non tiene espressamente conto della copertura integrale degli oneri fiscali. (4-15289)


   PAGLIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   i volontari di Operazione Colomba – Corpo Nonviolento di pace della Comunità Papa Giovanni XXIII presente dal 2004 nell'area a sud di Hebron (Cisgiordania) e di stanza presso il villaggio di At-Tuwani – hanno denunciato (e documentato attraverso un video) che lo scorso gennaio alcuni loro volontari e attivisti dell'organizzazione pacifista israeliana Ta'ayush sarebbero stati aggrediti da coloni israeliani mentre tornavano a casa dopo avere accompagnato un contadino palestinese ad arare la propria terra, vicino all'avamposto coloniale israeliano di Havat Ma'on, con provocazioni, travisamenti, spintoni e lanci di pietre, fino al furto di una fotocamera ai danni di una volontaria italiana;
   alcuni avamposti coloniali, tra cui quello di Havat Ma'On, risultano illegali anche per la legge israeliana oltre che per quella internazionale che vieta l'insediamento e il trasferimento di popolazione civile da parte di uno Stato nei territori di un altro popolo che ha occupato militarmente;
   nonostante ciò, gli avamposti israeliani nella Cisgiordania occupata ammontano ad almeno 100 e, malgrado le assicurazioni date nel corso degli anni dalle autorità israeliane, solo in casi rari sono stati rimossi dall'Esercito;
   l'operato di realtà come Operazione Colomba in quelle zone permane necessario per documentare attacchi che costituirebbero la norma per i palestinesi che vivono nelle colline a sud di Hebron, ostacolati nel lavorare la terra e nella loro libertà di movimento; i volontari di Operazione Colomba, nel solo 2016, sostengono di avere registrato 80 casi di aggressione, abuso o intimidazione solamente da parte dei coloni dell'avamposto di Havat Ma'on, anche a danno di donne e bambini, con i coloni autori delle aggressioni sostanzialmente impuniti a causa della tolleranza delle forze militari, invece inflessibili nei confronti dei palestinesi –:
   il Governo sia al corrente di questo ed altri casi, che compromettono l'utile ruolo di Operazione Colomba nell'accompagnare i cittadini palestinesi e proteggerli da attacchi e abusi, favorendo il dialogo e la riconciliazione tra le parti e documentando all'occorrenza la violazione dei diritti umani. (4-15293)


   FRACCARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   con deliberazione consiliare n. 47 del 2013 il comune di Levico Terme ha approvato una variante al piano regolatore generale per l'aggiornamento del piano di tutela degli insediamenti storici sulla base della disciplina urbanistica dettata dall'allora vigente legge della provincia di Trento 1/2008, fissando il termine al 15 dicembre 2013 per osservazioni al piano e inviando gli atti al servizio urbanistica per il parere prescritto dalla citata norma;
   successivamente, la legge provinciale per il governo del territorio n. 15 del 2015, ha introdotto una nuova disciplina urbanistica per i centri storici, modificando le modalità per l'approvazione di una variante al piano regolatore generale;
   l'articolo 121, comma 12, della suddetta legge prevede che alle varianti in corso di approvazione si applicano le nuove norme e stabilisce un termine perentorio di 120 giorni dalla data di ricevimento del menzionato parere per procedere all'adozione definitiva della variante, pena l'estinzione del procedimento;
   con deliberazione consiliare n. 26 del 2016, il comune di Levico Terme ha approvato la variante in via definitiva accogliendo le osservazioni pervenute, quasi due anni fuori termine e con modalità non conformi alle disposizioni della legge provinciale 15/2015;
   come si apprende dalla risposta all'interrogazione provinciale a risposta scritta, n. 3460 del 2016, la giunta provinciale, posta di fronte a quelle che appaiono palesi irregolarità, non ha approvato nel termine prescritto di 60 giorni la variante in argomento; 
   al fine di sanare le irregolarità è stato quindi approvato un emendamento all'articolo 46 della legge provinciale 29 dicembre 2016, n. 20, che ha modificato l'articolo 121, comma 12-bis, della legge 15/ 2015, in base al quale, la seconda adozione di una variante cui procedimento è stato avviato prima dell'entrata in vigore della legge provinciale 15/2015 e per la quale l'adozione definitiva è intervenuta oltre il termine perentorio dei 120 giorni dal ricevimento del parere del servizio urbanistica, può essere ritenuta valida come prima adozione della stessa;
   a parere dell'interrogante, la legge provinciale n. 20 del 2016, nel dettare una nuova disciplina della materia, si configura come una legge provvedimento che incide sul procedimento amministrativo in relazione al quale la pubblica amministrazione ha consumato il proprio potere, operando una sorta di rimessione in termini, con il chiaro ed esclusivo intento di convalidare ex post una sequenza provvedimentale che appare illegittima, in palese contrasto con i principi di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa di cui all'articolo 97 della Costituzione e con i criteri di ragionevolezza e non arbitrarietà; 
   dall'interrogazione provinciale n. 3893 del 2017, si evince che tale variante risulterebbe affetta da plurimi profili di irregolarità e non sarebbe conforme alla disciplina urbanistica dei centri storici introdotta dalla legge provinciale 15/2015; 
   la Corte costituzionale in più occasioni ha rimarcato che la legittimità delle leggi provvedimento deve essere verificata attraverso uno scrutinio stretto di costituzionalità, condotto alla stregua del principio di ragionevolezza nelle sue molteplici declinazioni di non arbitrarietà, di proporzionalità, di adeguatezza, di congruità anche in considerazione del pericolo di disparità trattamento insito in previsione di tipo particolare o derogatorio (ex plurimis, le sentenze nn. 2 e 153/1997; 288/2008; 270/2010). Ciò anche quando la funzione legislativa è stata attivata al fine di aggirare la sequenza procedimentale prescritta in ordine all'adozione di una determinazione concreta, eludendo l'osservanza della relativa procedura già normativamente prevista (sentenza n. 67/2010) –:
   se il Governo intenda assumere le iniziative di competenza per sollevare la questione di legittimità costituzionale, ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione, in relazione all'articolo 46, comma 6, della legge della provincia di Trento n. 20 del 2016 con riferimento ai profili in premessa. (4-15299)


   PAGLIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 gennaio 2017 l'avvocato Barbara Spinelli si recava in Turchia per partecipare al convegno internazionale «Il sistema di giustizia durante lo stato di emergenza», ad Ankara, nell'ambito del quale il giorno seguente avrebbe dovuto tenere una relazione sul ruolo degli osservatori, internazionali nella denuncia delle violazioni dei diritti umani;
   nella sua veste professionale e come attivista dei diritti umani, Barbara Spinelli era stata più volte in quel Paese negli ultimi anni, sia come osservatore internazionale a processi in cui erano imputati avvocati, sia come osservatrice elettorale, sia per verificare le violazioni dei diritti umani sei civili nelle municipalità curde sottoposte a coprifuoco;
   all'arrivo all'aeroporto di Istanbul (Sabiha Gohce), viene fermata dalla polizia di frontiera e trattenuta presso l'aeroporto, nei locali del commissariato;
   nonostante si qualifichi come cittadina italiana e avvocato, non le viene permesso di contattare il consolato, e dinanzi alle sue richieste in tal senso, le viene ripetutamente richiesto di consegnare il telefono cellulare;
   Barbara Spinelli rifiuta di farlo, nonostante l'atteggiamento palesemente intimidatorio delle forze di polizia, e ottiene infine di poter consegnare esclusivamente la batteria;
   allo stesso tempo ottiene che la perquisizione non riguardi i suoi libri e le sue agende;
   viene quindi presa in consegna dalle forze speciali, che la rinchiudono in una cella di sicurezza di circa 10 metri quadri, insieme ad altre 4 donne, senza la possibilità di comunicare con l'esterno, chiusa a chiave, con luci molto forti sempre accese una telecamera di sorveglianza puntata su di lei; 
   solo dopo 16 ore viene prelevata da una hostess della Pegasus per essere imbarcata verso l'Italia; ancora una volta Barbara Spinelli insiste per la notifica del provvedimento di respingimento, fino ad allora negatole;
   solo dopo essere stata imbarcata (a quanto consta all'interrogante, isolata in fondo all'aereo, con cinque file di distanza tra lei e gli altri passeggeri) le vengono restituite le batterie del telefono; qui riceve la telefonata della console, che la notte era stata allertata dai contatti arrivati dalla Spinelli prima che iniziasse il fermo, e da cui apprende che la notte le era stato impedito sia di vederla sia di parlarle telefonicamente;
   l'interrogante ritiene che questo comportamento dello Stato turco sia lesivo dei diritti fondamentali e delle convenzioni internazionali –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per tutelare i diritti dei concittadini italiani che debbano recarsi in Turchia e se abbia provveduto ad inoltrare una formale protesta al Governo turco per il trattamento riservato ad una cittadina italiana;
   come si intenda garantire, per quanto di competenza, la possibilità per i connazionali italiani di continuare a recarsi in quel Paese per documentare lo stato della democrazia e dei diritti civili e politici, che appaiono in preoccupante e rapido deterioramento. (4-15300)


   PAGLIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel 2002 il comune di Brescello licenziava Donato Ungaro, vigile urbano in dipendenza dello stesso, dopo che questi aveva denunciato pubblicamente episodi di malaffare legati al territorio;
   l'Ungaro evidenziava la crescente penetrazione delle famiglie di ’ndrangheta, il fenomeno delle escavazioni abusive nell'alveo del Po, il prelievo di sabbia oltre i limiti consentiti nelle cave autorizzate, l'uso di scarti di fonderia come sottofondo stradale, irregolarità in un progetto di realizzazione in riva al Po di una centrale turbogas. Il risultato sono stati ripetuti episodi di intimidazione ai danni di Ungaro (minacce, due tagli degli pneumatici, querele temerarie, tentato incendio di una proprietà);
   il licenziamento era tuttavia conseguenza di un articolo della Gazzetta di Reggio – a cui Ungaro ha collaborato – in cui si portava alla luce l'aumento preoccupante di malattie tumorali, così come segnalato da un medico di base di Brescello. A seguito dell'articolo, l'AUSL ha avviato un'indagine i cui risultati hanno portato alla creazione del registro provinciale dei tumori;
   il sindaco di Brescello era allora Ermes Coffrini, padre di Marcello Coffrini, a sua volta sindaco dello stesso comune dal 2014 al 20 aprile 2016, quando la sua amministrazione fu sciolta per infiltrazioni mafiose con conseguente commissariamento (Marcello Coffrini si è dimesso poco prima dello scioglimento);
   a seguito del licenziamento, Ungaro si opponeva in tribunale all'atto, ottenendo una prima volta soddisfazione nel 2010, quando veniva disposta la reintegra con conseguente saldo degli arretrati;
   successivamente, sia la Corte d'appello che la Corte di cassazione confermavano la decisione;
   la sentenza non produceva tuttavia effetti fino al 10 giugno 2013, quando, secondo quanto emerge anche da fonti di stampa, Ungaro sarebbe stato chiamato per riprendere servizio immediatamente, dunque senza il necessario preavviso previsto dalla legge, che stabilisce in 30 giorni il tempo che deve intercorrere fra comunicazione di ripresa del lavoro e ripresa stessa;
   dieci giorni dopo Ungaro comunicava all'amministrazione di voler rinunciare alla reintegra, sostituendola con le 15 mensilità di penale previste dalla normativa;
   non avendo ottenuto alcuna risposta a tale richiesta, nell'ottobre 2014, Ungaro chiedeva il pignoramento nei confronti del comune di Brescello, per un importo pari a mensilità arretrate, indennità sostitutiva della reintegra e Trattamento di fine rapporto;
   la risposta del comune è che nulla sia dovuto per l'indennità sostitutiva del reintegro di cui all'articolo 18 legge 300 del 1970, perché la richiesta di indennità sostitutiva avrebbe dovuto essere fatta nel 2010 al tempo della prima sentenza;
   in questo modo non si capisce come debba intendersi l'operato del comune, dato che Ungaro non è messo nelle condizioni di essere reintegrato né di scegliere una condizione alternativa;
   tale atteggiamento del comune poteva intendersi legato all'evidente continuità politica dell'amministrazione, dal momento del licenziamento a quello del mancato reintegro, ma non si spiega come possa perdurare anche ora;
   risulta, infatti, che, al momento, la commissione straordinaria del Governo, incaricata della gestione del comune, non vi abbia ancora provveduto;
   in particolare, il 21 dicembre 2016 è stato disposto il pagamento di parte degli stipendi arretrati, senza che, ad oggi, siano tuttavia ancora giunti nella disponibilità di Ungaro, ma nulla è stato fatto, a quanto risulta all'interrogante, rispetto alla reintegra, a cui evidentemente il lavoratore continua ad avere diritto –:
   se risulti al Governo la ricostruzione dei fatti così come esposta in premessa;
   se non ritenga di dover immediatamente assumere ogni iniziativa di competenza affinché, per il tramite dei commissari dottori Formiglio, Oriolo e Di Matteo si ponga fine positivamente ad una vicenda che si trascina da troppo tempo, originata da un atto di coraggio e responsabilità civica di Donato Ungaro. (4-15301)


   PLACIDO e SCOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Terna s.p.a. è unico gestore della Rete di trasmissione nazionale (RTN) che costituisce la rete elettrica ad alta ed altissima tensione su tutto il territorio nazionale alla quale afferiscono, tanto gli elettrodotti ad alta tensione (AT) ed altissima tensione (AAT), quanto le stazioni elettriche (SE) di smistamento, nonché le stazioni elettriche di trasformazione da alta e ad altissima tensione (AT/AAT);
   Terna s.p.a. si definisce committente/proprietaria delle stazioni elettriche in questione e ne chiede puntualmente la voltura (anche se l'autorizzazione viene rilasciata ad un'altra società) a riprova, a giudizio degli scriventi, che sono opere della RTN;
   la normativa in materia di procedimenti autorizzativi delle suddette stazioni, a servizio di impianti di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile, viene individuata nell'articolo 12, comma 3, del decreto legislativo n. 387 del 2003;
   occorre considerare che ogni società proponente un impianto di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile, con potenza superiore a 10 megawatt, deve chiedere la connessione alla società Terna che possiede ed è unico gestore della RTN e che è tenuta a rilasciare una soluzione di connessione denominata «preventivo di connessione» e tecnicamente definito STMG (soluzione tecnica minima generale);
   in materia è poi sopraggiunto l'articolo 3, comma 3, del decreto ministeriale 10 settembre 2010, nel quale si precisa che una stazione di raccolta può trovarsi nell'autorizzazione unica del generico impianto fotovoltaico/eolico, se specificatamente inserita nel preventivo di connessione;
   esaminando una serie di preventivi di connessione (tecnicamente chiamati STMG), risulta che viene citata la stazione elettrica o le stazioni elettriche, ma il preventivo (inteso ovviamente come costo che la società deve versare al gestore della Rete) non riguarda le stazioni elettriche;
   in base all'articolo 4, comma 4, del decreto legislativo n. 28 del 3 marzo 2011, «I gestori di rete, per la realizzazione di opere di sviluppo funzionali all'immissione e al ritiro dell'energia prodotta da una pluralità di impianti non inserite nei preventivi di connessione, richiedono l'autorizzazione con il procedimento di cui all'articolo 16, salvaguardando l'obiettivo di coordinare anche i tempi di sviluppo delle reti e di sviluppo degli impianti di produzione»;
   puntualmente, nell’iter autorizzativo per impianti alimentati da fonte rinnovabile (generalmente impianti eolici) vengono inserite anche una o più stazioni elettriche della RTN (quindi opere di una rete che vede Terna unico gestore) le quali vengono solo nominalmente menzionate nei preventivi di connessione rilasciati alle società proponenti impianti dalla stessa Terna, ma senza essere computate nel medesimo preventivo. Il non essere computate nel preventivo è motivo per cui non andrebbero considerate come opere «inserite nel preventivo di connessione», altrimenti verrebbe disattesa la parola stessa di «preventivo». A parere degli interroganti tale procedura appare un modo surrettizio volto a far presentare, dalla società proponente l'impianto, anche il progetto relativo alla stazione elettrica della RTN così da accelerarne l'autorizzazione che riguarderà non solamente l'impianto eolico, ma anche la stazione elettrica o le stazioni elettriche. La stessa stazione o più stazioni elettriche verranno, successivamente al rilascio dell'autorizzazione unica alla società promotrice dell'impianto eolico, puntualmente volturate alla Terna s.p.a., essendo opere della RTN di cui la Terna è unico gestore;
   le stazioni elettriche e gli elettrodotti di cui sopra, in quanto opere della RTN, dovrebbero inoltre essere presenti nel piano di sviluppo (PdS) approvato dal Ministro dello sviluppo economico, previa verifica di assoggettabilità alla valutazione ambientale strategica (VAS) secondo quanto previsto dal decreto legislativo n. 152 del 2006;
   l'articolo 17 del decreto legislativo n. 28 del 3 marzo 2011 riporta testualmente, al comma 1, che «Terna S.p.A. individua in una apposita sezione del Piano di sviluppo della rete di trasmissione nazionale gli interventi di cui all'articolo 4, comma 4, tenendo conto dei procedimenti di autorizzazione alla costruzione e all'esercizio degli impianti in corso» –:
   se il Governo non intenda assumere ogni iniziativa di competenza, con la massima urgenza, al fine di accertare quanto rappresentato in premessa circa l'operato della società Terna s.p.a. in Basilicata;
   come si intenda affrontare quello che appare agli interroganti l'anomalo proliferare di mega-stazioni elettriche di Terna nella regione Basilicata, ciascuna delle quali ricopre, puntualmente, decine di migliaia di metri quadrati di superficie di terreno in contesti estranei a qualunque tipo di attività economica industriale come quella che si vuole realizzare e utilizzando un presunto iter autorizzativo surrettizio volto probabilmente a favorire la società Terna s.p.a. (4-15305)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta scritta:


   QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il Gambia è un piccolo Paese dell'Africa occidentale ma con importanti legami economici e di cooperazione con l'Italia e l'Europa;
   dalla sua indipendenza nel 1965 ha conosciuto solo due capi di Governo, Dawda Jawara fino al 1994, e dal 1994 ad oggi, salito al potere grazie a un colpo di Stato, il presidente Yahya Jammeh;
   questo, se da un lato ha determinato vantaggi dal punto di vista della stabilità, sconosciuta ad altri Paesi limitrofi, ha però comportato gravi restrizioni delle libertà politiche e civili;
   secondo Human Rights Watch, nel Paese sono comuni le violazioni dei diritti umani, con casi ripetuti di sparizioni forzate, detenzioni arbitrarie e tortura;
   un fatto nuovo però si è determinato alle ultime elezioni del 1o dicembre 2016 in cui dopo 22 anni di Governo, il presidente Yahya Jammeh è risultato sconfitto e al suo posto è stato eletto un imprenditore, Adama Barrow, sostenuto da diversi partiti di opposizione;
   in un primo tempo Jammeh è sembrato accettare il risultato delle elezioni ma poco dopo ha annunciato in televisione di voler indire nuove elezioni con un diverso presidente della commissione elettorale, mentre quello in carica scappava dal Paese nei primi giorni di gennaio;
   contestualmente sono state chiuse tre radio private e con l'approssimarsi del 19 gennaio 2017; giorno dell'insediamento del presidente eletto, ha dichiarato lo stato di emergenza al solo scopo, secondo i pareri pressoché unanimi degli osservatori nonché dei rappresentanti dei Paesi vicini, di scoraggiare una transizione pacifica nel Paese;
   è opportuno ricordare in questa sede che l'Italia ha stretto più volte accordi con il Governo gambiano, nel 2011, nel 2013 e ultimamente anche il 6 giugno 2016, fatti da cui discende un evidente vincolo morale e politico con questo Paese –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra riportato e quali iniziative intenda assumere, sia sul piano bilaterale che multilaterale, per assicurare una soluzione pacifica e democratica dell'attuale crisi politica in Gambia. (4-15270)


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   Amnesty International ha lanciato una petizione pubblica per chiedere al procuratore generale egiziano Nabil Sadek, il proscioglimento da ogni accusa e la liberazione del fotoreporter Mahmoud Abu Zeid, meglio conosciuto come Shawkan, in carcere a Il Cairo, in Egitto, dal 14 agosto 2013;
   Shawkan, 29 anni, è stato arrestato il 14 agosto 2013 mentre stava seguendo per conto dell'agenzia londinese Demotix, il violento sgombero di un sit-in convocato dalla Fratellanza musulmana a Rabaa al-Adawiya, un quartiere della capitale egiziana, durante il quale le forze di sicurezza egiziane uccisero oltre 600 manifestanti;
   Shawkan è stato arrestato semplicemente perché stava facendo il suo lavoro e ora rischia la pena di morte per un lungo elenco di accuse pretestuose, mentre il suo unico «reato» è aver fotografato il primo sanguinoso atto di repressione dopo il colpo di stato di Abdel Fattah al-Sisi;
   Amnesty International denuncia da mesi che la detenzione preventiva del fotoreporter ha largamente superato i mille giorni, nonostante la legge egiziana preveda il limite di due anni;
   da oltre tre anni le sue udienze vengono aggiornate di mese in mese senza alcuno sviluppo processuale. Le sue condizioni fisiche non sono buone e nelle fotografie scattate nel corso delle ultime udienze è apparso emaciato e affaticato. In carcere ha contratto l'epatite C, ma per almeno 20 volte la richiesta di scarcerazione per motivi di salute è stata respinta –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e se non ritenga opportuno attivarsi, in sede diplomatica, per la liberazione di Mahmoud Abu Zeid.
   (4-15284)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SANI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 17 gennaio 2017, nel comune di Grosseto, si è verificato un incendio che ha coinvolto un terreno adiacente ad un impianto a biogas. Il materiale ha bruciato per ore in un campo producendo molto fumo che, trasportato dal vento, si è esteso anche alle arterie viarie limitrofe ed agli edifici della zona, tra cui l'ospedale. Molti cittadini si sono rivolti al pronto soccorso accusando fastidi alla vista proprio a causa del fumo intenso;
   sul luogo dell'incendio sono intervenuti le forze di polizia ed i vigili del fuoco e successivamente anche il personale della asl e dell'Arpat (l'Agenzia per la protezione dell'ambiente della Toscana);
   secondo una prima ricostruzione il rogo sarebbe stato generato dalla combustione del residuo della lavorazione del biodigestato prodotto dai vicini impianti industriali a biogas;
   la difficoltà nello spegnere l'incendio sarebbero state causate dalla profondità della combustione avvenuta a circa 20 centimetri di profondità;
   il biodigestato è un sottoprodotto del processo della digestione anaerobica ed un materiale ricco di elementi nutritivi particolarmente adatto alla crescita delle piante;
   la centrale a biogas viene infatti alimentata da materiale in parte di origine vegetale, come mais, grano, e in parte derivato da deiezioni animali, come la pollina, concime organico proveniente dagli allevamenti avicoli. Il materiale residuo che non viene digerito dall'impianto per la produzione di biogas è ricco di azoto e viene utilizzato come concime nei campi, dove viene amalgamato al terreno;
   ha destato particolari perplessità il fatto che il fuoco sarebbe quindi divampato, per cause ancora sconosciute, in un campo fertilizzato con concime naturale;
   sarà l'Arpat l'organo preposto a verificare la documentazione delle varie fasi di lavorazione fornita dalla società produttrice del materiale bruciato –:
   se il Governo disponga di ulteriori informazioni sulle cause che hanno prodotto l'incendio citato in premessa;
   di quali elementi dispongano circa i risultati delle analisi condotte sul biodigestato bruciato;
   quali eventuali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per prevenire o contrastare tali fenomeni.
(5-10334)


   FRUSONE e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 agosto 2016, pubblicato il 5 ottobre 2016 sul n. 233 della Gazzetta Ufficiale recita «Nella regione Lazio sono presenti n. 3 impianti di incenerimento operativi e n. 1 impianto autorizzato ma non in esercizio con una potenzialità complessiva di trattamento pari a 665.730 tonnellate/anno, che rappresenta poco più del 75 per cento del fabbisogno di incenerimento regionale. La regione è oggetto di condanna da parte della Corte di giustizia europea, sancita da ultimo con sentenza del 15 ottobre 2014, anche in ragione della violazione dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/98 per non aver creato una rete integrata ed adeguata di impianti di gestione dei rifiuti, tenendo conto delle migliori tecniche disponibili. Una significativa quota pari a circa il 10% di rifiuti urbani e di quelli derivanti dal loro trattamento sono destinati fuori regione e per lo più smaltiti in discarica. Per tali motivi, la regione è stata individuata per la realizzazione di un nuovo impianto di incenerimento con una capacità pari a 210.000 tonnellate/anno di rifiuti urbani e assimilati»;
   da ottobre 2016 è entrata in funzione la terza linea dell'impianto d'incenerimento di San Vittore nel Lazio;
   il riesame dell'autorizzazione integrata ambientale è previsto solo nel 2018 e per quella data sarà anche rivalutato il nuovo carico termico;
   l'autorizzazione integrata ambientale andrebbe rinnovata ogni 5 anni e l'iter di approvazione dovrebbe durare 150 giorni;
   la prima volta venne rilasciata nel 2007 con decreto commissariale n. 72 con procedura straordinaria giustificata da ragioni emergenziali. Scaduta nel 2012 è stata rinnovata il 13 gennaio 2016 con un ritardo mostruoso;
   il consigliere della regione Lazio Devid Porrello il 14 gennaio 2016 denuncia «Questo atto giunge a conclusione di una procedura di rinnovo molto combattuta e intermittente durata molti anni, viste, le numerose criticità ambientali (...) grazie alle determinazione regionale G07575 del 18 giugno 2015, è previsto un aumento pari a 3 mila tonnellate di rifiuti che ogni anno arriveranno in più a San Vittore rispetto alle oltre 200 mila tonnellate annue già trattate dalle linee di incenerimento ad oggi in funzione»;
   il Consiglio di Stato con sentenza n. 5411/2001, ha dichiarato l'illegittimità della delibera del consiglio comunale di San Vittore del 12 agosto 1987 – riguardante l'approvazione del progetto presentato da E.A.L.L. srl (ora Arial srl) relativo alla realizzazione dell'impianto di termocombustione, alimentato con combustibile proveniente dal riciclaggio di rifiuti. Due i motivi di illegittimità: 1) l'adozione di una procedura semplificata in assenza della necessaria pianificazione o, in alternativa, dell'accordo di programma; 2) l'omesso espletamento della valutazione d'impatto ambientale;
   secondo quanto riportato da una tabella presente a pagina 117 del rapporto rifiuti urbani edizione 2016 dell'ISPRA, l'interrogante riscontra che l'impianto di San Vittore produce il più alto quantitativo di scorie pericolose tra tutti gli inceneritori d'Italia; ben 39.727 t/a è il totale tra ceneri pesanti, leggere e scorie pericolose, che insieme a quelle non pericolose (4.892 t/a) raggiunge un totale di ceneri di 44.619, a fronte di un totale annuo incenerito di rifiuti solidi urbani di 239.871 t/a –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza, anche con l'ausilio dell'ISPRA e del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente per chiarire, nell'ottica della tutela della salute pubblica dei cittadini di San Vittore e dei comuni limitrofi, cosa venga bruciato nel suddetto impianto, data l'elevata e preoccupante produzione di scorie pericolose. (5-10337)

Interrogazioni a risposta scritta:


   AMODDIO e BINI. – Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. – per sapere – premesso che:
   all'indomani degli ultimi eventi in cui, ancora una volta, si è registrata una cattiva qualità dell'aria nei comuni di Siracusa, Augusta, Priolo e Melilli, l'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (ARPA) di Siracusa ha richiesto al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – in una nota che accompagna il rapporto annuale 2015 sulla qualità dell'aria – di aggiornare la normativa sugli inquinanti. In particolare, per alcuni composti di chiara origine industriale che non rientrando, ad oggi, nelle tabelle ministeriali, si rende di fatto impossibile valutarne l'impatto: gli idrocarburi non metallici, per esempio, non risultano inseriti nella disciplina di cui al decreto legislativo n. 155 del 2010;
   i dati forniti dalle centraline di rilevamento rappresentano la principale e la più attendibile fonte di informazione per la valutazione dell'inquinamento atmosferico in un'area ad alto rischio come quella del sito di interesse nazionale di Siracusa, Priolo, Melilli, Augusta;
   nel citato rapporto dell'Arpa Siracusa si dà evidenza degli inquinanti di chiara origine industriale per i quali la norma non prevede valori limite come gli idrocarburi non metanici e l'idrogeno solforato. Queste sostanze, per le quali non è possibile esprimere giudizi di qualità vista l'assenza di valori di riferimento, sono frequentemente presenti sul territorio e spesso in concentrazioni superiori a quelle riportate dalla letteratura scientifica. L'Arpa rileva che sia concentrazioni orarie nel comprensorio siracusano sia concentrazioni orarie di idrocarburi non metanici superiori a 200 mic/m3 sono solitamente causa di intensi disturbi olfattivi tra la popolazione. Si precisa che tali episodi si verificano in fasce orarie e in siti che escludono il traffico veicolare;
   tutto ciò è riportato nel rapporto qualità dell'aria: infatti, un incremento della percentuale di concentrazione orarie degli idrocarburi non metanici sul 70 per cento dei siti monitorati mette in evidenza la forte presenza di altri inquinanti, quali i composti solforati. Vengono, in particolare, riscontrate percentuali di superamento della soglia olfattiva e, specificamente: il metilmercaptano con il 63 per cento, il tiofene con il 42 per cento, il propilmercaptano con il 74 per cento e il disolfurodipropilene con il 52 per cento;
   la nota dell'Arpa evidenzia: «ad ulteriore supporto, vi sono i dati del 2016 fino al recente periodo di ottobre. Sono evidenti concentrazioni orarie ben superiori alla soglia dei 200 microgrammi per metro cubo che hanno procurato situazioni di malessere alla popolazione raggiungendo talvolta livelli orari di alcuni migliaia di microgrammi per metro cubo: questi dati allarmanti, ma annunciati, contribuiscono a fare del Sin di Priolo una delle zone maggiormente inquinate d'Italia»;
   all'inquinamento atmosferico va infatti sommato quello del suolo, con la presenza di metalli pesanti (arsenico, cromo, mercurio con concentrazioni anche di oltre 1.000 volte il valore limite, zinco, rame, e altro): idrocarburi, benzene, IPA, diossine, tutti con concentrazioni molto al di sopra dei valori limite. L'inquinamento nella falda è caratterizzato dalla presenza di metalli pesanti: mercurio con concentrazioni anche di oltre 50 volte il valore limite, cromo, piombo, antimonio, selenio, nitriti, zinco, e altro; alifatici clorurati cancerogeni, cloro e benzeni;
   i cittadini del Sin di Priolo attendono da quasi vent'anni interventi di bonifica e di riqualificazione ambientale e, da anni, è ormai accresciuta la sensibilità della cittadinanza sul tema dei rischi sanitari e soprattutto sull'incidenza dell'inquinamento sulla salute della popolazione residente;
   l'Arpa chiede al Ministero di porre in essere ulteriori strumenti normativi per agevolare l'azione di controllo e di prevenzione e di disporre, in ambito autorizzatorio, specifiche azioni sostitutive a quelle prescrizioni i cui tempi di adeguamento non sono compatibili con le esigenze del territorio. Solo a titolo di esempio, nell'attesa che tutti i camini siano dotati di sistema Sme, che si installino gli analizzatori in continuo di idrogeno solforato nei post combustori degli impianti Claus e che venga effettuata la copertura delle vasche degli impianti di trattamento delle acque di scarico, si potrebbero prescrivere delle azioni integrative a quelle già previste nell'attuale piano di monitoraggio e controllo quali, ad esempio, un accesso diretto ai dati di processo, da parte degli organi di controllo, tramite i sistemi di automazione già presenti negli impianti –:
   se il Ministro sia a conoscenza della nota dell'Arpa Siracusa e del rapporto annuale sulla qualità dell'aria;
   se il Ministro intenda porre in essere ulteriori iniziative, anche di carattere normativo, che possano agevolare l'azione di controllo dell'Arpa;
   se il Ministro, nell'attesa di una modifica delle norme di cui al decreto legislativo n. 155 del 2010 finalizzata ad integrare le sostanze inquinanti, non ritenga di costituire un tavolo tecnico interistituzionale con la presenza dell'Istituto superiore di sanità, dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente, dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale e di altri soggetti interessati.
(4-15274)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 23 giugno 2015, la società VIS s.r.l. ha presentato istanza al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per l'attivazione di una procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA), ai fini della realizzazione di un impianto idroelettrico sul Fiume Adda, denominato «Budriesse», che interessa il territorio dei comuni di Castelnuovo Bocca D'Adda (Lo), Maccastorna (Lo) e Crotta D'Adda (Cr);
   il progetto prevede l'utilizzazione idroelettrica delle portate del fiume Adda, poco a monte della sua confluenza nel fiume Po, al confine tra le province di Lodi in sponda idrografica destra e di Cremona in sponda sinistra;
   si prevede il posizionamento di un impianto da 20 megawatt di potenza, per la produzione di energia elettrica con l'utilizzo di una traversa che genererebbe un invaso sul fiume per circa 10 chilometri verso monte, con una capienza di circa 3 milioni di metri cubi di acqua;
   il rigurgito generato dallo sbarramento comporterebbe modifiche anche ai terreni edificati, la sommersione delle sponde con conseguente moria di piante e arbusti, l'innalzamento della falda con variazioni anche superiori a 2 metri, nonché la sommersione delle opere di regimazione idraulica della Roggia Ferrarola;
   gli agricoltori sono in allarme, in quanto l'invaso comporterebbe alterazioni in una zona particolarmente sensibile al livello idrico e vocata all'attività agricola con presenza di allevamenti di bovini da latte e comporterebbe l'impossibilità di coltivare parecchi ettari con una conseguente perdita del valore fondiario;
   l'intervento incide sull'equilibrio ambientale e sulla morfologia del territorio e dovrebbe essere valutato con attenzione ai fini degli impatti ambientali e del mantenimento del deflusso minimo vitale e della tenuta delle sponde, anche in considerazione di un'ulteriore derivazione idroelettrica sulla stessa asta del fiume Adda, proposta dalla Edison spa, di cui influenzerebbe il salto idrico concesso;
   l'impianto rientra nella perimetrazione del parco regionale dell'Adda Sud e si presenterebbe, secondo l'interrogante, in contrasto con le previsioni del piano territoriale di coordinamento (PTC) del parco; le relative norme tecniche di attuazione ammettono la possibilità di realizzare centrali idroelettriche, in presenza di salti idraulici, purché non venga alterata «la morfologia fluviale, il valore naturalistico e paesaggistico del corso d'acqua interessato» e non si crei «una discontinuità dell'ecosistema fluviale»;
   il territorio interessato dalla realizzazione dell'impianto idroelettrico ricade in un'area fortemente vincolata anche dalla normativa del piano territoriale di coordinamento provinciale di Cremona e creerebbe notevoli impatti ambientali sul territorio che occorre mitigare o compensare –:
   se il Ministro non intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a evitare la realizzazione dell'impianto idroelettrico «Budriesse» della società VIS s.r.l., sul fiume Adda, che interessa il territorio dei comuni di Castelnuovo Bocca D'Adda (Lo), Maccastorna (Lo) e Crotta D'Adda (Cr), valutando le conseguenze ambientali e sociali derivanti dalla realizzazione dell'opera, come esposte nella premessa. (4-15288)


   QUARANTA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della rottura di una conduttura dell'azienda petrolifera genovese Iplom, il 17 aprile 2016, 680 mila litri di petrolio greggio si riversavano nei rivi Pianego e Fegino e solo il rapido intervento dei vigili del fuoco evitò che il petrolio non raggiungesse il mare;
   l'incidente si è verificato in un'area densamente popolata dove ci sono scuole che impegnano quotidianamente circa 500 ragazzi che come gli abitanti della zona da allora denunciano la presenza di greggio nei rivi contaminati: «Quando piove si formano le pozze d'acqua nei rii si vedono le tracce di idrocarburi. E l'odore si sente, eccome» (fonte La Repubblica 17 gennaio 2017 – «Rabbia e stanchezza tra gli abitanti»);
   la bonifica non è ancora iniziata e da quanto si apprende dalla stampa i tempi sono ancora lunghi: non è infatti chiaro se la competenza sia degli enti locali o del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Riporta la redazione genovese de La Repubblica: «Iplom in data 14 dicembre ha comunicato alla Regione, alla Città Metropolitana, al Comune di Genova, alla Prefettura, all'Arpal ed alla Asl di dover rendere conto a questi enti “solamente in riferimento alla matrice terreno del versante interessato alla rottura della tubazione”. Invece “ritiene che tutta la restante parte, oggetto del Piano di caratterizzazione già presentato, debba essere inquadrata esclusivamente nell'ambito del procedimento amministrativo presso il Mattm”. (fonte La Repubblica 17 gennaio 2017, Iplom bonifica ferma “Ci coordini il Ministero non gli enti locali”)»;
   nel medesimo articolo di giornale, Antonella Marras, portavoce del comitato locale di Borzoli, sottolinea il grave ritardo nei lavori di bonifica e che si corra il rischio di utilizzare un sistema di vigilanza a maglie più larghe: non è chiaro infatti quali parametri saranno seguiti per la bonifica in quanto «Arpal ritiene che le aree interessate all'inquinamento siano da considerare abitative e residenziali, quindi con limiti di idrocarburi inferiori a quelli che si possono tollerare nei siti industriali e commerciali. Iplom ha tarato il suo piano a questa seconda tipologia di aree, che hanno norme meno restrittive»;
   dopo oltre nove mesi dal disastro ambientale i cittadini di Borzoli e Fegino non sanno ancora quando inizierà la bonifica e in che termini verrà realizzata, dal momento che l'azienda che ha procurato lo sversamento di 680 mila litri di greggio, i cui vertici sono attualmente indagati dalla procura della Repubblica di Genova per incidente ambientale colposo, chiede di modificare l’iter procedurale e di seguire l'articolo 305 invece che articolo 242 del decreto legislativo 152 del codice dell'ambiente, rallentando di fatto la bonifica del territorio. Ad oggi nulla è cambiato e migliaia di cittadini temono per la loro salute –:
   quali siano i motivi del ritardo nella bonifica delle aree di cui in premessa;
   se non ritenga necessario, nell'ambito delle proprie competenze, assumere immediatamente iniziative, nel rispetto del codice ambientale, affinché vengano messe in atto tutte le procedure per garantire la bonifica e il ripristino di tutti i luoghi interessati, e avviare un monitoraggio ambientale e sanitario a garanzia dei cittadini. (4-15298)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FANTINATI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   secondo Wired.it, l'Enit sarebbe pronta a spendere 13 milioni di euro per un nuovo contenitore online e per alcune iniziative di comunicazione sui mercati esteri;
   si tratta di una lista di progetti che sarebbe stata presentata nei giorni scorsi al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo con tanto di specifiche di spesa. Il lavoro su Italia.it, scrive Crepaldi «che tra progettazione, sviluppo e gestione redazionale è costato alle casse pubbliche quasi 25 milioni di euro, viene dunque definitivamente archiviato. E, come promesso più volte dalla nuova dirigente di Enit allo sviluppo digitale, nelle prossime settimane partirà il lavoro di creazione di un altro contenitore online dell'offerta turistica italiana»;
   per la progettazione del portale, sarebbero stati messi in conto 90mila euro, a cui dovrebbero aggiungersi 1,5 milioni per lo sviluppo, 115 mila per la traduzione dei contenuti in cinese, arabo, giapponese, portoghese e coreano e 150 mila per l'acquisto e implementazione di servizi di social analytics «che monitorino l'Italia in rapporto ai principali competitor con particolare riferimento a quelli più innovativi sul web» e che «verranno messi al servizio delle Regioni»;
   sempre sul fronte della comunicazione, altri 2 milioni di euro sarebbero destinati alle campagne online e 4 milioni ad azioni promozionali all'estero;
   la traduzione di 100 cartelle «[...] per i paesi individuati — Olanda, Svezia, Norvegia, Danimarca, India — caratterizzati da un elevato tasso di conoscenza della lingua inglese al fine di ottimizzare la visibilità sui motori di ricerca attraverso azioni mirate di SEO» genererà un costo pari a quasi 2 milioni;
   sono in tutto 240 i siti internet che fanno capo al Governo. Una galassia di finestre online che comprende 154 indirizzi web registrati presso l'Agenzia per l'Italia digitale dal 2002 a oggi (di cui 64 risultano inattivi) e 87 siti tematici richiamati tramite link diretti sui portali istituzionali. I titolari di questi domini sono la Presidenza del Consiglio (inclusi i suoi dipartimenti, come quelli dei Ministri senza portafoglio) e i vari Ministeri;
   «passando in rassegna i domini presenti nell'elenco, si scoprono siti web gemelli — se non addirittura clonati — oppure indirizzi rimasti in soffitta, dimenticati nel giro di pochi anni. Oggi risulta inattivo un quarto dei siti internet dell'elenco, in tutto 64 dei domini registrati presso l'Agid, in alcuni casi sostituiti nel corso degli anni con percorsi dal sapore più glamour» scriveva Michela Finizio sul Sole24Ore nel febbraio del 2015;
   aggiungeva il Sole24Ore «per instillare qualche dubbio, sugli sprechi generati da questa "bulimia" della Pa sul web, basta fare due conti: se ciascuno di questi siti internet fosse costato almeno 35mila euro per il suo lancio (tanto quanto è costata la messa online di Verybello.it, tramite inca- rico a una società esterna), si arriverebbe subito a mettere a bilancio milioni spesi nel corso degli anni per la comunicazione pubblica su internet del governo» –:
   se risponda al vero quanto esposto in premessa circa i 13 milioni di euro previsti per il nuovo portale dell'offerta turistica italiana;
   considerando il cospicuo numero di siti internet del Governo rimasti inattivi, quali analisi di mercato abbiano fatto ritenere vantaggiosa la creazione di un nuovo portale di promozione turistica, anziché un aggiornamento e ammodernamento di Italia.it con il conseguente, significativo risparmio di costi. (5-10327)

Interrogazione a risposta scritta:


   POLIDORI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   gli effetti disastrosi dei recenti eventi sismici, oltre che sul patrimonio artistico ed edilizio del territorio italiano, si sono riversati anche su un settore, quello del turismo, di particolare importanza per l'economia del nostro Paese;
   se da un lato le strutture ricettive colpite direttamente dal terremoto sono inagibili, anche per i turisti, poiché hanno subito gravi danni al patrimonio immobiliare, dall'altro lato è importante rilevare che il drastico calo dei visitatori ha interessato città, una su tutte Perugia, che di fatto non sono state colpite dal sisma, ma che nell'immaginario collettivo sono avvertito me luoghi «da evitare»;
   nel comune di Perugia le presenze registrate nel settore alberghiero a dicembre 2016, rispetto allo stesso mese dell'anno precedente, mostrano un calo del 20,37 per cento di visitatori italiani e del 4,74 per cento degli stranieri, mentre dicembre 2015 si è concluso, rispetto al 2014, con un aumento delle presenze del 5,38 per cento di visitatori italiani e dell'8,10 per cento di stranieri;
   ad avviso dell'interrogante i dati sopra riportati mostrano un quadro molto preoccupante per un settore di fondamentale rilievo per l'economia umbra se si considera che quelli riferiti al 2016 sono ancora provvisori, essendosi concluso l'anno da poco tempo, e che nelle presenze sono conteggiati anche i profughi e le persone terremotate;
   a fronte di quanto sopra esposto, Federalberghi Umbria, con il sostegno del comune di Perugia, ha promosso una iniziativa attraverso la quale 50 albergatori per la notte del 5 gennaio 2017 mettevano in palio 250 camere doppie gratuite comprensive di prima colazione, in cambio di visibilità sui social e sui profili Facebook dei clienti;
   l'iniziativa istituita per promuovere il comparto turistico devastato dagli eventi sismici è stata un completo fallimento, considerato che, come riportato dalle maggiori testate giornalistiche, gli alberghi del capoluogo umbro, di Assisi, Todi, Spoleto e Terni sono rimasti semi-vuoti anche per il ponte dell'Epifania facendo registrare un calo di presenze dal 30 al 50 per cento negli alberghi di tutta la regione Umbria;
   l'onda lunga dell'effetto post-terremoto ha fatto registrare, specificatamente, un calo del 20-30 per cento del turismo ad Assisi e del 30 per cento a Todi e addirittura in periferia ci sono state strutture che hanno toccato il 60-70 per cento in meno rispetto agli anni precedenti –:
   quali iniziative di sua competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere al fine di risollevare il comparto turistico umbro, alla luce degli evidenti effetti dannosi provocati dai recenti eventi sismici. (4-15266)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   BASILIO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie provenienti da organi di stampa locali e nazionali emerge che, in una vasta area al confine tra le regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia, durante le ore serali dell'11 gennaio 2017 cittadini avrebbero avvertito rumori di notevole intensità causati dalla presenza di velivoli militari;
   in particolare, un forte boato, dal tenore assordante tale da superare la barriera del suono ed avvertito in diverse zone come Pordenone, Codroipo, Vittorio Veneto e Fagagna, sarebbe diretta conseguenza del sorvolo di un caccia americano partito dalla base militare di Aviano nel corso di una delle tante esercitazioni;
   il predetto velivolo avrebbe volato per alcuni istanti a bassissima quota sulla città di Aviano, tanto da costringere i cittadini a tapparsi le orecchie a causa del boato assordante;
   l'accaduto, che ha generato sconcerto e preoccupazione tra i cittadini coinvolti, ha dato vita a un dibattito, anche sui social network, circa l'opportunità di svolgere esercitazioni militari impiegando velivoli che, per le loro caratteristiche, sono in grado di superare la barriera del suono e causare pericolosi ed «inutili» rumori;
   il Comando americano della base di Aviano, interpellato sui fatti, avrebbe dichiarato di essere a conoscenza di un addestramento svolto in quelle ore dallo stormo « 31st Fighter Wing»;
   numerose sono le segnalazioni dei cittadini residenti nelle aree prossime alla base militare e che, periodicamente, assistono ad esercitazioni piuttosto «invasive» della tranquillità dei territori e delle città interessate;
   in attesa che il Comando americano della base fornisca risposte certe circa quanto accaduto nei cieli di Aviano, è opportuno che il Governo intervenga per garantire una pacifica convivenza tra i nostri concittadini e la base americana ospitata sul territorio italiano –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga opportuno interloquire con il Comando della base americana di Aviano per contribuire a far luce sui fatti;
   se nella giornata dell'11 gennaio 2017 fossero previste ad Aviano esercitazioni programmate per utilizzare aerei caccia generatori di boom sonico, oppure se si fosse verificata la necessità dell'utilizzo di quel tipo di velivolo per una sopravvenuta situazione di emergenza e, in tal caso, di quale esercitazione si sia trattato e quale emergenza si sia verificata;
   se le prefetture di Pordenone e Belluno siano state informate delle esercitazioni in parola e se le autorità prefettizie abbiano inoltrato una nota informativa ai Ministeri su quanto accaduto;
   se il Governo non ritenga possibile assumere iniziative di competenza per promuovere un monitoraggio periodico delle esercitazioni militari programmate ed eseguite sul territorio nazionale dai comandi militari stranieri, anche al fine di valutarne l'invasività rispetto alle esigenze delle città interessate. (4-15278)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SGAMBATO e MANFREDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 10 gennaio 2017 presso la sala giunta della provincia di Caserta si è tenuta, su richiesta delle organizzazioni sindacali di categoria, una riunione, convocata dal presidente facente funzioni della provincia di Caserta con i sindaci e le comunità montane, sulla problematica dei disservizi del recapito postale;
   nel corso della riunione sono emersi i reali disagi che stanno interessando tutto il territorio della provincia di Caserta e tutti i centri di recapito, senza eccezione alcuna;
   il piano di razionalizzazione di Poste italiane spa prevedrebbe di effettuare il recapito della corrispondenza a giorni alterni, ad eccezione di Roma, Napoli e Milano, e la chiusura degli uffici postali ubicati nei piccoli comuni determinerebbe di conseguenza una notevole riduzione di personale che andrebbe ad aggravare una situazione già oggi non sostenibile, sia in termini di risorse umane, che di servizi. Questa razionalizzazione, che purtroppo ad avviso degli interroganti razionalizzazione non è, comporterebbe gravi disservizi per i cittadini;
   già sono molte le segnalazioni, che arrivano dai sindaci della provincia, che vanno dai ritardi nella consegna della posta, alla chiusura degli uffici postali, i quali causano difficoltà anche solo per il semplice pagamento di una bolletta, oltre che per la riscossione delle pensioni, tra l'altro, con file di attesa lunghissime;
   alcuni comuni della provincia hanno già provveduto a segnalare all'azienda Poste Italiane spa l'irregolarità nel recapito della corrispondenza e le difficoltà sui territori –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano intraprendere per garantire continuità nel servizio postale, al fine di tutelare i cittadini e garantire agli stessi l'effettiva e regolare erogazione di un servizio pubblico di qualità. (5-10325)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAGANO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   come stabilito nell'articolo 4 del decreto attuativo del 19 marzo 2013, il Ministero dello sviluppo economico istituisce il registro INI-PEC indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata che prevede due diverse sezioni: i professionisti e le imprese;
   l'inserimento degli indirizzi, nel caso delle imprese, viene costruito a partire dall'estrazione massiva degli indirizzi di PEC e dei dati contenuti nel registro delle imprese, mentre nel caso dei professionisti viene fatto a partire dagli indirizzi PEC detenuti dalle migliaia di Ordini e Collegi professionali che svolgono la propria attività sul territorio italiano, come previsto dal decreto-legge 18 ottobre 2012 n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012 n. 221;
   l'istituzione del registro INI-PEC presso il Ministero dello sviluppo economico ha il preciso scopo di offrire un punto unico di accesso istituzionale in cui effettuare la ricerca degli indirizzi di posta elettronica certificata. A tal riguardo, il sito istituzionale del Ministero afferma che INI-PEC è il portale ufficiale in cui gli utenti, siano essi cittadini, imprese, professionisti, pubbliche amministrazioni, e altro possono ricercare in maniera semplice e trasparente l'indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) di un operatore economico, di un'impresa o di un professionista;
   come regolamentato dal decreto ministeriale n. 44 del 2011, il Ministero della giustizia ha istituito il registro generale degli indirizzi elettronici (ReGIndE), contenente i dati identificativi nonché l'indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) dei soggetti abilitati esterni, che, nella fattispecie si dividono in: soggetti appartenenti ad un ente pubblico, professionisti iscritti in albi ed elenchi istituiti con legge e ausiliari del giudice non appartenenti ad un ordine di categoria o che appartengono ad ente/ordine professionale che non abbia ancora inviato l'albo al Ministero della giustizia (questo non si applica per gli avvocati, il cui specifico ruolo di difensore implica che l'invio dell'albo deve essere sempre fatto dall'ordine di appartenenza o dall'ente che si difende);
   l'ordine o ente che deve comunicare i dati dei soggetti presenti nel proprio albo deve inviare una richiesta di censimento formale presso il responsabile S.I.A. del Ministero della giustizia nella quale devono essere specificati: le informazioni idonee a identificare l'ente o l'ordine, la casella di posta elettronica certificata (PEC) dalla quale si procederà all'invio delle informazioni riguardanti i soggetti e il nominativo del delegato all'invio delle informazioni sui soggetti. A tale richiesta seguirà una risposta di avvenuto censimento e, successivamente, si dovrà realizzare un file denominato ComunicazioneSoggetti.xml, che deve essere conforme al formato definito nella struttura ComunicazioneSoggetti.xsd ed il formato dei dati deve coincidere con quello specificato nel file TipiBaseReGindE.xsd e sottoscritto con firma digitale (o con firma elettronica qualificata) dal soggetto indicato, nel documento di censimento di cui sopra, come delegato all'invio. Il file deve essere inviato, esclusivamente via PEC, all'indirizzo specificato nella risposta di avvenuto censimento. Il contenuto di tale file viene elaborato e l'esito viene restituito all'ordine/ente mittente, sempre via PEC, sotto forma di file strutturato, Esiti.xml;
   tale procedimento, così come ampiamente denunciato dagli Ordini professionali territoriali, risulta assai farraginoso, prevede l'installazione di software non di uso comune con la realizzazione di database tipici del linguaggio di programmazione; inoltre tale file va inviato nuovamente ogni qualvolta viene modificato l'albo. Per adempiere a tali dettami, molto spesso, gli ordini territoriali sono costretti a ricorrere alla prestazione professionale di soggetti terzi che redigono, con notevoli difficoltà, i file necessari per detta comunicazione. Tale situazione, oltre a essere estremamente lunga con inevitabili ripercussioni sui professionisti che, sprovvisti di iscrizione al ReGIndE, non sono nelle condizioni di poter effettuare le proprie prestazioni professionali, va ripetuta una o due volte l'anno a causa del continuo aggiornamento degli albi in funzione dei nuovi scritti, cancellati o soppressi;
   l'istituzione del registro INIPEC afferente il Ministero dello sviluppo economico è stato istituito in data successiva a quello del ReGIndE relativo il dicastero della giustizia e, così come anticipato nelle considerazioni iniziali, esso dovrebbe assolvere alla funzione di unico accesso per privati e pubbliche amministrazioni;
   le comunicazioni relative il registro INI-Pec sono, al contrario di quelle relative il ReGIndE, di semplice e immediata fattura –:
   quali siano le motivazioni che spingono il Ministero a proseguire con l'acquisizione dei dati nei farraginosi modi previsti dal regolamento ReGIndE e non, come previsto dall'articolo 4 del decreto attuativo del 19 marzo 2013, direttamente dal registro INI-PEC. (4-15279)


   AMODDIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   ancora una volta, il carcere di Cavadonna a Siracusa è stato teatro di scontri tra detenuti e personale della polizia penitenziaria. L'ultimo in ordine di tempo si è verificato in data 7 dicembre 2016 quando, un detenuto in regime detentivo di massima sicurezza ha aggredito uno degli agenti del carcere. L'aggressione è stata bloccata dal personale di sorveglianza, ma il poliziotto aggredito ha subito un trauma facciale e un ricovero ospedaliero;
   a prescindere dalle cause che hanno potuto accendere la scintilla, ancora una volta si assiste a gravi episodi che evidenziano la mancanza di sicurezza nelle carceri italiane, dovuta alla carenza di organico. Nel carcere di Cavadonna è stato aperto un nuovo padiglione, ma a questo non è corrisposto un adeguamento del personale di polizia penitenziaria. Con il nuovo padiglione il carcere di Cavadonna registra una presenza di oltre 600 detenuti. Il dipartimento penitenziario aveva a annunciato l'arrivo di nuove unità, ma ciò è avvenuto in minima parte. Di fatto, la carenza di organico complessiva è stimabile in 40 unità;
   gli agenti di polizia sono sottodimensionati e devono affrontare ogni giorno enormi difficoltà;
   i sindacati di categoria di polizia carceraria hanno proclamato lo stato di agitazione rivendicando la scarsa sicurezza in cui sono costretti ad operare e l'organico sottodimensionato;
   il numero dei detenuti nelle carceri italiane rimane ancora altissimo rispetto al personale penitenziario in organico e questa sproporzione incide negativamente sul perseguimento dei fini istituzionali, di sicurezza e di trattamento rieducativo, che sono demandati all'amministrazione penitenziaria, mettendo a rischio i delicati equilibri del sistema penitenziario e indebolendo significativamente il generale sistema della sicurezza dello Stato, a discapito dei cittadini. Nella provincia di Siracusa, i due principali istituti penitenziari risultano largamente sovrappopolati, come risulta dalle statistiche pubblicate dal sindacato Sappe. Si tratta di dati impietosi che rispecchiano purtroppo il trend nazionale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tale episodio;
   se il Ministro interrogato, alla luce di quanto illustrato in premessa, non ritenga di aumentare l'organico della polizia penitenziaria all'interno del carcere Cavadonna di Siracusa. (4-15283)


   DIENI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la regione Calabria, a seguito di una specifica intesa sottoscritta con gli uffici giudiziari calabresi, ha pubblicato una manifestazione d'interesse in attuazione delle intese raggiunte dalla regione Calabria e le corti di appello e procure generali della Calabria e la magistratura amministrativa e contabile e istituzioni assimilate, per la selezione di 1.000 posti negli uffici giudiziari calabresi, destinati a percettori in deroga o disoccupati con pregressa esperienza formativa presso gli uffici giudiziari, per un percorso formativo di 2 anni al fine di assumere la qualifica di ausiliario o di operatore giudiziario, retribuito con una borsa lavoro mensile di 500 euro;
   tale iniziativa risulta coperta da fondi europei che la regione deve utilizzare entro l'anno 2016;
   dopo la pubblicazione della graduatoria definitiva degli ammessi non sarebbe tuttavia ancora pervenuta l'autorizzazione del Ministero della giustizia, fatto che pregiudicherebbe la possibilità per la regione di usufruire dei fondi europei e per 1.000 percettori in deroga o disoccupati di poter effettuare un percorso formativo retribuito, contribuendo peraltro ad alleggerire le situazioni di carenza di organico tra il personale amministrativo degli uffici giudiziari, che provocano da anni seri problemi in Calabria –:
   se sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e per quale ragione il Ministero della giustizia non abbia assunto le iniziative di competenza al fine di consentire il sopra citato percorso formativo.
(4-15297)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanze:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il 17 gennaio 2017 è entrato in vigore il nuovo piano abbonamenti di Trenitalia per l'alta velocità (AV) che in alcune tratte (quasi tutte) è aumentato addirittura del 35 per cento. A complicare la situazione è il contemporaneo varo delle nuove modalità di utilizzo di tali abbonamenti non più validi per la totalità delle corse ma suddivisi per giorni e fasce orarie. Nello specifico, gli abbonamenti acquistabili sono suddivisi in quattro differenti tipologie a costo decrescente in base alle fasce orarie e ai giorni della settimana in cui l'utente ne farà uso. Le offerte variano in base all'abbonamento, alta velocità: a) valido tutti i giorni, a tutte le ore; b) valido tutti i giorni solo nella fascia oraria 9:00-17:00; c) valido dal lunedì al venerdì a tutte le ore; d) valido da lunedì a venerdì solo nella fascia oraria 9:00-17:00. Insomma un gran rompicapo per la non facile vita dei pendolari;
   oltre alla complicazione delle varie tipologie di abbonamenti, i pendolari hanno visto aumentare considerevolmente le tariffe applicate. Esemplificando le tratte più significative, l'abbonamento di seconda classe Torino-Milano valido tutti i giorni e a tutte le ore passa da 340 euro a 459 euro, ovverosia 119 euro in più (+35 per cento). Nel caso di un abbonamento valido dal lunedì al venerdì per tutte le ore l'importo si ferma a 408 euro, che sono pur sempre 68 euro in più (+ 20 per cento; senza però poterlo utilizzare nei fine settimana. Analogo discorso per la Roma-Napoli che passa da 356 euro ai 481 euro per l'orario completo e ai 427 euro per l'abbonamento valido solo da lunedì a venerdì. Sulla Bologna-Firenze si passa da 224 euro ai 302 euro per il full time ai 269 dal lunedì al venerdì. I rincari si registrano ovunque nel Paese, dalla tratta Milano-Bologna Milano-Firenze, Milano-Reggio Emilia alla Firenze-Roma, Roma-Caserta e altre. Insomma, un vero e proprio salasso per i pendolari già tartassati appena un anno fa;
   è da stigmatizzare il comportamento del Governo che da una parte dice di voler sostenere il lavoro, incrementando i livelli occupazionali, e tutelare l'ambiente, contrastando il trasporto privato per ridurre le emissioni di CO2, dall'altro crea le condizioni che viceversa vanno proprio a colpire chi lavora ed utilizza i mezzi pubblici per recarsi a lavoro. Infatti, aumentando in maniera spropositata gli abbonamenti del trasporto ferroviario, per di più complicando la vita ai pendolari con fasce orarie «capestro», di fatto non solo si disincentiva una modalità di trasporto green come quella su rotaia, ma si costringono studenti e lavoratori con redditi bassi, le fasce sociali più vulnerabili, a dover rinunciare a recarsi all'università oppure sul posto di lavoro dovendovi, in casi estremi, anche rinunciarvi in quanto lo stesso non risulta più remunerativo. Tutto questo quando gli esponenti del Governo per spostarsi utilizzano auto blu e voli di Stato;
   associazioni di consumatori e comitati nazionali e locali di pendolari, ormai esausti, hanno già programmato manifestazioni, di protesta in tutta Italia minacciando anche il blocco dei binari se il Governo, in primis il Ministero dell'infrastrutture e dei trasporti, non si deciderà di ascoltarli. Il Governo infatti è, ad avviso dell'interrogante, il principale responsabile di questa assurda politica tariffaria che colpisce le fasce sociali più esposte alla crisi poiché il Ministero dell'economia e delle finanze è azionista unico delle Ferrovie dello Stato italiano, a sua vota azionista unico di Trenitalia spa –:
   se il Governo abbia contezza delle conseguenze sociali ed ambientali della scellerata politica tariffaria applicata da una partecipata dello Stato, Trenitalia spa, nel nuovo piano abbonamenti per l'alta velocità in vigore dal 17 gennaio 2017;
   se il Governo non ritenga chiarire in che modo intenda intervenire, per quanto di competenza, per ovviare alle conseguenze negative di quella che all'interrogante appare una scriteriata decisione di Trenitalia spa.
(2-01603) «Paolo Nicolò Romano, Luigi Di Maio».


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   il 14 gennaio 2016 è stato siglato a Roma un protocollo d'intesa tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la regione Trentino Alto Adige e le province autonome di Trento e Bolzano e altri enti;
   esso prevede la proroga di 30 anni della concessione dei 314 chilometri di tratta autostradale Brennero – Modena (A22) all'attuale società titolare della gestione, Autostrade del Brennero s.p.a., mettendo definitivamente fine ai tentativi di affidamento del servizio, tramite procedura a evidenza pubblica;
   nel 2011 il Governo pro tempore aveva indetto un bando di gara finalizzato ad individuare una nuova concessionaria da far subentrare ad autostrade del Brennero s.p.a., prima della scadenza naturale del contratto (avvenuta nel 2014). La gara non ha avuto però esito positivo poiché con sentenza n. 1243/2014 il Consiglio di Stato, su ricorso della società Autostrade del Brennero s.p.a., ne ha deliberato l'annullamento. La società, quindi, ha operato ed opera ad oggi in regime di prorogatio;
   nell'aprile del 2014 l'autorità di regolazione dei trasporti, con delibera n. 23/2014, aveva avviato un'attività consultoria per la predisposizione dello schema di bando di gara per il rinnovo della concessione. Ad oggi non sono noti però gli esiti di tale procedimento istruttorio e se il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti abbia dato seguito a tale procedura;
   si segnala inoltre che il 16 febbraio 2015 la Commissione VIII ha audito il presidente dell'ANAC; Raffaele Cantone ha affrontato la questione del cosiddetto fondo Ferrovie specificando di aver «appreso con incredulità» dei 550 milioni accantonati (che la società obbligata ad accantonare e poi devolvere alle casse dello Stato ai sensi dell'articolo 55 della legge 27 dicembre 1997 n. 449 e dell'articolo 47 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78) e bloccati senza una valida giustificazione, auspicandone invece un inserimento immediato nel sistema;
   il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha, invece, avviato il rinnovo della concessione esistente prorogandone, di fatto, l'operatività fino al 2045 sulla base dell'articolo 17 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 che consente allo Stato di affidare direttamente concessioni, ma solo a società a totale partecipazione pubblica. La normativa è stata recepita anche dall'articolo 5 del decreto legislativo 18 aprile 2016 e prevede anche che l'amministrazione eserciti sulla concessionaria un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, oltre che un controllo decisivo sulle decisioni e sugli obiettivi strategici della stessa. Tali requisiti non sembrano ancora soddisfatti;
   l'accordo prevede che siano devoluti allo Stato 550 milioni di euro del citato fondo Ferrovie. A tal proposito, non hanno pregio, ad avviso dell'interpellante, le argomentazioni addotte – ovvero che gli accantonamenti che Autostrade del Brennero s.p.a. si è impegnata a versare una volta rinnovata la concessione sarebbero risultati decisivi per migliorie e interventi infrastrutturali sulla rete ferroviaria Brennero, in particolare per la realizzazione del nuovo tunnel di base BBT, poiché qualsiasi nuova concessionaria, in vigenza delle sopracitate norme sarebbe stata in ogni caso obbligata ad accantonare ogni anno 34,2 milioni di euro da destinare ad uno speciale fondo Ferrovie per il potenziamento ferroviario del Brennero;
   è utile ricordare come le province autonome di Trento e Bolzano, nelle loro vesti di proprietarie di maggioranza della A22, potranno godere anche degli incassi derivanti dalla fiscalità applicata ai ricavi della A22 così come previsto dalle norme di cui godono –:
   quale convenienza conseguirà lo Stato dalla proroga della convenzione e se non sarebbe stato tratto maggiore profitto da una procedura ad evidenza pubblica che in ogni caso avrebbe rispettato il principio di concorrenza;
   se la procedura di individuazione dei criteri idonei alla riformulazione del bando di gara per il rinnovo della concessione, portata avanti dall'Autorità di regolazione dei trasporti nel 2014, risulti essere conclusa e, qualora gli esiti siano stati trasmessi al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, perché non si sia dato seguito all'iniziativa;
   se Autostrade del Brennero s.p.a. stia adesso operando in regime di prorogatio regolamentato da un'apposita convenzione;
   a che stato di avanzamento risultino le procedure considerato che il protocollo è datato 14 gennaio 2016;
   quali passaggi procedurali siano eventualmente previsti per ricondurre in house la gestione autostradale del Brennero;
   se nei 550 milioni di euro di accantonamenti – che in base al protocollo saranno devoluti al fondo Ferrovie – siano ricompresi e risultino versati gli interessi maturati sul capitale dall'anno 1997 all'anno 2014;
   se sia stato valutato il rischio di annullamento della concessione da parte degli organi dell'Unione europea con conseguente oneroso indennizzo alla società.
(2-01606) «Garofalo».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia italiana per la sicurezza delle ferrovie (di seguito Ansf) è stata istituita, con sede in Firenze, sulla base dell'articolo 4 del decreto legislativo 10 agosto 2007, n. 162, di recepimento della direttiva 2004/49/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 (direttiva relativa alla sicurezza delle ferrovie comunitarie) ed è sottoposta alla vigilanza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   l'Ansf fornisce agli operatori ferroviari i principi informatori delle disposizioni e prescrizioni di loro competenza e vigila affinché siano mantenuti gli attuali livelli di sicurezza; inoltre, ne promuove il costante miglioramento in relazione al progresso tecnico e scientifico, garantisce un trattamento equo e non discriminatorio a tutti i soggetti interessati alla produzione di trasporti ferroviari, contribuisce all'armonizzazione delle norme di sicurezza nazionali e internazionali favorendo l'interoperabilità della rete ferroviaria europea;
   il regolamento di organizzazione dell'Ansf traccia, tra l'altro, l'organigramma della stessa, ed è emanato con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato;
   si apprende che il dirigente del settore «norme di esercizio» — che svolge le funzioni di competenza dell'Agenzia in ambito di norme, standard, prescrizioni e disposizioni in materia di condotta dei treni, movimento dei treni e formazione per il personale dell'esercizio ferroviario addetto a mansioni di sicurezza è l'ingegnere Giulio Margarita che risulta, insieme ad altri dirigenti e funzionari del gruppo ferrovie, tra gli imputati del processo per la strage di Viareggio che avvenne il 29 giugno del 2009 quando un treno carico di gpl deragliò attraversando la stazione, provocando, a seguito della rottura di una cisterna, un'esplosione che devastò un intero quartiere uccidendo 32 persone. Fra i reati ipotizzati vi sono il disastro ferroviario colposo, l'incendio colposo, l'omicidio e le lesioni colpose plurime e, per alcuni, violazioni delle norme in materia di sicurezza sul lavoro  –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa se sia stata valutata la sussistenza dei presupposti per assumere iniziative volte a sospendere in via cautelativa, il dirigente indicato, ingegner Giulio Margarita, dall'incarico che attualmente ricopre per le ragioni sopra esposte. (5-10319)


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 3, primo comma, lettera i), del decreto legislativo 10 agosto 2007, n. 162, recante «Attuazione delle direttive 2004/49/CE e 2004/51/CE relative alla sicurezza e allo sviluppo delle ferrovie comunitarie», si intendono «verificatori indipendenti di sicurezza» (di seguito VIS), gli organismi incaricati di valutare la conformità di un componente ai requisiti di omologazione relativi alla sicurezza ad esso applicabili e l'idoneità all'impiego dello stesso, e/o di istruire la procedura per l'omologazione;
   l'Agenzia italiana per la sicurezza delle ferrovie (di seguito ANSF), istituita dal medesimo decreto citato, sottoposta alla vigilanza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ha il compito, ai sensi dell'articolo 6, secondo comma, lettera r), di qualificare i VIS per i processi di omologazione;
   fra i VIS accreditati da ANSF risulta anche Italcertifer, che risulta essere una società partecipata dal gruppo Ferrovie dello Stato Italiane. Italcertifer nasce nel 2001 come «Istituto italiano di ricerca e certificazione ferroviaria» e ha come soci iniziali Rete ferroviaria italiana (Rfi), Trenitalia, Politecnico di Milano e le università di Firenze, Pisa e Napoli. Nel 2007 entra nella compagine societaria la FS Holding acquisendo tutte le quote di RFI e Trenitalia;
   la società Italcertifer risulta aver fra i suoi principali clienti, su cui è chiamata a svolgere la funzione di verificatore di sicurezza, Rfi, sul fronte dell'infrastruttura e del controllo, comando e segnalamento, e Trenitalia per il materiale rotabile. Si tratta pertanto di società tutte appartenenti al medesimo gruppo Ferrovie dello Stato Italiane –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative intenda assumere in relazione alla situazione rappresentata che all'interrogante non appare conforme ai principi di indipendenza e imparzialità imposti dalla legge per lo svolgimento dell'attività di verifica e controllo sulla sicurezza, posto lo stretto legame societario fra il controllore, Italcertifer in qualità di VIS, e le controllate, RFI e Trenitalia. (5-10320)


   MOGNATO, MARTELLA, MORETTO, MURER e ZOGGIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 3 aprile 2003 il «comitatone» ex articolo 4 della legge n. 798 del 1984 ha definito la conca di navigazione presso la bocca di porto di Malamocco come struttura di accesso permanente necessaria a garantire l'accesso al porto di Venezia separando quindi le esigenze di navigazione da quelle della salvaguardia, utile a consentire il transito delle navi di maggiori dimensioni indipendentemente dal canale di bocca, assicurando l'agibilità portuale con il sistema di paratoie in funzione in qualsiasi condizione meteorologica;
   il progetto definitivo del 2002 prevede che la conca di navigazione sia dimensionata per il transito in sicurezza di navi di 250 metri di lunghezza massima, 36 metri di larghezza, 12 di pescaggio;
   il progetto esecutivo del 2008 prevede il passaggio di navi di progetto di 270 metri di lunghezza massima, rimanendo inalterate larghezza e pescaggio;
   nel 2013 il Mav (magistrato alle acque di Venezia) comunica come dimensioni della nave di progetto 280 metri di lunghezza, 39 metri di larghezza, 12 metri di pescaggio e con specifiche accortezza, navi di larghezza massima di 44 metri;
   la capitaneria di porto di Venezia nel gennaio 2013, in seguito a simulazioni effettuate, evidenzia delle criticità nei transiti attraverso la conca di navigazione suggerendo alcune soluzioni migliorative;
   il Consorzio Venezia Nuova nel giugno 2013 ha trasmesso un nuovo schema sulle dimensioni massime della nave di progetto, portando la lunghezza massima a 280 metri;
   successivamente il MAV conferma le dimensioni della nave di progetto;
   a più riprese la corporazione piloti, dopo ulteriori simulazioni, e la capitaneria di porto di Venezia hanno riscontrato criticità rilevanti in merito al dimensionamento della conca e alle dimensioni massime della nave di progetto, suggerendo alcuni interventi per garantire l'accesso in sicurezza delle navi;
   nel gennaio 2014 la capitaneria di porto richiede il collaudo operativo della conca per certificare le dimensioni delle navi in grado di transitare;
   nel marzo 2014 il Mav comunica che non sono previsti finanziamenti per adeguare gli accessi della conca;
   nel giugno 2014 l'autorità portuale di Venezia richiede ragguagli al Mav sulle prove effettuate e sull’iter per l'ottenimento del collaudo funzionale e scrive alla Presidenza del Consiglio richiedendo il collaudo funzionale ed evidenziando le soluzioni migliorative da adottare;
   nel gennaio 2015 la corporazione piloti nella relazione tecnica riporta che la nave di massime dimensioni transitata attraverso la conca aveva una lunghezza di 217 metri in condizioni meteo ottimali e con corrente nulla e che di conseguenza non risulta sicuro il passaggio di navi di dimensioni maggiori o con condizioni meteorologiche non ottimali;
   nei giorni scorsi il presidente dell'autorità portuale ha pubblicamente ribadito che la conca di navigazione è sbagliata e non serve –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere, nell'ambito delle sue competenze, per assicurare, prima dell'entrata in funzione del Mose prevista per il 2018, l'esecuzione del collaudo funzionale della conca, la definizione delle procedure di transito dei porti regolati di Venezia e di Chioggia, l'eventuale adeguamento delle dimensioni della stessa conca per garantire la piena funzionalità del porto di Venezia in qualsiasi condizione meteorologica, e per verificare puntualmente le responsabilità di un eventuale errore di progettazione o realizzazione della conca. (5-10322)


   GIULIETTI, SERENI, VERINI e ASCANI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da alcuni organi di stampa che il gestore Trenitalia s.p.a. – divisioni passeggeri N1 avrebbe intenzione di sopprimere numerose coppie di servizi ferroviari Intercity sul territorio nazionale causa insostenibilità economica;
   già due anni fa venne scongiurato un rischio analogo che riguardava i servizi ferroviari Intercity, unica possibilità per il territorio umbro di intercettare l'alta velocità;
   questi servizi sono utilizzati sistematicamente dai cittadini umbri per i loro spostamenti casa-lavoro/studio verso Roma e Firenze;
   la regione Umbria ha in merito inviato una nota al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti in data 17 gennaio 2017;
   appare indispensabile il mantenimento dei servizi Intercity, anzi è necessario un loro rafforzamento, al fine di dare una risposta seria al diritto alla mobilità che, anche in virtù della normativa comunitaria, è necessario garantire ai cittadini –:
   quale sia la situazione dei servizi ferroviari Intercity e quali iniziative di competenza il Governo intenda mettere in atto non solo per garantirne il mantenimento ma per assicurare il diritto alla mobilità dei cittadini umbri, già fortemente penalizzati dalla situazione infrastrutturale. (5-10324)


   COPPOLA, CARROZZA, BASSO, CATALANO, QUINTARELLI, GRIBAUDO, DAMBRUOSO, BARBANTI, TINO IANNUZZI e GALGANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i veicoli a guida autonoma sono ormai realtà da diversi anni e sono in fase di sperimentazione su strada in diversi Paesi nel mondo (Inghilterra, Germania, Francia e alcuni dati americani – ad esempio nel Nevada dal 2011);
   la sperimentazione su strada è fondamentale e funzionale al miglioramento della qualità e della sicurezza dei veicoli, non bastando i test su pista, per poter adeguare i veicoli alle esigenze di un sistema complesso quale quello costituito da traffico, pedoni, condizioni meteorologiche e conseguenti imprevisti;
   l'importanza della sperimentazione su strada permetterebbe di dare risposte e sostegno ai centri di ricerca di eccellenza del nostro Paese, per permettere loro di proseguire i propri studi di avanguardia nel settore dell'automazione della guida;
   si apprende dagli organi di stampa (Corriere della Sera, 21 ottobre 2016) che «il tema delle regole per l'auto senza pilota è [...] allo studio del ministero dei Trasporti, che sta lavorando a una normativa e ai decreti attuativi che l'accompagneranno» –:
   se trovi conferma l'intenzione di assumere iniziative per modificare il codice della strada relativamente al tema della guida autonoma e secondo quali orientamenti. (5-10326)


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa della rivista online «La ringhiera» del 10 gennaio 2017 si evince che nel 2004 sia stato annunciato il sopralluogo di un nuovo diplomatica dell'ambasciata degli Usa al porto di Taranto al fine di valutare la costruzione di un nuovo molo a scopo commerciale, con un investimento di circa 800 milioni di euro. Dietro l'interesse del Governo degli USA al sopracitato investimento, si muoveva la Westland Securities di Giulio Occhionero;
   oltre alla sopracitata visita della diplomatica degli Usa, conferme sull'operazione giunsero anche da esponenti della maggioranza di (Governo dell'epoca come l'onorevole Massimo Ostillio (Udeur), vicepresidente della Commissione difesa che sostiene e che i vertici militari Usa erano interessati a realizzare due grossi poli logistici in Italia, uno per le truppe di terra a Solbiate, vicino Milano, e uno navale in Puglia, a Taranto;
   in data 10 gennaio 2017 Giulio Occhionero e sua sorella Francesca Maria sono stati arrestati nell'ambito di un'operazione contro «una centrale di cyberspionaggio». L'accusa è di avere raccolto dati sensibili di politici, funzionari statali, personalità e istituzioni tramite azioni di pirateria informatica. Tra i nomi illustri dei dossierati dai fratelli Occhionero anche l'ex premier Matteo Renzi, il governatore della Bce Mario Draghi, diversi politici, alcuni ex ministri, l'ex comandante della Guardia di finanza, Saverio Capolupo, e prelati tra cui monsignor Gianfranco Ravasi. Le attività dei fratelli Occhionero avrebbero permesso di raccogliere informazioni su migliaia di account attraverso l'utilizzo di un malware denominato «EyePyramid»;
   l'inchiesta sopraccitata è condotta dalla procura di Roma. Secondo il gip Tomaselli, i fratelli Occhionero avrebbero «fornito consulenza al governo statunitense in un'operazione commerciale per la costruzione di infrastrutture nel porto di Taranto». L'interesse per Taranto è confermato anche dal ritrovamento sui server delle società, di una cartella intitolata «Tabu» che raggruppa diversi account e password legati all'Autorità portuale ionica;
   da fonti stampa del Fatto Quotidiano del 13 gennaio 2017 dal titolo «Lo spione, il porto di Taranto e la fregatura di Di Pietro» si apprende che l'ex Ministro Antonio Di Pietro promosse un emendamento al testo della finanziaria del 2007 – articolo 1, comma 1002 – al fine di agevolare la realizzazione dell'investimento in questione nel porto di Taranto. Il progetto è stato realizzato dall'ingegnere Antonio Severini il quale riferisce che Occhionero mostrò all'allora Ministro Di Pietro una lettera sottoscritta dal gruppo bancario «Bear Sterns» che autorizzava lo stesso Occhionero a trattare l'investimento per conto dell'istituto bancario –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto espresso in premessa e alle motivazioni che hanno portato al disinteresse degli USA all'investimento a Taranto;
   se risulti il Governo degli USA, ovvero società straniere, siano ancora interessati a realizzare un polo logistico a Taranto;
   se trovi conferma che la concessione prevista dal progetto in questione, fosse di 90 anni, ovvero quale sarebbe stata la durata della concessione e quali sarebbero state le società interessate alla stessa concessione;
   se e quali progetti siano stati proposti per la retroportualità del porto di Taranto a seguito degli investimenti previsti o se il progetto prevedesse esclusivamente o in massima parte attività di transhipment senza sviluppo della retroportualità;
   se si intenda rendere disponibile all'opinione pubblica tutta la documentazione in possesso del Governo relativa al progetto in formato elettronico dato che viene descritto come «una opportunità perduta per Taranto» e, in caso contrario, quali siano i motivi del diniego. (5-10331)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CARLONI, CAPOZZOLO, TINO IANNUZZI, MALPEZZI, MANFREDI, PIAZZONI, GIORGIO PICCOLO, SALVATORE PICCOLO, RAGOSTA, RICHETTI, SGAMBATO e MARCO DI MAIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso attraverso gli organi di stampa che, dopo la cancellazione degli abbonamenti da parte di NTV (Italo) nelle tratte tra i capoluoghi di regione, Trenitalia, pur decidendo di mantenerli, ne ha aumentato sensibilmente il costo;
   dal mese di febbraio 2017, per ottenere lo stesso livello di servizio attuale, cioè la possibilità di viaggiare sette giorni su sette in tutte le fasce orarie in seconda classe, i pendolari dovranno pagare in media circa il 35 per cento in più;
   inoltre, l'azienda ha deciso di introdurre tre nuove tipologie di abbonamento, che prevedono: la possibilità di usare i treni ad alta velocità in tutte le fasce orarie, ma solo dal lunedì a venerdì, con un incremento di costo pari a circa il 20 per cento rispetto il precedente modello di abbonamento, il quale però consentiva l'accesso a tutti i treni alta velocità in seconda classe tutti i giorni;
   le altre due nuove tipologie di abbonamento, classificate come «morbide», permettono di pagare di meno, ma hanno un importante limite in termini di fruibilità del servizio. Infatti, è previsto il solo utilizzo dei treni fra le ore 09.00 e le ore 17.00, incompatibile con i flussi di traffico che caratterizzano i fenomeni di pendolarismo;
   a riprova di quanto detto, si riportano le più significative variazioni in termini di aumento dei costi a parità di servizio (abbonamento mensile di seconda classe per tutti i giorni e tutte le fasce orarie): Torino-Milano (153 chilometri) da 340 a 459 euro; Milano-Bologna (219 chilometri), da 417 a 563 euro; Bologna-Firenze (97 chilometri, da 224 a 302 euro; Firenze-Roma (310 chilometri), da 386 a 521 euro, Roma-Napoli (213 chilometri) da 356 euro a 481 euro; Napoli-Salerno (54 chilometri) da 170 a 230 euro;
   questa variazione di costo ha determinato un aggravio nei confronti delle fasce sociali più deboli, come i pendolari, costretti a doversi spostare ogni giorno, per motivi di lavoro o studio, tra le città capoluogo di regione, senza avere la possibilità di trasferire la propria residenza;
   le città sono un campo essenziale per le politiche pubbliche e per porre le basi di una strategia di rilancio attraverso una strategia di rilancio attraverso una molteplicità di interventi, tra cui assume un assoluto rilievo lo sviluppo dei territori da perseguire anche mediante una idonea politica razionale dei trasporti collegata all'integrazione di importanti realtà territoriali e tessuti economici locali;
   l'iniziativa di Trenitalia rischia di compromettere la corretta erogazione del servizio pubblico comprimendo i diritti dei cittadini e penalizzando le forti connessioni tra le economie dei territori –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente della situazione descritta in premessa, se non ritenga che sussistano i presupposti per promuovere verifiche e se intenda predisporre le iniziative necessarie per salvaguardare i diritti di chi giornalmente usufruisce di un servizio, come quello offerto da Trenitalia, esclusivamente per motivi di lavoro o di studio. (4-15260)


   DI LELLO, VALERIA VALENTE, IMPEGNO e TARTAGLIONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a partire dal 17 gennaio 2017 gli aumenti annunciati da Trenitalia per i pendolari che utilizzano il Frecciarossa sono diventati realtà. Il Gruppo, infatti, ha dato il via libera ai nuovi abbonamenti per l'alta velocità;
   in media i prezzi sono aumentati del 35 per cento con un grave aggravio di costi per tutti i pendolari che, oltre al danno, sembrano avere ricevuto anche una beffa;
   Trenitalia, infatti, a differenza di Ntv che, nei mesi scorsi, ha progressivamente cancellato gli abbonamenti per Italo nelle tratte tra i capoluoghi di regione, ha pensato di prevedere 4 tipi diversi di abbonamento, che si differenziano per costo e giorni di utilizzo: in pratica, i pendolari dei Frecciarossa dovranno scegliere se utilizzare un abbonamento completo, per tutta la settimana e valido a tutte le ore o limitato per le corse nella fascia 9-17 (e quindi fuori dall'orario di punta, per i pendolari), o ancora solo dal lunedì al venerdì in entrambe le modalità (valido sempre o limitato). L'unico aumento contenuto è quello della fascia 9-17 inutilizzabile da un pendolare che a quell'ora o deve essere già al lavoro o non è ancora uscito;
   le tratte interessate coprono tutto il territorio nazionale: si va dalla Torino-Milano, alla Bologna-Firenze, alla Firenze-Roma, alla Milano-Firenze e alla Reggio Emilia-Milano. Leggermente più contenuto è il rincaro sulla Roma-Caserta – poco più del 31 per cento – mentre i viaggiatori abituali tra Bologna e Milano saranno costretti a pagare il salasso più alto, il 37,4 per cento in più;
   mentre il Codacons anticipa che presenterà un esposto all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, l'amministratore delegato di Trenitalia afferma: «Abbiamo mantenuto quanto avevamo anticipato in tutte le sedi confermando gli abbonamenti...»;
   quella sugli abbonamenti dell'alta velocità è una battaglia che va ormai avanti da tempo e che, nel 2016, aveva fatto pensare che Trenitalia potesse eliminare gli abbonamenti, come già fatto da Ntv con Italo –:
   quali iniziative urgenti di competenza il Ministro interrogato abbia intenzione di intraprendere al fine di tutelare tutti quei pendolari che si trovano a dover subire rincari così onerosi;
   quali iniziative di competenza abbia intenzione di intraprendere al fine di verificare la congruità dei costanti aumenti dei costi di abbonamenti e biglietti che Trenitalia continua a perpetrare da anni a discapito del consumatore. (4-15263)


   LATRONICO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la viabilità è un elemento fondamentale per lo sviluppo del territorio e la sua ottimizzazione è fondamentale per garantire una crescita economica, sociale e culturale dei piccoli comuni calabresi in provincia di Vibo Valentia;
   ormai da più anni, in fase di ampliamento e di ammodernamento dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria e specificatamente tra gli svincoli di Serre e Mileto in provincia di Vibo Valentia al chilometro 361-364, la ditta esecutrice dei lavori, sotto la sorveglianza dell'Anas, procedeva alla eliminazione di tre dei quattro cavalcavia esistenti;
   l'eliminazione dei cavalcavia è stata dettata da ragioni di sicurezza e, in loro sostituzione, si sarebbe dovuto procedere alla realizzazione di sottopassaggi che avrebbero interamente supplito alle funzioni esercitate dalle strutture abbattute, così integralmente eliminando ogni disagio;
   in realtà ad oggi si è pervenuti ad una realizzazione parziale dei sottopassaggi, senza il completamento dei lavori degli stessi e con percorrenza, volte impossibile e in parte disagiata, a causa anche della fanghiglia e dei detriti che, in presenza anche di modeste precipitazioni, si formano per l'assenza delle necessarie cunette;
   quanto sopra descritto da tempo produce difficoltà e disagi facilmente intuibili alla intera popolazione che prima usufruiva dell'utilizzazione dei cavalcavia ed, in particolare, agli imprenditori agricoli della zona, operanti nel comune di Francica in provincia di Vibo Valentia, che vedono la loro attività in parte impedita ed in parte sottoposta ad un ulteriore dispendio di risorse ed energie –:
   quali iniziative il Ministro intenda assumere per verificare la sussistenza delle criticità esposte in premessa e se ritenga necessario intervenire presso Anas affinché la ditta esecutrice dei lavori dia esecuzione agli interventi programmati per consentire una migliore viabilità ad un territorio ad elevata vocazione agricola. (4-15269)


   MINARDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità per il 2016 aveva previsto risorse economiche per la continuità territoriale della regione Sicilia. È da sottolineare come lo stanziamento di 20 milioni di euro previsto dalla citata legge, ad avviso dell'interrogante, non sia stato utilizzato in modo congruo e corretto dalla regione siciliana;
   ad oggi pertanto appare indispensabile fornire un chiarimento da parte della stessa regione su una vicenda che ricade negativamente sui fruitori di un servizio essenziale per la continuità territoriale dell'isola. Ciò, infatti, dimostra la scarsa attenzione su un tema fondamentale che potrebbe implementare il turismo e, in generale, la crescita socio-economica della Sicilia;
   la Conferenza Stato-regioni intervenuta sulla tematica ha previsto che una parte dello stanziamento di cui alla legge di stabilità citata (15 milioni) sia riservata agli aeroporti minori tra cui Comiso. Tra l'altro, questa decisione non sembra congrua in relazione all'esatta «portata» della norma che aveva effetti più ampi e ricomprendeva in generale tutti gli aeroporti della regione;
   è quindi, fondamentale in un periodo in cui sono notevoli i rincari dei biglietti aerei (per e da) la Sicilia ripristinare il contributo vista l'insularità e la condizione di svantaggio in cui trova l'isola. Si ricorda al proposito che analoghi vantaggi sono previsti per la regione Sardegna –:
   quali iniziative intenda adottare per ripristinare il contributo previsto dalla legge di stabilità 2016 per la regione Sicilia che consentirebbe un'implementazione dei traffici e un aumento considerevole del turismo, nonché innegabili vantaggi per l'economia dell'isola, considerato tra l'altro, come ricordato in premessa, gli stanziamenti sono stati erogati con modalità che all'interrogante appaiono non confacenti alla norma introdotta con la citata legge di stabilità. (4-15271)


   CATANOSO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'opinione diffusa e condivisa degli esperti dell'aviazione civile italiana e siciliana, il piano regionale trasporti della Sicilia, e in particolare la parte relativa al trasporto aereo-aeroporti, dovrebbe essere adeguato agli sviluppi ed alle prospettive di crescita del settore;
   con i finanziamenti provenienti dal PON Sicilia trasporti APQ 2000 2006 e con i fondi per le «aree depresse», pari a circa 350 milioni di euro, si sono realizzate opere rilevanti per gli scali aeroportuali di Catania (nuova aerostazione, nuove vie di rullaggio per la circolazione a terra degli aeromobili più idonea, ammodernamento tecnologico e infrastrutturale della Torre di controllo e altro), di Palermo (opere land side ed airside), di Trapani, Lampedusa e Pantelleria, oltre a consistenti iniziative per la trasformazione in scalo civile dell'aeroporto di Comiso;
   l'aeroporto di Catania serve oltre 7 milioni di passeggeri con una sola pista lunga 2.400 metri;
   con una pista di più di 3 chilometri e con una maggiore resistenza dell'attuale, potrebbero operare velivoli molto più capienti e pesanti, come ad esempio l'Airbus-380;
   da una nota tecnica emerge che per operare con velivoli pesanti del tipo A-380 è necessaria una pista di almeno 3.270 metri, lunghezza minima per poter operare con un carico pari ai 2/3 di quello massimo;
   è noto che l'ultima ipotesi progettuale preveda lo spostamento del nodo ferroviario della Bicocca per consentire una pista idonea a decolli e atterraggi di velivoli pesanti e a pieno carico;
   altre ipotesi con piste al di sotto di 3 mila metri e che risalgono a progetti di decenni addietro, non sarebbero più idonee viste le esigenze aeronautiche che si prevedono nei prossimi 15 anni;
   è noto che i movimenti aerei possono diminuire in uno scalo, con velivoli con una capienza di passeggeri più elevata per ogni volo e che questi determinano una serie di vantaggi sia operativi che economici;
   la progettazione, il finanziamento e la realizzazione di una tale opera infrastrutturale è, ormai, indifferibile se non si vuole perdere il primato aeronautico attuale dello scalo di Catania;
   i tempi per la costruzione di una pista con caratteristiche idonee alle attuali e future esigenze dell'aeroporto di Catania sono pari ad almeno 3 anni e tenendo conto che nel prossimo decennio il numero dei passeggeri che si muoverà da e per Catania potrebbe superare i 12 milioni, occorre intervenire per procedere a un adeguamento dello scalo catanese anche sull'ampliamento dell'area parcheggi degli aeromobili, sull'adeguamento della vecchia aerostazione, su tutte le altre infrastrutture viarie adeguate da e per lo scalo –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare il ministro interrogato affinché possa essere risolta la problematica esposta in premessa. (4-15273)


   SEGONI, BALDASSARRE, ARTINI, BECHIS, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI, PASTORINO e TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   un lungo tratto della E 45 da Cesena nord a Pieve Santo Stefano, in provincia di Arezzo è rimasta chiusa al traffico, dalla sera del 16 gennaio 2017 alla mattina del 18, immobilizzando l'intera area. È indubbio che l'evento nevoso di questi giorni risulta essere di eccezionale violenza ed intensità, ma è anche vero che era stato previsto con abbondante anticipo. Risulta evidente quindi che si siano verificate carenze nella programmazione di una risposta adeguata al fenomeno atmosferico previsto. Purtroppo, quasi con estrema regolarità oramai da anni questo tratto dell'E45 viene chiuso per fenomeni di maltempo come nevicate, anche di intensità minori. Il blocco causa enormi disagi ai cittadini è agli autotrasportatori, con ripercussioni negative anche sulla viabilità alternativa –:
   se il Ministro interrogato, anche alla luce dei poteri di vigilanza sull'attività tecnica e operativa dell'Anas, intenda intraprendere iniziative al fine di evitare che un'arteria a così alta percorrenza come l'E45 possa in futuro risultare bloccata nuovamente a causa di nevicate o maltempo. (4-15280)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'amministrazione comunale di Ginosa (TA), nell'ambito della programmazione triennale delle opere pubbliche e in adempimento delle direttive di riduzione della spesa, ha proposto all'Arma dei carabinieri con nota dell'11 ottobre 2016 di ottimizzare l'utilizzo degli immobili di proprietà pubblica in via Caduti di Nassiriya, destinandoli ad usi che rispecchino precise connessioni tra superficie occupata e numero degli occupanti. In tal senso, la proposta è stata quella di trasferire negli stessi stabili il vicino comando della compagnia dei carabinieri di Castellaneta (TA), confermando la Stazione in sede della costituenda compagnia;
   agli atti del comune di Ginosa risulta un contratto di locazione per la caserma dei carabinieri di Ginosa, dato in locazione al Ministero dell'interno, per l'uso come caserma dei carabinieri, sovradimensionato in relazione al tipo di comando ivi allocato, alla forza presente ed al numero dei mezzi assegnati. L'immobile è anche dotato di un eliporto e di un ampio piazzale, entrambi funzionali sul piano logistico ed operativo ad ospitare un comando di grado superiore;
   la scelta di allocare il comando della compagnia dei carabinieri nella descritta struttura, secondo la giunta comunale di Ginosa, consentirebbe un risparmio economico e una gestione più oculata e razionale sul piano amministrativo, consentendo benefici comuni per le città di Castellaneta e di Ginosa. Ciò potrebbe comportare anche un risparmio per il Comune di Castellaneta (TA). Il numero elevato degli spazi che caratterizzano lo stabile di Ginosa, la volumetria e la ripartizione interna dei vani abitabili, la presenza di un eliporto e di un largo piazzale, sono stati ideati e realizzati per il soddisfacimento delle esigenze di un comando di rango superiore, quale potrebbe essere la compagnia –:
   se vi siano elementi ostativi all'accorpamento dei due comandi di cui in premessa. (4-15272)


   FRANCO BORDO, DANIELE FARINA, QUARANTA, COSTANTINO e D'ATTORRE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi, la Do.Ra., un'associazione neo-nazista operante in Lombardia, ha promosso una petizione on-line sul sito change.org, il cui oggetto è la chiusura, «fino all'ultima sezione», dell'Associazione nazionale partigiani italiani (Anpi);
   ulteriore, e ancor più grave, è anche la richiesta presente nella petizione che «vengano processati per crimini di guerra tutti i partigiani ancora in vita»;
   la comunità militante dei dodici raggi (Do.Ra.) opera da qualche anno in provincia di Varese; i dodici raggi rimandano al «sole nero», simbolo del castello diventato negli anni del nazismo la sede delle Ss (Schutz-staffeln, «squadre di protezione»). La base è a Caidate, frazione di Sumirago, dove l'associazione ha promosso diversi eventi e raduni; emblematica è la manifestazione, con il posizionamento di simboli runici al sacrario della battaglia partigiana del Monte San Martino, dove sono commemorati i caduti antifascisti di un noto episodio resistenziale del 1943. Con quella iniziativa, più volte ripetuta, la comunità intende ricordare, tuttavia, i morti dell'esercito nazista e fascista;
   la petizione illustrata non può che destare estrema preoccupazione poiché offende non soltanto l'Anpi, la Resistenza tutta, ma anche tutti i cittadini del nostro Paese, che pongono le basi della loro civile convivenza sui valori della Costituzione, nata dalla lotta partigiana e della liberazione dal nazifascismo, ponendosi, a monte, in contrasto, dunque, con la Carta costituzionale;
   tale iniziativa fa il paio con il raduno dei nazifascisti di Forza Nuova all'Arco della Pace, svoltosi a Milano – peraltro in un luogo simbolo della città – sabato 14 gennaio 2017, con il nulla osta della prefettura e della questura di Milano; si tratta di un fatto estremamente grave, a giudizio degli interroganti considerata la pregiudiziale antifascista, alla base della nostra Costituzione –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato rispetto ai fatti riportati in premessa;
   se non ritenga di attivarsi immediatamente, per quanto di competenza, per acquisire ulteriori elementi circa la petizione promossa dalla Do.Ra, associazione neonazista, in quanto questa si pone secondo gli interroganti in aperto contrasto con i principi base della Costituzione italiana;
   se non intenda assumere iniziative di competenza affinché, nel pieno rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento italiano e in attuazione degli stessi, vengano impedite iniziative di stampo neonazista e fascista sul territorio, anche in relazione ai profili d'ordine pubblico.
   (4-15275)


   NACCARATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 14 novembre 2016 il prefetto di Padova ha decretato la sospensione di consiglio comunale, giunta e sindaco di Padova e ha nominato il prefetto Penta commissario per la gestione provvisoria;
   il 16 novembre 2016 il prefetto Penta ha confermato l'incarico dirigenziale di capo settore polizia locale, protezione civile e mobilità al dottor Paolocci;
   Paolocci aveva ricevuto l'incarico dirigenziale il 31 ottobre 2014 dal sindaco Bitonci;
   l'incarico era stato conferito «sino alla scadenza del mandato» del sindaco con una motivazione di tipo fiduciario. Si ricorda che Paolocci è stato vicecomandante del 1997 al 1998 e comandante dal 1999 al 2014 della polizia municipale di Cittadella negli anni in cui Bitonci è stato vice sindaco e sindaco dello stesso comune;
   il 16 novembre 2016 Penta ha confermato l'incarico dirigenziale di capo settore pubblica e impianti sportivi all'architetto Scapin;
   Scapin aveva ricevuto l'incarico dirigenziale il 7 giugno 2016 dal sindaco Bitonci;
   l'incarico era stato conferito «sino alla scadenza del mandato» del Sindaco con una motivazione di tipo fiduciario. Si ricorda che Scapin è stato dirigente del comune di Cittadella dal 2002 al 2012 negli anni in cui Bitonci è stato sindaco dello stesso comune;
   il 28 novembre 2016 Penta ha confermato l'incarico dirigenziale di segretario generale con la funzione di direttore generale al dottor Traina;
   Traina aveva ricevuto gli incarichi dirigenziali dal sindaco Bitonci 21 agosto 2014 e il 23 gennaio 2015;
   gli incarichi erano stati conferiti «sino alla scadenza del mandato» del sindaco con motivazioni di tipo fiduciario tra sindaco e dirigente. Si ricorda che Bitonci ha conferito gli incarichi a Traina nonostante la Corte dei conti avesse aperto un procedimento nei confronti del dirigente per la sua attività di segretario generale nel comune di Vittorio Veneto;
   il procedimento si è concluso in data 13 aprile 2016 con il riconoscimento da parte della Corte dei Conti dell'avvenuto risarcimento da parte di Traina del danno erariale, prodotto dallo stesso Traina nei confronti del comune di Vittorio Veneto mentre vi esercitava le funzioni di segretario generale (sentenza 58/2016 Corte dei Conti – sezione Veneto);
   il mandato del sindaco è terminato con il citato decreto di sospensione;
   gli incarichi citati sono terminati con la fine del mandato del sindaco;
   tra il personale del comune di Padova sono presenti professionalità adeguate agli incarichi citati;
   la decisione del prefetto Penta di confermare gli incarichi citati appare all'interrogante discrezionale, perché riguarda persone provenienti da altre amministrazioni con relativi oneri aggiuntivi di spesa;
   la decisione di Penta di confermare Paolocci e Scapin appare discrezionale perché affida la dirigenza di settori fondamentali del comune a persone strettamente collegate con sindaco cessato dal mandato;
   la decisione del commissario di confermare Traina appare discrezionale perché in continuità con quella del sindaco cessato dal mandato e non considera il comportamento di Traina oggetto della citata sentenza della Corte dei conti;
   la gestione commissariale dovrebbe limitarsi all'ordinaria amministrazione e alla massima neutralità in attesa delle prossime elezioni;
   a parere dell'interrogante le decisioni del prefetto Penta sui tre dirigenti citati sono in continuità con le decisioni del sindaco cessato ed esulano dall'ordinaria amministrazione;
   l'interrogante esprime preoccupazione per il rischio che i dirigenti confermati passano agire sotto il condizionamento del sindaco cessato, influenzando l'attività amministrativa e non assicurando la necessaria imparzialità –:
   se il Ministro sia al corrente dei fatti descritti;
   se il Ministro, nell'ambito delle proprie competenze, intenda intervenire per assicurare l'imparzialità nella gestione del comune di Padova, soggetto a commissariamento, nel periodo di sospensione degli organi comunali fino alle prossime elezioni. (4-15281)


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e TURCO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a testimonianza delle pessime condizioni in cui vivono i rifugiati si segnala l'ultima tragedia avvenuta a Sesto fiorentino, nell'ex mobilificio Aiazzone dove, in un incendio divampato nella tarda serata dell'11 gennaio 2017, è rimasto ucciso un cittadino somalo;
   il capannone era occupato da due anni e serviva da rifugio per un'ottantina di migranti, per lo più somali;
   quando le fiamme sono divampate, le cui cause sono ancora da accertare, tutti si sono salvati tranne un quarantaquattrenne somalo ritrovato all'interno del fabbricato dai vigili del fuoco, intervenuti con trentacinque uomini;
   le condizioni dell'uomo sono apparse subito critiche, nonostante, secondo una testimonianza, questi fosse uscito a salvarsi dalle fiamme ed uscire dal capannone, per poi rientrarvi, in quanto si era accorto che i documenti per il ricongiungimento familiare erano rimasti dentro e ha tentato di recuperarli senza riuscire più ad uscire;
   tra le prime ipotesi al vaglio degli investigatori, quella che le fiamme si siano sprigionate in seguito al tentativo da parte degli occupanti di scaldarsi con mezzi di fortuna, è la più attendibile –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se il Ministro non intenda assumere ogni iniziativa di competenza per contribuire a fare luce sulla vicenda;
   se non si intendano assumere iniziative per rendere più efficiente il sistema di accoglienza dei migranti allo scopo di evitare il ripetersi di fatti tragici come quello accaduto a Sesto Fiorentino.
   (4-15291)


   CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'inchiesta denominata Tiberio, avviata dalla procura della Repubblica di Latina, ha portato il 16 gennaio 2017 all'arresto del sindaco di Sperlonga, Armando Cusani, e di altre nove persone per corruzione e turbativa d'asta; tra gli indagati nell'operazione, ci sarebbe anche il vice sindaco e consigliere comunale del comune di Sperlonga, Francescantonio Faiola;
   gli arresti sono scaturiti da un'indagine avviata dai carabinieri, a seguito del mancato intervento da parte del comune di Sperlonga sugli abusi edilizi connessi alla realizzazione dell'albergo «Grotte di Tiberio», di proprietà del sindaco Cusani e del suocero Erasmo Chinappi;
   le indagini avrebbero accertato l'inerzia dei responsabili dell'ufficio tecnico del comune nell'avvio della procedura di ripristino dello stato dei luoghi, nonostante fosse evidente l'esistenza di un abuso edilizio emerso durante e dopo la realizzazione dell'albergo, peraltro sancito da una sentenza di condanna emessa dalla Corte di appello di Roma nel 2014;
   l'ufficio tecnico del comune non aveva provveduto ad emettere, contrariamente a quanto previsto dal Testo Unico dell'Edilizia, alcun provvedimento sanzionatorio nei confronti della struttura di proprietà di Cusani; secondo l'indagine, il motivo di tale inerzia sarebbe riconducibile all'attività corruttoria posta in essere dal sindaco nei confronti dei responsabili dell'ufficio tecnico succedutesi nel tempo, tra cui Massimo Pacini e Isidoro Masi, entrambi arrestati;
   nel testo dell'ordinanza, emergono altre responsabilità del sindaco di Sperlonga: avrebbe, infatti, in concorso con altri soggetti, turbato l'appalto relativo ai lavori previsti nell'area archeologica di Villa Prato a Sperlonga, favorendone l'aggiudicazione da parte della ditta «Edil Safer srl»;
   addirittura, Cusani avrebbe intralciato le indagini dei Carabinieri che stavano indagando in merito alle gravi situazioni di illegalità nel territorio di Sperlonga e che hanno condotto al suo arresto;
   il 14 aprile 2016, gli investigatori intercettano una lunga conversazione di Cusani con l'ex generale dei carabinieri Mario Palombo, nel quale il sindaco esercitava pressioni affinché venisse rimosso il comandante della locale stazione dei Carabinieri, il maresciallo Salvatore Capasso, colpevole di essere troppo solerte nelle indagini nei suoi confronti;
   sempre al fine di allontanare il comandante della stazione di Sperlonga, Cusani avrebbe inoltre esercitato pressioni sul comandante della compagnia dei Carabinieri di Terracina, andando ad incontrare l'ufficiale il 18 aprile 2016;
   tra le altre cose, contattando i vertici Mediaset, avrebbe fatto in modo che venisse bloccato il servizio della trasmissione «Le Iene» di Italia Uno, che stava realizzando un'inchiesta sugli abusi edilizi realizzatisi a Sperlonga negli ultimi anni;
   dal quadro delineato dai suddetti episodi, emerge limpidamente, ad avviso degli interroganti, l'esistenza di un sistema malavitoso, costituito da pericolosi intrecci tra organi amministrativi e imprenditoria privata, atta a condizionare l'attività istituzionale e politica –:
   se il Ministro interrogato, in ragione delle gravi e persistenti violazioni di legge che risulterebbero essere state compiute nel corso degli anni dal sindaco di Sperlonga Armando Cusani, non ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza ai sensi dell'articolo 142, del testo Unico degli enti locali (decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267);
   se, alla luce del quadro diffuso di illegalità che agli interroganti appare presente all'interno del comune di Sperlonga, non ritenga di valutare se sussistano i presupposti per assumere iniziative ai sensi dell'articolo 141 del testo unico degli enti locali (decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267). (4-15302)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   impegnato recentemente il 1o gennaio 2017 nel disinnesco di un ordigno deposto nei pressi di una libreria a Firenze, l'artificiere della polizia di Stato, Mario Vece, è stato investito da una potente esplosione, che gli ha causato la perdita di una mano e gravissimi danni agli occhi;
   nella circostanza, anche grazie alle denunce del Sindacato autonomo di polizia, è emerso che Mario Vece, come tutti i suoi colleghi delle Forze armate e dell'ordine, non gode di alcuna copertura assicurativa che gli garantisca un adeguato risarcimento per queste evenienze e non avrebbe diritto neppure alle cure gratuite necessarie alla riabilitazione;
   è stato altresì precisato che Mario Vece dovrà acquistare con le proprie risorse anche l'indispensabile protesi;
   richiesto di un commento al riguardo, il Ministro dell'interno, Marco Minniti, ha riconosciuto che esiste effettivamente un vuoto normativo che priva tutti gli appartenenti alle Forze armate e dell'ordine di una copertura assicurativa adeguata, annunciando contestualmente che sono allo studio iniziative legislative per porvi rimedio;
   lo stesso Ministro Minniti ha altresì dichiarato che alle esigenze di Mario Vece provvederà comunque il dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno –:
   entro che tempi e in che modo il Governo ritenga di poter intervenire per fornire anche al personale delle Forze armate e dell'ordine adeguate protezioni assicurative;
   come e su quali basi normative il dipartimento di pubblica sicurezza provvederà alle esigenze dell'artificiere Mario Vece. (4-15304)


   LUIGI DI MAIO, FICO e TOFALO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sono già state depositate due interrogazioni (la n. 4-13382 del 7 giugno 2016 e la n. 4-13766 del 12 luglio 2016, che non hanno avuto risposta nonostante il decorso dei termini di cui all'articolo 134 del regolamento della Camera) sulle inchieste giornalistiche e giudiziarie dalle quali emergerebbe che in occasione delle ultime elezioni amministrative del 2012 ad Acerra (Napoli) si sia svolta una compravendita di voti;
   a tal proposito, nelle ultime settimane, secondo quanto si apprende da fonti di stampa sarebbero emersi ulteriori elementi che confermerebbero quanto emerso dalle citate inchieste. Infatti, sempre secondo la stampa, l'assunzione del genero del presidente del consiglio comunale come tecnico ambientale dell'ufficio municipale preposto con un contratto a tempo determinato, disposta a decorrere dal 1o dicembre 2016, sarebbe infatti già stata «prevista». Infatti, secondo quanto si legge sulla stampa, «in un documento dell'inchiesta scaturita dalle minacce ad alcuni candidati alle elezioni comunali del 2012 si fa esplicito riferimento a un presunto accordo raggiunto al ballottaggio tra De Luca e la coalizione capeggiata dall'attuale sindaco Raffaele Lettieri. Un patto finalizzato alla nomina a presidente del consiglio comunale di De Luca e all'assunzione del genero»;
   sempre secondo quanto riportato dalla stampa, nel 2015 era stato indetto un concorso dal comune di Acerra per un posto di tecnico ambientale «categoria D3». Tale selezione era stata vinta da un ingegnere ambientale che ha svolto la mansione per un semestre. Successivamente, alla prima scadenza contrattuale, nonostante il vincitore avesse manifestato la propria piena disponibilità al rinnovo, l'incarico è stato affidato al secondo in graduatoria, ovvero il citato genero del presidente del consiglio comunale;
   nel mese di dicembre 2016 sarebbero avvenute altre 14 assunzioni che sono state oggetto di denunce alla procura della Repubblica di Nola, alla Corte dei Conti, all'ANAC e di segnalazione al prefetto di Napoli. Secondo quanto si apprende da fonti si stampa, quasi tutti gli assunti avrebbero legami di parentela con esponenti politici dell'acerrano;
   peraltro, secondo le opposizioni nel consiglio comunale di Acerra «tutte le assunzioni sono avvenute col metodo dello scorrimento dei bandi, metodo vietato dalla legge per i contratti a tempo determinato»;
   si tratta di vicende che, se dovessero essere confermate le accuse, rafforzerebbero la richiesta già avanzata al Ministro interrogato nei precedenti citati atti di sindacato ispettivo di avviare una riflessione sull'attivazione dei poteri di cui agli articoli 141 e 142 del TUEL, laddove si prevede la rimozione degli amministratori locali qualora «compiano atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge o per gravi motivi di ordine pubblico», ovvero la procedura di cui all'articolo 143 del medesimo testo unico, laddove si prevede lo scioglimento del consiglio comunale e la rimozione del sindaco qualora emergano «concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori di cui all'articolo 77, comma 2, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un'alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento e l'imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle situazioni illustrate in premessa e quali siano i suoi orientamenti in merito;
   se il Ministro interrogato abbia assunto o ritenga di assumere le iniziative di competenza, ai sensi degli articoli 141 e seguenti del testo unico degli enti locali. (4-15307)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   al teatro San Teodoro di Cantù (Como) l'11 febbraio 2017 andrà in scena uno spettacolo denominato, «Fa'afafine. Mi chimo Alex e sono un dinosauro» cui dovrebbero assistere anche scolaresche;
   si tratta di una rappresentazione teatrale che promuove le idee delle associazioni LGBT in materia di identità di genere e di affettività. Racconta la storia di un ragazzo «incompreso», perché confuso sulla propria identità sessuale, e che vorrebbe sentirsi un giorno maschio e un giorno femmina e che mette in discussione l'idea di famiglia;
   il teatro è un luogo di arte e di cultura e non di propaganda politica o peggio di indottrinamento pseudo-scientifico;
   spettacoli come questi confondono e destabilizzano lo sviluppo psico-fisico dei ragazzi;
   il teatro San Teodoro è un teatro di proprietà comunale gestito da una cooperativa finanziata dall'amministrazione di Cantù a quanto consta all'interrogante il finanziamento ammonta a oltre 48.000 euro per tre anni con scadenza il prossimo 31 agosto –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quest'iniziativa itinerante che viene proposta agli studenti nei teatri italiani;
   quali iniziative urgenti di competenza intenda adottare affinché questo spettacolo non venga inserito, come già avviene in altre parti del Paese, in quello che l'interrogante giudica un percorso di esaltazione della Teoria Gender all'interno delle scuole canturine e di tutta la provincia di Como. (4-15285)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ALBANELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica n. 761 del 1979 viene disposto che «al personale universitario» che presta servizio presso i policlinici, le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura convenzionati con le regioni e con le unità sanitarie locali, anche se gestiti direttamente dalle università, è corrisposta una indennità, non utile ai fini previdenziali e assistenziali, nella misura occorrente per equiparare il relativo trattamento economico complessivo a quello del personale delle unità sanitarie locali di pari funzioni, mansioni e anzianità;
   l'indennità di equiparazione è diventata pensionabile con la sentenza della Corte Costituzionale n. 126 del 24 giugno 1981 nella quale viene dichiarato incostituzionale l'articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica n. 761 del 1979, nella parte in cui non prevedeva che l'indennità equiparativa non fosse utile ai fini previdenziali per il personale universitario in servizio presso i policlinici;
   le amministrazioni delle aziende ospedaliero-universitarie e le università hanno erogato le retribuzioni secondo quanto stabilito dall'articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica n. 761 del 1979 liquidando per l'indennità di perequazione anche la tredicesima mensilità, e per tutto il periodo lavorativo i dipendenti hanno pagato i contributi previdenziali ed assistenziali;
   con delibera dell'università degli studi di Messina – policlinico universitario, dal 1o novembre 1994 i funzionari (VIII livello – categoria D) operanti presso il policlinico universitario di Messina sono stati equiparati a dirigente ruolo amministrativo/tecnico/sanitario non medico ospedaliero (successivamente dirigenti I livello) secondo quanto stabilito dal D.I. 9 novembre 1982, ed in conseguenza di tale equiparazione è stato loro richiesto di effettuare l'orario settimanale del dirigente ovvero 38 ore settimanali anziché 36;
   dal 2014, alcuni dipendenti universitari in servizio presso le aziende ospedaliero-universitarie ed inquadrati, in data anteriore all'anno 2000, come dirigenti dei ruoli amministrativo/tecnico/sanitario non medico, andati in quiescenza da 4/6 anni, hanno ricevuto lettere raccomandate con le quali l'Inps sede provinciale di Messina comunica che sarà effettuato un «recupero indebito», del TFS relativo all'indennità perequativa in quanto non dovuto. Secondo i dirigenti dell'Inps, l'erogazione di tale emolumento non dà diritto automaticamente al relativo TFS, cosa che comporta la decurtazione della pensione di oltre 1/5; si è comunicato altresì che si provvederà a recuperare quanto fino a quel momento versato dall'Ente;
   come cita uno dei ricorsi al giudice del lavoro in attesa di sentenza, l'Inps di Messina – ai fini del calcolo del TFS e della pensione – ha ritenuto di considerare il personale operante presso le aziende ospedaliero-universitarie, di categoria inferiore, «in palese spregio anche alle intervenute statuizioni giudiziali ed all'inquadramento economico disposto dalle stesse amministrazioni, cimentandosi in elucubrazioni giuridiche assolutamente avulse dal contesto di diritto in cui versano i ricorrenti». Pertanto «non sono consentite all'INPS dissertazioni, peraltro giuridicamente infondate, dovendo l'Ente prendere atto della retribuzione stabilmente erogata ex articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica n. 761 del 1979 dai datori di lavoro in virtù ed esecuzione di statuizioni giudiziali»;
   per quanto riguarda la richiesta di restituzione di parte del TFS avanzata dall'INPS di Messina, i funzionari non tengono conto di quanto stabilito dall'articolo 30 del testo unico 29 dicembre 1973, n. 1032, che dispone che il TFS può essere revocato o rivisto entro il termine perentorio di un anno dall'erogazione;
   questa risulta una situazione circoscritta solo a Messina ed è già stato presentato ricorso alla procura della Corte dei conti di Palermo –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se non intenda, per quanto di competenza, intervenire presso l'Inps, al fine di far chiarezza su tale vicenda.
   (5-10321)


   DALL'OSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il dipartimento della polizia di Stato annovera circa 30.000 unità (uomini e donne, gergo ministeriale) in meno per i pensionamenti mai rimpiazzati; il contratto è scaduto da molto tempo e non vi è stata ancora alcuna occasione per un rinnovo;
   i reparti volanti delle questure italiane lamentano una grave carenza di personale e mezzi; mancano infatti auto, personale, uniformi, cancelleria e la caserma versa in uno stato di sporcizia e trascuratezza che potrebbe mettere a repentaglio anche la salute degli operatori;
   le questure in tutta Italia lamentano una situazione difficile: le varie specialità delle questure, ovvero anticrimine, D.I.G.O.S., squadra mobile devono fare i conti con serie ristrettezze di mezzi e personale che costringono gli operatori a non vedersi pagati straordinari effettuati e a comprare di tasca propria la minuta cancelleria (carta per fotocopie, penne, toner e altro); le auto in borghese «civette» sono approvvigionate di benzina dagli operatori molto spesso, così come è a loro carico la pulizia delle auto e la loro manutenzione;
   gli stipendi non sono assolutamente all'altezza dell'attuale costo della vita ed il regolamento di servizio (di cui alla legge n. 121 del 1o aprile 1981), non è stato mai aggiornato;
   il momento storico richiede con forza una presenza numerosa e qualificata di personale in forze sul territorio nazionale –:
   se si intenda valutare l'opportunità di assumere iniziative per inserire nell'elenco dei lavori cosiddetti usuranti, anche quello degli operatori di pubblica sicurezza che abbiano al loro storico almeno 25 anni di servizi notturni ovvero di ordine pubblico e sicurezza, considerati solo quelli all'esterno delle caserme o di strutture del Ministero dell'interno e/o della difesa.
(5-10330)


   FRUSONE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   Manutencoop ha diverse ombre e non è un mistero che più volte sia stata coinvolta in diverse intercettazioni dell'inchiesta denominata «Mafia Capitale». Da quanto riportato su diversi giornali, sono numerose le intercettazioni che evidenziano che le due cooperative colossi La Cascina e Manutencoop avevano orientato gli sguardi verso la gestione integrata (Global service) di tutte le strutture sanitarie regionali;
   sempre da fonti di giornali si apprende che «L'ombra di Mafia Capitale si è allungata sui servizi tecnici, ed energetici delle Asl laziali: Tar, Antitrust, procura e Anticorruzione indagano su gara e commissione giudicante. La gara d'appalto da un miliardo e mezzo della Regione Lazio è stata costruita su misura per far vincere le imprese e le cooperative che avevano vinto il precedente appalto ? Su sei dei sette lotti è andata così: due dei big vincitori sono due cooperative coinvolte nello scandalo romano: Manutencoop e Consorzio cooperative costruttori.»;
   Manutencoop è purtroppo molto conosciuta nel settore dell'istruzione; sono numerose le interrogazioni parlamentari depositate che denunciano la mala gestione del servizio della cooperativa nelle scuole e lo sfruttamento dei lavoratori. Orari di lavoro dimezzati, retribuzioni ridicole, frutto di un'assegnazione da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca di appalti con ribassi fino al 40 per cento;
   Manutencoop ha vinto l'appalto per la manutenzione degli impianti elettrici e termoidraulici della Asl di Frosinone, subentrando alla SIRAM s.p.a.;
   ad oggi la cooperativa, oltre a non confermare tutte le risorse che lavorano in quel campo da anni, alimentando la sacca della disoccupazione in un territorio già critico, impone, di fatto, un abbattimento della retribuzione attraverso il passaggio dal contratto metalmeccanici a quello di multiservizi;
   la preoccupazione dell'interrogante è che si potrebbe assistere ad un degrado e ad un'inefficienza all'interno della Asl, dovuto proprio alla mala gestione organizzativa, della Manutencoop. Come si è constatato nelle scuole, la mala gestione potrebbe portare in questo caso, in cui si ha a che fare con la salute dei cittadini, a situazioni di gravissimo rischio per i pazienti –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei gravi fatti esposti in premessa e quali eventuali iniziative di competenza intendano assumere al riguardo;
   quali siano le iniziative che il Governo ha intenzione di intraprendere al fine di garantire la tutela dei livelli occupazionali e delle condizioni contrattuali dei lavoratori nell'aziende di cui in premessa. (5-10336)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VARGIU e MATARRESE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come ogni anno, nelle scorse settimane i soggetti percettori di provvidenze economiche a titolo di «indennità di accompagnamento» da parte del Inps vengono invitati dall'ente previdenziale a presentare entro il 15 febbraio 2017 il cosiddetto «modello ICRIC» attestante che il percettore non sia ricoverato presso istituti con retta a carico dello Stato;
   tale azione in premessa da parte dell'Inps è rivolta ad accertare che i soggetti percettori non siano ricoverati (o non siano stati ricoverati nel corso del 2016) presso una struttura pubblica con costi a carico dello Stato, condizione che farebbe mancare i presupposti che stanno alla base dell'erogazione della indennità di accompagnamento;
   lo stesso istituto previdenziale suggerisce ai destinatari della comunicazione di rivolgersi ad UP centro di assistenza fiscale o presso un professionista abilitato per compilare e far pervenire all'ente il documento richiesto o, in alternativa, di completare la procedura di compilazione per via informatica;
   lo stato di percettore di indennità di accompagnamento, di solito si abbina ad una disabilità di entità particolarmente grave, tale per cui il titolare della provvidenza è quasi sempre impossibilitato a compiere gli atti elementari della quotidianità;
   è del tutto evidente come un soggetto «non in grado di compiere gli elementari atti della quotidianità» ben difficilmente è in grado di recarsi presso un Caf o presso professionista abilitato per compilare il modello ICRIC, né tanto meno è in grado di completare la procedura per via informatica;
   nella pressoché totalità dei casi, la procedura di compilazione del modello ICRIC si traduce pertanto in un ulteriore aggravio burocratico e di tempo perso per i familiari che concorrono alla gestione della persona non autosufficiente;
   sarebbe apparentemente assai più ragionevole che l'ente previdenziale si limitasse a ricordare l'obbligo di segnalazione di periodi di ricovero presso strutture con retta a carico dei servizi sociali soltanto a coloro che ne avessero effettivamente usufruito, esentando dalla presentazione di qualsiasi documento coloro i quali non avessero in alcun modo fruito di tale prestazione;
   appare inoltre possibile che l'attuale sistema di «autocertificazione» incoraggi i comportamenti illegittimi delle famiglie che, pur avendo eventualmente usufruito di accoglienza in istituto a carico dello Stato, verrebbero incentivate a rilasciare dichiarazioni fasulle pur di non perdere la provvidenza economica correlata alla indennità di accompagnamento;
   sembrerebbe pertanto assai più ragionevole per l'Inps – e assai meno vessatorio per la famiglia del percettore di indennità di accompagnamento – che l'accertamento dell'eventuale ricovero presso strutture sociali e socio sanitarie interamente pagato dallo Stato venisse accertato attraverso semplici meccanismi di incrocio dei dati informatici tra gli enti erogatori delle differenti prestazioni, piuttosto che attraverso farraginose forme di autocertificazione –:
   quale sia il motivo per cui l'Inps non acquisisce direttamente, per via informatica, dalle strutture di assistenza sociale e socio-sanitaria tutte le informazioni relative agli eventuali ricoveri a totale spese dello Stato di individui che risultino percettori di indennità di accompagnamento;
   quale sia il motivo per cui l'Inps non si limiti a chiedere l'attestazione autocertificata dei soli ricoveri eventualmente attivati, esentando dalla presentazione di qualsiasi documento tutti coloro che non avessero in alcun modo fruito di simili prestazioni a titolo gratuito. (4-15259)


   BINETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 14 settembre 2015 è entrato in vigore il decreto legislativo n. 151, recante disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183;
   l'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo n. 151 del 2015, prevedeva, che con uno o più decreti del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, previa intesa in sede di Conferenza unificata ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, si procedesse alla definizione di linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità, entro centottanta giorni dalla sua entrata in vigore;
   ad oggi le linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità non sono state ancora definite;
   si assiste ad una disomogenea attività delle strutture preposte al collocamento disabili, che spesso presentano una gestione localistica dei servizi, come evidenziato anche dal secondo programma biennale di azione per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone disabili, adottato con decreto del Presidente della Repubblica del 4 ottobre 2013;
   il programma biennale di azione sulla disabilità, della V Conferenza nazionale sulle politiche della disabilità di Firenze del settembre 2016, elaborato dall'Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità non è stato, purtroppo, ancora adottato;
   già in passato, gli impegni presi da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali in materia di disabilità sono stati puntualmente disattesi;
   troppo spesso la disciplina in materia di disabilità è stata definita sotto forma di suggerimenti, indicazioni, attività auspicabili, non trovando quindi alcuna attuazione da parte dei servizi per il collocamento disabili –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di definire ed emanare rapidamente le linee guida di cui al decreto legislativo n. 151 del 2015, migliorando ed uniformando l'operato dei servizi di collocamento mirato provinciali, in modo che possano dare risultati efficaci. (4-15268)


   PALMIZIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Cassa di Risparmio di Ferrara (Carife) è stata commissariata dal Ministero dell'economia e delle finanze (decreto del 27 maggio 2013 con proroga del 26 maggio 2014) a causa di gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative e statutarie, gravi perdite del patrimonio e, per questo, posta in amministrazione straordinaria;
   dal 22 novembre 2015 versa nella situazione di liquidazione coatta amministrativa;
   dal 23 novembre ha assunto la denominazione di «Nuova Cassa di Risparmio di Ferrara S.p.A.» (Nuova Carife);
   a cavallo tra la fine del 2016 ed i primi giorni del 2017 è stato messo nero su bianco un accordo tra Nuova Cassa di Risparmio di Ferrara e sindacati (Fabi, First, Fisac, Ugl credito e Uilca) per la riduzione del numero degli esuberi previsti (i 400 inizialmente dichiarati dalla banca sono scesi a 300-350) con l'approvazione a larga maggioranza dell'assemblea dei dipendenti CARIFE del meccanismo degli esuberi volontari per agevolare l'acquisto della banca territoriale da parte di BPER;
   questo accordo prevede l'esubero volontario di 300-350 dipendenti (su 850 totali), dirigenti compresi, attraverso diverse procedure: lo scivolo pensionistico per chi maturerà i requisiti nel 2022, l'esodo incentivato con un « bonus» di 48 mensilità riconosciute in aggiunta al trattamento di fine rapporto oppure un compenso di 40 mensilità (più una per mancato preavviso) per i lavoratori che non rientrano nella prima categoria e non intendono accedere all'incentivo per l'uscita, ma accettano di non opporsi in caso di licenziamento collettivo;
   con le procedure di esubero volontario di cui sopra si giungerà alla riduzione del personale auspicata dall'eventuale acquirente;
   invero, questa riduzione del personale non è sufficiente a garantire che l'eventuale acquirente salvaguardi il posto di lavoro di chi non aderirà alle procedure di esubero volontario elencate;
   al netto di tutto, la vicenda Carife lascerà senza posto di lavoro un numero tale di dipendenti da configurare una nuova emergenza occupazionale in una provincia già falcidiata, negli ultimi anni, da ripetute crisi aziendali;
   a tal proposito la regione Emilia-Romagna ha messo a disposizione numerosi percorsi di formazione professionale e di inserimento lavorativo per permettere agli ex dipendenti di Carife un reinserimento agevolato nel mercato del lavoro –:
   se i Ministri interrogati intendano assumere ogni iniziativa di competenza, affinché vengano subito individuati ed attivati tutti i meccanismi e gli strumenti utili ed idonei alla creazione di percorsi formativi e di reinserimento lavorativo e riqualificazione professionale per gli ex dipendenti Carife, attraverso l'utilizzo di fondi appositi o dei fondi europei preposti a queste forme di sostegno;
   se i Ministri interrogati intendano assumere iniziative per dar seguito alle promesse di «compensazione territoriale» fatte dal viceministro Enrico Morando sia nei confronti dei risparmiatori «azzerati», sia nei confronti dei dipendenti in esubero, come quella di strutturare un piano di aiuto ai territori colpiti dalla crisi delle banche sul modello di quelli predisposti per le catastrofi naturali, con l'apertura di un confronto tra sindaci, presidenti delle regioni e Governo per attivare immediatamente le procedure per l'intervento straordinario. (4-15292)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MONGIELLO, GINEFRA e VENITTELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'eccezionale e perdurante ondata di maltempo che ha colpito il versante adriatico del Paese sta mettendo in ginocchio soprattutto il comparto agricolo, agroalimentare e della pesca;
   particolarmente colpita risulta essere la Puglia con campagne isolate per la morsa di gelo che non consente il regolare ripristino della circolazione e con strade statali e provinciali e aree rurali ancora bloccate da neve e lastre di ghiaccio;
   le aziende zootecniche pugliesi sono costrette a disfarsi del latte che non riescono a consegnare ai raccoglitori e le consegne di ortaggi sono crollate del 70 per cento, sia perché essi si sono bruciati in campo sia per le difficoltà di circolazione dei mezzi con ripercussioni sui prezzi di rape, carciofi, cavoli, bietole, cicorie, finocchi;
   per la Coldiretti Puglia, la situazione è drammatica con migliaia di ettari di verdure pronte per la raccolta bruciate dal gelo, serre danneggiate o distrutte sotto il peso della neve, animali morti, dispersi e senz'acqua perché sono gelate le condutture, e vigneti e agrumeti irrimediabilmente rovinati;
   in provincia di Lecce, è a rischio la produzione di patate nove, perché gli speciali impianti di irrigazione delle serre realizzati a Ugento sono saltati per via delle gelate così come sono a rischio di crollo le serre dei fiori a Leverano che stanno cedendo sotto il peso di neve e ghiaccio; analogamente nelle province di Taranto e Foggia si registrano notevoli e perduranti difficoltà;
   l'assoluta mancanza di liquidità e le gravi situazioni debitorie che ne conseguiranno – sempre secondo Coldiretti Puglia – necessitano di interventi non riconducibili alle calamità «ordinarie», bensì a strumenti straordinari in grado di sostenere le imprese agricole;
   per quanto riguarda il comparto della pesca, a causa degli eventi meteomarini avversi, è analoga la situazione di emergenza;
   l'Associazione Silaros di Molfetta ha lanciato l'allarme per le difficoltà di pescatori e armatori costretti a presidiare anche di notte le imbarcazioni, per preservarle in quanto fonte della loro sussistenza;
   il danno maggiore al settore armatoriale, è quello dovuto al mancato lavoro e alla impossibilità di recuperare le giornate di lavoro perse, come imposto da regolamenti in vigore che prevedono 4 giorni lavorativi senza recupero, dal lunedì al giovedì a cui va aggiunto il mancato rimborso dovuto per il fermo pesca biologico relativo agli anni 2015 e 2016, per le imprese e per gli armatori imbarcati, il quale sta compromettendo ulteriormente la sopravvivenza del comparto –:
   quali iniziative intenda adottare per far fronte alla straordinaria necessità e urgenza di garantire interventi di sostegno e di ristoro dei danni in favore del comparto agricolo, agroalimentare e della pesca, in particolare della regione Puglia, colpito dalle eccezionali avversità climatiche in atto dai primi giorni dell'anno 2017;
   se non intenda intraprendere iniziative urgenti affinché le imprese agricole e della pesca pugliesi colpite dalle sopradescritte calamità meteoriche posso accedere agli interventi per favorire la ripresa dell'attività economica e produttiva di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102, a valere sul fondo di solidarietà nazionale e per quanto riguarda la pesca, agli interventi del fondo di solidarietà nazionale della pesca e dell'acquacoltura di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 26 maggio 2004, n. 154. (5-10323)


   AMATO, CASTRICONE, D'INCECCO, FUSILLI e GINOBLE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la situazione di emergenza dovuta alle forti perturbazioni nevose e alle basse temperature che sta interessando le regioni adriatiche dell'Italia, con livelli di neve caduta nelle aree interne di oltre due metri nelle 24 ore e con ghiaccio, sta determinando gravi conseguenze soprattutto il comparto agricolo ed agroalimentare dei territori colpiti;
   in Abruzzo, vi sono frazioni isolate da diversi giorni, con la difficoltà raggiungere abitazioni per portare viveri; i servizi per la salute sono in difficoltà e si registrano ritardi nel reperimento di mezzi idonei a superare il blocco determinato da muri di neve e lastre di ghiaccio per liberare una rete stradale ancora in condizioni precarie per gli eventi avversi dello scorso anno;
   danni alle colture e rischio per il bestiame, già segnalati dai sindaci e dalle associazioni di categoria, mettono a rischio l'economia già in affanno delle aree della montagna non turistica e anticipano le più gravi ricadute sul mercato delle orticole per l'impatto sulla produzione e sui prezzi;
   sono stati segnalati e sono da verificare danni alle strutture di aziende agricole, impianti viticoli, idrici e irrigui, stalle e ricoveri per il bestiame;
   la situazione è critica in molta parte della regione, per cui si richiede la ricognizione del danno propedeutica allo stato di calamità naturale;
   nella provincia di Chieti, in particolare nell'area sud del Sangro-Vastese si sono registrati i più grandi disagi per cui si è fatto ricorso all'intervento della protezione civile, e sono intervenuti i mezzi dei vigili del fuoco e dell'Anas;
   le conseguenze economiche, lo stato debitorio già in essere, le difficoltà e il peso dei tempi burocratici per il reperimento di fondi, come affermano le associazioni di categoria, necessitano di strumenti straordinari per dare sollievo economico alle imprese agricole;
   il Ministro interrogato in una nota (ha già dichiarato) del 9 gennaio 2017 «siamo pronti a dichiarare lo stato di calamità appena arriverà richiesta dalle Regioni interessate. È necessario portare avanti rapidamente la stima dei danni e metteremo in campo tutti gli strumenti necessari per sostenere le aziende» –:
   quali iniziative urgenti di competenza intenda adottare per fare fronte alla straordinaria necessità di sostegno economico e di risarcimento dei danni in favore del comparto agricolo e zootecnico della regione Abruzzo, provato dalle recenti e straordinarie avversità climatiche.
(5-10335)

Interrogazione a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 22 del decreto interministeriale n. 5046 del 25 febbraio 2016 recante «Criteri e norme tecniche generali per la disciplina regionale dell'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento e delle acque reflue» elenca i materiali e le sostanze, da soli, o miscelati tra loro, che possono essere usati nella dieta di un biodigestore, affinché il digestato prodotto possa essere conseguentemente destinato all'utilizzazione agronomica;
   in questo elenco rientrano: paglia, sfalci, potature, materiale agricolo derivante da colture agrarie, effluenti da allevamento, acque reflue, acque di vegetazione dei frantoi oleari, sottoprodotti di origine animali e materiale agricolo e forestale non destinato al consumo alimentare;
   gli scarti organici provenienti dall'industria alimentare e dalla lavorazione agroalimentare sono inseriti nell'elenco della possibile dieta per la produzione di digestato agroindustriale;
   il decreto non prevede esplicitamente, invece, la possibilità di lavorare meccanicamente, senza alterarne le caratteristiche chimiche e biologiche, quegli stessi materiali provenienti dall'industria alimentare – benché gli stessi siano previsti dalla tabella 1A del decreto ministeriale 6 luglio 2012 che norma la concessione degli incentivi per la produzione di energia da biogas – e quindi il digestato che si ottiene potrebbe essere considerato «rifiuto» e non essere utilizzabile a fini agronomici;
   si tratta di un paradosso che determina incertezza nella interpretazione della legge da parte delle amministrazioni, degli enti di controllo e della stessa magistratura e gravi disagi agli operatori del settore dovuto alla scelta di avere voluto compilare un elenco delle matrici utilizzabili per la classificazione del digestato agrozootecnico e/o agroindustriale;
   in pratica si considerano le «origini», e non le «caratteristiche qualitative ed analitiche» delle stesse;
   tali esclusioni penalizzano un sistema produttivo virtuoso, perché l'utilizzo di quel materiale migliora il rendimento dell'impianto di biodigestione grazie a un puntuale bilanciamento e controllo della matrice d'ingresso il cui potere metanigeno è nettamente superiore dopo la miscelazione;
   inoltre, non potere utilizzare quei materiali significherebbe evidentemente: minor recupero di rifiuti, maggior rifiuti in discarica, minore disponibilità di alimenti per biodigestatori, più ettari di terreno consumati per produrre colture energetiche, sottrazione di ettari di terreno destinati a produzione di food, aumento dei prezzi delle colture sia food che energetiche, chiusura di molti impianti di biodigestione per problemi di costi di approvvigionamento troppo alti;
   inoltre, tutto questo penalizza lo sviluppo di una economia circolare, perseguita sia a livello nazionale che europeo;
   infatti, le tonnellate di scarti provenienti dall'industria agroalimentare, che potrebbero essere valorizzati destinandoli agli impianti di biodigestione, con un risparmio anche in termini di riduzione delle emissioni di CO2, sono ora destinate allo smaltimento in discarica o verso altre forme di recupero –:
   se non intenda urgentemente, a tutela di un sistema produttivo virtuoso e per dare una importante spinta allo sviluppo di una economia circolare, assumere iniziative per inserire nell'elenco di cui all'articolo 22 del decreto ministeriale n. 5046 del 25 febbraio 2016 anche gli scarti organici provenienti dall'industria alimentare e dalla lavorazione agroalimentare, lavorati solamente meccanicamente a freddo in impianti autorizzati ai sensi della normativa nazionale ed europea.
(4-15308)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MURER, MOGNATO e ZOGGIA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il punto nascite dell'ospedale civile di Venezia sarebbe a rischio di chiusura perché collocato in classe 2, la fascia caratterizzata da un numero di parti inferiore ai 500 l'anno e da «condizioni oro geografiche difficili»;
   la chiusura del punto nascite dell'ospedale civile di Venezia sarebbe un evento traumatico e grave, verso il quale si stanno sollevando malumori e perplessità sia tra i cittadini sia tra gli operatori sanitari, secondo i quali – come riportato dalla stampa locale – «la chiusura sarebbe una follia vista la specificità della città, e le difficoltà di collegamento, soprattutto con condizioni climatiche avverse, con altri presidi»;
   la regione Veneto con la deliberazione di giunta n. 2238 del 2016 ha chiesto al Ministero la deroga per il punto nascite di Venezia, insieme alle altre sei realtà regionali in condizioni di difficoltà oro geografica e collocate in fascia 2;
   la situazione di Venezia rientra a tutti gli effetti tra le fattispecie per le quali è possibile essere autorizzati alla deroga prevista dal decreto ministeriale dell'11 novembre 2015 per le condizioni «oro geografiche difficili», considerata la peculiarità del territorio della città storica e la difficoltà di accesso nei confronti della terraferma;
   il principio della specificità veneziana, e quindi la necessità di articolare la rete dei servizi socio-sanitari in funzione di quest'ultima, era esplicitamente incardinato nel piano socio-sanitario votato dal consiglio regionale, in forza del quale lo stesso ospedale civile di Venezia era stato riconosciuto come ospedale di rete e nodo spoke della dotazione ospedaliera veneta;
   garantire il mantenimento del punto nascite e le condizioni di sicurezza e professionalità per rispondere in maniera adeguata ad ogni tipo di criticità sia per la madre che per la bambina o il bambino, rappresenta inoltre un tassello di quel più ampio disegno di mantenimento all'interno della città storica delle fondamentali funzioni urbane che non possono non contraddistinguere una realtà come quella veneziana;
   ai fini della soluzione della vicenda andrebbe attivato immediatamente un tavolo di confronto, con i vari attori istituzionali, per arrivare il prima possibile all'accoglimento della deroga –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra esposto e quali siano le intenzioni del Governo in ordine al riconoscimento della deroga ai sensi del decreto ministeriale dell'11 novembre 2015 per il punto nascite dell'ospedale civile di Venezia.
   (5-10328)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 502 del 1992, all'articolo 1, definisce i livelli essenziali di assistenza come l'insieme delle prestazioni che vengono garantite dal Servizio sanitario nazionale, a titolo gratuito o con partecipazione alla spesa, perché presentano, per specifiche condizioni cliniche, evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute, individuale o collettiva, a fronte delle risorse impiegate;
   nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sui livelli essenziali di assistenza del 22 giugno 2016, all'articolo 2, comma 1, è previsto che il servizio sanitario nazionale garantisca, attraverso i propri servizi, nonché avvalendosi dei medici e dei pediatri convenzionati, anche l'attività di sorveglianza della salute animale e della igiene urbana veterinaria e l'attività di sorveglianza della sicurezza alimentare;
   nell'allegato 1 del provvedimento, nella sezione dedicata alla «Prevenzione collettiva e sanità pubblica», sono incluse le attività e le prestazioni volte a tutelare la salute e la sicurezza della comunità da rischi infettivi, ambientali, legati alle condizioni di lavoro e correlati agli stili di vita, articolate per aree di intervento;
   nella valutazione sintetica del 2012 sull'adempienza rispetto al «mantenimento dell'erogazione dei LEA», la Puglia ha ottenuto come punteggio finale 140 facendo emergere, tra le altre carenze, delle criticità nell'ambito della prevenzione veterinaria; criticità confermate ed estese anche alla prevenzione alimentare nella valutazione del 2013, con ulteriore peggioramento del punteggio finale pugliese (134);
   l'attività dei medici veterinari include missioni volte alla salvaguardia della salute pubblica ed in particolare relativamente all'attività di controllo dei rischi lungo tutta la catena alimentare e sul benessere animale che si esplica anche e soprattutto in termini di monitoraggio e controllo delle malattie degli animali e di diagnosi precoce. Tutte attività e obiettivi caratterizzati da interventi extra-ambulatoriali;
   il 17 dicembre 2015 è stato ratificato l'Accordo collettivo nazionale per la «disciplina dei rapporti con gli specialisti ambulatoriali interni, veterinari ed altre professionalità sanitarie ambulatoriali» che, all'articolo 41, comma 1, prevede che il trattamento economico degli specialisti ambulatoriali e dei medici veterinari sia composto da quota oraria e quota variabile, mentre all'articolo 48 riconosce allo specialista ambulatoriale il rimborso delle spese di viaggio;
   nella corresponsione della quota variabile (lettera B dell'articolo 41 dell'Accordo collettivo nazionale) rientra l'attività esterna di cui all'articolo 30 dell'Accordo collettivo nazionale e il pagamento delle ore oltre l'orario di servizio ai sensi dell'articolo 27, comma 6;
   in contrasto con quanto stipulato nell'Accordo collettivo nazionale, con nota AOO 151/1522 del 17 febbraio 2016 la regione Puglia ha invitato le aziende sanitarie locali a non corrispondere ai soli medici veterinari la quota variabile e il rimborso spese viaggio di cui agli articoli 41 e 48 dell'Accordo collettivo nazionale;
   con nota prot. gen. 22817 del 14 aprile 2016 la Asl Bat ha comunicato ai medici veterinari la non spettanza della quota variabile;
   la regione Puglia non ha ancora stipulato gli accordi integrativi regionali previsti nell'Accordo collettivo nazionale all'articolo 41, comma 1, lettera B, numero 14;
   l'attività del medico veterinario volta alla salvaguardia della sicurezza e salute pubblica è per sua stessa natura prevalentemente extra-ambulatoriale e la privazione ai medici veterinari di quanto previsto nell'Accordo collettivo nazionale agli articoli 41 e 48 impedisce ai detti medici di svolgere con serenità le attività extra-ambulatoriali, inficiando quindi le attività di controllo e prevenzione fondamentali nell'ambito della salvaguardia della salute pubblica e del perseguimento dei LEA –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo per assicurare il rispetto dei livelli essenziali di assistenza riferiti all'attività medico-veterinaria in Puglia, posto che la mancata erogazione di quanto previsto agli articoli 41 e 48 dell'Accordo collettivo nazionale può produrre conseguenze rilevanti sullo svolgimento delle prestazioni. (4-15276)


   GALLINELLA, CIPRINI, GAGNARLI e L'ABBATE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 14 dicembre 2016 è stato presentato dal Ministero della salute il primo rapporto sulla salute mentale in Italia, una raccolta fondamentale degli interventi sanitari e socio-sanitari dell'assistenza alle persone adulte con problemi psichiatrici e alle loro famiglie, nonché una fonte informativa per monitoraggio dell'attività dei servizi, della quantità di prestazioni erogate, delle valutazioni sulle caratteristiche dell'utenza, ed un valido supporto alle attività gestionali dei dipartimenti di salute mentale (DSM) per valutare il grado, di efficienza e di utilizzo delle risorse;
   proprio su quest'ultimo aspetto il SIEP (Società italiana di epidemiologia psichiatrica) ha riscontrato un'insufficienza, diffusa in 18 regioni su 20, di investimenti finanziari per la salute mentale;
   in particolare, dai dati elaborati dalla SIEP in base al rapporto succitato e alla Conferenza Stato-regioni PPAA 2015, è emerso che la percentuale della spesa sanitaria dedicata alla salute mentale è pari al 3,49 per cento, lontano quindi dalla soglia minima del 5 per cento cui si erano impegnate le regioni con un documento sottoscritto all'unanimità il 18 gennaio 2001;
   al di sopra della soglia del 5 per cento si trovano solo le pubbliche amministrazioni di Trento e Bolzano, seguite dall'Emilia Romagna, con il 4,93 per cento, unica praticamente aderente all'impegno, e dall'Umbria che con il 4,65 per cento è l'unica che si pone ardi sopra del 4 per cento;
   in zona critica, al di sotto del 3 per cento della spesa, vi sono le regioni Veneto, Valle d'Aosta, Sardegna, Marche. In coda, a meno della metà della quota minima, si pongono le regioni Campania e Basilicata;
   tali dati fotografano una situazione che merita senz'altro una riflessione sulla marginalità che occupano le attività psichiatriche nell'offerta sanitaria nazionale, anche se i dati sugli investimenti andranno comunque comparati ai risultati, in termini di reale efficienza del servizio di salute mentale, realizzati con tali risorse –:
   se in base a quanto esposto in premessa e ai dati pubblicati nel rapporto presentato alla fine del 2016, di concerto con la Conferenza Stato-regioni, non intenda assumere iniziative per porre in essere un monitoraggio del servizio di salute mentale offerto nelle diverse regioni italiane affinché si verifichi che le risorse investite in questo ambito siano realmente sufficienti a far fronte, in maniera omogenea, alle necessità dei cittadini italiani. (4-15282)


   FANTINATI. — Al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in Veneto, le malattie respiratorie rappresentano la terza causa di morte e si prevede che la prevalenza di tali patologie sia destinata ad aumentare;
   i veneti che soffrono di malattie alle vie respiratorie hanno superato quota 600 mila. Sarebbero 270 mila quelli malati di Bpco (broncopneumopatia cronica ostruttiva) e di asma bronchiale e 340 mila gli affetti da asma grave;
   secondo ESCAPE (European Study of Cohortes for Air Pollution Effects), uno studio europeo che dal 2010 al 2014 ha esaminato 21 città europee, Verona è risultata al 2° posto per l'aria irrespirabile e le polveri sottili, causa prima di molte affezioni respiratorie, dall'asma bronchiale al tumore al polmone;
   in particolare, nel capoluogo scaligero, l'asma interessa 18 mila persone e la Bpco 14 mila;
   di questa correlazione con gravi malattie è convinto da anni anche un illustre pneumologo veronese, Roberto Dal Negro, responsabile del Centro nazionale studi respiratori di Verona, secondo il quale «di smog si muore, questo è certo. La correlazione tra presenza di tumori e presenza di polveri sottili è certa. Non solo, è cresciuta nel corso degli anni. E a pagarne le maggiori conseguenze sono i soggetti più deboli: anziani, categoria in cui arriva al 60 per cento, e bambini, dove siamo addirittura all'80 per cento»;
   la lotta alle malattie respiratorie si attua con l'adozione di misure preventive a medio e lungo termine e limiti idonei, specie delle polveri sottili (Pm10 e Pm 2,5), a salvaguardia della salute dell'intera popolazione;
   nel febbraio la 2016, la procura di Venezia è intervenuta dopo l'allarme lanciato da un gruppo di pediatri veneti e ha ascoltato le loro preoccupazioni, riservandosi l'ipotesi di aprire un fascicolo così da accertare presenza di reati ambientali;
   i pediatri veneti hanno evidenziato la potenza distruttiva delle polveri sottili sui sistemi immunitari dei bambini, che provoca casi molto gravi e cronici di malattie al sistema respiratorio –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative si intendano adottare per la tutela della salute della popolazione del Veneto;
   quali iniziative, anche di carattere normativo, si intendano adottare, in modo concertato, al fine di giungere a scelte uniformi di prevenzione e protezione da patologie che presentano anche evidenti costi sociali e sanitari. (4-15287)


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in base agli articoli 6 e 7 del decreto legislativo n. 6 del 2016 (recepimento direttiva 2014/40/UE), i fabbricanti/importatori dei prodotti del tabacco avrebbero dovuto presentare entro il 20 novembre 2016 al Ministero della salute e all'Agenzia delle dogane e dei monopoli le seguenti «informazioni: a) l'elenco, con le relative quantità, di tutti gli ingredienti utilizzati nella lavorazione dei prodotti; b) i livelli delle emissioni; c) le informazioni su altre emissioni e relativi livelli ove disponibili» e sulla composizione del prodotto finale, corredati da una «dichiarazione contenente i motivi dell'inclusione di tali ingredienti»;
   tali informazioni devono essere «corredate dai pertinenti dati tossicologici riferiti agli ingredienti sotto forma combusta o incombusta, con particolare attenzione ai loro effetti sulla salute e tenendo conto, tra l'altro, degli effetti di dipendenza»;
   il fabbricante/importatore deve depositare «un documento tecnico che fornisce una descrizione generale degli additivi impiegati e delle relative proprietà» ed «i metodi di misurazione delle emissioni utilizzati.»;
   i fabbricanti/importatori devono presentare anche gli studi interni ed esterni a loro disposizione sulle ricerche ed indagini di mercato;
   i fabbricanti/importatori dei prodotti del tabacco, contenenti un additivo, devono effettuare e comunicare, corredati da specifica relazione, «studi approfonditi che esaminano, per ciascun additivo o combinazione di additivi, se esso: a) contribuisce alla tossicità o alla capacità di indurre dipendenza dei prodotti, e se ciò ha come effetto di aumentare in misura significativa o quantificabile la tossicità o la capacità di indurre dipendenza; b) dà luogo a un aroma caratterizzante; c) facilita l'inalazione o l'assorbimento di nicotina; d) determina la formazione di sostanze che hanno proprietà cancerogene/mutagene/tossiche per la riproduzione (CMR) e i relativi quantitativi e se ciò ha come effetto di aumentare in misura significativa o quantificabile le proprietà CMR di uno qualsiasi dei prodotti in questione»;
   il Ministero della salute avrebbe dovuto acquisire dai fabbricanti e dagli importatori dei prodotti del tabacco le suddette informazioni entro il 20 novembre 2016;
   il Ministero della salute e l'Agenzia delle dogane e dei monopoli sono tenuti a rendere disponibili al pubblico, sui propri siti istituzionali, le informazioni acquisite ex articoli 6 e 7 del decreto legislativo n. 6 del 2016;
   il Ministero della salute può chiedere informazioni supplementari e disporre che le informazioni de quibus siano soggette a una verifica inter pares di un organo scientifico indipendente;
   in base alle informazioni acquisite il Ministero della salute e il Ministero dell'economia e delle finanze possono assumere le decisioni di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 6 del 2016;
   è opinione dell'interrogante che l'acquisizione delle suddette informazioni sia di fondamentale importanza, anche in considerazione dei divieti di immissione sul mercato per prodotti contenenti taluni additivi (che si teme siano ancora presenti nei prodotti attualmente in commercio);
   avere pieno accesso a tali informazioni rappresenta, quindi, una priorità per le azioni da intraprendere in futuro a tutela della salute pubblica –:
   se il Ministero della salute abbia acquisito o meno dai fabbricanti e dagli importatori di prodotti derivati del tabacco le informazioni imposte dal decreto legislativo n. 6 del 2016 (articoli 6 e 7);
   se e quando il Ministero intenda chiedere tali informazioni e renderle disponibili al pubblico nel rispetto dei principi di trasparenza e pubblicità sanciti dal decreto legislativo n. 6 del 2016;
   in quali tempo il Ministro interrogato intenda adottare il decreto previsto dalle disposizioni transitorie e finali di cui all'articolo 26, comma 2, del decreto legislativo n. 6 del 2016;
   in assenza di tali informazioni e nel caso in cui i prodotti del tabacco attualmente in commercio dovessero risultare non compatibili con le prescrizioni di cui al decreto legislativo n. 6 del 2016, come e in quali tempi il Ministro interrogato intenda esercitare i poteri conoscitivi, di controllo, sospensivi e di revoca previsti dalla legge. (4-15290)


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio di Augusta è presente un presidio ospedaliero denominato «Emanuele Muscatello» che serve anche i cittadini di città limitrofe quali Melilli, Priolo Gargallo e Sortino;
   gli interventi del governo regionale per la rimodulazione degli ospedali siciliani sono stati molteplici e hanno portato gravi ripercussioni su quello di Augusta, nonostante sul territorio siano presenti, impianti a rischio incidente rilevante (facenti parte di un importantissimo polo petrolchimico), l'arsenale della Marina militare, una casa circondariale e un porto di rilevanza europea;
   con il piano sanitario regionale 1277 del 2010, infatti, l'ospedale è stato incorporato a quello di Lentini, con la soppressione di reparti essenziali quali quelli di ginecologia, ostetricia e l'unità compressa di pediatria, a fronte della promessa di apertura dei nuovi reparti di oncologia e neurologia, a tutt'oggi praticamente non operativi;
   in un territorio pesantemente colpito dall'inquinamento del polo petrolchimico, con un tasso di mortalità derivata da tumore, superiore di molto alla media regionale, la creazione di un polo oncologico di eccellenza, come punto di riferimento provinciale o regionale, è considerato dalla popolazione un atto dovuto e la sua mancata realizzazione un affronto inaccettabile;
   dal 2010 ad oggi sono state molte le manifestazioni cittadine a difesa del diritto alla salute, sia tramite cortei, sia con assemblee pubbliche. In ragione delle criticità del territorio, comitati spontanei e il Tribunale dei diritti del malato chiedono la scorporazione dell'ospedale Muscatello da quello di Lentini, il ripristino dei vecchi reparti e la piena operatività di quelli nuovi;
   il 5 ottobre 2015 il consiglio comunale di Augusta ha votato all'unanimità una mozione di indirizzo (deliberazione n. 38 del 2015) con cui si impegna l'amministrazione comunale a chiedere: l'attuazione del polo oncologico con assegnazione dell'unità operativa; il mantenimento dei 4 posti letto di pediatria; l'istituzione del servizio di elisoccorso notturno; il potenziamento del reparto di endoscopia digestiva con l'assegnazione di nuovo personale; di sbloccare presso il governo nazionale i fondi previsti dall'articolo 20 della legge n. 67 del 1988 (edilizia sanitaria e ammodernamento tecnologico) e destinati all'ASP di Siracusa in cui rientra la quota parte per l'ospedale di Augusta, finalizzato agli interventi manutentivi e tecnologici;
   riguardo all'ultimo impegno – considerato che nel mese dicembre 2014, in seguito ad un sopralluogo dei NAS (nuclei antisofisticazione e sanità dell'Arma) sono state chiuse le sale operatorie con conseguente inizio di lavori di ristrutturazione (già ultimati) – appare quanto mai urgente l'ipotesi di attingere ai fondi previsti dal citato articolo 20 della legge n. 67 del 1988 per un miglioramento complessivo della struttura e dei servizi –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione descritta in premessa;
   quali iniziative intenda assumere, nell'ambito delle sue competenze, per verificare il rispetto dei livelli essenziali di assistenza, acquisendo ogni utile elemento sulle cause che impediscono la piena operatività dell'ospedale Muscatello di Augusta e il ripristino dei reparti soppressi;
   se intenda rendere noto a quanto ammontino i fondi di cui all'articolo 20 della legge n. 67 del 1988, se siano mai stati utilizzati e, in caso affermativo, per quali finalità. (4-15294)


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI, SILVIA GIORDANO, COLONNESE, DI VITA, GRILLO, LOREFICE, MANTERO e NESCI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le linee guida nazionali, stilate in diversi Paesi, concordano sulla necessità di riduzione del consumo di carne a favore di diete che prevedono un ampio consumo di prodotti vegetali;
   nella letteratura scientifica viene riportato come una dieta ricca di grassi animali predisponga allo sviluppo di tumori al seno, al pancreas, alla prostata nonché come i grassi saturi, colesterolo, proteine animali e sale rappresentino i più importanti fattori di rischio in ambito alimentare (WHO/FAO 2002; WCRF/IARC 1997; WCRF 2007);
   l’American Diabetes Association indica come un elevato consumo di carni rosse e specialmente di varie carni processate, possa incrementare il rischio di sviluppare diabete mellito di tipo 2 nelle donne (Song Yiqing, Manson JoAnn E., Buring Julie E., Liu Simin, A Prospective Study of Red Meat Consumption and Type 2 Diabetes in Middle-Aged and Elderly Women);
   ad ottobre 2015 è stato reso pubblico il report dell'Organizzazione mondiale della sanità sulla cancerogenicità della carne consumata. Lo studio condotto dallo IARC ha inserito la carne lavorata nel gruppo «1» (certamente cancerogena) e quella rossa non lavorata nel gruppo «2A» (probabilmente cancerogena);
   la dieta mediterranea, patrimonio immateriale dell'umanità (Unesco) si può rappresentare, da un punto di vista alimentare, con una piramide alla cui base sono inseriti gli alimenti da consumare quotidianamente: verdure non amidacee, frutta, cereali integrali, legumi (e pesce nelle zone costiere), olio extravergine e semi oleaginose; salendo quelli da consumare con moderazione o eccezionalmente: cereali raffinati, carni e salumi, latticini, patate, grassi diversi dall'olio extravergine, zucchero e dolciumi;
   negli anni ‘50 in Italia venivano consumati, secondo dati dell'ISTAT: 170 chilogrammi pro-capite di frutta ed ortaggi, 20 chilogrammi pro-capite di carne e 5 chili di pesce e 200 chilogrammi di cereali. I dati attuali, sempre da fonti Istat, riportano invece un consumo di: 140 chilogrammi pro-capite l'anno tra carne e pesce (con 65 chili di pesce e 78 di carne), 375 chilogrammi pro-capite annuo di frutta e ortaggi, e un consumo di cereali di 150 chilogrammi pro-capite anno. Si riscontra, dunque, un aumento vertiginoso di derivati animali, che da molti studi scientifici viene ritenuto un fattore di rischio per l'insorgere di molteplici patologie. A tal proposito il noto patologo Denis Parsons Burkitt aveva dichiarato già nel 1993: «L'unico modo che abbiamo per ridurre le malattie croniche è quello di tornare indietro alle diete e stili di vita dei nostri antenati»;
   come rivelato dalla rivista Food Insider il 25 ottobre 2015 il Ministero della salute pubblicava il documento Quaderni del Ministero della salute, con una piramide alimentare simile a quella pubblicata dalla Harvard School of Education. Lo stesso documento, con lo stesso titolo, qualche tempo dopo presenta una piramide diversa. La modificazione sostanziale è avvenuta a vantaggio della carne rossa che da «consumo mensile» della prima versione è passata a «consumo settimanale» nella seconda. In quest'ultima, viene vieppiù indicata intercambiabile con i legumi che nella prima piramide, come in quella della Harvard School of Education, erano inseriti nella lista di alimenti da consumare quotidianamente. Nel contempo, nei due documenti l'indicazione rispetto al consumo di un consumo di carne rossa è rimasta la stessa: piuttosto limitato, presente nella dieta qualche volta al mese –:
   quali siano le ragioni e le evidenze scientifiche a supporto della modifica della piramide alimentare da parte del Ministero della salute;
   se non si ritenga necessaria un'indicazione più stringente del rischio derivante dall'assunzione delle carni rosse e lavorate in seguito al parere dello IARC;
   quali iniziative si intendano predisporre per avviare un progetto di educazione alimentare, da svolgersi soprattutto negli istituti scolastici. (4-15295)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI, PASTORINO e TURCO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dal quotidiano La Repubblica (Firenze) del 19 gennaio 2017 si apprende che in Toscana, «la commissionaria dell'acqua, che è una di quelle società che si frappongono tra Publiacqua e condomini per riscuotere le bollette scrive agli utenti: “In seguito all'entrata in vigore della differenziazione per l'attribuzione della tariffa idrica tra utenti residenti e non residenti, gli utenti sono tenuti a compilare e rinviare (per fax, e-mail, posta) la suddetta autocertificazione entro e non oltre 30 giorni dalla presente”. Segue il modulo di autocertificazione nel quale l'utente deve indicare nome, cognome e altri dati tra cui il codice utente, barrare una delle tre possibili voci con cui si indica di essere domestico residente, o domestico non residente, o fondo commerciale. Deve allegare copia del documento di riconoscimento ed è ammonito sulle conseguenze penali a cui va incontro in caso di dichiarazione non veritiera.». L'articolo 15 della legge n. 183 del 2011, lettera c) del primo comma recita che: «Le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi sono tenuti ad acquisire d'ufficio (...) tutti i dati e i documenti che siano in possesso delle pubbliche amministrazioni, previa indicazioni, da parte dell'interessato, degli elementi indispensabili per il reperimento delle informazioni o dei dati richiesti...»; si stabilisce quindi che sia il gestore del pubblico servizio che deve reperire le informazioni sugli utenti che gli servono senza molestare il cittadino;
   Publiacqua (sul quotidiano La Repubblica Firenze del 20 gennaio 2017) si è giustificata dichiarando di aver fatto una specifica richiesta ai 46 amministrazioni comunali della sua area, ma la risposta degli enti non gli ha consentito di definire lo status residente/non residente di ben il 30 per cento di utenti;
   è opinione degli interroganti che quanto accaduto riveli o un enorme problema di comunicazione tra gestori dei servizi e uffici comunali, oppure una grave carenza degli enti locali che, in un caso ogni tre, ignorino chi occupa gli alloggi, oppure ancor peggio si assiste all'ennesimo tentativo di fare cassa da parte di Publiacqua, forte da quella che agli interroganti appare la scandalosa decisione dell'Autorità idrica toscana di applicare la tariffa maggiore possibile per chi non risponde all'indebita richiesta;
   alla luce di un così inutile e dispendioso disagio provocato alle famiglie, quali iniziative, anche normative, intendano intraprendere i Ministri interrogati al fine di impedire pratiche, ad avviso degli interroganti scorrette e illegittime da parte dei soggetti che gestiscono servizi pubblici e garantire una funzionale circolazione di informazioni tra gli uffici, senza oberare gli utenti;
   se si intendano assumere iniziative, anche normative, per evitare che, in mancanza di informazioni, possa essere presunta la situazione più conveniente per il gestore e più sconveniente per il cittadino. (4-15303)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, FERRARA, PLACIDO, AIRAUDO, MARTELLI, FOLINO, PIRAS, QUARANTA, MELILLA, DURANTI, SCOTTO, SANNICANDRO e KRONBICHLER. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   le stime del Centro studi di Cna Marche, relative all’export tessile e calzaturiero dei distretti produttivi delle Marche, segnano una perdita del 5,6 per cento per l'anno 2016, perdite che hanno colpito in particolare modo il distretto di Fermo, le cui produzioni sono principalmente focalizzate sui settori richiamati;
   il presidente di Cna Marche Paolo Silenzi ha spiegato che il dato negativo del sistema moda marchigiano è da attribuire principalmente a due cause: il crollo degli ordini dal mercato russo a causa delle sanzioni dell'Unione europea, rinnovate di recente per un altro semestre, e la scarsa tutela del Made in Italy sui mercati esteri (Il Resto del Carlino, edizione Fermo, 17 gennaio 2017);
   per quanto riguarda il primo aspetto, secondo quanto riferisce il presidente di Cna Marche, l’export marchigiano segna un –10,8 per cento, vale a dire un taglio di oltre 34 milioni di euro; di cui il 63 per cento relativo a calzature e articoli in pelle;
   si registrano perdite di quote di mercato anche da paesi come la Turchia (-13,8 per cento, pari a 27,6 milioni di euro), Hong Kong (-7,3 per cento), Gran Bretagna (-5,8 per cento), Cina (-3,9 per cento) e Olanda (-3,6 per cento), parzialmente compensate dai risultati positivi per il manifatturiero marchigiano in Francia (+4,5 per cento), Stati Uniti (+6,3 per cento), Svizzera (+8,1 per cento) e Romania (+4,6 per cento);
   il secondo elemento di criticità secondo Cna è la scarsa tutela del marchio Made in Italy, che non trova adeguata tutela a livello europeo –:
   quali iniziative stia adottando il Governo in sede europea in ordine al ritiro delle sanzioni a carico della Federazione Russa;
   se intendano fornire aggiornamenti circa le iniziative adottate dal Governo in sede europea in ordine al dossier relativo al Made in. (5-10333)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SPESSOTTO, LIUZZI e CARINELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   i portalettere di Poste Italiane, per consegnare le raccomandate e la posta tracciata, sono stati dotati di «palmari» dalla società per la lettura del codice dell'oggetto da consegnare, ma il sistema centralizzato, probabilmente perché inadeguato, non funziona come dovrebbe, causando notevoli disservizi nel funzionamento del sistema;
   in particolare, stando alle denunce delle principali sigle sindacali, i palmari risultano pratica ente quasi sempre inutilizzabili a causa di diversi malfunzionamenti dovuti alla difficoltà di acquisizione della rete e all'assenza di batterie in efficienza;
   tali problematiche metterebbe a rischio la stessa continuità del servizio, specie di tracciatura al civico, dovendo i portalettere sostituire continuamente la batteria, anche in piena attività di recapito, con continui spegnimenti e riaccensioni delle apparecchiature, e sperando di avere comunque un cambio di batteria che gli consenta, seppur ad intermittenza, di completare un servizio;
   a causa del malfunzionamento di tali apparecchiature obsolete, sono stati accumulati ritardi e disservizi inaccettabili, che si sono sommati alle altre innumerevoli criticità del servizio postale, mettendo in difficoltà il portalettere e squalificando il nome della stessa azienda;
   a titolo di esempio, si cita il caso del centro di Soffiano-Scandicci dove, stando alla denuncia del responsabile SLC CGIL Poste di Firenze Claudio Bellatti, 150 lavoratori sarebbero stati costretti a consegnare in ritardo la corrispondenza per i continui blocchi del sistema di presa in carico del materiale;
   complessivamente, il carico di lavoro per i singoli addetti è divenuto estremamente pesante a causa dell'utilizzo di strumenti non idonei che rallentano il lavoro e non mettono gli operatori nelle condizioni di operare in condizioni di sicurezza –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente dei continui malfunzionamenti e dei blocchi di sistema delle apparecchiature di cui sono stati dotati gli operatori di Poste italiane per tracciare la corrispondenza, e se non ritengano opportuno promuovere tutte le iniziative di competenza, ritenute necessarie per arginare i disservizi che mettono a rischio l'efficienza e lo stesso carattere di universalità del servizio postale, oltre a compromettere la reputazione della stessa società Poste italiane. (4-15264)


   BAZOLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il servizio erogato dalla società Poste Italiane è regolato da apposito contratto di programma stipulato con il Ministero dello sviluppo economico;
   il 15 dicembre 2015 il contratto per il quadriennio 2015-2019 è stato firmato dall'amministratore delegato della società, Francesco Cairo, e dal Ministro dello sviluppo economico pro tempore Federica Guidi;
   il contratto è stato registrato dalla Corte dei conti il 19 febbraio 2016 al numero 436 ed è attualmente in vigore;
   il contratto dà attuazione a quanto previsto dalla legge 23 dicembre 2014, n. 190, la quale stabilisce che gli obiettivi percentuali medi di recapito dei servizi postali universali sono riferiti al recapito entro il quarto giorno lavorativo successivo a quello di inoltro nella rete pubblica postale, salvo quanto previsto per gli invii di posta prioritaria;
   il contratto richiama la necessità di «adeguare livelli di servizio alle mutate esigenze degli utenti in funzione dei mutamenti intervenuti nel contesto tecnico, economico e sociale, anche al fine di tener conto della sostenibilità economica e finanziaria della fornitura dei servizi, compatibilmente con i bisogni dei consumatori e della collettività»;
   l'articolo 3, comma 7, del contratto conferisce all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ai sensi dell'articolo 12, comma 4, del decreto legislativo n. 261 del 1999, il compito di effettuare la verifica periodica a campione sulle prestazioni rese dalla società Poste Italiane;
   l'articolo 3, comma 8, del contratto stabilisce che la società trasmette all'Autorità, i risultati di qualità conseguiti nei servizi inclusi nel servizio universale, ivi compresi quelli in esclusiva, non sottoposti al monitoraggio di cui al comma 7;
   la carta del servizio postale universale, redatta in conformità all'articolo 12 del decreto legislativo n. 261 del 1999 ed alle delibere dell'Autorità di regolamentazione del settore postale (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) n. 184/13/CONS e n. 413/14/CONS, alla voce «obiettivi di qualità/tempi di consegna» indica per l'Italia la consegna entro 4 giorni lavorativi successivi a quello di accettazione nel 90 per cento dei casi, entro 6 giorni lavorativi successivi a quello di accettazione nel 98 per cento dei casi;
   per l'Europa la consegna nell'85 per cento dei casi in 8 giorni lavorativi – esclusi sabato e festivi – oltre il giorno di spedizione nell'85 per cento dei casi;
   per il bacino del Mediterraneo la consegna nell'85 per cento dei casi in 12 giorni lavorativi – esclusi sabato e festivi – oltre il giorno di spedizione;
   per il Nord America e l'Oceania la consegna nell'85 per cento dei casi in 16 giorni lavorativi – esclusi sabato e festivi – oltre il giorno di spedizione e per il resto del mondo la consegna nell'85 per cento dei casi in 22 giorni lavorativi – esclusi sabato e festivi – oltre a quello di spedizione;
   numerose segnalazioni da parte di utenti del servizio e di sindaci della provincia di Brescia, riportate dagli organi di stampa locale, lamentano la consegna della corrispondenza ben oltre le tempistiche indicate, e si sono intensificate nelle ultime settimane;
   i ritardi lamentati si susseguono da ben oltre un anno in diverse zone del territorio della provincia di Brescia coinvolgendo sempre più comuni;
   la consegna ritardata causa a cittadini e imprese danno economico per la mancata ricezione entro le scadenze previste di bollette, avvisi di pagamento, solleciti e simili, con conseguente decorso di interessi di mora –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione di disservizio rilevata sul territorio nazionale ed in particolare in provincia di Brescia e quali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo;
   se il Ministero intenda verificare il rispetto del contratto di programma sottoscritto con la società Poste italiane e quali iniziative di competenza intenda assumere in caso di eventuali inadempienze contrattuali. (4-15277)


   FRACCARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con l'interrogazione n. 5-08914 del 15 giugno 2016, facendo riferimento alle interrogazioni al Parlamento europeo E-000010/16 e E-016077/15 e a fatti attinenti alle procedure di rilascio delle concessioni per l'estrazione del porfido in provincia di Trento, si chiedeva quali iniziative di competenza il Governo intendesse assumere per evitare la riapertura della procedura di infrazione 2006/4251 da parte dell'Unione europea e garantire l'osservanza dell'articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE);
   in data 13 gennaio 2017, la commissaria europea Elżbieta Bieńkowska, in una lettera inoltrata all'europarlamentare David Borrelli, informava di essere stata interessata dei fatti concernenti le concessioni per la coltivazione delle cave di porfido in Trentino e di aver chiesto ai servizi responsabili della direzione generale mercato interno industria, imprenditoria e piccole e medie imprese (DG GROWTH) di verificare la situazione, confermando che gli stessi hanno preso contatto con le autorità italiane per ottenere delucidazioni in merito;
   nella corrispondenza, la commissaria europea Bieńkowska faceva altresì notare un caso analogo richiamando la sentenza della quinta sezione della Corte di giustizia dell'Unione europea (CGUE) del 14 luglio 2016 sulle cause riunite C-458/14 e C-67/15, avente ad oggetto «Rinvio pregiudiziale – Appalti pubblici e libertà di stabilimento – Articolo 49 TFUE – Direttiva 2006/123/CE – Articolo 12 – Concessioni di beni demaniali marittimi, lacuali e fluviali che presentano un interesse economico – Proroga automatica – Assenza di procedura di gara», con la quale è stato chiarito che il diritto dell'Unione osta a che le concessioni per l'esercizio delle attività turistico-ricreative nelle aree demaniali marittime e lacustri siano prorogate in modo automatico, in assenza di qualsiasi procedura di selezione dei potenziali candidati;
   la commissaria esprimeva, infine, la considerazione che, alla luce della citata sentenza, il ricorso all'autorità giudiziaria potrebbe essere la strada più appropriata da seguire per la risoluzione della problematica sollevati dagli interroganti –:
   se il Governo in relazione alle procedure per il rilascio delle concessioni demaniali pubbliche per la coltivazione delle cave di porfido nella provincia autonoma di Trento, intenda adottare le iniziative di competenza, secondo quanto suggerito dalla commissaria europea, per accertare la corretta applicazione dell'articolo 49 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea e il rispetto della giurisprudenza prodotta dalla Corte di giustizia dell'Unione europea sui casi C-458/14 e C-67/15. (4-15296)


   POLVERINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a maggio 2016 con l'approvazione della risoluzione n. 8-180 conclusiva del dibattito su alcune risoluzioni presentate in Commissione lavoro in merito alla situazione di Alitalia Maintenance System tra cui la n. 7-00982 presentata dall'interrogante il Governo si è impegnato a valutare tutte le iniziative di competenza al fine di garantire il mantenimento dei livelli occupazionali, anche favorendo l'acquisizione di Alitalia Maintenance Systems (AMS) da parte di altre aziende italiane, e a valutare l'opportunità di assumere ogni iniziativa di competenza per ricollocare, ove con la scadenza del bando di vendita di AMS non vi fosse stato nessun acquirente, i 240 lavoratori in altre aziende;
   gli oltre 200 lavoratori dell'ex AMS risultano essere ancora in uno stato di incertezza professionale sebbene l'azienda sia stata acquistata nel mese di settembre 2016 dall'americana Iag Engine Center;
   la preoccupazione dei dipendenti di AMS è dovuta alla gestione poco chiara dell'azienda subentrante e, nello specifico, alla figura dell'amministratore delegato di IAG, Mauricio Luna, che risulterebbe essere stato assente all'ultimo tavolo organizzato su AMS a dicembre 2016 tra il Ministero dello sviluppo economico e le organizzazioni sindacali;
   la lettera inviata dal responsabile unità gestione vertenze delle imprese in crisi presso il Ministero dello sviluppo economico, dottor Giampietro Castano, in data 14 dicembre 2016 e destinata all'amministratore delegato Mauricio Luna, prende atto della possibilità di un trasferimento di attrezzature e parti di ricambio dal sito di Fiumicino a Miami, sede legale della IAG;
   la suddetta dislocazione di materiali risulta assai dannosa in vista di una futura reindustrializzazione di AMS, perché è in corso la possibilità che il sito si svuoti, rendendolo scarsamente competitivo e appetibile –:
   se il Ministro sia a conoscenza dell'uso che probabilmente viene fatto delle attrezzature specifiche ad alto valore tecnologico di AMS e se sia intenzionato ad accogliere la richiesta proveniente dalla rappresentanza sindacale aziendale di AMS d'assumere ogni iniziativa di competenza a tutela del patrimonio industriale che la stessa denuncia come «depredato» dall'attuale proprietà. (4-15306)

Apposizione di firme ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Fitzgerald Nissoli e altri n. 2-01590, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 gennaio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Santerini, Caruso, De Menech, Bergonzi, La Marca, Bruno Bossio, Andrea Maestri, Sberna.

Apposizione di firme ad una interpellanza ed indicazione dell'ordine dei firmatari.

  L'interpellanza Massimiliano Bernini e altri n. 2-01580, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 gennaio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati Terzoni e Basilio. Conseguentemente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine dei firmatari si intende così modificato: Massimiliano Bernini, Terzoni, Gagnarli, Benedetti, Frusone, Cozzolino, Zolezzi, Basilio.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Fiorio e Carra n. 5-10183, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 dicembre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Romanini.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Pisano n. 5-10218, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 11 gennaio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Villarosa.

  L'interrogazione a risposta orale Martelli n. 3-02714, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 gennaio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Carlo Galli, Melilla, Fassina, Duranti, Ricciatti, Nicchi, Placido, Gregori.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Ricciatti e altri n. 5-07616, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Manzi.

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in Commissione Busto n. 7-01158, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 721 del 10 gennaio 2017.

   Le Commissioni VIII e XII,
   premesso che:
    l'articolo 32 della Costituzione della Repubblica italiana tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività;
    da diversi anni i cittadini italiani ed in particolar modo quelli residenti nelle quattro regioni padane (Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna) sono esposti, soprattutto nei mesi autunnali ed invernali, ad alti livelli di inquinamento dell'aria oltre i limiti imposti dalle normative comunitarie (direttiva n. 2008/50/CE);
    gli enti locali e le regioni si trovano sempre più spesso a reagire, soprattutto nei periodi di allarme acuto per quanto riguarda gli sforamenti delle soglie, con provvedimenti tampone che si rivelano in larga parte inefficaci;
    l'annuario 2016 dei dati ambientali dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) riporta una diminuzione delle emissioni di PM10 nel periodo 1990-2014 del 34,5 per cento, con un aumento delle emissioni da combustione non industriale, un crollo delle emissioni da combustione industriale e una sostanziale riduzione delle emissioni da trasporto; le emissioni nazionali di ossidi di azoto dal 1990 al 2014 registrano un decremento pari a –61,5 per cento;
    i dati dell'inventario nazionale delle emissioni come riconosciuto dalla stessa Ispra (paragrafo 1.8 dell'Italian Emission Inventory 1990-2016, Informative Inventory Report 2016), non sono stati sottoposti nella loro interezza all'analisi di incertezza delle stime come richiesto fin dal 2013 dalla competente Agenzia delle Nazioni Unite (Report for the Stage 3 in-depth review of emission inventories submitted under the UNECE LRTAP Convention and EU National Emissions Ceilings Directive for: STAGE 3 REVIEW REPORT ITALY); un'analisi parziale è stata svolta nel 2016, rivelando che le stime per le emissioni delle PM, specialmente quelle di minori dimensioni, metalli pesanti e POP risentono di una maggiore incertezza;
    tali statistiche sono costruite sostanzialmente a partire dal consumo di combustibili alla fonte e sui dati forniti dalle aziende e non già su verifiche a valle della combustione che tengano conto dello stato reale, compresa la loro efficacia e l'efficienza, degli impianti; basti pensare, tra l'altro, a quanto avvenuto recentemente sui dati dei test di emissione delle auto da parte di alcune aziende automobilistiche;
    i dati sulla qualità dell'aria riassunti dall'Environmental Europea Agency nel rapporto «Air Quality in Europe 2016 report» mostrano a) per l'Italia un marcato trend di decrescita della concentrazione di particolato nel periodo 2000-2014; b) valori molto elevati di particolato sostanzialmente concentrate in due aree europee, la Polonia, la Germania orientale e la Pianura Padana (mappa 4.1); c) diffusi superamenti dei valori di concentrazione per l'ozono atmosferico in Pianura Padana e Spagna meridionale con valori di concentrazione estremamente elevati (mappa 5.1); d) in Pianura Padana, dove, nonostante il trend negativo generale delle emissioni di queste sostanze, continuano ad evidenziarsi diverse centraline di monitoraggio con valori eccedenti i limiti imposti dalle normative comunitarie;
    in ogni caso, nonostante il trend positivo per quanto riguarda la riduzione degli inquinanti, l'Italia in generale e le regioni della pianura padana in particolare, presentano livelli di inquinamento superiori alle soglie fissate tanto che la Commissione europea ha aperto due procedure d'infrazione attualmente nella fase di lettera di messa in mora notificata, ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea: una riguarda l'applicazione della direttiva n. 2008/50/CE sulla qualità dell'aria ambiente ed, in particolare, l'obbligo di rispettare i livelli di biossido di azoto (NO2) (procedura 2015/2043); l'altra, la cattiva applicazione della direttiva n. 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria ambiente superamento dei valori limite di PM10 in Italia (procedura 2014/2147);
    la pianificazione degli interventi necessari per l'ulteriore diminuzione dell'inquinamento per rientrare nei parametri fissati a livello comunitario non può esulare da una dettagliata analisi delle fonti di emissioni e della loro localizzazione, tenendo anche conto che in un contesto come quello padano le aree urbane e quelle rurali si influenzano a vicenda, ad esempio attraverso l'emissione di ammoniaca da parte delle aziende agricole che favoriscono la formazione di particolato ultra-fine; il decreto legislativo n. 155 del 2010, all'articolo 22, comma 3, prevede per questo che le regioni e le province autonome predispongano gli inventari delle emissioni con cadenza almeno triennale;
    secondo il recente documento dell'Ispra, recante «Inventari regionali delle emissioni in atmosfera e loro articolazione a livello locale» al 2015, (Figura 2), l'ultimo inventario redatto in Italia era quello della Val d'Aosta del 2013, mentre quelli relativi alle regioni della pianura padana erano risalenti nel tempo. In particolare la regione Lombardia lo aveva predisposto nel 2012; la regione Piemonte, la regione Emilia Romagna e la regione Veneto nel 2010;
    da un esame della documentazione reperibile sui siti istituzionali, ad oggi, solo il Veneto risulta avere in corso un aggiornamento ai dati del 2013, attualmente in fase di revisione esterna; per le altre tre regioni padane non risultano ulteriori aggiornamenti degli inventari e, pertanto, si può evidenziare una sostanziale inadempienza di queste istituzioni rispetto alle previsioni di legge per la cadenza degli aggiornamenti delle emissioni;
    quanto riguarda il Veneto, tra l'inventario del 2010 e quello del 2013 si segnala una limitata riduzione delle emissioni di polveri (variazioni percentuali: –3 per cento per le PTS, –4 per cento per le PM10 e –2 per cento per le PM 2.5), coincidente peraltro con una variazione negativa del PIL della regione nello stesso periodo;
    il limite annuale per le PM10 in Europa è fissato in 40 microgrammi/metro cubo, mentre il valore obiettivo fissato dall'Organizzazione mondiale della sanità è di 20 microgrammi/metro cubo; tra l'altro, la stessa Organizzazione mondiale della sanità evidenzia che per quanto riguarda il particolato, non esiste un valore soglia sotto il quale non vi sono impatti sanitari;
    lo studio «Economic cost of the health impact of air pollution in Europe» (WHO, 2015) ha evidenziato che, nel 2010, i costi sanitari associati all'inquinamento dell'aria per l'Italia sarebbero di 97 miliardi di dollari annui, tenendo conto della sola esposizione al particolato (tabella 2.4 dello studio) e di 133,4 miliardi di dollari tenendo conto della VSL (value of statistical life) nel calcolo. Praticamente, i costi associati al particolato sarebbero pari al 4,7 per cento, del Pil. Tra l'altro, la stima delle morti premature per l'Italia calcolata dall'Organizzazione mondiale della sanità era più bassa (32.447 morti premature nel 2010 per il particolato) delle stime per il 2014 dell'European environment agency; pertanto, se si tenesse conto di quest'ultima stima, i costi sanitari sarebbero molto più elevati;
    esistono complesse interazioni tra i diversi inquinanti, come dimostra lo studio sull'aumento della mutagenicità del particolato a Torino in presenza di ossidi di azoto (Traversi et al. 2011, Involvement of nitrocompounds in the mutagenicity of urban Pm2.5 and Pm10 in Turin, Mutation Research);
    già nel 1998 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare aveva commissionato all'Organizzazione mondiale della sanità Ufficio regionale per l'Europa una valutazione sull'impatto sanitario delle PM10. Nelle otto maggiori città italiane analizzate, circa 3.500 decessi e molte altre patologie erano attribuibili a livelli di PM10 superiori a 30 microgrammi/metro cubo (Health impact assessment of air pollution in the eight major Italian cities. Copenhagen, WHO, Regional Office for Europe);
    l'APAT nel 2007 aveva rinnovato e ampliato questo studio nel rapporto «Impatto sanitario di PM10 e Ozono in 13 città italiane» aveva evidenziato le gravissime conseguenze, con migliaia di morti premature su circa 9 milioni di abitanti, dell'inquinamento dell'aria e in particolare della presenza di ozono e PM10 sulla salute umana, analizzando i dati di 13 città, diverse delle quali situate nella pianura padana; nella sintesi del rapporto si poteva leggere «8.220 decessi l'anno, in media, sono attribuibili a concentrazioni di PM10 superiori ai 20 microgrammi/metro cubo. Tale valore equivale al 9 per cento della mortalità per tutte le cause, escludendo le cause violente (ICD IX 800-999), nella popolazione oltre i 30 anni. L'impatto è stimato considerando i soli effetti a lungo termine sulla mortalità. Considerando anche gli effetti a breve termine (entro una settimana dopo l'esposizione), l'impatto del PM 10 superiore ai 20 microgrammi/metro cubo è di 1.372 decessi, equivalenti all'1,5 per cento della mortalità nell'intera popolazione;
    l'European Environment Agency nell’«Air Quality in Europe 2016 report» desume nella Tabella 10.1 una mortalità prematura di 91.050 persone in Italia nel 2013 direttamente collegate ai valori di inquinamento atmosferico per i parametri PM2,5 (66.630 morti premature), Ozono (3.380) e ossidi di azoto (21.040);
    nel medesimo rapporto si evidenzia (tabella 10.2) che l'Italia, con riferimento agli anni di vita persi x 100.000 abitanti per ogni sostanza inquinante è: all'undicesimo posto su 41 Paesi per le PM2,5, con 1.165 anni di vita persi x 100.000 abitanti; di gran lunga al primo posto su 41 Paesi con 368 anni di vita persi x 100.000 abitanti per gli ossidi di azoto, distanziando di 1/3 di ore in più il secondo Paese; al quarto posto su 41 Paesi con 61 anni di vita persi x 100.000 abitanti per l'ozono;
    secondo diversi studi, la concentrazione di polveri ultrasottili Pm 2.5 nella Pianura Padana, già da studi presentati nel 2005, riduce l'aspettativa di vita di 3 anni (http://www.ambientesalute.org);
    secondo uno studio «Impatto degli inquinanti atmosferici sul benessere umano» promosso dall'Università di Bologna e dell'Enea (https://www.arpae.it), nel 2005 a Reggio le Pm10 e il biossido d'azoto hanno tolto in totale tra morti e malattie 69.595 giorni di vita (49.042 le polveri e 20.553 il biossido), per un costo per abitante di 3.637 euro (1.672 Pm10 +1.965 biossido d'azoto). Nel distretto ceramico della stessa provincia di Reggio Emilia il costo per ogni cittadino è stato persino peggiore: 3.665 euro (1.678 per le polveri e 1.987 per biossido di azoto) come riportato su http://www.ambientesalute.org;
    lo studio Moniter, promosso nel 2011 dalla regione Emilia Romagna in collaborazione con Arpa, ha evidenziato come nelle vicinanze d'impianti d'incenerimento si sia registrato un incremento di nascite premature, confermando precedenti studi (https://www.arpae.it);
    in data 10 settembre 2007 l'Ordine dei medici e dei chirurghi dell'Emilia Romagna, avvalendosi del principio di precauzione, ha chiesto una moratoria sulla costruzione di nuovi impianti d'incenerimento nella regione Emilia Romagna che è una delle zone più inquinate d'Europa e del mondo e che quindi non può permettersi emissioni aggiuntive a quelle già esistenti (http://www.dire.it);
    secondo il quotidiano online ReggioReport dell'11 gennaio 2017 a seguito della acquisizione di consapevolezza del legame tra danni alla salute ed inquinamento atmosferico non ultimo il legame tra polveri sottili e demenza senile la regione ha predisposto un «piano aria integrato regionale» con l'obiettivo di: dimezzare il livello di polveri sottili entro il 2020, ridurre il traffico nelle città, aumentare le aree verdi e le zone pedonali, con un investimento di 300 milioni in quattro anni per migliorare la qualità dell'aria in Emilia-Romagna;
    a livello nazionale, sono in corso numerose procedure di V.I.A. presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che interessano l'area padana. Per l'Emilia Romagna sono attualmente in corso di valutazione diversi progetti nei seguenti settori: perforazione di pozzi per ricerca di idrocarburi, stoccaggio di gas, realizzazione dell'autostrada cispadana. Per la Lombardia: stoccaggi di gas e perforazione di pozzi per idrocarburi. Per il Piemonte: perforazione di pozzi per la ricerca di idrocarburi. Per il Veneto: il masterplan dell'aeroporto di Verona;
    sempre il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, negli ultimi anni, ha emanato decine di decreti di compatibilità ambientale favorevoli per opere nelle quattro regioni padane che sono potenzialmente impattanti sotto l'aspetto della qualità dell'aria: si va dalla autostrade alle attività di sfruttamento degli idrocarburi, dalle centrali termoelettriche alle raffinerie. Le problematiche emissive possono riguardare non solo il normale funzionamento degli impianti o delle opere, ma anche gli incidenti, come avvenuto recentemente presso il nuovissimo impianto EST della raffineria Eni di Sannazzaro de’ Burgondi, vanificando anche eventuali sforzi in sede di autorizzazione per compensare le emissioni degli impianti;
    a mero titolo di esempio, per citare alcuni progetti, in Lombardia, si evidenziano l'impianto di biometano da rifiuti a Marcallo con Casone (proponente Green Power Marcallese Srl), con parere favorevole nel 2016, nonché, negli ultimi tre anni, numerosi impianti di trattamento dei rifiuti, strade e altro. A mero titolo di esempio in Veneto basterà ricordare l'impianto per la produzione di bio-BDO ad Adria (RO), proposto dalla società Mater-Biotech S.p.A., con impianti di produzione energetica turbogas e a biomassa con parere favorevole V.I.A.-A.I.A. del 2015; per la regione Emilia Romagna, l’«incremento della capacità produttiva dello stabilimento ceramico sito in comune di Fiorano modenese (Mo)», proposto da Ita S.p.a. nel 2016; per il Piemonte, il «piano particolareggiato di iniziativa pubblica per il parco commerciale e urbano attrezzato in Novara Veveri» nel comune di Novara presentato dalla società Amteco Spa;
    inoltre, tra il 2008 e il 2014, si è osservata una vera e propria esplosione di impianti per produzione energetica, quasi esclusivamente elettrico, da bioenergie che sono ovviamente responsabili di una certa quota di emissioni, primariamente da NOx. Tale impiantistica, secondo i dati relativi al 2014 pubblicati dal GSE nel rapporto «Energia da fonti rinnovabili 2014» è concentrata per il 63 per cento nelle quattro regioni padane: 657 impianti in Lombardia (26,5 per cento del totale italiano), 345 in Veneto (13,9 per cento), 289 in Emilia Romagna (11,7 per cento) e 274 in Piemonte (pari all'il per cento). Per quanto riguarda la potenza installata, questi impianti rappresentano il 55,5 per cento dei 4.044 Mw installati in tutto il Paese, così suddivisi: 22,7 Lombardia, il 15,1 per cento in Emilia Romagna, l'8,9 per cento in Veneto e l'8,8 per cento in Piemonte. È interessante notare, dal punto di vista della produzione nazionale, in termini di Gwh/anno che oltre la maggior parte proviene da impianti a biogas (8.198 Gwh), seguiti dalle biomasse solide (6.192,9 Gwh) e infine da quelle liquide per 4.341,1 Gwh;
    circa il 70 per cento delle aziende in regime di autorizzazione integrata ambientale in Italia sono concentrate nelle quattro regioni padane. L'articolo 29-decies, comma 8, del decreto legislativo n. 152 del 2006 prevede che i risultati del controllo delle emissioni, richiesti dalle condizioni dell'autorizzazione integrata ambientale e in possesso dell'autorità competente, devono essere messi a disposizione del pubblico nel rispetto di quanto previsto dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195;
    si evidenzia che la stragrande maggioranza di questi impianti sono di taglia minore di 1 Mw per potenza installata e che quindi, in larga parte, non sono stati sottoposti alle procedure di valutazione di assoggettabilità a V.I.A. o di V.I.A. diretta, con tutto quello che ciò comporta in termini di controllo e monitoraggio delle emissioni, di trasparenza delle stesse per la popolazione e, soprattutto, di valutazione, anche in termini cumulativi e sinergici, della reale compatibilità con un contesto territoriale in cui gli standard di qualità dell'aria da tempo non soddisfano i limiti fissati dalle normative comunitarie;
    l'articolo 28, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006 obbliga alla pubblicazione sui siti web delle autorità competenti per le procedure di V.I.A. dei risultati dei monitoraggi ambientali condotti sulle opere autorizzate;
    l'articolo 29, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006 obbliga le autorità competenti a provvedere alla verifica di ottemperanza delle prescrizioni delle procedure di V.A. e V.I.A. nonché della corretta esecuzione degli interventi secondo gli elaborati presentati. Gli esiti dei controlli devono trovare pubblicità secondo quanto previsto dall'articolo 8 del decreto legislativo n. 195 del 2005,

impegnano il Governo:

   ad assumere le iniziative di competenza affinché siano rispettate su tutto il territorio nazionale le scadenze dettate dall'articolo 22, comma 3, del decreto legislativo n. 155 del 2010, rispetto all'aggiornamento degli inventari delle emissioni;
   ad assumere le iniziative di competenza affinché siano rispettate su tutto il territorio nazionale gli obblighi di pubblicazione dei dati di monitoraggio ambientale e di divulgazione delle risultanze delle verifiche di ottemperanza connesse ai pareri di compatibilità ambientale (V.A. e V.I.A.) da loro emessi secondo quanto previsto dal decreto legislativo n. 152 del 2006, articolo 28, comma 2, e articolo 29, comma 2, in combinato disposto con quanto previsto dall'articolo 8 del decreto legislativo n. 195 del 2005;
   ad assumere iniziative di competenza affinché siano rispettati su tutto il territorio nazionale gli obblighi di pubblicazione dei dati dei controlli effettuati presso gli impianti in regime di A.I.A. previsti dal comma 8 dell'articolo 29 del decreto legislativo n. 152 del 2006;
   per i progetti di competenza nazionale, ad assicurare che le strutture del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare rispettino gli obblighi di pubblicazione dei dati relativi ai controlli degli impianti in regime di A.I.A. di competenza nazionale nonché dei dati dei monitoraggio ambientale e delle risultanze delle verifiche di ottemperanza connesse ai pareri di compatibilità ambientale (V.A. e V.I.A.) da loro emessi secondo quanto previsto dal decreto legislativo n. 152 del 2006, articolo 28, comma 2, e articolo 29, comma 2, in combinato disposto con quanto previsto dall'articolo 8 del decreto legislativo n. 195 del 2005;
    ai sensi dell'articolo 9, comma 9, del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 155, a predisporre uno specifico programma di misure di carattere nazionale valido fintanto che non siano correttamente applicate le previsioni in materia di monitoraggio e controllo della qualità dell'aria di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 che preveda, nelle aree interregionali della pianura Padana e sulle ulteriori aree che presentino situazioni di inquinamento interregionale, il divieto di autorizzazione di nuovi impianti che comportino la combustione con specifico riferimento alle emissioni da ossidi di azoto e particolato, fatti salvi gli impianti destinati al riciclo organico tramite gestione aerobica dei rifiuti urbani, ovvero un divieto di ampliamento o modifica agli impianti esistenti ad esclusione degli interventi finalizzati alla loro riconversione o revamping che perseguano standard ambientali più elevati comprovati da una valutazione basata sul ciclo di vita;
   ad assumere iniziative per provvedere, attraverso una concertazione tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministero della salute e le quattro regioni padane, con il coinvolgimento dell'Istituto superiore di sanità e garantendo adeguate risorse, ad uno o più studi epidemiologici di dettaglio sia per tipologia di inquinante sia per contesto territoriale a scala sub-regionale, incluso un monitoraggio di medio-lungo periodo, facendo sì che tale attività sia indirizzata a stabilire eventuali ed ulteriori interventi puntuali per la prevenzione delle patologie connesse all'inquinamento atmosferico e all'esposizione a sostanze inquinanti;
   ad assumere iniziative per provvedere, con uno specifico finanziamento, ad uno o più studi relativi ai danni epigenetici derivanti dall'esposizione ai diversi inquinanti atmosferici in pianura padana;
   a promuovere nell'ambito del Coordinamento tra Ministero, regioni ed autorità competenti in materia di aria ambiente di cui all'articolo 20 del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 155, l'istituzione di un tavolo tecnico per la redazione di un piano d'area tra le quattro regioni della pianura Padana, con il coinvolgimento delle città metropolitane e dei comuni maggiormente interessati per individuare interventi strutturali idonei a fronteggiate la grave situazione di inquinamento atmosferico nell'area della Pianura padana;
   a promuovere, per quanto di competenza e in collaborazione con le regioni e con il sistema delle agenzie ambientali, un programma di controlli a campione per le emissioni su almeno il 10 per cento degli impianti a bioenergie presenti nelle quattro regioni da svolgersi entro sei mesi.
(7-01158)
«Busto, Mantero, Daga, De Rosa, Micillo, Terzoni, Zolezzi, Grillo, Baroni, Silvia Giordano, Colonnese, Lorefice, Di Vita, Nesci, Spadoni».

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Zolezzi n. 5-10211, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 722 dell'11 gennaio 2017.

   ZOLEZZI, COZZOLINO, TONINELLI, DE ROSA, BUSINAROLO, SARTI, SPADONI, DELL'ORCO e DAGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'Arci (Associazione ricreativa e culturale italiana) è un'associazione di promozione sociale italiana fondata a Firenze il 26 maggio 1957;
   essa si riconosce nei valori democratici nati dalla lotta di liberazione contro il nazifascismo, valori che trovano piena affermazione nella Costituzione repubblicana. Arci si richiama, inoltre, alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo ed alla Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia dell'ONU ed opera in contesti locali, nazionali e internazionali per l'affermazione degli stessi;
   attualmente ha la sua sede nazionale a Roma in via dei Monti di Pietralata, 16, ed è una associazione di promozione sociale, ai sensi della legge 7 dicembre 2000, n. 383;
   nell'ambito della ricostruzione democratica nell'Italia liberata dal fascismo maturò l'idea di fondare una federazione di circoli, case del popolo, società mutualistiche che si riconoscevano nei valori della sinistra e segnatamente in quelli dei due principali partiti allora all'opposizione, il PCI e il PSI. Nel 1957 nasceva così l'Arci;
   dopo aver assunto nel 1994 la denominazione «Arci Nuova associazione», al Congresso nazionale di Cervia del 23/26 febbraio 2006 l'associazione assume la denominazione «Associazione Arci», conferendo maggiore evidenza all'acronimo storico A.R.C.I., adottato nel 1957;
   contro la guerra nella ex-Jugoslavia, a sostegno delle sue vittime (dalla Carovana per la Pace, alla candidatura per il premio Nobel per la Pace), antirazzismo e iniziative rivolte all'integrazione degli immigrati (dai campi di accoglienza all'incontro pubblico con Nelson Mandela dopo la sua liberazione), promozione dei valori della solidarietà contro l'egoismo sociale e le tendenze alla secessione, promozione della cultura (mille concerti in più parti d'Italia, il 21 giugno, Festa della Musica), la partecipazione attiva della Banca etica e del Forum del terzo settore;
   Arci partecipa al forum sociale mondiale. La presidente è Francesca Chiavacci, eletta il 14 giugno 2014;
   vi aderiscono 1.115.002 persone, suddivise in 4867 circoli o associazioni locali che si occupano di tematiche varie: cultura (arte, cinema/video, letteratura/poesia, musica, teatro/danza), turismo, diritti, impegno sociale, servizio civile e solidarietà internazionale;
   considerata tradizionalmente vicina alla sinistra la sua bandiera è formata di sei bande orizzontali di identiche dimensioni in cui ciascuno dei colori rappresenta uno o più elementi dell'ambiente e i colori delle varie popolazioni umane (nero, giallo, rosso e bianco);
   presidenti nazionali sono stati:
    Alberto Jacometti (1957-1971);
    Arrigo Morandi (1971-1979);
    Enrico Menduni (1979-1983);
    Rino Serri (1983-1989);
    Giampiero Rasimelli (1989-1997);
    Tom Benetollo (1997-2004);
    Paolo Beni (2004-2014);
    Francesca Chiavacci (2014-in carica);
   Arci Mantova si riconosce nei principi, nei valori e nello statuto nazionale dell’«Associazione Arci» fondata a Firenze il 26 maggio 1957 e riconosciuta dal Ministero dell'interno, di cui è parte costitutiva;
   nello statuto nazionale, al «TITOLO VII: patrimonio, risorse, amministrazione» si legge «Art. 30 – il patrimonio dell'associazione è indivisibile e destinato unicamente, stabilmente e integralmente a supportare il perseguimento delle finalità sociali;
   esso è costituito da:
    beni mobili ed immobili di proprietà della stessa;
    eccedenze degli esercizi annuali;
    erogazioni liberali, donazioni, lasciti;
    partecipazioni societarie e investimenti in strumenti finanziari diversi.

   Art. 31 – le fonti di finanziamento dell'associazione sono:
    le quote annuali di adesione e tesseramento dei soci e delle associazioni aderenti;
    i proventi derivanti dalla gestione economica del patrimonio;
    i proventi derivanti dalla gestione diretta di attività, servizi, iniziative e progetti;
    i contributi pubblici e privati;
    ogni altra entrata diversa non sopra specificata.

   Art. 32 – l'esercizio sociale si svolge dal 1o gennaio al 31 dicembre di ogni anno;
   la Presidenza Nazionale predispone:
    il documento economico di previsione, che deve essere discusso ed approvato dal Consiglio Nazionale entro l'inizio dell'esercizio a cui si riferisce. Può essere prevista deroga in caso di comprovata necessità o impedimento, adottando criteri di esercizio provvisorio;
    il rendiconto economico e finanziario o bilancio consuntivo con una relazione illustrativa, che deve essere approvato dal Consiglio Nazionale entro 4 mesi dal termine dell'esercizio a cui fa riferimento. Può essere prevista deroga in caso di comprovata necessità o impedimento;
    il rendiconto dell'esercizio dovrà evidenziare in modo analitico i costi ed i proventi di competenza, nonché la consistenza finanziaria e le poste rettificative che consentano di determinare la competenza dell'esercizio. Il Consiglio Nazionale approva i piani pluriennali di investimento»;

   l'Arci provinciale di Mantova è un'articolata associazione che comprende circa 50 circoli, al 2011 erano presenti 60 dirigenti e 763 volontari, 14 circoli svolgono attività di ristorazione e 38 di sola somministrazione bevande e alimenti, la principale fonte di finanziamento insieme agli eventi culturali, su cui risulta una tassazione del 9 per cento;
   lo statuto Arci Mantova riporta all'articolo 18 che il presidente territoriale: rappresenta ed esprime l'unità politica dell'associazione, garantisce la corretta ripartizione dei compiti e delle funzioni degli organismi territoriali; esercita compiti di rappresentanza interna ed esterna; esercita il coordinamento politico ed organizzativo e la direzione politica dell'Associazione. Il presidente è membro di diritto del consiglio direttivo territoriale che convoca e presiede stabilendone l'ordine del giorno. Propone i componenti della Presidenza, che convoca e dirige. Convoca ogni volta che lo ritenga necessario i responsabili dei singoli settori di attività. Il presidente rappresenta l'Associazione in giudizio verso terzi;
   sul sito di Arci Mantova si leggeva fino al 30 marzo 2016:
    «Nella seduta di presidenza provinciale del 26 febbraio 2015 e con delibera del consiglio provinciale del 24 marzo 2015 Mattia Palazzi ha comunicato e rassegnato le dimissioni da Rappresentante legale di Arci Mantova, nonché da presidente (le cariche statutariamente coincidono). Mattia Palazzi ha ritenuto di farlo nonostante non vi fosse obbligo di legge, al fine di poter compiere la campagna elettorale che lo vede candidato sindaco di Mantova per il centro sinistra, tutelando l'associazione da polemiche strumentali... La Presidenza e il Consiglio all'unanimità hanno deciso di accogliere le dimissioni da rappresentante legale, nominando il responsabile Organizzatore di Arci Mantova, Mirco Dei Cas nuovo rappresentante legale nonché coordinatore di Arci Mantova. La presidenza e il Consiglio all'unanimità, hanno deciso di non nominare in questa fase un nuovo Presidente»;
   il 13 aprile 2016, con riferimento alla stessa seduta di presidenza provinciale Arci del 26 febbraio 2015 e alla stessa delibera, sul sito di Arci Mantova si legge che Mirco Dei Cas è stato nominato presidente di Arci Mantova;
   le elezioni comunali videro l'elezione di Mattia Palazzi a sindaco di Mantova, al turno di ballottaggio il 14 giugno 2015;
   da visura camerale personale di Mattia Palazzi e di Arci Mantova, risulterebbe che Mattia Palazzi sia ancora presidente di Arci Mantova;
   in ogni caso Mattia Palazzi è di sicuro consigliere nazionale di Arci, http://www.arci.it/chi-siamo/organismi-dirigenti/ e, come scritto in precedenza, deve discutere e approvare il documento economico di previsione predisposto dalla presidenza, entro l'inizio dell'esercizio a cui si riferisce. Il Consiglio nazionale deve anche approvare il rendiconto economico e finanziario o bilancio consuntivo entro 4 mesi dal termine dell'esercizio a cui fa riferimento. Il rendiconto dell'esercizio dovrà evidenziare in modo analitico i costi ed i proventi di competenza, nonché la consistenza finanziaria e le poste rettificative che consentano di determinare la competenza dell'esercizio. Il Consiglio nazionale approva i piani pluriennali di investimento;
   risulta che Arci Mantova, nel 2011 fatturò oltre 4 milioni e 486 mila euro da documento disponibile online, di cui 115 mila da contribuzione di enti pubblici; ad oggi però la normativa non permette di dare effettiva espressione di trasparenza alle attività delle Arci che, comunque godono dei fondi pubblici;
   il testo unico degli enti locali (TUEL), decreto-legge 18 agosto 2000 n. 267, e successive modifiche, all'articolo 63, riporta le cause di incompatibilità per quanto concerne la carica di sindaco;
   «Art. 63 – Incompatibilità – 1. Non può ricoprire la carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, consigliere metropolitano, provinciale o circoscrizionale:
    (alinea così modificato dall'articolo 1, comma 23, lettera b), legge n. 56 del 2014);
     1) l'amministratore o il dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento di ente, istituto o azienda soggetti a vigilanza in cui vi sia almeno il 20 per cento di partecipazione rispettivamente da parte del comune o della provincia o che dagli stessi riceva, in via continuativa, una sovvenzione in tutto o in parte facoltativa, quando la parte facoltativa superi nell'anno il dieci per cento del totale delle entrate dell'ente» (numero così modificato dall'articolo 14-decies, legge n. 168 del 2005)»; non essendo pubblico il bilancio di Arci Mantova non è possibile dettagliare questi aspetti;
   risulta dalla determinazione n. 1867 del 13 ottobre 2015 che siano stati assegnati ad Arci Mantova, con sede a Mantova in via Ariosto n. 47, contributo pari a 22.000,00 euro a sostegno dell'organizzazione del «Mantova Jazz Festival»;
   dalla determina n. 2357 del 2 dicembre 2015 risulta che siano stati assegnati al Circolo Arci TOM, avente sede in piazza Tom Benetollo a Mantova, iscritto ad Arci associazione provinciale di Mantova, 8.000,00 euro per iniziative di intrattenimento in centro storico a Mantova di cui l'80 per cento liquidati prima dell'iniziativa, la determinazione numero 403 del 25 febbraio 2016 ha assegnato la liquidazione di 1.600 euro; nel 2016 il Comune di Mantova ha erogato 129.900 euro ad alcuni circoli Arci della città; il sindaco ha anche firmato il 29 agosto 2016, il contratto di partnership del Comune di Mantova con l'Arci Mantova (ha firmato Veleda Coazzoli come delegata del presidente Arci) per renderla partecipe dell'operazione «San Nicolò» di riqualificazione della periferia di Mantova (bando per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane, dei comuni capoluogo di provincia e della città di Aosta, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 maggio 2016 – ad esito della procedura ad evidenza pubblica per l'individuazione di partner e co-finanziatori privati avviata con determinazione dirigenziale n. 1611 del 1o agosto 2016, come da indirizzo della giunta comunale, delibera di giunta n. 184 del 28 luglio 2016 – PG. 37747/2016, conflitto di interesse milionario, visto che risultano appalti per 2,2 milioni di euro, di cui 121.300 già previsti in cofinanziamento dei due progetti per Arci Mantova già inseriti nella partnership;
   l'accordo di partenariato tra il Comune e Arci Mantova pone, secondo gli interroganti, il sindaco Palazzi, che risulta membro del Consiglio nazionale Arci, in una situazione di conflitto di interessi;
   la normativa non chiarisce sufficientemente come possano essere compatibili ruoli che sembrerebbero agli interroganti in palese conflitto di interesse proprio come nel caso del sindaco Mattia Palazzi della città di Mantova –:
   se risulti al Ministro dell'interno l'eventuale permanenza nella carica di presidente di Arci Mantova di Mattia Palazzi, che sarebbe anche membro del Consiglio Nazionale dell'Arci e se ritenga esistano i presupposti per assumere iniziative ai sensi dell'articolo 70 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali in relazione a possibili profili di incompatibilità riferiti alla carica di sindaco di Mantova nella situazione descritta, ovvero se non intenda assumere iniziative normative volte ad evitare sovrapposizioni di incarichi pubblici e privati, a giudizio degli interroganti, quanto meno inopportuni, come nel caso sopra descritto;
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative normative volte a garantire che enti e associazioni che beneficiano di contributi pubblici a qualunque titolo, come nel caso di Arci, siano tenuti a rendere trasparente l'utilizzo di tali risorse, pubblicando anche sul sito internet, i dati relativi alla governance e all'impiego dei fondi percepiti. (5-10211)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Spessotto n. 4-09397 del 9 giugno 2015;
   interrogazione a risposta scritta Catalano n. 4-12436 del 9 marzo 2016;
   interpellanza urgente Amoddio n. 2-01517 del 21 ottobre 2016;
   interpellanza urgente Placido n. 2-01547 del 23 novembre 2016;
   interpellanza Spessotto n. 2-01556 del 6 dicembre 2016;
   interpellanza urgente Fratoianni n. 2-01563 del 19 dicembre 2016
   interrogazione a risposta in Commissione Spessotto n. 5-10212 dell'11 gennaio 2017.

ERRATA CORRIGE

  Testo riformulato della Mozione Airaudo e altri n. 1-01451, pubblicato nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 723 del 13 gennaio 2017. Alla pagina 43677, seconda colonna, dalla riga quinta alla riga undicesima, deve leggersi: (1-01451) «Airaudo, Martelli, Placido, Scotto, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Kronbichler, e non come stampato.

  Interrogazione a risposta in Commissione Garofalo n. 5-10300 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 726 del 18 gennaio 2017. Alla pagina 43855, prima colonna, alla riga terza, deve leggersi: «un'intesa siglata il 14 gennaio 2016 tra» e non come stampato.