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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 13 marzo 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    i centri per l'impiego dovrebbero rappresentare lo strumento attraverso cui il Governo centrale e quelli regionali e territoriali garantiscono i servizi pubblici per l'impiego. Ad essi, a seguito della riforma operata con decreto legislativo n. 267 del 2003, sono state affiancate le agenzie per il lavoro, di natura privata, che progressivamente, negli anni, sembrano aver di fatto assorbito gran parte delle attività relative all'incontro tra domanda e offerta di lavoro senza però apportare significativi miglioramenti nelle dinamiche di ricollocazione lavorativa;
    ciononostante, è indubbio che l'attività di mediazione in senso stretto nel mercato del lavoro debba rappresentare l'attività core dei centri per l'impiego in qualità di terminale, se non esclusivo quanto meno prioritario, del servizio pubblico. Attività che stenta a raggiungere performance accettabili, ma che non di meno, evidentemente, continua ad essere sottovalutata dal Governo sia sul piano organizzativo, che normativo e amministrativo, nonostante gli annunci e i programmi;
    in tal senso, si possono considerare, su tutti, alcuni dati rilevati a livello nazionale ed europeo. Innanzitutto si consideri che, in termini puramente numerici, in Italia sono oggi presenti 550 centri pubblici e circa 4.200 agenzie private per il lavoro. Il rapporto tra disoccupati e operatori in Italia è di un addetto ogni 300, nel resto d'Europa il rapporto oscilla su numeri a due cifre (in Germania circa uno a 24; nel Regno Unito circa uno a 30; in Francia poco meno di 1 a 65);
    nel 2015, il numero di operatori italiani dei centri pubblici si attesta a meno di nove mila, circa il 12 per cento dei quali con rapporto di lavoro temporaneo (tempo determinato e collaborazioni). Appena il 27 per cento degli operatori ha una istruzione di tipo universitario, oltre il 57 per cento ha una istruzione secondaria di secondo grado e poco meno del 13 per cento una istruzione secondaria di primo grado;
    in questo contesto, appare coerente, altresì, il ricorso al supporto di enti e istituti terzi strumentali, di livello nazionale o regionale, finalizzati a coadiuvare se non a potenziare, e in taluni casi a sostituire di fatto, l'attività ordinaria che dovrebbe essere svolta dagli operatori dei centri per l'impiego a risorse umane date;
    stando ai dati Eurostat, nel 2015, circa il 28 per cento dei disoccupati in Italia si è rivolto ai servizi pubblici per l'impiego, registrando per il quinto anno consecutivo un trend negativo, a fronte di oltre il 16 per cento di quanti si sono rivolti alle agenzie private per il lavoro. Numeri che si sbilanciano in maniera rilevante a favore del servizio pubblico nella media europea: oltre il 48 per cento per i centri pubblici e poco più del 20 per cento per quelli privati. Su tutto grava un dato: quello di quanti per trovare lavoro si rivolgono principalmente ad amici e parenti, quindi attraverso canali informali, che si attesta poco oltre l'84 per cento;
    in linea con quanto premesso finora, anche sul piano finanziario, i centri per l'impiego e più in generale i servizi per il lavoro hanno subito una politica di governo minimale, con percentuali di spesa sul Pil di gran lunga inferiori rispetto ad altre realtà europee: a titolo esemplificativo, nel 2013, in Italia, appena lo 0,03 per cento del Pil è dedicato a questi servizi mentre nello stesso anno la Germania supera lo 0,35 per cento. In termini di spesa pro capite impegnata per disoccupati, il rapporto è di meno di 100 euro in Italia, di oltre 1.000 euro in Francia e di quasi 3.000 euro in Germania;
    stante il ridotto numero di risorse umane impiegate a vario titolo nei servizi pubblici per l'impiego in Italia (circa novemila), nel resto d'Europa si rilevano cifre ben più importanti: circa centomila in Germania, oltre settantamila nel Regno Unito e cinquantamila in Francia, laddove, rispetto ai circa sessanta milioni di abitanti in Italia, si registra un numero di abitanti rispettivamente pari circa a ottanta milioni, sessantaquattro milioni e sessantasei milioni;
    nel corso degli ultimi anni, paradossalmente, le attività assegnate ai centri per l'impiego, in linea teorica sono progressivamente cresciute in virtù delle modifiche legislative apportate – non solo al quadro generale istituzionale, si guardi alla cosiddetta «Riforma Delrio» con quella che si rivela per i presentatori nel presente atto di indirizzo come la finta abrogazione delle province –. Val la pena richiamare lo sportello per i lavoratori autonomi, previsto dal disegno di legge sul lavoro autonomo approvato in prima lettura dalla Camera appena qualche giorno fa (atto Camera n. 4135 e progetti abbinati) o la legge sul caporalato che individua nei centri per l'impiego i soggetti partecipativi della Rete del lavoro agricolo di qualità (legge n. 199 del 2016);
    maggiori attività e maggiore incertezza normativa e contrattuale si registrano non solo per il personale che, a seguito della richiamata riforma Delrio, sarebbe destinato ai servizi pubblici per il lavoro, ma anche per quello precario, da anni impiegato presso gli enti strumentali impegnati a supporto delle attività di servizi pubblici per il lavoro. A ciò si aggiunge l'ormai costante incertezza finanziaria: ancora nel dicembre 2016 Governo e regioni hanno dovuto siglare, in extremis, l'ennesimo accordo per prorogare all'anno 2017 le risorse necessarie, per quanto inadeguate, allo svolgimento delle attività dei centri per l'impiego su tutto il territorio nazionale;
    si tratta, per i presentatori del presente atto, di una politica sclerotica quella messa in atto, dai Governi nel corso degli anni con riguardo ai servizi pubblici del lavoro che giunge oggi, alla luce delle ultime stratificazioni normative, ad una situazione di collasso ben rappresentata, in maniera emblematica, dalla istituzione delle agenzie per il lavoro delle Autorità portuali di sistema, recentemente previste dal cosiddetto «decreto-legge Mezzogiorno». È evidente che, se lo stesso Governo avesse voluto investire e valorizzare la rete dei centri per l'impiego, non sarebbe stato necessario ricorrere, a giudizio dei presentatori del presente atto, ad una deroga di legge, pericolosa soprattutto per il rischio di creare, con fondi pubblici, gli ennesimi bacini elettorali, per creare ex novo dei servizi per il lavoro ulteriori rispetto a quelli pubblici e privati oggi previsti;
    con la recente bocciatura, mediante referendum, del tentativo di riforma costituzionale prospettato, che avrebbe ricondotto in capo al Governo centrale le politiche del lavoro, si è ulteriormente indebolito il sistema delle politiche attive e del servizio pubblico all'impiego poiché la loro nuova forma non è stata concepita sulla base del quadro normativo e organizzativo vigente, ma sulla base di un sistema istituzionale inesistente, il tutto sulla vana ed erronea presunzione di una conferma referendaria. Il Governo e la maggioranza che lo sostiene hanno in tal modo, secondo i presentatori del presente atto, deliberatamente apposto una pesante ipoteca sul futuro dei servizi pubblici per l'impiego, sul futuro delle politiche attive e su quello dei lavoratori e dei disoccupati;
    i centri per l'impiego, a differenza di quanto si rileva in realtà, dovrebbero essere strutture dotate delle migliori competenze per garantire che il percorso di accoglienza, profilazione, orientamento, formazione, ricollocamento dei disoccupati e di quanti ricercano una occupazione venga svolto nel migliore dei modi, come peraltro previsto dalla raccomandazione del Consiglio europeo dell'8 luglio 2014 con la quale si sottolinea la necessità per l'Italia di progredire rapidamente con i piani di miglioramento dei servizi di collocamento, rafforzando i servizi pubblici per l'impiego;
    come emerso nel corso della indagine conoscitiva «Sulle misure per fronteggiare l'emergenza occupazionale, con particolare riguardo alla disoccupazione giovanile» Doc. XVII, n. 1, «è stata evidenziata l'esigenza di rilanciare il sistema del welfare attivo, attraverso la valorizzazione dei centri per l'impiego, che, integrati in un sistema capace di interagire tra le diverse parti, dovrebbero assumere un ruolo decisivo nella riqualificazione dei lavoratori» e che, a distanza di tre anni e di numerosi provvedimenti legislativi e atti di Governo, non vi è stato alcun miglioramento, né valorizzazione o efficientamento dei servizi pubblici per l'impiego;
    il reddito di cittadinanza rappresenta una misura, economicamente e finanziariamente sostenibile, volta a contrastare concretamente la povertà, la disuguaglianza e l'esclusione sociale, nonché a garantire il diritto al lavoro e alla libera scelta del lavoro, contribuendo alla ridistribuzione della ricchezza;
    in un'ottica di sistema organico di sostegno ai cittadini e di garanzia e promozione dei loro diritti, con il reddito di cittadinanza, i centri per l'impiego assumerebbero finalmente un ruolo fondamentale, insieme a più di altri soggetti istituzionali, a livello nazionale e territoriale, nella gestione del mercato del lavoro che avrebbe, di conseguenza, una caratterizzazione non solo economica e produttiva, ma soprattutto e concretamente sociale. Una gestione non assistenziale né sterile, come avviene in taluni casi ancora oggi;
    il personale dei centri per l'impiego, in tal senso, sarà chiamato a prendere in carico il soggetto, avviando in questo modo il percorso di bilancio delle competenze finalizzato a individuare le attitudini di chi cerca lavoro per poi stabilire i passi successivi, tra cui l'inserimento lavorativo o l'inizio di percorsi formativi o la partecipazione a progetti per la nascita di nuove realtà imprenditoriali, o a progetti partecipati da comuni e regioni per condividere finalità, competenze e risorse. I centri per l'impiego dovranno rappresentare anche il terminale ultimo della mediazione tra domanda e offerta di lavoro ai quali si rivolgeranno le agenzie per il lavoro e quelle per la somministrazione di lavoro;
    secondo quest'ottica, i centri per l'impiego sarebbero adeguati anche per l'attività riguardante settori particolari del mondo del lavoro quali ad esempio quello agricolo, quello marittimo e portuale, quello edile, superando le problematiche insite in questi ambiti, non solo in termini di sfruttamento di lavoro nero, ma soprattutto in termini di lentezza amministrativo-operativa che spesso, con fare strumentale, è stata sollevata a giustificazione della esclusione dei servizi pubblici per il lavoro dalla gestione dei lavoratori e dei disoccupati di tali settori,

impegna il Governo:

1) a predisporre una pianificazione di potenziamento dei centri per l'impiego, corredata di un puntuale cronoprogramma, finalizzata a:
   a) incrementare il numero di centri per l'impiego sul territorio nazionale, identificando gli stessi come strumenti centrali dei servizi per il lavoro e prioritari rispetto alle agenzie private, e al fine di meglio intercettare e soddisfare le esigenze di potenziamento delle politiche attive del lavoro, individuando a tal fine nuovi e più idonei parametri, non solo meramente demografici, ma coerenti con il grado di sviluppo sociale ed economico dei singoli territori, per l'istituzione di nuovi centri;
   b) identificare e definire, per quanto di competenza, idonei standard minimi di prestazione dei servizi da erogare, nonché dare una chiara definizione delle competenze che il personale dei centri per l'impiego deve possedere per erogare servizi orientati alla persona, affinché tali specifici servizi siano svolti esclusivamente da personale in possesso di idonee competenze;
   c) adeguare i livelli formativi – e prevedere, per quanto di competenza, specifici percorsi di formazione continua – del personale operante presso i centri per l'impiego al fine di garantire il possesso delle competenze e delle esperienze necessarie per l'efficacia dell'azione di ricollocamento nel mercato del lavoro;
2) assumere iniziative finalizzate a incrementare le risorse umane dedicate ai servizi pubblici per il lavoro – al di là della già annunciata e prevista stabilizzazione di circa 1.600 precari della pubblica amministrazione – ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per salvaguardare i lavoratori impiegati con contratti non a tempo indeterminato presso i servizi pubblici per il lavoro, nonché i lavoratori degli enti strumentali, con comprovata esperienza, fermo restando il ricorso a idonee procedure concorsuali o di selezione a evidenza pubblica, al fine ultimo di assicurare alle politiche attive un bacino di risorse umane adeguato e compatibile con i livelli di personale impiegato nelle altre realtà europee richiamate in premessa;
3) ad assumere iniziative volte al superamento dell'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal) quale cabina di regia centralistica e nazionale, stante la vigente struttura istituzionale di decentramento regionale, affinché si definisca un sistema governabile tra centro e periferie, ma soprattutto sostenibile economicamente e finanziariamente, con lo stanziamento di risorse certe e stabilite in una programmazione pluriennale e coerente con le attività programmate al fine di evitare il ricorso meramente a rinnovi di accordi e convenzioni tra Governo e regioni come, da ultimo, quello del dicembre 2016 richiamato in premessa.
(1-01533) «Cominardi, Chimienti, Ciprini, Dall'Osso, Lombardi, Tripiedi, Cecconi».


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legislativo n. 150 del 2015 ha riorganizzato il sistema delle politiche attive del lavoro, pensato come una rete orizzontale composta da soggetti pubblici (Ministero del lavoro e delle politiche sociali e regioni) e privati (agenzie per il lavoro, terzo settore) e coordinata dall'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal) alla quale spetterà di fissare i programmi delle politiche attive finanziati sia dai fondi nazionali che dai fondi europei, tenere l'albo delle agenzie per il lavoro e gestire i programmi di reimpiego e ricollocazione in relazione a crisi di aziende;
    il suddetto decreto, inoltre, elenca puntualmente anche le funzioni assegnate ai nuovi centri per l'impiego, funzioni rivolte ai disoccupati, ai disoccupati parziali e a rischio disoccupazione che vanno dall'orientamento di base, all'analisi delle competenze e degli eventuali fabbisogni in termini di formazione o esperienze di lavoro, alla ricerca di un'occupazione, all'orientamento individualizzato, all'accompagnamento al lavoro, alla promozione del tirocinio;
    nell'ambito delle politiche attive del lavoro, è bene ricordare anche il programma «Garanzia Giovani», proposto dal Consiglio europeo e promosso dall'Unione europea per l'inserimento dei Neet (Not in Education, Employment or Training, ovvero i giovani che non lavorano e non studiano), che, nonostante le ingenti risorse stanziate tra Commissione europea e Governo italiano, pari a circa 1,5 miliardi di euro, ha prodotto scarsi risultati (poco meno di 1 milione di iscritti, poco più di 32 mila i ragazzi accompagnati al lavoro, il 3,7 per cento) per problematiche di varia natura: eccessiva burocrazia, poca chiarezza nelle informazioni, mancata assistenza tecnica, inadeguatezza del personale dei centri per l'impiego;
    in alcune aree territoriali, i centri per l'impiego hanno ottenuto risultati eccellenti ma, nella maggioranza dei casi, hanno dato prova di un servizio di collocamento pubblico di fatto inesistente, ampliando, invece di risolvere, il gap territoriale;
    secondo i dati Istat, nel primo trimestre del 2015, solo l'1,4 per cento degli occupati che non lo erano un anno prima, hanno trovato lavoro attraverso i centri pubblici per l'impiego, certificando, di fatto, una posizione dei centri per l'impiego nel processo di inserimento lavorativo, del tutto marginale; così come, dal lato delle imprese, il ricorso ai Centri pubblici per l'impiego si conferma la modalità meno frequente di selezione del personale soprattutto nelle piccole e medie imprese, spina dorsale della nostra catena produttiva (tra l'8 per cento relativo alle piccole imprese del commercio al 29 per cento delle grandi imprese della manifattura);
    nel nostro Paese si spendono oltre 20 miliardi di euro l'anno in politiche passive di sostegno al reddito di persone che hanno perso il lavoro; risulta facile dedurre come la capacità di coordinare politiche passive e attive potrebbe determinare un notevole risparmio sulla spesa per i sussidi erogati e come sia indispensabile mettere in piedi un progetto operativo nazionale per una seria riorganizzazione e riqualificazione dei centri per l'impiego,

impegna il Governo:

1) a valutare, per quanto di competenza, l'opportunità di effettuare una ricognizione dello stato attuale dei centri per l'impiego, promuovendo una riduzione rigorosa degli sprechi e, allo stesso tempo, l'individuazione di carenze di personale e di risorse;

2) a valutare, per quanto di competenza, l'opportunità di fissare obiettivi precisi, specifici e misurabili di efficienza ed efficacia dell'attività dei centri per l'impiego;

3) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per riqualificare le competenze professionali degli addetti dei centri per l'impiego, per far sì che gli stessi raggiungano la capacità di gestire in maniera efficace – con tempistiche e livelli di prestazione predefiniti – l'intero ciclo di reinserimento lavorativo dei disoccupati offrendo, allo stesso tempo, standard qualitativi di elevata qualità, calcolabili anche attraverso meccanismi di valutazione delle performance dei dipendenti;

4) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, volte ad ottimizzare e implementare il rapporto tra centri per l'impiego, agenzie private per il lavoro e servizi di orientamento e placement delle Università;

5) a sviluppare in maniera efficiente il «Fascicolo elettronico del lavoratore» in modo da dar vita ad un vero portale unico del lavoro con lo scopo di rafforzare la capacità di incontro tra domanda ed offerta.
(1-01534) «Palese, Altieri, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».


   La Camera,
   premesso che:
    nell'ultimo anno, l'efficienza del mercato del lavoro è migliorata a livello mondiale;
    purtroppo l'Italia pare fare eccezione in questo trend positivo. Infatti, tra i 28 Paesi dell'Unione europea, come risulta dai dati contenuti nel «The Global Competitiveness Report 2016-2017», pubblicato dal World Economic Forum, il mercato del lavoro italiano è ultimo per efficienza in Europa e 119o su 138 censiti nel mondo;
    le difficoltà che il nostro mercato del lavoro attraversa sono drammaticamente evidenziate dal preoccupante dato relativo alla disoccupazione giovanile. I giovani sono la fascia di età che paga a maggior prezzo la situazione di stallo in ambito lavorativo: si registrano sempre più ragazzi tra i 15 e i 24 anni disoccupati;
    secondo i dati Istat (Istituto nazionale di statistica), alla fine del 2016, in Italia si registra un tasso di disoccupazione pari al 39,4 per cento tra i giovani. Mentre, fortunatamente, si registra un aumento dell'occupazione nella fascia di età intorno a 50 anni, oltre che tra le donne;
    è certamente vero che la situazione sta registrando lievi miglioramenti di carattere generale. Infatti, rispetto al 2013, il tasso di occupazione passa a fine 2016 dal 55,9 al 57,3 per cento, mentre i senza lavoro scendono dal 12,3 all'11,9 per cento;
    si tratta, però, di dati ancora da confermare nel corso del tempo, e che, anzi, hanno mostrato una inversione di tendenza nell'ultimo anno, quando sono diminuiti i vantaggi fiscali concessi alle imprese per l'assunzione, con contratto a tempo indeterminato, o anche per la «riconversione» di contratti una volta a termine;
    infatti, è sempre l'Istat che osserva come, nel periodo gennaio-dicembre 2016, nel settore privato, si sia registrato un calo di oltre il 7 per cento rispetto al 2015 nelle assunzioni, in particolare di quelle a tempo indeterminato (-37,6 per cento rispetto al 2015);
    la situazione, quindi, rimane critica, nonostante le varie iniziative a favore dell'assunzione dei giovani come il programma «Garanzia Giovani» o il programma di «Alternanza scuola-lavoro»;
    molti studi dimostrano che esiste una convergenza tra crescita occupazionale, quantità e qualità degli investimenti per le politiche del lavoro, non a caso, infatti, quei Paesi che, prima della crisi del 2008, hanno investito di più in termini di Pil sulle politiche del lavoro sono quelli che hanno avuto una minore caduta dell'occupazione;
    molto importanti sono le cosiddette «politiche attive del lavoro» che intervengono direttamente sul mercato del lavoro, contribuendo a creare nuova occupazione o, comunque, limitando le cause della disoccupazione;
    l'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), al riguardo, propone cinque gruppi di intervento:
     1. sussidi all'occupazione;
     2. creazione diretta e temporanea di posti di lavoro;
     3. formazione professionale;
     4. sostegno finanziario e servizi per la nuova imprenditorialità;
     5. servizi per l'orientamento e collocamento lavorativo;
    obiettivo specifico delle politiche attive del lavoro è quello di evitare che una persona rimanga troppo a lungo «intrappolata» nel suo stato;
    per questo, lo sforzo deve essere quello di promuovere il passaggio ad una tutela attiva dell'individuo nel mercato del lavoro rispetto ad una passiva, fatta di sussidi o strumenti simili;
    si parla pertanto di passaggio dal welfare al workfare, ossia uno stato sociale che tende ad aiutare il soggetto a rimanere attivo e competitivo nel mondo del lavoro, traendo i benefici dalle assicurazioni legate alla propria condizione professionale, piuttosto che dipendere dall'assistenza, basandosi sul principio di finanziare l'occupazione e non la disoccupazione, che, laddove ha orientato scelte operative, si è rivelato molto fruttuoso;
    si deve osservare che la spesa per politiche del lavoro in Italia è significativamente inferiore rispetto al resto d'Europa. Nell'ultimo decennio si stima essere stata intorno all'1,5 per cento del Pil;
    sostanziale è anche la differenza nella qualità della citata spesa: nei Paesi europei con un mercato del lavoro efficiente, infatti, essa è ben distribuita tra politiche passive, politiche attive e servizi per la ricerca di impiego, in Italia, invece, si spende molto poco in servizi per il lavoro;
    eppure nel nostro Paese oltre il 40 per cento di coloro che cercano impiego si rivolgono anche ai servizi per il lavoro, alle strutture specializzate pubbliche e private che si occupano di orientamento ed incontro tra domanda ed offerta. Tuttavia, meno del 10 per cento degli italiani trova lavoro in questo modo e il più delle volte si tratta di lavori a termine;
    in Europa funziona in modo diverso. Sono di più i lavoratori e le imprese che si rivolgono ai servizi specializzati, e quasi la metà delle opportunità di impiego si trovano tramite i ricordati servizi;
    ciò dipende, non solo da abitudini diverse. Si tratta, invece, di una scelta condizionata anche dalla presenza e dalla qualità dei nostri servizi. In Europa, si ha un orientatore ogni quaranta disoccupati, in Italia, uno ogni quattrocento. I servizi all'estero collocano sul mercato del lavoro un numero di disoccupati tre volte maggiore rispetto ai servizi italiani, avendo però a disposizione personale e risorse tre volte superiori;
    una riforma del mercato del lavoro è stata avviata con il cosiddetto Jobs act, ma deve ancora completare il suo cammino con l'approvazione di decreti e circolari;
    in particolare, un'attenzione maggiore richiedono, come già detto, le politiche attive per il lavoro, riconosciute da gran parte degli economisti come fattore risolutivo della situazione critica del mercato del lavoro;
    per affrontare in modo efficace la questione del lavoro, è importante la definitiva approvazione del disegno di legge delega recante norme relative al contrasto della povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali;
    anche l'Italia, come tutti gli altri Paesi europei, si doterà finalmente di una misura nazionale – il Reddito di inclusione – per aiutare le persone in condizione di povertà assoluta;
    si tratta di un fatto molto significativo questo puntare all'inclusione sociale e lavorativa dei beneficiari che potranno avere un sussidio economico, vincolato all'adesione ad un percorso di accompagnamento da parte dei servizi sociali e dai comuni;
    oggi, le persone in condizioni di povertà assoluta sono oltre 4 milioni e 500 mila. Con le risorse stanziate, pari a più di 1,6 miliardi di euro, già da quest'anno si potranno raggiungere oltre 400 mila famiglie, 1 milione e 700 mila persone, tra cui 800 mila minori;
    si tratta proprio di quelle famiglie, in particolare quelle numerose, che sono state maggiormente colpite dalla crisi, come conferma ancora una volta l'Istat: «il rischio di povertà o esclusione sociale è più alto per le famiglie numerose (43 per cento) o monoreddito (48,3 per cento)» ed è ad esse che devono guardare anche le politiche attive del lavoro, perché la povertà si contrasta efficacemente anche promuovendo l'inclusione lavorativa;
    certo le esigenze sono moltissime: 1,5 milioni di Neet (Not in education, employment or training), ossia giovani che non sono inseriti in un percorso scolastico e formativo e, contemporaneamente sono disoccupati, 1,7 milioni di lavoratori che fruiscono della Naspi e circa 2 milioni di disoccupati di lunga durata e ci si può domandare cosa sia concretamente possibile fare. Appare interessante l'esempio della Germania, dove l'Agenzia nazionale che si occupa delle politiche del lavoro ha 80 mila esperti alle sue dipendenze, mentre l'omologa italiana ne ha solo 8.000, con una differenza che si riflette anche nell'efficacia dell'azione della stessa agenzia,

impegna il Governo:

1) ad individuare modalità di potenziamento dei centri per l'impiego perché il servizio personalizzato di assistenza ai disoccupati percettori della Nuova prestazione di assicurazione sociale per l'impiego (Naspi) possa essere adeguatamente realizzato;
2) a implementare, assumendo iniziative per l'assegnazione di adeguate risorse economiche e di personale, il collegamento dei centri per l'impiego e le aziende operanti nel loro territorio di competenza per rendere maggiormente efficace l'attività di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro;
3) a individuare, nell'ambito della sperimentazione dell'assegno di ricollocazione, come misura nazionale di politica attiva, criteri che permettano di tenere nella giusta considerazione anche la composizione del nucleo familiare;
4) ad adottare quelle iniziative che consentano all'Anpal di assumere quel ruolo di coordinatore delle politiche attive del lavoro necessario per uniformare e migliorare gli standard dei livelli essenziali di servizio dei diversi centri dell'impiego perché sia realmente garantito il diritto all'accompagnamento al lavoro, anche attraverso interventi dedicati a garantire ai componenti di famiglie numerose l'accesso ai percorsi di riqualificazione e di avviamento alla ricollocazione.
(1-01535) «Sberna, Baradello, Fitzgerald Nissoli, Gigli, Marazziti, Piepoli, Santerini, Dellai».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo i dati diffusi dall'Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), nei primi due mesi del 2017 sono morte 485 persone nel tentativo di attraversare il Mediterraneo, con un aumento di 60 unità rispetto allo stesso periodo del 2016. Di queste, 444 sono le vittime registrate nella rotta tra la Libia e l'Italia;
    nel 2016, furono quasi cinquemila i morti e i dispersi nel Mediterraneo, a fronte di più di 181 mila sbarchi; nei primi due mesi del 2017 gli immigrati arrivati sulle coste italiane sono oltre tredicimila, quasi il 75 per cento di tutti quelli approdati in Europa nello stesso periodo;
    è stato stimato che, tra il 2011 e il 2016, i morti in mare siano stati oltre 18.300; nel 2016, circa il 2,5 per cento dei migranti non ha concluso il viaggio dalla Libia all'Italia. Quasi il 60 per cento di chi muore in mare non viene identificato;
    l'identificazione e il riconoscimento dei corpi sono sia un atto di umanità volto a consentire alle famiglie di poter dare degna sepoltura ai propri cari, sia un atto fondamentale per fornire le necessarie tutele giuridiche ai congiunti ed ai parenti dei deceduti;
    il problema della scomparsa dei migranti del Mediterraneo è costantemente denunciato da istituzioni, quali l'Unhcr, l'Oim, la Croce rossa internazionale, il Consiglio d'Europa e la Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu), che ha sancito il diritto dei familiari a conoscere il destino dei propri congiunti;
    nel 2007 l'Italia si è dotata di un Commissario straordinario del Governo per la gestione del fenomeno delle persone scomparse, il cui ufficio è composto da dipendenti civili del Ministero dell'interno e della polizia di Stato, che coadiuvano il commissario nelle attività di monitoraggio, raccordo con gli organismi internazionali, studio comparato e analisi dei dati/informazioni sulle persone scomparse e i cadaveri non identificati acquisiti da soggetti pubblici e privati;
    la legge 14 novembre 2012, n. 203, recante disposizioni per la ricerca delle persone scomparse e, in particolare, l'articolo 1, comma 4, stabilisce l'obbligo per l'ufficio di polizia all'atto del recepimento della denuncia di scomparsa, di dare immediato avvio alle ricerche e contestuale comunicazione al prefetto «per il tempestivo e diretto coinvolgimento del commissario straordinario per le persone scomparse, nominato ai sensi dell'articolo 11, della legge 23 agosto 1988, n. 400»;
    con decreto del Presidente della Repubblica, 5 gennaio 2017 è stato confermato nell'incarico di Commissario straordinario del Governo per la gestione del fenomeno delle persone scomparse fino al 14 febbraio 2018 il prefetto Piscitelli;
    il decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 2009 attribuisce al commissario, tra l'altro, il compito di assicurare il necessario coordinamento operativo tra le amministrazioni dello Stato interessate a vario titolo al fenomeno delle persone scomparse, curando il raccordo con le pertinenti strutture tecniche, nonché il compito di monitorare le attività istituzionali dei soggetti impegnati nell'attività di ricerca delle persone scomparse e quello, conseguente, di analizzare le informazioni acquisite al fine di proporre alle autorità competenti eventuali soluzioni per migliorare l'azione amministrativa e l'informazione di settore;
    l'identificazione delle vittime di quella che ormai è, a tutti gli effetti, una vera tratta di esseri umani, aiuta a ricostruire i percorsi e le rotte migratorie, nonché i meccanismi utilizzati dagli scafisti, impedendo il cosiddetto «furto d'identità», pratica utilizzata dai trafficanti di esseri umani che riutilizzano identità e documenti di persone annegate;
    nel settembre 2014 il commissario straordinario per le persone scomparse, il capo del dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno e il rettore dell'università degli studi di Milano hanno sottoscritto uno specifico protocollo d'intesa con la finalità di promuovere e sviluppare azioni in materia di riconoscimento/identificazione dei corpi senza identità appartenenti a cittadini stranieri recuperati in mare a seguito ai tragici naufragi del 3 e 11 ottobre 2013;
    i positivi esiti riscontrati hanno portato, nel luglio 2015, alla stipula di un ulteriore protocollo volto alla gestione della fase di identificazione con metodologia scientifico-forense anche delle circa 750 vittime del naufragio del 18 aprile 2015;
    le operazioni di riconoscimento sono costose e non ci sono fondi adeguati, né a livello italiano, né a livello europeo, dove sarebbe auspicabile la realizzazione di una banca dati europea dei migranti deceduti e scomparsi, che consenta di accedere ai dati del Dna e ad altre informazioni utili per un'indagine post mortem;
    oltre alle vittime in mare, occorre tuttavia ricordare che i trafficanti non si fanno scrupoli nemmeno al momento dell'imbarco sulle coste del Nord Africa: è di questi giorni la notizia del ritrovamento presso la città di Sabrata, ad ovest della Libia, di una fossa comune contenente i corpi di 22 migranti, tutti provenienti dall'Africa sub-sahariana, uccisi dagli scafisti perché non volevano imbarcarsi per il mare agitato a causa delle cattive condizioni del tempo. La conferma di questa ennesima strage è arrivata dalla Mezzaluna rossa;
    per fermare i flussi migratori e, conseguentemente, ridurre i decessi in mare, occorre proseguire celermente nella stipula di patti bilaterali con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo e fermare i migranti sulle coste extra europee. La stipula di accordi non solo deve essere ampliata coinvolgendo i Paesi della fascia Subsahariana, ma deve vedere coinvolta l'intera Unione europea;
    contestualmente, l'Italia deve operare per il passaggio alla fase 3 dell'operazione Sofia, che prevede l'ingresso di mezzi navali nelle acque territoriali libiche per fermare i trafficanti e le imbarcazioni alla partenza, ricercando l'accordo diplomatico e il consenso delle istituzioni libiche e del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite,

impegna il Governo:

1) a sostenere e facilitare le operazioni di identificazione delle vittime delle tragedie dei naufragi e a promuovere la raccolta di dati ante mortem degli scomparsi, anche potenziando l'ufficio del commissario straordinario per le persone scomparse;

2) ad assumere iniziative in sede europea per condividere l'opera e i costi delle identificazioni tra i Paesi membri, proponendo la realizzazione di una banca dati europea dei migranti deceduti e scomparsi che consenta, anche ai fini della sicurezza del continente, di accedere ai dati del Dna e ad altre informazioni utili per un'indagine post mortem;

3) ad assumere iniziative per proseguire nella stipula di patti bilaterali con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo al fine di introdurre specifici accordi volti a promuovere task force miste e favorire lo scambio di informazioni e dati per l'identificazione dei migranti deceduti e scomparsi;

4) a implementare gli sforzi diplomatici per ottenere il consenso delle istituzioni libiche e del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite per il passaggio alla fase 3 dell'operazione Sofia, affinché possano essere meglio controllate le partenze dei migranti dai Paesi d'origine, anche al fine di prevenire i possibili decessi nella traversata del Mediterraneo.
(1-01536) «Altieri, Palese, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».


   La Camera,
   premesso che:
    nonostante non esistano dati certi circa il numero di morti e dispersi nel Mar Mediterraneo nella traversata per raggiungere i Paesi europei, principalmente l'Italia, secondo l'Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), dal 3 ottobre 2013, all'indomani del naufragio a Lampedusa a cui seguirono azioni del Governo e delle istituzioni europee per intensificare le attività di ricerca nel Mediterraneo con pattuglie di soccorso e intervento, al 24 gennaio 2017, sarebbero ben 13.288 i morti e i dispersi in mare, cifra tuttavia solo stimata perché, in realtà, il numero sarebbe molto più alto;
    solo nel 2016 sarebbero quasi 5.000 le vittime dei naufragi, una cifra che non solo rappresenta un record rispetto agli anni precedenti ma è in continua crescita, proprio dal 2013 e dopo l'avvio dell'operazione Mare Nostrum: dai 3.500 morti e dispersi del 2014 ai 3.800 del 2015 fino ai 5.000 del 2016;
    parimenti, sempre nell'anno 2016, è stato registrato anche un altro record, quello di arrivi via mare, oltre 181.436 dai 42.925 del 2013, mentre, sempre secondo gli ultimi dati del Ministero dell'interno, il riconoscimento dello status di rifugiato, ai sensi dell'articolo 1 della Convenzione di Ginevra, è passato dal 13 per cento nel 2013 al 5 per cento nel 2016 e, in generale, il numero delle domande accolte, ossia alle quali è stata riconosciuta una delle tre forme di protezione è drasticamente diminuito, passando dal 60,9 per cento nel 2013 al 38 per cento registrato nel 2016;
    dal 1o gennaio al 21 febbraio 2017 sarebbero già circa 10.070 gli immigrati arrivati illegalmente dai confini marittimi in Italia, ben il 44,83 per cento in più rispetto a quelli dello stesso periodo del 2016;
    invece, nel 2010 gli sbarchi calarono del 90 per cento rispetto al 2008, passando da 36.951 a 4.406 arrivi, per effetto degli accordi bilaterali stipulati con i maggiori Paesi di arrivo e transito, dell'istituzione del fondo di cui all'articolo 14-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998, promossa dall'allora Ministro Maroni per eseguire effettivamente il rimpatrio dei clandestini, e l'introduzione del reato di cui all'articolo 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, cosiddetto di immigrazione clandestina;
    nel 2013 tale fondo è stato di fatto svuotato con il decreto-legge n. 120, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 137 del 2013, al fine di destinarne le risorse al sistema di accoglienza;
    nel 2014 con la legge n. 67 del 2014, recante «Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio», è stata disposta l'abolizione del reato di immigrazione clandestina;
    nel 2015 degli 11 centri di identificazione ed espulsione presenti in Italia ne risultavano funzionanti solo 5, con una presenza al loro interno di soli 510 stranieri irregolari, scesi a 288 al 31 dicembre 2016;
    nel 2016 tra i Paesi di origine degli immigrati al momento del fotosegnalamento in Italia vi sono Nigeria, Guinea, Gambia, Costa d'Avorio e Senegal;
    i dati riportati in premessa confermano che, per la stretta correlazione tra le partenze e i decessi durante la traversata del Mediterraneo, le politiche che incentivano tali partenze sono estremamente pericolose e che, invece, occorre adottare misure ed iniziative immediate che blocchino tali flussi, salvando così numerose vite umane;
    recentemente la stessa agenzia Frontex ha sottolineato che «occorre impedire che gli affari dei network criminali e degli scafisti in Libia siano favoriti dal fatto che i migranti vengono soccorsi da navi europee sempre più vicino alle coste libiche: ciò fa sì che i trafficanti costringano più migranti che in passato a salire sulle carrette del mare, senza abbastanza acqua né carburante», esponendoli, dunque, a maggiori rischi nella traversata;
    in particolare, secondo l'Agenzia Frontex, a produrre di fatto un effetto moltiplicatore delle partenze sarebbero proprio le sempre più numerose navi gestite da organizzazioni umanitarie (Moas, Jugend Rettet, Stichting Bootvluchting, Médecins sans frontières, Save the children, Proactiva Open Arms, Sea-Watch.org, Sea-Eye, Life boat), che navigano nelle acque tra la Libia e la Sicilia e che annoverano tra i propri finanziatori la Open Society e altri gruppi legati al milionario George Soros, il quale avrebbe promesso il 20 settembre 2016 investimenti da 500 milioni di dollari per favorire «l'arrivo dei migranti»;
    come emerso da numerose inchieste giornalistiche dei mesi scorsi, nell'ultimo anno, nonostante l'aumento delle partenze le chiamate alle forze dell'ordine sarebbero, invece, diminuite e questo perché i trafficanti, contattando direttamente le sempre più numerose navi delle ONG e sapendo di poter contare sul loro intervento, hanno incrementato i viaggi e con imbarcazioni sempre più malmesse, tanto che i decessi in mare sarebbero passati da 3.100 a 5.000 circa nel 2016;
    l'operazione Sophia, la missione navale EuNavFor Med lanciata nel 2015 con il criptico fine di «smantellare il modello di business dei trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo centro meridionale» e il cui mandato è stato esteso nel giugno 2016 dal Consiglio dei ministri degli Esteri europei per un ulteriore anno, di fatto si limita a raccogliere in mare immigrati clandestini per portarli in Italia, come fanno anche le flotte delle operazioni Triton (Ue-Frontex) e Mare Sicuro e in precedenza l'operazione Mare Nostrum, favorendo, invece, e incoraggiando i flussi migratori illegali, a dispetto della propria missione;
    le misure previste dal memorandum siglato il 2 febbraio 2017 tra il Governo italiano e il Governo libico guidato da Fayez al-Sarraj si palesano, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo del tutto inefficaci rispetto alla finalità di contrasto all'immigrazione illegale sia perché l'autorità di Fayez al-Sarraj è limitata alla sola Tripoli sia perché non consentirà di intervenire nelle acque libiche per contrastare i trafficanti;
    indubbiamente la tratta clandestina di esseri umani, qualunque sia la rotta, è un business immorale e pericoloso per la sicurezza nazionale, nella misura in cui arricchisce soggetti criminali e va quindi scoraggiata e repressa in ogni modo;
    è innegabile che l'Italia, avendo dei confini in maggior parte permeabili come quello marittimo, necessita di particolari misure di controllo e respingimento,

impegna il Governo

1) al fine di prevenire il fenomeno dei decessi di immigrati nella traversata del Mediterraneo e le conseguenti attività di identificazione, ad assumere ogni utile iniziativa di competenza volta a disincentivare le partenze degli immigrati dai Paesi di origine e di transito, mediante una politica rigorosa finalizzata al controllo delle frontiere marittime e terrestri.
(1-01537) «Molteni, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    le politiche attive per il lavoro, in particolare nel contesto di una crisi economica strutturale, devono esercitare un ruolo determinante di sostegno per i lavoratori e i giovani, occupati e non, ma è necessario investire su di esse significative risorse aggiuntive certe e non continuando in una insufficiente azione fondata sulla previsione di risorse a legislazione vigente;
    si registra, ancora oggi, un mercato del lavoro nazionale basato su precarietà e riduzione dei diritti e delle tutele per i lavoratori e privo di un adeguato sistema di politiche attive, di una cultura ed una strutturazione dei servizi all'impiego che solo con un effettivo cambio di indirizzo potrebbe produrre i risultati efficaci;
    in tale ambito, deve essere rilanciata la centralità del ruolo e della funzione dei centri per l'impiego nella realizzazione di compiute e articolate politiche pubbliche attive del lavoro; questo si sostanzia anche nella stabilizzazione dei precari dei centri per l'impiego e dell'ex Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori (Isfol);
    in Italia, i precari dei centri impiego che vivono in condizione di lavoratori precari sono circa 2000, ed è giunto il momento di sanare questa situazione a giudizio dei presentatori del presente atto di indirizzo vergognosa che si protrae da anni, che si deve affrontare e definire attraverso un percorso definitivo di stabilizzazione;
    può essere condivisibile che il coordinamento delle politiche attive per il lavoro risieda nell'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal), quindi in un unico ente pubblico e nazionale, ma non si può non segnalare il rischio che la gestione di tali politiche, di cui all'articolo 11 decreto legislativo n. 150 del 2015, che dispone l'organizzazione dei servizi per il lavoro e delle politiche attive del lavoro a livello regionale e delle province autonome, da realizzarsi attraverso l'attuazione di singole convenzioni tra Ministero del lavoro e delle politiche sociali e le regioni, possa determinare una pericolosa diversificazione di risorse e strumenti a disposizione;
    la Rete nazionale dei servizi per le politiche del lavoro, prevista dall'articolo 1 del decreto legislativo n. 150 del 2015, vede come soggetto centrale di coordinamento di tutte le attività della Rete, l'Anpal. Nell'ambito della rete figurano, diverse istituzioni pubbliche, l'Istituto per lo sviluppo della formazione professionale (ex Isfol), oggi Inapp, e l'ex Italia lavoro, oggi Anpal servizi;
    l'esito del referendum sulla riforma costituzionale oggettivamente ha chiarito che la governance delle politiche attive del lavoro definite dal decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150, resta materia di competenza legislativa concorrente tra Stato e regioni; la riforma costituzionale aveva previsto che allo Stato sarebbe stata attribuita la legislazione esclusiva sul lavoro e alle regioni sarebbero residuate le sole funzioni operative relative alla gestione delle politiche attive;
    sulla governance delle politiche attive del lavoro un accordo quadro tra Governo, regioni e le province autonome di Trento e Bolzano del 22 dicembre 2016 ribadiva le funzioni del Governo, delle regioni e province autonome, già convenute nell'Accordo quadro in materia di politiche attive per il lavoro del 30 luglio 2015, successivamente recepite nel decreto legislativo n. 150 del 2015;
    sulla governance delle politiche attive un accordo quadro tra Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano del 22 dicembre 2016 ribadiva le funzioni del Governo, delle regioni e province autonome, già convenute nell'Accordo quadro in materia di politiche attive per il lavoro del 30 luglio 2015 e successivamente recepite nel decreto legislativo n. 150 del 2015, una governance che oggi non ha motivo di restare in vigore, tenuto conto che la materia è rimasta ora come concorrente e quindi la potestà legislativa è delle regioni,

impegna il Governo:

1) a prevedere il sostegno e il rafforzamento delle politiche attive del lavoro, finalizzate in particolare alla riduzione della disoccupazione e al sostegno al reddito, assumendo iniziative per stanziare risorse aggiuntive, già dal prossimo Documento di economia e finanza, risorse da quantificare adeguatamente nella prossima legge di bilancio, considerato che non è infatti ipotizzabile un intervento a costo zero o a legislazione vigente, sulle politiche attive del lavoro, come di fatto previsto dal decreto legislativo n. 150 del 2015;

2) ad assumere iniziative per destinare quota parte delle suddette risorse aggiuntive al rafforzamento dei centri dell'impiego e alla ricerca sulla qualità del lavoro, anche procedendo al completo superamento dello stato di precarietà dei lavoratori precari dell'ex Isfol, oggi Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche, e dei centri per l'impiego, che da anni vivono in una situazione di precariato non più accettabile, attraverso la stabilizzazione del rapporto di lavoro;

3) a sostenere, nell'ambito delle politiche attive del lavoro, iniziative e programmi che siano uniformi sull'intero territorio nazionale, evitando una disomogeneità nell'applicazione della normativa in materia nelle diverse realtà territoriali a causa di differenti risorse, strumenti e risultati, superando un modello fallimentare praticato fino ad oggi;

4) ad assumere iniziative per superare la fase di transitorietà indicata nell'accordo quadro raggiunto in sede di Conferenza Stato-regioni sulla governance delle politiche attive per il lavoro, tenuto conto che la materia, a seguito dell'esito del referendum del 4 dicembre 2016, è rimasta tra quelle di competenza legislativa concorrente tra Stato e regioni, dando piena uniformità e coerenza alle politiche attive del lavoro svolte a livello locale e nazionale.
(1-01538) «Placido, Airaudo, Marcon, Costantino, Daniele Farina, Fassina, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Gregori, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   TERZONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   dall'edizione del 28 novembre 2016 de IlFattoQuotidiano.it si è appreso che alcuni ricercatori dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) già impegnati nel monitoraggio dell'attività vulcanica e tellurica dell'isola di Ischia sarebbero stati impiegati per studiare la fattibilità della costruzione di una centrale geotermica privata;
   nell'articolo vengono riportati dei dettagli della vicenda che è stata ricostruita grazie a una lettera interna dell'Istituto di cui IlFattoQuotidiano.it è entrato in possesso. La lettera, era destinata ai vertici dell'Istituto e metteva a conoscenza di una serie di fatti ritenuti anomali circa il progetto di realizzazione della centrale geotermica a Serrara Fontana sulle falde del monte Epomeo;
   il progetto è osteggiato sia da molti cittadini che dagli operatori turistici che ritengono la centrale un pericolo per un'area già soggetta a terremoti periodici anche di notevole intensità;
   anche la comunità scientifica pone dei dubbi sulla opportunità di costruire una centrale geotermica sull'isola temendo che in un contesto così fortemente ci sia il rischio di innescare terremoti. Tra questi il geologo Franco Ortolani che da anni studia i fenomeni sismici ha affermato che «l'area interessata al progetto è già notoriamente sismica naturalmente. La reiniezione di fluidi estratti (attività prevista dal progetto) può causare sismicità indotta con eventi di magnitudo fino a 2,4»;
   la società Ischia Geotermia si è rivolta all'Osservatorio vesuviano dell'Ingv per avere un parere scientifico sul progetto e l'Osservatorio avrebbe dato l'incarico a tre giovani ricercatori la cui retribuzione è a carico della Protezione civile;
   nel testo della lettera sopra ricordata sono state contestate la legittimità di utilizzare personale retribuito con i fondi della protezione civile e il fatto che l'Ente non sarà poi chiamato a legittimare i risultati dello studio che saranno comunque utilizzati per sostenere la validità di un progetto privato;
   la direttrice dell'Osservatorio vesuviano incalzata sulla vicenda da IlFattoQuotidiano.it sostiene che le attività commissionate da Ischia Geotermia «risultavano essere di grande rilevanza e impatto per il Dipartimento di Protezione civile in quanto finalizzate ad acquisire nuovi dati sperimentali e a definire i modelli necessari allo sviluppo degli scenari di pericolosità sismica e vulcanica per l'area investigata». Perciò si è deciso di utilizzare «personale esperto», cioè «tre ricercatori con contratto su fondi Protezione civile-Ingv». Inoltre «Ischia Geotermia Srl riconosce altresì che i dati acquisiti a seguito delle esplorazioni effettuate potranno essere liberamente utilizzati da Ingv Osservatorio Vesuviano per scopi scientifici e/o di protezione civile»;
   nell'articolo 1 del regolamento di organizzazione e funzionamento dell'Ingv tra le altre cose si legge che l'istituto persegue la finalità di fornire, nell'ambito del perseguimento delle proprie finalità, servizi a terzi in regime di diritto privato;
   l'istituto, inoltre, è componente del servizio nazionale di protezione civile di cui all'articolo 6 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e le attività di cui alle lettere a), relativamente alla valutazione del rischio e della pericolosità, c), d) ed e) del primo comma del presente articolo sono svolte in regime di convenzione con il dipartimento della protezione civile –:
   come questo tipo di «consulenze» si concilino con quanto indicato nel regolamento riportato in premessa, dal quale si evince che le attività per conto di terzi non rientrano tra quelle svolte in convenzione con il dipartimento della protezione civile ma tra quelle in regime di diritto privato;
   se vi siano altri casi simili verificatisi sul territorio nazionale, ossia se anche in altre occasioni sia stato utilizzato personale dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia a spese della Protezione civile per svolgere incarichi commissionati da privati. (4-15895)


   CARUSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   lo sciame sismico, che da oltre sette mesi sta martoriando i territori e le popolazioni del centro Italia, nonché quelli delle regioni limitrofe ha provocato danni dal punto di vista materiale – ed insieme – morale, tali che la ripresa appare ben lontana;
   in alcuni territori come quello abruzzese, che hanno una consuetudine con gli eventi sismici, la situazione è stata aggravata anche dal verificarsi di situazioni meteorologiche avverse estreme;
   ciò si è verificato nei comuni della Alta Valle Aterno, nella cui area si sono avute abbondanti nevicate proprio nei giorni immediatamente precedenti e successivi al sisma del 18 gennaio 2017 e dove l'emergenza tuttora non si placa e la popolazione deve fare i conti anche con la paura scatenata dall'allarme, seppure ridimensionato, lanciato proprio a ridosso delle scosse di gennaio dalla Commissione grandi rischi circa la tenuta della diga di Campotosto;
   il comune di Campotosto, in particolare, già incluso fra quelli individuati facenti parte del cratere sismico del terremoto di l'Aquila del 6 aprile 2009, di Amatrice del 24 agosto 2016 e di Norcia del 26 e 30 ottobre 2016, si è trovato vicinissimo agli epicentri delle scosse del 18 gennaio 2017;
   in seguito al terremoto del 2009, il comune di Campotosto aveva visto l'avvio di numerose iniziative finalizzate alla promozione della ripresa del territorio, e il rischio è che ora, in seguito ai nuovi sismi, si proceda ad una ridefinizione delle procedure per la ricostruzione che avrebbe come unico effetto quello di disperdere i risultati fin qui ottenuti e di allungare la tempistica degli interventi;
   al contrario, è necessario: accelerare le pratiche già in corso, procedere all'individuazione immediata delle aree su cui dovranno sorgere le Soluzioni abitative di emergenza (Sae), accelerare l'apertura dell'Utr – ufficio tecnico ricostruzione – nell'area dell'Alta Valle Aterno anche a fronte dell'attuale impraticabilità della strada statale 80 per il raggiungimento della città di Teramo, concedere un contributo al 100 per cento anche per la ricostruzione delle seconde case, prevedere aiuti alle imprese agricole e commerciali che, sebbene in grado di realizzare i propri prodotti, risultino in difficoltà o addirittura impossibilitate nella vendita degli stessi –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare in merito alla situazione sopra descritta, con particolare riferimento al comune di Campotosto. (4-15897)


   TERZONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il sito on line «sibilla-online.com» ha pubblicato in data 9 marzo 2017 un articolo nel quale viene fatto un raffronto tra i rimborsi che furono normati per la ricostruzione pesante del post terremoto del 2012 in Emilia-Romagna e quelli che sarebbero stati inseriti nella bozza di ordinanza consegnata ai sindaci del cratere dei sismi del Centro Italia del 2016 dal commissario Vasco Errani;
   il decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 244 del 18 ottobre 2016, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 dicembre 2016, n. 229, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. 294 del 17 dicembre 2016, stabilisce, tra le altre cose, il rimborso, fino al 100 per cento delle spese sostenute, del minore tra il costo derivante dal computo metrico del progetto e il costo parametrico fissato dalle tabelle dell'ordinanza;
   secondo i dati resi noti dal sito, i rimborsi per la ricostruzione pesante non arriveranno al 100 per cento della spesa e saranno in alcuni casi dimezzati rispetto a quelli dell'Emilia-Romagna. Questo perché i costi parametrici degli interventi fissati per la ricostruzione pesante post sisma 2016, con i quali vengono fissati gli importi massimi del contributo pubblico, riportati nella bozza di ordinanza sarebbero molto più bassi rispetto a quanto previsto invece per il sisma del 2012;
   il sito mette a confronto la tabella allegata all'ordinanza di ricostruzione per l'Emilia-Romagna con quella presente nell'ordinanza per il Centro Italia ed evidenzia alcuni casi concreti:
    a) per demolire e ricostruire un immobile di 200 metri quadri danneggiato in modo estremo nel Centro Italia l'ordinanza di Errani individua un costo parametrico di 200 mila euro, contro i 248 mila euro concessi per la ricostruzione post sisma 2009;
    b) per un immobile con danni meno importanti, sempre di 200 metri quadri, oggi si stimano 133 mila euro di rimborso massimo contro i 164 mila dell'Emilia;
   anche gli aumenti dei costi parametrici previsti per le casistiche particolari presentano evidenti differenze: la maggiorazione per il cantiere «disagiato» questa volta sarà del 5 e non del 10 per cento, per gli edifici di interesse culturale sarà del 30 per cento e non del 40 per cento, per quelli sottoposti a vincolo paesaggistico del 10 e non più del 30 per cento;
   la differenza maggiore tra quanto previsto nel 2012 e quanto invece indicato nell'ordinanza in oggetto i risulta esserci per quanto riguarda gli interventi più leggeri, ossia quelli che prevedono esclusivamente il rafforzamento locale. Per questa tipologia il sito riporta il caso di una casa di 100 metri quadri per la quale in Emilia-Romagna venivano riconosciuti fino a 80 mila euro e nel Centro Italia non più di 37 mila euro –:
   se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;
   come vengano stabiliti i costi parametrici e quali siano i motivi per i quali nella bozza di ordinanza indicata in premessa siano previsti valori così distanti rispetto a quanto stabilito per la ricostruzione post sisma del 2012;
   se non ritenga di dover assumere iniziative per far sì che i costi parametrici previsti per la ricostruzione nelle aree colpite dal sisma del Centro Italia siano almeno equiparati a quelli applicati nel 2012. (4-15900)

DIFESA

Interrogazione a risposta orale:


   ROMANINI e PATRIZIA MAESTRI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in occasione del 70o anniversario della Liberazione, il Ministro della difesa ha realizzato un riconoscimento particolare — la «Medaglia della Liberazione» — destinato a tutti coloro, che hanno partecipato alla Resistenza e alla Lotta di Liberazione: partigiani, internati militari nei lager nazisti, combattenti inquadrati nei reparti delle Forze armate, oggi viventi;
   tale riconoscimento, come ha dichiarato il Ministro, ha il significato di sottolineare a settant'anni di distanza, il ringraziamento a quanti non esitarono a sacrificarsi in nome della libertà e a diffondere tra le nuove generazioni l'importanza della lotta di liberazione e dei sacrifici che sono stati fatti per dare un nuovo futuro al Paese;
   a Parma la Cerimonia di consegna della medaglia con relativo attestato nominativo si è tenuta in prefettura il IV novembre, giornata dell'unità nazionale e delle Forze armate. Le medaglie promesse a maggio, sulla base delle domande effettuate dalle organizzazioni partigiane e dei soggetti aventi diritto, sono arrivate in numero minore e per questa ragione sono state consegnate ai soli partigiani dell'Anpc e ai superstiti della Divisione Acqui;
   tale fatto ha deluso le aspettative dei partigiani dell'Anpi e di quelli delle altre associazioni le cui sezioni locali si erano mobilitate intensamente per portare a termine nei migliore dei modi la ricerca coinvolgendo le famiglie e il territorio –:
   quali siano le ragioni dell'accaduto;
   se non ritenga, considerata anche l'età ragguardevole dei partigiani aventi diritto, di procedere nei tempi più celeri possibili con la consegna delle altre medaglie in modo che si ponga riparo a quanto accaduto e si concluda nel migliore dei modi la celebrazione del 70esimo della Liberazione. (3-02866)

Interrogazione a risposta scritta:


   BASILIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'area della ex caserma «Donati» (appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato), sita in comune di Sesto Fiorentino, allo stato risulta inutilizzata;
   la società Delfino Coop (soggetto cooperativo composto integralmente da personale militare e forze di polizia in servizio di quiescenza) ha presentato al Ministero della difesa un progetto per il recupero e la trasformazione del bene demaniale e ha chiesto, sulla base di una manifestazione di interesse da parte dello stesso, l'assegnazione in concessione dell'area, al fine di realizzare alloggi da assegnare in locazione ai propri soci dipendenti o ex dipendenti del Ministero;
   nel rispetto dei principi di massima trasparenza, l'elenco completo dei soci è stato consegnato al Ministero della difesa, unitamente al progetto e al piano di finanziamento;
   il progetto è stato definito anche dalla Corte dei conti come esempio di progetto pilota (social housing) su cui potrebbe basarsi tutto il settore delle valorizzazioni del patrimonio della difesa, nell'interesse dello Stato e del personale della amministrazione pubblica con i loro famigliari;
   malgrado la corrispondenza intercorsa tra le parti e i diversi solleciti presentati dalla ricorrente, l'Amministrazione non adottava alcun provvedimento conclusivo, di tal che la società Delfino Coop è stata costretta ad adire al Tar Lazio avverso il silenzio manifestato dall'Amministrazione dinanzi alle reiterate richieste degli interessati di dare seguito all'intrapreso procedimento;
   il Tar del Lazio con sentenza n. 5356/2014 ha accolto il ricorso ordinando al Ministero della difesa di fornire esplicito e motivato riscontro circa la diffida della società ricorrente;
   la società Delfino Coop, nonostante il decorso del tempo dalla pubblicazione della sentenza ed il suo passaggio in giudicato per mancata impugnazione, constatava che l'ordine del Tar rimaneva ineseguito, tanto da essere costretta, nuovamente, ad adire al Tar del Lazio;
   il Tar del Lazio con sentenza pubblicata in data 8 novembre 2016 n. 11065/2016 ha accolto il ricorso, ordinando al Ministero della difesa di dare esecuzione alla sentenza sopracitata entro 90 giorni dalla comunicazione e, in caso di ulteriore inadempimento, nominando quale commissario ad acta il direttore dell'Agenzia del demanio affinché provveda, su istanza di parte, a porre in essere tutti gli atti necessari alla corretta esecuzione, entro l'ulteriore termine di 180 giorni, decorrente dalla scadenza infruttuosa di quello assegnato al Ministero;
   allo stato non risulta ancora che sia stato dato positivo riscontro alla richiesta di assegnazione in concessione dell'ex caserma Donati;
   l'area in questione è stata oggetto di occupazione da parte di senza tetto di varie etnie, che hanno causato anche gravi problemi sociali;
   l'area in questione, peraltro, risulta soggetta a consistente e progressivo degrado ed è soggetta a periodiche opere di manutenzione, con un conseguente aggravio di costi e sperpero di risorse economiche per la pubblica amministrazione –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno attivarsi immediatamente per sbloccare finalmente la situazione, eseguendo le sentenze del Tar, dando così positivo riscontro alla richiesta della società Delfino Coop relativamente all'assegnazione in concessione dell'ex caserma Donati;
   se il Ministro della difesa non ritenga opportuno adottare il progetto proposto come modello pilota di social housing da estendersi nel settore della valorizzazione del patrimonio della difesa, nell'interesse dello Stato e delle condizioni del personale dell'amministrazione pubblica, con i loro famigliari. (4-15896)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   RAMPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   sono stati nuovamente bloccati i lavori del terzo macrolotto della strada statale n. 106 Ionica, un lavoro da oltre un miliardo di euro di costo complessivo che interessa i trentotto chilometri di percorso compresi tra l'innesto della strada statale n. 534 sino a Roseto Capo Spulico;
   il terzo macrolotto ricade nell'ambito di applicazione della legge n. 443 del 2001, recante «Delega al Governo in materia di infrastrutture e insediamenti produttivi di interesse nazionale», la cosiddetta legge obiettivo, ed era un intervento inserito nel primo programma delle infrastrutture strategiche di cui alla delibera CIPE n. 121 del 2001;
   la realizzazione dell'opera infrastrutturale era stata prevista anche dall'accordo di programma per il sistema delle infrastrutture di trasporti nella regione Calabria, stipulato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con la regione Calabria in data 16 maggio 2002, e fu poi inserita nel piano dell'Anas per il periodo 2003-2012, e nel piano degli investimenti Anas per il quadriennio 2007-2011;
   nel dicembre 2008 l'Anas ha emesso il bando con una base d'asta di poco più di 960 milioni di euro, alla quale ha fatto seguito l'aggiudicazione provvisoria dei lavori in capo alle società Astaldi e Impregilo per 791 milioni di euro nel dicembre 2010, poi rimasta bloccata per un anno a causa di una clausola della delibera del Cipe n. 103 del 2007 relativa alla effettiva disponibilità dei fondi previsti;
   nel dicembre 2011 una nuova delibera del Cipe ha disposto la cancellazione di tale clausola, consentendo all'Anas di aggiudicare definitivamente l'appalto, cosa poi avvenuta nel febbraio 2012 in favore delle società Astaldi, capogruppo, con il sessanta per cento, e Impregilo con una partecipazione minoritaria del quaranta per cento;
   nell'agosto del 2016, dopo ben quindici anni dall'avvio dell’iter burocratico per la realizzazione del tratto stradale, il Cipe ha approvato la prima parte, relativa una spesa di 276 milioni di euro, del progetto definitivo del macrolotto, «con l'impegno all'approvazione in tempi brevi della seconda tratta» e dei relativi finanziamenti, pari a 842 milioni di euro;
   il 1o marzo 2017 la Corte dei conti ha rinviato al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti la parte di progetto che aveva già ritenuto finanziabile, formulando alcuni rilievi e chiedendo chiarimenti entro i successivi venti giorni, ma il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha ritenuto di ritirare la delibera, riportando tutto l’iter del progetto indietro di un intero anno;
   la strada statale Jonica è una delle strade con il più alto tasso di incidenti mortali di tutta l'Italia, e ogni intervento di ammodernamento e messa in sicurezza dovrebbe essere considerata di interesse prioritario per tutti gli organismi coinvolti nella fase decisionale e di erogazione dei finanziamenti;
   il ritiro della delibera senza alcun tentativo di rispondere ai rilievi formulati dalla Corte dei conti lascia supporre che l'atto fosse davvero inadeguato, e ha fatto nascere il sospetto, pubblicamente espresso da parte dell'associazione «Basta Vittime Sulla Strada Statale 106», che «la presentazione della delibera Cipe ad agosto 2016 è stata semplicemente una manovra politica di bassa lega che costoro hanno intentato ai danni della popolazione calabrese in vista del referendum costituzionale di dicembre» –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere per consentire la realizzazione del terzo macrolotto della strada statale n. 106. (3-02867)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DELL'ORCO, CARINELLI, SPESSOTTO e NICOLA BIANCHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 novembre 2016 i primi tre firmatari del presente atto di sindacato ispettivo depositavano formale richiesta di accesso agli atti, ai sensi della legge n. 241 del 1990 come integrata e modificata dalla legge n. 15 del 2005 e del decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 2006 n. 184, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al coordinatore della struttura tecnica di missione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e al presidente del Comitato interministeriale per la programmazione economica per richiedere copia dei documenti amministrativi e relativi allegati inerenti obbligazioni giuridiche vincolanti riguardanti le seguenti opere prioritarie:
    1. Nuovo collegamento ferroviario Torino-Lione (parte italiana);
    2. Linea AV/AC Milano Venezia – Brescia Verona;
    3. Linea AV/AC Milano Venezia – Verona Padova;
    4. Terzo Valico dei Giovi;
    5. Pedemontana lombarda;
    6. Pedemontana veneta;
    7. Tangenziale Est Milano;
    8. MO.S.E.;
    9. Bretella Campogalliano Sassuolo;
    10. Realizzazione del passante e della Stazione AV/AC di Firenze;
    11. Aeroporto di Firenze – Seconda pista;
   il capo del dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica risponde in data 19 dicembre 2016 che i contratti sono presso l'amministrazione competente per materia ovvero il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT);
   il 9 gennaio 2017 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Direzione generale per il trasporto e le infrastrutture ferroviarie mette i richiedenti a conoscenza dell'interlocuzione in corso tra la direzione stessa e RFI – Direzione Investimenti a proposito della richiesta di accesso agli atti da cui emerge che la suddetta Direzione generale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti non sarebbe in possesso dei contratti di competenza per la parte ferroviaria e chiede a Rfi di fornirceli;
   il 10 febbraio 2017 la suddetta direzione generale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti mette nuovamente a conoscenza i richiedenti del seguito delle comunicazioni intercorse con Rfi: quest'ultima avrebbe risposto in maniera negativa alla richiesta del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, affermando di non ritenere i richiedenti titolati ad accedere agli atti, mancando il presupposto di interesse personale, concreto e attuale e suggerendo che, in quanto deputati, possono accedere alle informazioni tramite atti di sindacato ispettivo come ribadito dalla decisione del 15 dicembre 2016 della Commissione, per l'accesso ai documenti amministrativi presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. A sua volta il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti scrive a Rfi di dare agli interessati diretto riscontro alla richiesta in considerazione delle recenti modifiche in materia di diritto di accesso ai documenti amministrativi (decreto legislativo 25 maggio 2016 n. 97). Il 22 febbraio 2017 Rfi ribadisce ai richiedenti il diniego ai sensi della legge n. 241 del 1990;
   in data 22 febbraio 2017 i primi tre firmatari del presente atto hanno provveduto a presentare direttamente a Rfi nuova istanza di accesso civico ai sensi e per gli effetti dell'articolo 5 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, come modificato dall'articolo 6, primo comma, del decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97 a cui non hanno ancora ricevuto risposta –:
   se corrisponda al vero che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, titolato a vigilare sul concessionario Rfi e sulle opere oggetto di contratto di programma, non sia in possesso dei documenti amministrativi inerenti e come, in tal caso, possa svolgere adeguatamente ai suoi compiti di vigilanza;
   quali delle opere elencate in premessa sia già soggetta ad obbligazioni giuridiche vincolanti e a quanto ammontino le eventuali singole penali in caso di risoluzione anticipata dei contratti;
   se Rfi, ai sensi dell'Atto di concessione e dei contratti di programma che la legano allo Stato, possa negare una richiesta di documentazione da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. (4-15899)


   PRESTIGIACOMO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in attuazione dell'articolo 8, comma 1, lettera f), della legge n. 124 del 2015 è stato emanato il decreto legislativo n. 169 del 2016, recante riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione della disciplina delle autorità portuali, che riduce le attuali 24 autorità portuali in 15 autorità di sistema portuale (AdSP);
   alla luce del riordino previsto dal decreto legislativo sopra citato, nella Regione siciliana sono state istituite due autorità di sistema portuali: quella del Mare di Sicilia occidentale in cui rientrano i porti di Palermo, Termini Imerese, Porto Empedocle e Trapani e quella del mare orientale di cui fanno parte i porti di Augusta e Catania;
   nel riordino è altresì prevista un'unica autorità di sistema portuale per i mari Tirreno meridionale e Jonio e dello Stretto, che ricomprende i porti di Gioia Tauro, sede della stessa autorità portuale, Crotone (porto vecchio e nuovo), Corigliano Calabro, Taureana di Palmi, Villa San Giovanni, Vibo Valentia, Reggio Calabria, nonché i porti di Messina, Milazzo e Tremestieri;
   il porto di Messina è tra i più grandi ed importanti del Mediterraneo, con oltre 10 milioni di passeggeri trasportati all'anno, ed è il primo in Italia nel settore. Il porto di Messina è, altresì, uno dei principali scali del Mediterraneo, con un traffico annuo crescente di croceristi che conta oltre 500 mila presenze;
   ad avviso dell'interrogante e contrariamente a quanto più volte dichiarato dal Ministro interrogato, è evidente come il riordino appena citato vada nella direzione opposta dell'efficienza e della semplificazione burocratica, considerato che il porto di Messina dovrà addirittura far capo, con tutte le difficoltà del caso, all'autorità portuale, con sede a Gioia Tauro, collocata in un'altra regione;
   la scelta di accorpare il porto di Messina ad altri porti, fuori dal territorio siciliano, ad avviso dell'interrogante, si pone in contrasto con le scelte di efficienza nel settore non solo in termini competitivi nazionali, ma anche in un quadro più ampio delle politiche di integrazione che sono tese a valorizzare la razionalizzazione tra le diverse strutture portuali;
   per rendere più competitive le autorità portuali presenti nel nostro territorio vi è la necessità di operare un coordinamento, nonché uno sviluppo di sinergie di complementarietà tra le stesse, al fine di valorizzarne le attività e gli investimenti, al contrario di quanto previsto dalla riforma sopra citata che, promuovendo, senza una logica ben precisa, un'aggregazione delle attuali 24 autorità portuali affiderebbe un ruolo subalterno a porti strategici del nostro Paese –:
   se il Ministro interrogato, alla luce di quanto esposto in premessa, non intenda rendere nota l'attività di istruttoria e le motivazioni che abbiano indirizzato accorpamento dell'autorità portuale di Messina con altre autorità portuali site fuori dalla Regione siciliana;
   se il Ministro interrogato non intenda adottare le iniziative di competenza volte a ridefinire i criteri della riforma delle autorità portuali, istituendo un autorità portuale dello Stretto in modo da promuovere una vera competitività non solo nell'ambito nazionale ma anche europeo. (4-15901)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano «Corriere della Sera» del 6 marzo 2017 riporta la notizia della prossima chiusura della sezione della squadra mobile di Casal di Principe, la cui composizione è passata, tra l'altro, nel corso degli anni, dagli originari trenta poliziotti, entrati in servizio nove anni fa, a solo due;
   il cambio di destinazione d'uso, da sociale a militare, dell'attuale sede della squadra mobile, una villa nel centro del paese, confiscata al boss Dante Apicella, ha imposto regole più severe per l'agibilità dell'immobile, richiedendo lavori di adeguamento e l'impossibilità, di conseguenza, di continuare ad ospitare la sezione di polizia;
   la chiusura di tale sezione, in un luogo simbolo della criminalità organizzata, rappresenta un grave errore che, per usare le parole del giornalista del Corriere della Sera, Gian Antonio Stella, autore dell'articolo anzidetto, «rischia di dare un segnale pessimo ai cittadini perbene che, anche a dispetto delle difficoltà economiche, continuano a sperare nel riscatto. E incoraggiare i malavitosi, oggi in difficoltà, a rialzare la testa»;
   l'impegno, al termine dei lavori di adeguamento, di elevare il presidio a commissariato di pubblica sicurezza, come ribadito dal capo della polizia Gabrielli, è ancora solo un proposito, in quanto il relativo iter di approvazione del progetto non è ancora iniziato;
   è, invece, concreto il pericolo che l'assenza di un posto di polizia su un territorio, già caratterizzato dalla scarsa presenza dello Stato, con solo cinque vigili per 22 mila abitanti, possa compromettere un'efficace azione di contrasto della criminalità organizzata –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno mantenere il presidio della squadra mobile di Casal di Principe, disponendone a tal fine lo spostamento in locali idonei ad ospitarne la sede e incrementandone l'organico. (5-10810)

Interrogazione a risposta scritta:


   LOMBARDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dalla stampa degli ultimi giorni si apprende che a Casal di Principe a breve sarà chiusa la sede della squadra mobile, ospitata nel palazzo confiscato all'esponente del clan dei casalesi, Dante Apicella, in Corso Umberto I, nel 2008 e dato in uso al comune. Si smantellerebbe in questo modo l'unico presidio di polizia presente nella capitale della camorra, dove, in questi 9 anni, gli abitanti del luogo si sono sentiti più garantiti dalla presenza non solo dei carabinieri, ma anche della polizia, che ha portato a compimento numerose operazioni di contrasto alla criminalità organizzata;
   pare che tale decisione si basi su un «pasticcio burocratico»: alla fine di settembre 2015, infatti, è arrivata l'assegnazione diretta del palazzo da parte dell'Agenzia del demanio al Ministero dell'interno, con il conseguente cambio di destinazione d'uso: da sociale a militare; pertanto, in base alle nuove regole da applicare, l'edificio ora non rispetterebbe tutti i crismi necessari per poter ospitare un presidio della polizia;
   secondo indiscrezioni, risulta che a Casal di Principe potrebbe sorgere un nuovo commissariato in altra sede, a cui sarà accorpato il posto fisso del comune limitrofo di Casapesenna; tuttavia, si teme di perdere il presidio della squadra mobile a Casal di Principe, dato che al momento non si conosce ancora la data del trasferimento e dell'avvio dei lavori di messa in sicurezza dell'immobile di proprietà comunale;
   nel luogo in cui per decenni sono stati gestiti e seppelliti quintali di rifiuti tossici, in cui sono stati decisi gli assassini di decine di persone e dove la gente perbene si ribellò esponendo coraggiosamente ai balconi lenzuola bianche, non può mancare un fortilizio che garantisca sicurezza: è necessario il segno della presenza dello Stato –:
   se non reputi urgente intervenire, per quanto di competenza, al fine assicurare una razionalizzazione delle forze di polizia poste a tutela del casertano che non danneggi in alcun modo i cittadini dell'area e che non consenta di lasciare sguarnito un territorio con il tasso di criminalità e con il valore simbolico di Casal di Principe. (4-15898)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   SAMMARCO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   non appaiono avere esito positivo i tentativi di riportare l'Accademia nazionale di danza all'ordinaria amministrazione e ad una direzione di prestigio che rilanci l'istituzione nel panorama culturale nazionale e internazionale;
   la sentenza della sesta sezione del Consiglio di Stato n. 02853/12016REG.PROV.COLL N. 05459/2015 REG.R1C. del 21 gennaio 2016, resa nota nel luglio 2016, ha dichiarato la vigenza della norma di cui all'articolo 6, comma 2, del decreto legislativo n. 1236 del 1948, nella parte in cui prescrive che il direttore dell'Accademia nazionale di danza debba essere «compositrice di danza di riconosciuto valore»;
   inoltre, la sentenza ha accolto anche il motivo di appello diretto a contestare la situazione di conflitto di interessi in cui si è venuto oggettivamente a trovarsi il maestro Carioti. «Questi – si legge testualmente nella sentenza –, infatti, in qualità di commissario straordinario dell'Accademia nazionale di danza, ha prima indetto le elezioni per la nomina del direttore, poi emanato, con suo decreto del 10.10.2014, n. 7949/2, il “Regolamento per le elezioni di direttore dell'Accademia Nazionale di danza”, ed infine partecipato in qualità di candidato alle stesse elezioni disciplinate dal “suo” regolamento. Il cumulo soggettivo delle diverse qualifiche ricoperte vale a creare quella situazione di “sospetto” di violazione del principio di imparzialità (...)»;
   da più parti era stato richiesto, anche al fine di stemperare le tensioni interne all'istituzione, che il Ministero procedesse alla nomina di un direttore «per chiara fama» che avesse anche la qualità di «compositore di danza di riconosciuto valore»; il precedente Ministro ha invece proceduto alla nomina, con durata sino al 31 dicembre 2016, di un commissario straordinario nella persona del giurista, professore Giulio Vesperini, con l'incarico di assicurare il regolare avvio del nuovo anno accademico e proporre e sottoporre al consiglio di amministrazione gli atti necessari per procedere alle nuove elezioni del direttore;
   in particolare, secondo il decreto di nomina, il nuovo commissario avrebbe dovuto sottoporre al consiglio di amministrazione la modifica dello statuto dell'Accademia al fine di introdurre «una compiuta disciplina dei requisiti per la carica di Direttore idonea a consentire una adeguata selezione della platea dei potenziali candidati alla carica», e l'adozione del regolamento per l'elezione del direttore;
   con nota del 15 dicembre 2016 (MIUR.AOODGFIS.REGISTRO UFFICIALE(U).0017166), su parere conforme del dipartimento della funzione pubblica e della ragioneria generale dello Stato, il Ministero ha «bocciato» la modifica proposta dal commissario all'articolo 6, comma 7, dello statuto dell'Accademia nazionale di danza, secondo la quale «il Direttore è eletto tra i docenti a tempo indeterminato di prima e seconda fascia», chiedendo che fossero candidabili solo i docenti di prima fascia, cioè esclusivamente gli insegnanti di danza;
   il commissario non ha tenuto conto che gli atti da adottare devono essere conformi a quanto statuito dal Consiglio di Stato, per non incorrere in una violazione della pronuncia definitiva emessa dal massimo organo di giustizia amministrativa;
   a giudizio dell'interrogante appare anche disattesa quella parte della sentenza del Consiglio di Stato in cui si conferma che il direttore deve essere un professionista di arte coreutica di riconosciuto valore;
   così facendo il commissario, ad avviso dell'interrogante, disattende la sentenza del Consiglio di Stato, con conseguente vizio del nuovo statuto e del nuovo regolamento per elezione del direttore –:
   se non ritenga opportuno adottare iniziative urgenti al fine di assicurare la piena coerenza dello statuto dell'Accademia nazionale di danza e del regolamento elettorale per l'elezione del direttore della prestigiosa istituzione alle disposizioni del decreto legislativo n. 1236 del 1948 ed alle statuizioni della sentenza del Consiglio di Stato citata in premessa. (4-15894)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità del 2013 ha introdotto la possibilità di cumulare i periodi assicurativi con contribuzione versata in più gestioni previdenziali per conseguire il diritto ad un'unica pensione di vecchiaia o – dal 2017 – per ottenere la pensione anticipata;
   il cumulo dei periodi assicurativi è gratuito e non comporta il trasferimento di contributi da una gestione all'altra; ogni gestione, infatti, determina per la parte di competenza il trattamento pro-quota in rapporto ai propri periodi di iscrizione, secondo le regole di calcolo previste dal proprio ordinamento;
   sono legittimati a presentare domanda di cumulo i soggetti con contribuzione versata in due o più gestioni previdenziali;
   si può chiedere il cumulo anche nel caso si stia già pagando la ricongiunzione e si può chiedere la restituzione di quanto già versato. Questo è possibile solo qualora non sia stato pagato integralmente l'importo e non sia stata liquidata una pensione, considerando i periodi oggetto di ricongiunzione; quindi:
    non è consentito il recesso dalla ricongiunzione per ottenere la restituzione di quanto versato e accedere al pensionamento in cumulo se l'onere è stato pagato integralmente;
    sul sito internet dell'Inps risulta esclusa la possibilità di cumulare i contributi per coloro che in passato abbiano usufruito della ricongiunzione ex legge n. 29 del 1979;
   tuttavia, una simile interpretazione ad avviso dell'interrogante darebbe luogo a situazioni di evidente iniquità: infatti, un soggetto che abbia versato i contributi, in parte nelle casse dell'Inps in qualità di lavoratore dipendente privato, in parte nella gestione separata del medesimo Istituto e in parte all'Inpdap, ricongiungendo i contributi Inps nelle casse di Inpdap (ex legge n. 29 del 1979), non potrebbe utilizzare l'istituto del cumulo per i versamenti effettuati nella gestione separata dell'Inps, poiché ha usufruito della ricongiunzione onerosa ex lege n. 29 del 1979, vanificando in questo modo i versamenti nella gestione separata, peraltro già esclusi dalla disciplina della ricongiunzione –:
   se il Ministro interrogato non reputi necessario adottare le opportune iniziative al fine di chiarire l'interpretazione della normativa in modo da consentire di usufruire del «cumulo» contributivo anche a coloro che abbiano utilizzato la ricongiunzione ex legge n. 29 del 1979 parzialmente e per periodi di contribuzione non coincidenti (fermo restante il principio che chi ha già versato integralmente l'onere della ricongiunzione non può richiederne la restituzione). (5-10812)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   BRIGNONE. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   da un comunicato stampa del 10 marzo 2017 apparso sul sito del Sivemp (Sindacato italiano veterinari medicina pubblica), si apprende di un'ennesima minaccia ai danni di un veterinario pubblico, dipendente dell'Asur Marche, aggredito all'interno di una struttura di macellazione di bestiame durante lo svolgimento del proprio lavoro;
   il veterinario in passato, pare sia già stato oggetto di atti intimidatori consumati all'interno della sua abitazione privata;
   tali episodi furono esposti dall'interessato alle forze di polizia locale competenti, che, nonostante approfondite indagini, non riuscirono a identificare gli autori delle intimidazioni;
   non molto tempo fa lo stesso veterinario, all'interno del suo ufficio, subì un'aggressione da parte di un operatore dell'azienda zootecnica, con i relativi danni psicologici che hanno conseguito all'accaduto;
   atti intimidatori e aggressioni verbali e fisiche a danno di veterinari che svolgono il proprio ruolo all'interno di strutture di macellazione di carne a uso umano sono perpetrati frequentemente;
   tuttavia, occorre rilevare che i servizi veterinari svolgono un ruolo importante per le filiere agroalimentari sia per il benessere animale sia per la salute umana –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
   se, al fine di evitare tali eventi, il Governo non ritenga di dover intraprendere iniziative, per quanto di competenza, che possano tutelare i veterinari pubblici che, svolgendo la professione, rischiano la propria incolumità fisica e psicologica, ma anche per garantire, nell'ambito del loro lavoro, il corretto comportamento di tutela della salute pubblica e di benessere degli animali, senza che eventuali gesti intimidatori possano inficiare sull'efficacia dei controlli operati dai servizi veterinari delle Asl;
   se non ritenga di dover assumere specifiche iniziative di competenza per rafforzare i servizi veterinari di sanità animale, d'igiene zootecnica e urbana veterinaria, di sicurezza alimentare, ora sottostimati e destrutturati e di mettere in campo azioni specifiche di analisi del rischio dei veterinari pubblici;
   se non ritenga, in particolare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, assumere iniziative di competenza, al fine di stabilire nuove norme che garantiscano il rispetto delle regole nell'ambito dei controlli veterinari pubblici cui sono sottoposti le aziende del settore agricolo, zootecnico e alimentare prevedendo un più stringente sistema sanzionatorio nei confronti degli operatori del settore che tentino di eludere tali controlli. (4-15903)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MICCOLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Poste Italiane, tra agosto e settembre 2015, ha indetto una gara telematica per l'accordo quadro riguardante «l'erogazione di servizi di Customer Services del Gruppo»;
   aggiudicatrici dei lotti 1, 2 e 4 dell'appalto sono state le aziende E-Care, 3G e Progetto Lavoro (unite in RTI) e Abramo Customer, non Gepin Contact s.p.a., in precedenza gestore dei servizi oggetto del bando;
   il venir meno di una commessa tanto importante ha indotto Gepin Contact ad avviare una procedura di licenziamento collettivo per 352 lavoratori, dei quali 220 impiegati presso la sede di Casavatore e 132 presso quella di Roma;
   per la gestione della vicenda, che prospettava un incerto futuro per i lavoratori di questa azienda soggetta al cambio di appalto, è stato aperto un tavolo di concertazione presso il Ministero dello sviluppo economico. Nel corso degli incontri ivi avvenuti, in data 12 maggio 2016, il Viceministro Teresa Bellanova ha dichiarato la disponibilità di Poste Italiane ad applicare la clausola sociale per garantire la continuità occupazionale delle 352 unità interessate;
   il 5 settembre 2016 le società vincitrici della gara di cui sopra – invitate dal Ministero dello sviluppo economico e dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, oltre che della Regione Lazio e Campania a farsi carico del problema occupazionale di Gepin Contact s.p.a. – hanno siglato un accordo per assumere: 213 unità per Ecare in Campania; a Roma fino a 98 unità da parte di Abramo Customer e 29 da 3G;
   il 27 gennaio 2017 il Tar del Lazio ha accolto il ricorso della società calabrese System House, esclusa dalla contestata gara di Poste Italiane – divenuta oggetto di una interpellanza urgente a prima firma dell'interrogante (interpellanza n. 2-01255) riaffidandole i servizi del lotto 1, aggiudicati in precedenza ad Abramo Customer;
   all'interrogante risulta anche che la società 3G, aggiudicataria del lotto 4 e non inficiata dalla sentenza del Tar, non abbia ancora provveduto ad assumere i 29 operatori Gepin su Roma, come da accordi siglati il 5 settembre 2016;
   nel mese di marzo 2017 sono iniziate le assunzioni dei lavoratori ex Uptime – call center di Poste nella medesima situazione di Gepin – per i quali è stata raggiunta una intesa nella quale Poste Italiane si è direttamente impegnata all'internalizzazione del personale (con contratto a tempo indeterminato part time) qualora, trascorsi 6 mesi, non vi fossero state le condizioni per una equipollente sistemazione lavorativa, individuata da una incaricata società di outplacement;
   il percorso dei lavoratori di Gepin Contact nella sede di Roma risulta essere identico a quello dei colleghi Uptime, poiché deriva dalla medesima cessione di ramo d'azienda del 2002, configurandosi un rapporto di interposizione fittizia di manodopera, come dimostrato da vertenze vinte da ex lavoratori Omega –:
   come i Ministri interrogati intendano intervenire a salvaguardia dei lavoratori Gepin Contact, a giudizio dell'interrogante non adeguatamente tutelati dalle aziende aggiudicatrici della gara di Poste Italiane, alla luce del rispetto della «clausola sociale» nel settore dei call center (di cui al comma 10 dell'articolo 1 della legge n. 11 del 2016), ovvero, come richiesto dalle organizzazioni sindacali al fine della salvaguardia dei perimetri, delle attuali sedi di lavoro e della situazione reddituale dei lavoratori coinvolti;
   se al fine di garantire adeguate forme di tutela intendano coinvolgere la stessa Poste Italiane, considerando che la vertenza è scaturita, a quanto consta all'interrogante, dall'inadeguatezza di gara d'appalto – citata in premessa – aggiudicata ad un costo inferiore a quello del lavoro. (5-10811)

Interrogazione a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   sin dal 2002 le attività di customer care del gruppo SDA/Poste Italiane vengono svolte dalla società Uptime (di proprietà per il 70 per cento Gepin e per il 30 per cento Poste Italiane);
   la vertenza GepinContact esplode nel febbraio 2016, dopo un cambio di appalto sui servizi di customer care che Poste Italiane decide di mettere a gara dopo quasi 15 anni;
   nel 2015, la gara vede vincitrice l'azienda System House che si aggiudica la fornitura del servizio al prezzo di 0,29 centesimi di euro al minuto al di sotto del 30 per cento del costo minimo del lavoro stabilito dal contratto collettivo nazionale di lavoro delle telecomunicazioni;
   in seguito alla perdita della commessa e al recesso unilaterale del contratto, comunicato dal committente in data 31 dicembre 2015, l'azienda licenzia 100 lavoratori di Uptime e 352 di Gepin di cui 132 a Roma e 220 a Napoli, decretando di fatto la chiusura del sito napoletano di Casavatore;
   secondo quanto segnalato all'interrogante, la responsabilità di tale dramma occupazionale è da imputarsi al capitolato d'appalto predisposto con il criterio del massimo ribasso;
   nel frattempo, mentre la vicenda dei dipendenti licenziati da Uptime si conclude felicemente nel maggio 2016, con la sottoscrizione di un accordo che li fa rientrare nel perimetro della partecipata statale, quella dei lavoratori ex Gepin è ancora, a tutt'oggi, senza soluzione;
   nel febbraio 2016, il Governo modifica le norme del codice sugli appalti, introducendo la clausola sociale di salvaguardia e dichiarando di fatto superate le gare al massimo ribasso; nel frattempo, un'azienda partecipata dello Stato affida i propri servizi con il suddetto criterio del massimo ribasso, che andrebbe considerato superato;
   nel marzo 2016 presso il Ministero dello sviluppo economico si insedia un tavolo di crisi per cercare di trovare una soluzione ai licenziamenti;
   dopo diversi confronti, a maggio 2016, si raggiungono alcuni risultati: vengono bloccati i licenziamenti e viene estromessa System House dall'aggiudicazione della gara di Poste Italiane perché dichiarata al massimo ribasso. Tale decisione verrà impugnata presso il tribunale amministrativo regionale del Lazio: il 27 gennaio 2017 il giudice amministrativo dà ragione a System House, avallando così la legittimità della gara al massimo ribasso. Ora si attende il Consiglio di Stato, mentre si avvicina la data di scadenza dei primi ammortizzatori sociali per il prossimo mese di luglio;
   nel frattempo, il 5 settembre 2016 presso il Ministero dello sviluppo economico, alcune organizzazioni sindacali avevano sottoscritto un accordo – vanificato dalla successiva sentenza del Tar – con le aziende subentrate a System House (ECare, Abramo e 3G), che prevedeva la riassunzione di tutto il bacino dei licenziati ex Gepin da parte delle tre aziende, con il mantenimento di tutti i profili orari, nel rispetto del vincolo della territorialità;
   in seguito alla sentenza del Tar del Lazio, il 6 febbraio 2017 i sindacati hanno unitariamente fatto pervenire al Ministero dello sviluppo economico una richiesta di convocazione urgente di un tavolo, con il coinvolgimento del committente Poste Italiane, che il Governo torni a fare propri e più incisivi i passaggi verso la dirigenza di Poste italiane affinché si trovi una soluzione giusta e stabile, anche alla luce del fatto che non si è mai presentata al tavolo di trattativa, nonostante gli inviti del Governo;
   a distanza di oltre un mese, la richiesta sindacale non ha ancora avuto riscontro –:
   quali iniziative il Ministro dello sviluppo economico intenda porre in essere urgentemente affinché la vertenza di cui in premessa si risolva e i livelli occupazionali siano tutelati, in considerazione dell'approssimarsi della scadenza degli ammortizzatori sociali;
   quali iniziative il Ministro dell'economia e delle finanze intenda porre in essere, per quanto di competenza, in qualità di azionista di Poste Italiane, affinché si adoperi per il mantenimento dei livelli occupazionali. (4-15902)

Apposizione di una firma ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  Dell'Aringa e altri n. 1-01319, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 luglio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: Palladino e, contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme si intende così modificato: «Dell'Aringa, Palladino, Gnecchi, Damiano, Albanella, Arlotti, Baruffi, Boccuzzi, Casellato, Di Salvo, Cinzia Maria Fontana, Giacobbe, Gribaudo, Incerti, Patrizia Maestri, Miccoli, Paris, Giorgio Piccolo, Rostellato, Rotta, Simoni, Tinagli, Zappulla, Roberta Agostini, Albini, Amato, Ascani, Bargero, Bazoli, Benamati, Beni, Bergonzi, Blazina, Paola Boldrini, Bolognesi, Borghi, Bossa, Capone, Carloni, Carnevali, Carra, Casati, Causi, Cenni, Cominelli, Crivellari, Cuperlo, D'Incecco, Marco Di Maio, Fioroni, Fossati, Fragomeli, Galperti, Garavini, Gasparini, Ghizzoni, Ginato, Giorgis, Giuliani, Giulietti, Guerra, Iori, La Marca, Lavagno, Lodolini, Malisani, Marchetti, Marchi, Mariani, Massa, Melilli, Miotto, Mognato, Monaco, Montroni, Narduolo, Oliverio, Patriarca, Petrini, Piazzoni, Pollastrini, Preziosi, Rampi, Ribaudo, Romanini, Paolo Rossi, Schirò, Scuvera, Senaldi, Speranza, Stumpo, Taranto, Terrosi, Tullo, Zampa, Zanin, Cova, Martella, Venittelli».

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza Di Vita e altri n. 2-01701, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 marzo 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Lorenzis.

Modifica dell'ordine dei firmatari ad una mozione.

  Alla mozione Santerini ed altri n. 1-01435, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 novembre 2016, l'ordine delle firme viene così modificato: «Santerini, Cimbro, Dellai, Marazziti, Baradello, Capelli, Fitzgerald Nissoli, Fauttilli, Sberna, Piras».

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interpellanza Sammarco n. 2-01568 del 21 dicembre 2016.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Romanini e Patrizia Maestri n. 4-10991 del 6 novembre 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-02866;
   interrogazione a risposta orale Terzoni n. 3-02671 del 21 dicembre 2016 in interrogazione a risposta scritta n. 4-15895;
   interrogazione a risposta scritta Rampelli n. 4-15835 del 7 marzo 2017 in interrogazione a risposta orale n. 3-02867.