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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 766 di venerdì 24 marzo 2017

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARINA SERENI

La seduta comincia alle 9,30.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

EDMONDO CIRIELLI, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

  (È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Bueno, Dambruoso, De Micheli, Dellai, Gregorio Fontana, Garofani, Locatelli, Losacco, Lupi, Manciulli, Marcon, Pisicchio, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Sottanelli, Tabacci, Valeria Valente e Vignali sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente novantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 9,35).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.

(Iniziative di competenza in merito all'introduzione di una disciplina omogenea in materia di Zone a traffico limitato e del relativo sistema sanzionatorio - n. 2-01709)

PRESIDENTE. Iniziamo con la prima interpellanza urgente all'ordine del giorno Baldelli ed altri n. 2-01709 (Vedi l'allegato A).

Chiedo al deputato Baldelli se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

SIMONE BALDELLI. La ringrazio Presidente Sereni, la illustro brevemente. Parliamo delle zone a traffico limitato, che in teoria dovrebbero essere installate per far conseguire un beneficio ambientale alle zone interessate, mentre invece, spesso e volentieri, nascondono, dietro alla loro installazione, degli interessi di natura meramente economica. Intanto abbiamo due tipi di meccanismi che si nascondono dietro questa struttura: l'investimento potenziale che le società di gestione delle ZTL fanno, che è dai 200 mila ai 500 mila euro, ovviamente non è un investimento gratuito, quindi abbiamo queste società, che poi hanno in cambio da parte delle amministrazioni la gestione delle multe, dei ricorsi, delle spedizioni delle multe e addirittura dei ricorsi, parliamo di 17 euro per multa e 35 euro per ogni ricorso, oppure addirittura queste società vengono pagate per ogni fotogramma scattato.

Noi abbiamo l'articolo 61 della legge n. 120 del 2010, che fu fatta dal Ministro Maroni durante il Governo Berlusconi, che impedisce alle società che gestiscono questo genere di installazioni di poter guadagnare a percentuale sulle sanzioni, ma di fatto sappiamo che questo viene aggirato dai meccanismi che ho poc'anzi descritto.

Allora, noi chiediamo che si abbia una disciplina omogenea della gestione, dell'installazione e della segnaletica delle ZTL, perché ovviamente tutto questo presuppone il fatto che, diventando delle macchine di fatto per mungere soldi ai cittadini, la segnaletica non sia adeguata, non sia chiaro chi possa o chi non possa accedere, gli orari siano quantomeno arbitrari, ci sia addirittura una gestione spesso clientelare dei permessi. Pensiamo semplicemente alla scritta “varco attivo”: per uno straniero “open gate” o “active gate” significa “poter passare”, invece evidentemente è quasi un messaggio subliminale per il quale, poi, alla fine, invece, chiunque guidi una macchina e non sia di cittadinanza italiana è portato a entrare proprio quando il varco in realtà fotografa la targa perché non è possibile l'accesso. E ancora, la non chiarezza di chi può e chi non può entrare nella ZTL, gli orari e tutto il resto.

Quindi noi chiediamo al Governo di farsi carico di una disciplina omogenea e di un controllo preventivo su queste ZTL per fare in modo che non siano delle macchine da soldi da usare in maniera vessatoria contro cittadini, ma siano effettivamente degli strumenti adeguati all'obiettivo che si prefiggono, fermo restando che spesso e volentieri le zone sottoposte a ZTL nel corso degli anni finiscono per spegnersi, per perdere non solo il traffico, ma anche la vita commerciale, la vita notturna e tanti altri aspetti che finiscono per far deperire dal punto di vista commerciale queste zone.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato, Davide Faraone, ha facoltà di rispondere.

DAVIDE FARAONE, Sottosegretario di Stato per la Salute. Grazie, Presidente. In premessa ricordo che, ai sensi dell'articolo 7, comma 9, del codice della strada, i comuni possono con deliberazione di giunta delimitare le zone a traffico limitato all'interno del proprio centro abitato, tenendo conto degli effetti del traffico sulla sicurezza e la circolazione, sulla salute, sull'ordine pubblico, sul patrimonio ambientale e culturale e sul territorio.

Detta norma lascia, dunque, alla valutazione dell'ente locale il potere discrezionale in merito all'istituzione delle ZTL, tenuto conto delle condizioni e delle esigenze di mobilità locali. Tale potere può essere censurato solo se le scelte appaiono del tutto irrazionali.

Il MIT autorizza l'installazione e l'esercizio degli impianti per la rilevazione degli accessi alle ZTL ai comuni che ne fanno istanza, secondo quanto previsto dal DPR n. 250 del 1999, seguendo in particolare la procedura di cui all'articolo 1.

Nel corso dell'istruttoria per il rilascio dell'autorizzazione vengono sempre valutati l'idoneità degli impianti da impiegare, i sistemi di segnalamento previsti, la presenza di itinerari alternativi per i non ammessi all'accesso nella ZTL e la documentazione amministrativa di cui al richiamato articolo 1. Inoltre, nel provvedimento autorizzativo è sempre imposto un periodo di pre-esercizio prima di impiegare gli impianti di rilevamento a fine sanzionatorio.

I successivi articoli 3, 4 e 5 del citato DPR prevedono dettagliatamente la procedura per la rilevazione e la violazione dell'utilizzazione dei dati, chi sono i soggetti competenti alla gestione e al trattamento dei dati rilevati dagli impianti e puntualizza, altresì, che il procedimento sanzionatorio compete ad organi di polizia stradale.

Quanto sopra è coerente con il dettato dell'articolo 61 della legge n. 120 del 2010; infatti agli enti locali è consentita l'attività di accertamento strumentale delle violazioni al codice della strada soltanto mediante strumenti di loro proprietà o da essi acquisiti mediante contratti di locazione finanziaria o di noleggio a canone fisso, da utilizzare ai fini dell'accertamento di violazione esclusivamente con l'impiego del personale dei Corpi e dei servizi di Polizia locale. Ovviamente, nel caso in cui dovessero pervenire specifiche segnalazioni di irregolarità, sia nella scelta delle ZTL che nella loro gestione da parte di enti locali, il MIT proporrà in essere ogni iniziativa di competenza per evitare l'uso distorto delle stesse ZTL anche per eventuali aspetti vessatori verso l'utenza. In ogni caso, in fase di attuazione del disegno di legge di delega al Governo per la riforma del codice della strada, attualmente all'esame dell'8a Commissione del Senato, eventuali aspetti distorsivi del sistema potranno trovare opportuna attenzione.

PRESIDENTE. Il deputato Baldelli ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

SIMONE BALDELLI. La ringrazio, Presidente Sereni, e ringrazio il sottosegretario Faraone, che ha dato una risposta di competenza di un dicastero non suo, quindi ha svolto un doppio servizio, del quale lo ringrazio.

Io non sono soddisfatto, partendo dall'ultimo punto, la riforma del codice dalla strada al Senato: come ci diceva più di sei mesi fa il Ministro Delrio, da quella riforma del codice della strada avremmo dovuto aspettarci anche la riforma dell'utilizzo dei proventi degli autovelox, spesso oggi utilizzati in maniera distorta da molti comuni. Stiamo ancora aspettando; dal gennaio 2016 è stata approvata all'unanimità da questo ramo del Parlamento una mozione proprio su questo e ormai è passato più di un anno e stiamo ancora aspettando che qualcosa si muova, e sono temi che interessano la vita quotidiana dei cittadini.

Per quanto riguarda, invece, la questione delle ZTL, noi chiediamo che sia una disciplina univoca, chiara, sulla gestione, sulla segnaletica e sull'installazione, perché, al di là del ripetere pedissequamente ciò che c'è scritto nella legge e che conosciamo benissimo, sappiamo benissimo che, spesso e volentieri, questo meccanismo viene utilizzato in maniera distorta, perché aggira il dettato letterale della legge attraverso dei meccanismi che sono rispettosi della norma, nel senso che le multe effettivamente le firmano gli appartenenti agli organi di polizia stradale o di polizia municipale, ma di fatto, quando anche a canone gratuito, la società ZTL ha la garanzia della gestione della stessa ZTL, è lei che si occupa dei fotogrammi, della trascrizione delle targhe e tutto il resto, e per questo viene pagata. Quindi c'è, di fatto, un incentivo perché più sono le multe, più la società guadagna e più sono addirittura i ricorsi. E quindi qual è l'interesse di queste società ad avere una segnaletica che funzioni effettivamente? Qual è, nella parte sperimentale, la fase che intercorre, che dà effettivamente la prova che tutto questo sia installato in maniera corretta? Nessuna, perché nella fase sperimentale non si fanno multe. Noi ce l'abbiamo da che cosa? Dal numero, probabilmente, di ricorsi o di multe, ma sappiamo spesso e volentieri che questo tipo di ricorsi e di multe sono multe o ricorsi che perdono.

Teniamo presente soltanto un dato, che è allucinante a mio avviso: se, a distanza di cinque e dieci minuti, una macchina entra nella ZTL e riceve tre o quattro sanzioni economiche, tre o quattro multe, una alle 22, una alle 22,05, una alle 22,10, una alle 22,15, proprio per sentenza della Cassazione il cittadino automobilista, che evidentemente si è perso e che evidentemente non trova le vie di fuga per uscire da quel punto, perché evidentemente sono segnalate probabilmente molto male, deve pagare tre o quattro multe, perché, secondo la Cassazione, non è un comportamento unico, ma è una reiterazione del reato amministrativo. Ecco, già solo questo ci fa capire quali interessi economici ci siano dietro e quanto tutto questo suoni agli occhi dei cittadini come una specie di truffa ai loro danni. Vogliamo salvaguardare i benefici ambientali, vogliamo tutelare il traffico, proteggere certe zone? Benissimo, ma facciamolo bene, perché altrimenti diventano delle trappole mangia-soldi per i cittadini e degli elementi che producono multe. Guardate, il risultato delle cose che vengono installate nelle strade - la segnaletica, l'utilizzo anche degli autovelox e tutto il resto - non è positivo quando le multe aumentano, è positivo quando le multe scendono.

Allora, è proprio un'impostazione completa che va cambiata e va cambiata da parte del Governo, che deve fare discipline univoche per tutti ed evitare che ci siano società private che lucrano sulle multe ai danni dei cittadini, perché di questi tempi una multa in più o in meno può sballare il bilancio di una famiglia, perché quelli che alla fine del mese ci arrivano con difficoltà con la multa hanno fatto “cappotto”.

Quindi, attenzione, tenete presente questa cosa: noi non ci fermiamo, continueremo a chiedervela. Io ringrazio il sottosegretario Faraone che si è fatto tramite di una risposta che non proviene dal suo Dicastero, ma la risposta non ci soddisfa e continueremo a chiedere giustizia su queste vicende che riguardano la vita quotidiana di tutti i cittadini.

(Iniziative di competenza, nell'ambito del rinnovo del contratto di servizio con Trenitalia, in merito ad efficaci collegamenti mediante tratta Intercity tra Roma e Bolzano - n. 2-01694)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Plangger e Pisicchio n. 2-01694 (Vedi l'allegato A).

Chiedo al deputato Plangger se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

ALBRECHT PLANGGER. Grazie, signora Presidente. Da più di quarant'anni circola il treno-notte Roma-Bolzano, sempre dal binario 1, con partenza da Roma alle 23, arrivo a Trento alle 7,20 e a Bolzano alle 8; con partenza da Bolzano, sempre alle 21,30 e arrivo a Roma alle 7.

Da metà gennaio 2017 non circola più nei giorni feriali. Nessuno ha fornito una motivazione convincente: né il direttore di Trenitalia della provincia di Bolzano né l'assessore alla mobilità. Con le Frecce si arriva a Roma alle 9,48 e per raggiungere la sede o la sede di una riunione non si arriva, più o meno, mai prima delle ore 10,30 ed è troppo tardi. Per scendere a Roma il giorno prima bisogna partire da Bolzano alle ore 17,16; se si parte dalle valli si deve partire a metà pomeriggio e si perdono, comunque, due giorni lavorativi.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SIMONE BALDELLI (ore 9,45)

ALBRECHT PLANGGER. Le tratte sulla lunga distanza su Trieste e una tratta da Torino - ci sono due viaggi - sono rimaste inalterate. Così si pregiudica la libertà di circolazione dei lavoratori dell'Alto Adige, del Trentino e della provincia di Verona, creando una disparità di trattamento.

Noi vorremmo sapere se, nell'ambito del rinnovo del contratto di servizio con Trenitalia, non si ritenga opportuno verificare la reale necessità della soppressione nei giorni feriali del treno-notte Roma-Bolzano e, eventualmente, ripristinare l'intercity notte, a salvaguardia della libertà di circolazione di quei passeggeri che usufruiscono di tale servizio esclusivamente per motivi di lavoro.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato, Davide Faraone, ha facoltà di rispondere.

DAVIDE FARAONE, Sottosegretario di Stato per la Salute. Grazie, Presidente. Il nuovo contratto di servizio a media-lunga percorrenza MIT-MEF-Trenitalia entrato in vigore il 1° gennaio scorso ha durata decennale (2017-2026) ed è finalizzato a garantire, mediante la previsione di obblighi di servizio pubblico, servizi di trasporto essenziali per il Paese in aree e relazioni non adeguatamente servite dai servizi a mercato.

La coppia di intercity notte Bolzano-Roma, e viceversa, anche per effetto dell'incremento dell'offerta diurna delle Frecce sulla medesima relazione, ha visto progressivamente ridursi il numero di viaggiatori che la utilizzavano. Infatti, il volume di traffico medio registrato dal lunedì al giovedì era di circa cinquanta passeggeri a treno e gli ingenti costi per la prosecuzione di tale servizio avrebbero determinato costi quantificabili in una perdita pari a circa 5 milioni di euro l'anno sul contratto di servizio.

Quindi, con la rivisitazione del perimetro di offerta del citato contratto di servizio sono stati razionalizzati alcuni collegamenti, tra i quali l'intercity notte Roma-Bolzano, che è stato periodicizzato domenica, introducendo così un'offerta funzionale ai picchi di domanda tale da garantire la domanda turistica e gli spostamenti di lunga percorrenza che caratterizzano proprio i treni intercity notte.

Inoltre, sulla medesima direttrice sono stati inseriti collegamenti di alta velocità e di regionali veloci che hanno determinato una migliore offerta ferroviaria anche all'utenza pendolare.

PRESIDENTE. L'onorevole Plangger ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

ALBRECHT PLANGGER. Sono soddisfatto, grazie.

(Iniziative di competenza tese ad evitare la trasformazione degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (OMCeO) in enti sussidiari - n. 2-01683)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Grillo ed altri n. 2-01683 (Vedi l'allegato A).

Chiedo all'onorevole Grillo se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

GIULIA GRILLO. Grazie, Presidente. Oggi ci troviamo in Aula su una storia molto particolare, che è la storia della Fondazione degli ordini dei medici siciliani. Questa è una storia molto particolare perché si caratterizza per tutta una serie di stranezze, che andrò ad illustrare - spero di arrivarci, altrimenti, eventualmente, utilizzerò la parte rimanente della risposta -, che sono sia in ordine ai metodi che sono stati utilizzati sia in ordine al merito, ovviamente, di questa Fondazione.

In ordine al metodo, faccio notare giusto due aspetti che ritengo essere importanti. È stata rinvenuta sul Web tutta una serie di materiali che dimostrerebbero una diffusione anticipata della notizia di esistenza di questa Fondazione e anche di un presidente di questa Fondazione, prima che tale Fondazione venisse costituita. In particolare, mi riferisco ad un articolo comparso su la redazione di SiciliaUnoNews il 2 novembre 2016, in cui si faceva riferimento al fatto che la Protezione civile nazionale ha diramato una richiesta di dieci camici bianchi di medicina generale, eccetera, e a Emergency medical group, nato in partenariato fra la Fondazione degli ordini dei medici siciliani e l'assessorato regionale. Questo è datato 2 novembre.

Poi, su un altro avviso comparso sull'Ordine dei medici della provincia di Messina dell'ottobre 2016 si fa riferimento ad un corso di Life support medical management, un'offerta formativa qualificata, un corso istruttori: i partecipanti al corso saranno inseriti nel database degli istruttori dell'OMCeO Sicilia - quindi, diciamo entro la fine dell'anno - in collaborazione con la Fondazione OMCeO Sicilia. È il 17 ottobre 2016. Poi, ve ne sono altri. Quindi, ci sono delle notizie di stampa che parlano di questa Fondazione prima che la Fondazione venga fondata, sostanzialmente.

Nel metodo, un altro aspetto interessante, che mi interessa fare notare, è il fatto che con riferimento all'assemblea dell'Ordine dei medici di Palermo, durante la quale è stato votato il bilancio, nel quale, appunto, vi era una voce di pertinenza e di versamento alla Fondazione, è successo un fatto particolare che viola l'articolo 24 del DPR n. 221 del 1950. L'articolo 24, sulla convocazione dell'assemblea dice: “Quando non si sia raggiunto il numero legale per la validità dell'assemblea viene tenuta, almeno un giorno dopo la prima, una seconda seduta di convocazione, che è valida qualunque sia il numero degli intervenuti”. Quindi, ci deve essere un giorno di distanza tra la prima assemblea e la seconda assemblea.

È successo, invece, che queste due assemblee - con la seconda convocazione è stato approvato il bilancio - si sono tenute entrambe nella data del 16 gennaio 2017: la prima convocazione alle ore 16 e la seconda convocazione alle ore 18. Sottosegretario, questo naturalmente viola una norma di legge e mi sembra anche razionale, perché come si può immaginare che, se in prima convocazione non si è raggiunto il numero legale, dopo due ore, gli iscritti, che magari saranno in giro per la provincia di Palermo, accorrano in massa?

Per questo la legge prevede che ci sia un'ora di tempo. Quindi su questo, anche sul metodo, è stato fatto ricorso. Ma andiamo al merito: cos'è questa fondazione? È appunto una fondazione alla quale hanno aderito tutti gli ordini dei medici delle province siciliane, ed è una fondazione che avrebbe vari scopi, che adesso brevemente leggerò. Noi contestiamo nel merito questo statuto, per vari elementi, innanzitutto per la totale assenza di concetti democratici. Cioè, questo statuto è stato scritto senza osservare alcun tipo di minima regola democratica. Lo dico, in particolare, in riferimento agli organi cosiddetti direttivi, quindi al presidente, al consiglio di amministrazione eccetera. I partecipanti alla fondazione si dividono in fondatori; i fondatori non vengono identificati come profilo. Per esempio, sono andata a prendere lo statuto di un'altra fondazione, quella dell'ordine dei giornalisti dell'Emilia Romagna, e si dice che il fondatore è l'ordine dei giornalisti dell'Emilia-Romagna, non si dice che sono Tizio, Caio e Sempronio, qui invece i fondatori sono i dottori, c'è un elenco di nomi, e questi nomi corrispondono agli attuali presidenti degli ordini dei medici chirurghi. Non c'è scritto che i fondatori sono i presidenti, che possono evidentemente essere i fondatori e che cambiano normalmente eletti; no, qui sono nominativi. Poi ci sono i partecipanti di diritto e i partecipanti ordinari. I fondatori sostanzialmente rimangono a vita, fino a quando non vengono a mancare - così si dice - anche se poi ovviamente perdono lo status di presidente della fondazione. Quindi, sottosegretario, mi chiedo se questo secondo lei è un aspetto di democrazia.

Un altro aspetto è quello riguardante il presidente della fondazione: il presidente della fondazione viene nominato dall'assemblea generale, però il primo presidente è nominato, per i primi cinque anni, dai fondatori nell'atto fondativo, quindi il primo presidente sarà uno dei fondatori, cioè uno dei presidenti dell'ordine dei medici, anche se dovesse poi smettere di essere presidente dell'ordine dei medici. I successivi saranno eletti tra i fondatori o, venuti questi a mancare, tra i presidenti dell'ordine dei medici chirurghi. Quindi, i soci fondatori sono gli attuali presidenti degli ordini dei medici nominativamente indicati, e il presidente deve essere obbligatoriamente nominato tra i fondatori, fino a quando questi non periscono, non sopravviene una causa di ordine naturale. Io credo che non esista un esempio simile di organi statutari. Volevo evidenziare, per esempio, che, nella fondazione dell'ordine dei giornalisti dell'Emilia-Romagna, appunto, la stessa fondazione costituita ha previsto un massimo di due mandati per organo direttivo, e quindi la non rieleggibilità dopo un tot di tempo. In questo statuto, invece, questa cosa non esiste. Poi vengono elencati tutti i poteri e le funzioni del presidente e, a un certo punto, arriviamo al consiglio di amministrazione. La fondazione è retta da un consiglio di amministrazione, composto da nove membri, quanti esattamente i presidenti degli ordini: il presidente della fondazione, di diritto - mi sembra giusto -, e otto membri ordinari. Io credo che la maggioranza di nove sia cinque, non è che ci vuole tantissimo ad arrivare a questo; bene, gli otto membri ordinari sono così scelti: quattro dall'assemblea generale, di cui almeno tre scelti tra i presidenti degli ordini dei medici chirurghi - che in questo momento sono i fondatori, quindi tre li prendo dai fondatori - e uno è il presidente dei fondatori (e sono così quattro), poi altri quattro vengono scelti dal presidente della fondazione tra i fondatori o, venuti questi a mancare, tra i presidenti degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri. Quindi, il consiglio d'amministrazione è così composto: presidente, che deve essere uno dei nove fondatori citati tra i fondatori; tre scelti dall'assemblea generale, che devono essere presidenti (attualmente i presidenti sono i fondatori), e quattro che devono essere nominati dai fondatori venuti a mancare. Quindi c'è solo un nominativo che non sarà tra i fondatori: nove meno otto fa uno.

Faccio questi conti perché poi, a un certo punto, c'è una cosa curiosissima che vi vengo a rappresentare. Abbiamo quindi nove fondatori (otto saranno occupati evidentemente nel consiglio di amministrazione), e a un certo punto si parla del comitato scientifico. La prego sottosegretario di ascoltare, perché questa cosa è carina. Il comitato scientifico è composto da nove membri, nominati sempre dal consiglio di amministrazione, quindi sostanzialmente dai fondatori, e sei dei membri del comitato saranno scelti fra i presidenti degli ordini dei medici chirurghi che non ricoprono altre cariche all'interno della fondazione. Dunque, ripeto: abbiamo, nove presidenti, che sono i nove fondatori; gli otto membri, tra i nove, del consiglio d'amministrazione, che vengono presi tra i fondatori o dai presidenti (che in questo momento sono la stessa cosa), e ne rimane libero solo uno. Se loro scrivono che il comitato scientifico è composto da nove membri, di cui sei devono essere presidenti degli ordini, stante che gli attuali presidenti degli ordini sono nel consiglio di amministrazione, questi sei membri da dove li nominano, se tutti e otto dei nove fondatori sono nel consiglio d'amministrazione? Ce n'è solo uno libero, quindi gli altri cinque componenti del comitato scientifico non ho capito - glielo chiedo, magari lei lo sa - come devono essere nominati. Secondo me, qui c'è stato proprio un errore tecnico, e non mi sembra strano che nessuno, di tutti i consigli direttivi dei nove ordini che hanno approvato questa cosa, non si sia accorto di una banalità come questa.

Questo per quanto riguarda appunto gli organi direttivi. Per quanto riguarda invece le funzioni, vorrei che mi venisse chiarito un aspetto. A un certo punto si dice che, per il raggiungimento delle proprie finalità, la fondazione potrà promuovere ogni iniziativa e attività utile a favorire la cultura: quale cultura? Questa è una fondazione che è fatta dall'ordine dei medici, quindi immagino si riferisca alla cultura nell'ambito medico-scientifico, perché non è che posso fare la cultura sui grani siciliani - per quanto a me interessi - o su Andrea Camilleri, con tutto il mio rispetto, quindi chiedo a lei che vuol dire promuovere ogni iniziativa e attività utile a favorire la cultura. Le chiedo anche un'altra cosa, sottosegretario, perché a un certo punto dicono di promuovere la costituzione e di sovrintendere alla gestione su base locale di circoli, club e strutture analoghe dirette a supportare e sostenere esigenze ed istanze anche culturali degli operatori della sanità, ma anche qui “culturali” non si capisce esattamente che cosa vuole dire. Questo sulle funzioni, adesso andiamo invece su un aspetto che, secondo me, è più importante di questi citati, che sicuramente non sono da sottovalutare, cioè l'articolo 3: il patrimonio. Il patrimonio della fondazione è costituito dal fondo di dotazione, determinato da conferimenti annuali dei partecipanti di diritto in misura proporzionale agli iscritti, come determinato durante la prima riunione dell'assemblea generale. Quindi, gli iscritti - immagino all'ordine, perché questo ovviamente non viene specificato, ma sappiamo già che gli ordini hanno conferito una quota - determinano i conferimenti, peccato però che la legge non dica questo, perché il decreto legislativo n. 233 del 1946, la legge istitutiva degli ordini delle professioni sanitarie, parla di tassa degli iscritti, e stabilisce come può essere utilizzata. Anzi, lo leggo bene. Articolo 4: il consiglio - sta parlando ovviamente del consiglio dell'ordine - provvede all'amministrazione dei beni. Il consiglio, entro i limiti strettamente necessari a coprire le spese dell'ordine o del collegio, stabilisce una tassa annuale, una tassa per l'iscrizione nell'albo nonché una tassa per il rilascio dei certificati e dei pareri per la liquidazione degli onorari. Quindi, le contribuzioni degli iscritti all'ordine dei medici non sono rappresentate da una contribuzione casuale, la legge la definisce come tassa, e definisce anche l'uso che si deve fare di questa tassa. Quindi, credo che il Ministero della salute, che lei oggi qui rappresenta, debba ovviamente verificare che venga rispettata la legge istitutiva degli ordini professionali, la n. 233 del 1946. In questo caso, se loro non avessero previsto quest'articolo, non ci sarebbe stata questa violazione. Per esempio lo statuto della fondazione dell'ordine dell'Emilia-Romagna non prevede assolutamente un versamento obbligatorio di quote da parte delle fondazioni.

Quindi non è che stiamo criticando in generale, noi stiamo criticando puntualmente alcuni aspetti. L'abbiamo detto: il metodo, la democraticità dello statuto, la violazione dell'articolo 4 della n.233, così come l'articolo 23 della n. 221 del 1950 e le altre cose che ho da dire le dirò nella risposta.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la Salute, Davide Faraone, ha facoltà di rispondere.

DAVIDE FARAONE, Sottosegretario di Stato per la Salute. Con l'interpellanza in esame gli onorevoli interroganti pongono talune questioni relative alla fondazione dell'ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri e delle professioni sanitarie della Sicilia. Al riguardo, prima di dare puntualmente conto delle iniziative assunte dal Ministero della salute, è opportuno precisare il quadro giuridico all'interno del quale tali iniziative debbono essere concettualmente inserite. Inizio con rammentare che gli ordini professionali sono enti di diritto pubblico dotati di una propria autonomia finanziaria e regolamentare. Essi pertanto si sostengono esclusivamente sui contributi imposti agli iscritti senza alcun onere a carico dello Stato. Il loro funzionamento quindi non ha ricadute sulla finanza pubblica, in quanto il rispettivo bilancio viene alimentato esclusivamente dalle quote di iscrizione versate dai professionisti sanitari. Le attività istituzionali degli ordini inoltre sono poste sotto il coordinamento del comitato centrale della federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri.

Per quanto attiene inoltre alle attività di vigilanza sulle scritture contabili e sulla gestione economica dei singoli ordini, la stessa è demandata al collegio dei revisori dei conti eletto ai sensi dell'articolo 27 del DPR del 5 aprile 1950 n. 221. L'articolo 5 del citato decreto legislativo n. 233 del 1946, prevede poi che contro i provvedimenti del consiglio direttivo relative alle tasse annuali, alla tassa per l'iscrizione all'albo, nonché alla tassa per il rilascio dei certificati e dei pareri per la liquidazione degli onorari, è ammesso ricorso all'assemblea degli iscritti convocati in adunanza generale che decide in via definitiva. La convocazione dell'assemblea straordinaria inoltre può essere anche richiesta da almeno un sesto degli iscritti all'albo.

Dunque norme attualmente in vigore già riconoscono strumenti di tutela agli iscritti che ritengono di essere stati lesi dai provvedimenti adottati dal consiglio direttivo. La vigilanza del Ministero della salute si esplica invece, a norma dell'articolo 6 del citato decreto legislativo n. 233 del 1946, attraverso l'esercizio del potere di scioglimento dei consigli direttivi degli ordini allorquando i medesimi non siano in grado di funzionare regolarmente. È opportuno sottolineare in tutto in via del tutto generale che gli ordini hanno subito profonde trasformazioni, passando a svolgere funzioni sempre più complesse con l'offerta di eventi formativi e la vigilanza sullo sviluppo professionale dell'educazione continua in medicina. Anche per questi motivi pertanto appare urgente la modifica normativa concernente gli ordini professionali tuttora disciplinata con le citate disposizioni risalente al 1946. Proprio al fine di rendere gli ordini più funzionali ai compiti di difesa della deontologia professionale a cui sono preposti e di potenziare il loro ruolo soprattutto negli aspetti concernenti la formazione e le procedure relative alla programmazione e ai fabbisogni dei professionisti, il Ministero della salute ha inteso avviare in questa legislatura una specifica e complessiva riforma della materia che peraltro in questi giorni è all'esame della Camera dei deputati.

Fatte queste necessarie premesse, passo a illustrare le iniziative che il Ministero della salute, per quanto esso possa esercitare come detto una funzione di vigilanza limitata ai soli casi di non funzionamento dei consigli direttivi degli ordini, ha ritenuto comunque di intraprendere. In data 2 marzo 2017, i competenti uffici del Ministero hanno inviato una nota indirizzata alla Federazione nazionale degli ordini e per conoscenza a tutti gli ordini siciliani al fine di acquisire elementi conoscitivi in merito ai fatti esposti dagli onorevoli interpellanti, oltre che una copia ufficiale dello statuto della Fondazione. In pari data, la Federazione nazionale degli ordini ha trasmesso copia dello statuto unitamente ad una relazione della Fondazione Sicilia del presidente di Palermo, dottor Salvatore Amato, datata 23 febbraio 2017. Con la relazione il presidente di Palermo nel rispondere alle censure mosse da uno dei consiglieri del consiglio direttivo ha affermato relativamente alla Fondazione medesima che: 1) la stessa è stata costituita il 22 novembre 2016 al termine di un percorso iniziato già da due anni in cui si è creato un rapporto sinergico tra i nuovi ordini della Sicilia che hanno condiviso obiettivi comuni per la difesa, lo sviluppo, la formazione della classe medica; 2), l'adesione dell'ordine provinciale dei medici della provincia di Palermo sarebbe stata approvata all'unanimità durante la riunione del 14 novembre 2013 dal consiglio direttivo che ai sensi dell'articolo 3, del decreto legislativo n. 233 ha il compito tra gli altri di promuovere e favorire tutte le iniziative intese a facilitare il progresso culturale degli iscritti; 3), in ossequio alle norme di cui agli articoli nn. 2 e 4 del decreto legislativo del settembre 1946 n. 233, è stata convocata l'assemblea degli iscritti per l'approvazione del bilancio preventivo e del conto consuntivo, mettendo a disposizione di tutti gli iscritti i documenti che si sarebbero votati durante l'Assemblea.

Quindi, a detta del presidente, correttamente l'assemblea degli iscritti ha approvato il conto consuntivo 2016 e il bilancio preventivo 2017, nel quale era prevista una specifica posta economica di uscite a favore della Fondazione. L'assemblea avrebbe approvato nella stessa seduta una relazione del presidente con la quale si illustrava l'adesione alla Fondazione Sicilia. Gli ordini dei medici provinciali non hanno perso nessuna delle loro prerogative statutarie ivi comprese quelle relative alla formazione e all'organizzazione dei corsi, in quanto tale funzione non è attribuita in via esclusiva alla Fondazione medesima, ma i singoli ordini potranno continuare a fare i propri corsi di formazione; 5) la Fondazione Sicilia non ha finalità di lucro; la possibilità per la Fondazione di poter accedere ai fondi pubblici deve essere vista solo come un ampliamento della possibilità di crescita e sviluppo per la classe medica e per tutte le professioni sanitarie; 6) la composizione del consiglio di amministrazione, che prevede allo stato attuale solo le persone dei nove presidenti degli ordini dei medici della Sicilia, appare temporanea e soggetta a cambiamenti dovuti sia all'ingresso di nuovi soggetti nella Fondazione, sia alle prossime elezioni per il rinnovo degli organi direttivi.

Contestualmente il Ministero veniva a conoscenza del comunicato congiunto da parte di molteplici associazioni e organizzazioni professionali siciliane con il quale si sollecitava l'ordine dei medici dell'isola a ritirare l'adesione alla Fondazione, seguendo l'esempio dell'ordine dei medici provinciale di Caltanissetta, rimettendo a tal fine la decisione all'assemblea degli iscritti. Al comunicato peraltro risultava allegata una copia del verbale del consiglio direttivo di Caltanissetta, il 27 febbraio 2017, firmata all'unanimità dei componenti nel quale era decisa la convocazione di un'assemblea straordinaria degli iscritti al fine di dare ampia lettura dello statuto della Fondazione, al fine di acquisire il parere sull'adesione della Fondazione e/o su eventuali modifiche allo statuto da proporre allo stesso ente. Il 6 marzo 2017, è successivamente pervenuta al Ministero della salute per conoscenza una richiesta di produzione atti redatta dal dottor Salvatore Moscardini, consigliere dell'ordine dei medici di Palermo, ed indirizzata al presidente e al tesoriere dell'ordine dei medici di Palermo, al presidente della Fondazione dei medici siciliani, al presidente del centro di formazione sanitaria siciliana e all'assessore regionale alla salute della regione Sicilia. Detta comunicazione è stata indirizzata anche al comitato centrale della Fondazione, al direttivo dell'ordine dei medici di Palermo, ai presidenti dell'ordine dei medici siciliani: dalla stessa si evincerebbe che in data 2 marzo 2017 il consiglio direttivo dell'ordine dei medici di Palermo avrebbe deciso di annullare la delibera di approvazione del bilancio preventivo 2017 e di procedere all'approvazione del nuovo bilancio. In tale nota, peraltro, viene formulata una serie di richieste tra cui in particolare: se siano state avviate le procedure di restituzione delle somme eventualmente già conferite alla Fondazione Sicilia, in ragione della specifica voce di spesa di 159.000 euro, inserita nel bilancio di previsione 2017 dell'ordine dei medici di Palermo. Inoltre viene chiesto al dottor Salvatore Amato, nella molteplice veste di presidente dell'ordine dei medici di Palermo, di socio fondatore e presidente della Fondazione dell'ordine dei medici siciliani, di rendere noti i nominativi dei componenti dei consigli amministrazione e degli altri organi statutari, nonché l'organigramma della Fondazione dell'ordine dei medici siciliani, le attività formative e non, proposte e organizzate dalla medesima, ogni deliberazione e determinazione assunta dalla Fondazione dell'ordine dei medici siciliani e a far data dalla sua costituzione ad oggi ivi inclusi eventuali designazioni di incarichi amministrativi e il conferimento di consulenze onerose e non.

Successivamente con nota pervenuta in data 7 marzo 2017, indirizzata contestualmente anche al comitato centrale della Fondazione, alcuni consiglieri segretari e revisori dell'ordine di Catania, Palermo e Caltanissetta hanno evidenziato le proprie perplessità in ordine alle modalità con cui gli ordini medesimi hanno aderito all'anzidetta Fondazione, ribadendo nuovamente talune criticità presenti in alcune disposizioni statutarie. L'ordine di Caltanissetta ha già sospeso l'adesione dell'ordine alla predetta Fondazione, congelando nel contempo il conferimento alla stessa di qualsivoglia somma derivante dalle casse dell'ordine. Ha inoltre convocato un'assemblea straordinaria per il giorno 31 marzo 2017; in tale data verrà dunque acquisito il parere degli iscritti circa la volontà di aderire o meno alla Fondazione, vincolando l'eventuale adesione a delle preventive modifiche statutarie che rimuovano le criticità esistenti. Tali determinazioni, si apprende dalla medesima nota, sarebbero state assunte anche dall'ordine dei medici di Catania.

Segnalo infine che, con nota del 13 marzo 2017, il Ministero della salute ha provveduto a richiedere alla Fondazione elementi informativi in ordine ai suesposti fatti, unitamente ad ogni notizia in merito agli atti formali posti in essere anche dagli altri ordini provinciali siciliani.

Da quanto rappresentato, pertanto, l'intera vicenda sembra essere in continua evoluzione considerato che alcuni ordini stanno riesaminando la propria adesione alla Fondazione, condizionandola ad alcune modifiche statutarie che potrebbero superare le criticità evidenziate dagli onorevoli interpellanti.

Anche a tal fine, sono tuttora in corso gli opportuni accertamenti e approfondimenti sulla vicenda sulla quale - mi preme ribadirlo - il Ministero della Salute, in assenza di puntuali prerogative ispettive disposte dalla legislazione vigente, può svolgere solo un ruolo informativo e proattivo posto a beneficio anche e soprattutto dell'insopprimibile funzione conoscitiva esercitata dal Parlamento.

In conclusione di questa illustrazione, la cui lunghezza testimonia allo stesso tempo la complessità della vicenda, ma anche il mio personale impegno a voler diffusamente informare gli onorevoli interpellanti in merito alla problematica segnalata, desidero dare piena assicurazione circa la ferma volontà del Ministero della Salute di continuare a seguire costantemente gli sviluppi della problematica.

PRESIDENTE. L'onorevole Grillo ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

GIULIA GRILLO. Per onestà mi dichiaro parzialmente soddisfatta perché ho capito che c'è stato un impegno da parte del Ministero della Salute e mi auguro, sottosegretario, e comunque lo ribadirò con altri atti di sindacato ispettivo, che questo impegno continui.

Il tema ovviamente è superare le criticità che abbiamo posto alla sua attenzione, prima fra tutte ovviamente la questione della democraticità degli organi direttivi di questa Fondazione, prima fra tutte, e poi personalmente ritengo che anche sull'articolo 4 della legge n. 233, cioè sulla destinazione della tassa degli iscritti, sebbene lei abbia richiamato la possibilità di convocare l'assemblea straordinaria, tuttavia la norma di legge su questo è tassativa. La tassa degli iscritti si può utilizzare solo per quelle finalità: quindi, se la Fondazione vuole funzionare come altre fondazioni di altri ordini che ci sono in Italia, può funzionare senza percepire i soldi degli iscritti.

Tra l'altro, in questa Fondazione, a differenza di altre fondazioni, oltre i rimborsi spese, si prevede che i membri del consiglio di amministrazione abbiano anche la possibilità di ricevere emolumenti. Non è automatico ma è previsto come possibilità nello statuto: quindi, a mio avviso, anche questa previsione andrebbe eliminata.

Dopodiché, un altro aspetto che vorrei puntualizzare sulla Fondazione è il seguente: tutti pensano che per natura questa Fondazione come le altre fondazioni degli ordini possa essere una fondazione di diritto privato, ma così non è. Questa Fondazione per la sua natura, cioè proprio perché è costituita dagli ordini, è una fondazione di diritto pubblico ma questo non lo dico io: a tal proposito, richiamo una deliberazione della ex AVCP, cioè dell'attuale Anac, deliberazione n. 4 in adunanza del 6 febbraio 2013. Tale deliberazione era stata fatta proprio su segnalazione di un avvocato di Firenze che segnalava anomalie rispetto alla Fondazione per la formazione forense dell'ordine degli avvocati di Firenze. Tale Fondazione organizzava corsi di formazione e l'avvocato che fece la segnalazione, Francesco Gaviraghi, segnalò che questa Fondazione appaltava quasi il 40 per cento dei servizi di formazione ad affidamento diretto, quindi senza seguire le procedure previste per gli appalti, perché le fondazioni degli ordini, anche se sono fondazioni, poiché sono costituite dagli ordini, quindi da enti pubblici non economici, in cui arrivano soldi pubblici con funzione pubblica in quanto sono tasse, quindi è una forma di prelievo fiscale e sono delegati dallo Stato per delle funzioni, quindi sono organi pubblici, devono attenersi alla normativa pubblica sugli appalti per le forniture di beni e servizi.

Quindi in quel caso l'AVCP, esaminata la questione, rispondeva alla sollecitazione dopo aver richiesto anche approfondimenti alla Fondazione per la formazione forense dell'ordine degli avvocati di Firenze e, dopo avere fatto gli approfondimenti, rispondeva alla Fondazione che essa era da intendersi assolutamente come fondazione di diritto pubblico.

Quindi, vorrei in questo senso anche forse informare meglio un po' tutti su questo aspetto della Fondazione che è stata creata e chiarire che essa, quindi, deve ovviamente assicurare tutta la trasparenza necessaria e tutte le procedure pubbliche di affidamento di incarichi di consulenza, di collaborazione, di forniture di beni, di forniture di servizi, di sedi, eccetera; cioè, non può essere gestita ovviamente come se fosse una fondazione privata. In quel caso, ovviamente, la fondazione privata ha molti meno obblighi e si comporta come un soggetto privato.

Sulla contrarietà - lei lo ha ricordato - si sono espresse moltissime sigle sindacali, quindi evidentemente la preoccupazione c'è ed è tanta; ha ricordato che l'ordine di Caltanissetta ha sospeso l'adesione rinviando l'assemblea ma soprattutto ha ricordato che il vostro Governo in questo momento ha all'esame un disegno di legge delega (il disegno di legge Lorenzin) proprio sulle professioni sanitarie e sugli ordini professionali, perché chiaramente siamo nel 2017 mentre la legge istitutiva è del 1946, e quanto sta accadendo dimostra l'arcaicità della natura degli ordini professionali ma anche l'esigenza giustamente degli ordini provinciali di riunirsi a livello regionale.

Penso che sia arrivata l'ora di istituire ordini non più su base provinciale ma su base regionale in modo tale che ovviamente un ordine e non nove come in Sicilia o diciamo quante sono le province delle altre regioni, possa eventualmente fare tutto quello che intende fare nell'ambito delle sue funzioni.

Su questo vengo sempre al disegno di legge Lorenzin perché in esso si discute di funzioni dell'ordine da ente ausiliario ad ente sussidiario che è una definizione non esattamente troppo giuridica ma che in un certo senso differenzia quale è il “potere” di un ordine che, nella funzione ausiliaria, viene delegato, come prevede la legge n. 233, di tenere gli albi degli iscritti alla professione, di tenere la disciplina, eccetera. Quindi, ad esso sono attribuite due, tre funzioni ben precise con delega da parte dello Stato. Quando un ente, come in questo caso tale Fondazione, automaticamente si prende funzioni che anticipano il vostro disegno di legge, vorrei dire che va anche contro il Governo. Infatti, voi avete presentato un disegno di legge dove prevedevate di aumentare le funzioni: loro l'hanno fatto senza che il disegno di legge sia stato approvato. Allora, delle due l'una: o c'è bisogno della legge e, quindi, sono andati contro una possibilità, a parte aver violato, come ho detto, l'articolo 4 della legge n. 233 e l'articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica n. 221 del 1950 e, quindi, evidentemente bisogna stigmatizzarlo e porvi rimedio o, dall'altra parte, se c'è un disegno di legge che chiede al Parlamento se fare o meno una cosa, non è che poi uno si alza la mattina e cambia completamente la funzione degli ordini. Ripeto, ciò laddove loro hanno previsto la obbligatorietà del versamento per ogni singolo ordine di una quota di adesione, perché qualora loro non lo avessero previsto, come hanno fatto altre fondazioni in altre regioni, il problema sicuramente sarebbe stato diverso o, quanto meno, non c'era una violazione legislativa e non c'era un vincolo pubblico di funzionamento più stringente, che comunque ci sarebbe perché naturalmente la Fondazione è costituita da enti pubblici non vigilati ed enti pubblici non economici.

Mi sembra di aver detto tutto. Ovviamente rimangono irrisolte alcune questioni sui numeri che le ho descritto prima riguardanti i comitati, cioè sugli organi direttivi che vanno chiariti e, quindi, vanno cambiati evidentemente e, quindi, ci riaggiorniamo non appena lei, in qualità di rappresentante del Ministero della Salute, avrà altre informazioni e io avrò presentato il successivo atto di sindacato ispettivo.

(Chiarimenti e iniziative in merito alla possibile revisione del criterio di riparto tra le Regioni delle risorse dedicate all'implementazione del piano sanitario nazionale e dei piani di settore – n. 2-01638)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Valiante ed altri n. 2-01638 (Vedi l'allegato A).

Chiedo all'onorevole Valiante se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica. Faccio appello - posso fare solo questo - alla sintesi perché abbiamo ancora nove interpellanze per permettere ai colleghi che la dovranno discutere per ultimi di non andare troppo in là con il tempo.

SIMONE VALIANTE. Grazie, Presidente. Grazie, sottosegretario. Sarò breve, Presidente, per venire incontro anche al suo appello.

Innanzitutto salto i dati di premessa che il sottosegretario conosce ovviamente molto bene e molto meglio di me e veniamo invece nel merito della questione che sottoponiamo. Parliamo, innanzitutto, di riparto del Fondo sanitario nazionale, poi anche di incompatibilità delle professioni mediche ma nella prima parte chiediamo che, al fine del riparto tra le regioni, oltre all'impiego del meccanismo dei costi standard, il punto utilizzato, come sappiamo, è il valore legale della popolazione residente nella determinazione del valore della popolazione pesata per classi di età con riferimento alle singole regioni.

Il valore della popolazione legale utilizzato è quello risultante dall'operazione del censimento dell'anno 2011 e il criterio utilizzato per il riparto del Fondo, appunto, è quello del valore legale della popolazione residente nella determinazione del valore della popolazione pesata per classi di età con riferimento alle singole regioni. Tale criterio di riparto risulta agli interpellanti non appropriato per una corretta ripartizione del Fondo sanitario nazionale, in quanto la sola età della popolazione non è un parametro oggettivo sufficiente per valutare il fabbisogno sanitario di una regione e determina una ingiusta discriminazione nei confronti di regioni che hanno una popolazione giovane e un tasso migratorio, anche in sanità, molto alto, favorito da un criterio, appunto, quello della popolazione, che da solo non garantisce l'uniformità dei livelli essenziali di assistenza in tutto il Paese e non tiene conto delle difficoltà economiche di una parte rilevante del Paese medesimo, aggravate anche dal pagamento della mobilità passiva nei confronti di regioni che percepiscono centinaia di milioni di euro in più, avendo anche un solo anno o pochi anni di età media più giovane.

Parimenti importante risulta l'annoso problema della disciplina dei casi di incompatibilità nello svolgimento della professione di medico convenzionato. L'articolo 17, comma 1, dell'accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale del marzo 2005, integrato con l'accordo collettivo nazionale del luglio 2009, elenca tassativamente i casi di incompatibilità nello svolgimento della professione di medico convenzionato. Il successivo comma 2 dell'articolo 17, alla lettera f), prevede che, ai sensi dell'articolo 4, comma 7, della legge n. 412 del 1991, è incompatibile con lo svolgimento delle attività previste dagli accordi sopra richiamati il medico che fruisca di trattamento di quiescenza relativo ad attività convenzionate e dipendenti del Servizio sanitario nazionale, fatta esclusione per i medici già titolari di convenzione per la medicina generale all'atto del pensionamento.

La mancata applicazione della disciplina dinanzi esposta comporta, di fatto, il blocco delle assunzioni dei giovani medici e, dall'altro, ingenera nell'utenza un sentimento di fiducia nei confronti della struttura privata, a tutto discapito della sanità pubblica, nonché una naturale migrazione di utenza verso le strutture private, seguendo il medico stesso e le sue scelte di vita professionali. Inoltre, oggi, differentemente da quanto previsto per altri dipendenti dello Stato, quali, per esempio, i magistrati in quiescenza, per il personale dirigente del Servizio sanitario nazionale collocato a riposo non è prevista alcuna incompatibilità a prestare attività di consulenza per strutture private all'interno dello stesso distretto socio-sanitario. A tal riguardo, le chiediamo se si intendono assumere iniziative per rivalutare, innanzitutto, il criterio di riparto del Fondo, prevedendo che l'assegnazione avvenga per il 50 per cento in base alla classe di età della popolazione e per il restante 50 per cento in base al reddito medio; se intenda, inoltre, per i profili di competenza, avviare ogni idonea iniziativa finalizzata a garantire, sull'intero territorio nazionale, la compiuta attuazione delle disposizioni vigenti in materia; se non ritenga, infine, di assumere le iniziative normative necessarie per l'introduzione di un regime di incompatibilità per il personale dirigente della sanità pubblica in quiescenza al fine di escludere che possa operare come consulente di strutture private all'interno dello stesso distretto socio-sanitario nel quale aveva prestato la propria opera professionale.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la Salute, Davide Faraone, ha facoltà di rispondere.

DAVIDE FARAONE, Sottosegretario di Stato per la Salute. Grazie; come è noto il livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale, a cui concorre ordinariamente lo Stato, è ripartito, fin dal 2013, sulla base di quanto previsto all'articolo 27, del decreto legislativo del 6 maggio 2011, n. 68 che detta disposizioni in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard regionali, prevedendo criteri di pesatura tra le regioni basati unicamente sulla classe di età. Con successivo intervento normativo è stata indicata la possibilità che i pesi regionali siano definiti con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia, previa intesa della Conferenza permanente per i rapporti con le regioni, comunque tenendo conto, nella ripartizione del costo e del fabbisogno sanitario standard regionale, dei livelli di miglioramento per il raggiungimento di standard di qualità. Con tale dispositivo è stato, quindi, inaugurato un percorso finalizzato alla rideterminazione dei criteri adottati per l'individuazione dei costi e dei fabbisogni standard. La necessaria attività di revisione di tali criteri è stata, tuttavia, interrotta in seguito all'intesa sancita in Conferenza Stato-regioni, ove si è convenuto che sia per l'anno 2015 che per il 2016 le risorse disponibili per il Servizio sanitario nazionale devono continuare a essere ripartite in base ai criteri previsti dal citato decreto legislativo n. 68 del 2011.

Tale scelta, peraltro, è stata ribadita da un ulteriore intervento normativo che, di fatto, ha prorogato per l'anno 2016 l'applicazione dei medesimi criteri di ripartizione utilizzati nel 2015. Da quanto sopra esposto si comprende come la pesatura delle regioni basata unicamente sulle classi d'età, operata in sede di riparto del finanziamento del Servizio sanitario nazionale, a cui concorre lo Stato, sia avvenuta, per l'anno 2015-2016, in accordo con la posizione delle regioni. L'elaborazione di nuovi criteri di pesatura, al fine della determinazione dei fabbisogni standard regionali, si sostanzia, peraltro, in un'attività particolarmente articolata, la cui conclusione, con ogni evidenza, dovrà necessariamente essere subordinata a una piena condivisione di tutte le regioni. In ogni caso, i nuovi criteri di pesatura dovranno risultare sempre compatibili con i vincoli di finanza pubblica e con gli obblighi assunti dall'Italia in sede comunitaria.

Rispetto alla citata normativa, desidero sottolineare come un valido strumento per il conseguimento dei fini sopra delineati potrà essere rappresentato dal sistema di valutazione delle qualità delle cure e dell'uniformità dell'assistenza in tutte le regioni, al momento in corso di implementazione a cura del Ministero della salute, di intesa con la Conferenza Stato-regioni. Questo sistema risponde, peraltro, anche all'indicazione normativa che prevede una revisione biennale dei criteri dettati dal decreto legislativo n. 68 del 2011, all'interno dei quali assumono rilevanza la popolazione residente, la frequenza dei consumi sanitari per età e per sesso, i tassi di mortalità della popolazione, talune particolari situazioni territoriali, gli indicatori epidemiologici territoriali e così via.

Colgo l'occasione per precisare che l'obiettivo della rideterminazione dei criteri di pesatura costituisce per il Ministero della salute anche un impegno a dotarsi dei dati utili per la costituzione degli strumenti di monitoraggio sistematico dei livelli essenziali di assistenza, attraverso una lettura integrata delle prestazioni erogate ai cittadini, a partire dai livelli di assistenza ospedaliera territoriale e con particolare riferimento all'assistenza residenziale, semiresidenziale e domiciliare. Il patrimonio informativo sviluppato dal nuovo sistema informativo sanitario dovrà contribuire a fornire le informazioni necessarie per la realizzazione appropriata di modelli di analisi dei costi e dei fabbisogni standard, nonché per costruire adeguati e dinamici indicatori dell'effettivo bisogno di salute della popolazione.

Passo ad illustrare gli altri aspetti segnalati dagli onorevoli interpellanti, in sintesi. Al riguardo devo ricordare che la materia, innanzitutto, è presidiata dalle disposizioni contrattuali di comparto e, difatti, dall'articolo 17, accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale, del 23 marzo 2005. Secondo tale disciplina è incompatibile con lo svolgimento di attività previste dall'accordo sopra richiamato il medico che fruisca di trattamento di quiescenza relativo ad attività convenzionate e dipendenti del Servizio sanitario nazionale, fatta esclusione per i medici già titolari di convenzione per la medicina generale all'atto del pensionamento. Le disposizioni contenute negli accordi collettivi nazionali vincolano, peraltro, le regioni nel conferimento degli incarichi. Sulla questione delle incompatibilità dei medici convenzionati in quiescenza ha inciso, altresì, il divieto di cui all'articolo 5, comma 9, del decreto-legge n. 95 del 2012 che, di fatto, ha generalizzato tale divieto a tutte le pubbliche amministrazioni. Il Ministero dell'economia e delle finanze, nell'ambito del parere del 16 dicembre 2013, che rappresenta la delegazione di parte pubblica nel rinnovo degli accordi riguardanti il personale sanitario e il rapporto convenzionale, ove il soggetto interessato sia cessato da un rapporto di dipendenza con il medesimo Servizio sanitario nazionale, atteso che il rapporto convenzionale viene inquadrato, dalla giurisprudenza consolidata, fra le prestazioni d'opera professionali. Pertanto, tali disposizioni non possono non valere per tutta la medicina convenzionata.

Ciò posto, sul punto, il Ministero ritiene che il quadro normativo di riferimento risulti ormai chiaro, non essendo necessari altri interventi al riguardo. Per quanto concerne la diversa ipotesi della mancata previsione di incompatibilità per il personale dirigente del Servizio sanitario nazionale in quiescenza a prestare attività di consulenza presso strutture private all'interno dello stesso distretto socio-sanitario, si osserva quanto segue. Nell'ambito di applicazione dei divieti contenuti nelle citate disposizioni di legge, non rientrano gli incarichi conferiti a soggetti in quiescenza da parte di organizzazioni diverse dalle pubbliche amministrazioni. Tali recenti disposizioni hanno l'obiettivo di evitare che il conferimento di alcuni tipi di incarico siano utilizzati dalle amministrazione pubbliche per continuare ad avvalersi di dipendenti collocati in quiescenza o, comunque, per attribuire a soggetti in quiescenza rilevanti responsabilità delle amministrazioni stesse. La nuova disciplina costituisce, pertanto, l'espressione di un indirizzo di politica legislativa volta a agevolare il ricambio e il ringiovanimento del personale delle pubbliche amministrazioni da bilanciare con l'esigenza di trasferimento delle conoscenze e delle competenze acquisite nel corso della vita lavorativa.

Concludo, rassicurando che ogni nuova e potenziale iniziativa normativa in tal senso che il Parlamento vorrà portare avanti sarà valutata con la dovuta attenzione da parte del Ministero della salute.

PRESIDENTE. L'onorevole Simone Valiante ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

SIMONE VALIANTE. Grazie, Presidente. Io mi ritengo parzialmente soddisfatto dalla risposta del sottosegretario, che coglie alcuni aspetti significativi. Ritengo che questi temi vadano, però, affrontati con maggiore coraggio. I dati del Censis, se li equipariamo, tra l'altro, a quelli dell'Istat, sono piuttosto impietosi e ci dicono che 11 milioni di italiani, ormai, rinunciano alle cure nel nostro Paese e che il 41 per cento delle famiglie italiane rinuncia alle cure per liste d'attesa ed altri anche per motivi economici. Quindi, i dati, da questo punto di vista, vedono crescere la mobilità passiva in alcune regioni del sud ed evidentemente anche i provvedimenti assunti in questi anni non hanno avuto quell'impatto che dovevano avere.

Lo stesso problema si pone sulle incompatibilità. In parte, il sottosegretario ha toccato alcuni dei temi, però io ritengo che su questo vadano fatte scelte di coraggio. Ciò non riguarda soltanto le amministrazioni pubbliche, ma spesso riguarda il rapporto tra sanità pubblica e privata. Chi va in pensione da una struttura pubblica, poi va a ricoprire un'attività all'interno di una struttura privata e, di fatto, questo blocca l'attività e l'ingresso di nuove professionalità, ma soprattutto c'è un problema grosso, che è quello di chi ha svolto funzioni direttive, magari nelle strutture pubbliche, e poi va nelle strutture private a ricoprire la funzione di consulente, in quelle stesse strutture private che, magari, avrebbe dovuto controllare nella precedente attività.

Io credo che queste siano questioni abbastanza serie e non sono questioni che riguardano posizioni ideologiche, ovviamente, ma riguardano, come dicevo, dati chiari e precisi sui quali anche l'Istat ci trasmette notizie che sono molto preoccupanti. La prima è che la maggioranza degli italiani ha la percezione netta del peggioramento del proprio sistema sanitario. La seconda, che mi ha colpito molto leggendo i dati Istat, anche in riferimento proprio a quello che dicevo in questo momento sul problema delle incompatibilità, è che c'è una quota crescente di cittadini, signor sottosegretario, che dichiara anche che è stato il medico a consigliare il ricorso alla sanità a pagamento.

Quindi, queste problematiche, a mio avviso, vanno affrontate in una maniera più coraggiosa. Io, tra l'altro, apprezzo il lavoro del sottosegretario Faraone, che è stato di recente assegnato al Ministero della sanità, ma evidentemente c'è una linea di Governo, che dura da più tempo, rispetto alla quale io credo vada fatta una inversione di tendenza. Da questo punto di vista si può notare anche che ci sono alcune regioni che stanno facendo anche un lavoro più virtuoso e coraggioso, penso ai recenti riconoscimenti avuti a riguardo dalla regione Puglia e ad altre regioni che continuano a rinviare accorpamenti; spesso si concentrano esclusivamente sulla sanità pubblica e trascurano, invece, una riforma seria nella sanità privata, penso ai servizi di diagnostica, all'accorpamento di strutture, insomma sulla diagnostica noi spesso ci troviamo - e chiudo veramente, Presidente - a pagare due volte: paghiamo le strutture pubbliche che non lavorano e poi paghiamo una serie di strutture private, che, ovviamente, si beneficiano del fatto che, tra liste d'attesa e difficoltà implicite alla sanità pubblica, ovviamente, riescono ad avere possibilità che la nostra sanità pubblica non riesce a coprire.

Quindi, da questo punto di vista, io credo vada fatta una riflessione da parte del Ministero e del Governo un po' più coraggiosa. Ringrazio, comunque, il sottosegretario, ovviamente, che da poco tempo si sta occupando, anche con impegno, di questi temi.

(Iniziative di competenza volte al ripristino del punto nascita dell'isola de La Maddalena - n. 2-01718)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Piras e Laforgia n. 2-01718 (Vedi l'allegato A).

Chiedo all'onorevole Piras se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

MICHELE PIRAS. Grazie, Presidente. Sottosegretario, buongiorno, io mi atterrò al suo richiamo precedente alla sintesi anche perché si tratta di una vicenda che è già nota al Ministero ed è nota anche all'opinione pubblica, sia perché il 15 di marzo si è svolta in Aula l'interrogazione del collega Vargiu sul tema - e poi riferirò sulla risposta che ho ascoltato e sulle ragioni per le quali noi insistiamo a chiedere al Ministero cosa intenda fare nel caso specifico -, sia perché questa vicenda è stata, in maniera creativa, singolare e interessante, manifestata dalla cosiddetta “protesta delle pance” delle mamme future dell'isola de La Maddalena, che si trova, alla fine del 2016, con la chiusura del proprio punto nascite, in ragione di una norma nazionale che noi conosciamo e rispetto alla quale comprendiamo la ratio, il principio e anche la correttezza di quanto è scritto in quella norma.

In ragione di questa norma, si ritrova chiuso un punto nascite in un'isola di un'isola, che dista la bellezza di un'ora e mezza di macchina da Olbia - quindi dal primo punto nascite attualmente operativo e disponibile per le mamme di quel territorio - più venti minuti di traghetto, trattandosi di una condizione di specificità delle tante che ci sono in questo Paese, una specificità nella specificità delle tante che ci sono nella mia regione, delle tante specificità che si scontrano in questo Paese con criteri a volte ragionieristici, spesso e volentieri per ragioni di bilancio dello Stato, altre volte sulla base di principi generali che poi cozzano e si infrangono sulla realtà della condizione materiale delle persone che vivono in un dato territorio.

Summa lex , summa iniuria , per mutare un concetto dei latini, per dire che a volte l'applicazione rigorosa di un principio di legge sacrosanto, di un principio di diritto sacrosanto, si trasforma nell'applicazione, senza tener conto delle specificità, in una ingiustizia e a volte serve addirittura, o potrebbe servire, a riprodurla, quell'ingiustizia.

Il punto nascita de La Maddalena è il punto nascita di un'isola nell'isola, di un'isola dell'isola; è il punto nascite di un centro abitato di 12 mila abitanti, che, nella stagione estiva, per la mole di turismo che c'è, arriva anche a contare 60 mila persone, è il punto nascita di una condizione di vita, per alcuni versi, privilegiata in uno scenario bellissimo, per altri versi, difficile, perché di isolamento, perché spesso nei mesi invernali in una condizione atmosferica avversa.

Non si può applicare un criterio ragionieristico al diritto delle persone a La Maddalena a costruirsi una famiglia, al diritto delle donne a partorire in sicurezza, al diritto delle donne a partorire in una struttura ospedaliera, perché mi pare che stiamo ponendo le basi, attraverso l'applicazione di un criterio generale, affinché si ritorni a partorire in casa e non so quanto questo possa essere sicuro, se il criterio di sicurezza è di avere minimo 500 parti l'anno, che in una comunità di 12 mila anime, va da sé, mi sembra un po' difficile come obiettivo da raggiungere, che in un territorio più ampio si può raggiungere, ma, quando quel territorio è segnato da soluzioni di continuità territoriali abbastanza forti come quelle che stavamo per sommi capi descrivendo, io penso che si entri in una fascia grigia di rischio per le persone e di violazione del diritto alla salute.

Tengo anche a precisare il fatto che, se sono avverse le condizioni meteorologiche, spesso e volentieri in quell'area fra maestrali, mareggiate e quant'altro, soprattutto nei mesi invernali, nei mesi estivi le condizioni avverse si manifestano sulla strada, su quella strada tortuosa - che chi è venuto a fare le vacanze da quelle parti, in Sardegna, probabilmente conosce - che collega Olbia a La Maddalena, passando per Palau, che è una strada tortuosa di suo e che d'estate, sottoposta ad un traffico veicolare imponente, traffico turistico e commerciale che caratterizza quel territorio, diventa una strada anche poco percorribile, non solo in sicurezza ma tanto meno in velocità nel caso di un'urgenza.

Insomma, questa condizione specifica è nota al Ministero? Oppure è nota solo la norma di legge? È noto al Ministero il fatto che questo caso può tranquillamente simboleggiare tantissimi altri casi, ma evoca un fatto fondamentale, che è la parità del trattamento delle persone, ovunque esse vivano in questo territorio, non so come dirla diversamente in maniera più chiara di così.

È noto al Ministero il fatto che anche le donne de La Maddalena, anche le donne delle piccole comunità, devono avere gli stessi diritti sulla base della Costituzione e dei diritti che ha una persona che risiede in un centro più grosso? E questo capita nella mia isola, ma in tutto il territorio nazionale: nelle piccole comunità capita già così, con la chiusura dei presidi ospedalieri, con i processi di razionalizzazione della sanità che colpiscono, tipicamente, il diritto e, molto meno di quanto non ci si aspetterebbe, lo spreco.

Noi vorremmo insistere in domande che sono state già poste anche in quest'Aula per capire se nel frattempo, in questi giorni, c'è stata una riflessione nel Ministero, se nel frattempo, in questi giorni, la forma di protesta pacifica, creativa, ma anche disperata delle mamme del La Maddalena, che sono in attesa in questo momento, ha avuto qualche riscontro nella posizione del Governo della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la Salute, Davide Faraone, ha facoltà di rispondere.

DAVIDE FARAONE, Sottosegretario di Stato per la Salute. Grazie, Presidente. Desidero ringraziare gli onorevoli interpellanti, perché mi consentono di tornare, a pochi giorni di distanza, su un argomento sul quale il Ministro della salute si era già espresso, per quanto entro i ristretti limiti del tempo del question time.

Preliminarmente, devo ribadire che un punto nascita in cui non si raggiunga un sufficiente numero di parti all'anno è una struttura sanitaria che, proprio per la mancanza di una significativa casistica, non è in grado di assicurare quegli standard di sicurezza che debbono essere garantiti alla partoriente e al nascituro. Tale affermazione è difficilmente contestabile e, di fatti, in seguito all'intervento del Ministro della salute, sono stati molteplici i commenti, peraltro anche di esponenti delle categorie professionali coinvolte, che hanno confermato come tali imprescindibili esigenze di sicurezza debbano costituire il punto cardinale di ogni valutazione sul tema.

È, comunque, evidente che possono esservi anche casi che giustificano una possibile deroga rispetto agli standard definiti dalla normativa di riferimento, deroga la cui concessione è subordinata al parere strettamente tecnico del Comitato percorso nascita nazionale che opera presso il Ministero della salute. A tale riguardo, desidero rimarcare come le particolari esigenze di strutture minori siano state prese in considerazione proprio da un recente provvedimento del Ministero della salute, con il quale, al fine di venire incontro a specifiche ed oggettive esigenze dei territori più disagiati, è stata prevista la possibilità che tali deroghe giungano anche al di sotto della soglia dei 500 parti annui, una soglia questa già sensibilmente più bassa di quella indicata dall'Organizzazione mondiale la sanità (mille parti annui).

Tuttavia, come già ricordato dal Ministro della salute in quest'Aula, il punto nascita dell'ospedale “Paolo Merlo” dell'isola de La Maddalena si caratterizza per volumi di attività particolarmente bassi - 67 parti nel 2015 e 35 da gennaio a settembre 2016 -, che hanno portato la regione Sardegna, anche in considerazione della contemporanea assenza di quattro ostetriche su cinque, a disporne la temporanea sospensione per motivi di sicurezza nel mese di settembre 2016.

Tale provvedimento, tuttavia, secondo la regione Sardegna, non sembra pregiudicare i diritti alla salute delle gestanti e dei nascituri, in quanto la stessa regione ha comunicato di aver adottato una serie di iniziative presso l'ospedale “Paolo Merlo” de La Maddalena finalizzate a venire incontro alle giuste esigenze della popolazione dell'isola. Ricordo, infatti, che sono state adottate misure di contenimento del rischio per la madre e il bambino, le quali prevedono, con il coinvolgimento del presidio ospedaliero di Olbia, l'attivazione, presso il presidio de La Maddalena, di una rete per la presa in carico ambulatoriale della donna fin dal concepimento e la mappatura del rischio ostetrico e neonatologico per fasce di rischio di tutte le gravidanze, nonché l'implementazione presso lo stesso presidio degli ambulatori di gravidanze a rischio e gravidanze a termine.

Nella struttura di Olbia avviene, inoltre, la centralizzazione sia di tutte le gravidanze che presentino profili di rischio medio-alto sia dei possibili tagli cesarei prevedibili o elettivi.

Il Comitato percorso nascita dell'azienda ospedaliera ha altresì adottato le procedure operative relative all'accoglienza delle partorienti de La Maddalena e al loro trasferimento in sicurezza presso il punto nascita di Olbia. Ulteriori interventi organizzativi sono rivolti al mantenimento delle performances degli operatori, considerato che i bassi volumi di attività ostetrica e ginecologica pongono soprattutto il problema del mantenimento delle loro competenze. Al riguardo, la regione ha previsto la costituzione di un unico pool professionale, con l'assunzione della parte dell'unità operativa complessa di ostetricia e di ginecologia del presidio ospedaliero di Olbia e di un coordinamento organizzativo unico relativo ai due presidi. Ciò comporterà l'attribuzione formale di tutte le risorse professionali presenti presso il presidio di Olbia, nonché la turnazione del personale tra i due presidi.

Detto modello organizzativo, inoltre, verrà applicato anche agli altri operatori - anestesia, pediatria e pronto soccorso - con il potenziamento del personale. Infine, è allo studio presso la regione Sardegna la predisposizione di un'équipe aggiuntiva di emergenza che si attiverà per raggiungere l'isola de La Maddalena in caso di allerta meteo.

Dette iniziative, peraltro già illustrate dal Ministro della salute, si pongono pertanto come una soluzione certamente positiva, in quanto finalizzata a rafforzare la rete dei servizi in un contesto, come quello de La Maddalena, in cui il preminente valore della sicurezza, che, lo ricordo, deve caratterizzare ogni punto nascita, non può essere per obiettive ragioni adeguatamente assicurato.

Tali interventi, peraltro, si inseriscono in un quadro ordinamentale, quale quello delineato dalla nostra Costituzione, che affida piena autonomia in questo specifico settore a livello di governo regionale, rimanendo in capo al Ministero della salute la possibilità di verificare che l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza avvenga nel rispetto di condizioni di appropriatezza ed efficienza.

In conclusione, desidero rammentare che il Ministro della salute ha già assicurato, proprio in quest'Aula, l'attivazione di adeguate iniziative di monitoraggio per verificare l'attuazione di detti provvedimenti da parte della regione Sardegna, affinché sia sempre garantita nell'isola de La Maddalena la tutela e la salute delle partorienti e dei nascituri al momento del parto, sia esso programmato o realizzato d'urgenza.

PRESIDENTE. L'onorevole Piras ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

MICHELE PIRAS. Presidente, non mi ritengo soddisfatto, anche perché penso che la risposta sarebbe potuta essere almeno quella della valutazione di una deroga. Infatti, gli sforzi che sta compiendo la regione Sardegna sul caso de La Maddalena noi li conosciamo: non abbiamo bisogno che ci vengano elencati in quest'Aula, perché sappiamo lo sforzo e il lavoro che si sta facendo, ma sappiamo anche che la regione Sardegna ha rinunciato a chiedere formalmente una deroga sul punto nascita de La Maddalena, precisamente, per l'impraticabilità della richiesta, perché, a quanto pare il nostro Ministero, che è lo stesso che promuove un giorno sì e l'altro pure i Fertility day, si contraddice quando si tratta di partorienti, cioè quando si tratta di persone che, a prescindere dalla propaganda del Governo o dalle intenzioni del Governo, hanno deciso di loro sponte di mettere al mondo dei bambini, in questo mondo così grande, terribile e complesso.

Avremmo voluto sentire la parola “deroga” perché, descritto quello che abbiamo descritto e descritta la realtà della condizione di vita in quella parte di Sardegna, io ritengo si possa dire per tante altre parti di questo Paese, che non vive solo di urbe, ma vive anche di insediamenti molto più diffusi, molto più sparsi. È un problema enorme questo, di unificazione del Paese, di unificazione del Paese attraverso il rispetto dei diritti, attraverso la parità delle persone nell'accesso ai diritti prevista dalla nostra Costituzione. Non ci basta questa rassicurazione, perché, di fronte ad un parto, un'ora e mezza di macchina rimane un'ora e mezza di macchina; perché, di fronte ad un parto, un trasporto in elicottero rimane un trasporto in elicottero; perché, di fronte ad un parto, un'avversa condizione meteo rimane un'avversa condizione meteo.

Per cui o si rimuove una condizione eventuale di questo tipo anche di fronte all'urgenza o si mettono oggettivamente a rischio la partoriente e il nascituro; si mettono oggettivamente a rischio e non c'è controllo, non c'è intervento, non c'è assistenza ambulatoriale dal momento del concepimento in poi che possa alleviare la condizione potenziale di rischio nella quale sono messe le donne de La Maddalena, che vivono lì, che hanno scelto di vivere lì e vorrebbero continuare a vivere lì. A meno che il messaggio che passa non debba essere quello dello spostamento e dell'emigrazione fino ad arrivare tutti quanti in città, dove quei problemi diventano anche altri, come si sa.

Non so se il ragionamento che sto facendo è completamente fuori dal mondo oppure è più nel mondo dei numeri oggettivi che dicono che c'è una soglia minima sotto la quale non si può scendere. Perché mi dovete dire quale dovrebbe essere la soglia di fertilità di una comunità di 12 mila abitanti; anche dire “sono particolarmente bassi”: ma sono 12 mila abitanti, quanti ne devono fare di figli? Scusate la domanda anche un po' provocatoria. Insomma, è la condizione di specificità che o la si vuole prendere in carico o non la si prende in carico. La risposta che io ricevo dal Governo è che quella condizione di specificità al nostro Governo non interessa perché vale la norma generale. “Summa lex summa iniuria”: la state praticando.

(Iniziative di competenza, anche di carattere normativo, in merito a situazioni di sostanziale incompatibilità e di conflitto di interessi con riguardo ad organi di vertice di federazioni sportive - n. 2-01723)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Simone Valente n. 2-01723 (Vedi l'allegato A).

Mi sembra che l'onorevole Valente sia intenzionato ad illustrare la sua interpellanza, ma, prima di dargli la parola, salutiamo studenti ed insegnanti dell'Istituto comprensivo “De Finetti” di Roma, che stanno assistendo ai nostri lavori dalla tribuna.

Prego, onorevole Valente.

SIMONE VALENTE. Presidente, attualmente le federazioni sportive riconosciute dal CONI sono in tutto 45 e tutte devono essere disciplinate da un ordinamento statutario e regolamentate ispirandosi ai principi di rappresentatività e democrazia interna; tale principio di democrazia deve manifestarsi, in particolare, in occasione delle procedure di rinnovamento degli incarichi e dei vertici delle federazioni. La democrazia rappresentativa e la regolarità nelle procedure elettive che portano al rinnovo dei vertici federali rappresentano componenti imprescindibili che dovrebbero essere sempre scevre da meccanismi poco trasparenti o falsati.

Con l'avvento del nuovo quadriennio olimpico 2017-2020, tutte le federazioni sportive hanno avviato le procedure di rinnovo degli organi federali, tuttavia, nelle ultime settimane, voci persistenti indicano irregolarità nel sistema di elezione dei presidenti federali. Diversi quotidiani a tiratura nazionale, infatti, riferiscono come alcune associazioni giovanili e società da tempo inattive, o addirittura, in casi più gravi, fittizie, abbiano partecipato alle procedure di rinnovo delle cariche elettive federali, con lo scopo di gonfiare a dismisura il bacino di voti.

Sulle modalità di costituzione di queste società o sui fautori tali azioni fraudolente non esistono al momento informazioni dettagliate, né risulta un intervento del CONI volto a dirimere questi meccanismi o ad invalidare le procedure elettorali. Tale anomalia è diventata purtroppo una pratica molto comune in seno alle federazioni; basta citare il caso eclatante delle dodici società di pallamano juniores di Marano di Napoli, create appositamente per partecipare al sistema di votazione in maniera fittizia e fraudolenta.

Stesso fenomeno viene segnalato anche all'interno della Federazione ciclistica italiana, dove il processo di formazione delle scelte elettorali è stato alterato creando in modo artificioso una serie di associazioni sportive, allo scopo di incrementare il bacino elettorale. In questo caso, sul numero totale, pari a sessanta associazioni, venti risultavano prive di tesserati e le residue quaranta non svolgevano di fatto alcuna attività.

Sempre in relazione alle varie irregolarità nelle elezioni, si segnala il caso della Federazione italiana Canoa-Kayak, dove uno dei candidati alla presidenza ha contestato, tramite ricorso al collegio di garanzia dello sport, la validità dell'assemblea generale elettiva per presunta violazione dei principi generali in materia elettorale. In questo caso le schede nulle sono state numerosissime, risultando pertanto decisive nel conteggio del quorum, che, quindi, non sarebbe stato raggiunto nella seduta dell'elezione del presidente. Le schede, quindi, sarebbero state idonee a rappresentare l'espressione di voto, per cui l'intera votazione sarebbe nulla, in quanto si basa su atti privi di validità.

Queste svariate anomalie del sistema ne impediscono di fatto un sano rinnovamento e costituiscono un evidente segnale di come, negli ultimi anni, le federazioni, che dovrebbero avvicinare il cittadino alla pratica sportiva e alla cultura dello sport, sono in realtà diventati dei centri di potere o, peggio ancora, in alcuni casi, spartizioni di cariche tra politici.

All'interno della Federazione italiana hockey e pattinaggio, ad esempio, si segnala la vicenda di Sabatino Aracu, presidente da oltre vent'anni della Federazione e da poco riconfermato, ex deputato di Forza Italia per quattro legislature e condannato in primo grado per tangenti; oppure soggetti che esercitano funzioni apicali nelle federazioni, nonostante conflitti d'interessi o incompatibilità espressamente richiamate dagli statuti, come il caso del plurieletto presidente della Federazione tiro a volo, senatore in carica e proprietario, tramite altre società, di una parte significativa delle quote della principale azienda produttrice di piattelli.

Giova ricordare ancora il caso di chi si trova a ricoprire funzioni apicali all'interno di CONI Servizi Spa e ha allo stesso tempo un ruolo di rilievo in una federazione, come l'attuale amministratore delegato di CONI Servizi, che per dodici anni è stato presidente della Federazione badminton e che, per effetto di una tempestiva modifica allo statuto avvenuta poco prima delle elezioni presidenziali, è stato nominato presidente emerito della Federazione, avendo quindi la potestà di svolge attività di rappresentanza della stessa contestualmente al ruolo di amministratore delegato di CONI Servizi Spa.

Altro caso emblematico concerne la posizione del presidente della Federazione golf: eletto lo scorso ottobre 2016 per la quinta volta alla guida della Federazione, contemporaneamente riveste il ruolo di presidente di CONI Servizi Spa.

Circostanze non poco frequenti vedono, infine, esponenti politici ricoprire anche ruoli di presidenti di enti di promozione sportiva, di leghe e di federazioni, come il caso del senatore Cosimo Sibilia, da poco eletto alla guida della Lega nazionale dilettanti e contemporaneamente presidente del CONI Campania e commissario della Federazione italiana gioco calcio Campania, o del sottosegretario dell'economia, Paola De Micheli, che riveste contemporaneamente il ruolo di presidente della Lega di pallavolo di serie A.

Alla luce dei fatti esposti, si ritiene indispensabile un intervento volto a sanare queste evidenti difformità e a riportare le federazioni sportive al loro ruolo primario, che consiste nella promozione dello sport in tutte le sue forme.

Accurati controlli sono necessari, al fine di eliminare gli effetti di questo modusoperandi e di contrastare ogni forma di illegalità nello sport.

In virtù del potere di vigilanza e controllo esercitato dal Governo sul CONI e dal CONI sulle federazioni sportive, chiedo in che modo il Ministro intenda vigilare sull'operato delle federazioni sportive, valutando la legittimità delle deliberazioni assunte e assicurando lo svolgimento di controlli nella gestione finanziaria.

Altro quesito è quali misure intenda adottare per garantire che gli statuti delle federazioni rispettino i princìpi di democraticità interna, arginando le anomalie sopraccitate, che privano le federazioni di adeguata rappresentanza e democrazia.

Chiediamo, inoltre, se non ritenga opportuno stabilire dei limiti al rinnovo dei mandati degli organi del Comitato olimpico nazionale e delle federazioni sportive, limitandoli a due mandati, garantendo così l'effettività del ricambio degli organi elettivi apicali e arginando il rischio di cristallizzazioni dell'assetto gestionale.

Infine, siamo a chiedere quali siano gli intendimenti del Ministro in merito alle diffuse situazioni di incompatibilità di cariche e di conflitto di interessi sopraccitati.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la Salute, Davide Faraone, ha facoltà di rispondere.

DAVIDE FARAONE, Sottosegretario di Stato per la Salute. Presidente, con l'interpellanza sono state poste all'attenzione del Ministro per lo sport, onorevole Luca Lotti, vari episodi di irregolarità nel funzionamento di alcune federazioni sportive. In particolare, gli interpellanti chiedono al Ministro di illustrare quali iniziative, anche di carattere normativo, egli intenda assumere per contrastare i brogli nelle procedure elettive degli organi di governo, per ostacolare i conflitti d'interesse che, stando sempre all'interpellanza, coinvolgerebbero alcune figure apicali.

Tutte le questioni poste concernono, sia pure in termini parzialmente diversi l'uno dall'altro, il tema dei rapporti delle federazioni sportive, il CONI e il Ministro per lo sport. Come correttamente sottolineato dagli stessi interpellanti, il potere di vigilanza sulle federazioni sportive è assegnato non al Ministro per lo sport, ma al CONI, cui gli articoli 5 e 7 del decreto legislativo n. 242 del 1999 conferiscono il potere di controllo in caso di gravi irregolarità e di commissariamento delle federazioni sportive.

Il Ministro per lo sport, la cui funzione di vigilanza è limitata ai soli provvedimenti del CONI concernenti indirizzo e controllo, non ha nessun potere di intervento diretto suscettibile a rimuovere eventuali ostacoli che si frappongano al corretto svolgimento della vita democratica delle federazioni sportive. Si tratta di una prerogativa - si ripete - che l'ordinamento riconosce al Comitato olimpico nazionale. Questo, almeno, il diritto vigente.

Ciò nonostante, le questioni poste nell'interpellanza sono di primario interesse per il Ministro e investono, quanto meno sul piano politico, le sue attribuzioni. Per questa ragione, il Ministro intende approfondire i fatti riferiti nell'interpellanza e sollecitare il CONI ad effettuare verifiche di competenza, nonché ad esercitare i poteri che la legge gli conferisce, per rimediare ad eventuali irregolarità nelle procedure elettorali o eventuali incompatibilità dei vertici federali derivanti da situazioni di conflitto d'interesse.

Infine, per quanto in particolare attiene al ricambio delle posizioni di verifica delle federazioni sportive, il Ministro per lo sport conferma il proprio impegno, già rappresentato nell'audizione del 24 gennaio scorso davanti alle Commissioni cultura riunite, a far sì che si concluda nel più breve tempo possibile l'iter di approvazione della proposta di legge n. 3960, a firma degli onorevoli Ranucci e Puglisi, con la quale si propone, come suggerito dagli interpellanti, di limitare a due il numero di rinnovi dei mandati.

PRESIDENTE. L'onorevole Simone Valente ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

SIMONE VALENTE. Presidente, devo dire innanzitutto che l'assenza del Ministro Lotti oggi in quest'Aula descrive perfettamente l'atteggiamento del Governo e del Partito Democratico di questi ultimi anni e di questa legislatura, ovvero il totale disinteresse al mondo sportivo e alle politiche sportive.

Ma quanto meno, il Ministro Lotti ha avuto il buongusto di non presentarsi anche dopo le ormai conosciute vicende dell'inchiesta Consip.

Io devo dire che però il problema qua è della politica, del Governo, che non si è mai interessato, non ha mai vigilato, non ha mai portato avanti i propri compiti di vigilanza sullo sport. Lo abbiamo visto per più di un anno e mezzo, quando non c'era un referente politico a cui indirizzare tutte queste osservazioni o che prendesse delle decisioni, anche facendole notare al CONI. L'abbiamo visto quando l'ex Premier Matteo Renzi ha tenuto per sé la delega. Poi l'abbiamo visto con il Ministro Lotti, che attualmente non ha neanche ancora mosso un dito in campo sportivo.

Noi aspettiamo e prendiamo atto di quello che oggi ci viene riferito, ma sicuramente abbiamo molti, molti dubbi, che ciò venga applicato, perché politica e sport ormai sono la stessa cosa; diciamo che a essere scoraggiate sono sempre in realtà le persone che vogliono praticare sport, che vogliono portare avanti uno sport pulito.

Io oggi sono qua in Aula a denunciare alcuni fatti, a chiedere anche spiegazioni di alcuni fatti, in primis sulle elezioni dei presidenti federali, perché io in premessa ho citato tantissimi casi, ma ce ne sarebbero molti altri che sono stati oggetto di alcuni miei atti di sindacato ispettivo, che aspettano ancora risposta. Questo per dire che il problema della democrazia interna è un problema che va affrontato. Va affrontato a maggior ragione quando devono essere rinnovati gli organi federali, perché non è possibile che si arrivi all'elezione del presidente del CONI, che ci sarà a maggio, con dei presidenti federali su cui ci sono delle incertezze di legittimazione.

Allora io mi chiedo: se lo sport italiano ha eletto tutti i presidenti federali, in alcuni casi, con irregolarità, alcuni casi, con delle procedure incerte, come possiamo poi andare a legittimare l'elezione di un presidente del CONI? Questa è la prima domanda che pongo e in questo caso, secondo me, anche il Governo è arrivato assolutamente in ritardo, perché ha chiuso gli occhi davanti a tantissime situazioni che continuano a esserci ormai da anni all'interno delle federazioni.

Io ho parlato di centri di potere: ovviamente non è così in tutte le federazioni, perché ci sono federazioni sportive gestite molto bene, ma è così nella maggior parte dei casi, nelle federazioni che prendono e ricevono tantissimi soldi.

Voglio ricordare che lo Stato ogni anno dà al CONI più di 400 milioni di euro e il CONI alle federazioni sportive nazionali per il 2017 ha stanziato 145 milioni di euro e questo dovrebbe farci riflettere circa la vigilanza sui soldi pubblici, perché sono soldi di tutti i cittadini e quindi va capito come vengono spesi. Su questo devo dire che i centri di potere si sono creati anche con presidenti federali che, ahimè, ormai sono da tantissimi anni in carica, che ormai hanno acquisito un potere molto importante, hanno sicuramente avvicinato in alcuni casi amici, politici e conoscenti. Quindi, le federazioni diventano impermeabili anche a chi vorrebbe entrare, anche per lavorare nel mondo sportivo, ma che, in realtà, trova una barriera.

Su questo devo dire che il rinnovo della classe dirigente è uno dei primi punti che andrebbe affrontato, perché le nostre università italiane sfornano tantissimi studenti, tantissime persone che si occupano anche di gestione dello sport, non solo tecnici o allenatori, che vorrebbero entrare nel mondo sportivo e trovano assolutamente un ambiente che non è meritocratico.

Io vi voglio leggere alcune situazioni presenti nelle federazioni. Ho parlato di tantissimi mandati, allora: nella Federazione pattinaggio il presidente è da più di vent'anni ed è stato rinnovato; nella Federazione tiro al volo, il presidente è lì dal 1993; nella Federazione golf, il suo presidente è dal 2002 ed è stato rieletto; nella Federazione nuoto, il presidente ha fatto cinque mandati, così come il presidente della Federazione tennis; il presidente della Federazione bocce è lì da ventiquattro anni (apro una parentesi, abbiamo visto anche cosa sta succedendo nella Federazione bocce e come ci siano stretti contatti con il Comitato paraolimpico e su questo io chiederei anche delle delucidazioni in futuro); il presidente della Federazione pallavolo è dal 1995; il presidente della Federazione motonautica è al quinto mandato; il presidente della Federazione scherma è dal 2005, così come il presidente della Federazione del ciclismo.

Questi sono semplicemente alcuni casi eclatanti, ma, se poi andiamo a prendere anche i presidenti regionali, allora qui apriamo il vaso di Pandora. C'è un sistema incancrenito ed è per questo che noi chiediamo che venga messo un limite di mandati, ma non è che lo chiediamo adesso, noi lo chiediamo da tempo e infatti, se adesso voi vi esponete dicendo che lo farete, noi abbiamo molti dubbi su questo, perché andava fatto prima, prima che venissero rieletti tantissimi presidenti. Invece, voi avete aspettato le elezioni dei presidenti federali per non andare a toccare gli interessi di qualcuno e adesso vi fate belli dicendo che forse la proposta di legge andrà avanti. Io me lo auguro per trovare una soluzione definitiva, ma su questo non potete avere la fiducia del mondo sportivo.

Ho parlato anche di conflitti di interessi, certo, perché, come avviene spesso, ci sono alcuni buchi normativi che permettono delle situazioni anche di legalità, ma che sono totalmente inopportune, perché abbiamo delle situazioni in cui il controllore è anche il controllato e nel campo sportivo questo sistema è evidente. Ho già citato casi di duplici cariche tra CONI Servizi e alcune federazioni, ma non sono i soli, non sono i soli, e andrebbero affrontati anche con una seria legge sul conflitto di interessi che tocchi anche l'aspetto sportivo. In questo caso devo dire anche che i doppi incarichi sono inaccettabili.

Noi abbiamo sempre portato avanti una politica di contrasto ai doppi incarichi, perché non è accettabile che al giorno d'oggi un senatore possa fare anche il presidente di una federazione, perché sono due incarichi molto importanti, che richiedono tempo e impegno e che soprattutto non devono sommarsi, perché andrebbero a creare il conflitto di interessi di cui parlavo prima. Anche qui ho citato alcuni casi che abbiamo anche già denunciato in passato, ma io penso che la politica non debba entrare in questo modo nel mondo sportivo. Dovrebbe stare al di fuori di queste logiche, perché, se noi iniziamo a pensare al mondo dello sport come alla politica, come a dei centri di potere, come una distribuzione di poltrone, come un utilizzo di soldi pubblici in maniera scriteriata o un posto dove sistemare amici degli amici, ecco lì che allora non parliamo più di sport, ma parliamo di tutt'altra cosa.

Vengo ad un altro punto, quello di alcuni presidenti condannati. Ho citato il caso del presidente Aracu, condannato per corruzione. Allora, io mi chiedo come mai è da inizio legislatura che il MoVimento 5 Stelle denuncia questa situazione e nessuno ha mai, se non altro, fatto una dichiarazione, preso una posizione su questo caso. Che esempio date ai giovani che si avvicinano al pattinaggio, ai giovani che vogliono praticare sport? È questo il messaggio che volete dare? Quantomeno prendete una posizione, muovetevi dal punto di vista normativo, se proprio non potete incidere sulle dinamiche del CONI e delle Federazioni.

Tutto questo va a incidere negativamente sul mondo sportivo e vi dico che, parlando con tantissimi persone del settore, ci sono anche persone che ogni giorno lavorano nelle federazioni, nel CONI, nelle associazioni sportive, che vorrebbero un vero rinnovamento, un vero cambiamento, perché non possono più portare avanti questa politica che voi ormai avete portato avanti da anni. Tutto ciò lo trovo totalmente irrispettoso e io mi auguro che tutte queste situazioni un giorno cessino, cessino davvero, perché è bene che anche noi parlamentari dobbiamo fare vigilanza, ma noi dovremmo in realtà proporre delle soluzioni per migliorare il mondo sportivo, ci dovremmo occupare di prospettive, di innovazione, di uno sguardo al futuro a lungo termine, una programmazione a lungo termine, non di continui casi di questo tipo che alla fine vanno a inficiare tutto il lavoro che fanno le federazioni, che fa il CONI, che anche vuole portare avanti la politica.

Allora in tutto questo marasma di situazioni, pongo sempre una domanda, quando le vedo e le affronto: ma in questo Paese quand'è che si parlerà di sport (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)?

(Chiarimenti in merito alle discariche di Pianura, Villaricca e Giugliano (NA), al relativo danno ambientale e sanitario, nonché alle prospettive di bonifica – n. 2-01656)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Artini ed altri n. 2-01656 (Vedi l'allegato A).

L'onorevole Artini rinuncia all'illustrazione della sua interpellanza. Onorevole Artini, la ringrazio a nome dei colleghi che devono discutere le interpellanze dopo di lei, che certamente gradiranno questo esempio di sintesi.

Il sottosegretario di Stato per l'Ambiente e la tutela del territorio e del mare, Silvia Velo, ha facoltà di rispondere.

SILVIA VELO, Sottosegretaria di Stato per l'Ambiente e la tutela del territorio e del mare. Con riferimento alle questioni poste dagli onorevoli interpellanti e sulla base degli elementi acquisiti dagli enti territoriali competenti, si rappresenta che le aree oggetto di interpellanza ricadono attualmente in territori che sono stati declassificati da siti inquinati di interesse nazionale a siti inquinati di interesse regionale a seguito del decreto ministeriale n. 7 del 2013 e pertanto la titolarità delle relative procedure autorizzative è passata in capo alla regione Campania. Ciò ha comportato la necessità di adeguare le modalità operative di attuazione degli interventi al nuovo contesto normativo e procedurale. Per quanto riguarda il territorio di Giugliano in Campania si evidenzia altresì che lo stesso è interessato da interventi di caratterizzazione e bonifica con specifico riferimento alle attività sulla cosiddetta area vasta di Giugliano in Campania all'interno della quale ricadono anche le discariche Resit.

L'area di discarica ex Resit è costituita da un impianto autorizzato per l'attività di smaltimento dei rifiuti solidi urbani e assimilabili nonché dei rifiuti speciali industriali costituiti da due aree prospicienti: la prima, cosiddetta cava X e la seconda denominata cava Z. Tali discariche sono state individuate quali fonti di inquinamento e di possibile disastro ambientale. Pertanto, nella conferenza dei servizi decisoria del 5 aprile 2013 dopo un'articolata istruttoria, è stato approvato con prescrizioni il progetto definitivo di messa in sicurezza di emergenza dell'area Resit cava X e Z.

Il 10 luglio 2013 è stata altresì approvata dalla struttura commissariale l'ultima versione del progetto definitivo di messa in sicurezza d'emergenza delle aree ex Resit e, al fine di pervenire alla individuazione precisa del fondo discarica, così come imposto con alcune prescrizioni dalla conferenza dei servizi nonché per la stesura del progetto definitivo, furono eseguiti alcuni sondaggi integrativi. Successivamente si è provveduto alla consegna dei lavori di messa in sicurezza d'emergenza dell'area ex Resit: i predetti lavori sono ad oggi in corso e il termine previsto è il prossimo 31 luglio.

Per quanto l'area denominata Novambiente Srl la stessa è una discarica controllata di prima categoria parzialmente in cava e parzialmente in rilevato. Il progetto preliminare per la messa in sicurezza d'emergenza dell'area di discarica Novambiente è stato inserito nella conferenza dei servizi tenutasi il 4 dicembre 2012 presso il Ministero dell'ambiente, nel corso della quale furono formulate una serie di osservazioni e prescrizioni. Successivamente la conferenza di servizi decisoria, convocata presso lo stesso Ministero il 5 aprile 2013, ha deliberato l'approvazione con prescrizioni del progetto. In seguito al declassamento dell'area da SIN a SIR la regione Campania ha approvato tutte le prescrizioni e raccomandazioni stabilite nel verbale della predetta conferenza dei servizi.

Il 1° agosto dello stesso anno 2013 è stata pubblicata la gara per l'affidamento della progettazione esecutiva ed esecuzione dei lavori di messa in sicurezza d'emergenza dell'area di discarica Novambiente e successivamente è stata indetta apposita conferenza di servizi per acquisire i pareri necessari alla definizione degli aspetti progettuali previsti per la redazione del progetto esecutivo nella cui seduta sono stati acquisiti pareri, osservazioni nonché prescrizioni al progetto definitivo redatto dalla ditta aggiudicataria.

Il 3 agosto 2016 sono state eseguite ulteriori indagini integrative propedeutiche all'adeguamento del progetto definitivo che si sono concluse in data 8 agosto. Ad oggi si è in attesa dell'esito della procedura di validazione per dare avvio alla progettazione esecutiva.

Con riferimento invece alla Alma di Villaricca, la regione Campania fa presente che la stessa risulta essere censita nel piano regionale di bonifica in quanto rientrante nell'ambito territoriale dell'ex SIN Litorale domizio flegreo e agro aversano quale stabilimento di trattamento rifiuti.

Sempre secondo quanto riferito dalla regione, per tale sito viene riportata possibile contaminazione per la matrice acque sotterranee a seguito dell'espletamento di indagini preliminari.

In merito alla discarica Di. Fra. Bi di Pianura, la regione Campania rappresenta che la stessa rientra nell'ex sito di interesse nazionale di Pianura che, a seguito del declassamento da SIN a SIR, è divenuta di competenza regionale. La predetta regione, con emanazione delle norme tecniche di attuazione del piano regionale di bonifica, ha disposto per tutti i siti perimetrati ex SIN l'obbligatorietà dell'esecuzione delle indagini preliminari qualora non ancora sottoposte ad analisi. Nel caso specifico di Pianura, essendo necessario che le azioni siano concordate e coordinate con la Sogesid, che aveva ricevuto dal Ministero dell'ambiente l'incarico per procedere alle indagini sui siti, si segnala che sono in corso interlocuzioni tra regione Campania, Ministero dell'ambiente e la stessa Sogesid per la definizione della questione.

Da ultimo l'ASL Napoli 3 Sud fa presente che è stato istituito il Registro dei tumori di popolazione della regione Campania, strutturato come rete di registrazione oncologica regionale e articolato in sette registri aziendali ed un registro tumori infantili unico regionale finalizzato alla registrazione dei tumori riferiti alla fascia di età 0-19 anni. Pertanto l'intera regione Campania, ivi compresi i comuni di Giugliano e Villaricca, afferente al territorio dell'ASL Napoli 2 Nord e ASL Napoli 1 Centro, è coperta da registrazione oncologica e si stima che i dati di incidenza riferiti alla popolazione di riferimento possano essere accreditati dai rispettivi registri competenti per area presso la banca dati nazionale dell'Associazione italiana registri tumori rispettivamente entro il 2017 e il 2018.

Inoltre, entro il mese di marzo, saranno disponibili i dati relativi di incidenza oncologica infantile riferiti al quinquennio 2008-2012 per l'intera regione Campania. Ovviamente il Ministero dell'ambiente continuerà a tenersi informato e a svolgere attività di sollecito nei confronti dei soggetti territoriali competenti anche al fine dell'eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.

PRESIDENTE. L'onorevole Artini ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

MASSIMO ARTINI. Grazie, Presidente, grazie, sottosegretario. Indubbiamente devo ammettere che la quantità di informazioni che il sottosegretario mi ha riferito sono di dettaglio e necessitano di studio. Questa interpellanza nasce con la volontà di creare un percorso di sindacato ispettivo perché l'aspetto che più colpisce, al netto della necessità di dover ripristinare delle aree, rimanendo nel merito della sua risposta rispetto alla discarica Di. Fra. Bi. colpisce che ancora non siano state definite da quando è chiusa, cioè dal 1996 ad oggi, le minime procedure per la bonifica e questo per rimanere nel merito. Ma il concetto dell'atto di sindacato ispettivo, per il quale non posso dichiararmi attualmente soddisfatto, è la costruzione di un percorso che porti a comprendere come mai persone informate dei fatti non abbiano provveduto anche da un punto di vista giudiziario negli anni in cui già alcuni pentiti, come riportato in premessa, avevano segnalato ampiamente lo scempio fatto in quei territori segnalati nell'interpellanza.

La preoccupazione è che di tutta una serie di indagini, di tutta una serie di passaggi, di tutta una serie di valutazioni si sia ignorato il rischio che stanno comportando e spero vivamente che dal registro pubblicato a marzo si possano trarre ulteriori dettagli sulla parte oncologica e quindi comprendere la mancata attenzione già dagli inizi degli anni Novanta su questa materia, anche da un punto di vista giudiziario, abbia portato a danni oncologici alla salute di diversi cittadini.

La situazione, a mio modo di vedere, ma a vedere anche delle realtà locali che combattono questo problema da anni, è insostenibile e, di tutte le varie situazioni, la Resit di Giugliano che abbiamo visitato personalmente, con il mio collega e altri aderenti ad Alternativa libera, nell'anno scorso, è, sì, in via di definizione, ma anche in quel caso, a giudicare da quello che erano le foto e le immagini che abbiamo sviluppato l'anno scorso, è indubbiamente imbarazzante. Quindi, per rispondere alla questione, è un nuovo spunto per poter procedere, una volta acquisite queste informazioni, a nuovi atti di sindacato ispettivo che vadano a comprendere anche le responsabilità, per quanto siano trascorsi veramente più di 20 anni, di chi, ad oggi, è in determinate posizioni rispetto ai ruoli che venivano ricoperti negli anni in cui aveva la possibilità di fare indagini e di procedere.

(Iniziative in ordine all'implementazione di una fiscalità riallocativa tesa a sbloccare il finanziamento contemplato dall'Accordo di Parigi COP 21 - n. 2-01712)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Pastorino ed altri n. 2-01712 (Vedi l'allegato A).

Chiedo all'onorevole Pastorino se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

LUCA PASTORINO. Presidente, brevemente, nell'ottobre 2016 l'Italia, come sappiamo, ha ratificato l'Accordo di Parigi COP21, entrato poi ufficialmente in vigore il 4 novembre scorso; accordo che stabilisce obiettivi molto impegnativi ed invita gli Stati a indicare come intendono perseguirli. Poi c'è stata la legge n. 221 del 2015, con la quale è stato approvato il collegato ambientale che istituisce, tra le altre cose, la strategia nazionale di sviluppo sostenibile. In ultimo, il 23 febbraio 2017 è stato reso disponibile dal Ministero dell'ambiente il catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi e dei sussidi ambientalmente favorevoli, nel quale si auspica tra l'altro una eliminazione certa e rapida dei sussidi dannosi per l'ambiente. Tra l'altro da questo catalogo, dalle tabelle allegate al catalogo, si evince che la quota di bilancio statale destinata ai sussidi ambientalmente dannosi è di oltre 16 miliardi di euro all'anno, di cui una parte rilevante a favore del settore dell'energia e per agevolazioni fiscali; sono 16 miliardi l'anno, sono un po' tantino e anche un po' in barba al principio per cui chi inquina deve pagare di più.

Secondo recenti ricerche, la rimozione e, quindi, il conseguente reimpiego di queste risorse avrebbe importanti benefici sia dal punto di vista ambientale sia dal punto di vista occupazionale. Sul versante occupazionale l'aumento di posti di lavoro stimato è, addirittura, di 200.000 unità all'anno. Quindi, il senso dell'interrogazione è quello di cercare di capire se, in occasione del prossimo documento di economia e finanza, ci sia la volontà, da parte del Governo, di riallocare, senza incidere sulla fiscalità generale, ovviamente, questi sussidi, da una

parte, ambientalmente dannosi, d'altra parte, in un contesto ambientalmente favorevole, per dirla come vengono chiamati dal catalogo. Dico ciò perché questa è una grande opportunità per perseguire gli obiettivi e fare le cose che abbiamo banalmente sottoscritto e approvato, ma lo dico anche perché, per esempio, da tanti aspetti, giungono notizie di come siamo un po' indietro in questo settore. Infatti, per esempio, i dati del GSE del 2016 dimostrano che da tre anni il settore delle fonti rinnovabili è completamente fermo, che il settore delle rinnovabili ha perso circa 70.000 posti di lavoro in tre anni, insomma, che si è andati un po' avanti con provvedimenti un po' a spot e non strutturali. Ecco, per dirla con una battuta è poi noto a tutti - qui ritorno nel campo occupazionale - che nel settore fossile c'è tanta finanza o più finanza e poca manovalanza, giusto per fare una rima. Ho fatto una battuta, ma per segnalare quanto sia contingente questo argomento, quanto sia importante, almeno stando alle dichiarazioni che abbiamo letto negli anni su questo tema, e quanto, anche, sia molto presente nei pensieri di quelle giovani generazioni a cui la politica non parla più. Faccio un esempio, poi concludo; questa settimana qui in visita in Aula, alla Camera, è arrivata una rappresentanza degli studenti della scuola “Montale” di Genova Quarto, durante una giornata di formazione, e la prima di otto domande che hanno posto a noi deputati è stata questa, gliela dico: uno studio approfondito commissionato da WWF ed Enea dimostra che in Liguria lo sviluppo delle fonti rinnovabili potrebbe creare nuovi posti di lavoro. Il quesito era: le autorità istituzionali sia regionali che nazionali hanno valutato quanto è emerso?

Sono andato a vedere questo studio, che, in effetti è dei primi del 2016, e emergerebbe, appunto, l'opportunità di creare, in Liguria, addirittura 4.500 posti di lavoro distribuiti per i vari settori. Ho fatto questo esempio per dire che, appunto, la lungimiranza da parte del Governo in questo settore ci deve essere, per motivi sia di natura ambientale sia di natura di opportunità dal punto di vista occupazionale, questioni che sono assolutamente sentite anche dai nostri ragazzi.

PRESIDENTE. La sottosegretaria di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, onorevole Silvia Velo, ha facoltà di rispondere.

SILVIA VELO, Sottosegretaria di Stato per l'Ambiente e la tutela del territorio e del mare. In tema di fiscalità ambientale la conoscenza dei sussidi ambientalmente rilevanti, sia dannosi che favorevoli, costituisce lo sforzo necessario per un disegno di politica ambientale ed economica ambizioso ed efficiente. Politiche che devono ovviamente essere all'altezza delle sfide globali lanciate con l'Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici e con l'Agenda 2030 dell'ONU per uno sviluppo sostenibile, con i suoi 17 obiettivi. Come è stato già ricordato dall'onorevole interrogante, il cosiddetto Collegato ambientale ha istituito presso il Ministero dell'ambiente il catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi e dei sussidi ambientalmente favorevoli e il catalogo si presenta come uno strumento conoscitivo. Si tratta di un rapporto annuale che verrà approfondito e aggiornato annualmente per identificare le misure che danneggiano l'ambiente e le misure che incoraggiano consumi e investimenti ambientalmente favorevoli. Esso rientra in uno sforzo generale del Paese di analisi e valutazione dell'erosione fiscale, delle spese fiscali, delle agevolazioni e degli incentivi esistenti. Si affianca ai tentativi di riforma per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita, come definito nella delega fiscale 2014, ai decreti e alle attività che ne sono derivate. Come evidenziato dal Ministero dell'economia e delle finanze, le agevolazioni fiscali, anche sotto forma di credito d'imposta, e i sussidi risultanti dalle tabelle allegate al predetto catalogo si attestano a circa 10 miliardi di euro.

In tale contesto il Ministero dell'ambiente sta lavorando per assicurare una riconversione ecologica della fiscalità e, quindi, una riduzione progressiva dei sussidi cosiddetti perversi. Naturalmente, occorrerà assicurare una gradualità nella messa in opera di tali misure che avrà, ovviamente, bisogno di misure di accompagnamento che garantiscano la transizione. Si tratta, prima di tutto, di identificare i sussidi, di capirne struttura e obiettivi, di riesaminarne la validità, l'efficacia e l'efficienza. In non pochi casi si tratta di situazioni di privilegio che, numerosi anni dopo la loro introduzione, non hanno, oggi, più nessuna ragione di esistere. Non pochi sussidi, tuttavia, hanno, invece, tuttora, valide motivazioni economiche e sociali, ma andranno rivisti affinché non diano ragione di effetti ambientali negativi.

Pertanto, l'augurio che si fa il Ministero dell'ambiente e l'impegno nel lavoro che sta mettendo in campo di ricognizione, è di mettere a disposizione di Parlamento e Governo uno strumento che, con il consenso di produttori e consumatori, possa favorire l'avvio di un processo progressivo, ma rapido, certo e - io aggiungo - irreversibile di eliminazione di sussidi ambientalmente dannosi, così come ci richiedono la comunità scientifica e la comunità internazionale.

PRESIDENTE. L'onorevole Pastorino ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

LUCA PASTORINO. Grazie, Presidente. Direi abbastanza insoddisfatto, nel senso che, se da una parte prendo atto di questa intenzione di procedere a questa riconversione ecologica, dall'altra, però, mi pare che i tempi siano un po' incerti. Il quesito era molto chiaro, una volta pubblicate le tabelle, se già da quest'anno avremmo comunque pensato di iniziare questo percorso di virtuosità. Quello era un po' l'obiettivo che questa interpellanza urgente aveva, perché i tempi sono quelli che sono. Quindi, io mi permetto di insistere, affinché il Ministero metta in campo ogni attività e iniziativa utile affinché, già da quest'anno, si cominci questo percorso di gradualità che il sottosegretario ha esposto.

È vero, può esserci anche il tema delle misure di accompagnamento, quindi evitare che vi siano ripercussioni dolorose dal punto di vista occupazionale alla rovescia in quel settore, nel campo fossile, che possono vedere impiegata la forza lavoro, che andrà necessariamente riconvertita. Ma il testo dell'interpellanza faceva riferimento anche all'obiettivo di destinare una parte di questo travaso di risorse proprio per tutelare eventuali problemi dovessero emergere. Però, come ho detto nelle premesse, il settore del fossile è più caratterizzato dalla presenza di capitale di finanza piuttosto che da manodopera, che invece nel settore delle rinnovabili è molto necessaria ed è molto opportuna, anche per i problemi occupazionali che sono presenti all'interno del nostro Paese. L'insoddisfazione, però, è chiaro che si accompagna ad un invito ulteriore, magari presenteremo questa interpellanza prossimamente anche nell'Aula del Senato, per sollecitare il Governo a dare corso agli impegni che abbiamo sottoscritto, abbiamo cercato e, come diceva lei, la comunità internazionale ci chiede di portare avanti con impegno, senza casualità, ma con una strategia ben chiara e non fatta di misure spot e un po' improvvisate. Grazie.

(Chiarimenti e iniziative in ordine ai cantieri dell'elettrodotto Terna Udine Ovest Redipuglia, alla luce della sentenza del Consiglio di Stato n. 3652 del 21 aprile 2015 - n. 2-01720)

PRESIDENTE. Siamo all'interpellanza urgente degli onorevoli D'Uva e altri n. 2-01720 (Vedi l'allegato A).

Chiedo all'onorevole D'Uva se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

FRANCESCO D'UVA. Grazie, Presidente, grazie signor sottosegretario. Dopo aver già presentato un'interpellanza a maggio scorso, a prima firma del collega Sorial, siamo di nuovo qui a portare all'attenzione del Governo la paradossale, per non dire drammatica, situazione dell'elettrodotto aereo Udine-Redipuglia: un'opera che coinvolge trenta comuni del Friuli-Venezia Giulia e che consiste in 40 chilometri di nuova linea aerea ad altissima tensione; un'opera da oltre cento milioni di euro, proposta dal Ministero dell'ambiente e progettata da Terna Spa, che l'ha inclusa nel Piano di sviluppo della rete elettrica nazionale; un'opera per cui sono stati già spesi 86 milioni; un'opera che nessuno vuole, a parte ovviamente la stessa Terna, proponente del progetto, ed evidentemente anche questo Governo; un'opera priva di autorizzazioni, che deturpa il contesto ambientale circostante con piloni alti fino a 61 metri, che crea un danno irreparabile al paesaggio friulano, peraltro senza portare alcun valore aggiunto allo stesso.

Dopo che questa vicenda va avanti da più di tredici anni, tra pareri contraddittori e ricorsi, noncurante della sentenza del Consiglio di Stato del luglio 2015, che bocciò sonoramente il progetto per la costruzione dell'elettrodotto, nonché la valutazione contraria del Ministero dei beni culturali, la multinazionale Terna ha ripresentato esattamente lo stesso progetto e ha continuato l'opera di costruzione dell'elettrodotto, giunto ormai all'80 per cento della sua realizzazione.

Il Governo cosa ha fatto nel frattempo, invece di sospendere immediatamente l'autorizzazione a Terna? Nonostante il “no” del MiBACT, il Ministero dello sviluppo economico è riuscito comunque ad autorizzare la ripresa dei lavori e il tutto in presenza del ricorso al TAR del Lazio presentato da sette sindaci del territorio friulano appoggiati da cittadinanza e da comitati ambientalisti. Non dimentichiamoci che proprio il Governo è l'azionista di maggioranza di Terna, attraverso Cassa depositi e prestiti.

Ma facciamo un passo indietro e vediamo quali sono stati i passaggi fondamentali di questa vicenda, che ha del paradossale.

La storia dell'elettrodotto, di cui il ricorso al TAR è solo l'ultimo capitolo, è infatti un susseguirsi di atti contraddittori e di ricorsi. Si parte dal lontano 2003, quando si inizia a parlare dell'opera inserita nel Piano di sviluppo della rete nazionale, piano, come abbiamo detto, che è stato approvato dal Governo. Nel luglio 2011 il progetto di elettrodotto riceve il parere positivo della Commissione tecnica di VIA e, successivamente, nell'ottobre 2013 la regione Friuli, con delibera di giunta regionale 1841, approva lo schema della convenzione-quadro e definisce le misure di compensazione e riequilibrio ambientale. Nel novembre 2013 Terna iniziano i lavori di costruzione dell'elettrodotto, in conformità all'autorizzazione ministeriale arrivata nel marzo del 2013. Quindi, il 23 luglio 2015 arriva la sentenza del Consiglio di Stato, che rovescia la precedente decisione del TAR del Lazio, sui ricorsi dei comuni di Mortegliano, San Vito al Torre, Trivignano Udinese, Lestizza, Palmanova, Basiliano e Pavia di Udine, nonché di un'associazione sportiva, di alcune aziende agricole e di alcuni privati. Il Consiglio di Stato annulla sia il parere di VIA favorevole, emesso con decreto del MATTM, di concerto con il MiBACT, sia il provvedimento di autorizzazione alla costruzione dell'elettrodotto rilasciato alla società Terna con il decreto interministeriale del 12 marzo 2013. Il Consiglio di Stato ha infatti affermato che l'intero procedimento che ha portato all'approvazione definitiva del progetto Terna è viziato in radice, dal momento che il MiBACT ha effettuato illegittimamente un bilanciamento di interessi, che non gli compete, e non ha esercitato la funzione di tutela del paesaggio, prevista all'articolo 9 della Costituzione, di cui è per legge titolare.

A seguito della sentenza del Consiglio di Stato, nonostante fosse stata disposta la sospensione dei lavori, Terna ha proseguito le operazioni di messa in sicurezza del cantiere, ma, a detta di molti cittadini, avrebbe in realtà proseguito indisturbata nella realizzazione dell'opera per almeno un mese, di fatto senza alcun titolo autorizzativo edilizio, paesaggistico ed ambientale, nonché senza dichiarazione di pubblica utilità. Il 18 febbraio 2016 il Ministero dell'ambiente ha inviato a Terna e alla Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale la comunicazione di procedibilità dell'istanza, finalizzata alla rinnovazione del procedimento, cui è seguito il 17 giugno 2016 il parere negativo del MiBACT. La regione Friuli-Venezia Giulia ha invece espresso parere positivo, così come la stessa Commissione tecnica di VIA – VAS (nota 2136 del 2 agosto 2016). Anche la Sovrintendenza Belle arti e paesaggio del Friuli-Venezia Giulia, con nota 3156 del 13 giugno 2016, ha espresso parere negativo all'opera, ritenendo che l'elettrodotto determinasse effetti di intrusione e concentrazione di impatto paesaggistico elevato, senza esitare ad incidere in modo drammatico nell'ambiente naturale. Si ricorda, infatti, come nella VIA sia stato considerato nuovamente soltanto il progetto di realizzazione dell'elettrodotto in linea aerea, facendo mancare la possibilità di valutare anche altre alternative più favorevoli alla tutela del paesaggio. Questo significa, secondo la Sovrintendenza, che sono state considerate soltanto le ragioni della costruzione dell'opera in linea aerea e non le ragioni della sua realizzazione senza impatti negativi sul paesaggio.

Al fine di superare il contrasto con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, il Consiglio dei ministri ha fatto propria la posizione favorevole al progetto del Ministero dell'ambiente, cui è seguita l'autorizzazione del MISE alla costruzione e all'esercizio dell'elettrodotto. I sette comuni che già si erano appellati al TAR hanno quindi presentato un nuovo ricorso contro il provvedimento di VIA e contro la delibera del Consiglio dei ministri, che ha superato il conflitto insorto all'interno della procedura di VIA di fronte al parere contrario del MiBACT.

Come vede, signora sottosegretario, questa dell'elettrodotto è una storia fatta di contraddizioni e di molti dati che rimangono ancora oscuri. Ci può forse spiegare lei, signora sottosegretario, perché i costi del progetto dell'elettrodotto sono lievitati di ben 16 milioni di euro dopo la sentenza del Consiglio di Stato senza una motivazione plausibile? Perché si sia voluto continuare con questo progetto, quando, da ben sette anni, si sta lavorando a un elettrodotto sottomarino da 869 milioni che metterà in collegamento direttamente la Slovenia con il vicino Veneto? E perché le linee della regione Friuli vengono considerate da Terna, a piacimento, o vetuste o sovraccariche, quando finora hanno saputo reggere la situazione di maggiore criticità? Addirittura Terna, nelle sue rilevazioni statistiche, riportate anche nel procedimento di VIA, ha dovuto ammettere che, dal 2008 al 2014, l'energia richiesta nel Friuli-Venezia Giulia si sia abbassata dell'8,5 per cento, dati che dimostrano ampiamente quanto quest'opera non sia giustificabile neanche dal punto di vista del fabbisogno energetico.

Se invece di perdere sette anni di tempo si fossero considerate tutte le alternative possibili, non ci troveremmo ora in questa situazione, ma questo la procedura di VIA non l'ha mai fatto.

PRESIDENTE. La sottosegretaria di Stato per l'Ambiente e la tutela del territorio e del mare, Silvia Velo, ha facoltà di rispondere.

SILVIA VELO, Sottosegretaria di Stato per l'Ambiente e la tutela del territorio e del mare. Com'è noto agli stessi interpellanti, con decreto VIA del 21 luglio 2011 è stato espresso giudizio di compatibilità ambientale positivo con prescrizioni per il progetto dell'elettrodotto Terna Spa denominato Udine Ovest-Redipuglia ed opere connesse. Successivamente, il 23 luglio 2015, è stata depositata la sentenza del Consiglio di Stato n. 3652, con la quale è stato annullato il parere espresso dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo nell'ambito del procedimento di VIA e, di conseguenza, il predetto provvedimento di compatibilità ambientale. A seguito della sentenza, in data 2 ottobre 2015, Terna ha presentato al Ministero dello sviluppo economico e al Ministero dell'ambiente istanza di rideterminazione in merito alla costruzione e all'esercizio dell'infrastruttura in questione sulla base di un progetto, non variato rispetto al precedente, ma ottimizzato in seguito all'inserimento delle modifiche localizzative e tecniche apportate in accoglimento delle prescrizioni di cui al decreto VIA del 2011.

In seguito alla nuova domanda di autorizzazione, in data 13 novembre 2015, Terna ha presentato istanza presso il Ministero dell'Ambiente e il Ministero dei Beni culturali e del turismo per l'avvio di una nuova procedura VIA. Successivamente, il 15 febbraio 2016, la società ha provveduto a perfezionare la predetta istanza, fornendo una complessiva attualizzazione del quadro ambientale del progetto, che tiene conto della fase avanzata di costruzione dell'opera e dell'ottemperanza alle prescrizioni a suo tempo stabilite e dandone avviso pubblico. È stata, quindi, avviata l'istruttoria tecnica presso la Commissione di verifica dell'impatto ambientale VIA-VAS.

La Commissione ha concluso le proprie valutazioni istruttorie sul progetto con l'espressione del parere positivo con prescrizioni del 2 agosto 2016. Nell'ambito dell'istruttoria è stato, inoltre, acquisito il parere favorevole con prescrizioni della regione autonoma Friuli Venezia Giulia del 22 luglio 2016, mentre il Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo ha espresso parere negativo in data 17 giugno 2016.

Poiché il contrasto tra il parere positivo della Commissione tecnica VIA-VAS e quello negativo del Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo non ha consentito di giungere ad una concorde definizione del procedimento di VIA, è stata attivata presso la Presidenza del Consiglio dei ministri la procedura prevista dall'articolo 5, comma 2, lettera c-bis) della legge n. 400 del 1988, che prevede il deferimento alla Presidenza, ai fini di una complessiva valutazione e armonizzazione degli interessi pubblici coinvolti, della decisione di questioni sulle quali siano emerse valutazioni contrastanti tra le amministrazioni a diverso titolo competenti in ordine alla definizione di atti e provvedimenti.

Tale procedura si è conclusa con la delibera del 10 agosto 2016, con la quale il Consiglio dei ministri, rilevato il carattere di interesse strategico dell'opera in questione per la sicurezza della gestione della rete di trasmissione nel territorio della regione Friuli Venezia Giulia e per la possibilità di rimuovere i limiti allo sfruttamento dell'energia disponibile nell'area e in importazione dalla Slovenia, nell'ambito di una complessiva valutazione e armonizzazione degli interessi pubblici coinvolti, ha deliberato di fare propria la posizione favorevole del Ministero dell'Ambiente in merito alla compatibilità ambientale dell'opera in oggetto, a condizione che siano rispettate le condizioni e prescrizioni contenute nel parere del 2 agosto 2016 della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA-VAS.

Sulla base della predetta delibera del Consiglio dei ministri, è stato emanato il decreto di compatibilità ambientale con prescrizioni n. 241 del 6 settembre scorso. Il 18 ottobre 2016 si è tenuta la Conferenza di servizi decisoria, nel corso della quale si è dato conto di tutte le osservazioni pervenute e delle relative controdeduzioni, e si è preso atto dei pareri pervenuti da parte dei soggetti interessati.

A seguito della conclusione positiva della Conferenza di servizi è stato emanato il decreto di autorizzazione il 14 febbraio 2017. Tale provvedimento approva il progetto proposto e autorizza Terna a costruire ed esercire l'opera autorizzata.

Il provvedimento sostituisce tutte le autorizzazioni, concessioni, nulla osta o atti di consenso comunque denominati, compresa l'autorizzazione paesaggistica. Ha, inoltre, effetto di variante urbanistica ed ha efficacia di dichiarazione di pubblica utilità.

Si fa presente, infine, che in data 20 marzo 2017 sono state concluse positivamente sia le verifiche di ottemperanza delle prescrizioni relative alla fase ante operam, sia la ricognizione relativa alle verifiche di ottemperanza delle prescrizioni in capo ad altri enti vigilanti, regione Friuli Venezia Giulia e ARPA, relative alla fase propedeutica all'inizio dei lavori. In relazione a tale fase non sono emerse criticità ambientali. Alla luce delle informazioni sopra esposte, il Ministero dell'Ambiente prosegue nella sua azione costante di monitoraggio, senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione verso la questione.

PRESIDENTE. L'onorevole D'Uva ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

FRANCESCO D'UVA. Signora sottosegretario, mi dichiaro insoddisfatto della risposta data. Dalle sue parole sembra, infatti, emergere la triste verità che l'elettrodotto si debba fare comunque, costi quel che costi, a prescindere dai pronunciamenti contrari del Mibact, del Consiglio di Stato e a prescindere dai comitati e dai cittadini che stanno orgogliosamente difendendo il paesaggio delle regioni Friuli Venezia Giulia.

Terna va avanti imperterrita per la sua strada e ci mette di fronte a un fatto compiuto. Non curante della sentenza del Consiglio di Stato del luglio 2015, Terna ha, infatti, ripresentato lo stesso progetto e nonostante il “no” del Mibact, il Governo è riuscito ad autorizzare la ripresa dei lavori, che sono iniziati proprio lo scorso 22 marzo.

Il Governo non può rimanere indifferente e sottrarsi all'appello lanciato da comuni, istituzioni locali, cittadini e comitati ambientalisti, affinché venga fermata immediatamente la ripresa dell'elettrodotto “Udine Ovest-Redipuglia”. Ad essere a rischio è la stessa tutela del paesaggio costituzionalmente garantita, oltre allo spreco di ulteriori risorse pubbliche, nel caso in cui i tribunali dovessero bloccare nuovamente i cantieri.

Come MoVimento 5 Stelle non ci stancheremo di portare avanti questa battaglia a fianco dei cittadini contro la ripresa dei lavori, sia a livello nazionale che locale. Per questo, chiediamo che venga immediatamente sospesa la ripresa dei lavori per la realizzazione di questo elettrodotto, in attesa del pronunciamento del TAR e, qualora servisse, del Consiglio di Stato.

Ripresentare lo stesso progetto senza alternative e senza una seria valutazione dell'impatto sul paesaggio, che non può certamente essere definito basso, come ancora oggi Terna sostiene nei suoi elaborati, è già stato sufficientemente in pasto al Consiglio di Stato, per decretare l'invalidità degli atti, in quanto la tutela del paesaggio deve essere un principio fondamentale della Repubblica. Invece, passano i mesi e ci ritroviamo con gli stessi problemi, gli stessi progetti, gli stessi documenti, gli stessi piloni che hanno portato allo stato attuale.

Il 22 marzo scorso, dopo dodici mesi dalla richiesta, si è finalmente tenuto presso il consiglio regionale del Friuli l'audizione di Terna, dell'assessore regionale competente, delle associazioni ambientaliste e dei sindaci. In questa sede i sindaci hanno ribadito la loro contrarietà all'opera e hanno sottolineato l'inopportunità della ripresa dei lavori, senza attendere il pronunciamento e la seconda richiesta al TAR del Lazio.

Sono emerse, poi, moltissime incongruenze da parte di Terna. Nel luglio del 2015, Terna sosteneva, infatti, di aver realizzato il 70 per cento dell'opera, avendo speso 70 dei 100 milioni di euro dell'investimento previsto. Oggi abbiamo scoperto che, dopo lo stop arrivato con la sentenza del Consiglio di Stato, la multinazionale avrebbe speso ben 86 milioni di euro. Come sono stati spesi questi 16 milioni di euro in più?

Per quanto riguarda, poi, le linee attualmente presenti in regione Friuli, per i vertici di Terna queste linee sarebbero vetuste e sovraccariche, quando i fatti ci dicono che la rete del Friuli Venezia Giulia finora ha retto senza grossi contraccolpi. Il direttore di Terna ha più volte insistito sul fatto che altre ipotesi, come quella interrata, richiesta dai sindaci coinvolti e dal MoVimento 5 Stelle, non erano sostenibili da un punto di vista tecnico e, a detta sua, perlomeno, ambientale. Ma queste affermazioni contrastano con il fatto che, da sette anni, proprio Terna sta lavorando al progetto dell'elettrodotto che collegherà Divaccia in Slovenia con Salgareda in Veneto. Quest'opera, voluta con legge dello Stato del 2009, costerà ai cittadini italiani 869 milioni di euro, un progetto che dimostra, una volta di più, l'assurdità dell'elettrodotto aereo Redipuglia.

Ci sarebbe da parlare, signor Presidente e signor sottosegretario, anche dell'elettrodotto Terna che collega Rizziconi alla Sicilia. In realtà, anche lì abbiamo situazioni simili, perché chiaramente i problemi che vediamo in Friuli Venezia Giulia, che è il tema dell'interpellanza, li vediamo in vari altri territori dell'Italia. Non è un caso, infatti, che ci sa io ad esporre questa interpellanza perché, purtroppo, da nord a sud siamo tutti accomunati dagli stessi problemi, ambientali e, per quanto riguarda me, anche di salute.

Ci auguriamo, sottosegretario, che il senso di responsabilità di questo Ministero e del Governo, richiamati ai propri doveri costituzionali dal Consiglio di Stato, voglia far sì che Terna ascolti le istanze dei territori e non solo i propri interessi economici e si possa, pertanto, pervenire alla valutazione di tutte le alternative possibili, prima di procedere con la realizzazione di un'opera che crea danni irreparabili al paesaggio, che ha costi ingiustificati e che nessuno vuole.

(Iniziative volte a garantire la tempestiva erogazione del cosiddetto “bonus mamma domani” di cui all'articolo 1, comma 353 della legge di bilancio 2017 - n. 2-01719)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Gribaudo e altri n. 2-01719 (Vedi l'allegato A).

L'onorevole Quartapelle Procopio ha facoltà di illustrare l'interpellanza di cui è cofirmataria.

LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Grazie mille, Presidente. Grazie al sottosegretario Bressa, che è qui a rispondere. Certamente, su un tema così sentito, di cui si è dibattuto molto in questi giorni tra le mamme e tra i papà, ci avrebbe fatto molto piacere che venisse il Ministro Costa, ma prendiamo atto del fatto che non è potuto essere qui a rispondere in Aula.

Solo pochi giorni fa, l'Istat ha pubblicato nuovamente dati molto preoccupanti sul calo delle nascite in Italia: nel 2012 sono nati 12 mila bambini in meno rispetto al 2015 e il dato del 2015 era già il più basso dall'Unità d'Italia e, sempre il dato del 2015, era il tasso di fecondità più basso d'Europa; oggi nascono in Italia meno della metà dei bambini che nascevano negli anni Sessanta. Questi dati sono estremamente preoccupanti perché segnalano un trend in continuo calo, che pone questioni serie relativamente alla sostenibilità demografica futura del nostro Paese. Non c'è bisogno di spiegare perché un Paese senza figli è un Paese senza futuro.

Dietro il calo demografico in Italia ci sono molti fattori, sia di natura culturale che strutturale e le ragioni culturali e strutturali in Italia continuano a rinforzarsi l'una con l'altra, generando un circolo vizioso che rende effettivamente difficile scegliere di fare un figlio.

Mentre sulle ragioni culturali è difficile intervenire direttamente, su quelle strutturali si può certamente lavorare. È dovere delle istituzioni farlo, soprattutto in un ambito così personale e delicato come la scelta di creare una famiglia: lo dice la nostra Costituzione, in particolare, all'articolo 29 e all'articolo 31.

A fronte di questi dati, anche in questa legislatura, abbiamo promosso varie iniziative per il sostegno alla genitorialità: ne menziono due, in particolare, che sono il congedo parentale su base oraria esteso anche alle famiglie adottive e il “bonus bebè”. Tra queste iniziative, con la legge di bilancio, all'articolo 1, comma 353, abbiamo istituito il cosiddetto “bonus mamma domani”, cioè, sostanzialmente, un premio alla nascita o all'adozione di minore dell'importo di 800 euro che andrà a tutte le mamme in gravidanza o adottive indipendentemente dal reddito. Il bonus dovrebbe essere erogato dall'INPS su domanda della futura madre o al compimento del settimo mese di gravidanza o all'atto dell'adozione. Oltre a varare la norma, abbiamo anche stanziato 600 milioni di euro per il 2017. È un investimento per accompagnare le scelte di natalità dei genitori ed è un investimento sul futuro.

Da quanto apprendiamo dalla stampa, però, nessun bonus oggi, che è il 24 di marzo, è stato effettivamente stanziato: non solo non sono stati stanziati i soldi, ma al momento non è neanche possibile presentare la domanda.

C'è stata una prima circolare INPS - la n. 39 del 27 febbraio 2017 - con cui, sostanzialmente, si riprendevano gli articoli di legge dando delle prime indicazioni per capire chi potesse presentare la domanda, rimandando, poi, ad una successiva circolare, che non è ancora stata fatta, su come presentare la domanda. In seguito, appunto, agli articoli di stampa apparsi, il 21 marzo, il Ministro Costa e la direttrice generale dell'INPS, Gabriella Di Michele, hanno dichiarato che si stanno effettivamente approntando le procedure e che sarà possibile iniziare a presentare le domande online dai primi di maggio, mentre, dalla metà di maggio, verranno erogati i primi bonus. Almeno per le prime famiglie - speriamo solo per loro -, sostanzialmente, aspettare un figlio durerà nove mesi, aspettare il bonus rischia di essere una cosa più lunga.

Abbiamo varato una misura strutturale per sostenere le scelte di genitorialità e la cosa peggiore che possa capitare a questa misura, come, più in generale, alle misure di sostegno alla natalità e alle famiglie è che queste siano misure di bandiera da annunciare per segnare la propria appartenenza a un campo politico, sulle quali, poi, le famiglie non sanno se possono effettivamente farci affidamento. Le scelte individuali e le scelte familiari, tanto più in un ambito personale, delicato, esposto all'incertezza dei nostri tempi come è quello delle scelte di fare un figlio o meno, hanno bisogno di stabilità e di orizzonti lunghi. C'è bisogno, quindi, di potersi affidare alle leggi e alla parola delle istituzioni.

Certamente, nessuno decide di fare un figlio in base al fatto che lo Stato eroghi 800 euro o meno, ma si può decidere se fare un figlio se ci si sente accompagnati e sostenuti dalle istituzioni. Crediamo che sia molto più determinante per le scelte delle famiglie poter contare sulle politiche, su politiche che vengono annunciate, piuttosto che, appunto, su giornate come il Fertility day, che sono sembrate più una passerella.

I ritardi nell'erogazione del “bonus mamma domani” sono, quindi, gravi, perché l'incertezza rischia di vanificare il senso della misura. Vorremmo, quindi, capire con questa interpellanza le ragioni del ritardo e quali urgenti iniziative il Governo voglia adottare al fine di garantire la tempestiva erogazione del premio alla nascita o all'adozione. Il rischio che vediamo in questo momento con questi ritardi è che abbiamo promesso di sostenere chi diventi mamma domani, dal nome del bonus, peccato che il bonus rischi - speriamo - di arrivare dopodomani.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Quartapelle Procopio, anche per la sintesi.

Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Gianclaudio Bressa, ha facoltà di rispondere.

GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Grazie, Presidente. Le onorevoli interpellanti chiedono di conoscere le iniziative per garantire la tempestiva erogazione del premio alla nascita o all'adozione previsto dalla legge di bilancio per il 2017 per tutti i nati o adottati a partire dal 1° gennaio 2017.

Innanzitutto, voglio premettere che una delle priorità di questo e del precedente Governo è stata quella di mettere al centro della scena politica il sostegno alla natalità con l'obiettivo di invertire una tendenza che rischia di creare i presupposti di una società con una fragile prospettiva.

Infatti, sono preoccupanti i dati relativi al processo di denatalità in corso nel nostro Paese, avvalorati anche più recentemente dall'Istat, che registrano in Italia, per il 2016, un ulteriore calo delle nascite (474 mila bambini) rispetto al record, già negativo, del 2015 (486 mila bambini).

Le iniziative messe in campo con la legge di bilancio di quest'anno mirano ad avviare un percorso organico, strutturato e pluriennale di sostegno alla natalità, con misure stabili e, soprattutto, innovative. In particolare, con la legge di bilancio per il 2017 sono state previste nuove misure per le famiglie, con un impiego di risorse significativo: 600 milioni di euro per il 2017 e 700 milioni di euro a partire dal 2018.

L'articolo 1, comma 353, ha introdotto il premio alle future mamme, corrisposto a partire del compimento del settimo mese di gravidanza o all'adozione di minore, pari ad 800 euro ed erogato direttamente dall'INPS in un'unica soluzione. Tale misura si aggiunge al “bonus bebè” previsto per le famiglie a basso reddito, per tre anni a partire dalla nascita del figlio e pari a 80 euro al mese per chi ha un ISEE inferiore ai 25 mila euro e a 160 euro al mese per chi ha un ISEE inferiore ai 7 mila euro.

A tale misura si accompagnano altri strumenti concreti per sostenere la genitorialità: il “buono nido” per contribuire al pagamento di rette relative alla frequenza di asili nido pubblici e privati, nonché per l'introduzione di forme di supporto presso la propria abitazione in favori dei bambini al di sotto dei tre anni affetti da gravi patologie croniche; il Fondo di sostegno alla natalità, per offrire garanzie alle banche per piccoli prestiti alle famiglie con uno o più figli, ripristinando il vecchio Fondo di credito per i nuovi nati che aveva dato buoni risultati.

Pur nella consapevolezza che occorre fare di più, il forte segnale positivo è il superamento di misure precarie ed instabili e l'avvio di un percorso di sostegno strutturato alle famiglie.

Con riferimento in particolare al premio alla nascita, ricordo che il beneficio, finalizzato ad aiutare i genitori ad affrontare le prime spese legate alla nascita o all'adozione di un bimbo, non concorre alla formazione del reddito complessivo ed è corrisposto a tutte le future madri a prescindere dal reddito.

Va evidenziato che il citato articolo 1, comma 353, diversamente da quanto stabilito dalla legge di stabilità per il 2015 per il “bonus bebè”, non demanda ad un successivo decreto attuativo la definizione delle norme necessarie all'attuazione del premio alla nascita. Ciò nonostante, il Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei ministri, ancor prima dell'entrata in vigore della norma medesima, ha avviato le necessarie ed opportune interlocuzioni con l'INPS - ente chiamato ad erogare il beneficio -, nonché con il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali in qualità di autorità vigilante del citato istituto, al fine di fornire un supporto alla redazione delle istruzioni operative entro tempi rapidi e con la disciplina di dettaglio di tale nuova misura. Nel corso delle interlocuzioni con l'INPS si è chiarito, tra l'altro, che il beneficio è corrisposto in relazione al numero dei bambini nati o adottati.

Con le circolari n. 39 del 27 febbraio e n. 61 del 16 marzo 2017, l'INPS ha fornito le necessarie linee guida per l'applicazione della nuova misura, specificando, sulla base delle indicazioni fornite dal Dipartimento per le politiche della famiglia e del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, i requisiti generali per l'accesso alla misura, gli eventi che comportano la maturazione del diritto al premio, le modalità di presentazione della domanda e la documentazione a corredo.

Si segnala che l'introduzione della misura in parola ha richiesto, altresì, la realizzazione di una nuova piattaforma telematica da parte dell'INPS, realizzazione che necessita, come di norma, di adeguati tempi tecnici. Va precisato a tal fine che l'INPS ha, da ultimo, fornito rassicurazioni sullo stato di realizzazione della piattaforma telematica per la presentazione delle domande, comunicando che, entro il mese di maggio, tutte le mamme in possesso dei requisiti a partire dal 1° gennaio 2017, secondo lo spirito della norma, potranno presentare domanda di beneficio senza incorrere in nessuna preclusione determinata dai necessari tempi tecnici, per la realizzazione del gestionale informativo. Infatti, come precisato anche dalla circolare n. 39 dell'INPS, i diritti maturati dal 1° gennaio 2017 sono comunque garantiti.

Sarà cura dell'Istituto divulgare nei tempi più rapidi possibili e nel modo più ampio, anche attraverso il proprio sito Internet, le istruzioni per la presentazione delle domande e le relative modalità.

PRESIDENTE. L'onorevole Gribaudo ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

CHIARA GRIBAUDO. Presidente, ringrazio il sottosegretario. Devo dire che anch'io mi aspettavo, tanto più con questa risposta, che ci fosse la presenza in Aula del Ministro Costa. Apprendo un po' di chiarimenti in più rispetto a una tematica molto importante, come veniva già evidenziato dalla collega Quartapelle Procopio nella sua illustrazione, certamente noi vigileremo sui prossimi passi dell'INPS, sperando di avere davvero quei riscontri pratici e l'annuncio effettivo delle date entro le quali si potranno presentare le domande, ma soprattutto di quelle in cui si inizierà ad erogare il beneficio. Se ciò non avvenisse, naturalmente ritorneremo in quest'Aula a richiedere l'attenzione delle istituzioni competenti. Quest'interpellanza, per quanto incentrata su un singolo tema, aveva però l'obiettivo di approfondire - lo voglio dire al sottosegretario - il complesso rapporto che lega il legislatore all'amministrazione, in particolare nei casi in cui è coinvolto l'Istituto della previdenza sociale. In un tempo in cui naturalmente la velocità dell'informazione rende desiderabile e non più comprensibile tempi di attesa di mesi per convertire una legge in azione concreta, questo genere di ritardi contribuisce a scavare il solco già profondo fra i cittadini e le istituzioni. E sono tanto più gravi i ritardi quando si tratta di politiche come queste, cioè quelle che vedono l'INPS in prima fila nel rapporto con i cittadini: bonus per le famiglie, pratiche per il pensionamento, sussidi di disoccupazione, sono tutte misure che guardano alla carne viva del Paese e ai problemi concreti di italiani ed italiane, che dovrebbero come tali ricevere la massima attenzione da parte di tutti.

In questi anni, Parlamento e Governo hanno messo certamente l'accento su molti dei temi che anche sottolineava il sottosegretario, provando a correggere, anche rispetto al tema dell'equità, alcune misure del passato (penso alla riforma Fornero): si sono allargate in maniera universale l'indennità di disoccupazione e, se guardo anche all'ultimo provvedimento sul lavoro autonomo, abbiamo esteso ai Co.co.co. un'indennità di disoccupazione; speriamo che il Senato lo approvi in fretta. Quindi, una serie di misure, compresi i voucher per l'asilo nido e l'estensione dei periodi di maternità, che vanno proprio nella direzione di affrontare quelle difficoltà che bene venivano evidenziate dai dati ISTAT che abbiamo a nostra disposizione, che ci consegnano un Paese più impoverito. Ecco quindi che, se in questo Paese una volta erano le famiglie più povere ad avere un alto numero di figli e quelle benestanti ad andare verso un basso tasso di natalità, oggi i dati ci dicono che la tendenza si è livellata: chi non ha una prospettiva, un reddito tale da poter costruire con serenità un nucleo familiare, semplicemente non lo fa, attendendo anni, a volte decenni, prima di pensare di fare un figlio. Credo che, in un quadro simile, il ritardo dell'amministrazione sia ancora meno accettabile che in tutti gli altri campi. Abbiamo lavorato e stiamo lavorando, con il prezioso contributo della Ministra Madia, a rivoluzionare quegli aspetti che ancora oggi costituiscono un freno alla pubblica amministrazione efficiente. Dobbiamo naturalmente fare di più, soprattutto sul fronte della digitalizzazione, ancor di più nella definizione di una relazione chiara fra i livelli di governo che consenta una direzione più concreta e più puntuale su temi così importanti.

Sottosegretario, naturalmente io la ringrazio per la risposta di oggi, ma ci tengo a ribadire che le circolari, come le leggi, hanno bisogno di non rimanere pezzi di carta, di produrre effetti concreti nel minor tempo possibile. Se allo sportello o al telefono i cittadini, le future madri, o le donne che in questi mesi sono appunto diventate madri non hanno potuto avere una risposta, credo che sia un problema molto importante che in quest'Aula deve essere rappresentato. Per questo abbiamo posto questa domanda nella sede che ritenevamo più opportuna, cioè quest'Aula. Diamo valore ad un lavoro complicato ed impegnativo, e dimostriamo che il nostro impegno concreto è per le tante donne e per le famiglie italiane. Per questo le dico che naturalmente mi dichiarerò soddisfatta quando vedrò finalmente arrivare questo primo bonus alla prima neomamma che l'avrà richiesto.

(Chiarimenti e iniziative in ordine all'ipotizzata realizzazione di nuovi hotspot per migranti in Sicilia e in Calabria - n. 2-01717)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente D'Uva n. 2-01717 (Vedi l'allegato A).

L'onorevole D'Uva illustra la sua interpellanza. Prego.

FRANCESCO D'UVA. Presidente, signor sottosegretario, secondo fonti governative - per l'esattezza, Gabrielli e Pantalone, auditi in Commissione d'inchiesta sull'immigrazione - si è parlato di nuovi hotspot rispetto a quelli che già esistono. Sappiamo che ne esistono ben quattro (tre in Sicilia e uno in Puglia) e se ne vogliono aggiungere altri cinque. In particolare, si parla di tre in Calabria (Crotone, Corigliano Calabro e Reggio Calabria) e due in Sicilia (Mineo e Messina). Qual è la logica dell'hotspot, per capirci? La logica dell'hotspot è quella che il Paese che per primo accoglie i migranti deve identificare questi migranti, rimandare a casa quelli che non hanno diritto all'accoglienza e accogliere quelli che invece giustamente ce l'hanno. Quelli che hanno diritto, in qualche modo, dovrebbero essere ridistribuiti tra i vari Paesi europei, perché l'idea dell'hotspot nasce proprio in sede europea. Ma andiamo a guardare i dati: al 21 marzo 2017, quindi tre giorni fa, abbiamo 4.435 ricollocati a fronte dei 40.000 previsti, quindi praticamente l'11 per cento di quelli che dovevano essere ricollocati è stato ricollocato realmente, gli altri no. Già questo fa capire come questo sistema in sé non funzioni.

Qual è il problema? Voi direte che i siciliani e i calabri non vogliono accogliere i migranti, ma cerchiamo di capirci: non è che non vogliamo accogliere i migranti perché c'è un problema di xenofobia e di razzismo, non c'entra nulla, è tutt'altra un'altra questione. Considerate semplicemente Messina: la leggenda vuole che sia stata fondata da Mata e Grifone; Mata era una messinese bianca e Grifone un soldato moro, per l'appunto, quindi possiamo benissimo non dare ascolto a queste dicerie. Il problema è un altro, cioè che il Meridione meriterebbe ben altro sviluppo; i soldi che arrivano al Meridione non dovrebbero essere spesi per l'accoglienza, ma per dare un'idea diversa di sviluppo, come il turismo. Penso appunto a Messina, che potrebbe veramente ospitare il turismo con il suo porto fantastico, invece si vuole fare un hotspot. Parlo di Messina perché sono messinese, ma il problema è presente in tutti i centri che ho già citato. A Messina vuole essere fatto l'hotspot nella caserma “Gasparro-Masotti”. Questa ex caserma si trova su una strada che collega due importanti villaggi popolosi, Visconte e Catarratti, al centro di Messina. Questa strada sorge accanto un torrente, appunto il torrente Catarratti, ed è più stretta di 5,5 metri, che è la grandezza normale per una strada locale; figuriamoci! Forse non so se il Governo è al corrente del fatto che recentemente c'è stata una brutta alluvione, nel 2009, che ha coinvolto proprio Messina, l'alluvione di Giampilieri. È un terreno ad alto rischio idrogeologico, e purtroppo abbiamo anche altri rischi: Messina è una città famosa per avere problemi sismici.

Ecco, signor Presidente e signor sottosegretario, creare un hotspot lì, accogliere migranti in una zona già altamente popolosa e in un territorio a rischio sismico ed alluvioni è veramente irresponsabile. Questo vale per Messina e in generale per tutti i centri che ho citato. Il problema, quindi, è soprattutto di protezione civile e anche di mancato sviluppo di quello che potrebbe essere le reale vocazione di quel territorio. Non è un caso, signor Presidente, che ci sono alcuni filoni di “Mafia Capitale” che arrivano proprio in Sicilia, a Mineo, questo significa che continuare a foraggiare questo sistema dell'accoglienza non serve a portare sviluppo ai territori, serve soltanto a chi, in qualche modo, ci andrà a guadagnare su queste cose. È per questo, senza farla troppo lunga, che chiedo al Governo se intenda riconsiderare le determinazioni di aprire cinque nuovi hotspot nei luoghi succitati (questa sarebbe la cosa migliore); al più, chiedo se il Governo intenda, prima di assumere tali determinazioni, rivendicare innanzi all'Unione europea la necessaria e leale collaborazione di tutti gli Stati membri affinché sia assicurata una più efficace ed equa soluzione dell'imponente ed incessante fenomeno migratorio verso le coste del territorio italiano. Una cosa è certa, questa battaglia non si fermerà semplicemente qui in Aula, perché i cittadini si faranno sentire.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Gianclaudio Bressa, ha facoltà di rispondere.

GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. La ringrazio, Presidente.

Con l'interpellanza all'ordine del giorno, l'onorevole D'Uva, unitamente ad altri deputati, nel valutare negativamente l'esperienza dei quattro hot spot attualmente funzionanti, chiede notizie in ordine alla ventilata apertura di altre 5 strutture analoghe a Messina, Mineo, Crotone, Corigliano Calabro e Reggio Calabria.

Chiede di conoscere, altresì, se il Governo, prima di assumere tali decisioni, non intenda rivendicare dinanzi all'Unione europea la collaborazione di tutti gli Stati membri nella soluzione delle problematiche connesse alla gestione del fenomeno migratorio, anche con riferimento all'istituto della relocation.

Si intende subito chiarire che per il Governo gli hot spot sono parte essenziale del sistema nazionale di gestione dei flussi, tant'è che si è ritenuto di codificarne le caratteristiche e il funzionamento nel decreto-legge n.14 del 2017 attualmente all'esame del Parlamento per la sua conversione. Si tratta di strutture destinate prioritariamente al soccorso e alla prima assistenza. In esse vengono eseguite anche le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico che consentono l'esatta identificazione dello straniero e rispondono all'ulteriore esigenza di assolvere l'obbligo di alimentare Eurodac, il database europeo per il confronto delle impronte digitali.

Sotto il profilo dei diritti dei migranti, si rappresenta che la permanenza degli stessi negli hot spot è limitata al tempo strettamente necessario alle predette operazioni. In essi, inoltre, sono presenti l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e l'Organizzazione internazionale per le migrazioni che, sulla base di apposite convenzioni con il Ministero dell'Interno, assicurano l'informazione sulla procedura di protezione internazionale, sulla procedura di relocation in altri Stati membri e sulla possibilità di ricorrere al rimpatrio volontario assistito, oltre a concorrere all'individuazione dei soggetti vulnerabili e delle vittime di tratta.

Appare significativo evidenziare che l'Agenzia europea per i diritti fondamentali a seguito di due visite effettuate tra il 6 e il 22 settembre dello scorso anno, rispettivamente presso gli hot spot di Taranto e Pozzallo, ha espresso un sostanziale apprezzamento sull'operato delle amministrazioni italiane attive nelle predette strutture, pur formulando alcune indicazioni volte a migliorarne la gestione. L'hot spot di Pozzallo è stato considerato come modello positivo da segnalare a livello europeo ai fini della diffusione delle best practices in uso.

Con riferimento al primo quesito posto dagli onorevoli interpellanti, si riferisce che presso il porto di Messina è in corso di realizzazione un'area attrezzata di sbarco in cui saranno installate strutture modulari con una capienza di circa 250-300 posti. Tenuto conto, inoltre, che i porti calabresi sono utilizzati sempre più frequentemente come luoghi di sbarco di migranti, sono stati individuati in quella regione alcune aree per l'accoglienza e lo sbarco per circa 1.600 posti complessivi disponibili entro la fine dell'anno corrente. Più precisamente, sono in corso di progettazione lavori per attrezzare le aree portuali di Corigliano Calabro per 400 posti, di Crotone per 800 posti e di Reggio Calabria per 400 posti.

Quanto al centro di Mineo, l'iniziale ipotesi di destinarlo parzialmente alla funzione di hot spot va verso il superamento, privilegiandosi l'opzione di impiegare una porzione della struttura per l'accoglienza di categorie vulnerabili di richiedenti asilo, in particolare minori.

L'interpellanza fa riferimento anche alla necessità di consolidare il sistema SPRAR, Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Si assicura che il Ministero dell'Interno è impegnato da anni nel potenziamento di questa rete della quale si è riusciti ad aumentare esponenzialmente i posti, dai 3000 del 2012 ai circa 26.000 attuali. Del resto lo SPRAR rappresenta il cardine del nuovo Piano nazionale di accoglienza Ministero dell'Interno-ANCI che, muovendo dal sistema di quote regionali fissato nell'intesa in Conferenza unificata del luglio 2014, mira a dare luogo anche all'interno delle singole regioni a una distribuzione dei migranti più equilibrata, proporzionata e sostenibile tra i diversi comuni.

Si sottolinea come questa politica di accoglienza diffusa sia la più idonea a garantire una maggiore efficacia dei percorsi di inclusione sociale e a ridurre l'impatto del fenomeno migratorio sul tessuto sociale del Paese.

In merito alla relocation dei migranti, effettivamente l'avvio della procedura si è rivelato difficoltoso principalmente a causa della scarsa collaborazione di molti Stati membri e per questo il Governo sta esercitando continue pressioni sull'Unione europea per ottenere il rispetto delle quote assegnate all'Italia.

Va sottolineato al riguardo che negli ultimi mesi la procedura ha fatto registrare incoraggianti passi in avanti, anche grazie alla sopravvenuta disponibilità della Germania ad accogliere un contingente mensile di 500 unità, e la contestuale maggiore apertura di altri Stati membri che hanno determinato un'offerta di circa mille posti. Negli ultimi tre mesi sono state ricollocate circa 2.200 persone, un numero pari a quelle ricollocate in tutto l'anno precedente.

Alla data attuale, le persone trasferite fuori dall'Italia sono complessivamente 4.438, mentre sono già state approvate da parte degli Stati membri le richieste per 992 persone e si è in attesa di approvazione di ulteriori 1.548 richieste.

Resta ovviamente sul tappeto, in tutta la sua rilevanza, la necessità di una più decisa assunzione di responsabilità dell'Unione europea sui temi delle migrazioni, perlomeno, lungo due linee direttrici: una di lungo periodo consistente in ingenti investimenti in Africa per stimolarne le potenzialità di sviluppo economico e le condizioni di benessere, l'altra, di breve e medio periodo, consistente nella condivisione della gestione del fenomeno migratorio da realizzarsi attraverso una maggiore solidarietà verso i Paesi che sono frontiere mediterranee dell'Unione.

In relazione a tali istanze, si assicura che l'Italia non trascura alcun tavolo europeo per stimolare un cambio di marcia e un maggiore dinamismo delle istituzioni comunitarie.

Nel contempo, il Governo sta portando avanti incisive iniziative su più fronti facendo da apristrada all'azione dell'Unione europea. Già nella primavera dello scorso anno il Governo pro tempore aveva diffuso in ambito europeo il Migration compact producendo un positivo dibattito e contribuendo ad avviare, seppure tra non poche difficoltà, la ridefinizione delle politiche in materia di gestione dei migranti. L'idea portante del documento italiano consiste nel legare i progetti di investimento europei in Africa al rispetto degli impegni assunti dai Paesi di quel continente in tema di più efficace controllo delle frontiere, di riduzione dei flussi di migranti irregolari e di cooperazione in materia di riammissioni.

Un'altra importante iniziativa dell'Italia è stata la sottoscrizione, lo scorso 2 febbraio, del Memorandum d'intesa con la Libia, mirante alla riduzione dei flussi migratori provenienti da quei territori e al contrasto della tratta degli esseri umani. Il risultato politico più importante è stato il pieno sostegno che l'Unione europea ha dato all'iniziativa. Questo endorsement, infatti, inserisce l'accordo bilaterale all'interno delle strategie che l'Unione intende realizzare verso il Paese nordafricano, con le conseguenti possibilità di sinergia operativa.

Infine, si segnala che nei giorni scorsi l'Italia si è fatta promotrice della costituzione di un gruppo di contatto per la rotta del Mediterraneo centrale mirato allo sviluppo di una concreta partnership tra Europa e Africa nel governo del fenomeno migratorio. Tale iniziativa è stata definita nel corso di un incontro tenutosi a Roma il 19 e 20 marzo scorsi, che ha visto la partecipazione dei Ministri dell'Interno di Italia, Austria, Francia, Germania, Libia, Malta, Slovenia, Svizzera e Tunisia, nonché del Commissario europeo per le migrazioni, gli affari interni e la cittadinanza, Dimitris Avramopoulos.

A conclusione dei lavori è stata sottoscritta una dichiarazione di intenti che esprime il senso di un impegno comune sul fenomeno migratorio, nella consapevolezza che, per governarlo, occorre intervenire su entrambe le sponde del Mediterraneo.

PRESIDENTE. L'onorevole Brescia ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta all'interpellanza D'Uva ed altri n. 2-01717, di cui è cofirmatario.

GIUSEPPE BRESCIA. Grazie, Presidente. Noi siamo molto insoddisfatti della risposta e siamo anche molto preoccupati di quello che potrà essere lo scenario per il nostro Paese da qui a pochissimo, perché l'estate si avvicina e, come si sa, durante l'estate gli sbarchi aumentano vertiginosamente.

Già durante questi giorni abbiamo potuto assistere a numeri ingenti di persone che sono arrivate sulle nostre coste, perché soltanto nelle ultime quarantotto ore nelle coste siciliane sono arrivati più di 3.500 migranti, che poi vengono ridistribuiti su tutto il territorio italiano, vanno a finire in centri che sono assolutamente inadeguati.

Voglio ricordare in premessa, prima di arrivare al punto sugli hot spot, che il nostro sistema d'accoglienza che noi stiamo ispezionando in lungo e in largo per tutta la penisola è fatto per l'80 per cento di centri emergenziali, centri d'accoglienza straordinari e questo la dice lunga sull'approccio che il nostro Paese ha sempre avuto rispetto a questo fenomeno.

Ha sempre considerato un fenomeno che in realtà è assolutamente strutturale come un fenomeno emergenziale e così sta facendo anche l'Unione europea.

Vengo proprio al punto degli hotspot. Gli hotspot nascono nel nostro territorio senza una normativa, perché proprio nella risposta del sottosegretario si faceva riferimento al decreto legislativo del 2017 per dare una base normativa agli hotspot. Essi insistono sul nostro territorio già da qualche anno e quindi mi pare ovvio, mi pare una conseguenza logica, che non ci fosse una normativa che li regolamentasse quando sono stati istituiti. Quindi, da un po' di tempo a questa parte abbiamo questi quattro centri in cui di fatto permettiamo a delle agenzie europee di controllare l'operato dell'Italia, perché gli hotspot nascono per questo: nascono per il fatto che l'Italia stava per essere sanzionata per mancanza di identificazioni.

Le nostre forze dell'ordine non identificavano i migranti per permettere loro di raggiungere altri Stati membri, perché questo era l'unico modo per farli passare dall'Italia verso altri Stati membri perché, essendo in vigore il regolamento di Dublino, che costringe il primo Stato membro ad assumersi la responsabilità dell'accoglienza di queste persone, quello era l'unico modo per farle andare altrove, in Francia, in Germania, in Svezia, laddove veramente i migranti vogliono andare.

Quando L'Europa si è accorta di questo, ci ha minacciato di sanzioni e ci ha intimato di istituire degli hotspot sul nostro territorio, promettendoci, a fronte di quest'azione, come ha detto in premessa il mio collega D'Uva, di impegnarsi in 40.000 ricollocamenti dall'Italia. Ma, come abbiamo visto, ne sono stati effettuati soltanto poco più di 4.000, mentre noi abbiamo istituito gli hotspot.

Nonostante ci abbiano preso in giro in questa maniera indegna, anziché chiudere gli hotspot e non permettere più loro di controllare il nostro operato, noi promettiamo di istituirne altri cinque e diciamo che gli hotspot sono parte essenziale del nostro tessuto di accoglienza, del nostro sistema di accoglienza.

Ciò la dice lunga su quanto sia ridicola l'azione del Governo italiano in materia di accoglienza e quanto sia ridicolo il peso che noi abbiamo in quei tavoli dove voi avete detto che ci impegniamo moltissimo per far cambiare rotta all'Europa. Vi posso assicurare che non ci state riuscendo affatto, se andiamo ad analizzare un altro dato nel rapporto tra l'Italia e l'Unione europea, vale a dire se andiamo a vedere quanti soldi spende l'Italia e quanti ce ne riconosce l'Unione europea: vogliamo fare questo esercizio?

Dai dati che vengono dai vostri documenti, Documento di economia e finanza che avete presentato al Parlamento, nel 2016 l'Italia ha speso 4 miliardi di euro per il sistema d'accoglienza, suddivisi nel seguente modo: 1 miliardo per i salvataggi in mare, 2 miliardi per il sistema d'accoglienza, quindi per i centri, e 1 altro miliardo per spese pubbliche di istruzione e nel settore sanitario.

Di questi 4 miliardi l'Unione europea ci riconosce soltanto la bellezza di 112 milioni: questo è quanto vale, quanto pesa il Governo italiano in quei tavoli dove vi state impegnando tanto. Per tale ragione dico che siamo molto, molto preoccupati per quello che potrà essere per il nostro Paese e lo siamo ancora di più quando sento che citate con vanto questi accordi che state facendo, che la dicono lunga ancora una volta su quanto sia sbagliato l'approccio che sia l'Italia sia l'Unione europea stanno avendo nei confronti di questo fenomeno.

Si è siglato l'accordo con la Turchia, nel quale l'Italia ha partecipato con centinaia di milioni ai 3 miliardi che sono stati dati alla Turchia per bloccare la rotta balcanica, e questo accordo ha avuto come risultato il fatto che si è riusciti a bloccare la rotta balcanica, ma - indovinate un po' e chi l'avrebbe mai detto tra l'altro - è aumentata del 18 per cento la rotta del Mediterraneo che, attraverso la Libia, vede arrivare i migranti proprio in Italia. Quindi noi abbiamo dato centinaia di milioni di euro alla Turchia per far aumentare i flussi che arrivano in Italia.

Questo è l'emblema della vostra azione e ora abbiamo fatto un accordo con la Libia per bloccare i migranti lì e con chi siamo andati a farlo questo accordo? Con un Governo che non ha alcuna legittimità, perché controlla una piccola parte di quel territorio - e questo lo sanno tutti - perché c'è un'enorme instabilità politica in Libia; e noi andiamo a fare accordi con il Governo libico.

Per non parlare poi di tutto ciò che attiene ai diritti umani, perché tutti sanno che, da vent'anni a questa parte, in Libia ci sono veri e propri campi di concentramento dove i migranti, che arrivano da tutta l'Africa - quindi non soltanto dalla Libia anzi quasi nessuno parte dalla Libia stessa -, sostano lì circa un anno, un anno e mezzo, in questi veri e propri campi di concentramento per potersi pagare il viaggio della speranza, per arrivare poi sulle nostre coste, essere salvati dall'Italia ed essere inseriti in questo meraviglioso sistema d'accoglienza, che fa acqua da tutte le parti.

Quindi, abbiamo detto che non c'è una normativa e non ci sono condizioni, tra l'altro, dignitose con cui vengono accolti i migranti all'interno di questi centri, perché noi con la Commissione d'inchiesta, di cui sono vicepresidente, siamo andati a fare delle ispezioni. Ci sono trattenimenti al di fuori delle previsioni normative: vengono trattenuti all'interno di questi centri minori stranieri non accompagnati che molte volte si trovano in situazioni di promiscuità con adulti e questo avviene in un Paese che dovrebbe essere civile, quale l'Italia. Ci sono procedure di identificazione illegittime, sovraffollamento, carenza nella erogazione dei servizi, insomma tutto quello che da sempre, ossia da quando sono stati istituiti i centri d'accoglienza in Italia, dalla famosa emergenza della primavera araba nel 2011, rappresenta il sistema d'accoglienza italiano.

Mineo, che è stato citato, è l'emblema assoluto di quello che è il sistema di accoglienza italiano: è proprio un caso di studio, dal quale poi tutti gli altri centri in Italia hanno preso spunto per la meravigliosa accoglienza. Mineo è il più grande centro d'accoglienza europeo. Siamo andati lì con la Commissione due volte, in conferenza stampa c'eravamo impegnati tutti quanti a dire che si doveva chiudere il giorno dopo, tutti i procuratori che abbiamo audito hanno detto che quel centro è assolutamente soltanto una fucina di illegalità di ogni tipo e quindi andrebbe chiuso domani.

Abbiamo portato una mozione in Aula e voi l'avete bocciata. Ora che cosa ci venite a dire? Che in questo centro assurdo, dove è impossibile esercitare qualsiasi tipo di controllo e quindi verificare se le cose vengono fatte in maniera adeguata, in una parte di questo centro voi istituite un centro d'accoglienza per gente che ha particolari vulnerabilità. A me viene da dire veramente che voi non avete sale in zucca per fare una cosa del genere. Infatti, se non ci fate l'hotspot, che già sarebbe stata una follia, ci fate un centro per persone vulnerabili: veramente non ho parole per giudicare la vostra azione in tema di accoglienza.

L'unica osservazione che veramente mi sento di dire è che ai tavoli europei voi dovreste andare soltanto a fare una cosa, se foste in grado di farlo, ma ovviamente non lo siete: dovreste andare a minacciare l'Europa di non partecipare con i nostri ben 12 miliardi di euro ai programmi dell'Unione europea, se non si impegnano per davvero ad assumersi responsabilità in materia di accoglienza, a ricollocare davvero i 120.000 migranti che avevano detto che avrebbero ricollocato dall'Italia e dalla Grecia, perché ci stanno lasciando soli in questo compito, che è chiaro che attiene a tutta l'Unione europea e, invece, stanno lasciando sole l'Italia e la Grecia a gestire questo fenomeno. È l'unico modo per farsi rispettare da queste persone. Sono loro che minacciano noi e, invece, dovremmo essere noi a minacciare loro (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

(Iniziative volte ad assicurare il rispetto delle disposizioni dell'Accordo nazionale agenti di assicurazione 2003 da parte delle imprese assicuratrici – n. 2-01698)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Fanucci ed altri n. 2-01698 (Vedi l'allegato A).

Chiedo all'onorevole Fanucci se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

EDOARDO FANUCCI. Grazie, Presidente, Governo, onorevoli colleghi presenti ad ascoltare, sia on line sia fisicamente, la presente interpellanza urgente.

Essa nasce da una brutta storia di un'Italia che non riesce a rispettare quelle che sono le buone intenzioni che il legislatore pone con atti forti e fermi nel corso del tempo. Mi spiego meglio; noi con la legge Bersani abbiamo introdotto un concetto semplice: la concorrenza deve essere stimolata, deve essere il punto di riferimento di un mercato troppo rigido, a volte opaco, quello delle assicurazioni, che si deve sbloccare, a vantaggio di chi? A vantaggio dei consumatori, degli utenti, del sistema finale. Far pagare di meno gli stessi servizi o, addirittura, servizi migliori a costi più bassi. Questo è un obiettivo perseguito dal legislatore, con una legge che ha ottenuto il plauso non solo del Parlamento, ma di tutta l'opinione pubblica, una legge che, scopriamo oggi, a dieci anni di distanza, è in gran parte inattuata e non trova una concreta applicazione nella realtà. Il Parlamento ha il dovere di stimolare tutti gli organi competenti, affinché quelle disposizioni trovino la loro concreta attuazione nella realtà.

Veniamo a noi; noi abbiamo un caso di provincia, un'agenzia a Montecatini Terme, un'agenzia assicurativa di una grande compagnia internazionale che opera da cinquant'anni con il monomandato, da cinquant'anni, lo ripeto. Dopo la legge Bersani, nel pieno rispetto della legge, cerca di attuare quella legge, nell'esercizio delle proprie funzioni, certo, sì, di natura privatistica, in un contesto, però, ben più ampio e, quindi, così come prescritto dalla legge, si apre al plurimandato. Questo ha delle conseguenze pesantissime nei confronti di quest'agenzia, ha delle conseguenze pesanti a tal punto che ci faccia pensare che questa azione, rivolta nei confronti di questa agenzia che rispetta la legge e si ribella a una prassi comune e diffusa, ma non certo positiva per il consumatore finale, viene colpita duramente per educare gli altri, per educare chi, una volta visto cosa accade a chi rispetta la legge, trova poi delle ripercussioni personali e aziendali tali da far chiudere, da far arrivare al fallimento, da far arrivare alla disperazione ciò che si è costruito nell'arco di cinquant'anni.

La presenza, qui, oggi, in questa sala, in quest'Aula, il tempio della democrazia, di più di 50 agenti da tutto il territorio nazionale, che sono qui in tribuna, che fanno parte del sindacato nazionale degli agenti di assicurazione, vuol dire che questo è un tema che non riguarda solo questo caso locale di Montecatini Terme, questo è un caso che ha una portata nazionale. C'è una base che vuole ribellarsi allo status quo, che vuole evitare quel meccanismo: ma si è sempre fatto così, continuano a fare così. Noi diciamo basta a questo sistema e chiediamo rispetto della normativa nazionale, chiediamo rispetto del consumatore, rispetto degli agenti di assicurazione per ottenere tariffe più basse, rispetto di un mercato in continua evoluzione e una legge che deve essere applicata nella sua totale norma.

I risultati sono che in Italia abbiamo la tariffa RC Auto che è pari a più del doppio della media europea, alla buona faccia dei risparmi. In alcune zone d'Italia, i costi sono talmente alti da impedire, sostanzialmente, la possibilità di adempiere a ciò che prescrive la legge, impedendo di assicurarsi, perché i cittadini non ce la fanno a quelle condizioni. Allora, noi parliamo tanto di poteri forti, ma qui, oggi, in Aula, cosa rappresentiamo? Rappresentiamo chi non ha voce, chi è debole di fronte alle grandi multinazionali che fanno da padroni rispetto a quelle che sono delle pratiche al limite della legalità. Allora, noi cosa vogliamo, cosa chiediamo? Che il plurimandato, così come previsto dalla legge Bersani, stimoli davvero la concorrenza e la concorrenza si realizzi davvero, in un libero mercato che deve essere l'obiettivo, non un'utopia, ma un obiettivo concretamente realizzabile. Vi è una stretta correlazione tra questi punti, tra plurimandato, concorrenza e libero mercato, che porterà alla riduzione delle tariffe, certamente di più rispetto a quanto accaduto in questi dieci anni, risparmi per il consumatore e per l'utente finale e un sistema efficiente ed efficace.

Nel caso della famiglia Pieri, così per citare alcuni elementi che sono tipici dei meccanismi di forza rivolti al più debole per educare gli altri, come detto in premessa, abbiamo avuto una serie di comportamenti scorretti molto chiari, al limite della decenza, direi. Primo punto; quando si è andati a chiedere di rispettare la legge è arrivata una serie di azioni vessatorie, coercitive, punitive nei confronti di chi non chiedeva altro che di rispettare la legge. Queste azioni ripetute più e più volte hanno determinato l'ultima conseguenza possibile, azione dell'agente di assicurazione, che è stata quella delle dimissioni. Già questo è un elemento, a mio avviso, che non merita commento, spregevole, negativo, che merita di essere evidenziato già nella sua totale negatività. Cosa c'era sotto? Dei vincoli di esclusiva di fatto, è indubbio, che non si ripetono solo in questa multinazionale nei confronti dell'ultimo agente di periferia, ma sono una prassi comune che induce a pensare che ci sia un cartello nazionale di queste pratiche e noi dovremmo stare zitti di fronte a questo comportamento, solo perché rivolgendosi ai più deboli, si ha una forza contrattuale diversa? Il gigante contro il piccolo nano? Non ci sto e come non ci sto io, non ci stanno i tanti deputati che hanno sottoscritto questa interpellanza.

Nel caso concreto, oltre alle dimissioni, si è fatto molto e molto di più. Oltre a fare arrivare quel soggetto alle dimissioni si è fatto di più. Cosa si è fatto? Non si è rispettata la legge, che forse è anche il motivo oggettivo che ci muove, qui, in quest'Aula, a sollevare questo problema. La legge prescrive che ad una certa cadenza, dopo la conclusione di quel mandato, vi sia una sorta di liquidazione. Ci sono determinate scadenze, oltre le quali non si può andare, non per un accordo o per un “accordicchio” tra privati, ma è la legge che lo prescrive, una fonte primaria del nostro ordinamento. Ebbene, questa legge non è stata rispettata e di fronte a un mancato rispetto della legge, chiedo al Governo di intervenire, perché non è una questione della liquidazione nei confronti dell'agenzia Pieri che, grazie a una famiglia solida della periferia italiana, fatta di più generazioni impegnate nell'attività aziendale, sta in piedi, ma nella normalità quest'azione avrebbe determinato la sconfitta del sistema, il fallimento del sistema, la chiusura di quell'agenzia, la perdita di posti di lavoro. In questo caso non ci si è arrivati, non ce la si è fatta, perché loro sono stati più coraggiosi, più capaci, più volenterosi rispetto al sistema avverso e si sono rivolti a un parlamentare, a una serie di parlamentari che hanno accolto la loro proposta, non solo per loro, ma per il sistema, come ho detto in premessa. Allora, per questo mancato rispetto della legge, rappresentante del Governo, devono essere presi dei provvedimenti seri, immediati, tali da non far credere che il sistema sia questo, ma il sistema è altro, è quello per cui noi siamo intervenuti in quest'Aula, e chi prima di me, pro tempore ha rappresentato le istituzioni, normando verso quella disposizione: concorrenza, libero mercato e un'apertura totale alle esigenze del consumatore e dell'utente finale. In questo caso, noi dobbiamo dire anche un altro passaggio che mi sta a cuore, quello che intorno a questa agenzia, non è che si è creato un meccanismo di solidarietà degli altri colleghi facenti capo a quella multinazionale; ci si è limitati a delle lettere formali, più di forma che di sostanza, che alla fine non hanno sortito alcun effetto, facendo sembrare che quello è un caso isolato di diatriba personale tra un soggetto e una multinazionale. Ma non è così e la dimostrazione che non è così è la presenza, la vicinanza di un sindacato nazionale importante, come quello degli agenti di assicurazione, che rappresenta quasi il 90 per cento del mercato, che ha espresso la solidarietà con un'azione forte e corale che non nasce e si esaurisce qui.

Qui trova un punto di riferimento, un punto di ascolto, una tribuna dove poter esprimere questa difficoltà, ma non si ferma e andrà avanti, per garantire che il libero mercato prevalga rispetto agli interessi, pochi, di soggetti forti e prepotenti.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Gianclaudio Bressa, ha facoltà di rispondere.

GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Grazie, Presidente. L'onorevole interpellante, nell'evidenziare la rilevanza dell'Accordo nazionale agenti di assicurazione nell'ambito dei rapporti tra compagnie ed intermediari, nonché il perpetuarsi di pratiche scorrette di alcune grandi imprese, che pur utilizzando metodi e strumenti apparentemente legittimi ostacolano, di fatto, la libertà imprenditoriale degli agenti di assicurazione attraverso patti non scritti in dispregio della normativa vigente, pure a seguito del recente intervento Antitrust del 2014, sottopone all'attenzione il caso del rapporto agenziale tra la Compagnia Zurich e la famiglia Pieri di Montecatini Terme. In particolare, sul caso anzidetto è stata rappresentata una serie di circostanze che avrebbero condotto ad un deterioramento dei rapporti tra compagnia ed agente finalizzate tra l'altro ad impedire reali rapporti di plurimandato, nonché è stato evidenziato come, a seguito di dimissioni del rapporto agenziale, la compagnia non avrebbe regolato le partite finanziarie, riconoscendo gli indennizzi dovuti, contravvenendo così in diverse circostanze alle disposizioni dell'ANA. Tale circostanza ha comportato il mancato rispetto da parte della compagnia delle regole sulla gestione del conto separato recata dal codice delle assicurazioni e dal regolamento attuativo Ivass ed un conseguente nocumento, anche economico, all'agenzia.

In via preliminare, tenuto conto anche di quanto evidenziato dalle autorità di vigilanza sentite in merito, si segnala quanto segue. La maggior parte dei temi sollevati nell'interpellanza in oggetto, sebbene afferenti alle dinamiche del settore assicurativo, sono da ricondursi prevalentemente a rapporti di natura civilistica, suscettibili eventualmente di produrre effetti sul tenore concorrenziale dei mercati, in particolare ostacolo al plurimandato, coinvolgendo più direttamente le competenze (controllo e vigilanza) dell'Antitrust in luogo di quelle attribuite per legge all'Ivass.

Ciò rappresentato, con specifico riferimento alla problematica concernente l'utilizzo del conto separato ex articolo 117 del codice delle assicurazioni private, si fa presente che l'Istituto di vigilanza ha confermato di avere più volte rappresentato alle imprese e alle associazioni di categoria, in particolare ANIA e SNA, che la ratio dell'articolo 117 del codice delle assicurazioni in tema di separatezza patrimoniale è quella di preservare le imprese e gli assicurati dall'incapacità dell'intermediario di trasferire loro, rispettivamente, i premi assicurativi incassati e le somme dovute a titolo di risarcimento e prestazioni assicurative. Sul conto separato non possono, quindi, transitare somme di danaro diverse e ulteriori rispetto a quelle espressamente indicate nella norma. Ne consegue che le somme di cui le compagnie possono chiedere agli intermediari il pagamento sul conto separato sono esclusivamente quelle relative ai titoli incassati e registrati nel periodo di competenza, eventualmente al netto delle provvigioni spettanti all'intermediario, con esclusione di altre diverse partite contabili non assicurative, quali le rivalse.

Avuto riguardo invece agli ulteriori aspetti evidenziati dall'onorevole interpellante, che presentano profili più accentuatamente di natura antitrust, si segnala che l'Agcom ha confermato la conclusione, nel maggio del 2014, di un procedimento istruttorio (caso 1702), avviato ai sensi del Trattato dell'Unione europea, nei confronti di una serie di imprese assicuratrici (Unipol Gruppo finanziario Spa e Fondiaria, SAI Spa, Allianz Spa, Reale Mutua Spa, Cattolica Spa, AXA 73 Spa, Groupama Spa), accettando gli impegni presentati dalle società ai sensi dell'articolo 14-ter della legge n. 287 del 1990 e chiudendo l'istruttoria senza accertare sanzioni.

L'anzidetto procedimento, avviato a seguito di diverse segnalazioni da parte del Sindacato nazionale agenti di assicurazione, era volto a verificare la possibile violazione dell'articolo 101 del Trattato dell'Unione europea, in relazione ad alcune specifiche clausole contenute nei contratti di agenzia, che avrebbero potuto ostacolare gli agenti nell'assumere i mandati da diverse compagnie assicurative. Nello specifico, le clausole di cui sopra riguardavano le disposizioni relative all'esclusiva nei contratti agenziali e all'informativa in caso di assunzione di altri mandati e le disposizioni relative all'operatività degli agenti nonché il sistema delle provvigioni.

Ciò evidenziato si rileva che l'Autorità, nel provvedimento di avvio, aveva ritenuto una serie di disposizioni, contenute nei contratti di agenzia, potenzialmente idonee ad ostacolare o impedire il plurimandato, limitando il confronto competitivo tra imprese, in particolare nel mercato RC auto. Tali clausole, che dovevano essere valutate alla luce del nuovo contesto normativo, il quale mirava proprio a modificare il rapporto tra imprese assicurative e reti agenziali, introducendo il divieto di esclusiva, equivalevano invece a dei veri e propri obblighi di non concorrenza, diretti o indiretti, idonei di fatto ad imporre agli agenti di non vendere prodotti assicurativi in concorrenza con quelli oggetto del contratto di agenzia.

In risposta alle criticità evidenziate, le imprese interessate avevano presentato impegni all'Autorità volti, tra l'altro, ad eliminare o, in casi specifici, attenuare le clausole che rinviavano a regimi di esclusiva, previsti dall'Accordo nazionale agenti, o condizionamenti a restare in vigore dei decreti-legge n. 223 del 2006 e n. 7 del 2007, nonché gli obblighi di comunicazione preventiva o tempestiva relativamente all'assunzione di altri mandati, al fine di favorire la gestione e la disponibilità operativa degli agenti, utenze e subentri nell'esercizio dell'attività ovvero consentire l'utilizzo di un conto corrente unico o rendere meno onerosa l'intermediazione di più mandati.

L'Autorità ha altresì segnalato che le imprese interessate dal procedimento hanno, fino ad oggi, sempre ottemperato agli impegni resi obbligatori e che non vi sono stati altri interventi dell'Autorità relativi ai medesimi temi.

Alla luce di quanto rappresentato, si ritiene opportuno evidenziare il continuo e fruttuoso intervento delle diverse autorità preposte alla vigilanza sul rispetto della normativa antitrust, che appare il punto principale dell'interpellanza, sebbene prenda spunto da una specifica fattispecie concreta di mercato, nonché l'effetto connesso al mutato quadro normativo di riferimento, alla luce dell'emanazione dei decreti-legge n. 223 del 2006 e n. 7 del 2007, che orienta l'opera del regolatore, onde confermare l'alto livello di attenzione che le autorità pubbliche garantiscono alle problematiche segnalate dall'interpellante nonché, considerando il più ampio settore assicurativo, la rilevanza attribuita alla regolamentazione di settore e anche nell'ambito delle segnalazioni che l'Autorità garante per la concorrenza e del mercato periodicamente formula, al fine di adeguare la normativa concorrenziale ai nuovi e più efficaci assetti richiesti dall'economia del Paese.

PRESIDENTE. L'onorevole Fanucci ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

EDOARDO FANUCCI. Grazie, Presidente. Ho ascoltato con grande attenzione l'intervento del sottosegretario Bressa, per capire e poter anche definirmi soddisfatto o meno della replica.

Ad oggi, rispetto alle buone intenzioni rappresentate nella replica, non sono in grado di esprimermi, in quanto dovremo valutare con attenzione la risposta rispetto alle pratiche realizzate e applicate dalle compagnie nel sistema nazionale. Una cosa è certa: emerge nella replica che una serie di circostanze, ben rappresentate e evidenziate nell'interpellanza, sono state oggetto di interventi da parte delle autorità competenti.

Questo ci porta a dire che i problemi non riguardano un solo caso aziendale della città di Montecatini Terme, ma riguardano più casi a livello nazionale da determinare un'azione forte e formale da parte delle autorità, addirittura un'interlocuzione, così come definita nell'Agcom, con alcune tra le principali compagnie che operano nel settore delle assicurazioni nel Paese Italia. I problemi ci sono, quindi. Su come vengono risolti sta anche al consumatore trarne le conseguenze. Non una parola è stata replicata su i dati esposti sui costi maggiori in Italia rispetto alla media europea, in particolare della tariffa RC-auto. Questo è un dato di fatto difficilmente opinabile. Se vogliamo intervenire, non lo si fa soltanto con azioni dirigistiche o coercitive dall'alto, ma lo si fa stimolando il mercato ad autoregolarsi nella direzione indicata dal legislatore. Basta alle corporazioni, sì alle liberalizzazioni. È inutile, semplicemente, parlarne nei convegni e seminari, ma occorre dar seguito a quanto disposto dalla normativa vigente, fino in fondo, coinvolgendo - questo sì, e colgo il lato positivo della replica del Governo - tutte le autorità coinvolte: Antitrust, Ivass e tutti i soggetti che hanno un ruolo, o che potenzialmente potrebbero avere un ruolo, per migliorare lo stato del mercato nazionale, che è un mercato, oggi, che dà più vantaggi alle imprese che assicurano, rispetto agli assicurati che sono molto colpiti da tariffe molto pesanti.

In tutto questo, cercheremo di non cedere, cercheremo di non fermarci, cercheremo di non mollare la presa rispetto alle ingiustizie che ci verranno segnalate, che emergeranno da qui ai prossimi mesi, nella speranza che questo caso possa rappresentare un caso simbolo rispetto al riscatto del libero mercato, della concorrenza e dei piccoli agenti, che, nella volontà di vedere rispettata la legge e la propria posizione, non personale, ma a vantaggio dei propri associati, dei propri consumatori, dei propri utenti, che si rivolgono a loro per ottenere le tariffe migliori, possono attraverso la legge offrire e andare in questa direzione.

Penso che qui si possa fare molto, che già in realtà anche con questo intervento qualcosa si sia fatto, ma non è un punto di arrivo, non è un punto di ripartenza, semplicemente per il fatto che non ci si ferma mai. Non ci si è fermati di fronte alle difficoltà e agli ostacoli che la normativa poneva e oggi non pone più. Oggi dobbiamo superare gli ostacoli che alcuni accordi, alcuni cartelli e alcune pratiche scorrette diffuse nel nostro stivale nazionale, in realtà, continuano a sussistere e noi dobbiamo provare a superare con ogni sforzo possibile. Andremo in questa direzione e lo faremo con massimo impegno, con massimo entusiasmo e con massima volontà.

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.

Saluto gli studenti e gli insegnanti della sezione associata Serra de' Conti dell'Istituto comprensivo di Arcevia, in provincia di Ancona, che assistono ai nostri lavori dalla tribuna.

Organizzazione dei tempi di esame di progetti di legge.

PRESIDENTE. Avverto che, nell'allegatoA al resoconto stenografico della seduta odierna sarà pubblicato lo schema recante la ripartizione dei tempi relativo ai seguenti argomenti: esame della proposta di legge C. 4144-A e abbinate, in materia di aree protette; esame della proposta di legge C. 1202-A e abbinate: Distacco dei comuni di Montecopiolo e Sassofeltrio dalla regione Marche e loro aggregazione alla regione Emilia-Romagna, nell'ambito della provincia di Rimini, ai sensi articolo 132, secondo comma, della Costituzione; discussione sulle linee generali della proposta di inchiesta parlamentare Doc. XXII, n. 12-A, recante: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sull'espulsione e sul rimpatrio della moglie e della figlia di un dissidente politico kazako.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

  Lunedì 27 marzo 2017, alle 14:

1.  Discussione sulle linee generali della proposta di legge:

S. 119-1004-1034-1931-2012 - D'INIZIATIVA DEI SENATORI: D'ALI'; DE PETRIS; CALEO; PANIZZA ed altri; SIMEONI ed altri: Modifiche alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, e ulteriori disposizioni in materia di aree protette (Approvata, in un testo unificato, dal Senato). (C. 4144-A)

e delle abbinate proposte di legge: TERZONI ed altri; MANNINO ed altri; TERZONI ed altri; BORGHI ed altri. (C. 1987-2023-2058-3480)

Relatore: BORGHI.

2.  Discussione sulle linee generali della mozione Rosato ed altri n. 1-01508 in materia di robotica ed intelligenza artificiale.

3.  Discussione sulle linee generali della proposta di legge:

ARLOTTI ed altri: Distacco dei comuni di Montecopiolo e Sassofeltrio dalla regione Marche e loro aggregazione alla regione Emilia-Romagna, nell'ambito della provincia di Rimini, ai sensi dell'articolo 132, secondo comma, della Costituzione. (C. 1202-A)

e dell'abbinata proposta di legge: GIANLUCA PINI ed altri. (C. 915)

Relatori: MATTEO BRAGANTINI E FABBRI.

4.  Discussione sulle linee generali della proposta di inchiesta parlamentare:

GIANCARLO GIORGETTI ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sull'espulsione e sul rimpatrio della moglie e della figlia di un dissidente politico kazako. (Doc. XXII, n. 12-A)

Relatori: MENORELLO (per la I Commissione) e ALLI (per la III Commissione), per la maggioranza; GIANLUCA PINI, di minoranza.

La seduta termina alle 13.