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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 7 aprile 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    alla fine degli anni novanta dal Ministro della sanità pro tempore Bindi veniva introdotto il sistema della libera professione «intramoenia» nelle aziende sanitarie pubbliche con il quale, alle aziende sanitarie pubbliche e private classificate, veniva attribuito il compito di governare direttamente le prestazioni sanitarie rese a favore dei cittadini sia in regime istituzionale gratuitamente che in regime libero professionale intramoenia, promettendo a tutti un'assistenza congrua e certa;
    la previsione era che, con il nuovo sistema della libera professione intramoenia, si sarebbe assistito all'abbattimento delle liste d'attesa per le prestazioni sanitarie. Con questa innovazione si garantiva altresì un più corretto utilizzo delle risorse umane finalizzato al miglioramento della qualità e della efficienza dei servizi sanitari;
    a distanza di circa vent'anni si deve purtroppo constatare che questi obiettivi sono stati largamente disattesi: le liste d'attesa per le prestazioni specialistiche nell'ambito delle cure primarie si sono enormemente allungate, esattamente come quelle per le prestazioni in regime di ricovero. Inoltre, sia le prestazioni ambulatoriali che quelle in regime di ricovero, hanno visto esplodere le prestazioni rese nel settore profit del Servizio sanitario nazionale sia convenzionato-accreditato che privato puro, con la conseguenza che il settore pubblico del Servizio sanitario nazionale ha subito fenomeni di fuga di professionalità che hanno determinato un impoverimento sia in termini di qualità che di efficienza;
    allo stato le prestazioni sanitarie sono, in gran parte del territorio nazionale e, per quanto consta ai firmatari del presente atto, per ammissione dello stesso Ministero della salute, al di sotto dei livelli minimi di assistenza, le risorse sono male utilizzate, la Corte dei conti valuta un 20 per cento della spesa sanitaria dissipata in sprechi o altro, il personale dipendente è in costante diminuzione ed ha un'età media che supera i 55 anni e della rete delle cure primarie ancora non si scorge traccia concreta;
    la gestione diretta della libera attività professionale dei medici è naufragata miseramente perché non sono stati resi disponibili spazi pubblici adeguati per questa attività, perché sono stati imposti balzelli sempre più gravosi, perché sono stati erti ostacoli burocratici ma, soprattutto, perché non sono state adeguatamente curate e organizzate le attività istituzionali, le quali in questi venti anni avrebbero dovuto essere sottoposte ad un profondo processo di riorganizzazione coerente con il cambiamento del comparto della sanità;
    in sostanza le aziende sanitarie pubbliche che assumevano il compito di governare direttamente anche la libera professione dei propri dipendenti, oltre a continuare a garantire le prestazioni e i servizi istituzionalmente dovuti, al fine di migliorare i servizi stessi, hanno finito per determinare un fallimento totale di entrambi gli obiettivi, ormai certificato;
    molti medici sono stati costretti ad abbandonare il rapporto esclusivo per poter svolgere liberamente la propria professione, con la conseguenza che subiscono pesanti penalizzazioni economiche che si proiettano drammaticamente anche sul futuro previdenziale. Il cittadino, nella confusione e nei gravi disservizi che si sono determinati, si vede oggettivamente costretto a ricorrere a prestazioni «intramoenia» dell'azienda in quanto la stessa azienda gli prospetta liste d'attesa improponibili, oppure si deve rivolgere al settore privato profit e, se non ha nessuna possibilità economica, si riversa disperatamente nei pronto soccorsi ospedalieri. Il sistema qui richiamato sta sostanzialmente negando ai cittadini i servizi istituzionali dovuti e, allo stesso tempo, sta limitando di fatto il diritto di libertà di cura agli stessi;
    la grave carenza di prestazioni e servizi pubblici, le liste di attesa e gli ostacoli, spesso a parere dei firmatari del presente atto demagogicamente posti alla libera professione dei medici pubblici, oltre a favorire le strutture sanitarie profit, sta incrementando notevolmente e pericolosamente il fenomeno emergente della medicina « low cost». Al danno si aggiunge la beffa, infatti si ripropone ciclicamente sui media il tentativo, ridicolo e truffaldino, da parte di esponenti politici, di correlare ancora le liste di attesa con l'attività professionale privata dei medici pubblici;
    tutto ciò è assurdo e fuorviante ci si chiede perché mai il malfunzionamento delle aziende sanitarie, che per loro carenze organizzative producono liste di attesa, dovrebbe essere collegato a quello che i medici pubblici fanno nel loro tempo libero,

impegna il Governo:

1) ad attivarsi affinché le aziende sanitarie pubbliche si concentrino a svolgere unicamente i compiti istituzionali previsti dall'articolo 32 della Costituzione nelle finalità individuate dalla legge n. 833 del 1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, assicurando l'universalità delle cure in un sistema solidale e finanziato con la fiscalità generale, garantendo ai cittadini la libertà di cura, affrancandoli dalla costrizione di dover ricorrere alla «prestazione intramoenia» per aggirare le liste d'attesa, in quanto il cittadino ha il diritto di rivolgersi privatamente ai medici di provata esperienza ma in modo libero;
2) a predisporre una riforma del sistema per vincolare rigorosamente le aziende sanitarie pubbliche ad una corretta gestione dei servizi sanitari, assolvendo ai propri compiti istituzionali e assicurando puntualmente tutti i Lea di cui il Servizio sanitario nazionale si fa garante, pena la decadenza degli amministratori incapaci e/o incompetenti;
3) a predisporre interventi normativi al fine di rendere nuovamente «libera» la libera professione dei medici pubblici che, dopo aver assolto, ineccepibilmente e correttamente il proprio lavoro istituzionale, debbono poter svolgere la libera professione con il solo vincolo di agire nel rispetto della legge riguardante tutte le professioni e delle norme deontologiche.
(1-01581) «Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    il 12 dicembre 2006 il Parlamento e il Consiglio europeo hanno approvato la direttiva 2006/123/CE, meglio nota come «direttiva Bolkestein», con lo scopo di facilitare la creazione di un libero mercato dei servizi in ambito europeo;
    l'Italia ha dato attuazione alla citata direttiva mediante il decreto legislativo n. 59 del 26 marzo 2010, che ne ha esteso l'applicazione anche al settore del commercio ambulante su aree pubbliche, secondo un'interpretazione estensiva dell'articolo 12 della direttiva, ai sensi del quale, qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri devono applicare una procedura di selezione tra i potenziali candidati;
    l'Italia è l'unico Stato membro dell'Unione europea ad aver applicato la «direttiva Bolkestein» al commercio ambulante oltre alla Spagna, la quale ha tuttavia istituito un regime transitorio a tutela delle imprese già presenti della durata di settantacinque anni;
    lo stesso Parlamento europeo, con la risoluzione n. 2010/2109 (INI), ha preso atto della forte preoccupazione espressa dai venditori ambulanti in relazione all'ipotesi che la «direttiva Bolkestein» possa essere applicata negli Stati membri estendendo il concetto di «risorsa naturale» anche al suolo pubblico, producendo limitazioni temporali alle concessioni per l'esercizio del commercio su aree pubbliche che sarebbero gravemente dannose per l'occupazione, la libertà di scelta dei consumatori e l'esistenza stessa dei tradizionali mercati rionali;
    il recepimento della «direttiva Bolkestein» nel settore dei mercati ambulanti significa inevitabilmente, fra le altre cose, l'apertura del settore a nuove imprese anche straniere e multinazionali e la possibilità che tali nuove imprese siano anche società di capitali, il divieto di rinnovo automatico delle concessioni e l'assegnazione degli spazi pubblici tramite bandi che rechino il divieto di favorire il prestatore uscente, come previsto dagli articoli 11, 16, comma 4, e 70, comma 1, del decreto legislativo n. 59 del 2010;
    in data 5 luglio 2012, due anni dopo il recepimento della direttiva in Italia, la Conferenza unificata ha raggiunto un accordo in attuazione dell'articolo 70, comma 5, del decreto legislativo n. 59 del 2010, che prevede una proroga dell'attuale situazione fino al 7 maggio 2017, seguita da un regime transitorio di licenze della durata compresa tra nove e dodici anni, durante il quale i comuni potranno assegnare gli spazi secondo criteri che tengano conto dell'anzianità di servizio nell'esercizio del mercato su aree pubbliche, per tutelare le imprese che già svolgono la propria attività in tali mercati;
    nel dicembre 2016, tuttavia, un parere emesso dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha espresso delle perplessità sulle regole per i bandi, suscettibili di «dissimulare, nella sostanza, una forma di rinnovo automatico della concessione» ha creato nuove incertezze negli operatori economici del settore;
    da ultimo, il decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244, ha disposto la proroga delle concessioni in essere e in scadenza, in varie tappe, entro luglio 2017, fino al 31 dicembre 2018, prevedendo altresì che «le amministrazioni interessate, che non vi abbiano già provveduto, devono avviare le procedure di selezione pubblica, nel rispetto della vigente normativa dello Stato e delle regioni, al fine del rilascio delle nuove concessioni entro la suddetta data. Nelle more degli adempimenti da parte dei comuni sono comunque salvaguardati i diritti degli operatori uscenti»;
    fino all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 59 del 2010, la normativa italiana in materia di commercio al dettaglio sulle aree pubbliche riconosceva specifiche forme di tutela alle piccole imprese a conduzione familiare, riservando il settore alle imprese individuali e alle società di persone, evitando in tal modo una oggettiva quanto deprecabile sperequazione – finanziaria, fiscale ed operativa – tra operatori del medesimo settore;
    le misure previste dal decreto legislativo n. 59 del 2010, malgrado il regime transitorio approvato, non tengono conto, invece, delle peculiarità di queste attività, che difficilmente potrebbero competere in un mercato così aperto;
    il decreto legislativo fa, altresì, venire meno i requisiti di stabilità necessari per programmare investimenti in strutture e personale, nonché per recuperare gli investimenti già realizzati e indispensabili per garantire un'offerta migliore;
    non bisogna dimenticare, inoltre, che questa tipologia di mercati, che conta circa 195 mila imprese e 530 mila addetti a livello nazionale, fa parte del tessuto economico delle città italiane, nonché della loro immagine turistica e tradizionale, ed anche per questo necessita di maggior tutela;
    la regione Puglia, con la mozione n. 106/2016 e la regione Piemonte, con una proposta di legge approvata dalla III Commissione del consiglio regionale in sede legislativa e successivamente trasmessa al Parlamento (Atto Camera 3700), si sono impegnate a prevedere che l'Italia escluda il commercio ambulante dall'ambito di applicazione della «direttiva Bolkestein» per tutelare le piccole imprese del settore;
    la medesima situazione di incertezza normativa che affligge gli operatori del commercio ambulante ha investito anche quelli degli stabilimenti balneari, settore di punta dell'economia turistica nazionale che occupa duecentocinquantamila addetti e trentamila imprese, e la cui liberalizzazione è stata altresì prevista dalla direttiva 2016/123/CE;
    allo stato attuale la durata delle concessioni in essere è stata prorogata fino al 31 dicembre 2020, ma la recente presentazione di un disegno di legge delega da parte del Governo, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, che prevede espressamente l'espletamento di «procedure selettive che assicurino imparzialità, trasparenza e pubblicità e che tengano conto della professionalità acquisita nell'esercizio di concessioni di beni demaniali marittimi, nonché lacuali e fluviali, per finalità turistico-ricreative», ha rimesso in allarme gli addetti al settore, soprattutto a causa della mancanza di una adeguata disciplina transitoria;
    oltre ai settori citati, l'attuazione della «direttiva Bolkestein» sta recando grave nocumento anche alla categoria delle guide turistiche, erroneamente inserita nella direttiva servizi invece che in quella relativa alle professioni, con la conseguenza che in Italia potranno operare anche le guide dell'Unione europea, o meglio, le persone qualificate come guide turistiche ai sensi della legislazione di altro Stato membro dell'Unione, purché operino in prestazione temporanea;
    il confusionario quadro normativo che emerge dal recepimento della direttiva Bolkestein si inserisce, peraltro, in un contesto di difficile congiuntura economica che caratterizza non solo il Paese, ma l'intero sistema produttivo globale, con ripercussioni negative sulle categorie più deboli, dagli agricoltori, ai tassisti, alle guide turistiche, solo per fare alcuni esempi, che si trovano quotidianamente ad affrontare la sfida dei mercati;
    un grave freno alla crescita degli Stati membri è stato rappresentato, poi, dalla politica economica e sociale portata avanti finora dalla stessa Unione europea, che non si è mai dimostrata all'avanguardia sulle politiche attive di sostegno alle eccellenze e peculiarità dei singoli Paesi membri, schiacciati dagli interessi delle realtà più potenti;
    liberalizzare e aumentare la concorrenza non vuoi dire eliminare ogni regola e lasciare le città in mano a multinazionali che eludono le tasse grazie alla compiacenza di Stati europei partner che fanno concorrenza sleale: si deve liberalizzare e regolamentare, facendo rispettare le regole e tutelando le realtà più deboli;
    negli ultimi trent'anni purtroppo, i Governi europei, e l'Italia in primis, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo non hanno saputo trovare soluzioni efficienti, legiferando sostanzialmente sotto ricatto dei poteri forti, senza alcuna libertà di scelta dei settori su cui puntare e da proteggere, a danno dei cittadini e delle specificità del nostro Paese;
    serve una nuova politica europea che parta da regole chiare, condivise e semplici, e nella quale tutti gli Stati membri svolgano il proprio ruolo fino in fondo, garantendo tutele soprattutto alle classi deboli: avere, ad esempio, accordi di protezione delle indicazioni geografiche, come la denominazione di origine protetta del parmigiano reggiano, significa poter tutelare fino in fondo il sistema, di qualità che c’è dietro la sua produzione, mentre senza regole vincono la contraffazione, l'omologazione e le grandi dimensioni di chi riesce a essere comunque sovranazionale;
    il ruolo della politica è proprio quello di dettare tali regole e non può essere ridotto a quello di un semplice spettatore ed è compito del legislatore e del Governo salvaguardare i settori strategici dell'economia nazionale, quali nella fattispecie il piccolo commercio e la piccola e media imprenditoria,

impegna il Governo:

1) a convocare appositi tavoli di confronto con gli operatori del commercio su aree pubbliche;
2) ad adottare iniziative volte a rivedere il decreto legislativo n. 59 del 2010, nel senso di escludere il commercio su aree pubbliche dal perimetro di applicazione della direttiva 2006/123/CE;
3) ad assumere le necessarie iniziative dirette, comunque, a modificare l'articolo 70 del decreto legislativo n. 59 del 2010, al fine di prevedere che l'attività di commercio al dettaglio su aree pubbliche sia riservata esclusivamente alle imprese individuali e alle società di persone;
4) ad assumere iniziative per prevedere, nell'ambito della direttiva servizi, una deroga in favore delle concessioni demaniali marittime, elementi essenziali di un settore strategico per l'economia nazionale, data la posizione geografica dell'Italia e la rilevanza turistica di buona parte delle coste della penisola e delle maggiori isole;
5) ad adottare le iniziative opportune, per quanto di competenza, volte ad allineare sotto il profilo temporale la pubblicazione dei bandi da parte dei comuni per il rinnovo delle concessioni.
(1-01582) «Rampelli, Cirielli, La Russa, Giorgia Meloni, Murgia, Nastri, Petrenga, Rizzetto, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    il prestito sociale di cui agli articoli 12, della legge n. 127 del 1971, e 13 del decreto del Presidente della Repubblica n. 601 del 1973, è un importante canale di autofinanziamento del sistema cooperativo italiano la cui equa remunerazione dovrebbe incentivare lo spirito di previdenza e di risparmio dei soci;
    tanto il CICR quanto la Banca d'Italia hanno nel tempo regolamentato sotto diversi profili l'istituto del prestito sociale nell'ambito più generale della disciplina della raccolta del risparmio ad opera dei soggetti non bancari;
    il regime giuridico vigente (articolo 1, della delibera CICR – Comitato Interministeriale Credito e Risparmio del 3 marzo 1994) stabilisce che le società cooperative (non di credito) e loro consorzi, con oltre cinquanta soci, possano raccogliere prestito sociale pari a tre volte il valore del loro patrimonio netto, costituito, ai sensi dell'articolo 2424 del codice civile, dalla somma tra il capitale sociale, le riserve e gli utili, e risultante dall'ultimo bilancio approvato, limite che può essere superato fino al quintuplo qualora le stesse aderiscano ad uno schema di garanzia di prestiti sociali alimentato dal contributo degli aderenti ovvero abbiano acquistato una garanzia rilasciata da un intermediario vigilato, come un istituto di credito o assicurativo, o una società finanziaria. Entrambe le garanzie devono comunque coprire il trenta per cento dei prestiti sociali interessati;
    le somme versate dai soci a titolo di prestito sociale sono destinate esclusivamente al conseguimento dell'oggetto sociale della cooperativa, sono rimborsabili solitamente a medio ed a breve termine e la loro massima remunerazione è, secondo quanto disposto dall'articolo 6-bis, commi 2 e 3, del decreto-legge n. 693 del 1980, pari a quella più alta dei buoni postali fruttiferi aumentata del 2,50 per cento (e cioè della misura massima dei dividendi distribuibili dalle società cooperative a mutualità prevalente, ai sensi dell'articolo 2514, comma 1, lettera a) del codice civile);
    a decorrere dal 2003, anno di entrata in vigore della riforma del diritto societario, il prestito sociale può essere utilizzato solo dalle cooperative a mutualità prevalente o da quelle a mutualità non prevalente i cui statuti prevedano però i requisiti mutualistici stabiliti dall'articolo 26 del decreto-legislativo Cps n. 1577 del 1947, e cioè: 1) divieto di distribuzione di dividendi superiori all'interesse legale ragguagliato al capitale effettivamente versato; 2) divieto di distribuzione delle riserve fra i soci durante la vita della società; 3) destinazione, in caso di scioglimento della società, del patrimonio residuo (dedotti soltanto il capitale versato ed i dividendi eventualmente maturati) ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione costituiti ai sensi degli articoli 11 e 12 della legge n. 59 del 1992;
    il prestito sociale è giuridicamente un contratto atipico con elementi del conto corrente, del mutuo e del deposito irregolare, che consiste in un deposito di denaro di fatto molto spesso «a vista» (cioè che può essere ritirato da parte del depositante in qualsiasi momento senza preavviso o con un preavviso di 24 ore), in cui i depositi ed i prelievi di denaro avvengono senza particolari procedure presso la sede legale ed anche presso le sedi operative della cooperativa (per esempio, i punti vendita di una cooperativa di consumo o le sedi operative di una cooperativa di tipo diverso). A tal proposito la Banca d'Italia ha chiarito che: «Alle cooperative, come a tutti i soggetti diversi dalle banche, è fatto divieto di effettuare raccolta “rimborsabile a vista”, però “di fatto (...) le modalità commerciali con cui tale strumento viene presentato possono ingenerare nel pubblico l'idea di una sostanziale equiparazione di questa forma di raccolta rispetto a quella effettuata dalle banche”». Di conseguenza, la mancata autorizzazione alla raccolta ed alla gestione del risparmio non sottopone le cooperative ad attività di vigilanza da parte della Banca d'Italia, né richiede maggiori obblighi di trasparenza in termini di informativa contabile;
    il prestito sociale, pur valendo per l'universo delle cooperative italiane oltre 12 miliardi di euro, non è tutelato da adeguati fondi di garanzia, non essendo le cooperative riconosciute come enti dediti alla raccolta ed alla gestione del risparmio, attività riconosciuta ad enti come banche e SGR (società di gestione del risparmio), e non potendo quindi aderire al Fondo di garanzia interbancario a tutela del deposito;
    eppure i «soci prestatori» delle cooperative, alla stregua dei clienti del sistema bancario, sono portatori di un diritto costituzionalmente garantito dall'articolo 47 della Costituzione, secondo cui la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme. Assume pertanto particolare rilevanza una dovuta attenzione alla consistenza patrimoniale di una società cooperativa che ad oggi rimane la più diffusa garanzia per i prestatori sociali;
    il prestito sociale, che per sua natura dovrebbe finanziare l'attività commerciale, viene investito dalle grandi cooperative del consumo (le cosiddette Coop) in buona misura in titoli finanziari. Infatti negli ultimi tempi anche le società cooperative, alla stregua dei gruppi bancari, sono state attratte dalle operazioni speculative del mercato finanziario. A partire dal 2006, Coop Centro Italia ha acquistato sul mercato enormi quantitativi di azioni della banca Monte dei Paschi di Siena. Incomprensibilmente gli acquisti del titolo sono aumentati considerevolmente proprio a seguito dello scoppio dello scandalo che ha riguardato la banca stessa, e delle vicende giudiziarie riguardanti gli ex vertici dell'istituto. Questa imponente e disastrosa speculazione finanziaria, del tutto aliena alla solita attività della cooperativa, gli ha comportato una perdita potenziale stimata pari a oltre 158 milioni di euro;
    a seguito del crack avvenuto nel 2015 di due importanti cooperative di consumo friulane, Coop Operaie Trieste e Coop Carnica che finite in concordato preventivo riusciranno a restituire solo una parte dei 129 milioni di euro che i 20.000 soci avevano affidati loro, la Banca d'Italia, con la delibera n. 584 del 2016, al fine di rafforzare i presidi normativi, patrimoniali e di trasparenza a tutela dei risparmiatori, ha dato un giro di vite alla sopracitata disciplina secondaria della raccolta effettuata da soggetti diversi dalle banche (le cooperative). In particolare, relativamente al limite patrimoniale ha previsto che l'ammontare dei prestiti sociali non debba superare il triplo del valore del patrimonio netto consolidato (cioè quello che materialmente rappresenta la situazione reale di un'azienda) e non, come si è visto, quello civilistico, ed inoltre che le società cooperative, al fine di offrire ai soci la garanzia di vedersi rimborsato almeno il trenta per cento del capitale versato, possano spingersi, previo accesso ad una fidejussione bancaria anche oltre il limite del quintuplo del patrimonio. Questa garanzia dovrà però, come esplicita la Banca d'Italia, «possedere caratteristiche che ne assicurino l'efficacia», in modo da contrastare «comportamenti elusivi» mirati solo ad ampliare i limiti della raccolta;
    ultima in ordine di tempo è la crisi finanziaria che nei giorni scorsi ha costretto alla liquidazione coatta quattro cooperative reggiane delle costruzioni (Coopsette, Unieco, Cmr Reggiolo e Orion di Cavriago), un gorgo che ha inghiottito, tra l'altro, 1.500 posti di lavoro ed un patrimonio collettivo del valore di 600 milioni di euro;
    l'esito delle obbligazioni subordinate delle oramai celebri quattro banche andate in default (Banca Popolare dell'Etruria, Banca Marche, Carife e Carichieti) è pronto ad innescarsi su un'altra bomba ad orologeria: quella rappresentata dal valore del prestito sociale, pari a 12 miliardi di euro, che 1,3 milioni di soci hanno depositato nei libretti di risparmio delle Coop (le nove grandi cooperative di consumo italiane), che non è tutelato da adeguati fondi di garanzia né soggetto alla regolamentazione della vigilanza, ma che essendo destinato a finanziare l'attività delle stesse è per definizione un investimento a rischio, più delle stesse obbligazioni subordinate;
    riguardo alle garanzie il prestito sociale non è paragonabile con il libretto postale, né con i conti deposito: i sottoscrittori del prestito sociale sono infatti tutelati solamente dal patrimonio della cooperativa, mentre nel caso del libretto postale, oltre al patrimonio di Poste spa i risparmiatori godono della garanzia dello Stato italiano sulla propria giacenza. Analogamente, il conto deposito bancario gode della tutela del fondo interbancario di tutela dei depositi. Invece, in termini di rischio, il prestito sociale dovrebbe essere confrontato più con le obbligazioni che con libretti e conti deposito, trattandosi di debiti chirografari, e quindi con una gerarchia di rimborso in linea con i cosiddetti bond senior;
    la ragione delle crisi economicofinanziarie di molte cooperative risiede nella maggior parte dei casi nel perseguimento da parte della cooperativa di finalità differenti da quello mutualistico o comunque nella distorsione di alcune attività tanto da trasformare la cooperativa in impresa: mala gestio e speculazione sono le due cause principali dei vari default e dunque dell'impossibilità di restituire quanto prestato ai soci da parte delle cooperative. Spesso, infatti, la maggior parte del prestito sociale non viene reimpiegato nell'attività per il perseguimento del fine mutualistico bensì utilizzato per investimenti finanziari a volte, come si è visto, speculativi. Evidente è come in tal modo la cooperativa rischi di trasformarsi in qualcosa di diverso senza però averne né gli strumenti né un sistema di garanzia adeguato e senza, soprattutto, averne reso consapevoli i soci;
    in tutti i casi riscontrati sul territorio nazionale ove si sono verificate crisi economico-finanziarie delle cooperative è inoltre emerso che i soci prestatori non fossero stati puntualmente informati in merito ai rischi sottesi al prestito. Infatti lo strumento del prestito viene parificato, nella presentazione al socio, al deposito bancario sottacendo il differente regime di garanzie, vigilanze e tutele che li rendono sensibilmente diversi;
    stante il mancato recupero delle somme prestate in caso di default di una cooperativa, lo schema di garanzia dei prestiti sociali costituito in ambito cooperativo si è dimostrato inadeguato. Dalla breve disamina svolta fin qui emerge che le criticità sostanziali del regime giuridico riguardino: 1) le finalità ed i limiti del prestito sociale; 2) la trasparenza nella gestione della società cooperativa e nella informazione fornita ai soci; 3) le garanzie che assistono il prestito sociale; 4) il sistema di vigilanza degli organi istituzionali preposti. Inoltre il settore difetta di uno schema di garanzia obbligatorio del risparmio come le banche, che lo alimentano con i propri fondi: un elemento che spinge a suggerire l'adozione di un meccanismo alternativo di protezione dei risparmiatori;
    opportuna sarebbe a questo punto la predisposizione di un privilegio in favore dei prestatori sociali attraverso la costituzione di un fondo di garanzia nazionale che li tuteli automaticamente fino ad un massimo di 100.000 euro a persona, sul modello di quanto previsto per la tutela dei depositi bancari, con versamento pro-quota obbligatorio a carico di tutte le cooperative che ricorrano a questa modalità di autofinanziamento;
    inoltre, al fine di contrastare il rischio di una caduta dell’appeal delle grandi cooperative di consumo, attualmente detentrici del novanta per cento della cifra globale del prestito sociale in Italia, sarebbe opportuno sottoporre quest'ultimo al controllo di un'autorità esterna ed indipendente che vigili sui bilanci e sulle condizioni di emissioni,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative normative per istituire un'autorità indipendente che svolga funzione di vigilanza sui bilanci delle cooperative che emettono prestiti sociali, sulle condizioni di emissione degli stessi e sulla contrattualistica, alla quale sia attribuita la funzione di ombudsman ed a cui i soci risparmiatori possano in ogni momento rivolgersi per inoltrare reclami e segnalazioni;
2) ad assumere iniziative normative per istituire un fondo di garanzia nazionale a tutela dei sottoscrittori di prestito sociale, che li tuteli automaticamente fino ad un massimo di 100.000 euro a persona, sul modello di quanto previsto per la tutela dei depositi bancari, con versamento pro-quota obbligatorio a carico di tutte le cooperative che utilizzino questa modalità di autofinanziamento.
(1-01583) «Paglia, Marcon, Fassina, Pellegrino, Andrea Maestri, Pannarale, Giancarlo Giordano, Palazzotto».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni V e IX,
   premesso che:
    il tema delle privatizzazioni è al centro dell'agenda italiana da più di vent'anni vedendo progressivamente diminuire la presenza dello Stato dalla proprietà degli asset strategici e dei mezzi di produzione del Paese;
    le diverse privatizzazioni effettuate in Italia in questo lasso di tempo mostrano come l'affidarsi al mercato non è stato risolutivo per il miglioramento dei servizi ai cittadini, dimostrandosi un falso mito;
    per far si che sia accettabile la scelta di privatizzare le imprese pubbliche, questa deve creare dei benefici collettivi e di interesse generale superiori ai costi sociali e di perdita di competitività del Paese che tale scelta produce;
    per capire tali scelte di privatizzare gli asset italiani bisogna partire dal documento programmatico presentato al Parlamento dal Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore Giuliano Amato nel 1992 che, come ricorda lo studio di Fabio Gobbo e Cesare Pozzi del 2008 «Privatizzazioni: economia di mercato e falsi miti», finalizza espressamente le privatizzazioni alla soluzione, di quattro questioni:
     a) procurarsi una fonte d'entrata ad hoc da destinare alla riduzione del debito pubblico;
     b) promuovere lo sviluppo dei mercati finanziari;
     c) aumentare la concorrenzialità dei mercati secondo quanto stabilito in sede europea;
     d) ridurre gli elevati livelli di inefficienza organizzativa che contraddistinguono le imprese pubbliche;
    in merito al primo obiettivo, appare quantomeno pleonastico ai firmatari del presente atto dover osservare come il privarsi di un mezzo produttivo per ripagare un debito, o meglio una minima parte di un debito, altro non sia che un privare le generazioni future di strumenti per poter ripagare la restante parte di debito. Strategia quantomeno bizzarra e sicuramente fallimentare;
    riguardo al secondo punto non si affronterà in questa sede questioni oramai scontate in merito al fallimento dei mercati finanziari e alla crisi finanziaria ed economica frutto di tali scelte;
    sul terzo punto appare sconcertante come un Paese che ha fondato la propria esistenza sulla «solidarietà economica e sociale» (confronta articolo 2 della Costituzione) possa appiattirsi a tal punto su un sistema «concorrenziale», abbandonando i suddetti nobili principi di solidarietà;
    la soluzione di adottare la strategia della privatizzazione per risolvere le inefficienze gestionali delle imprese pubbliche nasce da una serie di errate convinzioni e scarsa conoscenza delle materie economiche;
    il preconcetto che l'inefficienza gestionale delle imprese pubbliche sia da imputare a chi detiene la proprietà dell'impresa e, quindi, che la privatizzazione sia la soluzione per creare efficienza, come illustrato dallo studio sopracitato di Gobbo e Pozzi, «trova facile sponda nell'istintivo riferimento al “piccolo imprenditore privato”, il quale in una visione neoclassica, anch'essa mitizzata, riesce a massimizzare la produttività grazie al controllo diretto. Il problema sta nel fatto che questa idea, se anche fosse fondata per la piccola impresa, non lo è certamente per le grandi organizzazioni private che, a maggior ragione se esiste separazione tra proprietà e gestione, hanno a disposizione potenzialmente gli stessi strumenti di pianificazione e controllo delle istituzioni pubbliche». In più tali tesi si fondano sull'errata convinzione che «mercato» sia sinonimo di «concorrenza perfetta» (che tra le altre cose è una situazione puramente astratta), dimenticando che il mercato è condizionato da fenomeni come quelli di lock-in imprescindibilmente legati alle condizioni di partenza che generano situazioni diverse in casi e tempi diversi, tutto questo peggiorato da un'altissima asimmetria di informazione che disintegra totalmente qualsiasi «sovranità del consumatore»;
    non va tralasciato inoltre che gli obiettivi perseguiti dai «privati» non coincidono con quelli perseguiti dallo Stato. Le «imprese pubbliche» si muovono al fine di garantire dei servizi universali ai cittadini, a differenza dei «privati» che operano per mero scopo di lucro, anche al costo di tagliare servizi fondamentali. L'elemento che caratterizza maggiormente la distinzione tra «pubblico» e «privato» non è tanto la proprietà del capitale di rischio, ma la differente « mission» pubblica da quella privata. Solo lo Stato e quindi l'impresa pubblica può perseguire gli obiettivi di interesse della comunità su cui insiste il servizio e solo lo Stato può avere una visione a lungo periodo comprensiva dei benefici/costi di qualsivoglia natura, che ricadranno sulle generazioni successive;
    le varie privatizzazioni hanno dimostrato che gli imprenditori che si sono sostituiti allo Stato hanno solamente avuto interessi di breve periodo, puntando più sul profitto immediato, riducendo l'offerta, che sull'innovazione del servizio stesso, il tutto è alquanto ovvio in quanto si sono ritrovati a operare in regimi di oligopolio o di monopolio naturale, quindi non sono stati sottoposti ad alcuna spinta all'innovazione ed al miglioramento del servizio. Ad esempio, si può citare il ritardo tecnologico provocato dalla mancanza di investimenti nel comparto della telefonia una volta privatizzato. Ritardo tecnologico che ha generato la piaga del digital divide che insiste sul territorio nazionale e che provoca ulteriori rallentamenti in altri ambiti quali quello culturale, imprenditoriale e innovativo;
    tale strategia parassitaria si dirige in un'unica direzione, ovvero quella di innescare un processo di obsolescenza delle attività produttive, con il conseguente dover in futuro ridurre i servizi e il numero di lavoratori (nuova disoccupazione), finché la stessa non terminerà la sua agonia fallendo o chiedendo l'intervento salvifico di iniezione di capitale da parte dello Stato, che passa dall'essere l'elemento inefficiente ad essere l'elemento di salvezza, come è accaduto dopo la privatizzazione delle banche secondo la solita ed ingiusta formula che prevede «la privatizzazione dei profitti e la socializzazione delle perdite»;
    il nostro Paese, anche in ambito ferroviario, si presenta con un rilevante gap tecnologico e infrastrutturale. Il ricorso al mercato non può orientare il sistema nella direzione ottimale per la comunità italiana, sia perché è economicamente impossibile in quanto il mercato non possiede tali proprietà salvifiche, sia perché è palese che solo lo Stato ha una posizione tale da poter individuare la mission da perseguire per il benessere collettivo e le risorse adeguate per perseguire tale mission;
    inoltre va sfatato anche il mito della non sostenibilità del sistema pubblico, in quanto se è vero che lo Stato, al fine di creare un sistema produttivo che soddisfi le esigenze dei cittadini in maniera universale, tenderebbe a offrire il servizio anche lì dove genererebbe solo costi, è pur vero che in una perfetta armonia compensativa con servizi in grado di generare potenziali profitti, tali profitti in luogo di diventare «profitti dei privati», compenserebbero i suddetti costi. È solo una questione organizzativa e di buona amministrazione delle risorse dello Stato e a riprova di ciò i privati sono ben lieti di appropriarsi dei mezzi di produzione statali per farne profitto (e non per riusarli per fornire il servizio a chi non ce l'ha, come farebbe lo Stato);
    il Governo dovrebbe varare lunedì 10 aprile il Documento di economia e finanza;
    da articoli di stampa si apprende l'intenzione di procedere con le operazioni di privatizzazione, ovvero la vendita della seconda tranche di Poste Italiane Spa e la privatizzazione di Ferrovie dello Stato, così come confermato anche da documenti che risulterebbero inviati a febbraio 2017 dal Governo a Bruxelles;
    Ferrovie dello Stato SpA è la principale società operante nel trasporto ferroviario italiano, con un fatturato di 8,4 miliardi di euro, 70.000 dipendenti e un totale di 16.700 chilometri di rete ferroviaria, di cui circa 1.000 ad alta velocità;
    le azioni di Ferrovie dello Stato italiane SpA appartengono interamente allo Stato per il tramite del socio unico Ministero dell'economia e delle finanze, a cui fanno capo le società operative nei diversi settori della filiera e altre società di servizio e di supporto al funzionamento del gruppo;
    le società controllate direttamente da FS SpA sono 14, tra cui le principali sono: Trenitalia, che gestisce le attività di trasporto passeggeri e di logistica; RFI, gestore dell'infrastruttura ferroviaria; FS Logistica, per la logistica ferroviaria del sistema nazionale delle merci; Busitalia Sita Nord, opera nel trasporto persone con autobus nel Centro-Nord; Italferr, che opera sul mercato italiano e internazionale dell'ingegneria dei trasporti ferroviari; Grandi stazioni (60 per cento la partecipazione di FS), gestisce il network delle 14 principali stazioni ferroviarie italiane; Centostazioni (60 per cento la partecipazione di FS), per la valorizzazione, riqualificazione e gestione di 103 immobili ferroviari sul territorio nazionale; Netinera Deutschland (51 per cento la partecipazione di FS), una capogruppo che controlla 7 società che governano circa 40 imprese nei Lander tedeschi che operano nel trasporto ferroviario, nel trasporto di passeggeri su strada, nella logistica, nella manutenzione e riparazione dei veicoli, nelle infrastrutture ferroviarie; Fercredit, società di servizi finanziari (factoring, leasing e credito al consumo); Ferservizi, il centro servizi integrato, che gestisce per la capogruppo e per le società del gruppo FS le attività di back office (acquisti, servizi immobiliari, servizi amministrativi, servizi informatici e tecnologici); FS sistemi urbani, per la valorizzazione del patrimonio del gruppo non funzionale all'esercizio ferroviario e lo svolgimento di servizi integrati urbani. A queste si aggiungono 61 società controllate indirettamente, la maggior parte delle quali all'estero;
    il Ministro dell'economia e delle finanze risulta aver convintamente sostenuto la scelta di procedere nell'immediato alle privatizzazioni al fine di: «abbattere il debito in modo da dare un segnale ai mercati e all'Europa e per rendere più efficienti le aziende»;
    suddetta urgenza risulta una novità assoluta, rispetto soprattutto a quanto affermato in un'intervista rilasciata il 27 gennaio 2017 dal dottor Pagani, responsabile della segreteria tecnica del Ministero dell'economia e delle finanze;
    il funzionario del Ministero ha infatti affermato che mentre per Poste «la tabella di marcia prevede l'operazione entro quest'anno, ovviamente mercati permettendo» mentre la tempistica dell'operazione Ferrovie sembra invece più aperta;
    l'inizio dell'operazione di privatizzazione di FS risultava quindi per il dottor Pagani soggetta al verificarsi di condizioni favorevoli del mercato e non alle volontà europee come invece affermato dal Ministro dell'economia e delle finanze. Il responsabile della segreteria tecnica avrebbe infatti affermato che «il nostro obiettivo è di poter realizzare anche questa privatizzazione al momento opportuno. Molto dipenderà dalle operazioni in cui è impegnato il gruppo, come l'acquisizione di grande successo che è stata realizzata all'estero nelle scorse settimane (la società ferroviaria britannica NEXT). Il management è impegnato in un percorso industriale ambizioso e importante e va scelto il momento migliore. È anzitutto una scelta industriale»;
    la variazione della tempistica in questa operazione di privatizzazione non risulta dunque chiara e lascia intravedere qualche dubbio sulla reale opportunità di procedere in tempi brevi con questa privatizzazione;
    il Ministro dell'economia e delle finanze si è definito «contrario ad una moratoria» perché nei documenti che risulterebbero inviati a febbraio a Bruxelles il Tesoro si è impegnato a procedere con Ferrovie e con la seconda tranche di Poste. La scelta della tempistica risulta dunque rispondere più al diktat europeo piuttosto che alla necessità di massimizzare i profitti ed eventualmente intraprendere il percorso di privatizzazione solo al verificarsi di condizioni favorevoli;
    oltre alle criticità relative alla tempistica, sorgono dubbi sulla modalità di privatizzazione che verrà scelta. Al 27 gennaio, data dell'intervista del dottor Pagani, non era infatti chiaro quale parte di FS cedere se la holding o l'alta velocità;
    anche in questo caso, come per Poste Italiane, si rischia di scorporare la società in una good company ed in una bad company, procedendo poi alla privatizzazione esclusivamente della prima vanificando in pochissimo tempo i gettiti provenienti dalla vendita e lasciando per sempre, invece, a carico dello Stato, i costi necessari al mantenimento dei servizi universali che ricadrebbero nella cosiddetta bad company;
    la possibile privatizzazione di FS non è un argomento nuovo e già nel 2015 era stata oggetto di un acceso dibattito tra l'allora presidente Messori e l'allora amministratore delegato Fs Michele Mario Elia. Il primo, con una lettera indirizzata al Ministro Padoan, si era dichiarato intenzionato a scorporare la rete ferroviaria, togliendola dall'ambito delle operazioni di privatizzazioni e a procedere con una privatizzazione ponderata e ragionata, accorpando i tanti pezzi del puzzle del gruppo e mettendoli in vendita, ovvero interessando alle operazioni gli immobili posseduti dalle Ferrovie e che oggi fanno parte delle attività di bilancio di tante società controllate, la rete elettrica e tutte le società possedute da Fs che erogano servizi a prezzi più alti di quelli di mercato. Questa visione, caldeggiata dal Ministro Delrio, risultava però antitetica a quella espressa da Elia e sostenuta dal Ministro Padoan propensi, invece, a procedere ad una privatizzazione che interessasse anche la rete ma che non toccasse le aziende controllate dal gruppo Fs;
    sarebbe dunque irresponsabile procedere nell'immediato a questa operazione di privatizzazione posto che dalla stessa maggioranza sono emerse divergenze che non risultano tutt'oggi essere state appianate;
    anche negli ultimi giorni infatti è stata evidenziata dagli esponenti del Governo e della maggioranza parlamentare l'inopportunità di privatizzare, sostenendo che questa scelta «rischia di trasformarsi in una svendita visto che il mercato non è pronto»;
    oltre alle obiezioni mosse dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, risultano significative quelle del Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Antonello Giacomelli, il quale avrebbe affermato «che questa operazione – di privatizzazione di Poste e FS – proprio non va» e quelle dell'onorevole Fanucci che avrebbe sostenuto «un conto è immaginare di trasferire delle quote a Cassa depositi e prestiti, una transizione verso il mercato. Un altro conto è dismettere quote a valori più bassi della realtà.»;
    secondo le stime del Sole 24 Ore l'incasso per la cessione del 30 per cento di Poste, alla luce degli andamenti di borsa, dovrebbe attestarsi attorno a 2,4 miliardi e i proventi dell'operazione di privatizzazione di Ferrovie dello Stato dovrebbero attestarsi intorno a 3,5 miliardi. Le stime governative sembrano più ottimistiche in quanto dalle due operazioni, secondo il Ministro dell'economia, il valore degli incassi dovrebbe aggirarsi sugli 8,5 miliardi. Suddetta discrasia risulta inaccettabile;
    oltre agli aspetti meramente economici, una privatizzazione di Ferrovie dello Stato avrebbe delle inevitabili ricadute sul diritto alla mobilità dei cittadini, sulla sicurezza negli spostamenti e sul compito dello Stato di rispettare gli obblighi legati al servizio universale. Le logiche di mercato rischierebbero di ledere ulteriormente i servizi meno profittevoli quali il trasporto regionale e locale e rendere ancora più onerosi per lo Stato i necessari interventi di ammodernamento ed elettrificazione della rete esistente;
    da agenzie di stampa si apprende che oltre a Ferrovie dello Stato il Governo intende procedere alla vendita della seconda ed ultima tranche di Poste Italiane S.p.A.;
    dal 2015 Poste Italiane, che conta circa 143.000 dipendenti e fornisce servizi logistico-postali, di risparmio e pagamento e assicurativi a oltre 32 milioni di clienti, è una società per azioni, in cui lo Stato italiano, tramite il Ministero dell'economia e delle finanze, è l'azionista di maggioranza, detenendo circa il 60 per cento del capitale sociale (35 per cento Cassa depositi e prestiti, 29,7 per cento Ministero dell'economia);
    i rapporti tra lo Stato e il fornitore del servizio universale sono disciplinati nel dettaglio dal contratto di programma. Il contratto di programma tra il Ministero dello sviluppo economico e Poste italiane spa per il triennio 2015-2019 è stato stipulato il 15 dicembre 2015;
    sulla base del decreto legislativo n. 58 del 2011, sopra richiamato, Poste italiane spa risulta affidataria per quindici anni e quindi fino al 2026 del servizio universale postale, che comprende, ai sensi del disposto dell'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo n. 261 del 1999, e successive modificazioni: « a) la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione degli invii postali fino a 2 chilogrammi; b) la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione dei pacchi postali fino a 20 chilogrammi; c) i servizi relativi agli invii raccomandati ed agli invii assicurati»;
    il contributo pubblico versato a Poste spa per l'onere del servizio postale universale è pari a 262,4 milioni all'anno e viene erogato entro il 31 dicembre di ciascun anno di vigenza del contratto;
    a distanza di due anni dall'avvio del processo di privatizzazione, non sono ancora chiare le modalità operative attraverso le quali si provvederà alla vendita di quote della società di cui in parola. Restano, dunque, fondate le preoccupazioni, analoghe a quelle espresse per Ferrovie dello Stato, circa un possibile scorporo di Poste italiane spa con la creazione di una cosiddetta good company oggetto della privatizzazione e una cosiddetta bad company dedita al servizio universale postale a carico dello Stato;
    anche nel caso di Poste Italiane, la segreteria tecnica del Ministero ha affermato, contrariamente a quanto sembra intenzionato a fare l'attuale esecutivo, che la decisione di procedere alla vendita della seconda tranche è subordinata all'andamento del mercato al fine di conseguire il massimo risultato da questa operazione. Il dottor Pagani infatti ha affermato che «dopo aver quotato in Borsa Poste Italiane nel 2015, dismettendo il 35,5 per cento del capitale, e dopo aver ceduto un'altra quota pari al 30 per cento a Cassa depositi e prestiti lo scorso anno, resta l'obiettivo di vendere sul mercato la residua quota del 30 per cento, con le stesse modalità dell'Ipo e cioè con la cessione a investitori istituzionali e risparmiatori. La tabella di marcia prevede l'operazione entro quest'anno, ovviamente mercati permettendo»;
    il titolo di Poste continua ad essere scambiato a valori sotto il prezzo di collocamento del 2015, con una capitalizzazione inferiore a 8 miliardi di euro. Uno dei motivi che potrebbe spiegare questo trend, è la mancanza di un piano industriale a medio e lungo termine realistico nel comparto industriale, della logistica e del recapito che contenga elementi di novità e soprattutto un piano di investimenti credibile che a tendere produrrà ricchezza e quindi nuova occupazione;
    le operazioni di privatizzazione fino ad oggi messe in atto dal Governo non hanno corrisposto le aspettative di chi riteneva che tale strategia fosse la migliore per il ripianamento del debito pubblico e sono stati registrati risultati alquanto deludenti e assolutamente controproducenti in un'ottica di lungo periodo,

impegnano il Governo:

1) ad assumere iniziative di competenza per bloccare qualsiasi operazione di privatizzazione e vendita di asset strategici facenti parte del patrimonio pubblico;
2) ad intraprendere ogni utile iniziativa volta a scongiurare la privatizzazione di Ferrovie dello Stato e a non procedere alla vendita della seconda tranche di Poste Italiane Spa.
(7-01242) «Spessotto, Cariello, Nicola Bianchi, Carinelli, Dell'Orco, De Lorenzis, Liuzzi, Paolo Nicolò Romano, Brugnerotto, Caso, Castelli, D'Incà, Sorial».


   La XI Commissione,
   premesso che:
    come noto, l'articolo 36 della Costituzione sancisce il diritto del lavoratore, latamente inteso, ad una retribuzione proporzionato alla quantità e alla qualità del suo lavoro, tale da assicurare a sé e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa;
    per quanto riguarda i lavoratori dipendenti, il tema della definizione del salario minimo è demandata alla contrattazione collettiva che, però, non copre l'intera platea dei medesimi, in quanto circa il 13 per cento di essi (pari a quasi 2 milioni di lavoratori) è impiegato in imprese che non rientrano nell'applicazione della contrattazione collettiva;
    con riferimento ai lavoratori esercenti attività professionali va ricordato come l'articolo 9 del decreto-legge n. 1 del 2012, in linea con il decreto-legge n. 223 del 2006, abbia abolito le tariffe minime obbligatorie del sistema delle professioni ordinistiche, motivandolo come necessario adempimento alla normativa comunitaria, tuttavia, più o meno negli stessi anni, in Germania, i medesimi tariffari per i professionisti sono stati invece aggiornati dal governo federale, nel 2009 e nel 2013, senza che questo abbia comportato l'apertura censure in ambito UE;
    in ragione delle citate circostanze, una quota significativa di lavoratori dipendenti non soggetti alla contrattazione collettiva e la totalità dei lavoratori autonomi si trovano nell'impossibilità di potersi veder riconoscere una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro;
    l'assenza di tale vincolo e l'assenza nella contrattazione collettiva di specifiche disposizioni a favore dei lavoratori che svolgono, gratuitamente o dietro rimborsi spese, attività di alternanza/scuola lavoro, tirocini universitari, praticantati regolamentati presso professionisti organizzati in ordini e collegi, stage curriculari all'interno di percorsi universitari, anche all'interno della pubblica amministrazione, crea per le imprese e per alcuni enti pubblici un'offerta di lavoro a costo zero o a costi non confrontabili con quelli di un normale contratto di lavoro subordinato;
    tale situazione, in un quadro di disoccupazione al 12 per cento e con un 46 per cento degli italiani collocati nella fascia di reddito inferiore a 15.000 euro annui (dati ISTAT su dicembre 2016), contribuisce a rendere impossibile l'equilibrata contrattazione dei lavoratori nei confronti delle imprese per chiedere una retribuzione dignitosa;
    il quadro è particolarmente grave per le nuove professioni nate dalla rivoluzione digitale, le quali non si vedono riconosciuto il valore delle loro prestazioni, spesso sottovalutate dai datori di lavoro e finanche dagli enti pubblici, che in molteplici occasioni hanno messo a bando posizioni lavorative in questi campi chiedendo esperienza e professionalità a fronte di retribuzioni quasi simboliche;
    dei 28 Stati dell'Unione europea, solo 6 paesi, compresa l'Italia, non hanno una disciplina relativa al tema del salario minimo orario;
    al fine di salvaguardare l'autonomia delle parti sociali e il ruolo imprescindibile della contrattazione collettiva sottoscritta da organizzazioni effettivamente rappresentative, una disciplina del compenso orario minimo, applicabile ai rapporti aventi ad oggetto una prestazione di lavoro subordinato, dovrà essere rivolta a creare la base di garanzia e di riferimento esclusivamente per quei settori non regolati da contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, nonché per quegli ambiti lavorativi nei quali una contrattazione collettiva sottoscritta con organizzazioni sindacali dei lavoratori non genuinamente rappresentative determini condizioni retributive inferiori rispetto a quelle legali;
    appare indispensabile individuare criteri e procedure che garantiscano l'equa retribuzione per tutti i lavoratori, pur nel rispetto delle specificità e delle esigenze che caratterizzano il lavoro dipendente e il lavoro autonomo nei diversi settori economici di riferimento, anche a tal fine provvedendo ad una significativa revisione ed aggiornamento dei codici ATECO per includere e meglio definire le nuove professioni, rispondendo così alla previsione costituzionale che prevede una retribuzione basata non solo sulla quantità, ma anche sulla qualità del lavoro;
    allo stesso modo occorre proseguire sulla strada, fino ad oggi tracciata con la riforma della NASPI e l'estensione della DIS-COLL, nonché con la delega presente nel disegno di legge, Lavoro autonomo e agile approvato dalla Camera il giorno 9 marzo 2017, per la definizione di un sistema di ammortizzatori sociali sempre più inclusivi ed omogenei che contempli sia un sostegno economico per quanti entrano in stato di disoccupazione o, se autonomi, vedono scendere drasticamente il loro reddito indipendentemente dalla propria volontà, sia da una componente formativa utile a riposizionarsi nel mercato del lavoro,

impegna il Governo

  ad assumere iniziative volte:
   a) alla definizione, attraverso la convocazione ed il contributo delle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro più rappresentative sul piano nazionale, di un compenso minimo orario o per prestazione, annualmente aggiornato in base all'inflazione, applicabile esclusivamente per quei settori non regolati da contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, nonché per quegli ambiti lavorativi nei quali una contrattazione collettiva sottoscritta con organizzazioni sindacali dei lavoratori non genuinamente rappresentative determini condizioni retributive inferiori rispetto a quelle legali;
   b) a rivedere la struttura dei codici ATECO in funzione di quanto sopra, attraverso la convocazione di un tavolo con le parti sociali presso ISTAT;
   c) a proseguire nell'azione di definizione di .un sistema di ammortizzatori sociali sempre più inclusivi per tutte le tipologie di lavoratori, nell'ottica della costruzione di un unico ammortizzatore sociale europeo.
(7-01241) «Gribaudo, Damiano, Gnecchi, Albanella, Arlotti, Baruffi, Boccuzzi, Casellato, Di Salvo, Cinzia Maria Fontana, Giacobbe, Incerti, Lavagno, Patrizia Maestri, Miccoli, Paris, Rostellato, Rotta, Simoni, Tinagli».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze:


   La sottoscritta chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   appare ormai consolidato il dato oggettivo che vede in continua crescita il numero di lavoratori «stabilmente precari», coloro cioè che da molto tempo sommano in un unico anno d'imposta due, tre o più contratti di lavoro (contratti a termine, in apprendistato, di collaborazione coordinata e continuativa, di lavoro somministrato, a chiamata o intermittenti, stagionali, voucher e così via);
   ogni anno questi lavoratori ricevono da ciascun datore di lavoro un «modello CU» – Certificazione unica (ex modello CUD) al quale debbono eventualmente cumulare anche il modello CU dell'Inps, nel caso in cui abbiano altresì percepito l'indennità di disoccupazione (nuova ASPI-NASPI; assegno di disoccupazione-ASDI; indennità per i collaboratori a progetto-DIS-COLL) percepita tra un contratto e un altro;
   a causa del cumulo dei redditi percepiti in un unico anno di imposta e per effetto del calcolo basato sulle aliquote per scaglioni di reddito Irpef come imposta progressiva, le conseguenze fiscali della presentazione della «certificazione unica multipla» finiscono per avere su questi sventurati contribuenti conseguenze economiche pesantissime («CU a debito») in termini di: conguaglio in sede di dichiarazione dei redditi; minori detrazioni fiscali di cui all'articolo 13, commi 1, 2, 3 e 4 del TUIR di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 e di imposte addizionali regionale e comunale;
   per mettere in luce il generale incremento del precariato appare opportuno ricordare il report INPS sui nuovi rapporti di lavoro del settore privato (ad esclusione dei lavoratori domestici e degli operai agricoli) attivati nell'intervallo di tempo tra gennaio e ottobre degli anni 2014, 2015 e 2016;
   a fronte dell'andamento altalenante delle attivazioni/variazioni di assunzioni a tempo indeterminato registrato in Italia (1.105.685 nel 2014; 1.534.605 nel 2015; 1.042.635 nel 2016) in buona parte riconducibile ai benefici effetti dell'integrale abbattimento per tre anni dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro previsti dalla legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di Stabilità 2015) e proseguiti per effetto della decontribuzione biennale stante la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di Stabilità 2016), nello stesso periodo le assunzioni a termine attivate in Italia risultavano invece in decisa crescita, passando da 2.885.640 nel 2014; a 2.960.967 nel 2015 e a 3.104.901 nel 2016 (dati dell'Osservatorio sul Precariato dell'INPS, gennaio-ottobre 2016);
   il Report INPS rileva in sintesi che il generale rallentamento delle assunzioni registrate nei primi dieci mesi del 2016 (-492.000 pari al 32 per cento in meno rispetto ai primi dieci mesi del 2015) ha riguardato proprio i contratti a tempo indeterminato, vale a dire l'unica tipologia di lavoro che offre una vera stabilità e continuità professionale ai fini della pianificazione di qualsiasi progetto di vita. Analoghe considerazioni possono essere sviluppate per la contrazione del flusso di trasformazioni da tempo determinato a indeterminato (-34,1 per cento). Al contrario, nello stesso range temporale, i contratti a tempo determinato hanno registrato 3.106.000 assunzioni, in aumento sia sul 2015 (+4,9 ) che sul 2014 (+7,6 per cento);
   la circostanza che la legge 11 dicembre 2016, n. 232 (legge di bilancio per il 2017) abbia decretato la fine delle cosiddette «agevolazioni generalizzate» a sostegno dei contratti a tempo indeterminato (sul quale il Governo Renzi aveva investito per sostenere il Jobs Act) costituisce una aggravante per le future prospettive dei lavoratori precari –:
   se e quali iniziative intendano assumere, in sede di adozione dei prossimi provvedimenti fiscali ed in ragione del mutato contesto occupazionale, per correggere le specifiche disposizioni del TUIR in materia di «certificazione unica multipla», affinché il prelievo fiscale complessivo a carico dei lavoratori precari non rischi di penalizzare ulteriormente la gravissima condizione di fragilità economica e sociale di questi ultimi, per via di onerosi e talvolta insostenibili conguagli negativi in sede di dichiarazione dei redditi.
(2-01752) «Elvira Savino».


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha recentemente pubblicato lo stato della procedura del progetto di impianto solare termodinamico della potenza lorda di 55 MWe, denominato «Gonnosfanadiga» ed opere connesse informando che del «Procedimento in corso presso la Presidenza del Consiglio dei ministri»;
   tale formula nasce dall'approvazione intervenuta in sede di Commissione di valutazione di impatto ambientale, ma con il parere contrario del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   la conferma dell'avvenuta approvazione da parte della commissione nazionale di Via è ufficiale;
   il progetto che per l'interpellante devasta le terre agricole del campidano, da Gonnosfanadiga a Guspini, è stato approvato dalla Commissione nazionale di valutazione d'impatto ambientale;
   l'impianto solare termodinamico denominato «Gonnosfanadiga» della potenza lorda di 55 MW proposto dalla Gonnosfanadiga Limited Ltd è, dunque, giunto all'approvazione dell'organo tecnico, con il silenzio assordante della regione e con il sostegno delle lobby legate, per quanto consta all'interpellante, all'ex Presidente del Consiglio Renzi e a influenti esponenti del partito democratico;
   la società proponente è analoga di fatto con quella di Decimoputzu, dove l'approvazione era intervenuta qualche mese fa, con le stesse procedure che delegavano l'atto finale alla Presidenza del Consiglio dei ministri;
   il parere favorevole del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della Commissione nazionale di Via passa ora nelle mani del Presidente del Consiglio dei ministri per via del parere contrario del solo Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   il piano che l'interpellante valuta spregiudicato della Gonnosfanadiga Ltd, società con sede a Londra, per devastare il territorio agricolo del medio campidano a colpi di impianti solari destinati a cancellare centinaia di ettari agricoli passa direttamente alla Presidenza del Consiglio dei ministri;
   la Presidenza del Consiglio dei ministri ha sostanzialmente avocato a se la pratica per concludere le procedure considerato il parere contrario del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   quello della Commissione nazionale di Via è un vero e proprio « blitz» contro comuni, associazioni e soprattutto contro i proprietari di quelle aree, allevatori e agricoltori da generazioni, che non solo non hanno mai venduto quei terreni, ma sono totalmente contrari a farlo;
   sono diversi secondo l'interpellante gli aspetti inquietanti della decisione di avocare a palazzo Chigi la procedura;
   si tratta di un progetto devastante sul piano ambientale e paesaggistico approvato su terreni di cui la società proponente non risulta all'interpellante essere proprietaria;
   sarebbe il primo caso in Italia di esproprio per una fantomatica pubblica utilità di aree agricole private tolte ad allevatori e contadini per metterle nelle mani di chi, ad avviso dell'interpellante, intende solo speculare sugli incentivi previsti per l'energia rinnovabile;
   è di estrema gravità che una società privata, straniera con solide basi italiane, possa presentare un progetto su aree non proprie;
   ciò appare semplicemente in totale contrasto con tutti i principi del diritto, in quanto sostanzialmente si negherebbe la proprietà privata a favore degli interessi di altri privati, per giunta con intenti speculatori, come già detto;
   quello che appare all'interpellante lo scellerato piano presentato dalla società Gonnosfanadiga Ltd, è un chiaro ed evidente tentativo di realizzare una centrale solare termodinamica tra i comuni di Gonnosfanadiga e Guspini, funzionale solo ed esclusivamente all'ottenimento di ingenti incentivi statali;
   gli attuali proprietari di tali aree, come ampiamente documentato e dichiarato, hanno manifestato la piena e totale contrarietà alla cessione dei propri beni, perché rappresentano di fatto la loro ragione di vita;
   l'interesse pubblico di tale intervento è destituito di ogni fondamento proprio perché tutti i soggetti pubblici hanno dichiarato la totale contrarietà all'intervento e, quindi, non si vede come possa essere accampata tale surreale ipotesi;
   esiste la competenza esclusiva della regione autonoma della Sardegna sul paesaggio, la «panoramica», il governo e la pianificazione del territorio –:
   se non ritenga di dover adottare le iniziative di competenze volte a bloccare definitivamente la procedura in essere proprio in virtù della totale carenza dei presupposti richiamati e dell'assenza di condivisione su tale progetto espressa in modo chiaro e netto da tutti i consigli comunali interessati.
(2-01754) «Pili».


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della difesa, per sapere – premesso che:
   il sottosegretario della difesa Domenico Rossi è stato oggetto di un nuovo articolato e puntuale servizio della trasmissione le Jene dove l'esponente del Governo viene ripreso mentre esce dal Ministero della difesa a bordo di un auto di Stato e poi viene accompagnato a ridosso dello stadio Olimpico per assistere alla partita Roma – Lazio;
   è stato, dunque, nuovamente colto in flagranza di uso di auto di Stato per usi decisamente impropri;
   ancora una volta, la nota trasmissione televisiva manda in onda una scena secondo l'interpellante indegna e patetica;
   questa volta l'episodio denuncia è peggiore degli stessi già gravi precedenti: auto blu per andare al derby Roma Lazio. Un cancello, quello del Ministero della difesa, la solita auto di Stato, un percorso di chilometri, in corsie riservate e non solo, un parcheggio a ridosso dello Stadio, e la solita pantomima di un amico che lo accompagna per l'ultimo miglio;
   il servizio-inchiesta di Filippo Roma racconta una scena rocambolesca, con prove impeccabili e schiaccianti nei confronti del generale, Sottosegretario di Stato alla difesa;
   lo stesso Sottosegretario di Stato si avventura nel tentativo maldestro di negare di essere arrivato allo stadio con tanto di auto di Stato;
   il suddetto sottosegretario non è nuovo a tali performance; nei mesi scorsi era stato ripetutamente ripreso mentre compiva delle acrobatiche peripezie per raggiungere un auto di servizio a pochi metri dalla propria abitazione;
   il regista immortalava, anche avvalendosi di tecniche di ripresa particolarmente suggestive, l'esponente del Governo, generale dell'esercito, che usciva di casa, percorreva 50 metri, scavalcava la fermata del filobus, avanzava altri 50 metri e poi saliva sull'auto blu (grigia) che lo aspettava nascosta dentro un distributore di benzina;
   il suddetto Sottosegretario saliva in macchina apparentemente accertandosi che nessuno lo vedesse; attraversava Roma di qua e di là con auto e autista, sino al Ministero; questo si ripeteva per giorni secondo le riprese della nota trasmissione televisiva;
   dal servizio delle Jene emerge sempre lo stesso rituale: cento metri a piedi, distributore e poi auto blu;
   quando le Jene si decisero ad intervenire, lo stesso Sottosegretario commentava positivamente la decisione del Presidente del Consiglio dei ministri che esortava i sottosegretari a non usare auto blu; quindi, dinanzi al giornalista che gli mostrava a qualche metro l'auto di servizio a cento metri da casa che lo attendeva nascosta nel distributore solito; il Sottosegretario tentava quella che appariva all'interpellante una ridicola e improbabile giustificazione;
   la scena, ad avviso dell'interpellante, oltre che patetica, risulta grave sul piano dell'onorabilità del ruolo ricoperto sia come esponente di Governo, sia come generale dell'esercito;
   aver cercato di nascondere l'evidenza, aver utilizzato quelli che l'interpellante giudica maldestri quanto indecorosi stratagemmi per occultare o nascondere l'uso l'auto di servizio impongono provvedimenti esemplari –:
   se il Governo non ritenga opportuno, in seguito a questo nuovo grave episodio, promuovere la naturale conseguenza di questi fatti che in qualsiasi altro Paese avrebbero portato alle spontanee dimissioni dell'esponente del Governo in questione;
   se non ritenga di fornire elementi circa il tipo di uso fatto dell'autovettura di Stato, per quanto tempo e se lo stesso sia stato autorizzato e da chi.
(2-01755) «Pili».

Interrogazione a risposta orale:


   GIANLUCA PINI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, PAGANO, PICCHI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto pubblicato su Il Fatto quotidiano, il Ministero dell'economia e delle finanze ha emanato una nuova direttiva sui requisiti dei vertici delle partecipate appena due giorni prima dei rinnovi dei vertici delle grandi partecipate pubbliche;
   una modifica in extremis per evitare imbarazzi e correre ai ripari dopo le polemiche intorno alla nomina di Alessandro Profumo alla guida di Leonardo-Finmeccanica, rinviato a giudizio poche settimane prima con l'accusa di usura bancaria, ed alla conferma all'Eni di Claudio Descalzi, sul quale pende la richiesta di rinvio a giudizio per corruzione internazionale in Nigeria;
   la mancanza di trasparenza in tutta la vicenda scaturisce allorquando, mercoledì 5 aprile 2017, durante un'audizione del Ministro interrogato presso tre Commissioni di Camera e Senato in merito ai criteri utilizzati per la formazione delle liste dei candidati per il rinnovo degli organi sociali in rilevanti società a partecipazione pubblica, alla domanda se il Ministero dell'economia e delle finanze stesse applicando «a intermittenza» la direttiva Saccomanni del 2013, in base alla quale sono cause di ineleggibilità e decadenza sia la condanna di primo grado che il rinvio a giudizio per determinati reati, la risposta è stata che «non è intermittente, solo che la direttiva Saccomanni ad un certo punto è stata superata da un'altra»;
   il problema è che le due pagine pubblicate sul sito del Ministero riportano la data 16 marzo 2017 scritta a mano, ma non è rinvenibile la data di creazione del file, dato che nel pdf questa informazione è stata cancellata ed è disponibile soltanto l'indicazione dell'ultima modifica, recante invece la data del 20 marzo 2017, cioè due giorni dopo la pubblicazione delle liste;
   in altri termini la nuova direttiva, della quale peraltro nessun accenno era stato fatto dal Ministro interrogato nella precedente audizione del 22 marzo 2017, riprende con parole quasi identiche il punto B della «direttiva Saccomanni», relativo alle procedure di selezione (pubblicazione entro gennaio delle posizioni in scadenza, supporto di «una o più società specializzate» nella ricerca e selezione di top manager, «istruttoria qualitativa e attitudinale» sui potenziali candidati), ma cancella il punto A, relativo proprio ai «requisiti per l'eleggibilità», che prevedeva, appunto, oltre alla «comprovata professionalità ed esperienza», all'assenza di conflitti di interesse e all'esperienza pregressa in incarichi di responsabilità, anche dei requisiti rafforzati di onorabilità;
   con la direttiva del 2013, si ricorda, il dipartimento del tesoro chiedeva alle partecipate, da Eni a Poste, di inserire nei propri statuti la cosiddetta «clausola etica», in base alla quale era motivo di ineleggibilità o decadenza per giusta causa, senza diritto al risarcimento danni, dalle funzioni di amministratore, l'emissione di una sentenza di condanna o anche il semplice rinvio a giudizio per i delitti previsti dalle norme che disciplinano l'attività bancaria, finanziaria, mobiliare, assicurativa e dalle norme su mercati e valori mobiliari, dalle disposizioni penali in materia di società e consorzi –:
   quali siano i reali motivi alla base della modifica della «direttiva Saccomanni» ed in contrasto con la prassi consolidata sulla onorabilità dei candidati;
   se, prima dell'adozione della nuova direttiva, sia stata preventivamente informata l'Anac e sia stato richiesto un parere in merito alla modifica apportata;
   se il Governo non ritenga doveroso far chiarezza su quella che agli interroganti appare un'opaca vicenda delle date così come da riscontro giornalistico;
   quali siano state le direttive impartite alle società di head hunting in merito all'onorabilità dei candidati. (3-02940)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GIORGIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali, al Ministro per i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   la legge regionale del Veneto 21 febbraio 2017, n. 6, ha modificato la legge n. 32 del 1990 «Disciplina degli interventi regionali per i servizi educativi alla prima infanzia: asili nido e servizi innovativi» introducendo un nuovo criterio di precedenza nell'accesso ai nidi a favore dei «figli di genitori residenti in Veneto anche in modo non continuativo da almeno quindici anni o che prestino attività lavorativa in Veneto ininterrottamente da almeno quindici anni, compresi eventuali periodi intermedi di cassa integrazione, o di mobilità o di disoccupazione.»;
   l'introduzione in una legge regionale del citato criterio di precedenza nell'accesso ai nidi rischia di introdurre una discriminazione «indiretta» nei confronti di un'ampia categoria di minori, italiani e stranieri, specie se si confrontano i dati attuali sulla popolazione del Veneto con quelli sulla effettiva disponibilità di posti in asili nido nella regione;
   sembra dunque palesarsi il rischio che alcuni minori, italiani e stranieri, che pur stabilmente vivono (e magari da un certo tempo risiedono) in Veneto, siano esclusi dall'accesso, a un servizio essenziale sulla base di un criterio irragionevole e sproporzionato (Cfr. Corte costituzionale n. 40 del 2011; n. 2 del 2013; n. 4 del 2013; n. 113 del 2013; n. 172 del 2013) –:
   se, alla luce dei fatti riportati in premessa, il Governo intenda proporre ricorso di legittimità costituzionale ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione e quali altre iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere. (5-11087)


   SPESSOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si apprende la notizia, pubblicata anche su Il Fatto Quotidiano a seguito di diverse segnalazioni, che l'accesso al sito dell'agenzia di stampa Avionews sia stato bloccato dalla rete dell'aeroporto di Roma Fiumicino, in base alla politica di sicurezza dell'organizzazione, in quanto ritenuto appartenente alla categoria «pericolo – armi»;
   a quanto riporta il Fatto quotidiano.it la decisione di bloccare il sito di Avionews, che si occupa in particolare di temi aeronautici, aeroportuali e della difesa, sarebbe stata assunta dall'Azienda Israeliana Check Point software technologies produttrice di rete e software.;
   la Società Aeroporti di Roma, sostiene che il blocco del sito Avionews sia stato deciso in automatico dalla società Check Point ma alcune delle fonti che hanno segnalato il malfunzionamento nell'accesso al sito mettono in relazione il blocco di Avionews con la circostanza che il giorno prima l'agenzia di stampa aveva ospitato un articolo critico di analisi del piano Alitalia scritto da Gaetano Intrieri, docente all'università Tor Vergata di sistemi complessi;
   nonostante l'accesso al sito sia stato ripristinato dalla società aeroportuale, i responsabili di Avionews hanno annunciato azioni legali a difesa della loro attività giornalistica –:
   se siano al corrente della vicenda riportata in premessa e se intendano chiarire quali siano i criteri che vengono utilizzati per decidere l'inserimento di una testata giornalistica, regolarmente registrata presso L'AGCOM, all'interno della black list di un aeroporto;
   se intendano altresì chiarire per quanto tempo l'accesso alla testata Avionews sia stato interdetto alla consultazione degli utenti presso l'aeroporto di Roma Fiumicino e se non ritenga che tale episodio sia lesivo della libertà di stampa e di informazione, costituzionalmente garantiti. (5-11088)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nella regione Friuli Venezia Giulia, si apprende dalla stampa che il volume totale del gioco d'azzardo per l'anno 2015 corrisponde a 1 miliardo e 300 milioni;
   il gioco d'azzardo è una patologia che colpisce tutte le fasce d'età, colpendo in particolare le categorie più sensibili come anziani e adolescenti;
   tale patologia può sfociare in una vera e propria dipendenza riconosciuta ormai come disturbo compulsivo complesso, generando di conseguenza seri problemi sociali e finanziari;
   negli ultimi anni ne risultano sempre più coinvolti i bambini;
   strettamente collegato al gioco d'azzardo è il cyberbullismo in quanto entrambi prevedono la dipendenza o comunque l'uso distorto di internet;
   il fenomeno è da considerarsi una minaccia sanitaria oltre che una vera e propria piaga sociale, con un giro d'affari da 95 miliardi all'anno, il 4,4 per cento del Pil nazionale;
   il trattamento del gioco d'azzardo patologico è svolto nei servizi territoriali e dunque rappresenta un vero e proprio costo sociale considerato che il dato degli accessi è in crescita rispetto agli anni precedenti;
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere per porre in atto le restrizioni necessarie a scoraggiare il fenomeno, come peraltro più volte richiesto dalle regioni. (4-16215)


   BRUGNEROTTO e D'INCÀ. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali. — Per sapere – premesso che:
   il 14 febbraio 2017 il Consiglio Regionale Veneto ha approvato la proposta di legge cosiddetta «Veneto First», che assegna la priorità negli asili nido comunali ai bambini figli di residenti in Veneto da almeno 15 anni;
   tale legge va a modificare la legge regionale sulla disciplina per i servizi educativi alla prima infanzia, la legge regionale n. 32 del 1990, togliendo la possibilità ai sindaci di decidere autonomamente il limite di anni di residenza in Veneto richiesti per avanzare nelle liste di attesa degli asili nidi pubblici;
   numerose associazioni a tutela dell'infanzia chiedono al Governo di sollevare un giudizio di costituzionalità con riferimento ai principi di eguaglianza, impugnando il testo legislativo davanti alla Corte costituzionale; nel loro appello affermano «Questa norma rischia di escludere i bambini, italiani e stranieri, le cui famiglie si sono trasferite di recente in Veneto, secondo una logica che niente ha a che vedere con l'obiettivo dei servizi dell'infanzia: la tutela dei bambini e del loro futuro. Si alimentano così distanze culturali, a fronte di un'esigenza di condivisione democratica. I minori hanno diritti propri che non possono essere messi in discussione a causa della condizione personale dei genitori. La convenzione Onu attribuisce centralità al superiore interesse del minore e appare grave che, a 25 anni dalla sua ratifica da parte dell'Italia, una Regione possa fare questo. Chiediamo di rivedere la legge e sollecitiamo il Governo a rivolgersi alla Corte Costituzionale» –:
   se non ritengano urgente e necessario procedere all'impugnazione della suddetta legge regionale perché ne sia verificata la legittimità costituzionale, ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione. (4-16221)


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il 13 febbraio 2017 è scaduto il mandato triennale della vice presidente della Commissione per le adozioni internazionali (Cai) Silvia Della Monica, nominata a capo della struttura dall'allora Presidente del Consiglio, Matteo Renzi;
   all'atto dell'insediamento della nuova composizione della Commissione, l'allora Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, aveva nominato la dott.ssa Della Monica anche presidente della Cai;
   Della Monica pertanto aveva entrambe le cariche (un unicum) e solo successivamente, in data 11 maggio 2016, Renzi dette al Ministro per le riforme costituzionali e rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi anche le deleghe alle adozioni internazionali;
   la nomina della onorevole Boschi, sanò una situazione irregolare e anomala che vedeva il Presidente e Vicepresidente «concentrarsi» nella stessa persona sostanzialmente: «controllore» e «controllato» di un organo per statuto collegiale;
   tuttavia, il sito della Commissione per le adozioni internazionali, nella sezione composizione Commissione, riporta ancora oggi il nome di Della Monica, quale Presidente e vice presidente, con un'unica dicitura: attenzione – sezione in, aggiornamento;
   la Commissione, e in particolare la dott.ssa Della Monica, sono state peraltro molto criticate da numerosi enti e associazioni che si occupano di adozioni internazionali, in particolare per la vicenda dei minori del Congo e perché nei tre anni di attività ci sarebbe stato assoluto immobilismo dell'organismo e paralisi di tutto il sistema, comprese le ridotte convocazioni della Commissione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
   se la Presidenza del Consiglio abbia inviato alla Commissione affari esteri e comunitari – competente per merito – i nomi dei candidati alla presidenza della Cai;
   considerato che la Cai – quale unico organo cui compete la funzione pubblica di curare le adozioni sotto il profilo della tutela del minore – non può restare bloccato a causa della mancata nomina dei vertici «operativi» – quali siano i tempi previsti per la delega di funzioni di presidente e per la nomina di un vice presidente. (4-16227)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   lo sviluppo del continente africano è nell'interesse di tutto il pianeta, primariamente dell'Europa e in particolare dell'Italia che da ponte geografico tra i due continenti può sfruttare virtuosamente i buoni rapporti esistenti con numerosi partner africani per lanciare una «nuova via con l'Africa», con l'obiettivo di assicurare che non sia più territorio di sfruttamento, di insicurezza e di migrazioni di massa;
   proprio quando si fa sempre più preoccupante il fenomeno delle migrazioni irregolari e suonano le sirene del radicalismo etnico e religioso, il forte incremento demografico che caratterizza alcune aree del continente africano non deve tradursi in un ulteriore aumento della marginalità sociale e della disoccupazione;
   l'Italia ha elaborato un contributo di policies presentato alle istituzioni europee, denominato Migration Compact, che parallelamente al contrasto dei flussi irregolari di migranti e del traffico di esseri umani disegna una strategia volta a migliorare l'efficacia delle politiche migratorie esterne dell'Unione europea agganciandole a misure per aiutare lo sviluppo dei Paesi partner, in particolare dell'Africa;
   il gruppo parlamentare del Partito Democratico alla Camera dei deputati ha presentato un contributo di idee e di politiche da realizzare al livello nazionale, denominato «Africa Act», volto a rafforzare le relazioni dell'Italia con l'Africa in una logica di co-sviluppo e a lanciare un piano d'azione che risponda all'impegno di incrementare le risorse destinate alla cooperazione con i Paesi del continente africano;
   l'articolo 1, comma 621, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (legge di bilancio per il 2017), ha istituito un fondo straordinario per l'Africa con una dotazione di 200 milioni di euro volta a finanziare, in via prioritaria, interventi di cooperazione allo sviluppo e di controllo e prevenzione dei flussi di migranti irregolari;
   il 31 marzo 2017 è stata siglato a Roma un accordo con il presidente del Niger, Mahamadou Issoufou, per lo stanziamento di 50 milioni di euro a valere sul summenzionato fondo per l'Africa, con cui il Niger potrà istituire unità speciali di controllo delle frontiere, costruire e ristrutturare posti di frontiera e costruire un nuovo centro di accoglienza per i migranti;
   le azioni di controllo delle frontiere africane e di contrasto al traffico di essere umani sono certamente imprescindibili per una corretta gestione dei flussi migratori e per bloccare i migranti sulla rotta transahariana, prima che intraprendano pericolosi attraversamenti del deserto libico e del Mediterraneo;
   tuttavia, esse rischiano di risultare insufficienti e inefficaci se non fossero accompagnate da un pacchetto di misure specifiche per la cooperazione in ambito culturale e scientifico, nonché economico e politico volte a favorire lo sviluppo del continente africano e a prevenire le partenze –:
   in quale misura e con quali proporzioni intenda assegnare le risorse a valere sul fondo per l'Africa, affinché siano destinate al finanziamento d'interventi di cooperazione allo sviluppo, secondo la programmazione e le modalità previste dalla legge 11 agosto 2014, n. 125, per favorire il progresso economico e sociale e, più in generale, il miglioramento delle condizioni di vita nel continente africano, concorrendo così alla valutazione comparata della performance dell'Italia come Paese donatore conformemente ai criteri individuati dal Comitato di aiuto allo sviluppo (Dac) dell'Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economica (Ocse);
   come intenda vigilare affinché che gli interventi di controllo delle frontiere finanziati dall'Italia e operati dai partner africani siano conformi alle norme europee e internazionali in materia di diritti fondamentali, tra le quali le previsioni della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. (5-11091)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BUSINAROLO, DAGA e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a Nogara (Verona) ha sede il più grande stabilimento d'Europa della multinazionale statunitense Coca Cola, che impiega circa 450 persone e in cui si imbottigliano, in media, 1.370 metri cubi di acqua al giorno, poiché l'acqua è l'ingrediente, da sempre ritenuto «segreto», contenuto nella Coca-Cola, una delle bevande più diffuse al mondo, e anche in altre bevande gassate tra cui Fanta e Sprite, distribuite dalla Coca Cola HBC Italia s.r.l.;
   il Genio civile di Verona, con decreto n. 119 del 23 febbraio 2012, ha autorizzato l'azienda a sfruttare nel comune di Nogara, fino alla fine del 2018, tre pozzi, tutti da falda sotterranea per uso industriale, potabile e igienico e assimilati, in cambio di un pagamento annuo irrisorio di circa 13.000 euro;
   appare all'interrogante del tutto irragionevole che una multinazionale possa sfruttare, come accade nel caso specifico di Nogara, le risorse della regione Veneto a costi così esigui, ritenendo necessario impedire lo sfruttamento forsennato delle risorse idriche regionali;
   occorre sottolineare che, paradossalmente, a Nogara non è presente l'acquedotto, per cui i cittadini attingono l'acqua per svariati usi (tra cui, cucinare e cura dell'igiene personale) da pozzi privati presenti presso le proprie abitazioni;
   la Coca Cola è protagonista in molti Paesi, soprattutto del Terzo Mondo, dove prosegue con le proprie attività effettuando però un depauperamento delle risorse idriche, lasciando così senz'acqua i villaggi circostanti agli stabilimenti, rendendo ancora più penose e difficili le condizioni in cui le popolazioni locali sono costrette a vivere, in condizioni di disagio, tra stenti e malnutrizione;
   ad oggi, tra l'altro, lo stabilimento di Nogara attraversa un momento di grave difficoltà, legato soprattutto al settore della logistica, affidata ad una multinazionale esterna che, a sua volta, la distribuisce ad altre cooperative, in un dedalo di subappalti che ha portato a diversi esuberi tra i lavoratori e a contratti del tutto precari;
   sul caso dello stabilimento di Nogara, è intervenuta anche la trasmissione televisiva Report che si è soffermata in particolare su quanto paghi l'acqua. «Praticamente – ha dichiarato alle telecamere il sindaco Paolo Andreoli, ex sindaco di Nogara, pagano circa 13.400 euro alla regione. Fatto sta che costa zero, praticamente, se si considera che un metro cubo è un centesimo». Ad un'analoga domanda posta dall'inviata del programma, invece, sull'esiguità dei costi, il sindaco di Nogara Flavio Pasini ha dichiarato che la Coca Cola però nel territorio ha investito molto: giornate ecologiche, cura dei parchi e che l'esiguità della cifra non dipende dall'ente locale;
   infine, è opportuno ricordare che dal 2013 in Veneto si discute su un grave problema di inquinamento ambientale e delle Falde acquifere legato alla presenza nelle stesse di Pfas (sostanze perfluoroalchiliche) e loro derivati, dannosi per l'organismo umano e per l'ambiente circostante –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e quali azioni di propria competenza intenda intraprendere al fine di impedire che il colosso statunitense Coca Cola continui ad utilizzare, con le modalità attuali, l'ingente quantità d'acqua, con un enorme spreco delle risorse idriche venete, anche alla luce della mancanza di un acquedotto pubblico a Nogara;
   se ritenga opportuno promuovere verifiche e approfondimenti rispetto alla possibile presenza di Pfas nelle acque di falda, altamente nocive, e se intenda chiarire se e con quali modalità le stesse vengano filtrate. (5-11082)

Interrogazione a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il problema dell'erosione della costa già da anni interessa lunghi tratti del litorale laziale, con pesanti ripercussioni sia dal punto di vista ambientale sia da quello dei danni molto ingenti sull'indotto;
   nella zona di Fregene sud, anche a seguito del prolungamento, del molo di Fiumicino e delle scogliere realizzate nella vicina Focene, il mare si è ritirato in modo talmente considerevole da mettere in pericolo l'esistenza stessa della spiaggia, ormai pressoché scomparsa, e delle strutture balneari, un tempo distanti svariate decine di metri dal bagnasciuga;
   sin dal 2013 intercorrono rapporti e si riuniscono tavoli tecnici congiunti tra i rappresentanti istituzionali del comune e della regione, i tecnici dei medesimi enti, rappresentanti dell'Agenzia del demanio, del consorzio di bonifica Tevere Agro Romano, della capitaneria di porto e i rappresentanti dei concessionari, per scongiurare danni al patrimonio naturale, immobiliare, imprenditoriale e culturale della zona;
   in accordo con i concessionari – e su progetto oneroso a carico degli stessi – la Regione aveva individuato un rimedio provvisorio per la tutela di questa parte della costa, al fine di scongiurare ulteriori danni alle strutture balneari, in attesa della soluzione definitiva, per la quale si dichiaravano messi in bilancio quattro milioni di euro;
   lo stato dell'erosione risulta talmente allarmante da far dichiarare già nel marzo 2016 all'Assessore regionale all'ambiente: «Fregene in questo momento per l'erosione è l'emergenza da risolvere della costa laziale, dobbiamo intervenire subito»;
   il 6 aprile 2016 è stato sottoscritto il «Protocollo di Intesa per la redazione di Linee guida nazionali per la difesa della costa dai fenomeni di erosione e dagli effetti dei cambiamenti climatici», tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e tutte regioni costiere italiane;
   in base al Protocollo tutte le amministrazioni sottoscrittrici s'impegnano a collaborare nell'ambito dei propri ruoli e competenze alla definizione della linee guida e all'individuazione di procedure comuni per una corretta e sostenibile gestione della fascia costiera;
   in risposta all'interrogazione a risposta scritta n. 1393 presentata nell'agosto 2016 dal consigliere regionale Fabrizio Santori sulla problematica relativa all'erosione delle spiagge lungo il litorale laziale, erano stati asseriti la disponibilità e l'impegno per interventi nella zona di Fiumicino e Fregene per un importo di due milioni di euro a seguito della DGR 229/2016, oltre all'intervento emergenziale del geotubo i cui progetti esecutivi sarebbero stati realizzati entro il 31 dicembre 2016;
   le mareggiate degli scorsi mesi di febbraio e marzo hanno prodotto, ancora una volta, ingenti danni alle strutture balneari e commerciali che insistevano sulle spiagge, oltre a cancellare la duna di Focene, barriera naturale che proteggeva l'Oasi del WWF di Macchiagrande, senza che apparentemente nulla sia stato fatto dalle istituzioni preposte per scongiurare l'imminente tragedia;
   ad oggi, con le parole del Sindaco di Fiumicino Montino, «Gli unici interventi per difendere le strutture sono stati realizzati dai singoli operatori interessati che però, senza un intervento complessivo da parte della Regione, non sono risolutivi del problema» –:
   quali interventi di emergenza, per quanto di competenza, si intendano disporre per scongiurare nuovi imminenti danni al patrimonio della costa di Fregene, e quali si intendano promuovere nel lungo periodo per fronteggiare l'erosione delle coste, tutelando le strutture imprenditoriali e l'indotto turistico che producono;
   quali iniziative di competenza intenda assumere nell'ambito del citato Protocollo di Intesa, rispetto alla cui attuazione la Regione Lazio risulta, a parere dell'interrogante, gravemente inadempiente;
   quali siano gli interventi realizzati fino ad oggi dal tavolo tecnico per le regioni costiere istituito in seno al Ministero per l'ambiente. (4-16224)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   FEDI, PORTA e TACCONI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   sono decine di migliaia i giovani italiani che ogni anno si recano all'estero per lavorare e rimangono per oltre un anno nel Paese di destinazione;
   molti di loro si iscrivono all'AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all'Estero) ma molti altri non lo fanno per ignoranza delle norme o per altre ragioni, tra le quali la paura di restare privi dell'assistenza sanitaria in Italia;
   quelli che non si iscrivono all'AIRE mantengono quindi la loro residenza in Italia, sebbene vivono, lavorano e producono reddito all'estero;
   in virtù del principio adottato nel diritto tributario interno dallo Stato e dall'amministrazione finanziaria italiani definito « World Wide Taxation» o tassazione mondiale, i redditi del cittadino residente sono soggetti a tassazione diretta dal fisco italiano indipendentemente dal luogo ove tali redditi sono stati prodotti;
   i giovani cittadini italiani i quali non si iscrivono all'AIRE e producono reddito all'estero sono spesso soggetti quindi a doppia tassazione, in particolare quando il Paese di destinazione ha stipulato con l'Italia una convenzione contro le doppie imposizioni fiscali che prevede la tassazione concorrente mitigata dalla facoltà del credito di imposta (come ad esempio quelle con il Regno Unito, la Francia, la Germania, la Svizzera, gli Stati Uniti, e altri) oppure quando tale Paese non ha stipulato alcuna convenzione con l'Italia;
   non è chiaro inoltre se l'Italia applichi comunque il principio della tassazione mondiale nel caso in cui le convenzioni contro le doppie imposizioni fiscali prevedano invece esplicitamente ed esclusivamente la sola tassazione nel Paese dove il reddito viene prodotto;
   ci risulta che molti giovani italiani emigrati che non si sono iscritti all'AIRE non sono al corrente del principio della « World Wide Taxation» (è difficile quantificare ma si presume che siano migliaia) e dunque non presentano annualmente la dichiarazione dei redditi (per tutto il periodo durante il quale lavorano all'estero e quindi probabilmente per molti anni) all'amministrazione finanziaria italiana;
   il risultato concreto di questa inadempienza è l'applicazione da parte dell'amministrazione dell'articolo 165 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi) che stabilisce che la detrazione o credito di imposta compensativo, prevista dallo stesso articolo e dalle convenzioni contro la doppia imposizione, non spetta in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione dei redditi prodotti all'estero nella dichiarazione presentata;
   si sta perciò sviluppando una grave criticità fiscale per cui molti giovani emigrati sono sottoposti a doppia tassazione nel Paese di lavoro e nel Paese di residenza che è in questo caso l'Italia –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza del grave problema e del rischio concreto che migliaia di giovani cittadini italiani emigrati per lavorare incorrano nel rischio, per la situazione su descritta, di essere sottoposti a doppia tassazione inasprita inoltre da probabili sanzioni;
   se sia consapevole della drammaticità per molti giovani nostri connazionali, spesso costretti ad emigrare, di dover affrontare questa situazione di irregolarità fiscale sebbene abbiano pagato le tasse alla fonte e dunque non intenda intervenire, anche a livello normativo, proponendo una sanatoria o di modificare opportunamente l'articolo 165 del TUIR laddove prevede che il credito di imposta non spetta in caso di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi o di omessa indicazione dei redditi prodotti all'estero;
   se sia a conoscenza di casi in cui l'Amministrazione finanziaria, per un'interpretazione estensiva, ed errata, del principio della « World Wide Taxation», stia applicando la doppia tassazione anche quando la convenzione contro le doppie imposizioni fiscali, che in dottrina e diritto internazionale prevale sulla normativa interna, prevede esplicitamente ed esclusivamente la tassazione nel Paese in cui il reddito è prodotto. (4-16219)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in Italia gli impianti per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica sono solo 1.700 e la maggior parte di questi sono stazioni a rifornimento lento;
   secondo il Piano nazionale infrastrutturale per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica, alla fine del 2016, avrebbero dovuto essere già attive altre 450 colonnine di ricarica; tuttavia il piano non è stato realizzato e sembra che, nel biennio 2017-2018, saranno allestite 150 stazioni di rifornimento autostradale, 200 stradali e 200 presso poli attrattori di traffico finanziati con circa cinquanta milioni di fondi statali;
   sembra si possa contare anche sull'impegno dei privati: l'Enel investirà 300 milioni di euro per realizzare una propria rete distributiva sulla base di un progetto di sviluppo realizzato con il contributo del Politecnico di Milano e dell'Università Bocconi;
   secondo i dati Unrae, ad oggi il segmento «verde» vale appena lo 0,1 per cento del mercato italiano dell'auto contro il 2,4 per cento della Svezia, il 9,7 per cento dei Paesi Bassi e il record del 23 per cento della Norvegia;
   nel 2016, le immatricolazioni di auto elettriche sono appena 1.403, facendo registrare una diminuzione del 5,5 per cento rispetto all'anno precedente;
   il calo degli acquisti sarebbe dovuto, oltre dallo scarso sviluppo delle infrastrutture di rifornimento, anche dal prezzo d'acquisto della vettura. Secondo il primo rapporto sulla mobilità elettrica del Politecnico di Milano, comprare un'auto a benzina da 90 cavalli costa in media 15.500 euro. Per una elettrica bisogna sborsare più del doppio e il vantaggio sui consumi (circa un terzo inferiori per l'auto «verde») non è sufficiente a motivarne l'acquisto;
   a differenza del resto d'Europa dove sono presenti notevoli incentivi (ventimila euro in Norvegia, diecimila in Olanda, seimila in Francia, quattromila in Germania), in Italia, gli unici vantaggi sono rappresentati dai parcheggi e accessi gratuiti nei centri urbani che al massimo possono valere circa qualche migliaio di euro;
   nonostante sia prevista l'esenzione del pedaggio per le auto «verdi» registrate all'ufficio mobilità del comune, se si parcheggia sulle linee blu può capitare di essere sanzionati con una multa, nel qual caso il malcapitato è costretto alle contestazioni per evitare il pagamento di un'ammenda non dovuta;
   quando si sposta in un'altra città, l'automobilista «verde» deve nuovamente registrare l'auto all'agenzia della mobilità del centro urbano visitato. Solo così potrà infatti parcheggiare ed entrare gratuitamente nelle zone a traffico limitato. In caso contrario, potrebbe essere sanzionato –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se intendano accelerare la realizzazione di impianti di rifornimento su tutto il territorio nazionale prediligendo l'installazione di impianti di ricarica veloce nei centri urbani;
   se non ritengano di introdurre incentivi all'acquisto delle auto «verdi», come previsto in altri Paesi d'Europa, così da favorire la mobilità sostenibile e l'acquisto e l'uso di questi veicoli a bassissimo impatto ambientale;
   se ritengano di favorire la mobilità extraurbana, istituendo un registro unico nazionale che consenta la libera circolazione dei veicoli «verdi». (5-11085)

Interrogazione a risposta scritta:


   FABRIZIO DI STEFANO e VELLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'insieme del bacino del lago di Campotosto occupa circa 1400 ettari ed è, da decenni, sia fonte di irrigazione per i terreni circostanti, sia fonte di produzione energetica utilizzata da Enel;
   dopo il terremoto che ha distrutto L'Aquila, l'intero bacino idrografico è stato oggetto di intense verifiche di tenuta, con centinaia di nuovi punti di controllo lungo tutto il perimetro;
   il 23 gennaio 2017, Enel ha dichiarato che «pur non essendoci motivazioni tecniche e nessuna criticità sulle opere idrauliche afferenti il bacino di Campotosto, procederemo alla ulteriore riduzione dell'invaso utilizzando la capacità di derivazione degli impianti e gli organi di scarico della diga di Rio Fucino (27,5mc/sec)»;
   si tratta un'azione a giudizio degli interroganti sconsiderata e messa in atto solo per frenare l'allarmismo immotivato (viste le perizie tecniche sulla tenuta della struttura) che, in pratica, comporta il sacrificio di 1.200.000 metri cubi di acqua al giorno;
   il 31 gennaio 2017 il Consorzio di bonifica ha scritto alla prefettura, al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, alla regione Abruzzo, all'autorità di Bacino e alla Ruzzo Rieti S.P.A., evidenziando le disastrose conseguenze di tale azione;
   il Governo interrogato, da un lato, si è prodigato per rassicurare la popolazione a valle sull'assenza del «rischio Vajont», dall'altro, ha commissionato uno studio ad Enel per verificare la resistenza della diga fino ad un terremoto di magnitudo 7o (ad oggi è certificata la resistenza ad una magnitudo 6,4o);
   la diga di Rio Fucino però è stata, nel frattempo, letteralmente svuotata e, ulteriore aggravante, si sono persi anche circa 60 milioni di metri cubi sotto forma nevosa;
   le conseguenze della carenza idrica per l'economia locale legata al settore primario saranno disastrose: oltre 3000 aziende interessate (direttamente o indirettamente), 75 milioni di fatturato a rischio e 4.500 dipendenti coinvolti. Il danno si estenderà anche alla distribuzione dell'acqua negli alberghi, nella zona costiera e nei comuni turistici;
   non è stato previsto nessun piano B per ammortizzare questa drammatica situazione: tutta la rete di canali di irrigazione alternativa a quella del bacino del Rio Fucino è oramai inutilizzabile, causa abbandono ed assenza di manutenzione nel tempo –:
   quali immediate ed urge ti iniziative si intendano mettere in campo in relazione alle problematiche evidenziate in premessa relative al bacino idrografico di Campotosto, al fine di ripristinare un contesto che possa soddisfare le esigenze della produzione o prevedere una forma di ristoro alternativa che impedisca il fallimento dell'intero settore primario.
(4-16216)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FASSINA, MARCON, PALAZZOTTO, FRATOIANNI, AIRAUDO, COSTANTINO, DANIELE FARINA, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, PAGLIA, PANNARALE, PELLEGRINO e PLACIDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come riportato sulla stampa locale, quattro giovani pugliesi sono stati espulsi da Bari a poche settimane dal G7 sull'economia, a seguito di un procedimento amministrativo messo in atto dalla questura di Bari;
   la data del provvedimento è di poco anteriore alle decine di fogli di via comminati a Roma il 25 marzo, alcune ore prima delle proteste per i 60 anni dei Trattati europei. In questo caso, però, c’è un ulteriore elemento che, come riporta la stampa, rende tutta la vicenda ancora più surreale: nessuno dei destinatari di questa misura è stato fermato dalle forze dell'ordine in prossimità di manifestazioni «a rischio violenze» o in occasione di «giornate speciali», secondo le definizioni della questura di Roma. Questa volta, i fogli di via sono stati spediti agli indirizzi di residenza dei destinatari;
   la questura di Bari ha pertanto deciso di espellere dal territorio comunale quattro persone esclusivamente sulla base di una denuncia risalente a sei anni addietro e a partire dalla quale non è stato aperto alcun procedimento penale. Si tratterebbe di una sorta di pena preventiva che determina un vero e proprio paradosso giuridico: l'autorità di polizia emette, per via amministrativa, una punizione che nemmeno il giudice potrebbe comminare per via penale, dopo un regolare processo. L'espulsione dal territorio comunale, infatti, non rientra tra le pene previste per il reato di occupazione;
   tale nuova prassi, a parere degli interroganti di fatto imposta dal Ministro interrogato, sembra voler colpire qualsiasi soggetto considerato politicamente fastidioso, anche a prescindere dal presupposto di attualità della cosiddetta «pericolosità sociale», il solo presupposto che, secondo il legislatore, giustificherebbe l'applicabilità di misure amministrative come il foglio di via, indipendentemente da un previo accertamento, con le garanzie del processo penale, della commissione di un reato. In sostanza, di questo strumento rimane una mera funzione repressiva in mano agli organi di polizia;
   «Il problema è proprio che si tratta di un atto amministrativo. Davanti a un giudice li avremmo ridicolizzati, questo provvedimento fa acqua da tutte le parti. Così, però, non abbiamo diritto a nessuna forma di difesa: possiamo solo raccogliere le carte e portarle al Tar, spendendo un sacco di soldi, tra l'altro», sottolinea alla stampa uno dei quattro espulsi –:
   se non ritenga che i fatti esposti in premessa rappresentino una forma di eccesso e abuso di un potere amministrativo e restrittivo della libertà personale, non in linea con quanto disposto dalla Costituzione e dalla legislazione vigente, e quali eventuali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo. (5-11086)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VITO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 5 aprile 2017 si è tenuta in piazza di Montecitorio una manifestazione, organizzata dall'associazione «Libertà e sicurezza» — Polizia dello Stato, con l'obiettivo di contestare il progetto di riordino interno dei ruoli e delle qualifiche dei poliziotti predisposto dal Governo che, invece, sembrerebbe non valorizzare, di fatto, il merito e la professionalità e non contribuirebbe a risolvere gli storici problemi di disallineamento tra polizia e altre forze dell'ordine, dei mancati concorsi interni e di mancate progressioni di carriera;
   l'evento ha rappresentato soprattutto l'occasione per dimostrare pubblicamente la solidarietà delle forze di polizia ai due poliziotti Gianmario Collesano e Fabio Tripodi, in servizio presso la questura di Palermo, protagonisti, loro malgrado, di una condanna, da parte del TAR Lazio, a circa 6 mesi di ferie per aver effettuato turni di lavoro straordinari che, invero, si sarebbero resi necessari al fine di assicurare alla giustizia numerosi trafficanti di droga;
   secondo quanto riportato da alcune fonti giornalistiche, in particolare, Gianmario Collesano e Fabio Tripodi, negli anni 2006-2007, dopo aver proceduto a numerosi arresti di « pusher» che spacciavano piccoli tagli di sostanze stupefacenti ed aver eseguito altri numerosi arresti di personaggi dediti alla micro criminalità, avrebbero seguito una complessa attività investigativa durata circa tre anni e conclusasi con ben 67 emissioni di custodie cautelari;
   nello specifico, si tratterebbe di uno straordinario effettuato per un importo pari, rispettivamente, a circa euro 8.000,00 dal Sovrintendente Capo Gianmario Collesano e circa euro 5.500,00 dall'Assistente Capo Fabio Tripodi e non pagato dal Ministero dell'interno –:
   se il Ministro interrogato intenda fornire gli opportuni chiarimenti in ordine alla vicenda esposta in premessa e, per quanto di specifica competenza, intraprendere le necessarie iniziative per approfondire le ragioni della mancata erogazione del compenso spettante ai due poliziotti per gli straordinari effettuati nell'espletamento della loro attività lavorativa.
(4-16218)


   SQUERI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da circa due anni risulta che diverse pubbliche amministrazioni, attraverso i propri uffici di polizia locale, stiano investendo risorse pubbliche in soluzioni tecnologiche di videosorveglianza a valore aggiunto, implementando sui propri territori alcune telecamere intelligenti in grado di leggere le targhe dei mezzi in circolazione sulle strade ed avere la possibilità, attraverso piattaforme software dedicate ed un collegamento di rete configurato per connettersi direttamente al Ministero dell'interno, di ottenere in tempo reale informazioni circa la presenza di veicoli circolanti sul territorio e segnalati come «veicoli con denuncia di furto»;
   tale servizio di videosorveglianza rappresenta uno strumento molto utile che permette alle forze dell'ordine non solo di intervenire in modo tempestivo nei casi di bisogno ma, soprattutto, di gestire al meglio le attività investigative degli agenti preposti;
   si è appreso che questo servizio gratuito, erogato dal Ministero dell'interno, è venuto meno a partire dal giorno lunedì 20 marzo 2017, senza alcuna comunicazione, informativa ministeriale ovvero preavviso da parte degli uffici competenti;
   secondo quanto si apprende dalla consultazione della pagina web del Ministero dell'interno, tale disservizio è generato dalla presenza di un programma, denominato «Captcha», implementato dalla direzione centrale della polizia criminale (area per il sistema informativo interforze), che impedisce a più di 4 mila comuni italiani di effettuare interrogazioni massive al database ministeriale, con la conseguente impossibilità di controllare al meglio il territorio nazionale;
   ad oggi i comuni e le unioni dei comuni italiane stanno continuando ad investire pubblico denaro in ambito sicurezza, videosorveglianza nonché in impianti tecnologici all'avanguardia, grazie anche ai diversi finanziamenti regionali messi a disposizione e che rappresentano un importante ausilio per tutte le forze dell'ordine;
   il venire meno del citato servizio di controlli ha comportato l'emergere di grosse insoddisfazioni provenienti dai sindaci e dai comandanti degli uffici di polizia locale d'Italia, titolari di questi nuovissimi impianti di video sorveglianza di lettura targhe a valore aggiunto, nonché degli altri corpi dell'ordine, quali caserme dei carabinieri e questure, i cui comandanti e prefetti potrebbero usufruire, gratuitamente, degli accessi a tali impianti per gestire le indagini del caso –:
   se il Ministro interrogato intenda fornire chiarimenti in merito alla vicenda esposta in premessa, specificando le principali ragioni per cui, in modo improvviso, si è deciso di procedere con la sospensione del servizio, creando gravi difficoltà nell'espletamento dei controlli da parte dei vari soggetti istituzionali (comuni, carabinieri, questure) e, per quanto di specifica competenza, adottare le opportune iniziative affinché possano essere ripristinate al più presto le connessioni ai citati sistemi di videosorveglianza installati e funzionanti sul territorio, al fine di riprendere i controlli sulla presenza di veicoli denunciati come rubati e circolanti. (4-16220)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   per l'Osservatorio nazionale amianto (ONA) l'amianto è un cancerogeno completo, provoca mesotelioma (un tumore sentinella della presenza di amianto), tumori polmonari, alla laringe e alle ovaie. Provoca asbestosi, placche pleuriche e ispessimenti pleurici;
   secondo l'Osservatorio nazionale amianto, in Italia, ci sono 1.900 nuovi casi di mesotelioma ogni anno;
   dalla pubblicazione «I numeri del cancro 2016 di Aiom/Airtum» emerge un numero importante: circa 6.000 decessi ogni anno solo in Italia;
   in Italia ci sono 2.400 scuole che presentano amianto e materiali di amianto;
   scuole, ancora oggi da bonificare, nonostante la legge n. 257 del 1992 che ne vieta l'uso –:
   se si conosca, al di là dei numeri, in che stato di conservazione è l'amianto presente nelle 2.400 scuole ancora da bonificare, visto che è lo sgretolamento dell'eternit a creare le polveri che, se respirate, provocano danni alla salute;
   se si ritenga che i 7 miliardi di euro destinati alla sicurezza delle scuole possano coprire anche i costi di rimozione e smaltimento di amianto e materiali di amianto per i quali occorrono imprese specializzate e costi importanti;
   se si sia in grado di precisare se si sia fissato un termine entro il quale poter dichiarare le scuole prive di amianto e, quindi, sicure per la salute dei nostri ragazzi. (5-11084)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 6 marzo 2017 nell'aula magna del liceo G. Marconi di Pescara si è tenuta una giornata di «formazione» condotta dalla professoressa Lucia Caponera e dalla dottoressa, Elena Toffolo psicologa entrambe referenti per la formazione e progetti nelle scuole per conto dell'associazione «Arcilesbica nazionale»;
   sul registro elettronico delle classi coinvolte è stata pubblicata la circolare, n. 197 che presentava il progetto come lotta alla discriminazione, al bullismo e al cyber bullismo, mentre sul sito Internet dell'istituto scolastico la giornata era, invece, presentata come progetto sulle differenze di genere;
   la circolare 197 si concludeva con la richiesta di «liberatoria fotografica e di adesione», da esprimere su appositi modelli allegati alla stessa circolare, «per rendere le famiglie consapevoli e partecipi dell'iniziativa»;
   la nota del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 6 luglio 2015, n. 4321, stabilisce con chiarezza che «La partecipazione a tutte le attività extracurricolari, anch'esse inserite nel P.O.F., è per sua natura facoltativa e prevede la richiesta del consenso dei genitori adeguatamente informati per gli studenti minorenni o degli stessi se maggiorenni che, in caso di non accettazione, possono astenersi dalla frequenza»;
   da notizie in possesso dell'interrogante risulta, tuttavia, che molti genitori non avessero firmato la liberatoria, e quindi non fossero informati dei contenuti dell'iniziativa, e che, comunque, anche quelli che avevano firmato la liberatoria non fossero «adeguatamente informati», posto che quasi nessuno era a conoscenza della specificità dei temi trattati né tantomeno del fatto che i relatori appartenessero alla citata associazione «Arcilesbica nazionale»;
   in seguito alle rimostranze fatte quello stesso giorno da alcuni genitori, tra i quali una componente del consiglio d'istituto, sembra che una delle insegnanti della scuola si sia impegnata a chiedere una chiusura anticipata del progetto, informando le due referenti che non avrebbero dovuto trattare il «modulo gender», peraltro comunque non ammesso in considerazione delle vigenti prescrizioni regolamentari;
   la circolare n. 1972 del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca afferma, infatti, che «tra i diritti e i doveri e tra le conoscenze da trasmettere non rientrano in nessun modo né “ideologie gender” né l'insegnamento di pratiche estranee al mondo educativo»;
   l'educazione sessuale spetta ai genitori, come sancito sia dalla (Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, sia dalla nostra Carta costituzionale, sia da numerosi atti normativi e regolamentari emanati, negli anni, per ribadire la libertà dei genitori nelle scelte per l'educazione dei propri figli;
   una risoluzione approvata dal Consiglio regionale dell'Abruzzo impegna i competenti organi regionali a «tutelare la libertà educativa nelle scuole abruzzesi affinché non vengano poste in essere attività divulgative sulla “teoria gender”» –:
   se sia informato dei fatti esposti in premessa, quali chiarimenti intenda favorire in merito, e quali urgenti iniziative intenda assumere affinché nelle scuole di tutto il territorio nazionale siano rispettate pienamente le scelte educative effettuate dai genitori degli alunni. (4-16222)


   CRIMÌ, CAROCCI, SENALDI, MALISANI, LENZI, GHIZZONI, CARNEVALI, SGAMBATO, AMATO, ROCCHI, LODOLINI, GRIBAUDO e GALPERTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il concorso a posti e cattedre per il personale docente previsto dalla legge n. 107 del 13 luglio 2015 prevedeva un totale di 63.712 posti da assegnare nel corso del triennio 2016/2018;
   la procedura del concorso aveva carattere regionale e prevedeva tre bandi: uno per i docenti della scuola dell'infanzia e della primaria, un secondo rivolto ai docenti della scuola secondaria di primo e secondo grado e infine un terzo bando per i docenti di sostegno. Un concorso che puntava sul merito, sul riconoscimento del percorso svolto e sulla qualità;
   ad oggi non si è ancora provveduto all'immissione giuridica in ruolo per tutti i vincitori di concorso (inizialmente prevista per settembre 2016) e risultano, inoltre, in alcune regioni, procedure concorsuali ancora non concluse;
   i vincitori di concorso si trovano nella paradossale situazione alle volte di essere titolari di una cattedra di sostegno o addirittura di non accedere ad una supplenza quando alcuni docenti di seconda e terza fascia non vincitori al concorso risultano avere più punteggio e quindi diritto ad una supplenza curricolare;
   il concorso docenti 2016 e le conseguenti graduatorie di merito rischiano di essere poi totalmente inutili se non venisse riconosciuta la precedenza ai vincitori di concorso per il prossimo triennio 2017-2020, in attesa dell'immissione in ruolo;
   si rischia, inoltre, di attribuire dei punteggi a corsi su tecnologie digitali (ad esempio Lim – lavagna interattiva multimediale) o a certificazioni linguistiche e nessun punteggio ai vincitori del concorso più selettivo della storia della scuola italiana;
   si rischia pertanto di commettere una grave ingiustizia non tutelando adeguatamente i vincitori del concorso 2016 –:
   se non intenda procedere rapidamente alla conclusione delle procedure concorsuali in tutte le regioni e altresì, quali, iniziative intenda assumere per garantire che le assunzioni di tutti i vincitori del concorso 2016 avvengano nel triennio previsto;
   se non intenda, inoltre, adottare iniziative volte a garantire un adeguato vantaggio per le supplenze annuali ai vincitori del concorso del 2016, anche tramite l'attribuzione di un punteggio specifico per le graduatorie, in vista dell'aggiornamento delle graduatorie di istituto. (4-16225)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, MARTELLI, GIORGIO PICCOLO, ZAPPULLA, FERRARA, AIRAUDO, PLACIDO, NICCHI, DURANTI, PIRAS, MELILLA, QUARANTA, SANNICANDRO, SCOTTO, KRONBICHLER, FRANCO BORDO, ZARATTI e FAVA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i dati del «Rapporto annuale sull'attività ispettiva in materia di lavoro e previdenziale del Ministero del lavoro» elaborati da Ires-Cgil Marche mostrano una tendenza preoccupante verificatasi in alcuni territori della regione, particolarmente colpiti dalla crisi economica degli ultimi anni;
   dall'analisi del centro studi citato spicca infatti l'elevato numero di lavoratori non in regola, rilevato nel corso delle ispezioni, indice di come le aziende, di fronte alla crisi economica, hanno reagito «scaricando» parte delle difficoltà sui lavoratori, riducendo o aggirando tutele previste per legge;
   si segnala in particolare il caso della provincia di Pesaro-Urbino, dove si è registrata la percentuale più alta di lavoratori totalmente in nero rispetto al totale dei lavoratori irregolari, tra le province marchigiane. A fronte di controlli a 1.178 aziende, effettuati dalla direzione provinciale del lavoro (il 23 per cento del totale delle aziende operanti in provincia), per 546 casi (il 46,3 per cento) sono emerse irregolarità;
   nello specifico i controlli hanno rilevato 508 lavoratori irregolari, dei quali 225 (il 44 per cento) totalmente in nero;
   tra le irregolarità più frequenti nell'anno 2016 risultano esserci violazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro, di orario di lavoro, violazioni sulla qualifica dei lavoratori, ma anche illeciti negli appalti, nella somministrazione di lavoro o presenza di intermediazione illegale di manodopera;
   come già segnalato in precedenti atti di sindacato ispettivo a prima firma dell'interrogante, inoltre, lo strumento dei voucher, utilizzato in modo improprio da diversi datori di lavoro, ha alimentato una sorta di «zona grigia» per le tutele dei lavoratori –:
   quali misure intenda adottare il Ministro interrogato per contrastare i fenomeni illustrati in premessa ed evitare che il costo della crisi venga ulteriormente «scaricato» sui lavoratori, violando o aggirando norme a loro tutela. (5-11083)


   GIACOBBE, ARLOTTI, BARUFFI, BASSO, BORGHI, CAROCCI, FABBRI, FRAGOMELI, GNECCHI, GRIBAUDO, GUERRA, INCERTI, PATRIZIA MAESTRI, PIAZZONI, ROSTELLATO, GIOVANNA SANNA, TINAGLI, CASELLATO e CINZIA MARIA FONTANA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 4, comma 24, lettera b) della legge 28 giugno 2012, n. 92, ha introdotto in via sperimentale, per il triennio 2013 – 2015, la possibilità per la madre lavoratrice di richiedere, al termine del congedo di maternità ed entro gli undici mesi successivi, in alternativa al congedo parentale, voucher per la fruizione di servizi di baby sitting, ovvero un contributo per fare fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per infanzia o dei servizi privati accreditati, per un massimo di sei mesi;
   tale beneficio è stato prorogato anche per l'anno 2016 dall'articolo 1, comma 282, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità);
   con la legge 11 dicembre 2016, n. 232 (legge di bilancio 2017), all'articolo 1, comma 356, la misura è stata ulteriormente prorogata per gli anni 2017-2018, estendendo il beneficio anche alle lavoratrici autonome e imprenditrici;
   in particolare, è degna di nota la possibilità di corrispondere, «al fine di sostenere la genitorialità», un contributo economico per l'utilizzo della rete pubblica dei servizi per l'infanzia, in alternativa al congedo parentale, e quindi agevolando anche il rientro al lavoro delle madri lavoratrici con una offerta di servizi;
   secondo le disposizioni dell'Inps (circolare n. 169 del 16 dicembre 2014), il pagamento sarà corrisposto direttamente dall'Inps alla struttura scelta fino ad un massimo di 600,00 euro mensili per ogni bambino e per un periodo massimo di sei mesi, sulla base delle mensilità concesse alla beneficiaria; le somme saranno erogate a seguito dell'invio della richiesta di pagamento da parte della struttura alla sede provinciale Inps territorialmente competente: la struttura è tenuta ad inviare contestualmente il modello di delegazione liberatoria e la dichiarazione della madre beneficiaria di utilizzo del contributo economico;
   il pagamento del contributo viene dunque corrisposto dall'Inps esclusivamente alla struttura accreditata; nelle strutture comunali, il comune dovrà applicare una retta agevolata a chi risulterà beneficiario (alla retta mensile verrà sottratto il contributo concesso ai sensi delle norme citate), mentre la quota mancante verrà riscossa direttamente, inoltrando richiesta di pagamento all'Inps, contributo che verrà versato sul conto corrente del comune successivamente all'erogazione del servizio;
   come denunciano alcuni enti locali interessati, esiste il rischio concreto che l'Inps trasmetta il contributo al comune in tempi non coincidenti con le scadenze di bilancio, come già accade, ad esempio, per il progetto «Home care», per il quale risulta non siano ancora stati rimborsati contributi relativi all'anno 2015;
   in particolare per i piccoli comuni questo costituisce un problema significativo;
   vanno evitate tutte le criticità che possano scoraggiare l'utilizzo di importanti sostegni alla genitorialità e al sistema di servizi per l'infanzia –:
   quali iniziative intenda adottare per garantire che l'Inps proceda con sollecitudine al pagamento dei contributi in questione, sia alle strutture pubbliche sia a quelle private accreditate che gestiscono i servizi per l'infanzia. (5-11089)

Interrogazione a risposta scritta:


   CIVATI, BRIGNONE, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   un noto settimanale nazionale di politica, cultura ed economia, sta facendo alcune inchieste sul lavoro degli italiani e in un recente articolo si è descritta la situazione dei lavoratori di Amazon.com, Inc. — una delle più grandi aziende di commercio elettronico statunitense, con sede italiana a Castel San Giovanni (Piacenza);
   il magazzino di Amazon è più grande d'Italia: 86 mila metri quadri, 830 dipendenti circa e 120 mila prodotti scaricati ogni giorno dai camion;
   l'articolo evidenzia le critiche condizioni di lavoro cui sono sottoposti i lavoratori presso la sede italiana;
   i milleseicento impiegati con età media di trent'anni sono in parte assunta a tempo indeterminato e in parte a tempo determinato;
   parrebbe che molti lavoratori mostrino evidenti problemi di salute — «il 70-80 per cento ha ernie, problemi alla schiena e al collo» afferma Cesare Fucciolo dell'Ugl — dovuti alla velocità del loro lavoro cui sono sottoposti, in particolare gli addetti al reparto dello smistamento degli oggetti da spedire;
   verrebbero inoltre violati elementari diritti come poter andare in bagno o poter bere un bicchiere d'acqua, poiché, secondo i lavoratori, per i dirigenti, tali azioni comporterebbero una perdita di tempo che andrebbe a inficiare la produttività abbassando gli standard stabiliti dall'azienda;
   Francesca Benedetti, segretario della Fisascat di Parma-Piacenza (la sigla per addetti ai servizi commerciali e del turismo della Cisl), nell'intervista effettuata dal settimanale, ha dichiarato tra l'altro che il livello delle malattie è elevatissimo e che molti di loro usano psicofarmaci a causa di depressione e attacchi di panico –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
   se non ritenga, con gli strumenti di cui dispone, di inviare gli ispettori al fine di verificare le condizioni dei lavoratori di Amazon che svolgono la propria attività presso la sede di Castel San Giovanni (Piacenza). (4-16223)

SALUTE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   la legge 194 del 1978, sull'interruzione volontaria di gravidanza, prevede la possibilità di utilizzare metodi abortivi in alternativa all'IVG chirurgica, laddove l'articolo 15 cita la possibilità di «aggiornamenti sull'uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell'integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per l'interruzione della gravidanza». In effetti da alcuni anni anche nel nostro Paese è possibile interrompere la gravidanza con metodi farmacologici;
   il miferpristone (RU 486) è il farmaco attualmente utilizzato in quasi tutti i Paesi del mondo, ove l'aborto è legale. In Europa sono oltre 650.000 le donne che hanno interrotto la gravidanza volontariamente con questo metodo. In Francia è scelto dal 65 per cento delle donne che sono nelle condizioni di poterlo fare. L'aborto farmacologico è considerato dall'OMS un metodo sicuro ed efficace;
   dal 2009 l'AIFA ha autorizzato l'immissione in commercio della Ru486, per l'IVG farmacologica, ma a distanza di anni solo una minima percentuale delle donne, ha potuto interrompere la gravidanza con il metodo farmacologico;
   a parere degli interpellanti è indispensabile che l'aborto farmacologico sia maggiormente e più diffusamente proposto su tutto il territorio nazionale come valida opzione alle donne, mettendole così in condizione di poter scegliere liberamente quale percorso intraprendere, garantendo e favorendo la sua somministrazione nell'ambito della stessa rete dei consultori;
   nell'ambito del suo piano di riorganizzazione della sanità, la regione Lazio si sta attivando per rendere l'accesso alla legge 194 il meno gravoso possibile per le donne, anche attraverso la possibilità di effettuare le interruzioni di gravidanza con la Ru486 nei consultori familiari, e allentando così la pressione sugli ospedali, e offrendo alle donne un'assistenza multidisciplinare;
   si tratta di un salto in avanti, visto che in gran parte d'Italia l'aborto farmacologico non è considerato una pratica ambulatoriale, anzi è consentito in day-hospital soltanto in cinque regioni. Sarà una sperimentazione all'interno di un programma di rilancio globale dei consultori;
   anche in Toscana, a Firenze, sulla base del parere n. 47 del 2014 sul «Protocollo operativo IVG farmacologica» dell'Ordine dei medici di Firenze, si sono realizzate alcune esperienze per l'interruzione di gravidanza farmacologica fuori dai reparti di degenza ospedalieri –:
   se non ritenga necessario promuovere l'estensione delle citate esperienze del Lazio, della Toscana e di altre realtà, e avviare tutte le iniziative di competenza utili affinché sia implementato e facilitato su tutto il territorio nazionale l'accesso all'aborto con il metodo farmacologico in regime di day hospital e, dove possibile, nei consultori familiari e nei poliambulatori, come previsto dall'articolo 8 della legge n. 194 del 1978;
   quali iniziative si intendano adottare per ridare piena centralità ai consultori, quale servizio gratuito per la rete di sostegno alla sessualità libera e alla procreazione responsabile;
   se non intenda avviare come priorità, già dal prossimo 22 aprile, Giornata per la salute della donna, una campagna informativa e di sensibilizzazione sull'uso della Ru486, quale valida alternativa all'IVG chirurgica.
(2-01753) «Nicchi, Murer, Roberta Agostini, Franco Bordo, Duranti, Fontanelli, Fossati, Carlo Galli, Martelli, Melilla, Mognato, Piras, Ricciatti, Rostan, Zaccagnini».

Interrogazione a risposta orale:


   CRIVELLARI. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel nostro Paese l'amianto continua ad essere un «killer silenzioso» che, anche per i limiti di una legislazione non ancora sufficientemente rigida in materia, tuttora colpisce le persone e i luoghi di lavoro;
   nei giorni scorsi, la Cgil di Rovigo, inaugurando in collaborazione con Afeva (associazione familiari e vittime dell'amianto) un punto di ascolto e informazione per lavoratori ed ex lavoratori, ha rilanciato l'allarme sul tema e rivendicato la necessità di agire con maggior forza sul piano della tutela e della sicurezza dei lavoratori;
   negli ultimi due anni la stessa Cgil di Rovigo ha registrato un aumento delle malattie correlate al rischio amianto, nella propria area di competenza;
   nella sola provincia di Rovigo, si pensi soltanto all'impatto e alla rilevanza di un sito in dismissione come quello della centrale Enel di Polesine Camerini (Porto Tolle), che dovrà essere interamente bonificato nei prossimi anni;
   sebbene la legge che ha messo al bando l'uso e la produzione dell'amianto sia datata 1992, attualmente lavoratori e cittadini possono ancora, in molti casi, essere esposti all'amianto, con il rischio concreto di contrarre il mesotelioma, tumore causato dall'inalazione prolungata delle polveri tossiche e con decine di anni di incubazione –:
   se e in che modo i Ministeri competenti siano a conoscenza della situazione in oggetto, quali azioni intendano mettere in atto per mappare i siti a rischio e se siano previsti aggiornamenti della normativa sul «rischio amianto» attualmente in vigore. (3-02939)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BARONI, NESCI, DI VITA, LOREFICE, MANTERO, SILVIA GIORDANO, LOMBARDI, DAGA, RUOCCO, DALL'OSSO, DI BATTISTA, ZOLEZZI e CECCONI. — Al Ministro della salute, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il 3 marzo 2017 hanno avuto inizio le prove preselettive del concorso pubblico indetto dal Policlinico Umberto I per il reclutamento di 40 infermieri a tempo indeterminato, per il quale sono state presentate circa 19 mila domande di partecipazione;
   sono state tante le segnalazioni fatte dai partecipanti circa le possibili irregolarità che hanno caratterizzato le prime giornate di prove;
   tra le anomalie con le quali si è svolta la prova di preselezione, è emerso che alcuni argomenti delle materie previste per l'esame (lesioni da decubito, scala di Glasgow (CGS) e scala di Vas), sono stati riproposti di giorno in giorno, con un chiaro vantaggio per coloro che hanno avuto la possibilità di sostenere la prova nelle giornate successive;
   le immagini delle prove, pubblicate su diversi gruppi facebook e altri social, probabilmente fotografate dagli stessi candidati, dimostrano che i partecipanti hanno sollevato e contestato immediatamente l'irregolarità della prova;
   inoltre la consegna del materiale, necessario a sostenere la prova, non è stata contemporanea, le buste (che in realtà sono cartelline) sono state consegnate aperte, il ritiro degli scritti dei candidati al termine delle prove, non è stato simultaneo, i cellulari, in teoria proibiti, hanno squillato e le chiacchierate con i vicini di banco sono state consentite senza che nessuno intervenisse;
   già nel passaggio in Gazzetta Ufficiale c’è stato un errore nella data di scadenza. Veniva infatti indicato il 20 giugno anziché al 19 giugno come previsto nel bando;
   inoltre, nel bando, veniva indicata come unica modalità di presentazione delle domande la PEC (posta elettronica certificata) personale del candidato stabilendo che non sarebbero state ammesse le domande inoltrate tramite PEC istituzionali accreditate ad enti pubblici, privati eccetera. Risulta che il sistema di ricezione attraverso la Pec prevista dal bando non ha funzionato escludendo di fatto molti infermieri che avrebbero voluto candidarsi al concorso –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti e se non intenda adottare le eventuali iniziative di competenza, anche valutando la sussistenza dei presupposti per l'esercizio dei poteri di cui all'articolo 60, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001. (4-16217)


   LUPO, DI VITA, LOREFICE, GRILLO, COLONNESE, NESCI e SILVIA GIORDANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   così come emerso dall'inchiesta giornalistica condotta dalla trasmissione «Report» e andata in onda il 3 aprile 2017, nelle strutture ospedaliere del nostro Paese, ogni anno, vengono utilizzati circa 7 milioni di set di allattamento «biberon» per l'allattamento alternativo, i biberon utilizzati vengono sterilizzati con l'impiego di ossido di etilene;
   l'ossido di etilene è stato valutato dall'Organizzazione mondiale per la sanità (OMS) e dalla International Agency for Research on Cancer (IARC) un agente cancerogeno per l'uomo (Gruppo 1) sulla base di una sufficiente evidenza sperimentale condotta sia in sistemi in vivo che in vitro;
   dalle analisi di laboratorio condotte per l'inchiesta giornalistica e dalle analisi condotte dal Ministero della salute francese nel 2012, emerge che il successivo periodo di aerazione a cui vengono sottoposti gli strumenti sterilizzati con l'ossido di etile, non sia efficace ad eliminare i residui della sostanza tossica, tanto che, così come riportato nella suddetta analisi, è possibile ritrovare tracce di ossido di etilene nel 25 per cento dei campioni analizzati;
   sia la direttiva relativa all'immissione sul mercato dei biocidi del 1998 che l'Unione europea dal 2007 vietano l'utilizzo di ossido di etilene per sterilizzare materiali a contatto con gli alimenti, altre limiti normativi riguardanti l'utilizzo di biocidi vengono introdotti con il regolamento (UE) n. 528/2012 del 22 maggio 2012;
   così come dichiarato dal Ministero della salute nella lettera invita ai giornalisti conduttori dell'inchiesta, «i biberon e le tettarelle che non sono dispositivi medici ricadono nel campo di applicazione della disciplina relativa ai materiali e agli oggetti destinati a venir a contatto con gli alimenti (MOCA), la cui regolamentazione comunitaria non risulta prevedere divieti specifici ad una eventuale loro sterilizzazione con ossido di etilene»;
   i set per allattamento «biberon» vengono elencati nel database «Elenco dei dispositivi medici», consultabile nel sito internet del Ministero della salute;
   in un parere tecnico denominato «Ossido di etilene per la sterilizzazione dei biberon per i neonati prematuri» richiesto dal Ministero della salute, l'esperto interrogato, al termine della relazione afferma che l'ossido di etile è accettabile per la sterilizzazione dei dispositivi medici, confermando altresì, durante l'intervista condotta per l'inchiesta, che non sarebbe accettabile nei semplici contenitori destinati a venir a contatto con gli alimenti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti citati in premessa;
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda porre in essere al fine di tutelare la salute dei neonati che ancora oggi, all'interno delle pubbliche strutture ospedaliere, vengono alimentati tramite biberon contaminati da sostanze cancerogene;
   se il Ministro interrogato possa chiarire in quale categoria debbano intendersi collocati i kit per l'allattamento «biberon». (4-16226)


   MINARDO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   è incerta e merita un chiarimento la situazione relativa al concorso straordinario per l'apertura di nuove sedi farmaceutiche previste dal decreto-legge cosiddetto «cresci Italia»;
   la procedura concorsuale ha previsto l'utilizzo di una piattaforma realizzata dal Ministero della salute in collaborazione con le regioni al fine di garantire l'uniformità e la parità di trattamento su tutto il territorio nazionale per tutti i concorrenti che si accingevano ad effettuare il concorso per soli titoli;
   il concorso secondo le norme di legge introdotte doveva concludersi entro un anno dalla pubblicazione della legge (n. 27 del 2012), ma ad oggi alcune regioni non hanno iniziato le relative procedure;
   le cause del ritardo sono da attribuirsi a numerosi ricorsi presentati al giudice amministrativo da parte di alcuni farmacisti con il cosiddetto requisito della ruralità;
   in particolare nel 2015 il Consiglio di Stato ha stabilito che: «per i farmacisti rurali l'articolo 9 della legge n. 221 del 1968 deve essere inteso nel senso di poter riconoscere una maggiorazione anche oltre il tetto massimo previsto per tutti gli altri concorrenti»;
   a parere dell'interrogante occorre dare un'interpretazione della norma confacente con la ratio della legge in quanto in questo modo, obbedendo in modo pedissequo alla sentenza del Consiglio di Stato, si potrebbe determinare una disparità del trattamento (ledendo il principio di uguaglianza) in quanto il concorso diventerebbe con tutta probabilità un concorso riservato ai soli farmacisti rurali;
   in particolare ci potrebbero essere da parte dei giudici amministrativi delle diverse interpretazioni alcune favorevoli alla sentenza del Consiglio di Stato citata, altre in linea con una lettura già consolidata dell'articolo 9 della legge n. 221 del 1968 che ha previsto una maggiorazione del punteggio per i farmacisti rurali, ma nel rispetto del tetto massimo previsto per tutti i concorrenti;
   il Ministero si è già attivato su questa materia chiedendo un parere all'Avvocatura dello Stato;
   tra l'altro, è necessario ricordare che alcune regioni hanno già concluso l’iter procedurale per l'assegnazione delle farmacie in ossequio ai principi citati ovvero che: «l'articolo 9 della legge n. 221 del 1968 si interpreta nel senso che è prevista una maggiorazione del punteggio per i farmacisti rurali, ma nel rispetto del tetto massimo previsto per tutti i concorrenti» –:
   quali iniziative intenda adottare, nell'ambito delle sue competenze, oltre a quelle già avviate per dare un'interpretazione certa e precisa sulle norme indicate in premessa, per consentire il rispetto dell'interpretazione già consolidata secondo cui l'articolo 9 della legge n. 221 del 1968 sia inteso nel senso citato dall'ultimo punto della premessa di questo atto di sindacato ispettivo. (4-16228)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, FERRARA, EPIFANI, MARTELLI, ZAPPULLA, GIORGIO PICCOLO, SCOTTO, NICCHI, QUARANTA, PIRAS, D'ATTORRE, DURANTI, MELILLA, SANNICANDRO, ZARATTI e FRANCO BORDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 marzo 2017 Ericsson telecomunicazioni spa, con sede legale in via Anagnina a Roma, ha aperto una procedura di licenziamento collettivo per riduzione di personale ex articolo 4 e 24 della legge n. 223 del 1991 e successive modifiche;
   Ericsson è tra maggiori fornitori in Italia di tecnologie e servizi per i principali operatori di telecomunicazioni, oltre che di industrie ed Enti pubblici;
   l'azienda ha motivato l'apertura della procedura di licenziamento collettivo con un cambio strutturale dello scenario competitivo del settore, che ha visto aggiungersi alla contrazione della domanda interna una crescente competizione basata sui prezzi, oltre ad un «cambiamento di paradigma tecnologico» sempre più sbilanciato nel settore software a scapito delle forniture hardware;
   oltre a ciò, e da registrarsi l'ingresso di un nuovo importante operatore nel settore, la società cinese Zte, che a dicembre 2016 si è aggiudicato una importante commessa da Wind-3, proprio ai danni di Ericsson che della rete 3 era il principale fornitore;
   la commessa aggiudicata dalla cinese Zte, che aveva peraltro una scarsa presenza sul territorio nazionale, prevede la realizzazione degli apparati tecnologici necessari e conseguenti alla fusione tra le due realtà Wind e 3, quali interventi su decine di migliaia di base station sul territorio nazionale ed un upgrade delle due reti alle tecnologie 4G, in vista della realizzazione dell'unica rete di accesso per i clienti Wind-3;
   il costo di tale commessa è stimata tra un valore di 800 milioni e 1 miliardo di euro;
   la procedura di esuberi aperta da Ericsson è, di fatto, la terza in tre anni. I lavoratori considerati in esubero nella procedura citata sono circa 360, molti dei quali troverebbero enormi difficoltà a reinserirsi nel mercato del lavoro per questioni di età e per l'aver acquisito una professionalità specifica difficilmente spendibile in un settore in contrazione;
   l'azienda esclude il ricorso agli ammortizzatori sociali, in quanto ritiene la previsione degli esuberi di carattere strutturale e non congiunturale;
   nel complesso coloro che lavorano da esterni sul quel progetto sono più del triplo e oggettivamente sarà difficile che le società di consulenza si terranno tutte queste «risorse» specializzate, portando così alla svalutazione della manodopera. Nella migliore delle ipotesi verranno acquisiti da Zte probabilmente con stipendi più bassi;
   ad avviso degli interroganti sarebbe tuttavia necessario un approfondimento che consenta di individuare soluzioni equilibrate in grado di salvaguardare i lavoratori e la loro professionalità, senza pregiudicare lo sviluppo futuro dell'azienda –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato in merito alla questione illustrata in premessa. (5-11090)

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Garavini e altri n. 4-16172, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 aprile 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Berlinghieri.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta immediata in Commissione Vella n. 5-10780 dell'8 marzo 2017.