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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 728 di lunedì 23 gennaio 2017

Pag. 1

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE
MARINA SERENI

  La seduta comincia alle 11,05.

  PRESIDENTE. La seduta è aperta.
  Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

  MANFRED SCHULLIAN, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 20 gennaio 2017.

  PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Gioacchino Alfano, Amendola, Amici, Baruffi, Bellanova, Beni, Bernardo, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Capelli, Casero, Caso, Castiglione, Causin, Centemero, Antimo Cesaro, Cimbro, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Galati, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Kronbichler, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Migliore, Nicoletti, Orlando, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Santerini, Scalfarotto, Scotto, Spadoni, Tabacci, Tancredi, Valeria Valente, Velo e Vignali sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente novantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione della proposta di legge: Iacono ed altri: Disposizioni per l'istituzione di ferrovie turistiche mediante il reimpiego di linee in disuso o in corso di dismissione situate in aree di particolare pregio naturalistico o archeologico (A.C. 1178-A) (ore 11,10).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 1178-A: Disposizioni per l'istituzione di ferrovie turistiche mediante il reimpiego di linee in disuso o in corso di dismissione situate in aree di particolare pregio naturalistico o archeologico.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 18 gennaio 2017 (Vedi l'allegato A della seduta del 18 gennaio 2017).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1178-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.Pag. 2
  Avverto che il presidente del gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la IX Commissione (Trasporti) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Romina Mura.

  ROMINA MURA, Relatrice. Grazie, Presidente. La IX Commissione ha avviato, il 14 giugno 2014, l'esame in sede referente dalla proposta di legge n. 1178, d'iniziativa della deputata Maria Iacono, avente a oggetto l'istituzione di ferrovie turistiche mediante il reimpiego di linee in disuso o in corso di dismissione situate in aree di particolare pregio naturalistico o archeologico.
  Il provvedimento su cui la Commissione trasporti ha svolto un approfondito iter istruttorio, di cui riferirò e che adesso è sottoposto all'attenzione dell'Assemblea, si propone di definire, attraverso la discussione e la votazione della presente proposta di legge, una cornice normativa certa, organica e razionale per la fattispecie «ferrovia turistica», a oggi non contemplata nel sistema normativo relativo al trasporto ferroviario, e di mettere quindi a sistema, attraverso la predisposizione di una serie di regole standard e mirate rispetto alla particolarità del viaggio, dei mezzi e delle infrastrutture utilizzate, una particolare e diffusa modalità di accesso e visita turistica dei territori di particolare valenza naturalistica, archeologica e culturale, quella attraverso linee ferroviarie secondarie costruite e attivate fra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento, molte delle quali vere e proprie opere di ingegneria ferroviaria.
  Mi riferisco a tratte ferroviarie – stiamo parlando di complessivi 1300 chilometri – da tempo sospese al servizio di trasporto ordinario, molte delle quali a scartamento ridotto, non elettrificate e quasi tutte a binario unico, sulle quali i treni, spesso trainati da locomotori a vapore, viaggiano a basse velocità (30-50 chilometri orari) e attraversano ampie porzioni di territori, anche montani, di diverse regioni italiane, spesso inaccessibili ad altri mezzi di trasporto.
  Tornando all'iter della proposta di legge Iacono, nel giugno 2014 la Commissione ha deliberato di svolgere sul tema tutta una serie di audizioni. Abbiamo voluto costruire un testo di legge condiviso da tutti i gruppi parlamentari. A riguardo ringrazio da subito per il prezioso contributo e supporto garantito da tutti i gruppi, compresi quelli di opposizione, inclusivo delle buone esperienze già realizzate e di tutte le modalità di utilizzo e gestione dei tratti ferroviari considerati e delle loro pertinenze e orientato alla semplificazione. Ammetto che il testo base della Commissione ha rappresentato, rispetto agli obiettivi appena elencati, una buona sintesi. A riguardo auspico sin da ora che il testo che verrà deliberato dall'Aula torni, con i dovuti aggiustamenti, a quella sintesi iniziale che rappresenta poi il vero valore aggiunto della proposta di legge. Sono stati auditi i rappresentanti delle regioni Molise, Piemonte, Lazio, Calabria, Sicilia, Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, compresa l'Azienda regionale sarda trasporti. È stato audito il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini, RFI, Fondazione Ferrovie dello Stato, nonché i rappresentanti dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie. Per quanto riguarda il mondo delle associazioni del volontariato si è proceduto a svolgere le audizioni dei rappresentanti della Confederazione della mobilità dolce, della Federazione Italiana Ferrovie Turistiche e Museali, del Comitato per la riapertura della linea ferroviaria Civitavecchia-Capranica-Orte e per lo sviluppo economico della Tuscia, nonché dell'Associazione In Loco Motivi.
  Sia le diverse realtà associative che soprattutto le realtà territoriali interessate hanno fornito utili contributi espunti per l'esame della proposta stessa. Ricordo l'iter e in particolare i soggetti auditi, per trasferire all'Aula l'approfondimento svolto sul tema e non di meno l'interesse dimostrato rispetto allo stesso dagli attori Pag. 3istituzionali e dalle associazioni, impegnati quotidianamente, ciascuno con il proprio ruolo, nelle attività di valorizzazione e promozione dei territori, nell'ambito di un più ampio disegno nazionale di implementazione di un percorso di sviluppo integrato che metta in relazione tutti i fattori produttivi di questo Paese, investendo in particolare sul superamento dei tanti squilibri territoriali presenti, in particolare quello fra aree interne e costiere.
  Come emerso dai contributi dei soggetti auditi e dal successivo lavoro di elaborazione e sintesi fatto dalla Commissione, diverse fra queste tratte ferroviarie, grazie al lavoro di alcuni soggetti nazionali – penso al MiBACT appunto e a Fondazione Ferrovie dello Stato e a tanti attori locali pubblici e privati, le regioni, il sistema delle autonomie locali, le aziende di trasporto, il prezioso e diffuso mondo dell'associazionismo, nonché agli operatori turistici –, diverse fra queste tratte ferroviarie rappresentano già ora modalità di accesso alle aree interne e montane del nostro Paese e insieme connessione fra costa ed entroterra, motivazione di viaggio per molte destinazioni turistiche minori, che altrimenti sarebbero sconosciute, di fatto veri e propri attrattori turistico-culturali, intorno ai quali i territori hanno costruito con successo – e stanno costruendo, anche attraverso importanti investimenti finanziari e progettuali – sistemi di sviluppo turistico integrato. Attrattori turistico-culturali attraverso i quali promuovere le destinazioni turistiche minori, per provare, come ribadito dal Ministro Dario Franceschini durante l'audizione in Commissione, a concretizzare quella strategia di moltiplicazione dell'offerta turistica italiana, per attrarre sia turismo interno che quello internazionale. A riguardo la valorizzazione dei percorsi religiosi, ciclabili, naturalistici, motociclistici e delle ferrovie storiche turistiche rappresenta un asset su cui investire e lavorare con convinzione.
  Sempre sulla base dei contributi acquisiti in Commissione, abbiamo di fatto individuato le tratte ferroviarie sospese al servizio ordinario ovvero il sedime ferroviario storico e mezzi rotabili d'epoca dalle stesse rappresentati, intorno e mediante i quali sono stati costruiti negli anni importanti eventi di valorizzazione e di riscoperta dei beni paesaggistici e storici di grande interesse storico-culturale – il Treno Blu, il Treno Natura, il Trenino Verde, la Transiberiana d'Italia, il Treno dei templi, i Binari senza tempo, giusto per citare alcune delle iniziative che richiamano le tratte ferroviarie intorno alle quali sono stati costruiti gli eventi di valorizzazione –: la Sulmona-Castel di Sangro e la Castel di Sangro-Carpinone, che interessano le regioni Abruzzo e Molise, la Cosenza-San Giovanni in Fiore in Calabria, l'Avellino-Lioni-Rocchetta Sant'Antonio in Campania, la Sacile-Gemona in Friuli, la Palazzolo-Paratico in Lombardia, la Ceva-Ormea in Piemonte, le siciliane Alcantara-Randazzo, Castelvetrano-Porto Palo di Menfi, Agrigento Bassa-Porto Empedocle e la Noto-Pachino, l'Asciano-Monte Antico in Toscana, la Civitavecchia-Capranica-Orte in Lazio, la Fano-Urbino nelle Marche e le sarde Mandas-Arbatax, Isili-Sorgono, Sassari-Palau e Macomer-Bosa. Un patrimonio di rete ferroviaria già esistente e testato turisticamente, come dimostrano i dati forniti da Ferrovie dello Stato relativi al turismo ferroviario del 2015. Nel 2015 sono stati organizzati infatti 166 viaggi turistici con 45.000 viaggiatori in tredici regioni: Lombardia, Toscana, Abruzzo e Molise, Sicilia, Piemonte, Veneto Liguria, Campania, Sardegna, Emilia Romagna, Lazio, Puglia e Friuli-Venezia Giulia.
  Le ferrovie turistiche sono quindi un importante fattore produttivo per i territori interessati e per il Paese intero e non a caso, come Commissione, dando seguito alle importanti interlocuzioni avute con regioni, enti locali e associazioni, abbiamo scelto di valorizzare e riconoscere immediatamente, nel testo base deliberato dalla Commissione, le ferrovie turistiche già attive e operanti, conferendo in tal modo alla legge organicità e, insieme, senso e identità.
  Nel corso delle audizioni sono emerse, poi, altre due importanti questioni con cui Pag. 4abbiamo ulteriormente arricchito il testo di legge base, come la questione relativa agli standard di sicurezza delle ferrovie turistiche, con la possibilità, così come previsto nel testo, garantendo comunque livelli equivalenti in termini di sicurezza complessiva, di adottare misure compensative e mitigative del rischio, tenuto conto della particolare tipologia di mezzi e infrastrutture nonché della ridotta velocità di percorrenza degli stessi; per capirci parliamo di tratte ferroviarie sospese, percorse esclusivamente da treni programmati e organizzati che procedono a velocità, come ho detto all'inizio, comprese tra i 30 e i 50 chilometri orari. Emerge, quindi, chiaramente, la necessità di definire standard di sicurezza specifici, equivalenti, ma differenti rispetto a quelli applicati al servizio ferroviario ordinario, che garantiscano, quindi, la massima sicurezza, considerate, però, le particolari condizioni di viaggio. La seconda questione che è emersa durante le audizioni è l'opportunità di utilizzare un approccio multimodale nell'utilizzo delle ferrovie turistiche, introducendo la possibilità, anche in Italia, come in altri Paesi europei, di far viaggiare, oltre i treni, anche i velorail, o ferrocicli, in modo integrato, alternativo rispetto ai treni turistici e, come ha tenuto a precisare, CoMoDo e poi anche la Commissione ambiente, a pensare alle ferrovie turistiche come tassello di un mosaico ben più ampio, quello della mobilità dolce che annovera insieme al turismo ferroviario le altre modalità di viaggio, ciclovie urbane ed extraurbane e greenways, con l'obiettivo di costruire un piano per la mobilità dolce che contempli tutte le modalità di viaggio, secondo un approccio di integrazione. Con questo intervento legislativo si vorrebbe, in definitiva, offrire una ulteriore opportunità di sviluppo in Italia nel settore del turismo ferroviario, come modalità che moltiplica, fra le altre cose, le possibilità di fruizione del nostro grande patrimonio culturale, consapevoli che l'immagine del nostro Paese è profondamente legata al concetto di cultura inteso in senso ampio, quindi, come patrimonio artistico culturale e paesaggistico, ma anche come patrimonio gastronomico artigianale. Al riguardo appaiono interessanti i dati diffusi da Symbola attraverso lo studio «Io sono cultura – 2016 L'Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi»; questi dati ci dicono che il sistema produttivo culturale e creativo produce il 6,1 per cento della ricchezza italiana, 89,7 miliardi di euro e dà lavoro a un milione e mezzo di persone, il 6,1 per cento del totale degli occupati. Per ogni euro prodotto in cultura se ne attivano 1,8 in altri settori, quindi, arriviamo a una ricchezza complessiva prodotta dalla filiera culturale che si aggira intorno ai 250 miliardi di euro, il 17 per cento del valore aggiunto nazionale, col turismo come principale beneficiario di questo effetto volano.
  Come ho avuto modo di accennare nei precedenti passaggi di questa relazione, il senso della legge è stato costruito attraverso un percorso di elaborazione e condivisione dentro la Commissione e con i soggetti auditi che ha prodotto un testo base caratterizzato e organico. L'accoglimento di alcune modifiche derivanti dalle condizioni poste dalla V Commissione bilancio, relative a esigenze di copertura finanziaria, hanno portato, però, all'espunzione dal testo di due articoli, uno dei quali, a mio giudizio, particolarmente significativo e qualificante dell'intervento legislativo. Mi riferisco alla scelta di qualificare, già in sede di prima applicazione, alcune tratte ferroviarie come ferrovie turistiche. Tengo nuovamente a ribadire che l'elenco che si era ritenuto di introdurre – di fatto sono le tratte ferroviarie che ho citato prima – rispondeva agli elementi di conoscenza che la Commissione aveva assunto durante l'approfondita attività svolta. A mio avviso, la soppressione di questa norma costituisce un obiettivo impoverimento del testo e una menomazione degli esiti della funzione istruttoria svolta dall'organo parlamentare. Auspico, pertanto, e confido che attraverso opportune e puntuali proposte emendative si possa colmare questa lacuna, ovviamente nel pieno rispetto delle necessarie esigenze di copertura.Pag. 5
  Prima di passare alla veloce illustrazione dell'articolato, infine, mi sembra doveroso segnalare nuovamente lo spirito di collaborazione fra le forze politiche presenti in Commissione che, sotto la regia della presidenza e con il prezioso supporto degli uffici della Commissione trasporti, ha consentito di pervenire ad un articolato condiviso.
  Per quanto riguarda l'articolato, la proposta di legge, come ho più volte rappresentato, ha, tra i suoi obiettivi individuati all'articolo 1, quello di favorire la salvaguardia e la valorizzazione delle tratte ferroviarie di particolare pregio culturale, paesaggistico e turistico, ivi compresi i tracciati ferroviari, le stazioni e le relative opere d'arte e pertinenze, nonché dei rotabili storici e turistici abilitati a percorrerle. Con l'articolo 2 vengono individuate, con decreto ministeriale, le ferrovie che possono essere classificate ad uso turistico, si tratta esclusivamente delle tratte ferroviarie dismesse e sospese; non è quindi consentito classificare come tratta ad uso turistico una tratta ferroviaria aperta al traffico commerciale. Sotto il profilo procedurale segnalo che per l'adozione del decreto è richiesta la preventiva proposta delle regioni interessate nonché la successiva intesa con la Conferenza Stato-regioni. L'articolo 3 definisce le nozioni di rotabili storici e rotabili turistici idonei alla circolazione sulle tratte ferroviarie ad uso turistico o nelle altre tratte ferroviarie. Il testo ne individua le caratteristiche e ne prevede la registrazione in una sezione del registro immatricolazione nazionale, disciplinata con decreto del MIT, sentiti il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo e la Conferenza Stato-regioni. L'iscrizione avviene a cura dell'Agenzia nazionale. L'articolo 4 rappresenta le modalità di affidamento ai soggetti proprietari e ai concessionari della responsabilità del mantenimento in esercizio e della manutenzione della funzionalità della sicurezza delle tratte. L'articolo 5 disciplina l'affidamento della gestione del servizio di trasporto e delle attività commerciali connesse al servizio di trasporto sulle ferrovie turistiche. L'articolo 6 concerne la circolazione dei rotabili storici e turistici e dei rotabili ordinari sulle tratte ferroviarie ad uso turistico, definendo gli standard di sicurezza di cui parlavo prima. L'articolo 7 concerne anch'esso la circolazione dei rotabili storici e turistici su tratte diverse però da quelle destinate all'esclusivo uso turistico. L'articolo 8 riconosce il ruolo prezioso delle associazioni; l'articolo 9 prevede che il gestore del servizio dei trasporti assicuri l'integrazione delle iniziative turistiche ricreative con tutte le altre attività di promozione svolte dagli enti locali. L'articolo 10, infine, e concludo, introduce la condizione di invarianza finanziaria.

  PRESIDENTE. Concluda.

  ROMINA MURA, Relatrice. Chiudo, ricordando che sono state recepite tutte le osservazioni proposte dalle Commissioni e auspico – partendo dalla consapevolezza che questa è una legge cornice che prova a mettere punti fermi sul tema ferrovie turistiche – che partendo da qua e attraverso altri provvedimenti conseguenti si costruisca una dotazione finanziaria stabile e certa per una valorizzazione organica delle ferrovie turistiche sia a livello infrastrutturale che di servizi. Una strada da percorrere, senza sottrarre, ovviamente, risorse destinate al trasporto ferroviario ordinario e in particolare al TPL, potrebbe essere quella di inserirli, per la parte manutenzione dei binari, all'interno del contratto di programma MIT-RFI e per la parte servizio nei contratti di servizio regione-Trenitalia, anche attraverso risorse proprie delle istituzioni regionali, come d'altronde già avviene in alcuni contesti regionali (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Prendo atto che la rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.
  È iscritta a parlare la deputata Bruno Bossio. Ne ha facoltà.

  VINCENZA BRUNO BOSSIO. Signora Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, Pag. 6signora sottosegretaria, la discussione di oggi prende il via dopo un lungo e importante confronto, in Commissione trasporti, soprattutto, sulla proposta di legge Iacono, che partiva proprio dall'esigenza di valorizzare quelle linee ferroviarie generalmente a scarso traffico che però attraverso luoghi di particolare bellezza raggiungono punti di notevole interesse sotto il profilo culturale e naturalistico. Mentre in altri Paesi e anche in Europa la gestione delle ferrovie turistiche e l'organizzazione di convogli ferroviari speciali, apportando notevoli benefici all'economia del Paese, è stata organizzata, in Italia, nonostante gli sforzi delle regioni, delle amministrazioni locali, dell'associazione delle ferrovie amatoriali e di vari enti, vi è un vuoto normativo che, oggi, impedisce la corretta fruizione dei tracciati ferroviari secondari. Si tratta per lo più di percorsi, come afferma la relazione Iacono, che oltre ad attraversare luoghi ricchi di fascino e di storia conservano quasi intatti importanti elementi di archeologia industriale, infrastrutture che in un modo o in un altro hanno fatto la storia del nostro Paese.
  Nella proposta di legge originaria c’è già un primo elenco al quale si potevano aggiungere altre tratte ferroviarie, cosa che abbiamo fatto nella discussione in Commissione trasporti, tratte, naturalmente, che non fossero già attive anche in qualche misura attraverso gli interventi delle regioni, che andavano a integrarsi con la trasformazione di altri tracciati, anch'essi dismessi, in greenways, fruibili con mezzi ecologici attraverso un approccio intermodale che generasse dei veri e propri presidi territoriali.
  La legge arriva in discussione e prosegue per tutto il 2015 e il 2016 con una serie di audizioni, tra cui quella del Ministro Franceschini. Su questo importante materiale si concentra il lavoro del Comitato ristretto e il testo viene proposto dalle Commissioni di merito. Ma mentre le osservazioni di tutte le Commissioni si muovono in coerenza con lo spirito della legge, migliorandone l'impianto, ci auguriamo che il parere della Commissione bilancio possa essere modificato all'interno della discussione in Aula, perché bisogna pronunciarsi sui profili di copertura e non sul merito del provvedimento.
  D'altra parte, la legge che arriva oggi in Aula non può inquadrarsi solo relativamente alla valutazione dell'impatto della singola tratta su quel territorio regionale, perché, se da una parte, come ha detto la relatrice Mura, tende a dare una cornice normativa, non esaustiva ma organica e razionale per la fattispecie ferrovia turistica – ad oggi non contemplata nel sistema normativo – dall'altra non dimentichiamo che si inserisce nella discussione, ormai non più eludibile, della prospettiva di sviluppo del nostro Paese e dell'Europa verso un modello ecosostenibile.
  Se è vero che il Ministro Delrio ha parlato di cura del ferro in occasione della delibera CIPE su ingenti investimenti previsti sui tratti ferroviari italiani, questi investimenti non possono più riguardare solo l'alta velocità. La manutenzione e il potenziamento, ma anche la valorizzazione del sistema ferroviario esistente, sono necessità e priorità. La cura del ferro deve significare minore impatto sul territorio, meno inquinamento, meno traffico, maggiore sicurezza.
  In Italia il trasporto resta un punto critico per le politiche ambientali, se è vero come è vero, secondo i dati della Fondazione Sviluppo Sostenibile, che le emissioni di CO2 riguardano per l'89 per cento il trasporto su strada e solo per il 4 per cento il trasporto su ferro. Inoltre, c’è una propensione dei cittadini verso l'utilizzo del trasporto pubblico, aumentato naturalmente anche dalla crisi, ma che, invece, vede di contro il taglio di oltre il 15 per cento del trasporto pubblico sugli spostamenti locali.
  E ancora, quanto costa all'economia pubblica e ai bilanci privati il predominio della mobilità individuale, tenendo conto anche del costo sociale degli incidenti ? E la scarsa manutenzione della rete ferroviaria locale aumenta e genera ulteriori rischi di dissesto idrogeologico. Però ci sono dei segnali: per tre anni consecutivi, in Italia e in Europa, si sono vendute più Pag. 7biciclette che automobili. La legge di stabilità ha stanziato, nel triennio 2016-2018, 91 milioni di euro per la progettazione e realizzazione di un sistema nazionale di ciclovie turistiche, aumentando ulteriormente, con questa legge di stabilità, la dotazione. Quindi, questa crisi potrebbe e dovrebbe diventare una grande opportunità di sviluppo in generale per il trasporto ferroviario, incluso quello turistico. Infatti, queste sono linee in cui la scarsa velocità del treno non diventa una penalizzazione, ma una caratteristica che restituisce al viaggio la sua vera dimensione. I binari, così, non sono più rami secchi, ma rappresentano la storia, la cultura, la civiltà dei rapporti: dei veri e propri attrattori turistici culturali.
  In questo senso vorrei raccontare brevemente la storia della best practice del treno della Sila. Le ferrovie della Calabria hanno esercito fino a pochi anni fa una linea a scartamento ridotto da Cosenza a San Giovanni in Fiore; è stata chiusa, però la regione Calabria non l'ha dismessa, ma l'ha classificata come linea ferroviaria di valore storico-turistico. Dallo scorso mese di agosto, il treno della Sila è ridiventato realtà e il Presidente della regione Calabria ha voluto fortemente il rilancio del treno storico, riscontrando un successo che va oltre ogni previsione. Con l'avvio del progetto si sono sperimentate nuove forme di comunicazione e commercializzazione, basate esclusivamente sull'uso dei social network e dell’e-commerce, il glocal, il locale e il globale. La linea corre quasi interamente all'interno del Parco nazionale della Sila, con penetrazione solo attraverso il treno in luoghi poco raggiungibili fino ad arrivare a una stazione ferroviaria, la più alta d'Europa, ad oltre 1.400 metri sul livello del mare. Il valore dell'infrastruttura dal punto vista paesaggistico e storico è così rilevante da avere indotto la regione Calabria, in raccordo con il Ministero dei beni culturali, a programmare un piano di riqualificazione ai fini turistici, che trasformerà in asset della mobilità sostenibile all'interno dell'area del Parco nazionale della Sila, che, ricordiamo, ha l'aria meno inquinata d'Europa per come confermato dal laboratorio Nanodiagnostic di Modena.
  L'idea è quella di una riqualificazione, dunque, delle stazioni e dei caselli, che, sia in forma di alberghi diffusi, che con la realizzazione di porte d'accesso ai vari percorsi del parco, possa essere attraversato solo con il treno storico, trainato da una bellissima locomotiva a vapore antica. Questa importante best practice calabrese, insieme all'esperienza delle Giornate delle ferrovie dimenticate, della Confederazione per la mobilità dolce, dell'Associazione ferrovie della Calabria, rappresenta un esempio eloquente di come, intorno a tali temi, si siano mobilitate associazioni e comunità; dimostra che ci sono margini anche in Italia per rivalutare un patrimonio ingegneristico e storico di primordine: linee secondarie che, viste con occhio consapevole, riposizionate correttamente in contesti diversi da quelli delle origini, possono aprirci nuovi e inaspettati orizzonti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato De Lorenzis. Ne ha facoltà.

  DIEGO DE LORENZIS. Grazie, Presidente. Oggi siamo qui a discutere la prima lettura di una importante proposta di legge, a prima firma dell'onorevole Iacono, la n. 1178, che riguarda le «Disposizioni per l'istituzione di ferrovie turistiche mediante il reimpiego di linee in disuso o in corso di dismissione situate in aree di particolare pregio naturalistico o archeologico».
  La legge è stata presentata il 10 giugno del 2013 e poi incardinata in Commissione, sempre nel 2013, ma non ha avuto grande vitalità, se non nell'ultimo anno. Questo lo riporto perché, in generale, le priorità di questo Governo probabilmente non sono state sempre chiarissime. Comunque, prendiamo atto del fatto che, finalmente, un vuoto normativo, come hanno ricordato gli interventi precedenti, viene colmato, o quanto meno c’è questa intenzione, per dare anche seguito a quello Pag. 8che già accade nel nostro Paese, cioè che una serie di associazioni, di uomini, di persone, si impegnano per dare continuità a una visione che tenga conto dell'importanza che nel nostro Paese hanno particolari paesaggi, particolari risorse archeologiche e storiche.
  Quindi, da questo punto di vista, ovviamente, noi, come legislatori, non facciamo che prendere atto di quello che già avviene nel nostro Paese. Tuttavia, questa legge, secondo me, ha anche un'altra ambizione: quella di provare a formare una regolamentazione che dia impulso a questo settore, secondo anche quanto detto nei proclami del Ministro Franceschini e del Ministro Delrio. E noi, come legislatori, ovviamente abbiamo intenzione di proseguire questo percorso e di dare impulso a questo settore, perché ne cogliamo, evidentemente, le grandi potenzialità, e non perché siano da immaginare queste potenzialità, ma perché basta guardare quello che avviene nei Paesi europei, che questa strada già hanno percorso e intrapreso prima di noi.
  Il nostro contributo come MoVimento 5 Stelle è stato un lavoro costante accanto alla relatrice, alla Presidenza e agli altri gruppi parlamentari, in uno spirito, come è stato ricordato, di condivisione estrema, tanto da non presentare emendamenti in fase di discussione nella Commissione. E abbiamo contribuito o cercato, quantomeno, di contribuire, con spunti, con suggerimenti, a migliorare il testo, questo testo che, tra l'altro, ha subito una metamorfosi, è stato completamente rivisto e aveva, come dire, degli elementi positivi, che oggi nel testo non ci sono più.
  Faccio riferimento, per esempio, alle risorse stanziate e anche al fatto che il meccanismo di revisione delle tratte era stato delegato ad un regolamento di secondo livello, quindi ad una norma di secondo livello, per non cristallizzare un elenco e, quindi, poi, con il vincolo di dover modificare la legge per poter aggiungere ulteriori tratte ferroviarie.
  Quindi, il nostro parere sul provvedimento è in generale molto positivo, appunto perché non c’è una regolamentazione specifica del settore e perché, in realtà, viene dato un criterio abbastanza chiaro per definire quali sono le ferrovie di interesse turistico.
  Come è stato ricordato, in questo spirito di condivisione, si sono tenute molte audizioni dai soggetti istituzionali – come il Ministro Franceschini ed altri, come l'amministratore delegato della Rete ferroviaria italiana, l'ingegner Cantamessa, direttore della Fondazione FS, l'ingegner Gargiulo, direttore dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie, la senatrice Anna Donati, presidente onorario della Confederazione Mobilità dolce, il professore Sgarbi, presidente la Federazione delle ferrovie turistiche e museali e, in più, i rappresentanti di diverse regioni e di altre associazioni – proprio perché volevamo che questo lavoro fosse quanto più condiviso, più solido e più concreto possibile.
  Nonostante questo lavoro, oggi ci troviamo a discutere di un testo che non è, dal nostro punto di vista, completamente soddisfacente e, in parte, alcuni elementi sono stati ricordati. Il tema principale è quello delle risorse: si dice che questi treni devono avere una loro sostenibilità economica e il legislatore, oggi, sta intervenendo proprio perché è impossibile rendere sostenibile un servizio ferroviario con questa valenza turistica quando i rotabili o le tratte ferroviarie sono sottoposte ai medesimi vincoli di sicurezza per i treni ad alta velocità, per esempio, perché è chiaro che il carico, la frequenza di questi di questi treni va ad incidere in maniera molto diversa rispetto ai treni ad uso commerciale.
  Abbiamo detto anche che questo tema dei costi, in realtà, è generato – l'abbiamo affrontato in Commissione – da diverse cause. In primo luogo, vi è la manutenzione delle infrastrutture dei rotabili: dal nostro punto di vista, è impensabile che questo sia risolto solo dando le risorse all'interno di un contratto di servizio con Trenitalia o dei finanziamenti che le regioni prevedono con i gestori dell'infrastruttura.Pag. 9
  L'altro tema che pone un problema di costi è la gestione dei treni e della sicurezza, cioè, banalmente, l'esercizio quindi la gestione effettiva dei treni turistici e, poi, una questione legata al personale, quindi alle persone che rendono possibile lo svolgimento di questi treni turistici. Ora, è chiaro, partendo da quest'ultimo punto, che se il servizio viene affidato soltanto a imprese ferroviarie proprietarie e gestori dell'infrastruttura – faccio, quindi, riferimento, non lo so, alle ferrovie concesse alle regioni in quanto proprietarie oppure a RFI o Trenitalia in quanto imprese ferroviarie –, questo limita molto: ce lo hanno detto diversi soggetti in audizione, come la Federazione italiana delle ferrovie turistiche e museali e la Confederazione Mobilità dolce, facendo anche il confronto con quanto accade negli altri Paesi europei. Quindi, l'elemento che abbiamo oggi in questo provvedimento è l'esclusione di questi soggetti dalla gestione attiva di questo tipo di servizi. Ovviamente, questi costi non possono essere affrontati da questo tipo di realtà se i vincoli per esercitare questo servizio rimangono gli stessi.
  Nel provvedimento c’è stato anche un peggioramento, perché – a seguito del osservazioni fatte dalla Commissione bilancio – anche i costi per l'iscrizione all'albo dei rotabili vengono ad essere totalmente a carico del richiedente.
  E, ancora, addirittura, abbiamo eliminato dalla norma, con un peggioramento evidente rispetto al testo originario, l'abbattimento delle barriere architettoniche e, quindi, la piena accessibilità al servizio da parte di persone disabili; e questo è stato ricordato anche dalla Commissione affari sociali. Secondo me, secondo noi del MoVimento 5 Stelle, il tema dei costi non può incidere così negativamente, tanto da precludere questo tipo di interventi in un settore come quello delle ferrovie turistiche e del rilancio turistico del nostro Paese.
  Legato ai costi, c’è ancora il tema della sicurezza. Il tema della sicurezza è, ovviamente, importantissimo e, come abbiamo detto, c’è già un tavolo tecnico presso l'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie, in condivisione con altri soggetti, tra cui, appunto, il Ministero e Fondazione FS, che permette, in qualche modo, la stesura di regolamenti più adeguati all'esercizio delle ferrovie turistiche. Quindi, questo tavolo è già in essere e c’è stato anche il contributo importantissimo delle altre associazioni che si occupano di questo tema: addirittura, queste associazioni hanno inviato all'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie la traduzione in italiano del regolamento tecnico adottato in Francia emanato nel 2011, proprio segno dell'interesse che, anche tra i soggetti che oggi svolgono questi servizi, suscita questo tema.
  L'altro tema importantissimo è quello dei velorail, quindi dei ferrocicli o dei cicli che possono girare sui binari, che possono funzionare sui binari con pedalata, eventualmente, assistita. L'esclusione è stata un vincolo, che abbiamo, in qualche modo, dovuto introdurre per arrivare in Aula oggi, voluto dalla Commissione bilancio che ha supposto che, nella formulazione che la Commissione aveva elaborato, questo richiedesse una manutenzione – l'esercizio di questi ferrocicli – e che, quindi, in qualche modo, questo generasse dei costi per il gestore dell'infrastruttura, il gestore del servizio; costi, ovviamente, non quantificati e non coperti dal provvedimento.
  Stiamo lavorando per questo, per reintrodurre questa possibilità di fruire del nostro territorio anche attraverso questa modalità, in modo molto simile a quanto avviene già in Francia e in altri Paesi, dicevo, perché l'uso di mezzi così leggeri, così anche poco veloci, dà la possibilità davvero di usare tratte che sono abbandonate, dismesse o sospese, anche che non siano adeguate per la circolazione dei treni, ma, appunto, con un'opportuna normazione e una regolamentazione, è possibile dare la possibilità a questi ferrocicli di percorrere quei binari.
  Faccio solo differimento – perché nel mio intervento ho più volte sottolineato la differenza che c’è tra il nostro Paese e quello che accade negli altri – a quanto Pag. 10accade nei Paesi europei che questa strada l'hanno già intrapresa. Da un'audizione avuta in Commissione, abbiamo saputo che, nel solo Regno Unito, i visitatori annui delle ferrovie turistiche o dei servizi turistici ferroviari sono oltre 7 milioni; in Germania e in Austria sono quasi la metà, 3 milioni e mezzo e in Francia si aggirano intorno ai 3 milioni e 7; in Italia, una stima dice che i visitatori annui sono oltre 90 mila. Ecco spiegato il particolare interesse di tutti i soggetti che abbiamo audito e, ovviamente, anche l'interesse del legislatore ad intervenire su questa materia e a dare veramente impulso: perché nel passare da 90 mila visitatori stimati l'anno in Italia a 7 milioni, si comprende bene che c’è la possibilità di dare un impulso straordinario a questo settore.
  Questo impulso, ovviamente, ha delle ricadute economiche che, in Italia, si stimano, ad oggi, essere annualmente di 2 milioni di euro e, poi, invece, si scopre che in Francia sono 35 milioni di euro, in Germania e in Austria sono 49 milioni di euro e, addirittura, nel Regno Unito sono quasi 140 milioni.
  Quindi, il potenziale è di avere 70 volte gli introiti che oggi abbiamo in Italia. Però, come dicevo, a fronte di questa possibilità straordinaria, c’è il tema dei costi, e vediamo come questo problema è stato risolto negli altri Paesi. Gli altri Paesi fanno ampio uso di volontari, quindi auspichiamo che anche nel nostro Paese questo possa avvenire. In Italia, al momento, sono registrati o comunque stimati 300 volontari, in Francia, Germania e Austria ci sono intorno ai 3.000 volontari, e addirittura quasi 20.000 nel Regno Unito, a fronte di una rete ferroviaria assolutamente non paragonabile con gli altri Paesi, perché in Italia abbiamo 800 chilometri che potrebbero essere interessati da questo provvedimento, nel Regno Unito 850, mentre in Germania ed Austria sono 2.400 e in Francia 1.200. Quindi, si capisce bene che la strada da percorrere in questo settore è tanta, e che questo è chiaramente soltanto il primo passo in quella direzione.
  C’è anche un tema legato al ruolo della Fondazione FS, che ha 300 mezzi, di cui 200 atti al servizio, mentre gli altri operatori, altri soggetti, quindi le associazioni private, museali e ferroviarie, hanno, forse anche a causa delle norme non troppo chiare del procedimento autorizzativo, che non è ben codificato, 600 mezzi, ma solo 60, quindi un decimo, atti al servizio. Quindi, effettivamente in questa legge il potenziale, anche economico, è evidente sotto gli occhi di tutti. Faccio notare che uno studio, un'analisi economica della Federazione delle Ferrovie turistiche britanniche ha stimato che per ogni euro investito nelle ferrovie turistiche sul territorio ne ricadono altri 3, quindi una leva 1 a 3 che ovviamente può essere un volano per l'economia dei territori; questo è assolutamente da incentivare e premiare. Su questo tema, però, quello di incentivare e premiare questo settore, faccio una piccola critica alla maggioranza e al Governo, non perché mi piaccia fare polemica – e credo che i colleghi lo sappiano –, ma perché all'inizio dell'esame di questo provvedimento le risorse stanziate erano pari a 500.000 euro – e tutti i soggetti auditi ci hanno confermato che queste risorse erano scarse, benché le tratte ferroviarie indicate nella proposta di legge a firma Iacono fossero soltanto sei –, per poi passare a nessun finanziamento e addirittura alla previsione di oneri per i richiedenti. Questo in qualche modo mi fa un po’ dubitare della volontà politica di perseguire effettivamente lo sviluppo di questo settore, dubbio che è confermato in parte, se possibile, dai tempi di approvazione delle leggi nell'altra Camera. Noi abbiamo una legge delega per la riforma del codice della strada, quindi una cosa importantissima che riguarda tutti gli italiani, che è ferma al Senato da oltre due anni; e ancora, abbiamo avuto evidenza che forse al Governo e alla maggioranza questo tema della mobilità sostenibile in generale non interessa più di tanto, quando sono stati rimandati in Commissione due importanti provvedimenti già ricordati dagli interventi precedenti, quello sulle green way e quello della legge quadro sulla mobilità ciclabile: non vorremmo che questo provvedimento, in questa settimana, Pag. 11facesse la stessa fine, penso sarebbe veramente un colpo duro da digerire per la credibilità di questa maggioranza e del Governo.
  Ancora, Presidente, un altro dubbio che ho e che faccio presente ai colleghi e al Governo presente in Aula riguarda i tempi di attuazione della legge: la legge prevede dei tempi, per emanare regolamenti, decreti attuativi e per organizzare in qualche modo tutto l'iter per rendere effettivo e legale questo tipo di servizi, molto chiaro e molto netto; non vorrei, come spesso accade, che i Ministri e i Ministeri siano molto attivi nella stesura di decreti e poi trascurino quello che è il loro compito costituzionale, cioè quello di dare attuazione alle leggi che questo Parlamento approva.
  Quindi – lo dico senza polemica –, spero che questa settimana riusciamo ad approvare definitivamente questo provvedimento, per mandarlo al Senato e approvarlo anche lì altrettanto velocemente, in modo che questo Paese finalmente non perda ulteriori possibilità di crescita economica legate ad iniziative di sviluppo sostenibile, che tutti noi auspichiamo.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Famiglietti. Ne ha facoltà.

  LUIGI FAMIGLIETTI. Signora Presidente, signora sottosegretario, la proposta di legge «Iacono», che approda in Aula, ha un grande valore culturale, e rivolge la sua attenzione a quella che erroneamente viene definita «Italia minore», cioè quella delle aree interne, quella che, purtroppo, nel corso del tempo, anche per via del ridimensionamento della spesa pubblica, è divenuta il ventre molle del Paese. In un tempo in cui la velocità della rete ci tiene connessi «h24» e in cui è facile con un click raggiungere località di qualsiasi longitudine e latitudine, recuperare queste reti fatte di traverse e ferro ci consente di recuperare un pezzo importante della nostra storia.
  È stato un lavoro importante e assolutamente di rilevo, quello compiuto dalla Commissione trasporti, e in grado oggi di offrire un validissimo strumento di supporto allo sviluppo turistico del Paese. Mentre altrove, come in Austria o in Svizzera, la gestione delle ferrovie turistiche e l'organizzazione di convogli ferroviari speciali a carattere storico sono da tempo regolamentate, apportando così notevoli benefici all'economia turistica di quei Paesi, in Italia vi è un vuoto normativo che, ad oggi, impedisce la corretta fruizione dei tracciati ferroviari secondari, esponendo gli stessi al rischio concreto di soppressioni e di successive alienazioni di impianti e di opere d'arte.
  In questa legislatura sono primo firmatario di una proposta di legge analoga sulla cosiddetta «mobilità dolce», confluita nella proposta di legge a prima firma Realacci, che ha come obiettivo quello di realizzare, anche nel nostro Paese, un sistema complessivo di mobilità dolce in grado di riutilizzare tratti di strade o di ferrovia dismessi, che rappresentano un grande patrimonio ambientale e naturalistico da valorizzare. È un processo che parte da lontano e che ha raccolto anche importanti contributi dal territorio, dalle associazioni e dai comitati che fanno parte della Confederazione della mobilità dolce (Co.Mo.Do). Del resto, l'esperienza di altri Paesi, anche europei, ci dimostra che sono stati ottenuti risultati molto importanti; basti pensare al progetto spagnolo delle vias verdes, che ha portato al recupero, nello spazio di pochi anni, di oltre mille chilometri di ferrovie dismesse; così come anche l'associazione americana «Rail to trail» ha portato alla rinascita di migliaia di chilometri di ex ferrovie negli Stati Uniti d'America. In Italia, di recente, la Fondazione FS, sotto la guida del direttore Cantamessa e del presidente Moretti, nell'ambito del progetto «Binari senza tempo», ha riattivato a scopi turistici alcune spettacolari linee ferroviarie, come la ferrovia della Val d'Orcia o la ferrovia dei templi, ormai prive di servizio di trasporto pubblico locale. Nel solo 2015 sono stati organizzati 166 viaggi in treno storico, trasportando Pag. 1245.000 viaggiatori e registrando un segno più del 60 per cento rispetto agli utenti del 2014.
  Anche il Mezzogiorno può avere una chance importante, con l'approvazione di questa legge, un territorio che continua ad avere difficoltà nei suoi collegamenti ordinari e commerciali, che però, attraverso questo strumento, può recuperare infrastrutture al servizio del turismo. Alcune di esse già sono in funzione, come la ferrovia dei templi o la ferrovia della Sila, e penso anche alla tratta Avellino-Rocchetta Sant'Antonio: un'antica linea aperta nel 1895 per collegare Avellino con le zone interne dell'Irpinia, con il foggiano e con la Lucania. Ho citato questa tratta anche perché quest'anno cade il bicentenario della nascita di Francesco De Sanctis, che sostenne fortemente la sua realizzazione, tanto da dire, nel suo famoso viaggio elettorale: «Tutto si trasforma, e qui la trasformazione è lenta. Si animi Monticchio, venga la ferrovia, e in piccol numero d'anni si farà il lavoro di secoli». Dal 12 dicembre 2010 questa ferrovia non è più percorsa da treni, ma, anche grazie all'impegno dell'associazione «In Loco Motivi», che è stata udita nel corso dei lavori in Commissione trasporti, prima se ne è scongiurata la soppressione e poi, mediante il protocollo firmato dalla Fondazione FS, Rete Ferroviaria Italiana, MiBACT e regione Campania, è stata riattivata a scopi turistici per preservarne il patrimonio storico e paesaggistico.
  Quindi, questo provvedimento rappresenta sicuramente un punto di svolta, anche per una nuova declinazione del principio di sussidiarietà per le politiche di sviluppo delle aree interne, con il coinvolgimento e la partecipazione del mondo delle associazioni e del mondo amatoriale, attratto da questo segmento turistico e culturale. Ma importante sarà anche il coinvolgimento delle scuole per riappropriarsi di pezzi di storia del proprio territorio. Chi ha avuto la possibilità di sfogliare l'atlante FS delle ferrovie abbandonate si è trovato davanti ad un vero e proprio manuale di geografia e di storia, perché ogni chilometro di queste tratte è un pezzo di storia locale e nazionale.
  In questa legislatura queste tematiche hanno avuto uno spazio di assoluto rilievo, con provvedimenti che sono approdati in quest'Aula e che ci auguriamo presto possano essere definitivamente approvati, a partire, per esempio, dalla proposta sui piccoli comuni, che ora è al Senato. Sono tutte misure legate tra di loro, che possono costituire davvero un'occasione di crescita per molte aree minori, in grado di muovere economie che sono in difficoltà, di valorizzare prodotti enogastronomici e di artigianato, puntando sulla bellezza dei territori a cui spesso, però, fa da contraltare un enorme disagio sociale.
  Ricucire l'Italia, anche attraverso il recupero di questi pezzi di rete ferroviaria, è un'occasione da non perdere e sono certo che quest'Aula saprà mandare un messaggio di fiducia a questi territori e a quanti attendono la possibilità di conoscerli, anche attraverso l'utilizzo di queste reti ferroviarie abbandonate (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Gandolfi. Ne ha facoltà.

  PAOLO GANDOLFI. Grazie, Presidente. La legge che approviamo oggi interviene su una materia abbastanza nuova, una materia su cui non si è mai intervenuto prima e, quindi, come tale, a volte desta meno interesse. Noi, nelle Aule parlamentari, siamo molto abituati a lavorare su materie già consolidate, su cui ci sono stratificazioni di pensiero, di posizioni, che rendono, a volte, le discussioni complicate. Questo non è successo, questa è una legge che interviene su una materia nuova e, io credo, particolarmente interessante per il nostro Paese. Si è svolta una discussione molto bella e molto lineare, che ci permette oggi di avere un testo importante in Aula, che introduce alcune novità rilevanti per il nostro Paese.
  In particolare, sono due i settori interessati. Il primo è quello turistico ed economico e il secondo è quello della mobilità e dei trasporti. In entrambi i casi Pag. 13questa legge offre opportunità che prima non esistevano e, quindi, ribadisco l'importanza che questa legge ci sia. Lo dico perché alcune delle cose che si vogliono fare con questa legge si potrebbero già fare oggi, in teoria. Quindi, non è che su tutto ciò che pensiamo e vogliamo ci voglia sempre una legge. Però, siccome noi interveniamo su due settori, che, invece, hanno bisogno di elementi di novità, credo che sia rilevante avere un testo che li mette insieme.
  Per quanto riguarda il punto di vista economico è già stato detto e non mi ripeto. Ci sono dati che provengono da altri Paesi che dimostrano come non solo il turismo ferroviario, inteso come la ferrovia, la sede, i luoghi attraversati da ferrovia, diventa centrale in una proposta turistica e, quindi, arricchisce quella che riteniamo essere una delle carte più importanti che il nostro Paese ha dal punto di vista economico, ma lo fa – lo diceva poc'anzi anche il collega Famiglietti – in un indirizzo che per noi è molto importante, cioè rivolge la sua attenzione verso le aree interne, arricchisce l'offerta turistica italiana non semplicemente aggiungendo qualcosa laddove abbiamo già e dove eventualmente abbiamo anche dei problemi di gestione della domanda turistica, ma allarga la domanda turistica alle aree interne. Questo è un tema fenomenale perché già in generale abbiamo dei problemi di tenuta del rapporto tra la centralità dei nostri siti principali delle nostre città, anche dal punto di vista sociale, funzionale ed economico, con il resto del Paese e con le aree interne – lo dimostrano anche alcune difficoltà di queste settimane – ma se c’è una forza che noi dobbiamo andare a scoprire è la forza della bellezza e della qualità che il territorio può offrire. La mobilità dolce e, dentro questa, la mobilità ferroviaria turistica può essere una delle cose rilevanti. Per questo mi auguro anch'io che vengano approvati anche la legge quadro sulla mobilità ciclistica, che si accompagna molto a questo, e anche il provvedimento sulla mobilità dolce in generale (i cammini e le altre forme di mobilità dolce).
  Dal punto di vista ferroviario questo testo è altrettanto importante ed è anche questa la ragione per cui la Commissione trasporti ha dedicato molto del suo tempo a questo testo.
  Infatti, nel cercare una funzionalità nuova, potenzialmente forte anche dal punto vista economico, per le nostre ferrovie svolgiamo un lavoro che inverte una tendenza, che c’è ormai da quasi sessant'anni e che si è innescata dagli anni Cinquanta e Sessanta, di progressivo abbandono e alienazione di linee ferroviarie, attraverso il percorso che prevede, prima, la loro sospensione dal servizio e, poi, il loro abbandono tramite la dismissione e, a volte, la loro eliminazione fisica, che è un ulteriore passo che cancella le linee ferroviarie. Ora, trovare una funzione nuova, che si aggiunge a quella drammaticamente stretta all'interno dei limiti di fattibilità e di economicità del servizio ferroviario, che può anche essere portato con i soldi pubblici, ma spesso ha anche delle difficoltà a mantenersi in vita, se la domanda di trasporto in quanto tale non c’è, aggiungere a questa domanda, che può essere debole in alcuni settori, in alcune regioni, in alcune linee ferroviarie, la domanda turistica è una grande possibilità che noi offriamo per evitare che le linee ferroviarie siano prima sospese e poi dismesse. Anzi, credo che sia anche una possibilità: naturalmente non nei primissimi giorni di funzionamento di questa legge, ma, se accompagniamo questa legge con regolamenti e con un'attività forte, a parte quella dei soggetti associativi che anche la vogliono e la spendono con grande passione, non solo potremmo probabilmente recuperare, anche alla funzionalità del servizio passeggeri e del servizio merci, le ferrovie sospese, ma – chissà – magari anche ripristinare, in futuro, qualche ferrovia dismessa. È una tendenza che va invertita e laddove, magari, abbiamo domanda debole per l'utenza passeggeri o per l'utenza merci e abbiamo, invece, potenzialmente una grande domanda per utenza turistica, questa può essere sufficiente a far rivivere alcune ferrovie.Pag. 14
  Il potenziale turistico delle ferrovie non sta solo nel fatto che la ferrovia è una vecchia ferrovia semiabbandonata. Anzi, succede spesso che queste vecchie ferrovie sono più belle, probabilmente perché sono state fatte in tempi posteriori. Per esempio, la mia provincia ha la prima ferrovia italiana costruita da una cooperativa, in quel caso socialista, che si proponeva proprio di essere l'alternativa all'allora insorgente industria del trasporto ferroviario. Quindi, spesso, quando si costruivano queste ferrovie, si buttava anche il cuore oltre l'ostacolo, non si faceva semplicemente, come si fa oggi, un investimento pensando che ci sia un immediato ritorno. Si cercava di dare all'opera ferroviaria anche un'idea di sviluppo e, quindi, si andavano a cercare anche angoli remoti.
  Il fatto che siano recuperabili queste ferrovie ci permette di poterle immaginare, in un futuro, anche come ferrovie a passeggeri, ma, intanto, ci permette di andare a vedere dei paesaggi e delle aree interne che, altrimenti, sarebbero tagliati fuori dalle linee. Ma dobbiamo anche immaginare il potenziale turistico di alcune linee ferroviarie in quanto tali, i cui manufatti, le stazioni, i ponti e tanti altri oggetti possono essere pezzi originali del nostro sistema ferroviario. Noi siamo stati tra le prime nazioni europee a svilupparle e, quindi, potenzialmente abbiamo alcune di queste cose che sono, in sé, pezzi di archeologia industriale che meritano e attirano molti appassionati. In più, c’è anche il potenziale che deriva dal fatto che sulle ferrovie – può avvenire anche su ferrovie che hanno un normalissimo esercizio passeggeri e che funzionano normalmente, volendo anche sulle ferrovie ad alta velocità – possono essere sviluppati e possono essere inventati, anche dalle grandi compagnie che fanno trasporto passeggeri, dei servizi turistici. Infatti, c’è un interesse e un'attenzione nuova. È un dato abbastanza conosciuto il fatto, per esempio, che, per quanto riguarda l'area europea, per le distanze che arrivano intorno ai 500 chilometri, c’è un recupero dell'uso turistico del trasporto ferroviario e del trasporto notturno come alternativa al volo aereo, perché ha un suo fascino e una sua ricchezza, che vanno sviluppati.
  Quindi, questa legge offre un panorama ampio. Non tutto è lì a portata di mano, ma se non partiamo con questa legge non arriviamo da nessuna parte. Quindi, è giusto farlo, anche se magari avremmo voluto fare qualche cosa in più. Per esempio, il fatto che possano agire le imprese ferroviarie è un limite. Siamo in un Paese di ferrovieri; sostanzialmente l'ingegneria ferroviaria, la cultura tecnica dei ferrovieri ha forgiato il nostro Paese dal punto di vista tecnico. Quindi, è anche abbastanza comprensibile che rispetto alla discussione che abbiamo svolto noi, magari con una visione più ampia, la risposta dei ferrovieri sia sempre quella di dire di stare rigorosamente dentro l'ambito ferroviario. Ma, siccome la federazione delle associazioni Ferrovie Turistiche, che promuovono queste attività, sono in realtà create da appassionati e, in gran parte, da ex ferrovieri, io sono convinto che con questa legge, laddove si dice che solo le imprese ferroviarie possono esercitare – non significa imprese che hanno la proprietà di ferrovie, significa imprese che hanno le categorie e le caratteristiche per l'impresa ferroviaria –, si possa permettere loro, come avviene in Austria, di costituire soggetti o di appoggiarsi a soggetti che gli consentano di operare agilmente. Così come il tema delle tariffe: era abbastanza improbabile che si riuscisse a spuntare, visto che esiste una regola precisa tale per cui c’è separazione della rete dall'esercizio, che il gestore della rete non ponesse una tariffa.
  Ma è chiaro che, nell'averlo scritto, noi intendiamo anche che, sulla base delle valutazioni che faranno gli enti proprietari, che sono spesso regioni o che può essere anche Rfi, queste tariffe possono essere ridotte a valore simbolico. Lo dico in questa sede e in questo momento perché sia chiaro che l'idea è quella: non è che si è messa la tariffa perché si pensa che è da lì che si deve trarre il valore economico dell'impresa ferroviaria turistica. L'impresa ferroviaria turistica, se la si fa, è perché vale o dal punto vista Pag. 15economico o dal punto di vista sociale. Le tariffe sono indicate perché chiaramente sono un vincolo dettato dal meccanismo che abbiamo di separazione della rete dall'esercizio e, quindi, chi fa esercizio deve per forza confrontarsi su questo tema. Però sarà un attimo, anche sulla base degli accordi che il Governo e anche le regioni potranno fare, creare condizioni tali per cui queste tariffe siano simboliche. Infine gli ultimi due temi che sono stati eliminati con il parere della Commissione bilancio...

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  PAOLO GANDOLFI. ... concludo su questi con un minuto. Credo che sia fondamentale recuperarli tant’è vero che io ho presentato un emendamento per recuperare il velorail, per recuperare la possibilità di utilizzarlo, perché non sono affatto ... Lì c’è stato a mio giudizio un fraintendimento nel testo della proposta di legge. Quindi con una modifica del testo che rende chiaro che questo non produce costi ulteriori, perché sta sempre al gestore accettare o meno queste tipologie di servizio, noi possiamo introdurlo e quindi ho buona fiducia che l'Aula sarà in grado di approvare e di reintrodurre il mio o altri emendamenti di questa natura che possano prevederlo. Infine è vero che l'elenco sarà poi frutto anche di un lavoro più approfondito, perché da questo elenco possono mancare linee ferroviarie altrettanto importanti come quelle che sono state introdotte, tuttavia, secondo me, è giusto che il Parlamento nel concludere il suo iter comunque dia una prima immagine, cioè che non lasci i cittadini solo nell'idea che questa sia una velleità ma che faccia capire che in realtà sul territorio ci sono molte linee ferroviarie che potenzialmente possono diventare importanti linee turistiche (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche – A.C. 1178-A)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice che, tuttavia, avrebbe finito anche il tempo a sua disposizione. Se ha necessità può replicare per un minuto. Prendo atto che la relatrice si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
  Ha facoltà di replicare la rappresentante del Governo.

  DORINA BIANCHI, Sottosegretaria di Stato per i Beni e le attività culturali e il turismo. Soltanto un attimo ma mi faceva piacere intervenire anche se la discussione continua perché l'impegno che viene garantito dal Governo soprattutto su una crescita sostenibile è un impegno reale. Il 2016 è stato l'anno dei cammini e sono state molte le risorse che sono state date a questo proposito: 20 milioni per i cammini religiosi di San Francesco e Santa Scolastica, 20 milioni per la via Francigena e i 20 milioni per la via Appia che poi percorrono proprio le zone interne di cui molti dei colleghi, che ringrazio, hanno parlato. Proprio nella visione di valorizzare non soltanto le grandi città d'arte ma l'Italia più interna e meno conosciuta ma non meno ricca e importante per quanto riguarda il turismo. Quest'anno sarà il cammino dei borghi: noi siamo in Commissione trasporti per parlare del Piano nazionale del turismo che, non a caso, ha come ultima parola «sostenibile» e quindi da questo punto di vista le vie ferroviarie sono sicuramente un tassello importante di questo piano molto più generale che va proprio a valorizzare tutto il turismo dolce e delle zone meno conosciute ma altrettanto importanti del nostro Paese.

  PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Mantero ed altri n. 1-01463, Rondini ed altri n. 1-01475 e D'Incecco ed altri n. 1-01476 concernenti iniziative in relazione al fenomeno della resistenza agli antibiotici (ore 12,14).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Mantero ed Pag. 16altri n. 1-01463, Rondini ed altri n. 1-01475 e D'Incecco ed altri n. 1-01476 concernenti iniziative in relazione al fenomeno della resistenza agli antibiotici (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).
  Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Palese ed altri n. 1-01477, Nicchi ed altri n. 1-01478, Vargiu ed altri n. 1-01479 e Binetti ed altri 1-01480 (Vedi l'allegato A – Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritto a parlare il deputato Mantero, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01463. Ne ha facoltà.

  MATTEO MANTERO. Grazie, Presidente. Mi spiace molto che per un tema così importante e impellente come quello dell'antibiotico-resistenza non sia presente in Aula neanche un rappresentante del Ministero della salute. Quindi farò un excursus sul tema dell'antibiotico-resistenza proprio per far capire quanto questo tema sia importante per la salute di noi tutti, sia un tema di importanza mondiale e quanto sia necessario agire in fretta. Una delle più importanti scoperte che sono state fatte nella medicina moderna – lo ricordiamo tutti – è la scoperta della penicillina di Fleming nel 1929; stia tranquilla non la prendo così larga ma vorrei solo sottolineare quanto la scoperta degli antibiotici abbia cambiato radicalmente l'approccio della medicina verso le infezioni batteriche, le infezioni microbiche. Prima della scoperta di antibiotici si poteva morire per una semplice bronchite, per una semplice polmonite, per una setticemia conseguente a una banale operazione o addirittura all'estrazione di un dente. Da quando sono stati scoperti e sono entrati in uso gli antibiotici ovviamente si sono letteralmente potute salvare milioni di vite. Ci siamo abituati talmente tanto a pensare che gli antibiotici e la loro efficacia sia un bene garantito che purtroppo non ci rendiamo conto che l'uso così lungo e così intenso di questi farmaci purtroppo ne sta facendo perdere in maniera anche abbastanza importante l'efficacia terapeutica. La resistenza agli antibiotici, il fatto che si sviluppino dei batteri antibiotico-resistenti è in realtà un fenomeno naturale, è la normale selezione, la normale evoluzione dei batteri, le mutazioni genetiche dei batteri, lo scambio genomico tra microrganismi diversi. Però l'uso eccessivo e costante degli antibiotici sia nella medicina umana sia nell'ambito animale ha accelerato moltissimo questa selezione naturale e ha quindi portato più in fretta allo sviluppo di batteri resistenti perché l'uso di antibiotici praticamente azzera, distrugge le popolazioni di batteri sensibili, sia che questi siano nocivi sia che non lo siano, e lascia campo libero di svilupparsi a questi batterei resistenti e quindi compaiono questi super-batteri che è molto difficile contrastare. Proprio a seguito di questo allarme il Governo britannico ha commissionato uno studio ad un importante organizzazione, un importante gruppo di ricerca che è diventato un po’ il punto di riferimento per chi si occupa di antibiotico-resistenza. Cito solamente la conclusione di questo studio che dice: senza alcun tipo di azione che la contrasti, l'antibiotico-resistenza nel 2050 sarà la prima causa di morte; causerà 10 milioni di decessi superando ampiamente i decessi per tumore, diabete o incidenti stradali con una perdita potenziale di PIL a livello mondiale di circa 100 trilioni di dollari. Stiamo parlando di una minaccia enorme per il mondo intero. Quindi questa è l'analisi che è stata fatta per gli scenari futuri in cui la resistenza agli antibiotici diventerà presto probabilmente, se non contrastata, la prima causa di Pag. 17morte. Ma quella dell'antibiotico-resistenza non è solo un potenziale pericolo futuro ma è un problema molto attuale. I dati diffusi dalla Review on Antimicrobial Resistance dicono che oggi in Europa ci sono già 4 milioni di casi ogni anno di infezioni di germi antibiotico-resistenti e questi 4 milioni di infezioni causano 37.000 decessi ogni anno. È una grande perdita di risorse sia sanitarie che non.
  Come al solito in Italia in queste classifiche siamo sempre nei posti più alti. Ci troviamo nelle posizioni più elevate anche per l'indice di antimicrobico-resistenza in Italia, quindi sopra quella che è la media europea. Dal 7 al 10 per cento dei pazienti italiani incorre annualmente in un'infezione di batteri resistenti alla maggior parte degli antibiotici utilizzati; parliamo di circa 280 mila casi l'anno, che causano in Italia circa 7 mila morti l'anno per infezione appunto da batteri, che i più comuni antibiotici non sono in grado di contrastare. Ha rilanciato l'allarme sull'antimicrobico-resistenza un episodio, una scoperta risalente alla scorsa primavera negli Stati Uniti, in cui nelle urine di una paziente di quarantanove anni della Pennsylvania è stato isolato un ceppo di escherichia coli resistente a tutti gli antibiotici, compresa la colistina, che sarebbero quegli antibiotici di seconda battuta, ovvero gli antibiotici che sono utilizzati quando i normali antibiotici in uso non sono più efficaci. Questo batterio, questo ceppo di escherichia coli si è rivelato resistente a tutti gli antibiotici presenti, quindi di fatto è un batterio che non può essere distrutto con i mezzi che noi abbiamo a disposizione e quindi abbiamo il rischio di una vera e propria pandemia, se questi batteri avessero terreno libero per svilupparsi. Tant’è vero che il direttore dell'ente che si occupa della salute pubblica negli Stati Uniti ha parlato appunto di era post-antibiotica.
  Ovviamente anche in Italia la situazione è molto grave, soprattutto per quanto riguarda le infezioni nosocomiali. Sono sempre più frequenti le infezioni da klebsiella pneumoniae a da pseudomonas ultra resistenti. In particolare, secondo i dati dell'ECDC, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, dal 2008 al 2014 sono cresciuti ceppi di klebsiella resistenti rispetto ai ceppi di klebsiella isolati, che sono passati dal 25 al 50 per cento, ovvero un batterio su quattro, una klebsiella su quattro, da una klebsiella su quattro a una klebsiella su due isolata è resistente agli antibiotici. Questa cosa è molto grave, perché le infezioni da antibiotico-resistenza hanno una mortalità molto elevata – si parla di mortalità per oltre il 50 per cento degli infettati –, quindi è facile capire quanto siano pericolose queste infezioni, soprattutto all'interno degli ospedali.
  Questa situazione sconvolgente è dovuta proprio all'uso sconsiderato degli antibiotici, non solo per uso umano, ma anche e soprattutto per quanto riguarda di allevamenti intensivi. Praticamente, con i nostri comportamenti, con l'abuso di antibiotici, che abbiamo sia a livello umano che sugli animali, stiamo andando a rendere inefficaci le uniche armi che abbiamo verso i batteri e, se mi permette un'espressione diretta, stiamo di fatto selezionando i batteri che domani ci uccideranno. Stiamo facendo una vera e propria selezione di questi batteri killer.
  Ora vorrei fare un piccolo excursus, dare qualche dato, sull'uso degli antibiotici. A novembre è stato pubblicato un rapporto dell'OCSE sul tema, con dati aggiornati al 2014, e questo rapporto rivela che negli ultimi dieci anni nei paesi OCSE la media dell'uso degli antibiotici è cresciuta del 4 per cento, anche qui – ripeto – sia per quanto riguarda l'uso umano, ma anche per quanto riguarda l'uso sugli animali. Siamo arrivati a 20,5 dosi ogni mille abitanti. Ovviamente anche in questa classifica l'Italia è ai primi posti (la media di uso degli antibiotici in Italia è superiore a quella dei Paesi europei, si parla di 27,8 dosi/giorno ogni mille abitanti). La crescita negli ultimi dieci anni dell'uso di antibiotici è salita del 6 per cento, quindi del 2 per cento superiore rispetto agli altri Paesi europei. Purtroppo questo primato si ha anche nei bambini e un'indagine ha rilevato che nell'età pediatrica Pag. 18i bambini fino a due anni, in Italia, utilizzano tre volte la quantità di antibiotici che sono utilizzati dai bambini nella stessa fascia di età nel Paese più virtuoso che è la Norvegia.
  È allarmante anche il fatto che molto spesso i pediatri prescrivono ai bambini cefalosporine, che sono antibiotici generalmente di seconda battuta, cioè sono gli antibiotici di riserva che dovrebbero essere utilizzati quando gli antibiotici più comuni si rivelano inefficaci. Se non sbaglio il dato è intorno al 24-25 per cento. Non vorrei sbagliare, ma utilizzare in prima battuta questo tipo di antibiotici, di fatto, può portare alla selezione di batteri resistenti anche a questo tipo di antibiotici e quindi farci trovare completamente disarmati, quando l'uso di questi antibiotici dovesse non funzionare. I dati dell'OCSE dimostrano che l'aumento dell'uso degli antibiotici è parallelo all'aumento dell'antibiotico-resistenza, a dimostrare quello che dicevo prima, cioè che l'abbondante uso di antibiotici porta appunto a una più veloce selezione.
  L'antibiotico-resistenza nei Paesi OCSE è aumentata negli ultimi anni, con una media del 5 per cento, attestandosi al 15 per cento. Questo vuol dire che il 15 per cento dei batteri che vengono isolati si rivela multiresistente a molti degli antibiotici che sono in commercio. Anche qui l'Italia è ai primi posti, siamo al terzo posto dopo la Grecia e la Turchia, e il livello di antibiotico-resistenza si attesta tra il 33 e il 34 per cento. È raddoppiata negli ultimi anni e questo significa, appunto, che un batterio su tre isolato rivela una multiresistenza agli antibiotici. Ovviamente questo abuso di antibiotici ha una serie di concause, tra cui sicuramente l'uso umano. Secondo l'ECDC dall'80 al 90 per cento degli antibiotici ad uso umano sono prescritti dai medici di medicina generale, quindi il ruolo dei medici di medicina generale è importantissimo nel monitoraggio e nel controllo dell'utilizzo di questa classe di farmaci, ma, purtroppo, molto spesso le prescrizioni di antibiotici avvengono con una certa leggerezza. Spesso solo per un'influenza, per un mal di gola viene prescritto l'antibiotico, quando spesso queste sono infezioni virali e non batteriche e di conseguenza l'antibiotico è del tutto inutile, se non eventualmente nel caso di peggioramenti, eccetera. Quando ho studiato microbiologia, mi hanno insegnato che se ho un mal di gola, se ho il sospetto di un'infezione batterica, faccio un tampone, faccio una coltura, vedo se si sviluppa un batterio e lo tratto con i vari antibiotici, scopro l'antibiotico al quale quel batterio è resistente e do l'antibiotico specifico, senza dare antibiotici a largo spettro, addirittura, appunto come dicevo prima, antibiotici di seconda battuta.
  Alla leggerezza delle prescrizioni mediche spesso si affianca la cosiddetta automedicazione, autoprescrizione, perché, nonostante nella legge di stabilità del 2015 siamo riusciti a ottenere la cosiddetta «dose unica del farmaco», ancora questa non è stata attuata e quindi, se noi andiamo in farmacia a comprare una confezione di antibiotici, quando basterebbero cinque o sei pastiglie per il trattamento, mi vendono la confezione da 20-30 pastiglie. Questo, oltre ad essere un aggravio per il costo del Servizio sanitario nazionale, fa sì che, quando avrò il prossimo mal di gola o la prossima febbre alta, dirò: «però, me lo aveva prescritto il medico, quasi quasi mi riprendo l'antibiotico, magari senza neanche utilizzarlo per i giorni giusti per cui lo devo utilizzare» e così via. Quindi alla leggerezza delle prescrizioni dei medici spesso si aggiunge appunto questa autoprescrizione.
  A livello internazionale la comunità scientifica individua, tra le principali linee cui muoversi, per contrastare l'antibiotico-resistenza, proprio un cambiamento culturale immediato e profondo nella popolazione e nella comunità medica, che porti ad un impegno realmente appropriato degli antibiotici, in modo da ridurre l'abuso e prolungare il più possibile la vita di questi farmaci.
  Ma il problema dell'abuso di antibiotici – come dicevo prima – non è legato solo all'uso umano. L'Italia è il terzo più grande utilizzatore di antibiotici negli allevamenti: il 71 per cento degli antibiotici Pag. 19venduti in Italia viene utilizzato negli allevamenti di animali e il 94 per cento di questi è usato per trattamenti di massa. Questo vuol dire che non lo uso per il singolo capo o per i singoli capi malati, ma lo do a tutto l'allevamento o a una grande parte dell'allevamento.
  Gli allevamenti intensivi, infatti, sono caratterizzati da una densità di animali molto elevata per metro quadrato, scarse condizioni igieniche e soprattutto scarse condizioni di benessere degli animali. Questo sovraffollamento facilita, ovviamente, la diffusione di infezioni, le condizioni di vita, di scarso benessere e di stress degli animali facilita l'ammalarsi di questi animali e, ovviamente, la promiscuità in cui gli animali vivono facilita la diffusione di queste infezioni. Per questo, e proprio per la difficoltà di isolare gli animali malati, magari anche di individuare gli animali malati all'interno dell'allevamento, molto spesso, viene somministrata, sistematicamente, e, spesso, anche preventivamente, la stessa dose di antibiotici a tutti gli animali, sia quelli malati che quelli non. Ovviamente, un uso così massiccio di antibiotici all'interno degli allevamenti porta ad una importante selezione di batteri antibiotico-resistenti che entrano poi in circolo attraverso il liquame, attraverso le feci degli animali, ma anche direttamente attraverso la carne che noi compriamo nei supermercati, perché ci possono essere degli inquinamenti per cui il batterio può restare sulla fettina o sul petto di pollo che noi compriamo al supermercato e lo portiamo direttamente nelle nostre case. Per quanto la cottura lo distrugga, poi, comunque, ci può essere una infezione su altri elementi, verdure e così via. Esiste la dimostrazione che vi è la possibilità del passaggio di batteri resistenti dagli animali all'uomo, ceppi di salmonella o campylobacter; ci sono stati casi di allevatori che si sono ammalati proprio per il contatto continuo con gli animali malati, ma la cosa più grave di tutte è che noi facciamo l'assurdità, la follia, di utilizzare per gli animali lo stesso tipo di antibiotici che utilizziamo per l'uomo, quindi, i batteri resistenti che noi sviluppiamo negli allevamenti sono resistenti ai farmaci che noi assumiamo per l'uomo. Quindi, stiamo, ancora di più, selezionando batteri che potranno farci ammalare e che saranno poi difficili da curare, perché, di fatto, li abbiamo resi resistenti agli antibiotici che usiamo per noi.
  Nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea C229 sono state pubblicate le linee guida per l'uso prudente degli antimicrobici in medicina veterinaria, perché, appunto, l'uso prudente di antimicrobici in medicina veterinaria rappresenta uno dei principali settori strategici nell'Unione europea proprio per il contrasto alla diffusione dell'antimicrobico-resistenza. Ora, io non vi sto a leggere le linee guida dell'Unione europea, anche perché spero che il Ministero della Salute, ovviamente le conoscerà e, comunque, coincidono in gran parte con gli impegni della nostra mozione, concludo però citando, dopo tutti questi dati negativi, un esempio positivo che è l'Olanda: visti i gravi problemi che avevano avuto nei loro allevamenti, hanno fatto un'importante azione per il contrasto all'antibiotico-resistenza, sia negli allevamenti sia per la prescrizione sugli umani; negli ultimi cinque anni hanno ridotto del 70 per cento l'uso del consumo di antibiotico veterinario e questo fa sì che l'Olanda sia uno dei Paesi in Europa con il più basso consumo giornaliero di antibiotici e questo gli permette di essere, a livello mondiale, il Paese con il più basso indice di antimicrobico-resistenza. Questo dimostra che quello dei batteri multiresistenti è un problema gravissimo, ma che se lo si vuole affrontare c’è la possibilità di risolverlo.
  Ora, volevo indicare quali sono i principali impegni della nostra mozione, intanto per quanto riguarda gli ospedali. Come ho detto prima, è chiaro che gli ospedali sono spesso uno dei luoghi principali per le infezioni batteriche e, spesso, per le infezioni di batteri resistenti.
  Allora è fondamentale un uso appropriato degli antibiotici negli ospedali e, quindi, è importante che ci sia un servizio di microbiologia permanente che affianchi Pag. 20l'azione dei medici all'interno degli ospedali, in modo che si possa fare immediatamente un antibiogramma quando si sospetta un'infezione batterica e in modo che si possa trattare immediatamente l'infezione con l'antibiotico specifico per quel tipo di batterio. Riteniamo importante una campagna informativa verso i cittadini per i rischi collegati all'uso scorretto degli antibiotici; questo credo che sia molto importante proprio per evitare le autoprescrizioni di cui parlavo prima. Il Ministero della Salute spesso e volentieri fa campagne per incentivare all'uso dei farmaci, come ad esempio i vaccini, molto raramente si ricorda che, a volte, è anche importante spiegare ai cittadini che anche l'abuso dei farmaci è pericoloso. Torniamo a chiedere, ancora una volta, la dose unica del farmaco, il fatto che in farmacia io possa avere le pastiglie, i farmaci adeguati alla terapia che devo fare, quindi 5 o 6 pastiglie se mi servono 5 o 6 pastiglie e non 30, in modo da evitare, appunto, l'automedicazione, l'autocura a casa, magari in maniera impropria, e, soprattutto, chiediamo che per quanto riguarda la medicina veterinaria ci sia un attento controllo dell'uso degli antibiotici, si disincentivino gli sconti di marketing basati su acquisti prezzo-volume, quindi, più antibiotici acquisti e meno li paghi; ancora, riteniamo importante l'adozione della ricetta elettronica per i farmaci veterinari, proprio per controllare come vengono utilizzati, ma soprattutto riteniamo fondamentale prevenire lo sviluppo di condizioni che portino a infezioni all'interno degli allevamenti e, quindi, la necessità di questo abuso degli antibiotici. Quindi, chiediamo che ci siano più controlli negli allevamenti per le condizioni igieniche e le condizioni del benessere degli animali e che siano incentivati gli allevamenti di tipo non intensivo, ma estensivo e gli allevamenti biologici che garantiscono migliori condizioni di vita degli animali, migliori condizioni di benessere e, quindi, riducono la possibilità che ci sia un'infezione all'interno degli allevamenti e, quindi, di conseguenza, la necessità dell'uso degli antibiotici. Ora, ho fatto un veloce excursus su quella che è la condizione, ma questo è un problema impellente, gravissimo. Quindi, spero che al di là di accogliere gli impegni della nostra mozione e delle mozioni dei colleghi – alcuni dei quali condivido, altri no, poi avremo modo di dire quali in dichiarazioni di voto – spero che il Governo e il Ministero della salute, però, si vogliano muovere in fretta perché siamo di fronte a un rischio molto grave, un lento tsunami, come lo ha indicato qualche ricercatore, che però si può fermare se ci muoveremo in fretta.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata D'Incecco, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01475. Ne ha facoltà.

  VITTORIA D'INCECCO. Grazie, Presidente. È straordinario, Presidente, vedere come quando si parla di salute, quando si parla di problemi seri, le idee si riconfrontano e molto è stato già detto nell'illustrazione che mi ha preceduto, però tante cose, tanto è il peso di questo tema, bisogna ribadire. Si tratta di 25.000 morti, ogni anno, in Europa e negli Stati Uniti, per infezioni da germi resistenti agli antibiotici. Ecco perché c’è l'emergenza. Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito a un drammatico aumento di batteri patogeni resistenti a più agenti antibatterici e i batteri multiresistenti sono attualmente considerati come una malattia globale, emergente e un importante problema di salute pubblica, appunto. L'esposizione ad agenti antibatterici determina la pressione selettiva necessaria per la crescita e la diffusione di agenti patogeni resistenti; pertanto, l'aumento dei tassi di resistenza deriva, in ultima analisi, dall'abuso e dall'uso improprio di agenti antibatterici, sia quando vengono utilizzati nell'uomo, che quando sono usati su animali da allevamento o rilasciati nell'ambiente.
  Questo non è più un problema medico, signora Presidente, signora sottosegretario, la resistenza antimicrobica è diventata una minaccia per la salute globale, che richiede l'azione coordinata di molti soggetti diversi per affrontare la resistenza agli antibiotici alla sua radice. Dobbiamo intervenire Pag. 21su tre contesti di utilizzo degli antibiotici per poter pensare di ridurre e controllare la resistenza degli antibatterici, l'utilizzo di questi farmaci negli animali e nella catena alimentare per prima, nell'ambiente e nella comunità al secondo posto, e al terzo posto nel contesto sanitario.
  Gli interventi per limitare la presenza e la diffusione di batteri resistenti nel contesto degli animali possono comprendere i seguenti passi: vietare l'uso di antibiotici come promotori della crescita animale, limitare l'utilizzo per applicazioni non terapeutiche, ridurre la diffusione di batteri attraverso la catena alimentare migliorando la biosicurezza agricola e lo sviluppo di strategie di trattamento alternative e aumentando le condizioni e le pratiche igieniche lungo la catena alimentare, lo sviluppo di programmi di formazione principalmente diretti a veterinari e allevatori sulla manipolazione degli alimenti e sui sistemi di sorveglianza, e in ultimo la sorveglianza sulla resistenza agli antibiotici utilizzati negli esseri umani e negli animali.
  L'Autorità europea per la sicurezza alimentare sta giocando un ruolo fondamentale nell'individuazione dei rischi emergenti nella zona di batteri nel settore alimentare e diverse proposte sono state fatte per l'armonizzazione di monitoraggio-reporting di batteri resistenti. Gli antibiotici che sono diventati fondamentali per la salute umana devono essere chiaramente identificati e il loro uso limitato agli esseri umani, solo al fine di evitare la cross resistenza. A questo proposito, l'Organizzazione mondiale della sanità ha stabilito un elenco di agenti antimicrobici essenziali per uso umano da evitare negli interventi non umani. La conformità con le raccomandazioni dell'Organizzazione mondiale della sanità, tuttavia, e questo mi dispiace, non è né obbligatoria né regolamentata.
  Il compito del Centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie è fondamentale per identificare, valutare e comunicare minacce emergenti per la salute umana con la resistenza antimicrobica. L'abuso di antibiotici ha contribuito ad accelerare lo sviluppo della resistenza agli antibiotici e in questo senso la medicina umana ha svolto un ruolo chiave per una inappropriata prescrizione, talvolta, come si diceva, causata da linee guida obsolete o pressioni farmaceutiche, esagerata disponibilità di antibiotici o/e per automedicazione, e questi comportamenti riflettono una generale mancanza di consapevolezza sulla minaccia globale che la resistenza agli antibiotici rappresenta per la nostra società. I programmi educativi per l'uso razionale degli antibiotici rivolti ai medici di base, agli informatori farmaceutici e alla comunità in generale devono essere diffusi per alleggerire la richiesta esagerata dei pazienti sui medici e ridurre il consumo di antibiotici.
  Ma guardiamo l'ambiente: l'uso eccessivo di agenti antimicrobici per trattare gli esseri umani e gli animali ha anche causato l'accumulo di questi composti nell'ambiente e l'impatto di tale accumulo sulla comparsa di resistenza agli antibiotici, purtroppo, non deve essere sottovalutato. Agenti antibatterici hanno diverse vie d'ingresso nell'ambiente: attraverso gli impianti fognari che derivano da abitazioni civili o ospedali, o attraverso letame, che deriva da allevamenti animali e che possono inquinare le acque. L'accumulo di agenti antibatterici nell'ambiente seleziona microrganismi resistenti trasformando l'ambiente in un serbatoio enorme di geni resistenti agli antibiotici. Impianti di trattamento delle acque reflue sono diventati un punto caldo per il trasferimento igienico orizzontale e la selezione di determinanti genetici che forniscono la resistenza agli antibiotici, oltre al contatto dei germi ambientali con sostanze inquinanti, metalli pesanti, pesticidi, disinfettanti o detergenti.
  L'attuale normativa sulla qualità dell'acqua si concentra principalmente sulla presenza di indicatori di microrganismi, ma non affronta le concentrazioni di antibiotici di fognature e impianti di depurazione. Le strategie per mitigare i rischi di esposizione ambientale dovrebbero essere finalizzate a migliorare i sistemi industriali Pag. 22per servizi igienico-sanitari e la decontaminazione delle acque di depurazione dell'ospedale.
  Guardiamo anche gli aspetti sanitari: la concomitanza di un elevato consumo di antibiotici, i pazienti in condizioni critiche e un afflusso permanente di specie patogene all'interno del contesto sanitario alimenta lo sviluppo di resistenza e offre uno scenario ideale per la diffusione, appunto, di microrganismi resistenti e trasferimento orizzontale di geni di resistenza.
  La gestione dei microrganismi antibiotico resistenti nelle strutture sanitarie è, quindi, una questione chiave. Il grado di resistenza agli antibiotici in queste strutture dipende da fattori intrinseci legati ai particolari comportamenti di ogni centro, e da fattori esterni come l'afflusso di agenti patogeni resistenti che hanno origine nella comunità. Differenze intrinseche nei tassi di resistenza tra gli ospedali possono derivare da molte variabili, quali l'uso di stanze di degenza per singolo malato verso stanze che accolgono più ricoverati, il comportamento igienico del personale, la gestione degli antibiotici, la pulizia ambientale, l'adesione ai programmi di igiene delle mani e il controllo delle infezioni.
  Per ridurre al minimo le conseguenze indesiderate dell'uso di antibiotici, l'attuazione di programmi di gestione degli antimicrobici dovrebbe essere obbligatoria. Possono essere prese le seguenti misure per prevenire l'insorgere e la diffusione della resistenza agli antibiotici in tutto il mondo e, quindi, i vari impegni che noi chiediamo al Governo: l'uso razionale degli antibiotici in medicina umana e veterinaria, l'attuazione di misure di controllo delle infezioni nelle strutture sanitarie, lo sviluppo di strategie per ridurre i rischi di esposizione ambientale, lo sviluppo di test diagnostici rapidi, promozione della ricerca e sorveglianza sulla prevenzione della resistenza antibatterica, la promozione della ricerca e sviluppo di nuovi antimicrobici e antibatterici, e il miglioramento generale della consapevolezza che l'uso di antibiotici è legato al rischio di aumentare la resistenza, nonché la promozione delle vaccinazioni per evitare altre infezioni.
  Su tutti i predetti punti chiedo l'attenzione del Governo, soprattutto per accelerare le procedure per la redazione del Piano nazionale contro l'antibioticoresistenza e per l'obbligatorietà della ricetta elettronica del farmaco veterinario. Le misure proposte richiederanno un'azione concertata di tutte le parti interessate, non solo del Governo, non solo dei responsabili politici, ma anche delle autorità pubbliche sanitarie, delle agenzie di regolamentazione, delle aziende farmaceutiche, della comunità scientifica in generale. Soprattutto sarà necessario realizzare modifiche normative e prevedere investimenti economici, ma il trattamento di pazienti con infezione da patogeni resistenti ai farmaci, signora sottosegretario, è molto costoso, a causa di tempi di ospedalizzazione più lunghi e l'uso di farmaci più costosi, per cui, come abbiamo detto, questa è un'emergenza e credo che non si possa più aspettare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Rocco Palese, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01477. Ne ha facoltà.

  ROCCO PALESE. Grazie, signora Presidente. Non c’è dubbio che, così come i colleghi che mi hanno preceduto nell'illustrare, le mozioni sottoscritte centrano – nella discussione di quest'Aula e in riferimento anche alle iniziative da assumere da parte del Parlamento e del Governo – un problema molto serio, ossia quello, così come è stato ricordato, della resistenza agli antibiotici e dell'antibioticoterapia in particolare.
  La situazione è diventata veramente di grande allarme e questo è dimostrato dall'Organizzazione mondiale della sanità, ma anche da tanti ricercatori, non solo internazionali, così come è stato richiamato, ma anche da tantissime situazioni che si sono venute a creare nel nostro Paese. Ormai, l'uso anomalo che c’è stato Pag. 23è, spesso e ben volentieri, improprio e, purtroppo, nel nostro Paese continua su due canali: uno, per quello che riguarda l'utilizzazione nelle infezioni umane, cioè sull'uomo, e l'altro anche in riferimento all'abuso di massa, così come è stato ricordato poco fa, che se ne fa nel contesto degli allevamenti animali, per uso animale.
  Quindi, era inevitabile che ci fosse un effetto negativo, che è quello della resistenza. Noi siamo in presenza di una crescita enorme di infezioni, soprattutto a livello polmonare, fortemente resistenti. E questi effetti noi li troviamo continuamente, soprattutto in ambito ospedaliero – c’è stata anche una mozione oggetto della valutazione del Parlamento non molto tempo fa –, dove sono sempre più frequenti le resistenze. Anche qui, ci sono due aspetti: uno riguarda i reparti di rianimazione, di terapia intensiva, e l'altro riguarda le componenti di pazienti estremamente defedati.
  Davanti ad una situazione estremamente allarmante, per cui si deve trovare la strada di un comportamento diverso, per correre ai ripari, poi, vedremo anche alcune iniziative che riguardano sia la parte dell'utilizzo e la parte del controllo, sia la parte che dovrebbe riguardare un investimento serio nel contesto della ricerca. Infatti, uno dei motivi per cui esiste la situazione della resistenza è dato anche dal fatto che, dal punto di vista scientifico, innovazioni nel contesto della produzione degli antibiotici, negli ultimi tempi, non se ne riscontrano. Infatti, negli anni, rispetto alla situazione dell'utilizzazione, c’è stato anche questo, cioè una innovazione continua che ha consentito, nel contesto delle cefalosporine, nel contesto dei fluorochinoloni, dei macrolidi e delle penicilline e quant'altro, di avere varie possibilità, varie situazioni che davano la possibilità di un intervento fortissimo.
  Quindi, è stato evidenziato – lo ribadisco – che ormai siamo a resistenze non più dominabili, non più vincibili e c’è il rischio che se la situazione dovesse continuare a perpetrarsi, si possa tornare esattamente all'epoca precedente la scoperta della penicillina, quindi all'epoca ante Fleming, quando c'era una grandissima quantità di persone che davanti ad infezioni normalissime, davanti ad infezioni resistenti o quant'altro, decedeva.
  Che cosa noi, oggi, chiediamo, come intervento, come impegno, al Governo ? Sicuramente, in un contesto di diminuzione del consumo degli antibiotici, sia in ambito ospedaliero che domestico, di valutare anche l'adozione di strumenti normativi per dare piena attuazione al Documento strategico globale dell'Organizzazione mondiale della sanità; l'opportunità di rafforzare l'attuale sistema anche di farmacovigilanza; di predisporre una campagna di informazione istituzionale per spiegare agli utenti tutti che è importante non assumere antibiotici in maniera impropria; ad assumere iniziative per la definizione delle nuove linee-guida per i protocolli clinici per medici riguardanti l'appropriatezza e il corretto utilizzo; a promuovere, poi, per quanto di competenza, anche un confezionamento di farmaci, perché anche nel contesto delle confezioni è opportuno adeguare le confezioni a quello che è stato fatto anche negli altri Paesi; poi, soprattutto nella situazione degli allevamenti degli animali, cercare di avere un maggior controllo per diminuirne l'uso.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Binetti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01480. Ne ha facoltà.

  PAOLA BINETTI. Presidente, illustre membro del Governo, colleghi, penso che la convergenza delle osservazioni fatte tra tutti i colleghi ci dia la misura di trovarci davanti ad un problema vero, un problema che tocca la sanità nella sua profondità. Una delle più grandi vittorie a cui abbiamo assistito subito dopo la Seconda guerra mondiale con l'era degli antibiotici è stata l'abbattimento profondissimo di quella che era la mortalità per infezioni di tipo prevalentemente broncopolmonare. Ma quella che è stata una grande vittoria, che poi ha permesso anche di portare avanti linee di sviluppo interessantissime – penso, per esempio, a tutta la capacità di Pag. 24contrastare le infezioni nei malati trapiantati oppure nei malati soggetti ad altri tipi di patologie gravi, oggi corre il rischio di venire capovolta dal fatto che ci troviamo davanti a quello che l'OMS ha chiamato il «superbug», cioè questi microrganismi che non riusciamo più a contrastare. Perché di questo, in fondo, si tratta con l'antibioticoresistenza: è l'idea di avere davanti un nemico che, in qualche modo, ci trova senza armi adeguate per poterlo combattere.
  Le cause sono state dette con molta chiarezza dai colleghi: sono cause che, in gran parte, dipendono da un cattivo uso degli antibiotici, cioè da un uso improprio, dall'inappropriatezza con cui sono stati maneggiati, vuoi in ambiente strettamente professionale, vuoi anche, invece, in quello che è l'ambiente familiare, laddove sta prevalendo la forma di automedicazione. Come dire che, in un caso, ci troviamo davanti ad un uso che ha generato, poi, proprio nelle stesse strutture ospedaliere, quelle infezioni gravissime: tant’è vero che noi parliamo di ICA, di infezioni correlate all'assistenza, che costituiscono oggi una spina nel fianco, molto forte, anche dal punto di vista della medicina difensiva, perché rappresentano una delle cause di rimborso che, con maggiore frequenza, vengono poste alle istituzioni e, quindi, costituiscono un costo aggiuntivo rilevante.
  Ma non è soltanto l'aspetto economico, da questo punto di vista, che ci preoccupa, quanto il fatto che le infezioni contratte in ospedale, poi, diventano tra le più difficili da debellare e questo rappresenta un elemento di criticità nella formazione dei medici e nella formazione dei professionisti. D'altra parte, c’è stata tutta questa – diciamo tra virgolette – grossa campagna contro quello che è il paternalismo medico, quindi contro quello che è necessariamente un invito al paziente ad assumere in prima persona la responsabilità della propria salute: elemento del tutto positivo, ma che non può implicare necessariamente l'autonomia nell'assunzione dei farmaci correlati, perché non ne possiede né le conoscenze né le competenze.
  A tutto questo, come si è detto, si somma l'altro fattore, che è quello della presenza degli antibiotici utilizzati a dosi massicce anche negli allevamenti per animali e che tocca non soltanto gli animali che noi mangiamo, la carne che noi mangiamo, ma tocca anche, poi, una sorta – chiamiamolo così – di inquinamento domestico e familiare.
  A questi due fattori va sommato un terzo fattore che mi interessa segnalare in questo momento e che risale praticamente agli anni Ottanta, alle ultime scoperte nel campo degli antibiotici: l'ultimo antibiotico messo in commercio risale al 2012. Perché noi non disponiamo di una linea di ricerca forte nei confronti degli antibiotici, mentre, viceversa, è stata ampiamente potenziata tutta la linea di ricerca che riguarda i farmaci oncologici, cioè tutti i farmaci che individuano come nemico da battere, potremmo dire, il cancro ? Quindi, da questo punto di vista, anche nell'ultima legge di bilancio abbiamo fatto un investimento forte e significativo. Probabilmente, perché abbiamo avuto anche noi uno sguardo un po’ superficiale nei confronti di una battaglia che abbiamo considerato vinta.
  Abbiamo considerato la battaglia per le malattie infettive una battaglia che rimaneva racchiusa fra due poli: da un lato, quello dello strumento farmacologico di cui disponevamo e, dall'altro lato, l'altro strumento preventivo, molto forte, di cui noi disponevamo che erano le vaccinazioni. Una volta che abbiamo sospeso le vaccinazioni, nel senso che abbiamo avuto un abbassamento della soglia delle vaccinazioni e abbiamo ridotto la ricerca scientifica nel campo della produzione di nuovi antibiotici, è evidente che noi stessi ci siamo intrappolati, come murati vivi, dentro una situazione difficile da controllare.
  Ora, l'interesse di questa mozione è quello di mandare un segnale forte, che raggiunga contestualmente i medici nella somministrazione e nella prescrizione di antibiotici, che raggiunga costituzionalmente i pazienti per dire «non far da te», gli antibiotici non servono a curare l'influenza; e che raggiunga, però, contestualmente Pag. 25anche i decisori politici per quello che riguarda l'orientamento della ricerca in questo campo di grandissimo interesse per tutti noi.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo.

  DORINA BIANCHI, Sottosegretaria di Stato per i Beni e le attività culturali e il turismo. Grazie, Presidente.
  Naturalmente, interverrà poi il Ministero della Salute, soltanto, però, per dire al collega che sono medico, quindi, qualcosa, anche se rappresento il Mibact, la posso dire. Ringrazio tutti i colleghi, le mozioni, questo è un problema importante: infatti la resistenza agli antibiotici può contribuire al fallimento terapeutico, motivo per cui anche alla giornata del 18 novembre, che è la Giornata europea dell'uso consapevole degli antibiotici, è stata data una grande visibilità.
  Indubbiamente, in Italia, come hanno detto i colleghi, non è in diminuzione tale fenomeno, ma esiste ancora un problema reale dell'antibiotico-resistenza. Vorrei però dire, da parte del Ministero della salute, che oggi il Ministero e le regioni, tramite il sistema ECM, garantiscono l'aggiornamento professionale dei medici, ed è in corso oggi, con un gruppo di lavoro istituito presso il Ministero, la stesura del Piano nazionale per il contrasto all'antibiotico-resistenza, che coprirà il periodo 2017-2020, che sarà volto anche a realizzare la piattaforma nazionale on line sulla resistenza agli antibiotici: nel sito del Ministero ci sarà un'ampia documentazione destinata sia al pubblico sia ai pazienti, ai consumatori, agli allevatori, agli agricoltori e con accessi riservati anche a medici, operatori sanitari, farmacisti e medici veterinari.
  Gli obiettivi strategici saranno, appunto: aumentare il livello di consapevolezza sull'antibiotico-resistenza, rafforzando la comunicazione efficace e l'informazione, e monitorare i livelli di consapevolezza sul rischio dell'antibiotico-resistenza. Il Piano nazionale sulla prevenzione, al macro-obiettivo 9, parla già di antibiotico-resistenza, e della necessità di ridurre la frequenza di infezioni da malattie infettive prioritarie. Ultima cosa che vorrei dire riguarda l'uso corretto dei farmaci negli allevamenti. Segnalo che la fitta rete di controlli ufficiali in materia di distribuzione ed impiego dei medicinali veterinari, ad opera dei servizi veterinari locali e del comando carabinieri per la tutela della salute, ha come obiettivo quello di garantire la tracciabilità e l'uso corretto dei farmaci negli allevamenti. Tali attività rivestono un ruolo fondamentale e vengono assicurate dagli enti locali e regionali. Il Ministero della salute si riserva di intervenire anche domani.

  PRESIDENTE. Grazie, sottosegretaria. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge: S. 1375 – D'iniziativa dei senatori: Pagliari ed altri: Modifica alla legge 20 dicembre 2012, n. 238, per il sostegno e la valorizzazione del Festival Verdi di Parma e Busseto e del Roma Europa Festival (Approvata dal Senato) (A.C. 4113) (ore 13,02).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge, già approvata dal Senato, n. 4113: Modifica alla legge 20 dicembre 2012, n. 238, per il sostegno e la valorizzazione del Festival Verdi di Parma e Busseto e del Roma Europa Festival.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 18 gennaio 2017 (Vedi l'allegato A della seduta del 18 gennaio 2017).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 4113)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che il presidente del gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la VII Commissione (Cultura) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire la relatrice, presidente della Commissione cultura, deputata Flavia Piccoli Nardelli.

  FLAVIA PICCOLI NARDELLI, Relatrice. Signora Presidente, onorevoli colleghi, la Commissione Cultura riferisce sulla proposta di legge n. 4113, già approvata dal Senato il 20 ottobre scorso, volta ad erogare un contributo annuale alle Fondazioni Teatro Regio di Parma e Romaeuropa Arte e Cultura. Il contributo, pari per ciascuna Fondazione a 1 milione di euro, a decorrere dal 2017, mira a sostenere rispettivamente il Festival Verdi di Parma e Busseto e il Roma Europa Festival. Si tratta, come saprete, di due prestigiosi festival nazionali, che rivestono un'importanza non solo artistica e culturale ma civile e sociale per il nostro Paese e per l'Europa tutta. È infatti innegabile che la cultura, nella piena libertà delle forme espressive attraverso le quali si manifesta, svolga una funzione di grande impatto sociale, in grado di dispiegare i più ampi effetti grazie alla sua forza intrinseca.
  Si aggiunga poi l'opportunità di crescita che essa offre a cittadini e territori: ai primi, per la sua capacità di rafforzare il senso identitario e la consapevolezza civica alla base di una comunità; ai secondi, per l'attitudine che le è propria di attivare percorsi virtuosi di sviluppo economico e di complessivo innalzamento del benessere sociale tramite i canali turistici e l'indotto legato a prodotti e servizi a loro volta intimamente connessi alle tradizioni culturali locali. Ecco perché è possibile, non solo auspicare ma reagire con lungimiranza, proprio grazie alla cultura, al crescente rischio di disgregazione identitaria che avvertiamo da tempo nel nostro Paese ma anche in Europa. È una vera battaglia di civiltà, quella che siamo chiamati ad ingaggiare nella promozione e valorizzazione delle attività culturali e delle manifestazioni, che, come i festival oggetto di questa proposta di legge, sono volte a diffonderle e a sostenerle, offendo altresì a giovani talenti concrete opportunità di espressione e di visibilità.
  Tante volte in quest'Aula parliamo di merito e della necessità di adottare misure che attraggano i capaci e meritevoli affinché restino sul territorio nazionale e trovino qui le condizioni per lavorare e produrre, concorrendo così al progresso economico, morale e civile della nostra collettività. La dotazione finanziaria prevista dal Fondo unico per lo spettacolo, insieme ai contributi mirati, tende a dare ulteriore forza a queste due vere eccellenze del panorama nazionale, e a diventare strumento fondamentale perché la cultura trovi terreno fertile per continuare a vivere. Nel merito, il Festival Verdi di Parma e Busseto si articola in una serie di eventi che hanno luogo presso tre sedi: il Teatro Regio di Parma e il Teatro «Giuseppe Verdi» di Busseto, ai quali, dal 2016 e per il prossimo triennio, si affianca anche il Teatro Farnese di Parma. Per completezza di informazione, ricordo che il Festival è nato nella seconda metà degli anni Ottanta, ha avuto luogo fino al 1993, si è interrotto per alcuni anni, ha ripreso la propria attività nel 2001, ed è oggi promosso e organizzato dalla Fondazione Teatro Regio di Parma, le cui iniziative hanno grande e consolidata visibilità, anche per il recente bicentenario che si è celebrato della nascita di Verdi, nel 2013. Infatti, il 2013 è stato dichiarato «anno verdiano», in base alla legge 12 novembre 2012 n. 2006, che, stanziando un contributo straordinario pari a sei milioni e Pag. 27mezzo di euro per interventi culturali legati alla figura del grande maestro, ha richiamato notevole interesse e attenzione internazionale. Quindi, la proposta di legge al nostro esame oggi si pone in una linea di ideale continuità con tali politiche di promozione e di valorizzazione culturale, proponendosi analoghi apprezzabili risultati.
  Quel che mi preme sottolineare è che tra i principali obiettivi di questo Festival vi è la ricerca di giovani talenti. Cuore di questo vivaio, in particolare, è il Teatro «Verdi» di Busseto, con «Verdi Young»: il Festival prosegue infatti la programmazione di spettacoli di laboratorio e di attività educative, dedicando particolare attenzione all'incontro con il pubblico delle famiglie, delle scuole e delle università, così come dell'associazionismo culturale e musicale; e questo è sempre stato uno degli elementi all'attenzione particolare della Commissione cultura.
  Quanto poi a Roma Europa Festival, nato nel 1986, esso è dedicato alla creazione artistica contemporanea. Si tratta, come molti di voi sanno, di un'offerta culturale composita, che spazia fra danza, teatro, musica, cinema, incontri con gli artisti, arti visive e grandi sfide tecnologiche, perché rappresenta davvero un punto di riferimento per la creazione artistica contemporanea e per lo spettacolo dal vivo nella capitale. Nato per iniziativa di Giovanni Pieraccini e di Monique Veaute, e con il sostegno delle ambasciate di Francia e di Spagna, si avvale anche del contributo del Goethe-Institut, del British Council, oltre al comune e alla regione. La Fondazione ha l'obiettivo di intercettare le energie più vive del contemporaneo, per trasformarle in esperienze artistiche innovative capaci di esprimere l'attenzione verso il futuro e di spostare sempre più avanti la frontiera dell'indagine artistica, ma anche di tradursi in nuovi modelli di sviluppo e di gestione dell'impresa culturale.
  Dal 2010, inoltre, il Festival si è arricchito con Digital Life, un progetto espositivo di ricerca che rappresenta il cuore tecnologico del Romaeuropa Festival, puntando, in particolare, sul linguaggio della creatività digitale.
  Quello che a noi preme sottolineare è che il contributo previsto dalla proposta di legge si configura sostanzialmente – come quello già previsto dalla legge n. 238 del 2002 per le quattro fondazioni Rossini Opera Festival, il Festival dei Due Mondi, il Ravenna Manifestazioni, il Festival pucciniano Torre del Lago – come un contributo straordinario, che si aggiungerà ai contributi già erogati alle due fondazioni a valere sul Fondo unico per lo spettacolo. Alla copertura dell'onere si provvede, peraltro, riducendo l'autorizzazione di spesa relativa allo stesso Fondo.
  L'inserimento nella proposta di legge del Festival Verdi assume, quindi, il significato di una riparazione rispetto alla legge del 2002, che avrebbe dovuto ricomprenderlo nel novero dei festival destinatari di contributi speciali. Il Romaeuropa Festival, da parte sua, ha la proiezione internazionale e la vocazione all'eccellenza che motivano, anche in questo caso, la destinazione del contributo. Il mio invito ai colleghi è di votare, pertanto, a favore della proposta di legge in esame per dare un segnale chiaro e inequivocabile di volontà non solo tramite i simboli e le dichiarazioni, ma mediante un sostegno concreto e mirato a sostenere la cultura intesa come generatrice di autentico senso di quelle radici identitarie di cui abbiamo bisogno e come promotrice generosa di linguaggi e valori dei quali oggi, più che mai, l'Italia e l'Europa hanno bisogno. Auspico, quindi, in conclusione, che vi sia la più larga condivisione possibile di tutti i gruppi rappresentati in questa Assemblea.

  PRESIDENTE. Prendo atto che la rappresentante del Governo non intende intervenire ora.
  È iscritta a parlare la deputata Patrizia Maestri. Ne ha facoltà.

  PATRIZIA MAESTRI. Signora Presidente, onorevoli colleghi, quella di cui iniziamo oggi la discussione è una proposta Pag. 28di legge dall'alto valore simbolico per il nostro Paese e, specificatamente, per il territorio da cui provengo. È un provvedimento che conferma l'attenzione che il Parlamento e il Governo hanno dedicato, in questi ultimi anni, all'obiettivo di valorizzare e sostenere l'immenso patrimonio culturale custodito nella provincia italiana, favorendone la diffusione e la conoscenza. Si tratta di un patrimonio materiale, fatto di monumenti, edifici storici e religiosi, beni ambientali di valore testimoniale e paesaggistico impareggiabile, ma fatto anche di quegli elementi immateriali quali la musica, l'arte e la scienza che nei secoli hanno contribuito a rendere grande l'Italia agli occhi del mondo.
  Il 10 ottobre 1813 a Roncole, piccola frazione nei pressi di Busseto, in provincia di Parma, in una umile casa di campagna, oggi monumento nazionale e sede di un museo multimediale, meta ogni anno di tantissimi visitatori dall'Italia e dal mondo, nacque Giuseppe Verdi, fra i più conosciuti, apprezzati ed eseguiti compositori italiani. Tanto è il segno che il «cigno di Busseto» ha lasciato al nostro Paese che non c’è luogo in Italia che non abbia voluto rendergli omaggio: strade, piazze, teatri, accademie, complessi orchestrali e bandistici e persino l'aeroporto cittadino di Parma sono intitolati alla sua memoria. «Se l'Italia divenne una sola nazione lo si deve anche a lui e alla forza del suo linguaggio musicale»: così il compianto Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, in visita a Parma e Busseto, il 27 gennaio 2001, in occasione del centesimo anniversario della morte di Giuseppe Verdi, avvenuta a Milano nel 1901, ricordava l'impegno civile del maestro, che, tutt'uno con la passione e le doti musicali e melodrammatiche, ha contribuito in modo determinante a veicolare nell'Ottocento quelle idee di libertà, indipendenza e amore di patria che hanno condotto all'unità nazionale.
  Dalla musica all'impegno civile, alla politica Giuseppe Verdi ha, prima di noi, servito la nazione in Parlamento. Venne eletto al ballottaggio, il 3 febbraio 1861, deputato nel collegio di Borgo San Donnino, attuale Fidenza, vivendo da protagonista la transizione dal Regno di Sardegna al Regno d'Italia. Nel 1874 fu nominato componente del Senato.
  La proposta di legge in esame, già approvata dal Senato, riprende i contenuti di un analogo testo depositato a mia prima firma e sottoscritto da 23 deputati di diversi gruppi e dispone, all'articolo 1, a decorrere dal 2017, l'assegnazione di un contributo pari a un milione di euro a favore della Fondazione Teatro Regio di Parma per la realizzazione del Festival Verdi di Parma e Busseto. Il Festival nasce a Parma nella seconda metà degli anni Ottanta ed ha avuto luogo fino al 1993 per poi essere reintrodotto nel 2001 in occasione delle celebrazioni nazionali del centenario verdiano; comprende rappresentazioni liriche, concerti sinfonici, lirico-corali, cameristici, iniziative e attività di ricerca e formazione, che coinvolgono numerose istituzioni pubbliche e private, tra le quali l'Istituto nazionale di studi verdiani. Inoltre, con Verdi Young, il Festival prosegue la programmazione di spettacoli, laboratori e attività educative, dedicando grande attenzione all'incontro con il pubblico delle famiglie, delle scuole, delle università, così come con l'associazionismo culturale e musicale.
  L'attività legislativa che ci apprestiamo a completare con l'approvazione di questo provvedimento non ha inizio da oggi. Voglio fare un ringraziamento doveroso al Ministro Franceschini, alla presidente della Commissione Piccoli Nardelli e voglio, qui, affiancare, ricordando con stima e riconoscenza, il lavoro svolto nella XVI legislatura dalla deputata Carmen Motta e dalla senatrice Albertina Soliani, che, prima di me, del collega Giuseppe Romanini e, al Senato, del senatore Giorgio Pagliari, hanno avuto la sensibilità di rappresentare Parma e il territorio parmense in queste Aule parlamentari. È grazie a loro se è stata approvata la legge 26 novembre 2012, n. 206, sul bicentenario verdiano, che già allora segnava la traccia per un sostegno statale straordinario, ma costante nel tempo, al Festival Verdi e Pag. 29riconosceva l'indubbio valore nazionale della figura musicale e storica di Giuseppe Verdi.
  Alla Fondazione Rossini Opera Festival, alla Fondazione Festival dei Due Mondi, alla Fondazione Ravenna Manifestazioni e alla Fondazione Festival pucciniano Torre del Lago, già sostenute e valorizzate dalla legge 20 dicembre 2012, n. 238, affianchiamo oggi la Fondazione Teatro Regio di Parma per la realizzazione del Festival Verdi di Parma e Busseto e la Fondazione Romaeuropa Arte e Cultura per la realizzazione del Romaeuropa Festival, completando, in questo modo, un quadro di manifestazioni culturali di assoluto prestigio nazionale e internazionale, al quale auspico potranno aggiungersi, nei prossimi anni, altre iniziative e istituzioni culturali.
  Concludo, signora Presidente, ricordando all'Aula le parole di Tommaso Villa, Presidente della Camera, intervenuto per commemorare Giuseppe Verdi il 28 gennaio 1901, il giorno seguente la sua morte. In quelle parole, solenni per il tempo e per la circostanza, ho trovato il senso dell'importante traccia culturale e patriottica che, con la sua opera, Verdi ha lasciato al nostro Paese e al mondo, quella stessa opera che con questa proposta di legge ci prendiamo l'impegno di sostenere e valorizzare, rendendo omaggio al grande maestro di Busseto. ”Non in Italia soltanto, ma in tutto il mondo civile, ma dappertutto dove la divina favella dell'arte non giunge incompresa, dappertutto dove vi è gente che pensa, che ama, che prega, che sente la vita rallegrata da qualche alito di idealità, il nome di Giuseppe Verdi è salutato con unanime, affettuoso compianto. Per noi italiani scompare, con Giuseppe Verdi, una delle più alte espressioni del genio nazionale, la nostra gloria più fulgida, più pura, più benedetta. È a lui, al magico suo magistero, che da oltre mezzo secolo noi dobbiamo le più squisite compiacenze del cuore, del quale egli ha saputo suscitare le recondite energie, esplorare le più intime fibre, eccitare i più delicati sentimenti e, sollevandolo a sempre nuove ed elette sensazioni, appassionarci e suscitare i nostri entusiasmi, farci piangere, rivelarci il tesoro di sublimi conforti e di migliore speranza. È per lui e nelle opere di lui che il popolo italiano vede, per così dire, riflessa la sua immagine.
  Giuseppe Verdi sollevò l'arte sua alla potenza di un apostolato. Il popolo lo comprese e il nome di Verdi divenne l'espressione fedele di un sentimento comune, la manifestazione di una volontà concorde, un'arma, una divisa. Egli scrive perciò il suo nome sulle mura delle vie e delle piazze, lo pronunzia come una parola d'ordine che esce dal cuore del Paese e il Paese lo acclama per ogni dove, lo lancia come una sfida in viso ai suoi oppressori, in nome del popolo italiano che lo ebbe a suo rappresentante nell'Assemblea del Governo provvisorio di Parma, che lo designò a suo deputato nella Legislatura VIII e che ha trovato in Giuseppe Verdi la più fedele espressione dell'animo suo. In nome vostro, onorevoli colleghi, porgo alla salma lacrimata il mesto tributo della gratitudine (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Simone Valente. Ne ha facoltà.

  SIMONE VALENTE. Grazie, Presidente. Oggi esaminiamo la proposta di legge in oggetto che arriva in Aula ed è composta di tre articoli in una sola pagina, ed è un testo che è passato abbastanza velocemente sia dalla Camera sia dal Senato. Abbiamo fatto poche sedute di Commissione per esaminare la proposta di legge in questione. Farò alcune annotazioni non tanto nel merito perché, voglio dire, stiamo parlando del Festival Verdi di Parma e Busseto, del festival Romaeuropa Festival: insomma non c’è assolutamente da obiettare sull'importanza e la caratura anche internazionale di questi festival come ce ne sono moltissimi altri in Italia. Infatti una legge precedente del 2012 istituiva proprio un finanziamento ad altri festival. Noi aggiungiamo questi due festival a quelli già finanziati in precedenza. Quindi sul merito nulla da dire, nulla da Pag. 30discutere. Tuttavia ancora una volta in quest'Aula vorrei esprimere alcune osservazioni di metodo: perché se quest'Aula, se le Commissioni permanenti, nel caso specifico la Commissione cultura, si dovessero trovare ogni volta ad esaminare un finanziamento ad una singola fondazione, una singola associazione, un singolo istituto culturale solo perché c’è un deputato interessato alla materia, che porta avanti la materia o un gruppo di deputati che porta avanti la legge, allora noi ci troveremo ogni giorno, considerate le migliaia di associazioni, fondazioni, istituti culturali presenti in Italia, a discutere di un testo di legge diverso. Così facendo andremo a intasare sistematicamente le Commissioni permanenti e l'Aula con queste leggi. Qual è la proposta che ormai ho presentato in Commissione ? L'ho fatta ormai da anni, l'ho già fatta in passato, peraltro proprio nell'ultima seduta in Commissione permanente il sottosegretario si è associato alla mia richiesta: è quella di avere una visione globale a livello nazionale, stabilire criteri con cui andare ad erogare in generale a tutti gli istituti culturali e gli enti culturali compresi anche questi importantissimi festival, fare una valutazione con gli esperti del settore perché solo loro potrebbero dirci effettivamente quali di essi possono attingere da queste erogazioni statali e quali no. In questo modo si creerebbero criteri e una visione più globale che permetterebbero di concedere finanziamenti a chi se li merita e non semplicemente a chi ha un vantaggio solo perché ha un esponente politico in Parlamento. Questo è di fondamentale importanza: lo dico perché proprio in Commissione cultura, dopo tanta discussione, è stato presentato dal Partito Democratico un emendamento – lo posso anche citare: il numero 1.3 – in cui si chiedeva di finanziare Umbria Jazz, un festival importantissimo. Peraltro mi rivolgo alla Presidenza perché proprio la Presidente Sereni ha depositato una proposta di legge che va a finanziare questo festival e quindi ricalca l'emendamento presentato in Commissione. Ciò dimostra tuttavia che non c’è stata una valutazione complessiva bensì si è chiesto di aggiungere a quelli già finanziati anche questo festival, e ogni volta ci troviamo in questa situazione che è la stessa che viviamo sistematicamente durante la legge di bilancio – durante la legge di stabilità in passato – in cui si vanno a finanziare a pioggia singole associazioni, singole fondazioni. A volte vengono fatte vere e proprie marchette solo perché c’è il singolo deputato di turno che porta avanti quell'emendamento.
  È una questione ovviamente anche di territorialità perché ognuno di noi parlamentari ha interesse a portare un'istanza del proprio territorio all'interno del Parlamento, una richiesta che viene dal territorio ed è giustissimo che sia così. Però bisognerebbe in realtà anteporre l'interesse collettivo nazionale e quindi capire che, se l'esigenza è effettiva, io la posso portare ma deve andare a inserirsi in un sistema di erogazione dei fondi statali che ha criteri ben definiti. A me farebbe molto piacere finanziare moltissimi festival e fondazioni della mia regione, la Liguria, e a volte ho anche sollevato alcune questioni al Governo su questo. Però parto sempre dal principio che bisognerebbe avere una visione globale e quindi stabilire criteri precisi. Lo vediamo ogni volta in legge di bilancio, lo vediamo ogni volta quando il Ministero ci chiede un parere in qualità di Commissione cultura sulle tabelle che vanno ad erogare proprio questi fondi, e ogni volta noi chiediamo i criteri che sono stati usati per erogare questi fondi e ogni volta si fa fatica a rispondere, il Governo fa fatica a rispondere e a dare giustificazioni. È già successo in passato che quest'Aula approvasse un testo di legge in cui si andava a finanziare una singola fondazione con un finanziamento peraltro una tantum: già allora avevamo denunciato questa situazione e siamo ancora una volta a ribadire che è una questione di metodo; siamo consapevoli che ci pioveranno addosso molte molte critiche perché sicuramente è un sistema che tende a strumentalizzare tali finanziamenti. Tuttavia per noi è più importante portare avanti principi che devono modificare l'atteggiamento della politica che ormai da venti-trent'anni Pag. 31si adotta in quest'Aula. È proprio questo il punto: modificare l'atteggiamento di ognuno di noi, di ogni singolo collega parlamentare che deve capire che non deve fare i propri interessi, ma deve fare gli interessi di tutta la nazione e i fondi pubblici, dei cittadini, devono essere erogati con criteri selettivi precisi e con una valutazione di esperti del settore (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Lorenza Bonaccorsi. Ne ha facoltà.

  LORENZA BONACCORSI. Grazie, Presidente. Volevo anch'io ovviamente spendere parole importanti rispetto alla proposta di legge che è finalizzata, come abbiamo ascoltato dai precedenti interventi, all'erogazione di un contributo annuale sia alla Fondazione Teatro Regio di Parma che alla Fondazione Romaeuropa di Roma. Tuttavia volevo soffermarmi un attimo sulle parole del collega dei 5 Stelle che ho appena ascoltato perché, prima di entrare nel merito di quello che intendevo dire rispetto alla Fondazione Romaeuropa Festival, che conosco meglio e che ho frequentato negli anni da spettatore, da utente, volevo dire che, quando si dice che sul merito non c’è nulla da discutere ma sul metodo sì, è secondo me un modo un po’ così, non chiaro di dire che non va bene una disposizione. Credo che da questo punto di vista oggi noi stiamo intervenendo sul merito e sul valore dei due festival che stiamo andando a finanziare. Ricordo anche comunque che esiste un meccanismo in questo Paese che si chiama FUS, che finanzia con il Fondo unico dello spettacolo tutte le manifestazioni che hanno bisogno di essere finanziate per riuscire ogni giorno a portare avanti la funzione culturale fondamentale del nostro Paese.
  Ora, se dobbiamo dire che siamo d'accordo sul merito e non sul metodo, solo per riuscire a pronunciare la parola «marchetta», non credo che si renda merito al valore vero – al valore vero ! – di quello che stiamo facendo, anche ricordando l'emendamento presentato dal Partito democratico su Umbria Jazz e poi ritirato, appunto, con l'impegno di andare a fare una discussione seria sulla importanza fondamentale della rassegna di Umbria Jazz, che – come sapete – è una rassegna fondamentale, che ha portato in questi anni la musica jazz in Umbria a un pubblico sempre maggiore e che addirittura si replica d'inverno, tenendosi a Orvieto, con degli spettacoli altrettanto importanti.
  Allora, entriamo proprio nel merito – nel merito ! – di quello di cui stiamo parlando e per questo ci tengo a raccontare che cos’è, che cos’è stato, il Romaeuropa Festival e quello che vorremmo che sarà il Romaeuropa Festival, che è nato, come ricordava la presidente, nel 1986 all'Accademia di Francia di Roma (Villa Medici) con il nome di Festival Villa Medici, su iniziativa – e questo ci tengo a ricordarlo – di Jean-Marie Drot, di Giovanni Pieraccini e di Monique Veaute. La sua missione era proprio il sostegno e la promozione della creazione artistica contemporanea, attraverso le differenti forme con le quali si presenta: la musica, la danza, lo spettacolo dal vivo e l'arte contemporanea. È sostenuta dalle Ambasciate di Francia e di Spagna, dal Goethe Institut, dal British Council e questo racconta l'importanza della contaminazione con tutte le culture degli altri Paesi.
  La Fondazione Romaeuropa Festival poi diventa Romaeuropa Festival nel 1990 e dal 1996 svolge l'attività di promozione della danza e dal 2003, per dieci anni, ha anche curato la programmazione del teatro Palladium di Roma, ed è stata anche quella un'esperienza importantissima per la città e per il Paese. La Fondazione Romaeuropa Arte e Cultura ha ricevuto per il Festival l'alto patronato della Presidenza della Repubblica italiana e, per la trentunesima edizione, il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei ministri, del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, di Roma Capitale, della Regione Lazio, Pag. 32della Camera di Commercio, della Fondazione Terzo pilastro Italia e Mediterraneo. Nel 2009 Federculture ha premiato la Fondazione con il premio speciale per la cooperazione pubblico-privato – perché questo è un altro aspetto molto importante da sottolineare della natura e dell'attività della Fondazione – e per l'ideazione di nuove modalità di finanziamento, basate sul rapporto pubblico-privato e sul coinvolgimento importantissimo del settore no profit. Il Romaeuropa Festival è membro delle reti europee più importanti, l'EFA, il Theatron, Aerowaves, the Little Project, e collabora con i maggiori festival europei, uno su tutti è quello di Avignone.
  Nei suoi trent'anni di programmazione ha ospitato i maggiori rappresentanti della musica del nostro tempo: il teatro musicale di avanguardia, la sperimentazione sonora, la ricerca nella danza, nel teatro e nelle arti visive. Questo lavoro trentennale è stato accuratamente documentato e conservato, dando vita all'archivio della Fondazione Romaeuropa, curato da diversi esperti, che nel 2011 inizia il percorso di riordino del fondo con la Direzione generale per lo spettacolo dal vivo, dell'allora MiBAC, nel 2013 con la Direzione generale per gli archivi MiBAC inizia la seconda fase di implementazione e riordino del fondo che si conclude nel 2014. Come dicevo, appunto, grazie al Festival Romaeuropa abbiamo potuto assistere ai più grandi della musica, dell'arte e delle arti contemporanee. Sono stati portati nella nostra città, nel nostro Paese, artisti del calibro di Bob Wilson, di Peter Brook, di Pierre Boulez, Luciano Berio, William Forsythe, Romeo Castellucci, che altrimenti avrebbero fatto fatica a trovare dei circuiti e presentare i propri spettacoli.
  Un altro merito che ci tengo a sottolineare è quello della creazione di un pubblico che aveva un interesse e un'apertura verso tutta quella parte di arte contemporanea, che, comunque, nella nostra città faceva più fatica a trovare un palcoscenico. Ecco, io credo che sia questo il valore del discutere del merito, perché un pubblico si è formato, è cresciuto e ha apprezzato e continuerà ad apprezzare degli artisti che difficilmente sarebbe riuscito a vedere, a fruire, a godere.
  Poi, molto importanti sono i luoghi della città dove si è svolto il Festival, grazie alle reti di istituzioni che lo sostengono: il Palatino, il Museo nazionale romano, Palazzo Altemps, le Terme di Diocleziano, inizialmente, nelle prime edizioni, l'Auditorium Parco della Musica, con Santa Cecilia, con Musica per Roma, il MACRO, con la Sovrintendenza capitolina, il Teatro Argentina, il Teatro India, con il Teatro di Roma, Villa Medici, con l'Accademia di Francia.
  Tengo in ultimo a ricordare che, fra le attività del Festival, terminato nel dicembre del 2016, c'era la mostra Par tibi di Roma nihil, che si è tenuta al Palatino da giugno a novembre 2016, organizzata con la Soprintendenza speciale per il Colosseo e con l'Area archeologica centrale di Roma e la Nomas Foundation, un progetto davvero – davvero ! – importante e bello, un progetto congiunto che ha portato le arti visive, il teatro, musica e performance nell'area archeologica più importante del mondo, con un percorso espositivo, unico nel suo genere, che venticinque artisti di importanza mondiale hanno proposto attraverso il dialogo delle loro opere e delle loro performance appunto, con i più importanti luoghi dell'area archeologica romana, dalla Domus Severiana, allo stadio di Domiziano, alla Domus Augustana, fino alla Meta Sudans, coinvolgendo così in un linguaggio nuovo le nostre memorie.
  Ci tengo a chiudere il mio intervento, ricordando che questi sono i meriti della Fondazione Romaeuropa Festival. Grazie per l'impegno di tutti quanti e di quest'Aula.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare, pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche – A.C. 4113)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, presidente della Commissione cultura, Flavia Piccoli Nardelli.

Pag. 33

  FLAVIA PICCOLI NARDELLI, Relatrice. Presidente, solo per ringraziare i colleghi che sono intervenuti, portando il loro contributo alla discussione, che è stata, come sempre accade quando si parla di cultura, particolarmente viva e sentita. Grazie, Presidente.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la rappresentante del Governo.

  DORINA BIANCHI, Sottosegretaria di Stato per i Beni e le attività culturali e il turismo. Grazie, Presidente. Volevo ringraziare anch'io la Commissione cultura. Penso che questo disegno di legge serva a valorizzare la nostra cultura artistica e le fondazioni a cui è rivolta attenzione. Naturalmente sono fondazioni di assoluto prestigio internazionale, importanti tra l'altro anche nell'ambito della conoscenza della nostra cultura anche all'estero.
  Io vorrei ricordare l'ultimo accordo che è stato fatto con la Russia che, dal punto di vista del turismo culturale, si rivolge proprio a una collaborazione, a un turismo rivolto alla musica classica lirica.
  Invece, sulla questione che ponevano i 5 Stelle, vorrei ricordare che oggi al Senato è in discussione la legge sullo spettacolo e in occasione di questa discussione saranno affrontati anche, tra i vari punti, i criteri, su cui si dovrà lavorare indubbiamente, per l'accesso ai finanziamenti. Quindi, non sottovalutiamo questo aspetto, ma si sta affrontando e spero che al più presto arriverà anche in questo ramo del Parlamento.

  PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
  Sospendo a questo punto la seduta che riprenderà alle 14,30, per lo svolgimento degli ulteriori argomenti iscritti all'ordine del giorno. La seduta è sospesa.

  La seduta, sospesa alle 13,40, è ripresa alle 14,30.

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione alla ripresa pomeridiana della seduta.
  I deputati in missione sono complessivamente novantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione della mozione Airaudo ed altri n. 1-01451 concernente iniziative in relazione ai quesiti referendari in materia di Jobs Act (ore 14,31).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Airaudo ed altri n. 1-01451 (Nuova formulazione), concernente iniziative in relazione ai quesiti referendari in materia di Jobs Act (Vedi l'allegato A – Mozione).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).
  Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Simonetti ed altri n. 1-01481 e Capezzone altri n. 1-01482 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione (Vedi l'allegato A – Mozioni).

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritto a parlare il deputato Arturo Scotto, che illustrerà anche la mozione Airaudo ed altri n. 1-01451 (Nuova formulazione), di cui è cofirmatario.

  ARTURO SCOTTO. Signora Presidente, signori del Governo, abbiamo depositato questo testo, questa mozione all'indomani della pronuncia da parte della Consulta sui quesiti referendari presentati dalla CGIL. In questo testo sono scritte alcune Pag. 34cose molto chiare, la prima: di fronte a un pronunciamento molto chiaro che due su tre dei quesiti referendari sottoposti alla Corte dovessero essere al centro di un referendum popolare, si chiede al Governo di fissare immediatamente la data, perché non è immaginabile che i giovani che vivono di voucher debbano aspettare le alchimie della politica o i ritardi delle istituzioni. Abbiamo assistito, nel corso degli ultimi due anni, a un'esplosione dei voucher; lo abbiamo detto in tempi non sospetti interrogando l'allora Presidente del Consiglio e dicendo: badate, di fronte a una crescita così inaudita di questo strumento, per colpa delle scelte assunte di liberalizzazione totale del lavoro occasionale, occorre un cambiamento, una svolta; chiedendo l'abolizione dei voucher e dicendo: sostituiamoli con un rapporto di lavoro e con un contratto, perché è chiaro che ci sono tipologie che non possono essere inquadrate nei contratti tradizionali, ma quelle tipologie di lavoro non possono essere trattate come merce vile, come lavoro sottopagato, come forme di sfruttamento che immaginavamo fossero uscite dall'orizzonte dell'Occidente; 150 milioni di voucher venduti lo scorso anno, una cifra abnorme. Eppure, il racconto che ci era stato fatto dal Governo in tutti questi anni era una narrazione, come dire, un po’ falsata: «Il Jobs Act porterà stabilità dopo la lunga stagione di precarietà»; abbiamo visto che non era così, avete investito 15 miliardi di incentivi per le imprese che, in realtà, hanno prodotto risultati abbastanza scadenti, con un contratto a tutele crescenti che è tutt'altro che un contratto a tempo indeterminato. Finito il doping degli incentivi distribuiti a pioggia, il rischio che, anziché un aumento occupazionale, si determinerà un ulteriore allargamento della fascia della disoccupazione è molto probabile. Aggiungo un altro elemento; i risultati dell'abrogazione dell'articolo 18 sono sotto gli occhi di tutti, esplodono i licenziamenti disciplinari, più 27 per cento, numeri impressionanti, e, contemporaneamente, non aumentano i contratti cosiddetti stabili.
  Noi proponiamo che si metta mano, nella seconda parte della mozione, sui tre punti oggetto del referendum promossi dalla CGIL che hanno raccolto 3 milioni e mezzo di firme. L'articolo 18 non sarà sottoposto al referendum, perché la Consulta non lo ha autorizzato. Tuttavia, è evidente che è una materia spinosa, seria, delicata e che, però, meriterebbe una riflessione da parte del Parlamento e un cambiamento molto forte rispetto alle scelte operate da questo Governo. Sui voucher, l'invito sommesso che noi facciamo è quello di evitare maquillage che non sarebbero capiti dai cittadini, così come su tutta la materia degli appalti, estremamente delicata e che riguarda migliaia di lavoratori che hanno visto, anche da questo punto di vista, la propria condizione di lavoro svalutata e ridimensionata. Noi proponiamo un'iniziativa legislativa su questo, per chiudere quella pagina. Il 4 dicembre – con un voto importante che ha visto milioni di cittadini recarsi alle urne e partecipare a un dibattito che ha appassionato il Paese – c’è stato un messaggio molto forte sulla Costituzione, ma c’è stato anche un messaggio molto forte sulla sua attuazione, non semplicemente sulla salvaguardia di un equilibrio istituzionale, di fronte al tentativo di sfondamento plebiscitario messo in campo dal Presidente del Consiglio precedente. L'attuazione della Costituzione significa difendere la Repubblica fondata sul lavoro e non trasformarla in una Repubblica fondata sui voucher e sul lavoro sottopagato, sul lavoro ridotto a una condizione di merce vile, alla moltiplicazione di quelle che il Papa chiama «vite di scarto» e che, però, oggi, sono sostanzialmente la biografia prevalente di tanti giovani laureati, di tanti giovani diplomati, che abbandonano il nostro Paese o che vedono progressivamente la propria condizione arretrare. Io penso che ci sia la possibilità, con questa mozione, di fare un dibattito sereno e produttivo, per introdurre elementi di cambiamento profondi rispetto a una legislazione del lavoro che si è rivelata sbagliata e che ha visto otto giovani su dieci votare «no» e che ha visto tanti Pag. 35lavoratori guardare dall'altra parte rispetto a un campo di sinistra o democratico. Ed è il suggerimento, l'invito che noi facciamo ai colleghi del Partito Democratico, a chi regge questa maggioranza: tornate indietro rispetto a questi errori, non per un puro spirito di conservazione, ma perché ci troviamo di fronte a degli errori che hanno spinto sempre di più una fascia di persone in una condizione di difficoltà e di disperazione.
  Signora Presidente, sto per concludere. Domani la Corte costituzionale si pronuncerà sul ricorso che è stato fatto rispetto alla legge elettorale; vedremo cosa dirà e noi siamo una forza politica, Sinistra Italiana, che non è abituata a commentare o a contestare le sentenze, né prima, né dopo. Tuttavia, viene avanti nel dibattito pubblico, nel dibattito tra le forze politiche, nel dibattito del Paese un interrogativo, ma allo stesso tempo anche una certezza: quei mille giorni del Governo Renzi si sono alla fine rivelati un'esperienza che non ha portato questo Paese verso il progresso, verso la riduzione delle diseguaglianze, verso un allargamento dei diritti e delle opportunità.
  Che cosa resta di questi mille giorni ? Direbbe Charles Trenet, in una canzone molto bella, que reste-t-il, cosa resta ? Resta la riforma costituzionale ? No, è stata bocciata dal 60 per cento degli italiani. Resta la riforma della pubblica amministrazione ? No, è stata bocciata dalla Corte costituzionale. Resta la legislazione sul lavoro ? Mi pare che nessuno si ricordi più del Jobs Act, anche dentro la maggioranza, e si immagina comunque di intervenire sulla legislazione dei voucher. Resta qualcosa nella «Buona scuola» ? Pare che ci siano dei timidi passi verso modifiche. Forse non resterà nemmeno l'Italicum, che dovevano tutti copiarci in Europa. E allora, signora Presidente, signori del Governo, chiediamo una svolta. Con questa mozione chiediamo di intervenire radicalmente e di venire incontro a quella domanda di milioni di lavoratori e di cittadini che hanno firmato i referendum della CGIL e che hanno firmato quella Carta dei diritti che rappresenta una pietra miliare per una nuova legislazione sul lavoro e non, come dire, la riproposizione di quel tentativo di scardinamento che avete fatto con il Jobs Act. E poi, la necessità, da parte di questo Parlamento, di fare un'operazione di verità: l'operazione di verità significa fissare immediatamente la data dei referendum e non aspettare giochi e giochetti.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Rocco Palese, che illustrerà anche la mozione Capezzone n. 1-01482, di cui è cofirmatario.

  ROCCO PALESE. Grazie, signora Presidente. È una mozione che, sostanzialmente, i Conservatori e Riformisti presentano sulle modalità di legislazione del lavoro che erano state apportate, soprattutto rispetto all'indicazione del rapporto giuridico che si instaura. Di recente la Corte costituzionale si è pronunciata rispetto alle proposte, da parte della CGIL, di emendamenti che tendevano non solo all'abrogazione delle modifiche che erano state apportate all'articolo 18, non solo al ripristino integrale dell'articolo 18, ma addirittura ancora a modalità legislative precedenti. La Corte costituzionale, in base agli ultimi orientamenti, soprattutto nel contesto di andare a individuare, rispetto alle proposte di referendum, la loro chiarezza, univocità e omogeneità, ha assunto la decisione di non ammettere al referendum ciò che riguarda l'abrogazione diretta dall'articolo 18.
  La Corte costituzionale, invece, ha dichiarato ammissibile la richiesta di referendum denominato «abrogazione disposizioni sul lavoro accessorio», cioè l'abrogazione delle disposizioni relative ai cosiddetti voucher, che in questi anni hanno consentito al datore di lavoro, per prestazione occasionale di breve e brevissima durata (agricoltura, lavoro domestico, lezioni private, turismo, commercio), di evitare di compiere tutti i complicati adempimenti burocratici previsti per la costituzione di un rapporto di lavoro ordinario, e hanno determinato allo stesso tempo una emersione del lavoro nero, curando Pag. 36maggiore trasparenza e una migliore tutela del lavoratore stesso.
  I voucher, peraltro, erano stati già inseriti, comunque, nella legge n. 30 del 14 febbraio 2003, per quanto non utilizzati. La loro efficacia e validità nel corso degli anni ha comportato una diffusione esponenziale del loro impiego, essendo passati da circa 24 mila lavoratori accessori del 2014 al milione e 300 mila percettori di voucher del 2015.
  È abbastanza singolare, però, che chi ha proposto il referendum, la stessa CGIL, ne ha fatto ampio uso; il comune di Napoli attualmente amministrato dal centrosinistra, pur aderendo ufficialmente con specifica delibera di giunta alla raccolta di firme della CGIL, ne utilizza ampiamente; così come nel comune di Torino, amministrato pro tempore da esponenti del MoVimento 5 Stelle, l'utilizzo è abbastanza diffuso soprattutto in contesto di giovani mediatori culturali.
  Ora, il tema che si pone riguarda sostanzialmente delle modifiche che debbono essere effettuate. In che senso ? Nel senso che il vero problema sulla situazione del lavoro è alla radice: noi, per poter ottenere dei risultati positivi, dovremmo cercare di concentrare veramente gli sforzi. Per questo, la nostra componente chiede al Governo un impegno serio a concentrare sforzi e risorse per ridurre il peso del cuneo fiscale attraverso politiche volte ad allineare il peso del fisco sul lavoro alle medie dell'OCSE, perché da qui nascono tutte le anomalie, tutti gli artifici e anche, spesso e volentieri, le situazioni che si sono venute a creare, probabilmente, in mancanza di una regolamentazione e soprattutto di un controllo più efficace e più presente nel contesto dell'utilizzo dei cosiddetti voucher rispetto alle situazioni di non perfetta regolamentazione e, quindi, di un uso, tutto sommato, tra virgolette, forse, un po’ disinvolto.
  Per questo motivo, chiediamo negli impegni a mettere in atto delle misure adeguate, volte ad accertare e sanzionare eventuali abusi dell'utilizzo dei cosiddetti voucher, anche attraverso una più adeguata attività ispettiva e di controllo, soprattutto in quei casi in cui il loro utilizzo sembra volto a trasformare illegittimamente lavoro regolare in lavoro accessorio, ma preservando, comunque, uno strumento che in questi anni ha, comunque, dato buone prove.
  Per questo motivo, signora Presidente, noi riteniamo che la strada maestra sia quella che il Parlamento possa intervenire, ma, ripeto, la battaglia principale è quella di ridurre il peso del cuneo fiscale e rendere la possibilità a tutti di poter instaurare rapporti giuridici di lavoro, avendo un basso costo dal punto di vista del carico fiscale. In questa maniera, forse, noi riusciremmo a risolvere i tantissimi problemi di occupazione giovanile soprattutto, e soprattutto nel Mezzogiorno, nel contesto del mercato del lavoro e della legislazione del lavoro.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Titti Di Salvo. Ne ha facoltà.

  TITTI DI SALVO. Grazie, Presidente. Avendo ascoltato gli interventi che hanno preceduto il mio, mi sembra importante partire da una prima considerazione, perché, per la verità non solo nel primo intervento, quello dell'onorevole Scotto, ma più in generale anche nella discussione pubblica, si tende a mettere insieme piani che insieme non stanno e a confondere argomenti differenti. Per questo, è importante fissare e determinare il quadro della situazione.
  Intanto, in primo luogo, noi stiamo parlando di referendum ammessi dalla Corte costituzionale recentemente. Nella discussione si tende a ricondurre i referendum, e la discussione ad essa connessa, al Jobs Act. Allora è bene tenere presente il senso del Jobs Act e le ragioni con le quali era stato motivato, la visione, l'approccio: mica per pedanteria o per una necessità formale di precisione, ma per evitare che da un'analisi sbagliata si arrivi a conclusioni sbagliate.
  Il nostro problema, rispetto al mercato del lavoro e ai grandi problemi di disoccupazione giovanile e di lavoro nero, è Pag. 37andare avanti, non è tornare indietro, è andare avanti. Allora non è banale ricordare come, in quel contesto di crisi straordinaria che ha interessato il nostro Paese, che aveva messo al centro, negli anni precedenti alla crisi, la precarietà, invece che la politica industriale, è bene ricordare come la scelta del Jobs Act è stata una scelta di mettere al centro il lavoro a tempo stabile e indeterminato. È questo il senso, poi, della legge delega e dei decreti attuativi che hanno tradotto questa scelta in nuovi ammortizzatori, in una nuova definizione del lavoro a tempo indeterminato, nella scelta di norme per agevolare il valore sociale della maternità, i congedi parentali e la conciliazione, le politiche attive del lavoro. Perché, se si confondono i piani, a nostro avviso e a mio avviso, si confonde anche la strada giusta da affrontare.
  Allora, intanto, dicevamo della Consulta e dei due referendum ammessi: i temi che affrontano sono temi rilevanti. Non è soltanto rilevante la raccolta delle firme, promossa dalla CGIL, né la quantità di firme raccolte, sono importanti i temi. I voucher da un lato e la solidarietà tra appaltante e appaltatore nei confronti dei diritti delle persone, il secondo.
  I voucher: naturalmente i voucher nascono per pagare, per retribuire il lavoro occasionale, per interventi che si sono succeduti, e non nel Jobs Act, che al contrario ha ridotto la platea di applicazione; lo strumento ha avuto non solo un uso distorto o un abuso, ha avuto proprio un altro uso rispetto all'origine e alle motivazioni con le quali era stato introdotto.
  L'esplosione evidentemente abnorme del numero e dell'aumento dei voucher ha allertato prima di tutto – prima ancora che iniziasse il percorso con cui la CGIL ha attivato il referendum – il Partito Democratico (ci sono proposte di legge del Partito Democratico in Commissione lavoro ben precedenti); ha allertato il Governo, che ha stabilito, ben prima del deposito delle firme, alcuni strumenti per andare ad indagare quell'esplosione numerica: da un lato, le ragioni di quell'esplosione, dall'altro, la tracciabilità, già identificata e contenuta in un decreto attuativo di ottobre, per aiutare il monitoraggio, perché – e questo è un punto fondamentale di approccio e di visione – il nostro obiettivo è quello di ricondurre i voucher all'occasionalità con la quale erano stati pensati. Per farlo, il monitoraggio ci serve per aiutarci a fare le scelte migliori per ricondurli a questa definizione, a questo obiettivo.
  È interesse del Partito Democratico ed è indipendente dal quesito referendario. È una nostra scelta e vorrei dire che è esattamente il contrario: se la precarietà rientra dalla finestra e noi abbiamo avuto col Jobs Act farla uscire dalla porta, è evidente che sono due scelte in contraddizione ed è un nostro interesse, è una nostra scelta quella di prendere le misure giuste per risolvere questo tema. Noi non vogliamo la precarietà come centro del mercato del lavoro: vogliamo il lavoro stabile, la decontribuzione: tutte le risorse utilizzate in questi anni per la decontribuzione, ancora oggi, per le assunzioni dei giovani al Sud hanno questo senso.
  Vorrei ricordare a chi faceva prima alcune considerazioni che questo è il metro di misura per valutare il Jobs Act: è il numero di nuovi lavori, di lavori stabili, quei 656 mila lavoratori e lavoratrici stabili in più degli ultimi due anni.
  Secondo punto: anche sugli appalti, anche in questo caso, la normativa non discende dal Jobs Act, ma come si fa a non vedere che c’è un paradosso nella pubblica amministrazione, per cui alla fine di normative che si sono inanellate, la conclusione che può succedere è che proprio nella pubblica amministrazione, per mancanza di solidarietà tra appaltante e appaltatore, alla fine, ci rimettono i lavoratori e le lavoratrici ?
  C’è una terza considerazione sul monitoraggio come modalità di approccio alle scelte: con il Jobs Act abbiamo definito il monitoraggio perché vogliamo capire – volevamo capire e vogliamo capire sempre di più – se gli obiettivi introdotti, nell'impatto concreto, sono stati realizzati o se ci sono state situazioni che hanno, invece, Pag. 38deviato da quell'obiettivo. Nomino a questo proposito anche i licenziamenti: il monitoraggio ci aiuterà ad andare dentro quelle cifre, naturalmente, non nascondendo, come invece si fa quando si parla di questi argomenti, che, per esempio, un aumento dei licenziamenti nasce anche, in parte, dal fatto che non è più possibile l'abuso delle dimissioni in bianco. Ma noi vogliamo vedere dentro quell'aumento, perché non vogliamo che quello sia una nuova frontiera che abbiamo, invece, scelto di superare. Monitoraggio, quindi: è uno strumento delle politiche, vale per il Jobs Act e vale, in questo caso, anche per i voucher.
  Quindi, l'impegno che il Partito Democratico crede sia necessario oggi, in un confronto con le parti sociali, che deve essere un riferimento costante dell'azione di riforme, utile a trovare le soluzioni giuste, e in relazione a proposte di legge del Partito Democratico che già sono depositate, è che si trovino le soluzioni migliori, insisto, non tanto per risolvere i quesiti referendari – il referendum è uno strumento legittimo e democratico, non aggiungo altre parole –, ma perché quell'esplosione di voucher e le cose che dicevo prima sugli appalti rappresentano una situazione di precarietà, di frontiera di precarietà che noi non vogliamo. Soltanto il lavoro stabile è il centro di una possibilità di uscita dalla crisi: lo diceva l'OCSE, lo dice l'esperienza che questo è.
  Naturalmente, nessuno ignora che nuovi posti di lavoro hanno bisogno di nuovi investimenti: questo è il punto. È il punto che la legge di bilancio affronta con «Industria 4.0», per superare quel modello di specializzazione antico, italiano, con i problemi legati alle dimensioni dell'impresa e agli scarsi investimenti in ricerca ed innovazione ed è il punto dello scontro con l'Europa sull’austerity, su che cosa vuol dire fare politiche di crescita.
  Chiudendo, Presidente, io penso che noi abbiamo tutte le condizioni oggi: ci sono le idee, c’è la volontà del Governo, ci sono le proposte di legge del Parlamento, del Partito Democratico, c’è una intenzione proposta con il Jobs Act di centralità del lavoro a tempo stabile. Noi abbiamo tutte le condizioni, oggi, per fare un atto utile alle persone e al Paese, che è quello di fare scelte coerenti per battere la precarietà, particolarmente, individuando anche modalità ulteriori per risolvere i due problemi che abbiamo di fronte, che sono, soprattutto, l'occupazione dei giovani, dei ragazzi e delle ragazze, la stabilità del loro lavoro e la piaga del lavoro nero.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Occhiuto. Ne ha facoltà. Onorevole Palese ... visto che adesso parla un collega della sua parte. Prego.

  ROBERTO OCCHIUTO. Grazie, signora Presidente. Io, a differenza della collega che mi ha preceduto, sono assolutamente convinto del fatto che una discussione, seppure stimolata dal gruppo di Sinistra Italiana in ragione della necessità di valutare ciò che bisogna fare dopo la pronuncia della Corte costituzionale sui referendum, una discussione di questo tipo debba servire anche a fare il punto, seppure incidentalmente, sui risultati del Jobs Act, di questa riforma tanto sbandierata dal Governo precedente, dal precedente Presidente del Consiglio; una riforma del mercato del lavoro che avrebbe dovuto creare maggiore stabilità nei lavoratori, avrebbero dovuto aumentare il numero dei posti di lavoro, aumentare la flessibilità per le imprese. Ebbene, a distanza di qualche mese, ci si rende conto che nessuno di questi obiettivi è stato conseguito.
  Noi abbiamo sempre giudicato questa riforma del mercato del lavoro come un vero e proprio fallimento, un imbroglio dovuto al fatto che si poggiava su una decontribuzione dei contratti di lavoro a tutela crescente e, quindi, in qualche modo, surrettiziamente faceva aumentare una tipologia di contratto perché risultava più conveniente rispetto all'altra.
  Ora tutti quanti se ne sono accorti, i dati dell'INPS sono assolutamente ineludibili: c’è stato un effetto dopante nel mercato del lavoro. L'INPS ci dice che, nei primi dieci mesi del 2016, sono stati stipulati 1.300.000 contratti a tempo indeterminato, Pag. 39mentre le cessazioni, sempre di contratto a tempo indeterminato, sono state 1.308.000, con un saldo positivo soltanto di 61 mila unità. Il dato – si rileva dall'Osservatorio INPS – è peggiore dell'89 per cento rispetto al saldo positivo di 588 mila contratti stabiliti nei primi dieci mesi del 2015 e risente della riduzione degli incentivi e per le assunzioni stabili; è anche peggiore di quello di gennaio-ottobre 2014, quando ci fu un incremento di oltre 100 mila contratti, per così dire, stabili.
  La verità è che con questi 15-20 miliardi destinati alla decontribuzione si è aumentata semplicemente la trasformazione dei contratti da contratti a tempo determinato a contratti a tutela crescente. E non è vero che, in questo modo, si è ridotto lo spazio di precarietà nel mercato del lavoro, perché proprio l'esplosione dei voucher – veniamo all'oggetto più specifico della mozione che l'Aula è chiamata a discutere – dimostra che così non è stato. Sempre dai dati dell'INPS, si rileva che nello stesso periodo gennaio-ottobre 2016 sono stati venduti 121 milioni e mezzo di voucher destinati al pagamento delle prestazioni di lavoro accessorio.
  Questo vuol dire che per effetto di questa riforma del mercato del lavoro, essendosi ridotte altre poche tipologie di lavoro meno stabile, c’è stata una distorsione della flessibilità, cioè si è andati ad alimentare il ricorso, assolutamente distorto, a questo strumento, quello dei voucher. Si è passati dai 24 mila lavoratori accessori del 2014 a un milione e 300 mila percettori di voucher nel 2015. C’è stato, quindi, secondo me, un aumento straordinario di lavoro precario, dovuto anche al fatto che proprio con il Jobs Act, riducendosi gli strumenti della flessibilità, si è aumentato lo spazio per questo tipo di remunerazione del lavoro assolutamente precario.
  Ora, la mozione che discutiamo ci invita a esprimerci su ciò che bisogna fare dopo la pronuncia della Consulta dell'11 gennaio scorso. Lo ricordavano i colleghi, la CGIL ha proposto sostanzialmente tre referendum. Una di queste richieste riguardava l'abrogazione della disciplina dei voucher. Una seconda richiesta riguardava l'abrogazione di norme che limitano la responsabilità in solido tra l'appaltante e l'appaltatore. L'ultima, la più complessa, mirava alla reintroduzione della reintegra in caso di licenziamento senza giusta causa, estendendola anche alle imprese sopra i 5 addetti. L'11 gennaio la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile il quesito sui licenziamenti illegittimi, mentre ha dichiarato ammissibili gli altri due quesiti. A noi la decisione della Consulta pare una decisione equilibrata, perché la formulazione del quesito che riguardava la possibilità di licenziamento andava, infatti, oltre il ripristino dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, perché estendeva, di fatto, il diritto al reintegro del posto di lavoro ai dipendenti delle aziende con un numero di dipendenti tra 5 e 15. Quindi, per la tecnica abrogativa utilizzata, il quesito era assimilabile ad un quesito propositivo e, pertanto, inammissibile. La bocciatura della Consulta è, quindi, l'effetto di un'evidente forzatura operata da parte dei proponenti in merito all'applicazione della soglia dei 5 dipendenti.
  Oggi noi siamo chiamati, invece, a interrogarci se chiedere al Governo di fissare subito la data del referendum, oppure se impegnare il Governo e il Parlamento, soprattutto, a utilizzare il tempo che è a loro disposizione per intervenire sulla disciplina dei voucher e sulla questione legata agli appalti. Per quanto ci riguarda, sarebbe utile e auspicabile che il Parlamento intervenisse in questa direzione, senza aspettare che si esprimano gli italiani attraverso il referendum, con l'obiettivo di regolamentare l'utilizzo dei voucher, che rimangono, comunque, uno strumento utile a coloro che non godono di contratto stabile.
  Lo ricordiamo, i voucher furono introdotti nel nostro ordinamento dalla legge Biagi. Erano strumenti disponibili soltanto per alcuni tipi di lavoro (per esempio, per il lavoro di quanti fanno ripetizione privata ai nostri figli o per altri tipi di lavoro domestico), poi sono stati via via utilizzati Pag. 40per diversi e crescenti tipi di lavoro e ciò ha creato un'evidente distorsione dell'utilizzo di questo strumento. Allora noi siamo perché il Parlamento intervenga, perché si possa dar seguito al lavoro che mi risulta – io non faccio parte della Commissione lavoro – la Commissione lavoro della Camera ha di recente avviato, prevedendo l'esame delle proposte di legge che disciplinano il lavoro accessorio.
  Per quando ci riguarda – noi lo diremo anche nel testo di una mozione che presenteremo, perché possa essere votata al pari delle altre mozioni già presentate dagli altri gruppi – è necessario abbassare il tetto del compenso annuo e restringere l'ambito di applicazione del ticket lavoro. Sostanzialmente chiediamo che si ritorni alla disciplina prefigurata dalla legge Biagi e che, però, si discuta anche della necessità – così com'era nella legge Biagi – di reintrodurre diverse forme di flessibilità contrattuale per rilanciare l'occupazione e offrire maggiori opportunità di lavoro. Questo chiederemo nella nostra mozione, che è in corso di presentazione e che avrà la prima firma dell'onorevole Polverini. Ci auguriamo che attorno a questa necessità, quella cioè del Parlamento di legiferare correggendo una distorsione a tutti evidente, si possa costruire in quest'Aula un ampio consenso, perché questo significherebbe dare la possibilità al Parlamento di esercitare una sua competenza, senza dover per forza ricorrere al potere, a volte sostitutivo, del referendum rispetto alle incapacità del Parlamento stesso.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Maestri. Ne ha facoltà.

  PATRIZIA MAESTRI. Grazie, Presidente. Nel nostro Paese, ancora segnato da una situazione di scarsa crescita e di difficile congiuntura economica, noi oggi ancora registriamo numeri preoccupanti sul fronte occupazionale, soprattutto quello giovanile. Ma, più in generale, si evidenziano situazioni critiche nell'ambito della tutela complessiva del lavoro. Il provvedimento del Jobs Act aveva l'ambizione e l'obiettivo di ridisegnare la materia del mercato del lavoro, con lo scopo di sostenere il lavoro stabile, attraverso consistenti incentivi, assegnati dalla legge di stabilità del 2015, alle imprese che assumevano con contratto a tempo indeterminato. La legge di stabilità del 2016 confermava gli incentivi, ma decurtandoli del 60 per cento e questo ha praticamente provocato un crollo delle assunzioni, pur con un saldo positivo di 65.989 unità, ma con un decremento del 90 per cento rispetto al 2015.
  Certo, sappiamo bene che, pur essendo stati importanti gli incentivi, un contributo valido per quanto riguarda la stabilizzazione di tanti lavoratori precari, per stimolare l'occupazione occorrono, senz'altro, anche investimenti, una vera e propria ripresa economica, un aumento dei consumi interni.
  I temi del lavoro e delle tutele sono stati affrontati recentemente dalla CGIL attraverso una raccolta di firme importante a sostegno di tre referendum che in pratica riguardano la disciplina del lavoro accessorio, la responsabilità solidale degli appalti e la disciplina delle tutele in caso di licenziamento. La Corte costituzionale ha reso ammissibili i due quesiti sul lavoro con voucher e sulla responsabilità solidale, mentre ha dichiarato inammissibile quello sulla tutela dei licenziamenti.
  Per quanto riguarda i voucher, il consuntivo 2016 è pari a 134 milioni di buoni venduti, con una crescita del 23 per cento rispetto all'anno precedente. I numeri parlano chiaro e mettono in evidenza in modo innegabile che le scelte legislative compiute nel tempo dai Governi che si sono succeduti (Berlusconi e Monti, in particolare) hanno portato ad una deformazione dell'originale finalità dell'istituto, che era quella di inquadrare e legittimare dal punto di vista normativo le prestazioni di lavoro occasionali, cioè non ripetitive nel tempo, e accessorie, diverse da quelle proprie dell'impresa, che per la gran parte venivano retribuite in modo illegale. L'ampliamento del campo di applicazione della tipologia del committente è, quindi, senza alcun dubbio uno dei motivi di questa esplosione del ricorso ai voucher.Pag. 41
  Certo, sappiamo bene che le statistiche rilevano che solo lo 0,23 per cento del costo del lavoro dipendente nel settore privato è corrisposto tramite buoni lavoro, che oltre il 50 per cento dei percettori ha solamente riscosso, in questo modo, meno di 200 euro all'anno e che soltanto il 2,2 per cento ha percepito cifre nette superiori a 2.250 euro, ben inferiori al tetto massimo di 7 mila euro definito dalla della legge. Negli anni, infatti, è aumentata la platea dei percettori di voucher, mentre l'importo medio incassato, di poco inferiore a 500 euro all'anno, è rimasto pressoché costante.
  Numeri modesti, che in quanto tali non parrebbero giustificare alcun intervento correttivo. Ma non è così e sono sempre i dati a darcene una testimonianza reale: oltre il 50 per cento dei voucher venduti nel 2016, circa 73 milioni, ha riguardato prestazioni effettuate in attività a cui la riforma del 2012 ha esteso il cambio di applicazione: industria, edilizia, trasporti. Tra questi, circa 21 milioni riguardano il settore del turismo, 18,4 il commercio, 14,9 i servizi, evidenziando un vero e proprio effetto di sostituzione, per lo meno in questi settori, rispetto ai tradizionali contratti di lavoro subordinato, sia a tempo determinato, che indeterminato. Da quasi un anno ormai la Commissione lavoro della Camera dei Deputati si sta occupando di questa problematica, con un duplice obiettivo: porre un limite alle forme di abuso e riportare il lavoro occasionale alla sua originaria finalità. Opportunamente è intervenuto il Governo che, con il decreto legislativo n. 185 del 2016, ha esteso le forme di tracciabilità già previste per il lavoro a chiamata anche ai voucher: chi ne fa uso, almeno 60 minuti prima della prestazione, dovrà darne comunicazione alla Direzione territoriale del lavoro, via sms o posta elettronica certificata. Questa misura introdotta ha un impatto positivo, che però non consente ancora di risolvere alla radice il problema del loro abuso e dell'uso improprio. Tutti i gruppi parlamentari in Commissione hanno presentato proposte di riforma, la gran parte delle quali convergenti sul testo già depositato nel febbraio 2016 dal presidente Cesare Damiano, che propone di riportare l'originario impianto normativo alla «legge Biagi», la n. 276 del 2003. Anche per quanto riguarda la materia della responsabilità solidale, che trova una definizione a partire dall'articolo 1636 del codice civile abbiamo riscontrato diversi interventi, dal decreto n. 276 del 2003 alla legge n. 29 del 2012, successivamente nel 2013 e nel 2014, interventi che hanno ridotto i diritti e le tutele di tutti i lavoratori soggetti a cambio d'appalto. Anche su questa materia è già stata depositata una proposta di legge che tende a rivedere la normativa ed offre maggiori garanzie ai lavoratori, sollecitando anche la pubblica amministrazione ad escludere dalle gare d'appalto quelle imprese condannate in via definitiva per violazione delle disposizioni in materia di responsabilità solidale.
  Inoltre, pur non essendo stato sottoposto a referendum, il tema della tutela in casi di licenziamento, merita particolare attenzione, anche a fronte della nuova normativa prevista dal Jobs Act. I recenti dati dell'INPS ci consegnano un aumento del 4 per cento rispetto al 2015, mentre si registra una crescita più sostenuta, pari al 27 per cento, per i licenziamenti disciplinari, mentre un dato positivo è quello relativo alle dimissioni, calate del 13,5 per cento, probabilmente a seguito della nuova normativa sulle dimissioni in bianco di cui siamo stati anche fortemente sostenitori. Penso che sia necessario e utile un ulteriore approfondimento su questi numeri anche con dati disaggregati, che ci consentano di capire meglio il fenomeno. Infine, il lavoro nella nostra Costituzione non è solo uno dei principi fondamentali, ma è uno dei principi fondanti e il lavoro è il collante che tiene insieme il Paese e che sostiene la coesione sociale, elemento indispensabile per lo sviluppo positivo del nostro Paese, sviluppo e crescita che non possono però trovare fondamento nella corsa al ribasso del costo del lavoro e Pag. 42alle tutele, ma in quegli elementi che tendono alla stabilità e alla qualità del lavoro. Allora, occorre incrementare, rafforzare e migliorare le politiche attive del lavoro, occorre dare un'attenzione alla durata degli ammortizzatori sociali, in un tempo in cui sono ancora tante le crisi aziendali. Per questi motivi e per questi obiettivi chiediamo un impegno al Governo, lo chiediamo nella mozione che sarà depositata domani, un impegno al Governo nel proseguire il monitoraggio previsto dall'articolo 1 del Jobs Act per un costante confronto con il Parlamento, ma soprattutto per confermare le opportune iniziative sulle materie, in tema di stabilità e di qualità del lavoro. Abbiamo interventi già depositati su cui è già aperta la discussione, chiediamo un'attenzione particolare al Governo per raggiungere questi obiettivi.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cesare Damiano. Ne ha facoltà.

  CESARE DAMIANO. Grazie, Presidente. Io penso che i quesiti posti dai referendum della CGIL siano quesiti che affrontano problemi veri, anche quello non approvato dalla Consulta relativo al tema dei licenziamenti. Ricordava adesso l'onorevole Maestri che sarebbe necessario su questo argomento avere da parte del Governo un preciso monitoraggio. Io convengo anche perché altrimenti questi dati, che dicono che i licenziamenti aumento del 4 per cento, che i licenziamenti disciplinari aumentano del 27 per cento, mentre calano le dimissioni del 14 per cento – e questo è un dato molto positivo che evidenzia il fatto che la nuova normativa sulle dimissioni in bianco che noi abbiamo voluto sta probabilmente funzionando – potrebbero prestarsi a diverse interpretazioni, quindi noi dobbiamo ricondurli alla oggettività delle dinamiche del mercato del lavoro, senza avere dei tabù, anche nel caso in cui si trattasse in modo chirurgico di cambiare alcune normative legate al tema dei licenziamenti per quanto riguarda il Jobs Act. Mi riferisco in particolare al tema, dal mio punto di vista non ancora risolto, dei cosiddetti licenziamenti collettivi, oltre a quelli disciplinari. Ora, per quanto riguarda il merito della mozione che è stata presentata da Sinistra italiana – anche noi depositeremo ovviamente una nostra mozione –, attiene al tema dei quesiti sopravvissuti, quindi quelli relativi ai voucher e alla responsabilità solidale negli appalti. Sui voucher molto è stato detto. Io penso che i dati parlino sicuramente da soli. Noi abbiamo un consuntivo diciamo inferiore a quello che avevamo previsto nel 2016; si pensava di arrivare a circa 150 milioni e siamo arrivati a 134 milioni. Questo probabilmente è anche dovuto a quella tracciabilità che è stata inserita dal precedente Governo per quanto riguarda l'utilizzo dei voucher, che ci evidenzia il fatto che, nel mese di dicembre del 2016, siano stati venduti 11,5 milioni di buoni lavoro a fronte degli 11,4 milioni dell'anno precedente, sempre nel mese di dicembre, il che vuol dire che c’è una stabilizzazione, dicembre su dicembre, che potrebbe rilevare anche un'efficacia di questa tracciabilità. Quindi siamo di fronte a dei volumi enormi; se noi dividiamo 134 milioni per 1.800, che sono mediamente le ore lavorate da un metalmeccanico su base annua, noi arriviamo a circa 75.000 persone a tempo pieno. Qualcuno potrebbe osservare che si tratta di un dato relativamente modesto; non è così perché noi sappiamo che purtroppo l'uso del voucher prima della tracciabilità era un uso che aveva anche questa possibilità: compro il voucher, se arriva l'ispettore lo esibisco, non c’è bisogno di dire quando ho cominciato ad utilizzarlo quindi moltiplichiamo per 3, per 4, per 5 quel numero e vediamo che potremmo parlare di circa 300.000 lavoratori a tempo pieno. Quindi stiamo parlando di fenomeni che non sono più fenomeni trascurabili e nei quali il tema dell'abuso è evidente. Ora, perché noi chiediamo di tornare all'impostazione originaria ? Veniva già ricordato: io ho presentato con i miei colleghi del Partito Democratico in Pag. 43Commissione lavoro una proposta di legge che va in quella direzione già nel febbraio del 2016.
  Noi non sapevamo a quel momento che ci sarebbero stati i referendum della CGIL. Quindi, la nostra intenzione non è quella – e rimane così – di togliere di mezzo, di narcotizzare o di far procedere un referendum. È compito di chi l'ha proposto difendere la sua impostazione. Noi ci siamo soltanto riproposti, già nel febbraio dello scorso anno, di depositare una proposta di legge – alla quale abbiamo chiesto attenzione, per la quale abbiamo chiesto attenzione al Governo – per migliorare una situazione sfuggita di mano. Quindi, occorre tornare alla «legge Biagi»; lo dice chi non ha mai approvato interamente le tesi contenute nel testo della «legge Biagi». Lo dico con il rispetto che si deve portare ad un eroe della nostra Repubblica, un uomo barbaramente ucciso dalle Brigate Rosse per i suoi pensieri e per il suo modo di concepire il tema del lavoro, perché il pensiero di chiunque va difeso contro qualsiasi aggressione.
  Ma perché tornare alla «legge Biagi» quando Ministro del lavoro era l'esponente di un altro schieramento, l'onorevole Maroni ? Perché io penso che l'impostazione che era stata data era un'impostazione concettualmente molto precisa e faceva perno su un punto che, secondo me, è essenziale per riformare l'attuale situazione: il lavoro meramente occasionale. Quindi, non si trattava, come qualcuno ha sostenuto, che l'impostazione d'origine, quella del 2003, fosse una timida sperimentazione. No ! Era una precisa impostazione concettuale che si richiamava, appunto, al lavoro meramente occasionale. Faccio notare che poi nelle successive deliberazioni di carattere legislativo la parola «meramente» scompare e rimangono le parole «lavoro occasionale»; poi scompare anche la nozione di lavoro occasionale con il Governo Letta. Dobbiamo ripristinare il termine «meramente occasionale». Se non facciamo questa operazione le altre operazioni possono essere molto discutibili e non estirpare quello che è il punto essenziale che noi vorremmo ottenere cioè quello di impedire delle forme di abuso.
  Quindi, come procedere ? Lo dico all'onorevole Bobba che è qui in rappresentanza del Governo. Non solo si tratta di confermare quello che ho appena detto e tornare al concetto chiave dell'impostazione concettuale dell'utilizzo del voucher, cioè il lavoro meramente occasionale, ma si tratta anche di legare a questo lavoro meramente occasionale il tipo di lavoro che può essere svolto. Non è un caso che la nostra proposta di legge – e proposte di legge analoghe sono depositate in Commissione lavoro da parte del MoVimento 5 Stelle, Forza Italia e Lega Nord – parli di piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresa l'assistenza domiciliare ai bambini, alle persone anziane ammalate o con handicap, dell'insegnamento privato supplementare, dei piccoli lavori di giardinaggio, di realizzazione di manifestazioni sociali, sportive, caritatevoli o culturali, e cose di questo genere, affidate ovviamente a soggetti che abbiano particolari difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro: i disoccupati da oltre un anno, gli studenti, i pensionati, i disabili, i soggetti in comunità di recupero, i lavoratori extracomunitari regolarmente soggiornanti in Italia nei sei mesi successivi alla perdita del lavoro.
  Quindi, noi vogliamo fare un'operazione precisa, pulita e completa, che non abroghi l'utilizzo dei voucher. Io qui lo voglio dire: sono contrario all'abolizione dei voucher. Però, sono favorevole affinché si scelga la strada di ricondurre il loro utilizzo effettivamente al lavoro meramente occasionale e ad un'elencazione di lavori e non, come si è sentito dire ad esempio, con la fissazione di tetti percentuali o numerici di utilizzo nell'ambito dell'organico a tempo indeterminato delle imprese, perché se così fosse, se questa fosse l'intenzione, noi faremmo l'operazione contraria di quella che invece stiamo sostenendo e noi renderemmo istituzionale l'utilizzo del voucher.Pag. 44
  Per quanto riguarda – e ho concluso – la questione degli appalti ne ha già detto l'onorevole Maestri. Anche qui abbiamo una proposta di legge di cosiddetto ritorno alle origini, quindi alla «legge Biagi» del 2003, nella quale la responsabilità solidale del committente era collegata alla tutela della trasparenza della retribuzione definita dai contratti confederali e di categoria e per quanto riguarda la trasparenza dei contributi previdenziali.
  Concludo dicendo questo: il Jobs Act sicuramente aveva un obiettivo – e spero che lo mantenga – che era quello di aumentare la quantità e la percentuale di lavoro stabile. Mi permetto di suggerire al Governo che se vogliamo perseguire questo obiettivo bisogna correggere un errore d'impostazione, che è quello degli incentivi. Gli incentivi a spot, altissimi il primo anno (al 60 per cento), minori il secondo anno e che scompaiono il terzo anno, purtroppo portano a degli effetti controproducenti: diminuirà, come abbiamo visto dall'osservatorio dell'INPS, il numero delle persone utilizzate attraverso il lavoro a tempo indeterminato e tornerà, purtroppo, la prevalenza del lavoro precario. Quindi, gli incentivi strutturali sono la risposta per il mantenimento di una prospettiva di qualità occupazionale anche per il Jobs Act.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
  Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire successivamente.
  Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Discussione congiunta delle Relazioni sull'attività svolta, approvate dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro (Doc. XXIII, nn. 10 e 23) (ore 15,30).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione congiunta delle Relazioni sull'attività svolta, approvate rispettivamente nella seduta del 10 dicembre 2015 e nella seduta del 20 dicembre 2016, dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro (Doc. XXIII, n. 10 e 23).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 18 gennaio 2017 (Vedi l'allegato A della seduta del 18 gennaio 2017).
  Avverto che le eventuali risoluzioni devono essere presentate entro il termine della discussione.

(Discussione congiunta – Doc. XXIII, nn. 10 e 23)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione congiunta.
  Ha facoltà di intervenire il deputato Giuseppe Fioroni, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro.

  GIUSEPPE FIORONI, Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro. Grazie, signora Presidente. Colleghi, illustrerò brevemente la prima relazione sull'attività svolta che la Commissione di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro ha approvato all'unanimità nella seduta del 10 dicembre 2015 e la seconda relazione, che è stata approvata con una sola astensione, nella seduta del 20 dicembre 2016. Vorrei innanzitutto sottolineare questa larga condivisione, perché essa dimostra la serietà dell'approccio con cui tutte le forze politiche si sono accostate ad una delle vicende più gravi della storia repubblicana, una sorta di luogo oscuro della memoria che ha condizionato a lungo la vita nazionale anche perché non si è riusciti a corrispondere pienamente a una irrinunciabile esigenza di verità.
  La Commissione ha ricevuto dalla legge istitutiva il mandato ad accertare nuovi elementi che possono integrare le conoscenze acquisite dalle precedenti Commissioni parlamentari di inchiesta ed eventuali responsabilità nella vicenda del sequestro e dell'assassinio di Moro. Per fare Pag. 45ciò la Commissione ha dovuto confrontarsi con le risultanze di cinque processi penali e di due inchieste e ciò è avvenuto non senza difficoltà: la morte di molti testimoni diretti, la latitanza di alcuni brigatisti, come Alessio Casimirri, e la reticenza di altri, e, in alcuni casi, la scomparsa della stessa documentazione di indagine sono stati un grave problema; d'altro canto l'uso di nuove tecnologie e metodologie investigative ha consentito di svolgere accertamenti precedentemente impossibili. Va anche sottolineato che ci siamo trovati di fronte a una pubblicistica sovrabbondante, talora omissiva talora interessata a promuovere artificiose novità, che rischia di disorientare il discorso pubblico e la consapevolezza dei cittadini.
  Di fronte a questa situazione, che ha alimentato non poche speculazioni sull'inutilità di un'inchiesta parlamentare sul tema, la Commissione si è data come obiettivo quello di acquisire elementi documentalmente certi e prove giuridicamente apprezzabili, eventualmente anche in sede giudiziaria. Si è, cioè, rinunciato alla tentazione di fare una sorta di storiografia parlamentare sul caso Moro, ma non si è rinunciato a formulare, nelle due relazioni che oggi sono all'attenzione dell'Assemblea, alcune ipotesi interpretative che saranno oggetto di verifiche nei prossimi mesi. Alla luce degli approfondimenti compiuti, posso dire che questa scelta di metodo, condivisa dall'intera Commissione, ha consentito di sottoporre ad una revisione critica il complesso delle indagini svolte in passato dalla magistratura e dagli organismi parlamentari evidenziandone lacune e limiti e individuando nuovi elementi che concorrono a definire un'interpretazione della vicenda Moro per molti aspetti nuova. Le due relazioni sull'attività della Commissione non costituiscono ancora un'interpretazione complessiva dalla vicenda Moro in un quadro organico; esse sono piuttosto una prospettazione, in alcuni casi più avanzata in altri meno, di temi e questioni che troveranno una loro definitiva sistemazione nella relazione finale. Naturalmente non si può dar conto di accertamenti e indagini della Commissione ancora in corso di svolgimento, e tanto meno delle indagini; vale la pena di ricordare che la procura della Repubblica presso il tribunale di Roma e la procura generale presso la corte d'appello di Roma stanno svolgendo, nel quadro di un rapporto di stretta collaborazione istituzionale con la Commissione, indagini aperte di recente nel corso dell'attività della Commissione.
  Nei limiti del tempo a disposizione, darò conto dei principali approfondimenti compiuti che, come ho detto, sembrano delineare un'interpretazione innovativa su molti aspetti della vicenda Moro. La Commissione ha individuato i filoni di indagine da sviluppare seguendo prevalentemente l'ordine cronologico dei fatti oggetto dell'inchiesta. Si è dunque inizialmente concentrata sugli avvenimenti della prima metà dei 55 giorni del sequestro di Aldo Moro. In questa prospettiva si è cercato innanzitutto di ricostruire l'esatta dinamica della strage di via Fani e di chiarire i numerosi interrogativi rimasti aperti sul numero di terroristi che vi presero parte, sugli appoggi logistici di cui poterono eventualmente godere, sulla modalità di fuga dalla scena del crimine. A tale scopo, sono stati condotti esami balistici e sono stati sentiti molti testimoni della strage, inclusi alcuni che non avevano precedentemente reso deposizioni. La Commissione ha accertato diversi elementi che sembrano indicare che esisteva una forte consapevolezza di un'allerta per la sicurezza di Moro, una vera sensazione di paura da parte del Presidente Moro che non fu adeguatamente valutata. Oltre alle segnalazioni che giunsero dal centro Sismi di Beirut su una prossima azione terroristica, solleva molti interrogativi il fatto che nei giorni immediatamente precedenti la strage di via Fani, in modo particolare il 15 marzo sera, il capo della Polizia, accompagnato dai dirigenti della DIGOS, si recarono allo studio di Moro per conferire con lui o con i suoi collaboratori. Così pure la ricostruzione delle tempistiche degli spostamenti del dirigente della DIGOS di Roma la mattina della strage di via Fani, sembrerebbe indicare una precoce Pag. 46consapevolezza che si era realizzato un atto di terrorismo, se non previsto, quanto meno temuto.
  Per quanto riguarda la ricostruzione dell'azione brigatista di via Fani, è stato particolarmente importante il ruolo della Polizia scientifica che ha consentito, per la prima volta, la ricostruzione delle traiettorie degli spari o i coni di fuoco sulla base dei rilievi eseguiti nelle autovetture coinvolte. Nell'ambito delle indagini sono state pure raccolti diversi elementi sulla presenza in via Fani di una moto di grossa cilindrata che alcuni testimoni con dettaglio hanno descritto come direttamente coinvolta nell'azione dei brigatisti subito fuori il bar Olivetti e guidata da soggetti che non parlavano (una teste ha riferito si esprimevano in tedesco) e un altro come presente immediatamente dopo l'attacco alle auto di Moro e della scorta. Sulla base di tali testimonianze, in parte divergenti, non si può escludere, anzi sembrerebbe si possa confermare, la presenza di due diversi veicoli sui quali sono in corso accertamenti: da una parte la pista della Raf che era stata allontanata, e ci sono tanti altri riscontri in questo senso, e anche sul ruolo di un eventuale presenza di due terroristi a bordo di una moto Honda a verificare la chiusura del crimine.
  La Commissione ha pure approfondito la questione di una serie di presenze anche non brigatiste sulla scena, anche attraverso numerose escussioni di testimoni. Le indagini ancora in corso hanno preso in esame numerosi temi su cui la relazione finale darà una valutazione definitiva. Mi limito ora richiamare il fatto che le attività di comparazione fotografica delegate al Ris hanno condotto a formulare qualcosa di più di una mera ipotesi della presenza sulla scena del crimine di un esponente ’ndranghetista, Antonio Nirta, anno di nascita 1946, di cui già in passato alcuni pentiti avevano suggerito una partecipazione alla vicenda Moro. Tale presenza, forse legata all'esistenza di traffici d'armi, potrebbe essere pure in relazione alla scomparsa di alcuni rullini di foto scattate in via Fani che alcuni testimoni hanno dichiarato di aver consegnato agli inquirenti e che sono stati nel corso delle prime indagini sovrapposti ed uno, il secondo, utilizzato per elidere o occultare il primo estremamente importante.
  La Commissione si è lungamente interrogata su una possibile funzione del bar Olivetti, presenza scomparsa negli ultimi 38 anni dalla vicenda Moro, posto all'incrocio tra via Fani e via Stresa nella dinamica dell'azione brigatista. Ricordo che il bar non era mai stato, come ho appena detto, oggetto di indagine, nonostante gli stessi brigatisti abbiano di dichiarato di aver atteso l'arrivo delle auto di Moro e della scorta nascosti dietro le fioriere del bar che era fallito nel dicembre del precedente anno, il 1977. La Commissione ha accertato che l'indagine a suo tempo compiuta sul bar e sul suo titolare rimasero inspiegabilmente in uno stato embrionale, nonostante un'informativa del Sismi ai carabinieri del giugno 1978 segnalasse che proprio la chiusura del bar rappresentava uno strano fallimento e che questo aveva reso tecnicamente possibile l'azione brigatista.
  Gli accertamenti della Commissione hanno, inoltre, evidenziato che il titolare del bar nel corso del 1977 era stato coinvolto in un'indagine su un traffico internazionale di armi che coinvolgeva la ’ndrangheta e il Libano, e non era stato sentito dagli inquirenti in quanto si era reso irreperibile. L'inchiesta sul traffico d'armi si era poi ridimensionata perché si era accettata la tesi che si trattasse di armi giocattolo o sceniche – anche se completamente diverse sono queste due dizioni – cioè non immediatamente utilizzabili a causa di una perizia medica fatta dal professor Ferraguti e dal professor Semerari, che tutti noi abbiamo in testa per la sua fine e la sua storia delinquenziale, che avevano individuato elementi di mitomania nel principale imputato. Grazie all'indagine condotta dalla procura generale di Roma, e a una serie di escussioni e audizioni della Commissione, è stata invece accertato che le armi oggetto del traffico, armi sceniche, potevano essere Pag. 47facilmente rese efficienti da officine che all'epoca operavano per la criminalità organizzata; di qui l'ipotesi, in corso di verifica, che il bar Olivetti fosse in relazione a traffici di armi strettamente connesso; traffici che coinvolgevano sia la criminalità organizzata che l'eversione. Ricordiamoci che questo era il vero business di quegli anni e aveva elementi di sovrapposizione grigia anche con apparati dello Stato. A tale proposito la Commissione ha compiuto un'attenta analisi dei proiettili utilizzati dai brigatisti in via Fani dalla quale è emerso che, al contrario di quanto sinora affermato, i proiettili provenivano da partite prodotte dalla ditta Fiocchi non commercializzati in Italia, tanto meno destinati alle forze dell'ordine o ai militari, ma destinati invece all'esportazione. In particolare, appare possibile che i proiettili in questione provenissero da partite esportate verso il Medio Oriente e poi rientrate secondo modalità in corso d'accertamento, ma facilmente intuibili. La necessità di tutelare questo tipo di traffici sia in quanto fondati su accordi politici internazionali sconosciuti all'opinione pubblica, sia in quanto coinvolgevano specifiche responsabilità, potrebbe spiegare il lungo oblio sul bar Olivetti e sulla figura del suo titolare ravvisato presente anche a Bologna la sera avanti alla strage. Accendere i riflettori su questo tema avrebbe infatti fatto emergere una vicenda di traffico d'armi che coinvolgeva soggetti appartenenti alla ’ndrangheta, e partite di armi assemblabili che, secondo quanto riferito alla Commissione da esponenti delle forze dell'ordine dell'epoca, erano utilizzabili sia dalla criminalità organizzata, che dalle Brigate Rosse.
  Sempre in relazione alla strage di via Fani, alla fuga dei brigatisti con l'ostaggio, il riesame delle testimonianze a suo tempo acquisite, e l'acquisizione di nuova documentazione, ha indotto a formulare molte riserve sulla plausibilità della ricostruzione fornita dai terroristi circa fuga e abbandono delle auto che furono ritrovate nella stessa strada a diverse ore di distanza l'una dall'altra. Di qui si è sviluppata la ricerca di un punto d'appoggio, di un vero e proprio covo brigatista nell'area della Balduina. A tale proposito, gli elementi raccolti hanno evidenziato l'esistenza di un edificio della zona che potrebbe aver avuto una funzione specifica almeno nella prima fase del sequestro. Si tratta di una palazzina che risulta aver ospitato nei mesi precedenti e successivi a quel sequestro, per periodi anche lunghi, sia un soggetto straniero connesso all'eversione, legato all'area dell'Autonomia, sia soggetti dell'ex Potere Operaio, sia un brigatista latitante. Mi limito a questa breve annotazione in quanto gli atti di questa indagine ancora in corso sono stati trasmessi alla procura di Roma e rimangono coperti dal segreto funzionale.
  Per quanto attiene alla dinamica dei 55 giorni, la Commissione ha avviato un generale approfondimento della dimensione internazionale della vicenda Moro, ciò non sulla base di ipotesi semplificatorie di un'eterodirezione delle Brigate Rosse, ma perché il sequestro fu un grande evento della politica internazionale sul quale si addensarono le attenzioni di Paesi e forze variamente interessate a influire sul possibile esito e, più in generale, sulla politica italiana. In questo ambito è stato compiuto un massiccio scavo documentale sul tema del ruolo dei movimenti palestinesi nella vicenda Moro che ha prodotto risultati di grande novità, sia sul tema del rapporto Br-palestinesi, sia sul rapporto tra il Governo italiano e la dirigenza palestinese. L'approfondimento ha preso le mosse dal messaggio che il colonnello Giovannone, capocentro del Sismi a Beirut, inviò il 17 febbraio 1978 per lanciare un'allerta su una possibile azione terroristica, come segnalatogli da ambienti vicino a George Habbash e al Fronte popolare per la liberazione della Palestina in Italia.
  I successivi approfondimenti hanno consentito di evidenziare uno stretto rapporto tra le autorità italiane e i movimenti palestinesi nel periodo del sequestro, al punto che proprio i palestinesi divennero protagonisti di un tentativo di trattativa finalizzata alla liberazione di Moro. Nella seconda relazione sono stati analizzati molteplici documenti di interesse, che evidenziano Pag. 48due elementi: il primo, la contemporaneità della partenza da Beirut per Roma di Giovannone, 24 aprile, con le lettere di Moro dalla prigione brigatista che richiedevano la presenza a Roma del colonnello Giovannone e sollecitavano una trattativa tra Stato e brigatisti, richiamando l'esempio della vicenda dei palestinesi che l'Italia fece fuggire dopo l'attentato di Fiumicino del 1973. Quando Giovannone partì per Roma, non risulta, peraltro, che le lettere di Moro a Pennacchini, Dell'Andro e Piccoli fossero state ancora recapitate, e questo pone il problema di quali canali esistessero tra la prigione di Moro e il Governo italiano.
  Il secondo punto è che questa trattativa, di cui erano al corrente tanto il Ministro della difesa che il Ministro dell'interno, appare, a fine aprile 1978, promettente, tanto che il rappresentante a Roma di Arafat, Nemer Hammad, chiese un incontro a Cossiga per rappresentare la disponibilità e l'interesse della dirigenza OLP a una forma di collaborazione permanente tra i servizi di sicurezza palestinesi e quelli italiani. All'inizio di maggio, mentre erano in corso ancora trattative, come quella promossa da Craxi, questa iniziativa per liberare Moro si bloccò, per ragioni non ancora chiarite. Un blocco che forse spinse Arafat a lanciare, il 5 maggio, un pubblico appello per la liberazione di Moro.
  La Commissione sta approfondendo questo delicato passaggio, che chiama in causa numerose questioni: quella della praticabilità per il Governo italiano di una strada che avrebbe reso evidente la natura degli accordi che il Paese manteneva con i palestinesi; quella dell'esistenza, all'interno delle Brigate rosse, di linee diverse sulla sorte di Moro; la questione, infine, dell'esistenza di una frastagliata galassia di movimenti palestinesi, che non necessariamente si riconoscevano nelle posizioni ufficiali espresse dall'OLP. Allo stato, si può affermare che la vicenda Moro e la sua tragica conclusione non sono separabili dal più vasto contesto internazionale del rapporto tra Italia e Medioriente, in tutti i suoi aspetti, da quelli dei traffici d'armi a quelli del rapporto tra terrorismo interno e terrorismo mediorientale.
  Di particolare rilievo, in questo ambito, è un'informativa, che la Commissione sta approfondendo, che il Centro Sismi di Beirut trasmise nel giugno 1978. Secondo tale informativa, le Brigate rosse avrebbero trasmesso al Fronte popolare per la liberazione della Palestina alcune parti degli interrogatori subiti da Moro che potevano avere interesse per i movimenti palestinesi. Tale notizia confermerebbe un uso politico delle carte e delle dichiarazioni di Moro, a lungo ipotizzato, ma mai dimostrato, e confermerebbe pure l'ipotesi dell'incompletezza del memoriale di Moro ritrovato a Milano in via Monte Nevoso. Un altro filone relativo alla dimensione internazionale della vicenda Moro, che la Commissione ha ripreso, è quello relativo al cosiddetto «Superclan» e alla scuola di lingue Hyperion, ovvero a quel gruppo di personaggi che, dopo essersi separati dal nucleo fondatore delle Brigate rosse, in massima parte si trasferirono in Francia nel 1974-1975, dando vita a una scuola di lingue.
  Il tema è stato oggetto in passato di diversi procedimenti giudiziari, conclusisi con l'assoluzione degli imputati. Tuttavia, la Commissione sta rivalutando gli elementi che sembrerebbero indicare l'esistenza a Parigi di un coordinamento tra le principali organizzazioni terroristiche operanti in Europa e il Fronte di lotta per la liberazione della Palestina. In particolare, la Commissione sta approfondendo i movimenti in Italia di persone riconducibili a quegli ambiti nel corso del sequestro Moro. Sempre con riferimento alla dimensione internazionale, sono state realizzate e sono in corso indagini relative a possibili contatti tra la RAF e le Brigate rosse. Tali contatti, ben documentati per periodi diversi dal sequestro Moro, potrebbero essersi realizzati anche durante il sequestro, sulla base di informazioni che saranno oggetto di una richiesta di assistenza giudiziaria alla magistratura tedesca.
  L'esistenza, tra la fine di aprile e l'inizio di maggio, di un tentativo di trattativa Pag. 49per il tramite dei movimenti palestinesi è un ulteriore tassello che conferma che in quella fase la cosiddetta linea della fermezza era stata almeno parzialmente superata da un approccio diverso. In questo ambito, la Commissione ha ripreso un'analisi della vicenda, nota sin dal 1979, che vide alcuni esponenti di vertice del Partito Socialista contattare Franco Piperno e Lanfranco Pace per aprire una trattativa con le Br sulla sorte di Moro. Pace, come noto, ebbe numerosi incontri con Morucci e Faranda, che non approdarono a una soluzione positiva per motivi sui quali sono state formulate diverse ipotesi.
  Le audizioni di Claudio Signorile, che svolse in questa vicenda un ruolo fondamentale, e di altri esponenti socialisti hanno consentito di acquisire diversi nuovi elementi. In primo luogo, si è evidenziato che questa trattativa iniziò probabilmente prima di quanto sinora noto e comportò il tentativo di attivare una pluralità di canali, sia a Roma che a Milano; in secondo luogo, anche in questo caso si può ritenere che ci sia stata una piena consapevolezza istituzionale. Tanto il Ministro dell'interno che il vicecomandante dell'Arma dei carabinieri sarebbero infatti stati al corrente dei contatti di Signorile.
  Lo stesso Signorile si trovava presso Cossiga la mattina del 9 maggio 1978, quando questi ricevette, secondo Signorile in orario precedente a quanto sinora noto, la notizia dell'uccisione di Moro. Dalle escussioni e audizioni è emersa pure l'ipotesi, che sarà approfondita, dell'esistenza di un ulteriore canale di trattativa che coinvolgeva esponenti socialisti e ambienti dell'autonomia milanese. Secondo quanto è stato dichiarato alla Commissione, questi ultimi potrebbero aver avuto a disposizione trascrizioni dattiloscritte di lettere di Moro prima che queste fossero divulgate. La vicenda della trattativa socialista contribuì ad aprire una frattura tra Valerio Morucci e Adriana Faranda, da un lato, e la parte maggioritaria delle Brigate rosse, dall'altro; frattura che si concluse nel febbraio 1979, con la fuoriuscita dei due dalle Br.
  Dopo l'arresto, nel maggio 1979, i due iniziarono poi un percorso di dissociazione, che li portò ad elaborare il famoso memoriale Morucci. Questo, con le sue parziali ammissioni, ha contribuito a fondare in maniera determinante la verità giudiziaria sul caso Moro consolidatasi nei primi anni Novanta. Proprio per questo motivo, la Commissione ha approfondito la vicenda di Morucci e Faranda, i loro rapporti con l'area dell'Autonomia e le modalità, mai del tutto chiarite, del loro arresto. Morucci e Faranda, come noto, furono arrestati alcuni mesi dopo la loro uscita dalle Br e dopo il loro tentativo di creare un autonomo partito armato, il 29 maggio 1979, in casa di Giuliana Conforto, presso la quale si erano rifugiati grazie all'aiuto di Piperno e Pace.
  Giuliana Conforto, vicina ad ambienti di estremismo politico, era la figlia di Giorgio Conforto. Su questo aspetto stanno emergendo elementi di utilità, che possono avviarci a una fase di auto consegna o di trattativa a più alto livello, che poi confluirà nella stesura del memoriale. Io ho finito il tempo a mia disposizione. Consegno, così facciamo prima.

  PRESIDENTE. Vi è ovviamente l'autorizzazione a consegnare il testo scritto.
  È iscritto a parlare il deputato Marco Carra. Ne ha facoltà.

  MARCO CARRA. Grazie, signora Presidente. Ringrazio il presidente Fioroni per la esaustiva relazione che ci ha proposto, che ha proposto all'Aula, e anch'io, come lui, penso che il Parlamento abbia fatto bene ad istituire una nuova Commissione Moro, perché di questa vicenda sono state accertate verità parziali, mezze verità, e molte ombre, molte nubi, si addensano ancora oggi sul più grave delitto politico della nostra storia. Sono molteplici gli aspetti ai quali serve dare una risposta. Resto convinto che noi ci potremo definire, in un qualche modo, fuori dalla Prima Repubblica solo nel momento in cui, sulle tante tragedie, diciamo così, di matrice politica che hanno insanguinato l'Italia, attentati, omicidi, finché Pag. 50non sarà accertata la piena verità su questi fatti, noi dovremo continuare ad immaginare di essere nella Prima Repubblica. Il lavoro che sta compiendo questa Commissione, la Commissione Moro, è un lavoro che è sottoposto ad attacchi da parte di ambienti e di settori della società italiana apparentemente incompatibili; attacchi che tendono a screditare, a delegittimare, il nostro lavoro al grido di «sulla strage di via Fani e sul sequestro e l'omicidio di Moro si sa tutto ed è tutto chiaro».
  Una teoria che ha il suo punto di riferimento, almeno per quanto mi riguarda, nel memoriale farlocco di Morucci, scritto in quegli anni con la complicità dell'allora direttore de Il Popolo Remigio Cavedon. Proprio nei giorni scorsi abbiamo audito Morucci, il quale ha tenuto un atteggiamento reticente, arrogante e sprezzante nei nostri confronti; un atteggiamento teso appunto a delegittimare noi e tutti coloro che in questi anni si sono battuti per riportare un po’ di luce su questa tragedia. Penso all'ex parlamentare Sergio Flamigni, a tanti giornalisti, come la nostra Stefania Limiti. E penso agli attuali parlamentari, al presidente Fioroni, a Gero Grassi, a Miguel Gotor, a Federico Fornaro. È chiaro che Morucci ha voluto parlare all'esterno della Commissione, riaffermando che tutto si sa, ed incontrando, in questo contesto, una sorta di condivisione da parte di qualche collega della destra, in particolare del senatore Gasparri.
  Io non sono rimasto sorpreso da tale sintonia, che riassume una certa complicità culturale sul fatto che non c’è più nulla da accertare e che recupera quel patto di omertà che aveva l'obiettivo di valorizzare la purezza rivoluzionaria dei brigatisti e che su questa vicenda si è saputo tutto e si è giocato solo ed esclusivamente in Italia, di fronte alla quale lo Stato ha fatto tutto ciò che ha potuto.
  E ciò, come se questa vicenda non fosse stata oggetto di grande interesse da parte dell'Amministrazione statunitense dell'epoca o dei Paesi del Patto di Varsavia o, per restare in casa nostra, degli ambienti dell'atlantismo ortodosso, come la P2. Tutte – potremmo definirle – entità apertamente ostili alle politiche di Moro, penso ad esempio al compromesso storico. Tutto ciò per evidenziare la straordinaria sintonia tra le fortissime ostilità di quei Paesi e di quegli ambienti ed il disegno sanguinario brigatista di quelle Brigate rosse, guidate dal rivoluzionario Moretti.
  Ora intendo toccare solamente uno degli elementi che il presidente Fioroni ha evidenziato nella sua – ripeto – esaustiva relazione. Mi preme toccare un punto sul quale si è aperto un nuovo squarcio, rispetto appunto alla trattativa che si era aperta con i palestinesi, a questo negoziato che si era aperto per liberare il Presidente Aldo Moro. Una trattativa che ha visto, appunto, attenti i palestinesi nei confronti di quell'uomo politico, di quello statista, che aveva prestato grande attenzione nelle scelte di politica estera nei loro confronti. I documenti analizzati confermano le tesi sostenute in un'intervista di dieci anni fa da parte del portavoce del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, ovviamente legato all'OLP, rilasciata al Corriere della Sera, laddove egli disse che erano pronti a fare ciò che veniva loro richiesto e che a Beirut era pronto un aereo per i brigatisti dopo la liberazione di Moro, ma che intervenne una terza parte e la trattativa si arenò.
  La nostra conclusione al momento, che riportiamo nella seconda relazione, è questa: o il contatto tra palestinesi e Brigate rosse era debole – ma di questo è lecito dubitare vista la continuità di rapporti tra Brigate rosse e palestinesi medesimi – oppure le Brigate rosse e Moretti rifiutarono la proposta, oppure, terza ipotesi, il Governo decise di non avallare questa trattativa, in ragione degli elevati prezzi politici che avrebbe dovuto pagare.
  Un successivo approfondimento della Commissione dovrà evidentemente mirare ad accertare chi concretamente assunse la decisione di far saltare il dialogo in corso. Il lavoro, come recita appunto la seconda relazione, di indagine su questi temi è ancora da compiere. Va rilevato, tuttavia, che alcuni dei protagonisti di quelle vicende Pag. 51hanno avanzato delle riflessioni in merito. Quindi, la domanda che ci dobbiamo porre su questo particolare aspetto dalla vicenda Moro, non è se ci sono state trattative per la liberazione di Moro ma chi è intervenuto per interromperle, per impedire che la vicenda si concludesse con la liberazione dello statista democristiano. E questo è un quesito estremamente importante, così come sono importanti altre vicende che ha toccato il presidente Fioroni, che saranno oggetto del lavoro che la Commissione continuerà a fare. Penso al traffico di armi, al ruolo che ha avuto in questa vicenda il bar Olivetti, al ruolo che ha avuto la scuola Hyperion di Parigi, sulla possibilità – toccata molto bene da Fioroni – di un covo delle Brigate rosse nell'area della Balduina, e sugli episodi che hanno caratterizzato la vicenda dell'arresto di Valerio Morucci e Adriana Faranda, in casa di Giuliana Conforto, in viale Giulio Cesare.
  Ecco, questo per dire che cosa ? Per dire che gli elementi di novità sono tanti e che questo lavoro che abbiamo iniziato ci auguriamo possa andare avanti. Io sono convinto che porterà la Commissione, in particolare, e il nostro Parlamento e il nostro Paese ad assumere nuovi elementi importanti, per fare luce e chiarezza su questa grande tragedia della nostra Repubblica.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Preziosi. Ne ha facoltà.

  ERNESTO PREZIOSI. Grazie Presidente. Desidero soffermarmi in primo luogo sull'opportunità dell'istituzione della Commissione d'inchiesta. Come si diceva, non pochi si sono chiesti se fosse stato necessario attivare questo percorso di una nuova Commissione. Eppure la Commissione stessa, con i due anni di attività, con le due relazioni conclusive dei rispettivi anni, ha dato una risposta di novità, che si aggiunge ad elementi utili alla ricerca per affrontare quella pagina con modalità diverse, che non si escludono e che vedono impegnati, su quello stesso filone di accertamento della verità, anche il potere giudiziario e, come dire, l'apporto degli storici.
  Vi è indubbiamente, nel percorso giudiziario, un grande aiuto, anche attraverso la conoscenza degli atti, che sono stati acquisiti dalla Commissione, di quelli che sono stati i vari processi, che sono stati dedicati dall'autorità giudiziaria all'accertamento della verità sul caso Moro.
  E vi è poi la ricerca della storia che, accanto alla cronaca o alla migliore informazione d'inchiesta, utilizza un metodo diverso, un metodo scientifico, per approfondire e per giungere alla verità storica, attraverso l'utilizzo delle fonti, l'interpretazione dei fatti e delle testimonianze.
  Questi due percorsi, quello giudiziario e quello storico, hanno compiuto solo in parte il loro compito. Nuovi fascicoli sono stati aperti dalla Procura di Roma e, come sappiamo, la ricerca storica non è mai conclusa, per quanti volumi si possano pubblicare, ed avrà anzi, dai lavori della Commissione, io ritengo, nuove piste, lungo cui incamminarsi, oltre che il vantaggio di una digitalizzazione delle fonti, che può essere un vantaggio non di poco conto per chi studia e per chi è abituato a utilizzare quelle fonti.
  Vi è poi il livello politico. Il Parlamento può istituire Commissioni d'inchiesta ed è importante che esista questo livello, che è cosa altra, come ho detto, da quello giudiziario e da quello storico, ma che si incontra con queste realtà, al fine di stabilire nel modo migliore una verità, per quanto conoscibile.
  Come sappiamo, le Camere sono autorizzate dalla Costituzione ad istituire Commissioni, in virtù dell'articolo 82 della Costituzione, e la dottrina si è interrogata anche sul senso, sulla funzione stessa e sulle modalità di queste Commissioni, distinguendo tra una natura strumentale delle Commissioni, a causa della connessione con le funzioni legislative, di indirizzo e di controllo, spettanti alle Assemblee, e una funzione maggiormente autonoma. Al Parlamento, secondo una parte della dottrina, dovrebbe essere riconosciuta Pag. 52piena capacità di svolgere un'attività emancipata e svincolata dal punto di vista funzionale.
  Perché allora avere riaperto una Commissione sul caso Moro ad oltre 36 anni dalla strage di via Fani e da quell'omicidio ? Il Parlamento, nell'approvare l'istituzione di una Commissione d'inchiesta, ha ritenuto di instaurare qualche cosa che poteva davvero, in dialogo con le realtà, specie con la magistratura e con il potere giudiziario, accertare qualche cosa di nuovo, non solo nei singoli fatti, ma nell'interpretazione complessiva.
  E, svolgendo il suo compito, la Commissione ha raggiunto le finalità di trovare nuovi elementi, che potessero integrare le conoscenze acquisite dalle precedenti Commissioni per un verso e dalle attività della magistratura, e l'altra finalità che ci si era proposti, cioè quella di individuare eventuali responsabilità sui fatti, riconducibili ad apparati. Si diceva nella prima relazione: a strutture e organizzazioni comunque denominati, ovvero a persone a esse appartenenti o appartenute. Questo secondo punto è un punto delicato e di grande importanza, rispetto alla finalità politica anche della Commissione d'inchiesta bicamerale.
  In questo quadro, in ossequio anche al principio costituzionale della leale collaborazione tra poteri dello Stato, la Commissione ha ritenuto di segnalare tempestivamente a diversi uffici giudiziari, per l'eventuale seguito di competenza, questo o quel fatto rilevato nei lavori della Commissione medesima.
  In particolare è stata attivata più di una volta la procura della Repubblica di Roma e numerose sono state le acquisizioni, come dicevo, documentali e gli accertamenti svolti dai collaboratori della Commissione e dagli organi di polizia messi a disposizione in questo caso, così come numerose sono state le audizioni, oltre che di testimoni oculari e dei protagonisti, anche di magistrati e di studiosi.
  Come è stato notato nelle conclusioni del primo anno di lavoro della Commissione, le indagini sul caso Moro presentano e presentarono fin dall'inizio evidenti profili di criticità, riconducibili a diversi fattori, che richiamo perché mi paiono importanti. Quali sono questi fattori di criticità ? Le tensioni tra potere esecutivo e autorità giudiziaria nell'affrontare una vicenda di così drammatico rilievo per la storia del Paese hanno contribuito a rallentare l'azione degli inquirenti e ad evidenziare, in più di un caso, la perizia degli stessi; la pressione esercitata dall'elevata attenzione mediatica e politica che il sequestro Moro suscitava; e, ancora, l'intervento diretto di esponenti di Governo nella conduzione delle indagini; la difficoltà di gestire l'enorme mole di informazioni, che, in buona fede o con qualche aspetto interessato, affluivano dalle fonti più disparate, senza considerare eventuali interferenze e condizionamenti di altro genere.
  Ebbene, il lavoro della Commissione, contenuto in sintesi nelle due relazioni, ci dice che anche l'avvenuta proroga dei lavori della Commissione medesima sta dando quei risultati che ci si poteva augurare.
  E non sono solo le ulteriori acquisizioni documentali, come dicevo, o gli accertamenti fatti, ma anche l'apertura di nuovi profili, di nuove piste su cui lavorare e che il presidente opportunamente richiamava nell'intervento fatto poco fa.
  La Commissione ha avuto uno spazio importante nel fare l'approfondimento anche di quel mondo difficile che riguarda le relazioni internazionali e i rapporti fra i vari servizi di sicurezza ed è proprio su questo filone che abbiamo avuto forse le aperture di lettura più interessanti dei lavori della Commissione.
  Un passaggio importante è quello che riguarda proprio – come veniva richiamato – i rapporti tra le Brigate Rosse e i palestinesi, il ruolo avuto dal colonnello Giovannone, la via della trattativa, sicuramente una pagina importante, così come l'altra pagina che in maniera particolare mi ha in qualche modo interessato, seguendo i lavori, è quella della pista dell'istituto Hyperion: riguardo a questo istituto, così come aveva segnalato nella sua audizione dell'11 novembre del 2015 il magistrato Calogero, che aveva indagato a Pag. 53lungo su Hyperion, ebbene lui diceva di essere convinto che quella scuola di lingue gravitasse nell'orbita della CIA e che le tre sedi (Parigi, Londra e Bruxelles) fossero un modo di garantire di monitorare il territorio e all'occorrenza porre in atto gli interventi per la politica di sicurezza mondiale perseguiti dagli Stati Uniti; e questo è un altro punto molto importante e molto interessante, così come – e credo che sia sottolineato nella relazione del secondo anno dei lavori – le zone grigie che vanno emergendo non riguardano appena esclusivamente le indagini compiute a suo tempo o i loro limiti, ma anche – e in maniera tutt'altro che marginale e secondaria – la versione brigatista codificatasi sulla base del memoriale Morucci e degli interventi pubblicistici di molti terroristi, a partire dalla fine di quegli anni Ottanta.
  Torno alla domanda iniziale: perché, in definitiva, continuare la ricerca della verità ? Perché farlo in una sede politica ? Perché coinvolgere il Parlamento ? La forza della democrazia è nella sua capacità di verità.
  La pagina della storia nazionale in cui l'ordinamento democratico ha saputo reggere alla spinta dissolvitrice del terrorismo non può rimanere velata da una mezza verità, da dubbi e segreti, da intrecci irrisolti politico-criminali, perché il rischio che determinati fatti si possano ripetere è sempre all'ordine del giorno.
  Voglio dire che, nel partecipare ai lavori della Commissione, ancora una volta mi è parsa evidente la necessità, in questa presente stagione, di una presa di coscienza ancora più forte dell'importanza della politica e della sua responsabilità.
  Il caso Moro dice molto, al di là delle risultanze processuali, dice molto alla politica di oggi, a questo Parlamento, alle forze politiche che vi sono rappresentate, formazioni politiche nuove rispetto a quel contesto storico, ma anche per questo nella necessità di confrontarsi su ciò che rende vive e democratiche le istituzioni, sul senso stesso delle istituzioni democratiche e sul primato della politica.
  Nel richiamare l'importanza della politica, del suo ruolo e della sua necessità, mi pare interessante citare un autore tedesco, un filosofo, Anders, allievo di Husserl, che parlando della sindrome di Nagasaki diceva così: «La sindrome di Nagasaki implica che ciò che ieri è veramente accaduto può accadere ancora e di nuovo anche oggi, fino a che non ne avremo cambiato fondamentalmente i presupposti, poiché il ripetersi del mostruoso non solo è possibile, ma è probabile e la probabilità di vincere la lotta contro la ripetizione è minore della probabilità di perderla».
  È un rischio, è una difficoltà che il pensiero di uno statista come Moro sulla democrazia e sulla democrazia sociale non appena sulla democrazia affidata alle istituzioni, ci potrebbe avere insegnato in più di un aspetto come coniugarlo con il presente.
  Allora la storia del popolo italiano – e concludo – è la storia tutta intera di questo Paese, senza buchi neri o omissioni, tutt'al più con la comprensione e con le cicatrici che portano alla comprensione dei suoi traumi.
  Il lavoro della Commissione ha contribuito a questa chiarificazione e può fare ancora, nella parte che le rimane, il suo compito in maniera egregia.
  Non c’è futuro senza passato ed ogni cittadino deve disporre di elementi di conoscenza sulla storia del proprio Paese e di strumenti culturali che gli consentano di interpretare la realtà che lo circonda, fino al passato più recente.
  È uno sforzo di riappropriazione della storia cui deve contribuire anche la politica, nella certezza che la conoscenza dei fatti e delle motivazioni che hanno portato a quei fatti è ancora fondamentale per la storia del nostro Paese.
  L'ultima battuta è di un intellettuale bosniaco, Matvejevic, che riferendosi alla storia dolorosa del suo Paese diceva: «Prima di voltare pagina, bisogna leggerla».
  È il punto di fondo anche del caso Moro e di questa vicenda.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Grassi. Ne ha facoltà.

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  GERO GRASSI. Grazie signora Presidente, signor sottosegretario e onorevoli colleghi, chi era Aldo Moro ? Pugliese, nato a Maglie, eletto alla Costituente nel 1946, professore universitario di filosofia del diritto e diritto penale all'Università di Bari.
  In quest'Aula, in occasione della Costituente, Moro fu il protagonista dell'articolo nel quale si parla di riconoscimento di diritti alla persona.
  Moro parlava di persona, il cittadino viene dopo e spiegò che il riconoscimento era importante perché, a differenza dello Statuto Albertino, dove si parlava di concessione, quando c’è il riconoscimento di diritti nessuno li può togliere, se no viene meno lo Stato democratico.
  Sottosegretario agli esteri, Ministro di grazia e giustizia, si impegna per il valore rieducativo della pena e fa eliminare il famoso «fine pena mai», perché la funzione della pena non può che essere rieducativa.
  Ministro della pubblica istruzione, dopo aver fatto il capogruppo della DC si impegna per il raddoppio dell'obbligatorietà, passando dalla scuola elementare alla scuola media, cosa che realizza da Presidente del Consiglio.
  Da Ministro della pubblica istruzione favorisce e sponsorizza il famoso programma «Non è mai troppo tardi», quella televisione in bianco e nero che ha educato oltre 3 milioni di italiani.
  Presidente del Consiglio, realizza la nazionalizzazione dell'energia elettrica e finalmente la scuola media obbligatoria.
  Personaggio amato dal popolo e odiato dai poteri: è del 1963-64 la prima notizia del rapimento e dell'omicidio Moro: Piano Solo, generale De Lorenzo, con molti carabinieri.
  Il caso Moro non inizia il 16 marzo 1978, inizia molto prima.
  Abbiamo l'episodio del 25 settembre 1974, riferito da presenti e dalla moglie di Moro in tribunale, quando Henry Kissinger dice: «Presidente, lei deve interrompere la sua volontà di portare tutte le forze del suo Paese a collaborare direttamente. Questo è un avvertimento ufficiale, veda lei come vuole intenderlo».
  Abbiamo l'episodio del 3 agosto 1974, quando Moro, due minuti prima che il treno Roma-Monaco parta dalla stazione Roma Termini, viene fatto scendere dal treno e quel treno è l'Italicus, che quella sera salta in aria nella galleria poco prima di Bologna.
  La magistratura dell'epoca accerta che la polvere pirica utilizzata per quel treno è la stessa di Piazza Fontana, Banca nazionale dell'agricoltura, Piazza della Loggia, strage della stazione di Bologna (dopo) e accerta anche che non è a disposizione degli italiani, ma di un organismo sovranazionale.
  Moro favorisce prima l'ingresso dei socialisti al Governo e poi favorisce quello dei comunisti e dice nel Transatlantico a Vittorio Cervone, nel novembre 1977: «Caro Vittorio, ci faranno pagare caramente la nostra linea politica, ma la democrazia italiana ne guadagnerà».
  Sono tante le prime pagine di certi giornali italiani nei quali si auspica la morte di Moro, nei quali si auspica l'omicidio di Moro: penso su tutti, per esempio, a Candido, a Specchio, OP, Il Borghese, giornali legati alla destra eversiva e giornali legati alla P2, che, nel caso Moro, non è affatto secondaria, tanto da indurre l'ex presidente della Commissione P2, Tina Anselmi, a dire: «Non possiamo capire il caso Moro, se non capiamo quello che è stata la P2 in quegli anni».
  Fatta questa premessa, perché noi ci siamo avventurati, perché questo è il termine esatto, nella proposta che ha portato all'approvazione della legge istitutiva della II Commissione Moro ? Certamente non per un esercizio della retorica, né tanto meno per guardare a ieri; lo abbiamo fatto per guardare al domani, per cercare di dare sicurezza, stabilità, certezza del diritto e democrazia a questo Paese e soprattutto ai giovani del futuro. La Commissione Moro non ha gestito nulla, se non una immensità di problemi e di soluzioni. Perché noi abbiamo voluto istituirla ? Perché la lettura degli otto processi Moro, Pag. 55delle quattro Commissioni terrorismo e stragi, della Commissione P2 e della Commissione Mitrokhin, circa 3 milioni di pagine, faceva balenare agli occhi delle persone oneste che quello che scrivevano non corrispondeva alla realtà. Ci sono stati alcuni in questi anni tra i magistrati, tra i brigatisti, tra le forze dell'ordine, anche nella politica, che hanno detto che si sa tutto sul caso Moro, che si sa tutto sulle Brigate Rosse. Guarda caso, chi dice queste cose lo dice perché protagonista, da un lato o dall'altro, dei 55 giorni e di quello che ha seguito. Nell'Aula del Senato il 9 maggio del 1979 un grande uomo di cultura italiana, Carlo Bo, già rettore dell'università di Urbino, ebbe a dire, parlando del caso Moro: «delitto di abbandono». Sì, Moro fu abbandonato da tutti e, quando dico tutti, intendo dire tutti, tranne qualcuno della propria famiglia. Perché cerchiamo di riportare a galla la verità ? Moro diceva: «La verità è sempre illuminante e ci aiuta ad essere coraggiosi». Come si fa a sostenere che sul caso Moro si sa tutto, se è vero, come è vero, che noi in Commissione abbiamo riscontrato omissioni, palesi contraddizioni, divagazioni culturali di chi invece è tenuto ad eseguire indagini precise, omissioni da parte della magistratura, di certa magistratura che avrebbe dovuto assumere provvedimenti che non ha fatto, evidenti bugie di alcuni brigatisti che addirittura non ricordavano o non sapevano o hanno detto di non conoscere documentazioni che avevano nelle proprie tasche, ricostruzioni completamente false alle quali ha accennato anche il presidente Fioroni ? Noi non sappiamo ancora chi erano i tedeschi che stavano in via Fani perché abbiamo la certezza che in via Fani si sia parlato in tedesco, noi non abbiamo ancora la ricostruzione precisa del luogo dal quale provenivano i colpi, di chi ha sparato in via Fani. Io senza metafora ho detto che in via Fani c'erano «anche» le Brigate Rosse e intendo dire che certamente le Brigate rosse sono responsabili, ma con loro c'erano altri. È possibile che questa Commissione, senza un euro a disposizione, perché questa Commissione ha anche il pregio di aver operato senza spesa, ha riscontrato dopo 37 anni che un bar, il bar Olivetti, sempre citato come chiuso, dalla magistratura e dal giornalismo, quel giorno invece era aperto. Nel bar Olivetti c'era l'epicentro del rapimento di Aldo Moro, il bar Olivetti era frequentato da Frank Coppola, mafia siculo-americana, da Tano Badalamenti, responsabile dell'omicidio di Peppino Impastato, da Camillo Guglielmi, che era il vicecomandante generale di Gladio. Nel bar Olivetti si assemblavano armi acquistate a 8.000 e vendute a 800.000 in tutto il terrorismo mondiale. Il bar Olivetti era di due coniugi, che non erano mai stati fermati, pur presenti a Bologna nei giorni immediatamente precedenti alla strage della stazione.
  Sul bar Olivetti il dottor Armati, sostituto procuratore della Repubblica, ha detto che i carabinieri non lo hanno informato di quello che succedeva lì dentro. Il dottor Armati in Commissione ha anche detto che non era vero che il bar Olivetti era fallito, come scrivono le cronache giudiziarie: avevano detto che era fallito perché lì stava chi doveva intervenire, accanto alle Brigate Rosse. Questa Commissione, dopo che per anni si è discusso della famosa moto Honda di via Fani, è arrivata alla ricerca che in via Fani c'erano almeno due moto Honda. Chi erano i proprietari, i conducenti di quelle due moto Honda ? Perché qualcuno continua a negare ? Perché certi armadi non si aprono ? Perché non si vuol favorire la verità ? Perché il potere, intendendo questo per il potere culturale, quello economico, quello militare, quello giudiziario, quello politico, quello ecclesiastico, non vuole la verità sul caso Moro, che sembra riguardare alcuni deputati e senatori facenti parte dell'attuale Commissione Moro, quasi fosse un fatto privatistico, e privatistico non è, perché la soluzione e la verità sul caso Moro non riguarda il passato, riguarda la speranza che questo Parlamento ha il dovere di offrire alle generazioni future. Come si fa a dire che sul caso Moro sappiamo tutto ?Pag. 56
  Noi abbiamo la prova, la certezza che non si sa tutto; non a caso, durante i lavori di questa Commissione – e io ringrazio tutti quelli che hanno lavorato per la Commissione, i consulenti, i dipendenti e i funzionari – sono state riscontrate negli scantinati della Procura della Repubblica di Roma svariate decine di cassette, alle quali erano allegate delle schede; su quelle schede ci sono nomi, cognomi, abitudini, usanze, indirizzi di alcuni nomi illustri della nostra Italia uccisi, da Bachelet a Tartaglione, da Amato a Minervini, e quelle schede non erano mai state decriptate e noi oggi sappiamo chi ha scritto quelle schede, una persona che non è mai stata condannata per il caso Moro e che è riuscita a dimostrare di essere entrata nella Brigate Rosse dopo il 16 marzo. Invece ci sono le prove che la notte tra il 17 e il 18 luglio a Firenze, vicino al carcere di Sollicciano, questa persona, che corrisponde al professore universitario di Siena, Giovanni Senzani, aveva ospitato dei brigatisti pluriricercati e pluriomicidi.
  Abbiamo le dichiarazioni di alcuni magistrati che in Commissione hanno detto che i provvedimenti della Procura Repubblica di Firenze, nonostante le pressioni di questi magistrati, non venivano eseguiti in termini di arresto nei confronti di persone alle quali a casa avevano trovato lanciamissili, kalashnikov e bombe. Abbiamo la testimonianza di magistrati, che ci hanno indotto a riflettere, quando hanno detto: «Lo Stato, la comunità, può battere il terrorismo, la mafia, la camorra, la ’ndrangheta, l'ISIS, a condizione che i consulenti nostri non siano i consulenti della controparte» E, all'obiezione di alcuni commissari: «Ma che vuol dire» ? il povero dottor Tindari Baglione, che è deceduto nel frattempo, ci disse che il professor Giovanni Senzani faceva il consulente al Ministero di grazia e giustizia la mattina, il pomeriggio faceva il capo delle Brigate Rosse. Chi era il professore irregolare della casa di Firenze che preparava le domande per Moro ? Certamente non Mario Moretti, semplice perito industriale di bassa cultura. Chi era l'anfitrione della casa di Firenze, che faceva questo ? Perché a via Monte Nevoso a Milano c’è stato il «caso 1» e il «caso 2» ? Perché sono state sottratte e trafugate le carte di Moro da via Monte Nevoso 1, perché la Monte Nevoso 2 è tutta una barzelletta ? Perché qualcuno ancora dubbioso non va a leggersi i verbali del Consiglio dei Ministri dei 55 giorni ?
  Quando Giulio Andreotti, Presidente del Consiglio, afferma che lo Stato ha deciso di non trattare, dice il falso; soltanto Leonardo Sciascia lo aveva capito. Lo Stato non ha mai discusso, all'interno del Consiglio dei Ministri, se trattare o meno e, guarda caso, l'affermazione di Andreotti corrisponde ad un'affermazione fatta dall'onorevole Ugo Pecchioli, il tutto nelle cassette registrate dal senatore Giovanni Spadolini, Fondazione Spadolini di Firenze. Nel 1991, mentre il Presidente Spadolini parla con il Presidente Cossiga, Cossiga gli dice: «Ugo Pecchioli, in nome e per conto del Partito Comunista, mi ha comunicato che, indipendentemente dall'esito dei 55 giorni, Aldo Moro è morto in via Fani». Se Democrazia Cristiana e Partito Comunista il 16 marzo dichiarano che la trattativa non si fa e che Moro è morto in via Fani, chi lo salva Moro ? Certamente non lo può salvare il generale dei carabinieri Francesco Delfino che, così come ci ha raccontato il generale dei carabinieri Nicolò Bozzo, nella prefettura di Genova era contiguo al professor Giovanni Senzani ed era contiguo alla ’ndrangheta calabrese.
  Abbiamo la presenza del Mossad che offre armi e soldi alle Brigate Rosse; abbiamo la certezza che la CIA e il KGB, che si combattevano nel mondo, erano insieme per evitare la democrazia compiuta di Aldo Moro; abbiamo la certezza che nella casa del professore universitario Giorgio Conforto il 29 maggio del 1979, lì dove vengono arrestati Morucci e Faranda e viene trovata la Skorpion che ha ucciso Moro, lì, in quella casa di uno dei più autorevoli e prestigiosi esponenti del KGB in Italia, ahimè si riscontra carta dello IOR di Marcinkus, con l'indirizzo privato di Marcinkus; si riscontra carta dell'istituto religioso Pro Deo, il cui capo è padre Pag. 57Morlion, che è il capo degli agenti della CIA in Italia, nonostante l'abito talare. Convergenze parallele dispregiative: CIA, KGB, un pezzo del Vaticano. Mentre il Papa raccoglie 10 miliardi fuori dal Vaticano per salvare Moro, lo IOR di Marcinkus, filoamericano, partecipa al dramma di Aldo Moro.
  Il presidente Fioroni ha detto giustamente che alcuni atti sono coperti da segreto istruttorio, ma possiamo affermare, senza tema di smentita, che il primo ritrovo del covo di Aldo Moro, nonostante fosse stato segnalato il 17 marzo 1978 dalla Guardia di finanza (generale Giudice), non è mai stato trovato e non era certamente quello di via Montalcini ma in un'altra zona di Roma, in un palazzo extraterritoriale citato soltanto da Mino Pecorelli in un famoso articolo, quando parla del palazzo a quattro o a cinque piani. Sappiamo anche che in quel palazzo extraterritoriale ci sono delle abitazioni riconducibili a due cardinali e uno di questi è Marcinkus; sappiamo che in quel palazzo c’è una società riconducibile alla CIA; sappiamo anche che un professore universitario attendeva Moro lì, con un'evidente parrucca di donna. Oggi stiamo sapendo queste cose nella totale distrazione di quanti non vogliono capire, non vogliono sentire e non vogliono vedere. Perché lo facciamo ? Per l'ambizione folle di resuscitare un cadavere ? No ! Lo facciamo per dare giustizia a quella persona, lo facciamo per dare giustizia agli eredi dei figli dei poliziotti e dei carabinieri selvaggiamente uccisi in via Fani; lo facciamo nella speranza che siano stati uccisi solo dai brigatisti, ma abbiamo la sensazione, direi quasi la certezza, che quelle mani sporche, che hanno ucciso quelle cinque persone, non erano soltanto quelle delle Brigate Rosse.
  Abbiamo il dovere, quindi, di consegnare al Paese la verità, non la nuova verità, ma la verità, perché la verità sulla quale si è basato il caso Moro finora è frutto di un memoriale Morucci-Faranda scritto elegantemente da un giornalista, Remigio Cavedon, che era il condirettore de Il Popolo, il giornale della Democrazia Cristiana. Attenzione, però: nel caso Moro mai generalizzare; sono i singoli che hanno agito. I singoli erano: Paolo VI, che definì Aldo Moro un uomo amico, mite e buono; i singoli erano quelli che erano per la trattativa, quelli che volevano trattare; i singoli erano quelli che con il loro comportamento accompagnarono questo dramma che non è ancora finito, perché tutt'oggi noi siamo in assenza di una democrazia compiuta.
  Moro diceva: «Questo Paese non si salverà. La stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera se non sorgerà un nuovo senso del dovere». Questa è una frase che ha detto durante la infuocata campagna elettorale del 1976, quella del temuto sorpasso dei democristiani o dello sperato sorpasso del Partito comunista, quella campagna elettorale contraddistinta da «otturatevi il naso e votate DC» di Indro Montanelli che non disdegna per Il Giornale, così come non disdegna La Repubblica nello stesso anno, di acquisire finanziamenti inglesi finalizzati a combattere la politica morotea. Su tutto questo pesa Yalta, su tutto questo pesa il ruolo nebuloso della P2, trasversale rispetto a tutte queste omissioni, a queste disfunzioni, a queste verità-bugia. Io credo che la Commissione di inchiesta «Moro 2» abbia contribuito in maniera ampia, molto ampia, ad estrarre il cadavere di Moro dalla Renault 4. C’è stato qualcuno che quella Renault ha tentato di blindarla; noi abbiamo estratto un cadavere e con quel cadavere abbiamo estratto anche le grandi bugie.
  Concludo dicendo che non è possibile, se pensiamo alla Renault, che quattro uomini, quattro brigatisti, Morucci, Moretti, Maccari e Gallinari, si autoaccusino dell'omicidio Moro. Dicono di averlo effettuato nella Renault 4, ma tutta la testimonianza probatoria dell'omicidio non corrisponde: non corrispondono le impronte sulla Renault, non corrispondano i colpi, il numero dei colpi, il numero dei colpi silenziati, le traiettorie, il luogo dove è stato ucciso Moro, che certamente non è il cofano della Renault, così come certamente non è via Montalcini il luogo nel Pag. 58quale è stato Moro, perché in quel luogo una persona che fosse stata tenuta per 55 giorni ne sarebbe uscita martoriata non solo nell'animo ma anche nel fisico e nelle ossa. Invece, l'autopsia ci dice che Moro era in condizioni eccellenti, ci dice che era abbronzato, ci dice che aveva le ossa in una condizione direi quasi atletica. L'autopsia ci dice anche un'altra cosa: che rispetto a quanto dichiarato dei brigatisti: «Moro è morto sul colpo», i RIS, attraverso il colonnello Ripani, in Commissione hanno dimostrato che sul bavero sinistro della giacca di Moro c'era un rigurgito salivare deglutito 40 minuti dopo la sparatoria, ma da Moro vivo. Moro è stato rinchiuso nel cofano dalla Renault quando era ancora vivo. Ecco perché io ritengo, da un lato, di sottolineare la valenza e la funzione dell'iniziativa legislativa voluta dal Partito Democratico quando ha presentato la proposta di legge, peraltro firmata da quasi tutti i gruppi presenti in Parlamento, e sottolineare la funzione positiva del lavoro della Commissione che, sono certo, continuerà alacremente fino a fine legislatura, non per dire un'altra verità ma per raccontare al Paese la verità, in quanto quella che è emersa sinora non lo era affatto.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione congiunta.

(Annunzio di una risoluzione)

  PRESIDENTE. Avverto che è stata presentata la risoluzione Grassi, Kronbichler, Pizzolante, Piepoli, Pisicchio, Distaso n. 6-00289, che è in distribuzione (Vedi l'allegato A – Risoluzione).
  Prendo atto che il rappresentante del Governo, anche al fine di esprimere il parere sulla risoluzione presentata, si riserva di intervenire in altra seduta.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Martedì 24 gennaio 2017, alle 11:

  1. Svolgimento di una interpellanza e interrogazioni.

  2. Seguito della discussione della proposta di legge:
   IACONO ed altri: Disposizioni per l'istituzione di ferrovie turistiche mediante il reimpiego di linee in disuso o in corso di dismissione situate in aree di particolare pregio naturalistico o archeologico (C. 1178-A).
  Relatrice: Mura.

  3. Seguito della discussione delle mozioni Mantero ed altri n. 1-01463, Rondini ed altri n. 1-01475, D'Incecco ed altri n. 1-01476, Palese ed altri n. 1-01477, Nicchi ed altri n. 1-01478, Vargiu ed altri n. 1-01479, Binetti ed altri n. 1-01480, Gullo ed altri n. 1-01483 e Calabrò e Bosco n. 1-01484 concernenti iniziative in relazione al fenomeno della resistenza agli antibiotici.

  4. Seguito della discussione della proposta di legge:
   S. 1375 – D'INIZIATIVA DEI SENATORI: PAGLIARI ed altri: Modifica alla legge 20 dicembre 2012, n. 238, per il sostegno e la valorizzazione del Festival Verdi di Parma e Busseto e del Roma Europa Festival (Approvata dal Senato) (C. 4113).
  Relatrice: Piccoli Nardelli.

  5. Seguito della discussione delle mozioni Airaudo ed altri n. 1-01451, Simonetti ed altri n. 1-01481 e Capezzone ed altri n. 1-01482 concernenti iniziative in relazione ai quesiti referendari in materia di Jobs Act.

  6. Seguito della discussione congiunta delle Relazioni sull'attività svolta, approvate dalla Commissione parlamentare di Pag. 59inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro (Doc. XXIII, nn. 10 e 23).

  La seduta termina alle 16,35.

TESTO DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: GIUSEPPE FIORONI (DOC. XXIII, nn. 10 e 23)

  GIUSEPPE FIORONI (Relazione Doc. XXIII, nn. 10 e 23). Illustrerò brevemente la prima relazione sull'attività svolta, che la Commissione di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro ha approvato all'unanimità nella seduta del io dicembre 2015, e la seconda relazione, che è stata approvata – con una sola astensione – nella seduta del 20 dicembre 2016.
  Vorrei innanzi tutto sottolineare questa larga condivisione, perché essa dimostra la serietà dell'approccio con cui tutte le forze politiche si sono accostate a una delle vicende più gravi della storia repubblicana, una sorta di luogo oscuro della memoria, che ha condizionato a lungo la vita nazionale anche perché non si è riusciti a corrispondere pienamente a una irrinunciabile esigenza di verità.
  La Commissione ha ricevuto dalla legge istitutiva il mandato a accertare nuovi elementi che possano integrare le conoscenze acquisite dalle precedenti Commissioni parlamentari di inchiesta e eventuali responsabilità nella vicenda del sequestro e dell'assassinio di Moro.
  Per fare ciò, la Commissione ha dovuto confrontarsi con le risultanze di cinque processi e di due inchieste parlamentari, ma anche con una pubblicistica sovrabbondante, talora omissiva, talora interessata a promuovere artificiose novità, che rischia di disorientare il discorso pubblico e la consapevolezza dei cittadini.
  Di fronte a questa situazione, che ha alimentato non poche speculazioni sull'inutilità di un'inchiesta parlamentare sul tema, la Commissione si è data come obiettivo quello di acquisire elementi documentalmente certi e prove giuridicamente apprezzabili, eventualmente anche in sede giudiziaria. Si è cioè rinunciato alla tentazione di fare una sorta di storiografia parlamentare sul caso Moro, ma non si è rinunciato a formulare nelle due relazioni che oggi sono all'attenzione dell'Assemblea alcune ipotesi interpretative che saranno oggetto di verifiche nei prossimi mesi.
  Alla luce degli approfondimenti compiuti, posso dire che questa scelta di metodo, condivisa dall'intera Commissione, ha consentito di sottoporre a una revisione critica il complesso delle indagini svolte in passato dalla magistratura e dagli organismi parlamentari, evidenziandone lacune e limiti e individuando nuovi elementi che concorrono a definire una interpretazione della vicenda Moro per molti aspetti nuova.
  Ciò è avvenuto non senza difficoltà. La morte di molti testimoni diretti, la latitanza di alcuni brigatisti – come Alessio Casimirri – e la reticenza di altri, in alcuni casi la scomparsa della stessa documentazione di indagine sono stati un grave problema. D'altro canto, l'uso di nuove tecnologie e metodologie investigative ha consentito di svolgere accertamenti precedentemente impossibili.
  Le due relazioni sull'attività della Commissione non costituiscono ancora un'interpretazione complessiva della vicenda Moro. Esse sono piuttosto una prospettazione, in alcuni casi più avanzata in altri meno, di temi e questioni che troveranno una loro definitiva sistemazione nella relazione finale.
  Naturalmente, non si dà conto di accertamenti e indagini della Commissione ancora in corso di svolgimento e tanto meno delle indagini che la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma e la Procura generale presso la Corte di appello di Roma stanno svolgendo, nel quadro di un rapporto di stretta collaborazione istituzionale con la Commissione.
  Nei limiti del tempo a disposizione darò conto dei principali approfondimenti compiuti che – come ho detto – già Pag. 60sembrano delineare una interpretazione innovativa su molti aspetti della vicenda Moro.
  La strage di via Fani. La Commissione ha individuato i filoni di indagine da sviluppare seguendo prevalentemente l'ordine cronologico dei fatti oggetto dell'inchiesta.
  Si è dunque inizialmente concentrata sugli avvenimenti della prima metà dei 55 giorni del sequestro di Aldo Moro.
  In questa prospettiva, si è cercato innanzi tutto di ricostruire l'esatta dinamica della strage di via Fani e di chiarire i numerosi interrogativi rimasti aperti sul numero di terroristi che vi presero parte, sugli appoggi logistici di cui poterono eventualmente godere, sulle modalità di fuga dalla scena del crimine. A tale scopo sono state condotti esami balistici e sono stati sentiti molti testimoni della strage, inclusi alcuni che non avevano precedentemente reso deposizioni.
  La Commissione ha accertato diversi elementi che sembrano indicare che esisteva una forte consapevolezza di un'allerta per la sicurezza di Moro, che non fu adeguatamente valutata. Oltre alle segnalazioni che giunsero dal Centro Sismi di Beirut su una prossima azione terroristica, solleva molti interrogativi il fatto che nei giorni immediatamente precedenti la strage di via Fani il capo della Polizia e il dirigente della Digos di Roma si recarono nello studio di Moro, per conferire con lui o con i suoi collaboratori. Così pure, la ricostruzione delle tempistiche degli spostamenti del dirigente della Digos di Roma la mattina della strage di via Fani sembrerebbe indicare una precoce consapevolezza che si era realizzato un atto di terrorismo, se non previsto, quanto meno temuto.
  Per quanto riguarda la ricostruzione dell'azione brigatista di via Fani, è stato particolarmente importante il lavoro della Polizia scientifica che ha consentito, per la prima volta, di ricostruire le traiettorie degli spari o i «coni di fuoco», sulla base dei rilievi eseguiti nelle autovetture coinvolte.
  Nell'ambito delle indagini sono stati pure raccolti diversi elementi sulla presenza, in via Fani, di una moto di grossa cilindrata, che alcuni testimoni hanno descritto come direttamente coinvolta nell'azione dei brigatisti e altri come presente immediatamente dopo l'attacco alle auto di Moro e della scorta. Sulla base di tali testimonianze, in parte divergenti, non si può escludere la presenza di due diversi veicoli, sulla quale sono ancora in corso accertamenti.
  Le presenze `ndranghetiste in via Fani. La Commissione ha pure approfondito la questione di una serie di «presenze» – anche non brigatiste – sulla scena del crimine, anche attraverso numerose escussioni di testimoni. Le indagini, ancora in corso, hanno preso in esame numerosi temi, su cui la relazione finale darà una valutazione definitiva. Mi limito ora a richiamarne il fatto che le attività di comparazione fotografica delegate al RIS hanno condotto a formulare l'ipotesi della presenza, sulla scena del crimine, di un esponente `ndranghetista, Anonio Nirta (1946), di cui già in passato alcuni pentiti avevano suggerito una partecipazione alla vicenda Moro.
  Tale presenza, forse legata all'esistenza di traffici di armi, potrebbe essere pure in relazione alla scomparsa di alcuni rullini di foto scattate in via Fani che alcuni testimoni hanno dichiarato di aver consegnato agli inquirenti.
  Il bar Olivetti e i traffici di armi. La Commissione si è lungamente interrogata su una possibile funzione del bar Olivetti, posto all'incrocio tra via Fani e via Stresa, nella dinamica dell'azione brigatista. Ricordo che il bar non era mai stato oggetto di indagine nonostante che gli stessi brigatisti abbiano dichiarato di aver atteso l'arrivo delle auto di Moro e della scorta nascosti dietro le fioriere del bar, che era fallito alcuni mesi prima.
  La Commissione ha accertato che le indagini a suo tempo compiute sul bar e sul suo titolare rimasero – inspiegabilmente – in uno stato embrionale, nonostante che una informativa del SISMI ai Carabinieri, redatta poco dopo la morte di Pag. 61Moro, segnalasse che proprio la chiusura del bar, per uno «strano» fallimento, aveva reso tecnicamente possibile l'azione brigatista.
  Gli accertamenti della Commissione hanno inoltre evidenziato che il titolare del bar, nel corso del 1977, era stato coinvolto in una indagine su un traffico internazionale di armi, che coinvolgeva la `ndrangheta e il Libano, e non era stato sentito dagli inquirenti in quanto si era reso irreperibile. L'inchiesta sul traffico di armi si era poi ridimensionata perché si era accettata la tesi che si trattasse di armi «giocattolo» o «armi sceniche» cioè non immediatamente utilizzabili e a causa di una perizia medica dei prof. Ferracuti e Semerari, che avevano individuato elementi di mitomania nel principale imputato.
  Grazie alle indagini condotte dalla Procura generale di Roma e a una serie di escussioni e audizioni della Commissione, è stato invece accertato che le armi oggetto del traffico potevano essere facilmente rese efficienti da officine che, all'epoca, operavano per la criminalità organizzata.
  Di qui l'ipotesi, in corso di verifica, che il bar Olivetti fosse in relazione a traffici di armi che coinvolgevano la criminalità organizzata.
  A tale proposito, la Commissione ha compiuto un'attenta analisi dei proiettili utilizzati dai brigatisti in via Fani, dalla quale è emerso che – al contrario di quanto sinora affermato – i proiettili provenivano da partite prodotte dalla ditta «Fiocchi» non commercializzate in Italia e destinate all'esportazione. In particolare, appare possibile che i proiettili in questione provenissero da partite esportate verso il Medio Oriente e poi «rientrate» secondo modalità ancora in corso di accertamento.
  La necessità di tutelare questo tipo di traffici, sia in quanto fondati su accordi politici internazionali sconosciuti all'opinione pubblica sia in quanto coinvolgevano specifiche responsabilità, potrebbe spiegare il lungo oblio sul bar Olivetti e sulla figura del suo titolare.
  Accendere i riflettori su questo tema avrebbe infatti fatto emergere una vicenda di traffico di armi, che coinvolgeva soggetti appartenenti alla ’ndrangheta e partite di armi assemblabili, che, secondo quanto riferito alla Commissione da esponenti delle forze dell'ordine dell'epoca, erano utilizzabili sia dalla criminalità organizzata che dalle Brigate rosse.
  La fuga dei brigatisti e il possibile covo della Balduina. Sempre in relazione alla strage di via Fani e alla fuga dei brigatisti con l'ostaggio, il riesame delle testimonianze a suo tempo acquisite e l'acquisizione di nuova documentazione ha indotto a formulare molte riserve sulla plausibilità della ricostruzione fornita dai terroristi circa fuga e l'abbandono delle auto, che furono ritrovate nella stessa strada a diverse ore di distanza l'una dall'altra. Di qui si è sviluppata la ricerca di un punto d'appoggio o di un vero e proprio covo brigatista nell'area della Balduina.
  A tale proposito, gli elementi raccolti hanno evidenziato l'esistenza di un edificio della zona che potrebbe aver avuto una funzione specifica, almeno nella prima fase del sequestro. Si tratta di una palazzina che risulta aver ospitato nei mesi precedenti e successivi al sequestro, per periodi anche lunghi, sia un soggetto straniero, legato all'area dell'Autonomia, sia soggetti dell'ex Potere operaio sia un brigatista latitante. Mi limito a questa breve annotazione, in quanto gli atti di questa indagine – ancora in corso – sono stati trasmessi alla Procura di Roma e rimangono coperti dal segreto funzionale.
  La dimensione internazionale della vicenda Moro e i rapporti tra Italia e Medio Oriente. Per quanto attiene alla dinamica dei cinquantacinque giorni, la Commissione ha avviato un generale approfondimento della dimensione internazionale della vicenda Moro. Ciò non sulla base di ipotesi semplificatorie di una eterodirezione delle Brigate rosse, ma perché il sequestro fu un grande evento della politica internazionale, sul quale si addensarono le attenzioni di Paesi e forze variamente Pag. 62interessate a influire sul possibile esito e più in generale sulla politica italiana.
  In questo ambito è stato compiuto un massiccio scavo documentale sul tema del ruolo dei movimenti palestinesi nella vicenda Moro, che ha prodotto risultati di grande novità, sia sul tema del rapporto BR/palestinesi sia sul rapporto tra il Governo italiano e la dirigenza palestinese.
  L'approfondimento ha preso le mosse dal messaggio che il colonnello Stefano Giovannone, Capocentro SISMI a Beirut, inviò il 17 febbraio 1978 per lanciare un'allerta su una possibile azione terroristica, come segnalatogli da ambienti vicini a George Habbash e al Fronte popolare per la liberazione della Palestina.
  I successivi approfondimenti hanno consentito di evidenziare uno stretto rapporto tra le autorità italiane e i movimenti palestinesi nel periodo del sequestro, al punto che proprio i palestinesi divennero protagonisti di un tentativo di trattativa finalizzata alla liberazione di Moro. Nella seconda Relazione sono stati analizzati molteplici documenti di interesse, che evidenziano due elementi.
  Il primo è la contemporaneità della partenza da Beirut per Roma di Giovannone (24 aprile) con le lettere di Moro dalla prigione brigatista che richiedevano la presenza a Roma del colonnello Giovannone e sollecitavano una trattativa tra Stato e brigatisti, richiamando l'esempio della vicenda dei palestinesi che l'Italia fece fuggire dopo l'attentato di Fiumicino del 1973. Quando Giovannone partì per Roma, non risulta peraltro che le lettere di Moro a Pennacchini, Dell'Andro, Piccoli fossero state ancora recapitate e questo pone il problema di quali canali esistessero tra la prigione di Moro e il governo italiano.
  Il secondo punto è che questa trattativa, di cui erano al corrente tanto il Ministro della Difesa che il Ministro dell'Interno appare, a fine aprile 1978, promettente, tanto che il rappresentante a Roma di Arafat, Nemr Hammad, chiese un incontro a Cossiga «per rappresentare la disponibilità e l'interesse della dirigenza OLP a una forma di collaborazione permanente tra i servizi di sicurezza palestinesi e quelli italiani».
  All'inizio di maggio, mentre erano in corso anche altre trattative, come quella promossa da Craxi, questa iniziativa per liberare Moro si bloccò, per ragioni non ancora chiarite. Un blocco che forse spinse Arafat a lanciare, il 5 maggio, un pubblico appello per la liberazione di Moro.
  La Commissione sta approfondendo questo delicato passaggio, che chiama in causa numerose questioni: quella della praticabilità, per il governo italiano, di una strada che avrebbe reso evidente la natura degli accordi che il Paese manteneva con i palestinesi; quella dell'esistenza, all'interno delle Brigate rosse, di linee diverse sulla sorte di Moro; la questione, infine, dell'esistenza di una frastagliata galassia di movimenti palestinesi, che non necessariamente si riconoscevano nelle posizioni ufficiali espresse dall'OLP.
  Allo stato, si può affermare che la vicenda Moro e la sua tragica conclusione non sono separabili dal più vasto contesto internazionale del rapporto tra Italia e Medio Oriente, in tutti i suoi aspetti, da quello dei traffici d'armi a quello del rapporto tra terrorismo interno e terrorismo mediorientale.
  Di particolare rilievo, in questo ambito, è una informativa, che la Commissione sta approfondendo, che il Centro Sismi di Beirut trasmise nel giugno 1978. Secondo tale informativa le Brigate rosse avrebbero trasmesso al Fronte popolare per la liberazione della Palestina alcune parti degli interrogatori subiti da Moro che potevano avere interesse per i movimenti palestinesi. Tale notizia confermerebbe un uso politico delle carte e delle dichiarazioni di Moro, a lungo ipotizzato ma mai dimostrato, e confermerebbe pure l'ipotesi dell'incompletezza del Memoriale di Moro ritrovato a Milano in via Montenevoso.
  Un altro filone relativo alla dimensione internazionale della vicenda Moro che la Commissione ha ripreso è quello relativo al cosiddetto «Superclan» e alla scuola di lingue Hypérion, ovvero a quel gruppo di personaggi che, dopo essersi separati dal Pag. 63nucleo fondatore delle Brigate rosse, in massima parte, si trasferirono in Francia nel 1974/1975, dando vita a una scuola di lingue. Il tema è stato oggetto in passato di diversi procedimenti giudiziari, conclusi con l'assoluzione degli imputati. Tuttavia la Commissione sta rivalutando gli elementi che sembrerebbero indicare l'esistenza, a Parigi, di un coordinamento tra le principali organizzazioni terroristiche operanti in Europa (RAF, IRA, ETA, Action Directe, BR) e il Fronte di Lotta per la Liberazione della Palestina. In particolare la Commissione sta approfondendo i movimenti in Italia di persone riconducibili a quegli ambienti nel corso del sequestro Moro.
  Infine, sempre con riferimento alla dimensione internazionale, sono state realizzate e sono in corso indagini relative a possibili contatti operativi tra i terroristi tedeschi della RAF e le Brigate rosse. Tali contatti, ben documentati per periodi diversi dal sequestro Moro, potrebbero essersi realizzati anche durante il sequestro, sulla base di informazioni che saranno oggetto di una richiesta di assistenza giudiziaria alla magistratura tedesca.
  Le trattative. L'esistenza, tra la fine di aprile e l'inizio di maggio, di un tentativo di trattativa per il tramite dei movimenti palestinesi è un ulteriore tassello che conferma che, in quella fase, la cosiddetta «linea della fermezza» era stata almeno parzialmente superata da un approccio diverso.
  In questo ambito la Commissione ha ripreso un'analisi della vicenda, nota sin dal 1979, che vide alcuni esponenti di vertice del Partito socialista contattare Franco Piperno e Lanfranco Pace per aprire una trattativa con le BR sulla sorte di Moro. Pace, come è noto, ebbe numerosi incontri con Morucci e Faranda, che non approdarono a una soluzione positiva, per motivi sui quali sono sta formulate diverse ipotesi. Le audizioni di Claudio Signorile, che svolse in questa vicenda un ruolo fondamentale, e di altri esponenti socialisti, hanno consentito di acquisire diversi nuovi elementi. In primo luogo si è evidenziato che questa trattativa iniziò probabilmente prima di quanto sinora noto e che comportò il tentativo di attivare una pluralità di canali, sia a Roma che a Milano. In secondo luogo, anche in questo caso, si può ritenere che ci sia stata una piena consapevolezza istituzionale. Tanto il Ministro dell'Interno che il Vicecomandante dell'Arma dei carabinieri sarebbero infatti stati al corrente dei contatti di Signorile. Lo stesso Signorile si trovava presso Cossiga la mattina del 9 maggio 2016, quando questi ricevette – secondo Signorile in orario precedente a quanto sinora noto – la notizia dell'uccisione di Moro.
  Dalle escussioni e audizioni è emersa pure l'ipotesi, che sarà approfondita, dell'esistenza di un ulteriore canale di trattativa, che coinvolgeva esponenti socialisti e ambienti dell'autonomia milanese. Secondo quanto è stato dichiarato alla Commissione, questi ultimi potrebbero aver avuto a disposizione trascrizioni di lettere di Moro prima che queste fossero divulgate.
  L'arresto di Valerio Morucci e Adriana Faranda. La vicenda della trattativa socialista contribuì a aprire una frattura tra Valerio Morucci e Adriana Faranda, da un lato, e la parte maggioritaria delle Brigate rosse, dall'altro, frattura che si concluse nel febbraio 1979 con la fuoriuscita dei due terroristi dalle Brigate rosse.
  Dopo l'arresto, nel maggio 1979, i due iniziarono poi un percorso di dissociazione che li portò a elaborare il famoso «Memoriale Morucci». Questo, con le sue parziali ammissioni, ha contribuito a fondare in maniera determinante la verità giudiziaria sul caso Moro consolidatasi nei primi anni ’90. Proprio per questo motivo, la Commissione ha approfondito la vicenda di Morucci e Faranda, i loro rapporti con l'area dell'Autonomia, le modalità – mai del tutto chiarite – del loro arresto.
  Valerio Morucci e Adriana Faranda, come è noto, furono arrestati alcuni mesi dopo la loro uscita dalle Brigate rosse e il tentativo di creare un autonomo partito armato, il 29 maggio 1979, in casa di Giuliana Conforto, presso la quale si erano rifugiati grazie all'aiuto di Franco Piperno Pag. 64e Lanfranco Pace. Giuliana Conforto, vicina a ambienti di estremismo politico, era figlia di Giorgio Conforto, uno dei principali agenti del KGB in Italia, da tempo noto ai nostri Servizi.
  Sino a oggi, la vicenda della cattura di Morucci e Faranda era stata ricostruita più o meno in questi termini: la DIGOS e la Squadra Mobile di Roma poterono compiere l'operazione grazie alla segnalazione di una fonte non identificata, che rivelò il nascondiglio dei due terroristi in un appartamento di viale Giulio Cesare.
  La Commissione ha lavorato per identificare la «fonte» a partire dalle due principali tesi espresse nel corso degli anni: quella del dirigente di polizia Ansoino Andreassi, che affermò che la Polizia arrivò al covo sulla base di una «informazione secca e precisa, proveniente da ambienti non legati all'eversione» e quella di Francesco Cossiga, il quale nel 2004 affermò alla Commissione Mitrokhin di aver saputo dall'allora capo della squadra mobile Ferdinando Masone (all'epoca già deceduto) che era stato Giorgio Conforto a far trapelare la notizia del rifugio di Morucci e Faranda.
  Rispetto a queste ipotesi, le indagini della Commissione hanno consentito di acquisire elementi certi e documentabili. In particolare è stato identificato un sottufficiale, in servizio alla Squadra mobile di Roma, che ha confermato che la notizia pervenne da suoi confidenti, che gestivano un autosalone in zona Portuense. Ulteriori accertamenti hanno consentito di appurare una vecchia conoscenza tra uno dei due gestori e Valerio Morucci e di trovare altri riscontri tra il materiale a suo tempo sequestrato nel covo di viale Giulio Cesare.
  Questa scoperta è stata approfondita con ulteriori indagini, ancora in corso, che hanno portato la Commissione a formulare l'ipotesi di una sorta di «doppio livello» nell'identificazione del covo di viale Giulio Cesare. Esistono infatti diverse evidenze documentali di un'autonoma attivazione della DIGOS attorno a Giuliana Conforto. Del resto, la stessa fu oggetto di un trattamento estremamente mite, che le consentì di uscire dalla vicenda perché fu accettata la tesi di una sua assoluta inconsapevolezza dell'identità dei suoi ospiti.
  L'ipotesi su cui sta lavorando la Commissione è che sia maturata una soda di consegna negoziata di Morucci e Faranda, verosimilmente con il concorso di Conforto, del quale i Servizi italiani conoscevano bene le attività, come è provato da informative risalenti ai primi anni ’70. Nonostante ciò, in quella occasione, non fu compiuto alcun approfondimento su Conforto e le informazioni già in possesso dei Servizi furono trasmesse alla magistratura solo oralmente.
  La Commissione intende presentare quanto prima i risultati di uno specifico approfondimento su tali ipotesi che, se verificate, aprirebbero scenari molto diversi da quelli conosciuti non solo sulla cattura di Morucci e Faranda ma sulle stesse origini del loro percorso di dissociazione.
  Gli altri filoni aperti. Numerosi sono gli ulteriori filoni di indagine aperti.
  Mi limito in questa sede a ricordare gli approfondimenti sul possibile ruolo della ’ndrangheta, sulla presenza di infiltrati delle forze di polizia all'interno dell'estremismo di sinistra, sulle modalità di scoperta della tipografia brigatista di via Pio Foà, sulla vicenda della scoperta del covo di Via Gradoli e sul ruolo di Toni Chichiarelli, autore del falso comunicato brigatista del 18 aprile 1978.
  Centrale è, naturalmente, la ricostruzione della morte di Moro in tutti i suoi aspetti: il luogo e gli orari dell'assassinio, le modalità in cui esso avvenne, il trasporto del cadavere in via Fani, gli orari in cui la notizia pervenne alle autorità.
  I rilevanti dubbi sulla versione fornita nel corso degli anni dai brigatisti hanno portato la Commissione a riesaminare complessivamente questo tema. Un primo punto fermo dovrebbe essere raggiunto, a breve, con i risultati degli esami delegati al RIS. Parallelamente, la Commissione intende approfondire – sulla base dei nuovi elementi acquisiti – il tema di un possibile ruolo della «colonna genovese» delle Brigate rosse nell'ultima fase del sequestro e nell'assassinio di Moro.Pag. 65
  Conclusione. Nella prospettiva della conclusione dell'inchiesta, il complesso degli approfondimenti sembra evidenziare numerosi profili di criticità nelle indagini compiute sul sequestro Moro. È intendimento della Commissione fare ogni sforzo affinché le zone di opacità – già rilevate dalle precedenti Commissioni – le reticenze e le incongruenze presenti nelle versioni dei brigatisti, le omissioni di taluni esponenti politici e istituzionali vengano finalmente superate da una complessiva ricostruzione della vicenda Moro che possa giovarsi dell'ingente lavoro compiuto.
  A tale scopo, appare essenziale procedere con la maggiore celerità possibile alla conclusione degli accertamenti delegati e all'acquisizione di documentazione di interesse, in particolare quella prodotta da Servizi di Paesi esteri, che comporta procedure necessariamente lunghe per la declassificazione e messa a disposizione. In questo ambito la Commissione ha trovato molta collaborazione nel Governo e nell'Autorità delegata per la Sicurezza della Repubblica, ma rimane il fatto che in diversi Paesi sono in vigore norme e prassi estremamente restrittive in questi ambiti, che pure potrebbero consentire acquisizioni di grande importanza.
  Il tema della documentazione è centrale anche sotto un altro aspetto. La Commissione ha potuto verificare che in molti casi, la documentazione, specie giudiziaria, è dispersa tra molteplici luoghi, conservata in maniera non adeguata alla preservazione di lungo periodo e priva di efficaci strumenti di ricerca. Allo stesso modo, i reperti della strage di via Fani e del sequestro versano talora in condizioni di degrado. Credo che ci si debba assumere l'impegno a affrontare complessivamente il tema della tutela e della valorizzazione di documenti importantissimi della storia italiana, anche superando una naturale tendenza di enti pubblici e privati a una conservazione gelosa e non sempre adeguata delle carte.
  Abbiamo celebrato recentemente il centenario della nascita di Aldo Moro, nel quale abbiamo avuto occasione di riflettere sulla centralità di Moro e del suo pensiero nella costruzione della democrazia italiana. La Commissione stessa ha contribuito a promuovere diverse iniziative in merito, tra cui una che si è svolta presso la sede di Bruxelles del Parlamento europeo, un convegno che si è tenuto presso la Camera e una serie di incontri nelle scuole di ogni regione italiana.
  Proprio in questo contesto storico e politico, nel quale vecchie appartenenze ideologiche sono ormai superate, appare finalmente possibile misurarsi con una vicenda che non è semplicemente un grave episodio di terrorismo ma che ha avuto effetti durevoli nella vita del Paese. A parere dalla Commissione, le nuove acquisizioni compiute e la convergenza delle forze politiche sull'obiettivo di eliminare le zone d'ombra che non sono state ancora chiarite, nonostante l'impegno delle forze dell'ordine, della magistratura e delle precedenti Commissioni, rendono vicino l'obiettivo di giungere, finalmente, a una ricostruzione il più possibile completa e condivisa. È una occasione che, a distanza di tanti anni, non può essere mancata, per l'obbligo di verità che si deve al Paese su una delle pagine più tragiche della sua storia recente.